Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
NOTA BENE
NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB
SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA
NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE
NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO
LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:
accredito/bonifico al conto BancoPosta intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA IBAN: IT15A0760115800000092096221 (CIN IT15A - ABI 07601 - CAB 15800 - c/c n. 000092096221)
versamento in bollettino postale sul c.c. n. 92096221. intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA
SCEGLI IL LIBRO
PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI
presidente@controtuttelemafie.it
Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996 0999708396
INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA - TELEWEBITALIA
FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE
(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -
ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
INGIUSTIZIA
E
RIBELLIONE
TERZA PARTE
L'APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale.
Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed
approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già
pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale
riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a
tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio
intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo
un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la
denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA
BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande).
L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER
AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA
CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA
CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI
AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE.
I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE…
CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI.
CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA
ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN
ITALIA.
SOLITA MAFIA
DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO
RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI
E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE
MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO
SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA
VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA
BARI.
SOLITA
FOGGIA.
SOLITA
TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
ommario
(di Antonio Giangrande)
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Tra i nostri avi abbiamo condottieri, poeti,
santi, navigatori,
oggi per gli altri siamo solo una massa di ladri
e di truffatori.
Hanno ragione, è colpa dei contemporanei e dei
loro governanti,
incapaci, incompetenti, mediocri e pure tanto
arroganti.
Li si vota non perché sono o sanno, ma solo
perché questi danno,
per ciò ci governa chi causa sempre e solo tanto
malanno.
Noi lì a lamentarci sempre e ad imprecare,
ma poi siamo lì ogni volta gli stessi a
rivotare.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Codardia e collusione sono le vere ragioni,
invece siamo lì a differenziarci tra le regioni.
A litigare sempre tra terroni, po’ lentoni e
barbari padani,
ma le invasioni barbariche non sono di tempi
lontani?
Vili a guardare la pagliuzza altrui e non la
trave nei propri occhi,
a lottar contro i più deboli e non contro i
potenti che fanno pastrocchi.
Italiopoli, noi abbiamo tanto da vergognarci e
non abbiamo più niente,
glissiamo, censuriamo, omertiamo e da
quell’orecchio non ci si sente.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Simulano la lotta a quella che chiamano mafia
per diceria,
ma le vere mafie sono le lobbies, le caste e la
massoneria.
Nei tribunali vince il più forte e non chi ha la
ragione dimostrata,
così come abbiamo l’usura e i fallimenti
truccati in una giustizia prostrata.
La polizia a picchiare, gli innocenti in anguste
carceri ed i criminali fuori in libertà,
che razza di giustizia è questa se non solo pura
viltà.
Abbiamo concorsi pubblici truccati dai legulei
con tanta malizia,
così come abbiamo abusi sui più deboli e molta
ingiustizia.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Abbiamo l’insicurezza per le strade e la
corruzione e l’incompetenza tra le istituzioni
e gli sprechi per accontentare tutti quelli che
si vendono alle elezioni.
La costosa Pubblica Amministrazione è una palla
ai piedi,
che produce solo disservizi anche se non ci
credi.
Nonostante siamo alla fame e non abbiamo più
niente,
c’è il fisco e l’erario che ci spreme e
sull’evasione mente.
Abbiamo la cultura e l’istruzione in mano ai
baroni con i loro figli negli ospedali,
e poi ci ritroviamo ad essere vittime di
malasanità, ma solo se senza natali.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Siamo senza lavoro e senza prospettive di
futuro,
e le Raccomandazioni ci rendono ogni tentativo
duro.
Clientelismi, favoritismi, nepotismi, familismi
osteggiano capacità,
ma la nostra classe dirigente è lì tutta intera
da buttà.
Abbiamo anche lo sport che è tutto truccato,
non solo, ma spesso si scopre pure dopato.
E’ tutto truccato fin anche l’ambiente, gli
animali e le risorse agro alimentari
ed i media e la stampa che fanno?
Censurano o pubblicizzano solo i marchettari.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Gli ordini professionali di istituzione fascista
ad imperare e l’accesso a limitare,
con la nuova Costituzione catto-comunista la
loro abolizione si sta da decenni a divagare.
Ce lo chiede l’Europa e tutti i giovani per
poter lavorare,
ma le caste e le lobbies in Parlamento sono lì
per sé ed i loro figli a legiferare.
Questa è l’Italia che c’è, ma non la voglio, e
con cipiglio,
eppure tutti si lamentano senza batter ciglio.
Che cazzo di Italia è questa con tanta pazienza,
non è la figlia del rinascimento, del
risorgimento, della resistenza!!!
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Questa è un’Italia figlia di spot e di soap
opera da vedere in una stanza,
un’Italia che produce veline e merita di
languire senza speranza.
Un’Italia governata da vetusti e scaltri
alchimisti
e raccontata sui giornali e nei tg da veri
illusionisti.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma se tanti fossero cazzuti come me, mi
piacerebbe tanto.
Non ad usar spranghe ed a chi governa romper la
testa,
ma nelle urne con la matita a rovinargli la
festa.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Rivoglio l’Italia all’avanguardia con
condottieri, santi, poeti e navigatori,
voglio un’Italia governata da liberi, veri ed
emancipati sapienti dottori.
Che si possa gridare al mondo: sono un italiano
e me ne vanto!!
Ed agli altri dire: per arrivare a noi c’è da
pedalare, ma pedalare tanto!!
Antonio Giangrande (scritta l’11 agosto 2012)
(di Antonio Giangrande)
Esser povero
conviene
“Chiedi e ti sarà
dato”
Disse Gesù se ti
sorviene
“Cercate e
troverete” ha annunciato
“Bussate e vi sarà
aperto” è l’andirivieni
Se hai fame sarai
saziato
Tanto qualcun altro
interviene
Non hai un tetto
troverai un casato
Il lavoro non lo
cerchi e non viene
Tanto qualcun altro
è tartassato
Da imprenditore lo
Stato tutto si trattiene
Da operaio non
vieni pagato
Tutto è gratis
senza catene
Mantenuto,
finanziato ed esentato
La ricchezza
l’onestà non tiene
I ricchi son ricchi
perché han rubato
Questo dogma si
mantiene
Il povero è onesto
nato
Ma non tutti la
povertà contiene
I veri poveri han
tentato
Se non hai qualcuno
che interviene
Non a tutti vien
donato
Esser comunisti è
un bene
Tutto è mio e non
viene dato.
Antonio
Giangrande (scritta il 19 gennaio 2023)
(di Antonio Giangrande)
Avetrana mia, qua sono nato e che possiamo fare,
non ti sopporto, ma senza di te non posso stare.
Potevo nascere in Francia od in Germania,
qualunque sia,
però potevo nascere in Africa od in Albania.
Siamo italiani, della provincia tarantina,
siamo sì pugliesi, ma della penisola salentina.
Il paese è piccolo e la gente sta sempre a
criticare,
quello che dicono al vicino è vero o lo stanno
ad inventare.
Qua sei qualcuno solo se hai denari, non se vali
con la mente,
i parenti, poi, sono viscidi come il serpente.
Le donne e gli uomini sono belli o carini,
ma ci sposiamo sempre nei paesi più vicini.
Abbiamo il castello e pure il Torrione,
come abbiamo la Giostra del Rione,
per far capire che abbiamo origini lontane,
non come i barbari delle terre padane.
Abbiamo le grotte e sotto la piazza il trappeto,
le fontane dell’acqua e le cantine con il vino e
con l’aceto.
Abbiamo il municipio dove da padre in figlio
sempre i soliti stanno a comandare,
il comune dove per sentirsi importanti tutti ci
vogliono andare.
Il comune intitolato alla Santo, che era la
dottoressa mia,
di fronte alla sala gialla, chiamata Caduti di
Nassiriya.
Tempo di elezioni pecore e porci si mettono in
lista,
per fregare i bianchi, i neri e i rossi, stanno
tutti in pista.
Mettono i manifesti con le foto per le vie e per
la piazza,
per farsi votare dagli amici e da tutta la
razza.
Però qua votano se tu dai,
e non perché se tu sai.
Abbiamo la caserma
con i carabinieri e non gli voglio male,
ma qua pure i
marescialli si sentono generale.
Abbiamo le scuole elementari e medie. Cosa li
abbiamo a fare,
se continui a studiare, o te ne vai da qua o ti
fai raccomandare.
Parlare con i contadini ignoranti non conviene,
sia mai,
questi sanno più della laurea che hai.
Su ogni argomento è sempre negazione,
tu hai torto, perché l’ha detto la televisione.
Solo noi abbiamo
l’avvocato più giovane d’Italia,
per i paesani,
invece, è peggio dell’asino che raglia.
Se i diamanti ai
porci vorresti dare,
quelli li rifiutano
e alle fave vorrebbero mirare.
Abbiamo la piazza con il giardinetto,
dove si parla di politica nera, bianca e rossa.
Abbiamo la piazza con l’orologio erto,
dove si parla di calcio, per spararla grossa.
Abbiamo la piazza della via per mare,
dove i giornalisti ci stanno a denigrare.
Abbiamo le chiese dove sembra siamo amati,
e dove rimettiamo tutti i peccati.
Per una volta alla domenica che andiamo alla
messa dal prete,
da cattivi tutto d’un tratto diventiamo buoni
come le monete.
Abbiamo San Biagio, con la fiera, la cupeta e i
taralli,
come abbiamo Sant’Antonio con i cavalli.
Di San Biagio e Sant’Antonio dopo i falò per le
strade cosa mi resta,
se ci ricordiamo di loro solo per la festa.
Non ci scordiamo poi della processione per la
Madonna e Cristo morto, pure che sia,
come neanche ci dobbiamo dimenticare di San
Giuseppe con la Tria.
Abbiamo gli oratori dove portiamo i figli senza
prebende,
li lasciamo agli altri, perché abbiamo da fare
altri faccende.
Per fare sport abbiamo il campo sportivo e il
palazzetto,
mentre io da bambino giocavo giù alle cave senza
tetto.
Abbiamo le vigne e gli ulivi, il grano, i fichi
e i fichi d’india con aculei tesi,
abbiamo la zucchina, i cummarazzi e i pomodori
appesi.
Abbiamo pure il commercio e le fabbriche per
lavorare,
i padroni pagano poco, ma basta per campare.
Abbiamo la spiaggia a quattro passi, tanto è
vicina,
con Specchiarica e la Colimena, il Bacino e la
Salina.
I barbari padani ci chiamano terroni mantenuti,
mica l’hanno pagato loro il sole e il mare,
questi cornuti??
Io so quanto è amaro il loro pane o la michetta,
sono cattivi pure con la loro famiglia stretta.
Abbiamo il cimitero dove tutti ci dobbiamo
andare,
lì ci sono i fratelli e le sorelle, le madri e i
padri da ricordare.
Quelli che ci hanno lasciato Avetrana, così come
è stata,
e noi la dobbiamo lasciare meglio di come
l’abbiamo trovata.
Nessuno è profeta nella sua patria, neanche io,
ma se sono nato qua, sono contento e ringrazio
Dio.
Anche se qua si sentono alti pure i nani,
che se non arrivano alla ragione con la bocca,
la cercano con le mani.
Qua so chi sono e quanto gli altri valgono,
a chi mi vuole male, neanche li penso,
pure che loro mi assalgono,
io guardo avanti e li incenso.
Potevo nascere tra la nebbia della padania o tra
il deserto,
sì, ma li mi incazzo e poi non mi diverto.
Avetrana mia, finchè vivo ti faccio sempre
onore,
anche se i miei paesani non hanno sapore.
Il denaro, il divertimento e la panza,
per loro la mente non ha usanza.
Ti lascio questo poema come un quadro o una
fotografia tra le mani,
per ricordarci sempre che oggi stiamo, però non
domani.
Dobbiamo capire: siamo niente e siamo tutti di
passaggio,
Avetrana resta per sempre e non ti dà aggio.
Se non lasci opere che restano,
tutti di te si scordano.
Per gli altri paesi questo che dico non è
diverso,
il tempo passa, nulla cambia
ed è tutto tempo perso.
(di Antonio Giangrande)
Aitrana mia, quà
già natu e ce ma ffà,
no ti pozzu vetè,
ma senza ti te no pozzu stà.
Putia nasciri in
Francia o in Germania, comu sia,
però putia nasciri
puru in africa o in Albania.
Simu italiani, ti
la provincia tarantina,
simu sì pugliesi,
ma ti la penisula salentina.
Lu paisi iè
piccinnu e li cristiani sempri sciotucunu,
quiddu ca ticunu
all’icinu iè veru o si l’unventunu.
Qua sinti quarche
tunu sulu ci tieni, noni ci sinti,
Li parienti puè so
viscidi comu li serpienti.
Li femmini e li
masculi so belli o carini,
ma ni spusamu
sempri alli paisi chiù icini.
Tinimu lu castellu
e puru lu Torrioni,
comu tinumu la
giostra ti li rioni,
pi fa capii ca
tinimu l’origini luntani,
no cumu li barbari
ti li padani.
Tinimu li grotti e
sotta la chiazza lu trappitu,
li funtani ti
l’acqua e li cantini ti lu mieru e di l’acitu.
Tinimu lu municipiu
donca fili filori sempri li soliti cumannunu,
lu Comuni donca cu
si sentunu impurtanti tutti oluni bannu.
Lu comuni
‘ntitolato alla Santu, ca era dottori mia,
ti fronti alla sala
gialla, chiamata Catuti ti Nassiria.
Tiempu ti votazioni
pecuri e puerci si mettunu in lista,
pi fottiri li
bianchi, li neri e li rossi, stannu tutti in pista.
Basta ca mettunu li
manifesti cu li fotu pi li vii e pi la chiazza,
cu si fannu utà ti
li amici e di tutta la razza.
Però quà votunu ci
tu tai,
e no piccè puru ca
tu sai.
Tinumu la caserma
cu li carabinieri e no li oiu mali,
ma qua puru li
marescialli si sentunu generali.
Tinimu li scoli
elementari e medi. Ce li tinimu a fà,
ci continui a
studià, o ti ni ai ti quà o ta ffà raccumandà.
Cu parli cu li
villani no cunvieni,
quisti sapunu chiù
ti la lauria ca tieni.
Sobbra
all’argumentu ti ticunu ca iè noni,
tu tieni tuertu,
piccè le ditto la televisioni.
Sulu nui tinimu
l’avvocatu chiù giovini t’Italia,
pi li paisani,
inveci, iè peggiu ti lu ciucciu ca raia.
Ci li diamanti alli
puerci tai,
quiddi li scanzunu
e mirunu alli fai.
Tinumu la chiazza
cu lu giardinettu,
do si parla ti
pulitica nera, bianca e rossa.
Tinimu la chiazza
cu l’orologio iertu,
do si parla ti
palloni, cu la sparamu grossa.
Tinimu la chiazza
ti la strata ti mari,
donca ni sputtanunu
li giornalisti amari.
Tinimu li chiesi
donca pari simu amati,
e
donca rimittimu tutti li piccati.
Pi na sciuta a la
tumenica alla messa do li papi,
di cattivi tuttu ti
paru divintamu bueni comu li rapi.
Tinumu San Biagiu,
cu la fiera, la cupeta e li taraddi,
comu tinimu
Sant’Antoni cu li cavaddi.
Ti San Biagiu e
Sant’Antoni toppu li falò pi li strati c’è mi resta,
ci ni ricurdamo ti
loru sulu ti la festa.
No nni scurdamu puè
ti li prucissioni pi la Matonna e Cristu muertu, comu sia,
comu mancu ni ma
scurdà ti San Giseppu cu la Tria.
Tinimu l’oratori do
si portunu li fili,
li facimu batà a
lautri, piccè tinimu a fà autri pili.
Pi fari sport
tinimu lu campu sportivu e lu palazzettu,
mentri ti vanioni
iu sciucava sotto li cavi senza tettu.
Tinimu li vigni e
l’aulivi, lu cranu, li fichi e li ficalinni,
tinimu la cucuzza,
li cummarazzi e li pummitori ca ti li pinni.
Tinimu puru lu
cummerciu e l’industri pi fatiari,
li patruni paiunu
picca, ma basta pi campari.
Tinumu la spiaggia
a quattru passi tantu iè bicina,
cu Spicchiarica e
la Culimena, lu Bacinu e la Salina.
Li barbari padani
ni chiamunu terruni mantinuti,
ce lonnu paiatu
loro lu soli e lu mari, sti curnuti??
Sacciu iù quantu iè
amaru lu pani loru,
so cattivi puru cu
li frati e li soru.
Tinimu lu cimitero
donca tutti ma sciri,
ddà stannu li frati
e li soru, li mammi e li siri.
Quiddi ca nonnu
lassatu laitrana, comu la ma truata,
e nui la ma lassa
alli fili meiu ti lu tata.
Nisciunu iè prufeta
in patria sua, mancu iù,
ma ci già natu qua,
so cuntentu, anzi ti chiù.
Puru ca quà si
sentunu ierti puru li nani,
ca ci no arriunu
alla ragioni culla occa, arriunu culli mani.
Qua sacciu ci sontu
e quantu l’autri valunu,
a cinca mi oli mali
mancu li penzu,
puru ca loru olunu
mi calunu,
iu passu a nanzi e
li leu ti mienzu.
Putia nasciri tra
la nebbia di li padani o tra lu disertu,
sì, ma ddà mi
incazzu e puè non mi divertu.
Aitrana mia, finchè
campu ti fazzu sempri onori,
puru ca li paisani
mia pi me no tennu sapori.
Li sordi, lu
divertimentu e la panza,
pi loro la menti no
teni usanza.
Ti lassu sta
cantata comu nu quatru o na fotografia ti moni,
cu ni ricurdamu
sempri ca mo stamu, però crai noni.
Ma ccapì: simu
nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi
sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi
ca restunu,
tutti ti te si ni
scordunu.
Pi l’autri paisi
puè qustu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa,
nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.
Testi scritti il 24
aprile 2011, dì di Pasqua.
Il Dito e la Luna. L’attore con il dito indica la luna, gli stolti guardano il
dito.
Quando l’attore indica il problema e/o la sua soluzione, molti mirano l’attore e
non attenzionano il problema e/o la sua soluzione.
L’errore dei saccenti è dare importanza alla Forma, ignorando la Sostanza.
La Forma è momentanea, la Sostanza è eterna.
Antonio Giangrande: Quell’esame di maturità da privatista.
Manduria. Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “Luigi Einaudi”.
Ore 8 del giorno 22 giugno 1992.
Su comunicazione del preside prof. Giovanni Semeraro, con provvedimento n.
22565/91/3 del 19 maggio 1992, mi si ammetteva a sostenere l’esame di maturità
per tutti e cinque gli anni di corso ordinario.
Esame non sostenuto in tempo debito perché in famiglia lo studio non era
ritenuto essenziale per il futuro: meglio avere, che essere.
Avevo 29 anni. Uomo tra ragazzi.
Indifferente affrontai l’esame, prima scritto, poi orale. Tutte le materie dei
cinque anni di corso.
La commissione si integrò con docenti per le materie non previste nella maturità
ordinaria.
La prova scritta fu eccellente: ottimi voti, pari ai più bravi.
La prova orale fu una corrida: sfilze di domande da innumerevoli docenti.
Qualche commissario era restio a promuovermi, subissandomi di domande, anche a
trabocchetto. Forse non per cattiveria (qualcuno sì) o non perché fossi
impreparato, ma per l’eccezionalità del fatto che poteva creare un precedente
scomodo.
Il presidente della Commissione alla fine mi chiese: perché hai affrontato
l’esame?
Risposta: ho già tutte le patenti superiori, compreso il CAP (certificato
abilitazione professionale), ho quasi vinto il concorso per autista del
magistrato (nel periodo delle stragi di mafia), e sarebbe bello presentarsi ad
esso come diplomato e non come analfabeta.
Alla fine la commissione espresse il seguente giudizio: “il curriculum e le
prove integrative hanno evidenziato una adeguata cultura di base del candidato
che durante le prove e del colloquio ha dimostrato di possedere una preparazione
accettabile anche se non criticamente approfondita”.
Ringrazio Dio per avermi sostenuto.
Quel concorso non l’ho vinto, perché era truccato e già assegnato ad altri.
Decisi allora di non essere l’autista, ma lo stesso magistrato.
Partii per Milano per poter lavorare e studiare. Avevo moglie e due figli, avuti
a 20 anni ed a 21.
In quel posto mi dissero che il diploma l’avevo comprato, perché impossibile
ottenere quel risultato.
A Milano le 26 annualità, ossia gli esami per la laurea in Giurisprudenza
quadriennale, li superai in due anni.
Dovetti aspettare altri due anni per poter sostenere l’esame di laurea.
Mi laureai l’11 luglio 1996.
Ringrazio Dio per avermi sostenuto.
Il 21 settembre 1996 inizia la mia pratica forense. Presso il Tribunale di
Taranto.
Il 18 aprile 1998 inizia la mia attività forense con patrocinio legale, fino al
18 aprile 2004, in attesa dell’abilitazione che dopo 17 anni di esami farsa non
arrivò mai.
Ero un elemento estraneo e scomodo al sistema.
La mia preparazione da privatista mi rese immune da influenze ideologiche e
lobbistiche.
Affrontai altri concorsi: truccati. Presentai le prove: ignorate.
Tutti i miei sacrifici, e la mia vita sprecata, immolati alla ragion di uno
Stato criminale.
Ormai anziano indigente posso solo fare il saggista di denuncia civile: libri
che sul web tutti leggono, ma che nessuno compra.
Al contrario, buon sangue non mente, mio figlio è diventato l’avvocato più
giovane d’Italia a 25 anni con la doppia laurea. Telenorba gli dedicò un
servizio. Primina, esame di maturità allo stesso Istituto di cui sopra, al 4°
anno perché aveva 10 in tutte le materie, abilitazione forense al primo anno di
esame. Oggi non vuol fare l’avvocato, ma lavoro all’Ufficio del Processo di
Parma, superando quel concorso e quello ostico di abilitazione di professore
degli istituti superiori.
Ringrazio Dio di averlo sostenuto.
Antonio Giangrande
|
CURRICULUM VITAE
DI GIANGRANDE ANTONIO Antonio Giangrande, nato in una famiglia sbagliata, una delle tantissime nel meridione, egoista, retrograda ed ignorante, dove si fanno nascere i figli, collusi e codardi, per far ricchi i genitori ed assisterli nella vecchiaia. I figli nati per utilità e lo studio è di impedimento. I figli di quella generazione sono schiavi dei genitori ed al contempo, per non essere egoisti come loro, sono schiavi della progenie. |
DATI
PERSONALI |
Giangrande Antonio Di
Oronzo Giangrande bracciante agricolo 22/04/1937 – 10/10/2022 e
Antonia Santo bracciante agricola 21/02/41 Nato ad
Avetrana (TA) il 02-06-1963
Residente ad Avetrana (TA) in via A. Manzoni n. 49 Tel/Fax
099.9708396
Cell.3289163996 |
DATI
FAMILIARI |
Moglie
da 01/03/1984: Cosima
Petarra Erchie 08/05/1964 addetta impresa pulizie Figli:
1.
Mirko
Giangrande Manduria 26/01/1985: Avvocato più giovane d’Italia a 25 anni
con doppia laurea primina e diploma secondario con soli 4 anni, con 10 a
tutte le materie, e non 5; Addetto Ufficio per il Processo UPP;
Professore di Diritto degli istituti superiori.
2.
Tamara
Giangrande Manduria 16/08/1986, coadiuvante familiare impresa
artigianale manufatti in cemento Nipoti,
figli di Tamara:
1.
Antonio Minò
Francavilla Fontana 29/03/2015
2.
Nicolò Minò
Francavilla Fontana 07/09/2020 |
TITOLI DI STUDIO |
1.
Diploma di Licenza Media il 23 giugno
1977
2.
20/02/84. Iscritto nel Registro degli
Esercenti il Commercio al dettaglio di Taranto: Tab.:
I-II-III-IV-V-VI-VII-VIII-XIV (tabella speciale tabaccai).
3.
Diploma di Ragioniere e Perito
Commerciale presso l’Istituto Statale Tecnico Commerciale Luigi Einaudi
di Manduria (TA) 5 luglio 1992:
A.
Privatista per tutti i 5 anni;
B.
Voto: 36/60.
4.
Laurea in Giurisprudenza presso
l’Università Statale di Milano 11 luglio 1996.
A.
Vecchio Ordinamento Quadriennale;
B.
Studente Lavoratore e famiglia a carico (moglie
e 2 figli);
C.
26 annualità superate in 2 anni;
D.
Voto: 79/110
5.
Titolo regionale della Regione
Puglia: Operatore dei Servizi Giudiziari: Perito Fonico Trascrittore
Dattilografo Stenotipista Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari.
Qualifica regionale di 600 ore: 350 ore di teoria, 250 ore di stage.
Inizio 25/02/2023 fine 01/08/2023. Corso svolto presso Dea Center di
Salice Salentino (Le). Oneri omnicomprensivi 3.000 euro.
6.
Certificato Internazionale di
Alfabetizzazione Digitale rilasciato da Salvemini il 10/06/2024, Ente
accreditato presso l'ente di accreditamento nazionale (MIM - Direttiva
170/2016) registrato con ID Sofia N.85971 conforme ai framework europei
(DigComp 2.2) |
CERTIFICATO PENALE |
Incensurato – nessun carico pendente Questo
nonostante i reiterati tentativi di incriminazione di alcuni Magistrati
ed Avvocati di Taranto per reati di opinione per aver denunciato la
malagiustizia a Taranto e per aver scritto inchieste in tutta Italia.
L’intento era, oltre impedirmi l’abilitazione forense, impedirmi di
partecipare ai Concorsi Pubblici, per cause inibenti di procedimenti
penali conclusi con condanne o ancora in corso. Procedimenti estinti senza seguito: Mancini, De Prezzo, Calora, Dimitri, Cavallo, Romano, Coccioli, Bravo, Lazzara, ecc.
|
CONOSCENZE
DELLE LINGUE |
1.
Scolastica:
A.
Inglese;
B.
Francese;
C.
Tedesca. |
CONOSCENZE INFORMATICHE |
Sistema
Operativo: Windows
Applicativi: Word,
Excel, Frontpage, Microsoft Expression |
PATENTI
AUTO |
A, B,
C, D, E, (CAP non rinnovato) |
POSIZIONE
MILITARE
|
Servizio Militare assolto dal 27 maggio 1982 al 9 maggio 1983 presso il
Battaglione Logistico Paracadutisti di Pisa |
ESPERIENZA LAVORATIVA
|
1.
Coadiuvante
all’autolavaggio di famiglia a 14 anni: dal 2/06/1977 all’1/09/1979
2.
Emigrato in
Germania a 16 anni dal 1/09/1979 al 1/05/1980
3.
Da 1/05/1980
all’27/05/1982 coadiuvante al negozio al dettaglio di generi alimentari
di famiglia.
4.
Servizio
militare da 27/05/1982 al 9/05/1983
5.
Dal 9/05/1983
al 13/09/1990 Imprenditore Commerciale Autonomo:
A.
Commerciante
carni;
B.
Commerciante
frutta;
C.
Pizzaiolo e
Ristoratore stagionale.
6.
Dal 13/09/1990
al 17/06/1991: Guardia Giurata Particolare e Responsabile Unico della
sicurezza del cantiere presso Igeco spa di Lecce.
7.
Dal 17/06/1991
all’1/09/1992 Pizzaiolo e Ristoratore stagionale.
8.
Dall’1/09/1992
all’11 luglio 1996 studente universitario lavoratore a Milano con moglie
e figli a carico.
A.
Dall’1/09/1992
all’1 aprile 1993 Co.Co.Co
B.
Dall’1/04/1993
all’ 1/11/1993: Investigatore Privato e responsabile unico della
sicurezza del Centro Direzionale di Segrate (MI) presso la De Pittis
Investigazioni Milano
C.
Dall’1/11/1993
all’11/07/1996 Co.Co.Co.
9.
Dal 17/04/1998
al 17/04/2004: Praticante Avvocato con patrocinio legale presso Il
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto e Titolare di Studio
Legale ad Avetrana. Non abilitato Avvocato dopo 17 anni di esame di
Stato a causa di ritorsione per aver denunciato l’esame nazionale
truccato di abilitazione forense, da cui è scaturita la riforma del
2003. Il D.L. 112/03
è convertito nella Legge 180/03.
1. Dal 17/04/2005 al 20/02/2007: Imprenditore Professionale (Agenzia d’Affari) nel campo assicurativo e dell’infortunistica stradale. Sub-agente plurimarche ed antesignano per l’offerta più conveniente, fino a che il Regolamento ISVAP n.5 del 16 ottobre 2006, infatti, impedisce il plurimandato assicurativo e, di fatto, la ricerca della tariffa più conveniente. Il Regolamento prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione dell’agente in una sola delle sezioni tenute dall’ISVAP. In questo modo l’agente di una compagnia non può essere sub agente di altra compagnia. Il Regolamento inibisce l’iscrizione a coloro i quali svolgono l’attività professionale assicurativa come secondo lavoro. Il Regolamento impone il divieto di remunerazione per i meri segnalatori o promoters e i meri fattorini, impedendo la collaborazione occasionale e l’incentivazione alla divulgazione delle tariffe più convenienti. Il Regolamento impone l’iscrizione dei subagenti solo se indicati dagli agenti presso cui operano, imponendo di fatto il mono mandato. Lo stesso agente, però, è anch’esso mono mandatario, così obbligato dalla compagnia. Il Regolamento è a favore di tutte le compagnie di assicurazione, le quali obbligano gli agenti ed, ancor più, i subagenti sotto minaccia di mancata iscrizione, ad essere esclusivisti del loro marchio, impedendo così, di fatto, la facoltà del plurimandato e della promozione delle tariffe più convenienti.
11.
Dal 20/02/2007
a tutt’oggi: Saggista e Sociologo Storico. Pubblicazione su Google e su
Lulu di oltre 445 saggi pluridisciplinari letti in tutto il mondo. Dal
24/07/2020 Amazon, da cui si traeva la quasi totalità del profitto di
vendita, ha chiuso l’account di pubblicazione, per aver rendicontato ed
approfondito il fenomeno del Covid. |
INCARICHI PUBBLICI |
1.
04/03/2018.
Presidente di Seggio elettorale
2.
03-04/10/2021.
Segretario di Seggio Elettorale. |
CONCORSI PUBBLICI |
La procedura concorsuale assevera
la legalità, ma non rispecchia la legalità.
Gli scritti:
Nei Concorsi Pubblici ci sono due
tipi di prove scritte:
Quella con risposte uniche e
motivate, la cui correzione è, spesso, lunga, farraginosa e fatta da
commissioni clientelari, familistici e incompetenti che non correggono,
o correggono male non avendo il tempo necessario, o la preparazione
specifica e che promuovono secondo fortuna o raccomandazione.
Quella con domande multiple,
spesso, incoerenti con la competenza richiesta, ma che garantiscono
velocità di correzione e uniformità di giudizio.
Chi è abituato all’aiutino
disdegna i quiz, in cui non si può intervenire, se non conoscendoli in
anticipo.
Il metodo di correzione degli
elaborati negli esami di Stato (vedi Avvocati/magistrati) o nei concorsi
pubblici è sempre lo stesso: si dichiarano corretti i compiti che non
sono stati nemmeno visionati. Per attestare ciò detto, non si abbisogna
di microfoni o microspie nelle segrete stanze delle commissioni e dei
"Compari". Basta verificare i tempi di correzione se siano sufficienti e
controllare le prove se e come sono state corrette, anche in relazione
alle altre prove ritenute idonee. I Tar di tutta Italia ne scrivono di
nefandezze commesse. Nel ribellarsi, però, non si caverà un ragno dal
buco: perché così fan tutti!! Giudicanti, ingiudicati.
L’orale: I commissari d’esame
sono nominati dalle Amministrazioni procedenti. Ergo: fanno i loro
interessi.
Il loro interesse è avere come
dipendente un elemento affidabile e/o esperto, più che preparato.
In questo senso la Commissione in
sede di esame orale:
sceglie l’affidabilità del
candidato in base al nominativo ricevuto da terzi;
sceglie l’esperienza del
candidato in base agli incarichi pregressi coperti già in altre
Amministrazioni Pubbliche. In questo caso il giudizio dei commissari è
indirizzato, anche se vi è scena muta.
La Commissione è preparata in
base alle sole domande da loro poste e non su tutti gli argomenti
d’esame. Se l’argomentazione del candidato approfondisce il tema, la si
mette in difficoltà e scatta la ripicca.
La prova orale, madre si tutte le
arroganze e presunzioni. In sede di esame orale ti trovi di fronte una
schiera di Commissari di esame che fanno sfoggio della loro sapienza
rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto dell’esame non verte
sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma sulla capacità di
metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di saperne più di
te e del loro collega commissario. Tu che hai superato a pieni voti lo
scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di
approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano
il tuo stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o,
meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i
voti sono in contrasto con la scena muta, o con risposte incomplete o
fuorvianti. I senior, pur senza limitazioni all’accesso, poi sono
penalizzati: non idonei a prescindere. Chi già opera in altri corpi,
magari assunto con un concorso truccato, e per capriccio e sazietà vuol
cambiare, è favorito, pur se incapace. Fortunati una volta, fortunati
per sempre. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
1.
02/06/1976. Domanda nell’Arma dei Carabinieri: lettera morta. Esito
scontato per un giovane che non è raccomandato.
2.
13/09/1991. Concorso della Polizia di Stato, scritto voto 8.16, tra i
primi 50 sul oltre 20.000 candidati. Il seguito: lettera morta. Esito
scontato per un giovane preparato che non è raccomandato.
3.
29/10/1991, prova di guida e 25/01/1992 prova psico-fisica-attitudinale
superate al concorso del Ministero della Giustizia per autisti degli
automezzi speciali: mai chiamato. Esito scontato per un uomo preparato
che non è raccomandato.
4.
26/10/1992. Concorso all’ATM di Milano per ferrotranviere. Prova di
guida: mai chiamato. Esito scontato per un uomo preparato che non è
raccomandato.
5.
16/01/1997. Concorso di Uditore Giudiziario: lettera morta. Esito
scontato per un uomo preparato che non è raccomandato.
6.
04/05/1998. Domanda per nomina di Giudice di Pace. Lettera Morta. Esito
scontato per un uomo preparato che non è raccomandato.
7.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di
Manduria. Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da
chi aveva indetto e regolato il concorso. Esito scontato per un uomo
preparato che non è raccomandato.
8. Dalla
sessione di esame di Avvocato 1998 alla sessione di esame di Avvocato
2014, per 17 anni, alla prova scritta si è dato sempre – stranamente -
un voto uguale (25/30) a tutti e tre gli elaborati (civile, penale,
amministrativo), insufficiente al superamento dell’esame, a mo’ di
ritorsione per le battaglie intraprese. I ricorsi al Tar, rigettati, ma
accolti per tutti gli altri, per le medesime ragioni. Esito scontato per
un uomo preparato che non è raccomandato.
9. Dal
2000 al 2023 non ho potuto svolgere concorsi pubblici per procedimenti
penali pendenti con accuse risultate infondate, per calunnia in
riferimento alle accuse di malagiustizia e concorsi truccati in enti
pubblici e di abilitazione, specialmente in avvocatura, di cui si è
stati promotori per la riforma della legge (Legge 18 luglio 2003, n. 180
conversione Decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, Legge Castelli della
migrazione degli elaborati).
10. 22/05/2023. Iscritto
nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale
delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi
interpellanti. Esito scontato per un sessantenne preparato. Per ogni
risposta corretta verrà attribuito al candidato un punteggio di 0.166
periodico, con arrotondamento per eccesso (0,166), per ogni risposta
errata o non data verrà attribuito il punteggio 0 (zero). Questo è un
concorso per chi dà più risposte esatte, non per chi dà meno risposte
sbagliate, magari a domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit
o abbuoni), come quelle del Ministero della Giustizia o Agenzia delle
Entrate.
11. 10/07/2023. Comune di
Venosa (PZ), aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°. Per ogni
risposta corretta verrà attribuito al candidato un punteggio di 0.166
periodico, con arrotondamento per eccesso (0,166), per ogni risposta
errata o non data verrà attribuito il punteggio 0 (zero). Questo è un
concorso per chi dà più risposte esatte, non per chi dà meno risposte
sbagliate, magari a domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit
o abbuoni), come quelle del Ministero della Giustizia o Agenzia delle
Entrate. Esame orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto. Esito
scontato per un sessantenne preparato, ma considerato vecchio e non
raccomandato.
12. 06/09/2023. Comune di
Gattinara (VC), aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il
18/09/2023. Preceduto ingiustamente. Esito scontato per un sessantenne
preparato, ma considerato vecchio e non raccomandato.
13. 02/10/2023. Comune di
Anacapri (NA), aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria
sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente,
meno che uno... Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
14. 10/10/2023. Comune di
Vigliano Biellese (BI), aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. Esito scontato per
un sessantenne preparato, ma considerato vecchio e non raccomandato.
15. 20/11/2023 e 23/11/2023
Concorso Agenzia delle Entrate. Su 129.751 candidati arrivato tra i
primi 13.000. Esito scontato per un sessantenne preparato. Selezione
pubblica per l’assunzione a tempo indeterminato di complessive 3970
unità per l’area funzionari, per attività tributaria - Agenzia delle
Entrate
- 0,08 per ogni domanda errata;
+ 0,43 per ogni domanda corretta;
0 punti per ogni domanda omessa.
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
Esito Prova: Non Superata
Punteggio Totale: 20,92 punti
52 corrette 18 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
Selezione pubblica per
l’assunzione a tempo indeterminato di complessive 530 unità per l’area
funzionari, per i servizi di pubblicità immobiliare - Agenzia delle
Entrate
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
- 0,08 per ogni domanda errata;
+ 0,43 per ogni domanda corretta;
0 punti per ogni domanda omessa.
Esito Prova: Non Superata
Punteggio Totale: 15,82 punti
42 corrette 28 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
16. 16/12/2023 Comune di
Savignano Irpino (AV), aspiranti Comandati della Polizia Locale.
Commissari impreparati. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
17. 13/02/2024 Comune di
Capri (NA), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Commissari in mala
fede. Graduatoria di già graduati in altri corpi di polizia che non
hanno risposto a tutte le domande, o fatto in modo incompleto o
fuorviante. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma considerato
vecchio e non raccomandato.
18. 20/02/2024 Comune di
Beinasco (Ente capofila) (TO), elenco di idonei aspiranti Comandati
della Polizia Locale dei comuni aderenti allo specifico accordo (Bruino,
Castagnole Piemonte, Orbassano, Rivalta di Torino, Sangano ed il
Consorzio C.I. di S.). Prova scritta: 5° su 50 candidati. Questo è un
concorso per chi dà più risposte esatte, non per chi dà meno risposte
sbagliate, magari a domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit
o abbuoni), come quelle del Ministero della Giustizia o Agenzia delle
Entrate. Esito scontato per un sessantenne preparato.
19. 07/03/2024 Comune di
Borgomanero (NO), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Paese senza
bagni pubblici, nemmeno in stazione ferroviaria. Commissione domestica e
pretenziosa. Candidati due, di cui uno già funzionario in altro ente.
Entrambi bocciati. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
20. 18/03/2024 Comune di
Melfi (PZ), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Commissione
domestica. Come di solito nelle città del Sud, una marea di candidati:
oltre 100. Una trentina presenti all’orale. In virtù della privacy
risultati dei 6 idonei in anonimato con corrispondenza ad un numero
domanda, di cui non si riesce a risalire al titolare, nemmeno per sé
stessi. Esito scontato. Esito scontato per un sessantenne preparato, ma
considerato vecchio e non raccomandato.
21. 13/05/2024 Comune di
Panicale (PG), aspiranti Comandati della Polizia Locale. Commissione
domestica. Commissari in mala fede. Graduatoria di già graduati in altri
corpi di polizia che non hanno risposto a tutte le domande, o fatto in
modo incompleto o fuorviante. Esito scontato per un sessantenne
preparato, ma considerato vecchio e non raccomandato. Così per me, così
per altri interpellanti presenti. Ti danno il 6/10 per impedire anche lo
scorrimento della graduatoria.
22. 05/06/2024 Concorso
Ufficio per il Processo. Su 72.901 candidati superato dai giovani
avvantaggiati dalle norme sul concorso (Il punteggio per le lauree
conseguite nei sette anni precedenti valgono doppio). Esito scontato per
un sessantunenne preparato. Concorso pubblico, per titoli ed esami, su
base distrettuale, ad eccezione di Trento e Bolzano, per il reclutamento
a tempo determinato di 3.946 unità di personale non dirigenziale
dell’Area funzionari, con il profilo di Addetto all’Ufficio per il
processo, da inquadrare tra il personale del Ministero della giustizia
A ciascuna risposta è attribuito
il seguente punteggio:
- Risposta esatta: + 0,75 punto;
- Mancata risposta: 0 punti;
- Risposta sbagliata: - 0,375
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
Non Superata
Punteggio Totale: 19,875 punti
31 corrette 9 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti
23. 09/01/24 iscrizione al
"Concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di un
contingente complessivo di n.152 (centocinquantadue) unità di personale
non dirigenziale, a tempo pieno e indeterminato, da inquadrare nell’Area
Funzionari del Ministero della difesa, con competenze in materia
giuridico amministrativa (Codice A.1)". Esame il 10 luglio 2024. Idoneo
non vincitore su 36.323 candidati. Titoli di preferenza: gioventù.
A ciascuna risposta è attribuito
il seguente punteggio:
- Risposta esatta: + 0,75 punto;
- Mancata risposta: 0 punti;
- Risposta sbagliata: - 0,25
(0,375 relazionali)
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni).
ESITO PROVA GNGNTN63H02A514Q
GIANGRANDE ANTONIO
Superata
Punteggio Totale: 21,25 punti
30 corrette 10 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti. Con lo stesso
criterio di punteggio avrei superato il concorso dell’Agenzia delle
Entrate e del Ministero della Giustizia (UPP), con meno domande
sbagliate (9).
24. 27/03/2024 iscrizione
al concorso "REGIONE PIEMONTE - CONCORSO PUBBLICO PER AUTISTI - BANDO N.
211". Esame il 24 luglio 2024. Candidati 977, presenti 406, voto 25,37,
escluso tra i primi quaranta previsti dal bando.
25. 25/04/24 iscrizione ad
AVVISO del Comune di Ginosa DI MANIFESTAZIONE DI INTERESSE PER IDONEI IN
GRADUATORIE DI CONCORSI PUBBLICI PER L’ASSUNZIONE A TEMPO PIENO E
DETERMINATO DI N. 4 UNITÀ DI PERSONALE DEL PROFILO PROFESSIONALE DI
AGENTE DI POLIZIA LOCALE: mai chiamato.
26. 12/05/2024. Iscrizione
concorso "Avviso di selezione pubblica per l’aggiornamento, relativo
all’anno 2024, dell’Elenco di Idonei da assumere quale Agente della
Polizia Locale nella Provincia di Lecce e negli enti locali aderenti
allo specifico accordo. Esame il 19 luglio 2024.
A ciascuna risposta è attribuito
il seguente punteggio:
- Risposta esatta: + 0,75 punto;
- Mancata risposta: 0 punti;
- Risposta sbagliata: - 0,18
Questo è un concorso non per chi
dà più risposte esatte, ma per chi dà meno risposte sbagliate, magari a
domande ingannevoli, fuorvianti o errate (Tar dixit o abbuoni). ESITO
PROVA GNGNTN63H02A514Q GIANGRANDE ANTONIO
Superata
Punteggio Totale: 19,77 punti
29 corrette 11 errate 0 non date
La prova viene considerata
superata con un punteggio uguale o superiore a 21 punti. Con lo stesso
criterio di punteggio avrei superato il concorso dell’Agenzia delle
Entrate e del Ministero della Giustizia (UPP), con meno domande
sbagliate (9).
27.
16/06/2024 iscrizione GRADUATORIE DI CIRCOLO E DI ISTITUTO DI III FASCIA
DEL PERSONALE AMMINISTRATIVO, TECNICO E AUSILIARIO della scuola.
28. 16/06/2024 iscrizione
concorso Asmel aggiornamento elenchi ISTRUTTORE VIGILANZA CAT. C1 |
ESPERIENZA ASSOCIATIVA |
Fondatore e Presidente Nazionale della “Associazione Contro Tutte le
Mafie”
www.controtuttelemafie.it
-
www.telewebitalia.eu
Primo presidente di Avetrana del Circolo politico di Alleanza Nazionale |
ATTIVITA’ SPORTIVE |
Calcio – Paracadutismo militare – Corsa di resistenza - Podismo
Boxe – Arti marziali |
FUNZIONI AZIENDALI OFFERTE
|
Figura Professionale Duttile, Competente |
MOVIMENTAZIONE
|
Disponibilità alle trasferte |
LEGGE SULLA PRIVACY
|
Autorizzati al trattamento dei dati ai sensi del D.Lgs. 196/2003 |
Dr Antonio
Giangrande
ITALIANI. LA CASTA DEI
"COGLIONI". FACCIAMO PARLARE CLAUDIO BISIO.
In molti mi hanno scritto
chiedendomi il testo del mio monologo effettuato durante il Festival di Sanremo
2013 il 16 Febbraio scorso. Beh, eccolo. Inoltre alcuni di voi, sull'onda del
contenuto di quel monologo hanno creato una pagina facebook "Quelli che domenica
voteranno con un salmone". Come vedete, l'ho fatto anch'io...
Sono un italiano. Che emozione... E
che paura essere su questo palcoscenico... Per me è la prima volta. Bello però.
Si sta bene… Il problema ora è che cosa dire. Su questo palco è stato fatto e
detto davvero di tutto. E il contrario di tutto. Gorbaciov ha parlato di
perestroika, di libertà, di democrazia… Cutugno ha rimpianto l’Unione Sovietica.
Gorbaciov ha parlato di pace… e Cutugno ha cantato con l’Armata Rossa… Belen ha
fatto vedere la sua farfallina (io potrei farvi vedere il mio biscione, ma non
mi sembra un’ottima idea… è un tatuaggio che ho sulla caviglia, dopo tanti anni
a Mediaset è il minimo…) Ma soprattutto Benigni, vi ricordate quando è entrato
con un cavallo bianco imbracciando il tricolore? Ecco, la rovina per me è stato
proprio Benigni. Lo dico con una sana invidia. Benigni ha alzato troppo il
livello. La Costituzione, l'Inno di Mameli, la Divina Commedia... Mettetevi nei
panni di uno come me. Che è cresciuto leggendo Topolino... Però, se ci pensate
bene, anche Topolino, a modo suo, è un classico. Con la sua complessità, il suo
spessore psicologico, le sue contraddizioni… Prendete Nonna Papera, che animale
è? ... chi ha detto una nonna? Non fate gli spiritosi anche voi, è una papera.
Ma è una papera che dà da mangiare alle galline. Tiene le mucche nella stalla...
Mentre invece Clarabella, che anche lei è una mucca, non sta nella stalla, sta
in una casa con il divano e le tendine. E soprattutto sta con Orazio, che è un
cavallo. Poi si lamentano che non hanno figli... Avete presente Orazio, che fa
il bipede, l’antropomorfo, però ha il giogo, il morso, il paraocchi. Il
paraocchi va bene perché Clarabella è un cesso, ma il morso?!? Ah, forse quando
di notte arriva Clarabella con i tacchi a spillo, la guêpiere, la frusta: "Fai
il Cavallo! Fai il cavallo!" nelle loro notti sadomaso… una delle cinquanta
sfumature di biada. E Qui Quo Qua. Che parlano in coro. Si dividono una frase in
tre, tipo: "ehi ragazzi attenti che arriva Paperino/ e/ ci porta tutti a
Disneyland", oppure: "ehi ragazzi cosa ne direste di andare tutti/ a/ pescare
del pesce che ce lo mangiamo fritto che ci piace tanto..." ecco, già da queste
frasi, pur banali se volete, si può evincere come a Quo toccassero sempre le
preposizioni semplici, le congiunzioni, a volte solo la virgola: "ehi ragazzi
attenti che andando in mezzo al bosco/, / rischiamo di trovare le vipere col
veleno che ci fanno del male" inoltre Quo ha sempre avuto un problema di
ubicazione, di orientamento... non ha mai saputo dove fosse. Tu chiedi a Qui:
"dove sei?" "sono qui!" ... Chiedi a Qua "dove sei?", e lui: "sono qua!" tu
prova a chiederlo a Quo. Cosa ti dice? "sono Quo?" Cosa vuol dire? Insomma Quo è
sempre stato il più sfigato dei tre, il più insulso: non riusciva né a iniziare
né a finire una frase, non era né qui, né qua... Mario Monti. Mari o Monti?
Città o campagna? Carne o Pesce? Lo so. So che siamo in piena par condicio e non
si può parlare di politica. Ma sento alcuni di voi delusi dirsi: ma come, fra
sette giorni ci sono le elezioni. E questo qui ci parla di mucche e galline...
Altri che invece penseranno: basta politica! Io non voglio nascondermi dietro a
un dito, anche perché non ne ho nessuno abbastanza grosso… decidete voi, volendo
posso andare avanti per altri venti minuti a parlare di fumetti, oppure posso
dirvi cosa penso io della situazione politica… Ve lo dico? Io penso che finché
ci sono LORO, non riusciremo mai a cambiare questo paese. Dicono una cosa e ne
fanno un'altra. Non mantengono le promesse. Sono incompetenti, bugiardi,
inaffidabili. Credono di avere tutti diritti e nessun dovere. Danno sempre la
colpa agli altri… A CASA! Tutti a casa!!! (A parte che quando dici tutti a casa
devi stare attento, specificare: a casa di chi? No perché non vorrei che
venissero tutti a casa mia) Vedo facce spaventate... soprattutto nelle prime
file... Lo so, non devo parlare dei politici, ho firmato fior di contratti, ci
sono le penali... Ma chi ha detto che parlo dei politici? Cosa ve l'ha fatto
pensare? Ah, quando ho detto incompetenti, bugiardi, inaffidabili? Ma siete
davvero maliziosi... No, non parlavo dei politici. Anche perché, scusate, i
politici sono in tutto poche centinaia di persone... cosa volete che cambi,
anche se davvero se ne tornassero tutti a casa (casa loro, ribadisco)? Poco. No,
quando dicevo che devono andare tutti a casa, io non stavo parlando degli
eletti. Io stavo parlando degli elettori... stavo parlando di NOI. Degli
italiani. Perché, a fare bene i conti, la storia ci inchioda: siamo noi i
mandanti. Siamo noi che li abbiamo votati. E se li guardate bene, i politici, ma
proprio bene bene bene... è davvero impressionante come ci assomigliano: I
politici italiani… sono Italiani! Precisi, sputati. Magari, ecco, con qualche
accentuazione caricaturale. Come le maschere della commedia dell'arte, che sono
un po' esagerate, rispetto al modello originale. Ma che ricalcano perfettamente
il popolo che rappresentano. C'è l'imbroglione affarista, tradito dalla sua
ingordigia “Aò, e nnamose a magnà!... A robbin, ‘ndo stai?”; C'è il servitore di
due padroni: "orbo da n'orecia, sordo de n'ocio"… qualche volta anche di tre.
Certi cambiano casacca con la velocità dei razzi… C'è il riccone
arrogante...”Guadagno spendo pago pretendo” C'è la pulzella che cerca di
maritarsi a tutti i costi con il riccone, convinta di avere avuto un'idea
originale e che ci rimane male quando scopre che sono almeno un centinaio le
ragazze che hanno avuto la sua stessa identica idea... C'è il professore
dell'università che sa tutto lui e lo spiega agli altri col suo latino/inglese
perfetto: "tananai mingheina buscaret!" Cos’ha detto? “Choosy firewall spending
review” Ah, ecco, ora finalmente ho capito… C'è quello iracondo, manesco, pronto
a menar le mani ad ogni dibattito... “culattoni raccomandati” Insomma, c'è tutto
il campionario di quello che NOI siamo, a partire dai nostri difetti, tipo
l'INCOERENZA. Come quelli che vanno al family day... ma ci vanno con le loro due
famiglie... per forza poi che c'è un sacco di gente.... E se solo li guardi un
po' esterrefatto, ti dicono: "Perché mi guardi così? Io sono cattolico, ma a
modo mio”. A modo tuo? Guarda, forse non te l'hanno spiegato, ma non si può
essere cattolico a modo proprio... Se sei cattolico non basta che Gesù ti sia
simpatico, capisci? Non è un tuo amico, Gesù. Se sei cattolico devi credere che
Gesù sia il figlio di Dio incarnato nella vergine Maria. Se sei cattolico devi
andare in chiesa tutte le domeniche, confessare tutti i tuoi peccati, fare la
penitenza. Devi fare anche le novene, digiunare al venerdì... ti abbuono giusto
il cilicio e le ginocchia sui ceci. Divorziare: VIETATISSIMO! Hai sposato un
farabutto, o una stronza? Capita. Pazienza. Peggio per te. Se divorzi sono
casini… E il discorso sulla coerenza non vale solo per i cattolici... Sei
fascista? Devi invadere l’Abissinia! Condire tutto con l'olio di ricino, girare
con il fez in testa, non devi mai passare da via Matteotti, anche solo per
pudore! Devi dire che Mussolini, a parte le leggi razziali, ha fatto anche delle
cose buone! Sei comunista? Prima di tutto devi mangiare i bambini, altro che
slow food. Poi devi andare a Berlino a tirare su di nuovo il Muro, mattone su
mattone! Uguale a prima! Devi guardare solo film della Corea… del nord
ovviamente. Devi vestirti con la casacca grigia, tutti uguali come Mao! …mica
puoi essere comunista e poi andare a comprarti la felpa da Abercrumbie Sei
moderato? Devi esserlo fino in fondo! Né grasso né magro, né alto né basso, né
buono né cattivo... Né…Da quando ti alzi la mattina a quando vai a letto la sera
devi essere una mediocrissima, inutilissima, noiosissima via di mezzo! Questo
per quanto riguarda la coerenza. Ma vogliamo parlare dell'ONESTÀ? Ho visto
negozianti che si lamentano del governo ladro e non rilasciano mai lo scontrino,
Ho visto fabbriche di scontrini fiscali non fare gli scontrini dicendo che hanno
finito la carta, Ho visto ciechi che accompagnano al lavoro la moglie in
macchina, Ho visto sordi che protestano coi vicini per la musica troppo alta, Ho
visto persone che si lamentano dell’immigrazione e affittano in nero ai gialli…
e a volte anche in giallo ai neri!, Ho visto quelli che danno la colpa allo
stato. Sempre: se cade un meteorite, se perdono al superenalotto, se la moglie
li tradisce, se un piccione gli caga in testa, se scivolano in casa dopo aver
messo la cera: cosa fa lo stato? Eh? Cosa fa?... Cosa c’entra lo stato. Metti
meno cera, idiota! Lo sapete che nell'inchiesta sulla 'ndrangheta in Lombardia è
venuto fuori che c'erano elettori, centinaia di elettori, che vendevano il
proprio voto per cinquanta euro? Vendere il voto, in democrazia, è come vendere
l'anima. E l'anima si vende a prezzo carissimo, avete presente Faust? Va beh che
era tedesco, e i tedeschi la mettono giù sempre durissima, ma lui l'anima l'ha
venduta in cambio dell'IMMORTALITA'! Capito? Non cinquanta euro. Se il diavolo
gli offriva cinquanta euro, Faust gli cagava in testa. La verità è che ci sono
troppi impresentabili, tra gli elettori. Mica poche decine, come tra i
candidati… è vero, sembrano molti di più, ma perché sono sempre in televisione a
sparar cazzate, la televisione per loro è come il bar per noi... "Ragazzi, offro
un altro giro di spritz" "E io offro un milione di posti di lavoro" e giù a
ridere. "E io rimborso l'imu!” “e io abolisco l'ici!" “Guarda che non c'è più da
un pezzo l'ici" "Allora abolisco l'iva... E anche l'Emy, Evy e Ely!" "E chi
sono? "Le nipotine di Paperina! "Ma va là, beviti un altro grappino e tasi
mona!..." Vedi, saranno anche impresentabili ma per lo meno li conosci, nome e
cognome, e puoi anche prenderli in giro. Invece gli elettori sono protetti
dall’anonimato… alle urne vanno milioni di elettori impresentabili, e nessuno sa
chi sono! Sapete quale potrebbe essere l’unica soluzione possibile? Sostituire
l'elettorato italiano. Al completo. Pensate, per esempio, se incaricassimo di
votare al nostro posto l'elettorato danese, o quello norvegese. Lo prendiamo a
noleggio. Meglio, lo ospitiamo alla pari... Au pair. Carlo, ma chi è quel
signore biondo che dorme a casa tua da due giorni? “Oh, è il mio elettore
norvegese alla pari, domenica vota e poi riparte subito... C'è anche la
moglie”... E per chi votano, scusa? "Mi ha detto che è indeciso tra Aspelünd
Gründblomma e Pysslygar". Ma quelli sono i nomi dell'Ikea!, che tra l’altro è
svedese… "Ma no, si assomigliano… però ora che mi ci fai pensare, effettivamente
ho visto nel suo depliant elettorale che i simboli dei loro partiti sono un
armadio, una lampada, un comodino. Mah. E tu poi, in cambio cosa fai, vai a
votare per le loro elezioni? In Norvegia? "Ah, questo non lo so. Non so se mi
vogliono. Mi hanno detto che prima devo fare un corso. Imparare a non
parcheggiare in doppia fila. A non telefonare parlando ad alta voce in treno. A
pagare le tasse fino all'ultimo centesimo. Poi, forse, mi fanno votare." Si, va
beh, qualche difficoltà logistica la vedo: organizzare tutti quei pullman,
trovare da dormire per tutti... Ma pensate che liberazione, la sera dei
risultati, scoprire che il nostro nuovo premier è un signore o una signora
dall'aria normalissima, che dice cose normalissime, e che va in televisione al
massimo un paio di volte all'anno.
(Lancio di batteria e poi,
sull’aria de “L’italiano”)
Lasciatemi votare
con un salmone in mano
vi salverò il paese
io sono un norvegese…
Un popolo di coglioni sarà sempre
governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Ed è per
questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà
“Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Perché "like" e
ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca
di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà
significa qualcosa allora è il diritto di dire alla gente quello che non vuole
sentire.
Anzichè far diventare ricchi i poveri con l'eliminazione di caste (burocrati
parassiti) e lobbies (ordini professionali monopolizzanti), i cattocomunisti
sotto mentite spoglie fanno diventare poveri i ricchi. Così è da decenni, sia
con i governi di centrodestra, sia con quelli di centrosinistra.
TIRANNIDE
indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto
alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle,
impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E
quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o
legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza
effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è
tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Diogene di Sinope. Un giorno
Alessandro Il Grande si recò a Corinto per incontrare il famoso Diogene di
Sinope. L'imperatore, entrato nella botte dentro la quale il filosofo viveva,
chiese se non ci fosse qualche desiderio che avrebbe potuto esaudirgli. Diogene
rispose: " Si, che tu ti tolga dal mio sole". Allora Alessandro replicò:" Se non
fossi Alessandro, vorrei essere Diogene". Così narrava Diogene Laerzio ne " La
vita di Diogene il Cinico", principale fonte di informazioni sulla vita del
filosofo di Sinope, scrive Andrea Chinappi il 29 settembre 2013 su
L’Intellettuale dissidente. Figlio di Icesio, cambiavalute incarcerato per aver
alterato le monete, Diogene si spostò ad Atene dove seguì gli insegnamenti di
Antistene, discepolo di Socrate e fondatore della scuola cinica di Cinosarge,
ginnasio ateniese. Inizialmente trattato rudemente, superò Antistene in
austerità della vita e in personalità. “Colpisci pure, che non troverai un legno
così duro che possa farmi desistere dall’ottenere che tu mi dica qualcosa, come
a me pare che tu debba” diceva Diogene al maestro che inizialmente lo
respingeva. Di Diogene non ci sono pervenuti scritti ma biografie e aneddoti che
illustrano perfettamente il pensiero e il carattere del filosofo. In perenne
ricerca dell’autosufficienza (autarkeia) rispetto ai bisogni giudicati
superficiali dell’uomo sociale, individuava negli animali, nei mendicanti e nei
bambini i modelli di vita naturale. Soprattutto questi ultimi rappresentavano
per il filosofo l’esemplare di uomo non ancora corrotto dalle convenzioni
sociali, a differenza di Aristotele che vedeva il bambino come semplice “uomo in
potenza”, in contrapposizione all’uomo maturo portatore di valori e virtù. Per
il filosofo bisognava rifiutare ogni tipo di tabù e convenzioni, disprezzare i
valori correnti come il denaro e il potere, e vivere secondo natura, attraverso
un esercizio fisico e morale in modo tale da restare ai margini della società e
dalla polis, itinerando e presentando sé stesso come modello di vita. Si
raccontava che girasse per Atene con un mantello, un bastone, una ciotola, un
catino e una bisaccia, dormendo ogni tanto in una botte; quando un giorno vide
un fanciullo bere nel cavo delle mani, gettò la ciotola e esclamò: “Un fanciullo
mi ha dato lezione di semplicità”. Non era solito predicare o indottrinare
attraverso ragionamenti articolati, ma quando voleva confutare una teoria o
impartire un insegnamento utilizzava delle battute rapide dette “apoftegmi” o
più spesso mediante gesti e dimostrazioni, come mettendosi a camminare in
risposta alla teoria di Diodoro Crono che negava la realtà del movimento. Molti
aneddoti parlano dei suoi comportamenti paragonabili a quelli di un cane, tanto
che considerò come un elogio l’epiteto “cinico” (da kyon, cane), rivoltogli per
i suoi atteggiamenti. Dedicò molto tempo allo studio del comportamento dei cani,
elogiandone le virtù e la condotta, tanto da assumerne lo stile di vita
vagabondo e addirittura la fisiologia. Secondo le storie raccontate da narratori
del tempo, Diogene viveva in una botte accanto al tempio di Cibele, mangiava e
defecava in pubblico. Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un
cane. Diogene, andandosene, pisciò loro addosso, come un cane. (Diogene
Laerzio). Diogene di Sinope fu anche il primo filosofo ad usare la parola
“cosmopolita” in quanto, sempre in sprezzo alle convenzioni, si dichiarava
cittadino del mondo, affermazione sorprendente in un’epoca dove il cittadino era
fortemente legato alla polis di appartenenza. In viaggio verso Egina venne fatto
prigioniero dai pirati, portato a Creta e messo in vendita come schiavo. Qui gli
venne chiesto cosa sapesse fare, al che prontamente rispose: “Comandare gli
uomini”. Venne venduto ad un uomo di Corinto chiamato Xeniade. Divenne tutore
dei due figli del padrone e restò a Corinto per il resto della sua vita,
predicando l’autocontrollo e amministrando con estrema cura la casa tanto che
Xeniade andava dicendo “Un demone buono è venuto a casa mia”. Si narrava ancora
che andasse girovagando per la città con una lanterna accesa e a chi gliene
domandava la ragione rispondeva: “Cerco l’uomo”. Lo sprezzo nei confronti della
società e delle convenzioni, i comportamenti bizzarri e talvolta grotteschi lo
portarono ad una fama tale che per ben due volte Alessandro Magno volle
incontrarlo. Lo stesso Platone lo definì “un Socrate impazzito”, con il quale il
filosofo condivideva l’alto compito di moralizzare l’uomo e la società. Morì a
89 anni a Corinzio sepolto dai due figli di Xeniade: venne eretto in sua memoria
un pilastro di marmo sul quale v’era incisa l’immagine di un cane. Una volta il
filosofo Diogene stava cenando con un piatto di lenticchie. Per caso lo vide
Aristippo, filosofo che trascorreva la vita negli agi, trascorrendo i suoi
giorni a corte e adulando il re. Disse Aristippo: – Caro Diogene, se tu
imparassi ad essere ossequioso con il re, non saresti costretto a dover vivere
mangiando robaccia come quelle lenticchie. Al che Diogene gli rispose: – E se tu
avessi imparato a vivere mangiando lenticchie, ora non saresti costretto ad
adulare il re. (Diogene Laerzio, Vita dei Filosofi).
Henri-Frederic Amiel: le masse
saranno sempre al di sotto della media: "Le masse saranno sempre al di sotto
della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la
democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più
grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto
dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di
giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il
diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue
conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di
esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e
dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga. Henri-Frédéric
Amiel, Frammenti di diario intimo, 12 giugno 1871
Il reddito si crea. Il reddito non
si sostenta dallo Stato. Perché se nessuno produce e nessuno commercia, da chi
si prendono i soldi per i consumi o mantenere una società?
Ed una società funziona se sono i
capaci e competenti a farla funzionare, altrimenti si blocca.
In questa Italia cattocomunista non
puoi fare nulla, perché si fotte tutto lo Stato con tasse, tributi e contributi,
per mantenere i parassiti nazionali ed europei.
In questa Italia cattocomunista non
puoi avere nulla, perché si fotte tutto lo Stato con accuse strumentali di
mafiosità e con i fallimenti truccati, per mantenere i profittatori.
In questa Italia parlano di
sostegno al lavoro, ma nulla fanno per incentivarlo a crearlo, come agevolare il
credito, o come detassare, o come sburocratizzare, con eliminazione di vincoli e
fardelli.
I giovani in questo modo possono
inventare e creare il proprio lavoro, senza essere condannati alla dipendenza di
stampo socialista.
I giovani hanno bisogno di libertà
d’impresa non di elemosine.
L’Italia è un parassitario senza
fondo, dove i soldi non bastano mai. Reso così dai catto-comunisti,
dissimulati anche sotto mentite spoglie (5 Stelle-Lega). Quei catto-comunisti
che se governano loro è democrazia, se governano gli altri è dittatura. Quei
catto-comunisti che, pur minoritari affetti dalla sindrome della Resistenza,
impongono il loro pensiero ideologico con manifestazioni di piazza, anche
violente, disconoscendo l’opera, addirittura, dei loro stessi rappresentanti
parlamentari portatori dei loro medesimi interessi. Quei catto-comunisti che
vogliono il lavoro, ma non vogliono le imprese che creano lavoro. Per loro il
lavoro è inteso ancora come il posto fisso statale parassitario. Oggi il lavoro
si inventa, non lo si subisce o lo si cerca senza trovarlo. Si agevoli, allora,
l’invenzione dell’impresa.
La differenza tra uguaglianza ed
equità. Tre ragazzi di differenti altezze dietro una staccionata, intenti a
seguire la partita di calcio della loro squadra del cuore. Sono poveri e non
possono permettersi il biglietto di ingresso allo stadio. A tutti e tre lo
Stato, per il diritto di uguaglianza, dà a disposizione una identica cassetta di
legno ciascuno, per guardare oltre la staccionata. Il primo da sinistra è
avvantaggiato: essendo già “alto” di suo, ha i requisiti necessari per poter
vedere la partita senza l’ausilio della cassetta. Il secondo, quello al centro,
ha bisogno di quella cassetta per vedere lo spettacolo e con quella ci riesce
benissimo. Il terzo a destra, molto più piccolo di statura rispetto agli altri
due, anche con quel supporto, non arriva a vedere oltre l’ostacolo: non le basta
una cassetta per poter vedere la partita. Con l’equità il primo dei tre può fare
a meno del supporto e, offrendolo al terzo in aggiunta al suo, riesce a
fornirgli la possibilità di raggiungere l’altezza necessaria per vedere la
partita. In Italia con i catto-comunisti c'è il diritto di uguaglianza, non di
equità. Non siamo tutti uguali e non ci può essere diritto di uguaglianza, ma
dare a tutti la possibilità di vedere il futuro, specie ai più meritevoli,
allora sì che si ha l’equità sociale.
Antonio Giangrande,
orgoglioso di essere diverso.
Nella vita di ognuno due cose sono certe: la vita e la morte.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Gli animali, da sé,
per indole emulano ed imitano, imparando atteggiamenti e comportamenti dei
propri simili. Senonché sono proprio i simili, a difesa del gruppo, a inculcare
nella mente altrui il principio di omologazione e conformazione.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello
che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
ODIO OSTENTAZIONE,
IMPOSIZIONE E MENZOGNA.
Tu esisti se la tv
ti considera.
La Tv esiste se tu
la guardi.
I Fatti son fatti
oggettivi naturali e rimangono tali.
Chi conosce i fatti
si chiama esperto ed esprime pareri.
Chi non conosce i
fatti esprime opinioni e si chiama opinionista.
Le opinioni sono
atti soggettivi cangianti.
Le opinioni se sono
oggetto di discussione ed approfondimento, in TV diventano testimonianze. Ergo:
Fatti.
Con me i pareri e
le opinioni cangianti, contrapposte e in contraddittorio, diventano fatti.
Con me i fatti, e
la Cronaca che li produce, diventano Storia.
Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità
materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed
estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla
massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il
più fortunato a precederti.
Sono un saggista, autore indipendente. Si troveranno delle recensioni deliranti
e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando
del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio
che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato,
giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni. E
se un Parlamento è composto da coglioni, si sforneranno Leggi del cazzo.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante,
Inferno XXVI
Antonio Giangrande, scrittore,
accademico senza cattedra universitaria di Sociologia Storica, giornalista ed
avvocato non abilitato. "Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere
mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io, vivi i miei
dolori, i miei dubbi, le mie risate...vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là
dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia. E
solo allora mi potrai giudicare." Luigi Pirandello.
Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu
sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai
vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi
parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa"
(Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga
e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i
prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria?
E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non
stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per
loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se
non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non
fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli
altri e si osteggiano i diversi?
"C’è un’azione
peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel
togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che
vivere onestamente sia inutile» - Corrado Alvaro, Ultimo diario, 1961.
Vivere senza leggere, o senza sfogliare i libri giusti scritti fuori dal coro o
vivere studiando dai saggi distribuiti dal sistema di potere catto comunista
savoiardo nelle scuole e nelle università, è molto pericoloso. Ciò ti obbliga a
credere a quello che dicono gli altri interessati al Potere e ti conforma alla
massa. Allora non vivi da uomo, ma da marionetta.
Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato
non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri
sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli
avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono
critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel
libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei
diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate.
Chi siamo noi? Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo
diventare. Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che
abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti. Da studenti i
maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che
era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano
“Bella Ciao”. Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione
religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la
parola di pedofili o terroristi. Da lettori e telespettatori l’informazione (la
claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere
in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si
muore di fame o detenuti in canili umani. Da elettori i legislatori ci
imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che
erano solo corrotti, mafiosi e massoni. Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che
altri volevano che fossimo o potessimo diventare. E se qualcuno non vuol essere
“coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione”
lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
Se la Storia la scrivono i vincitori, ora tocca ai vinti raccontare quello che
non si riporta dalla Cultura del pensiero unico ed imperante e dai Media
ideologizzati asserviti al potere politico ed economico.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello
che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
Sono qualcuno, ma non avendo nulla
per poter dare, sono nessuno.
Sono un guerriero e non ho paura di
morire.
Non ho alcun
potere. Ho provato a difendere gli indifesi quando praticavo nei Tribunali. Non
guardavo in faccia nessuno per l’amor di verità e giustizia. Il risultato è che
sono stato cacciato e perseguitato. Inoltre, coloro che difendevo mi hanno
voltato le spalle. I politici a cui segnalavo le anomalie mi prendevano
per pazzo o mitomane.
Purtroppo le
controversie sono risolte dai magistrati nei processi con l’ausilio degli
avvocati difensori.
I quesiti a cui
dare risposta sono:
Ci sono magistrati
degni di stima e rispetto, che applichino la legge secondo legalità ed equità?
Ci sono avvocati
che spingono i magistrati a prendere le decisioni secondo giustizia?
Ci sono governanti
e legislatori che ascoltano le preghiere dei cittadini, avendo potere
d’intervento sui magistrati?
Cosa fa il “popolo”
per cambiare le cose?
La risposta è che
ognuno guarda i “cazzi” suoi”.
Allora la mia
considerazione naturale è:
Parafrasi ed Assioma con intercalare. Non ho nulla più da chiedere a questa vita
che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo
di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato,
curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di
coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non
meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura
in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione
del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di
post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa
qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Antonio Giangrande: Quando ero piccolo a scuola, come in famiglia, mi
insegnavano ad adempiere ai miei doveri: studiare per me per sapere; lavorare
per la famiglia; assolvere la leva militare per la difesa della patria;
frequentare la chiesa ed assistere alla messa domenicale; ascoltare i saggi ed i
sapienti per imparare, rispettare il prossimo in generale ed in particolare i
più grandi, i piccoli e le donne, per essere rispettato. La visita giornaliera
ai nonni ed agli zii era obbligatoria perché erano subgenitori. I cugini erano
fratelli. Il saluto preventivo agli estranei era dovuto. Ero felice e
considerato. L'elargizione dei diritti era un premio che puntuale arrivava.
Contava molto di più essere onesti e solidali che non rivendicare o esigere
qualcosa che per legge o per convenzione ti spettava. Oggi: si pretende (non si
chiede) il rispetto del proprio (e non dell'altrui) diritto, anche se non
dovuto; si parla sempre con imposizione della propria opinione; si fa a meno di
studiare e lavorare o lo si impedisce di farlo, come se fosse un dovere, più che
un diritto; la furbizia per fottere il prossimo è un dono, non un difetto. Non
si ha rispetto per nessun'altro che non sia se stesso. Non esiste più alcun
valore morale. Non c'è più Stato; nè Famiglia; nè religione; nè amicizia. Sui
social network, il bar telematico, sguazzano orde di imbecilli. Quanto più amici
asocial si hanno, più si è soli. Questa è l'involuzione della specie nella
società moderna liberalcattocomunista.
Antonio Giangrande: Non dovevo nascere.
A proposito di figlicidio. Alla morte di mio padre ogni tabù è caduto. Mia madre
mi ha raccontato che sono un sopravvissuto. Uno che non doveva nascere.
Mia nonna paterna era la matrona della famiglia. Era lei a decidere le sorti dei
suoi otto figli: quattro maschi e quattro femmine.
Era lei a decidere anche nelle loro famiglie.
Mio padre e mia madre erano appena sposati ed era mia nonna paterna a decidere
il loro destino.
Li costrinse ad emigrare per lavorare.
Ma c’era un problema: mia madre era incinta. Ed era un intoppo.
La portò dalla “mammana”, una ostetrica casalinga.
La signora chiese a mia madre: perché vuoi abortire?
Essa, ignara, rispose: cosa è l’aborto?
Era stata portata in quel posto senza sapere cosa dovesse fare. Portata dalla
madre di mio padre e, sicuramente, con l’assenso di lui, perché io non ho mai
saputo di questo fatto, né che ci siano state ripercussioni nei rapporti tra mio
padre e sua madre.
La “mammana” chiese a mia madre: tu lo vuoi questo bambino? Sì, rispose mia
madre.
La “mammana” disse a mia nonna paterna: se anziché tua nuora, fosse tua figlia,
faresti fare questa cosa? No, rispose mia nonna paterna.
La “mammana” intimò a mia nonna: porta a casa sta piccina e lasciala stare.
Oggi sono qui a raccontare quest’episodio. La mia vita è stata una sofferenza
perenne di uno che non doveva nascere: un inaccettato per tutta la vita,
avvinghiato da povertà ed ignoranza.
Oggi mio padre è morto per tumore alla prostata. Male che si lascia in eredità.
Mio padre era uno che nulla faceva per gli altri, ma lo pretendeva per sé.
Mio padre, però, sicuramente, era uno che dava. E a me, tra le altre cose, ha
dato il suo male.
Oggi, però, sono qui a raccontare che sono un sopravvissuto che non doveva
nascere. E tutto quel che è successo è tutto di guadagnato. Sicuro di aver
guadagnato 60 anni di vita, pur tribolata.
Dr.
Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere diverso.
Qual è il giorno più brutto e più bello della vita?
Il
giorno del Compleanno.
Più
brutto: devi sorbire gli auguri di circostanza di gente che, spesso, non ti
conosce o non ti stima.
Più
bello: è un anno in meno di una vita di merda e di prese per il culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono
generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante
tracce lasci del tuo percorso.
Da giovane
praticante avvocato con patrocinio legale (abilitazione a tempo di 6 anni e
competenza civile limitata e per reati minori) mi sono scontrato con la
malagiustizia e l’ingiustizia.
Vittima di un mondo
forense e giudiziario dove cane non mangia cane.
Non avendo
protezione ero discriminato nello svolgimento della professione e
nell’abilitazione.
Sono stato
costretto all’attacco per difendermi.
Mi sono rivolto con
prove alle istituzioni man mano superiori, nell’omissione degli organi
inferiori.
E’ lì che, anziché
trovare alleati, è nato il complotto nei miei confronti, che mi ha annientato.
Sono stato vittima
di repressione e persecuzione per aver denunciato l’accesso truccato alle
professioni forensi e giudiziarie e sollevato casi di malagiustizia ed
ingiustizia.
17 anni di
bocciature all’esame di avvocato con compiti non corretti e voti identici.
Procedimenti penali
finiti nel nulla attivati contro di me da magistrati ed avvocati.
Pulito, ma povero.
Ciò nonostante sono orgoglioso di essere diverso e rappresentare al mondo con i
miei saggi una realtà sconosciuta.
Sono un saggista, autore indipendente. Si troveranno delle recensioni deliranti
e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando
del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio
che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato,
giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni. E se un Parlamento è
composto da coglioni, si sforneranno Leggi del cazzo.
Antonio Giangrande: A proposito di referendum e lotta referendaria: tempo fa un
mio amico e parente, non per competenza ma per disciplina di partitino,
appoggiava una posizione che era contraria alla mia, che votavo per competenza e
non per ordini di scuderia. Nella foga della campagna referendaria, per essere
contro la sua posizione mi insultò pesantemente. A fine votazioni costui, a
prescindere dall’esito che non gli cambiò sicuramente la vita, perse, comunque,
il suo partitino, perché si estinse in quanto poggiato su un leader fasullo e,
cosa più grave, perse l’amico e parente, fedele compagno di vita.
Questo per dire che qualunque posizione si prenda, la massa che combatte sarà
sempre perdente.
Antonio Giangrande:
Io sono il segnalatore di illeciti (whistleblower) più ignorato ed oltre modo
più perseguitato e vittima di ritorsioni del mondo. Ciononostante non mi batto
per la mia tutela, in quanto sarebbe inutile dato la coglionaggine o la
corruzione imperante, ma lotto affinchè gli altri segnalatori, che imperterriti
si battono esclusivamente ed inanemente per la loro bandiera, non siano tacciati
di mitomania o pazzia. Dimostro al mondo che le segnalazioni sono tanto fondate,
quanto ignorate od impunite, data la diffusa correità o ignoranza o codardia.
Antonio Giangrande:
Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”. Una lettura
alternativa per l’estate, ma anche per tutto l’anno. L’autore Antonio
Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a
viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI.
La collana
editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” racconta
un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
È così, piaccia o
no ai maestrini, specie quelli di sinistra. Dio sa quanto gli fa torcere le
budella all’approcciarsi del cittadino comune, ai cultori e praticanti dello
snobismo politico, imprenditoriale ed intellettuale, all’élite che vivono
giustificatamente separati e pensosi, perennemente con la puzza sotto il naso.
Il bello è che, i
maestrini, se è contro i loro canoni, contestano anche l’ovvio.
Come si dice: chi
sa, fa; chi non sa, insegna.
In Italia,
purtroppo, vigono due leggi.
La prima è la
«meritocrazia del contenuto». Secondo questa regola tutto quello che non è
dichiaratamente impegnato politicamente è materia fecale. La conseguenza è che,
per dimostrare «l'impegno», basta incentrare tutto su un contenuto e
schierarsene ideologicamente a favore: mafia, migranti, omosessualità, ecc. Poi
la forma non conta, tantomeno la realtà della vita quotidiana. Da ciò deriva
che, se si scrive in modo neutro (e quindi senza farne una battaglia
ideologica), si diventa non omologato, quindi osteggiato o emarginato o
ignorato.
La seconda legge è
collegata alla prima. La maggior parte degli scrittori nostrani si è fatta un
nome in due modi. Primo: rompendo le balle fin dall'esordio con la superiorità
intellettuale rispetto alle feci che sarebbero i «disimpegnati».
Secondo modo per
farsi un nome: esordire nella medietà (cioè nel tanto odiato nazional-popolare),
per poi tentare il salto verso la superiorità.
Il copione lo
conosciamo: a ogni gaffe di cultura generale scatta la presa in giro. Il
problema è che a perderci sono proprio loro, i maestrini col ditino alzato.
Perché è meno grave essere vittime dello scadimento culturale del Paese che
esserne responsabili. Perché, nonostante le gaffe conclamate e i vostri moti di
sdegno e scherno col ditino alzato su congiuntivi, storia e geografia, gli
errori confermano a pieno titolo come uomini di popolo, gente comune, siano
vittime dello scadimento culturale del Paese e non siano responsabili di una sub
cultura menzognera omologata e conforme. Forse alla gente comune rompe il cazzo
il sentire le prediche e le ironie di chi - lungi dall’essere anche solo
avvicinabile al concetto di élite - pensa di saperne un po’ di più. Forse perché
ha avuto insegnanti migliori, o un contesto famigliare un po’ più acculturato, o
il tempo di leggere qualche libro in più. O forse perchè ha maggior dose di
presunzione ed arroganza, oppure occupa uno scranno immeritato, o gli si dà
l’opportunità mediatica immeritata, che gli dà un posto in alto e l’opportunità
di vaneggiare.
Non c'è nessun
genio, nessun accademico tra i maestrini. Del resto, mai un vero intellettuale
si permetterebbe di correggere una citazione errata, tantomeno di prenderne in
giro l'autore. Solo gente normale con una cultura normale pure loro, con una
alta dose di egocentrismo, cresciuti a pane, magari a videocassette dell’Unità
di Veltroni e citazioni a sproposito di Pasolini. Maestrini che vedono la
pagliuzza negli occhi altrui, pagliuzza che spesso non c'è neppure, e non hanno
coscienza della trave nei loro occhi o su cui sono appoggiati.
Antonio Giangrande: Il nuovo comunistambientalismo combatte una battaglia
retrograda, coinvolgendo le menti vergini degli studenti che assimilano tutto
quanto la scuola di regime gli propini.
L'intento è quello di far regredire una civiltà secolare, sviluppata con
conquiste sociali ed economiche.
Il
progresso tecnologico ed industriale irrinunciabile è basato sullo sfruttamento
delle risorse. Le auto per spostarci, il benessere con gli elettrodomestici e le
forme di comunicazione.
Il
progresso tecnologico ed industriale ha prodotto benessere, con lavoro e
sviluppo sociale, con parificazione dei censi.
Il
Benessere ha fatto proliferare l’umanità.
L'uguaglianza sociale ha portato allo sviluppo sociale con svago e divertimento
con il turismo e lo sfruttamento dell'ambiente.
Per
gli ambiental-qualunquisti o populisti ambientali il progresso va cancellato. La
popolazione mondiale ridimensionata.
Si
torna alla demografia latente e gli spostamenti a piedi, nemmeno a cavallo,
perchè gli animali producono biogas. Oltretutto, per questo motivo, non si
possono allevare gli animali. La nuova religione è il veganismo.
Si
comunicherà con le nuvole di fumo. E si torna nelle grotte dove fa fresco
l'estate e ci si sta caldi e riparati d'inverno.
Inoltre bisogna che la foresta ed i boschi invadano la terra. Pari passo a pale
eoliche e campi estesi di pannelli solari. La natura e l’energia alternativa al
primo posto, agli animali (all'uomo per ultimo) quel che resta. Vuoi mettere la
difesa di un nido di uccello palustre, rispetto alla creazione di posti di
lavoro con un villaggio turistico eco-sostenibile sulla costa? E poi il business
delle rinnovabili come si farà?
Come sempre i massimalisti dell'ecologia non mediano: o è bianco o è nero. Per
loro è inconcepibile l'equilibrio tra progresso e rispetto della natura e degli
affari.
Antonio Giangrande: Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto.
Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di
loro.
Più
stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti giudica
per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di idee;
le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle
persone.
Le
bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti,
perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le
menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.
E
se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad arrivare in alto.
Ci
sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta
tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare.
Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti.
Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando
paga lo fa sempre con l’ingratitudine.
Il
ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si
riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a
noi umani è dato dare un senso alla propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le
ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;
Le
mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;
Le
banche vi vogliono falliti;
La
burocrazia vi vuole sottomessi;
La
giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è
l'arma migliore per vincere.
LO STATO DI DIRITTO. UN ECCELLENTE
INTERVENTO DEL PG. Otello Lupacchini.
Rechtstaat=Stato di diritto; Volksgeist=Spirito del popolo;
Furerprinzip=(Principio autoritario) Direttiva del capo.
Facebook 19 giugno 2015. Otello Lupacchini: Mi permetto di segnalare
all'avvocato David Ermini che tra "testi legislativi" e "norme" esiste una
sostanziale differenza, in un sistema, quello del Rechtstaat costituzionale,
fondato sulla divisione del lavoro, in forza del quale, se il legislatore
elabora e licenzia i "testi" legislativi, le "norme" sono invece i prodotti
dell'interpretazione autoritativa della giurisprudenza. Mi permetto di segnalare
altresì all'illustre giurista che, una volta uscito dalle mani del legislatore
il "testo" legislativo, i lavori preparatori degradano a meri precedenti
storici, e che, potendo in essi trovarsi tutto e il contrario di tutto, sono il
peggiore viatico per chi voglia individuare le "intenzioni del legislatore".
Incidenter tantum, da giurista e giusfilosofo, vorrei ricordare quanto sia
pericoloso identificare le "intenzioni del legislatore" col Volksgeist o,
peggio, con il Furerprinzip.
Cos’è la Legalità: è la conformità alla legge.
Ancora oggi l’etimologia di
lex è incerta; i più ricollegano effettivamente
lex a legere, ma un’altra teoria la riconduce alla radice
indoeuropea legh- (il cui significato è quello di “porre”), dalla quale
proviene l’anglosassone lagu e, da qui, l’inglese law.
Nella Grecia antica le leggi sono il simbolo della sovranità popolare. Il loro
rispetto è presupposto e garanzia di libertà per il cittadino. Ma la legge greca
non è basata, come quella ebraica, su un ordine trascendente; essa è frutto di
un patto fra gli uomini, di consuetudini e convenzioni. Per questo è fatta
oggetto di una ininterrotta riflessione che si sviluppa dai presocratici ad
Aristotele e che culmina nella crisi del V secolo: se la legge non si fonda
sulla natura, ma sulla consuetudine, non è assoluta ma relativa come i costumi
da cui deriva; dunque non ha valore normativo, e il diritto cede il campo
all'arbitrio e alla forza. La relazione che intercorre tra il concetto di legge
e il concetto di luogo è insito nell’etimologia del termine greco nomos,
che significa pascolo e che, progressivamente, dietro alla necessaria
consuetudine di legittimare la spartizione del “pascolo”, ha finito per assumere
questo secondo significato: legge. Ma nemein significa anche abitare e
nomas è il pastore, colui che abita la legge, oltre che il pascolo; la
conosce e la sa abitare. E nemesis è la divinità che si accanisce
inevitabilmente su coloro che non sanno abitare la legge.
Da
qui il detto antico “qui la legge sono io”. Conflittuale se travalica i confini
di detto pascolo. Legge e luogo sono intrinsecamente connessi. Infatti, la
nemesi della legge è proprio quella libertà commerciale che esige un’economia
globale, che travalica tutti i confini, che considera la terra come un unico
grande spazio. Insieme ai paletti di delimitazione degli stati sradica così
anche la legge che li abita.
I
greci, con Platone, avevano teorizzato l’origine divina del nomos.
Obbedire alle leggi della polis significava implicitamente riconoscere il
dio (nomizein theos) che si nasconde dietro l’ethos originario.
La
conclusione di entrambi i percorsi - quello lungo e quello breve - dovrebbe
condurre a definire la politica come scienza anthroponomikè o scienza
di amministrare gli esseri umani. Nómos in greco significa "norma",
"legge", "convenzione"; vuol dire "pascolo" e nomeus vuol dire
"pastore": il procedimento dicotomico sembra condurre lontano dal nómos
nel suo primo senso, a far intendere l'antroponomia come l'arte di pascolare gli
uomini.
Cicerone adotta l’etimologia di lex da legere, non perché la si legge
in quanto scritta, bensì perché deriva dal verbo legere nel significato
di “scegliere”.
“Dicitur enim lex a ligando, quia obligat agendum”, Questa etimologia di “legge”
si trova all’inizio della celebre esposizione di Tommaso d’Aquino sulla natura
della legge, presente nella Summa theologiae.
Da
qui il concetto di legge: “la legge è una regola o misura nell’agire, attraverso
la quale qualcuno è indotto ad agire o vi è distolto. Legge, infatti, deriva da
legare, poiché obbliga ad agire.”
Il
termine italiano legge deriva da legem, accusativo del latino lex.
Lex
significava originariamente norma, regola di pertinenza religiosa.
Queste regole furono a lungo tramandate a memoria, ma la tradizione orale - che
implicava il rischio di travisamenti - fu poi sostituita da quella scritta.
Sono così giunte fino a noi testimonianze preziose come le Tavole Eugubine, una
raccolta di disposizioni che riguardavano sacrifici ed altre pratiche di culto
dell’antico popolo italico di Iguvium, l’attuale Gubbio.
A
Roma, in età repubblicana, vennero promulgate ed esposte pubblicamente le Leggi
delle Dodici Tavole, che si riferivano non più solamente a questioni religiose:
il termine lex assunse così il valore di norma giuridica che regola la vita e i
comportamenti sociali di un popolo.
Sul
finire dell’età antica l’imperatore Giustiniano fece raccogliere tutta la
tradizione legislativa e giuridica romana nel monumentale Corpus Iuris, la
raccolta del diritto, che ha costituito la base della civiltà giuridica
occidentale.
Dalla riscoperta del Corpus Iuris sono state costituite circa mille anni fa le
Facoltà di Legge - cioè di Giurisprudenza e di Diritto - delle grandi università
europee, nelle quali si sono formati i giuristi, ovvero gli uomini di legge di
tutta l’Europa medievale e moderna.
La
parola legge è divenuta sinonimo di diritto, con il valore di complesso degli
ordinamenti giuridici e legislativi di un paese.
In
questo senso oggi la Costituzione italiana sancisce che la legge è uguale per
tutti, e afferma la necessità per ogni persona di una educazione al rispetto
della legalità: una società civile deve fondarsi sul rispetto dei diritti e dei
doveri di tutti i cittadini che trovano nelle leggi le loro regole.
Per
millenni, tuttavia, il concetto di legge è stato collegato esclusivamente ad
ambiti religiosi o sacrali, e per alcuni popoli ancora oggi all’origine delle
leggi vi è l’intervento divino.
Pensiamo agli ebrei, per i quali la Legge - la Thorà nella lingua ebraica - è
senz’altro la legge divina, non soltanto in riferimento ai Comandamenti
consegnati dal Signore a Mosè sul monte Sinai - la legge mosaica - ma in
generale a tutta la Bibbia, considerata come manifestazione della volontà divina
che regola i comportamenti degli uomini.
Anche i Musulmani osservano una legge - la legge coranica - contenuta in un
testo sacro, il Corano, dettato da Dio, Allah, al suo profeta Maometto.
Una
legalità fondata sulla giustizia è dunque l’unico possibile fondamento di una
ordinata società civile, e anche una delle condizioni fondamentali perché ci sia
una reale difesa della libertà dei cittadini di ogni nazione.
Dura lex, sed lex: la frase, tradotta
dal latino letteralmente, significa dura legge, ma legge. Più
propriamente in italiano: "La legge è dura, ma è (sempre) legge" (e quindi va
rispettata comunque).
Chi
vive ai margini della legge, o diventa fuorilegge, si pone al di fuori della
convivenza civile e va sottoposto ai rigori della legge, cioè a una giusta
punizione: in nome della legge è proprio la formula con cui i tutori dell’ordine
intimano ai cittadini di obbedire agli ordini dell’autorità, emanati secondo
giustizia.
Il
giusnaturalismo (dal latino ius naturale, "diritto di
natura") è il termine generale che racchiude quelle dottrine
filosofico-giuridiche che affermano l'esistenza di un diritto, cioè di un
insieme di norme di comportamento dedotte dalla "natura" e conoscibili
dall'essere umano.
Il
giusnaturalismo si contrappone al cosiddetto positivismo giuridico basato sul
diritto positivo, inteso quest'ultimo come corpus legislativo creato da una
comunità umana nel corso della sua evoluzione storica. Questa contrapposizione è
stata efficacemente definita "dualismo".
Secondo la formulazione di Grozio e dei teorici detti razionalisti del
giusnaturalismo, che ripresero il pensiero di Tommaso d’Aquino, attualizzandolo,
ogni essere umano (definibile oggi anche come ogni entità biologica in cui il
patrimonio genetico non sia quello di alcun altro animale se non di quello detto
appartenente alla specie umana), pur in presenza dello stato e del diritto
positivo ovvero civile, resta titolare di diritti naturali, quali il diritto
alla vita, ecc. , diritti inalienabili che non possono essere modificati dalle
leggi. Questi diritti naturali sono tali perché ‘razionalmente giusti’, ma non
sono istituiti per diritto divino; anzi, dato Dio come esistente, Dio li
riconosce come diritti proprio in quanto corrispondenti alla “ragione” connessa
al libero arbitrio da Dio stesso donato.
Dialogo
con un mussulmano in Italia.
«Perché
tu sei così radicale?
Perché
non abiti in Arabia Saudita???
Perché
hai abbandonato già il tuo Paese musulmano?
Voi
lasciate Paesi da voi definiti benedette da Dio con la grazia dell’Islam e
immigrate verso Paesi da voi definiti puniti da Dio con l’infedeltà.
Emigrate
per la libertà …
per la
giustizia …
per il
benessere …
per
l’assistenza sanitaria ..
per la
tutela sociale …
per
l’uguaglianza davanti alla legge …
per le
giuste opportunità di lavoro …
per il
futuro dei vostri figli …
per la
libertà di espressione ..
quindi
non parlate con noi con odio e razzismo ..
Noi vi
abbiamo dato quello che non avete …
Ci
rispettate e rispettate la nostra volontà, altrimenti andate via».
Qualcuno
afferma che queste frasi le abbia pronunciate Julia Gillard (primo ministro
australiano) ed abbia rilasciato queste affermazioni nel 2005 rivolgendosi ad un
Islamista radicale estremista in Australia.
Qualcun
altro decreta che sia una bufala e che Julia Gillard non abbia mai proferito
quelle frasi.
Se
nessuno fino ad oggi ha dato paternità a queste frasi, allora dico: sono mie!
Antonio Giangrande: Un mondo dove ci sono solo obblighi e doveri. Un mondo dove
ci sono solo divieti, impedimenti e, al massimo, ci sono concessioni. Un mondo
dove non ci sono diritti, ma solo privilegi per i più furbi, magari organizzati
in caste e lobbies. In un mondo come questo, dove tutti ti dicono cosa puoi o
devi fare; cosa puoi o devi dire; dove l’uno non conta niente, se non essere
solo un mattone. In un mondo come questo che mai cambia, che cazzo di vita è.
Antonio Giangrande:
Art. 104, comma 1, della Costituzione italiana cattocomunista.
La magistratura
costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. (.)
La magistratura per
la destra è un Ordine (come acclarato palesemente), per la sinistra è un Potere
(da loro dedotto dalla distinzione "da ogni altro potere").
Autonomia dei
Magistrati: autogoverno con selezione e formazione per l’omologazione, nomine
per la conformità e controllo interno per l’impunità. Affinchè, cane non mangi
cane.
Indipendenza dei
Magistrati: decisioni secondo equità e legalità, cioè secondo scienza e
coscienza. Ossia: si decide come cazzo pare, tanto il collega conferma.
Antonio Giangrande:
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Da una parte,
l’ideologia comunista si è adoperata con la corruzione culturale:
attraverso la
televisione di Stato e similari;
con la propaganda
ideologica continua dei giornalisti militanti di regime;
con insegnamenti ed
indottrinamenti ideologici scolastici ed universitari frutto di una egemonia
culturale.
Dall’altra parte,
la depravazione culturale messa in opera dalle televisioni commerciali di
Berlusconi, anticomuniste ed antimeridionaliste.
Infine con la
perversione delle religioni, miranti ad avere il predominio delle masse per il
proprio sostentamento.
Insomma. Lavaggio
del cervello: dalla culla alla tomba.
Solo i comunisti
potevano pensare una Costituzione, il cui principio portante fosse il Lavoro e
non la Libertà. Libertà che la Carta pone solo come obbiettivo per poter
esercitare alcuni diritti dalla stessa Costituzione elencati. Libertà come
strumento e non come principio. Libertà meno importante addirittura
dell’Uguaglianza. Questa ultima inserita, addirittura, come principio meno
importante del Lavoro e della Solidarietà. Già. Per i comunisti “IL LAVORO RENDE
LIBERI”. ARBEIT MACHT FREI (dal tedesco: “Il lavoro rende liberi”) era il motto
posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento. Una reminiscenza tratta
da una ideologia totalitaria che proprio dal socialismo trae origine: il
Nazismo.
Antonio Giangrande: Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una
giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa
per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al
prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo
tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Antonio Giangrande: SE NASCI IN ITALIA……
Quando si nasce nel posto sbagliato e si continua a far finta di niente.
Io
sono Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Lulu.com, che
raccontano questa Italia alla rovescia. A tal fine tra le tante opere da me
scritte vi è “Italiopolitania. Italiopoli degli italioti”. Di questo,
sicuramente, non gliene fregherà niente a nessuno. Fatto sta che io non faccio
la cronaca, ma di essa faccio storia, perché la quotidianità la faccio
raccontare ai testimoni del loro tempo. Certo che anche di questo non gliene può
fregar di meno a tutti. Ma una storiella raccontata da Antonio Menna che spiega
perché, tu italiano, devi darti alla fuga dall’Italia, bisogna proprio leggerla.
Mettiamo che Steve Jobs sia nato in Italia. Si chiama Stefano Lavori. Non va
all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini.
Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno
sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i
soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come
fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con
quegli ordini compriamo i pezzi. Mettono un annuncio, attaccano i volantini,
cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete
sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a
novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un
vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può
mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come
garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si
cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad
assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne
fanno un altro. La cosa sembra andare. Ma per decollare ci vuole un capitale
maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori,
non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale.
I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono
i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale.
Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci
risulta che avete venduto dei computer”. I vigili sono stati chiamati da un
negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a
norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non
ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di
mazzetta, si appara tutto. Gli danno il primo guadagno e apparano. Ma il giorno
dopo arriva la Finanza. Devono apparare pure la Finanza. E poi l’ispettorato del
Lavoro. E l’ufficio Igiene. Il gruzzolo iniziale è volato via. Se ne sono andati
i primi guadagni. Intanto l’idea sta lì. I primi acquirenti chiamano entusiasti,
il computer va alla grande. Bisogna farne altri, a qualunque costo. Ma dove
prendere i soldi? Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un
commercialista che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete una
idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno
di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a
rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio,
partire con le attività, e poi avrete i rimborsi. E comunque solo per fare la
domanda dobbiamo aprire la partita Iva, registrare lo statuto dal notaio, aprire
le posizioni previdenziali, aprire una pratica dal fiscalista, i libri contabili
da vidimare, un conto corrente bancario, che a voi non aprono, lo dovete
intestare a un vostro genitore. Mettetelo in società con voi. Poi qualcosa per
la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il
meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il
finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno
qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”. I due ragazzi decidono di chiedere
aiuto ai genitori. Vendono l’altro motorino, una collezione di fumetti. Mettono
insieme qualcosa. Fanno i documenti, hanno partita iva, posizione Inps, libri
contabili, conto corrente bancario. Sono una società. Hanno costi fissi. Il
commercialista da pagare. La sede sociale è nel garage, non è a norma, se
arrivano di nuovo i vigili, o la finanza, o l’Inps, o l’ispettorato del lavoro,
o l’ufficio tecnico del Comune, o i vigili sanitari, sono altri soldi. Evitano
di mettere l’insegna fuori della porta per non dare nell’occhio. All’interno del
garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’
comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a
venderli. La cosa sembra poter andare. Ma un giorno bussano al garage. E’ la
camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che
stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”. Se pagano,
finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il
garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè
hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in
galera pure loro. Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività.
Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna
versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista
preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa
impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò,
libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”. I due ragazzi si
guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto. Diventano garagisti.
La Apple in Italia non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se
nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande,
orgoglioso di essere diverso.
Rappresentare con
verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea,
rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi
errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio
i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché
non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai
nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere
diverso!
Antonio Giangrande,
perché è diverso dagli altri?
Perché lui spiega
cosa è la legalità, gli altri non ne parlano, ma ne sparlano.
La legalità è un
comportamento conforme alla legge ed ai regolamenti di attuazione e la sua
applicazione necessaria dovrebbe avvenire secondo la comune Prassi legale di
riferimento.
Legge e Prassi sono
le due facce della stessa medaglia.
La Legge è votata
ed emanata in nome del popolo sovrano. I Regolamenti di applicazione sono
predisposti dagli alti Burocrati e già questo non va bene. La Prassi, poi, è
l’applicazione della Legge negli Uffici Pubblici, nei Tribunali, ecc., da parte
di un Sistema di Potere che tutela se stesso con usi e consuetudini consolidati.
Sistema di Potere composto da Caste, Lobbies, Mafie e Massonerie.
Ecco perché vige il
detto: La Legge si applica per i deboli e si interpreta per i forti.
La correlazione tra
Legge e Prassi e come quella che c’è tra il Dire ed il Fare: c’è di mezzo il
mare.
Parlare di legge,
bene o male, ogni leguleio o azzeccagarbugli o burocrate o boiardo di Stato può
farlo. Più difficile per loro parlar di Prassi generale, conoscendo loro signori
solo la prassi particolare che loro coltivano per i propri interessi di
privilegiati. Prassi che, però, stanno attenti a non svelare.
Ed è proprio la
Prassi che fotte la Legge.
La giustizia che
debba essere uguale per tutti parrebbe essere un principio che oggi consideriamo
irrinunciabile, anche se non sempre pienamente concretizzabile nella pratica
quotidiana. Spesso assistiamo a fenomeni di corruzione, all’applicazione della
legge in modo diverso secondo i soggetti coinvolti. E l’la disfunzione è insita
nella predisposizione umana.
Essa vien da
lontano.
E’ lo stesso
Alessandro Manzoni che parla di “Azzeccagarbugli” genuflessi ai mafiosi del
tempo al capitolo 3 dei “Promessi Sposi”. Ma non sarebbe stato il Manzoni a
coniare l’accoppiata tra il verbo “azzeccare” e il sostantivo “garbuglio” stante
che quando la parola entrò nei “Promessi Sposi”, aveva un’età superiore ai tre
secoli. Il primo ad usarla fu Niccolò Machiavelli che, in un passo delle
"Legazioni" (1510), scrive: “Voi sapete che i mercatanti vogliono fare le cose
loro chiare e non azzeccagarbugli”.
A Parlar di
azzeccagarbugli non vi pare che si parli dei nostri contemporanei legulei
togati, siano essi magistrati od avvocati?
Additare i difetti
altrui è cosa che tutti sanno fare, più improbabile è indicare e correggere i
propri.
Non abbiamo bisogno
di eroi, né, tantomeno, di mistificatori con la tonaca (toga e divisa). L’abito
non fa il monaco. La legalità non va promossa solo nella forma, ma va coltivata
anche nella sostanza. E’ sbagliato ergersi senza meriti dalla parte dei giusti.
Se scrivi e dici la
verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro
rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la
permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi
solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se
scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro,
bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei
diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate.
Libri shock. Saggi
d’inchiesta che denunciano il degrado istituzionale e sociale ed il malaffare in
Italia.
Un Libro per ogni
tema sociale. Un Libro per ogni città.
“L'Italia tenuta al
guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e
massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La “Politica” deve essere
legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi,
invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il
rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini
e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge,
vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto”
degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed
istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la
responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."
Di Antonio
Giangrande
Antonio Giangrande: Non si è colti, nè ignoranti: si è nozionisti, ossia:
superficiali.
Nozionista è chi studia o si informa, o, più spesso, chi insegna o informa gli
altri in modo nozionistico.
Nozionista è:
chi
non approfondisce e rielabora criticamente la massa di informazioni e notizie
cercate o ricevute;
chi
si ferma alla semplice lettura di un tweet da 280 caratteri su twitter o da un
post su Facebook condiviso da pseudoamici;
chi
restringe la sua lettura alla sola copertina di un libro;
chi
ascolta le opinioni degli invitati nei talk show radio-televisivi partigiani;
chi
si limita a guardare il titolo di una notizia riportata su un sito di un organo
di informazione.
Quel mondo dell'informazione che si arroga il diritto esclusivo ad informare in
virtù di un'annotazione in un albo fascista. Informazione ufficiale che si basa
su news partigiane in ossequio alla linea editoriale, screditando le altre fonti
avverse accusandole di fake news.
Informazione o Cultura di Regime, foraggiata da Politica e Finanza.
Opinion leaders che divulgano fake news ed omettono le notizie. Ossia praticano:
disinformazione, censura ed omertà.
Nozionista è chi si abbevera esclusivamente da mass media ed opinion leaders e
da questi viene influenzato e plasmato.
Antonio Giangrande: La legalità è un comportamento conforme alla legge. Legalità
e legge sono facce della stessa medaglia.
Nei
regimi liberali l’azione normativa per intervento statale, per regolare i
rapporti tra Stato e cittadino ed i rapporti tra cittadini, è limitata. Si
lascia spazio all’evolvere naturale delle cose. La devianza è un’eccezione, solo
se dannosa per l'equilibrio sociale.
Nei
regimi socialisti/comunisti/populisti l’intervento statale è inflazionato da
miriadi di leggi, oscure e sconosciute, che regolano ogni minimo aspetto della
vita dell’individuo, che non è più singolo, ma è massa. Il cittadino diventa
numero di pratica amministrativa, di cartella medica, di fascicolo giudiziario.
Laddove tutti si sentono onesti ed occupano i posti che stanno dalla parte della
ragione, c’è sempre quello che si sente più onesto degli altri, e ne limita gli
spazi. In nome di una presunta ragion di Stato si erogano miriadi di norme
sanzionatrici limitatrici di libertà, spesso contrastati, tra loro e tra le loro
interpretazioni giurisprudenziali. Nel coacervo marasma normativo è impossibile
conformarsi, per ignoranza o per necessità. Ne è eccezione l'indole. Addirittura
il legislatore è esso medesimo abusivo e dichiarato illegittimo dalla stessa
Corte Costituzionale, ritenuto deviante dalla suprema Carta. Le leggi partorite
da un Parlamento illegale, anch'esse illegali, producono legalità sanzionatoria.
Gli operatori del diritto manifestano pillole di competenza e perizia pur
essendo essi stessi cooptati con concorsi pubblici truccati. In questo modo
aumentano i devianti e si è in pochi ad essere onesti, fino alla assoluta
estinzione. In un mondo di totale illegalità, quindi, vi è assoluta impunità,
salvo l'eccezione del capro espiatorio, che ne conferma la regola. Ergo: quando
tutto è illegale, è come se tutto fosse legale.
Allora, si può dire che è meglio il laissez-faire (il lasciare fare dalla natura
delle cose e dell’animo umano) che essere presi per il culo e …ammanettati per i
polsi ed espropriati dai propri beni da un manipolo di criminali demagoghi ed
ignoranti con un’insana sete di potere.
Antonio Giangrande: Quando senti qualcuno che continuamente ti dice: “ma perché
non fai questo, perché non fai quello”, significa che nella sua arrogante e
fallimentare nullità si sente superiore a te, non potendo o volendo riconoscere
il tuo valore, tanto da voler darti lezioni.
Quando senti qualcuno che, quando tu esprimi un’opinione, continuamente ti dice:
“sì, ma…, però…”, vuol dire che nella sua assoluta ignoranza, si sente
presuntuosamente nella ragione e tu colpevolmente nel torto.
In
questo modo è inutile alcun dialogo. Se non fosse altro per solidarietà e per
altruismo, giusto per dare loro dei saggi o sapienti consigli, che a quanto pare
non son richiesti, nè ben accetti.
Con
questi esseri inferiori è inutile rapportarsi, se non per mandarli affanculo,
immersi nella loro totale ignoranza (incompetenza, imperizia, inesperienza) e/o
idiozia (mancanza di intelligenza).
Il
paradosso è che quello che tu pensi di loro, così loro pensano di te.
Se
correggi un ignorante: questi ti odierà per averlo smascherato.
Se
correggi un sapiente: questi ti ringrazierà per averlo arricchito.
Antonio Giangrande: Le Alluvioni razziste: in Germania è colpa del clima
impazzito; in Italia è colpa del dissesto idrogeologico.
Antonio Giangrande: Si stava meglio quando si stava peggio.
I miei nonni paterni Giuseppa Caprino e Leonardo Giangrande, democristiani,
contadini beneficiari delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista e
genitori di 8 figli, dicevano che con i democristiani nessuno rimaneva indietro
e tutti avevano la possibilità di migliorare il loro stato, se ne avevano la
voglia (lavorare e non sprecare). Nonostante gli sprechi a vantaggio di alcuni
figli a danno di altri e nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce
il valore della persona, loro hanno migliorato il loro stato ed hanno avuto la
pensione.
Mio nonno materno Gaetano Santo, comunista, povero contadino ed allevatore
beneficiario delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista, padre di 8
figli cresciuti con l’illusione della loro utilità al suo benessere ed alla sua
vecchiaia, tra un bicchiere di vino e l’altro affermava che i ricchi son ricchi
perché hanno rubato ed era giusto espropriare i loro beni per distribuirli ai
poveri. Nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della
persona, lui è morto povero, pur avendo la pensione!
Luigi Malorgio, il nonno materno di mia moglie, prigioniero di guerra e
comunista, povero contadino ed allevatore beneficiario delle terre della riforma
fondiaria di stampo fascista, padre di 4 figli, tra uno spreco e l’altro
affermava, con il solito mantra comunista, che i ricchi son ricchi perché hanno
rubato ed era giusto espropriare i loro beni per distribuirli ai poveri.
Nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della persona,
lui è morto povero, pur avendo la pensione!
Altro mantra dei comunisti era ed è: gli altri vincono perché, essendo ladri,
comprano i voti.
E come dire a detta degli interisti e dei napoletani: la Juventus vince perché
ruba e quindi ridistribuiamo i suoi scudetti. L’Inter ed il Napoli son morti,
comunque, perdenti.
Dopo tanti anni ho constatato che oggi rispetto al tempo dei nonni, nonostante
il progresso tecnologico e culturale, non è più possibile migliorarsi ed
arricchirsi. Inoltre oggi se si diventa ricchi per frutto della propria capacità
e lavoro, non si è più tacciati di ladrocinio, ma di mafiosità. E se prima non
c’era, oggi c’è l’espropriazione proletaria antimafiosa, ma non a favore dei
poveri, ma solo a vantaggio dell’antimafia di sinistra, sia essa apparato
burocratico di Stato, sia essa apparato associativo comunista, sia esso regime
culturale rosso.
Dopo tanti anni ho constatato che, nonostante la magistratura politicizzata che
collude ed i media partigiani che tacciono, i moralizzatori solidali erano e
sono ladri come tutti gli altri, erano e sono mafiosi come, è più degli altri.
Ergo: ad oggi noi moriremo tutti poveri…e probabilmente senza pensione,
accontentandoci di un misero reddito di cittadinanza che prima (indennità di
disoccupazione) era privilegio solo dei lavoratori sindacalizzati disoccupati.
Di fatto, nel nome di un ridicolo ambientalismo, ci impediscono di farci una
casa, ma ci spingono a comprarci un’auto.
Questo non è progressismo politico, ma una retrograda deriva culturale che ti
porta a dire che:
è meglio non fare niente, perché si fotte tutto lo Stato con il Fisco;
è meglio non avere niente, perché si fotte tutto lo Stato con l’Antimafia.
Quindi, si stava meglio quando si stava peggio.
Ma lasciate che sia il solo a dirlo, così sanno con chi prendersela ed è facile
per loro vincere tutti contro uno. Senza una lapide di rimembranza.
Estratto dell’articolo di Marco Benedetto per blitzquotidiano.it il 7 giugno
2023.
Italia in confusione mentale. Destra e sinistra unite hanno fatto un bel
pasticcio: hanno insinuato nella mente di un bel po’ di italiani il dubbio che
una volta si stava meglio. E che oggi viviamo un periodo di regressione
materiale e di sbando morale. Siamo ricchi o benestanti. Volete un parametro
decisivo? La durata della vita media.
[era] 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 […], fino ai 71,11 del
1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67
anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Dopo la guerra nove italiani su dieci eravamo poveri. Ora l’Istat (che spesso
usa la statistica per fare politica) ci dice che i poveri sono uno su dieci.
Quelli della sinistra, invece di attribuirsi il merito di almeno una parte di
tale successo, abbracciano il dettato evangelico concepito duemila anni fa,
quando i poveri erano 99 su 100: di loro parlano, di loro si occupano, in
concorrenza con i grillini, partito del reddito di cittadinanza, precipitato dal
3o all’1 per cento dei voti quando è stato chiaro che la pacchia stava finendo.
La
destra esalta il ventennio fascista come una specie di età dell’oro, in cui i
treni arrivavano in orario e la lira valeva più della sterlina. Una specie di
versione fascistoide della decrescita felice. Mussolini la definiva Italia
proletaria e fascista. Essendo romagnolo diceva fasista, il che alleggeriva e
ridicolizzava il concetto ma il significato era una nazione di incapaci.
Più
di metà degli italiani facevano i contadini. E civiltà contadina, con buona
pace, vuole dire miseria, povertà, violenza della natura e degli uomini. Si
dimenticano i morti per manganellate e olio di ricino, morti della guerra e
dispersi in Ucraina.
La
sinistra […] ha imboccato la strada pericolosa di rinnegare lavoro successo
benessere (atteggiamento dei figli dei ricchi quale è l’establishment del Pd) e
di concentrare la sua attenzione su minoranze di ogni tipo e qualità
allontanandosi così dai bisogni della maggioranza degli italiani.
[...] Non siamo stati mai così bene come oggi. E così ricchi. Su tutti i piani.
Su quello politico. La libertà di parola e di comportamento quasi assoluta di
cui si gode oggi non ha riscontro mai. La parità politica fra uomini e donne, in
atto da noi dal 1946, è ben più importante di quelle vergognose quote rosa che
tanto appassionano i nostri politici.
[…]
Ma anche l’idea che puoi dire quello che pensi senza rischiare il carcere
(Galileo) o il rogo (Giordano Bruno) è un privilegio dei nostri giorni a fronte
di migliaia di anni di oppressione. Certo Mussolini fu meno feroce di Hitler e
Stalin, ma l’idea che se dicevi qualcosa di sgradito all’Ovra finivi a Lipari o
Ventotene […] non può piacere a nessuno, nemmeno a un camerata. […]
[...] Sul piano materiale non esistono confronti col passato. Il divario è
troppo grande. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo. Nello
specifico italiano, la disponibilità gratuita di medicine moltiplica per 60
milioni quanti siamo l’effetto dei progressi della medicina e della farmacia.
L’industria ci guadagna? I profitti sono spaziali? Meglio morti?
[...] Ci laviamo tutti i giorni. Ai bei tempi era una volta alla settimana, in
bagno per i ricchi, avendo riempito la vasca con l’acqua scaldata nei pentoloni
in cucina. [...] Saponi, saponette, shampi, creme: una volta era un po’ di talco
per assorbire il sudore coprire l’afrore.
[…]
La poca igiene fu una causa importante di morte per secoli e millenni e certo
anche elemento fondamentale per la diffusione di peste e varie epidemie. Non
parliamo dei gabinetti. […] ancora negli anni ‘60 a Tortona […] i gabinetti
erano, comuni a ogni piano, quelli alla turca: un buco in una lastra di
ardesia…e tutto giù nei sotterranei. […]
Non
è merito di questo o quel partito. […] La prima volta che andai a New York, nel
1968, il barbiere emigrato dai monti dietro Roma mi chiese se in Italia c’era
finalmente la luce elettrica. Oggi quattro quinti di quei paesani vive a Roma,
case con acqua corrente calda e fredda, termocentrale e forse anche aria
condizionata. Molti di loro, quando ancora vivevano al paese, la facevano nella
stalla, unico locale igienico.
Con
il denaro accumulato lavorando in città [...] si sono fatti una casetta nuova,
con tutti i comfort. La costruzione è tanto orribile quanto le vecchie case sono
belle e eleganti. Ma questo è l’aspetto negativo del progresso in Italia,
assurdo in un Paese soffocato da vincoli e divieti come il nostro. [...] Sulla
bruttezza dell’Italia post bellica convengo. Per il resto, come diceva Saragat,
viva l’Italia, viva la Repubblica.
Fabiano Minacci per biccy.it il 7 Giugno 2023
Come ce lo immaginavamo il 2023 quando eravamo nel 1996? A rispondere a questa
domanda è stato Carlo Vanzina che nel 1996 uscì al cinema con la pellicola A
Spasso Nel Tempo con Massimo Boldi e Christian De Sica.
I
due – che interpretavano rispettivamente un imprenditore leghista e un principe
romano – si ritrovavano per puro caso a un parco giochi a Los Angeles incastrati
dentro il gioco della Macchina del Tempo. Un gioco che in realtà si rivelò
funzionare davvero dato che i due finirono in più epoche storiche. Preistoria,
Rinascimento, Seconda Guerra Mondiale e pure una capatina nel futuro, ovvero nel
2023.
Ed
è così che nella scena Christian De Sica prende un quotidiano “costa come
sempre, 100 mila lire” / “ammazza che inflazione” e legge: “7 settembre 2023. Un
presidente del consiglio nero e i ministri sono tutti extra comunitari:
tunisini, filippini, polacchi. Ti dico una cosa sola: il ministro degli interni
si chiama Abebe Bongo”.
Il
film ottenne un enorme successo al botteghino tant’è che nel 1997 uscì il sequel
A Spasso Nel Tempo – L’Avventura Continua, anche se la critica non fu molto
generosa.
Antonio Giangrande.
Maledetta ideologia comunista. Con tutti i problemi che attanagliano l'Italia, i
sinistri, ben sapendo che nessun italiano più li voterà, pensano bene di farci
invadere per raggranellare dai clandestini i voti che, aggiunti a quelle delle
altre minoranze LGBTI, gli permettono di mantenere il potere.
I
berlusconiani e la cosiddetta Destra, poi, per ammaliare l'altra sponda
elettorale, scimmiottano rimedi che nulla cambiano in questa Italia che è tutta
da cambiare. Da vent'anni denuncio quelle anomalie del sistema, che in questi
giorni escono fuori con gli scandali riportati dalle notizie stampa. Tutte
quelle mafie insite nel sistema.
Si
fa presto a dire liberali, dove liberali non ce ne sono. Se ci fossero
cambierebbero le cose in modo radicale, partendo dalla Costituzione Catto
comunista, fondata sul Lavoro e non sulla Libertà. Libertà, appunto, bandiera
dei liberali.
Nei
momenti emergenziali in tutti gli altri Paesi v'è un intento comune, anche se
solo in apparenza. Politica e media accomunati da un interesse supremo. Invece,
in Italia, ci sono sempre i distinguo, usati dall'estero contro noi stessi per
danneggiarci sull'export, dando un'immagine distorta e denigratoria. Così come
fanno i polentoni italiani rispetto al Sud Italia, disinformazione attuata dai
media nordisti e dai giornalisti masochisti e rinnegati meridionali. In una
famiglia normale si è sempre solidali nei momenti del bisogno e traspare sempre
un'apparente unità. Solo in Italia i Caini hanno la loro rilevanza mediatica,
facendoci apparire all'estero come macchiette da deridere ed oltraggiare.
Antonio Giangrande: I governanti sono esclusivamente economisti. Loro valutano
il costo delle loro decisioni in termini economici, non misurano
l’indispensabilità, quindi l’utilità delle loro scelte. Il popolo vuole pane e
divertimento. La libertà, per la gleba, può andarsi a fare fottere. Ecco perché
i governi scelgono di non far niente. E quel niente è importante che sia più
utile che giusto. In questo modo cristallizzano lo status quo.
I
Governi sono in balia degli umori del popolo.
I
capitalisti non vogliono dare niente, i comunisti vogliono solo avere tutto.
I
Governi, dettata l’agenda economica, non avendone la perizia, delegano l’aspetto
pratico del governare agli apparati burocratici. I burocrati ed i magistrati
legiferano e decretano a loro vantaggio, ammantando il loro potere fossilizzato
da abuso ed impunità decennale.
Il
popolo tapino subisce e tace, senza scrupolo di coscienza, perché chi non vuol
dare, non dà; chi vuole avere, ha!
La
liturgia della politica nel nome della democrazia, in fondo, è tutta una presa
per il culo….
Perché non esiste politica; non esiste democrazia. Esiste solo l’economia e la
finanza. L'utile ed il dilettevole.
I
soldi governano il mondo. Non la democrazia o la dittatura, né tanto meno la
fede.
Poveri stolti. “Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine
consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove
né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano”
(Matteo 6:19-20).
Vangelo di Matteo, 7, 1: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché col
giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale
misurate sarete misurati.”
Col
giudizio con cui giudichi sarai giudicato… ma non da Dio – e difatti Gesù non
dice minimamente una cosa del genere – ma da te stesso, perché tu sei il tuo
unico giudice. La misura la decidi tu, e anche questo Gesù lo dice molto
chiaramente, in un modo indubitabile per chiunque non abbia dei paraocchi
davanti agli occhi.
Giudica, e sarai giudicato. Perdona, e sarai perdonato. Dai, e ti sarà dato. E
sarai sempre tu a giudicarti, a perdonarti e a darti qualcosa, perché sei tu
l’unico padrone delle tue energie interiori.
Matteo 7:
1
Non giudicate, per non essere giudicati;
2
perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la
quale misurate sarete misurati.
3
Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi
della trave che hai nel tuo occhio?4 O come potrai dire al tuo fratello:
permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la
trave?
5
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere
la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
6
Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci,
perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
7
Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;
8
perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
9
Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?
10
O se gli chiede un pesce, darà una serpe?
11
Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele
domandano!
12
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro:
questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che
conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa;
14
quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e
quanto pochi sono quelli che la trovano!
15
Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son
lupi rapaci.
16
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi
dai rovi?
17
Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti
cattivi;
18
un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre
frutti buoni.
19
Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
20
Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.
21
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui
che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
22
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel
tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
23
Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi
operatori di iniquità.
24
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un
uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.
25
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su
quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
26
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo
stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.
27
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su
quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».
28
Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo
insegnamento:
29
egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.
Io,
Antonio Giangrande, sono orgoglioso di essere diverso.
Faccio quello che si sento di fare e credo in quello che mi sento di credere.
La
Democrazia non è la Libertà.
La
libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La
democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli ignoranti e
voltagabbana.
Cattolici e comunisti, le chiese imperanti, impongono la loro libertà, con la
loro morale, il loro senso del pudore ed il loro politicamente corretto.
Per
questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, informato,
istruito e giudicato da coglioni. Perché "like" e ossessione del politicamente
corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte
quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora è il
diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Antonio Giangrande: La Democrazia non è
la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli
ignoranti e voltagabbana.
Per
questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, giudicato ed
informato, educato ed istruito da coglioni.
Antonio Giangrande: Per chi denigra la Regina e la Monarchia. Per onor del vero
è solo un’icona ed ha meno poteri la monarchia britannica con degni natali che
il presidente repubblicano italiano, eletto da un Parlamento di …
Antonio Giangrande: A proposito dell’invasione dei mussulmani senza colpo
ferire….diamo proposte e non proteste.
Se
lo sbarco incontrollato dei clandestini è dovuto alla guerra fratricida nei loro
paesi: fermiamo quella guerra con una guerra giusta sostenendo la ragione. Per
molto meno abbiamo bombardato l’Iraq, l’Afghanistan e la Libia, senza aver un
interesse generale europeo, se non quello di assecondare le mire americane.
E
poi, dalla patria in fiamme non si scappa, ma si combatte per la sua
liberazione. Gli italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione tedesca.
O i comunisti hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per consegnarla
all’URSS?
Se
il motivo dello sbarco incontrollato dei clandestini è quello economico,
evitiamo di farci espropriare il nostro benessere ottenuto con sacrifici. Per la
sinistra è un sistema che vale in termini elettorali, ma è ingiusto.
Difendiamoci dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di espatrio dei
clandestini. Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere gli
immigrati a poltrire in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di loro
per dargli una preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano loro
stessi ad aprire le aziende.
E
comunque, senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a
tutti, compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se
bisogna mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti.
Per
inciso. Non sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono
stufo dei quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
Antonio Giangrande: Quando vedo che in Italia mai nulla cambia per difendere lo
Status Quo e che i vecchi della politica sono tutti contro Renzi e contro quel
partito democratico leninista che nel suo Dna nulla ha di comunista stalinista;
Quando vedo che la sinistra stalinista, la destra liberale o reazionaria, i
cinquestelle dilettanti e confusionari sono tutti contro Renzi ed il suo
partito;
Quando vedo che tutti i manipolatori del web, anziché denunciare le malefatte
del sistema e del suo ordinamento giuridico mafioso, incitano all’odio contro
Renzi e le sue riforme;
Quando vedo che sui social ed in tv, così come sui giornali si propaganda solo
il voto per il no e si denigra il premier, sminuendolo agli occhi
internazionali;
Quando, comunque, si è contro questo Governo e contro tutti i Governi che lo
hanno preceduto e per questo è 20 anni che non si va a votare per mancanza di
rappresentanza;
Quando, comunque, non si può difendere una Costituzione massonica ed
antidemocratica e che tutela il lavoro e non la libertà;
allora è la volta buona per essere dalla parte del torto, tenuto conto che i
posti della parte della ragione son tutti occupati, ed andare a votare sì, così
a prescindere, giusto per essere contro corrente e dare un segnale di
cambiamento.
Antonio Giangrande:
Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare
li ci sono loro: i sinistri.
La lotta alla mafia
è un business con i finanziamenti pubblici e l'espropriazione proletaria dei
beni.
I mafiosi si
inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei
migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è
umano, andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei
minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Toglierli ai
genitori naturali e legittimi è criminale.
Antonio Giangrande:
Cosa vorrei?
Vorrei una
Costituzione, architrave di poche leggi essenziali, civili e penali, che come
fondamento costitutivo avesse il principio assoluto ed imprescindibile della
Libertà e come obiettivo per i suoi cittadini avesse il raggiungimento di
felicità e contentezza. Vivere come in una favola: liberi, felici e contenti.
Insomma, permettere ai propri cittadini di fare quel che cazzo gli pare sulla
propria persona e sulla propria proprietà, senza, però, dare fastidio agli
altri, di cui si risponderebbe con pene certe. E per il bene comune vorrei da
cittadino poter nominare direttamente governanti, amministratori e giudici, i
quali, per il loro operato, rispondano per se stessi e per i propri
collaboratori, da loro stessi nominati. Niente più concorsi truccati…, insomma,
ma merito! E per il bene comune sarei contento di contribuire con prelievo
diretto dal mio conto, secondo quanto stabilito in modo proporzionale dal mio
reddito conosciuto al Fisco e da questi rendicontatomi il suo impiego.
Invece...
L'influsso
(negativo) di chi vuole dominare l'altro. Ci sono persone che sembrano dare
energia. Altre, invece, sembra che la tolgano, scrive Francesco Alberoni,
Domenica 01/07/2018, su "Il Giornale".
Ci sono persone che
sembrano darti energia, che ti arricchiscono.
Altre, invece,
sembra che te la prendano, te la succhino come dei vampiri. Dopo un colloquio
con loro ti senti svuotato, affaticato, insoddisfatto. Che cosa fanno per
produrre su di noi un tale effetto? Alcune ci parlano dei loro malanni, dei loro
bisogni e lo fanno in modo tale che tu ti senti ingiustamente privilegiato ed è
come se avessi un debito verso di loro.
C'è un secondo tipo
di persone che ti sfibra, perché trasforma ogni incontro in un duello. Non
appena aprite bocca sostengono la tesi contraria, vi sfidano, vi provocano. Lo
fanno perché vogliono mostrare la loro capacità dialettica ma soprattutto per
mettersi in evidenza davanti agli altri. Se gli date retta, vi logorano
discutendo su cose che non vi interessano.
Ci sono poi quelli
che fanno di tutto per farvi sentire ignoranti. Qualunque tesi voi sosteniate,
anche l'idea più brillante e ragionevole ecco costoro che arrivano citando una
ricerca americana che dice il contrario. Magari qualcosa che hanno letto in un
rotocalco, ma tanto basta per rovinare il vostro discorso. Ricordo invece il
caso di un mio collega che, per abitudine, nella conversazione, faceva solo
domande. All'inizio gli raccontavo le mie ricerche, gli fornivo i dati, gli
mostravo i grafici, le tabelle, mi sgolavo e lui, dopo avere ascoltato, faceva
subito un'altra domanda su un particolare secondario. E io giù a spiegare di
nuovo e lui, alla fine, un'altra domanda...
Abbiamo poi quelli
che, quando vi incontrano, vi riferiscono sempre qualche cosa di spiacevole che
la gente ha detto su di voi: mai un elogio, mai un apprezzamento, solo critiche,
solo pettegolezzi negativi. E, infine, i pessimisti che quando esponete loro un
progetto a cui tenete molto, vi mostrano i punti deboli, vi fanno ogni sorta di
obiezioni, vi fanno capire che sarà un fallimento. Voi lo difendete ma loro
insistono e, alla fine, restate sempre con dei dubbi. Un istante prima eravate
pieno di slancio, ottimista, entusiasta e ora siete come un cane bastonato. Cosa
hanno in comune tutti questi tipi umani? La volontà di competere, di affermarsi,
di dominare, di opprimere.
Antonio Giangrande: C’è chi pensa che l’euro è la causa di tutti i mali…Ma
non è solo una moneta? Malevolo è chi si richiama alla moneta per creare
sfascio. I Grillini, i leghisti, i comunisti ed i fascisti tutti nel calderone.
Perché tutti gli sfascisti non dicono che se un buon padre di famiglia si fa
bastare una certa somma di denaro per i bisogni familiari, mentre chi ruba,
spreca e spande quella somma non la fa bastare, la colpa non è della moneta che
ha in tasca?
Nel
momento del soddisfacimento egoistico dei propri bisogni si diventa tutti
comunisti: esproprio proletario della proprietà altrui. Tutti con la Grecia,
insomma.
Anche noi avevamo le pensioni baby o le pensioni d’oro o l’iva agevolata che si
pagavano con l’enorme debito pubblico. Quindi i nostri privilegi li pagavano gli
altri paesi. Poi abbiamo posto rimedio, diventando buoni padri di famiglia ed
entrando nell'euro. Con l’entrata dell’euro chi si strappa oggi i capelli ha
permesso la vendita dei prodotti e dei servizi allo stesso valore convertito. Un
kg di mele prima 1000 lire, il giorno dopo 1 euro: colpa della moneta?
Se
il debito è rimasto ed è intervenuta la crisi non è colpa della moneta ma dei
governanti incapaci e ladri di tutti i partiti e di tutti quelli che li hanno
votati.
Perché la Germania, pur accorpandosi la Germania dell’est, non ha sofferto la
transizione?
Perché noi non possiamo essere come loro, invece di pensare sempre di fottere il
prossimo o di essere incapaci di difendere i nostri diritti?
Anche il Portogallo e poi la Spagna e la stessa Italia ha sofferto un periodo
nero. Oggi ci troviamo a pagare 100 volte più di 20 anni fa ed ad avere 100
volte meno in termini di servizi. E’ colpa della moneta o di chi ci ha governato
e pretende di rigovernarci?
Oggi i greci hanno i privilegi che noi avevamo, ma non ci vogliono rinunciare.
Pretendono che quei privilegi siano pagati con i soldi di tutti gli altri
cittadini europei, compresi gli italiani che a quei privilegi hanno già
rinunciato.
L’Euro è una moneta, l’unione europea è un sistema burocratico parassitario,
quindi tutt’altra cosa. Il malgoverno italiano è altra cosa ancora.
Per
molti è comodo diventare comunisti, specie nei barbieri e nei bar, ma alla fine
si diventa solo degli stronzi parassiti. Più stronzi parassiti i governati che i
governanti.
Antonio Giangrande: Se non è estorsione questa…
Avetrana. In presenza di una patologia con disturbi urologici che pare
abbastanza grave ed improvvisa ci si rivolge al medico curante: chiuso!
Allora ci si rivolge alla Guardia Medica. Il medico di guardia è assente per
visite domiciliari. Si attende con pazienza. Dopo un po’ di tempo il medico
arriva e ti visita, ma non si esprime sulla diagnosi e la cura: si dichiara
incompetente e ti manda al Pronto Soccorso di Manduria a 20 km.
Al
Pronto Soccorso si arriva con mezzi propri, ci si rivolge all’accettazione e si
manifesta il disturbo. Questi si dichiarano incompetenti e ti invitano ad andare
al Pronto Soccorso di Taranto a 50 km. Ritengono che a Taranto vi possa essere
la relativa visita specialistica.
Si
preferisce aspettare a Manduria almeno per le cure più immediate. Allora ti
assegnano il codice verde: non critico.
Dopo ore di attesa (con altri pazienti arrivati ore prima con differenti codici)
arriva la visita medica (con pubblico annesso: 1 guardia e 2 infermiere) con
riscontro di edema dello scroto e del pene, che lo fa diventare grosso come una
palla. Visita di un minuto: una punturina intramuscolo e via.
La
sorpresina è il pagamento del Ticket:
Importo ticket 20,66
Quota ricetta 10,00
Quota pronto soccorso 25,00
Totale: 55,66
Naturalmente da aggiungere le spese per il doppio percorso effettuato con auto
propria per la visita, prima, ed il pagamento in giorno successivo, poi. Più il
costo dei farmaci.
Quando si dice: diritto alla salute…
Intervista all’autore, il dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa racconta nei suoi libri?
«Sono un centinaio di saggi di inchiesta composti da centinaia di pagine, che
raccontano di un popolo difettato che non sa imparare dagli errori commessi.
Pronto a giudicare, ma non a giudicarsi. I miei libri raccontato l’indicibile.
Scandali, inchieste censurate, storie di ordinaria ingiustizia, di regolari
abusi e sopraffazioni e di consueta omertà. Raccontano, attraverso testimonianze
e documenti, per argomento e per territorio, i tarli ed i nei di una società
appiattita che aspetta il miracolo di un cambiamento che non verrà e che,
paradosso, non verrà accettato. In più, come chicca editoriale, vi sono i saggi
con aggiornamento temporale annuale, pluritematici e pluriterritoriali. Tipo
“Selezione dal Reader’s Digest”, rivista mensile statunitense per famiglie,
pubblicata in edizione italiana fino al 2007. Gli argomenti ed i territori
trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi nei saggi analitici
specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali di distribuzione
internazionale in forma Book o E-book. Canali di pubblicazione e di
distribuzione come Amazon o Google libri. Opere oggetto di studio e fonti
propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche. I testi hanno una
versione video sui miei canali youtube».
Qual è la reazione del pubblico?
«Migliaia sono gli accessi giornalieri alle letture gratuite di parti delle
opere su Google libri e decine di migliaia sono le pagine lette ogni giorno.
Accessi da tutto il mondo, nonostante il testo sia in lingua italiana e non sia
un giornale quotidiano. Si troveranno, anche, delle recensioni deliranti e
degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando
del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio
che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato».
Perché è poco conosciuto al grande pubblico generalista?
«Perché sono diverso. Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro
grado di utilità materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore
intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o
ignorati. Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre
dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il
più furbo o il più fortunato a precederti. In un mondo caposotto (sottosopra od
alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia
è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non
subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in
mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Si nasce senza
volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo. Dove si
sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non
conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del
tuo percorso. Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le
risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e
qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte. Un popolo di
“coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”».
Qual è la sua missione?
«“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama
bugia, è un delinquente…Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli
altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi,
altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni
e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi
sono gli indispensabili”. Citazioni di Bertolt Brecht. Rappresentare con verità
storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea,
rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi
errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio
i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché
non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai
nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere
diverso!»
Perché è orgoglioso di essere diverso?
«E’
comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare
di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale».
Antonio Giangrande: Presso la Sezione Penale del Tribunale di Palmi, in
provincia di Reggio Calabria, al ruolo A bis, si tiene il processo n. 238/19
R.G.N.R, n. 1399/19 R.G.T. tenuto dalla D,ssa Annalisa Palamara a carico di
Latino Giandomenico difeso dall’Avv. Antonino Napoli.
L’Avv. Antonino Napoli ha pensato di citare come testimone al processo il dr.
Antonio Giangrande, di Avetrana, del versante orientale della provincia di
Taranto, ai confini con Lecce, noto saggista e presidente nazionale
dell’associazione antiracket ed antiusura denominata “Associazione Contro Tutte
Le Mafie”.
Il
citato dr. Antonio Giangrande non conosce fatti, atti e parti del processo in
corso.
L’avv. Antonino Napoli cita con atto di citazione testi il dr Antonio Giangrande
a presenziare per l'udienza del 28 giugno 2021 ore 12 e ss con Racc. A.R. del
04/06/2021 ricevuta il 09/06/2021.
Avviso congruo inviato 24 giorni prima e ricevuto 19 prima l’udienza.
Il
Dr Antonio Giangrande in data 23 giugno 2021 con fax personale all’avvocato
Antonino Napoli ed al Tribunale giustifica l’impedimento a presenziare in
udienza per i postumi del Long Covid, residui di una lunga degenza in ospedale
per un’infezione grave ai polmoni e ad altri organi .
Il
Dr Antonio Giangrande per maggiore sicurezza fa inviare dal suo Avvocato di
fiducia del Foro di Taranto, Mirko Giangrande, al Tribunale di Palmi e
all’avvocato Antonino Napoli la stessa giustifica.
Mandato speciale rilasciato per quel singolo atto. Oltretutto non essendo
imputato.
Giustifica accettata dal Tribunale.
Dopodichè l’avv. Antonino Napoli rinnova la citazione testi al Dr Antonio
Giangrande per l’udienza di lunedì 14 marzo 2022, ore 13:00.
Citazione testi che il dr Antonio Giangrande, teste, non ha mai ricevuto, perché
inviata dall’avv. Antonino Napoli con pec nel week end, ossia sabato 12 marzo
2022, ore 13:53 all’indirizzo dell’avvocato Mirko Giangrande, non legittimato a
riceverla.
Avv. Mirko Giangrande che, intanto, aveva sospeso la professione, in quanto
aveva vinto il concorso ed operava come addetto all’Ufficio del Processo presso
il Tribunale Penale di Parma.
Avv. Mirko Giangrande che, nel momento in cui ha ricevuto l’errata citazione,
nella stessa data la contesta presso il mittente, rilevando la sua nullità.
Da
notare:
Destinatario non legittimato a ricevere la notifica, né egli è dovuto a
comunicare la stessa al vero destinatario, che ad onor del vero nel week end ed
a circa mille chilometri era irrintracciabile.
Termini non congrui tra la notifica e l’udienza: due giorni prima, anzi 47 ore
prima, contenuti tra festivi e pre festivi. Oltretutto non congrui per
organizzare la trasferta di quasi mille chilometri per un covidizzato, i cui
postumi sono difficoltà respiratorie e prostatite.
Si
pensava fosse finita così, invece…
In
data 30 maggio 2022 il dr Antonio Giangrande riceve una chiamata sul cellulare
personale: erano i carabinieri di Avetrana, che sollecitavano la notifica di un
atto.
Da
autore di inchieste, ci si aspettava, come tutti i migliori saggisti o
giornalisti, un procedimento per diffamazione a mezzo stampa.
Invece in caserma veniva presentato un accompagnamento coattivo teste emesso con
ordinanza del giudice Annalisa Palamara del 14 marzo 2022, che avallava la
versione dell’avvocato Antonino Napoli di regolare notifica nello stesso giorno
dell’udienza citata e mai notificata, nonostante all’avvocato Antonino Napoli ed
al Tribunale si fosse prodotta prova contraria per pec della mancata notifica da
parte dell’avv. Mirko Giangrande.
In
questo caso la nuova notifica è avvenuta il 30 maggio 2022 per l’udienza del 13
giugno 2022.
Nota bene: 14 giorni prima. In questo caso: Termini congrui.
Al
giudice Annalisa Palamara bastava far rinnovare, nei termini congrui ed al
legittimo destinatario, la citazione all’avvocato Antonino Napoli, ove assumesse
l’onere dell’errore precedente, invece l’accompagnamento coattivo sa di
punizione oltraggiosa. Essere considerato reticente è offensivo.
Da
esercente la professione forense come praticante avvocato con patrocinio il dr
Antonio Giangrande sa cosa significa accompagnamento coattivo e quanto sia
umiliante e degradante.
Da
presidente antimafia, inoltre, ci si aspettava la scorta, non gli accompagnatori
coattivi per testimoniare su cose e su persone di cui nulla si è a conoscenza.
Quasi mille chilometri per andare in capo al mondo senza vie di collegamento
degne di un paese civile, tanto da alleviare la trasferta: né autobus, né treni,
salvo lunghe ed estenuanti attese per cambi e coincidenze.
Laddove il Maresciallo Vincenzo Caliandro, luogotenente della caserma dei
carabinieri di Avetrana, mi avesse invitato a firmare una liberatoria, affinchè
si esentasse l’arma dei Carabinieri ad accompagnarmi dietro l’impegno del buon
esito della trasferta, la sollecitazione sarebbe stata declinata in quanto lungo
il tragitto di centinaia di chilometri tutto può succedere per impedire la
presenza in udienza ed ove non si fornisse prova certa e legittima di
impedimento, potrebbe prospettarsi l’incriminazione di reato di rifiuto di
uffici legalmente dovuti previsto nell’art. 366 c.p. . In ogni caso ai sensi
dell’art. 255 cpc in caso di ulteriore mancata comparizione il giudice dispone
l'accompagnamento coattivo alla stessa udienza o ad altra successiva e lo
condanna ad una sanzione pecuniaria non inferiore a 200 euro e non superiore a
1.000 euro.
Ergo:
Un
accompagnamento coattivo infondato oltraggioso ed offensivo.
Un’auto obbligatoria per il teste ed un’auto dei carabinieri al seguito come
accompagnamento coattivo per controllare che l’auto che precede arrivi al
Tribunale di Palmi.
Un
onere umano ed economico incalcolabile ed uno spreco enorme, per il privato e
per il pubblico, oltretutto con il presente caro-carburante.
RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA
Ai sensi dell’art. 203 Codice della Strada
(D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285)
PER RICORRENTE GIANGRANDE ANTONIO nato ad Avetrana (Ta) il 02/06/1963 e
residente ad Avetrana in Via A. Manzoni, 51, in proprio. C.F: GNGNTN63H02A514Q
Tel. 3289163996 giangrande.antonio@alice.it
CONTRO RESISTENTE COMUNE DI ROSETO CAPO SPULICO, in persona del Sindaco pro
tempore, per quest’atto domiciliato presso la sede del Comando di Polizia Locale
sito in Roseto Capo Spulico, via G.B. Trebisacce snc..
* * *
Oggetto: Ricorso in
opposizione al verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022
Protocollo
00002704/A/22
Cronologico
0027030221502703
del 13/06/2022 ore
07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del
Comune di ROSETO CAPO SPULICO,
consegnato per la
spedizione con raccomandata n. 787200279345 il 22/09/2022
notificato in data
27/09/2022
per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento
della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17
euro di spese di notifica e procedimento e in misura ridotta di Euro 46,40,00,
di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e
procedimento.
Contestazione: in presenza di limite di velocità di 90 km ora, si procedeva a 96
km ora, effettiva 91 km ora (96 meno la riduzione del 5%, minimo 5 km, vedi
l’art 1, dm 29 ottobre 1997 ai sensi dell’art. 345 comma 2, DPR 16/12/1992 n.
495, mod. dall’art. 197 DPR 16/06/1996 n. 610)
PREMESSO CHE LA SANZIONE IN FATTO
E’ INOPPORTUNA, IRRAGGIONEVOLE E FISCALE. La velocità contestata è di 1 km in
più di quello consentito. Si procedeva a 96 km ora, meno il 5%, minimo 5 km di
riduzione, 91 km ora. Consentito 90 chilometri. L’Ordinanza della Corte di
Cassazione n. 3698/2019 che non ammette giustificazioni è derogabile per
inopportunità in presenza di uno stato di necessità.
E’ ANNULLABILE PER STATO DI NECESSITA’ E FORZA MAGGIORE ai sensi della sentenza
n. 7198/2016 della Corte di Cassazione. Si procedeva a quella velocità per stato
di necessità e forza maggiore, perché costretti ad inseguire l’auto dei
carabinieri di Avetrana incaricati dell’accompagnamento coattivo del ricorrente
per una testimonianza presso il Tribunale di Palmi, a pena di sanzioni penali.
PREMESSO CHE LA SANZIONE IN DIRITTO
E’ ANNULLABILE PERCHE’ NULLA ED ILLEGITTIMA PER TARDIVITA’.
L’infrazione è avvenuta il 13/06/2022.
Come in calce da verbale di contestazione e nota delle poste italiane:
La consegna per la spedizione del verbale di violazione alle Poste Italiane è
avvenuta il 22/09/2022.
La consegna in mano dell’obbligato al pagamento della sanzione è avvenuta il
27/09/2022.
Il ritardo e di ben 9 giorni oltre i 90 giorni di notifica, senza tener conto
che luglio ed agosto hanno 31 giorni: infrazione il 13 giugno; spedizione del
verbale il 22 settembre.
La notifica quindi è nulla, perché tardiva, e nulla si deve all’organo
contestatore a mo’ di sanzione. Dal momento in cui l’infrazione è stata
commessa al momento in cui la notifica viene recapitata all’indirizzo di
residenza dell’automobilista possono passare al massimo 90 giorni, così come
disposto dall’articolo 201 del Codice della strada. Il periodo di 90 giorni
durante i quali la notifica deve essere consegnata decorre dal momento in cui
l’infrazione è stata commessa e non da quando è stata accertata. Può sembrare
una sottigliezza linguistica ma non lo è, considerando che la questione è stata
affrontata dalla Corte di cassazione la quale, con la sentenza 7066/2018, Corte
di Cassazione Civile sez. VI, ord. 21 marzo 2018, n. 7066, che ha
definitivamente chiarito che i 90 giorni decorrono dal momento in cui
l’infrazione è stata rivelata e non accertata.
Tutto ciò premesso e considerato, il sottoscritto ricorrente
CHIEDE
Voglia l’Ecc.mo Prefetto adito, contrariis reiectis:
Dichiarare l’annullamento del verbale di violazione del Codice della Strada n.
002703022
Protocollo 00002704/A/22
Cronologico 0027030221502703
del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di
Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO, consegnato per la spedizione
il 22/09/2022 e notificato in data 27/09/2022 per la violazione dell’art.142
comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro
59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e
procedimento.
In subordine in caso di rigetto del ricorso, disporre il mantenimento della
sanzione al minimo edittale, in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro
29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
In ogni caso, ordinare la sospensione provvisoria degli effetti della sanzione
amministrativa in modo che, in attesa della conclusione del procedimento,
l’amministrazione che l’ha emessa non possa pretendere il pagamento né possa
chiederne la riscossione forzata facendo intervenire l’Agenzia delle
entrate-riscossioni. E data la oggettiva nullità del verbale, per omissione o
abuso, l’amministrazione intimante possa incorrere in una violazione penale.
Si producono i seguenti documenti in copia:
Copia del ricorso firmato 3 pagg.
Verbale di violazione del C.d.S: 2 pagg.
Intimazione di testimonianza coattiva.
Nota delle Poste Italiane.
Documento di identità
Con osservanza. Avetrana, lì
Firma del ricorrente _________________
Si prega di inviare qualsiasi comunicazione relativa al presente procedimento ai
seguenti recapiti:
Via A. Manzoni 51 Avetrana Ta.
Estratto dell’articolo di Marco Benedetto per blitzquotidiano.it il 7 giugno
2023.
Italia in confusione mentale. Destra e sinistra unite hanno fatto un bel
pasticcio: hanno insinuato nella mente di un bel po’ di italiani il dubbio che
una volta si stava meglio. E che oggi viviamo un periodo di regressione
materiale e di sbando morale. Siamo ricchi o benestanti. Volete un parametro
decisivo? La durata della vita media.
[era] 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 […], fino ai 71,11 del
1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67
anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Dopo la guerra nove italiani su dieci eravamo poveri. Ora l’Istat (che spesso
usa la statistica per fare politica) ci dice che i poveri sono uno su dieci.
Quelli della sinistra, invece di attribuirsi il merito di almeno una parte di
tale successo, abbracciano il dettato evangelico concepito duemila anni fa,
quando i poveri erano 99 su 100: di loro parlano, di loro si occupano, in
concorrenza con i grillini, partito del reddito di cittadinanza, precipitato dal
3o all’1 per cento dei voti quando è stato chiaro che la pacchia stava finendo.
La
destra esalta il ventennio fascista come una specie di età dell’oro, in cui i
treni arrivavano in orario e la lira valeva più della sterlina. Una specie di
versione fascistoide della decrescita felice. Mussolini la definiva Italia
proletaria e fascista. Essendo romagnolo diceva fasista, il che alleggeriva e
ridicolizzava il concetto ma il significato era una nazione di incapaci.
Più
di metà degli italiani facevano i contadini. E civiltà contadina, con buona
pace, vuole dire miseria, povertà, violenza della natura e degli uomini. Si
dimenticano i morti per manganellate e olio di ricino, morti della guerra e
dispersi in Ucraina.
La
sinistra […] ha imboccato la strada pericolosa di rinnegare lavoro successo
benessere (atteggiamento dei figli dei ricchi quale è l’establishment del Pd) e
di concentrare la sua attenzione su minoranze di ogni tipo e qualità
allontanandosi così dai bisogni della maggioranza degli italiani.
[...] Non siamo stati mai così bene come oggi. E così ricchi. Su tutti i piani.
Su quello politico. La libertà di parola e di comportamento quasi assoluta di
cui si gode oggi non ha riscontro mai. La parità politica fra uomini e donne, in
atto da noi dal 1946, è ben più importante di quelle vergognose quote rosa che
tanto appassionano i nostri politici.
[…]
Ma anche l’idea che puoi dire quello che pensi senza rischiare il carcere
(Galileo) o il rogo (Giordano Bruno) è un privilegio dei nostri giorni a fronte
di migliaia di anni di oppressione. Certo Mussolini fu meno feroce di Hitler e
Stalin, ma l’idea che se dicevi qualcosa di sgradito all’Ovra finivi a Lipari o
Ventotene […] non può piacere a nessuno, nemmeno a un camerata. […]
[...] Sul piano materiale non esistono confronti col passato. Il divario è
troppo grande. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo. Nello
specifico italiano, la disponibilità gratuita di medicine moltiplica per 60
milioni quanti siamo l’effetto dei progressi della medicina e della farmacia.
L’industria ci guadagna? I profitti sono spaziali? Meglio morti?
[...] Ci laviamo tutti i giorni. Ai bei tempi era una volta alla settimana, in
bagno per i ricchi, avendo riempito la vasca con l’acqua scaldata nei pentoloni
in cucina. [...] Saponi, saponette, shampi, creme: una volta era un po’ di talco
per assorbire il sudore coprire l’afrore.
[…]
La poca igiene fu una causa importante di morte per secoli e millenni e certo
anche elemento fondamentale per la diffusione di peste e varie epidemie. Non
parliamo dei gabinetti. […] ancora negli anni ‘60 a Tortona […] i gabinetti
erano, comuni a ogni piano, quelli alla turca: un buco in una lastra di
ardesia…e tutto giù nei sotterranei. […]
Non
è merito di questo o quel partito. […] La prima volta che andai a New York, nel
1968, il barbiere emigrato dai monti dietro Roma mi chiese se in Italia c’era
finalmente la luce elettrica. Oggi quattro quinti di quei paesani vive a Roma,
case con acqua corrente calda e fredda, termocentrale e forse anche aria
condizionata. Molti di loro, quando ancora vivevano al paese, la facevano nella
stalla, unico locale igienico.
Con
il denaro accumulato lavorando in città [...] si sono fatti una casetta nuova,
con tutti i comfort. La costruzione è tanto orribile quanto le vecchie case sono
belle e eleganti. Ma questo è l’aspetto negativo del progresso in Italia,
assurdo in un Paese soffocato da vincoli e divieti come il nostro. [...] Sulla
bruttezza dell’Italia post bellica convengo. Per il resto, come diceva Saragat,
viva l’Italia, viva la Repubblica.
Fabiano Minacci per biccy.it il 7 Giugno 2023
Come ce lo immaginavamo il 2023 quando eravamo nel 1996? A rispondere a questa
domanda è stato Carlo Vanzina che nel 1996 uscì al cinema con la pellicola A
Spasso Nel Tempo con Massimo Boldi e Christian De Sica.
I
due – che interpretavano rispettivamente un imprenditore leghista e un principe
romano – si ritrovavano per puro caso a un parco giochi a Los Angeles incastrati
dentro il gioco della Macchina del Tempo. Un gioco che in realtà si rivelò
funzionare davvero dato che i due finirono in più epoche storiche. Preistoria,
Rinascimento, Seconda Guerra Mondiale e pure una capatina nel futuro, ovvero nel
2023.
Ed
è così che nella scena Christian De Sica prende un quotidiano “costa come
sempre, 100 mila lire” / “ammazza che inflazione” e legge: “7 settembre 2023. Un
presidente del consiglio nero e i ministri sono tutti extra comunitari:
tunisini, filippini, polacchi. Ti dico una cosa sola: il ministro degli interni
si chiama Abebe Bongo”.
Il
film ottenne un enorme successo al botteghino tant’è che nel 1997 uscì il sequel
A Spasso Nel Tempo – L’Avventura Continua, anche se la critica non fu molto
generosa.
Quell’Italia malata di pessimismo.
Michele Gelardi su L'Identità il 7 Giugno 2023
L’Italia è affetta da una grave malattia: il pessimismo. Pare addirittura che ne
abbia il primato mondiale, secondo gli studi, citati da una sbigottita Barbara
Palombelli qualche giorno fa nel talk di “Stasera Italia”, i quali peraltro
trovano conferma nel report del “Sole 24 ore” del 15 marzo. In verità la
posizione di vertice degli italiani, nella scala mondiale del pessimismo, non mi
stupisce affatto. Per mio conto ho già fatto un’osservazione “statistica”, del
tutto personale e “gratuita”, non suffragata da alcun dato comparativo, ma della
quale ho assoluta certezza: siamo anche primatisti mondiali in chiusure delle
scuole a seguito di “allerta meteo”. I due primati mi sembrano correlati,
essendo l’uno l’effetto, l’altro un elemento sintomatico, di un unico fenomeno:
l’eccesso di protezionismo di Stato. Invero l’essenza del pessimismo mi pare
risiedere, più ancora che nella paura dell’imminente catastrofe universale (per
Covid o cambiamento climatico), che pure è molto rilevante, nel vuoto personale,
nell’assenza di prospettive e aspettative per il proprio futuro.
Il
carburante del pessimismo è dato dalla frustrazione e dal senso d’inanità; in
sintesi, dal sentimento d’impotenza della persona in relazione al cammino della
sua vita. Chi sa di non poter “fare”, è costretto ad attendere che gli altri
facciano. Se non può provvedere a sé stesso, può solo confidare nella
provvidenza altrui, basata su legami, o sociali, o meramente giuridici. Nel
primo caso, il tutelato entra in rapporto personale con il tutore e tende a
ingraziarsene le cure; nel secondo, si instaura un rapporto asettico e
cartolare, regolato solo da norme giuridiche astratte; nel primo caso, il
tutelato fa qualcosa per apparire “meritevole” al cospetto del tutore; nel
secondo, non deve e non può fare alcunché. Non tutte le assistenze e provvidenze
implicano, dunque, il medesimo disimpegno del destinatario. Tra tutte, la
provvidenza di Stato è quella più impersonale, meno legata all’apporto personale
del destinatario, apprezzabile come merito. Perfino la Provvidenza divina invoca
la partecipazione della persona, espressa in devozione, preghiera e rigore
morale. La persona deve meritare il miracolo o la salvezza, su questa terra e
nell’altra; gli ignavi non entrano nel Paradiso dantesco, non essendo
meritevoli. Solo lo Stato non chiede nulla; protegge e basta.
In
relazione alla condizione tipica e oggettivamente predeterminata del
destinatario, concede prebende, dispensa bonus, offre servizi, prescindendo del
tutto dall’affectio personale. Orbene, quanto più cresce la sfera della
protezione impersonale di Stato, tanto più diviene irrilevante la meritevolezza,
si deprime lo spirito d’iniziativa e decresce la disponibilità al sacrificio,
ossia la capacità di sacrificare il presente (certo) in vista del futuro
(incerto). E mancando la prospettiva del futuro, crolla la speranza, la quale si
nutre della possibilità di creare da sé il proprio futuro. Per questa ragione,
un po’ tutta l’Europa, culla del welfare state, è investita dal fenomeno del
“pessimismo cosmico”. Ma quello degli italiani ha un quid pluris, traendo
origine da un mix difficilmente eguagliabile di iperprotezionismo e inefficienza
di Stato. Il futuro è considerato grigio in Italia, non solo perché lo Stato si
surroga ai privati in molti ambiti, ma anche perché ostacola la residuale
iniziativa privata con mille lacci burocratici. Infiniti certificati, nulla osta
e procedure autorizzative opprimono gli italiani, frustrandone l’iniziativa ed
essiccando la linfa vitale della speranza. Ovviamente lo Stato non crea ostacoli
ad libitum; vuole solo proteggere.
Ognuno dei tanti passaggi di “cartuccelle” è giustificato in nome della massima
protezione dei beni pubblici (salute, ambiente, in primis); sicché, in ultima
analisi, la pubblica amministrazione iperprotettiva risulta paralizzante. Se, ad
ogni scroscio di pioggia, si chiudono le scuole, si proteggono i pargoli dal
rischio di inzupparsi i vestiti, ma si ostacola il loro apprendimento. Non c’è
dunque da stupirsi se gli italiani, pur avendo il privilegio di vivere nel Bel
Paese, dove un tempo si cantava “Sole mio”, sono i più pessimisti al mondo. Gli
allerta meteo li hanno paralizzati e hanno sottratto loro la speranza.
SPROFONDO ITALIA.
Giovanni Vasso su L'identità il 13 Maggio 2023.
Si stava meglio quando si stava peggio. O, almeno, si stava meglio negli anni
’90. In particolare, nel 1995. Quell’anno uscì m-IRC, la paleochat dell’internet
degli albori, c’era Corona che cantava Baby-Baby, il tormentone era il pop ultra
sincopato di John Scatman e sugli schermi tv degli italiani appariva quello spot
della Levi’s che s’è impresso a fuoco nell’immaginario collettivo: mister
Bombastic, ricordate? Ma la nostalgia non c’entra nulla, così come non c’entra
nulla la parabola della musica, né l’onnipervasività dei social e lo sviluppo
delle connessioni. È questione di cifre. Parlano i numeri e quello che dicono è
a dir poco imbarazzante.
Secondo Confcommercio, che ieri ha presentato un rapporto redatto con il Censis
sulla condizione economica delle famiglie, il reddito reale pro capite degli
italiani, nel 2022, è di 150 euro inferiore rispetto al 1995. Invece di andare
avanti, siamo andati indietro. Con buona pace del mito della crescita costante,
del progresso. Oggi, dopo aver superato una pandemia ed esserci imbarcati in una
guerra guerreggiata, si iniziano a intravedere i fallimenti di tre decenni di
chiacchiere. “Trent’anni di bassa crescita si sentono nelle nostre tasche”,
tuona il direttore del centro studi di Confcommercio, Mariano Bella che denuncia
come siano tornati, purtroppo, di moda “temi di disagio sociale” e si assista
alla “crescita della povertà assoluta”.
Bella ha spiegato: “Non abbiamo recuperato né il reddito disponibile pro capite
del 2019 né, tantomeno, quello del 2007, cioè il massimo. Siamo addirittura
sotto di 150 euro in termini reali rispetto al 1995, cioè quasi trent`anni fa”.
Quindi ha aggiunto: “Nel lungo periodo la spesa reale è andata un po` meglio del
reddito: abbiamo recuperato quasi i livelli del 2019 ma siamo sotto i massimi
del 2007 ancora di 800 euro a testa”. Lo spartiacque, ora, sembra il Covid:
“Bisogna ricordare gli ingenti aiuti pubblici. Faccio notare che nel 2020 i
consumi sono calati molto più del reddito disponibile reale, e questo ha
generato risparmio in eccesso, diciamo non desiderato; e poi a fronte di redditi
solo moderatamente crescenti nel biennio 2021-2022 c’è stato il quasi recupero
dei consumi: si capisce, quindi, che è stato sostento da quel risparmio a sua
volta generato dai trasferimenti e dai sostegni pubblici che hanno funzionato”.
Insomma, non c’è stato chissà che salto in avanti, più semplicemente gli
italiani si sono ritrovati in tasca un tesoretto che, appena è tornata una
parvenza di normalità, hanno consumato. Il presidente Confcommercio Carlo
Sangalli perciò avvisa: “Il risparmio sta esaurendo il sostegno ai consumi e
l’incertezza per l’inflazione e il rialzo dei tassi di interesse comprimono le
intenzioni di acquisto. Si rischia di rallentare la ripresa, nonostante la
fiducia delle famiglie sia alta”. Già, perché uno dei grandi paradossi è proprio
questo: i consumi sono sostanzialmente fermi, al punto che la produzione
industriale italiana, per il terzo mese di fila, a marzo ha fatto segnare il
segno meno. Ma, contestualmente, la fiducia delle famiglie resta altissima. Che
sia il coraggio della disperazione di chi crede che non si possa andare peggio
di così?
Comunque la si voglia leggere, i numeri dipingono una situazione è drammatica:
“È fondamentale accelerare le riforme, in particolare quella fiscale, e
utilizzare al meglio le risorse del Pnrr”, ricorda Sangalli. Altrimenti si starà
ancora peggio, nel ricordo di un passato che torna ma solo per gli aspetti
negativi.
Antonio Giangrande.
Da macellaio a fruttivendolo; da pizzaiolo a subagente assicurativo. Da
semi-avvocato (praticante con patrocinio legale), con abilitazione impedita dal
sistema criminale, a Perito Fonico Trascrittore Dattilografo Stenotipista
Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari…e Saggista per sempre.
Sig. Dirigente,
Sono il dott.
Antonio Giangrande, di Avetrana (TA), laureato in Giurisprudenza e 6 anni di
esercizio forense, noto sociologo storico con 435 saggi pubblicati su argomenti
e territori differenti, con Attestato di Qualifica Professionale di Tecnico dei
Servizi Giudiziari.
Tale qualifica mi
permette di offrire una collaborazione occasionale remunerata (al pari degli
altri docenti) senza partita iva ad integrazione dei normali corsi formativi
scolastici.
Gli studenti
usufruirebbero di una formazione, che all’esterno sarebbe onerosa.
La collaborazione è
attinente, principalmente, allo studio della Stenotipia computerizzata.
La stenotipia
computerizzata è l'evoluzione della dattilografia e della stenografia ed è
esclusiva chiave per vari sbocchi professionali (Tribunali, Aziende, Enti
locali).
Tribunali – Procure
– Pubbliche Amministrazioni – Consigli di Amministrazione – Case Circondariali –
Ecc.
Lo studio della
Stenotipia sarebbe esclusivo. Solo in Puglia è esistito tale corso ed è stato a
pagamento.
La Regione Puglia
ha riconosciuto il corso di Tecnico dei Servizi Giudiziari (Tecnico dell’analisi
e trascrizione di segnali fonici e di gestione della perizia di trascrizione in
ambito forense), attraverso Dea Center sas - Salice Salentino (Lecce) è un
Istituto di formazione professionale accreditato dalla Regione Puglia con D.D.
210 del 28-03-2013.
Tribunali – Procure
– Pubbliche Amministrazioni – Consigli di Amministrazione – Case Circondariali –
Ecc.
Tecnico dei Servizi
Giudiziari (Tecnico dell’analisi e trascrizione di segnali fonici e di gestione
della perizia di trascrizione in ambito forense).
Dea Center sas -
Salice Salentino (Lecce) è un Istituto di formazione
professionale accreditato dalla Regione Puglia con
D.D. 210 del 28-03-2013.
Tecnico dei Servizi
Giudiziari, Attestato di Qualifica Professionale.
Corso di formazione
per l'acquisizione della certificazione di Tecnico dell'Analisi e Trascrizione
di Segnali Fonici e di Gestione della Perizia di Trascrizione in Ambito Forense,
svolto presso Dea Center sas (Organismo di Formazione Professionale riconosciuto
da Regione Puglia e Provincia di Lecce).
Modulo di studio:
Stenotipia
computerizzata
Diritto
Diritto Penale e
Procedura Penale
Igiene e Sicurezza
sul lavoro
Ragioneria
Psicologia
Comunicazione
interpersonale
Trascrizione di
segnali fonetici
Grammatica italiana
Linguistica Forense
Analisi linguistica
del parlato
Criminologia
Semantica
Dialettologia
italiana
Fonetica e
Fonologia
Informatica
Stage.
TECNICI DEI SERVIZI
GIUDIZIARI
funzione in un
contesto di lavoro:
Questa figura
possiede una strutturata conoscenza della disciplina normativa di settore, tale
da consentire di esercitare funzioni ausiliarie del giudice e del pubblico
ministero presso gli uffici giudiziari
competenze
associate alla funzione:
I tecnici dei
servizi giudiziari curano gli aspetti amministrativi ed esecutivi delle
decisioni delle corti di giustizia; organizzano il materiale documentario e
probatorio e documentano lo svolgimento dei processi, riportando a verbale
testimonianze, interventi delle parti e decisioni.
sbocchi
professionali:
cancelliere,
segretario giudiziario, ufficiale giudiziario, vice cancelliere
La sinistra ha il
buonismo ed il Politicamente Corretto su immigrazione ed LGBTI, la destra il
proibizionismo ed il punizionismo moralista sul sesso e la droga. Il
Giustizialismo per entrambi è per gli altri, il garantismo per se stessi.
Antonio Giangrande:
Anzichè far diventare ricchi i poveri con l'eliminazione di caste (burocrati
parassiti) e lobbies (ordini professionali monopolizzanti), i cattocomunisti
sotto mentite spoglie fanno diventare poveri i ricchi. Così è da decenni, sia
con i governi di centrodestra, sia con quelli di centrosinistra.
Antonio Giangrande:
Da giovane praticante avvocato con patrocinio legale (abilitazione a tempo di 6
anni e competenza civile limitata e per reati minori) mi sono scontrato con la
malagiustizia e l’ingiustizia.
Vittima di un mondo
forense e giudiziario dove cane non mangia cane.
Non avendo
protezione ero discriminato nello svolgimento della professione e
nell’abilitazione.
Sono stato
costretto all’attacco per difendermi.
Mi sono rivolto con
prove alle istituzioni man mano superiori, nell’omissione degli organi
inferiori.
E’ lì che, anziché
trovare alleati, è nato il complotto nei miei confronti, che mi ha annientato.
Sono stato vittima
di repressione e persecuzione per aver denunciato l’accesso truccato alle
professioni forensi e giudiziarie e sollevato casi di malagiustizia ed
ingiustizia.
17 anni di
bocciature all'esame di avvocato con compiti non corretti e voti identici.
Procedimenti penali
finiti nel nulla attivati contro di me da magistrati ed avvocati.
Pulito, ma povero. Ciò nonostante sono orgoglioso di essere diverso e
rappresentare al mondo con i miei saggi una realtà sconosciuta.
Dr
Antonio Giangrande
Da “L’Attimo
fuggente”. (Robin Williams) John Keating:
“Due strade trovai
nel bosco, io scelsi la meno battuta, per questo sono diverso.”
“Dobbiamo sempre
guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso.”
“Vivi la tua vita
intensamente prima che tutto finisca... perché dopo saremo cibo per i vermi e
concime per i fiori...”
“Qualunque cosa si
dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla
cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da
angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti?
Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere
qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete
l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!”
Ognuno di noi è
segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si
chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca
commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola,
lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla
corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo
l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!».
Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché
tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà
senza filtri. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi
la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento. Il
pensiero va a quella poesia che il vate americano Walt Whitman scrisse dopo
l'assassinio del presidente Abramo Lincoln, e a lui dedicata. Gli stessi versi
possiamo dedicare a tutti coloro che, da diversi nell'omologazione, la loro vita
l’hanno dedicata per traghettare i loro simili verso un mondo migliore di quello
rispetto al loro vivere contemporaneo. Il Merito: Valore disconosciuto ed
osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte.
Studiare non
significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di
trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non
esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista,
violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione
mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più
semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non
saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi
stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo
chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per
la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
A proposito di
Sarri. Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano
occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano
un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più
bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli
indispensabili. Gli interisti sono come i comunisti: quando perdono è perchè gli
altri rubano (così risuccederà con la Juve) o gridano al "razzista" per farli
degradare, come succede al Napoli. Se poi i media sono in mano a giornalisti di
sinistra o comunque del nord è tutto dire. I salottieri si scandalizzano del
"Frocio" dato a al furbo Mancini, ma si sbrodolano con la parola "terrone" dato
a destra ed a manca in ogni tempo e in ogni dove. E' vero che ormai il potere è
gay (vedi le leggi in Parlamento) e le femministe si sono prostate all'Islam
(vedi le reazioni su Colonia), ma frocio è una offesa soggettiva. Terrone è una
offesa ad un intero popolo. Ma tutti tacciono, anche i meridionali coglioni. Se
"Terrone" vuol dire cafone ignorante: bèh , non prendo lezioni dai veri razzisti
e ignoranti. (Se qualcuno ha qualche commento fuori luogo. Gli consiglio di
leggere il mio libro "L'Italia Razzista"!
Facebook. Da Museo
Di Emozioni Napoli: Tifoso del Napoli (con la maglia N.10) avvicina Gasperini e
gli dici “forza Napoli”... a quel punto interviene uno dello staff dandogli del
“Terrone del Cazzo”
Non male direi
Antonio Giangrande: John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e
idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a
me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il
mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi.
Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da
un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete
straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo
stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e
scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo
membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge,
economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro
sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste
le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society),
film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è
capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per
tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società
individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia
decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose
più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non
saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi
stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo
chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per
la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce
presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia
di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni.
Ignorato dai media servi del potere.
Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo
del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la
vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...
Perchè
i regimi cosiddetti democratici ci vogliono poveri? Per incentivare lo
schiavismo psicologico che crea il potere di assoggettamento. Nessun regime
capitalistico o socialista agevola il progresso economico delle classi più
abbienti e numerose, che nelle cosiddette democrazie rappresentative sono
indispensabili alla creazione ed al mantenimento del Potere.
Il
Regime capitalista è in mano a caste e lobby che pongono limiti e divieti al
libero accesso ed esercizio di professioni ed imprese.
Il
regime socialista è in mano all'élite politica che pone limiti alla ricchezza
personale.
Tutti
i regimi, per la loro sopravvivenza, aborrano la democrazia diretta e l'economia
diretta. Infondono il culto della rappresentanza politica e della mediazione
economica. Agevolano familismo, nepotismo e raccomandazioni.
Muhammad Yunus, l’economista bengalese settantottenne, Nobel per la pace nel
2006, che con l’invenzione del microcredito in 41 anni ha cambiato l’esistenza
di milioni di poveri portandoli a una vita dignitosa, non ha avuto esitazioni,
giovedì 17 maggio 2018 all’Auditorium del grattacielo di Intesa San Paolo a
Torino, nell’indicare la via possibile verso l’impossibile: eliminare la
povertà. E contestualmente la disoccupazione e l’inquinamento. Come riferisce
Mauro Fresco su Vocetempo.it il 24 maggio 2018, tutto il sistema economico
capitalistico, nell’analisi di Yunus, deve essere riformato. A partire
dall’educazione e dall’istruzione, immaginate per plasmare persone che ambiscono
a un buon lavoro, a essere appetibili sul mercato; ma l’uomo non deve essere
educato per lavorare, per vendere se stesso e i propri servizi, deve essere
formato alla vita; l’uomo non deve cercare lavoro, ma creare lavoro, senza
danneggiare altri uomini e l’ambiente. Perché ci sono i poveri, si domanda
Yunus, perché la gente rimane povera? Non sono gli individui che vogliono essere
poveri, è il sistema che genera poveri. Ci stiamo avviando al disastro, sociale
e ambientale: oggi, otto persone possiedono la ricchezza di un miliardo di
individui, questi scenari porteranno, prima o poi, a uno scenario violento:
dobbiamo evitarlo. La civiltà è basata sull’ingordigia. Dobbiamo invece mettere
in atto la transizione verso la società dell’empatia.
Yunus
ha dimostrato, con il microcredito prima e con la Grameen Bank poi, che quella
che a economisti e banchieri sembrava un’utopia irrealizzabile è invece
un’alternativa concreta, che dal Bangladesh si è via via allargata a più di 100
Paesi, Stati Uniti ed Europa compresi. Con ironia, considerando la sede che lo
ospitava, Yunus ha ricordato che, quando qualcuno gli ribadiva che un progetto
non era fattibile, «studiavo come si sarebbe comportata una banca e facevo
esattamente il contrario». Fantasia, capacità di rischiare e, soprattutto,
conoscenza e fiducia nell’umanità, in particolare nelle donne, sono i segreti
che hanno permesso di dar vita a migliaia di attività imprenditoriali, ospedali,
centrali fotovoltaiche, sempre partendo dal basso e da progettualità diffuse.
L’impresa sociale, che ha come obiettivo coprire i costi e reinvestire tutti
profitti senza distribuire dividendi, sostiene Yunus, è l’alternativa possibile
e molto concreta per vincere «la sfida dei tre zeri: un futuro senza povertà,
disoccupazione e inquinamento», titolo anche del suo ultimo lavoro pubblicato da
Feltrinelli. L’impresa sociale può permettersi di produrre a prezzi molto più
bassi, non ha bisogno di marketing pervasivo, campagne pubblicitarie continue,
packaging attraente per invogliare il consumatore. Così anche le "verdure
brutte", quel 30 per cento di produzione agricola che l’Europa butta perché di
forma ritenuta non consona per essere proposta al consumatore – «la carota
storta, la patata gibbosa, la zucchina biforcuta una volta tagliate non sono più
brutte» ha ricordato sorridendo Yunus – possono essere utilizzate da un’impresa
sociale e messe in vendita per essere cucinate e mangiate.
«Il
reddito di cittadinanza per tutti? È questo che intendiamo per dignità della
persona? Ai poveri dobbiamo permettere un lavoro dignitoso, la carità non
basta».
Il
premio Nobel Yunus: "Il reddito di cittadinanza rende più poveri e nega la
dignità umana". Scrive il HuffPost il 13 maggio 2018. L'economista ideatore del
microcredito intervistato dalla Stampa: "I salari sganciati dal lavoro rendono
l'uomo un essere improduttivo e senza creatività". "Il reddito di cittadinanza
rende più poveri, non è utile a chi è povero e a nessun altro, è una tipica idea
di assistenzialismo occidentale e nega la dignità umana". Parola di Muhammad
Yunus, economista e banchiere bengalese che ha vinto il premio Nobel per la pace
nel 2006 per aver ideato e creato la "banca dei poveri". In un'intervista a La
Stampa, l'inventore del microcredito boccia tout court il caposaldo del
programma M5S: "I salari sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere
improduttivo, ne cancellano la vitalità e il potere creativo".
Secondo Yunus l'Europa ha un grande limite. "L'Asia avrebbe bisogno di molte
cose che in Europa ci sono e ci sono da tanto tempo, ma trovo che da voi ci sia
un pensiero unico che limita gli slanci. Mi spiego meglio: le società europee
sono ossessionate dal lavoro, tutti devono trovare un lavoro, nessuno deve
rimanere senza lavoro, le istituzioni si devono preoccupare che i cittadini
lavorino... Invece in Asia la famiglia è il luogo più importante e non c'è
questo pensiero fisso del lavoro: esiste una sorta di mercato informale, in cui
gli uomini esercitano loro stessi come persone. Penso che la lezione positiva
che viene dall'Asia sia quella di ridisegnare il sistema finanziario attuale,
privilegiando la dignità delle persone e il valore del loro tempo".
Durissimo il giudizio sul reddito di cittadinanza. "è la negazione dell'essere
umano, della sua funzionalità, della vitalità, del potere creativo. L'uomo è
chiamato a esplorare, a cercare opportunità, sono queste che vanno create, non i
salari sganciati dalla produzione, che per definizione fanno dell'uomo un essere
improduttivo, un povero vero".
Noi
abbiamo una Costituzione comunista immodificabile con democrazia rappresentativa
ad economia capitalista-comunista e non liberale.
I veri
liberali adottano l'economia diretta con la libera impresa e professione.
Lasciano fare al mercato con la libera creazione del lavoro e la preminenza dei
migliori.
I veri
democratici adottano la democrazia diretta per il loro rappresentanti esecutivi,
legislativi e giudiziari, e non quella mediata, come la democrazia
rappresentativa ad elevato astensionismo elettorale, in mano ad un élite
politica e mediatica.
Ci
vogliono poveri e pure fiscalmente incu…neati.
Quanto
pesa il cuneo fiscale sui salari in Italia? E in Europa? Nell'ultimo anno la
busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del
47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore
italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà, scrive l'Agi.
Che
cos’è il cuneo fiscale e quanto pesa in Italia. Il cuneo fiscale – in inglese
Tax wedge – è definito dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico) come «il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un
singolo lavoratore medio (una persona single con guadagni nella media e senza
figli) e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore».
Nella
definizione dell’Ocse sono comprese oltre alle tasse in senso stretto anche i
contributi previdenziali. Quindi se per un datore il costo del lavoratore è pari
a 100, il cuneo fiscale rappresenta la porzione di quel costo che non va nelle
tasche del dipendente ma nelle casse dello Stato. Nel caso dei contributi, i
soldi raccolti dallo Stato vengono poi restituiti al lavoratore sotto forma di
pensione (ma, come spiega l’Inps, nel nostro sistema “a ripartizione” sono i
lavoratori attualmente in attività a pagare le pensioni che vengono oggi
erogate: non è che il pensionato incassi quanto lui stesso ha versato nel corso
della propria vita, come se avesse un conto personale e separato presso l’Inps).
Secondo il più recente rapporto dell’Ocse Taxing Wages 2019 – pubblicato l’11
aprile 2019 – nel 2018 in Italia la busta paga di un lavoratore medio (circa 30
mila euro lordi) era tassata del 47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in
busta paga, a un lavoratore italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi
la metà. Ma come siamo messi in Europa da questo punto di vista?
La
situazione in Europa. Il rapporto dell’Ocse Taxing Wages 2019 contiene anche una
classifica dei suoi Stati membri, in base al peso del cuneo fiscale. Andiamo a
vedere come si posizionano l’Italia e il resto degli Stati Ue presenti in
classifica. Roma arriva terza, con il 47,9 per cento. Davanti ha il Belgio,
primo in classifica con un cuneo fiscale (e contributivo) pari al 52,7 per
cento, e la Germania con il 49,5 per cento. Subito sotto al podio si trova la
Francia, con il 47,6 per cento, appaiata con l’Austria. Seguono poi Ungheria,
Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Lettonia e Finlandia. Gli altri Stati
comunitari grandi e medio-grandi sono nettamente più in basso in classifica: la
Spagna è sedicesima nella Ue con il 39,6 per cento, la Polonia ventesima con il
35,8 per cento, e il Regno Unito ventitreesimo con il 30,9 per cento. Londra è
poi, dei Paesi Ue che sono anche membri dell’Ocse, quello con il cuneo fiscale
minore.
Altri
Paesi Ocse. In fondo alla classifica dell’Ocse non troviamo nessuno Stato
dell’Unione europea. La percentuale più bassa è infatti attribuita al Cile,
appena il 7 per cento di cuneo fiscale. Davanti, staccati, arrivano poi Nuova
Zelanda (18,4) e Messico (19,7). Degli Stati europei, ma non Ue, quello con la
percentuale più bassa è la Svizzera, con un cuneo fiscale del 22,2 per cento.
Gli Stati Uniti, infine, hanno un cuneo pari al 29,6 per cento. La media Ocse è
del 36,1 per cento.
Conclusione. In Italia il cuneo fiscale è pari al 47,9 per cento. Questa è la
terza percentuale più alta tra i Paesi dell’Ocse. Davanti a Roma si trovano
solamente Berlino e Bruxelles.
CI STANNO PORTANDO NELLA GIUSTA DIREZIONE? Mariano
Amici il 2 Settembre 2023
CONTINUIAMO A FAR MATURARE LE COSCIENZE.
Per
entrare in riflessione leggete questo racconto emozionante di un’ Italia ormai
scomparsa pubblicato da Eraldo Pecci
“A
metà degli anni Sessanta c’era lavoro, crescita, ottimismo. La gente lavorando
acquisiva certezze e benessere. Ci si costruiva la casa, si comprava prima la
Vespa e poi la si cambiava con l’auto, il frigorifero, la televisione. E
d’estate si cominciava a potersi permettere la vacanza in riviera. Noi abitavamo
al mare e, visto che arrivava gente, ci organizzavamo per accoglierla. Quei tre
mesi di lavoro erano detti “la stagione” ed era normale che si iniziasse a farla
anche da bambini.
Io
cominciai nel giugno del 1965 quando avevo da poco compiuto dieci anni. Barista
con mio fratello Maurizio. Lui era “grande”, di anni ne aveva ormai quattordici.
Orario di lavoro dalle 8 alle 13 e dalle 19 alle 22.30-23. Cento o
centocinquanta lire al giorno, non ricordo bene, la paga. Mi sentivo utile e
importante. Anche se mi ci voleva la cassetta vuota della Coca-Cola sotto i
piedi perché altrimenti non arrivavo all’altezza giusta per fare i caffè o per
disporre le cose sul bancone. Riempivo i frigoriferi tutte le sere prima di
andarmene, controllavo le cose da ordinare ai fornitori, preparavo piattini,
tazze, cucchiaini, bicchieri, zucchero, nei vassoi che i camerieri avrebbero
solo dovuto portare per servire i clienti. Pulivo e lucidavo le mensole con su
gli alcolici e gli amari, davo lo straccio e preparavo tè, camomille e perfino
cocktail. Si iniziava da apprendisti e grazie all’aiuto e alla pazienza dei più
grandi in poco tempo si apprendeva davvero.
Che
bello era, ogni tanto, ritrovarsi con gli amici, che lavoravano a loro volta, a
mangiare una pizza e pagare il conto con le mance guadagnate! Che bello era
conoscere gente di ogni parte d’Italia e d’Europa! Imparare parole di altre
lingue. Avere le chiavi di casa in tasca e l’impressione di non pesare sugli
altri. E tutte le notti depredare il frigorifero e lasciare comunque qualcosa a
Maurizio se rientrava dopo, come lui faceva con me se rientravo più tardi io.
Qualunque fosse la sequenza, il mattino la mamma trovava regolarmente il frigo
vuoto. Bei tempi, belle sensazioni.” -Eraldo Pecci (Ci piaceva giocare a
pallone)
Antonio Giangrande: Il programma politico di Antonio Giangrande: un Sindaco
che Avetrana ha mai voluto…
"Dapprima ti ignorano. Poi ti ridono dietro. Poi cominciano a combatterti. Poi
arriva la vittoria". Mahatma Gandhi.
Si
deve portare l’attenzione verso i fondamentali concetti della democrazia quali
bene comune, cosa pubblica (res publica), trasparenza, legalità, merito,
servizio, serietà e mantenimento della parola data, ascolto e partecipazione
della cittadinanza. Per essere rappresentanti dei cittadini ed al servizio di
tutta la comunità e non solo di una parte, bisogna osteggiare il palesarsi ad
una appartenenza politica di vecchio stampo. Chi si dichiara appartenere ad una
vecchia ideologia è esso stesso vecchio e stantio oltre che motivo di tensione,
attrito e, quindi, di divisione. Il partigiano non può far parte del
rinnovamento. Sono le idee vive e geniali che fanno progredire e non le
ideologie morte, spesso prone ai Poteri forti. Nelle piccole comunità i capaci
ad amministrare son pochi e non bisogna disperderli in sciocche divisioni. Nella
amministrazione pubblica non ci sarà posto per chi, egocentrico, ha ambizioni
personali e pensa alla politica come strumento di realizzazione. Si dice che un
paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.
Facciamo sì che non ci si debba vergognare, ma essere onorati di chi ci
rappresenta. Ci si deve impegnare ad essere di esempio per gli altri.
IL
PROGRAMMA.
LA
POLITICA, LA PARTECIPAZIONE E LA TUTELA. La politica non è speculazione. La
politica deve essere servizio al cittadino ed il cittadino deve partecipare alla
politica. Il candidato, sia a Sindaco che a Consigliere Comunale, libero da
vincoli di provenienza o appartenenza politica o familiare, deve essere capace,
competente, serio, disponibile e non prono ai Poteri Forti. Non deve essere
stato condannato in modo definitivo per reati gravi. Il candidato eletto deve
lavorare per la comunità ed avere diritto all’equo compenso. Il cittadino, anche
associato, deve far sentire i suoi bisogni e proporre le soluzioni.
All’associazionismo deve essere dato sostegno ed esso deve aiutare gratuitamente
l’Amministrazione alla gestione del bene comune. Per la tutela del cittadino
deve essere istituita la figura del Difensore Civico con virtù e qualità
maggiori di quelli del Sindaco e del Consigliere Comunale e scelto dal Consiglio
Comunale tra i cittadini locali per la tutela dei diritti dei membri della
comunità nei confronti della Pubblica Amministrazione locale e nazionale. Il
Sindaco, gli Assessori ed il Presidente del Consiglio Comunale devono mettersi
in aspettativa per il proprio lavoro o professione ed essere sempre presenti
presso la casa comunale per ascoltare le esigenze della gente e controllare il
buon andamento della Pubblica Amministrazione. Ognuno di loro, per un contatto
immediato e diretto, deve avere un recapito di posta elettronica ed avere una
pagina social periodicamente aggiornata.
LA
TRASPARENZA ED IL SERVIZIO AI CITTADINI. Si deve istituire l’ufficio dell’URP
(Ufficio Relazioni con il Pubblico), al servizio dell’utenza per la conoscenza
dell'iter della pratica amministrativa e del rispetto del tempo ad essa
riservato dalla legge. Ciò nell’ottica di far percepire il Comune come un
servizio al cittadino e non come un esattore e basta. Ai dipendenti deve essere
data istruzione di disponibilità relazionale e comunicabilità adeguata rispetto
all'utenza. Deve essere dato risalto dell'attività dell'amministrazione e degli
eventi organizzati da essa o dalle associazioni locali sul sito web
dell'istituzione e su bollettini periodici da distribuire dei punti di ritrovo e
commerciali. Si deve verificare il percorso di assunzione dei dipendenti e
collaboratori dell'Ente e l'evoluzione dei contratti in essere, scaduti e
rinnovati senza gara e con mancanza di verifica di economicità. Si deve
controllare modi e costi delle consulenze esterne ed interne. Si deve verificare
ogni intervento reso ai cittadini ritenuti disagiati, affinchè non nasconda voto
di scambio. Bisogna migliorare la tracciabilità di appalti e subappalti
attraverso la pubblicazione online dei bandi di gara e dei risultati delle
stesse ed avere l’autorizzazione scritta del Comune per qualsiasi tipo di
subappalto. Ogni gara di appalto deve contenere l'impegno ad assumere un numero
indeterminato di disoccupati locali, secondo la specializzazione richiesta.
Bisogna aumentare le responsabilità degli appaltatori, attraverso regole di
appalto che riconducano unicamente all’appaltatore le responsabilità di lavori
non eseguiti nei termini od a regola d’arte o di danni provocati dal sub
appaltatore, anche durante tutto il periodo di garanzia. Bisogna migliorare il
sistema delle gare d’appalto. Rivedere il sistema delle gare economicamente
vantaggiose (lo spirito della gara dovrebbe essere di chi fa l’offerta migliore)
introducendo, come avviene in molti altri enti pubblici, un sistema di
valutazione delle offerte attraverso l’utilizzo di parametri oggettivi e non
soggettivi da parte della commissione scelta dalla stazione appaltante.
Controllare che i lavori effettuati per conto proprio o per conto delle aziende
terze sul suolo comunale siano effettuati a regola d’arte.
RISPETTO DELLA LEGGE, FISCALITA' E LOTTA ALLA EVASIONE. Il cittadino deve
rispettare la legge, per la sicurezza, il rispetto dell'ambiente ed il quieto
vivere. Bisogna essere inflessibili, ma non fiscali. Per contenere la pressione
fiscale e garantire maggiore equità contributiva al cittadino bisogna chiedere
il minimo indispensabile, agevolandolo per la riscossione, e il richiesto
tradurlo al massimo in termini di servizi ed opere. Per la lotta all'evasione
bisogna essere inflessibili, previo tentativo di verifiche e di conciliazione e
mediazione. Tutelare la prima casa ed i cittadini poveri. I disoccupati possono
pagare i tributi con una prestazione d'opera. Le associazioni devono essere
agevolate sulla fiscalità. La Pubblica Amministrazione da parte sua deve
rispettare i tempi dei procedimenti amministrativi e pagare i debiti entro 30
giorni dalla fattura.
TUTELA PATRIMONIO COMUNALE. Bisogna censire il patrimonio immobiliare del Comune
(canoni riscossi per gli immobili concessi in locazione, canoni corrisposti per
quelli di proprietà di terzi acquisiti in locazione). Elaborare un piano
pluriennale di utilizzo, razionalizzazione e cessioni del patrimonio comunale.
Valutare eventuali riqualificazioni, conversioni, cambi di destinazione d’uso e
verificate possibilità di intervento, con riguardo alle priorità dei fabbisogni
di spazi idonei e accessibili per sede degli uffici e dei servizi comunali e per
sedi e attività delle associazioni.
URBANISTICA E TERRITORIO, AMBIENTE ED AGRICOLTURA. Basare una riqualificazione
del territorio concentrata sul recupero e sulla ristrutturazione dell’esistente;
agevolare il diritto alla prima casa con nuove costruzioni e la distribuzione
dei servizi dal centro alle periferie; una gestione ambientale basata su una
mobilità che valorizzi e crei percorsi di viabilità ecologica, ciclabile e
podistica; sul valore della forestazione e la piantumazione di piante e la
relativa cura; politiche socio culturali ed economiche che promuovano uno stile
ambientalista ed allo stesso tempo sfrutti le risorge offerte dal riciclo dei
rifiuti, con creazione di posti di lavoro, ed agevolazioni per l'istallazione e
lo sfruttamento di fonti di energia alternativa sui propri fabbricati;
salvaguardia delle attività agricole, rilanciando la funzione dell’agricoltore e
di attività collegate (mercati a filiere corte, promozione di prodotti a km 0,
accordi tra agricoltori e proprietari dei fondi agricoli per mantenere i terreni
coltivati, etc.). Stop al consumo del territorio per i nuovi impianti con
pannelli fotovoltaici e favorire la loro realizzazione su capannoni industriali
o fabbricati agricoli. Si deve controllare la viabilità e la salute delle
strade, come l’ordinato parcheggio.
LAVORO. Attuare corrette misure di salvaguardia e di intervento e sfruttare le
risorse di valore Storico, Archeologico, Paesaggistico e Naturalistico del
territorio Comunale. Predisporre luoghi ed aziende per lo sfruttamento del
turismo, specialmente dove è maggiore la vocazione turistica. Incentivare gli
spostamenti in bicicletta verso le zone turistiche attraverso apposte iniziative
comunali. Promuovere e gestire itinerari turistici culturali. Rendere la
viabilità ciclabile appetibile grazie a percorsi più sicuri e rapidi.
Predisporre un sistema di raccolta porta a porta per tutto il territorio
comunale e favorire la crescita di un economia locale legata al recupero,
riciclo e riutilizzo dei materiali post consumo, compreso lo sfruttamento del
prodotto di sfalci e potature di viti ed ulivi. Predisporre e gestire in modo
corretto, etico e trasparente un canile/gattile e favorire l'adozione degli
animali. Predisporre le modalità di attuazione delle prestazioni di lavoro
occasionale di tipo accessorio come disciplinate dall'art. 4 della L. n.30/03,
dal D.Lgs. n. 276/03 (artt. 70-73), e successive integrazioni e modificazioni.
Con lo "strumento" voucher si offre la possibilità di occupazioni temporanee a
soggetti che si trovano in situazioni di svantaggio economico, di difficoltà
finanziaria, di disagio personale e/o familiare. Uno strumento che dà la
possibilità a tutti i disoccupati di prestare la loro opera per un dato periodo
di tempo per lavori di pubblica utilità. Per incentivare ogni altra forma di
impresa e debellare il fenomeno dell'usura, l'amministrazione si farà garante
verso gli istituti di credito di ogni progetto presentato ed approvato dal
Consiglio Comunale e comunque di favorire l’accesso al credito attraverso il
sostegno economico ai Confidi (consorzi di garanzia) o forme similari di
categoria o comunque la verifica degli immobili agibili e sfitti di proprietà
diretta o indiretta del comune per locazione agevolata alle attività
imprenditoriali giovanili (fino a 35 anni). Predisporre un front office
turistico multilinguistico di presentazione del territorio, con tour tematici.
SANITA’.
Predisposizione telematica di conoscenza del medico disponibile nel momento del
bisogno.
SICUREZZA.
Predisposizione di aree e vie pubbliche videosorvegliate e potenziamento del
corpo di Polizia Municipale, con collaborazioni temporanee, coadiuvato da
associazioni di cittadini locali per il controllo delle aree rurali.
PROMOZIONE DEL TERRITORIO.
Promuovere e sostenere ovunque ogni eccellenza locale nel settore dello sport,
cultura e spettacolo o ogni altra forma di realizzazione e manifestazione.
Tutelare la reputazione di Avetrana e della sua comunità con ogni mezzo e senza
remore.
SPORT.
Curare e gestire in modo economico ogni struttura comunale e renderla fruibile a
tutti.
FINANZIAMENTO.
Vogliamo farci conoscere in Europa per le nostre risorse naturali, storiche,
culturali, artistiche. Abbiamo un patrimonio da valorizzare grazie alla
progettazione europea. Si dovrà formare un gruppo compatto di professionisti
locali o non locali, remunerato per presentare progetti ed accedere ai Fondi
strutturali.
Se questa è
democrazia…
LE IDEOLOGIE
ANTIUOMO.
SOCIALISMO:
Lavoro ed
assistenzialismo, ambiente, libertà sessuale e globalizzazione sono i miti dei
comunisti.
Dio, Patria e
Famiglia sono i miti dei fascisti.
Sovranismo e
populismo sono i miti dei leghisti.
Assistenzialismo,
populismo e complottismo sono i miti dei 5 stelle.
LIBERALISMO
(LIBERISMO):
Egoismo e
sopraffazione sono i miti dei liberali.
ECCLESISMO:
Il culto di Dio e
della sua religione è il mito degli ecclesiastici.
MONARCHISMO:
Il culto del
Sovrano.
Nessuna di queste
ideologie è fattrice rivoluzionaria con l'ideale della Libertà, dell'Equità e
della Giustizia.
Per il Socialismo
le norme non bastano mai per renderti infernale la vita, indegna di essere
vissuta.
Per il Liberalismo
occorrono poche norme anticoncorrenziali per foraggiare e creare l'elìte.
Per Dio bastano 10
regole per essere un buon padre di famiglia.
Per il sovrano
basta la sua volontà per regolare la vita dei sottoposti.
Noi, come essere
umani, dovremmo essere regolati dal diritto naturale: Libertà, Equità e
Giustizia.
Liberi di fare quel
che si vuole su se stessi e sulla propria proprietà.
Liberi di
realizzare le aspettative secondo i propri meriti e capacità.
Liberi di
rispettare e far rispettare leggi chiare che si contano su due mani: i 10
comandamenti o similari. Il deviante viene allontanato.
Antonio Giangrande,
orgoglioso di essere diverso.
Nella vita di ognuno due cose sono certe: la vita e la morte.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Gli animali, da sé,
per indole emulano ed imitano, imparando atteggiamenti e comportamenti dei
propri simili. Senonché sono proprio i simili, a difesa del gruppo, a inculcare
nella mente altrui il principio di omologazione e conformazione.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello
che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
ODIO OSTENTAZIONE,
IMPOSIZIONE E MENZOGNA.
Tu esisti se la tv
ti considera.
La Tv esiste se tu
la guardi.
I Fatti son fatti
oggettivi naturali e rimangono tali.
Chi conosce i fatti
si chiama esperto ed esprime pareri.
Chi non conosce i
fatti esprime opinioni e si chiama opinionista.
Le opinioni sono
atti soggettivi cangianti.
Le opinioni se sono
oggetto di discussione ed approfondimento, in TV diventano testimonianze. Ergo:
Fatti.
Con me i pareri e
le opinioni cangianti, contrapposte e in contraddittorio, diventano fatti.
Con me i fatti, e
la Cronaca che li produce, diventano Storia.
Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità
materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed
estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla
massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il
più fortunato a precederti.
Sono un saggista, autore indipendente. Si troveranno delle recensioni deliranti
e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando
del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio
che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato,
giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni. E
se un Parlamento è composto da coglioni, si sforneranno Leggi del cazzo.
Antonio Giangrande:
A proposito di, Garanzie, Sfiducia e Debito Pubblico. Parliamo della Germania.
La Germania non ha
fiducia nell’Italia nell’onorare i suoi debiti. L’Italia è reputata indebitata,
inaffidabile e senza garanzie.
La Germania è forte
dei suoi artifici contabili e dell’irriconoscenza. I suoi debiti non li ha mai
pagati come dopo la Prima Guerra Mondiale, o se li è visti in gran parte
condonare come dopo la Seconda Guerra Mondiale. E gli sforamenti del 2003 del
tetto del 3 % deficit/pil? Dimenticati?
Antonio Giangrande: Il popolo dei nimbini (mai da me) è sempre all’opera.
Probabilmente non hanno niente da fare. Generalmente son comunisti di varie
sigle. Aggiungiamoci tra di loro pure i pentastellati, bastian contrari alla
riscossa. Ma che cazzo centrano quelli di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia
con il referendum di Domenica? Da quando in qua interessa a loro la lotta
ambientalista? O comunque la lotta sociale e civile? Sono disabituati perchè,
generalmente, i referendum sono previsti contro le loro leggi capitaliste. Il
paradosso è che, questa volta, la sinistra nimbina scende in campo contro se
stessa. Se i referendum, come gli scioperi, sono prettamente politici, perché ci
fanno spendere un “mare” di soldi per un referendum per il quale nessuno va a
votare? Tranquillamente possono far cadere i governi e cambiare le norme che non
piacciono in Parlamento!!! D'altronde, quando mai hanno rispettato l’esito dei
referendum? Specialmente quando il referendum era serio, come quello sulla
responsabilità dei magistrati!!
Dr Antonio
Giangrande di cosa si occupa con i suoi saggi e con la sua web tv?
«Denuncio i difetti
e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per
migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che
abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e
qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che “La
gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
«Libri, 6 italiani
su dieci non leggono. In Italia poi si legge sempre meno. Siamo tornati ai
livelli del 2001. Un dato resta costante da decenni: una famiglia su 10 non ha
neppure un libro in casa. I dati pubblicati dall’Istat fotografano l’inesorabile
diminuzione dei lettori, con punte drammatiche al Sud. Impietoso il confronto
con l’estero, scrive il 27 dicembre 2017 Cristina Taglietti su "Il Corriere
della Sera". La gente usa esclusivamente i social network per informarsi tramite
lo smartphone od il cellulare. Non usa il personal computer perchè non ha la
fibra in casa che ti permette di ampliare più comodamente e velocemente la
ricerca e l'informazione. La gente, comunque, non va oltre alla lettura di un
tweet o di un breve post, molto spesso un fake nato dall'odio o dall'invidia, e
lo condivide con i suoi amici. Non verifica o approfondisce la notizia. Non
siamo nell'era dell'informazione globale, ma del "passa parola" totale. Di
maggiore impatto numerico, invece, è la ricerca sui motori di ricerca, non di un
tema o di un argomento di cultura o di interesse generale, ma del proprio nome.
Si digita il proprio nome e cognome, racchiuso tra virgolette, per protagonismo
e voglia di notorietà e dalla ricerca risulta quanti siti web lo citano. Non si
aprono quei siti web per verificare il contenuto. Si fermano sulla prima frase
che appare sulla home page di Google o altri motori similari, estrapolata da un
contesto complesso ed articolato. Senza sapere se la citazione è diffamatoria o
meritoria o riconducibile all'autore da lì partono querele, richieste di
rimozione per diritto all’oblio o addirittura indifferenza».
Ha un esempio da
fare sull’impedimento ad informare?
«Esemplari sono le
querele e le richieste di rimozione. Libertà di informazione, nel 2017
minacciati 423 giornalisti. I dati dell'osservatorio promosso da Fnsi e Ordine.
La tipologia di attacco prevalente è l'avvertimento (37 per cento), scrive il 31
dicembre 2017 "La Repubblica". Ognuno di questi operatori dell'informazione è
stato preso di mira per impedirgli di raccogliere e diffondere liberamente
notizie di interesse pubblico. La tipologia di attacco prevalente è stata
l'avvertimento (37 per cento) seguita dalle querele infondate e altre azioni
legali pretestuose (32 per cento)».
E
sull’indifferenza…
«Le faccio leggere
un dialogo tra me e un tizio che mi ha contattato senza conoscermi, nonostante
la mia notorietà. Uno dei tanti italiani che non si informa, ma usa internet in
modo distorto. Uno di quel popolo di cercatori del proprio nome sui motori di
ricerca e che vive di tweet e post. Un giorno questo tizio mi chiede “Lei ha
scritto quel libro?”
E' un saggio -
rispondo io. - L'ho scritto e pubblicato io e lo aggiorno periodicamente. A tal
proposito mi sono occupato di lei e di quello che ingiustamente le è capitato,
parlandone pubblicamente in modo disinteressato, come ristoro delle sofferenze
da lei subite, pubblicando l'articolo del giornale in cui è stato pubblicato il
pezzo. Inserendolo tra le altre testimonianze. Comunque ho scritto anche un
libro sul territorio di riferimento. Come posso esserle utile?
“Volevo giusto
capire, io mi sono imbattuto per caso nell'articolo, cercando il mio nome... E
sotto l'articolo ho visto un link che mi collegava al suo saggio...Capire più
che altro perché prendere articoli di giornale su altra gente e farne un
saggio... Sono solo curiosità”.
E’ comodo definirsi
scrittori da parte di chi non ha arte né parte - spiego io. - I letterati, che
non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti.
E’ facile scrivere “C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di
fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare
di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale. In generale. Dico, in generale:
io non esprimo mie opinioni. Prendo gli articoli dei giornali, citando
doverosamente la fonte, affinchè non vi sia contestazione da parte dei coglioni
citati, che siano essi vittime, o che siano essi carnefici. Perchè deve sapere
che i primi a lamentarsi sono proprio le vittime che io difendo attraverso i
miei saggi, raccontando tutto quello che si tace.
"Siccome io le ho
detto mi sono solo imbattuto per "caso"... Io ho visto questa cosa e
sinceramente l'ho letta perché ho visto il mio nome, ma se dovessi prendere il
suo saggio e leggerlo non lo farei mai. Perché: Cerco di lavorare ogni giorno
con le mie forze. I miei aggiornamenti sono tutt'altro. Faccio tutto il
possibile per offrirmi un futuro migliore. Sono sempre impegnato e non riuscirei
a fermarmi due minuti per leggere".
Rispetto la sua
opinione - rispondo. - Era la mia fino ai trent'anni. Dopo ho deciso che è
meglio sapere ed essere che avere. Quando sai, nessuno ti prende per il culo...
"Ma per le cose che
mi possono interessare per il mio lavoro e il mio futuro nessuno mi può prendere
per il culo ... Poi è normale che in ogni campo ci sia l'esperto…"»
Come commenta...
«Confermo che
quando sai, nessuno ti prende per il culo. Quando sai, riconosci chi ti prende
per il culo, compreso l’esperto che non sa che a sua volta è stato preso per il
culo nella sua preparazione e, di conseguenza sai che l’esperto, consapevole o
meno, ti potrà prendere per il culo».
Comunque rimane la
soddisfazione di quei quattro italiani su dieci che leggono.
«Sì, ma leggono
cosa? I più grandi gruppi editoriali generalisti, sovvenzionati da politica ed
economia, non sono credibili, dato la loro partigianeria e faziosità. Basta
confrontare i loro articoli antitetici su uno stesso fatto accaduto.
Addirittura, spesso si assiste, sulle loro pagine, alla scomparsa dei fatti. Di
contro troviamo le piccole testate nel mare del web, con giornalisti coraggiosi,
ma che hanno una flebile voce, che nessuno può ascoltare. Ed allora, in queste
condizioni, è come se non si avesse letto nulla».
Concludendo?
«La gente non
legge, non sa, ma sceglie, decide e parla...e vota. Nel paese degli
Acchiappacitrulli, più che chiedere voti in cambio di progetti, i nostri
politici sono generatori automatici di promesse (non mantenute), osannati da
giornalisti partigiani. Questa gente che non legge, non sa, ma sceglie, decide e
parla, voterà senza sapere che è stata presa per il culo, affidandosi ai
cosiddetti esperti. I nostri politici gattopardi sono solo mediocri
amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono
coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante
la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed
improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti».
Cane non mangia
cane. E questo a Taranto, come in tutta Italia, non si deve sapere.
Questo il commento
del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS che ha
scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui
nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei
magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la pubblica. Chi è amico
degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. "Siediti lungo la riva del
fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico",
proverbio cinese. Qualcuno a me disse, (Aldo Feola), avendo indagato sulle
malefatte degli avvocati e magistrati: “poi vediamo se diventi avvocato”...e
così fu. Mai lo divenni e non per colpa mia.
Dei magistrati già
sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una condanna penale o
civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una sanzione disciplinare.
MAI DIRE MAFIA: IL
CALVARIO DI ANTONIO GIANGRANDE.
Guerra aperta
contro alcuni magistrati di Taranto: denuncia per calunnia e diffamazione alla
Procura di Potenza, richiesta di ispezione ministeriale al Ministro della
giustizia e richiesta di risarcimento danni per responsabilità civile dei
magistrati al Presidente del Consiglio dei Ministri.
«Non meditar
vendetta! Ma siedi sulla riva del fiume e aspetta di veder passare il corpo del
tuo nemico! Ed io ho aspettato…..affinchè una istituzione, degna dell’onor di
patria, possa non insabbiare una mia legittima ed annosa aspettativa di
giustizia. Perché se questo succede a me, combattente nato, figuriamoci a chi è
Don Abbondio nell’animo. Già che sono in buona compagnia. Silvio Berlusconi:
"Venti anni di guerra contro di me. In Italia giustizia ingiusta per tutti" ».
Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia
riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai
circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.
«Puntuale anche
quest’anno è arrivato il giorno dedicato all’inaugurazione dell’anno
giudiziario. Un appuntamento che, da tempo immemore ripropone un oramai vetusto
ed urticante refrain: l’aggressione virulenta ai magistrati portata da tutti
coloro che non fanno parte della casta giudiziaria. Un piagnisteo continuo. Un
rito liturgico tra toghe, porpore e carabinieri in alta uniforme. Eppure qualche
osservazione sulle regole che presidiano e tutelano l’Ordine giudiziario
italiano dovrebbe essere fatta. Faccio mie le domande poste da L’Infiltrato
Speciale su Panorama. Quale sistema prevede una “sospensione feriale” per 3 mesi
filati? Quale organizzazione non prevede un controllo sul tempo effettivo
trascorso in ufficio ovvero regola e norma ogni forma di…telelavoro da casa?
Quale altro ruolo istituzionale prevede l’impunità di fatto per ogni atto
compiuto nell’esercizio del proprio magistero? Quale altro organo dello Stato è
il giudice di se stesso? Ma, soprattutto, può il dovere di imparzialità del
giudice sposarsi con lo svolgimento di vera e propria attività politica entro le
varie “correnti” interne alla magistratura? Qualcuno potrà negare che diversi
esponenti di magistratura democratica abbiano rivendicato apertamente le radici
nel pensiero marxista leninista della propria corrente? Dico questo senza alcun
pregiudizio e, anzi, con il rispetto che devo ad amici e magistrati che stimo ed
ai quali questa percezione, che non credo sia mio esclusivo patrimonio, non
rende il giusto merito.
Detto questo
premetto che la pubblicazione della notizia relativa alla presentazione di una
denuncia penale e alla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato
costituisce lecito esercizio del diritto di cronaca. La pubblicazione della
notizia relativa alla presentazione di una denuncia penale e alla sua iscrizione
nel registro delle notizie di reato, oltre a non essere idonea di per sé a
configurare una violazione del segreto istruttorio o del divieto di
pubblicazione di atti processuali, costituisce lecito esercizio del diritto di
cronaca ed estrinsecazione della libertà di pensiero previste dall'art. 21
Costituzione e dall'art 10 Convenzione europea dei diritti dell'uomo, anche se
in conflitto con diritti e interessi della persona, qualora si accompagni ai
parametri dell'utilità sociale alla diffusione della notizia, della verità
oggettiva o putativa, della continenza del fatto narrato o rappresentato. (Corte
di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 22 febbraio 2008, n. 4603).
Ed allora ecco
alcuni brani dell’atto presentato alle varie istituzioni.»
"Si presenta, per
fini di giustizia ed a tutela del prestigio della Magistratura oltre che per
tutela del diritto soggettivo dell’esponente, l’istanza di accertamento della
responsabilità penale ed amministrativa e richiesta di risarcimento del danno,
esente da ogni onere fiscale, in quanto già ammesso al gratuito patrocinio nei
procedimenti de quo. Responsabilità penale, civile ed amministrativa che si
ravvisa per i magistrati nominati per azioni commesse da questi in unione e
concorso con terzi con dolo e/o colpa grave. Elementi costitutivi la
responsabilità civile dei magistrati di cui alla Legge 13 aprile 1988, n. 17:
a) la grave
violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione,
determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è
incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
PER IL PRIMO FATTO
L’Avv. Nadia
Cavallo presenta il 10/06/2005 una denuncia/querela nei confronti di Antonio
Giangrande, sottoscritto denunciante, per avere, con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso, in unione e concorso con Monica Giangrande, con
denuncia-querela presentata all’A.G., incolpato Cavallo Nadia Maria del reato di
truffa e subornazione, pur sapendola innocente. La denuncia di Cavallo Nadia
Maria è palesemente calunniosa e diffamatoria nei confronti di Antonio
Giangrande in quanto la denuncia di cui si fa riferimento e totalmente estranea
ad Antonio Giangrande e non è in nessun modo riconducibile ad egli.
Insomma: la
denuncia a firma di Antonio Giangrande non esiste.
Pur mancando la
prova della calunnia, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per
il dr. Antonio Giangrande.
La dott.ssa Pina
Montanaro apre il fascicolo n. 5089/05 R.G. notizie di reato. Non espleta
indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e nel
procedimento Gip n. 2612/06, pur non supportato da alcuna prova di accusa, in
quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, chiede
comunque in data 20 aprile 2006 il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande in
concorso ed unione con Monica Giangrande.
Il Dr Ciro Fiore
nel procedimento Gip n. 2612/06, pur non supportato da alcuna prova di accusa in
quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone
comunque in data 02 ottobre 2006 il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande in
concorso ed unione con Monica Giangrande.
Il processo a
carico di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande
contraddistinto con il n. 10306/10 RGDT si apre con l’udienza del 06/02/07
presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del
Tribunale di Taranto, ma la posizione di Antonio Giangrande è stralciata per
vizi di notifica.
Il Dr Pompeo
Carriere il 28/04/2010 riapre il procedimento Gip n. 2612/06, dopo lo stralcio
della posizione di Antonio Giangrande rispetto alla posizione di Monica
Giangrande per vizi di forma della richiesta di rinvio a giudizio. Su apposita
richiesta della difesa di Antonio Giangrande di emettere sentenza di non luogo a
procedere per il reato di calunnia ove ritenga o accerti che ci siano degli
elementi incompleti o contraddittori riguardo al fatto che l'imputato non lo ha
commesso, il dr. Pompeo Carriere, il 19 luglio 2010, disattende tale richiesta e
dispone nei confronti del Pubblico Ministero l’ulteriore integrazione delle
indagini e l’acquisizione delle prove mancanti per sostenere l’accusa in
giudizio contro Antonio Giangrande. All’udienza dell’8 novembre 2010, il
Pubblico Ministero non ha svolto le indagini richieste, anche a favore
dell’indagato, e non ha integrato le prove necessarie. Ciononostante in tale
data il dr. Pompeo Carriere, pur non supportato da alcuna prova di accusa, in
quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone
comunque il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande per il reato di calunnia.
Il nuovo processo a
carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10346/10 RGDT si apre con
l’udienza del 01/02/11 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico,
sezione staccata del Tribunale di Taranto. In quella sede ai diversi giudici
succedutisi, in sede di contestazioni nella fase preliminare, si è segnalata la
mancanza assoluta di prove che sostenessero l’accusa di calunnia.
Solo in data 23
gennaio 2014, nonostante l’assenza alla discussione con l’arringa finale
dell’imputato (in segno di palese protesta contro l’ingiustizia subita) e del
suo difensore di fiducia e senza curarsi delle richieste del Pubblico Ministero
togato, che stranamente per questo procedimento è intervenuto di persona, non
facendosi sostituire dal Pubblico Ministero onorario, ed a dispetto delle
richieste dell’imperterrita presenza della costituita parte civile, l’avv. Nadia
Cavallo, che ne chiedeva condanna penale e risarcimento del danno, il giudice
Maria Christina De Tommasi, pur potendo dichiarare la prescrizione non ha potuto
non acclarare l’assoluzione di Antonio Giangrande per il reato di calunnia per
non aver commesso il reato, in quanto non vi era prova della sua colpevolezza.
Per la seconda accusa dello stesso procedimento penale riguardante la
diffamazione, ossia per il capo B, la De Tommasi ha pronunciato il non doversi
procedere per intervenuta prescrizione, nonostante avesse anche qui dovuto
constatare che il fatto non era stato commesso, per la mancanza di prove a
carico di Antonio Giangrande, in quanto l’articolo incriminato era riconducibile
a terze persone, sia come autori, che come direttori del sito web.
Declaratoria di NON
AVER COMMESSO IL REATO. Dopo 8 anni, un pubblico Ministero, due Giudici per
l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano,
estromessa con istanza di ricusazione, sostituita dalla dr.ssa Vilma Gilli ed a
sua volta sostituita da Maria Christina De Tommasi.
Rita Romano
ricusata per essere stata denunciata da Antonio Giangrande proprio per la
sentenza di condanna adottata nei confronti di Monica Giangrande. Sentenza del
18/12/2007 con processo iniziato il 06/02/07. Esito velocissimo tenuto conto dei
tempi medi del Foro. Nel processo nato a carico di Antonio Giangrande e Monica
Giangrande su denuncia di Nadia Cavallo e poi stracciato a carico di Monica
Giangrande, la stessa Monica Giangrande era accusata con Antonio Giangrande di
calunnia per aver accusato la Cavallo Nadia di un sinistro truffa. Monica
Giangrande affermava nella sua denuncia che la stessa Avv. Nadia Cavallo
accusava lei, Monica Giangrande, di essere responsabile esclusiva del sinistro.
In effetti Rita Romano stracciava la posizione di Antonio Giangrande per difetto
di notifica del rinvio a giudizio e dopo l’espletamento del processo a carico di
Monica Giangrande condannava l’imputata. Ciononostante lo stesso giudice
riconosceva nelle sue motivazioni che la stessa Giangrande Monica accusava la
Nadia Cavallo sapendola colpevole, perché proprio lo stesso giudice riconosceva
tal Nigro Giuseppa come responsabile di quel sinistro che si voleva far
ricondurre in capo alla Giangrande Monica, la quale, giustamente negava ogni
addebito. L’appello contro la sentenza a carico di Monica Giangrande è stata
inspiegabilmente mai impugnata dai suoi difensori, pur sussistendone validi
motivi di illogicità della motivazione.
L’inimicizia dei
magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al
fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche
perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato
una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza,
Foro competente. Inoltre l’avv. Nadia Cavallo è molto apprezzata dai magistrati
Tarantini e da Salvatore Cosentino, ora alla procura di Locri. In virtù della
sentenza di condanna emessa contro Monica Giangrande l’avv. Nadia Maria Cavallo
ha percepito alcune decine di migliaia di euro a titolo di risarcimento del
danno morale e oneri di difesa. Evidentemente era suo interesse fare la stessa
cosa con il dr. Antonio Giangrande, con l’aiuto dei magistrati denunciati, il
quale però non era di fatto e notoriamente autore del reato di calunnia, così
come era falsamente accusato. Innocenza riconosciuta ed acclarata dal giudice di
merito, però, dopo anni.
PER IL SECONDO
FATTO
In questo
procedimento risultano esserci due querelanti e quindi due persone offese dal
reato:
Dimitri Giuseppe
querela in data 19/07/2004 Corigliano Renato perché si ritiene vittima di Falsa
Perizia giudiziaria. Corigliano Renato controquerela Dimitri Giuseppe per
calunnia e diffamazione per aver pubblicato la querela, in cui si producevano le
accuse di falsa perizia contro il Corigliano ledendo il suo onore e la sua
reputazione. Corigliano Renato non querela Antonio Giangrande. Dimitri Giuseppe
per la diffamazione subita dal Corigliano controquerela Antonio Giangrande, pur
non avendo il Dimitri Giuseppe legittimità a farlo, non essendo egli persona
offesa.
Insomma: la querela
di diffamazione da parte della persona offesa contro Antonio Giangrande non
esiste.
Pur mancando la
prova della diffamazione, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario
per il dr. Antonio Giangrande.
Il Dr. Enrico
Bruschi apre il fascicolo n. 3015/06 R.G. notizie di reato. Non espleta indagini
a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e decreta egli stesso la
citazione a giudizio saltando l’Udienza Preliminare.
Il processo a
carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10244/10 RGDT si apre con
l’udienza del 05/10/2010 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico,
sezione staccata del Tribunale di Taranto, ma la posizione di Antonio Giangrande
è inviata al Giudice per le Indagini Preliminari per l’Udienza di Rito.
Il Dr Pompeo
Carriere il 26/11/12 apre il procedimento Gip n. 243/12. Sostenuto dalla
richiesta del PM Enrico Bruschi il dr. Pompeo Carriere, ciononostante non vi sia
la querela di Corigliano Renato contro Antonio Giangrande e pur non supportato
da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio
Giangrande non esiste, dispone comunque il rinvio a giudizio di Antonio
Giangrande per il reato di Diffamazione.
Il nuovo processo a
carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10403/12 RGDT si apre
presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del
Tribunale di Taranto. In quella sede ai diversi giudici succedutisi, in sede di
contestazioni nella fase preliminare, si è segnalata la mancanza assoluta di
prove che sostenessero l’accusa di Diffamazione.
Solo in data 18
aprile 2013 Corigliano Renato è stato sentito ed ha confermato di non aver
presentato alcuna querela contro Antonio Giangrande. Corigliano Renato e Dimitri
Giuseppe hanno rimesso la querela, il primo perché non l’aveva presentata e
comunque non aveva alcuna volontà punitiva contro Antonio Giangrande, il secondo
non aveva addirittura la legittimità a presentarla. Il giudice Giovanni Pomarico
non ha potuto non acclarare il non doversi procedere nei confronti di Antonio
Giangrande per remissione delle querele.
Declaratoria di NON
DOVERSI PROCEDERE PER REMISSIONE DI QUERELA. Ma di fatto per difetto di
legittimazione ad agire. Dopo 4 anni, un pubblico Ministero, un Giudice per
l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano,
estromessa con istanza di ricusazione perchè denunciata da Antonio Giangrande,
sostituita dalla dr.ssa Frida Mazzuti ed a sua volta sostituita da Giovanni
Pomarico.
L’inimicizia dei
magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al
fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche
perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato
una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza,
Foro competente.
PER IL TERZO FATTO
L’avv. Santo De
Prezzo, in data 06 novembre 2006, denuncia e querela il dr. Antonio Giangrande
per violazione della Privacy per aver pubblicato sul sito web della Associazione
Contro Tutte le Mafie il suo nome, nonostante il nome dell’avv. Santo De Prezzo
fosse già di dominio pubblico in quanto inserito negli elenchi telefonici, anche
web, e nell’elenco degli avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Brindisi, anche web.
La dr.ssa Adele
Ferraro, sostituto procuratore presso il Tribunale di Brindisi apre il proc. n.
9429/06 RGNR, non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art.
358 c.p.p., ed il 1° ottobre 2007 (un anno dopo la querela) decreta il sequestro
preventivo dell’intero sito web della Associazione Contro Tutte le Mafie,
arrecando immane danno di immagine. Il Decreto è nullo perché non convalidato
dal GIP ed emesso il 19 ottobre 2007, successivamente al sequestro. Il decreto è
rinnovato il 09/11/ 2007 e non convalidato dal giudice Katia Pinto. Poi ancora
rinnovato il 28/12/2007 e convalidato da Katia Pinto il 26/02/2008, ma non
notificato.
La dr.ssa Katia
Pinto apre il proc. n. 1004/07 RGDT e il 19/09/2008, dopo quasi un anno dal
sequestro del sito web con atti illegittimi dichiara la sua incompetenza
territoriale e trasmette gli atti a Taranto, ma non dissequestra il sito web.
In questo
procedimento non risulta esserci il fatto penale contestato eppure si oscura un
sito web di una associazione antimafia e si persegue penalmente il suo
presidente, Antonio Giangrande.
Insomma: il fatto
non sussiste. Pur mancando la prova della violazione della privacy, quindi del
reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
Il Dr. Remo Epifani
sostituto procuratore presso il Tribunale di Taranto apre il fascicolo n.
8483/08 RGNR, non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art.
358 c.p.p., e decreta il rinvio a giudizio per ben due volte: il 23/06/2009 e
difetta la notifica e il 28/09/2010, rinnovando il sequestro preventivo del sito
web, mai revocato.
Il Dr. Martino
Rosati, Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Taranto apre
il proc. n. 6383/08 GIP e senza indagini a favore dell’indagato, ai sensi
dell’art. 358 c.p.p., dispone con proprio autonomo decreto il 14/10/2008 il
sequestro preventivo del sito web.
Il processo a
carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10329/09 RGDT, si apre il
03/11/2009, ma viene chiuso per irregolarità degli atti. Il nuovo processo
contraddistinto con il n. 10018/11 RGDT si apre il 01/02/2011.
Solo in data 12
luglio 2012 lo stesso Pm dr. Gioacchino Argentino chiede l’assoluzione perché il
fatto non sussiste ed in pari data il giudice dr.ssa Frida Mazzuti non ha potuto
non acclarare l’assoluzione di Antonio Giangrande perché il fatto non sussiste.
Il Dissequestro del sito web
www.associazionecontrotuttelemafie.org
non è mai avvenuto e l’oscuramento del sito web è ancora vigente.
Declaratoria di
ASSOLUZIONE PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE. Dopo 6 anni, due pubblici Ministeri,
un Giudice per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una,
dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione perchè denunciata da
Antonio Giangrande, sostituita dalla dr.ssa Frida Mazzuti.
L’inimicizia dei
magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al
fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche
perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato
una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza,
Foro competente.”
« Pare evidente la
tricotomia della responsabilità penale: il movente, il mezzo, l’opportunità. Per
questo si chiede la condanna per reati consumati, continuati, tentati, da soli o
in concorso con terzi, o di altre norme penali, con le aggravanti di rito, e
attivazione d’ufficio presso gli organi competenti per la violazione di norme
amministrative. Altresì si chiede il risarcimento del danno patrimoniale e non
patrimoniale, liquidato in via equitativa dal giudice competente, per la
sofferenza che si è riservata al sottoscritto ed alle persone che mi stimano per
la funzione che io occupo e l’umiliazione e, soprattutto, per il dolore
difficilmente immaginabili da parte di chi non vive l’incubo di essere accusato
di calunnie tanto ingiuste quanto infondate. Nessuna Autorità degna del mio
rispetto ha tutelato la mia persona. Le mie denunce contro queste ed altre
ingiustizie sono state sempre archiviate. E’ normale allora che io diventi carne
da macello penale. E’ normale che io sia lì a partecipare da 17 anni all’esame
forense, sempre bocciato, se poi i magistrati, commissari di esame, contro di me
fanno questo ed altro.»
Dr Antonio
Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: L’Involuzione sociale e politica. Dal dispotismo
all’illuminismo, fino all’oscurantismo.
Non
è importante sapere quanto la democrazia rappresentativa costi, ma quanto essa
rappresenti ed agisca nel nome e per conto dei rappresentati.
Antonio Giangrande:
Bisogna studiare.
Bisogna cercare le
fonti credibili ed attendibili per poter studiare.
Bisogna studiare
oltre la menzogna o l’omissione per poter sapere.
Bisogna sapere il
vero e non il falso.
Bisogna non
accontentarsi di sapere il falso per esaudire le aspirazioni personali o di
carriera, o per accondiscendere o compiacere la famiglia o la società.
Bisogna sapere il
vero e conoscere la verità ed affermarla a chi è ignorante o rinfacciarla a chi
è in malafede.
Studiate “e
conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi” (Gesù. Giovanni 8:31, 32).
Studiare la verità
rende dotti, saggi e LIBERI!
Non studiare o non
studiare la verità rende schiavi, conformi ed omologati.
E ciò ci rende
cattivi, invidiosi e vendicativi.
Fa niente se
studiare il vero non è un diritto, ma una conquista.
Vincere questa
guerra dà un senso alla nostra misera vita.
Dr Antonio
Giangrande
Quell’esame di
maturità da privatista.
Manduria. Istituto
Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “Luigi Einaudi”. Ore 8 del giorno 22
giugno 1992.
Su comunicazione
del preside prof. Giovanni Semeraro, con provvedimento n. 22565/91/3 del 19
maggio 1992, mi si ammetteva a sostenere l’esame di maturità per tutti e cinque
gli anni di corso ordinario.
Esame non sostenuto
in tempo debito perché in famiglia lo studio non era ritenuto essenziale per il
futuro: meglio avere, che essere.
Avevo 29 anni. Uomo
tra ragazzi.
Indifferente
affrontai l’esame, prima scritto, poi orale. Tutte le materie dei cinque anni di
corso.
La commissione si
integrò con docenti per le materie non previste nella maturità ordinaria.
La prova scritta fu
eccellente: ottimi voti, pari ai più bravi.
La prova orale fu
una corrida: sfilze di domande da innumerevoli docenti.
Qualche commissario
era restio a promuovermi, subissandomi di domande, anche a trabocchetto. Forse
non per cattiveria (qualcuno sì) o non perché fossi impreparato, ma per
l’eccezionalità del fatto che poteva creare un precedente scomodo.
Il presidente della
Commissione alla fine mi chiese: perché hai affrontato l’esame?
Risposta: ho già
tutte le patenti superiori, compreso il CAP (certificato abilitazione
professionale), ho quasi vinto il concorso per autista del magistrato (nel
periodo delle stragi di mafia), e sarebbe bello presentarsi ad esso come
diplomato e non come analfabeta.
Alla fine la
commissione espresse il seguente giudizio: “il curriculum e le prove integrative
hanno evidenziato una adeguata cultura di base del candidato che durante le
prove e del colloquio ha dimostrato di possedere una preparazione accettabile
anche se non criticamente approfondita”.
Ringrazio Dio per
avermi sostenuto.
Quel concorso non
l’ho vinto, perché era truccato e già assegnato ad altri.
Decisi allora di
non essere l’autista, ma lo stesso magistrato.
Partii per Milano
per poter lavorare e studiare. Avevo moglie e due figli, avuti a 20 anni ed a
21.
In quel posto mi
dissero che il diploma l’avevo comprato, perché impossibile ottenere quel
risultato.
A Milano le 26
annualità, ossia gli esami per la laurea in Giurisprudenza quadriennale, li
superai in due anni.
Dovetti aspettare
altri due anni per poter sostenere l’esame di laurea.
Mi laureai l’11
luglio 1996.
Ringrazio Dio per
avermi sostenuto.
Il 21 settembre
1996 inizia la mia pratica forense. Presso il Tribunale di Taranto.
Il 18 aprile 1998
inizia la mia attività forense con patrocinio legale, fino al 18 aprile 2004, in
attesa dell’abilitazione che dopo 17 anni di esami farsa non arrivò mai.
Ero un elemento
estraneo e scomodo al sistema.
La mia preparazione
da privatista mi rese immune da influenze ideologiche e lobbistiche.
Affrontai altri
concorsi: truccati. Presentai le prove: ignorate.
Tutti i miei
sacrifici, e la mia vita sprecata, immolati alla ragion di uno Stato criminale.
Ormai anziano
indigente posso solo fare il saggista di denuncia civile: libri che sul web
tutti leggono, ma che nessuno compra.
Al contrario, buon
sangue non mente, mio figlio è diventato l’avvocato più giovane d’Italia a 25
anni con la doppia laurea. Telenorba gli dedicò un servizio. Primina, esame di
maturità allo stesso Istituto di cui sopra, al 4° anno perché aveva 10 in tutte
le materie, abilitazione forense al primo anno di esame. Oggi non vuol fare
l’avvocato, ma lavoro all’Ufficio del Processo di Parma, superando quel concorso
e quello ostico di abilitazione di professore degli istituti superiori.
Ringrazio Dio di
averlo sostenuto.
Antonio Giangrande
PRESENTAZIONE
DELL’AUTORE.
John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il
mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre
guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù.
Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando
credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe
diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo
stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e
scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo
membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge,
economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro
sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste
le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society),
film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è
capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per
tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società
individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia
decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose
più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non
saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi
stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo
chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per
la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per
tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di
aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del
potere.
Come far buon viso a cattivo
gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e
taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si
gusta freddo. E non si può perdonare...
Un padre regala al figlio un
sacchetto di chiodi. “Tieni figliolo, ecco un sacchetto di chiodi. Piantane uno
nello steccato Ogni volta che che perdi la pazienza e litighi con qualcuno
perchè credi di aver subito un'ingiustizia” gli dice. Il primo giorno il figlio
piantò ben 37 chiodi ma nelle settimane successive imparò a controllarsi e il
numero di chiodi cominciò piano piano a diminuire. Aveva infatti scoperto che
era molto più facile controllarsi che piantare chiodi e così arrivò un giorno in
cui non ne piantò nemmeno uno. Andò quindi dal padre e gli disse che per quel
giorno non aveva litigato con nessuno, pur essendo stato vittima d'ingiustizie e
di soprusi, e non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse:
“Benissimo figliolo, ora leva un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui
non hai perso la pazienza e litigato con qualcuno”. Il figlio ascoltò e tornò
dal padre dopo qualche giorno, comunicandogli che aveva tolto tutti i chiodi
dallo steccato e che non aveva mai più perso la pazienza. Il padre lo portò
quindi davanti allo steccato e guardandolo gli disse: “Figliolo, ti sei
comportato davvero bene. Bravo. Ma li vedi tutti quei buchi? Lo steccato non
potrà più tornare come era prima. Quando litighi con qualcuno, o quando questi
ha usato violenza fisica o psicologica nei tuoi confronti, rimane una ferita
come questi buchi nello steccato. Tu puoi piantare un coltello in un uomo e poi
levarlo, e lo stesso può fare questi con te, ma rimarrà sempre una ferita. E non
importa quante volte ti scuserai, o lui lo farà con te, la ferita sarà sempre
lì. Una ferita verbale è come il chiodo nello steccato e fa male quanto una
ferita fisica. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando dici le cose in
preda alla rabbia, o quando altri ti fanno del male, si lasciano delle ferite
come queste: come i buchi nello steccato. Possono essere molto profonde. Alcune
si rimarginano in fretta, altre invece, potrebbero non rimarginare mai, per
quanto si possa esserne dispiaciuti e si abbia chiesto scusa".
Io non reagisco, ma mi si permetta
di raccontare l'accaduto. Voglio far conoscere la verità sui chiodi piantati
nelle nostre carni.
La mia esperienza e la mia
competenza mi portano a pormi delle domande sulle vicende della vita presente e
passata e sul perché del ripetersi di eventi provati essere dannosi all’umanità,
ossia i corsi e i ricorsi storici. Gianbattista Vico, il noto filosofo
napoletano vissuto fra il XVII e XVIII secolo elaborò una teoria, appunto dei
corsi e ricorsi storici. Egli era convinto che la storia fosse caratterizzata
dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e
divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Il continuo
ripetersi di questi cicli non avveniva per caso ma era predeterminato e
regolamentato, se così si può dire, dalla provvidenza. Questa formulazione di
pensiero è comunemente nota come “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”. In
parole povere, tanto per non essere troppo criptici, il Vico sosteneva che
alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di
tanto tempo; e ciò avveniva non per puro caso ma in base ad un preciso disegno
stilato della divina provvidenza.” Io sono convinto, invece, che l’umanità
dimentica e tende a sbagliare indotta dalla stupidità e dall’egoismo di
soddisfare in ogni modo totalmente i propri bisogni in tempi e spazi con risorse
limitate. Trovare il perché delle discrepanze dell’ovvio raccontato. Alle mie
domando non mi do io stesso delle risposte. Le risposte le raccolgo da chi sento
essere migliore di me e comunque tra coloro contrapposti con le loro idee sullo
stesso tema da cui estrapolare il sunto significativo. Tutti coloro che
scrivono, raccontano il fatto secondo il loro modo di vedere e lo ergono a
verità. Ergo: stesso fatto, tanti scrittori, quindi, tanti fatti diversi. La mia
unicità e peculiarità, con la credibilità e l’ostracismo che ne discende, sta
nel raccontare quel fatto in un’unica sede e riportando i vari punti di vista.
In questo modo svelo le mistificazioni e lascio solo al lettore l’arbitrio di
trarne la verità da quei dati.
Voglio conoscere gli effetti, sì,
ma anche le cause degli accadimenti: il post e l’ante. La prospettiva e la
retrospettiva con varie angolazioni. Affrontare le tre dimensioni spaziali e la
quarta dimensione temporale.
Si può competere con
l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’intelligenza ascolta, comprende e pur non
condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non
ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua convinzione dettata
dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non pretenderlo per se
stessa.
Quando fai qualcosa hai tutti
contro: quelli che volevano fare la stessa cosa, senza riuscirci, impediti da
viltà, incapacità, ignavia; quelli che volevano fare il contrario; e quelli,
ossia la stragrande maggioranza, che non volevano fare niente.
Certe persone non sono importanti,
siamo noi che, sbagliando, gli diamo importanza. E poi ci sono quelle persone
che non servono ad un cazzo, non fanno un cazzo e si credono sto cazzo.
Correggi un sapiente ed esso
diventerà più colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo
nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai
fatto del male, ma perché sei migliore di loro.
Più stupido di chi ti giudica senza
sapere nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono
di te. Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti;
le infime menti parlano solo male delle persone.
E’ importante stare a posto con la
propria coscienza, che è molto più importante della propria reputazione. La tua
coscienza sei tu, la reputazione è ciò che gli altri pensano di te e quello che
gli altri pensano di te è un problema loro.
Le bugie sono create dagli
invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di
comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri
condannano sempre ciò che non riescono a capire.
E se la strada è in salita, è solo
perché sei destinato ad attivare in alto.
Ci sono persone per indole nate per
lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non
corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta
niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi
del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con
l’ingratitudine.
Il ciclo vitale biologico della
natura afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore
e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla
propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le ideologie, le confessioni, le
massonerie vi vogliono ignoranti;
Le mafie, le lobbies e le caste vi
vogliono assoggettati;
Le banche vi vogliono falliti;
La burocrazia vi vuole sottomessi;
La giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite
fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non
fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere.
Antonio Giangrande,
orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla
massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il
più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi
ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo
alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o
perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che
cazzo di vita è?
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono
generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante
tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro
dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero
sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Il ciclo vitale, in
biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie.
L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed
eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste
sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue
un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita,
riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita,
nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa
immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si
evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li
circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a
quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere
caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi
o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo
tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che
agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità
di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza
riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza
riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in
termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali,
fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di
informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo?
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che nel
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Alle sentenze
irrevocabili di proscioglimento del Tribunale di Taranto a carico del dr Antonio
Giangrande, già di competenza della dr.ssa Rita Romano, giudice di Taranto poi
ricusata perché denunciata, si aggiunge il verbale di udienza dell’11 dicembre
2015 della causa n. 987/09 (1832/07 RGNR) del Tribunale di Potenza, competente
su fatti attinenti i magistrati di Taranto, con il quale si dispone la
perfezione della fattispecie estintiva del processo per remissione della querela
nei confronti del dr Antonio Giangrande da parte del dr. Alessio Coccioli, già
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, poi
trasferito alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Remissione della
querela volontaria, libera e non condizionata da alcun atto risarcitorio.
Il Dr Antonio
Giangrande era inputato per il reato previsto e punito dall’art. 595 3° comma
c.p. “perchè inviando una missiva a sua
firma alla testata giornalistica La Gazzetta del Sud Africa e pubblicata sui
siti internet lagazzettadelsudafrica.net, malagiustizia.eu, e
associazionecontrotuttelemafie.org, offendeva l’onore ed il decoro del dr.
Alessio Coccioli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Taranto, riportando in detto su scritto la seguente frase: “…il PM Alessio
Coccioli, inopportunamente delegando i carabinieri di Manduria, quali PG, ha
reso lecito tale modus operandi (non rilasciare attestato di ricezione da parte
dell’Ufficio Protocollo del Comune di Manduria ndr), motivandolo dal fatto che
non è dannoso per il denunciante. Invece in denuncia si è fatto notare che tale
usanza di recepimento degli atti, prettamente manduriana, può nascondere
alterazioni procedurali in ambito concorsuale e certamente abusi a danno dei
cittadini. Lo stesso PM Alessio Coccioli, inopportunamente delegando i
carabinieri di Manduria, quali PG, per la colleganza con il comandante dei
Vigili Urbani di Manduria, ha ritenuto le propalazioni del Giangrande, circa il
concorso per Comandante dei Vigili Urbani, ritenuto truccato (perché il medesimo
aveva partecipato e vinto in un concorso da egli stesso indetto e regolato in
qualità di comandante pro tempore e dirigente dell’ufficio del personale), sono
frutto di sue convinzioni non supportate da riscontri di natura obbiettiva e
facendo conseguire tali riferimenti, al predetto dr. Coccioli, ad altre
notazioni, contenute nello stesso scritto, nelle quali si denunciavano
insabbiamenti, o poche richieste di archiviazioni strumentali attribuite ai
magistrati della Procura della Repubblica di Taranto”.
Il Processo di
Potenza, come i processi tenuti a Taranto, sono attinenti a reati di opinione.
Lo stesso dr. Alessio Coccioli, una volta trasferito a Lecce, ha ritenuto che le
opinioni espresse dal Dr Antonio Giangrande riguardo la Giustizia a Taranto non
potessero continuare ad essere perseguite.
Ultimo atto. Esame di Avvocato
2015. A Lecce uno su quattro ce l’ha fatta. Sono partiti in 1.108: la prova
scritta è stata passata da 275 praticanti. Preso atto.....
All'attenzione dell'avv. Francesco
De Jaco. Illustre avv. Francesco De Jaco, in qualità di Presidente della
Commissione di Esame di Avvocato 2014-2015, chi le scrive è il dr Antonio
Giangrande. E’ quel signore, attempato per i suoi 52 anni e ormai fuori luogo in
mezzo ai giovani candidati, che in sede di esame le chiese, inopinatamente ed
invano, Tutela. Tutela, non raccomandazione. Così come nel 2002 fu fatto
inutilmente con l’avv. Luigi Rella, presidente di commissione e degli avvocati
di Lecce. Tutela perché quel signore il suo futuro lo ha sprecato nel suo
passato. Ostinatamente nel voler diventare avvocato ha perso le migliori
occasioni che la vita possa dare. Aspettava come tutti che una abilitazione,
alla mediocrità come è l’esame forense truccato, potesse, prima o poi, premiare
anche lui. Pecori e porci sì, lui no! Quel signore ha aspettato ben 17 anni per,
finalmente, dire basta. Gridare allo scandalo per un esame di Stato irregolare
non si può. Gridare al complotto contro la persona…e chi gli crede. Eppure a
Lecce c’è qualcuno che dice: “quello lì, l’avvocato non lo deve fare”. Qualcuno
che da 17 anni, infastidito dal mio legittimo operato anche contro i magistrati,
ha i tentacoli tanto lunghi da arrivare ovunque per potermi nuocere. Chi afferma
ciò è colui il quale dimostra con i fatti nei suoi libri, ciò che, agli
ignoranti o a chi è in mala fede, pare frutto di mitomania o pazzia. Guardi, la
sua presidenza, in sede di scritto, è stata la migliore tra le 17 da me
conosciute. Purtroppo, però, in quel di Brescia quel che si temeva si è
confermato. Brescia, dove, addirittura, l’ex Ministro Mariastella Gelmini chiese
scampo, rifugiandosi a Reggio Calabria per poter diventare avvocato. Il mio
risultato delle prove fa sì che chiuda la fase della mia vita di aspirazione
forense in bruttezza. 18, 18, 20. Mai risultato fu più nefasto e, credo,
immeritato e punitivo. Sicuro, però, che tale giudizio non è solo farina del
sacco della Commissione di esame di Brescia. Lo zampino di qualche leccese c’è!
Avvocato… o magistrato… o entrambi…: chissà? Non la tedio oltre. Ho tentato di
trovare Tutela, non l’ho trovata. Forse chiedevo troppo. Marcire in carcere da
innocente o pagare fio in termini professionali, credo che convenga la seconda
ipotesi. Questo è quel che pago nel mettermi contro i poteri forti
istituzionali, che io chiamo mafiosi. Avvocato, grazie per il tempo che mi ha
dedicato. Le tolgo il disturbo e, nel caso l’importasse, non si meravigli, se,
in occasione di incontri pubblici, se e quando ci saranno, la priverò del mio
saluto. Con ossequi.
Avetrana lì 26 giugno 2015. Dr
Antonio Giangrande, scrittore per necessità.
Antonio Giangrande:
ESAME DI AVVOCATO: 17 ANNI PER DIRE BASTA!
ESAME FORENSE.
AVVOCATI COL TRUCCO.
Hanno scoperto l’acqua calda. Facile prendersela con i poveri cristi. Non è
durante le prove scritte che c’è la macagna. Tutti copiano o sono aiutati.
Apriamo gli occhi nelle segrete stanze delle commissioni d’esame che non
corregge i compiti tutti simili tra loro, ma dichiarano di averlo fatto,
preferendo alcuni rispetto ad altri: perché non vi sono istallati gli strumenti
di intercettazione ambientale? Non si può fare, ci sono i magistrati. I Tar
dichiarano che non è possibile che sia stata effettuata la correzione nel tempo
loro dedicato e comunque prova non vi è della correzione, tenuto conto che gli
elaborati sono immacolati. E poi, come fanno a mettersi d’accordo sulle quote di
idonei: non più del 30% presso tutte le Corti d’Appello? E’ un esame di Stato o
un concorso pubblico a numero chiuso?
La testimonianza,
più unica che rara, di un candidato all’esame di avvocato, che dopo 17 anni di
bocciature si arrende e dice basta.
E’ TUTTA QUESTIONE
DI COSCIENZA.
Ognuno di noi è
segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si
chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca
commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola,
lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla
corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo
l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!».
Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché
tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà
senza filtri. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi
la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento.
Antonio Giangrande.
Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani
si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per
conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi “salendo
sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e
come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.
Chi sa: scrive, fa,
insegna.
Chi non sa: parla e
decide.
Chissà perché la tv
ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio
Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?
«Noi siamo quel che
facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello
che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perchè son denigratorie.
Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir
l’anima. Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed
osannato in morte. Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri
ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una
di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare,
né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale
o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per
salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura.
Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra
mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi
pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella
mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato.
Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv.
Francesco De Jaco
. L’avvocato di
Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah
Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di
avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni.
Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come
tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il
sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non
vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per
essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi
anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi
di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza
motivazione e con quote prestabilite di abilitati. Così per me, così per tutti.
Gli avvocati abilitati negano l’evidenza. Logico: chi passa, non controlla. Ma
17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato,
specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame.
In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma
nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non
capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro
la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere
cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa
vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie
che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la
fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con
reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso
Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va.
Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi
ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi
potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti
processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso,
con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non
sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un
nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto
del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato
dall’opposizione. Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son
questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono,
mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la
tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri
nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che
studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste
indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale
"L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi
sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai
magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che
di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book
ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e
Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su
www.controtuttelemafie.it
, mentre la promozione del territorio è su
www.telewebitalia.eu.»
Ha la preparazione
professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
«Non sono un
giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono
un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema
giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a
16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli
due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due
figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo
anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non
sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso
immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di
esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un
sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi
hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come
tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri,
essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non
perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché
posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza
condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta
questione di coscienza.»
E’ TUTTA QUESTIONE
DI COSCIENZA.
A’ Cuscienza di
Antonio de Curtis-Totò
La coscienza
Volevo sapere che
cos'è questa coscienza
che spesso ho
sentito nominare.
Voglio esserne a
conoscenza,
spiegatemi, che
cosa significa.
Ho chiesto ad un
professore dell'università
il quale mi ha
detto: Figlio mio, questa parola si usava, si,
ma tanto tempo fa.
Ora la coscienza si
è disintegrata,
pochi sono rimasti
quelli, che a questa parola erano attaccati,
vivendo con onore e
dignità.
Adesso c'è
l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.
Ladri, ce ne sono
molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande,
il gigante, quelli
che sanno rubare.
Chi li denuncia a
questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?
Sono pezzi grossi,
chi te lo fa fare.
L'olio lo fanno con
il sapone di piazza, il burro fa rimettere,
la pasta, il pane,
la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.
Le medicine poi,
hanno ubriacato anche quelle,
se solo compri uno
sciroppo, sei fortunato se continui a vivere.
E che vi posso dire
di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,
mariti, mamme,
sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.
Perciò questo
maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)
perchè la vuoi
fare, nessuno la usa più questa parola,
adesso arrivi tu e
la vuoi ripristinare.
Insomma tu vuoi
andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare,
la gente di adesso
solo così è contenta, senza coscienza,
vuole stentare a vivere. (Vol tirà a campà)
Antonio Giangrande: E’ di Avetrana (TA)
l’avvocato più giovane d’Italia. Il primato è stabilito sul regime dell’obbligo
della doppia laurea.
25 anni. Mirko Giangrande, classe 1985.
Carriera scolastica iniziata direttamente con la seconda elementare; con voto 10
a tutte le materie al quarto superiore salta il quinto ed affronta direttamente
la maturità.
Carriera universitaria nei tempi regolamentari: 3 anni per la laurea in scienze
giuridiche; 2 anni per la laurea magistrale in giurisprudenza.
Praticantato di due anni e superamento dell’esame scritto ed orale di
abilitazione al primo colpo, senza l’ausilio degli inutili ed onerosi corsi pre
esame organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Et Voilà, l’avvocato più giovane d’Italia, stante la formalità del giuramento.
Cosa straordinaria: non tanto per la giovane età, ma per il fatto che sia
avvenuta contro ogni previsione, tenuto conto che Mirko è figlio di Antonio
Giangrande, presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, noto
antagonista del sistema giudiziario e forense del Foro di Taranto, che gli costa
per 17 anni l’impedimento all’abilitazione forense. Dalle denunce penali e i
ricorsi ministeriali da questo presentati, rimasti lettera morta, risulta che
tutti i suoi temi all’esame di avvocato di Lecce non sono stati mai corretti
dalle Commissioni presso le Corti d’Appello sorteggiate, ma dichiarati non
idonei e sempre con voti e/o giudizi fotocopia. Nonostante ciò nessuno muove un
dito. Inoltre il ricorso al Tar è inibito per l’indigenza procuratagli ed
impedito dalla Commissione per l’accesso al gratuito patrocinio.
Tutte le sue denunce penali sono insabbiate senza conseguire accuse di calunnia.
E dire che Antonio Giangrande ha affrontato la maturità statale portando 5 anni
in uno e si è laureato a Milano superando le 26 annualità in soli due anni. Buon
sangue non mente.
Avv. Mirko Giangrande:
Avvocato - Mediatore Civile & Commerciale - Docente - Scrittore - Gestore Crisi
da Sovraindebitamento - Funzionario Addetto all’Ufficio per il Processo
- 2002: diploma di Ragioniere, Perito commerciale e Programmatore presso
l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri "L. Einaudi" di Manduria (TA) a
soli 17 anni;
- 2005: laurea in Scienze Giuridiche a soli 20 anni presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università di Bari;
- 2007: laurea Magistrale in Giurisprudenza presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università di Bari a soli 22 anni;
- 2010: abilitazione forense, diventato l’avvocato più giovane d’Italia a soli
25 anni. Titolare dello Studio Legale Giangrande;
- 2018: Autore della collana di libri “Corso di preparazione agli esami
universitari, concorsi e per scuole superiori”;
- 2020: Master in "L'insegnamento delle materie giuridico - economiche negli
istituti secondari di II grado: metodologie didattiche", presso l'Università
E-Campus;
- 2021: Corso di alta formazione abilitante di Mediatore civile e commerciale;
- 2021: Corso di alta formazione abilitante di Gestore della crisi da
sovraindebitamento.
VENI, VIDI, VICI. Parabiago 20/9/2022
Prova orale concorso cattedra A046
Finalmente Professore abilitato di Diritto ed Economia politica
Sono stravolto dalla stanchezza ma felicissimo.
Dedico questa soddisfazione alla mia famiglia (Antonio Giangrande Cosima
Petarra, Tamara Giangrande), all’amore della mia vita Francesca Di Viggiano che
mi ha sopportato in questi mesi di “agonia”, ma soprattutto lo dedico all’uomo
che più mi è stato accanto, che mi ha sempre spronato, che ha creduto in me, che
ogni mattina mi dava la forza di alzarmi per affrontare ore di studio
post-lavoro, che mi ha fatto tirare dritto verso quest’alto obiettivo, che mi ha
dato la pazienza di perdere l’intera estate dietro i libri: quell’uomo sono io…
Mirko Giangrande:
“Il Festival delle Illazioni”
Come tutti ben
sanno l’intera mia famiglia è stata vittima, chi in modo più grave chi in modo
più lieve, del Covid - 19. Un nemico invisibile e infido che ha colpito in modo
violento, repentino e simultaneo. Un fulmine a ciel sereno che si è abbattuto su
gente sempre diligente e rispettosa di ogni regola: mascherina, distanziamento,
tamponi, ecc. Tutto ciò, purtroppo, non è bastato ma alla fine, uniti come
sempre, ne siamo usciti più forti di prima. Combattendo anche contro la
“malasanità pugliese”, ma su tale argomento ormai tanto è stato detto e scritto,
sebbene ancora qualcuno, accecato dalla partigianeria politica, esalta qualcosa
che esiste solo nella propria mente e continua ad inondarci di belle parole su
una situazione invece tragica e sotto gli occhi di tutti.
Ma cosa ci è rimasto di questa esperienza? Il letame. Esatto, tutta la “merda”
che buona parte (ovviamente non tutta) del nostro paese ci ha tirato addosso.
Non supportandoci ma trattandoci da “untori del paese”, che “il virus ce lo
siamo meritato”, “che non dovremmo più farci vedere in giro per un bel po’”,
“che ci siamo infettati partecipando a delle feste”. Ma la stronzata numero uno
è che l’untore degli untori sono stato io, il principio della pandemia
avetranese. Io avrei infettato i miei familiari e poi sarei scappato via.
Ovviamente tralasciando il fatto che è dal primo ottobre che sto a Parma senza
mai tornare e che nessuno dei miei familiari ha partecipato a nessuna festa.
Tali illazioni non posso che partire dalle bocche di criminali e che non possono
che far leva solo sui COGLIONI creduloni. Tutto ciò condito da un alto tasso di
codardia, dato che chi mette in giro queste voci lo fa di nascosto, conscio che
fa bene a non esporsi, rischiando tantissimo in termini legali...
Antonio Giangrande: Come conoscere gli altri?
Chiedendogli se puoi accendere il climatizzatore in auto o in casa. Una persona
si dimostra veramente quello che è nella vita ed il rispetto che questa non ha
in confronto agli altri, quando da passeggera (anche se posteriore) fa spegnere
il climatizzatore in auto, accusando mal di gola, mentre all’esterno ci sono
40°, costringendo gli altri passeggeri ed il proprietario dell’auto a fare bagni
di sudore. E la stessa cosa costringerà a fare negli uffici e nelle case altrui.
La mancanza di rispetto per gli altri, specialmente verso i familiari, sarà
costante ed alla fine, quando l’orlo è colmo e lo farai notare, lo rinnegherà
esaltando le sue virtù ed, anzi, ti accuserà di intolleranza e per ritorsione ti
affibbierà qualsiasi difetto innominabile.
Chiedendogli come programma le cose da fare. Una persona si dimostra veramente
quello che è nella vita ed il rispetto che questa non ha in confronto agli
altri, quando pretende e dà per scontato l’ausilio altrui, anche quando gli
altri hanno programmi alternativi ai suoi.
Chiedendogli cosa pensa delle persone che dalla vita e dal lavoro hanno avuto
soddisfazione. Una persona si dimostra veramente quello che è nella vita ed il
rispetto che questa non ha in confronto agli altri, quando da nullafacente e
nullatenente sparlerà di chi ha successo nella vita e lo accuserà di aver rubato
per ottenere quello che egli stesso non ha.
Antonio Giangrande: Il cafone è chiassoso, esibizionista, ignorante e
prepotente. I suoi sinonimi: Se vuoi chiamali terroni o polentoni, bauscia o
burini, ecc..
Antonio Giangrande: Un altro errore che commettiamo è dare molta importanza a
chi non la merita.
Dr. Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere diverso.
Antonio Giangrande: I conoscenti si incontrano. I compagni ed i parenti si
impongono e si subiscono. I coniugi si tollerano. I figli si accettano. Gli
amici si scelgono. Io non ho amici per il sol fatto che da loro voglio la
perfezione. E, in questo mondo, nessuno è perfetto.
Antonio Giangrande: Eliminerò dalla lista tutti coloro che usano FB come
strumento di lotta politica, senza costrutto. Si semina odio e non ci si prodiga
alla proposta. Terrò tutti coloro che segnalano fatti che arricchiscano il
sapere ed allargano gli orizzonti. In politica, per vincere basta essere
migliori, forti delle proprie ragioni, e non succubi dei mediocri, senza
necessità di eliminare il nemico.
Antonio Giangrande: Avevo migliaia di amici FB, la maggior parte di sinistra.
Quelli che coltivano odio, non proposte. Li ho cancellati. Non capiscono che chi
attenta alla libertà di stampa sono proprio i giornalisti. Parlare sempre di
Berlusconi, significa tacere i problemi reali e l'incapacità di risposta di
Governo ed opposizione. Nessuno si è scandalizzato per Carlo Vulpio, Incriminato
dai PM e cacciato dal suo giornale.
Antonio Giangrande:
Art. 21 della Costituzione: diritto di manifestare il proprio pensiero. Diritto
di critica e di cronaca; diritto di informare ed essere informati. C'è qualcuno
che crede, invece, che sia diritto al villipendio e alla diffamazione,
nascondendosi dietro l'anonimato. Più io cerco di cancellare questi pseudo amici
infiltrati per fare propaganda politica, più loro si moltiplicano.
Antonio Giangrande: Gli amici su facebook: Averne migliaia che ti ignorano o
averne pochi, ma veri e sinceri?
Un
antico detto dice: Chi trova un amico, ha trovato un tesoro. Oggi, nel tempo
delle contraffazioni tutti voglion diventare ricchi. Succede, quindi, nel mondo
virtuale dei social network che si hanno amici di cui si detesta e si contesta
ogni post pubblicato, o che distribuiscono pillole di idiozie, specie quelli
distinti ideologicamente da destra come da sinistra, passando dai 5stellati, o
che ignorano quello che sei o che fai, se non addirittura ti detestano o
travisano ogni tua opinione e, per sminuirti, non condividono i tuoi post, ma
pubblicizzano il prodotto dei tuoi concorrenti. Amici, meglio perderli che
trovarli, ma ce li si tiene comunque per far numero. Spesso gli stessi amici
virtuali, per strada ti incontrano e non ti salutano. Io, di mio non ho mai
chiesto l’amicizia a nessuno in un mondo omologato, ma ai miei amici
faceboocchiani, che hanno chiesto ed ottenuto la mia amicizia, do il beneficio
della verifica di solidità e sincerità ed attuo il controllo della strumentalità
della loro richiesta. Al termine dell’anno amicale li cancello. Se rinnovano la
richiesta di amicizia, chiedendomi il perché, si palese il loro interesse ad
avermi come amico. Ergo: a quel punto ho trovato un tesoro.
Antonio Giangrande: Il Potere ti impone:
subisci e taci…e noi, coglioni, subiamo la divisione per non poterci ribellare.
Una locuzione latina, un motto degli antichi romani, è: dividi et impera!
Espediente fatto proprio dal Potere contemporaneo, dispotico e numericamente
modesto, per controllare un popolo, provocando rivalità e fomentando discordie.
Comunisti, e media a loro asserviti, istigano le rivalità.
Dove loro vedono donne o uomini, io vedo persone con lo stesso problema.
Dove loro vedono lgbti o eterosessuali, io vedo amanti con lo stesso problema.
Dove loro vedono bellezza o bruttezza, io vedo qualcosa che invecchierà con lo
stesso problema.
Dove loro vedono madri o padri, io vedo genitori con lo stesso problema.
Dove loro vedono comunisti o fascisti, io vedo elettori con lo stesso problema.
Dove loro vedono settentrionali o meridionali, io vedo cittadini italiani con lo
stesso problema.
Dove loro vedono interisti o napoletani, io vedo tifosi con lo stesso problema.
Dove loro vedono ricchi o poveri, io vedo contribuenti con lo stesso problema.
Dove loro vedono immigrati o indigeni, io vedo residenti con lo stesso problema.
Dove loro vedono pelli bianche o nere, io vedo individui con lo stesso problema.
Dove loro vedono cristiani o mussulmani, io vedo gente che nasce senza volerlo,
muore senza volerlo e vive una vita di prese per il culo.
Dove loro vedono colti od analfabeti, io vedo discultura ed oscurantismo, ossia
ignoranti con lo stesso problema.
Dove loro vedono grandi menti o grandi cazzi, io vedo geni o cazzoni con lo
stesso problema.
L’astensione al voto non basta. Come la protesta non può essere delegata ad una
accozzaglia improvvisata ed impreparata. Bisogna fare tabula rasa dei vecchi
principi catto comunisti, filo massonici-mafiosi.
Noi siamo un unicum con i medesimi problemi, che noi stessi, conoscendoli,
possiamo risolvere. In caso contrario un popolo di “coglioni” sarà sempre
governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da “coglioni”.
Ed io non sarò tra quei coglioni che voteranno dei coglioni.
Antonio Giangrande: Sono un odiatore. Odio l'ostentazione, l'imposizione e la
menzogna.
Antonio Giangrande:
Victor Hugo: "Gli uomini ti stimano in rapporto alla tua utilità, senza tener
conto del tuo valore." Le persone si stimano e si rispettano in base al loro
grado di utilità materiale, tangibile ed immediata, da rendere agli altri e non,
invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli
inutili da sempre, pur con altissimo valore, sono emarginati o ignorati,
inibendone, ulteriormente, l’utilità.
Antonio Giangrande. Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova delle disgrazie
altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il lanternino si perde la
ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene si perde la retta via.
Diogene di Sinope (in greco antico
Διογένης Dioghénes)
detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno
323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della
scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene
Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò a Babilonia.
«[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il
sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io
sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse
cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro
chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita
di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come
"critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la
civiltà è regressiva e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità
appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe
non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee
sulla proprietà e sulla buona reputazione. Una volta uscì con una lanterna di
giorno. Questi non indossava una tunica. Portava come solo vestito un barile ed
aveva in mano una lanterna. "Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso
tenterai di ingannarci oggi? Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un
uomo onesto? Non hai ancora notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene
rispose: "Non esiste una verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli
chiedeva il senso della lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene)
voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più
autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le
convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio
della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a
essa e così è felice."
Antonio Giangrande: "Io so di non sapere". Il problema è che, questo modo di
essere, adesso è diventato: "Io so di non sapere e me ne vanto". Oggi essere
ignoranti è qualcosa di cui vantarsi. Prima c’erano i sapienti, da cui si
pendeva dalle loro labbra. Poi sono arrivati gli uomini e le donne
iperspecializzate, a cui si affidava la propria incondizionata fiducia. Alla
fine è arrivata la cultura “fai da te”, tratta a secondo delle proprie fonti:
social o web che sia. A leggere i saggi? Sia mai!
Antonio Giangrande: In Italia: i giornalisti non informano; i professori non
istruiscono. Essi fanno solo propaganda. Sono il megafono della politica e delle
vetuste ideologie e quelli di sinistra son molto solidali tra loro. Se fai
notare il loro propagandismo e te ne lamenti, si risentono e gridano alla lesa
maestà, riportandosi alla Costituzione Cattomassonecomunista. In natura i
maiali, se ne tocchi uno, grugniscono tutti, richiamando il loro diritto di
parola.
Scritto tanti anni fa, ma ancora attuale. John Swinton, redattore capo del New
York Times, 12 aprile 1893. “In America, in questo periodo della storia del
mondo, una stampa indipendente non esiste. Lo sapete voi e lo so pure io. Non
c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete
anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate. Io sono
pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal
giornale col quale ho rapporti. Altri di voi sono pagati in modo simile per cose
simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si
ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro. Se io permettessi
alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di
ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata. Il lavoro del giornalista
è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di
diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio
paese e la sua gente per il suo pane quotidiano. Lo sapete voi e lo so pure io.
E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente? Noi
siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte. Noi
siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le
nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri. Noi siamo
delle prostitute intellettuali”.
Antonio Giangrande: Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano.
Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per
sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a
combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di
loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria,
insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli
vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua
madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e
Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora
tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un
profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa
della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se
si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri
e si osteggiano i diversi?
Antonio Giangrande: Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano.
Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non
per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a
combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di
loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria,
insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli
vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua
madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e
Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora
tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un
profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa
della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se
si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri
e si osteggiano i diversi?
Antonio Giangrande: Non capisco per chi cazzo mi dia da fare e chi me lo faccia
fare, subendone le ritorsioni. Lavoro tutti i giorni per dimostrare che chi si
lamenta dell’andazzo pubblico non è un mitomane o un pazzo. Integro i miei libri
con nuove testimonianze e pubblico i filmati che ne attestano in video la
fondatezza per sensibilizzare l’opinione pubblica. Nei video, come nei libri,
non parlo di me, ma dei problemi di questi coglioni che delle loro rogne hanno
fatto un brand, pretendendone la soluzione, che non ci può mai essere. Nei
video, come nei libri, nell’introduzione, mi limito per 20 secondi a presentarmi
come autore. Bene. I cialtroni che stanno lì a menarla con i loro problemi in
tutti i loro post, mai, dico mai, che abbiano condiviso un mio video che li
riguardi, (o abbiano messo un mi piace sulla pagina dei miei libri) giusto per
dimostrare che il loro problema non è frutto della loro mitomania e che ci sia
qualcuno che si interessa. Qualcuno ha azzardato che parlo solo di me e qualcun
altro mi accusa di speculare sulle disgrazie altrui. Qualcun altro ancora,
essendo giornalista, anche quelli in disgrazia che hanno ottenuto che parlassi
di loro, mai un rigo sul mio lavoro.
Penso che oggi sia arrivata l’ora di mandare un bel vaffanculo a tutti loro.
Che differenza c’è
tra Etica e Morale?
Antonio Giangrande:
Laddove il Diritto Soggettivo dei singoli si scontra con l’Interesse Pubblico e
degrada in Interesse Legittimo nelle pretese contro i Burocrati della Pubblica
Amministrazione, così l’Etica, come bene pubblico da salvaguardare, è il faro al
quale la Morale del singolo si deve conformare, a pena di sanzione.
Taranto. Avv.
Antonio Zito e Avv. Giancarlo De Valerio: Presunti innocenti fino a condanna
definitiva. I maggiori quotidiani ne parlano. Ormai sono gognati. Il Marchio
rimane.
Aggressione
dell’Ucraina. Qualsivoglia siano le motivazioni, non si può parteggiare con chi
uccide i bambini. Non ci si può confondere tra guerreggianti e criminali di
guerra. Chi sta con Putin è come dire: sta dalla parte di Hitler.
Antonio Giangrande: Tutti vogliono avere ragione e tutti pretendono di imporre
la loro verità agli altri. Chi impone ignora, millanta o manipola la verità.
L'ignoranza degli altri non può discernere la verità dalla menzogna. Il saggio
aspetta che la verità venga agli altri. La sapienza riconosce la verità e spesso
ciò fa ricredere e cambiare opinione. Solo gli sciocchi e gli ignoranti non
cambiano mai idea, per questo sono sempre sottomessi. La Verità rende liberi,
per questo è importante far di tutto per conoscerla.
Si
può competere con l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’Intelligenza ascolta,
comprende e pur non condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego,
pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua
convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non
pretenderlo per sé
stessa.
Certe persone non sono importanti, siamo noi che, sbagliando, gli diamo
importanza.
“Le pecore nere di
una famiglia sono in realtà liberatrici del loro albero genealogico.
Membri della
famiglia che non si adattano alle regole o alle tradizioni familiari, coloro che
cercano costantemente di rivoluzionare le credenze.
Coloro che scelgono
strade contrarie ai percorsi ben battuti delle linee familiari, coloro che sono
criticati, giudicati e persino respinti.
Questi sono
chiamati a liberare la famiglia da schemi ripetitivi che frustrano intere
generazioni.
Queste cosiddette
“pecore nere”, quelle che non si adattano, quelle che ululano con la ribellione,
in realtà riparano, disintossicano e creano nuovi rami fiorenti nel loro albero
genealogico.
Innumerevoli
desideri non realizzati, sogni infranti o talenti frustrati dei nostri antenati
si manifestano attraverso questa rivolta.
Per inerzia,
l’albero genealogico farà di tutto per mantenere il decorso castrante e tossico
del suo tronco, che renderà il compito del ribelle difficile e conflittuale.
Smetti di dubitare
e prenditi cura della tua rarità “come il fiore più prezioso del tuo albero”.
Sei
il sogno di tutti i tuoi antenati.” Bert Hellinger
Antonio Giangrande: Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la
nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di
quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime,
dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è
farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo
solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Antonio Giangrande: Imparare ad imparare. Ci ho messo anni a capire l’importanza
del significato di questa frase. L’arroganza e la presunzione giovanile dapprima
me lo ha impedito. Condita da una buona dose di conformismo. Poi con il passare
del tempo è arrivata la saggezza.
Capire di dover capire significa non muoversi a casaccio, senza una meta, senza
un fine, senza un programma. Capire di dover capire significa chiedersi che
senso ha ogni passo che ci indicano di compiere e che compiamo, ogni prova che
superiamo, ogni giorno che spendiamo insieme a delle persone. Quante volte
approcciamo un problema con la reale convinzione di risolverlo con indicazioni
di altri, senza chiederci se davvero esiste una strada differente per arrivare
ad una conclusione sensata.
Ecco, capire di dover capire. Non muoversi a caso, per sentito dire, parlando
con le persone sbagliate, non valutando attentamente ogni passo che si deve
compiere. Per fare questo dobbiamo essere pronti ad “imparare ad imparare”
ovvero lasciare da parte nozioni acquisite e preconcetti e ad aprirci al nuovo.
Imparare ad imparare significa creare un percorso.
Serve leggere libri? Se la risposta è positiva dobbiamo adottare un metodo per
selezionare quali libri leggere perché la mole dei libri in circolazione è tale
che non potremmo reggere il passo, ne, tantomeno, compararne logica e verità.
Antonio Giangrande:
Michela Murgia, l'ultimo delirio: "Il momento della lotta di classe", ecco come
vuole impoverirci tutti. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 10 settembre
2021. Marx e Saviano, ecco i riferimenti ideologici di Michela Murgia. Lo ha
esplicitato ieri lei stessa al Festivaletteratura di Mantova. «Le battaglie
femministe oggi sono vitali, così come quelle Lgbt e contro la razzializzazione
delle persone. Ma la lotta di classe, più trasversale di altre, è quasi assente.
Spero ci sia un movimento forte che si batta contro le differenze economiche».
La sinistra riscopre dunque il suo odio anti-ricchi. Insieme al disprezzo per la
famiglia. «Saviano», continua la Murgia, «ha detto che le mafie finiranno quando
finiranno le famiglie. Mi chiedo anche io se sia possibile ripensare la società,
mettendo in discussione il concetto di famiglia».
La povertà è fame:
sei impossibilitato a sfamare te e la tua famiglia.
La povertà è
solitudine: non puoi avere una famiglia.
La povertà è
emarginazione: non puoi avere amici.
La povertà è
sporcizia: sei impossibilitato a lavarti e ad adottare le più elementari forme
di igiene.
La povertà è vivere
senza un tetto o in abitazioni insalubri.
La povertà è vivere
con vestiti logori e sporchi.
La povertà è
malattia: sei impossibilitato a curare te e la tua famiglia.
La povertà è
ignoranza: non puoi far studiare te e i tuoi figli per migliorare il futuro.
La povertà è
sopraffazione: non puoi difenderti da accuse penali infamanti.
La povertà è
staticità: non puoi viaggiare per fuggire.
La povertà è non
avere potere e non essere rappresentati adeguatamente.
La povertà è
mancanza di libertà e di dignità.
La povertà è
silenzio: nessuno ti scolta, anche se hai tanto da insegnare.
La povertà assume
volti diversi, volti che cambiano nei luoghi e nel tempo, ed è stata descritta
in molti modi.
La povertà è una
situazione da cui la gente vuole evadere con qualsiasi mezzo e compromesso.
La povertà è essere
indifeso, quindi vittima di sopraffazione ed ingiustizie altrui.
Per capire come si
può ridurre la povertà, per capire ciò che contribuisce o meno ad alleviarla e
per capire come cambia nel tempo, bisogna vivere la povertà. Dato che la povertà
ha tante dimensioni, deve essere osservata mediante una serie di indicatori;
indicatori dei livelli di reddito e di consumo, indicatori sociali ed anche
indicatori della vulnerabilità e del livello di accesso alla società e alla vita
politica. Una forte incidenza della povertà si associa al basso titolo di studio
o al basso profilo professionale e, come è naturale, anche, per i casi di
disoccupazione.
Antonio Giangrande: Il reddito si crea. Il reddito non si sostenta dallo Stato.
Perché se nessuno produce e nessuno commercia, da chi si prendono i soldi per i
consumi o mantenere una società?
Ed una società funziona se sono i capaci e competenti a farla funzionare,
altrimenti si blocca.
In questa Italia cattocomunista non puoi fare nulla, perché si fotte tutto lo
Stato con tasse, tributi e contributi, per mantenere i parassiti nazionali ed
europei.
In questa Italia cattocomunista non puoi avere nulla, perché si fotte tutto lo
Stato con accuse strumentali di mafiosità e con i fallimenti truccati, per
mantenere i profittatori.
In questa Italia parlano di sostegno al lavoro, ma nulla fanno per incentivarlo
a crearlo, come agevolare il credito, o come detassare, o come sburocratizzare,
con eliminazione di vincoli e fardelli.
I giovani in questo modo possono inventare e creare il proprio lavoro, senza
essere condannati alla dipendenza di stampo socialista.
I giovani hanno bisogno di libertà d’impresa non di elemosine.
La Povertà ed il
Metadone di Stato.
Antonio Giangrande: Prima della rivoluzione francese “L’Ancien Régime”
imponeva: ruba ai poveri per dare ai ricchi.
Erano dei Ladri!!!
Dopo, con l’avvento dei moti rivoluzionari del proletariato e la formazione
ideologica/confessionale dei movimenti di sinistra e le formazioni settarie
scissioniste del comunismo e del fascismo, si impose il regime contemporaneo
dello stato sociale o anche detto stato assistenziale (dall'inglese welfare
state). Lo stato sociale è una caratteristica dei moderni stati di diritto che
si fondano sul presupposto e inesistente principio di uguaglianza, in quanto
possiamo avere uguali diritti, ma non possiamo essere ritenuti tutti uguali: c’è
il genio e l’incapace, c’è lo stakanovista e lo scansafatiche, l’onesto ed il
deviante. Il capitale di per sé produce reddito, anche senza il fattore lavoro.
Il lavoro senza capitale non produce ricchezza. Il ritenere tutti uguali è il
fondamento di quasi tutte le Costituzioni figlie dell’influenza della
rivoluzione francese: Libertà, Uguaglianza, solidarietà. Senza questi principi
ogni stato moderno non sarebbe possibile chiamarlo tale. Questi Stati non amano
la meritocrazia, né meritevoli sono i loro organi istituzionali e burocratici.
Il tutto si baratta con elezioni irregolari ed a larga astensione e con concorsi
pubblici truccati di cooptazione. L’egualitarismo è una truffa. E’ un principio
velleitario detto alla “Robin Hood”, ossia: ruba ai ricchi per dare ai poveri.
Sono dei ladri!!!
Tra
l’antico regime e l’odierno sistema quale è la differenza?
Sempre di ladri si tratta. Anzi oggi è peggio. I criminali, oggi come allora,
saranno coloro che sempre si arricchiranno sui beoti che li acclamano, ma oggi,
per giunta, ti fanno intendere di fare gli interessi dei più deboli.
Non
diritto al lavoro, che, come la manna, non cade dal cielo, ma diritto a creare
lavoro. Diritto del subordinato a diventare titolare. Ma questo principio rende
la gente libera nel produrre lavoro e ad accumulare capitale. La “Libertà” non è
statuita nell’articolo 1 della nostra Costituzione catto comunista. Costituzioni
che osannano il lavoro, senza crearne, ma foraggiano il capitale con i soldi dei
lavoratori.
Le
confessioni comuniste/fasciste e clericali ti insegnano: chiedi e ti sarà dato.
Io
non voglio chiedere niente a nessuno, specie ai ladri criminali e menzogneri,
perché chi chiede si assoggetta e si schiavizza nella gratitudine e nella
riconoscenza.
Una
vita senza libertà è una vita di merda…
Antonio Giangrande. A proposito di Islam
Fermo restando che ci sono tantissime persone di fede islamica che sono della
brava gente, non posso che esprimere i miei più profondi dubbi sulla "buona
fede" della religione musulmana. Ciò che più non capisco è come si possa
denigrare la nostra cultura, quella occidentale, che ha portato l'uomo ad un
successivo livello di evoluzione e difendere senza "se" e senza "ma" una
cultura/società che, IN GRAN PARTE, è ferma al medioevo, in cui le donne sono
sottomesse all'uomo e considerate di loro proprietà, i "miscredenti" e i
peccatori vengono uccisi, la "Sharia" si basa sulla "legge del taglione", gli
omosessuali perseguitati, la libertà religiosa un miraggio, i diritti più
basilari sono ancora da conquistare, una civiltà che per secoli ci ha attaccato,
invaso, depredato, tentato di conquistarci. E con le ondate di immigrazione
proprio dal mondo arabo rischiamo di dover convivere IN CASA NOSTRA con tutte
queste situazioni. Ma ciò che trovo più strano, però, è il fatto che coloro che
difendono il mondo islamico sono proprio coloro che partecipano ai gay pride,
sono attivisti per i diritti delle donne, ecc. Forse perché i voti alle elezioni
valgono più di ogni tipo di coerenza.
P.S. Qualche migliaia di immigrati islamici su 60 milioni di abitanti di certo
non sono un problema, ma se cominciano a diventare qualche milione la situazione
cambia. Occhio…
Giorgia Meloni a
Dritto e Rovescio di Rete4 il 9 settembre 2021.
Del Debbio: Ha
definito il reddito di cittadinanza una sorta di Metadone di Stato”. Senta cosa
gli ha risposto Giuseppe Conte interpellato dal nostro Angelo Macchiavello.
Giuseppe Conte: E’
un’espressione volgare, veramente offensiva. Il Reddito di Cittadinanza ha
ridato dignità ai cittadini. Se usiamo questo linguaggio, togliamo dignità ai
cittadini.…
Giorgia Meloni: Ma
guardi non so cosa ci sia di volgare agli occhi dell’ex presidente del
Consiglio. Può essere un’espressione che lui considera irrispettosa, ma non
verso i cittadini, ma verso di lui. Verso il Movimento 5 Stelle. Verso chi ha
voluto il reddito di Cittadinanza. Guardi, io ho detto una cosa molto precisa.
Ho detto che il principio del Reddito di Cittadinanza in rapporto alla povertà è
lo stesso principio che si usa con il Metadone in rapporto ad una persona
tossico dipendente. Perché che cosa fa il Metadone. Il Metadone non risolve il
problema di quella persona: la mantiene in quella condizione, perché non dia
fastidio allo Stato. Col Reddito di Cittadinanza la mentalità è esattamente la
stessa: io non risolvo il problema della povertà di quella persona trovandole un
lavoro, dandole la possibilità di migliorare la sua condizione. No, io la
mantengo in quella condizione, serva di una politica che sono costretto a
votare, perché magari mi dà la paghetta, senza poter mai migliorare. Diceva,
l’ho detto tante volte, diceva il premio Nobel per l’economia Amartya Sen che la
povertà non è semplicemente la mancanza di soldi. La vera povertà è
l’impossibilità che tu hai di migliorare la condizione nella quale ti trovi, che
è data dal contesto che ti circonda. Quando io, ad esempio, sentì dire
dall’allora ministero dell’economia per il Sud che la soluzione che il Governo
aveva individuato era il Reddito di Cittadinanza, io non ci sto. Perché non ci
sto a dire al Mezzogiorno d’Italia che quelle persone non possono migliorare la
loro condizione. Che non ci sarà mai un investimento infrastrutturale, che non
ci sarà mai uno sviluppo vero. Che non ci sarà mai una crescita; una possibilità
di competere ad armi pari. No, tutti a 300, 400, 500 euro col Movimento 5
Stelle, rimanendo esattamente lì dove si è. Questo è lo stesso principio del
Metadone di Stato.
Aggiungo io,
Antonio Giangrande, Metadone di Stato è anche il considerare mafiosi tutti i
cittadini meridionali e per gli effetti tutte le imprese meridionali. Le
informative amministrative antimafia artefatte che precludono l'esercizio delle
imprese del Sud solo per il sentore di mafiosità, dovuto a mille fattori non
delinquenziali. Gli annosi procedimenti giudiziari antimafia di alcuni Pm
mediatici, che spesso risultano dei bluff. La distruzione metodica del tessuto
produttivo meridionale, nell'interesse delle imprese del Nord, porta
desertificazione lavorativa e assoggettamento all'assistenzialismo che perdura
la povertà. Senza impresa non c'è lavoro.
IL DEBITO DELLA PROSTITUTA
Non
so chi sia il genio che l'ha scritto ... ma è eccellente ...
A
marzo, in una piccola città, cade una pioggia torrenziale e per diversi giorni
la città sembra deserta.
La
crisi affligge questo posto da molto tempo, tutti hanno debiti e vivono a
credito.
Fortunatamente, un milionario con tanti soldi arriva ed entra nell'unico piccolo
hotel sul posto, chiede una stanza, mette una banconota da 100 euro sul tavolo
della reception e va a vedere le stanze.
-
Il gestore dell'hotel prende la banconota e scappa per pagare i suoi debiti con:
-
Il macellaio.
Questo prende i 100 euro e scappa per pagare il suo debito con:
-
L'allevatore di maiali.
Quest’ultimo prende la banconota e corre a pagare ciò che deve:
-
Il mulino-Fornitore di mangimi per maiali.
Il
proprietario del mulino prende 100 euro al volo e corre a saldare il suo debito
con:
-
Maria, la prostituta che non paga da molto tempo, in tempi di crisi, offre
persino servizi a credito ...
La
prostituta con la banconota in mano parte per:
-
Il piccolo hotel, dove aveva portato i suoi clienti le ultime volte e non aveva
ancora pagato e gli consegna 100 euro:
-
Al proprietario dell'hotel.
In
questo momento il milionario che ha appena dato un'occhiata alle stanze scende,
dice di non essere convinto delle stanze, prende i suoi 100 euro e va via.
"Nessuno ha guadagnato un euro, ma ora l'intera città vive senza debiti e guarda
al futuro con fiducia" !!!
MORALE:
SE
I SOLDI CIRCOLANO, NELL'ECONOMIA LOCALE, LA CRISI È FINITA.
Consumiamo di più nei piccoli negozi e mercati di quartiere
-
Consuma ciò che producono i tuoi amici e il tuo paese!!!
-
Se il tuo amico ha una micro impresa, compra i suoi prodotti!
-
Se il tuo amico vende vestiti, comprali!
-
Se il tuo amico vende scarpe, comprale!
-
Se la tua amica vende dolciumi, compra!
-
Se il tuo amico è un contabile, vai a chiedere consiglio!
-
Se il mio amico possedesse un ristorante ... Cosa ne pensi? Vorrei mangiare lì!
-
Se un mio amico avesse un negozio, in quello comprerei!
Alla fine della giornata, la maggior parte dei soldi viene raccolta da grandi
società e cosa credi? Vanno via dal paese! Ma quando acquisti da un
imprenditore, una piccola impresa di medie dimensioni o dai tuoi amici, li
aiuti, tutti noi vinciamo e contribuiamo alla nostra economia.
Sosteniamo l'imprenditorialità ...
Antonio Giangrande: Cultura. “Il Comunista Benito Mussolini”.
Quello che la sub cultura post bellica impedisce di far sapere ai retrogradi ed
ignoranti italioti.
Non
fu lotta di liberazione, ma solo lotta di potere a sinistra.
La
sola differenza politica tra Mussolini e Togliatti era che il Benito Leninista
espropriò le terre ai ricchi donandola ai poveri, affinchè lavorassero la terra
per sé ed i propri cari in una Italia autonoma ed indipendente; il Palmiro
Stalinista voleva espropriare le proprietà ai ricchi per far lavorare i poveri a
vantaggio della nomenclatura di Stato assoggettata all’Unione Sovietica.
Mussolini è stato più comunista di Fidel Castro. Quel Castro che mai si era
dichiarato comunista. Se non che, con l'appellativo di Líder Máximo
("Condottiero Supremo"), a quanto pare attribuitogli quando, il 2 dicembre 1961,
dichiarò che Cuba avrebbe adottato il comunismo in seguito allo sbarco della
baia dei Porci a sud di L'Avana, un fallito tentativo da parte del governo
statunitense di rovesciare con le armi il regime cubano. Nel corso degli anni
Castro ha rafforzato la popolarità di quest'appellativo.
“Il
Comunista Benito Mussolini”. La nuova fatica di Antonio Giangrande in Book o in
E-book sui canali editoriali alternativi: Amazon e Create Space; Lulu e Google
Libri.
Dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: Non mi sento italiano…ma per fortuna o purtroppo lo sono…
A
proposito dello sgombero dell’immobile occupato abusivamente da stranieri a
Roma:
Perché gli organi di informazione ideologizzati, che hanno perso ogni forma di
credibilità, esaltano una frase detta sotto pressione e tensione da un solo
poliziotto e sottacciono le violenze a danno degli altri agenti di polizia? E
perché gli scribacchini si indignano dello sgombero di un immobile occupato
abusivamente e pagato con i fondi pensione dei cittadini italiani, mentre
tacciono spudoratamente, quando ad essere cacciati di casa sono quei cittadini
italiani vittime di sfratti o di esecuzioni forzate, frutto di usure bancarie
impunite o di sentenze vendute?
Antonio Giangrande: La definizione di mafie del dr Antonio Giangrande è: «Sono
sodalizi mafiosi tutte le organizzazioni formate da più di due persone
specializzati nella produzione di beni e servizi illeciti e nel commercio di
tali beni. Sono altresì mafiosi i gruppi di più di due persone che aspirano a
governare territori e mercati e che, facendo leva sulla reputazione e sulla
violenza, conservano e proteggono il loro status quo».
In
questo modo si combattono le mafie nere (manovalanza), le mafie bianche
(colletti bianchi, lobbies e caste), le mafie neutre (massonerie e consorterie
deviate).
Antonio Giangrande: Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora
genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino
a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato,
senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e
poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5
stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san
tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non
son capaci.
Antonio Giangrande: La sinistra ha abbandonato I Diritti Sociali dei tanti (Il
popolo dei ceti medio e bassi) poco rappresentati in Parlamento in favore de I
Diritti Civili dei pochi (Immigrati, mussulmani, LGBTQIA+, ecc.)
sovra-rappresentati in Parlamento rispetto al numero reale nella società
italiana.
Antonio Giangrande:
QUELLI CHE……L’ART. 18.
Licenziare il
lavoratore dannoso all'impresa ed alla società civile, significa educare al
lavoro ed al rispetto dei ruoli, delle persone e della proprietà altrui. Come
significa anche aprire il mercato del lavoro a chi il lavoro non lo ha mai avuto
per colpa di coloro che, sindacalizzati e politicizzati, avevano il monopolio e
l'esclusiva dell'occupazione. Perchè qualcuno deve coprire il posto di lavoro
lasciato libero dal licenziamento.
La sinistra aveva i voti degli operai, non dei poveri.
Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della
Sera mercoledì 27 settembre 2023.
Caro Aldo, lei ha scritto che non erano i poveri a votare a sinistra, ma gli
operai. Che differenza c’è? Franco Lepori Roma
Caro Franco, Dov’è la maggioranza dei poveri in Italia? Al Sud. Dove prendeva i
voti il partito comunista? Al Nord. A Napoli votavano Pci gli operai
dell’Italsider di Bagnoli e dell’Alfasud di Pomigliano d’Arco, non il popolo dei
bassi, che votava Democrazia cristiana con uno spirito non molto diverso da
quello con cui oggi vota Cinque Stelle: per avere i soldi dello Stato. Fuori
dalle regioni rosse, i comunisti erano forti nei grandi agglomerati industriali
del Nord: Torino, Genova, Marghera, la cintura settentrionale di Milano. Negli
Anni 70 si iscriveva alla Cgil e votava Pci l’operaio massa: stessa mansione,
stesso stipendio (non lauto ma comunque più di chi aveva lavori precari o non
aveva lavoro), stessa classe sociale, stesso sistema di valori. Dice: il Pci
doveva prendere le distanze da Mosca. Certo. Ma se dopo il crollo del Muro e la
fine dell’Unione sovietica nacque un partito della Rifondazione comunista che
prese più dell’8%, figurarsi cosa sarebbe accaduto se il tentativo di andare
oltre il comunismo fosse stato fatto prima. Ovviamente la prevalenza del Pci fu
un grosso problema per la sinistra italiana. Mentre i laburisti inglesi, i
socialdemocratici tedeschi, i socialisti francesi e spagnoli andavano al
governo, la sinistra italiana si divideva e in buona parte restava
all’opposizione. Oggi gli operai non ci sono quasi più. E le classi popolari
votano a destra, perché percepiscono il Pd come il partito della gente che sta
bene. Non che i ricchi votino a sinistra; i veri ricchi votano a destra in tutto
il mondo. A sinistra vota la borghesia intellettuale, il ceto medio dipendente;
cui i capi della sinistra vogliono aumentare le tasse. Chi la pagherebbe la
patrimoniale vagheggiata da Schlein e Fratoianni? I grandi capitali, già al
sicuro nei paradisi fiscali?
Antonio Giangrande:
A.D. 2014. MORIRE DI DENTI, MORIRE DI POVERTA’, MA I DENTISTI SI SCAGLIANO
CONTRO ANTONIO GIANGRANDE.
«Siamo un paese di
gente che, presi uno ad uno, si definisce onesta. Per ogni male che attanaglia
questa Italia, non si riesce mai a trovare il responsabile. Tanto, la colpa è
sempre degli altri!». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di
fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio
antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e
fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.
«Quando ho trattato
il tema dell’odontoiatria, parlando di un servizio non usufruibile per tutti,
non ho affrontato l’argomento sulla selezione degli odontoiatri. Non ho detto,
per esempio, che saranno processati a partire dal prossimo 6 marzo 2014 i 26
imputati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Bari Michele Parisi
nell'ambito del procedimento per i presunti test di ingresso truccati per
l'ammissione alle facoltà di odontoiatria e protesi dentaria delle Università di
Bari, Napoli, Foggia e Verona, negli anni 2008-2009. Ho scritto solo un articolo
asettico dal titolo eclatante.»
LA LOBBY DEI
DENTISTI E LA MAFIA ODONTOIATRICA.
In una sequela di
corpi nudi, da quale particolare tra loro riconosceresti un indigente? Dai
denti, naturalmente! Guardalo in bocca quando ride e quando parla e vedrai una
dentatura incompleta, cariata e sporca.
In fatto di salute
dentale gli italiani non si rivolgono alla ASL. I dentisti della ASL ci sono,
eppure è solo l'8% degli italiani ad avvalersi dei dentisti pubblici. Nel 92%
dei casi gli italiani scelgono un dentista privato. Più che altro ad influenzare
la scelta per accedere a questa prestazione medica è perché alla stessa non è
riconosciuta l’esenzione del Ticket. Ci si mette anche la macchinosità
burocratica distribuita in più tempi: ricetta medica; prenotazione, pagamento
ticket e finalmente la visita medica lontana nel tempo e spesso a decine di km
di distanza, che si protrae in più fasi con rinnovo perpetuo di ricetta,
prenotazione e pagamento ticket. La maggiore disponibilità del privato sotto
casa a fissare appuntamenti in tempi brevi, poi, è la carta vincente ed alla
fine dei conti, anche, la più conveniente. Ciononostante la cura dei denti ci
impone di aprire un mutuo alla nostra Banca di fiducia.
Il diritto alla
salute dei denti, in questo stato di cose, in Italia, è un privilegio negato
agli svantaggiati sociali ed economici.
LA VULNERABILITA’
SOCIALE. Può essere definita come quella condizione di svantaggio sociale ed
economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e/o esclusione
sociale, che impedisce di fatto l’accesso alle cure odontoiatriche oltre che per
una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura dei propri denti, anche
e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture
odontoiatriche private. L’elevato costo delle cure presso i privati, unica
alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di
ridotto accesso alle cure stesse anche per le famiglie a reddito medio - basso;
ciò, di fatto, limita l’accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di
popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili
determinati interventi.
Pertanto, tra le
condizioni di vulnerabilità sociale si possono individuare tre distinte
situazioni nelle quali l’accesso alle cure è ostacolato o impedito:
a) situazioni di
esclusione sociale (indigenza);
b) situazioni di
povertà:
c) situazioni di
reddito medio – basso.
Perché il Servizio
Sanitario Nazionale e di rimando quello regionale e locale non garantisce il
paritetico accesso alle cure dentali? Perché a coloro che beneficiano
dell’esenzione al pagamento del Ticket, questo non è applicato alla prestazione
odontoiatrica pubblica?
Andare dal dentista
gratis è forse il sogno di tutti, visti i conti che ci troviamo periodicamente a
pagare e che non di rado sono la ragione per cui si rimandano le visite
odontoiatriche, a tutto discapito della salute dentale. Come avrete capito,
insomma, non è così semplice avere le cure dentistiche gratis e spesso, per
averle, si devono avere degli svantaggi molto forti, al cui confronto la
parcella del dentista, anche la più cara, non è nulla. E' però importante sapere
e far sapere che, chi vive condizioni di disagio economico o ha malattie gravi,
può godere, ma solo in rare Regioni, di cure dentistiche gratuite a totale
carico del Sistema Sanitario Nazionale. Diciamo subito che non tutti possono
avere questo diritto: le spese odontoiatriche non sono assimilabili a quelle di
altre prestazioni mediche offerte nelle ASL, negli ospedali e nelle cliniche
convenzionate di tutta Italia. Inoltre, qualora si rendano necessarie protesi
dentarie o apparecchi ortodontici, questi sono a carico del paziente: vi sono
però alcune condizioni particolari che permettono, a seconda dei regolamenti
regionali, di ottenere protesi dentali gratuite e apparecchi a costo zero o
quasi. Le regioni amministrano la sanità, e dunque anche le cure dentistiche,
con larghe autonomie che a loro volta portano a differenze anche sostanziali da
un luogo all'altro. Bisogna, quando si nasce, scegliersi il posto!
Alla fine del
racconto, la morale che se ne trae è una. E’ possibile che la lobby dei dentisti
sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli
indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un
popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da
una ignobile dentatura?
Questo articolo è
stato pubblicato da decine di testate di informazione. E la reazione dei
dentisti non si è fatta attendere, anche con toni minacciosi. Oggetto degli
strali polemici è stato, oltre che Antonio Giangrande, il direttore di “Oggi”.
«I Dentisti non
sono mafiosi bensì gli unici che si prendono cura dei cittadini». ANDI protesta
con Oggi per una delirante lettera pubblicata. Così viene definito l’articolo.
Il 14 gennaio 2014 sul sito del settimanale Oggi, nella rubrica “C’è posta per
noi”, è stata pubblicata una missiva del dott. Antonio Giangrande presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie dal titolo “La lobby dei dentisti e la
mafia odontoiatrica”. Nella nota Giangrande analizza il bisogno di salute orale
e le difficoltà del servizio pubblico di dare le risposte necessarie chiedendosi
se tutto questo non è frutto del lavoro della lobby dei dentisti talmente
potente da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl e le decisioni del
Parlamento. ANDI, per tutelare l’immagine dei dentisti liberi professionisti
italiani, sta valutando se intraprendere azioni legali nei confronti dell’autore
della lettera e del giornale. Intanto ha chiesto di pubblicare la nota che
riportiamo sotto. La Redazione di Oggi ha scritto il 24.1.2014 alle 16:59, Il
precedente titolo della lettera del Dottor Giangrande era fuorviante e di questo
ci scusiamo con gli interessati. Qui di seguito l’intervento dell’Associazione
Nazionale Dentisti italiani, a nome del Presidente Dott. Gianfranco Prada, in
risposta allo stesso Dottor Giangrande. «A nome dei 23 mila dentisti italiani
Associati ad ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) che mi onoro di
presiedere vorrei rispondere alla domanda che il dott. Antonio Giangrande,
presidente dell’Associazione Contro tutte le Mafie ha posto sul suo giornale il
14 gennaio. “E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da
influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi
legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di
sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una
ignobile dentatura?” La risposta è no. No, dott. Giangrande non c’è una lobby di
dentisti così forte da influenzare le scelte della sanità pubblica. La causa di
quanto lei scrive si chiama spending review o se vogliamo utilizzare un termine
italiano dovremmo dire tagli: oltre 30 miliardi negli ultimi due anni quelli per
la sanità. Poi io aggiungerei anche disinteresse della politica verso la salute
orale che non ha portato, mai, il nostro SSN ad interessarsi del problema. Vede
dott. Giangrande lei ha ragione quando sostiene che un sorriso in salute è una
discriminante sociale, ma non da oggi, da sempre. Ma questo non per ragioni
economiche, bensì culturali. Chi fa prevenzione non si ammala e non ha bisogno
di cure. Mantenere sotto controllo la propria salute orale costa all’anno quanto
una signora spende alla settimana dalla propria parrucchiera. Ed ha anche
ragione quando “scopre” che le cure odontoiatriche sono costose, ma non care
come dice lei. Fare una buona odontoiatria costa e costa sia al dentista privato
che alla struttura pubblica, che infatti non riesce ad attivare un servizio che
riesca a soddisfare le richieste dei cittadini. Inoltre, oggi, lo stato del SSN
quasi al collasso, non consente investimenti nell’odontoiatria: chiudono i
pronto soccorso o vengono negati prestazioni salva vita. Ma le carenze del
pubblico nell’assistenza odontoiatrica non è neppure di finanziamenti, è di come
questi soldi vengono investiti. Qualche anno fa il Ministero della Salute ha
effettuato un censimento per capire le attrezzature ed il personale impiegato da
Ospedali ed Asl nell’assistenza odontoiatrica e da questo è emerso che i
dentisti impiegati utilizzano gli ambulatori pubblici in media per sole 3 ore al
giorno. Ma non pensi sia per negligenza degli operatori, molto spesso è la
stessa Asl che non può permettersi di attivare il servizio per più tempo. Non ha
i soldi. Però poi succede anche che utilizzi le strutture pubbliche per dare
assistenza odontoiatrica a pagamento e quindi per rimpinguare i propri bilanci.
Come mai non ci indigna per questo? Il problema non è di carenza di attrezzature
(mediamente quelle ci sono) sono i costi per le cure. Una visita odontoiatria è
molto più costosa di una visita di qualsiasi altra branca della medicina. Pensi
quando il suo dermatologo o cardiologo la visita e poi allo studio del suo
dentista in termini di strumenti, attrezzature e materiali utilizzati. Anche con
i pazienti che pagano il ticket l’Asl non riesce a coprire neppure una piccola
parte dei costi sostenuti per effettuare la cure. Da tempo chiediamo ai vari
Ministri che negli anni hanno trascurato l’assistenza odontoiatrica di dirottare
quegli investimenti in un progetto di prevenzione odontoiatrica verso la fasce
sociali deboli e i ragazzi. Una seria campagna di prevenzione permetterebbe di
abbattere drasticamente le malattie del cavo orale, carie e malattia
parodontale, diminuendo drasticamente la necessità di interventi costosi futuri
come quelli protesici. Invece nelle nostre Asl e negli ospedali non si previene
e non si cura neppure, perché costa troppo curare, così si estraggono solo
denti… creando degli “sdentati” che avranno bisogno di protesi. Dispositivo che
il nostro SSN non può erogare. Ma molto spesso lo fa a pagamento. Pensi, dott.
Giangrande, siamo talmente lobbie che l’unico progetto di prevenzione pubblica
gratuito attivo su tutto il territorio nazionale è reso possibile da 35 anni dai
dentisti privati aderenti all’ANDI. Stesso discorso per l’unico progetto di
prevenzione del tumore del cavo orale, 6 mila morti all’anno per mancata
prevenzione. Per aiutare gli italiani a tutelare la propria salute orale
nell’immediato basterebbe aumentare le detrazioni fiscali della fattura del
dentista (oggi è possibile detrarre solo il 19%) ma questo il Ministero
dell’Economia dice che non è possibile. Però da anni si permette ai cittadini di
detrarre oltre il 50% di quanto spendono per ristrutturare casa o per comprare
la cucina. Come vede, caro dott. Giangrande, il problema della salute orale è
molto serio così come molto serio il problema della mafia. Ma proprio perché
sono problemi seri, per occuparsene con competenza bisogna sforzarsi di
analizzare il problema con serietà e non fare le proprie considerazioni
utilizzando banali lunghi comuni. In questo modo insulta solo i dentisti
italiani che sono seri professionisti e non truffatori o peggio ancora mafiosi.
Fortunatamente questo i nostri pazienti lo sanno, ecco perché il 90% sceglie il
dentista privato e non altre strutture come quelle pubbliche o i low cost.
Perché si fida di noi, perché siamo seri professionisti che lavorano per
mantenerli sani. Aspettiamo le sue scuse. Il Presidente Nazionale ANDI, Dott.
Gianfranco Prada».
Antonio Giangrande,
come sua consuetudine, fa rispondere i fatti per zittire polemiche strumentali e
senza fondamento, oltre che fuorvianti il problema della iniquità sociale
imperante.
Palermo. Morire,
nel 2014, perché non si vuole - o non si può - ricorrere alle cure di un
dentista. Da un ospedale all'altro: muore per un ascesso. Quando il dolore è
diventato insopportabile ha deciso di rivolgersi ai medici, ma la situazione è
precipitata, scrive Valentina Raffa su “Il Giornale”, martedì 11/02/2014. Una
storia alla Dickens, con la differenza però che oggi non siamo più nell'800 e
romanzi sociali come «Oliver Twist», «David Copperfield» e «Tempi difficili»
dovrebbero apparire decisamente anacronistici. Eppure... Eppure succede che ai
nostri giorni si possa ancora morire per un mal di denti. Un dolore a un molare
che la protagonista di questa drammatica vicenda aveva cercato di sopportare.
Difficile rivolgersi a un dentista, perché curare un ascesso avrebbe richiesto
una certa spesa. E Gaetana, 18enne di Palermo, non poteva permettersela. Lei si
sarebbe dovuta recare immediatamente in Pronto soccorso. Quando lo ha fatto,
ossia quando il dolore era divenuto lancinante al punto da farle perdere i
sensi, per lei non c'era più nulla da fare. È stata accompagnata dalla famiglia
all'ospedale Buccheri La Ferla, di Palermo, dove avrebbe risposto bene alla
terapia antibiotica, ma purtroppo il nosocomio (a differenza del Policlinico)
non dispone di un reparto specializzato. Quando quindi la situazione si è
aggravata, la donna è stata portata all'ospedale Civico. Ricoverata in 2^
Rianimazione, i medici hanno tentato il possibile per salvarle la vita. A quel
punto, però, l'infezione aveva invaso il collo e raggiunto i polmoni. L'ascesso
al molare era divenuto fascite polmonare. L'agonia è durata giorni. La vita di
Gaetana era appesa a un filo. Poi è sopraggiunto il decesso. Le cause della
morte sono chiare, per cui non è stata disposta l'autopsia. Nel 2014 si muore
ancora così. E pensare che esiste la «mutua». Ma Gaetana forse non lo sapeva.
Sarebbe bastato recarsi in ospedale con l'impegnativa del medico di base. è una
storia di degrado, non di malasanità: ci sono 4 ospedali a Palermo con servizio
odontoiatrico. Ma nella periferia tristemente famosa dello Zen questa non è
un'ovvietà.
Morire di povertà.
Gaetana Priola, 18 anni, non aveva i soldi per andare dal dentista scrive
“Libero Quotidiano”. La giovane si è spenta all'ospedale civico di Palermo, dove
era ricoverata dai primi giorni di febbraio 2014. A ucciderla, un’infezione
polmonare causata da un ascesso dentale mai curato. All'inizio del mese, la
giovane era svenuta in casa senza più dare segni di vita. I medici le avevano
diagnosticato uno choc settico polmonare, condizione che si verifica in seguito
a un improvviso abbassamento della pressione sanguigna. Inizialmente, Gaetana
era stata trasportata al Bucchieri La Ferla e, in seguito, era stata trasferita
nel reparto di rianimazione del Civico. Le sue condizioni sono apparse da subito
come gravi. I medici hanno provato a rianimarla ma, dopo una settimana di cure
disperate, ne hanno dovuto registrare il decesso. Disperazione e dolore nel
quartiere Zen della città, dove la vittima risiedeva insieme alla famiglia.
All'inizio era un
semplice mal di denti, scrive “Il Corriere della Sera”. Sembrava un dolore da
sopportare senza drammatizzare troppo. Eppure in seguito si è trasformato in un
ascesso poi degenerato in infezione. Una patologia trascurata, forse anche per
motivi economici, che ha provocato la morte di una ragazza di 18 anni, Gaetana
Priolo. La giovane, che abitava a Palermo nel quartiere Brancaccio, non si era
curata; qualcuno dice che non aveva i soldi per pagare il dentista. Un
comportamento che le è stato fatale: è spirata nell'ospedale Civico per uno
«shock settico polmonare». Le condizioni economiche della famiglia della ragazza
sono disagiate ma decorose. Gaetana era la seconda di quattro figli di una
coppia separata: il padre, barista, era andato via un paio di anni fa. Nella
casa di via Azolino Hazon erano rimasti la moglie, la sorella maggiore di
Gaetana, il fratello e una bambina di quasi cinque anni. Per sopravvivere e
mantenere la famiglia la madre lavorava come donna delle pulizie. «È stata
sempre presente, attenta, una donna con gli attributi», dice Mariangela D'Aleo,
responsabile delle attività del Centro Padre Nostro, la struttura creato da don
Pino Puglisi, il parroco uccisa dalla mafia nel '93, per aiutare le famiglie del
quartiere in difficoltà. L'inizio del calvario per Gaetana comincia il 19
gennaio scorso: il dolore è insopportabile tanto da far perdere i sensi alla
diciottenne. La ragazza in prima battuta viene trasportata al Buccheri La Ferla
e visitata al pronto soccorso per sospetto ascesso dentario. «Dopo due ore
circa, in seguito alla terapia, essendo diminuito il dolore, - afferma una nota
della direzione del nosocomio - è stata dimessa per essere inviata per
competenza presso l'Odontoiatria del Policlinico di Palermo». Dove però Gaetana
non è mai andata. Si è invece fatta ricoverare il 30 gennaio al Civico dove le
sue condizioni sono apparse subito gravi: in seconda rianimazione le viene
diagnosticata una fascite, un'infezione grave che partendo dalla bocca si è già
diffusa fino ai polmoni - dicono all'ospedale -. I medici fanno di tutto per
salvarla, ma le condizioni critiche si aggravano ulteriormente fino al decesso
avvenuto la settimana scorsa. Al momento non c'è nessuna denuncia della famiglia
e nessuna inchiesta è stata aperta. «È un caso rarissimo - spiega una dentista -
ma certo non si può escludere che possa accadere». Soprattutto quando si
trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. «L'11% degli
italiani rinuncia alle cure perchè non ha le possibilità economiche, e nel caso
delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% - denuncia il segretario
nazionale Codacons, Francesco Tanasi - In Sicilia la situazione è addirittura
peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità
pubblica, settore dove però le liste d'attesa sono spesso lunghissime, al punto
da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure».
“È un caso
rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa
accadere”, scrive “Canicattiweb”. Soprattutto quando si trascura la cura dei
denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. Il Codacons si è schierato subito al
fianco dei familiari e dei cittadini indigenti. “Il caso della 18enne morta a
Palermo a causa di un ascesso non curato per mancanza di soldi, è uno degli
effetti della crisi economica che ha colpito la Sicilia in modo più drammatico
rispetto al resto d’Italia”. “L’11% degli italiani rinuncia alle cure mediche
perché non ha le possibilità economiche per curarsi, e nel caso delle le visite
odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale
Codacons, Francesco Tanasi – Ed in Sicilia la situazione è addirittura peggiore.
Chi non può permettersi cure private, si rivolge alla sanità pubblica, settore
dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un
numero crescente di utenti a rinunciare alle cure. Tale stato di cose genera
emergenze e situazioni estreme come la morte della ragazza di Palermo. E’
intollerabile che nel 2014 in Italia si possa morire per mancanza di soldi –
prosegue Tanasi – Il settore della sanità pubblica deve essere potenziato per
garantire a tutti le prestazioni mediche, mentre negli ultimi anni abbiamo
assistito a tagli lineari nella sanità che hanno prodotto solo un peggioramento
del servizio e un allungamento delle liste d’attesa”.
Bene, cari dentisti, gli avvocati adottano il gratuito patrocinio, ma non mi
sembra che voi adottiate il “Pro Bono Publico” nei confronti degli indigenti.
Pro bono publico (spesso abbreviata in pro bono) è una frase derivata dal latino
che significa "per il bene di tutti". Questa locuzione è spesso usata per
descrivere un fardello professionale di cui ci si fa carico volontariamente e
senza la retribuzione di alcuna somma, come un servizio pubblico. È comune nella
professione legale, in cui - a differenza del concetto di volontariato -
rappresenta la concessione gratuita di servizi o di specifiche competenze
professionali al servizio di coloro che non sono in grado di affrontarne il
costo. Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: la Magistratura? Ordine al servizio dello Stato, non Potere
dello Stato.
La separazione tra i poteri dello Stato (esecutivo, legislativo, giudiziario)?
Solo nella Francia di
Montesquieu (esecutivo, legislativo, giudiziario) e nella mente dei comunisti,
da usare come clava contro I Governi avversi.
Cosa dice la Costituzione.
Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione.
Cos'è la sovranità popolare e come si esercita?
Al Popolo è riservata l'effettiva capacità, votando, di decidere in prima
persona o tramite rappresentanti eletti sulle questioni politiche di fondo:
secondo la formula (sviluppata dal francese Burdeau) della democrazia
governante, è il popolo stesso ad assumersi così la responsabilità del proprio
destino.
Che cosa vuol dire che la sovranità appartiene al popolo?
Con esso, conformemente all'etimologia del termine democrazia (dal greco antico
δῆμος, dêmos,
"popolo" e -κρατία,
-kratía,
"potere"), si intende che la sovranità, cioè il potere di comandare e di
compiere le scelte politiche che riguardano la comunità, appartiene al popolo.
Come i cittadini esercitano la sovranità?
Non ci sono alternative; infatti la sovranità si esercita attraverso la delega
(Parlamento e di conseguenza Governo), oppure attraverso lo strumento diretto
del referendum o con una serie di strumenti giuridici (es. l'iniziativa di
legge) che sfociano pur sempre nella delega, perché se una legge non viene
discussa da un Parlamento, non entra in vigore.
Art. 104. La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni
altro potere.
In ambito concettuale-letterale prevale il termine Ordine o Potere?
E’ chiaro il senso letterale dell’articolo. Si stabilisce che la Magistratura è
un Ordine, autonomo ed indipendente dagli altri Poteri, ma non elevato al pari
di essi.
Antonio Giangrande:
Come la legislazione si conforma alla volontà ed agli interessi dei magistrati.
Un’inchiesta svolta
in virtù del diritto di critica storica e tratta dai saggi di Antonio Giangrande
“Impunitopoli. Legulei ed impunità” e “Tutto su Messina. Quello che non si osa
dire”.
Marito giudice e
moglie avvocato nello stesso tribunale: consentito o no? Si chiede Massimiliano
Annetta il 25 gennaio 2017 su “Il Dubbio”. Ha destato notevole scalpore la
strana vicenda che si sta consumando tra Firenze e Genova e che vede
protagonisti due medici, marito e moglie in via di separazione, e un sostituto
procuratore della Repubblica, il tutto sullo sfondo di un procedimento penale
per il reato di maltrattamenti in famiglia. Secondo il medico, il pm che per due
volte aveva chiesto per lui l’archiviazione, ma poi, improvvisamente, aveva
cambiato idea e chiesto addirittura gli arresti domiciliari – sia l’amante della
moglie. Il tutto sarebbe corredato da filmati degni di una spy story.
Ebbene, devo
confessare che questa vicenda non mi interessa troppo. Innanzitutto per una
ragione etica, ché io sono garantista con tutti; i processi sui giornali non mi
piacciono e, fatto salvo il sacrosanto diritto del pubblico ministero di
difendersi, saranno i magistrati genovesi (competenti a giudicare i loro
colleghi toscani) e il Csm a valutare i fatti. Ma pure per una ragione estetica,
ché l’intera vicenda mi ricorda certe commediacce sexy degli anni settanta e, a
differenza di Quentin Tarantino, non sono un cultore di quel genere
cinematografico.
Ben più
interessante, e foriero di sorprese, trovo, di contro, l’intero tema della
incompatibilità di sede dei magistrati per i loro rapporti di parentela o
affinità. La prima particolarità sta nel fatto che l’intera materia è regolata
dall’articolo 18 dell’ordinamento giudiziario, che la prevede solo per i
rapporti con esercenti la professione forense, insomma gli avvocati. Ne discende
che, per chi non veste la toga, di incompatibilità non ne sono previste, e
quindi può capitare, anzi capita, ad esempio, che il pm d’assalto e il cronista
sempre ben informato sulle sue inchieste intrattengano rapporti di cordialità
non solo professionale. Ma tant’è.
Senonché, pure per
i rapporti fra avvocati e magistrati la normativa è quantomeno lacunosa, poiché
l’articolo 18 del regio decreto 30.1.1941 n. 12, che regola la materia, nella
sua formulazione originale prevedeva l’incompatibilità di sede solo per “i
magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali […]
nei quali i loro parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado sono
iscritti negli albi professionali di avvocato o di procuratore”. Insomma, in
origine, e per decenni, si riteneva ben più condizionante un nipote di una
moglie, e del resto non c’è da sorprendersi, la norma ha settantasei anni e li
dimostra tutti; infatti, all’epoca dell’emanazione della disciplina
dell’ordinamento giudiziario le donne non erano ammesse al concorso in
magistratura ed era molto limitato pure l’esercizio da parte loro della
professione forense.
Vabbe’, vien da
dire, ci avrà pensato il Csm a valorizzare la positiva evoluzione del ruolo
della donna nella società, ed in particolare, per quanto interessa, nel campo
della magistratura e in quello dell’avvocatura. E qui cominciano le soprese,
perché il Cxm con la circolare 6750 del 1985 che pur disciplinava ex novo la
materia di cui all’articolo 18 dell’ordinamento giudiziario, ribadiva che
dovesse essere “escluso che il rapporto di coniugio possa dar luogo a
un’incompatibilità ai sensi dell’art. 18, atteso che la disciplina di tale
rapporto non può ricavarsi analogicamente da quella degli affini”. Insomma, per
l’organo di governo autonomo (e non di autogoverno come si suol dire, il che fa
tutta la differenza del mondo) della magistratura, un cognato è un problema, una
moglie no, nonostante nel 1985 di donne magistrato e avvocato fortunatamente ce
ne fossero eccome. Ma si sa, la cosiddetta giurisprudenza creativa, magari in
malam partem, va bene per i reati degli altri, molto meno per le incompatibilità
proprie.
Della questione
però si avvede il legislatore, che, finalmente dopo ben sessantacinque anni, con
il decreto legislativo 109 del 2006, si accorge che la situazione non è più
quella del ‘41 e prevede tra le cause di incompatibilità pure il coniuge e il
convivente che esercitano la professione di avvocato. Insomma, ora il divieto
c’è, anzi no. Perché a leggere la circolare del Csm 12940 del 2007,
successivamente modificata nel 2009, si prende atto della modifica normativa, ma
ci si guarda bene dal definire quello previsto dal novellato articolo 18 come un
divieto tout court, bensì lo si interpreta come una incompatibilità da accertare
in concreto, caso per caso, e solo laddove sussista una lesione all’immagine di
corretto e imparziale esercizio della funzione giurisdizionale da parte del
magistrato e, in generale, dell’ufficio di appartenenza. In definitiva la norma
c’è, ma la si sottopone, immancabilmente, al giudizio dei propri pari. E se, ché
i costumi sociali nel frattempo si sono evoluti, non c’è “coniugio o
convivenza”, ma ben nota frequentazione sentimentale? Silenzio di tomba: come
detto, l’addictio in malam partem la si riserva agli altri. Del resto, che il
Csm sia particolarmente indulgente con i magistrati lo ha ricordato qualche
giorno fa pure il primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio
che, dinanzi al Plenum di Palazzo dei Marescialli, ha voluto evidenziare come
“il 99% dei magistrati” abbia “una valutazione positiva (in riferimento al
sistema di valutazione delle toghe, ndr). Questa percentuale non ha riscontro in
nessuna organizzazione istituzionale complessa”.
Insomma, può
capitare, e capita, ad esempio, che l’imputato si ritrovi, a patrocinare la
parte civile nel suo processo, il fidanzato o la fidanzata del pm requirente.
E ancora, sempre ad
esempio, può capitare, e capita, che l’imputato che debba affrontare un processo
si imbatta nella bacheca malandrina di un qualche social network che gli fa
apprendere che il magistrato requirente che ne chiede la condanna o quello
giudicante che lo giudicherà intrattengano amichevoli frequentazioni con
l’avvocato Tizio o con l’avvocata Caia. Innovative forme di pubblicità verrebbe
da dire.
Quel che è certo, a
giudicare dalle rivendicazioni del sindacato dei magistrati, è che le sempre
evocate “autonomia e indipendenza” vengono, evidentemente, messe in pericolo dal
tetto dell’età pensionabile fissato a settant’anni anziché a settantacinque, ma
non da una disciplina, che dovrebbe essere tesa preservare l’immagine di
corretto ed imparziale esercizio della funzione giurisdizionale, che fa acqua da
tutte le parti.
Al fin della
licenza, resto persuaso che quel tale che diceva che i magistrati sono
“geneticamente modificati” dicesse una inesattezza. No, non sono geneticamente
modificati, semmai sono “corporativamente modificati”, secondo l’acuta
definizione del mio amico Valerio Spigarelli. E questo è un peccato perché in
magistratura c’è un sacco di gente che non solo è stimabile, ma è anche piena di
senso civico, di coraggio e di serietà e che è la prima ad essere lesa da certe
vicende più o meno boccaccesche. Ma c’è una seconda parte lesa, alla quale noi
avvocati – ma, a ben vedere, noi cittadini – teniamo ancora di più, che è la
credibilità della giurisdizione, che deve essere limpida, altrimenti sovviene la
sgradevole sensazione di nuotare in uno stagno.
Saltando di palo in
frasca, come si suo dire, mi imbatto in questa notizia.
Evidentemente
quello che vale per gli avvocati non vale per gli stessi magistrati.
Uccise il figlio,
condanna ridotta a 18 anni di reclusione per un 66enne barcellonese, scrive il
22 febbraio 2017 “24live.it”. Condanna ridotta a 18 anni per il 66enne muratore
barcellonese Cosimo Crisafulli che nel maggio del 2015 uccise con un colpo di
fucile il figlio Roberto, al termine di una lite verificatisi nella loro
abitazione di via Statale Oreto. Nel giugno 2016 per l’uomo, nel giudizio del
rito abbreviato davanti al Gup del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto,
Salvatore Pugliese, era arrivata la condanna a 30 anni di reclusione. La Corte
d’Assise d’Appello di Messina, che si è pronunciata ieri, presieduta dal giudice
Maria Pina Lazzara, ha invece ridotto di 12 anni la condanna, sebbene il
sostituto procuratore generale, Salvatore Scaramuzza, avesse richiesto la
conferma della condanna emessa in primo grado. Decisiva per il 66enne la
concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti,
richieste già in primo grado dall’avvocato Fabio Catania, legale del 66enne
Cosimo Crisafulli.
Cosa c’è di strano
direte voi.
E già. Se prima si
è parlato di incompatibilità tra magistrati e parenti avvocati, cosa si potrebbe
dire di fronte ad un paradosso?
Leggo dal post
pubblicato il 2 febbraio 2018 sul profilo facebook di Filippo Pansera, gestore
di Messina Magazine, Tele time, Tv Spazio e Magazine Sicilia. “Nel 2016, la
dottoressa Maria Pina Lazzara presidente della Corte d'Assise d'Appello di
Messina, nonchè al vertice della locale Sezione di secondo grado minorile
emetteva questa Sentenza riformando il giudizio di primo grado statuito dal
Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto. L'accusa era rappresentata in seconde
cure, dall'ex sostituto procuratore generale Salvatore Scaramuzza (oggi in
pensione). La dottoressa Lazzara ed il dottor Scaramuzza... sono marito e moglie
dunque per la presidente della Corte vi era una incompatibilità ex articolo 19
dell'Ordinamento Giudiziario. Invece come al solito, estese ugualmente il
provvedimento giudiziario... che è dunque da intendersi nullo. Inoltre, malgrado
il dottor Salvatore Scaramuzza sia andato in pensione, la dottoressa Lazzara è
comunque incompatibile anche al giorno d'oggi nel 2018. Salvatore Scaramuzza e
Maria Pina Lazzara infatti, hanno una figlia... Viviana... anch'essa magistrato
che opera presso Barcellona Pozzo di Gotto in tabella 4 dal 2017. Sempre ex
articolo 19 dell'Ordinamento Giudiziario, madre e figlia non possono esercitare
nello stesso Distretto Giudiziario... come invece succede ora ed in costanza di
violazione di Legge. A Voi..., il giudizio.”
Si rettifica un
errore di persona. Maria Pina Lazzara non è moglie del dr Scaramuzza e Viviana
Scaramuzza non è sua figlia. Nel saggio si è riportato un post di un direttore
di un portale d’informazione. Un giornalista a cui spetta la verifica delle
fonti.
Sarebbe
interessante, però, sapere di quanti paradossi sono costellata i distretti
giudiziari italiani.
Art. 19
dell’Ordinamento Giudiziario. (Incompatibilità di sede per rapporti di parentela
o affinità con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria della
stessa sede).
I magistrati che
hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di
coniugio o di convivenza, non possono far parte della stessa Corte o dello
stesso Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario.
La ricorrenza in
concreto dell'incompatibilità di sede è verificata sulla base dei criteri di cui
all'articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili.
I magistrati che
hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al terzo grado, di
coniugio o di convivenza, non possono mai fare parte dello stesso Tribunale o
della stessa Corte organizzati in un'unica sezione ovvero di un Tribunale o di
una Corte organizzati in un'unica sezione e delle rispettive Procure della
Repubblica, salvo che uno dei due magistrati operi esclusivamente in sezione
distaccata e l'altro in sede centrale.
I magistrati che
hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità fino al quarto grado incluso,
ovvero di coniugio o di convivenza, non possono mai far parte dello stesso
collegio giudicante nelle corti e nei tribunali.
I magistrati
preposti alla direzione di uffici giudicanti o requirenti della stessa sede sono
sempre in situazione di incompatibilità, salvo valutazione caso per caso per i
Tribunali o le Corti organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun
settore di attività civile e penale. Sussiste, altresì, situazione di
incompatibilità, da valutare sulla base dei criteri di cui all'articolo 18,
secondo comma, in quanto compatibili, se il magistrato dirigente dell'ufficio è
in rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado, o di coniugio o
convivenza, con magistrato addetto al medesimo ufficio, tra il presidente del
Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale Tribunale
per i minorenni, tra il Presidente della Corte di appello o il Procuratore
generale presso la Corte medesima ed un magistrato addetto, rispettivamente, ad
un Tribunale o ad una Procura della Repubblica del distretto, ivi compresa la
Procura presso il Tribunale per i minorenni.
I magistrati non
possono appartenere ad uno stesso ufficio giudiziario ove i loro parenti fino al
secondo grado, o gli affini in primo grado, svolgono attività di ufficiale o
agente di polizia giudiziaria. La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità è
verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, per
quanto compatibili.
Si sa che chi
comanda detta legge e non vale la forza della legge, ma la legge del più forte.
I magistrati son
marziani. A chi può venire in mente che al loro tavolo, a cena, lor signori,
genitori e figli, disquisiscano dei fatti di causa approntati nel distretto
giudiziario comune, o addirittura a decidere su requisitorie o giudizi appellati
parentali?
A me non interessa
solo l'aspetto dell'incompatibilità. A me interessa la propensione del DNA, di
alcune persone rispetto ad altre, a giudicare o ad accusare, avendo scritto io
anche: Concorsopoli.
«Ciao Melitta, hai
saputo? Mio marito è stato nominato all'unanimità presidente della Corte
d'Appello di Messina. Sono molto contenta, dillo anche a Franco (Tomasello,
rettore dell'Università) e ricordagli del concorso di mio figlio. Ciao, ciao».
Chi parla al telefono è la moglie del presidente della Corte d'appello di
Messina, Nicolò Fazio, chi risponde è Melitta Grasso, moglie del rettore e
dirigente dell'Università, il cui telefono è intercettato dalla Guardia di
Finanza perché coinvolta in una storia di tangenti per appalti di milioni di
euro per la vigilanza del Policlinico messinese. Ma non è la sola
intercettazione. Ce ne sono tante altre, anche di magistrati messinesi, come
quella del procuratore aggiunto Giuseppe Siciliano che raccomanda il proprio
figlio. Inutile dire che tutti e due i figli, quello del presidente della Corte
d'appello e quello del procuratore aggiunto, hanno vinto i concorsi banditi
dall'ateneo. Posti unici, blindati, senza altri concorrenti. Francesco Siciliano
è diventato così ricercatore in diritto amministrativo insieme a Vittoria
Berlingò (i posti erano due e due i concorrenti), figlia del preside della
facoltà di Giurisprudenza, mentre Francesco Siciliano è diventato ricercatore di
diritto privato. Senza nessun problema perché non c'erano altri candidati, anche
perché molti aspiranti, come ha accertato l'indagine, vengono minacciati perché
non si presentino. Le intercettazioni sono adesso al vaglio della procura di
Reggio Calabria che, per competenza, ha avviato un'inchiesta sulle
raccomandazioni dei due magistrati messinesi, che si sarebbero dati da fare con
il rettore Franco Tomasello per fare vincere i concorsi ai propri figli. Altri
guai dunque per l'ateneo che, come ha raccontato «Repubblica» nei giorni scorsi,
è stato investito da una bufera giudiziaria che ha travolto proprio il rettore,
Franco Tomasello, che è stato rinviato a giudizio e sarà processato il 5 marzo
prossimo insieme ad altri 23 tra docenti, ricercatori e funzionari a vario
titolo imputati di concussione, abuso d' ufficio in concorso, falso, tentata
truffa, maltrattamenti e peculato. In ballo, alcuni concorsi truccati e le
pressioni fatte ad alcuni candidati a non presentarsi alle prove di associato. E
in una altra indagine parallela è coinvolta anche la moglie del rettore, Melitta
Grasso, dirigente universitaria, accusata di aver favorito, in cambio di
«mazzette», una società che si era aggiudicata l'appalto, per quasi due milioni
di euro, della vigilanza Policlinico di Messina. Un appalto che adesso costa
appena 300 mila euro. L'inchiesta sull'ateneo messinese dunque è tutt'altro che
conclusa ed ogni giorno che passa si scoprono altri imbrogli. Agli atti
dell'inchiesta, avviata dopo la denuncia di un docente che non accettò di far
svolgere concorsi truccati, ci sono molte intercettazioni della moglie del
rettore. Convinta di non essere ascoltata, durante una perquisizione della
Guardia di Finanza Melitta Grasso dice ad un suo collaboratore («Alberto») di
fare sparire dall'ufficio documenti compromettenti. In una interrogazione del Pd
al Senato, si chiede al ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini
«se intende costituirsi parte civile a tutela dell'immagine degli atenei e
inoltre se intenda sospendere cautelativamente il rettore di Messina».
(Repubblica — 20 novembre 2008 pagina 20, sezione: cronaca).
Eppure è risaputo
come si svolgono i concorsi in magistratura.
Roma, bigliettini
negli slip al concorso magistrati. Bufera sulle perquisizioni intime. Nel mirino
della polizia oltre 40 persone sospettate di aver occultato le tracce: cinque
candidate espulse, scrive Roberto Damiani il 2 febbraio 2018 su “Quotidiano.net.
Il concorso in magistratura iniziato il 20 gennaio a Roma per 320 posti (sono
state presentate 13.968 domande) rischia di diventare una questione da
intimissimi. Nel senso di slip. Perché attraverso le mutandine sono state
espulse diverse candidate. Stando a ciò che trapela, i commissari d’esame hanno
mandato a casa cinque candidate e c’era incertezza su una sesta. Tutte hanno
avuto una perquisizione totale, cioè la polizia penitenziaria femminile ha fatto
spogliare completamente le candidate perché sospettate di nascondere qualcosa. E
su circa 40 controlli corporali totali, cinque o forse sei ragazze avevano
foglietti con dei temi (non gli stessi poi usciti per la prova) negli slip. E
per queste candidate, non c’è stata giustificazione che potesse tenere: sono
state espulse immediatamente. La polemica delle perquisizioni fino a doversi
abbassare le mutande è divampata per un post della candidata Cristiana Sani che
denunciava l’offesa di doversi denudare: «Ero in fila per il bagno delle donne –
ha scritto su Facebook la candidata – arrivano due poliziotte, le quali si
avvicinano alla nostra fila e iniziano a perquisire una ad una le ragazze in
fila. Me compresa. Io lì per lì non ho capito quello che stesse succedendo, non
me lo aspettavo, visto che durante le due giornate precedenti non avevo avuto
esperienze simili». «Capisco – continua Cristiana – che c’è un problema nel
momento in cui una ragazza esce dal bagno piangendo. Tocca a me e loro mi dicono
di mettermi nell’angolo (non del bagno, ma del corridoio, con loro due davanti
che mi fanno da paravento) per la perquisizione. Non mi mettono le mani addosso,
sono sincera. Mi fanno tirare su maglia e canotta, davanti e dietro. Mi fanno
slacciare il reggiseno. Poi giù i pantaloni. Ma la cosa scioccante è stata
quando mi hanno chiesto di tirare giù le mutande. Io mi stavo vergognando come
la peggiore delle criminali e le ho tirate giù di mezzo millimetro. A quel punto
mi hanno detto: ‘Dottoressa, avanti! Si cali le mutande. Ancora più giù, faccia
quasi per togliersele e si giri. Cos’è? Ha il ciclo, che non se le vuole tirare
giù?!’. Mi sono rifiutata, rivestita e tornata al mio posto ma ero allibita.
Questa si chiama violenza». Nel forum del concorso, i candidati si scambiano
opinioni, tutte abbastanza negative sull’esperienza in atto e contestano le
perquisizioni ritenendole illegali. Ma nessuno sembra aver letto il regio
decreto del 15/10/1925, n. 1860, all’art. 7 che regola i concorsi pubblici e
tuttora in vigore: «... i concorrenti devono essere collocati ciascuno a un
tavolo separato (...) È vietato ai concorrenti di portare seco appunti
manoscritti o libri. Essi possono essere sottoposti a perquisizione personale
prima del loro ingresso nella sala degli esami e durante gli esami». Sembra che
le perquisizioni siano scattate solo nei confronti di chi frequentava troppo il
bagno. Eppure quegli aspiranti magistrati espulsi avrebbero dovuto conoscere la
regola d’oro: l’«assassino» torna sempre due volte sul luogo del delitto.
Ma non è lercio
solo quel che appare. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in
magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dall’avv.
Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma dichiarati
corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha
battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992.
Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei
compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della
busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai
esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il
Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria
mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per
gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri,
proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente
del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici
e tutti abilitati. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre
un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni
zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati
bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno
presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del
pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel
frattempo diventati dei, esercitano. Esperienza diretta dell'avvocato Giovanni
Di Nardo che ha scoperto temi pieni di errori di ortografia giudicati idonei
alle prove scritte del concorso in magistratura indetto nel 2013 le cui prove si
sono tenute nel Giugno del 2014. Se trovate che sia vergognoso condividete il
più possibile, non c'è altro da fare. Concorsi Pubblici ed abilitazioni
Truccati. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Ma come ci si può
difendere da decisioni scellerate?
Le storture del
sistema dovrebbero essere sanate dallo stesso sistema. Ma quando “Il Berlusconi”
di turno si sente perseguitato dal maniaco giudiziario, non vi sono rimedi. Non
è prevista la ricusazione del Pubblico Ministero che palesa il suo pregiudizio.
Vi si permette la ricusazione del giudice per inimicizia solo se questi ha
denunciato l’imputato e non viceversa. E’ consentita la ricusazione dei giudici
solo per giudizi espliciti preventivi, come se non vi potessero essere
intendimenti impliciti di colleganza con il PM. La rimessione per legittimo
sospetto, poi, è un istituto mai applicato. Ci si tenta con la ricusazione,
(escluso per il pm e solo se il giudice ti ha denunciato e non viceversa), o con
la rimessione per legittimo sospetto che il giudice sia inadeguato, ma in questo
caso la norma è stata sempre disapplicata dalle toghe della Cassazione.
A Taranto per due
magistrati su tre, dunque, Sebai non è credibile. Il tunisino è stato
etichettato dalla pubblica accusa come un «mitomane» che vuole scagionare
detenuti che ha conosciuto in carcere. Solo l’omicidio Lapiscopia, per il quale
è stata chiesta la condanna, era ancora insoluto, quindi senza alcun condannato
a scontare la pena. Il gup Valeria Ingenito nel corso dell’udienza ha respinto
la richiesta di sospensione del processo e l’eccezione di legittimità
costituzionale dell’art. 52 del Codice di procedura penale nella parte in cui
prevede la facoltà e non obbligo di astensione del pubblico ministero.
L'eccezione era stata sollevata dal legale di Sebai, Luciano Faraon. Secondo il
difensore, i pm Montanaro e Petrocelli, che hanno chiesto l’assoluzione del
tunisino per tre dei quattro omicidi confessati dall’imputato, "avrebbero dovuto
astenersi per gravi ragioni di convenienza per evidenti situazioni di
incompatibilità, esistente un grave conflitto d’interesse, visto che hanno
sostenuto l’accusa di persone, ottenendone poi la condanna, che alla luce delle
confessioni di Sebai risultano invece essere innocenti e quindi forieri di
responsabilità per errore giudiziario". Non solo i pm erano incompatibili, ma
incompatibile era anche il foro del giudizio, in quanto da quei procedimenti
addivenivano responsabilità delle parti giudiziarie, che per competenza erano di
fatto delegate al foro di Potenza. Nessuno ha presentato la ricusazione per
tutti i magistrati, sia requirenti, sia giudicanti.
Comunque il
presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli, come è normale per quel
Foro, ha respinto l'astensione dei giudici Cesarina Trunfio e Fulvia Misserini,
rispettivamente presidente e giudice a latere della Corte d'Assise chiamata a
giudicare gli imputati al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. I due
magistrati si erano astenuti, rimettendo la decisione nelle mani del presidente
del Tribunale dopo la diffusione di un video in cui erano “intercettate” mentre
si interrogavano sulle strategie difensive che di lì a poco gli avvocati
avrebbero adottato al processo. Secondo il presidente del Tribunale però dai
dialoghi captati non si evince alcun pregiudizio da parte dei magistrati, non
c'è espressione di opinione che incrini la capacità e serenità del giudizio e
quindi non sussistono le condizioni che obbligano i due giudici togati ad
astenersi dal trattare il processo. Il presidente del Tribunale di Taranto ha
respinto l’astensione dei giudici dopo che era stata sollecitata dalle difese
per un video fuori onda con frasi imbarazzanti dei giudici sulle strategie
difensive delle imputate. E adesso si va avanti con il processo. Tocca
all’arringa di Franco Coppi. Posti in piedi in aula. Tutti gli avvocati del
circondario si sono dati appuntamento per sentire il principe del Foro. Coppi
inizia spiegando il perché della loro richiesta di astensione: «L’avvocato De
Jaco ed io abbiamo sollecitato l’astensione in relazione alle frasi note.
29 agosto 2011. La
rimessione del processo per incompatibilità ambientale. «Le lettere scritte da
Michele Misseri le abbiamo prodotte perchè‚ sono inquietanti non tanto per il
fatto che lui continua ad accusarsi di essere lui l'assassino, ma proprio perchè
mettono in luce questo clima avvelenato, in cui i protagonisti di questa
inchiesta possono essere condizionati». Lo ha sottolineato alla stampa ed alle
TV l’avv. Franco Coppi, legale di Sabrina Misseri riferendosi alle otto lettere
scritte dal contadino di Avetrana e indirizzate in carcere alla moglie Cosima
Serrano e alla figlia Sabrina, con le quali si scusa sostenendo di averle
accusate ingiustamente. «Michele Misseri – aggiunge l’avv. Coppi – afferma che
ci sono persone che lo incitano a sostenere la tesi della colpevolezza della
figlia e della moglie quando lui afferma di essere l’unico colpevole e avanza
accuse anche molto inquietanti. Si tratta di lettere scritte fino a 7-8 giorni
fa». «Che garanzie abbiamo – ha fatto presente il difensore di Sabrina Misseri –
che quando dovrà fare le sue dichiarazioni avrà tenuta nervosa e morale
sufficiente per affrontare un dibattimento?». «La sera c'è qualcuno che si
diverte a sputare addosso ad alcuni colleghi impegnati in questo processo. I
familiari di questi avvocati non possono girare liberamente perchè c'è gente che
li va ad accusare di avere dei genitori o dei mariti che hanno assunto la difesa
di mostri, quali sarebbero ad esempio Sabrina e Cosima. Questo è il clima in cui
siamo costretti a lavorare ed è il motivo per cui abbiamo chiesto un intervento
della Corte di Cassazione». «E' bene – ha aggiunto l'avvocato Coppi –
allontanarci materialmente da questi luoghi. Abbiamo avuto la fortuna di avere
un giudice scrupoloso che ha valutato gli atti e ha emesso una ordinanza a
nostro avviso impeccabile. La sede alternativa dovrebbe essere Potenza. Non è
che il processo si vince o si perde oggi, ma questo è un passaggio che la difesa
riteneva opportuno fare e saremmo stati dei cattivi difensori se per un motivo o
per l'altro e per un malinteso senso di paura non avessimo adottato questa
iniziativa». A volte però non c'è molto spazio per l'interpretazione. Il
sostituto procuratore generale Gabriele Mazzotta è chiarissimo: «Una serie di
indicatori consentono di individuare un'emotività ambientale tale da contribuire
all'alterazione delle attività di acquisizione della prova». Mazzotta parla
davanti alla prima sezione penale della Cassazione dove si sta discutendo la
richiesta di rimessione del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi: i difensori
di Sabrina Misseri, Franco Coppi e Nicola Marseglia, chiedono di spostare tutto
a Potenza perché il clima che si respira sull'asse Avetrana-Taranto «pregiudica
la libera determinazione delle persone che partecipano al processo». Ed a
sorpresa il sostituto pg che rappresenta la pubblica accusa sostiene le ragioni
della difesa e chiede lui stesso che il caso venga trasferito a Potenza per
legittima suspicione. A Taranto, in sostanza, non c'è la tranquillità necessaria
per giudicare le indagate.
12 ottobre 2011. Il
rigetto dell’istanza di rimessione. La prima sezione penale della Cassazione ha
infatti respinto la richiesta di rimessione del processo per incompatibilità
ambientale, con conseguente trasferimento di sede a Potenza, avanzata il 29
agosto 2011 dai difensori di Sabrina Misseri, gli avvocati Franco Coppi e Nicola
Marseglia.
Eppure la stessa
Corte ha reso illegittime tutte le ordinanze cautelari in carcere emesse dal
Tribunale di Taranto.
Per quanto riguarda
la Rimessione, la Cassazione penale, sez. I, 10 marzo 1997, n. 1952 (in Cass.
pen., 1998, p. 2421), caso Pomicino: "l'istituto della rimessione del processo,
come disciplinato dall'art. 45 c.p.p., può trovare applicazione soltanto quando
si sia effettivamente determinata in un certo luogo una situazione obiettiva di
tale rilevanza da coinvolgere l'ordine processuale - inteso come complesso di
persone e mezzi apprestato dallo Stato per l'esercizio della giurisdizione -,
sicché tale situazione, non potendo essere eliminata con il ricorso agli altri
strumenti previsti dalla legge per i casi di alterazione del corso normale del
processo - quali l'astensione o la ricusazione del giudice -, richiede
necessariamente il trasferimento del processo ad altra sede giudiziaria …
Consegue che non hanno rilevanza ai fini dell'applicazione dell'istituto vicende
riguardanti singoli magistrati che hanno svolto funzioni giurisdizionali nel
procedimento, non coinvolgenti l'organo giudiziario nel suo complesso".
Per quanto riguarda
la Ricusazione: «Evidenziato che non può costituire motivo di ricusazione per
incompatibilità la previa presentazione, da parte del ricusante, di una denuncia
penale o la instaurazione di una causa civile nei confronti del giudice, in
quanto entrambe le iniziative sono “fatto” riferibile solo alla parte e non al
magistrato e non può ammettersi che sia rimessa alla iniziativa della parte la
scelta di chi lo deve giudicare. (Cass. pen. Sez. V 10/01/2007, n. 8429).
In questo modo la
pronuncia della Corte di Cassazione discrimina l’iniziativa della parte,
degradandola rispetto alla presa di posizione del magistrato: la denuncia del
cittadino non vale per la ricusazione, nonostante possa conseguire calunnia; la
denuncia del magistrato vale astensione. Per la Cassazione per avere la
ricusazione del singolo magistrato non astenuto si ha bisogno della denuncia del
medesimo magistrato e non della parte. Analogicamente, la Cassazione afferma in
modo implicito che per ottenere la rimessione dei processi per legittimo
sospetto è indispensabile che ci sia una denuncia presentata da tutti i
magistrati del Foro contro una sola parte. In questo caso, però, non si
parlerebbe più di rimessione, ma di ricusazione generale. Seguendo questa logica
nessuna istanza di rimessione sarà mai accolta.
Qui non si vuole
criminalizzare una intera categoria. Basta, però, indicare a qualcuno che si
ostina a difendere l’indifendibile che qualcosa bisogna fare. Anzi, prima di
tutto, bisogna dire, specialmente sulla Rimessione dei processi.
Questa norma a
vantaggio del cittadino è da sempre assolutamente disapplicata e non solo per
Silvio Berlusconi. Prendiamo per esempio la norma sulla rimessione del processo
prevista dall’art. 45 del codice di procedura penale. L'articolo 45 c.p.p.
prevede che "in ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi
situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti
eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano
al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di
legittimo sospetto, la Corte di Cassazione, su richiesta motivata del
procuratore generale presso la Corte di appello o del pubblico ministero presso
il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice,
designato a norma dell'articolo 11".
Tale istituto si
pone a garanzia del corretto svolgimento del processo, dell'imparzialità del
giudice e della libera attività difensiva delle parti. Si differenzia dalla
ricusazione disciplinata dall'art. 37 c.p.p. in quanto derogando al principio
costituzionale del giudice naturale (quello del locus commissi delicti) e quindi
assumendo il connotato dell'eccezionalità, necessita per poter essere eccepito o
rilevato di gravi situazioni esterne al processo nelle sole ipotesi in cui
queste non siano altrimenti eliminabili. Inoltre mentre per la domanda di
ricusazione è competente il giudice superiore, per decidere sull'ammissibilità
della rimessione lo è solo la Corte di Cassazione.
«L’ipotesi della
rimessione, il trasferimento, cioè, del processo ad altra sede giudiziaria,
deroga, infatti, alle regole ordinarie di competenza e allo stesso principio del
giudice naturale (art. 25 della Costituzione) - spiega Edmondo Bruti Liberati,
già Presidente dell’Associazione nazionale magistrati. - E pertanto già la Corte
di Cassazione ha costantemente affermato che si tratta di un istituto che trova
applicazione in casi del tutto eccezionali e che le norme sulla rimessione
devono essere interpretate restrittivamente. La lettura delle riviste
giuridiche, dei saggi in materia e dei codici commentati ci presenta una serie
lunghissima di casi, in cui si fa riferimento alle più disparate situazioni di
fatto per concludere che la ipotesi di rimessione è stata esclusa dalla Corte di
cassazione. Pochissimi sono dunque fino al 1989 stati i casi di accoglimento:
l’ordine di grandezza è di una dozzina in tutto. Il dato che si può fornire con
precisione – ed è estremamente significativo – riguarda il periodo dopo il 1989,
con il nuovo Codice di procedura penale: le istanze di rimessione accolte sono
state due.»
I magistrati
criticano chiunque tranne se stessi, scrive Pietro Senaldi su Libero Quotidiano
il 28 gennaio 2018. I procuratori generali hanno inaugurato l'anno giudiziario
con discorsi pieni di banalità e senza fare nessun mea culpa. "Abbiamo una
giustizia che neppure in Burkina Faso". "La Banca Mondiale mette l'Italia alla
casella numero 108 nella classifica sull'efficienza dei tribunali in rapporto ai
bisogni dell'economia". "Se per far fallire un'azienda che non paga ci vogliono
sette anni, è naturale che gli stranieri siano restii a investire nel nostro
Paese". "Ultimamente abbiamo ridotto i tempi ma non si può dire che tre anni di
media per arrivare a una sentenza in un processo civile sia un periodo congruo".
"È imbarazzante che restino impuniti per il loro male operato e non subiscano
rallentamenti di carriera magistrati che hanno messo sotto processo innocenti,
costringendoli a rinunciare a incarichi importanti e danneggiando le aziende
pubbliche che questi dirigevano, con grave nocumento per l'economia nazionale".
"Non se ne può più di assistere allo spettacolo di pubblici ministeri che aprono
inchieste a carico di politici sul nulla, rovinandone la carriera, e poi magari
si candidano sfruttando la notorietà che l'indagine ha procurato loro". "La
giustizia viene ancora strumentalizzata a fini politici". "In Italia esistono
due pesi e due misure a seconda di chi è indagato o processato". "L'economia
italiana è frenata da un numero spropositato di ricorsi accolti senza ragione".
"Le vittime delle truffe bancarie non hanno avuto giustizia e i responsabili dei
crack non sono stati adeguatamente perseguiti". "A questo giro elettorale
qualcosa non torna, se Berlusconi non è candidabile in virtù di una legge
entrata in vigore dopo il reato per cui è stato condannato".
Una pioggia di
denunce contro i magistrati Ma sono sempre assolti. Più di mille esposti l'anno
dai cittadini. E le toghe si auto-graziano: archiviati 9 casi su 10, scrive
Lodovica Bulian, Lunedì 29/01/2018, su "Il Giornale". Tra i motivi ci sono la
lunghezza dei processi, i ritardi nel deposito dei provvedimenti, ma anche
«errori» nelle sentenze. In generale, però, è il rapporto di fiducia tra i
cittadini e chi è chiamato a decidere delle loro vite a essersi «deteriorato».
Uno strappo che è all'origine, secondo il procuratore generale della Corte di
Cassazione, Riccardo Fuzio, «dell'aumento degli esposti» contro i magistrati
soprattutto da parte dei privati. Il fenomeno è la spia di «una reattività che
rischia di minare alla base la legittimazione della giurisdizione», spiega il Pg
nella sua relazione sul 2017 che apre il nuovo anno giudiziario con un grido
d'allarme: «Una giustizia che non ha credibilità non è in grado di assicurare la
democrazia». Nell'ultimo anno sono pervenute alla Procura generale, che è
titolare dell'azione disciplinare, 1.340 esposti contenenti possibili
irregolarità nell'attività delle toghe, tra pm e giudicanti. Numeri in linea con
l'anno precedente (1.363) e con l'ultimo quinquennio (la media è di 1.335
all'anno). A fronte della mole di segnalazioni, però, per la categoria che si
autogoverna, che si auto esamina, che auto punisce e che, molto più spesso, si
auto assolve, scatta quasi sempre l'archiviazione per il magistrato accusato:
nel 2017 è successo per l'89,7% dei procedimenti definiti dalla Procura
generale, era il 92% nel 2016. Di fatto solo il 7,3% si è concluso con la
promozione di azioni disciplinari poi portate avanti dal Consiglio superiore
della magistratura. Solo in due casi su mille e duecento archiviati, il
ministero della Giustizia ha richiesto di esaminare gli atti per ulteriori
verifiche. Insomma, nessun colpevole. Anzi, la colpa semmai, secondo Fuzio, è
della politica, delle campagne denigratorie, dell'eccessivo carico di lavoro cui
sono esposti i magistrati: «Questo incremento notevole di esposti di privati
cittadini evidenzia una sfiducia che in parte, può essere la conseguenza dei
difficili rapporti tra politica e giustizia, in parte, può essere l'effetto
delle soventi delegittimazioni provenienti da parti o imputati eccellenti. Ma -
ammette - può essere anche il sintomo che a fronte di una quantità abnorme di
processi non sempre vi è una risposta qualitativamente adeguata». Il risultato è
che nel 2017 sono state esercitate in totale 149 azioni disciplinari (erano 156
nel 2016), di cui 58 per iniziativa del ministro della Giustizia (in diminuzione
del 22,7%) e 91 del Procuratore generale (in aumento quindi del 13,8%). Tra i
procedimenti disciplinari definiti, il 65% si è concluso con la richiesta di
giudizio che, una volta finita sul tavolo del Csm, si è trasformata in
assoluzione nel 28% dei casi e nel 68% è sfociata nella censura, una delle
sanzioni più lievi. Questo non significa, mette in guardia il procuratore, che
tutte le condotte che non vengono punite allora siano opportune o consone per un
magistrato, dall'utilizzo allegro di Facebook alla violazione del riserbo. E
forse il Csm, sottolinea Fuzio, dovrebbe essere messo a conoscenza anche dei
procedimenti archiviati, e tenerne conto quando si occupa delle «valutazioni di
professionalità» dei togati. Che, guarda caso, nel 2017 sono state positive nel
99,5% dei casi.
Giustizia carogna.
Errori
giudiziari e controversi indennizzi per l'ingiusta detenzione.
Raffaele Sollecito
e Giuseppe Gulotta. Quando la giustizia è strabica, permalosa e vendicativa.
Di Antonio
Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande ha scritto i libri
che parlano della malagiustizia e della ingiustizia, in generale, e del delitto
di Perugia, in particolare.
Giustizia carogna,
scrive Fabrizio Boschi il 31 gennaio 2017 su "Il Giornale”. Nel febbraio 2012 ci
provò un deputato di Forza Italia, Daniele Galli: presentò una proposta di legge
per obbligare lo Stato a rifondere le spese legali del cittadino che viene
imputato in un processo penale e ne esce assolto con formula piena. Non venne
mai nemmeno discussa. Eppure affrontava una delle peggiori ingiustizie italiane.
Raffaele Sollecito,
in seguito alla sua definitiva assoluzione, ha deciso di chiedere solo
l’indennizzo per ingiusta detenzione, scartando l’idea di chiedere anche il
risarcimento danni per responsabilità civile dei magistrati, consigliato dalla
magnanimità ed accondiscendenza dei suoi legali verso i magistrati di Perugia.
"Nelle prossime
settimane valuteremo eventuali istanze relative all'ingiusta detenzione". Lo ha
detto uno dei legali di Raffaele Sollecito all’Agi il 30 marzo 2015, Giulia
Bongiorno, spiegando che eventuali azioni di "risarcimento e responsabilità
civile non saranno alimentati da sentimenti di vendetta che non sono presenti
nell'animo di Sollecito". Quanto alla responsabilità civile dei magistrati
inquirenti, "quello della responsabilità civile dei magistrati è un istituto
serio che non va esercitato con spirito di vendetta – ha aggiunto il legale - e
allo stato non ci sono iniziative di questo genere".
Ciononostante la
bontà d’animo di Raffaele Sollecito viene presa a pesci in faccia.
Raffaele Sollecito
non deve essere risarcito per i quasi quattro anni di ingiusta detenzione subiti
dopo essere stato coinvolto nell’indagine l’omicidio di Meredith Kercher,
delitto per il quale è stato definitivamente assolto insieme ad Amanda Knox. A
stabilirlo è stata la Corte d’appello di Firenze l’11 febbraio 2017 che ha
respinto la richiesta di indennizzo ritenendo che il giovane abbia «concorso a
causarla» rendendo «in particolare nelle fasi iniziali delle indagini,
dichiarazioni contraddittorie o addirittura francamente menzognere». Il giovane
arrestato assieme ad Amanda Knox e poi assolto per l’omicidio a Perugia di
Meredith Kercher, aveva chiesto 516mila euro di indennizzo per i 4 anni dietro
le sbarre.
Alla richiesta di
risarcimento si erano opposti la procura generale di Firenze e il ministero
delle Finanze. Nella richiesta di risarcimento i legali di Sollecito avevano
richiamato la motivazione della sentenza della Cassazione nelle pagine in cui
venivano criticate le indagini secondo la Suprema Corte mal condotte dagli
inquirenti e dalla procura di Perugia. In primo grado, nel 2009, Raffaele
Sollecito e l’americana Amanda Knox erano stati condannati dalla Corte d’Assise
di Perugia a 25 anni e 26 anni di carcere per omicidio. Nel 2011 vennero poi
assolti e scarcerati dalla Corte d’Assise d’appello dal reato di omicidio (alla
Knox fu confermata la condanna a tre anni per calunnia). Nel 2013 la Corte di
Cassazione annullò poi l’assoluzione e rinviò gli atti alla Corte d’Assise
d’Appello di Firenze che condannò (2014) Sollecito a 25 anni e Knox a 28 anni e
6 mesi. Infine, il 27 marzo 2015, il verdetto assolutorio della Cassazione.
Prima dei commenti
ci sono i numeri. Sconcertanti, scrive Alessandro Fulloni il 31 12 2016 su "Il
Corriere della Sera”. Il dato complessivo lascia senza parole. Il risarcimento
complessivo versato alle vittime della «mala-giustizia» ammonta a 630 milioni di
euro. Indennizzi previsti dall’istituto della riparazione per ingiusta
detenzione, introdotto con il codice di procedura penale del 1988, ma i primi
pagamenti – spiegano dal Ministero – sono avvenuti solo nel 1991 e
contabilizzati l’anno successivo: in 24 anni, dunque, circa 24 mila persone sono
state vittima di errore giudiziario o di ingiusta detenzione. L’errore
giudiziario vero e proprio è il caso in cui un presunto colpevole, magari
condannato in giudicato, viene finalmente scagionato dalle accuse perché viene
identificato il vero autore del reato. Situazioni che sono circa il 10 per cento
del totale. Il resto è alla voce di chi in carcere non dovrebbe starci: custodie
cautelari oltre i termini, per accuse che magari decadono davanti al Gip o al
Riesame. In questo caso sono previsti indennizzi, richiesti «automaticamente» -
usiamo questo termine perché la prassi è divenuta inevitabile - dagli avvocati
che si accorgono dell’ingiusta detenzione. Il Guardasigilli ha fissato una
tabella, per questi risarcimenti: 270 euro per ogni giorno ingiustamente
trascorso in gattabuia e 135 ai domiciliari. Indennizzi comunque in calo: se nel
2015 lo Stato ha versato 37 milioni di euro, nel 2011 sono stati 47. Mentre nel
2004 furono 56. Ridimensionamento - in linea con una sorta di «spendig review» -
che viene dall’orientamento della Cassazione che applica in maniera restrittiva
un codicillo per cui se l’imputato ha in qualche modo concorso all’esito della
sentenza a lui sfavorevole - poniamo facendo scena muta all’interrogatorio - non
viene rimborsato. In termini assoluti e relativi, gli errori giudiziari si
concentrano soprattutto a Napoli: 144 casi nel 2015 con 3,7 milioni di euro di
indennizzi. A Roma 106 casi (2 milioni). Bari: 105 casi (3,4 milioni). Palermo:
80 casi (2,4 milioni). La situazione pare migliorare al Nord: per Torino e
Milano rispettivamente 26 e 52 casi per 500 mila e 995 mila euro di indennizzi.
Alla detenzione si accompagna il processo, che può durare anni. Quando l’errore
subito viene accertato, la vita ormai è cambiata per sempre. C’è chi riesce a
rialzarsi, magari realizzando un obiettivo rimasto per tanto tempo inespresso. E
chi resta imbrigliato nell’abbandono dei familiari, nella perdita del lavoro,
nella necessità di tirare a campare con la pensione.
Carceri "Negli
ultimi 50 anni incarcerati 4 milioni di innocenti". Decine di innocenti
rinchiusi per anni. Errori giudiziari che segnano le vite di migliaia di persone
e costano caro allo Stato. Eccone un breve resoconto pubblicato da Ristretti
Orizzonti, che ha reso nota una ricerca dell'Eurispes e dell'Unione delle Camere
penali, scrive Romina Rosolia il 29 settembre 2015 su "La Repubblica". False
rivelazioni, indagini sbagliate, scambi di persona. E' così che decine di
innocenti, dopo essere stati condannati al carcere, diventano vittime di
ingiusta detenzione. Errori giudiziari che non solo segnano pesantemente e
profondamente le loro vite, trascorse - ingiustamente - dietro le sbarre, ma che
costano caro allo Stato. Eccone un breve resoconto pubblicato da Ristretti
Orizzonti, che ha reso nota una ricerca dell'Eurispes e dell'Unione delle Camere
penali italiane. Quanto spende l'Italia per gli errori dei giudici? La legge
prevede che vengano risarciti anche tutti quei cittadini che sono stati
ingiustamente detenuti, anche solo nella fase di custodia cautelare, e poi
assolti magari con formula piena. Solo nel 2014 sono state accolte 995 domande
di risarcimento per 35,2 milioni di euro, con un incremento del 41,3% dei
pagamenti rispetto al 2013. Dal 1991 al 2012, lo Stato ha dovuto spendere 580
milioni di euro per 23.226 cittadini ingiustamente detenuti negli ultimi 15
anni. In pole position nel 2014, tra le città con un maggior numero di
risarcimenti, c'è Catanzaro (146 casi), seguita da Napoli (143 casi). Errori in
buona fede che però non diminuiscono. Eurispes e Unione delle Camere penali
italiane, analizzando sentenze e scarcerazioni degli ultimi 50 anni, hanno
rilevato che sarebbero 4 milioni gli italiani dichiarati colpevoli, arrestati e
rilasciati dopo tempi più o meno lunghi, perché innocenti. Errori non in
malafede nella stragrande maggioranza dei casi, che però non accennano a
diminuire, anzi sono in costante aumento. Sui casi di mala giustizia c'è un
osservatorio on line, che dà conto degli errori giudiziari. Mentre sulla pagina
del Ministero dell'Economia e delle Finanze si trovano tutte le procedure per la
chiesta di indennizzo da ingiusta detenzione. Gli errori più eclatanti. Il caso
Tortora è l'emblema degli errori giudiziari italiani. Fino ai condannati per la
strage di via D'Amelio: sette uomini ritenuti tra gli autori dell'attentato che
costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alle cinque persone della scorta il
19 luglio 1992. Queste stesse persone sono state liberate dopo periodi di
carcerazione durati tra i 15 e i 18 anni, trascorsi in regime di 41 bis. Il 13
febbraio scorso, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha riconosciuto un altro
grave sbaglio: è innocente anche Giuseppe Gulotta, che ha trascorso 21 anni, 2
mesi e 15 giorni in carcere per l'omicidio di due carabinieri nella caserma di
Alcamo Marina (Trapani), nel 1976. Trent'anni dopo, un ex brigadiere che aveva
assistito alle torture cui Gulotta era stato sottoposto per indurlo a
confessare, ha raccontato com'era andata davvero. Altri casi paradossali. Nel
2005, Maria Columbu, 40 anni, sarda, invalida, madre di quattro bambini, venne
condannata con l'accusa di eversione per dei messaggi goliardici diffusi in
rete, nei quali insegnava anche a costruire "un'atomica fatta in casa". Nel 2010
fu assolta con formula piena. Per l'ultimo giudice, quelle istruzioni
terroristiche erano "risibili" e "ridicole". Tra gli ultimi casi, la
carcerazione e la successiva liberazione, nel caso Yara Gambirasio, del
cittadino marocchino Mohamed Fikri, accusato e subito scagionato per l'omicidio
della ragazza. Sono fin troppo frequenti i casi in cui si accusa un innocente?
Perché la verità viene fuori così tardi? Perché non viene creduto chi è
innocente? A volte si ritiene valida - con ostinazione - un'unica pista, oppure
la verità viene messa troppe volte in dubbio. Forse, ampliare lo spettro
d'indagine potrebbe rilevare e far emergere molto altro.
Ma veniamo al caso
"Sollecito".
I rischi della
difesa, scrive Ugo Ruffolo il 12 febbraio 2017 su"Quotidiano.net". La decisione
sembra salomonica: Sollecito, assolto per il rotto della cuffia, viene liberato
ma non risarcito per la ingiusta pregressa detenzione. Quattro anni, per i quali
chiede 500.000 euro. Sollecito dovrebbe ringraziare il cielo di essere libero e
non forzare la mano, per non fare impazzire i colpevolisti. Ma Salomone non
abita nei codici. I quali sarebbero un sistema binario. O tutto, o niente. Se
sei assolto, non importa come, la ingiusta detenzione ti deve essere risarcita.
C’è però l’articolo 314 del c.p.c., il quale prevede una sorta di concorso di
colpa del danneggiato, che neutralizzerebbe la sua pretesa al risarcimento. Come
dire: se sei assolto, ma per difenderti hai mentito o ti sei contraddetto,
allora sei tu ad aver depistato polizia e giudici, o ad aver complicato il loro
lavoro. Se ti hanno prima condannato e poi assolto, e dunque se hai fatto
quattro anni di carcere ingiustamente, la colpa è anche tua; e questo ti
impedirebbe di chiedere il risarcimento (come dire: un po’ te la sei voluta).
Sembrerebbe giusto, almeno in linea di principio. Ma sorge il problema che,
assolto in penale l’imputato, in sede civile viene processata la sua linea
difensiva, ai fini di accordargli o meno risarcimento da ingiusta detenzione. In
altri termini ciascuno è libero di difendersi come crede, anche depistando o
mentendo (potrebbe essere talora funzionale alla difesa nel caso concreto). Ma
chi sceglie questa linea si espone al rischio di vedersi poi rifiutato il
risarcimento. È quanto obbietta a Sollecito l’ordinanza della Corte d’Appello,
ricostruendo quella storia processuale come costellata di depistaggi,
imprecisioni, contraddizioni e menzogne. Che talora Sollecito aveva ammesso,
giustificandosi con l’essere stato, al tempo, “confuso”. I suoi avvocati
annunciano ricorso in Cassazione, per contestare come erronea quella
ricostruzione processuale. Dovrebbero avere, credo, scarsa possibilità di
vittoria. Salomone, così, rientrerebbe dalla finestra ed i colpevolisti
eviterebbero di impazzire. Ma quel che turba, è un processo che si riavvolta su
se stesso, cannibalizzandosi: processo del processo del processo (e anche,
processo nel processo nel processo). Come riflesso fra due specchi all’infinito.
Sollecito, no ai
risarcimenti. Non è abbastanza innocente. La Corte d'appello di Firenze nega
500mila euro per 4 anni di cella: «Troppi silenzi e menzogne», scrive Annalisa
Chirico, Domenica 12/02/2017, su "Il Giornale". Per la giustizia italiana puoi
essere innocente e, a un tempo, colpevole. La Corte d'appello di Firenze ha
rigettato la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione avanzata da
Raffaele Sollecito. Il dispositivo, pubblicato dal sito web
finoaprovacontraria.it, s'inserisce nel solco della cosiddetta giurisprudenza
sul concorso di colpa. In sostanza, il cittadino che, ancorché assolto, abbia
contribuito con dolo o colpa grave a indurre in errore inquirenti e magistrati,
vede ridimensionato il proprio diritto a ottenere un risarcimento per la
detenzione ingiustamente inflitta. Nel caso di Sollecito, quattro anni di
carcere e un'assoluzione definitiva, questo diritto si annulla, si polverizza,
nessun risarcimento, non un euro, niente. Per i giudici della terza sezione
penale, «le dichiarazioni contraddittorie o false e i successivi mancati
chiarimenti» da parte del giovane laureatosi ingegnere dietro le sbarre
avrebbero contribuito all'applicazione e al mantenimento della misura cautelare.
Ma quali sarebbero le dichiarazioni «menzognere»? «Io non mi sono mai sottratto
agli interrogatori - commenta al Giornale il protagonista, suo malgrado,
dell'ennesimo colpo di scena in un'odissea giudiziaria durata quasi dieci anni
Ho letto la decisione, sono sbigottito. Avverto l'eco della sentenza di
condanna, forse sono affezionati agli errori giudiziari». Sollecito è scosso,
non se l'aspettava. «Credevo di aver vissuto le pagine più nere della giustizia
italiana. Devo prendere atto che la mia durissima detenzione sarebbe
giustificata». Nelle ore successive al ritrovamento del cadavere di Meredith
Kercher, la studentessa inglese barbaramente uccisa nell'appartamento di via
della Pergola nel 2007, Sollecito risponde alle domande di chi indaga, cerca di
ricostruire nel dettaglio gli spostamenti suoi e di Amanda, la ragazza americana
che frequenta da una settimana, prova a fissare gli orari di ingresso e uscita
dal suo appartamento perugino, se Amanda si sia mai assentata nel corso della
notte, se il padre gli abbia telefonato dalla Puglia verso l'ora di cena o prima
di andare a dormire, Raffaele non si sottrae ma fatica a ricordare con
esattezza, si contraddice, giustifica l'imprecisione ammettendo di aver fumato
qualche canna come fanno gli universitari di mezzo mondo, nel corso
dell'interrogatorio di garanzia dinanzi al gip dichiara: «Ho detto delle cazzate
perché io ero agitato, ero spaventato e avevo paura. Posso dire che io non
ricordo esattamente quando Amanda è uscita, se è uscita non ricordo». Ma c'è di
più. Nell'ordinanza di 12 pagine, si legge che il silenzio mantenuto
dall'indagato dopo l'interrogatorio di garanzia Sollecito fu tenuto per sei mesi
in isolamento avrebbe contribuito a indurre in errore i giudici. In altre
parole, l'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, frutto di una
valutazione della difesa in via prudenziale, diventa indizio di un'innocenza a
metà: Sollecito è ancora sotto processo. Per spazzare via ogni dubbio, si
afferma che la stessa sentenza di assoluzione emessa dalla Cassazione avrebbe
rinvenuto «un elemento di forte sospetto a carico del Sollecito» a causa delle
dichiarazioni contraddittorie. Non vi è traccia invece delle censure espresse
dai supremi giudici sull'operato dei pm: «clamorose défaillance o amnesie
investigative e colpevoli omissioni di attività di indagine», scrivono gli
ermellini. Per l'omicidio della Kercher un cittadino ivoriano sconta una
condanna definitiva a sedici anni di carcere. Ormai la cultura del sospetto ha
inghiottito quella del diritto, è la stessa che fa dire candidamente al
presidente dell'Anm Davigo che pure gli innocenti sono colpevoli.
Innocenti di serie
B, scrive Claudio Romiti il 14 febbraio 2017 su “L’Opinione. Destando un certo
scalpore, soprattutto tra quei cittadini avvertiti che credono in una visione
garantista della giustizia, la Corte d’Appello di Firenze ha negato qualunque
risarcimento a Raffaele Sollecito per l’ingiusta detenzione. Quattro
interminabili anni passati dietro le sbarre che, per una persona vittima di una
ricostruzione dei fatti a dir poco surreale, devono essere sembrati un inferno.
Così come un inferno, che in alcuni aspetti continua a sussistere per il giovane
ingegnere informatico pugliese, è stato il lunghissimo iter processuale,
fortemente inquinato da un forte pregiudizio mediatico che ancora oggi fa
sentire i suoi effetti presso una parte dell’opinione pubblica disposta a bersi
qualunque pozione colpevolista. In estrema sintesi i giudici di Firenze hanno
stabilito, bontà loro, che il comportamento iniziale del Sollecito, considerato
eccessivamente ambiguo e, in alcuni casi, menzognero, avrebbe indotto gli
inquirenti perugini in errore, convincendo questi ultimi - aggiungo io - a
mettere in piedi un castello di accuse fondato sul nulla, visto che nella stanza
del delitto non furono ritrovate tracce dei due fidanzatini dell’epoca,
contrariamente alle decine e decine di evidenze schiaccianti a carico di Rudy
Guede. Quest’ultimo, considerato ancora oggi da molti analfabeti funzionali di
questo disgraziato Paese solo un capro espiatorio dell’atroce delitto di
Perugia, vittima dei soliti poteri forti capitanati dalla Cia, fino a
coinvolgere la longa manus di Donald Trump, il quale in passato si era
interessato del caso.
Sta di fatto che
Raffaele Sollecito, pur essendo scampato ad uno dei più clamorosi errori
giudiziari della storia italiana, viene considerato oggi, negandogli alcun
risarcimento, un innocente dimezzato. Un mezzo colpevole che avrebbe cagionato
le sue disgrazie per non aver fornito in modo chiaro le ragioni della sua
innocenza. Tant’è che persino il silenzio mantenuto dall’imputato dopo
l’interrogatorio di garanzia, come sottolinea Annalisa Chirico sul “Il
Giornale”, avrebbe indotto i giudici nell’errore. “In altre parole - commenta la
stessa Chirico - l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, frutto
di una valutazione della difesa in via prudenziale, diventa indizio di una
innocenza a metà”. E se la decisione di avvalersi della facoltà di non
rispondere alle domande degli inquirenti viene valutata in questo modo, ciò
significa che nelle nostre aule giudiziarie ancora aleggia quell’idea molto
medievale dell’inversione della prova. In un evoluto sistema giudiziario, al
contrario, spetta sempre all’accusa dimostrare al di là di ogni ragionevole
dubbio la colpevolezza di qualunque imputato. E se questo non accade, proprio
perché siamo tutti innocenti fino a prova contraria, le conseguenze fisiche,
morali e finanziarie di una accusa caduta nel nulla non possono ricadere sulla
testa di chi l’ha pesantemente subìta. Da questo punto di vista, dopo l’annuncio
del ricorso in Cassazione presentato dall’avvocato di Sollecito, Giulia
Bongiorno, dobbiamo sempre sperare, al pari del mugnaio di Potsdam, che ci sia
sempre un giudice a Berlino.
Ma quale è il
comportamento contestato a Raffaele Sollecito?
Si legge il 11
Febbraio 2017 su “Il Tempo”. "Credevo di aver vissuto le pagine più nere della
Giustizia Italiana, ma nonostante la Cassazione mi ha dichiarato innocente, devo
prendere atto che la mia durissima detenzione sarebbe giustificata. Ripeto, la
Cassazione aveva sottolineato l'esistenza di gravissime omissioni in questo
processo e di defaillance investigative". Così Sollecito - assolto dall'accusa
di aver partecipato all'omicidio di Meredith Kercher - commenta sul suo profilo
Facebook. "Riprendono in toto la sentenza di condanna di Firenze, piena di
errori fattuali ingiustificabili - scrive ancora Sollecito - Adesso questi
giudici non tengono minimamente conto di sentenze in cui è acclarato il clima di
violenza durante gli interrogatori. Non mi sono mai sottratto ad un
interrogatorio e dire che non mi hanno ascoltato è soltanto una scusa, visto che
ho fatto mille dichiarazioni spontanee". Per l'avvocato di Sollecito, Giulia
Bongiorno, la decisione della Corte d'appello di Firenze «si caratterizza per
una serie consistente di errori. Basterebbe pensare che esclude il diritto al
risarcimento sulla base delle dichiarazioni che avrebbe reso Sollecito e
dimentica che esistono delle sentenze in cui è stato attestato che addirittura,
nell'ambito della questura, furono fatte pressioni e violenze alla Knox e
Sollecito proprio nel momento in cui rendevano queste dichiarazioni». «Non c'è
un solo cenno sulla situazione in questura - aggiunge il legale - Inoltre,
l'ordinanza dimentica che le dichiarazioni non possono in nessun modo aver
inciso sull'ingiusta detenzione perché non sono state citate come decisive nei
provvedimenti restrittivi in cui si faceva invece riferimento ad altri elementi.
Infine, in sede di dibattimentale, Sollecito non ha reso alcun esame quindi non
si vede come le sue dichiarazioni possano aver causato il diniego di libertà in
quella fase. È una sentenza - conclude il legale - che verrà immediatamente
impugnata in Cassazione».
Insomma, la Corte
di Appello di Firenze, volutamente e corporativamente non ha tenuto conto del
clima di violenza e coercizione psicologica che sollecito ha subito nelle fasi
in cui gli si contesta un atteggiamento omissivo e non collaborativo.
In ogni modo. Se a
Firenze a Sollecito si contesta un comportamento in cui abbia «concorso a
causarla» (l'illegittima detenzione), rendendo «in particolare nelle fasi
iniziali delle indagini, dichiarazioni contraddittorie o addirittura francamente
menzognere», come se non fosse nel suo sacrosanto diritto di difesa farlo, ancor
più motivato, plausibile e condivisibile sarebbe stato il diniego alla richiesta
dell'indennizzo di fronte ad una vera e propria confessione.
Invece si dimostra
che in Italia chi esercita impropriamente un potere, pur essendo solo un Ordine
Giudiziario, ha sempre l'ultima parola per rivalersi da fallimenti pregressi.
Giuseppe Gulotta,
risarcito con 6,5 milioni di euro dopo 22 anni in carcere da innocente. Il
muratore di Certaldo (Firenze) è stato condannato nel 1976 per duplice omicidio
e assolto nel 2012. La Corte d'appello di Reggio Calabria ha riconosciuto
l'indennizzo. L'avvocato aveva chiesto 56 milioni di euro, scrive "Il Fatto
Quotidiano" il 14 aprile 2016. Sei milioni e mezzo di euro di risarcimento per
aver trascorso 22 anni in carcere da innocente. La corte d’appello di Reggio
Calabria ha stabilito l’indennizzo per Giuseppe Gulotta, il muratore di Certaldo
(Firenze) accusato di aver ucciso due carabinieri e poi assolto nel 2012. La
richiesta di Gulotta, attraverso il legale Pardo Cellini, ammontava a 56 milioni
di euro. “Stiamo valutando un ricorso in Cassazione”, ha spiegato l’avvocato.
“Se da un lato siamo soddisfatti perché con la decisione dei giudici di Reggio
Calabria finisce questo lungo percorso, dall’altro non ci soddisfa che sia stato
riconosciuto un indennizzo e non un risarcimento”. “Per trentasei anni sono
stato un assassino”, aveva raccontato in un libro del 2013 lo stesso Gulotta,
“dopo che mi hanno costretto a firmare una confessione con le botte, puntandomi
una pistola in faccia, torturandomi per una notte intera. Mi sono autoaccusato:
era l’unico modo per farli smettere”. Nel 1976, a 18 anni, Gulotta fu condannato
per il duplice omicidio di Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, avvenuto nella
caserma Alkmar di Alcamo Marina, in provincia di Trapani.
In carcere in
Toscana da innocente, crea una fondazione per le vittime degli errori
giudiziari. Giuseppe Gulotta fu condannato per l'omicidio di due carabinieri.
Dopo 40 anni ha ricevuto i 6,5 milioni di indennizzo dallo Stato, scrive Franca
Selvatici il 17 gennaio 2017 su "La Repubblica". È arrivato finalmente
l'indennizzo dello Stato per Giuseppe Gulotta e per la sua vita devastata da un
tragico errore giudiziario. In tutto 6 milioni e mezzo di euro, che dopo anni di
carcere, di disperazione e di difficoltà economiche permetteranno all'ex
ergastolano, accusato ingiustamente dell'atroce esecuzione di due giovani
carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, trucidati il 26 gennaio 1976
nella piccola caserma di Alcamo Marina, di assicurare un po' di agiatezza alla
moglie Michela e ai figli e di aiutare chi, come lui, è finito in carcere
innocente. Giuseppe Gulotta, nato il 7 agosto 1957, aveva poco più di 18 anni
quando finì nel "tritacarne di Stato". Chiamato in causa con altri da un giovane
che, dopo essere stato trovato in possesso di armi, fu torturato, costretto a
ingoiare acqua, sale e olio di ricino e a subire scosse elettriche ai testicoli,
anche lui fu incatenato, circondato da "un branco di lupi", picchiato,
insultato, umiliato e torturato, finché - come ha raccontato nel libro Alkamar
scritto con Nicola Biondo e pubblicato da Chiarelette - "sporco di sangue,
lacrime, bava e pipì" - non ha firmato una confessione che, seppure ritrattata
il giorno successivo, gli ha distrutto la vita. Il 13 febbraio 1976 fu arrestato
e dopo ben nove processi il 19 settembre 1990 fu condannato definitivamente
all'ergastolo. Scarcerato nel 1978 per decorrenza dei termini della custodia
cautelare, era stato allontanato dalla Sicilia. I genitori lo mandarono in
Toscana, a Certaldo, e qui - fra un processo e l'altro - Giuseppe ha conosciuto
Michela, sua moglie, che gli ha dato la forza di resistere nei 15 anni trascorsi
in carcere. Nel 2005 ha ottenuto la semilibertà. Sarebbe comunque rimasto un
"mostro" assassino se nel 2007 un ex carabiniere non avesse deciso di raccontare
le torture a cui aveva assistito. Da allora Giuseppe - assistito dagli avvocati
Baldassarre Lauria e Pardo Cellini - ha intrapreso l'impervio percorso della
revisione del processo. Il 13 febbraio 2016 - esattamente 40 anni dopo il suo
arresto - è stato riconosciuto innocente e assolto con formula piena dalla corte
di appello di Reggio Calabria. Quattro anni più tardi, il 12 aprile 2016, dopo
altre estenuanti battaglie gli è stato definitivamente riconosciuto l'indennizzo
di 6 milioni e mezzo a titolo di riparazione dell'errore giudiziario. Anche gli
altri tre giovani condannati come lui sono usciti assolti dal processo di
revisione, incluso Giovanni Mandalà, morto in carcere disperato nel 1998. Per i
suoi familiari lo Stato si appresta a versare un indennizzo record, il più alto
mai riconosciuto in Italia: 6 milioni e 600 mila euro.
Ecco come la giustizia in Italia sia strabica. A Firenze il silenzio vale il
diniego all’indennizzo; a Reggio Calabria una confessione di colpevolezza vale
una elargizione del medesimo.
Antonio Giangrande: Cane non mangia cane. E questo a Taranto, come in tutta
Italia, non si deve sapere.
Questo il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie
ONLUS che ha scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero.
Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la pubblica.
Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. "Siediti lungo
la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo
nemico", proverbio cinese. Qualcuno a me disse, avendo indagato sulle loro
malefatte: “poi vediamo se diventi avvocato”...e così fu. Mai lo divenni e non
per colpa mia.
Dei
magistrati già sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una
condanna penale o civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una
sanzione disciplinare.
Canzio: caro Csm, quanto sei indulgente coi magistrati…, scrive Giovanni M.
Jacobazzi il 19 gennaio 2017 su "Il Dubbio". Per il vertice della Suprema Corte
questo appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di
valutazione “non funziona”. La dichiarazione che non ti aspetti. Soprattutto per
il prestigio dell’autore e del luogo in cui è stata pronunciata. «Il 99% dei
magistrati italiani ha una valutazione positiva. Questa percentuale non ha
riscontro in nessuna organizzazione istituzionale complessa». A dirlo è il primo
presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio che, intervenuto ieri
mattina in Plenum a Palazzo dei Marescialli, ha voluto evidenziare questa
“anomalia” che contraddistingue le toghe rispetto alle altre categorie
professionali dello Stato. La valutazione di professionalità di un magistrato
che era stato in precedenza oggetto di un procedimento disciplinare ha offerto
lo spunto per approfondire il tema, particolarmente scottante, delle “note
caratteristiche” delle toghe. «È un dato clamoroso – ha aggiunto il presidente
Canzio che i magistrati abbiano tutti un giudizio positivo». Questo
appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di valutazione
“non funziona” e che necessita di essere “rivisto” quanto prima. Anche perché
fornisce l’immagine di una categoria particolarmente indulgente con se stessa.
In effetti, leggendo i pareri delle toghe che pervengono al Consiglio superiore
della magistratura, ad esempio nel momento dell’avanzamento di carriera o quando
si tratta di dover scegliere un presidente di tribunale o un procuratore, si
scopre che quasi tutti, il 99% appunto, sono caratterizzati da giudizi
estremamente lusinghieri. Ciò stride con le cronache che quotidianamente,
invece, descrivono episodi di mala giustizia. In un sistema “sulla carta”
composto da personale estremamente qualificato, imparziale e scrupoloso non
dovrebbero, di norma, verificarsi errori giudiziari se non in numeri
fisiologici. La realtà, come è noto, è ben diversa. Qualche mese fa, parlando
proprio delle vittime di errori giudiziari e degli indennizzi che ogni anno
vengono liquidati, l’allora vice ministro della Giustizia Enrico Costa, parlò di
«numeri che non possono essere considerati fisiologici ma patologici». Ma il
problema è anche un altro. Nel caso, appunto, della scelta di un direttivo, è
estremamente arduo effettuare una valutazione fra magistrati che presentato le
medesime, ampiamente positive, valutazioni di professionalità. Si finisce per
lasciare inevitabilmente spazio alla discrezionalità. Sul punto anche il vice
presidente del Csm Giovanni Legnini è d’accordo, in particolar modo quando un
magistrato è stato oggetto di una condanna disciplinare. «Propongo al Comitato
di presidenza di aprire una pratica per approfondire i rapporti fra la sanzione
disciplinare e il conferimento dell’incarico direttivo o la conferma
dell’incarico». Alcuni consiglieri hanno, però, sottolineato che l’1% di giudizi
negativi sono comunque tanti. Si tratta di 90 magistrati su 9000, tante sono le
toghe, che annualmente incappano in disavventure disciplinari. Considerato, poi,
che l’attuale sistema disciplinare è in vigore da dieci anni, teoricamente
sarebbero 900 le toghe ad oggi finite dietro la lavagna. Un numero, in
proporzione elevato, ma che merita una riflessione attenta. Il Csm è severo con
i giudici che depositano in ritardo una sentenza ma è di “manica larga” con il
pm si dimentica un fascicolo nell’armadio facendolo prescrivere.
Solo un rimbrotto per il pm che "scorda" l'imputato in galera, scrive Rocco
Vazzana il 30 novembre 2016 su "Il Dubbio". Il Csm ha condannato 121 magistrati
in due anni. Ma si tratta di sanzioni molto leggere. Centoventuno condanne in
più di due anni. È il numero di sanzioni che la Sezione Disciplinare del Csm ha
irrogato nei confronti di altrettanti magistrati. Il dato è contenuto in un file
che in queste ore gira tra gli iscritti alla mailing list di Area, la corrente
che racchiude Md e Movimenti. Su 346 procedimenti definiti - dal 25 settembre
2014 al 30 novembre 2016 - 121 si sono risolti con una condanna (quasi sempre di
lieve entità), 113 sono le assoluzioni, 15 le «sentenze di non doversi
procedere» e 124 le «ordinanze di non luogo a procedere». L'illecito
disciplinare riguarda «il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga, in
ufficio o fuori, una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e
della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio
dell'ordine giudiziario». Le eventuali condanne hanno una gradazione articolata
in base alla gravità del fatto contestato. La più lieve è l'ammonimento, un
semplice «richiamo all'osservanza dei doveri del magistrato», seguito dalla
censura, una formale dichiarazione di biasimo. Poi le sanzioni si fanno più
severe: «perdita dell'anzianità» professionale, che non può essere superiore ai
due anni; «incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o
semidirettivo»; «sospensione dalle funzioni», che consiste nell'allontanamento
con congelamento dello stipendio e con il collocamento fuori organico; fino
arrivare alla «rimozione» dal servizio. C'è poi una sanzione accessoria che
riguarda il trasferimento d'ufficio. Per questo, la sezione Disciplinare può
essere considerata il cuore dell'autogoverno. Perché se il Csm può promuovere
può anche bloccare una carriera: ai fini interni non serve ricorrere alle pene
estreme, basta decidere un trasferimento. E a scorrere il file con le
statistiche sui procedimenti disciplinari salta immediatamente all'occhio un
dato: su 121 condanne, la maggior parte (90) comminano una sanzione non grave
(la censura) e 11 casi si tratta di semplice ammonimento. Le toghe non si
accaniscono sulle toghe. La perdita d'anzianità, infatti, è stata inflitta solo
a dieci magistrati (due sono stati anche trasferiti d'ufficio), mentre sette
sono stati rimossi. Uno solo è stato trasferito d'ufficio senza ulteriori
sanzioni, un altro è stato sospeso dalle funzioni con blocco dello stipendio, un
altro ancora è stato sospeso dalle funzioni e messo fuori organico. Ma il dato
più interessante riguarda le tipologie di illecito contestate. La maggior parte
dei magistrati viene sanzionato per uno dei problemi tipici della macchina
giudiziaria: il ritardo nel deposito delle sentenze, quasi il 40 per cento dei
"condannati" è accusato di negligenze reiterate, gravi e ingiustificate. Alcuni,
però, non si limitano al ritardo: il 4 per cento degli illeciti, infatti,
riguarda «provvedimenti privi di motivazione», come se si trattasse di un
disinteresse totale nei confronti degli attori interessati. Il 23 per cento
delle condanne, invece, riguarda una questione che tocca direttamente la vita
dei cittadini: la ritardata scarcerazione. E in un Paese in cui si ricorre
facilmente allo strumento delle misure cautelari, questo tipo di comportamento
determina spesso anche il peggioramento delle condizioni detentive. Quasi il 10
per cento dei giudici e dei pm è stato sanzionato poi per «illeciti conseguenti
a reato». Solo il 6,6 per cento delle condanne, infine, è motivato da
«comportamenti scorretti nei confronti delle parti, difensori, magistrati, ecc..
».
Truccati anche i loro concorsi. I magistrati si autoriformino, scrive Sergio
Luciano su “Italia Oggi”. Numero 196 pag. 2 del 19/08/2016. Il Fatto Quotidiano
ha coraggiosamente documentato, in un'ampia inchiesta ferragostana, le
gravissime anomalie di alcuni concorsi pubblici, tra cui quello in magistratura.
Fogli segnati con simboli concordati per rendere identificabile il lavoro dai
correttori compiacenti pronti a inquinare il verdetto per assecondare le
raccomandazioni: ecco il (frequente) peccato mortale. Ma, più in generale,
nell'impostazione delle prove risalta in molti casi – non solo agli occhi degli
esperti – la lacunosità dell'impostazione qualitativa, meramente nozionistica,
che soprattutto in alcune professioni socialmente delicatissime come quella
giudiziaria, può al massimo – quando va bene – accertare la preparazione
dottrinale dei candidati ma neanche si propone di misurarne l'attitudine e
l'approccio mentale a un lavoro di tanta responsabilità. Questo genere di
evidenze dovrebbe far riflettere. E dovrebbe essere incrociato con l'altra, e
ancor più grave, evidenza della sostanziale impunità che la casta giudiziaria si
attribuisce attraverso l'autogoverno benevolo e autoassolutorio che pratica (si
legga, al riguardo, il definitivo I magistrati, l'ultracasta, di Stefano
Livadiotti).
Ora
parliamo degli avvocati. C’è il caso per il quale l’informazione abbonda, ma
manca la sanzione.
Un
"fiore" da 20mila euro al giudice e il processo si aggiusta. La proposta shock
di un curatore fallimentare a un imprenditore. Che succede nei tribunali di
Taranto e Potenza? Scrivono di Giusi Cavallo e Michele Finizio, Venerdì
04/11/2016 su “Basilicata 24". L’audio che pubblichiamo, racconta in emblematica
sintesi, le dinamiche, di quello che, da anni, sembrerebbe un “sistema” illegale
di gestione delle procedure delle aste fallimentari. I fatti riguardano, in
questo caso, il tribunale di Taranto. I protagonisti della conversazione
nell’audio sono un imprenditore, Tonino Scarciglia, inciampato nei meccanismi
del “sistema”, il suo avvocato e il curatore fallimentare nominato dal Giudice.
Aste e tangenti, studio legale De Laurentiis di Manduria nell’occhio del
ciclone, scrive Nazareno Dinoi il 9 e 10 novembre 2016 su “La Voce di Manduria”.
C’è il nome di un noto avvocato manduriano nell’inchiesta aperta dalla Procura
della Repubblica di Taranto sulle aste giudiziarie truccate. Il professionista
(che non risulta indagato), nominato dal tribunale come curatore fallimentare di
un azienda in dissesto, avrebbe chiesto “un fiore” (una mazzetta) da ventimila
euro ad un imprenditore di Oria interessato all’acquisto di un lotto che,
secondo l’acquirente, sarebbero serviti al giudice titolare della pratica
fallimentare. Questo imprenditore che è di Oria, rintracciato e intervistato
ieri da Telenorba, ha registrato il dialogo avvenuto nello studio legale di
Manduria in cui l’avvocato-curatore avrebbe avanzato la richiesta “del fiore” da
20mila euro. Tutto il materiale, compresi i servizi mandati in onda dal TgNorba,
sono stati acquisiti ieri dalla Guardia di Finanza e dai carabinieri di Taranto.
I
presunti brogli nella gestione dei fallimenti. «Infangata la giustizia per scopi
elettorali». Il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vincenzo Di Maggio,
attacca il M5S: preferisce il sensazionalismo all’impegno per risolvere i
problemi, scrive il 15 novembre 2016 Enzo Ferrari Direttore Responsabile di
"Taranto Buona Sera". «Ma quale difesa di casta, noi come avvocati abbiamo
soltanto voluto dire che il Tribunale non è un luogo dove si ammazza la
Giustizia». Vincenzo Di Maggio, presidente dell’Ordine degli Avvocati, torna
sulla polemica che ha infiammato gli operatori della giustizia negli ultimi
giorni: l’interpellanza di un nutrito gruppo di senatori Cinquestelle su
presunte nebulosità nella gestione delle procedure fallimentari ed esecutive al
Tribunale di Taranto.
«Fallimenti ed esecuzioni, le procedure sono corrette». Documento delle Camere
delle Procedure Esecutive e delle Procedure Concorsuali, scrive "Taranto Buona
Sera” il 10 novembre 2016. Prima l’interrogazione parlamentare del M5S su
presunte anomalie nella gestione delle procedure fallimentari, a scapito di chi
è incappato nelle procedure come debitore; poi il video della registrazione di
un incontro che sarebbe avvenuto tra un imprenditore, il suo avvocato e un
curatore fallimentare. Un video dagli aspetti controversi e dai contenuti
comunque tutti da verificare. Un’accoppiata di situazioni che ha destato clamore
e che oggi fa registrare la netta presa di posizione della Camera delle
Procedure Esecutive Immobiliari e della Camera delle Procedure Concorsuali. In
un documento congiunto, i rispettivi presidenti, gli avvocati Fedele Moretti e
Cosimo Buonfrate, fanno chiarezza a tutela della onorabilità dei professionisti
impegnati come curatori e custodi giudiziari ed esprimendo piena fiducia
nell’operato dei magistrati.
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi
su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive
Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono
all’attenzione della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati
di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio,
presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità
contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali
nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal
Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto
procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo
l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per
appropriazione indebita, ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa
parte del pool reati contro la pubblica amministrazione). Di questo se ne è
parlato agli inizi, perché l’esposto era dello stesso Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Taranto, ma poi nulla si è più saputo: caduto nell’oblio. Il
silenzio sarà rotto, forse, dalla inevitabile prescrizione, che rinverdirà
l’illibatezza dei presunti responsabili.
E
poi c’è il caso, segnalato da un mio lettore, di una eccezionale sanzione emessa
dalla magistratura tarantina e taciuta inopinatamente da tutta la stampa.
La
notizia ha tutti i crismi della verità, della continenza e dell’interesse
pubblico e pure non è stata data alla pubblica opinione.
Il
caso di cui trattasi si riferisce ad un esposto di un cittadino, presentato al
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto contro un avvocato di quel foro
per infedele patrocinio, di cui già pende giudizio civile.
Ma
facciamo parlare gli atti pubblicabili.
L’11 maggio 2012 viene presentato l’esposto, il 3 aprile 2013 con provvedimento
di archiviazione, pratica 2292, si emette un documento in cui si dichiara che il
Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto delibera la sua archiviazione in
quanto “non risultano elementi a carico del professionista tali da configurare
alcuna ipotesi di infrazione disciplinare”. L’atto è sottoscritto il 17 novembre
2014, nella sua copia conforme, dall’avv. Aldo Carlo Feola, Consigliere
Segretario. Mansione che il Feola ricompre da decenni.
Fin
qui ancora tutto legittimo e, forse, anche, opportuno.
E’
successo che, con procedimento penale 2154/2016 R.G.N.R. Mod. 21, il 3 ottobre
2016 (depositata il 6) il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Taranto, dr Maurizio Carbone, chiede il Rinvio a Giudizio dell’avv.
Aldo Carlo Feola, difeso d’ufficio, “imputato del delitto di cui all’art. 476
c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici),
perché, in qualità di Consigliere con funzione di Segretario del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, rilasciava copia conforme all’originale
della delibera datata 3 aprile 2013 del Consiglio, con la quale si disponeva di
non dare luogo ad apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avv.
Addolorata Renna, con conseguente archiviazione dell’esposto presentato nei suoi
confronti da Blasi Giuseppe. Provvedimento di archiviazione risultato in realtà
inesistente e mai sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine di
Taranto. In Taranto il 17 novembre 2014.”
Il
Giudice per le Indagini Preliminari, con proc. 6503/2016, il 21 novembre 2016
fissa l’Udienza Preliminare per il 12 dicembre 2016 e poi rinvia per il Rito
Abbreviato per il 10 aprile 2017 con interrogatorio dell’imputato ed audizione
del teste, con il seguito.
Il
Giudice per l’Udienza Preliminare, dr. Pompeo Carriere, il 16 ottobre 2017 con
sentenza n. 945/2017 “dichiara Feola Aldo Carlo colpevole del reato ascrittogli,
e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e applicata la diminuente
per la scelta del rito abbreviato, lo condanna alla pena di cinque mesi e dieci
giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese del procedimento. Pena
sospesa per cinque anni, alle condizioni di legge, e non menzione. Visti gli
artt. 538, 539, 541 c.p.p., condanna Feola Aldo Carlo al risarcimento dei danni
in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio,
nonché alla rifusione delle spese processuali dalla medesima sostenute, che si
liquidano in complessivi euro 3.115,00 (tremilacentoquindici) oltre iva e cap
come per legge”.
Da
quanto scritto è evidente che ci sia stata da parte della stampa una certa
ritrosia dal dare la notizia. Gli stessi organi di informazione che sono molto
solerti ad infangare la reputazione dei poveri cristi, sennonchè non ancora
dichiarati colpevoli.
Travaglio: “I giornali a Taranto non scrivono nulla perchè sono comprati dalla
pubblicità”. “E’ vero, ma non per tutti…” Lettera aperta al direttore de IL
FATTO QUOTIDIANO, dopo il suo intervento-show al Concerto del 1 maggio 2015 a
Taranto, di Antonello de Gennaro del 2 maggio 2015 su "Il Corriere del Giorno".
"Caro Travaglio, come non essere felice nel vedere Il Fatto Quotidiano,
quotidiano libero ed indipendente da te diretto, occuparsi di Taranto? Lo sono
anche io, ma nello stesso tempo, non sono molto soddisfatto della tua
“performance” sul palco del Concerto del 1° maggio di Taranto. Capisco che non è
facile leggere il solito “editoriale”, senza il solito libretto nero che usi in
trasmissione da Michele Santoro, abitudine questa che deve averti indotto a dire
delle inesattezze in mezzo alle tante cose giuste che hai detto e che condivido.
Partiamo da quelle giuste. Hai centrato il problema dicendo: “A Taranto i
giornali non scrivono nulla perchè sono comprati dalla pubblicità”. E’ vero e lo
provano le numerose intercettazioni telefoniche contenute all’interno degli atti
del processo “Ambiente Svenduto” e per le quali il Consiglio di Disciplina
dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia tergiversa ancora oggi nel fare chiarezza
sul comportamento dei giornalisti locali coinvolti, cercando evidentemente di
avvicinarsi il più possibile alla prescrizione amministrativa dei procedimenti
disciplinari e salvarli”.
Comunque, a parte i distinguo di rito dalla massa, di fatto, però, nessuno di
questa sentenza ne ha parlato.
In
conclusione, allora, va detto che si è fatto bene, allora, ad indicare la
notizia della condanna del Consigliere Segretario del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Taranto, come un fatto tra quelli che a Taranto son si osa
dire…
A cura del dr Antonio Giangrande.
Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande: Prescrizione. Manlio
Cerroni e la malafede dei giornalisti.
Un indagato/imputato prescritto non è un colpevole salvato, ma un soggetto,
forse innocente, NON GIUDICABILE, quindi, NON GIUDICATO!!!
Incubo carcere preventivo: quattro milioni di innocenti. In 50 anni troppe
vittime hanno subìto l'abuso della detenzione. C'è del marcio nei palazzi di
giustizia. Si ostinano a chiamarli "errori giudiziari", ma sono la prova che il
sistema è al collasso, fin nelle fondamenta, scrive Giorgio Mulè su “Panorama”.
Quello che mi fa ribollire il sangue è che si ostinano a chiamarli "errori
giudiziari", a presentarli come casi isolati da inserire nel naturale corso
della dialettica processuale. E invece sono la prova provata di un sistema
giudiziario marcio fin nelle fondamenta. Aprite i giornali e ogni giorno
troverete uno di questi "errori". Facciamo insieme due passi nelle cronache
recentissime e ripercorriamole a ritroso.
Eppure i figli di…Travaglio divulgano certi messaggi fuorvianti atti ad
influenzare gli ignoranti cittadini, che poi votano ignoranti rappresentanti
politici e parlamentari.
A tal proposito viene in aiuto l’esempio lampante di come un tema scottante ed
attuale venga trattato dai media arlecchini, servi di più padroni.
Assolti? C’è sempre un però. E go te absolvo, sussurra il prete dietro la grata
del confessionale. Ma se lo dice il giudice allora no, non vale. In Italia ogni
assoluzione è un’opinione, per definizione opinabile o fallace; e d’altronde
ogni processo è già una pena, talvolta più lunga d’un ergastolo.
TG1: ROMA PROCESSO MALAGROTTA, ASSOLTO CERRONI. Andato in onda il 06/11/2018.
"Il processo sulla discarica di Malagrotta e la gestione dei rifiuti a Roma.
Assolto l'ex patron dello stabilimento, Manlio Cerroni, dall'accusa di
associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti". Flavia
Lorenzoni.
Nel servizio si fa cenno al fatto che il processo è durato 4 anni. E meno male
che l’abbia detto. Ma lì si è fermato. Però, di seguito, il TG1 ha mandato in
onda il servizio sulla strage di Viareggio e sugli affetti che la prescrizione
avrebbe avuto su di esso.
Nel servizio al TG5 di questo tempo processuale di Cerroni nemmeno se ne fa
cenno.
A cercare su tutta la restante stampa e sugli altri tg non si trova altro che
cenni all’assoluzione, tacendo i tempi per il suo ottenimento, ma insistendo ad
infangare ed inficiare la reputazione dell’ultra novantenne Cerroni.
Solo il detuperato e vituperato giornale di Pero Sansonetti mi apre gli occhi:
"Cerroni assolto dopo 14 anni di processi. L’imprenditore era accusato di
associazione a delinquere", scrive Simona Musco il 7 Novembre 2018 su "Il
Dubbio". "Non c’è mai stata un’associazione a delinquere finalizzata al traffico
illecito di rifiuti a Roma e nel Lazio. Sono serviti quasi 10 anni di indagini e
quattro di processo, nonostante il giudizio immediato, per arrivare alla
conclusione raggiunta lunedì, dopo otto ore di camera di consiglio, dalla prima
sezione penale del tribunale di Roma: l’imprenditore Manlio Cerroni non ha
commesso il fatto, dunque va assolto".
14 anni sotto la scure della giustizia. Ma in tema di campagna contro la
prescrizione meglio tacciare quest'aspetto della notizia, sia mai si ledano i
favori dei potenti di turno.
Una censura o un’omertà assordante, nonostante: "In 30 anni ho finanziato tutta
la politica. Tutta no, i Radicali non me l'hanno mai chiesto". Manlio Cerroni,
intervistato da Myrta Merlino su La 7 il 6 settembre 2017.
Lo scandalo non sta nel fatto che scatta la prescrizione, dopo anni dal presunto
reato e anni dall’inizio del procedimento penale. Lo scandalo sta nel fatto che
non sono bastati anni alla magistratura per concludere l’iter processuale.
La prescrizione è garanzia di giustizia, i pm la trasformano in un mostro
giuridico. Lo studio dell'associazione "Fino a prova contraria". Annalisa
Chirico, giornalista e fondatrice del movimento "Fino a prova contraria", ha
pubblicato sul Foglio un interessante studio dei dati relativi alla prescrizione
dei procedimenti penali in Italia. Studio che merita di essere approfondito e
commentato, visto che cristallizza in maniera inconfutabile alcune verità che
non faranno certamente piacere ai giustizialisti in servizio permanente
effettivo. Partendo dalle rilevazioni statistiche del Ministero della Giustizia,
raccolte in un documento dello scorso maggio, la giornalista ha potuto
constatare che circa il 60% delle prescrizioni avvengono nella fase delle
indagini preliminari. Quindi nella fase in cui il pubblico ministero è dominus
assoluto del procedimento e dove la difesa, usando una metafora calcistica, "non
tocca palla". Il dato smentisce una volta per tutte la vulgata che vedrebbe
l'indagato ed il suo difensore porre in essere condotte dilatorie per sottrarsi
al giudizio. Quella che viene comunemente chiamata "fuga dal processo". Di
contro, certifica l'assoluta discrezionalità dell'ufficio del pubblico ministero
nella gestione del procedimento.
Nonostante la verità si appalesa, certi politici, continuano a cavalcare barbare
battaglie di inciviltà giuridica e sociale.
Prescrizione: Salvini, voglio tempi brevi processo e in galera colpevoli, scrive
Adnkronos l'8 Novembre 2018 su "Il Dubbio". “La mediazione è stata positiva,
accordo trovato in mezz’ora. Voglio tempi brevi per i processi. In galera i
colpevoli, libertà per innocenti. La norma sulla prescrizione sarà nel ddl ma
entra in vigore da gennaio del 2020 quando sarà approvata la riforma del
processo penale. La legge delega, che scadrà a dicembre del 2019, sarà all’esame
del Senato la prossima settimana”. Lo dice il vicepremier Matteo Salvini, dopo
l’intesa trovata a Palazzo Chigi sulla prescrizione.
Prescrizione: Di Maio, soddisfatto da accordo, stop furbetti, scrive Adnkronos
il 9 Novembre 2018 su "Il Dubbio". “Prescrizione? Mi sono svegliato dopo bene
dopo l’accordo, mi soddisfa totalmente, perché l’obiettivo di riformare la
prescrizione è sempre stata un obiettivo del M5S per fermare i furbetti. Allo
stesso modo sapere che il 2019 sarà l’anno del processo penale è importante”. Lo
ha detto il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi
Di Maio, incontrando la stampa estera a Roma. “Per me è molto importante
confrontarmi con voi – ha aggiunto – i media mondiali con cui vorrei
confrontarmi su temi importanti”.
Non si vuole curare il male, ma vogliono eliminare il rimedio di tutela.
Come si sa, i Giustizialisti Giacobini dormono, la notte, adagiati fra le teste
mozzate dei nemici uccisi. Di essi hanno bevuto il sangue. Delle loro carni si
sono saziati. Non c’è nulla di più detestabile di un Giustizialista Giacobino.
In lui infatti convergono, tautologicamente, due orribili vizi: l’essere
giustizialista, e l’essere giacobino.
Il Giustizialista Giacobino è colui che non evoca la giustizia come risoluzione
di alcuni problemi giudiziari, ma vorrebbe perversamente che essa li risolvesse
tutti.
Il Giustizialista Giacobino è colui che una la differenziazione della giustizia.
Ciò ha un che di antiquato, di classista, distinguere ricchi da poveri,
privilegiati e non, potenti e miserabili. Questa ignobile creatura sa infatti
molto bene, ma finge di non sapere, che se la giustizia è sempre giusta non
sempre lo sono i giudici. Essi si dividono in Giudici Giustizialisti Giacobini e
Giudici Non Giustizialisti e Non Giacobini. I primi condannano per scopi
politici, per rancori personali, per invidia sociale. I secondi sono animati da
giustizia, saggezza e santità. Per riconoscere una sentenza come Giustizialista
basta individuare chi è stato colpito da essa.
Il Giustizialista Giacobino è colui che invoca una giustizia rapida,
inflessibile, con inasprimento delle pene e accelerazione dell’iter processuale,
incarcerazione preventiva prolungata e cancellazione delle attenuanti e
dell’habeas corpus per i reati commessi dai nemici giurati della comunità civica
e dunque della giustizia giusta. Sì, però, va detto che la giustizia è sempre
giusta, ma i giudici possono essere giusti ed ingiusti.
La Prescrizione. E' l'istituto più odiato dai giustizialisti, sto parlando della
prescrizione del reato. Vorrebbero tempi di prescrizione lunghissimi,
praticamente infiniti. Non conta quando hai commesso un reato, dicono, conta se
lo hai commesso, e se lo hai commesso devi essere punito, punto e basta. E non
va loro giù che la prescrizione intervenga dopo che il processo ha avuto inizio.
Citano addirittura gli Stati Uniti d'America, dove i termini di prescrizione si
interrompono appena è stata emessa la sentenza di rinvio a giudizio. Si, è
proprio così, negli Usa la prescrizione si interrompe dal momento in cui il
sospettato è rinviato a giudizio, ma, quali sono i termini di prescrizione negli
Stati uniti d'America? Un delitto che comporta la pena dell'ergastolo è sempre
perseguibile. Ogni altro delitto grave (rapine, furti, stupri, sequestri di
persona) è perseguibile entro CINQUE ANNI. I delitti meno gravi sono
perseguibili entro DUE ANNI, quelli minimi entro UN ANNO. Esclusi i delitti
gravissimi, sempre perseguibili, negli Usa ogni crimine deve essere perseguito
entro termini temporali abbastanza ristretti. Nel momento in cui inizia il
processo però i termini di prescrizione si interrompono, e si evitano in questo
modo eventuali manovre dilatorie. Questo non fa sì che l'imputato debba passare
lunghi periodi nella “zona di nessuno” in cui necessariamente vive chi è
sottoposto a procedimento penale. Negli Usa infatti i processi sono piuttosto
rapidi. Le udienze sono quotidiane, i giurati vivono praticamente da reclusi,
impossibilitati addirittura a leggere i giornali o a guardare la TV, questo
perché chi è chiamato a giudicare della vita di un essere umano deve formarsi la
propria convinzione in base a ciò che emerge dal dibattimento, non dai talk show
televisivi o dai predicozzi di giornalisti alla Travaglio. La differenza con
quanto avviene in Italia è lampante. Un giudice popolare italiano ascolta oggi
un teste, fra due mesi un altro, fra sei mesi la requisitoria del PM e fra otto
l'arringa del difensore. Se tutto va bene fra un anno entrerà in camera di
consiglio (fanno eccezione i processi a carico di Berlusconi che sono di solito
rapidissimi). E' difficile pensare che in questo modo il giudice popolare
italiano possa maturare una convinzione ponderata sulla base di quanto emerge
dal dibattimento. Si aggiunga che negli Usa il pubblico accusatore non è, come
in Italia, un collega del giudice, che la difesa contribuisce alla selezione
della corte giudicante, che i giurati devono decidere alla unanimità e ci si
renderà conto che in quel paese il processo penale, anche se esclude i tre gradi
di giudizio automatici, è molto più garantista che nel nostro.
Non è un caso, in conclusione, che uno dei padri della scienza penalistica
italiana, come Francesco Carrara (Lucca, 18 settembre 1805 - Lucca, 15 gennaio
1888), abbia avuto modo di insegnare l’importanza giuridica dell’istituto della
prescrizione: «Interessa la punizione dei colpevoli, ma interessa altresì la
protezione degli innocenti. Un lungo tratto di tempo decorso dopo il fatto
criminoso che vuolsi obiettare ad alcuno rende a questo punto infelice, quasi
impossibile, la giustificazione della propria innocenza […]. Qual sarebbe l’uomo
che chiamato oggi a dar conto di ciò che fece in un dato giorno dieci anni
addietro sia in grado di dire e dimostrare dove egli fosse, e come sia falsa la
imputazione che contro di lui si dirige? La perfidia di un nemico può avere
maliziosamente tardato a lanciare lo strale della calunnia per farne più sicuro
lo effetto».
Tuttavia la veemenza con cui, negli ultimi anni, opinione pubblica e
rappresentanti politici e della magistratura ritengono una ferita alla civiltà
giuridica un istituto che, dai tempi del diritto romano, ne è stato invece
baluardo, ha origini mediocri.
Ma se è mediocre la veemenza, è antica la genesi dell’istituto della
Prescrizione.
E' indubbio che l'istituto della prescrizione - nato come istituto di natura
processuale (la longi temporis praescriptio del diritto romano) che estingue
l'azione (civile o penale) e come tale disciplinato nel diritto penale risponde
in primo luogo all'esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici,
esigenza cui è evidentemente interessato soprattutto l'imputato. Nell'Atene
classica esisteva un termine di prescrizione di 5 anni per tutti reati, ad
eccezione dell'omicidio e dei reati contro le norme costituzionali, che non
avevano termine di prescrizione. Demostene scrisse che questo termine fu
introdotto per controllare l'attività dei sicofanti.
“Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria (Milano 15 marzo 1738 - Milano 28
novembre 1794). CAPITOLO XXX PROCESSI E PRESCRIZIONE. Conosciute le prove e
calcolata la certezza del delitto, è necessario concedere al reo il tempo e
mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo cosí breve che non pregiudichi alla
prontezza della pena, che abbiamo veduto essere uno de’ principali freni de’
delitti. Un mal inteso amore della umanità sembra contrario a questa brevità di
tempo, ma svanirà ogni dubbio se si rifletta che i pericoli dell’innocenza
crescono coi difetti della legislazione. Ma le leggi devono fissare un certo
spazio di tempo, sì alla difesa del reo che alle prove de’ delitti, e il giudice
diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare
un delitto.
A
cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande: IL GARANTISMO E’ DI SINISTRA, MA DA LORO E’ RINNEGATO.
Nel
libro scritto da Antonio Giangrande, “IMPUNITOPOLI, LEGULEI ED IMPUNITA’”, un
capitolo è dedicato al garantismo.
Su
questo Antonio Giangrande, il noto saggista e sociologo storico che ha
pubblicato la collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", ha
svolto una sua inchiesta indipendente. Giangrande sui vari aspetti dell’impunità
in Italia ha pubblicato un volume ““IMPUNITOPOLI, LEGULEI ED IMPUNITA’”.
IL
GARANTISMO E’ DI SINISTRA, MA DA LORO E’ RINNEGATO.
Il
giovane Pippo Civati, giovane piddino intelligente e scaltro, ha rilasciato una
intervista a “Repubblica” per dire due o tre cose che – a suo giudizio –
renderanno più forte la sua posizione dentro il partito, e magari daranno
fastidio a Renzi. Per essere esatti ha detto cinque cose. Ha detto che la
riforma della giustizia va fatta senza Berlusconi. Che la riforma della
giustizia va fatta, invece, insieme ai magistrati. Poi ha detto anche che la
riforma della giustizia va fatta con Grillo. E infine si è scagliato contro
indulto e amnistia, giudicandole iniziative demagogiche, e si è detto invece
soddisfatto del decreto carceri che – a suo giudizio – alleggerisce la
condizione dei carcerati, scrive Piero Sansonetti su “Il Garantista”. Dei
carcerati stipati nelle celle: come lo alleggerisce, onorevole? Con gli otto
euro al giorno, che sono l’equivalente di 8 secondi della sua diaria da
parlamentare? Il giovane Pippo Civati, che politicamente è nato insieme a Renzi,
alla Leopolda, ma poi si è distaccato dal fiorentino scegliendo di diventare –
così mi dicono – il leader dell’ala sinistra del Pd, probabilmente sa poco della
storia della sinistra e della destra in Italia, e non è il solo. E ignora – a
occhio – che le sue posizioni favorevoli alle galere, contrarie alle amnistie, e
desiderose di lasciare che siano i magistrati a riformare la giustizia,
assomigliano parecchio a quelle che furono di un certo Mario Scelba e pochissimo
a quelle che furono di un certo Umberto Terracini. Visto che il giovane Civati,
come è logico, è giovane, è possibile che non sappia nulla di Scelba e Terracini
(del resto molti intellettuali di sinistra più anziani di lui ne sanno
pochissimo, o vogliono saperne pochissimo, o fingono di saperne pochissimo).
Dunque riassumo: Mario Scelba, siciliano, nato nel 1901. Fu il segretario
particolare di don Sturzo, poi legò con De Gasperi che lo fece ministro
dell’Interno. Comunisti e socialisti lo chiamavano ministro di polizia. Usò la
mano dura, seminò le piazze di morti e feriti e le prigioni di militanti
politici, pensò la legge-truffa e la difese, poi divenne presidente del
Consiglio dopo De Gasperi in un governo nel quale il vicepresidente era Saragat,
e che Nenni, scherzosamente ma non tanto, usando le iniziali dei due leader,
definì il governo “S.S”. Poi Scelba fece una legge che stabiliva che il fascismo
fosse un reato d’opinione, per fortuna mai applicata, ma questa legge non gli
conquistò –come lui si aspettava – simpatie a sinistra, perché le sinistre
intuivano che nella sua testa c’era l’idea di fare una legge successiva, che
trasformasse anche il comunismo in reato d’opinione. Insomma, onorevole Civati,
capito che tipo era questo Scelba? A lui non piacevano indulto e amnistia, amava
le celle ben stipate e voleva che la giustizia fosse forte e salda nelle mani
dei magistrati. Umberto Terracini invece era un avvocato ebreo genovese – il
padre si chiamava Jair, come la mitica ala destra dell’Inter – di sei anni più
vecchio di Scelba, era nato nel 1895, amico di Gramsci, fondatore del partito
comunista, antistalinista, espulso dal Pci negli anni trenta e poi riammesso,
sempre anticonformista, sempre libertario, e quando era già vecchio, negli anni
Settanta, si batté ferocemente contro la legge Reale e altre leggi speciali e
liberticide volute dal governo e appoggiate dal Pci per colpire il dissenso di
sinistra (e anche un po’ di destra). Terracini – oratore fantastico – è quel
signore che nel dicembre del 1947 firmò la Costituzione Repubblicana. Capito?
Terracini si batté contro Scelba nelle piazze, si batté contro Scelba nei
tribunali, si batté contro la legge truffa, fu sempre favorevole alle amnistie e
agli indulti, combatteva all’arma bianca contro le sopraffazioni dei magistrati,
si trovò a battagliare spalla a spalla con Marco Pannella. Scelba mise in
prigione molte persone. Terracini andò lui in prigione, per una decina d’anni.
Ora torniamo un momento alle sue tesi. Fare la riforma della giustizia
escludendo Berlusconi – cioè l’opposizione liberale – ed includendo i
magistrati, è qualcosa di terrificante. Lei pensa che affidando ai magistrati il
compito di autoriformarsi si difende l’indipendenza tra i poteri? Lei pensa che
non esista un conflitto di interessi se una riforma viene decisa da chi dovrebbe
essere l’oggetto di questa riforma? Lei pensa che escludere i liberali dalla
riforma della giustizia sia una cosa saggia? E poi, posso farle un’altra domanda
che nasce da una pura curiosità): ma come mai non le è neanche venuto in mente,
allora, di chiamare gli avvocati a collaborare? I magistrati sì, gli avvocati
no. Forse perché gli avvocati non sono un potere? Quanto a Grillo, e alla
proposta di collaborare con lui sul terreno della giustizia, mi sembra proprio
una bella idea: ieri Grillo ha detto che preferisce Pinochet al partito
democratico, ed effettivamente se l’Italia diventasse come il Cile di Pinochet,
il problema giustizia sarebbe risolto e anche il problema carceri (magari si
porrebbe una nuova questione: dove far giocare la seria A di Tavecchio, con
tutti gli stadi occupati dai prigionieri…). Vabbè, Onorevole, veda un po’ lei.
Io però torno per un attimo alle biografie di quei due padri della patria dei
quali le parlavo, per porle un’ultima domanda: Scelba o Terracini? Lei chi
preferisce? Perché il partito democratico, sarà un paradosso, ma è così: è erede
di entrambi. Di uno dei massimi leader della Dc e di uno dei massimi leader del
Pci. Si tratta di decidere il proprio punto di vista. Quello che un po’ mi
preoccupa è che lei, che vuole fare il capo della sinistra del Pd, mi sembra
molto più vicino a Scelba che a Terracini. Non so spiegarmi perché. Forse perché
ormai il modo è girato tutto alla rovescia, i valori si sono invertiti, i
pensieri aggrovigliati. O forse invece è per calcolo politico. Perché qualcuno
immagina che per essere di sinistra bisogna essere coi giudici contro
Berlusconi, e dunque per le galere contro la libertà, e poi per Grillo e tutto
il resto, e anche se a Grillo piacciono Le Pen e i golpisti cileni va bene lo
stesso…si, si, però voi siete sicuri che questa sia ancora sinistra?
Il
garantismo è di sinistra, scrive Piero Sansonetti su “Il Garantista”. Può
esistere il garantismo di sinistra? Può esistere, per una ragione storica: è
esistito, ha pesato, ha avuto una influenza notevole sulla formazione degli
intellettuali di sinistra. Tutto questo è successo molto, molto tempo fa.
Soprattutto, naturalmente, quando la sinistra era all’opposizione, o addirittura
era “ribelle”, e quando i magistrati – qui in Italia – erano prevalentemente
legati ai partiti politici conservatori o reazionari, e in gran parte
provenivano dalla tradizione fascista. Allora persino il Pci, che pure aveva
delle fortissime componenti staliniste, e quindi anti-libertarie, coltivava il
garantismo. Il grande limite del garantismo, in Italia – e il motivo vero per il
quale oggi quasi non esiste più alcuna forma vivente di garantismo di sinistra –
sta nel fatto che non è mai stato il prodotto di una battaglia di idee – di una
convinzione assoluta – ma solo di una battaglia politica (questo, tranne
pochissime eccezioni, o forse, addirittura, tranne la unica eccezione del
Partito radicale). La distinzione tra garantismo e non garantismo oggi si
determina calcolando la distanza tra un certo gruppo politico – o giornalistico,
o di pensiero – e la casta dei magistrati. Il “garantismo reale”, diciamo così,
non è qualcosa che si riferisce a dei principi e a una visione della società e
della comunità, ma è soltanto una posizione politica riferita a un sistema di
alleanze che privilegia o combatte il potere della magistratura. Per questo il
garantismo non riesce più ad essere un “valore generale” e dunque entra in rotta
di collisione con il corpo grosso della sinistra – moderata, radicale, o
estremista – che vede nella magistratura un baluardo contro il berlusconismo, e
al “culto” di questo baluardo sacrifica ogni cosa. Tranne in casi specialissimi:
quando la magistratura, per qualche motivo, diventa nemico. Per esempio nella
persecuzione verso il movimento no-tav. Allora, in qualche caso, anche spezzoni
di movimenti di sinistra diventano “transitoriamente” garantisti, e contestano
il mito della legalità, ma senza mai riuscire a trasformare questa idea in idea
generale: quel garantismo resta semplicemente uno strumento di difesa. Di difesa
di se stessi, del proprio gruppo delle proprie illegalità, non di difesa di
tutta la società. Il garantismo può essere di sinistra, per la semplice ragione
che il garantismo è una delle poche categorie ideal-politiche che non ha niente
a che fare con le tradizionali distinzioni tra di sinistra e destra. La sinistra
e la destra – per dirla un po’ grossolanamente – si dividono sulle grandi
questioni sociali e sulla negazione o sull’esaltazione del valore di
eguaglianza; il garantismo con questo non c’entra, è solo un sistema di idee che
tende a difendere i diritti individuali, a opporsi alla repressione e a
distinguere tra “legalità” e “diritto”. Può essere indifferentemente di destra o
di sinistra. A destra, tradizionalmente, il garantismo ha sempre sofferto perché
entra in conflitto con le idee più reazionarie di Stato- Patria- Gerarchia-
Ordine- Obbedienza- Legalità. A sinistra, in linea teorica, dovrebbe avere molto
più spazio, con il solo limite della scarsa “passione” della sinistra per i
diritti individuali, spesso considerati solo una variabile subordinata dei
diritti collettivi. E quindi, spesso, negati in onore di un Diritto Superiore e
di massa. Ed è proprio in questa morsa tra destra e sinistra – tra statalismo di
destra e di sinistra – che il garantismo rischia di morire. Provocando dei danni
enormi, in tutto l’impianto della democrazia e soprattutto nel regime della
libertà. Perché il garantismo ha molto a che fare con la modernità. Ormai si
stanno delineando due ipotesi diverse di modernità. Una molto cupa,
ipercapitalistica. Quella che assegna al mercato e all’efficienza il potere di
dominare il futuro. E questa tendenza – che a differenza dalle apparenze non è
affatto solo di destra ma attraversa tutti gli schieramenti, compreso quello
grillino – passa per una politica ultra-legalitaria, che si realizza
moltiplicando a dismisura le leggi, i divieti, le regolazioni, le punizioni, le
confische e tutto il resto. L’idea è che moderno significhi “regolato”,
“predeterminato” e che per fare questo si debba separare libertà e
organizzazione. E anche, naturalmente, libertà e uguaglianza (uguaglianza
sociale o uguaglianza di fronte alla legge, o pari opportunità eccetera). E che
la libertà sia “successiva” agli altri valori. Poi c’è una seconda idea, del
tutto minoritaria, che vorrebbe che il mercato restasse nel mondo dell’economia,
e non pretendesse di regolare e comandare sulla comunità; e vorrebbe organizzare
la comunità su due soli valori: la libertà piena, in tutti i campi, e il
diritto, soprattutto il diritto di ciascuno. Questa idea qui è l’idea
garantista. E non ha nessuna possibilità di decollare se non riesce a
coinvolgere la sinistra. Rischia di ridursi a un rinsecchito principio
liberista, o individualista, che può sopravvivere, ma non può volare, non può
prendere in mano le redini del futuro. E’ la sfida essenziale che abbiamo
davanti. Chissà se prima o poi qualcuno se ne accorgerà, o se continuerà a
prevalere la sciagurata cultura reazionario-di-sinistra dei girotondi.
Pubblichiamo ancora qui di seguito l’intervista che il direttore Piero
Sansonetti ha rilasciato a editoria.tv e ripubblicata da “Il Garantista”. “La
sinistra non ha un’idea di libertà”. In un editoriale di due anni fa su Gli
Altri, Piero Sansonetti sintetizzava così la sua posizione. Hanno scelto il
liberismo, diceva, perchè è l’unica via possibile, quando non sai – tu, Stato –
governare il mercato, indirizzarlo, farci i conti. Altro che “liberal”
americani. Da noi non esistono. Quelli lì, oltreoceano, sono chiamati in questo
modo dai conservatori “con lo stesso sdegno con cui Berlusconi dà ogni tanto a
qualcuno del comunista”. Qui da noi è un’altra storia. Qui la sinistra è fuori
da tutto, non esiste, e quella che si spaccia per tale “è di destra”, come
recita il titolo del suo ultimo libro. E allora che si fa? Come s’articola il
discorso politico nuovo? Con quali voci, con quali forze? Sansonetti,
giornalista d’altri tempi, da una vita ai vertici dei quotidiani “rossi” storici
(dall’Unità, a Liberazione, al Riformista, fino a Gli Altri) mette in riga le
questioni e porta in edicola una nuova testata. Un foglio di carta di nome
Garantista. Uscirà il prossimo 18 giugno 2014 (tra poco scoprirete con che
formula) e nasce dalle ceneri di Liberal (a volte il destino…) del forzista
Ferdinando Adornato e andrà a giocare la sua partita in questo mare impazzito
che è il mercato di oggi, con la pubblicità che è una bestia in estinzione, i
lettori (o clienti) che hanno scoperto l’eden del gratuito sul web e i fondi
pubblici che sono diminuiti fino quasi scomparire. Il Garantista riparte
senz’altro dal contributo pubblico, ma quello – si sa – ormai ti può dar sangue
per vivere un po’. E poi?
Direttore, ci vuole coraggio a fondare un giornale di carta in questo caos di
oggi. Dove lo ha trovato?
«Nella consapevolezza che esiste uno spazio, sebbene non vasto, dove poter
affermare dei ragionamenti diversi. Delle idee.»
E
perché crede di potercela fare? In fondo i numeri dicono che il mercato
dell’editoria è un disastro.
«Sì, ma la questione è più complessa. Io credo che la crisi dei giornali vada
indagata a partire da due ragioni. La prima è senz’altro l’avvento di internet.
Il web ha dato una direzione diversa al mercato, della quale si deve prendere
atto e sulla quale non si ha potere di intervento. La seconda ragione è che in
Italia si è smesso di pensare. Non ci sono idee. Non ci sono novità da decenni.
L’ultimo caso “innovativo” è forse Repubblica, ed era il 1976. Poi più niente, a
parte il Fatto Quotidiano, forse.»
Perché forse?
«Perché per me non è una grande novità. E’ la diretta conseguenza di una via
giustizialista, sulla quale camminano anche gli altri, dal Corriere in giù.»
E
il Garantista? In un’intervista rilasciata proprio al sito del giornale di
Padellaro e Travaglio, Adornato, l’editore di Liberal, dice che lei ha proprio
in mente un anti-Fatto. E’ vero?
«Ma
no. Noi siamo molto più di un anti-Fatto, siamo un anti-tutto. Vogliamo
affermare un giornalismo che va alla verità. E la parola stessa Garantismo suona
come un insulto di questi tempi. Noi però quest’idea la portiamo sul mercato ben
sapendo che è minoritaria. Siamo sicuri, tuttavia, che conquisteremo il nostro
spazio sapendo che di voci nuove c’è bisogno.»
Ma
facciamo un po’ di storia. Quand’è che la sinistra s’accoda ai magistrati?
Quand’è che nasce quest’amore?
«Di
certo negli anni ’70. Quando si decide di cancellare la lotta armata. Anzi, si
può dire di più. C’è una data precisa che è la legge Reale (la legge 152 del
1975, Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, ndr).»
Poi?
«Il
giustizialismo nasce lì e poi l’idea si consolida. Il giustizialismo è la
realizzazione di un’alleanza che si salda, ancora di più, con Tangentopoli,
quando si decide di cacciare quelli che fino ad allora avevano governato con la
clava.»
Ma
da dove nasce questa tendenza? Quale origine culturale ha?
«E’
un rigurgito stalinista. E’ da lì che proviene questo metodo. E’ lì che affonda
la sua radici.»
Lei, nei suoi pezzi, differenzia i liberal dai liberisti. I primi sono tipica
espressione della sinistra americana: pensano che lo Stato debba intervenire sul
mercato per garantire le libertà di tutti. I secondi sono di destra, e pensano
che il mercato si debba autoregolamentare, e che sia questa la vera libertà.
Detto questo: Renzi è un liberal o un liberista?
«Lui bisogna aspettarlo al varco. Non lo so che sarà. Ma di certo l’andazzo è lo
stesso. Se così non fosse, Renzi non parlerebbe usando termini come “li cacciamo
tutti a calci”. Non le pare? Ho l’impressione che siamo sempre lì: la sinistra
non sa scegliere e piega l’idea di libertà al mercato. E’ più facile così.»
A
proposito di questioni immanenti. Lei dopo Liberazione è andato a dirigere dei
giornali in Calabria. Che idea s’è fatto del Sud?
«Il
Mezzogiorno è la parte più povera del Paese. I meridionali non hanno strumenti
di potere. E in quell’area non c’è stata alcuna affermazione della cultura dei
diritti. Le condizioni attuali sono il risultato di questo.»
E
allora? Che si fa?
«Si
deve ripartire dallo stato di diritto. Non ci sono altre vie. Il Nord ha portato
al Sud le prigioni, le manette, nient’altro. Ma alla modernità s’arriva con
un’altra cultura. Quella che noi, soprattutto in quelle aree, cercheremo di
proporre. Anche se – ripeto – la nostra è una battaglia minoritaria.»
Che
macchina state mettendo in piedi? Che giornale sarà?
«Dei contenuti ho già parlato. Per quanto attiene all’organizzazione, le
redazioni saranno distribuite a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catanzaro e poi a
Roma. Il giornale nazionale avrà 24 pagine. E le redazioni locali 20 pagine, per
ognuno dei posti che ho menzionato. Puntiamo molto sulla dimensione locale.»
A
Cosenza ci sarà dunque un giornale diverso rispetto a quello di Reggio Calabria.
«Esatto. E sarà un giornale di 44 pagine. Avremo, poi, 16 pagine in più per
Napoli e Salerno. Quindi i posti dove avremo una presenza più capillare,
all’inizio, saranno la Calabria e la Campania.»
E
sul web?
«Sarà online il sito del giornale e sarà possibile scaricare il pdf, abbonarsi e
acquistare le copie, come è ormai consuetudine. La nostra sfida, ripeto, si
gioca sulle idee non sulle tecniche.»
IL
GARANTISMO E' DI SINISTRA, scrive Simonetta Fiori su “La Repubblica”.
«Perché tanta resistenza all'indulto, soprattutto tra gli elettori democratici?
Credo si tratti di un meccanismo perverso, che porta a sospettare sempre e
comunque della politica. Un pregiudizio che naturalmente può essere spiegato con
l'ultimo ventennio della storia italiana. Quello proposto dal presidente della
Repubblica è un atto sacrosanto, che andrebbe illustrato nella sua banale
umanità».
Settantatré anni, fiorentino, Luigi Ferrajoli è il filosofo del diritto italiano
più conosciuto all'estero, forse più famoso nella scena internazionale che nel
nostro paese. Ha scritto saggi fondamentali che hanno definito una nozione
complessa di garantismo, non solo come sistema di divieti e obblighi a carico
della sfera pubblica a garanzia di tutti i diritti fondamentali (dunque sia i
diritti di libertà che i diritti sociali), ma anche come sistema di divieti e
obblighi a carico dei poteri privati del mercato. Il suo percorso intellettuale
è cominciato alla scuola di Norberto Bobbio, di cui è considerato tra gli eredi
più autorevoli, ed è proseguito negli anni Sessanta in veste di giudice dentro
Magistratura democratica, dove confluivano culture politiche diverse. Ferrajoli
s'identifica nel "costituzionalismo garantista" che poi significa «una scelta di
campo a sostegno dei soggetti più deboli, come impongono i principi di giustizia
sanciti dalla Costituzione». Le sue posizioni - anche nel terreno delicatissimo
della riforma della giustizia - sfidano alcuni tabù della sinistra. Difende la
separazione delle carriere tra giudice e Pm, ferma restando l'assoluta
indipendenza dei pubblici ministeri dal potere politico («La sinistra è caduta
in un equivoco, anche perché all'epoca di Craxi la separazione fu proposta con
l'intento di assoggettare i pm all'esecutivo»). E questo suo ultimo prezioso
libro-intervista con Mauro Barberis, filosofo del diritto altrettanto
competente, contiene giudizi originali sulla crisi della politica e della
democrazia, di cui il tema della giustizia è parte essenziale. A cominciare dal
"populismo penale" in voga nel dibattito pubblico (Dei diritti e delle garanzie,
il Mulino).
Professor Ferrajoli, che cos'è il populismo giudiziario?
«È
il protagonismo dei pubblici ministeri poi passati alla politica. Sono rimasto
colpito dall'esibizionismo e dal settarismo di alcuni magistrati, sia durante i
processi che in campagna elettorale. Ho proposto anche una sorta di codice
deontologico che richiama ai principi di sobrietà e riservatezza, oltre che al
dubbio come costume intellettuale e morale. Temo molto quando il magistrato
inquirente è portato a vedere nella conferma in giudizio delle ipotesi
accusatorie una condizione della propria credibilità professionale. Cesare
Beccaria lo chiamava "il processo offensivo", nel quale il giudice anziché
essere un "indifferente ricercatore del vero" diviene "nemico del reo"».
Lei
sottolinea il carattere "terribile" del potere giudiziario.
«Sì, carattere "terribile" e "odioso", dicevano Montesquieue Condorcet. È il
potere dell'uomo sull'uomo, capace di rovinare la vita delle persone. Purtroppo
i titolari di questo potere possono cedere alla tentazione di ostentarlo. Cosa
sbagliatissima. Quanto più questo potere diventa rilevante, tanto più si
richiede una sua soggezione alla legge e al principio di imparzialità. Un
obbligo che è a sua volta fonte di legittimazione del potere giudiziario».
Il
populismo penale, le fa notare Barberis, è di fatto l'opposto del garantismo.
«Sì, in realtà l'opposto del garantismo è il dispotismo giudiziario, che è
presente in tutte le forme di diritto penale con scarse garanzie, in particolare
caratterizzate - come avviene in Italia - da una legalità dissestata».
Cosa intende?
«È
il vero problema oggi. Disponiamo di leggi incomprensibili perfino ai giuristi,
mentre la chiarezza è l'unica condizione della loro capacità regolativa, sia nei
confronti dei cittadini che nei confronti dei giudici. Per prima cosa il
Parlamento dovrebbe far bene il proprio mestiere, ossia scrivere le leggi in
modo chiaro e univoco. È questo il solo modo per contenere l'arbitrio del potere
giudiziario. Un obiettivo che non si raggiunge certo riducendo l'autonomia dei
giudici e dei pubblici ministeri a vantaggio del potere esecutivo».
Forse è anche per difendere la propria autonomia minacciata che alcuni
magistrati sono arrivati ad eccessi.
«Non c'è alcun dubbio. Derisi e pressati da un potere irresponsabile, alcuni
talvolta hanno agito per autodifesa. Anche la martellante campagna diffamatoria
promossa dalla destra sull'uso politico della giustizia ha finito per inquinare
la stessa cultura giuridica dei magistrati che hanno reagito in modo corporativo
all'accusa. Non dimentichiamoci che in tutti questi anni la riforma della
giustizia ha ruotato esclusivamente attorno ai problemi personali di Silvio
Berlusconi, riducendosi a un assurdo corpus iuris ad personam. E la parola
garantismo ha finito per significare la difesa dell'impunità dei potenti».
Un'accusa che viene rivolta alla sinistra, anche da parte non strettamente
berlusconiana, è di aver cavalcato quel potere terribile a cui alludeva prima,
sostituendo Marx con le manette.
«Mi
sembra una ricostruzione ingiusta. La caratterizzazione "giustizialista" -
parola che detesto - di una parte della sinistra è stata provocata dallo
scandalo dell'anomalia di questo ventennio. Non la giustifico, ma posso
spiegarla. Siamo stati governati da una persona che è al centro di una quantità
enorme di processi, una parte dei quali forse infondata ma altri fondatissimi.
Da qui anche l'enorme aspettativa verso il diritto penale, da cui si pretende
che assicuri l'eguaglianza delle persone davanti alla legge».
Non
è così?
«Purtroppo da luogo dell'eguaglianza formale il diritto penale è diventato il
luogo della massima diseguaglianza. Quella che viene più facilmente colpita è la
delinquenza di strada, con la sostanziale impunità dei potenti. Quasi il 90 per
cento delle condanne per fatti di corruzione negli ultimi vent'anni è stato
inferiore ai due anni, con conseguente sospensione condizionale della pena.
Anche l'evasione fiscale di fatto resta impunita».
Forse questo spiega perché l'opinione democratica tema l'indulto. Per una volta
che viene applicato il principio dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla
legge, si teme che l'indulto possa cancellarlo.
«Sì, ma si tratta di un sospetto tanto velenoso quanto infondato. Naturalmente
spetta al Parlamento evitare che a beneficiare dell'indulto siano i reati di
corruzione o frode fiscale, reati che non sono mai entrati nella tradizione
dell'amnistia. E, per le ragioni che ho ora esposto, a chi si oppone al
provvedimento bisognerebbe ricordare che la criminalità dei colletti bianchi è
di fatto assente dalle carceri. Le celle sono piene di povera gente,
tossicodipendenti e immigrati clandestini. Sarebbero loro a trarne vantaggio».
Anche per snellire la macchina giudiziaria, lei ha proposto la soppressione di
alcuni reati come l'immigrazione clandestina. Pochi giorni fa è cominciato in
Senato l'iter per la sua abolizione.
«I
nostri tribunali sono paralizzati da un marasma di figure di reato che si
potrebbero cancellare. Quello di immigrazione clandestina è poi un'assoluta
vergogna. Teorizzato nel 1539 da Francisco de Vitoria, per giustificare
conquista e colonizzazione del nuovo mondo, lo ius migrandi è rimasto per
secoli, fino alla Dichiarazione universale del 1948, un principio fondamentale
del diritto internazionale. Oggi che il processo s'è invertito - sono le
popolazioni povere da noi depredate a venire nei nostri paesi - il diritto s'è
capovolto in reato. Il risultato è una terribile catastrofe umanitaria. Potrei
definirle "le leggi razziali" di questi anni».
Antonio Giangrande.
DELITTI DI STATO ED OMERTA’ MEDIATICA.
Quando la Legge e
l’Ordine Pubblico diventano violenza gratuita e reato impunito del Potere.
Così scrive il dr
Antonio Giangrande, sociologo storico e scrittore che sul tema ha scritto dei
saggi pubblicati su Amazon.it.
C’è violenza e
violenza. C’è la violenza agevolata, come quella degli stalkers, fenomeno che
sui media si fa un gran parlare. Stalkers che sono lasciati liberi di uccidere,
in quanto, pur in presenza di denunce specifiche, non vengono arrestati, se non
dopo aver ucciso coniuge e figli. C’è la violenza fisica che ti lede il corpo.
C’è quella psicologica che ti devasta la mente, come per esempio l’essere
vittima di concorsi pubblici od esami di abilitazione truccati o il considerare
le tasse come “pizzo” o tangente allo Stato.
O come per esempio
c’è la violenza su Silvio Berlusconi: un vero e proprio ricatto…. anzi è
un’estorsione “mafiosa” a detta di Berlusconi. Libero di fare la campagna
elettorale, ma fino a un certo punto: se nei suoi interventi pubblici Berlusconi
tornerà a prendersela con i magistrati (come fa con regolarità da vent'anni a
questa parte) potrà venirgli revocato l'affido ai servizi sociali e
scatterebbero gli arresti domiciliari. Antonio Lamanna, come racconta la stampa,
nell'udienza di giovedì 10 marzo 2014, ha sottolineato che se il Cavaliere
dovesse diffamare i singoli giudici l'affidamento potrebbe essere revocato. Un
bavaglio a Berlusconi: se dovesse parlare male della magistratura, verrà
sbattuto agli arresti domiciliari. Lamanna, nel corso dell'udienza, ha portato
in aula un articolo del Corriere della Sera dello scorso 7 marzo 2014, in cui
veniva riportato che Berlusconi avrebbe detto, in vista delle decisione del
Tribunale di Sorveglianza: "Sono qui a dipendere da una mafia di giudici".
Dunque Lamanna ha commentato: "Noi non siamo né angeli vendicatori né angeli
custodi, ma siamo qui per far applicare la legge", e successivamente ha ribadito
al Cavaliere la minaccia (abbassare i toni, oppure addio ai servizi).
O come per esempio
c’è la violenza su Anna Maria Franzoni. Quattordici anni dopo l'omicidio del
figlio Samuele Lorenzi in Annamaria Franzoni ci sono ancora condizioni di
pericolosità sociale e la donna ha bisogno di una psicoterapia di supporto.
Sapete perché: perché si dichiara innocente. E se lo fosse davvero? In questa
Italia, se condannati da innocenti, bisogna subire e tacere. Questo è il sunto
della perizia psichiatrica redatta dal professor Augusto Balloni, esperto
incaricato dal tribunale di Sorveglianza di Bologna di valutare ancora una volta
la personalità della donna per decidere sulla richiesta di detenzione
domiciliare. La perizia ha circa 80 pagine ed è il frutto di una decina di
incontri in oltre due mesi con le conclusioni, depositate prima di Pasqua 2014.
Secondo quanto rivelato dalla trasmissione “Quarto grado”, la perizia sostiene
che Franzoni, che sta scontando una condanna a 16 anni (e non a 30 anni, così
come previsto per un omicidio efferato), è socialmente pericolosa: soffre di un
"disturbo di adattamento" per "preoccupazione, facilità al pianto, problemi di
interazione con il sistema carcerario" perché continua a proclamarsi innocente.
Poi c’è la violenza
fisica. Tutti a lavarsi la bocca con il termine legalità. Mai nessuno ad
indicare i responsabili delle malefatte se trattasi dei poteri forti. Così si
muore nelle “celle zero” italiane. Dai pestaggi ai suicidi sospetti. Le foto
incredibili. Di questo parla Antonio Crispino nel suo articolo su “Il Corriere
della Sera” del 5 febbraio 2014.
Per quando questa
inchiesta sarà tolta dal sito del Corriere (più o meno 48 ore), in carcere sarà
morta un’altra persona. Sono 2230 decessi in poco più di un decennio. Quasi un
morto ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio.
Queste le cause più comuni. Quelle scritte sulle carte. Poi ci sarebbero i casi
di pestaggio, di malasanità in carcere, di detenuti malati e non curati,
abbandonati, le istigazioni al suicidio, le violenze sessuali, le impiccagioni a
pochi giorni dalla scarcerazione o dopo un diverbio con il personale carcerario.
Sono le ombre del sistema. La versione ufficiale è che il carcere è
“trasparente”, sono tutte fantasie, storie metropolitane. «I detenuti, ormai,
l’hanno presa come una moda quella di denunciare violenze». Parola di Donato
Capece, leader del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria). Per essere
credibili bisogna portare le prove, le testimonianze. In che modo? «Il carcere è
un mondo a parte, un sistema chiuso dove si viene a sapere quello che io voglio
che si sappia e dove le carte si possono sistemare a piacimento. Il sistema
tende a proteggere se stesso» sintetizza Andrea Fruncillo, ex agente
penitenziario di Asti. Lo avevamo incontrato già qualche anno fa. Grazie anche
alla sua denuncia (caso più unico che raro) venne alla luce il sistema di
pestaggio organizzato all’interno del carcere dove prestava servizio. In primo
grado non si trovò nessun responsabile. In secondo grado sono arrivate le
condanne. E’ una lotta impari, una fatica di Sisifo. «Anche lì dove riusciamo
faticosamente a reperire delle prove finisce quasi sempre con una prescrizione»
spiega l’avvocato Simona Filippi. È uno gli avvocati di Antigone, l’associazione
che si occupa dei diritti dei detenuti. Carte alla mano, ci mostra come i reati
per cui si procede sono attinenti alle sole lesioni. I tempi di prescrizione
sono facilmente raggiungibili rispetto a un reato di tortura. Se fosse
introdotto nel nostro ordinamento. Ad oggi, infatti, questo reato non esiste.
Come praticamente non esistono condanne passate in giudicato. Esistono, invece,
foto e documenti agghiaccianti che pochi dubbi lascerebbero sulla natura della
morte del detenuto. Ma tutto è interpretabile e la scriminante è sempre dietro
l’angolo. Lo avevamo testato anche noi, nel 2012, dopo l’aggressione ricevuta da
parte del comandante degli agenti penitenziari di Poggioreale che minacciò: «Se
non spegni questa telecamera te la spacco in testa... I detenuti li trattiamo
anche peggio, lo puoi anche scrivere». Anche in quel caso chiedevamo di presunti
casi di violenza. Tante scuse per l’accaduto, la richiesta - cortese - di non
denunciare da parte della direttrice e promesse di azioni disciplinari da parte
del Dap. Nulla di concreto. Anzi. Sul sito della polizia penitenziaria il
comandante viene descritto come un ‘martire della battaglia’, in puro stile
corporativo, provocato da giornalisti in cerca di scoop. «Nessuna prova».
Qualche foto gira su internet per la pervicacia di genitori che chiedono
giustizia: sono i casi di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi (la mamma ha venduto
tutto quello che aveva per pagare avvocati e periti. Ultimamente ha messo in
vendita il proprio rene per poter pagare il ricorso alla Corte europea dei
diritti dell’uomo a Strasburgo. La battaglia legale va avanti da 10 anni) o
Federico Perna. Gli altri non li conosce nessuno. Come Manuel Eliantonio, Carlo
Saturno, Bohli Kaies, Raffaele Montella, Aldo Tavola, Stefano Guidotti, Antonino
Vadalà, Mauro Fedele, Gregorio Durante, Giuseppe Rotundo e troppi altri.
Raccogliamo tutto quello che si può documentare. Lo mostriamo, in una
miscellanea di orrore e terrore, al garante dei detenuti della Lombardia Donato
Giordano, la regione con il più alto numero di carcerati. «E’ una follia, se è
vero come è vero quello che ho visto siamo messi peggio del nazismo». Eppure
casi di pestaggio sulla sua scrivania non sono mai arrivati. Nemmeno uno. Invece
da mesi ci arrivano via posta segnalazioni dal carcere di Opera. «Fate luce
sulla cella 24», ci scrivono. Cos’è la cella 24? «Solo una cella come tante
altre dove mettono drogati e alcolizzati. Il direttore del carcere mi ha detto
che è vuota per evitare che si facciano male. Indagherò» ci fa sapere il garante
Giordano. In tutta Italia la cella 24 ha tanti nomi. Ogni detenuto, a seconda
della provenienza geografica, la apostrofa in modo diverso, ma il senso è
quello: cella 0, cella interrata, cella frigorifera, cella nera, cella
estiva/invernale… Ogni termine ha una spiegazione. Incontriamo un poliziotto di
Poggioreale per chiedergli del sovraffollamento ma il discorso vira
inevitabilmente sull’esistenza della “cella zero”, la cella dove verrebbero
portati i detenuti da punire. Non sa di essere ripreso. Spaventa la normalità
con la quale afferma cose di una certa gravità: «Poggioreale è stato scenario di
tante cose violente, dentro Poggioreale si è sparato, ci sono stati i morti,
sono girate pistole… fino a quando non c’è stata la svolta autoritaria delle
forze dell’ordine. Nella gestione di una popolazione del genere, permetti che
c’è anche il momento di tensione, che si superano dei limiti, da ambo le parti e
si interviene in questo modo? Penso che è naturale… E’ un po’ come lo schiaffo
del padre in famiglia, no?». La denuncia che il garante si aspetta sulla
scrivania dovrebbe partire da un detenuto pestato che si trova all’interno del
carcere e convive con altri detenuti che non vogliono problemi. La stessa
denuncia prima di essere spedita passerebbe tra le mani del sistema carcerario.
Dopodiché il detenuto dovrebbe continuare a convivere con i suoi presunti
carnefici, ogni giorno. Il tutto partendo dal presupposto che un detenuto, per
definizione, ha una credibilità pari allo zero e una possibilità di documentare
quello che dice praticamene nulla. «Anche se viene trasferito dopo la denuncia,
il detenuto sa che le prende lo stesso. Tra di noi arrivava la voce di chi aveva
fatto l’infame e si trovava ugualmente il modo di punirlo. Chi sa sta zitto,
anche i medici. Ad Asti dicevamo noi al medico cosa scrivere sulla cartella
clinica dopo un pestaggio. Ovviamente nei casi in cui lo portavamo da un medico.
Ci sono tanti bravi agenti che fanno solo il loro dovere ma seppure assistessero
ai pestaggi non potrebbero parlare. Sarebbero mandati in missione in chissà
quale carcere sperduto d’Italia, gli negherebbero le licenze, i permessi,
farebbero problemi con le ferie, verrebbero discriminati... Insomma il carcere è
un mondo con le sue regole» ricostruisce così la sua esperienza, Fruncillo. «Ci
aveva provato Carlo Saturno a denunciare le violenze subite nel carcere minorile
di Bari» ricorda Laura Baccaro autrice con Francesco Morelli del dossier “Morire
di carcere” pubblicato su Ristretti Orizzonti. E’ stato sfortunato. Era l’unico
testimone ed è morto impiccato una settimana prima dell’udienza in cui doveva
deporre. Il processo si è chiuso per mancanza di prove.
Katiuscia Favero.
Anche lei aveva denunciato: un medico e due infermieri dell’Opg di Castiglione
delle Stiviere, in provincia di Mantova. La avrebbero violentata ripetutamente.
«Dopo la denuncia viene trovata impiccata a un albero in un recinto accessibile
solo al personale medico-infermieristico. Sfortunata anche lei. Perché
spariscono anche le perizie ginecologiche effettuate dopo la denuncia». Caso
chiuso. Nel 2008 verranno assolti sia il medico che gli infermieri denunciati da
Katiuscia, per mancanza di prove. Cristian De Cupis diceva che alcuni agenti
della Polfer di Roma lo avevano picchiato durante l’arresto. Denuncia tutto al
Pronto soccorso. Muore prima ancora che gli convalidino l’arresto. Aveva 36
anni. Manuel Eliantonio viene fermato all’uscita di una discoteca. Aveva fumato,
usato droghe. Gliene trovano alcune in tasca e lui scappa. L’agente lo rincorre
e lo porta nella caserma della Polizia stradale di Carcare, provincia di Savona
poi in carcere. Ufficialmente muore per «arresto cardiaco» ma il giorno prima
aveva scritto alla mamma: «Mi ammazzano di botte, mi riempiono di psicofarmaci,
quelli che riesco li sputo, se non li prendo mi ricattano». Anche qui, nessuna
prova. Nessuna prova e nessuna testimonianza neppure per Bohli Kaies. E’ uno
spacciatore tunisino morto per «arresto cardiocircolatorio». La perizia disposta
dal procuratore di Sanremo precisa: «Avvenuta per asfissia violenta da
inibizione dell’espansione della gabbia toracica». In pratica: soffocato. Così
il procuratore Roberto Cavallone decide di indagare i tre carabinieri che
procedettero all’arresto. Dirà: «E’ una morte della quale lo Stato italiano deve
farsi carico. Chi ha visto si faccia avanti e i tre militari raccontino come è
andata». Non si saprà mai come è andata nemmeno per Rachid Chalbi. Trovato morto
in cella per “suicidio”. Qualche giorno prima era stato punito con il
trasferimento nel penitenziario di Macomer. Quando i parenti si recano
all’obitorio notano ecchimosi sul volto e sul petto. I parenti si chiedono:
«Nonostante la richiesta del consolato e dei legali l’autopsia non è stata
eseguita. Perché?».
Qui si parla di
morti che hanno commesso il reato di farsa. Ossia: colpevoli di essere
innocenti. Di chi è stato arrestato è poi in caserma picchiato fine a morirne,
se ne parla come eccezione. Ma nessuno parla di chi subisce violenza o muore
durante le fasi dell’arresto.
Foto e filmati,
raccolti e rilanciati sul web, compongono una moviola con pochi margini
d’interpretazione: colpi di manganello contro persone a terra, calci, quel
terribile gesto di salire con gli scarponi sull’addome di una ragazza
rannicchiata sull’asfalto con il suo ragazzo che le sta sopra per proteggerla.
E poi loro. “Quello
che è successo a Magherini ripropone tragedie che sembrano richiamare situazioni
simili e comportamenti analoghi a quelli già visti come nel caso di Aldrovandi e
di Ferulli. Si teme l’abuso di Stato. Una persona che grida aiuto e una persona
in divisa sopra di lui che effettua la cosiddetta azione di contenimento, un
termine pudico e ipocrita.” Questo ha detto duramente il senatore Manconi, che
parla di evidenze documentate (un video ripreso dall’alto) dei comportamenti
illegali da parte delle forze dell’ordine.
PRESADIRETTA ha
raccontato nell’ignavia generale le storie dei meno conosciuti: Michele
Ferrulli, morto a Milano durante un fermo di polizia mentre ballava per strada
con gli amici, Riccardo Rasman, rimasto ucciso durante un’irruzione della
polizia nel suo appartamento dopo essere stato legato e incaprettato col fil di
ferro, Stefano Brunetti, morto il giorno dopo essere stato arrestato col corpo
devastato dai lividi. A PRESADIRETTA hanno fatto ascoltare i racconti scioccanti
dei “sopravvissuti” come Paolo Scaroni, in coma per due mesi dopo le percosse
subite durante le cariche della polizia contro gli ultras del Brescia, Luigi
Morneghini, sfigurato dai calci in faccia di due agenti fuori servizio e delle
altre vittime che ad oggi aspettano ancora giustizia. Ma quante sono invece le
storie di chi non ha avuto il coraggio di denunciare e si è tenuto le botte, le
umiliazioni pur di non mettersi contro le forze dell’ordine e dello Stato? Noi
pensiamo di vivere in un Paese democratico dove i diritti della persona sono
inviolabili, è veramente così? “Morti di Stato” è un racconto di Riccardo Iacona
e Giulia Bosetti. Morti di Stato”, l’inchiesta giornalistica che non fa sconti.
Ottima la prima per
la nuova serie di “Presadiretta” di Riccardo Iacona, scrive Filippo Vendemmiati
su Articolo 21 del 7 gennaio 2014. “Morti di Stato” una puntata dura e senza
sconti a cui si vorrebbe ne seguisse subito un’altra, fatta anche di risposte,
smentite, precisazioni. Ma difficilmente sarà. Chi scrive conosce bene il lungo
travaglio che ha preceduto e ha partorito questa trasmissione. Come spesso fino
ad ora è accaduto, “i coinvolti” preferiranno tacere, eludere, rispondere non
con le parole, ma semmai con “gli avvertimenti giudiziari” dei loro avvocati.
Perché qui sta la prima e paradossale differenza: l’inchiesta giornalistica,
quella vera, quella che nonostante tutto dunque non è morta, ha un nome e un
cognome, un responsabile che si firma e si assume ogni responsabilità; il reato
penale commesso dallo Stato è coperto dall’anonimato, da una divisa e da un
casco, da omissioni complicità.. Per questo tanto tenace e insuperabile è il
muro che si oppone all’introduzione del codice identificativo sulle divise e del
reato di tortura, da 25 anni inadempienti nonostante il protocollo firmato
davanti alla Convenzione dell’Onu. Ma c’è un duplice reato di tortura: il primo
è quello delle vittime non di incidenti o di colluttazioni avvenute sulla
strada, bensì di violenze gratuite avvenute durante un fermo, un controllo, in
manette o nel chiuso delle caserme o delle carceri; il secondo è quello dei
familiari delle vittime, costrette ad un terribile e doloroso percorso per
ottenere scampoli di una giustizia che non ce la fa ad essere normale. Anche chi
condannato in via definitiva per reati compiuti con modalità gravissime, sancite
da motivazioni trancianti contenute in tre sentenze, come nel caso dell’omicidio
di Federico Aldrovandi, ha diritto ad indossare ancora la divisa, quasi che un
quarto silenzioso grado di giudizio garantisse chi di quella stessa divisa abusa
e con quella divisa infanga il giuramento fatto davanti alla Costituzione.. Non
solo e tanto di “mele marce” si è occupata questa puntata di Presadiretta, ma di
un sistema malato che queste mele alleva , copre e difende., secondo il
principio non nuovo che dalla polizia non si decade, ma semmai si viene
promossi. Grazie a Presadiretta e a Raitre di avercelo raccontato con tanta
efficacia, nel nome delle vittime note e ignote, per una volta non ignorate.
Le Forze
dell’Ordine usano delle tecniche apposite di bloccaggio delle persone esagitate
che li si vuol portare alla calma o all’esser arrestate. Di questo parla la
Relazione della 360 SYSTEM della Polizia di Stato.
Primo contatto. La
pressione come strumento per apprestare la difesa, l’armonia del movimento e la
elasticità, non irrigidirsi in situazioni di stress, aumento del carattere e
dell’aggressività quando sottoposti ad attacchi.
Ammanettare
l’avversario. Come eseguire una corretta e veloce procedura di bloccaggio a
terra e successivo ammanettamento in situazione di uno contro uno, tecniche per
portare a terra l’avversario in sicurezza e controllo dell’avversario a terra.
Probabilmente, come
tutte le cose italiane, il corso non è frequentato e quindi ogni agente adopera
una sua propria tecnica personale, spesso, letale e che per forza di cose passa
per buona ed efficace.
La versione
ufficiale pareva chiara. Riccardo Magherini, 40 anni, figlio dell’ex stella del
Palermo Guido Magherini, è morto due mesi fa a Firenze, qualche istante dopo
essere stato arrestato a causa di un arresto cardiaco, scrive nel suo articolo
Alessandro Bisconti su “Sicilia Informazioni” del 27 aprile 2014. Vagava
seminudo e in stato di shock in Borgo San Frediano a Firenze. Aveva appena
sfondato la porta di una pizzeria, portando via il cellulare a un pizzaiolo.
Chiedeva aiuto, diceva di essere inseguito da qualcuno che voleva ucciderlo. Poi
è entrato nell’auto di una ragazza mentre lei scappava. Quindi sono arrivati i
carabinieri che dopo averlo immobilizzato, hanno chiamato il 118, visto lo stato
di agitazione di Magherini. Dieci minuti dopo è arrivato il medico che ha
trovato l’uomo in arresto cardiaco. Un’ora più tardi Magherini è morto in
ospedale. Adesso il fratello di Riccardo Magherini accompagnato dal suo legale e
dal senatore del PD Luigi Manconi hanno presentato in Senato le immagini inedite
del corpo dell’uomo, sulla morte del quale chiedono che sia fatta chiarezza,
sospettando un abuso di polizia simile ad altri che hanno funestato le cronache
recenti. Ci sono però numerose testimonianze (e un video) che raccontano di un
uomo preso a calci a lungo, in particolare calci al fianco e all’addome, mentre
era sdraiato a terra e di soccorsi chiamati quando ormai non reagiva più. “Per
una quarantina di minuti Riccardo è stato steso a terra immobilizzato dai
carabinieri con un ginocchio sulla schiena. Era ammanettato ed è stato percosso
e intanto Riccardo urlava: ‘Sto morendo, sto morendo’” ha raccontato un
testimone alla trasmissione Chi l’ha visto, ma in tanti sostengono questa
ricostruzione. I video e le foto sono appena stati presentati in Senato. Il papà
Guido, 62 anni, ha disputato tre stagioni con la maglia del Palermo, nella
seconda metà degli anni Settanta, diventando presto un semi-idolo (18 gol). Lui,
Riccardo, ha provato a seguire le orme del padre. Inizio promettente, con la
vittoria del torneo di Viareggio in maglia viola, da protagonista. Era
considerato una promessa del calcio fiorentino. Poi si è perso per strada. Tante
delusioni, anche nella vita. Fino alla separazione, recente, con la moglie e
all’ultima, folle, serata.
Morì d’infarto
durante l’ arresto il cinquantunenne milanese Michele Ferulli, deceduto la sera
del 30 giugno 2011, dopo esser stato percosso da alcuni agenti di polizia che lo
stavano ammanettando. E’ quanto emerge dalla perizia redatta dal tecnico
incaricato dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano, Fabio Carlo
Marangoni, che ha potuto visionare ben 4 filmati di quei tragici momenti. Gli
uomini delle forze dell’ordine, intervenuti dopo una segnalazione per schiamazzi
notturni in via Varsavia, nel capoluogo lombardo, stavano procedendo al fermo
della vittima, e secondo la relazione peritale uno di loro “percuoteva
ripetutamente sulla spalla e sulla scapola destra” l’individuo in procinto di
essere arrestato. Ferulli venne colto, forse per la concitazione, da un arresto
cardiaco che gli sarebbe risultato fatale. Nel procedimento giudiziario in corso
risultano imputati i quattro poliziotti intervenuti sul posto durante quella
serata maledetta. Per loro l’accusa è di omicidio preterintenzionale. Stando a
quanto risulta dal lavoro depositato da Marangoni, per ben 2 volte Ferulli
invocò esplicitamente aiuto.
L’abominevole morte
di Luigi Marinelli è l’articolo di Alessandro Litta Modignani su “Notizie
Radicali” del 15 ottobre 2012. Sempre più spesso sentiamo nominare Cucchi,
Aldrovandi, Bianzino, Uva.... Nomi diventati tristemente familiari, evocatori di
arbitrio, brutalità, violenza, morte, denegata giustizia. Il muro dell’omertà e
del silenzio poco alla volta si rompe, le famiglie coraggiose non si rassegnano
al dolore della perdita, facebook e internet fanno il resto, obbligando la carta
stampata ad adeguarsi e a rispettare il dovere di cronaca. Così, uno dopo
l’altro, altri nomi e altre vicende emergono dall’oscurità e assurgono alla
dignità di “casi”. La lista si allunga, nuovi nomi si aggiungono, con le loro
storie di ordinaria follia. Alla presentazione del libro-denuncia di Luca
Pietrafesa “Chi ha ucciso Stefano Cucchi?” (Reality Book, 180 pagine) tenuta nei
giorni scorsi nella sede del Partito radicale a Roma, ha finalmente trovato la
forza interiore di parlare l’avv. Vittorio Marinelli, che con voce rotta
dall’emozione ha raccontato la morte abominevole, letteralmente “assurda” di suo
fratello Luigi. Luigi Marinelli era schizofrenico, con invalidità riconosciuta
al 100%. Si sottoponeva di buon grado alle terapie che lo tenevano sotto
controllo, dopo un passato burrascoso che lo aveva portato in un paio di
ospedali psichiatrico-giudiziari. Spendaccione, disturbato, invadente fino alle
soglie della molestia, divideva la sua vita fra gli amici, la sua band e qualche
spinello. Era completamente incapace di amministrarsi. Ricevuta in eredità dal
padre una certa somma, la madre e i fratelli gliela passavano a rate, per
evitare che la sperperasse tutta e subito. Rimasto senza soldi, la mattina del 5
settembre 2011 Luigi va dalla madre, esige il denaro rimanente; si altera, dà in
escandescenze, minaccia, le strappa la cornetta dalle mani – ma non ha mai messo
le mani addosso a sua madre, mai, neppure una sola volta nel corso della sua
infelice esistenza. Messa alle strette, la madre chiama Luisa (la fidanzata di
Luigi, anch’ella schizofrenica) chiama l’altro figlio Vittorio, chiama la
polizia e quest’ultima decisione si rivelerà fatale. Arrivano due volanti - poi
diventeranno addirittura tre o quattro - trovano Luigi che straparla come suo
solito semi-sdraiato sulla poltrona, esausto ma in fin dei conti calmo. Gli
agenti chiamano il 118 per richiedere un ricovero coatto. Arriva Vittorio, mette
pace in famiglia, madre e figlio si riconciliano, Luigi riceve in assegno il
denaro che gli appartiene e fa per andarsene. Ma la polizia ha bloccato la porta
e non lo lascia uscire, dapprima con le buone poi, di fronte alle crescenti
rimostranze, con l’uso della forza. Luigi è massiccio, obeso, tre poliziotti non
bastano, ne arriva un quarto enorme e forzuto. Costui blocca lo sventurato
contro il muro, lo piega a terra, lo schiaccia con un ginocchio sul dorso, gli
torce le braccia dietro la schiena e lo ammanetta, mentre Vittorio invita invano
gli agenti a calmarsi e a desistere. “Non fate così, lo ammazzate...!” dice lui,
“Si allontani!” sbraitano quelli. Vittorio vede il fratello diventare cianotico,
si accorge che non riesce a respirare, lo guarda mentre viene a mancare.
Allontanato a forza, telefona per chiedere aiuto al 118 ma dopo due o tre minuti
sono i poliziotti a richiamarlo. Luigi ormai non respira più ma ha le braccia
sempre bloccate dietro alla schiena: le chiavi delle manette.... non si trovano!
La porta di casa è bloccata, non si sa da dove passare, un agente riesce
finalmente a trovare la porta di servizio, scende alle auto ma le chiavi ancora
non saltano fuori. “Gli faccia la respirazione bocca a bocca!” gridano gli
agenti in preda nel panico (Luigi è bavoso e sdentato, a loro fa schifo,
poverini). Liberano infine le braccia ma ormai non c’è più niente da fare. Il
volto di Luigi è nero. E’ morto. Arriva l’ambulanza, gli infermieri si trovano
davanti a un cadavere ma, presi da parte e adeguatamente istruiti, vengono
convinti dagli agenti a portare via il corpo per tentare (o meglio: per fingere)
la rianimazione. Il resto di questa storia presenta il solito squallido
corollario di omertà, ipocrisia, menzogne, mistificazioni. Gli agenti si
inventano di avere ricevuto calci e pugni per giustificare l’ammanettamento, il
magistrato di turno avalla la tesi della “collutazione”. L’autopsia riscontra la
frattura di ben 12 costole e la presenza di sangue nell’addome, la Tac rivela di
distacco del bacino, evidenti conseguenze dello schiacciamento del corpo. Le
analisi tossicologiche indicano una presenza di sostanze stupefacenti del tutto
insignificante. A marzo il pm chiede l’archiviazione sostenendo che la causa
della morte è stata una crisi cardiaca. La famiglia presenta opposizione. Qual è
stata la causa della crisi cardiaca? Perché è stato immobilizzato? Era forse in
stato d’arresto? In questo caso, per quale reato? Le varie versioni degli
agenti, mutate a più riprese, sono in patente contraddizione. “Gli venivano
subito tolte le manette” è scritto spudoratamente nel verbale, mentre in verità
gli sono state tenute per almeno 10 minuti, forse un quarto d’ora. L’ultima
volante dei Carabinieri, sopraggiunta sul posto, descrive nel verbale “un uomo
riverso a terra ancora ammanettato”. Ma quando Vittorio Marinelli fa notare al
magistrato che questa è evidentemente la “causa prima efficiente” dell’arresto
cardiaco, si sente rispondere dal leguleio che “la sua è un’inferenza”. Resta il
fatto che prima di essere ammanettato Luigi Marinelli era vivo, dopo è morto.
Queste sono le cosiddette forze del cosiddetto ordine, questa è la magistratura
dell’Italia di oggi. Tornano alla mente le parole pronunciate da Marco Pannella
in una conferenza stampa di un paio di anni fa: “Presidente Napolitano, tu sei
il Capo di uno Stato di merda”.
Ferrara, via
dell’Ippodromo. All’alba del 25 settembre 2005 muore a seguito di un controllo
di polizia Federico Aldrovandi, 18 anni, scrive “Zic” il 15 febbario 2014. Dopo
due anni di coperture e reticenze, durante i quali le versioni ufficiali
sposavano la tesi della morte per overdose e dell’innocenza dei tutori
dell’ordine, il 20 ottobre 2007 è iniziato il processo a quattro agenti, a
novembre 2008 il “colpo di scena”, agli atti del processo una foto che
mostrerebbe inequivocabilmente come causa di morte sia un ematoma cardiaco
causato da una pressione sul torace, escludendo ogni altra ipotesi. Su questa
immagine è acceso il dibattito, nelle ultime udienze della fase istruttoria, tra
i periti chiamati a deporre dai legali dalla famiglia e quelli della difesa.
Infine, il 6 luglio 2009, la condanna degli agenti. Il giudice: «Ucciso senza
una ragione», imputati condannati a 3 anni e mezzo per eccesso colposo in
omicidio colposo. Nel nostro speciale i resoconti di tutte le udienze. Altri
agenti condannati nell’ambito del processo-bis, per i depistaggi dei primi
giorni di indagine; una poliziotto condannato anche nel processo-ter. Il 9
ottobre 2010 il Viminale risarcisce alla famiglia due milioni di euro, una cifra
che nel 2014 la Corte dei conti chiederà che venga pagata dai poliziotti. L’10
giugno 2011 si chiude il processo d’appello con la conferma delle condanne.
Durissima la requisitoria della pg: “In quattro contro un’inerme, una situazione
abnorme”. Gli agenti fanno ricorso in Cassazione che il 21 giugno 2012 rigetta,
le condanne sono definitive (ma c’è l’indulto). Pg: “Schegge impazzite in preda
al delirio”. A marzo 2013 provocazione del Coisp, un sindacatino di polizia che
strappa il proprio quarto d’ora di notorietà manifestando sotto le finestre
dell’ufficio di Patrizia Moretti. La città in piazza: “Lo scatto d’orgoglio”, A
inizio 2013 poliziotti in carcere per scontare i 6 mesi di pena residua, Lino
Aldrovandi a Zeroincondotta: “Non voglio nemmeno pensare che non li licenzino”,
ma un anno dopo stanno per tornare in servizio. Il 15 febbraio 2014 manifestano
in cinquemila: “Via la divisa”.
Bibbiano ed i bambini rapiti dallo Stato: primo grado condanna per Foti; secondo
grado assoluzione per Foti. Come può cambiare l’approccio psicologico dei media
e della società rispetto all’evoluzione dei fatti modificati dall’opinione di un
giudice diverso dal precedente. Chi ha ragione: il primo o il secondo? E che
dire della strumentalizzazione politica prima e dopo le sentenze? E la
disinformazione dei Media prezzolati e/o partigiani? C’è chi guarda il Dito, ma
la Luna indicata (i bambini rapiti dallo Stato) dovrebbe essere la pietra dello
scandalo.
Antonio Giangrande:
Editoriale. Parliamo un po’ della Giustizia italiana. La Giustizia dei
paradossi.
Le maldicenze
dicono che gli italiani sono un popolo di corrotti e corruttori e, tuttavia,
scelgono di essere giustizialisti e di stare dalla parte dei Magistrati.
L’Opinione del dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sui media la
Giustizia ha sempre un posto in primo piano nella loro personale scaletta, ma
non sempre sono sinceri.
Parliamo del
premier Matteo Renzi che, in occasione del 25 aprile 2016, celebra la
"liberazione" dai pm con una lunga intervista a Repubblica. Il nocciolo del suo
pensiero è tutto raccolto in poche frasi: "I politici che rubano fanno schifo. E
vanno trovati, giudicati e condannati. Dire che tutti sono colpevoli significa
dire che nessuno è colpevole. Esattamente l'opposto di ciò che serve all'Italia.
Voglio nomi e cognomi dei colpevoli. Una politica forte non ha paura di una
magistratura forte. È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto
rispetta il magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia, avrebbe
detto Califano. Adesso la priorità è che si velocizzino i tempi della
giustizia".
Poi, invece, si
legge che sono stati denunciati i pm del caso Renzi: "Omesse indagini sulle
spese pazze". Depositata l'accusa contro i pm che hanno archiviato il caso delle
spese di Renzi: "Non hanno voluto indagare", scrive Giuseppe De Lorenzo, Martedì
05/01/2016, su “Il Giornale”.
Parliamo del
Ministro della Giustizia Andrea Orlando che parla, tra le altre cose, di riforma
della Prescrizione. Andrea Orlando. Primo guardasigilli non laureato che nel
2010 gli è stata ritirata patente per guida in stato di ebbrezza, scrive
Federico Altea su “Elzeviro” il 27 febbraio 2014. Quaranticinquenne, non ha mai
toccato la giustizia in incarichi pubblici, ma è stato nominato responsabile in
materia in seno alla direzione del partito di cui fa parte, nominato da Bersani
di cui è fedele compagno nella corrente nei Giovani turchi. In un'intervista al
Foglio si disse favorevole al carcere duro. Non è di un politico "esperto" né di
un tecnico intrallazzato che il dicastero della giustizia ha bisogno, ma di un
giurista serio che conosca e riformi completamente il sistema penale e civile e
restringa il più possibile la facoltà dei giudici di interpretare a loro
piacimento il sistema giuridico. Una persona che abbia le competenze per
riformare il sistema penitenziario. Andrea Orlando, sempre parlando di
competenze in ambito di Giustizia o giuridiche in senso lato, non solo non ha la
laurea in giurisprudenza, ma non ha ottenuto un diploma di laurea di alcun
genere. Nella storia della Repubblica italiana è la prima volta che il Ministero
della Giustizia viene affidato ad un non laureato. Tutti i trentatré
predecessori di Orlando, infatti, erano laureati e ben ventisette guardasigilli
erano laureati giurisprudenza. Da questo c’è da desumere che possa pendere dalle
labbra degli esperti e tecnici interessati.
Parliamo delle
toghe. Diceva Piero Calamandrei: “L’avvocato farà bene, se gli sta a cuore la
sua causa, a non darsi l’aria di insegnare ai giudici quel diritto, di cui la
buona creanza impone di considerarli maestri”. “I magistrati - diceva ancora
Calamandrei - sono come i maiali. Se ne tocchi, uno gridano tutti. Non puoi
metterti contro la magistratura, è sempre stato così, è una corporazione". Il
giudice rappresenta il funzionario dello Stato, vincitore di concorso
all’italiana, cui è attribuito impropriamente il Potere dello iuris dicere.
Ossia di porre la parola fine ad una controversia, di attribuire ad uno dei
contendenti il bene della vita conteso nel processo giurisdizionale, di iniziare
e/o far finire i giorni della vita di un cittadino in una struttura
penitenziaria. Il giudice è per sé stesso “un’Autorità”: ossia un Pubblico
Ufficiale. L’avvocato, invece, non lo è. La considerazione è così banale, tanto
è ovvia. L’avvocato è solo un esercente un servizio di pubblica necessità,
divenuto tale in virtù di un criticato esame di abilitazione.
Il processo non può
essere mai giusto, come definito in Costituzione, se nulla si può fare contro un
magistrato ingiusto giudicato e giustificato dai colleghi, ovvero se in udienza
penale l’avvocato si scontra contro le tesi dell’inquirente/requirente collega
del giudicante.
La magistratura in
Italia: ordine o potere? Secondo la classica tripartizione operata dal
Montesquieu, i poteri dello Stato si suddividono in Potere legislativo spettante
al Parlamento, Potere esecutivo spettante al Governo e Potere giudiziario
spettante alla Magistratura. Questo al tempo della rivoluzione francese. Poi il
diritto, per fortuna, si è evoluto. In Italia la Magistratura non può in nessun
caso esercitare un potere dello Stato (Potere, nel vero senso della parola),
infatti per poter parlare tecnicamente di Potere, e quindi di imperium, è
necessario che esso derivi dal popolo o, come accadeva nei secoli passati, da
Dio. Nelle moderne democrazie occidentali il concetto di potere è strettamente
legato a quello di imperium proveniente dalla volontà popolare, quindi è del
tutto pacifico affermare che gli unici organi – seppur con tutte le loro
derivazioni – ad essere legittimati ad esercitare un Potere sono soltanto il
Parlamento (potere legislativo) ed il Governo (potere esecutivo). In effetti
l’art. 1 della Costituzione, nei principi fondamentali, recita: “La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione”. Per rendere chiaro il concetto è sufficiente comprendere che nel
momento in cui il Parlamento ed il Governo esercitano i propri poteri, lo fanno
“in nome” e “per conto” del popolo da cui ne deriva l’investitura, quindi la
Magistratura non può essere in alcun modo considerata un potere – in senso
stretto – dello Stato; essa è solo un Ordine legittimato ad esercitare – “in
nome” del popolo e non anche per conto di questo – la funzione giurisdizionale
nei soli spazi delineati dalla Costituzione e, soprattutto, nel fedele rispetto
della legge approvata dai soli organi deputati ad adottarla, quindi dal
Parlamento e dal Governo, seppur quest’ultimo nei soli casi tassativamente
previsti dalla Carta costituzionale. A dimostrazione di quanto premesso, la
nostra Costituzione – della quale i giudici si dichiarano spesso i soli
difensori – parla, non a caso, di Ordine Giudiziario e non di Potere. Difatti il
Titolo Quarto della Carta costituzionale riporta scritto a chiare lettere, nella
Sezione Prima, “Ordinamento giurisdizionale”, e non Potere; e a fugare ogni
dubbio ci pensa l’art. 104 Cost.: “La magistratura costituisce un ordine
autonomo e indipendente da ogni altro potere…”. Di questo, però, la sinistra
politica non se ne capacita, continuando ad usare il termine Potere riferito
alla magistratura, smentendo i loro stessi padri costituenti. Se fino alla fine
degli anni Ottanta, quando vi erano veri politici a rappresentare il popolo,
questo tipo di discussione non era neppure immaginabile, a partire dal 1992 –
vale a dire da quando è iniziato un periodo di cronica debolezza della politica,
ovvero quando la politica ha usato l’arma giudiziaria per arrivare al potere –
la Magistratura ha cercato (come quasi sempre è accaduto nella Storia) di
sostituirsi alla politica arrivando addirittura ad esercitare, talune volte
anche esplicitamente, alcune prerogative tipiche del Parlamento e del Governo:
un vero colpo di Stato. Non possiamo dimenticarci quando un gruppo di magistrati
– durante il cosiddetto periodo di “mani pulite” – si presentò davanti alle
telecamere per contrastare l’entrata in vigore di un legittimo – anche se
discutibile – Decreto che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti (il
cosiddetto Decreto Conso), violentando in tal modo sia il principio di
autodeterminazione delle Camere che l’esercizio della sovranità popolare. E che
dire della crociata classista, giacobina e corporativa racchiusa nelle parole
“resistere, resistere, resistere…”! E poi i magistrati con la Costituzione tra
le braccia al fine di ergersi ad unici difensori della stessa contro presunti
attacchi da parte della politica. E che dire, poi, di alcune sentenze della
Corte di Cassazione? Nascondendosi dietro l’importantissima funzione
nomofilattica, la Suprema Corte spesso stravolge sia l’intenzione del
Legislatore che il senso e la portata delle leggi stesse, se non addirittura
inventarsi nuove norme, come per esempio "il concorso esterno nell'associazione
mafiosa": un reato che non esiste tra le leggi. Per non parlare, poi, della
mancata applicazione della legge, come quella della rimessione del processo in
altri fori per legittimo sospetto di parzialità. Spesso la Magistratura si
difende affermando di non svolgere nessuna attività politica, ma si smentisce
perché all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura ci sono delle vere
e proprie correnti. Ma le correnti non sono tipiche dei partiti politici? E poi,
per quale motivo gli organi rappresentativi dell’associazione nazionale
magistrati vanno di frequente in televisione per combattere la crociata contro
un qualsiasi progetto di riforma della giustizia che investa anche l’ordine
giudiziario? E perché, questi stessi, i più animosi tra le toghe, inducono i
politici a loro vicini ad adottare leggi giustizialiste ad uso e consumo della
corporazione? Ma i magistrati non sono tenuti soltanto ad applicare le leggi
dello Stato? Per quale ragione alcuni magistrati, pur mantenendosi saldamente
attaccati alla poltrona di pubblico ministero o di organo giudicante, scelgono
di fare politica, arrivando addirittura a candidarsi alle elezioni senza avere
neppure la delicatezza di dimettersi dalle funzioni giudiziarie?
Parliamo infine
delle vittime della malagiustizia. Si parla poco, ma comunque se ne parla,
inascoltati, del problema degli errori giudiziari e delle ingiuste detenzioni,
così come della lungaggine dei processi. Così come si discute poco, ma si
discute, inascoltati, del problema dei risarcimenti del danno e degli
indennizzi, pian piano negati. Delle vittime della malagiustizia si parla di un
ammontare di 5 milioni dal 1945. Ogni anno in Italia 7 mila persone arrestate e
poi giudicate innocenti. Almeno a guardare i numeri del ministero della
Giustizia. Dal 1992 il Tesoro ha pagato 630 milioni di euro per indennizzare
quasi 25 mila vittime di ingiusta detenzione, 36 milioni li ha versati nel 2015
e altri 11 nei primi tre mesi del 2016. Queste vittime della malagiustizia li
vedi, come forsennati, a raccontare perpetuamente sui social network,
inascoltati, le loro misere storie. Sono tanti, come detto 5 milioni negli
ultimi 60 anni. Poi ci sono i parenti e gli affini da aggiungere a loro. Un
numero smisurato: da plebiscito. Solo che poi si constata che in effetti nulla
cambia, anzi si evolve, con ipocrisia e demagogia, al peggio, spinti dai media
giustizialisti che incutono timore con delle parole d’ordine: “Insicurezza ed
impunità. Tutti dentro e si butta la chiave”. Allora vien da chiedersi con un
intercalare che rende l’idea: “Ma queste vittime dell’ingiustizia a chi cazzo
votano, se vogliono avere ristoro? Sarebbe il colmo se votassero, da masochisti,
proprio i politici giustizialisti che nelle piazze gridano: onestà, onestà,
onestà…consapevoli di essere italiani, o che votassero i politici giustizialisti
che, proni e timorosi, si offrono ai magistrati. Quei magistrati che
ingiustamente hanno condannato o hanno arrestato le vittime innocenti, spinti
dalla folla inneggiante e plaudente, disinformata dai media amici delle toghe!
Sarebbe altresì il colmo se le vittime innocenti votassero quei politici che
stando al potere non hanno saputo nemmeno salvare se stessi dall’ingiusta gogna.
Se così fosse, allora, cioè, si fosse dato un voto sbagliato a destra, così come
a sinistra, con questo editoriale di che stiamo parlando?
Antonio Giangrande: DIRITTO E GIUSTIZIA. I TANTI GRADI DI GIUDIZIO E
L’ISTITUTO DELL’INSABBIAMENTO.
In
Italia, spesso, ottenere giustizia è una chimera. In campo penale, per esempio,
vige un istituto non previsto da alcuna norma, ma, di fatto, è una vera
consuetudine. In contrapposizione al Giudizio Perenne c’è l’Insabbiamento.
Rispetto al concorso esterno all’associazione mafiosa, un reato penale di stampo
togato e non parlamentare, da affibbiare alla bisogna, si contrappone una norma
non scritta in procedura penale: l’insabbiamento dei reati sconvenienti.
A
chi è privo di alcuna conoscenza di diritto, oltre che fattuale, spieghiamo bene
come si forma l’insabbiamento e quanti gradi di giudizio ci sono in un sistema
che a livello scolastico lo si divide con i fantomatici tre gradi di giudizio.
Partiamo col dire che l’insabbiamento è applicato su un fatto storico
corrispondente ad un accadimento che il codice penale considera reato.
Per
il sistema non è importante la punizione del reato. E’ essenziale salvaguardare,
non tanto la vittima, ma lo stesso soggetto amico, autore del reato.
A
fatto avvenuto la vittima incorre in svariate circostanze che qui si elencano e
che danno modo a più individui di intervenire sull’esito finale della decisione
iniziale.
La
vittima, che ha un interesse proprio leso, ha una crisi di coscienza,
consapevole che la sua querela-denuncia può recare nocumento al responsabile, o
a se stessa: per ritorsione o per l’inefficienza del sistema, con le sue
lungaggini ed anomalie. Ciò le impedisce di proseguire. Se si tratta di reato
perseguibile d’ufficio, quindi attinente l’interesse pubblico, quasi sempre il
pubblico ufficiale omette di presentare denuncia o referto, commettendo egli
stesso un reato.
Quando la denuncia o la querela la si vuol presentare, scatta il disincentivo
della polizia giudiziaria.
Ti
mandano da un avvocato, che si deve pagare, o ti chiedono di ritornare in un
secondo tempo. Se poi chiedi l’intervento urgente delle forze dell’ordine con il
numero verde, ti diranno che non è loro competenza, ovvero che non ci sono
macchine, ovvero di attendere in linea, ovvero di aspettare che qualcuno
arriverà………
Quando in caserma si redige l’atto, con motu proprio o tramite avvocato, scatta
il consiglio del redigente di cercare di trovare un accordo e poi eventualmente
tornare per la conferma.
Quando l’atto introduttivo al procedimento penale viene sottoscritto, spesso
l’atto stanzia in caserma per giorni o mesi, se addirittura non viene smarrito o
dimenticato…
Quando e se l’atto viene inviato alla procura presso il Tribunale, è un
fascicolo come tanti altri depositato su un tavolo in attesa di essere valutato.
Se e quando….. Se il contenuto è prolisso, non viene letto. Esso, molte volte,
contiene il nome di un magistrato del foro. Non di rado il nome dello stesso
Pubblico Ministero competente sul fascicolo. Il fascicolo è accompagnato,
spesso, da una informativa sul denunciante, noto agli uffici per aver presentato
una o più denunce. In questo caso, anche se fondate le denunce, le sole
presentazioni dipingono l’autore come mitomane o pazzo.
Dopo mesi rimasto a macerare insieme a centinaia di suoi simili, del fascicolo
si chiede l’archiviazione al Giudice per le Indagini Preliminari. Questo senza
aver svolto indagini. Se invece vi è il faro mediatico, allora scatta la delega
delle indagini e la comunicazione di garanzia alle varie vittime sacrificali.
Per giustificare la loro esistenza, gli operatori, di qualcuno, comunque, ne
chiedono il rinvio a giudizio, quantunque senza prove a carico.
Tutti i fascicoli presenti sul tavolo del Giudice per l’Udienza Preliminare
contengono le richieste del Pubblico Ministero: archiviazione o rinvio a
giudizio. Sono tutte accolte, a prescindere. Quelle di archiviazione, poi, sono
tutte accolte, senza conseguire calunnia per il denunciante, anche quelle contro
i magistrati del foro. Se poi quelle contro i magistrati vengono inviate ai fori
competenti a decidere, hanno anche loro la stessa sorte: archiviati!!!
Il
primo grado si apre con il tentativo di conciliazione con oneri per l’imputato e
l’ammissione di responsabilità, anche quando la denuncia è infondata, altrimenti
la condanna è già scritta da parte del giudice, collega del PM, salvo che non ci
sia un intervento divino, (o fortemente terrestre sul giudice), o salvo che non
interviene la prescrizione per sanare l’insanabile. La difesa è inadeguata o
priva di potere. Ci si tenta con la ricusazione o con la rimessione per
legittimo sospetto che il giudice sia inadeguato, ma in questo caso la norma è
stata sempre disapplicata dalle toghe della Cassazione.
Il
secondo grado si apre con la condanna già scritta, salvo che non ci sia un
intervento divino, (o fortemente terrestre sul giudice), o salvo che non
interviene la prescrizione per sanare l’insanabile. Le prove essenziali negate
in primo grado, sono rinegate.
In
terzo grado vi è la Corte di Cassazione, competente solo sull’applicazione della
legge. Spesso le sue sezioni emettono giudizi antitetici. A mettere ordine ci
sono le Sezioni Unite. Non di rado le Sezioni Unite emettono giudizi antitetici
tra loro. Per dire, la certezza del diritto….
Durante il processo se hai notato anomalie e se hai avuto il coraggio di
denunciare gli abusi dei magistrati, ti sei scontrato con una dura realtà. I
loro colleghi inquirenti hanno archiviato. Il CSM invece ti ha risposto con una
frase standard: “Il CSM ha deliberato l’archiviazione non essendovi
provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare, trattandosi di censure ad
attività giurisdizionale”.
Quando il processo si crede che sia chiuso, allora scatta l’istanza al
Presidente della Repubblica per la Grazia, ovvero l’istanza di revisione perchè
vi è stato un errore giudiziario. Petizioni quasi sempre negate.
Alla fine di tutto ciò, nulla è definitivo. Ci si rivolge alla Corte Europea dei
diritti dell’Uomo, che spesso rigetta. Alcune volte condanna l’Italia per
denegata giustizia, ma solo se sei una persona con una difesa capace. Sai, nella
Corte ci sono italiani.
Per
i miscredenti vi è un dato, rilevato dal foro di Milano tratto da un articolo di
Stefania Prandi del “Il Fatto Quotidiano”. “Per le donne che subiscono violenza
spesso non c’è giustizia e la responsabilità è anche della magistratura”. A
lanciare l’accusa sono avvocate e operatrici della Casa di accoglienza delle
donne maltrattate di Milano che puntano il dito contro la Procura della
Repubblica di Milano, “colpevole” di non prendere sul serio le denunce delle
donne maltrattate. Secondo i dati su 1.545 denunce per maltrattamento in
famiglia (articolo 572 del Codice penale) presentate da donne nel 2012 a Milano,
dal Pubblico ministero sono arrivate 1.032 richieste di archiviazione; di queste
842 sono state accolte dal Giudice per le indagini preliminari. Il che significa
che più della metà delle denunce sono cadute nel vuoto. Una tendenza che si
conferma costante nel tempo: nel 2011 su 1.470 denunce per maltrattamento ci
sono state 1.070 richieste di archiviazione e 958 archiviazioni. Nel 2010 su
1.407 denunce, 542 sono state archiviate.
«La
tendenza è di archiviare, spesso de plano, cioè senza svolgere alcun atto di
indagine, considerando le denunce manifestazioni di conflittualità familiare –
spiega Francesca Garisto, avvocata Cadmi – Una definizione, questa, usata troppe
volte in modo acritico, che occulta il fenomeno della violenza familiare e porta
alla sottovalutazione della credibilità di chi denuncia i maltrattamenti subiti.
Un atteggiamento grave da parte di una procura e di un tribunale importanti come
quelli di Milano». Entrando nel merito della “leggerezza” con cui vengono
affrontati i casi di violenza, Garisto ricorda un episodio accaduto di recente:
«Dopo una denuncia di violenza anche fisica subita da una donna da parte del
marito, il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione de plano
qualificandola come espressione di conflittualità familiare e giustificando la
violenza fisica come possibile legittima difesa dell’uomo durante un litigio».
Scarsa anche la presa in considerazione delle denunce per il reato di stalking
(articolo 612 bis del codice penale). Su 945 denunce fatte nel 2012, per 512 è
stata richiesta l’archiviazione e 536 sono state archiviate. Per il reato di
stalking quel che impressiona è che le richieste di archiviazione e le
archiviazioni sono aumentate, in proporzione, negli anni. In passato, infatti,
la situazione era migliore: 360 richieste di archiviazione e 324 archiviazioni
su 867 denunce nel 2011, 235 richieste di archiviazione e 202 archiviazioni su
783 denunce nel 2010. Come stupirsi, dunque, che ci sia poca fiducia nella
giustizia da parte delle donne? Manuela Ulivi, presidente Cadmi ricorda che
soltanto il 30 per cento delle donne che subiscono violenza denuncia. Una
percentuale bassa dovuta anche al fatto che molte, in attesa di separazione, non
riescono ad andarsene di casa ma sono costrette a rimanere a vivere con il
compagno o il marito che le maltrattata. Una scelta forzata dettata spesso dalla
presenza dei figli: su 220 situazioni di violenza seguite dal Cadmi nel 2012, il
72 per cento (159) ha registrato la presenza di minori, per un totale di 259
bambini.
Non
ci dobbiamo stupire poi se la gente è ammazzata per strada od in casa.
Chiediamoci quale fine ha fatto la denuncia presentata dalla vittima.
Chiediamoci se chi ha insabbiato non debba essere considerato concorrente nel
reato.
Quando la giustizia è male amministrata, la gente non denuncia e quindi meno
sono i processi, finanche ingiusti. Nonostante ciò vi è la prescrizione che per
i più, spesso innocenti, è una manna dal cielo. In queste circostanze vien da
dire: cosa hanno da fare i magistrati tanto da non aver tempo per i processi e
comunque perché paghiamo le tasse, se non per mantenerli?
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande:
Di Pietro, Grillo, il Movimento 5 Stelle e gli “utili idioti giustizialisti”.
L’Opinione del dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Le incalzanti
notizie di cronaca giudiziaria provocano reazioni variegate tra i cittadini
della nostra penisola. Sgomento, sorpresa, sdegno, compassione o incredulità si
alternano nei discorsi tra i cittadini. Ma emerge, troppo spesso, una ipocrisia
di fondo che è la stessa che attraversa, troppo spesso, la nostra società. Ma…
chi è onesto al cento per cento? Credo nessuno, nemmeno il Papa. Chi non ha
fatto fare qualche lavoretto in nero? Chi ha fatturato ogni lavoro eseguito? Chi
ha sempre pagato l’iva? Chi ha dichiarato l’esatta metratura dei propri locali,
per evitare di pagare più tasse sulla spazzatura? Chi lavora per raccomandazione
o ha vinto un concorso truccato? Chi è un falso invalido o un baby pensionato?
Chi per una volta non ha marinato l’impiego pubblico? Ecc.. Chi è senza peccato
scagli la prima pietra! Naturalmente, quando non paghiamo qualche tassa, ci
giustifichiamo in nome della nostra “onestà” presunta, oppure del fatto che fan
tutti così: “Io non sono un coglione”! E così via…
Ecco allora che mi
sgranano gli occhi all'ultimo saluto a Casaleggio il 14 aprile 2016. La folla
grida “Onestà, onestà, onestà”, frase di sinistroide e giustizialistoide natali.
"Onestà, onestà". Questo lo slogano urlato a più riprese dai militanti del M5S
alla fine dei funerali del cofondatore Roberto Casaleggio a Milano. Applausi
scroscianti non solo al feretro, ma anche ai parlamentari presenti a Santa Maria
delle Grazie, tra cui Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. Abbracci, lacrime
e commozione fra i parlamentari all'uscita.
“La follia di fare
dell'onestà un manifesto politico”, scrive Alessandro Sallusti, Venerdì
15/04/2016, su "Il Giornale". «Gli unici onesti del Paese sarebbero loro, come
vent'anni fa si spacciavano per tali i magistrati del pool di Mani pulite, come
tre anni fa sosteneva di esserlo il candidato del Pd Marino contrapposto a Roma
ai presunti ladri di destra. Come tanti altri. Io non faccio esami di onestà a
nessuno, me ne guardo bene, ma per lavoro seguo la cronaca e ho preso atto di un
principio ineluttabile: chi di onestà colpisce, prima o poi i conti deve farli
con la sua, di onestà. Lo sa bene Di Pietro, naufragato sui pasticci immobiliari
del suo partito; ne ha pagato le conseguenze Marino con i suoi scontrini
taroccati; lo stesso Grillo, a distanza di anni, non ha ancora smentito le
notizie sui tanti soldi in nero che incassava quando faceva il comico di
professione».
In pochi,
pochissimi lo sanno. Ma prima di diventare il guru del Movimento 5 Stelle di
Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio aveva avuto rapporti con la politica
attraverso le sue società di comunicazione. In particolare con un politico anni
fa molto in voga e oggi completamente in disgrazia: Antonio Di Pietro.
«E' così, quando
vedono una figura che potrebbe offuscare o affiancare la popolarità di Grillo, i
vertici del Movimento si affrettano a epurarla». La sua storia, dall'appoggio
incondizionato ricevuto all'allontanamento improvviso, è il simbolo del rapporto
tra l'Italia dei Valori e Beppe Grillo, scrive Francesco Oggiano il 22 giugno
2012 su “Vanity Faire”. Il partito dell'ex pm è da sempre quello più vicino per
contenuti al Movimento. Il sodalizio è iniziato con la nascita del blog ed è
continuato almeno fino agli scorsi mesi. Grillo ha sempre sostenuto l'ex pm,
definito una «persona perbene» e soprannominato «Kryptonite», per essere rimasto
«l'unico a fare veramente opposizione al Governo Berlusconi». I «vertici»
sarebbero quelli della Casaleggio Associati, società fondata dal guru
Gianroberto che cura la comunicazione del Movimento 5 Stelle. La «figura» in
ascesa era lei, Sonia Alfano. 40 anni, l'esplosiva eurodeputata eletta con
l'Idv, poi diventata Presidente della Commissione Antimafia europea, arrivando
al culmine di una carriera accidentata (prima la rottura con Grillo, poi con
l'Idv) iniziata nel 2008. Figlia del giornalista Beppe assassinato dalla mafia,
l'eurodeputata è stata la prima ad aver creato una lista civica regionale
certificata da Grillo, nel 2008. Già attiva da tempo nel Meetup di Palermo, si
presentò in Sicilia ignorata dai media tradizionali e aiutata dal comico prese
il 3% e 70 mila preferenze. «Alla vigilia delle elezioni europee del 2009,
Grillo e Di Pietro vennero da me e mi chiesero di candidarmi a Strasburgo. Io
non sapevo neanche di che si occupava l'Europarlamento», racconta oggi. Perché
Casaleggio avrebbe dovuto allontanare due europarlamentari popolari come Sonia
Alfano e Luigi De Magistris? Chiede Francesco Oggiano a Sonia Alfano: «La mia
sensazione è che quando i vertici del Movimento annusano una figura
"carismatica" che può offuscare, o quantomeno affiancare, la leadership
mediatica di Grillo, diano inizio all'epurazione».
Già dal gennaio
2003 il Presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie, dr Antonio
Giangrande, in una semideserta ed indifferente assemblea dell'IDV a Bari, in
presenza di Antonio Di Pietro e di Carlo Madaro (il giudice del caso Di Bella)
criticò il modo di fare nell'IDV. L'allora vice presidente provinciale di
Taranto contestò alcuni punti, che furono causa del suo abbandono: Diritto di
parola in pubblico e strategie politiche esclusiva di Di Pietro; dirigenti
"Yes-man" scelti dal padre-padrone senza cultura politica, o transfughi da altri
partiti, o addirittura con troppa scaltrezza politica, spesso allocati in
territori non di competenza (in Puglia nominato commissario il lucano Felice
Bellisario); IDV presentato come partito della legalità-moralità in realtà era
ed è il partito dei magistrati, anche di quelli che delinquono impunemente;
finanziamenti pubblici mai arrivati alla base, così come ne hanno tanto parlato
gli scandali mediatici e giudiziari.
Ma non è questo che
fa pensare cento volte prima di entrare in un movimento insipido come il M5S.
Specialmente a chi, come me, per le sue campagne di legalità contro i poteri
forti è oggetto perpetuo degli strali dei magistrati. Incensurato, ma per
quanto?
FU IL TENENTE
GIUSEPPE DI BELLO IL PRIMO A SCOPRIRE L’INQUINAMENTO IN BASILICATA, PER
PUNIZIONE LO DENUNCIARONO PER “PROCURATO ALLARME!” Tenente della polizia
provinciale di Potenza denuncia l’inquinamento e perde la divisa. A Potenza
viene sospeso e condannato. Il caso affrontato con un servizio di Dino Giarrusso
su "Le Iene" del 17 aprile 2016. “Io rovinato per aver fatto il mio dovere. E
per aver raccontato i veleni del petrolio in Basilicata prima di tutti”. In un
colloquio lo sfogo di Giuseppe Di Bello, tenente di polizia provinciale ora
spedito a fare il custode al museo di Potenza per le sue denunce
sull'inquinamento all'invaso del Pertusillo, scrive Antonello Caporale il 4
aprile 2016 su "Il Fatto Quotidiano". «La risposta delle istituzioni è la
sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione,
che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. Decido di candidarmi alle
regionali, scelgo il Movimento Cinquestelle. Sono il più votato nella
consultazione della base, ma Grillo mi depenna perché sono stato condannato, ho
infangato la divisa, sporcato l’immagine della Basilicata. La Cassazione annulla
la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo). Il
procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura lucana
ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina. Nessuno
che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha taciuto: e
in quest’anni dove eravate? Cosa facevate?».
A questo punto
ritengo che i movimenti a monoconduttura o padronali, che basano il loro credo
sulla propria presunta onestà per non inimicarsi i magistrati, ovvero per non
essere offuscati dall’ombra degli eroi che combattono i poteri forti e ne
subiscono le ritorsioni giudiziarie, vogliano nelle loro fila solo “utili
idioti”. Cioè persone che non hanno una storia da raccontare, o un’esperienza
vissuta; non hanno un bacino elettorale che ne conosca le capacità. Insomma i
padroni del movimento vogliono dei “Yes-Man” proni al volere dei loro signori.
“Utili idioti” scelti in “camera caritatis” o a forza di poche decine di click
su un blog imprenditoriale. “Utili idioti” sui quali fare i conti in tasca: sia
mai che guadagnino più del loro guru. A pensarci bene, però, gli altri partiti
non è che siano molto diversi dal Movimento 5 Stelle o l’IDV. La differenza è
che gli altri non gridano all’onestà, ben sapendo di essere italiani.
Antonio Giangrande:
Io che mi occupo della prassi, ben conoscendo anche la legge e la sua
personalistica applicazione corporativa (dei magistrati) e lobbistica (degli
avvocati), posso dire che ci sono verità indicibili.
Mai si dirà in
convegni giudiziari o forensi che da un lato ci sono le misure di prevenzione
(inefficienti ed inique perché mai al passo con i tempi ragionevoli del processo
e spesso incongruenti con le risultanze processuali di assoluzione, vedi i
Cavallotti) e dall’altra le confische (conseguenti a processi dubbi, vedi
Francesco Cavallari, mafioso per associazione, ma senza sodali) ed i
procedimenti fallimentari con le aste truccate.
L’arbitrio dei
magistrati sia in fase di misure cautelari e di prevenzione, sia in fase di
confisca o di gestione e vendita dei beni confiscati o sequestrati (anche in
sede civilistica con i fallimenti), non sono altro che strumenti di
espropriazione illegale di aziende, spesso sane, per mantenere in modo
vampiresco un sistema di potere, di cui i magistrati sono solo strumento, ma non
beneficiari come lo sono il monopolio associativo di una certa antimafia o il
sistema di gestione che è prevalentemente forense. Questo sistema è coperto
dalla disinformazione dei media genuflessi a chi, dando vita alle liturgie
antimafia, usufruisce dei vantaggi politici per generare ulteriore potere di
restaurazione.
Se a qualcuno
interessa ho scritto un libro, “la mafia dell’antimafia”, sui benefici che si
producono per fare antimafia. In più ho scritto “Usuropoli e Fallimentopoli.
Usura e fallimenti truccati”, che parla di usurpazione di beni privati a
vantaggio di un sistema di potere insito nei palazzi di giustizia.
Insomma: si toglie
ai poveri per dare ai ricchi. E se qualcuno parla (come Pino Maniaci che “Muto
deve stare”), scatta la ritorsione.
Si
badi bene: nessuno mi chiamerà per parlare di questo fenomeno, che è nazionale,
in convegni organizzati nei fori giudiziari, né nessuna vittima pavida di questo
fenomeno si prenderà la briga di divulgare queste verità, attraverso i miei
saggi. Ecco perché si parlerà sempre di aria fritta e non ci sarà mai una
rivoluzione che miri a ribaltare la prassi, più che a cambiare le norme.
"Purgare l'infamia". La giustizia penale di Alessandro Manzoni, la macchina del
tempo che dopo secoli fotografa la società vendicativa.
Mario Taddeucci Sassolini su Il Riformista l'1 Agosto 2023
Garantismo è un sostantivo che illustra un concetto auto portante: la garanzia
compendia al suo interno la necessità di rispettarla. Rovesciando l’argomento:
dove non c’è rispetto della norma posta a tutela dell’individuo non può
ragionarsi di garanzia. La quale cosa esclude che la
dicotomia garanzia/giustizia abbia un qualche senso logico, oltre che giuridico:
un processo in esito al quale un giudice giunga ad una decisone nel rispetto
delle norme poste a tutela dell’imputato è, al tempo stesso, espressione di
giustizia e sigillo di garanzia.
Viceversa i termini diventano collidenti nel momento in cui vengono utilizzati
come corpi contundenti in un ragionamento pseudo-politico di scarsissima
qualità; sicché, secondo la logica di codesti modesti epigoni di Catone,
pretendere il rispetto delle regole del giudicare significa sfuggire al giudizio
(qualche mente creativa ha partorito filastrocche pre- adolescenziali del tipo
“difendersi dal processo e non nel processo”), salvo rammentarsi della
centralità del concetto di garanzia quando si rende necessario adattarla alla
propria causa.
Contro questa volgarizzazione, sempre più incombente, giova ritornare ai
fondamentali e, al proposito, soccorre un piccolo, intenso, erudito pamphlet
scritto da Gaetano Insolera: “La giustizia penale di Alessandro Manzoni”, Mucchi
Editore. Centrale nella narrazione di Insolera è la Storia della colonna infame,
cronaca manzoniana del processo milanese contro due presunti untori la quale,
nella edizione Quarantana, fu posta in calce al romanzo dei Promessi Sposi.
Insolera valorizza questa lettura simultanea, dalla quale cogliere l’idea di
Manzoni della giustizia “che nelle mani degli uomini può assumere tutte le
imperfezioni: passioni, ferocia, ignavia, falsità. Storture con la tentazione –
questa si demoniaca – di usarle per ottenere, con il processo criminale, una
verità che corrisponda a quella che si vuole ottenere perché tale deve essere.”.
L’attualità del pensiero manzoniano è dimostrata dalla fungibilità di taluni
“istituti” che trapassano il tempo senza sostanzialmente mutare.
Così la figura del chiamante in correità, reso tale dalla tortura, che nel
racconto manzoniano vede Piazza accusare Mora di concorso in unzione e che trova
perfetta rispondenza nell’utilizzo della carcerazione preventiva (e nei fini
sottesi) in recenti pagine della nostra storia giudiziaria; così, ancora, la
tecnica inquisitoria che vuole condurre il dichiarante alla menzogna poiché
“volevano che si confessasse bugiardo una sola volta, per acquistare il diritto
di non credergli quando avrebbe detto: sono innocente”.
Questa immanenza della idea manzoniana di giustizia e del suo articolarsi in
forme ancora attuali suona come ammonizione. Ne scorse l’importanza Sciascia nel
suo scritto “i burocrati del Male”, introduzione ad una edizione della Storia
della colonna infame. A fronte del tentativo, anch’esso attuale, di dare una
lettura storicistica alle vicende di giustizia, secondo la quale ciò che è stato
(nel passato come nel presente) così doveva essere, Sciascia oppone un grido di
allarme evocando “una battaglia che ancora oggi va combattuta: contro uomini
come quelli, contro istituzioni come quelle. Poiché il passato, il suo errore,
il suo male, non è mai passato: e dobbiamo continuamente viverlo e giudicarlo
nel presente, se vogliamo essere davvero storicisti. Il passato che non c’è più
– l’istituto della tortura abolito, il fascismo come passeggera febbre di
vaccinazione – s’appartiene a uno storicismo di profonda malafede se non di
profonda stupidità. La tortura c’è ancora”.
La
tortura, la medesima tortura che i personaggi manzoniani subivano “per purgare
l’infamia”, c’è ancora ed è rinvenibile in moderne forme di cautela
dell’indagato, in taluni istituti “d’emergenza” contrari al senso di umanità ma
vissuti come strumenti indispensabili in una società drogata di parole d’ordine
volgari, nell’ordinamento penitenziario, nelle scarse risorse investite
nell’esecuzione penale e nella scelta di dimenticare il recluso nella sua cella,
salvo dolersi se costui nuovamente delinque una volta libero.
Questa sorta di macchina del tempo che mette in contatto la Milano del 1600 e i
giorni nostri pone a nudo una continuità che dovrebbe far vergognare i diffusori
del retrivo pensiero neo oscurantista. La sola idea che certe corticali anomalie
si ripetano nei secoli dovrebbe far inorridire chiunque, ma non, evidentemente,
i decerebrati cantori della bellezza del suono delle manette.
Non
esiste antidoto al veleno che si insinua in una società vendicativa, sobillata
per ritorno elettorale, se non la scelta di praticare la cultura della
conoscenza in opposizione alla negromanzia inquisitoria praticata da legioni di
buffoni a pagamento: in questa materia, infatti, non troverete mai idee
gratuite. Sono tutte declinate da neo questurini a favore di un sottobosco
perverso di nulla essenti, che si nutrono dei mattinali di questura. A 2 euro,
in edicola. Mario Taddeucci Sassolini
«Anche oggi il “tribunale del popolo” non assolve e condanna l’indagato alla
pena della vergogna». Vittorio Manes,
avvocato e ordinario di Diritto penale presso l’Alma Mater Studiorum-Università
di Bologna-
Parla Vittorio Manes: «Il saggio di Manzoni è un'opera straordinaria per molte
ragione, ed è un "classico" perché ha come nota caratterizzante la inesauribile
attualità e persistenza dei temi e dei problemi trattati». Gennaro Grimolizzi Il
Dubbio l'8 maggio 2023
A
distanza di circa duecento anni, la “Storia della Colonna infame” di Alessandro
Manzoni continua a essere attuale. Errori da parte di chi giudica, abusi e
pregiudizi si sono verificati anche dopo il capolavoro manzoniano, fino ai
nostri giorni. Cambiano le epoche, ma alcuni strumenti per stritolare la dignità
umana esistono ancora. Ne abbiamo parlato con Vittorio Manes, avvocato e
ordinario di Diritto penale presso l’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna,
autore del libro “Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti
fondamentali e sul giusto processo” (Il Mulino).
Anche oggi il tribunale del popolo non assolve e condanna l’indagato alla pena
della vergogna.
La difesa è diritto inviolabile.
Art. 24 della Costituzione. Testo in vigore dal: 1-1-1948
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e
difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori
giudiziari.
Nemo tenetur se detegere. Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La locuzione latina nemo tenetur se detegere (anche nelle forme nemo tenetur se
ipsum accusare e nemo tenetur edere contra se) esprime il principio di diritto
processuale penale in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare
la propria responsabilità penale (auto-incriminazione).
Il Principio di
Legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è
considerato reato da un’apposita dello Stato, è sancito dall’art. 25 della
Costituzione e dal Codice Penale agli articoli 1 e 199. Da questo si deduce che
il Principio di Legalità non è altro che il rispetto della Legge.
Invece no!
Il Principio di
Legalità non è solo in rispetto della Legge, ma ogni atteggiamento e
comportamento conforme al principio di quella Legge.
Per esempio.
Prendiamo il caso di un Giudice che presiede un processo. Lui con sua esclusiva
discrezione esamina e condanna un imputato.
Ma se il Giudice è
tale in virtù di un concorso truccato;
Ma se il Giudice ha
picchiato la moglie;
Non si evince nulla
di tutto questo, perché un suo collega dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha
insabbiato tutto.
Altro esempio. Il
Giudice ammette le prove. Sarà veritiero il verdetto frutto di una esclusione di
una prova fondamentale a discrimine?
La moglie di Cesare
deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
Figura chiave nei
processi è il Testimone. La Testimonianza è il mezzo di prova. Il Contenuto
della Testimonianza è la Prova.
La testimonianza è
la rappresentazione soggettiva di un fatto e vi è giuramento in udienza in sede
di deposizione, in caso di falsità e reticenza vi è condanna.
La testimonianza
contro se stessi è una CONFESSIONE e non vi è giuramento in udienza in sede di
esame, per il principio dell’autodifesa.
La testimonianza si
avvale di ricordi.
Memoria e ricordo. Contenitore e contenuto.
Il Ricordo si avvale di più fasi:
Acquisizione e codificazione;
Ritenzione ed immagazzinamento;
Stabilizzazione dell’informazione in memoria e ritenzione dell’informazione
stessa per un determinato lasso di tempo;
Recupero:
La rievocazione si ha, quando si
richiama alla mente ciò che è stato appreso e immagazzinato senza alcun aiuto
Il riconoscimento è la capacità di
ricordare e identificare un determinato elemento, scegliendolo tra altri.
VERIDICITA’ ED AFFIDABILITA’ DEL TESTE E DELL’IMPUTATO.
Veridicità e affidabilità del teste
Affidabilità.
Falsi Ricordi. Analisi oggettiva delle distorsioni della percezione che la
falsifichino rispetto quanto effettivamente percepito dai sensi e codificato
nella memoria.
Veridicità.
Manipolazione propria della
narrazione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente decodificato dalla
memoria, questo può accadere:
–
Volontariamente, laddove il soggetto sia dolosamente menzognero o reticente, in
questo caso l’atteggiamento del testimone o dell’imputato che non si avvalga
della facoltà di non rispondere è punito dall’ordinamento per il reato di falsa
testimonianza o false dichiarazioni al PM.
bugie caratteriali
(bugie di timidezza, bugie di discolpa, bugie gratuite);
bugie di evitamento
(evitare la punizione, difendere la privacy);
bugie di difesa
(bugie per proteggere se stessi o gli altri);
bugie di
acquisizione (bugie per acquistare prestigio, per ottenere un vantaggio);
bugie alle quali lo
stesso autore crede (pseudologie);
autoinganno.
–
Involontariamente, quando il fatto narrato è distorto per meccanismi psicologici
di difesa, suggestioni, per effetto di condizionamenti o per incapacità
permanenti o temporanee e per qualsiasi altra ragione che escludano una
cosciente volontà. In questi casi il soggetto, sotto il profilo giuridico, non è
responsabile, poiché i reati che puniscono il testimone reticente o mendace sono
esclusivamente dolosi e non prevedono neanche la fattispecie colposa o il reato
tentato.
Manipolazione di Terzi della
narrazione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente decodificato dalla
memoria, questo può accadere:
Addestrato.
L’addestramento è un processo molto importante
in quanto comprende una serie di comportamenti o l’inculcamento di nozioni che,
a furia di venire ripetute e studiate, possono diventare proprie del soggetto.
Estorto.
Come estorcere una confessione.:
Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto. MENTAL EXHAUSTION.
La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa di
colpevolezza. La promessa di una via d’uscita. THE PROMISE OF ESCAPE.
Farlo sentire in trappola quando è stanco, esausto, in disagio, claustrofobia.
Offrire una ricompensa. OFFER A REWARD.
Lo stato di disagio psicologico o bisogno fisico (fame, sete, freddo, caldo,
andare al bagno) o per salvare una persona amata da un imminente pericolo di
coinvolgimento o con la concessione a questa di uno sconto di pena. Suggerire le
parole per la confessione. FORCING LANGUAGE
Valore costituzionale
Tale principio trova accoglimento nel Codice di Procedura Penale di molti paesi,
a partire dal V emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America,
laddove si afferma che nessuno «può essere obbligato in qualsiasi causa penale a
deporre contro sé medesimo».
L'ordinamento giuridico, nel bilanciamento degli interessi in gioco, accorda
preferenza alla libertà personale - e, secondo una dottrina, all'onore della
persona - piuttosto che all'interesse alla repressione dei reati. Se tutti i
soggetti del procedimento penale fossero obbligati a collaborare
incondizionatamente con la Giustizia fino al punto di incriminare se stessi,
verrebbe infatti meno la libertà morale dell'imputato, che ha diritto di
scegliere se e come difendersi anche quando colpevole: in Italia ciò fu
riconosciuto dalla legge n. 932 del 1969, in base alla quale l’interrogatorio
non fu "più considerato «narrazione obbligatoria e a titolo di verità cui è
costretto l’indagato-imputato», ma concepito essenzialmente come strumento per
l’esplicazione del diritto di difesa" accordato dall'articolo 24
della Costituzione.
Diversi sono gli istituti finalizzati a garantire i diritti dei soggetti
coinvolti nel procedimento penale. Fra questi, si ricorda in particolare
il privilegio contro l'autoincriminazione, che viene riconosciuto all'indagato e
all'imputato: essi non sono tenuti a rispondere alle domande che vengono loro
poste, e possono perfino mentire. Non possono commettere in tal modo i reati
di falsa testimonianza, false informazioni al Pubblico
ministero e favoreggiamento.
Il
privilegio contro l'autoincriminazione è riconosciuto altresì ai testimoni, i
quali possono opporlo qualora dalle risposte alle domande loro poste potrebbe
emergere una propria responsabilità penale.
Varianti
Common law
Nel
diritto anglosassone il medesimo privilegio si articola in modo profondamente
diverso: all'imputato è concesso il diritto di non rispondere, come si desume
dal noto Quinto Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d'America, ma
non quello di mentire. Nel caso egli decida di parlare, sarà tenuto a dire il
vero, a pena di incriminazione per falsa testimonianza. Per questo motivo nel
diritto anglosassone anche l'imputato è ritenuto teste attendibile, ma, di
contro, sconta la propria perseguibilità qualora sia provato che menta.
CEDU
Le
sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo sono decisive per
l'interpretazione e l'applicazione del principio nemo tenetur se detegere, per
gli Stati membri del Consiglio d'Europa.
Nella sentenza Funke contro Francia la Corte ha stabilito per la prima volta che
l'autorità investita della persecuzione penale non può obbligare nessuno a
cooperare con la propria condanna, pena la violazione del diritto a un processo
equo di cui all'articolo 6 della CEDU. Dopo questa sentenza, rimaneva però tra
gli Stati membri del Consiglio d'Europa un certo margine di dubbio circa
l'esatto confine del principio così proclamato: temevano che non sarebbe stato
più possibile controllare il rispetto di molte leggi e regolamenti, perché
questo spesso richiede la collaborazione del cittadino (v. ad esempio la
compilazione della dichiarazione dei redditi).
Nella sentenza Saunders contro Regno Unito queste ambiguità sono state chiarite.
In quella sentenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il
diritto di non cooperare con la propria condanna si applica solo alle prove
(orali o scritte) che dipendono dalla volontà dell'imputato; al contrario, le
prove che esistono indipendentemente dalla volontà dell'imputato non sono
coperte dal diritto di non collaborare con la propria condanna. Per questi
ultimi mezzi di prova, indipendentemente dal fatto che il sospettato lo voglia o
meno, se richiesto egli è tenuto a presentare i relativi materiali all'autorità
investita della persecuzione penale.
Processo amministrativo
Il
principio del nemo tenetur se detegere vale anche nel processo amministrativo.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. C’è sempre qualcuno pronto a dirci
quello che dobbiamo fare: la Famiglia, la Scuola, lo Stato, la Confessione
religiosa, ecc.
Nei testi di
Filosofia si legge che bisogna separare l’Osservazione dalla Valutazione:
“Quando mescoliamo l’osservazione e la valutazione gli altri saranno propensi a
udire una critica e quindi a porsi sulla difensiva. Al contrario le osservazioni
dovrebbero essere circostanziate nel tempo e nel contesto. Il nostro repertorio
di parole utili per affibbiare etichette alle persone è spesso assai più grande
del nostro vocabolario di parole che ci permettono di descrivere con chiarezza
il nostro stato emotivo. Ciò che gli altri dicono o fanno può essere stimolo, ma
mai causa dei nostri sentimenti”.
Nel valutare ed
esprimere giudizi ci si deve affidare ai pareri degli esperti di chiara
credibilità ed attendibilità, discernendole dalle opinioni di gente ignorante
sul tema in discussione.
La Criminologia studia l’autore di
un crimine sotto ogni aspetto. In questo campo, le ricerche puntano non
solo sull’individuazione del fatto e sull’identità del responsabile, ma anche
sulla sua condotta, nonché sulle modalità di controllo dei comportamenti
illegali (o socialmente devianti) e delle vittime. Il Criminologo si differenzia
dall’Investigatore in quanto quando ti rivolgi al primo, ti affidi a un esperto
che si avvale di metodi d’indagine standard, mentre il secondo si addentra di
più nelle dinamiche psico-sociali.
La Criminologia
applicata al caso concreto è conosciuta come Criminalistica. Conosciuta anche
come scienza forense o delle tracce, la criminalistica ha l’intento di
ricostruire i mezzi e le dinamiche messe in atto sulla scena del delitto.
L’approccio alla materia è di tipo tecnico: si avvale di conoscenze e competenze
acquisite in campo chimico, fisico, bio-tecnologico, informatico, balistico e
perfino matematico.
La Sociologia
Storica, studia la Società contemporanea, attraverso il suo passato che si
evolve nel futuro.
La Sociologia
Storica non guarda la Forma degli atti o l’Apparenza dei Fatti o delle Persone,
ma guarda nella Sostanza delle cose. Guarda sul retro della medaglia, cosa che
nessuno studioso o mediologo fa.
Il Principio di
Legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è
considerato reato da un’apposita dello Stato, è sancito dall’art 25 e dal Codice
Penale agli articoli 1 e 199. Da questo si deduce che il Principio di Legalità
non è altro che il rispetto della Legge.
Invece no!
Il Principio di
Legalità non è solo in rispetto della Legge, ma ogni atteggiamento e
comportamento conforme al principio di quella Legge.
Per esempio.
Prendiamo il caso di un Giudice che presiede un processo. Lui con sua esclusiva
discrezione esamina e condanna un imputato.
Ma se il Giudice è
tale in virtù di un concorso truccato;
Ma se il Giudice ha
picchiato la moglie;
Non si evince nulla
di tutto questo, perché un suo collega dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha
insabbiato tutto.
Altro esempio. Il
Giudice ammette le prove. Sarà veritiero il verdetto frutto di una esclusione di
una prova fondamentale a discrimine?
Non ci sono state
conseguenze per nessuno...Luca Palamara nelle chat parlava da solo: tempi
scaduti e tutto è finito a tarallucci e vino. Paolo Pandolfini su Il Riformista
il 17 Maggio 2023
I sempre più
frequenti richiami ai magistrati da parte del capo dello Stato a svolgere la
propria attività con correttezza e imparzialità, l’ultimo in ordine di tempo
questa settimana in occasione dell’inaugurazione della sede di Napoli della
Scuola superiore della magistratura, finiscono puntualmente in un nulla di
fatto. Se ne è accorto l’ex sostituto procuratore generale della
Cassazione Rosario Russo, ora in pensione, che nelle scorse settimane ha
presentato una istanza al Consiglio superiore della magistratura per conoscere
che fine avessero fatto gli eventuali procedimenti aperti nei confronti dei
magistrati che chiedevano favori e incarichi a Luca Palamara.
Antonio Giangrande:
Siamo tutti mafiosi, ma additiamo gli altri di esserlo. La mafia che c’è
in noi. Quando i delinquenti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i politici
dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le istituzioni ed i magistrati dicono: “qua
è cosa nostra!”; quando caste, lobbies e massonerie dicono: “qua è cosa
nostra!”; quando gli imprenditori dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i
sindacati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i professionisti dicono: “qua è
cosa nostra!”; quando le associazioni antimafia dicono: “qua è cosa nostra!”;
quando i cittadini, singoli od associati, dicono: “qua è cosa nostra!”. Quando
quella “cosa nostra”, spesso, è il diritto degli altri, allora quella è mafia.
L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando
coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per
commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o
comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé
o per altri”.
Antonio Giangrande:
“Un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da
coglioni.” Antonio Giangrande dal libro “L’Italia allo specchio. Il DNA degli
italiani”.
"Il popolo cornuto
era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola
alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del
colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci
sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi;
cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento
cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle
corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno
della civetta".
La moglie di Cesare
deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
E’ a tutti noto il
detto:
La moglie di Cesare
deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
Dovrebbe non solo
essere pura e fedele ma anche apparire impeccabile e seria a tutti coloro che la
frequentano.
Quale è l’origine
del celebre modo di dire?
Ci viene tramandato
da Plutarco, che, nel decimo capitolo della Vita di Giulio Cesare, ci dice che
in occasione di una festa dedicata alla dea Bona, cui potevano partecipare
soltanto le donne, Pompea, moglie di Cesare, accolse nella sua abitazione, un
suo spasimante, Publio Clodio, travestito da suonatrice.
L’inganno
tuttavia venne scoperto e Clodio fu scacciato via ei trascinato in tribunale.
Cesare, fu citato
come testimone. Alla domanda del pubblico ministero, rispose che non conosceva
personalmente Clodio e che non sapeva nulla delle sue malefatte. Il magistrato
non sembrò’ convinto di quella risposta e pregò il dittatore di essere più
chiaro.
Al che, l’illustre
testimone rispose che la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di ogni
sospetto.
Insomma l’apparenza
prima di tutto.
E’ giusto
domandarsi se nell’esercizio di un mandato pubblico oltre la legge debba
esservi anche un codice deontologico che sanzioni quei comportamenti inopportuni
anche se non penalmente rilevanti.
Certo se la moglie
di Cesare apparisse solamente onesta, sarebbe ancor più grave e sarebbe ben
accolta soltanto nelle società” puritane”.
Mai come in questi
tempi sembra calzante questo celebre modo di dire.
Qualcuno potrebbe
dire: se tutti sono criminale, allora nessuno è criminale.
Parliamo di
statistiche: ufficiali.
Il reato che
fa flop: su 5.418 processi solo 27 condanne. Stefano Zurlo il 19 Maggio 2023 su
Il Giornale.
I dati sono
impressionanti: "Nel 2017, 6.500 procedimenti finiti in nulla salvo che in 57
casi. Il 97% di assoluzioni". L'Anci: "Bisogna intervenire". Ma il Carroccio
adesso frena.
I numeri non
mentono. Nel 2017 in Italia sono stati avviati 6500 procedimenti per abuso
d'ufficio. Ma solo 57 volte si è arrivati a una condanna definitiva. Una
percentuale bassissima. Il dossier presentato ieri dall'ex ministro Enrico Costa
in parlamento parla con le tabelle più che con i discorsi.
E' il fenomeno più
sottovalutato. Tre innocenti arrestati o condannati ogni giorno: gli errori
giudiziari e i risarcimenti beffa dello Stato. Benedetto Lattanzi e Valentino
Maimone su Il Riformista il 11 Maggio 2023
Quando avrete
finito di leggere questo articolo, dalle casse dell’Erario saranno usciti circa
cinquecento euro per risarcimenti alle vittime di errori giudiziari. Al ritmo di
55 euro al minuto, lo Stato cerca di arginare il fenomeno dei propri cittadini
arrestati o condannati da innocenti, versando loro somme di denaro il più delle
volte risibili, sempre e comunque inadeguate per riparare la tragedia personale
che hanno vissuto.
Il fenomeno degli
errori giudiziari è il più sottovalutato, misconosciuto e trascurato problema
della giustizia in Italia. Negli ultimi trent’anni ha colpito 30.231 persone,
l’equivalente di un “tutto esaurito” in uno stadio di calcio di serie A come
quello del Torino. Alla media di 975 casi l’anno, tutti gli anni, da un
trentennio. Significa tre innocenti arrestati o condannati (e per questo
risarciti dallo Stato) ogni giorno. Uno ogni otto ore.
Correggiamo la
storia distorta dalle indagini di mafia e di Tangentopoli. La sentenza della
Cassazione sulla Trattativa segna la fine della pretesa della magistratura di
essere protagonista nelle vicende sociali e politiche. Giuseppe Gargani su Il
Dubbio il 7 maggio 2023
La recente sentenza
sulla trattativa tra lo Stato e la mafia non ha avuto un adeguato commento dalla
grande stampa eppure si tratta di una decisione della Cassazione eclatante e
fondamentale per la storia civile, politica e umana del nostro Paese.
È una sentenza che
non può soltanto essere pubblicata nel Massimario e dare lustro a magistrati che
hanno dimostrato la loro serena indipendenza come prevista dall’art. 104
della Costituzione, ma deve avere conseguenze nella valutazione attenta da parte
della cultura giuridica e del mondo giudiziario. Come è noto la Cassazione ha
stabilito che il fatto “trattativa” non è stato commesso e non costituisce
reato; e quando un “fatto” non è reato e non è stato compiuto il processo penale
non ha consistenza.
Viene da dar
ragione a chi si pone la domanda perché è stato intentato un processo lungo
venti anni che ha costruito una storia che non esiste. La magistratura non può
inquinare le vicende della storia con cronache non vere che incidono fortemente
sul tessuto sociale e sulla convivenza dei cittadini.
DEPOSIZIONE DEL
TESTIMONE.
Viene introdotto il Testimone; questi viene avvertito dei suoi obblighi e rende
la dichiarazione ex articolo 497 C.P.P.: “Consapevole della responsabilità
morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la
verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. Il Testimone
viene generalizzato in aula.
Memoria e ricordo. Contenitore e contenuto.
Memoria e ricordo. Paolo Caprettini
su L'Indipendente sabato 22 luglio 2023.
La
memoria come magazzino e come facoltà. Come magazzino dove si raccolgono varie
esperienze, capacità, conoscenze e sensazioni. Come facoltà, in quanto in grado
di prelevare quanto occorre dal repertorio e di farlo quando è richiesto, quando
è necessario.
Lo
stesso Platone intendeva la memoria sotto questi due aspetti. E se volessimo
seguirlo fino in fondo diremmo che la memoria si identifica con lo spazio,
secondo Platone, vale a dire con un luogo ricettivo, contenitore e archivio. Il
mondo delle idee finisce per identificarsi con la memoria. E con il linguaggio
che agisce come veicolo dei nomi.
Ma
prima viene la ricordanza o rimembranza, scriveva Leopardi. Il mondo sensibile
ci offre varie percezioni e ciascuna di queste può farne venire in mente
un’altra simile precedente o immaginaria. Attraverso questo meccanismo entra in
gioco il tempo, un tempo memorabile ad esempio, quando una particolare emozione
lo ha contrassegnato.
‘Memoria’ deriva dalla radice di ‘mente’ e ‘ricordo’ dalla radice di ‘cuore’.
Già questo è significativo per cogliere la differenza tra i due campi. Ci sono
poi altri vettori di senso. Il francese ‘souvenir’ indica qualcosa che si è
smosso al di sotto, un po’ come nell’inglese ‘understatement’, termine che
indica un significato non del tutto esplicito.
Che
dire poi del tedesco ‘Erinnerung’? La parola ricordo, femminile in tedesco,
richiama le Erinni, in greco le dee che presiedevano alla giustizia in forma
divina ma vendicativa. Nel greco antico così si chiamavano le nuvole minacciose,
cariche di pioggia, segnalatrici di una risposta celeste.
Dunque, nel sottofondo, una accentuazione negativa in tedesco, mitigata se
vogliamo dalla veste poetica. Negli anni di Leopardi, Hoelderlin, ad esempio,
scrive Ricordi dove sentimento, malinconia e follia, “l’ombra degli olmi sul
mulino”, si intrecciano.
Il
ricordare genera eccessi oltreché censure e oblio, quel ‘nostos’ di cui parla
Omero per Ulisse, la nostalgia, cioè il dolore dovuto alla lontananza. E così la
memoria si riprende il suo spazio, il suo non esserci più, non esserci ora di
qualcuno o qualcosa che permane però nel linguaggio della mente e del cuore. E
permanendo vive.
La memoria e le distorsioni del ricordo.
Mancini Massimiliano il 25/09/08 su diritto.it
La
memoria e le distorsioni del ricordo
Nel
sistema processuale la testimonianza, da sempre, occupa un posto centrale, sia
nelle indagini preliminari, in cui molto spesso la Polizia Giudiziaria deve
valutare, spesso durante la stessa audizione in sede di sommarie informazioni
testimoniali o di interrogatorio delegato, l’affidabilità e la credibilità di un
soggetto che ricorda episodi cui ha assistito, o di cui è stato attore.
La
conoscenza degli elementi basilari della psicologia della testimonianza è
fondamentale per tutti gli operatori del diritto per comprendere i limiti della
percezione, le fonti di distorsione del ricordo, che possono generare
inaffidabilità involontarie sino addirittura al falso ricordo ed inoltre gli
elementi per evitare e per riconoscere le suggestioni più o meno involontarie
del teste.
Queste conoscenze sono essenziali per gestire al meglio la capacità della mente
umana di ricordare e riprodurre un evento già accaduto mediante la
narrazione o il riconoscimento, ma anche per disporre di strumenti idonei per
riconoscere la straordinaria capacità che ha l’uomo di falsificare il ricordo,
in maniera volontaria o incosciente (ad esempio per compensare dei traumi o per
superare disagi ed influenze sociali ed ambientali come quelle che potrebbe
esercitare il contesto familiare).
La
memoria centro di tutti i processi psichici
La
memoria è quella funzione psichica (funzione mestica) che consente
l’assimilazione, la ritenzione ed il richiamo di informazioni apprese durante
l’esperienza. Ogni azione o condotta umana ed animale utilizza necessariamente
la memoria.
I
ricordi sono definiti tracce mestiche e possono avere varie forme e funzioni,
percezioni sensoriali (immagini, suoni, calore, sensazioni tattili, odori,
sapori, stati d’animo, ecc.), conoscenze ed abilità (competenze tecniche e
culturali, nozioni, modi d’uso, ecc.), relazioni che legano altre informazioni
(successione cronologica di eventi ed immagini, posizione e orientamento di
oggetti, ecc.).
Endel Tulving ha classificato la memoria nelle seguenti categorie:
Memoria implicita, è quella incosciente, dove l’informazione non si manifesta
per ricordo, ma influenzando un comportamento senza che il soggetto ne sia
cosciente; essa si suddivide a sua volta in:
Memoria procedurale che consente di imprimere uno script per fare le cose
automaticamente o in maniera semi-automatica, come andare in bicicletta,
digitare su una tastiera.
Memoria associativa che consiste nell’associazione di uno stimolo ad un
comportamento anche senza il ricordo cosciente che spinge a fare
l’associazione.
Memoria esplicita, è quella nella quale i ricordi sono coscienti (sebbene anche
influenzabili) e si manifestano per l’appunto in forma esplicitabile. Si
suddivide in:
Memoria episodica ha una collocazione spazio-temporale e riguarda gli
avvenimenti legati alla nostra vita.
Memoria semantica riguarda la conoscenza del mondo, il ricordo del significato
di parole e concetti e, più in generale, informazioni che non hanno una
prospettiva spazio-temporale, come i concetti astratti.
Si
definisce fissazione il processo di ritenzione dell’informazione nella memoria;
quando non si riesce più a ricordare un evento si dice che il ricordo è entrato
in oblio.
I
processi mnestici fondamentali sono di tre tipi:
–
Acquisizione e codificazione, recepimento dello stimolo e traduzione in
rappresentazione interna stabile e registrabile in memoria. Lavoro di
categorizzazione ed etichettatura legato agli schemi e alle categorie
preesistenti.
–
Ritenzione ed immagazzinamento. Stabilizzazione dell’informazione in memoria e
ritenzione dell’informazione stessa per un determinato lasso di tempo.
–
Recupero. Riemersione a livello di consapevolezza dell’informazione prima
archiviata, mediante richiamo o riconoscimento (la vedo e ricordo di averlo
visto, è il modo più semplice per recuperare).
Come ha spiegato Hermann Ebbinghaus, autore delle prime importanti ricerche
sulla memoria (XIX secolo), ci sono due modi principali per ricordare:
La
rievocazione si ha, quando si richiama alla mente ciò che è stato appreso e
immagazzinato senza alcun aiuto.
Il
riconoscimento invece è la capacità di ricordare e identificare un determinato
elemento, scegliendolo tra altri.
Veridicità e affidabilità del teste
La
memoria, detta anche funzione mnestica, non risulta necessariamente stabile a
parità di contenuti o classi di stimoli, ma è influenzata da elementi affettivi
(ad es.emozioni, motivazioni) e da elementi che sono correlati alla tipologia di
informazione da ricordare.
Essa si delinea come un processo legato a molti fattori, sia cognitivi che
emotivi, e come un processo eminentemente attivo e non, o almeno non solo, come
un processo automatico o incidentale. Quindi si configura come un percorso di
ricostruzione e concatenamento di tracce piuttosto che come un semplice
immagazzinamento in uno statico spazio mentale.
La
testimonianza possiede una parte di verità oggettiva e un’altra parte di
costruzione soggettiva, che si unisce o si sovrappone alla parte oggettiva o vi
si sostituisce, totalmente o parzialmente, con meccanismi che possono essere non
necessariamente dei tutto coscienti e volontari se non addirittura inconsci.
Pertanto nella valutazione di un teste che ha assistito o che è stato parte di
un fatto, bisognerà valutare la sua deposizione sotto il profilo della:
1.
Affidabilità, escludendo delle distorsioni della percezione che la falsifichino
rispetto quanto effettivamente percepito dai sensi e codificato nella memoria.
2.
Veridicità, escludendo delle manipolazioni della narrazione che la falsifichino
rispetto quanto effettivamente decodificato dalla memoria, questo può accadere:
–
Volontariamente, laddove il soggetto sia dolosamente menzognero o reticente, in
questo caso l’atteggiamento del testimone o dell’imputato che non si avvalga
della facoltà di non rispondere è punito dall’ordinamento per il reato di falsa
testimonianza o false dichiarazioni al PM.
–
Involontariamente, quando il fatto narrato è distorto per meccanismi psicologici
di difesa, suggestioni, per effetto di condizionamenti o per incapacità
permanenti o temporanee e per qualsiasi altra ragione che escludano una
cosciente volontà. In questi casi il soggetto, sotto il profilo giuridico, non è
responsabile, poiché i reati che puniscono il testimone reticente o mendace sono
esclusivamente dolosi e non prevedono neanche la fattispecie colposa o il reato
tentato.
Fonti di distorsioni del ricordo
In
sostanza, quanto riferito dal teste è la risultante di percorso complesso che
passa attraverso una serie di fasi successive nelle quali si inseriscono una
serie di fonti di distorsione, in larghissima approssimazione, possiamo
schematizzarle come segue:
1.
Percezione, il fatto oggettivo è condizionato dalle condizioni di osservazioni,
ad esempio distanza, punto di osservazione, condizioni di illuminazione, stato
emotivo, ed è filtrato dalla parte percettiva della mente, attraverso meccanismi
psicologici inconsci come ad esempio le euristiche. Ad esempio esiste un
meccanismo psicologico, denominato generalmente “focus on weapon”, che agisce
sui soggetti minacciati con armi, nei quali tutta la loro attenzione è
concentrata solo sull’arma e, per questa ragione, non sono in grado di riferire
nessun altro dettaglio sulla scena del crimine e sul loro assalitore,
addirittura non riescono a riconoscere chi li minacciava a volto scoperto.
La
percezione non è un processo semplice e lineare, ma è un momento cognitivo
soggetto a molte variazioni ed interruzioni dovute sia alla quantità e
complessità degli stimoli percettivi che ai limiti delle nostre capacità
percettive.
2.
Codificazione, tutto ciò che è stato percepito dagli organi sensoriali e dai
meccanismi percettivi della mente, passa attraverso i meccanismi cognitivi della
psiche umana, e quindi è influenzato dalle caratteristiche personali, dalla
capacità di rielaborazione e di valutazione critica dei fatti, dall’età, dalla
cultura, dall’ambiente sociale, dalle implicazioni emotive che sono ricollegate
al fatto. Ad esempio si immagini il carico emotivo ricollegato ad una violenza
sessuale oppure ad un fatto luttuoso in genere.
Ciò
che vediamo è sempre e soltanto ciò che le nostre ipotesi, le nostre idee
preconcette, la nostra cultura di fondo ci predispongono e ci preparano a
vedere.
3.
Ritenzione, in alcuni casi il fatto è talmente doloroso, imbarazzante,
destabilizzante sul piano psichico ed emotivo che la mente umana attua dei
meccanismi per ristabilire un equilibrio e per alleviare la sofferenza,
attraverso meccanismi di difesa ben noti in psicologia come ad esempio la
rimozione (la totale cancellazione di un’esperienza dolorosa dalla parte
cosciente della psiche), la negazione, la scissione ed altri ancora, che
eliminano o alterano completamente il fatto oggetto della testimonianza.
Inoltre la personalità del soggetto può distorcere le percezioni ed i rapporti
sociali: i sentimenti che provocano angoscia e sensi di colpa sono facilmente
proiettati sugli altri.
4.
Recupero mnestico, la suggestionabilità del soggetto e gli stimoli cui è esposto
possono inquinare la traccia mestica (il ricordo del fatto accaduto) con
informazioni successive all’evento, inoltre si deve tener conto delle pressioni
dell’ambiente e dei tentativi di manipolazione cui è stato esposto il soggetto
per valutare quanto ricorda effettivamente e quanto non ricorda o non riporta
esattamente.
Ad
esempio si immagini la situazione di una violenza intrafamiliare, soprattutto
quando è implicato un genitore, e le manipolazioni che possono premere il minore
per dire ciò che non è successo (allo scopo eventualmente di ledere uno dei
coniugi) oppure per non dire ciò che è successo effettivamente (per evitare di
distruggere la famiglia cercando di nascondere fatti scabrosi).
La
percezione (cosa e come si immette nella memoria)
Con
il termine “percezione” si intende l’insieme delle funzioni psicologiche che
permettono all’organismo di acquisire informazioni circa lo stato o il mutamento
dell’ambiente.
All’atto pratico la percezione è un processo attivo nel corso del quale il
soggetto che percepisce, dopo l’elaborazione da parte del cervello degli stimoli
e delle sensazioni, si produce una rappresentazione mentale dell’oggetto
percepito.
I
primi studi sulla percezione sono stati portati avanti dalla scuola psicologica
degli associazionisti, tra i quali si sono distinti Wundt, Ebbinghaus, Fechner,
Spearman, per i quali la percezione finale degli stimoli è spiegabile con la
semplice somma di sensazioni elementari.
Secondo gli associazionismi l’uomo è un passivo recettore di stimoli che si
accumulano nella memoria intesa come un semplice contenitore.
Hermann Ebbinghaus (allievo di Wihelm Wundt, fondatore della psicologia come
scienza) studiò la memoria mediante studi sperimentali sulla memorizzazione di
sillabe senza senso. Egli nei suoi studi del 1876 evidenziava come
l’apprendimento mnestico fosse influenzato dalla frequenza e dalle associazioni
degli stimoli arrivando ad una serie di conclusioni molto importanti:
–
Effetto del superapprendimento: aumentando il numero di ripetizioni, aumenta
anche la memoria.
–
Curva dell’oblio: il ricordo diminuisce col passare del tempo sia in senso
quantitativo che in senso qualitativo.
–
Apprendimento massivo e distributivo: esposizioni ad uno stimolo ripetute, anche
brevi, sono più efficaci di una singola esposizione anche se prolungata.
–
Effetto seriale: la memorizzazione dipende da come sono messe le sillabe,
infatti quelle in fondo e le prime si memorizzano meglio di quelle di mezzo.
–
Comprensione semantica: si ricorda più facilmente ciò che ha un significato, ad
esempio le parole e le frasi di senso compiuto rispetto quelle incomprensibili o
senza senso.
Da
queste conclusioni possiamo trarre delle importantissime indicazioni da
impiegare per le modalità di escussione di un testimone e per la valutazione
della sua affidabilità e veridicità:
–
La frequenza dello stimolo: la durata e la precisione del ricordo è
proporzionale a quante volte si è ripetuto il fatto che si sta riferendo, ad
esempio quante volte il testimone ha visto la persona che afferma di riconoscere
o di conoscere.
–
La durata dell’esposizione: quanto più è durata l’esperienza che si sta
riferendo tanto meglio essa si ricorderà, ad esempio si ricorderà meglio e
probabilmente con più particolari una violenza prolungata di un fatto brevissimo
come uno scippo.
–
Posizione seriale dello stimolo: un evento posto in una particolare posizione
(ad es. all’inizio o alla fine della vicenda) oppure legato da particolari
connessioni con altri fatti, sarà ricordato più facilmente e con più dettagli.
–
Comprensione semantica dello stimolo: si ricordano più facilmente gli stimoli
dei quali si comprende compiutamente il significato ed il senso, quindi è
difficile ricordarsi di gesti equivoci o di parole straniere, dialettali o
comunque incomprensibili, mentre si ricorderanno più facilmente parole, frasi ed
anche comportamenti ed atteggiamenti che si comprendono appieno nel loro
significato e nella finalità.
La
distanza temporale dall’evento
Ulric Neisser, il padre della psicologia cognitiva, ha elaborato un approccio
cognitivo allo studio della memoria orientatato proprio ai processi cognitivi.
Strutturalmente, a partire dagli anni 50 ed in maniera più o meno esplicita
attraverso tutto il cognitivismo, la memoria è definita attraverso tre moduli
mnestici:
–
Il modulo 1 (brevissimo tempo) registra molte informazioni ma in maniera
limitata. Prende nomi diversi secondo le teorie cognitiviste che l’hanno
studiato, e fa prevalentemente riferimento alla memoria sensoriale.
–
Il modulo 2 (breve tempo) trattiene i dati per un periodo di tempo maggiore. In
quest’area generalmente il materiale o i ricordi si conservano sino a quando se
ne ha bisogno(ad es. numero telefonico).
–
Il modulo 3 (lungo termine) ha capacità di ritenzione illimitata, ma i suoi
contenuti sono di difficile recupero.
Il
tempo cancella i ricordi e li rende più labili e questo è vero soprattutto in
senso qualitativo, quindi oltre ai singoli fatti, con il trascorrere del tempo
si dimenticano per prima i dettagli, quindi è difficile credere che si ricordino
più dettagli e con maggiore sicurezza fatti più antichi e nello stesso tempo
eventi più recenti con grande incertezza e povertà di particolari, se non per
meccanismi di difesa psicologica (ad esempio rimozione, negazione, ecc.).
Massimiliano Mancini. Coordinatore del sito poliziaminorile.it, docente e
consulente nelle materie giuridiche e criminologiche
L’attendibilità della testimonianza nel processo penale.
Vari fattori possono interfeirire con l'attendibilità di una testimonianza, dai
falsi ricordi all'addetramento del teste, che non sempre sono riconosciuti.
Massimiliano Conte su stateofmind il 12 giugno 2020
L’addestramento del teste comprende una serie di comportamenti o l’inculcamento
di nozioni che, a furia di venire ripetute e studiate, possono diventare proprie
del soggetto influenzando la sua testimonianza.
Il
processo penale e il contraddittorio fra le parti
Il
nostro processo penale è improntato sull’oralità della prova ed esistono delle
procedure per assumere la prova in dibattimento. Una di queste procedure è la
cosiddetta cross examination, in cui la Pubblica Accusa e la Difesa pongono
domande ad un testimone (o teste) con lo scopo di saggiarne l’attendibilità.
Cosa accade però, se il teste mente e nel farlo, mente spudoratamente?
Il
problema sorge spontaneo. Come fare per dimostrare la menzogna?
Il
nostro ordinamento, a differenza di quello americano, non ammette né il
controllo psicologico su cosa ha detto il teste né ammette l’interpretazione
della gestualità del corpo, utilizzando le tecniche psicologiche di rilevazione
della menzogna. Difatti, il giudizio sull’attendibilità del teste è fortemente
soggettivo in quanto esistono casi in cui (ne citerò uno in particolare nel
prosieguo) anche in presenza di una manifesta impossibilità oggettiva nelle
affermazioni del teste, il giudice ha proceduto a ritenerla attendibile contro
ogni possibile spiegazione fisica e scientifica.
L’attendibilità
Prima di proseguire oltre, occorre specificare cosa sia l’attendibilità.
Possiamo descriverla come la capacità di una persona di dimostrarsi coerente con
quanto dice, mantenendo un discorso improntato sulla logica e sulle massime
comuni di esperienza, dal quale si può evincere un’alta probabilità che abbia
assistito realmente all’accadimento che sta narrando. Risultare attendibili
quindi, significa dimostrare di essere coerenti con quello che si dice, sapendo
di venire valutati dall’interlocutore anche con un raffronto con quelle che sono
le massime di esperienza comuni. La storia narrata deve poter resistere alle più
comuni falsificazioni e la persona deve dimostrare congruità con quanto detto in
rapporto ad uno specifico fatto.
Da
quello che abbiamo appena affermato, subentra un’importante questione: è
possibile parlare, pur sapendo di mentire, e dimostrarsi attendibili?
L’addestramento del teste
La
risposta alla precedente domanda è sì: oramai non è un segreto. Il teste ben
addestrato è in grado di passare per attendibile durante il processo penale ed è
così capace di influenzare il corso degli eventi. Un teste bene addestrato è in
grado anche di raggirare un clinico, soprattutto se con poca esperienza,
riuscendo a farsi diagnosticare disturbi o disagi che non ha, simulandone
perfettamente i sintomi.
L’addestramento è un processo molto importante in quanto comprende una serie di
comportamenti o l’inculcamento di nozioni che, a furia di venire ripetute e
studiate, possono diventare proprie del soggetto.
La
forza dell’addestramento era conosciuta fin dai tempi dei legionari romani, ove
usavano la massima secondo cui è l’addestramento che fa il coraggio. Una persona
quindi, deve essere lungamente addestrata per poter raggiungere un risultato
eccellente in quello che fa. O che dice!
Ma
perché l’addestramento è in grado di modellare il nostro comportamento?
Le
neuroscienze ci vengono in aiuto. Il nostro cervello possiede dei neuroni, i
quali sono cellule tipiche cerebrali, con il compito di apprendere.
L’addestramento va a modificare la conformazione di questi neuroni (i più
famosi, sono i cosiddetti neuroni specchio, adibiti a riprodurre i movimenti che
si osservano in natura) che, al fine di rispondere alle sollecitazioni
addestrative, aumentano i recettori NMDA presenti sui propri dendriti: stiamo
parlando della Legge di Hebb (Bear e Connors; 2016).
L’addestramento quindi, fa aumentare i recettori NMDA che si uniscono fra loro,
diventando un corpus unico, preciso e per l’appunto, addestrato (Bear e
Connors;2016).
Ma
non è tutto. Una volta che l’addestramento si consolida come tratto
comportamentale, il cervello costruisce uno schema che non grava più sui
dendriti neuronali ma viene trasferito nei nuclei cerebellari del cervelletto,
diventando uno schema consolidato, riproponibile e immodificabile se non in
presenza di un ulteriore addestramento (si pensi, come esempio concreto,
all’andare in bicicletta).
L’addestramento può durare anche mesi ma in questo la cosiddetta
giustizia-lumaca di cui si sente parlare quotidianamente, può consentire il
dispendio temporale offrendo il prodotto finale che si vuole raggiungere e che
sarà impeccabile.
I
falsi ricordi
Alle volte però, l’addestramento non è il principale problema con il teste. Il
discorso, in questo caso, è molto ampio, quasi impossibile da affrontare in un
singolo articolo. Per quel che concerne il nostro discorso circa l’attendibilità
e la capacità di passare per coerenti in un procedimento penale in cui si è
chiamati a svolgere il ruolo di teste, citiamo solamente una casistica in cui i
falsi ricordi possono trarre in inganno gli interlocutori (Monzani; 2016). È il
caso di chi, ad esempio, ha ascoltato per molto tempo un racconto e, alla fine,
si convince di essere stato presente a quegli accadimenti. In questo caso,
avremo dei falsi ricordi totalmente inventati che vengono arricchiti di
particolari dalla mente stessa del soggetto e che, pertanto, vengono impressi
sulle sinapsi neuronali. Ma non è tutto: questi falsi ricordi creeranno anche
dei collegamenti con massime di esperienza precedentemente acquisite e si
integreranno con il corpus memoriale della persona. Nella stragrande maggioranza
dei casi, i falsi ricordi sono un prodotto della buona fede e pertanto, non
pericolosi come l’addestramento.
Conclusioni
Occorre sempre prestare attenzione a quanto accade durante una deposizione.
Difatti, l’addestramento può essere qualcosa di molto temibile e pericoloso.
Tuttavia, ci si può difendere con molta accortezza. Un addestramento, ad
esempio, non potrà mai prevalere sulla fisica (o sulla scienza in generale)
quando queste dimostrano l’inattendibilità dell’addestramento stesso.
L’addestramento infatti, è inoppugnabile solo se la scienza lo avvalori. In
presenza di contraddizioni, il giudice dovrebbe avere l’obbligo di dichiarare
inattendibile un soggetto, in quanto dovrebbe basarsi più sulla scienza che non
sulla narrazione di un singolo individuo. Il racconto narrato deve trovare
accoglimento anche nelle massime di comune esperienza ed il giudice, nel
prendere in considerazione quanto è stato riportato dal teste, deve anche
inquadrarlo all’interno delle prove raccolte, basandosi e prediligendo
soprattutto quelle comprese nei dettati scientifici, ed anche rapportate alla
situazione in cui si trova il giudicante.
Il
caso concreto
Durante un processo, una presunta parte offesa citava la propria suocera (quindi
sussisteva un vincolo di parentela) come teste oculare di taluni accadimenti.
L’anziana donna, classe ’39, narrava di aver notato alcuni fatti da una distanza
di 100/150 metri. Nel prosieguo diventavano 10/15 metri ed infine, asseriva di
trovarsi a pochi metri di distanza dai fatti. Il tutto, di notte, da sola, senza
cellulare ed ad una temperatura esterna di -3 gradi centigradi. Inoltre, vi
erano delle prove inoppugnabili circa l’assenza della donna sulla scena del
crimine, in quanto esistevano dei filmati videoripresi da telecamere di
sicurezza che dimostravano l’assenza stessa della donna. Il giudice, dopo averla
ascoltata, propendeva per la sua attendibilità sulla mera base di aver trovato
l’anziana donna arzilla e ben orientata nel tempo e nello spazio. Un simile caso
è palesemente errato, in quanto si basa solo sull’addestramento che la suocera
ha ricevuto e va in aperto conflitto con le immagini oggettive di una telecamera
che esclude la presenza della donna sul luogo del reato. Il giudice abboccava ad
un teste ben addestrato e basava il proprio convincimento non sulle prove
scientifiche bensì sul mero comportamento della suocera (arzilla e ben
orientata). L’errore appare inescusabile in quanto il giudice stesso sapeva che
un’indagine era in atto per il reato di corruzione in atti processuali
finalizzati ad avere un vantaggio nel processo del genero. Successivamente, le
intercettazioni evidenziavano palesemente la presenza di un addestramento
compiuto dal cognato, appartenente ai carabinieri, e dal genero stesso.
Quelle (false) confessioni estorte con prove inventate e una (finta)
comprensione.
Una ricerca statunitense ha rivelato come le tecniche di interrogatorio, quali
una maggiore pressione e il bluff con proposte di ulteriori prove incriminanti,
mettano le persone a rischio di false confessioni. Valentina Stella su Il Dubbio
il 5 gennaio, 2023
Se foste sotto interrogatorio, confessereste un crimine che non avete commesso?
Si tratta di un argomento poco discusso qui in Italia, al contrario degli Stati
Uniti, invece, dove è molto sentito. Sebbene l'idea che qualcuno possa
confessare un crimine che non ha commesso possa sembrare controintuitiva agli
osservatori occasionali, la realtà è che le false confessioni si verificano
regolarmente.
Secondo il National Registry of Exonerations (Registro Nazionale delle persone
scagionate, progetto realizzato dalla University of California Irvine, the
University of Michigan Law School and Michigan State University College of
Law), al 4 ottobre 2022 il 34% dei giovani sotto i 18 anni al momento del
crimine ha reso una falsa confessione. La percentuale scende al 10 per i
maggiorenni ma schizza al 69% per persone con malattie mentali o disabilità
intellettive. Inoltre, in base ai dati dell'Innocence Project, dei 258 casi di
proscioglimento grazie alla prova del Dna di cui si è occupato finora, il 25%
riguardava una falsa confessione.
Ma perché le persone confessano crimini che non hanno commesso? Come hanno
ricordato in un articolo il professore di legge Samuel Gross e il giornalista
premio Pulitzer Maurice Possley «se avete mai guardato una delle decine di
migliaia di ore di televisione dedicate alle fiction poliziesche, conoscete il
primo avvertimento dato ai sospetti che vengono arrestati e interrogati. E il
secondo: “Tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei”. Questo grazie ai
Miranda warnings - che prendono il nome dal caso Miranda contro Arizona, la
decisione della Corte Suprema del 1966 che le ha imposte». Questo tipo di
avvertimenti sono stati «il culmine di 30 anni di cause della Corte Suprema
volte a proteggere i sospetti criminali dagli abusi negli interrogatori della
polizia».
Eppure, dover aver vietato violenze e torture da parte della polizia, le false
confessioni continuano ad arrivare. Perché? Gli scienziati da anni stanno
lavorando per capire meglio la psicologia delle false confessioni. Uno dei
massimi studiosi del fenomeno è Saul Kassin, Professore emerito di psicologia al
John Jay College of Criminal Justice di New York, esperto di interrogatori da
parte delle forze dell’ordine. Come ricorda un articolo del Washington Post sul
tema, Kassin ha testimoniato in diversi casi, come quello relativo a Barry
Laughman, un ventiquattrenne con disabilità intellettiva ingiustamente
condannato per stupro e omicidio nel 1988 e liberato grazie alla prova del Dna
dopo 16 anni di carcere. La ricerca di Kassin ha rivelato come le tecniche di
interrogatorio della polizia, quali l'applicazione di una maggiore pressione
psicologica e il bluff con proposte di ulteriori prove incriminanti, mettano le
persone a rischio di false confessioni. Proprio nella vicenda di Laughman,
l’uomo aveva un Quoziente Intellettivo di 70 e si comportava come un bambino di
10 anni. Alcune settimane dopo il crimine, la polizia disse a Laughman che le
sue impronte digitali erano state trovate sulla scena del crimine. Egli confessò
quindi agli investigatori di aver commesso il delitto. Ma era innocente.
Un altro caso, citato dal National Registry of Exonerations, è quello
riguardante Juan Rivera: nell'ottobre 1992, dopo un estenuante interrogatorio
durato quattro giorni, il diciannovenne confessò falsamente lo stupro-omicidio
di una bambina di 11 anni nella contea di Lake, nell'Illinois. In realtà,
confessò due volte. La sua prima confessione era talmente infarcita di errori
fattuali che gli investigatori gliela fecero ripetere per “chiarire” le
incongruenze, anche se Rivera era chiaramente in uno stato di collasso mentale.
Rivera fu condannato per omicidio nel 1993 e di nuovo nel 1996 dopo che la sua
prima condanna fu annullata per una serie di errori legali. Nel 2005, i test del
DNA dimostrarono che un altro uomo era la fonte dello sperma recuperato dal
corpo della vittima. Secondo Kassin una tattica potenzialmente problematica è la
presentazione di prove false.
La polizia americana è autorizzata a sostenere le proprie accuse dicendo ai
sospetti che esistono prove inconfutabili della loro colpevolezza (ad esempio,
un campione di capelli, l'identificazione di un testimone oculare o un test
della macchina della verità fallito), anche se tali prove non esistono. Questo
tipo di inganno può intrappolare persone innocenti e indurle confessare? Nel
corso degli anni, la ricerca di base ha dimostrato che la disinformazione può
alterare le percezioni, le convinzioni, i ricordi e i comportamenti delle
persone.
Per quanto riguarda la confessione, questa ipotesi è stata testata in un
esperimento di laboratorio. Studenti universitari avrebbero dovuto digitare su
una tastiera in quello che pensavano fosse uno studio sui tempi di reazione. A
un certo punto, i soggetti sono stati accusati di aver causato il crash del
computer, avendo premuto un tasto che era stato detto loro di non usare. È stato
chiesto loro di firmare una confessione. Tutti i soggetti che erano veramente
innocenti hanno inizialmente negato l'accusa. In alcune sessioni, una persona
che sapeva della finalità dell’esperimento ha dichiarato di aver assistito alla
pressione del tasto proibito. Questa falsa prova ha quasi raddoppiato il numero
di studenti che hanno firmato una confessione scritta, dal 48% al 94%. Una
seconda tattica problematica è la minimizzazione, il processo con cui chi
interroga minimizza il crimine, offrendo comprensione e giustificazioni morali.
Suggeriscono ai sospetti che le loro azioni sono state spontanee, accidentali,
provocate, pressate da altri o comunque giustificabili. La minimizzazione ha
aumentato non solo le confessioni da parte dei veri colpevoli, ma anche le false
confessioni da parte degli innocenti. Inoltre alcune persone sono più malleabili
di altre dal punto di vista della disposizione d'animo e a maggior rischio di
false confessioni.
Per esempio, gli individui la cui personalità li rende inclini alla cedevolezza
in situazioni sociali sono particolarmente vulnerabili a causa del desiderio di
compiacere gli altri e di evitare il confronto. Gli individui che sono inclini
alla suggestionabilità, i cui ricordi possono essere alterati da domande
fuorvianti e feedback negativi, sono anch'essi soggetti all'influenza. La
giovane età è un fattore di rischio particolarmente rilevante: più del 90% dei
minori che la polizia cerca di interrogare rinuncia ai diritti.
Antonio Giangrande.
Tutta la verità su un processo:
che vede Michele
Misseri condannato ad 8 anni per occultamento di cadavere, mentre da sempre si
dichiara colpevole dell'omicidio di Sarah Scazzi;
che vede Cosima
Serrano e Sabrina Misseri condannati all'ergastolo per un omicidio del quale si
dichiarano innocenti;
dove la corda dello
strangolamento si trasforma in cintura;
dove le pettegole
(parole di Coppi) vengono credute;
dove i testimoni si
intimidiscono (alla Spagnoletti: Sarah e Sabrina litigavano? Dì di sì);
dove i testimoni
anticipano l'orario di uscita di Sarah: dalle ore 14.30 alle ore 14 circa,
assecondando l'ipotesi accusatoria;
dove si fanno
passare per fatti veri i sogni dei testimoni;
dove si induce
Michele Misseri ad accusare la figlia Sabrina per l'ottenimento dello sconto di
pena per entrambi.
Parla Concetta
Serrano Spagnolo Scazzi, Claudio Scazzi, Valentina Misseri, Ivano Russo.
Marialucia
Monticelli, inviata del programma “Chi l’ha visto?”, Maria Corbi, giornalista de
“La Stampa”.
Walter Biscotti,
Franco Coppi, Nicola Marseglia, Roberta Bruzzone.
Brani tratti dalla
trasmissione “Tutta la Verità” trasmessa sull’emittente Nove il 26 aprile 2018
Antonio Giangrande:
I MAGISTRATI E LA SINDROME DELLA MENZOGNA.
Quando il Potere
giudiziario si nutre di pregiudizi e genera ingiustizia. Così scrive il dr
Antonio Giangrande, sociologo storico e scrittore che sul tema ha scritto dei
saggi pubblicati su Amazon.it.
Parliamo di
menzogne nelle aule di giustizia. I magistrati di Taranto del processo sul
delitto di Sarah Scazzi, requirenti con a capo il Pubblico Ministero Pietro
Argentino e giudicanti con a capo Rina Trunfio, hanno fondato le richieste e le
condanne sull’assunto che il delitto di Avetrana è una storia di bugie,
pettegolezzi, chiacchiere, depistaggi. Menzogne e reticenze dei protagonisti e
dei testimoni e se non questo non bastasse anche di tutta Avetrana.
Ed ecco il
paradosso che non ti aspetti. È proprio l’alto magistrato pugliese Pietro
Argentino a rischiare di dover fare i conti adesso con la giustizia, dopo che il
Tribunale di Potenza, competente per i reati commessi dai magistrati di Taranto,
ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per indagare sul
reato di falsa testimonianza proprio del procuratore aggiunto Argentino. Il pm
dovrà inoltre valutare la posizione di altre 20 persone, tra le quali molti
rappresentanti delle forze dell’ordine. La decisione della Corte è arrivata alla
fine del processo che ha visto la condanna a 15 anni di reclusione per l’ex pm
di Taranto Matteo Di Giorgio, condannato per concussione e corruzione semplice.
Eppure Pietro
Argentino è anche il numero due della procura di Taranto. È il procuratore
aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a
giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati.
Ciò nonostante a me
tocca difendere proprio i magistrati Tarantini che di me hanno fatto carne da
macello, facendomi passare senza successo autore della loro stessa infamia,
ossia di essere mitomane, bugiardo e calunniatore.
Come dire: son
tutti bugiardi chi sta oltre lo scranno del giudizio. Ma è proprio così?
Silenzio in aula,
prego. Articolo 497 comma 2 del Codice Penale, il testimone legga ad alta voce:
«Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia
deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di
quanto è a mia conoscenza». Il microfono fischia, la voce si impaccia, qualcuno
tentenna sul significato della parola «consapevole». Poi iniziano a piovere
menzogne. Il giudice di Aosta Eugenio Gramola - sì, quello del caso Cogne - ha
lanciato l’allarme a Niccolò Canzan sul suo articolo su “La Stampa” : «Ci
prendono per imbecilli. È incredibile come mentano con facilità davanti al
giudice. Sfrontati, fantasiosi. Senza la minima cura per la plausibilità del
racconto. Orari impossibili, contraddizioni lampanti, pasticci. L’incidenza dei
falsi testimoni è molto superiore a una media fisiologica, si attesta tra il 70
e l’80 per cento». Sette su dieci mentono, in Valle d’Aosta. Sembra uno di quei
casi in cui la geografia potrebbe significare qualcosa. L’Italia un Paese di
bugiardi, quasi una tara nel codice genetico: «Chi mente al giudice è furbo -
dice Gramola -. Essere bugiardo fa ridere, piace, non comporta disvalore
sociale. Mentre indicare la menzogna come un grave atto contro la Giustizia è da
biechi moralisti e puritani». Totò e Peppino erano all’avanguardia, è risaputo.
«Caffè, panini, false testimonianze!», urlavano nel 1959 nel film «La Cambiale».
Dall’alto della civilissima Valle d’Aosta, al cospetto di storie magari più
piccole eppure significative, il giudice Gramola ha un guizzo d’orgoglio: «Certe
volte, più che a testimoni ci troviamo di fronte ad amici delle parti in
conflitto. E questi bugiardi sono poi magari gli stessi che si scagliano contro
una giustizia che non funziona».
D’altro canto la
procura di Milano ha rinviato a giudizio tutti i testimoni della difesa nel
cosiddetto “processo Rubi”, che sono 42, più i due avvocati della difesa: in
tutto 44. Ora, pensare che 42 testimoni fra i quali deputati, senatori,
giornalisti, funzionari di polizia abbiano, tutti, giurato il falso, è una cosa
a dir poco stravagante, scrive Luigi Barozzi. Il capo d’accusa non è ancora
definito, ma andrà probabilmente dalla falsa testimonianza alla corruzione in
atti giudiziari. In soprannumero, anche i legali verranno rinviati a giudizio, e
al normale cittadino sorgono alcuni dubbi.
- E’ mai possibile
che 42 persone, di varia provenienza sociale e professionale, siano tutti
bugiardi-spergiuri o peggio?
- E’ mai possibile
che lo siano pure i legali della difesa i quali, in un società civile, incarnano
un principio quasi sacro: il diritto dell’imputato, anche se si tratta della
persona peggiore del mondo, di essere difeso in giudizio?
- Non sarà, per
caso, che la sentenza fosse già scritta e che il disturbo arrecato dai testi
della difesa alla suddetta sentenza abbia irritato la Procura di Milano tanto da
farle perdere la trebisonda?
Trattando il tema
della menzogna ci si imbatte frequentemente in definizioni che fanno uso di
molti sinonimi quali inganno, errore, finzione, burla, ecc…, le quali, anziché
restringere i confini semantici del concetto di menzogna, tendono ad allargarli
creando spesso confusione, scrive Il valore positivo della bugia - Dott.ssa
Maria Concetta Cirrincione - psicologa. Un primo tentativo per circoscrivere
tale area semantica consiste nel definire la differenza tra menzogna e inganno.
La menzogna e il suo sinonimo bugia, usato prevalentemente in relazione
all’infanzia, và considerata una modalità tra le altre di ingannare, perciò
possiamo definirla come una sorta di “sottoclasse “ dell’inganno. La sua
caratteristica distintiva consiste nel fatto di essere essenzialmente un atto
comunicativo di tipo linguistico, ossia la rivelazione di un contenuto falso
attraverso la comunicazione verbale o scritta. Questo impone la presenza di
almeno un comunicatore, di un ricevente e di un messaggio verbale che non
corrisponde a verità. L’inganno si esplica invece, non solo attraverso l’atto
comunicativo della menzogna, ma anche attraverso comportamenti tesi ad incidere
sulle conoscenze, motivazioni, aspettative dell’interlocutore. (De Cataldo
Neuburgher L. , Gullotta G., 1996). Secondo questa prospettiva, l’omissione di
informazioni non è tanto una menzogna, quanto un inganno. La comunicazione è una
condizione sufficiente ma non necessaria perché si possa ingannare. A volte si
inganna facendo in modo che:
- l’altro sappia
qualcosa di non vero (es: A va sul tetto e fa cadere acqua dalla grondaia, B
vede l’acqua e viene ad assumere che piove);
- l’altro creda
qualcosa di non vero (es: B guardando l’acqua fuori dalla finestra, commenta:
“piove”, e A non lo smentisce);
- l’altro non venga
a conoscenza della verità (A chiude l’altra finestra dalla quale non si vede
l’acqua cadere, in modo che B continui a credere il falso);
L’inganno, quindi,
si esplica attraverso qualsiasi canale verbale e non verbale (mimica facciale,
gestualità, tono di voce), mentre la menzogna utilizza specificatamente il
canale verbale. Mentire è un comportamento diffuso, tipicamente umano, non è
tipico dell’adolescenza, né necessariamente un indice di psicopatologia; di
solito viene valutato infatti da un punto di vista etico più che
psicopatologico. Non appena i bambini sono in grado di utilizzare il linguaggio
con sufficiente competenza sperimentano la possibilità di affermare a parole una
verità del desiderio e del sentimento diversa da quella oggettiva.
E’ noto che i
bambini non hanno la stessa proprietà di linguaggio degli adulti, per cui spesso
gli adulti chiamano bugia ciò che per il bambino è espressione di paure, di
bisogno di rassicurazione o di percezione inesatta della realtà. Si può parlare
di bugia quando si nota l’intenzione di “barare”, e comporta un certo livello di
sviluppo. Nei bambini avviene come messa alla prova per misurare poi la reazione
degli adulti al suo comportamento. Nel crescere assume anche altri significati
poiché dipende da diverse variabili; può dipendere dalla situazione che si sta
vivendo, dalla persona alla quale è rivolta o dallo scopo che si vuole
raggiungere. E’ utile pertanto una classificazione che ci permetta di orientarci
meglio al suo interno, sebbene tale classificazione può risultare artificiosa
dal momento che i vari tipi di menzogna tendono spesso a sovrapporsi e a
confondersi tra loro. Si possono distinguere (Lewis M., Saarni C. , 1993):
bugie caratteriali
(bugie di timidezza, bugie di discolpa, bugie gratuite);
bugie di evitamento
(evitare la punizione, difendere la privacy);
bugie di difesa
(bugie per proteggere se stessi o gli altri);
bugie di
acquisizione (bugie per acquistare prestigio, per ottenere un vantaggio);
bugie alle quali lo
stesso autore crede (pseudologie);
autoinganno.
BUGIE DI TIMIDEZZA:
una motivazione che può spingere a raccontare bugie è la timidezza. Alla sua
radice c’è una concezione negativa di se stessi; i timidi affrontano la vita con
la sensazione di essere inferiori rispetto alla maggioranza degli altri esseri
umani e questo modo di pensare condiziona le loro relazioni in molteplici modi.
Uno di questi è la tendenza a raccontare menzogne per apparire migliori agli
occhi degli altri, per nascondersi, per evitare situazioni sociali nelle quali
si sentirebbero inadeguati e imbarazzati.
BUGIE DI DISCOLPA:
ci sono menzogne che derivano dalla necessità di discolparsi da accuse più o
meno fondate. E’ un atteggiamento diffuso nei bambini che può permanere in
soggetti adulti insicuri nei quali spesso si riscontra un sentimento
d’inferiorità e l’incapacità di affrontare le proprie responsabilità.
BUGIE GRATUITE:
generalmente dietro alla maggior parte delle bugie si nasconde un bisogno, un
desiderio, uno scopo che il soggetto vuole raggiungere. Spesso invece ci
troviamo di fronte a menzogne che non lasciano intuire che cosa vuole
raggiungere il soggetto, sono le bugie che vengono raccontare per puro
divertimento, per allegria, per dare sfogo alla fantasia.
BUGIE PER EVITARE
LA PUNIZIONE: evitare la punizione è un motivo molto comune delle bugie degli
adulti, ma prevalentemente dei bambini. Questi ultimi imparano a mentire ben
presto quando si rendono conto di aver commesso una trasgressione, già a 2-3
anni essi sono in grado di attuare degli inganni in contesti naturali come la
famiglia.
BUGIE PER DIFENDERE
LA PRIVACY: la salvaguardia della privacy è un motivo che spinge spesso i
ragazzi adolescenti, ma anche gli adulti, a raccontare bugie. Nell’adolescenza
emerge nei ragazzi il bisogno di crearsi uno spazio proprio, di decidere se
raccontare o meno le loro esperienze e le loro emozioni. Se da un lato ciò deve
essere rispettato dai genitori, dall’altro costituisce un problema a causa del
loro bisogno di protezione nei confronti del figlio.
BUGIE PER
PROTEGGERE SE STESSI O GLI ALTRI: nella vita di ogni giorno ci sono svariate
situazioni che portano una persona a mentire per proteggere se stessa o i
sentimenti di persone care. Se alla nostra festa di compleanno riceviamo un
regalo che non ci piace o quanto meno lo consideriamo inutile, è molto
improbabile che lo diremo chi ce l’ha donato; è probabile invece che,
dissimulando la delusione, ci mostreremo entusiasti. Gli adulti mentono per
cortesia e questa regola sociale viene ben presto assimilata anche dai bambini.
Essi imparano a proteggere i sentimenti degli altri attraverso un’istruzione
diretta data dai genitori, ma anche indirettamente osservandone il
comportamento.
BUGIE PER
ACQUISTARE PRESTIGIO: sono delle bugie compensatorie che traducono non tanto la
ricerca di un beneficio concreto, ma la ricerca di un’immagine che il soggetto
ritiene perduta o inaccessibile: si inventa una famigli più ricca, più nobile o
più sapiente, si attribuisce dei successi scolastici o lavorativi. In realtà
questa bugia è da considerarsi normale nell’infanzia e finchè occupa un posto
ragionevole nell’immaginazione del bambino. Tale condotta viene considerata
banale fino ai 6 anni, la sua persistenza oltre tale età segnala invece spesso
delle alterazioni psicopatologiche.
PSEUDOLOGIE: sono
delle bugie alle quali lo stesso autore crede. Più specificatamente viene
definita “pseudologia fantastica” una situazione intenzionale e dimostrativa di
esperienze impossibili e facilmente confutabili (Colombo, 1997). E’ un puro
frutto di immaginazione presente in bugiardi patologici ed è una caratteristica
tipica della Sindrome di Mùnchausen.
AUTOINGANNO: il
mentire a se stessi è un particolare tipo di menzogna che ci lascia interdetti e
confusi dal momento che il soggetto è contemporaneamente ingannatore e
ingannato. L’autoinganno è l’inganno dell’Io operato dall’Io, a vantaggio o in
rapporto all’Io (Rotry, 1991). In esso vengono messi in atto meccanismi di
difesa come la razionalizzazione e la denegazione. Attraverso la
razionalizzazione il soggetto inventa spiegazioni circa il comportamento proprio
o altrui che sono rassicuranti o funzionali a se stesso, ma non corrette. Il
soggetto da un lato può celare a se stesso la reale motivazione di alcuni
comportamenti ed emozioni, e dall’altro riesce a nascondere ciò che sa
inconsciamente e non vuole conoscere. Attraverso la denegazione, invece, il
soggetto rifiuta di riconoscere qualche aspetto della realtà interna o esterna
evidente per gli altri. Potremo fare l’esempio dell’alcolista che mente a se
stesso dicendosi che non ha nessun problema o delle famiglie in cui si fa “finta
di niente, finta di non capire”.
Intanto per i
magistrati coloro che si presentano al loro cospetto son tutti bugiardi. Persino
i loro colleghi che usano lo stesso sistema di giudizio per l’altrui
valutazione.
Eppure Pietro
Argentino è il numero 2 della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che
ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i
vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati, scrive Augusto Parboni su “Il Tempo”. È
l’alto magistrato pugliese Pietro Argentino a rischiare di dover fare i conti
adesso con la giustizia, dopo che il Tribunale di Potenza, competente per i
reati commessi dai magistrati di Taranto, ha disposto la trasmissione degli atti
al pubblico ministero per indagare sul reato di falsa testimonianza proprio del
procuratore aggiunto Argentino. Il pm dovrà inoltre valutare la posizione di
altre 20 persone, tra le quali molti rappresentanti delle forze dell’ordine. La
decisione della Corte è arrivata alla fine del processo che ha visto la condanna
a 15 anni di reclusione per l’ex pm di Taranto Matteo Di Giorgio, condannato tre
giorni fa per concussione e corruzione semplice. Al termine del processo, ecco
abbattersi sulla procura di Taranto la pensate tegola della trasmissione degli
atti per indagare proprio su chi ricopre un ruolo di vertice nella procura
pugliese. Argentino è a capo del pool che ha chiesto il rinvio a giudizio, tra
l’altro, del presidente della Puglia, Nichi Vendola, nell’ambito delle indagini
sulle emissioni inquinanti dello stabilimento Ilva. Vendola è accusato di
concussione in concorso con i vertici dell’Ilva, per presunte pressioni
sull’Arpa Puglia affinché «ammorbidisse» la pretesa di ridurre e rimodulare il
ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico. Attraverso quel - le presunte
pressioni, Vendola - secondo la procura - avrebbe minacciato il direttore Arpa
Giorgio Assennato, «inducendolo a più miti consigli», approfittando del fatto
che Assennato fosse in scadenza di mandato e che rischiasse di non essere
riconfermato. Accusa sempre respinta da Vendola.
Quindici anni di
reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre in più rispetto ai dodici
chiesti dal pubblico ministero, scrive “Il Quotidiano di Puglia”. È un terremoto
che si abbatte sul palazzo di giustizia di Taranto la sentenza che il Tribunale
di Potenza ha pronunciato nei confronti dell’ex pubblico ministero della procura
di Taranto Matteo Di Giorgio. Un terremoto anche perché i giudici potentini -
competenti per i procedimenti che vedono coinvolti magistrati tarantini - hanno
disposto la trasmissione degli atti alla Procura perché valuti la sussistenza
del reato di falsa testimonianza a carico del procuratore aggiunto di Taranto,
Pietro Argentino, e l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci, di Gallipoli.
Il Tribunale di
Potenza ha condannato a 15 anni di reclusione l’ex pubblico ministero di
Taranto, Matteo Di Giorgio, accusato di concussione e corruzione in atti
giudiziari, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Come pena accessoria è stata
disposta anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. La pubblica accusa
aveva chiesto la condanna alla pena di 12 anni e mezzo. Il Tribunale di Potenza
(presidente Gubitosi), competente a trattare procedimenti in cui sono coinvolti
magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Lecce, ha inoltre inflitto
la pena di tre anni di reclusione all’ex sindaco di Castellaneta (Taranto) Italo
D’Alessandro e all’ex collaboratore di quest’ultimo, Agostino Pepe; 3 anni e 6
mesi a Giovanni Coccioli, 2 anni a Francesco Perrone, attuale comandante dei
vigili urbani a Castellaneta, 2 anni ad Antonio Vitale e 8 mesi a un imputato
accusato di diffamazione. L'ex pm Di Giorgio, sospeso cautelativamente dal Csm,
fu arrestato e posto ai domiciliari nel novembre del 2010. Le contestazioni
riguardano presunte minacce in ambito politico e ai danni di un imprenditore,
altre per proteggere un parente, e azioni dirette a garantire l’attività di un
bar ritenuto dall’accusa completamente abusivo. Il magistrato secondo l'accusa,
ha anche minacciato di un “male ingiusto” un consigliere comunale di
Castellaneta, costringendolo a dimettersi per provocare lo scioglimento del
Consiglio comunale e assumere una funzione di guida politica di uno
schieramento. L'ex sindaco di Castellaneta ed ex parlamentare dei Ds Rocco
Loreto, che presentò un dossier a Potenza contro il magistrato, e un
imprenditore, si sono costituiti parte civile ed erano assistiti dall’avv.
Fausto Soggia. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la trasmissione degli
atti alla procura per valutare la posizione di diversi testimoni in ordine al
reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono cui l’ex procuratore di Taranto
Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino.
Complessivamente il Tribunale ha trasmesso alla procura gli atti relativi alle
testimonianze di 21 persone, quasi tutti carabinieri e poliziotti. Tra questi
l’ex vicequestore della polizia di Stato Michelangelo Giusti.
Le indagini dei
militari del nucleo operativo e della sezione di polizia giudiziaria dei
carabinieri di Potenza coordinati dal pm Laura Triassi erano partite nel 2007,
scrive “Il Quotidiano Web”. Lo spunto era arrivato dall'esposto di un ex
assessore di Castellaneta, Vito Pontassuglia, che ha raccontato di aver spinto
alle dimissioni un consigliere comunale, nel 2001, paventandogli un possibile
arresto del figlio e del fratello per droga da parte del pm Di Giorgio. Quelle
dimissioni che avrebbero causato le elezioni anticipate spianando la strada agli
amici del pm, e a lui per l’incarico di assessore della giunta comunale. Gli
interessi del magistrato nelle vicende politiche del paese avrebbero incrociato,
sempre nel 2007, le ambizioni dell'ex senatore Rocco Loreto, un tempo amico di
Di Giorgio, ma in seguito arrestato per calunnia nei suoi confronti, che si era
candidato come primo cittadino. Di Giorgio è stato condannato anche al
risarcimento dei danni subiti da Loreto, da suo figlio e da Pontassuglia. Per
lui la richiesta dell'accusa si era fermata a 12 anni e mezzo di reclusione. Le
motivazioni della decisione verranno depositate entro 90 giorni, ma non mi
sorprende il fatto che esse conterranno il riferimento alla dubbia credibilità
di imputati e testimoni.
MICHELE MISSERI NEL
MONDO. LE CONFESSIONI ESTORTE DALLE PROCURE AVALLATE NEI TRIBUNALI..
Quando la verità su cosa ci circonda ci è suggerita dalla fiction straniera.
Confessione falsa estorta. Quando l’interrogato è costretto a confessare.
Tecniche di interrogatorio consapevolmente torturanti. Manipolare, distorcere le
parole, convincere che la confessione è una liberazione. Spingere un uomo a
confessare il falso. Come estorcere una confessione.
Quasi nessuno sa, ed i media colpevolisti hanno interesse a non farlo sapere,
che vi è una vera e propria strategia per chiudere in fretta i casi illuminati
dalle telecamere delle tv. Strategia, oggetto di studio americana, ignorata da
molti avvocati nostrani e non accessibile alla totalità degli studiosi della
materia.
Tecniche di interrogatorio consapevolmente torturanti. Manipolare, distorcere le
parole, convincere che la confessione è una liberazione. Spingere un uomo a
confessare il falso.
Come estorcere una confessione. HOW TO FORCE A CONFESSION:
Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto. MENTAL EXHAUSTION.
La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa di
colpevolezza.
La promessa di una via d’uscita. THE PROMISE OF ESCAPE. Farlo sentire in
trappola quando è stanco, esausto, in disagio, claustrofobia.
Offrire una ricompensa. OFFER A REWARD. Lo stato di disagio psicologico o
bisogno fisico (fame, sete, freddo, caldo, andare al bagno) o per salvare una
persona amata da un imminente pericolo di coinvolgimento o con la concessione a
questa di uno sconto di pena.
Suggerire le parole per la confessione. FORCING LANGUAGE
Studio tratto da Bull. Stagione 1. Episodio 5: Vero o falso? Mandato in onda da
Rai 2 Domenica 5 marzo 2017 ore 21,00.
Bull e la sua squadra prendono le difese del giovane Richard Fleer che ha
confessato di avere ucciso la sua ricca fidanzata, messo sotto pressione
dall'interrogatorio della Polizia...
HOW TO
FORCE A CONFESSION: Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto.
MENTAL
EXHAUSTION. La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa
di colpevolezza. La promessa di una via d’uscita.
THE
PROMISE OF ESCAPE. Farlo sentire in trappola quando è stanco, esausto, in
disagio, claustrofobia. Offrire una ricompensa.
OFFER
A REWARD. Lo stato di disagio psicologico o bisogno fisico (fame, sete, freddo,
caldo, andare al bagno) o per salvare una persona amata da un imminente
pericolo. Suggerire le parole per la confessione.
FORCING LANGUAGE
Video
tratto da Bull. Stagione 1. Episodio 5: Vero o falso? Mandato in onda da Rai 2
Domenica 5 marzo 2017 ore 21,00. Bull e la sua squadra prendono le difese del
giovane Richard Fleer che ha confessato di avere ucciso la sua ricca fidanzata,
messo sotto pressione dall'interrogatorio della Polizia...
Yara Gambirasio e quelle confessioni mai rese. Rosa, Olindo, Sabrina Misseri e
gli altri,
scrive il 22/06/2014 L'Huffington Post. La storia di Yara ha diviso e scatenato
le polemiche. Chi difende Massimo Giuseppe Bossetti e chi invece lo vede come il
colpevole dell'omicidio della piccola. La sua confessione negata però non è la
prima. La Stampa rivive tutti i casi di cronaca dove i colpevoli hanno negato
sempre tutto. Nel reticolo di dolori che percorre l’indagine sulla fine di Yara
lascia due gocce di stupore e di tenerezza la voce della madre di Giuseppe
Bossetti, in carcere perché accusato dell’omicidio: «La scienza ha sbagliato».
Difende il figlio, la famiglia di ieri e di oggi, il proprio passato e il
proprio onore. L’ostinato negare è una costante del processo, per innocenza o
per fede nell’effetto del dubbio, per un attimo d’ombra della mente o per
vergogna sociale.
Rosa e Olindo Romano: all'inizio avevano confessato, poi ritrattato parlando di
"lavaggio del cervello". Non è bastato. Sono stati condannati all'ergastolo nel
2011.
Anna Maria Franzoni: Ha sempre negato, in tribunale come in Tv, rifiutando
l'ipotesi della rimozione mentale. Condannata a 16 anni per aver ucciso il
figlio Samuele.
Paolo Stroppiana: ha sempre negato, ma le sue menzogne lo hanno alla fine
condannato: sta scontando 14 anni per la morte di Marina di Modica.
Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro: omicidio colposo 6 anni e favoreggiamento
(2 anni) per l'omcidio di Marta Russo. Teorizzavano il delitto perfetto.
Sabrina Misseri: Tutti la ricordano sempre in TY per la scomparsa della cugina
Sarah Scazzi. Poi la condanna senza confessione.
Antonio Giangrande: Non solo Milano. Tribunale di Taranto. Guerra di toghe.
Cosa è che l’Italia dovrebbe sapere e che la stampa tarantina tace?
«Se
corrispondesse al vero la metà di quanto si dice, qui parliamo di fatti
gravissimi impunemente taciuti», commenta Antonio Giangrande, autore del libro
“Tutto su Taranto, quello che non si osa dire”, pubblicato su Amazon.
Mio
malgrado ho trattato il caso dell’ex Sostituto Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Taranto, Matteo Di Giorgio, così come altri casi della
città di Taranto. Questioni che la stampa locale ha badato bene di non
affrontare. Prima che iniziassero le sue traversie giudiziarie consideravo il
dr. Matteo Di Giorgio uno dei tanti magistrati a me ostile. Ne è prova alcune
richieste di archiviazione su mie denunce penali. Dopo il suo arresto ho voluto
approfondire la questione ed ho seguito in video la sua conferenza stampa, in
cui esplicava la sua posizione nella vicenda giudiziaria, che fino a quel
momento non aveva avuto considerazione sui media. Il contenuto del video è stato
da me tradotto fedelmente in testo. Sia il video, sia il testo, sono stati
pubblicati sui miei canali informativi. Il seguito è fatto noto: per Matteo Di
Giorgio quindici anni di reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre
in più rispetto ai dodici chiesti dal pubblico ministero. Il Tribunale di
Potenza (presidente Gubitosi), competente a trattare procedimenti in cui sono
coinvolti magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Lecce, ha inoltre
inflitto la pena di tre anni di reclusione all’ex sindaco di Castellaneta
(Taranto) Italo D’Alessandro e all’ex collaboratore di quest’ultimo, Agostino
Pepe; 3 anni e 6 mesi a Giovanni Coccioli, 2 anni a Francesco Perrone,
comandante dei vigili urbani a Castellaneta, 2 anni ad Antonio Vitale e 8 mesi
ad un imputato accusato di diffamazione.
L'ex pm Di Giorgio, sospeso cautelativamente dal Csm, fu arrestato e posto ai
domiciliari nel novembre del 2010. Le contestazioni riguardano presunte minacce
in ambito politico e ai danni di un imprenditore, altre per proteggere un
parente, e azioni dirette a garantire l’attività di un bar ritenuto dall’accusa
completamente abusivo. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la
trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione di diversi
testimoni in ordine al reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono l’ex
procuratore di Taranto Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di Taranto
Pietro Argentino. Complessivamente il Tribunale di Potenza ha trasmesso alla
procura gli atti relativi alle testimonianze di 21 persone, quasi tutti
carabinieri e poliziotti. Tra questi l’ex vicequestore della polizia di Stato
Michelangelo Giusti.
Eppure Pietro Argentino è il numero due della procura di Taranto. È il
procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di
rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati.
Pietro Argentino è il pubblico Ministero che con Mariano Buccoliero ha tenuto il
collegio accusatorio nei confronti degli imputati del delitto di Sarah Scazzi ad
Avetrana.
Possibile che sia un bugiardo? I dubbi mi han portato a fare delle ricerche e
scoprire cosa ci fosse sotto. Ed è sconcertante quello che ho trovato. La
questione è delicata. Per dovere-diritto di cronaca, però, non posso esimermi
dal riportare un fatto pubblico, di interesse pubblico, vero (salvo smentite) e
continente. Un fatto pubblicato da altre fonti e non posto sotto sequestro
giudiziario preventivo, in seguito a querela. Un fatto a cui è doveroso, contro
censura ed omertà, dare rilevanza nazionale, tramite i miei 1500 contati
redazionali.
«Come volevasi dimostrare nessuno dei giornali italiani nazionali o locali ha
più parlato dopo il primo maggio 2014 dei quindici anni di galera inflitti al
Magistrato di Taranto Matteo Di Giorgio e dell’incriminazione per falsa
testimonianza inflitta al Procuratore Aggiunto di Taranto Pietro Argentino,
scrive Michele Imperio. Ma “La Notte” no. “La Notte” non ci sta a questa non
informazione o a questa disinformazione. Quando assunsi la direzione di questo
glorioso giornale, che ora sta per riuscire nella sua versione cartacea, dissi
che avremmo sempre raccontato ai nostri lettori tutta la verità, solo la verità,
null’altro che la verità e avremmo quindi sfidato tutte le distorsioni
giornalistiche altrui, tutti i silenzi stampa, tutti i veti incrociati dei
segmenti peggiori del potere politico. Strano cambiamento. Sarà stata
l’aspirazione di candidarsi Presidente della Provincia di Taranto per il
centro-destra, maturata nel 2008. Ancora alcuni anni fa infatti il giudice
Matteo Di Giorgio era ritenuto il più affidabile sostituto procuratore della
Repubblica della Procura della Repubblica di Taranto, tanto da essere insignito
della prestigiosa carica di delegato su Taranto della Procura Distrettuale
Antimafia di Lecce. Subì perfino un attentato alla persona per il suo alacre
impegno contro il crimine organizzato. Sette capi di imputazione! Però sin poco
dopo il mandato di cattura tutti hanno capito subito che qualcosa non andava in
quel processo, perché in sede di giudizio sul riesame di quei capi di
imputazione la Corte di Cassazione ne aveva annullati ben tre (censure che la
Cassazione, in sede di riesame, non muove praticamente mai!) e il resto della
motivazione della Cassazione sembrava un’invocazione rivolta ai giudici di
marito: Non posso entrare nel merito – diceva la Cassazione – ma siete sicuri
che state facendo bene? Tutti i commenti della Rete su questo caso sono stati
estremamente critici, quanto meno allarmati. Invece i vari giornali locali, dopo
aver dato la notizia il giorno dopo, non ne hanno parlato più. Scrive invece
sulla Rete – per esempio – il prof. Mario Guadagnolo, già sindaco di Taranto dal
1985 al 1990: “Premetto che io – scrive (Guadagnolo) – non conosco il dott. Di
Giorgio nè ho alcuna simpatia per certi magistrati che anzichè amministrare la
giustizia la usano per obbiettivi politici. Ma 15 anni sono troppi se paragonati
ai 15 anni di Erika e Omar che hanno massacrato con sessanta pugnalate la madre
e il fratellino di sette anni o con i 15 anni comminati alla Franzoni che ha
massacrato il figlioletto Samuele. Qui c’è qualcosa che non funziona. Non so
cosa ma è certo che c’è qualcosa che non funziona”. Trovo molto singolare che il
Procuratore Aggiunto di Taranto Pietro Argentino sarà incriminato di falsa
testimonianza a seguito del processo intentato contro il dott. Matteo Di Giorgio
- scrive ancora l’avv. Michele Imperio su “Tarastv” e su “La Notte on line” - A
parte la stima che tutti riservano per la persona, il dott. Pietro Argentino
aveva presentato al CSM domanda per essere nominato Procuratore Capo proprio
della Procura di Potenza e il CSM tiene congelata questa delicata nomina da
diversi anni. L'attuale Procuratore Capo di Potenza Laura Triassi è solo un
facente funzioni e sicuramente anche lei aspirerà alla carica. Certamente questa
denuncia terrà bloccata per molti anni una eventuale nomina del dott. Pietro
Argentino a Procuratore Capo di una qualsiasi Procura. La sua carriera è stata
quindi stroncata. Laura Triassi è inoltre sorella di Maria Triassi,
professoressa dell'università di Napoli la quale fu incaricata della perizia
epidemiologica nel processo Ilva dal noto Magistrato Patrizia Todisco, la quale
è lo stesso Magistrato che già aveva denunciato alla Procura della Repubblica di
Potenza il collega Giuseppe Tommasino, poi assolto e che aveva invece lei stessa
assolto dal reato di concorso esterno in associazione a delinquere il noto
pregiudicato Antonio Fago, mandante - fra l'altro - di un grave attentato
dinamitardo a sfondo politico, che poteva provocare una strage. Il conflitto Di
Giorgio-Loreto lo conosciamo già. Ma di un altro conflitto che sta dietro questo
processo non ha parlato mai nessuno. Alludiamo al conflitto Di Giorgio-Fitto. Se
infatti il dott. Matteo Di Giorgio fosse stato nominato presidente della
provincia di Taranto sarebbero saltati per aria tanti strani equilibri che
stanno molto cari all'on.le Fitto e non solo a lui. Inoltre trovo molto strano
che l'on.le Raffaele Fitto, il quale fa parte di un partito molto critico nei
confronti di certe iniziative giudiziarie, quanto meno esagerate, non abbia mai
detto una sola parola su questa vicenda, che vedeva peraltro coinvolto un
Magistrato dell'area di centro-destra. Come pure non una sola parola, a parte
quelle dopo l'arresto, è stata mai detta sulla vicenda dall'attuale Procuratore
Capo della Repubblica di Taranto dott. Franco Sebastio. E nel processo sulla
malasanità di Bari compaiono intercettazioni telefoniche fra il dott. Sebastio e
il consigliere regionale dell'area del P.D. ostile al sindaco di Bari Michele
Emiliano, Michele Mazzarano, nel corso delle quali il dott. Sebastio esprimeva
sfavore per la nomina a Procuratore Aggiunto del dott. Pietro Argentino. Nel
corso di una dichiarazione pubblica il dott. Sebastio espresse invece, in modo
del tutto sorprendente, soddisfazione per l'arresto del dott. Matteo Di Giorgio
e disse che auspicava che anche un secondo Magistrato fosse stato allontanato
dalla Procura della Repubblica di Taranto (Argentino?). Ora, guarda un pò, anche
il dott. Argentino potrebbe essere sospeso dalle funzioni o trasferito di
sede....Ciò che è accaduto al Tribunale di Potenza è, quindi, come ben
comprenderete, un fatto di una gravità inaudita e sottintende un conflitto fra
Magistrati per gestioni politiche di casi giudiziari, promozioni e incarichi
apicali, mai arrivato a questi livelli. Voglio fare alcune premesse utili perchè
il lettore capisca che cosa c’è sotto. Sia a Taranto che a Potenza, patria di
Angelo Sanza, sottosegretario ai servizi segreti quando un parte del Sisde
voleva assassinare Giovanni Falcone e un’altra parte del Sisde non era d’accordo
(e lui da che parte stava?), come forse anche in altre città d’Italia, opera da
decenni una centrale dei servizi segreti cosiddetti deviati in realtà
atlantisti, che condiziona anche gli apparati giudiziari e finanche quelli
politici della città. Di sinistra. Così pure altra sede dei servizi segreti
atlantisti questa volta di destra, opera a Brindisi. La sezione di Taranto in
particolare appartiene sicuramente a quell’area politica che Nino Galloni
avrebbe chiamato della Sinistra politica democristiana cioè una delle tre
correnti democristiane, in cui si ripartiva la vecchia Sinistra Democristiana
che erano – lo ricordo a me stesso – la Sinistra sociale capeggiata dall’on.le
Carlo Donat Cattin, il cui figlio è stato suicidato-assassinato; la Sinistra
morotea capeggiata dall’on.le Aldo Moro, assassinato, e poi inutilmente e per
brevissimo tempo riesumata dal Presidente della Regione Sicilia Piersanti
Mattarella, anche lui assassinato; la Sinistra politica capeggiata dai vari De
Mita, Mancino, Rognoni, Scalfaro e Prodi, i quali non sono stati mai nemmeno
scalfiti da un petardo. Ma torniamo a noi e ai giudici tarantini Pietro
Argentino e Matteo Di Giorgio. La cui delegittimazione – per completezza di
informazione – è stata preceduta da un’altra clamorosa delegittimazione di un
altro Giudice dell’area di centro destra, il capo dei g.i.p. del Tribunale di
Taranto Giuseppe Tommasino, fortunatamente conclusasi con un’assoluzione e
quindi con un nulla di fatto. Quindi Tommasino, Di Giorgio, Argentino, a Taranto
dovremmo cominciare a parlare di un vero e proprio stillicidio di incriminazioni
e di delegittimazioni a carico di Magistrati della Procura o del Tribunale non
appartenenti all’area della Sinistra Politica Democristiana o altra area
alleata, ovvero all’area della Destra neofascista finiana. L’indagine a carico
del Dott. Matteo Di Giorgio è durata circa due anni ed è stata condotta da un
Maresciallo dei Carabinieri espulso dall’arma e caratterizzata dall’uso di
cimici disseminate in tutti gli uffici del Tribunale di Taranto e della Procura.
E’ capitato personalmente a me di essere invitato dal giudice Giuseppe Di
Sabato, (g.i.p.), un Magistrato che non c’entrava niente con l’inchiesta, di
essere invitato a interloquire con lui al bar del Tribunale anziché nel suo
ufficio, perchè anche nel suo ufficio c’erano le cimici di Potenza. Ma c’è di
più! La Sinistra Politica democristiana vuole diventare a Taranto assolutamente
dominante sia in Tribunale che in tutta la città, perché corre voce che due
Magistrati, uno della Procura l’altro del G.I.P., resi politicamente forti dalla
grande pubblicità e visibilità del processo Ilva, starebbero per passare alla
politica, uno come candidato sindaco l’altro come parlamentare, quando sarà.»
Sembra che il cerchio si chiuda con la scelta del Partito democratico caduta su
Franco Sebastio, procuratore capo al centro dell’attenzione politica e mediatica
per la vicenda Ilva, intervistato da Francesco Casula su “La Gazzetta del
Mezzogiorno”.
Procuratore Sebastio, si può giocare a carte scoperte: il senatore Alberto
Maritati alla Gazzetta ha ammesso di averle manifestato l’idea del Partito
democratico di averla in lista per il Senato...
«Io
conosco il senatore Maritati da tempo, da quando era pretore a Otranto. Siamo
amici e c’è un rapporto di affettuosa stima reciproca. Ci siamo trovati a
parlare del più e del meno... É stato un discorso scherzoso, non ricordo nemmeno
bene i termini della questione».
Quello che può ricordare, però, è che lei ha detto no perché aveva altro da
fare...
«Mi
sarà capitato di dire, sempre scherzosamente, all’amico e all’ ex collega che
forse ora, dopo tanti anni, sto cominciando a fare decentemente il mio lavoro.
Come faccio a mettermi a fare un’attività le cui caratteristiche non conosco e
che per essere svolta richiede qualità elevate ed altrettanto elevate capacità?
É stato solo un discorso molto cordiale, erano quasi battute. Sa una cosa? La
vita è così triste che se non cerchiamo, per quanto possibile, di sdrammatizzare
un poco le questioni, diventa davvero difficile».
«Candidare il procuratore Franco Sebastio? Sì, è stata un'idea del Partito
democratico. Ne ho parlato con lui, ma ha detto che non è il tempo della
politica». Il senatore leccese Alberto Maritati, intervistato da Francesco
Casula su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, conferma così la notizia anticipata
dalla Gazzetta qualche settimana fa sull’offerta al magistrato tarantino di un
posto in lista per il Senato.
Senatore Maritati, perchè il Pd avrebbe dovuto puntare su Sebastio?
«Beh, guardi, il procuratore è un uomo dello Stato che ha dimostrato sul campo
la fedeltà alle istituzioni e non solo ora con l'Ilva. Possiede quei valori che
il Pd vuole portare alla massima istituzione che è il Parlamento. Anche il suo
no alla nostra idea è un esempio di professionalità e attaccamento al lavoro che
non sfocia mai in esibizionismo». Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Le tavole del maestro Igor Belansky intitolate: lo squalo
della finanza, che evocano poveri cittadini vessati e spolpati, mi ricordano i
poveri cristi che incontri al supermercato a snocciolare i prezzi. Sono quei
disgraziati che vivono di pensione sociale al di sotto di 500 euro o anche i
pensionati minimi, se non addirittura i percettori di reddito di cittadinanza, o
quelli senza alcun reddito, esclusi da cervellotiche leggi di sostegno alla
povertà. Certo non quei professoroni che vanno per la maggiore sui media, che
cercano di scegliersi il miglior reddito presente, per la miglior pensione
futura.
Appunto, quei disgraziati che comparano il costo delle vivande necessarie prima
e dopo gli aumenti di prezzo ingiustificati. Scegliendo di privarsene in tutto o
in parte, per poter centellinare le spese e sopperire all’aggravio del bilancio
familiare. Sapendo bene che se tutto tornasse come prima, difficilmente i prezzi
di quei prodotti tornerebbero come prima.
Certo i poveri, ma non certo ignoranti, i conti li sanno fare.
Si chiedono: come mai se fluttua il prezzo del gas, aumenta tutto, anche quello
che nulla ha a che fare con esso?
Si chiedono ancora: se il prezzo di acquisto di una materia prima aumenta in un
tot percentuale rispetto al prezzo finale del prodotto, perché da parte delle
aziende energivore si calcola l’aggravio percentuale su tutte le spese fisse e
variabili che nulla hanno a che fare con la materia prima interessata?
Il commento finale è che per questo tipo di speculazione con prezzi
irreversibili, sarà solo la povera gente a pagare, non avendo redditi
progressibili.
Antonio Giangrande: Igor Belansky e la Sociatria: illustrazione e mondi
individuali e sociali. ANTONIO ROSSELLO su Il Corriere Nazionale il 20 agosto
2022.
La
particolare prospettiva in cui muove la ricerca espressiva del noto illustratore
genovese.
Igor Belansky ha letto con estremo interesse la mia recente intervista, su il
Corriere Nazionale, al dr. Antonio Giangrande, figura poliedrica, scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’”Associazione
contro tutte le mafie” e di “Tele Web Italia”, il quale è autore di un centinaio
di saggi che parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le
tematiche, divise per argomenti e per territorio.
E
proprio le complesse e sofferte battaglie civili condotte da Giangrande sono
state motivo di forte coinvolgimento per il noto illustratore, che ispirandosi
ad esse ha realizzato la rappresentazione in anteprima. In essa emergono a tutta
forza quel suo tipico tratto poco incline ai virtuosismi, lo stile crepuscolare
o grottesco che trasmette dissonanze, senza incorrere nella banalità della
provocazione. Vi è dunque, piuttosto, il thauma, l’angosciante stupore, la
tensione dialettica tra fascino e turbamento nella destabilizzante
indeterminatezza delle cose, che spiana la strada alla domanda più che alle
risposte, come quando si sprofonda negli oscuri meandri che conducono fino alle
più ignote regioni dell’inconscio. Da qui, la voglia di scuotere l’indifferenza,
che rappresenta sempre più il male della società moderna.
Evocativo il titolo: “Potere e moltitudine“. Vi si coglie la contrapposizione
tra le figure più grandi dei potenti che, con sicurezza ostentata, sovrastano
una folla magmatica, disperata, in cui si scorge l’accenno alla morte. Pare la
plastica raffigurazione dell’inconscio collettivo, visto come quell’invenzione
di Carl Gustav Jung, prestata poi alla teoria politica e delle scienze sociali
italiane tra Otto e Novecento, che è più che mai inibita, gettata nell’inazione,
eterodiretta in questo tempo postmoderno. Drammatico l’interrogativo: cosa muove
l’imprevedibile azione delle «masse» e quali sono le motivazioni profonde che in
alcune, eccezionali stagioni spingono gli individui a compiere atti eroici
completamente disinteressati o crimini efferati, all’apparenza del tutto
irrazionali?
Igor Belansky – Potere e moltitudine
A
parte certi, sempre più pochi ed isolati, impavidi paladini della resistenza
sociale, ai nostri giorni per la stragrande maggioranza delle persone diventa
sempre più difficile prendere posizione o schierarsi. Oggi si è portati ad
indignarsi. A sconcertarsi. Ad esprimere giudizi sommari. Ma subito dopo si è
capaci di farsi prendere dall’indifferenza. Subentra a quel punto una voluta
ignoranza sui fenomeni che ci circondano. Li minimizziamo. Questo non vuole
Belansky.
Non
a caso, come ho già avuto modo di affermare in un articolo sul settimanale
online WeeklyMagazine, nella particolare prospettiva in cui orienta la sua
ricerca espressiva, in condivisione con altri esponenti emergenti delle Arti
Visive, l’illustratore genovese punta infatti all’affermazione di un concetto,
la «Sociatria» (ossia «la cura della società»), attraverso il quale l’Arte può
generare una via di verità, alimentando la mente, rieducare o, quantomeno,
scongiurare la crescente e pericolosa carenza di pensiero, oltre che tendere ad
avvicinare la persona alla virtù, sino a ritrovare in senso un più ampio un
rispetto dell’umanità.
Sulla stessa lunghezza d’onda, pare anche essere il sociatra americano John
Fordham, che, dal suo gruppo Facebook Sociatry – for societal health., così
commenta la summenzionata intervista a Giangrande:
I
loved this. I gained the impression that he does what he does, because it’s his
calling in life. It’s a “labor of love” which he’s driven to pursue & construct.
(tr.: Mi è piaciuto molto. Ho avuto l’impressione che faccia quello che fa
perché è la sua vocazione nella vita. È un “lavoro d’amore” che è spinto a
perseguire e costruire).
Intervista di Antonio Rossello al dr. Antonio Giangrande, figura poliedrica,
scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente
dell’”Associazione Contro Tutte le Mafie” e di “Tele Web Italia”, il quale è
autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia contemporanea,
analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per territorio.
1.
Dottor Giangrande, Lei nel suo recentissimo volume “ANNO 2022 LA CULTURA ED I
MEDIA SECONDA PARTE” menziona l’illustratore, sempre più spesso prestato alla
penna su questa ed altre testate online, Igor Belanky per via del suo articolo
“Dittatura” pubblicato da Weeklymagazine il 24 Luglio 2022. Da cosa è stato
colpito? La sua comunicazione sintetica ed essenziale è più efficace delle più
lunghe e forbite concioni di altri redattori?
R.
In quelle frasi vi è il sunto del rapporto tra Potere e Povertà. I poveri hanno
bisogno di speranza. Il Potere promette di realizzarla. Più i poveri sono
ignoranti più è grande il laccio che li lega al Potere. Più i poveri rimangono
tali e ignoranti più il Potere padroneggia. Per questo il Potere elemosina i
poveri, non li evolve in benestanti.
2.
Non trova che in Italia la gente non legga molto ma parli troppo, cosa poco
utile quando bisogna scegliere, decide cosa fare e con chi? La colpa è della
scuola, del mondo della cultura, della politica o dei media? O di una crescente
indifferenza…? Questi mi pare siano gli aspetti che Lei tratta nel summenzionato
volume…
R.
Il principio del sostentamento dei poveri ha portato questi a pretendere
diritti, non a chiedere, ed allo stesso tempo a non sottostare ai doveri.
L’ignoranza porta a parlare, ad ostentare ed imporre, non a leggere ed imparare.
Si studia per poter migliorare e per poter dire a chi parla: cosa dici?!?
Purtroppo, poi, se qualcuno cerca di leggere, non trova fonti per poterlo
soddisfare. La Cultura ed i Media sono in mano al Potere: economico e politico.
Si scrive quello che è permesso: dall’editore; dai partiti di potere composte
dalle eminenze grigie di mafie, massonerie e caste e lobby.
3.
In generale, di cosa si occupa con i suoi saggi?
R.
Se Giorgio dell’Arti, con i suoi “Cinquantamila” parla dei protagonisti,
Se
Wikipedia riporta la contemporaneità e la storia per argomento o protagonisti.
Se
Dagospia, twnews o Msn notizie riportano la contemporaneità per cronologia.
Io
con le mie ricerche giornaliere vado oltre ognuno di loro.
Parlo di storia e contemporaneità cronologica, per Tema suddiviso per Argomenti,
di fatti e protagonisti.
Mi
occupo di tutti gli aspetti del nostro mondo contemporaneo. Racconto il presente
ed il passato per poter migliorare il futuro a colui che legge: che sa e parla.
Faccio parlare i protagonisti di oggi. Uso fonti credibili ed incontestabili,
rapportandoli tra loro in contraddittorio. Uso l’opera di terzi per
l’imparzialità. Questo anche per aggirare la censura e le querele.
4.
E con la Sua web tv? E’ il tentativo di offrire informazione alternativa
rispetto al cosiddetto mainstream?
R.
Nei miei saggi parlo degli italiani. La mia web tv è solo rappresentazione
dell’Italia, come territorio. L’Italia è bella per quello che è, tramandato dai
posteri, che va distinta da chi oggi vi abita.
5.
Ci può raccontare come è nata quella che mi pare sia la Sua passione civile?
R.
Sono figlio di poveri che ha voluto emanciparsi. Volevo elevarmi socialmente.
Ciò nonostante: i poveri dal basso ed il Potere dall’alto mi tirano giù. Per i
miei genitori, come per tutti i poveri, non vale essere, ma avere. Ed i figli
sono braccia prestati allo sfruttamento. Non mi hanno fatto studiare. A 32 anni
dopo l’ennesima bocciatura ad un concorso pubblico truccato, ho deciso di
studiare per migliorare. Diploma di ragioniere, da privatista 5 anni in uno
presso un istituto pubblico e non privato, laurea in giurisprudenza 4 anni in
due, presso la Statale di Milano, lavorando di notte per poter frequentare e
studiare di giorno. 6 anni di professione forense non abilitato. Abilitazione
cercata per 17 anni e mai concessa in esami farsa. La mia ragione non è stata
riconosciuta nella tutela giudiziaria, nonostante ad altri nelle stesse
condizioni, sì. La mia colpa? Essermi reso conto che la Giustizia non è di
questo Stato e in quei 6 anni volevo porre rimedio alle ingiustizie nelle aule
del Tribunale. Mi son reso conto che la mafia era dentro quelle aule e non
fuori. Oggi non posso rimediare alle ingiustizie, perché non ho potere. Mi
rimane solo che raccontarle ai posteri ed agli stranieri.
6.
Qual è il bilancio della Sua attività in tal senso, presente e passata, nei vari
ruoli che riveste?
R.
Se parlo al presente è fallimentare. Sono un disoccupato presidente di una
associazione antimafia che scrive e viene letto tantissimo in tutto il mondo,
anche con le anteprime dei miei libri, ma non vende, perché sono relegato in un
angolo dalla P2 culturale: ossia da quella eminenza grigia che non vuole che si
cambino le cose, informando correttamente la gente e fa parlare chi sa. In ogni
caso ognuno pensa per sé, per questo la gente è interessata ai suoi interessi ed
a risolvere i propri problemi, anziché cambiare le sorti dei loro figli.
7.
Ci può accennare come, dal Suo punto di vista di attento osservatore, appaiono
le attuali vicende sulla scena nazionale e internazionale?
R.
Da sempre l’essere umano ha sentito l’esigenza di avere la cosa altrui. O compra
o ruba. Da sempre vi sono state guerre di conquista. Atti di bullismo nei
confronti dei più deboli. A volte si usa l’arma del nazionalismo, altre volte è
la religione ad imporre la violenza. La reazione delle forze non schierate è
stata quella del menefreghismo e quella dell’utilitarismo. In questo senso tutto
il mondo è Italia. Riscontro a mio giudizio delle fazioni.
Quelle che dicono: che me ne fotte a me.
Quelli che dicono: qui ci guadagno.
Pochi sono quelli che per altruismo difendono le vittime dai bulli.
8.
Una nota metodologica o, se vuole, concetto. Sui siti internet specializzati, i
suoi saggi sono quasi sempre categorizzati nel genere “sociologia”. Mi pare che
Lei conduce una ricerca sociologica, per denunciare i mali intrinseci, le
dissonanze della nostra società contemporanea… nella sua formazione e nelle Sue
motivazioni, forse generazionali, vi è qualche richiamo alla Scuola di
Francoforte, alla sua Dialettica negativa, Horkheimer, Adorno, Marcuse…
R.
Il socialismo, radice unica dei regimi comunisti, nazisti e fascisti ha usato le
masse per poter egemonizzare il mondo. L’uso della religione per manipolare le
masse povere per fini politici è anch’esso socialismo. Lo statalismo è il loro
strumento, la povertà è l’arnese.
Io
credo che, invece, l’individuo deve essere padrone del proprio destino e deve
essere messo in grado di decidere per il suo meglio, senza danneggiare gli
altri. Tanti individui ben informati, divenuti benestanti, avranno tutto
l’interesse ad intraprendere azioni per tutelare lo status quo. I loro rapporti,
tra loro e loro con il Potere, saranno regolati da poche leggi. Credo che i 10
comandamenti siano sufficienti a regolare il tutto.
9.
Ed ancora quale ritiene sia oggi lo stato dell’arte della Sociologia? E’ al
corrente dell’esistenza in Italia e all’estero di approcci emergenti alle
Scienze sociali, quali la Sociatria, la Sociosofia, la Sociocrazia o la
Sociurgia, di cui anch’io ho parlato in precedenti articoli? Che cosa ne pensa,
sono destinati a superare, o quanto meno integrare, riformare la Sociologia? Se
c’è una Sua via autonoma ed innovativa, come la definirebbe o battezzerebbe con
termine sintetico?
R.
Io mi definisco sociologo storico: Racconto il presente ed il passato,
confrontandoli tra loro per evidenziare delle differenze, ove ci fossero, o per
indicare la ciclica apparizione dei difetti, ossia i corsi ed i ricorsi storici.
Il tutto affinchè si migliori il futuro. L’individuo colto e correttamente
informato è il perno centrale, tanti fanno una massa e ne indirizzano le mosse.
Il vero senso di “uno vale uno”. Diversa è la massa pecorile o topile che viene
guidata da un pastore o da un pifferaio.
10.
Ogni fatto è rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da
una verità giudiziaria. Abbiamo appreso di Sue molteplici prese di posizione, in
differenti occasioni e sedi, sul tema della giustizia. Può parlarcene?
R.
La verità storica è quella reale ed imparziale cercata e trovata attraverso
tutte le fonti poste in contraddittorio senza influenze esterne.
La
verità mediatica è quella verità propinata come tale ma che è influenzata da
interessi economici, politici, o di caste, lobby, mafie e massonerie deviate.
La
verità giudiziaria è quella che emerge dalle aule dei tribunali, in cui le prove
sono tali se permesse e dove vi è piena disparità tra accusa e difesa. I giudizi
sono fonti di interesse clientelare e parentale, di colleganza, di retroguardia
culturale.
11.
Concludendo? Ha dei rimpianti o è contento di ciò che fa?
R.
Rimpianti No! Per niente. Contento sì. Da 20 anni scrivo e sono ad oggi circa
350 libri tra tematici ed aggiornamenti annuali.
Da
Gesù Cristo in poi, i grandi uomini, che hanno lasciato traccia di loro, non
erano riconosciuti tali nella loro epoca. Tantomeno erano profeti nella loro
terra.
Io
ringrazio la mia famiglia che mi sostiene, affinchè tanto ignorato e osteggiato
in vita, tanto sarò ricordato per le mie opere da morto. E si sa, chi si ricorda
non muore mai.
Dr
Antonio Giangrande: Quando il turista malcapitato viene a San Pietro in Bevagna,
a Specchiarica o a Torre Colimena dice: “qua non c’è niente e quel poco è
abbandonato e pieno di disservizi. Non ci torno più!”. Al turista deluso e
disincantato gli dico: «Campomarino di Maruggio, Porto Cesareo, Gallipoli,
Castro, Otranto, perché sono famosi?» “Per il mare, per le coste, per i servizi
e per le strutture ricettive” risponde lui. «Questo perché sono paesi marinari a
vocazione turistica. Ci sono pescatori ed imprenditori e gli amministratori sono
la loro illuminata espressione» chiarisco io. «E Manduria perché è famosa?» Gli
chiedo ancora io. “Per il vino Primitivo!” risponde prontamente lui. Allora gli
spiego che, appunto, Manduria è un paesone agricolo a vocazione contadina e da
buoni agricoltori, i manduriani, da sempre i 17 km della loro costa non la
considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare,
perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni
agricoli non coltivati a vigna ed edificati abusivamente, perciò da trascurare.
Cos’è la
Legalità: è la conformità alla legge.
Liberale=amante della libertà propria e rispetto di quella altrui. Secondo
diritto naturale, non economico. Per esempio: i poveri non si sostengono
economicamente, per farli rimanere tali, ma si aiutano a diventare ricchi,
eliminando ogni ostacolo posto sulla loro strada da caste e lobbies.
In parole povere. Spiegazione con intercalare efficace: Fare i cazzi propri,
senza rompere il cazzo agli altri.
Attenzione, pero, a nominare il termine “liberale” invano, perché i liberali non
esistono.
Si spacciano come tali quelli come Berlusconi, ma sono solo lobbisti
capitalisti. E molto hanno in comune con i comunisti, leghisti e fascisti e gli
inconsistenti 5 stelle. Tutti fanno solo i cazzi loro, rompendo il cazzo agli
altri.
Non
c'è nessun però o nessun ma. Il diritto di aiutare è un gesto solidale. Ma
l'aiuto non è per tutti. Cassa integrazione, indennità di disoccupazione,
reddito di cittadinanza sono sostegni economici non per tutti. Quindi l'aiuto è
tale solo se ricambiato. Il dovere di abbattere caste è lobbies per affermare
l'equità è doveroso. Io voglio, se valgo, il posto degli incapaci che mi dicono
cosa fare. Invece l'assuefazione al chiedere e l'abitudine a ricevere ha reso le
masse proletarie parassitarie. I Poveri, anzichè battersi per i diritti, ora
sono pronti a vendersi per gli oboli, diventando schiavi dei potentati
gattopardiani.
Qual è la differenza tra equità e uguaglianza?
L’uguaglianza
comporta che chi non si vuole sbattere, ottenga lo stesso di chi invece si fa il
mazzo.
Equità significa che se uno per esempio fa carriera (e i soldi) e l’altro no,
pur avendo frequentato entrambi la stessa scuola nelle stesse condizioni, quello
rimasto al palo, dovrebbe biasimare solo sè stesso, perchè hanno avuto entrambi
la stessa opportunità.
Antonio Giangrande: ESIBIZIONISMO. LA SINDROME DELL'APPARIRE. QUESTI
POLITICI: COMMEDIANTI NATI?
Viene prima il volto televisivo o il politico? Conta più la telegenia e la
sfrontatezza o la competenza e la capacità? La notorietà deriva dal piccolo
schermo o dalle aule parlamentari?
Ne parla il dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Gli esordi televisivi di molti politici è la manifestazione del loro
esibizionismo. Molte persone amano mettersi al centro dell’attenzione, cercano
in tutti i modi di farsi notare dagli altri, sentono, cioè, un profondo bisogno
di farsi vedere da tante persone, affinchè l’attenzione delle persone sia
rivolta solo a loro, perchè si parli di loro.
La politica come strumento dell’esibizionismo. Sono sempre di più, infatti, i
volti televisivi che decidono di impegnarsi in politica.
Dal 1948 a oggi, quanti hanno intrapreso la carriera politica tra attori,
attrici, showgirl, cantanti, presentatori, presentatrici, comici,
barzellettieri, ecc.?
Syusy Blady, nota per il programma Turisti per caso: ha aderito alla causa dei
Verdi e correrà per loro alle europee 2014.
Alessandro Cecchi Paone, dopo dieci anni il conduttore torna a schierarsi con
Forza Italia. “Non potevo dire di no”, ha dichiarato Paone, “sono prontissimo” e
correrà per loro alle europee 2014.
Elisabetta Gardini, primo volto di Uno Mattina Rai. Ci aveva provato già nel
1994 ad entrare in parlamento, candidata nel Patto Segni. Ma Elisabetta Gardini
viene eletta, alle Europee, solo dieci anni dopo nelle liste del Pdl.
Conquistando 34mila preferenze, in sole tre settimane di campagna elettorale.
Una carriera, quella di Gardini, cominciata come attrice teatrale e continuata
con l'esperienza in tv a Domenica In.
Fabrizio Bracconieri, un ex “ragazzo della III C”, noto anche per il programma
Forum, correrà per le europee 2014.
Enzo Tortora al parlamento europeo nel 1984 per il Partito Radicale.
Iva Zanicchi. Da "La zingara" che conquistò Sanremo nel 1969, alla trasmissione
"Ok, il prezzo è giusto". Non solo cantante e presentatrice televisiva, Iva
Zanicchi ha fatto carriera anche in politica: prima è stata candidata per Forza
Italia alle elezioni europee del 1999 e del 2008, senza essere eletta. Poi è
subentrata al dimissionario Mario Mantovani ed è stata rieletta europarlamentare
nel 2009. La candidata più votata al parlamento europeo nel 2009, battuta solo
da Silvio Berlusconi.
Enrico Montesano e Michele Santoro sempre al parlamento europeo a sinistra.
Vladimir Luxuria, dall’organizzazione del Muccassassina, una delle feste più
famose di Roma, fino a diventare la prima parlamentare transgender di un
parlamento europeo. Eletta come indipendente nel 2006 nelle liste di
Rifondazione Comunista, Vladimir Luxuria si è battuta alla Camera per i diritti
della comunità Lgbt.
Lilli Gruber sempre al parlamento europeo, lo schieramento quello dell'Ulivo.
Barbara Matera, dopo aver conquistato la notorietà diventando “signorina
buonasera” in Rai, prima rinuncia alla candidatura alla Camera nel 2008, così da
finire gli studi, poi un anno dopo accetta l’offerta del Pdl per le Elezioni
europee.
Come si arriva all’elezione della velina Barbara Matera al Parlamento europeo?
Quando l’uso strumentale del corpo si impone al punto da diventare esso stesso
messaggio politico?
Per raccontare questa storia è necessario fare un passo indietro al settembre
2004: Flavia Vento. "Nasce il mio nuovo movimento Figli dei fiori". Così Flavia
Vento, la soubrette nota al grande pubblico grazie a Libero, il programma di Teo
Mammucari, aveva annunciato su twitter il suo ingresso in politica.
Ylenia Citino, candidata nelle liste di Forza Italia alle Europee e laureata
alla LUISS. L'ex tronista, per un paio di mesi, della nota trasmissione di Maria
De Filippi “Uomini e donne”.
Ilona Staller, in arte Cicciolina, una delle più note pornodive, fa il suo
ingresso in Parlamento nel 1987, eletta alla Camera dei deputati nelle liste del
Partito Radicale, con 20mila preferenze, seconda solo a Marco Pannella.
Gabriella Carlucci, della sua carriera televisiva si ricorda soprattutto
l’edizione di Buona Domenica condotta insieme a Gerry Scotti nel 1994. Lo stesso
anno in cui si iscrive alla neonata Forza Italia. Due lauree, una in letterature
straniere, l’altra in Storia dell’Arte, Carlucci è stata deputata dal 2001 al
2013 nei gruppi parlamentari di Forza Italia, poi Pdl, fino all’Udc di Pier
Ferdinando Casini.
Debora Caprioglio. Il ruolo da protagonista in Paprika, il film di Tinto Brass
del 1991, l’ha portata al successo. E’ stato Francesco Pionati, leader
dell’Alleanza di Centro, a offrirle il ruolo di madrina della seconda Assemblea
nazionale dell’Adc e poi responsabile nazionale di Cultura e Spettacolo nello
stesso partito.
Alessandra Mussolini, nipote d'arte di Sophia Loren, prova a intraprendere la
stessa carriera della zia come attrice. Ma invece viene candidata giovanissima
alla Camera nel 1992 nelle liste del Movimento Sociale Italiano. Poi, un
percorso all'interno di Alleanza Nazionale per poi approdare nel Popolo della
Libertà di Silvio Berlusconi.
Ombretta Colli, cantante e attrice, dopo aver condiviso col marito Giorgio Gaber
ideali di sinistra, comincia la sua carriera politica in Forza Italia,
diventando prima deputata nel 1995, poi senatrice, fino ad essere eletta come
Presidente della Provincia di Milano e poi nominata Sottosegretaria alle Pari
Opportunità, Moda e Design della Regione Lombardia nella giunta di Roberto
Formigoni.
Anna Kanakis Miss Italia nel 1977, ha avuto anche una breve carriera politica
come responsabile nazionale di Cultura e Spettacolo nell’Unione Democratica per
la Repubblica, fondato da Francesco Cossiga nel 1998 e di cui Clemente Mastella
è stato segretario.
Carlo Calenda, Ministro del Governo Renzi, ed il passato da attore. Oltre ad
essere figlio, come detto, dell’economista Fabio Calenda, Carlo è anche figlio
della regista Cristina Comencini. E forse non è un caso che nel suo pedigree ci
sia anche un brevissimo passato di attore. Infatti, nell’estate del 1983, quando
aveva solo dieci anni, ha interpretato il piccolo scolaro Enrico Bottini nello
sceneggiato televisivo «Cuore», ispirato all'omonimo romanzo di Edmondo de
Amicis. Il film è stato diretto dal nonno Luigi Comencini.
Daniela Santanché, quando aveva ventidue anni, nel 1983, fu intervistata da una
trasmissione tv che si chiamava “Viva le donne”, condotta da Amanda Lear. Le
chiesero a quale programma televisivo avrebbe voluto partecipare e lei rispose:
al telegiornale. Poi le chiesero cosa volesse fare da grande e lei rispose: "il
ministro del Tesoro".
Michela Brambilla. Finisce tra i più visti di YouTube il video, scovato dalla
Gialappa's, che documenta i suoi primi passi in tv. La rossa del Pdl era inviata
di "I misteri della notte" nel 1991: occhiali scuri e guanti di pizzo, visitava
i locali notturni di Barcellona, tra topless e balli sadomaso. Per la sua
entrata in politica la motivazione l’ha data Silvio Berlusconi: “E’ un’ira di
Dio, una che non molla l’osso”, ha detto scherzando, ma non troppo, perché
Michela è sempre stata così, una “rompiballe che non si arrende mai”, come dice
lei stessa, e che quando vuole qualcosa non demorde finché non l’ha ottenuto,
scrive “Affari italiani”. Lo sa anche Giorgio Medail, che tenne a battesimo la
ventenne Michela nel mondo del giornalismo televisivo. Michela l’aveva
incontrato a Salsomaggiore, dove, con la fascia di Miss Romagna, partecipava
alle finali di Miss Italia: non vinse, ma cominciò a tempestare di telefonate
Medail, finché non la prese a lavorare con lui a Canale5. Su Youtube è ancora
cliccatissimo uno dei suoi servizi tv del 1991 per “I misteri della notte”,
programma “esoterico” di Medail, dove Michela gira per le discoteche di
Barcellona in abbigliamento dark e succinto.
Mara Carfagna. La valletta della tv. Tra i video più datati, quello del suo
esordio a TeleSalerno: Mara aveva 21 anni ed era una studentessa. Presentando
Carfagna, il conduttore spiega che «i suoi hobby sono il piano e il canto», «non
sopporta la falsità e l’ipocrisia» e che il suo sogno nel cassetto è «danzare
all’American Ballet Theatre». Di lei, Silvio Berlusconi disse: "Se non fossi già
sposato, la sposerei immediatamente". Mara Carfagna, dopo la carriera
televisiva, si affaccia alla politica diventando coordinatrice del movimento
femminile di Forza Italia in Campania. Poi viene eletta alla Camera nel 2006 e
nominata nel 2008 Ministro per le pari opportunità.
E poi ci sono loro: l’aspirante Premier ed il Premier.
Matteo Salvini. «Striscia la notizia» ha scovato un video di Matteo Salvini,
attuale leader del Carroccio, quando partecipò alla trasmissione «Il pranzo è
servito» condotta da Davide Mengacci. Era il 1993. Capelli lunghi, pizzetto e
basettoni, giacca e cravatta fantasia e qualche chilo in meno di adesso, il
giovane Matteo si presentò così al conduttore che gli chiedeva la sua
professione: «Sono nullafacente, iscritto all’università in attesa di fare
esami».
Matteo Renzi. Da tempo circola il filmato di Matteo Renzi, quando partecipò nel
1994 alla trasmissione «La ruota della fortuna con Mike Bongiorno. Il giovane
Matteo arrivato «da un piccolo paese in provincia di Firenze, Rignano
sull’Arno», come dice lui stesso nel video, racconta il suo hobby: «Faccio
l’arbitro di calcio a livello dilettantistico, in seconda categoria».
Sicuramente in quest’elenco molti nomi mancano. Mi scuso per loro non averli
ricordati.
Antonio Giangrande: Un figlio al padre: papà, perché gli artisti sono spesso
comunisti?
Il
padre: perché a loro piace essere mantenuti e sono molto libertini e viziosi e
con poca voglia di lavorare!
La
frase latina veritas vos liberat significa "la verità vi rende liberi". La frase
viene detta da Gesù nel Vangelo di Giovanni (8, 32): "Conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi".
Il
mondo caposotto:
Tu
hai tutto e non vali niente.
Io
valgo tanto e non ho niente, se non la libertà.
Antonio Giangrande
SEGUI AZIONE LIBERALE. SOTTOSCRIZIONE DEL MANIFESTO PER UNA POLITICA
D’AVANGUARDIA.
La
legalità è un comportamento conforme alla legge. Legalità e legge sono facce
della stessa medaglia.
Nei
regimi liberali l’azione normativa per intervento statale, per regolare i
rapporti tra Stato e cittadino ed i rapporti tra cittadini, è limitata. Si
lascia spazio all’evolvere naturale delle cose. La devianza è un’eccezione, solo
se dannosa per l'equilibrio sociale.
Nei
regimi socialisti/comunisti/populisti l’intervento statale è inflazionato da
miriadi di leggi, oscure e sconosciute, che regolano ogni minimo aspetto della
vita dell’individuo, che non è più singolo, ma è massa. Il cittadino diventa
numero di pratica amministrativa, di cartella medica, di fascicolo giudiziario.
Laddove tutti si sentono onesti ed occupano i posti che stanno dalla parte della
ragione, c’è sempre quello che si sente più onesto degli altri, e ne limita gli
spazi. In nome di una presunta ragion di Stato si erogano miriadi di norme
sanzionatrici limitatrici di libertà, spesso contrastati, tra loro e tra le loro
interpretazioni giurisprudenziali. Nel coacervo marasma normativo è impossibile
conformarsi, per ignoranza o per necessità. Ne è eccezione l'indole. Addirittura
il legislatore è esso medesimo abusivo e dichiarato illegittimo dalla stessa
Corte Costituzionale, ritenuto deviante dalla suprema Carta. Le leggi partorite
da un Parlamento illegale, anch'esse illegali, producono legalità sanzionatoria.
Gli operatori del diritto manifestano pillole di competenza e perizia pur
essendo essi stessi cooptati con concorsi pubblici truccati. In questo modo
aumentano i devianti e si è in pochi ad essere onesti, fino alla assoluta
estinzione. In un mondo di totale illegalità, quindi, vi è assoluta impunità,
salvo l'eccezione del capro espiatorio, che ne conferma la regola. Ergo: quando
tutto è illegale, è come se tutto fosse legale.
L’Eccesso di zelo e di criminalizzazione crea un’accozzaglia di organi di
controllo, con abuso di burocrazia, il cui rimedio indotto per sveltirne l’iter
è la corruzione.
Ergo: criminalizzazione = burocratizzazione = tassazione-corruzione.
Allora, si può dire che è meglio il laissez-faire (il lasciare fare dalla natura
delle cose e dell’animo umano) che essere presi per il culo e …ammanettati per i
polsi ed espropriati dai propri beni da un manipolo di criminali demagoghi ed
ignoranti con un’insana sete di potere.
Prima della rivoluzione francese “L’Ancien Régime” imponeva: ruba ai poveri per
dare ai ricchi.
Erano dei Ladri!!!
Dopo, con l’avvento dei moti rivoluzionari del proletariato e la formazione
ideologica/confessionale dei movimenti di sinistra e le formazioni settarie
scissioniste del comunismo e del fascismo, si impose il regime contemporaneo
dello stato sociale o anche detto stato assistenziale (dall'inglese welfare
state). Lo stato sociale è una caratteristica dei moderni stati di diritto che
si fondano sul presupposto e inesistente principio di uguaglianza, in quanto
possiamo avere uguali diritti, ma non possiamo essere ritenuti tutti uguali: c’è
il genio e l’incapace, c’è lo stakanovista e lo scansafatiche, l’onesto ed il
deviante. Il capitale di per sé produce reddito, anche senza il fattore lavoro.
Lavoro e capitale messi insieme, producono ricchezza per entrambi. Il lavoro
senza capitale non produce ricchezza. Il ritenere tutti uguali è il fondamento
di quasi tutte le Costituzioni figlie dell’influenza della rivoluzione francese:
Libertà, Uguaglianza, Solidarietà. Senza questi principi ogni stato moderno non
sarebbe possibile chiamarlo tale. Questi Stati non amano la meritocrazia, né
meritevoli sono i loro organi istituzionali e burocratici. Il tutto si baratta
con elezioni irregolari ed a larga astensione e con concorsi pubblici truccati
di cooptazione. In questa specie di democrazia vige la tirannia delle minoranze.
L’egualitarismo è una truffa. E’ un principio velleitario detto alla “Robin
Hood”, ossia: ruba ai ricchi per dare ai poveri.
Sono dei ladri!!!
Tra
l’antico regime e l’odierno sistema quale è la differenza?
Sempre di ladri si tratta. Anzi oggi è peggio. I criminali, oggi come allora,
saranno coloro che sempre si arricchiranno sui beoti che li acclamano, ma oggi,
per giunta, ti fanno intendere di fare gli interessi dei più deboli.
Non
diritto al lavoro, che, come la manna, non cade dal cielo, ma diritto a creare
lavoro. Diritto del subordinato a diventare titolare. Ma questo principio di
libertà rende la gente libera nel produrre lavoro e ad accumulare capitale. La
“Libertà” non è statuita nell’articolo 1 della nostra Costituzione catto
comunista. Costituzioni che osannano il lavoro, senza crearne, ma foraggiano il
capitale con i soldi dei lavoratori.
Le
confessioni comuniste/fasciste e clericali ti insegnano: chiedi e ti sarà dato e
comunque, subisci e taci!
Io
non voglio chiedere niente a nessuno, specie ai ladri criminali e menzogneri,
perché chi chiede si assoggetta e si schiavizza nella gratitudine e nella
riconoscenza.
Una
vita senza libertà è una vita di merda…
Quell’Italia malata di pessimismo.
Michele Gelardi su L'Identità il 7 Giugno 2023
L’Italia è affetta da una grave malattia: il pessimismo. Pare addirittura che ne
abbia il primato mondiale, secondo gli studi, citati da una sbigottita Barbara
Palombelli qualche giorno fa nel talk di “Stasera Italia”, i quali peraltro
trovano conferma nel report del “Sole 24 ore” del 15 marzo. In verità la
posizione di vertice degli italiani, nella scala mondiale del pessimismo, non mi
stupisce affatto. Per mio conto ho già fatto un’osservazione “statistica”, del
tutto personale e “gratuita”, non suffragata da alcun dato comparativo, ma della
quale ho assoluta certezza: siamo anche primatisti mondiali in chiusure delle
scuole a seguito di “allerta meteo”. I due primati mi sembrano correlati,
essendo l’uno l’effetto, l’altro un elemento sintomatico, di un unico fenomeno:
l’eccesso di protezionismo di Stato. Invero l’essenza del pessimismo mi pare
risiedere, più ancora che nella paura dell’imminente catastrofe universale (per
Covid o cambiamento climatico), che pure è molto rilevante, nel vuoto personale,
nell’assenza di prospettive e aspettative per il proprio futuro.
Il
carburante del pessimismo è dato dalla frustrazione e dal senso d’inanità; in
sintesi, dal sentimento d’impotenza della persona in relazione al cammino della
sua vita. Chi sa di non poter “fare”, è costretto ad attendere che gli altri
facciano. Se non può provvedere a sé stesso, può solo confidare nella
provvidenza altrui, basata su legami, o sociali, o meramente giuridici. Nel
primo caso, il tutelato entra in rapporto personale con il tutore e tende a
ingraziarsene le cure; nel secondo, si instaura un rapporto asettico e
cartolare, regolato solo da norme giuridiche astratte; nel primo caso, il
tutelato fa qualcosa per apparire “meritevole” al cospetto del tutore; nel
secondo, non deve e non può fare alcunché. Non tutte le assistenze e provvidenze
implicano, dunque, il medesimo disimpegno del destinatario. Tra tutte, la
provvidenza di Stato è quella più impersonale, meno legata all’apporto personale
del destinatario, apprezzabile come merito. Perfino la Provvidenza divina invoca
la partecipazione della persona, espressa in devozione, preghiera e rigore
morale. La persona deve meritare il miracolo o la salvezza, su questa terra e
nell’altra; gli ignavi non entrano nel Paradiso dantesco, non essendo
meritevoli. Solo lo Stato non chiede nulla; protegge e basta.
In
relazione alla condizione tipica e oggettivamente predeterminata del
destinatario, concede prebende, dispensa bonus, offre servizi, prescindendo del
tutto dall’affectio personale. Orbene, quanto più cresce la sfera della
protezione impersonale di Stato, tanto più diviene irrilevante la meritevolezza,
si deprime lo spirito d’iniziativa e decresce la disponibilità al sacrificio,
ossia la capacità di sacrificare il presente (certo) in vista del futuro
(incerto). E mancando la prospettiva del futuro, crolla la speranza, la quale si
nutre della possibilità di creare da sé il proprio futuro. Per questa ragione,
un po’ tutta l’Europa, culla del welfare state, è investita dal fenomeno del
“pessimismo cosmico”. Ma quello degli italiani ha un quid pluris, traendo
origine da un mix difficilmente eguagliabile di iperprotezionismo e inefficienza
di Stato. Il futuro è considerato grigio in Italia, non solo perché lo Stato si
surroga ai privati in molti ambiti, ma anche perché ostacola la residuale
iniziativa privata con mille lacci burocratici. Infiniti certificati, nulla osta
e procedure autorizzative opprimono gli italiani, frustrandone l’iniziativa ed
essiccando la linfa vitale della speranza. Ovviamente lo Stato non crea ostacoli
ad libitum; vuole solo proteggere.
Ognuno dei tanti passaggi di “cartuccelle” è giustificato in nome della massima
protezione dei beni pubblici (salute, ambiente, in primis); sicché, in ultima
analisi, la pubblica amministrazione iperprotettiva risulta paralizzante. Se, ad
ogni scroscio di pioggia, si chiudono le scuole, si proteggono i pargoli dal
rischio di inzupparsi i vestiti, ma si ostacola il loro apprendimento. Non c’è
dunque da stupirsi se gli italiani, pur avendo il privilegio di vivere nel Bel
Paese, dove un tempo si cantava “Sole mio”, sono i più pessimisti al mondo. Gli
allerta meteo li hanno paralizzati e hanno sottratto loro la speranza.
Antonio Giangrande: Che governi l'uno, o che governi l'altro, nessuno di loro ti
ha mai cambiato la vita e mai lo farà. Perchè? Sono tutti Comunisti e
Statalisti. Sono sempre contro qualcuno. Li differenzia il motto: Dio, Patria e
Famiglia...e i soldi.
Gli uni sono per il cristianesimo come culto di Stato. Gli altri sono senza Dio
e senza Fede, avendo come unico credo l'ideologia, sono per l'ateismo
partigiano: contro i simboli e le tradizioni cristiane e parteggiando per
l'Islam.
Gli uni sono per la Patria e la difesa dei suoi confini. Gli altri sono senza
Patria e, ritenendosi nullatenenti, sono senza terra e senza confini e, per gli
effetti, favorevoli all'invasione delle terre altrui.
Gli uni sono per la famiglia naturale. Gli altri sono senza famiglia e contro le
famiglie naturali, essendo loro stessi LGBTI. E per i Figli? Si tolgono alle
famiglie naturali.
Gli uni sono ricchi o presunti tali e non vogliono dare soldi agli altri tutto
ciò che sia frutto del proprio lavoro. Gli altri non hanno voglia di lavorare e
vogliono vivere sulle spalle di chi lavora, facendosi mantenere, usando lo Stato
e le sue leggi per sfruttare il lavoro altrui. Arrivando a considerare la
pensione frutto di lavoro e quindi da derubare.
Alla fine, però, entrambi aborrano la Libertà altrui, difendendo a spada tratta
solo l'uso e l'abuso della propria.
Per questo si sono inventati "Una Repubblica fondata sul Lavoro". Un nulla. Per
valorizzazione un'utopia e una demagogia e legittimare l'esproprio della
ricchezza altrui.
Ecco perchè nessuno si batterà mai per una Costituzione repubblicana fondata
sulla "Libertà" di Essere e di Avere. Ed i coglioni Millennials, figli di una
decennale disinformazione e propaganda ideologica e di perenne oscurantismo
mediatico-culturale, sono il frutto di una involuzione sociale e culturale i cui
effetti si manifestano con il reddito di cittadinanza, o altre forme di sussidi.
I Millennials non si battono affinchè diventino ricchi con le loro capacità, ma
gli basta sopravvivere da poveri.
Avvolti nella loro coltre di arroganza e presunzione, i Millennials, non si sono
accorti che non sono più le Classi sociali o i Ceti ad affermare i loro diritti,
ma sono le lobbies e le caste a gestire i propri interessi.
Antonio Giangrande: A proposito di referendum e lotta referendaria: tempo fa un
mio amico e parente, non per competenza ma per disciplina di partitino,
appoggiava una posizione che era contraria alla mia, che votavo per competenza e
non per ordini di scuderia. Nella foga della campagna referendaria, per essere
contro la sua posizione mi insultò pesantemente. A fine votazioni costui, a
prescindere dall’esito che non gli cambiò sicuramente la vita, perse, comunque,
il suo partitino, perché si estinse in quanto poggiato su un leader fasullo e,
cosa più grave, perse l’amico e parente, fedele compagno di vita.
Questo per dire che qualunque posizione si prenda, la massa che combatte sarà
sempre perdente.
Antonio Giangrande: I comunisti dicono no al referendum perché pensano, a
ragione, che la Costituzione antifascista sia roba loro e per questo non si
tocca. Dicono che la riforma lede la democrazia e porta al regime di un uomo
solo al comando e quell’uomo non è roba loro.
I Fascisti dicono no perché la riforma lede la democrazia e porta al regime di
un uomo solo al comando (sic), pur essendo loro stessi presidenzialisti.
I centristi che dicono no al referendum sono quelli che lo hanno votato in
Parlamento.
I pentastellati dicono no alla riforma perché sono soggetti alla sindrome del
nimby. Sono quelli che dicono sempre no a prescindere. Presentano interrogazioni
contro le aste truccate in Tribunale e poi votano contro la responsabilità
civile dei magistrati. Sono quelli che vogliono incapaci in Parlamento,
malpagati ed incompetenti, sol perché il loro capo non può essere parlamentare.
Tutti quelli che votano no alla riforma sono degli ipocriti conservatori che
mirano solo a tenere la poltrona ed a estromettere Renzi per prenderne il suo
posto.
I negazionisti da destra a sinistra coalizzati per un fine comune e che
imperituri in Parlamento hanno portato l’Italia in queste condizioni peccano di
credibilità.
E sol perché loro vogliono il no, io scelgo di votare sì. In una Italia che non
cambia mai io voglio le riforme. Chi no fa non sbaglia mai e di lor mi son rotto
il cazzo.
Antonio Giangrande: Un mondo dove ci sono solo obblighi e doveri. Un mondo dove
ci sono solo divieti, impedimenti e, al massimo, ci sono concessioni. Un mondo
dove non ci sono diritti, ma solo privilegi per i più furbi, magari organizzati
in caste e lobbies. In un mondo come questo, dove tutti ti dicono cosa puoi o
devi fare; cosa puoi o devi dire; dove l’uno non conta niente, se non essere
solo un mattone. In un mondo come questo che mai cambia, che cazzo di vita è.
Pink Floyd – Another Brick In The Wall. 1979
Part 1 (“Reminiscing”) ("Ricordando")
Daddy’s flown across the ocean – Papà è volato attraverso l’oceano.
Leaving just a memory – Lasciando solo un ricordo.
Snapshot in the family album – Un’istantanea nell’album di famiglia.
Daddy what else did you leave for me? – Papà cos’altro hai lasciato per me?
Daddy, what’d’ja leave behind for me?!? – Papà, cos’hai lasciato per me dietro
di te?!?
All in all it was just a brick in the wall. – Tutto sommato era solo un altro
mattone nel muro.
All in all it was all just bricks in the wall. – Tutto sommato erano solo
mattoni nel muro.
“You! Yes, you! Stop steal money!” – “Tu! Si, Tu! Smettila di rubare i soldi!”
Part 2 (“Education”) ("Educazione")
We don’t need no education – Non abbiamo bisogno di alcuna istruzione.
We dont need no thought control – Non abbiamo bisogno di alcun controllo
mentale.
No dark sarcasm in the classroom – Nessun cupo sarcasmo in aula.
Teachers, leave them kids alone – Insegnanti, lasciate in pace i bambini.
Hey! Teachers! Leave them kids alone! – Hey! Insegnanti! Lasciate in pace i
bambini!
All in all it’s just another brick in the wall. – Tutto sommato è solo un altro
mattone nel muro.
All in all you’re just another brick in the wall. – Tutto sommato sei soltanto
un altro mattone nel muro.
We don’t need no education – Non abbiamo bisogno di alcuna istruzione.
We don’t need no thought control – Non abbiamo bisogno di alcun controllo
mentale.
No dark sarcasm in the classroom – Nessun cupo sarcasmo in aula.
Teachers leave them kids alone – Insegnanti, lasciate in pace i bambini.
Hey! Teachers! Leave them kids alone! – Hey! Insegnanti! Lasciate in pace i
bambini!
All in all it’s just another brick in the wall. – Tutto sommato è solo un altro
mattone nel muro.
All in all you’re just another brick in the wall. – Tutto sommato sei solo un
altro mattone nel muro.
“Wrong, Do it again!” – “Sbagliato, rifallo daccapo!”
“If you don’t eat yer meat, you can’t have any pudding. – “Se non mangi la tua
carne, non potrai avere nessun dolce.
How can you have any pudding if you don’t eat yer meat?” – Come pensi di avere
il dolce se non mangi la tua carne?
“You! Yes, you behind the bikesheds, stand still laddy!” – “Tu! Sì, tu dietro la
rastrelliera delle biciclette, fermo là, ragazzo!”
Part 3 (“Drugs”) ("Droghe-Farmaci")
“The Bulls are already out there” – “I Tori sono ancora là fuori”.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!” – “Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!”
“This Roman Meal bakery thought you’d like to know.” – “Questo è un piatto
Romano al forno, pensavo che lo volessi sapere.”
I don’t need no arms around me – Non ho bisogno di braccia attorno a me.
And I dont need no drugs to calm me. – E non ho bisogno di droghe per calmarmi.
I have seen the writing on the wall. – Ho visto la scritta sul muro.
Don’t think I need anything at all. – Non pensare che io abbia bisogno di
qualcosa.
No! Don’t think I’ll need anything at all. – No! Non pensare che io abbia
bisogno di qualcosa.
All in all it was all just bricks in the wall. – Tutto sommato erano solo
mattoni nel muro.
All in all you were all just bricks in the wall. – Tutto sommato eravate tutti
solo mattoni nel muro.
Antonio Giangrande: Da sociologo storico ho scritto dei saggi dedicati ad ogni
partito o movimento politico italiano: sui comunisti e sui socialisti (Craxi),
sui fascisti (Mussolini), sui cattolici (Moro) e sui moderati (Berlusconi), sui
leghisti e sui pentastellati. Il sottotitolo è “Tutto quello che non si osa
dire. Se li conosci li eviti.” Libri che un popolo di analfabeti mai leggerà.
Da queste opere si deduce che ogni partito o movimento politico ha un comico
come leader di riferimento, perché si sa: agli italiani piace ridere ed essere
presi per il culo. Pensate alle battute di Grillo, alle barzellette di
Berlusconi, alle cazzate di Salvini, alle freddure della Meloni, alle storielle
di Renzi, alle favole di D’Alema e Bersani, ecc. Partiti e movimenti aventi
comici come leader e ladri come base.
Gli effetti di avere dei comici osannati dai media prezzolati nei tg o sui
giornali, anziché vederli esibirsi negli spettacoli di avanspettacolo,
rincoglioniscono gli elettori. Da qui il detto: un popolo di coglioni sarà
sempre amministrato o governato da coglioni.
Libro obbiettivo e non ideologico formato da riferimenti e documenti storici e
testimonianze di alternativa fonte.
Brani tratti dal libro.
Ecco chi era “Il Compagno Mussolini”. Il 18 marzo 1904, a Ginevra, Benito
Mussolini tenne una conferenza per commemorare la Comune di Parigi. Secondo
Renzo De Felice, il più noto biografo di Mussolini, è stata, questa, l’unica
occasione in cui il Duce vide Vladimir Ilic Uljanov Lenin, anche lui presente al
convegno. Ma Mussolini potrebbe avere incontrato l’esiliato russo anche a Berna,
l’anno prima: era solito, infatti, pranzare alla mensa Spysi, dove anche Lenin e
Trotsky mangiavano con regolarità. Dopo la Marcia su Roma, il Capo del Cremlino
aveva rimproverato una delegazione di comunisti italiani (c’era anche il
romagnolo Nicola Bombacci): «Mussolini era l’unico tra voi con la mente e il
temperamento adatti a fare una rivoluzione. Perché avete permesso che se ne
andasse?».
Viva le bandiere rosse della rivoluzione. Io saluto con ammirazione devota e
commossa le bandiere vermiglie, scrive Benito Mussolini il 5 luglio 1917,
(pubblicato da "Il Giornale" il 14/08/2016). Io saluto con ammirazione devota e
commossa le bandiere vermiglie che dopo aver sventolato una prima volta nelle
strade e nelle piazze di Pietrogrado in un pallido nevoso mattino di primavera,
sono diventate oggi l'insegna dei reggimenti che il 1° luglio sono andati
all'assalto delle linee austro-tedesche in Galizia e le hanno espugnate. Io
m'inchino davanti a questa duplice consacrazione vittoriosa, contro lo zar
prima, contro il Kaiser oggi.
Amate i profughi, sono l'Italia dolorante. Dobbiamo spezzare con loro il nostro
pane. Sono i fratelli percossi dalla sventura, scrive Benito Mussolini il 28
novembre 1917 (pubblicato da "Il Giornale" il 17/08/2016). Non basta soccorrere
i profughi che i treni e le tradotte dal Veneto rovesciano ogni giorno a
migliaia e migliaia nelle nostre città. Bisogna comprenderli. Non basta
comprenderli: bisogna amarli. La ospitalità dev'essere - soprattutto - amore.
«Le
conquiste sociali del Fascismo? Non si trattava solo dei treni in orario.
Assegni familiari per i figli a carico, borse di studio per dare opportunità
anche ai meno abbienti, bonifiche dei territori, edilizia sociale. Questo perché
solo dieci anni prima Mussolini era in realtà un Socialista marxista e
massimalista che si portò con sé il senso del sociale, del popolo. Le dirò in un
certo senso il fascismo modernizzò il paese. Nei confronti del Nazismo fu
dittatura all’acqua di rose: se Mussolini non avesse firmato le infamanti leggi
razziali, sarebbe morto di morte naturale come Franco. Resta una dittatura, ma
anche espressione d’italianità. Bisognerebbe fare un’analisi meno ideologica su
questo. Quello che ha ottenuto il fascismo in campo sociale oggi ce lo
sogniamo». – Margherita Hack. La celebre astrofisica Margherita Hack candidata
nel movimento politico "Democrazia Atea" come capolista alla Circoscrizione
Veneto 2, ha rilasciato il 23 marzo 2013 un'intervista alla rivista Barricate
che sicuramente farà molto discutere. Margherita Hack nell'intervista però
ammette anche di essere comunista nonostante "il Comunismo ha soppresso le
libertà. Io sono per la tutela della proprietà privata, il rispetto
dell'individuo che non è solo gruppo. Questo è socialismo puro. Poi guardi
basterebbe rispettare la Costituzione per avere una società più giusta".
Dr Antonio Giangrande Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie.
Libro obbiettivo e non ideologico formato da riferimenti e documenti storici e
testimonianze di alternativa fonte.
Brani tratti dal libro.
Ecco chi era “Il Compagno Mussolini”. Il 18 marzo 1904, a Ginevra, Benito
Mussolini tenne una conferenza per commemorare la Comune di Parigi. Secondo
Renzo De Felice, il più noto biografo di Mussolini, è stata, questa, l’unica
occasione in cui il Duce vide Vladimir Ilic Uljanov Lenin, anche lui presente al
convegno. Ma Mussolini potrebbe avere incontrato l’esiliato russo anche a Berna,
l’anno prima: era solito, infatti, pranzare alla mensa Spysi, dove anche Lenin e
Trotsky mangiavano con regolarità. Dopo la Marcia su Roma, il Capo del Cremlino
aveva rimproverato una delegazione di comunisti italiani (c’era anche il
romagnolo Nicola Bombacci): «Mussolini era l’unico tra voi con la mente e il
temperamento adatti a fare una rivoluzione. Perché avete permesso che se ne
andasse?».
Viva le bandiere rosse della rivoluzione. Io saluto con ammirazione devota e
commossa le bandiere vermiglie, scrive Benito Mussolini il 5 luglio 1917,
(pubblicato da "Il Giornale" il 14/08/2016). Io saluto con ammirazione devota e
commossa le bandiere vermiglie che dopo aver sventolato una prima volta nelle
strade e nelle piazze di Pietrogrado in un pallido nevoso mattino di primavera,
sono diventate oggi l'insegna dei reggimenti che il 1° luglio sono andati
all'assalto delle linee austro-tedesche in Galizia e le hanno espugnate. Io
m'inchino davanti a questa duplice consacrazione vittoriosa, contro lo zar
prima, contro il Kaiser oggi.
Amate i profughi, sono l'Italia dolorante. Dobbiamo spezzare con loro il nostro
pane. Sono i fratelli percossi dalla sventura, scrive Benito Mussolini il 28
novembre 1917 (pubblicato da "Il Giornale" il 17/08/2016). Non basta soccorrere
i profughi che i treni e le tradotte dal Veneto rovesciano ogni giorno a
migliaia e migliaia nelle nostre città. Bisogna comprenderli. Non basta
comprenderli: bisogna amarli. La ospitalità dev'essere - soprattutto - amore.
«Le
conquiste sociali del Fascismo? Non si trattava solo dei treni in orario.
Assegni familiari per i figli a carico, borse di studio per dare opportunità
anche ai meno abbienti, bonifiche dei territori, edilizia sociale. Questo perché
solo dieci anni prima Mussolini era in realtà un Socialista marxista e
massimalista che si portò con sé il senso del sociale, del popolo. Le dirò in un
certo senso il fascismo modernizzò il paese. Nei confronti del Nazismo fu
dittatura all’acqua di rose: se Mussolini non avesse firmato le infamanti leggi
razziali, sarebbe morto di morte naturale come Franco. Resta una dittatura, ma
anche espressione d’italianità. Bisognerebbe fare un’analisi meno ideologica su
questo. Quello che ha ottenuto il fascismo in campo sociale oggi ce lo
sogniamo». – Margherita Hack. La celebre astrofisica Margherita Hack candidata
nel movimento politico "Democrazia Atea" come capolista alla Circoscrizione
Veneto 2, ha rilasciato il 23 marzo 2013 un'intervista alla rivista Barricate
che sicuramente farà molto discutere. Margherita Hack nell'intervista però
ammette anche di essere comunista nonostante "il Comunismo ha soppresso le
libertà. Io sono per la tutela della proprietà privata, il rispetto
dell'individuo che non è solo gruppo. Questo è socialismo puro. Poi guardi
basterebbe rispettare la Costituzione per avere una società più giusta".
Dr
Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Quel “falso storico” sulla Resistenza che insistiamo a celebrare.
Claudio Romiti su Nicolaporro.it il 29 Settembre
2023
Il
Tg3 di mercoledì scorso ha dato molto risalto alle celebrazioni dell’ottantesimo
anniversario delle cosiddette “quattro giornate di Napoli”. Sottolineando la
presenza del Capo dello Stato, il quale ha deposto una corona di fiori davanti
al monumento dello Scugnizzo, il servizio si conclude sostenendo che la
metropoli partenopea “fu la prima città italiana liberata, grazie ad una grande
azione di tutto il popolo.”
In
realtà, spiace doverlo dire, si tratta di un colossale falso storico, dal
momento che le truppe tedesche stanziate nella zona di Napoli avevano già
iniziato un ordinato ripiegamento strategico per rallentare l’avanzata degli
Alleati, attestandosi sulla linea del Volturno. Molto istruttivo, a questo
proposito, il libro di Ezio Erra, politico e intellettuale napoletano scomparso
nel 2011, Napoli 1943 – le quattro giornate che non ci furono, edito da
Longanesi.
È
sufficiente leggerne la presentazione per farsene già una prima, significativa
idea: “Davvero Napoli insorse contro i nazisti nel 1943? Davvero ci furono le
quattro giornate raccontate dalla storia resistenziale ed esaltate dal cinema?
Facendo appello ai ricordi personali e comparando testimonianze dirette e
indirette, documenti inediti e analisi obiettive, Erra rievoca le tre settimane
dell’occupazione tedesca, concluse con una ritirata della potente e militarmente
preparatissima divisione Goering. Una ‘fuga’ turbata da scontri disordinati con
gruppuscoli partigiani, passati alla storia come le “quattro giornate di
Napoli”. Sulla verità dei fatti si stende un’altra ombra: a liberazione avvenuta
7mila napoletani presentarono domanda al Ministero degli Interni per ottenere la
qualifica di “patriota” e quindi le sovvenzioni previste…”
D’altro canto, onde dimostrare in modo indiretto quanto la propaganda abbia
ingigantito oltre ogni misura ragionevole i fatti in questione, occorre fare
qualche passo indietro, ricordando ciò che avvenne a Roma e dintorni nei giorni
immediatamente successivi al fatidico 8 settembre. Come raccontato con dovizia
di particolari dall’illustre Liddell Hart, storico militare di fama mondiale,
nonostante le netta superiorità delle truppe italiane stanziate intorno alla
Capitale, le due deboli divisioni di paracadutisti comandate dal generale
Student, contro le stesse previsioni dell’alto comando germanico, riuscirono in
breve tempo a disarmare le nostre truppe.
Quindi noi dovremmo credere che dove fallì l’esercito italiano, che comprendeva
la divisione corazzata Ariete, la divisione motorizzata Piave, la divisione di
fanteria dei Granatieri di Sardegna, più altre truppe sparse qua e là,
riuscirono i volenterosi napoletani armati alla bell’e meglio? Io direi che dopo
ottant’anni, con molta acqua passata sotto i ponti, potremmo anche permetterci
di uscire dalla stucchevole e trita retorica resistenziale, almeno in questa
occasione. Claudio Romiti, 29 settembre 2023
Antonio Giangrande: Governare e legiferare secondo l’ideologia
fascio/comunista? No!
Governare e legiferare secondo i dettati propri di una cattiva fede? No!
Essere liberali vuol dire, in poche parole, che basta agire correttamente ed in
buona fede e comportarsi come un buon padre di famiglia.
Agire e comportarsi come un buon padre di famiglia: cosa significa?
In
cosa consiste la diligenza del buon padre di famiglia nell’ambito delle
obbligazioni del diritto civile: l’obbligo di adempiere alla prestazione in
buona fede e in modo corretto.
Adempimento delle obbligazioni: correttezza e buona fede. Il codice civile
stabilisce che sia il debitore sia il creditore devono comportarsi correttamente
nell’adempimento delle relative obbligazioni, sempre secondo buona fede. La
seconda regola imposta dal codice civile in materia di esecuzione del contratto
riguarda la diligenza del buon padre di famiglia. Cosa significa e cosa si
intende con tale termine? Sicuramente anche in questa ipotesi la legge ha
preferito usare un termine generale e astratto. Ma il suo significato è
facilmente individuabile. Il “buon padre di famiglia” è colui che “ci tiene” e
che è premuroso, colui cioè che fa di tutto pur di realizzare l’interesse dei
figli. Il che significa che egli assume l’impegno a conseguire, quanto più
possibile, il risultato promesso.
Il
codice civile richiama il concetto di buon padre di famiglia in una serie di
norme. Eccole qui di seguito elencate:
Art. 382 Codice civile – Responsabilità del tutore e del protutore: «Il tutore
deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di
famiglia. Egli risponde verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i
propri doveri».
Art. 1001 Codice civile – Obbligo di restituzione. Misura della diligenza:
«L’usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al
termine dell’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’art. 995».
Art. 1176 Codice civile – Diligenza nell’adempimento: «Nell’adempiere
l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 1227 Codice civile – Concorso del fatto colposo del creditore: «Se il fatto
colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è
diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne
sono derivate».
Art. 1587 Codice civile – Obbligazioni principali del conduttore: «Il conduttore
deve prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di
famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può
altrimenti presumersi dalle circostanze (…)».
Art. 1710 Codice civile – Diligenza del mandatario: «Il mandatario è tenuto a
eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il
mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore».
Art. 1768 Codice civile – Diligenza nella custodia: «Il depositario deve usare
nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 1804 Codice civile – Obbligazioni del comodatario: «Il comodatario è tenuto
a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia.
Egli non può servirsene che per l’uso determinato dal contratto o dalla natura
della cosa».
Art. 1838 Codice civile – Deposito di titoli in amministrazione: «La banca che
assume il deposito di titoli in amministrazione deve custodire i titoli,
esigerne gli interessi o i dividendi, verificare i sorteggi per l’attribuzione
di premi o per il rimborso di capitale, curare le riscossioni per conto del
depositante, e in generale provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai
titoli. Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante (…). E’ nullo
il patto col quale si esonera la banca dall’osservare, nell’amministrazione dei
titoli, l’ordinaria diligenza».
Art. 1957 Codice civile – Scadenza dell’obbligazione principale: «Il fideiussore
rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale purchè il
creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le
abbia con diligenza continuate».
Art. 2104 Codice civile – Diligenza del prestatore di lavoro: «Il prestatore di
lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta,
dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale».
Art. 2148 Codice civile – Obblighi di residenza e di custodia: «Il mezzadro ha
l’obbligo di risiedere stabilmente nel podere con la famiglia colonica».
Art. 2158 Codice civile – Morte di una delle parti [in tema di mezzadria]: «
(….) In tutti i casi, se il podere non è coltivato con la dovuta diligenza il
concedente può fare eseguire a sue spese i lavori necessari, salvo rivalsa
mediante prelevamento sui prodotti e sugli utili».
Art. 2167 Codice civile – Obblighi del colono: «Il colono deve prestare il
lavoro proprio secondo le direttive del concedente e le necessità della
coltivazione. Egli deve custodire il fondo e mantenerlo in normale stato di
produttività; deve altresì custodire e conservare le altre cose affidategli dal
concedente con la diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 2174 Codice civile – Obblighi del soccidario: «Il soccidario deve prestare,
secondo le direttive del soccidante, il lavoro occorrente per la custodia e
l’allevamento del bestiame affidatogli, per la lavorazione dei prodotti e per il
trasporto sino ai luoghi di ordinario deposito. Il soccidario deve usare la
diligenza del buon allevatore».
Nessuno tocchi il “buon padre di famiglia”. E nessuno tocchi i termini “padre” e
“madre”, scrive Silvano Moffa venerdì 24 gennaio 2014 su "Il Secolo D’Italia".
Dopo il demenziale scardinamento del valore dei termini padre e madre,
sostituibili da quelli di genitore 1 e genitore 2, l’idea francese di cancellare
il “buon padre di famiglia” fa drizzare i capelli. L’emendamento approvato dal
Parlamento parigino a un progetto di legge sulla pari opportunità tra generi,
che elimina dal codice una formula del linguaggio giuridico corrente, non ha
senso. Tutto, ovviamente, avviene nel nome di un sessismo e di una presunta
modernità nei rapporti relazionali tra le persone, che travalica finanche il
senso antico che la locuzione aveva assunto, sopravvivendo al tempo e ai
cambiamenti sociali. La questione non è di poco conto, e non va sottovaluta. Non
fosse altro che per il fatto che la “diligenza del buon padre di famiglia”, come
assioma concettuale e formula di rito nel campo del diritto, è stata abbandonata
in Germania in favore di altra considerata più moderna, mentre è sopravvissuta
in Italia e, finora, in Francia. La formula compare nelle fonti del diritto
romano a partire dal periodo classico. Furono i giuristi dell’epoca a forgiarne
il senso, individuando nel bonus, prudens et diligens pater familias il soggetto
capace di amministrare accuratamente i propri affari, più o meno come avveniva
per il capo dell’azienda agraria domestica, sui cui si basava la civiltà romana
dell’epoca. In seguito, con l’introduzione dei codici giustinianei, la nozione
si è allargata, fino ad assumere la portata di un criterio generale per
individuare i canoni corretti della prestazione, e il comportamento che deve
tenere il debitore diligente. Con l’evoluzione dei tempi e della società, la
“diligenza del buon padre di famiglia” è arrivata fino ai giorni nostri,
scandendo un comportamento medio come sinonimo di saggezza, di legalità, di
etica comportamentale. Un criterio applicato in maniera più vasta e diffusa nel
corpo legislativo e negli stessi esiti giurisdizionali. Ora, non c’è dubbio che
per comprendere la portata di una tale locuzione bisogna risalire alle origini.
Come è chiaro che, per il fatto stesso che il concetto sia diventato più diffuso
nella sfera del linguaggio giuridico, comporta che le ragioni che ne spiegano
l’uso ricorrente e la portata siano fra loro molto differenti. Ma da qui a
decretarne l’abolizione per uno scopo di pari opportunità di genere ne corre.
Pietro de Francisci, uno dei maggiori storici del diritto romano, spiega nei
suoi studi come la struttura della società romana primitiva (comunità di patres)
fosse l’architrave su cui poggiava tutto il sistema dell’epoca: lo ius
Quiritium. Fino alla fine del V secolo, il pater familias viene visto come un
dominus, un soggetto dotato di un potere (potestas) che ha natura originaria,
pre-politica e pre-statuale. È un sovrano del gruppo, del quale è reggitore e
sacerdote, custode dei sacra e degli auspicia, giudice dei filii familias, con
diritto di punire, fino a giungere alla possibilità di infliggere la pena di
morte. E’ evidente la forza implicita in una tale figura nell’epoca antica, ai
primordi del diritto romano. Ed è del pari evidente, come appare persino ovvio,
quanto sia superata, anacronistica, lontana al giorno d’oggi una simile idea di
famiglia. Il problema però è un altro. Intanto, la formula, come abbiamo visto,
ha assunto un significato del tutto diverso nel tempo, anche all’interno dello
stesso diritto romano. In secondo luogo, la diligenza del buon padre di famiglia
è un criterio difficilmente sostituibile con una locuzione che possa avere lo
stesso effetto e la stessa forza immaginifica. Prendiamo ad esempio una
prestazione, nella sua configurazione ordinaria. Attenti giuristi hanno spiegato
come nelle moderne codificazioni che regolano i rapporti dei traffici giuridici
e commerciali, sia ormai superato il dualismo tra colpa in astratto e colpa in
concreto, cui si ricorreva nel determinare la responsabilità della mancata
prestazione. Il modello preferito è ormai quello strettamente oggettivo.
Insomma, dire che il debitore è tenuto alla diligenza del buon padre di famiglia
vuol dire sottolineare che egli è tenuto ad un grado di diligenza media, in
quanto il criterio cui ci si ispira è improntato al buon senso, ad un canone di
normalità, ad un comportamento usuale e corretto nello stabilire il livello dei
rapporti, e nel parametrare il modo in cui non si può non operare nella
generalità dei casi. Nel bonus pater familias residuano, insomma, un nucleo di
saggezza, oltre che una storia e una cultura giuridica di cui dovremmo menar
vanto. Che c’entra con tutto questo il tema delle pari opportunità tra i sessi,
è davvero difficile da comprendere. Altro che modernità. Siamo al cospetto di
una colossale stupidità.
Antonio Giangrande: E la chiamano democrazia…
Diciamo che ogni leader politico è portatore sano di minchiate, la cui vita
scorre al di fuori del mondo reale ed il cui sostegno popolare è misurato in
percentuale.
Il
percento in relazione a che? Se la metà degli aventi diritto non vota; della
metà che vota togliamo le schede bianche o nulle; da quel che resta togliamo i
voti di protesta dati al Movimento 5 Stelle.
A
questo punto la percentuale si dimezza.
Allora penso e dico: gli eletti in Parlamento li votano solo i giornalisti
partigiani che li reclamizzano nei talk show e tutti coloro che hanno avuto
favori con il voto di scambio!
Mal
comune mezzo gaudio?
Leonardo Martinelli per "La Stampa" il 28 giugno 2021. Riemerge in Francia,
inesorabile, quel divario destra-sinistra che Emmanuel Macron aveva ormai dato
come finito, per lui riflesso anacronistico di un passato lontano. Ieri, in
Francia, al secondo turno delle regionali, la destra classica e neogollista (e
non lepenista) si è imposta definitivamente in sette delle tredici regioni,
mentre in altre cinque ha prevalso la sinistra (ogni volta rappresentata, nella
persona del futuro governatore, da un esponente di quel Partito socialista, che
pure da anni vive una profonda crisi). Certo, pesa su queste regionali il
macigno dell'astensionismo, praticamente lo stesso del primo turno: ieri non è
andato a votare il 65,7% dei francesi.
Antonio Giangrande:
"C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e
consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
Se la religione è
l’oppio dei popoli, il comunismo è il più grande spacciatore. Lo spaccio si
svolge, sovente, presso i più poveri ed ignoranti con dazione di beni non dovuti
e lavoro immeritato. Le loro non sono battaglie di civiltà, ma guerre
ideologiche, demagogiche ed utopistiche. Quando il nemico non è alle porte, lo
cercano nell’ambito intestino. Brandiscono l’arma della democrazia per asservire
le masse e soggiogarle alle voglie di potere dei loro ipocriti leader. Lo Stato
è asservito a loro e di loro sono i privilegi ed il sostentamento fiscale e
contributivo. Come tutte quelle religioni con un dio cattivo, chi non è come
loro è un’infedele da sgozzare. Odiano il progresso e la ricchezza degli altri.
Ci vogliono tutti poveri ed al lume di candela. Non capiscono che la gente non
va a votare perché questa politica ti distrugge la speranza.
Quando il più
importante sindaco di Roma, Ernesto Nathan, scoprì che tra le voci di spesa era
stata inserita in bilancio, la TRIPPA, necessaria secondo alcuni addetti agli
archivi del comune, per nutrire i gatti che dovevano provvedere a tenere lontani
i topi dai documenti cartacei, prese una penna e barrò la voce di spesa,
tuonando la celeberrima frase: NON C'È PIÙ TRIPPA PER GATTI, il che mise fine
alla colonia felina del Comune di Roma.
Antonio Giangrande: Nelle elezioni, nel valutare correttamente i risultati
effettivi della singola lista, bisogna tener conto:
del
numero degli aventi diritto al voto,
meno il numero di chi non ha votato,
meno il numero delle schede bianche,
meno il numero delle schede nulle, che spesso contengono imprecazioni,
meno il voto di protesta dato al Movimento Cinque Stelle o altri movimenti di
protesta.
Il
numero così ottenuto è la base su cui calcolare la percentuale di voti ottenuta,
che è molto diversa da quella che ci propinano i media e certo, tale cifra, non
è indicativa di rappresentanza democratica.
Nelle elezioni, nel valutare correttamente i risultati effettivi del singolo/a
candidato/a, bisogna tener conto del voto di preferenza:
Ad
ogni candidato/a, in virtù della doppia preferenza di genere e del voto
disgiunto, gli verranno assegnati voti effettivamente non ricevuti
personalmente, ma frutto di accordi tra candidati di sesso diverso (spesso con
più candidati, tradendone la reciprocità). In questo caso un candidato inetto e
malvisto, in virtù dell’italica furbizia, può essere plebiscitariamente votato,
ma con voti non suoi. Questo in sfregio alla democrazia.
Antonio Giangrande:
A chi votare?
Nell’era
contemporanea non si vota per convinzione. Le ideologie sono morte e non ha
senso rivangare le guerre puniche o la carboneria o la partigianeria.
Chi sa, a chi deve
votare (per riconoscenza), ci dice che comunque bisogna votare e votare il meno
peggio (che implicitamente è sottinteso: il suo candidato!).
A costui si deve
rispondere:
Votare a chi non ci
rappresenta? Votare a chi ci prende per il culo?
I disonesti parlano
di onestà; gli incapaci parlano di capacità; i fannulloni parlano di lavoro; i
carnefici parlano di diritti.
Nessuno parla di
libertà. Libertà di scegliersi il futuro che si merita. Libertà di essere
liberi, se innocenti.
La vergogna è che
nessuno parla dei nostri figli a cui hanno tolto ogni speranza di onestà,
capacità, lavoro e diritti.
Fanno partecipare i
nostri figli forzosamente ed onerosamente a concorsi pubblici ed a Esami di
Stato (con il trucco) per il sogno di un lavoro. Concorsi od esami inani o che
mai supereranno. Partecipazione a concorsi pubblici al fine di diventare piccoli
“Fantozzi” sottopagati ed alle dipendenze di un numero immenso di famelici
incapaci cooptati dal potere e sostenuti dalle tasse dei pochi sopravvissuti
lavoratori.
Ai nostri figli
inibiscono l’esercizio di libere professioni per ingordigia delle lobbies.
Ai nostri figli
impediscono l’esercizio delle libere imprese per colpa di una burocrazia ottusa
e famelica. Ove ci riuscissero li troncherebbero con l’accusa di mafiosità.
Ai nostri figli
impediscono di godere della vita, impedendo la realizzazione dei loro sogni o
spezzando le loro visioni, infranti contro un’accusa ingiusta di reato.
E’ innegabile che
le nostre scuole e le nostre carceri sono pieni, come sono strapieni i nostri
uffici pubblici e giudiziari, che si sostengono sulle disgrazie, mentre sono
vuoti i nostri campi e le nostre fabbriche che ci sostentano.
L’Italia è un Paese
caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco
tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. E non sarei mai votato. I
nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Si
nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il
culo.
Si deve tener
presente che il voto nullo, bianco o di protesta è conteggiato come voto dato.
Quindi io non voto.
Non voto perché un
popolo di coglioni votanti sarà sempre governato ed amministrato, informato,
istruito e giudicato da coglioni.
Informato da chi
mette in onda le proprie opinioni, confrontandole esclusivamente con i propri
amici o con i propri nemici. Ignorata rimane ogni voce fuori dal coro.
Se nessuno votasse?
In democrazia, se
la maggioranza non vota, ai governanti oppressori ed incapaci sarebbe imposto di
chiedersi il perché! Allora sì che si inizierebbe a parlare di libertà. Ne
andrebbe della loro testa…
Antonio Giangrande: PD, 40% di che? Le elezioni e la vittoria del partito della
protesta. Come i media manipolano la realtà.
Italia. Ha vinto il partito del “non voto”. Monta la protesta, ma i giornalisti
la censurano.
Prendiamo per esempio le elezioni dei parlamentari europei del 25 maggio 2014.
Dati ufficiali definitivi del Ministero dell’Interno tratti da suo portale.
Affluenza:
6-7
giugno 2009 Italia+Estero 65,05%, Italia 66,46%;
25
maggio 2014 Italia+Estero 57,22%, Italia 58,68%;
Quindi si deduce che il partito del “non voto” si attesta in quest’ordine:
Italia + estero astenuti 21.671.202 ossia il 42,78%;
Italia astenuti 20.348.165 ossia il 41,32%;
Questo è il dato nazionale. Più eclatante e sintomatico se si tiene conto dei
risultati nell’Italia meridionale, più incazzata verso questa politica
qualunquista ed inconcludente. Spesso, corrotta.
Sardegna astenuti 58%
Sicilia astenuti 57,12%
Calabria astenuti 54,24
Puglia astenuti 48,48
Basilicata astenuti 50,44
Campania astenuti 48,92
A
questi elettori astenuti bisogna aggiungere un altro milione e mezzo di elettori
che hanno deciso di mandare “affanculo” i nostri politici direttamente nelle
urne.
Schede bianche 577.856 1,99%;
Schede nulle 954.718 3,30%;
In
tutto “i non voto” italiani sono il 47,29 %.
In
più vi è quella parte che vede nel Movimento 5 Stelle il collettore ideale della
loro protesta. 5.807.362, 21,15% Italia+estero, Italia 5.792.865, 21,16%.
In
definitiva 22 milioni di italiani hanno deciso di protestare con il sistema del
non voto, che i denigratori chiamano astensione.
Che
diventano 29 milioni se si sommano a chi della protesta ne ha fatto un
movimento. Movimento che non rappresenta tutte le aspettative della totalità dei
protestanti, perché troppo giustizialista o violento verbalmente o troppo volto
a sinistra. O perché si arroga il diritto di essere l’unico “partito degli
onesti” di stampo dipietrista.
Tutta questa astensione mal¬grado il traino delle ammi¬ni¬stra¬tive in quasi
4000 comuni e in due Regioni, l’Abruzzo e il Pie¬monte. Amministrative dove
spesso e volentieri tutte le famiglie, (con parenti candidati) sono costrette ad
andare a votare.
Da
tener conto anche dell’exploit della Lega che, esportando in Europa la sua
politica secessionista, ha tirato voti, nella prospettiva di far venir fuori
l’Italia dall’Euro, tralasciando per il momento la sua battaglia di far venir
fuori la Padania dall’Italia.
Bisogna che si capisca e farlo capire agli italiani ignari e corrotti da questa
stampa, galoppina del Potere, che 29.011.138 di italiani si non rotti il cazzo
di questi politici, delle loro ideologie e dei magistrati che li proteggono.
(L’intercalare rende l’idea). Politici cooptati e nominati dalla nomenclatura
tra i peggio. Lontani dai bisogni della gente ed ignari della realtà quotidiana
di malati, disoccupati, carcerati, ecc…..
Il
tanto decantato Renzi e il Pd, con il suo 40%, ha preso solo 11.172.861 voti in
Italia o 11.203.231 + estero.
Insomma. In definitiva Renzi ed il Pd ha preso in effetti il 22%. Ossia solo 2
italiani su 10 lo hanno votato. E questo anche perché con i rossi non c’è
protesta che tenga. Il loro voto ed il loro sostegno al partito non lo fanno mai
mancare. Anche con candidati impresentabili. Addirittura alle prime ore delle
aperture dei seggi, sia mai che arrivi la morte ad impedire quello che loro
chiamano “senso civico”. E questo i presidenti di seggio lo sanno bene.
Ciononostante il giorno dopo della tornata elettorale ogni giornale o tg
mistifica la realtà e porta l’acqua al mulino del partito di riferimento. E dato
che sono tutti politicizzati, i giornalisti commentano la vittoria (inesistente)
della loro parte politica o ne limitano da debacle.
Checche se ne dica: più di Grillo, più di Berlusconi, più di Alfano, più della
Meloni, più di Salvini, più dei seguaci del greco Tsipras, più del prodigioso e
mediatico Pd di Renzi, con un’affluenza in Italia al 57 per cento, 8 punti in
meno rispetto al 65 del 2009, il partito più forte in Italia è il partito della
protesta, ossia del “non voto”.
E’
strano, però, che nessuno ne renda conto e, cosa più importante, che i politici
non se ne rendano conto.
Anzi, errata corrige. Ognuno di noi, “ cittadini onesti ed immacolati” e ognuno
di loro, “politici corrotti ed incapaci”, ha una spiegazione: "Uno Stato di
coglioni...", commenta stizzito Emanuele Cozzolino del M5S. Commento che è fatto
proprio da tutti gli schieramenti, rivolto verso chi non ha votato per la loro
parte politica. Questo commento è fatto proprio anche da parte dei “Non
votanti”, coacervo anarchico di idee confuse che si limita a protestare, senza
proporre. Incapaci di aggregarsi tra loro o con gli altri per il sol fatto di
essere composto da sedicenti prime donne. Se qualcuno di loro, poi, presenta la
proposta e si candida ad attuarla, vien tacciato di essere come gli altri:
“corrotto ed incapace”. In questo modo tarpandogli le ali.
Che
alla fine abbia ragione Cozzolino? Con questi italiani ignavi (coglioni) non
cambierà mai nulla? Si deve arrivare alla fame per dar vita alla rivoluzione?
Antonio Giangrande:
IL PARTITO INVISIBILE. ASTENSIONISMO, VOTO MIGRANTE E VOTO DI PROTESTA: I
MOTIVI DI UNA DEMOCRAZIA INESISTENTE.
50% circa di
astensione al voto; 5% circa di schede bianche o nulle; 25% di voti di protesta
e non di proposta ai 5Stelle. Solo il 20% di voti validi (forse voti di
scambio). Chi governa ha solo un elettore su 10 che lo ha scelto e si vanta pure
di aver vinto. Che cazzo di democrazia è?
Elezioni 2015. Il
partito invisibile, scrive Alberto Puliafito, direttore responsabile di
"Blogo.it" e Carlo Gubitosa su “Polis Blog”. Un viaggio nel mondo di tutti
coloro che non vengono raccontati dalla comunicazione politica, che non vengono
rappresentati, che non votano. Dopo il voto regionale, la comunicazione politica
si è concentrata, come al solito, su "chi vince". E hanno vinto tutti, chi per
un motivo chi per l'altro. Noi, per un primo commento, ci siamo concentrati su
chi ha perso. E fra i motivi della sconfitta annoveravamo l'impressionante tasso
di astensionismo. I dati che proponiamo qui, grazie al lavoro di Carlo Gubitosa,
dovrebbero, secondo chi scrive, essere pubblicati ovunque. Il giornalismo
dovrebbe, una volta per tutte, dedicare i propri titoli alle rappresentazioni
numeriche realistiche della situazione della rappresentanza politica in Italia,
invece di rincorrere le dichiarazioni di Renzi, Grillo, Salvini o altri.
Guardare quelle fette grigie di non rappresentati fa rabbrividire ma è
necessario per impostare una narrazione giornalistica corretta. Questo è vero
data journalism. Per i partiti contano i propri voti, per la politica contano
solo i voti validi, per il ministero dell'interno contano solo gli elettori. E
se invece provassimo a contare le persone? I grafici che nessuna formazione
politica vorrà mai mostrarvi rivelano il peso numerico della "maggioranza
invisibile", quella che non può, non vuole o non sa indicare una rappresentanza
nelle urne. Sono gli astensionisti, i delusi dalla politica, ma anche gli
stranieri e i minori, una fetta di popolazione che diventa “invisibile” nei
sondaggi, nel dibattito politico e nelle analisi post-voto. Abbiamo provato ad
analizzare i dati ufficiali del voto alle regionali incrociandoli con i numeri
dell’ISTAT e aggiungendoci una semplice curiosità di partenza: scoprire cosa
succede se oltre ai SEGGI ASSEGNATI e ai VOTI VALIDI misurati dalle percentuali
iniziamo a contare anche i VOTI TOTALI (includendo anche chi ha votato scheda
bianca, nulla o annullata), il NUMERO TOTALE DI ELETTORI (includendo anche chi è
stato a casa), e anche il NUMERO TOTALE DI RESIDENTI, stranieri inclusi (per
contare anche chi subisce le conseguenze delle decisioni politiche senza
esercitare il diritto di voto).
La Campania e il
partito della scheda bianca. Nel disinteresse generale (tanto le poltrone si
sono già spartite) a ben quattro giorni dal voto arrivano i dati definitivi
della Campania, dove chi conta le persone e non le poltrone registra 170mila tra
schede bianche e nulle, un partito che vale il 7% dei voti validi, ben più del
valore previsto dal sistema elettorale campano come soglia di sbarramento per le
liste. Potremmo chiederci se questo 7% di Campani è composto da quella gente
egoista, pigra e disinteressata alla cosa pubblica descritta dai partiti che
fomentano l'astensionismo per poi demonizzare chi lo pratica, o più
semplicemente si tratta di persone a cui è negata rappresentanza politica e quel
minimo di alfabetizzazione necessaria a non farsi annullare la scheda.
Il Veneto e il suo
invisibile "partito migrante". In Veneto il dato di rilievo è il "partito dei
senza voto", quel 21,9% di persone che pur vivendo in quella regione non può
votare perché non ne ha ancora il diritto o perché essendo straniero quel
diritto non ce l'ha mai avuto. Un blocco di elettori pressoché equivalente al
22,9% di astensionisti, a sua volta speculare al 22,9% di Salviniani, dove la
componente migrante pesa per il 12,4% della popolazione residente, più del
consenso raccolto dal PD che in questa regione si ferma al 12,1%. Il dibattito
politico ci mostra a seconda degli schieramenti il ritratto di una regione
Leghista, o di una regione dove trionfa il disimpegno e l'astensionismo, ma
nessuna delle "fotografie politiche" mostrate dai mezzi di comunicazione di
massa si allarga ai dati sull'intero insieme della popolazione, per mostrare la
fotografia di una regione dove un veneto su cinque non può esprimere
rappresentanza politica, e il 12,4% della popolazione residente con tutta
probabilità sarebbe ben contento di prendere le distanze sia dal blocco leghista
che da quello astensionista, esprimendo un "voto migrante" che molti temono,
qualcuno auspica, ma nessuno si decide a garantire.
Elezioni comunali
2015, l’Italia senza quorum: ecco i paesi allergici alle urne, scrive “Il fatto
Quotidiano”. A Castelvecchio Calviso, in provincia dell’Aquila, si è registrato
uno solo voto valido e quattro schede bianche a fronte di 277 potenziali
elettori. A Platì e San Luca, due centri reggini sciolti per mafia vince
l'astensione: non si presentano candidati, figurarsi gli elettori. Nel Vibonese,
a Spilinga, solo uno su dieci va a votare. E il sindaco non viene eletto. C’è
un’Italia senza quorum. Mentre si affastellano analisi e reazioni sul dopo voto
un piccolo pezzo di Paese ha preso il largo dalla politica. Sono i cittadini di
piccoli e medi comuni che nel diniego dell’urna hanno ingrossato il dato
dell’astensione, fino a produrre risultati emblematici e paradossali.
Il disgusto che
porta a non andare più a votare. L'astensionismo è il vero vincitore delle
elezioni regionali. E colpisce anche le regioni rosse, ma sono sempre di più
quelli che ritengono la politica italiana impotente e incapace di risolvere i
problemi. Mentre i flussi elettorali spiegano che i travasi di voti tra i
partiti sono limitati. Il vero vincitore delle elezioni regionali 2015 è stata
l’astensione, scrive Alessandro D’Amato su Next Quotidiano”. Su quasi 19 milioni
di elettori chiamati alle urne, appena il 45%, 8 milioni e mezzo, ha espresso un
voto valido ad una lista; oltre 9 milioni, il 48%, si sono astenuti. E la
tendenza al non voto diventa sempre più impressionante nella crescita dei
numeri, e comincia a colpire anche le aree più affezionate al rito elettorale.
Vince l’astensione:
siamo noi giovani a non votare più. Il partito dell'astensione cresce a ogni
elezione di più. Ma è un problema che va affrontato, perché riguarda soprattutto
i più giovani. Troppo lontani dalla politica, scrive Michele Azzu su "Fan Page".
“Il vero vincitore è l’astensionismo”, anche a queste elezioni regionali
ripeteremo questa solita frase fatta per chissà quanto tempo. Frase che,
elezione dopo elezione, sembra sempre più veritiera. Alle elezioni regionali di
Veneto, Campania, Marche, Umbria, Toscana, Puglia, Liguria ha votato solo il
51.4 per cento degli aventi diritto. Nel 2010 era il 64 per cento: si sono persi
il 10 per cento di voti. Una persona su due non ha votato, e questa volta non è
stato certo per colpa del bel tempo e delle gite di primavera: nel fine
settimana ha piovuto in quasi tutto il paese. È un dato che fa spavento.
Confrontiamolo coi dati delle più recenti votazioni del nostro paese. Lo scorso
novembre si votava alle regionali in Emilia Romagna e Calabria. Anche in quel
caso l’affluenza al voto fu bassissima: in Emilia Romagna votò il 37.7 per cento
contro il 68 delle elezioni precedenti, e contro il 70 per cento delle europee
di solo sei mesi prima. Sono 30 punti percentuali in meno. In Calabria a votare
furono il 43.8 per cento degli aventi diritto contro il 59 per cento del 2010
(15 per cento in meno). Alle scorse elezioni europee, invece, l’affluenza fu più
alta: circa il 60 per cento degli aventi diritto. E alle scorse elezioni
politiche? Quelle del giugno 2013, in cui vinse per un soffio il PD guidato da
Pierluigi Bersani che poi però non andò mai al governo. In quell’occasione, votò
il 55 per cento degli elettori rispetto al 62.6 per cento di cinque anni prima,
nel 2008. Le elezioni hanno ormai imparato a convivere con alti tassi di
astensionismo. E allora, se va così dappertutto, forse è un segno dei tempi. Chi
non vota rinuncia coscientemente a un proprio diritto – dirà qualcuno – e allora
perché porsi il problema?
Votano pochi anche
in Germania. In Italia non si vota per disgusto, in Germania per noia, scrive
Roberto Giardina su “Italia Oggi”. Perché preoccuparsi dell'astensione di
domenica scorsa in Italia? Avviene così altrove, perfino in Germania. Metà dei
votanti è rimasta a casa? Claudio Velardi cita la Baviera, ma, per la verità,
qui in Germania, all'ultimo appuntamento elettorale, l'astensione si è fermata
al 46%. Comunque è vero, a casa della Merkel gli elettori sono sempre più pigri,
nelle elezioni dei Länder, le regioni, si continua a calare, sfiorando il 50%.
Soltanto che qui ci si preoccupa della pigrizia elettorale. I nostri politici
fanno finta di niente. Ma le cause sono diverse: i tedeschi disertano le urne
per noia, gli italiani, temo, per disgusto e rassegnazione.
I GRILLINI CANTANO
VITTORIA. MA ANCHE LORO FAREBBERO BENE A CHIEDERSI PER CHI SUONA LA CAMPANA,
scrive Antonio de Martini su “Il Corriere della Collera”. Un lettore mi ha
scritto ripetutamente invitandomi a commentare la vittoria del movimento cinque
stelle alle recenti elezioni. Turani nel suo giornale presenta questi numeri:
1) Alle elezioni
politiche del 2013 , nelle stesse sette regioni in cui si è votato, il movimento
cinque stelle raccolse 3.274.571 suffragi.
2) Alle elezioni
Europee del 2014 , sempre nelle stesse regioni, gli elettori scesero a
2.211.384.
3) Alle regionali
appena trascorse i votanti 5 stelle sono stati 1.320.885.
Sempre che la
matematica non sia diventata di parte anch’essa, il movimento 5 stelle non ha
avuto un successo, ma una perdita di votanti che si sono dimezzati rispetto alla
prima apparizione sulla scena politica. Molti cittadini cercano di illudersi e
vedere in “ogni villan che parteggiando viene ” il messia salvatore che rimetta
le cose a posto senza che ci si scomodi più di tanto. Un voto, una richiesta di
favori e via….Ebbene, non è così. Non è più così. La tendenza chiara ogni giorno
di più è che dal 1976 in poi la sola cifra in crescita alle elezioni è quella
dei cittadini che si rifiutano di essere presi in giro da questi ladri di Pisa
che di giorno litigano e di notte rubano assieme. I cittadini che si astengono
dal voto e di cui tutti fingono di non capirne le motivazioni. Il Cardinale Siri
( arcivescovo di Genova, città che si appresta a subire l’ennesima delusione) –
mi dicono – ebbe un bon mot: ” esiste personale politico di due tipi: quelli che
rubano per fare politica e quelli che fanno politica per rubare. Da un po' vedo
in giro solo questi ultimi”. Appunto. Arrestarli? Inutile. Sono più numerosi dei
carabinieri e in costante crescita. Per uscire da questo maleolente pantano è
necessario che tutti i cittadini – dopo aver fatto il proprio dovere – decidano
di esercitare i loro diritti costituzionali partecipando alla vita nazionale in
forma attiva, propositiva e continuativa. Ad ogni livello. Fino a che
aspetteremo il “deus ex machina”, la “rigenerazione” ed altre minchiate
consimili resteremo dove siamo. Tra tutte le soluzioni miracolistiche proposte,
quella di far governare l’Italia da un gruppo di giovani somari è la più
stravagante. I dirigenti della Nuova Repubblica dovranno essere selezionati uno
a uno in base al sapere, all‘esperienza e sopratutto al carattere. Oggi si
scelgono in base alla fedeltà, l’ignoranza e alla disponibilità al compromesso.
La politica delle etichette (delle camicie, dei distintivi ecc) si addice ai
prodotti commerciali, non alle persone.
L'utopia
dell'onestà e la demagogia della proposta politica irrealizzabile, presentata
come panacea di tutti i mali, sono le prese per il culo che il cittadino non
tollera più.
Una Repubblica
fondata sulla trattativa. Gli accordi tra Stato e criminalità vanno avanti da
due secoli. Così i padrini si sono visti riconoscere la loro forza. Che ora si è
spostata nell’economia, scrive Giancarlo De Cataldo su "L'Espresso". Ci sono in
molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza
riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un
possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far
esonerare un funzionario, ora di proteggerlo, ora di conquistarlo, ora
d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei”. Così
scriveva, nel 1838, don Pietro Ulloa, Procuratore borbonico di Trapani. E
Leonardo Sciascia poteva annotare, sconsolato, oltre cent’anni dopo: “Leggeremo
mai negli archivi della commissione parlamentare antimafia attualmente in
funzione, una relazione acuta e spregiudicata come questa?”.
Onestà (e non solo)
la risposta politica contro la corruzione. Dopo tante inchieste sulle malefatte
degli amministratori, bisogna chiedersi perché nulla sia cambiato: come diceva
Croce, non basta invocare le virtù personali, occorrono strategie adeguate,
scrive Giovanni Belardelli su “Il Corriere della Sera”. «Di nuovo?». È questa la
domanda che, di fronte agli sviluppi giudiziari dell’inchiesta «Mafia capitale»,
molti cittadini si sono fatti, sempre meno fiduciosi circa la possibilità che si
possa ridurre l’intreccio tra politica e malaffare. È uno stato d’animo
comprensibile, ma da superare: occorre chiedersi se non c’è stato anche qualcosa
di sbagliato nel modo in cui, per tanti anni, abbiamo evocato la questione
morale. L’appello all’onestà, tante volte ripetuto, non basta infatti di per sé
a risolvere i mali della politica: e il sentimento «anti casta», pur animato da
giustificato sdegno, ha diffuso nel Paese l’idea che della politica e dei
partiti si possa fare a meno, per affidarsi alla magistratura. Così non è. E
anche se la qualità del ceto dirigente, locale e nazionale, è evidentemente
scadente (quanti sono coinvolti nelle inchieste sembrano spinti solo da
miserabili aspirazioni di arricchimento), l’onestà personale non è, né sarà
sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica. Osservò una
volta Benedetto Croce che la «petulante richiesta» di onestà nella vita politica
è l’«ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli». Personalmente
onestissimo, Croce non voleva certo fare l’apologia della disonestà in politica
ma segnalare come l’appello all’onestà sia di per sé insufficiente a risolvere i
mali della politica, che hanno anzitutto bisogno di rimedi - appunto - politici.
Invece - ecco un altro errore di questi decenni - il sentimento «anticasta», pur
animato da sdegno giustificatissimo per i privilegi e le malefatte del ceto
politico, ha diffuso nel Paese l’idea che della politica e dei partiti si possa
fare a meno, per affidarsi ai controlli e alle inchieste della magistratura,
magari con un inasprimento delle pene cui pochi peraltro riconoscono una vera
capacità dissuasiva. Non c’è bisogno di citare ancora Croce per osservare che
l’onestà personale non è sufficiente a risolvere un problema di grave
inadeguatezza politica.
Nel paese dove è
inutile essere onesti. La politica è da sempre incapace di fare pulizia prima
che arrivino le inchieste giudiziarie. Così si arriva alle liste compilate con
criteri discutibili, scrive Roberto Saviano su “L’Espresso”. Elezioni
all'insegna del “in fondo sapevamo già tutto”, le Regionali di domenica scorsa.
Certo, banalizzare l’esito del voto talvolta può essere un’operazione scontata,
ma non in questo caso, in cui le premesse dicevano già molto. Ma non le premesse
dei sondaggi, non i dibattiti sui giornali, non i comizi da talk show. Bensì gli
umori in strada, i discorsi tra le persone, la delusione da bar. Eh sì, perché
ormai le “chiacchiere da bar” è in questo che si sono mutate, in “delusione da
bar”. Alla politica ormai si applica la stessa “sindrome Trapattoni” che il
nostro paese conosce per il calcio: tutti allenatori e tutti delusi dalla classe
politica. Abbiamo letto ancora una volta titoli come “Il vero vincitore è
l’astensionismo” che mette in luce quel 52% di affluenza al voto che ormai non
scandalizza più. E se in Italia la politica, tutta, non cambia rotta - ma
evidentemente non lo farà - è un dato destinato a decrescere soprattutto se alle
urne si è chiamati in una domenica di sole, la prima dopo freddo e pioggia.
La finanza, gli
impresentabili e i parrucconi, scrive Nicola Porro su “Il Giornale”. Questo
paese di parrucconi è veramente una schifezza. Parrucconi buoni solo a declamare
principi favolosi di onestà, correttezza ed eticità ci sono sempre stati per
carità. Il problema è che abbiamo sempre pensato che sotto queste profumate
parrucche, si celassero solo teste di rapa. Alzi la mano chi è a favore della
disonestà? Faccia un passo avanti chi è favore della corruzione? Nessuno è
ovvio. Il nostro parruccone moderno fa di più, questiona i quarti di nobiltà.
Tipo alla Caccia. Vabbè tutti sapete della genialata democratica della
commissione antimafia, guidata da Rosy Bindi.
Dr Antonio
Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande, ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE:
DEMOCRAZIA: LA DITTATURA DELLE
MINORANZE.
La coperta corta e l’illusione della rappresentanza politica, tutelitaria degli
interessi diffusi.
Di Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande ha
scritto i libri che parlano delle caste e delle lobbies; della politica, in
generale, e dei rispettivi partiti politici, in particolare.
La dittatura è una forma autoritaria di governo in cui il potere è accentrato in
un solo organo, se non addirittura nelle mani del solo dittatore, non limitato
da leggi, costituzioni, o altri fattori politici e sociali interni allo Stato.
Il ricambio al vertice decisionale si ha con l’eliminazione fisica del dittatore
per mano dei consanguinei in linea di successione o per complotti cruenti degli
avversari politici. In senso lato, dittatura ha quindi il significato di
predominio assoluto e perlopiù incontrastabile di un individuo (o di un
ristretto gruppo di persone) che detiene un potere imposto con la forza. In
questo senso la dittatura coincide spesso con l'autoritarismo e con il
totalitarismo. Sua caratteristica è anche la negazione della libertà di
espressione e di stampa.
La democrazia non è altro che la dittatura delle minoranze reazionarie, che, con
fare ricattatorio, impongono le loro pretese ad una maggioranza moderata,
assoggetta da calcoli politici.
Si definisce minoranza un gruppo sociale che, in una data società, non
costituisce una realtà maggioritaria. La minoranza può essere in riferimento a:
etnia (minoranza etnica), lingua (minoranza linguistica), religione (minoranza
religiosa), genere (minoranza di genere), età, condizione psicofisica.
Minoranza con potere assoluto è chi eserciti una funzione pubblica legislativa,
giudiziaria o amministrativa. Con grande influenza alla formazione delle leggi
emanate nel loro interesse. Queste minoranze sono chiamate "Caste".
Minoranza con potere relativo è colui che sia incaricato di pubblico servizio,
ai sensi della legge italiana, ed identifica chi, pur non essendo propriamente
un pubblico ufficiale con le funzioni proprie di tale status (certificative,
autorizzative, deliberative), svolge comunque un servizio di pubblica utilità
presso organismi pubblici in genere. Queste minoranze sono chiamate "Lobbies
professionali abilitate" (Avvocati, Notai, ecc.). A queste si aggiungono tutte
quelle lobbies economiche o sociali rappresentative di un interesse corporativo
non abilitato. Queste si distinguono per le battagliere e visibili pretese
(Tassisti, sindacati, ecc.).
Le minoranze, in democrazia, hanno il potere di influenzare le scelte politiche
a loro vantaggio ed esercitano, altresì, la negazione della libertà di
espressione e di stampa, quando queste si manifestano a loro avverse.
Questo impedimento è l'imposizione del "Politicamente Corretto” nello scritto e
nel parlato. Recentemente vi è un tentativo per limitare ancor più la libertà di
parola: la cosiddetta lotta alle “Fake news”, ossia alle bufale on line. La
guerra, però è rivolta solo contro i blog e contro i forum, non contro le
testate giornalistiche registrate. Questo perché, si sa, gli abilitati sono
omologati al sistema.
Nel romanzo 1984 George Orwell immaginò un mondo in cui il linguaggio e il
pensiero della gente erano stati soffocati da un tentacolare sistema persuasivo
tecnologico allestito dallo stato totalitario. La tirannia del “politicamente
corretto” che negli ultimi anni si è impossessata della cultura occidentale
ricorda molto il pensiero orwelliano: qualcuno dall'alto stabilisce cosa in un
determinato frangente storico sia da ritenersi giusto e cosa sbagliato, e
sfruttando la cassa di risonanza della cultura di massa induce le persone ad
aderire ad una serie di dogmi laici spacciati per imperativi etici, quando in
realtà sono solo strumenti al soldo di una strategia socio-politica.
Di esempi della tirannia delle minoranze la cronaca è piena. Un esempio per
tutti.
Assemblea Pd, basta con questi sciacalli della minoranza, scrive Andrea Viola,
Avvocato e consigliere comunale Pd, il 15 febbraio 2017 su "Il Fatto
Quotidiano". Mentre il Paese ha bisogno di risposte, la vecchia sinistra pensa
sempre e solo alle proprie poltrone: è un vecchio vizio dalemiano. Per questi
democratici non importa governare l’Italia, è più importante controllare un
piccolo ma proprio piccolo partito. Di queste persone e di questi politicanti
siamo esausti: hanno logorato sempre il Pd e il centro-sinistra; hanno sempre e
solo pensato ai loro poltronifici; si sono sempre professati più a sinistra di
ogni segretario che non fosse un loro uomo. Ma ora basta. Ricapitoliamo. Renzi
perde le primarie con Bersani prima delle elezioni politiche del 2013. Bersani
fa le liste mettendo dentro i suoi uomini con il sistema del Porcellum (altro
che capilista bloccati). Elezioni politiche che dovevano essere vinte con
facilità ed invece la campagna elettorale di Bersani fu la peggiore possibile.
Renzi da parte sua diede il più ampio sostegno, in maniera leale e trasparente.
Il Pd di Bersani non vinse e fu costretto ad un governo Letta con Alfano e
Scelta Civica. Dopo mesi di pantano, al congresso del Pd, Renzi vince e diventa
il segretario a stragrande maggioranza. E poi, con l’appoggio del Giorgio
Napolitano, nuovo presidente del Consiglio. Lo scopo del suo governo è fare le
riforme da troppo tempo dimenticate: legge elettorale e riforma costituzionale.
Tutti d’accordo. E invece ecco che Bersani, D’Alema e compagnia iniziano il
lento logoramento, non per il bene comune ma per le poltrone da occupare. Si
vota l’Italicum e la riforma costituzionale. Renzi fa l’errore di personalizzare
il referendum ed ecco gli sciacalli della minoranza Pd che subito si fiondano.
Da quel momento inizia la strategia: andare contro il segretario che cercare di
riprendere in mano il partito. La prova è semplice da dimostrare: Bersani e i
suoi uomini in Parlamento avevano votato a favore della riforma costituzionale.
Non c’è bisogno di aggiungere altro. Invece il referendum finisce 59 a 41 per il
No. Matteo Renzi, in coerenza con quello detto in precedenza, si dimette da
presidente del Consiglio. E francamente vedere brindare D’Alema, Speranza e
compagnia all’annuncio delle dimissioni di Renzi è stato veramente vomitevole.
Questa è stata la prima e vera plateale scissione: compagni di partito che
brindano contro il proprio segretario, vergognoso! Bene, da quel momento, è un
susseguirsi di insulti continui a Renzi, insulti che neanche il proprio nemico
si era mai sognato. Renzi, a quel punto, è pronto a dimettersi subito e aprire
ad un nuovo congresso. Nulla, la minoranza non vuole e minaccia la scissione
perché prima ci deve essere altro tempo. Non per lavorare nell’interesse della
comunità ma per le mirabolanti strategie personali di Bersani e D’Alema. Avevano
detto che dopo il referendum sarebbe bastato poco per fare altra legge
elettorale e altra riforma costituzionale. Niente di più falso. Unico loro
tormentone, fare fuori Matteo. Renzi, allora, chiede di fare presto per andare
al voto. Apriti cielo: il baffetto minaccia la scissione, non vuole il voto
subito, si perde il vitalizio. Dice che ci vuole il congresso prima del voto.
Bene, Renzi si dice pronto. Lunedì scorso si tiene la direzione. Tanti
interventi. Si vota. La minoranza, però, vota contro la mozione dei renziani. Il
risultato: 107 con Renzi, 12 contro. “Non vogliamo un partito di Renzi”, dicono.
Insomma il vaso è proprio colmo. Scuse su scuse, una sola verità: siete in
stragrande minoranza e volete solo demolire il Pd e Renzi. Agli italiani però
non interessa e non vogliono essere vostri ostaggi. E’ chiaro a tutti che non vi
interessa governare ma avere qualche poltrona assicurata. Sarà bello vedervi un
giorno cercare alleanze. I ricatti sono finiti: ora inizi finalmente la vera
rottamazione.
No, no e 354 volte no. La sindrome Nimby (Not in my back yard, "non nel mio
cortile") va ben oltre il significato originario. Non solo contestazioni di
comitati che non vogliono nei dintorni di casa infrastrutture o insediamenti
industriali: 354, appunto, bloccati solo nel 2012 (fonte Nimby Forum). Ormai
siamo in piena emergenza Nimto – Not in my term of office, "non nel mio mandato"
– e cioè quel fenomeno che svela l’inazione dei decisori pubblici. Nel Paese
dei mille feudi è facile rinviare decisioni e scansare responsabilità. La
protesta è un’arte, e gli italiani ne sono indiscussi maestri. Ecco quindi
pareri "non vincolanti" di regioni, province e comuni diventare veri e propri
niet, scrive Alessandro Beulcke su “Panorama”. Ministeri e governo, in un
devastante regime di subalternità perenne, piegano il capo ai masanielli locali.
Tempi decisionali lunghi, scelte rimandate e burocrazie infinite. Risultato: le
multinazionali si tengono alla larga, le grandi imprese italiane ci pensano due
volte prima di aprire uno stabilimento. Ammonterebbe così a 40 miliardi di euro
il "costo del non fare" secondo le stime di Agici-Bocconi. E di questi tempi,
non permettere l’iniezione di capitali e lavoro nel Paese è una vera follia.
NO TAV, NO dal Molin, NO al nucleare, NO all’ingresso dei privati nella gestione
dell’acqua: negli ultimi tempi l’Italia è diventata una Repubblica fondata sul
NO? A quanto pare la paura del cambiamento attanaglia una certa parte
dell’opinione pubblica, che costituisce al contempo bacino elettorale nonché
cassa di risonanza mediatica per politici o aspiranti tali (ogni riferimento è
puramente casuale). Ciò che colpisce è la pervicacia con la quale, di volta in
volta, una parte o l’altra del nostro Paese si barrica dietro steccati
culturali, rifiutando tutto ciò che al di fuori dei nostri confini è prassi
comune. Le battaglie tra forze dell’ordine e manifestanti NO TAV non si sono
verificate né in Francia né nel resto d’Europa, nonostante il progetto preveda
l’attraversamento del continente da Lisbona fino a Kiev: è possibile che solo in
Val di Susa si pensi che i benefici dell’alta velocità non siano tali da
compensare l’inevitabile impatto ambientale ed i costi da sostenere? E’
plausibile che sia una convinzione tutta italica quella che vede i treni ad alta
velocità dedicati al traffico commerciale non rappresentare il futuro ma, anzi,
che questi siano andando incontro a un rapido processo di obsolescenza? Certo,
dire sempre NO e lasciare tutto immutato rappresenta una garanzia di sicurezza,
soprattutto per chi continua a beneficiare di rendite di posizione politica, ma
l’Italia ha bisogno di cambiamenti decisi per diventare finalmente protagonista
dell’Europa del futuro. NO?
Il Paese dei "No" a prescindere. Quando rispettare le regole è (quasi) inutile.
In Italia non basta rispettare le regole per riuscire ad investire nelle grandi
infrastrutture. Perché le regole non sono una garanzia in un Paese dove ogni
decisione è messa in discussione dai mal di pancia fragili e umorali della
piazza. E di chi la strumentalizza, scrive l’imprenditore Massimiliano Boi. Il
fenomeno, ben noto, si chiama “Nimby”, iniziali dell’inglese Not In My Backyard
(non nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di interesse pubblico che
si teme possano avere effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite.
I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono
il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia. Le contestazioni promosse dai
cittadini sono “cavalcate” (con perfetta par condicio) dalle opposizioni e dagli
stessi amministratori locali, impegnati a contenere ogni eventuale perdita di
consenso e ad allontanare nel tempo qualsiasi decisione degna di tale nome.
Dimenticandosi che prendere le decisioni è il motivo per il quale, in
definitiva, sono stati eletti. L’Osservatorio del Nimby Forum (nimbyforum.it) ha
verificato che dopo i movimenti dei cittadini (40,7%) i maggiori contestatori
sono gli amministratori pubblici in carica (31,4%) che sopravanzano di oltre 15
punti i rappresentanti delle opposizioni. Il sito nimbyforum.it, progetto di
ricerca sul fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali gestito
dall'associazione no profit Aris, rileva alla settima edizione del progetto che
in Italia ci sono 331 le infrastrutture e impianti oggetto di contestazioni (e
quindi bloccati). La fotografia che emerge è quella di un paese vecchio,
conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae investimenti
perché è ideologicamente contrario al rischio d’impresa. Il risultato, sotto gli
occhi di tutti, è la tendenza allo stallo. Quella che i sociologi definiscono
“la tirannia dello status quo”, cioè dello stato di fatto, quasi sempre
insoddisfacente e non preferito da nessuno. A forza di "no" a prescindere, veti
politici e pesanti overdosi di burocrazia siamo riusciti (senza grandi sforzi) a
far scappare anche le imprese straniere. La statistica è piuttosto deprimente:
gli investimenti internazionali nella penisola valgono 337 miliardi, la metà di
quelli fatti in Spagna e solo l’1,4% del pil, un terzo in meno di Francia e
Germania. Un caso per tutti, raccontato da Ernesto Galli Della Loggia. L’ex
magistrato Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, città assurta come zimbello
mondiale della mala gestione dei rifiuti, si è insediato come politico “nuovo”,
“diverso”, “portatore della rivoluzione”. Poi, dicendo “no” ai
termovalorizzatori per puntare solo sulla raccolta differenziata, al molo 44
Area Est del porto partenopeo, ha benedetto l’imbarco di 3 mila tonn di
immondizia cittadina sulla nave olandese “Nordstern” che, al prezzo di 112 euro
per tonn, porterà i rifiuti napoletani nel termovalorizzatore di Rotterdam. Dove
saranno bruciati e trasformati in energia termica ed elettrica, a vantaggio
delle sagge collettività locali che il termovalorizzatore hanno voluto. Ma senza
andare lontano De Magistris avrebbe potuto pensare al termovalorizzatore di
Brescia, dove pare che gli abitanti non abbiano l’anello al naso. Scrive Galli
Della Loggia: “Troppo spesso questo è anche il modo in cui, da tempo, una certa
ideologia verde cavalca demagogicamente paure e utopie, senza offrire alcuna
alternativa reale, ma facendosi bella nel proporre soluzioni che non sono tali”.
In Italia stiamo per inventare la "tirannia della minoranza". Tocqueville aveva
messo in guardia contro gli eccessivi poteri del Parlamento. Con la legge
elettorale sbagliata si può andare oltre...scrive Dario Antiseri, Domenica
04/09/2016, su "Il Giornale". Nulla di più falso, afferma Ludwig von Mises, che
liberalismo significhi distruzione dello Stato o che il liberale sia animato da
un dissennato odio contro lo Stato. Precisa subito Mises in Liberalismo: «Se uno
ritiene che non sia opportuno affidare allo Stato il compito di gestire
ferrovie, trattorie, miniere, non per questo è un nemico dello Stato. Lo è tanto
poco quanto lo si può chiamare nemico dell'acido solforico, perché ritiene che,
per quanto esso possa essere utile per svariati scopi, non è certamente adatto
ad essere bevuto o usato per lavarsi le mani». Il liberalismo prosegue Mises non
è anarchismo: «Bisogna essere in grado di costringere con la violenza ad
adeguarsi alle regole della convivenza sociale chi non vuole rispettare la vita,
la salute, o la libertà personale o la proprietà privata di altri uomini. Sono
questi i compiti che la dottrina liberale assegna allo Stato: la protezione
della proprietà, della libertà e della pace». E per essere ancora più chiari:
«Secondo la concezione liberale, la funzione dell'apparato statale consiste
unicamente nel garantire la sicurezza della vita, della salute, della libertà e
della proprietà privata contro chiunque attenti ad essa con la violenza».
Conseguentemente, il liberale considera lo Stato «una necessità
imprescindibile». E questo per la precisa ragione che «sullo Stato ricadono le
funzioni più importanti: protezione della proprietà privata e soprattutto della
pace, giacché solo nella pace la proprietà privata può dispiegare tutti i suoi
effetti». È «la pace la teoria sociale del liberalismo». Da qui la forma di
Stato che la società deve abbracciare per adeguarsi all'idea liberale, forma di
Stato che è quella democratica, «basata sul consenso espresso dai governati al
modo in cui viene esercitata l'azione di governo». In tal modo, «se in uno Stato
democratico la linea di condotta del governo non corrisponde più al volere della
maggioranza della popolazione, non è affatto necessaria una guerra civile per
mandare al governo quanti intendano operare secondo la volontà della
maggioranza. Il meccanismo delle elezioni e il parlamentarismo sono appunto gli
strumenti che permettono di cambiare pacificamente governo, senza scontri, senza
violenza e spargimenti di sangue». E se è vero che, senza questi meccanismi,
«dovremmo solo aspettarci una serie ininterrotta di guerre civili», e se è
altrettanto vero che il primo obiettivo di ogni totalitario è l'eliminazione di
quella sorgente di libertà che è la proprietà privata, a Mises sta a cuore far
notare che «i governi tollerano la proprietà privata solo se vi sono costretti,
ma non la riconoscono spontaneamente per il fatto che ne conoscono la necessità.
È accaduto spessissimo che persino uomini politici liberali, una volta giunti al
potere, abbiano più o meno abbandonato i principi liberali. La tendenza a
sopprimere la proprietà privata, ad abusare del potere politico, e a disprezzare
tutte le sfere libere dall'ingerenza statale, è troppo profondamente radicata
nella psicologia del potere politico perché se ne possa svincolare. Un governo
spontaneamente liberale è una contradictio in adjecto. I governi devono essere
costretti ad essere liberali dal potere unanime dell'opinione pubblica».
Insomma, aveva proprio ragione Lord Acton a dire che «il potere tende a
corrompere e che il potere assoluto corrompe assolutamente». Un ammonimento,
questo, che dovrebbe rendere i cittadini e soprattutto gli intellettuali ed i
giornalisti più consapevoli e responsabili. Da Mises ad Hayek. In uno dei suoi
lavori più noti e più importanti, e cioè Legge, legislazione e libertà, Hayek
afferma: «Lungi dal propugnare uno Stato minimo, riteniamo indispensabile che in
una società avanzata il governo dovrebbe usare il proprio potere di raccogliere
fondi per le imposte per offrire una serie di servizi che per varie ragioni non
possono essere forniti o non possono esserlo in modo adeguato dal mercato». A
tale categoria di servizi «appartengono non soltanto i casi ovvi come la
protezione dalla violenza, dalle epidemie o dai disastri naturali quali
allagamenti e valanghe, ma anche molte delle comodità che rendono tollerabile la
vita nelle grandi città, come la maggior parte delle strade, la fissazione di
indici di misura, e molti altri tipi di informazione che vanno dai registri
catastali, mappe e statistiche, ai controlli di qualità di alcuni beni e
servizi». È chiaro che l'esigere il rispetto della legge, la difesa dai nemici
esterni, il campo delle relazioni internazionali, sono attività dello Stato. Ma
vi è anche, fa presente Hayek, tutta un'altra classe di rischi per i quali solo
recentemente è stata riconosciuta la necessità di azioni governative: «Si tratta
del problema di chi, per varie ragioni, non può guadagnarsi da vivere in
un'economia di mercato, quali malati, vecchi, handicappati fisici e mentali,
vedove e orfani, cioè coloro che soffrono condizioni avverse, le quali possono
colpire chiunque e contro cui molti non sono in grado di premunirsi da soli ma
che una società la quale abbia raggiunto un certo livello di benessere può
permettersi di aiutare». La «Grande Società» può permettersi fini umanitari
perché è ricca; lo può fare «con operazioni fuori mercato e non con manovre che
siano correzioni del mercato medesimo». Ma ecco la ragione per cui esso deve
farlo: «Assicurare un reddito minimo a tutti, o un livello cui nessuno scenda
quando non può provvedere a se stesso, non soltanto è una protezione
assolutamente legittima contro rischi comuni a tutti, ma è un compito necessario
della Grande Società in cui l'individuo non può rivalersi sui membri del piccolo
gruppo specifico in cui era nato». E, in realtà, ribadisce Hayek, «un sistema
che invoglia a lasciare la sicurezza goduta appartenendo ad un gruppo ristretto,
probabilmente produrrà forti scontenti e reazioni violente quando coloro che ne
hanno goduto prima i benefici si trovino, senza propria colpa, privi di aiuti,
perché non hanno più la capacità di guadagnarsi da vivere». Tutto ciò premesso,
Hayek torna ad insistere sul pericolo insito anche nelle moderne democrazie dove
si è persa la distinzione tra legge e legislazione, vale a dire tra un ordine
che «si è formato per evoluzione», un ordine «endogeno» e che si «autogenera»
(cosmos) da una parte e dall'altra «un ordine costruito». Un popolo sarà libero
se il governo sarà un governo sotto l'imperio della legge, cioè di norme di
condotta astratte frutto di un processo spontaneo, le quali non mirano ad un
qualche scopo particolare, si applicano ad un numero sconosciuto di casi
possibili, e formano un ordine in cui gli individui possano realizzare i loro
scopi. E, senza andare troppo per le lunghe, l'istituto della proprietà
intendendo con Locke per «proprietà» non solo gli oggetti materiali, ma anche
«la vita, la libertà ed i possessi» di ogni individuo costituisce, secondo
Hayek, «la sola soluzione finora scoperta dagli uomini per risolvere il problema
di conciliare la libertà individuale con l'assenza di conflitti». La Grande
società o Società aperta in altri termini «è resa possibile da quelle leggi
fondamentali di cui parlava Hume, e cioè la stabilità del possesso, il
trasferimento per consenso e l'adempimento delle promesse». Senza una chiara
distinzione tra la legge posta a garanzia della libertà e la legislazione di
maggioranze che si reputano onnipotenti, la democrazia è perduta. La verità,
dice Hayek, è che «la sovranità della legge e la sovranità di un Parlamento
illimitato sono inconciliabili». Un Parlamento onnipotente, senza limiti alla
legiferazione, «significa la morte della libertà individuale». In breve: «Noi
possiamo avere o un Parlamento libero o un popolo libero». Tocqueville, ai suoi
tempi, aveva messo in guardia contro la tirannia della maggioranza; oggi, ai
nostri giorni, in Italia, si va ben oltre, sempre più nel baratro, con la
proposta di una legge elettorale dove si prefigura chiaramente una «tirannia»
della minoranza. Dario Antiseri
Quelli che... è sempre colpa del liberalismo. Anche se in Italia neppure esiste.
A sinistra (ma pure a destra) è diffusa l'idea che ogni male della società sia
frutto dell'avidità e del cinismo capitalistico. Peccato sia l'esatto contrario:
l'assenza di mercato e di concorrenza produce ingiustizie e distrugge l'eco...,
scrive Dario Antiseri, Domenica 04/09/2016, su "Il Giornale". Una opinione
sempre più diffusa e ribadita senza sosta è quella in cui da più parti si
sostiene che i tanti mali di cui soffre la nostra società scaturiscano da
un'unica e facilmente identificabile causa: la concezione liberale della
società. Senza mezzi termini si continua di fatto a ripetere che il liberalismo
significhi «assenza di Stato», uno sregolato laissez fairelaissez passer, una
giungla anarchica dove scorrazzano impuniti pezzenti ben vestiti ingrassati dal
sangue di schiere di sfruttati. Di fronte ad un sistema finanziario slegato
dall'economia reale, a banchieri corrotti e irresponsabili che mandano sul
lastrico folle di risparmiatori, quando non generano addirittura crisi per
interi Stati; davanti ad una disoccupazione che avvelena la vita di larghi
strati della popolazione, soprattutto giovanile; di fronte ad ingiustizie
semplicemente spaventose generate da privilegi goduti da bande di cortigiani
genuflessi davanti al padrone di turno; di fronte ad imprenditori che impastano
affari con la malavita e ad una criminalità organizzata che manovra fiumi di
(...) (...) denaro; di fronte a queste e ad altre «ferite» della società, sul
banco degli imputati l'aggressore ha sempre e comunque un unico volto: quello
della concezione liberale della società. E qui è più che urgente chiedersi: ma è
proprio vero che le cose stanno così, oppure vale esattamente il contrario, cioè
a dire che le «ferite» di una società ingiusta, crudele e corrotta zampillano da
un sistematico calpestamento dei principi liberali, da un tenace rifiuto della
concezione liberale dello Stato? Wilhelm Röpke, uno dei principali esponenti
contemporanei del pensiero liberale, muore a Ginevra il 12 febbraio del 1966.
Nel ricordo di Ludwig Erhard, allora Cancelliere della Germania Occidentale:
«Wilhelm Röpke è un grande testimone della verità. I miei sforzi verso il
conseguimento di una società libera sono appena sufficienti per esprimergli la
mia gratitudine, per avere egli influenzato la mia concezione e la mia
condotta». E furono esattamente le idee della Scuola di Friburgo alla base della
strabiliante rinascita della Germania Occidentale dopo la fine della seconda
guerra mondiale. Ancora Erhard, qualche anno prima, nel 1961: «Se esiste una
teoria in grado di interpretare in modo corretto i segni del tempo e di offrire
un nuovo slancio simultaneamente ad un'economia di concorrenza e a un'economia
sociale, questa è la teoria proposta da coloro che vengono chiamati neoliberali
o ordoliberali. Essi hanno posto con sempre maggiore intensità l'accento sugli
aspetti politici e sociali della politica economica affrancandola da un
approccio troppo meccanicistico e pianificatore». E tutt'altro che una assenza
dello Stato caratterizza la proposta dei sostenitori dell'Economia sociale di
mercato. La loro è una concezione di uno Stato forte, fortissimo, istituito a
presidio di regole per la libertà: «Quel che noi cerchiamo di creare - affermano
Walter Eucken e Franz Böhm nel primo numero di Ordo (1948) è un ordine economico
e sociale che garantisca al medesimo tempo il buon funzionamento dell'attività
economica e condizioni di vita decenti e umane. Noi siamo a favore dell'economia
di concorrenza perché è essa che permette il conseguimento di questo scopo. E si
può anche dire che tale scopo non può essere ottenuto che con questo mezzo». Non
affatto ciechi di fronte alle minacce del potere economico privato sul
funzionamento del mercato concorrenziale né sul fatto che le tendenze
anticoncorrenziali sono più forti nella sfera pubblica che in quella privata, né
sui torbidi maneggi tra pubblico e privato, gli «Ordoliberali» della scuola di
Friburgo, distanti dalla credenza in un'armonia spontanea prodotta dalla «mano
invisibile», hanno sostenuto l'idea che il sistema economico deve funzionare in
conformità con una «costituzione economica» posta in essere dallo Stato. Scrive
Walter Eucken nei suoi Fondamenti di economia politica (1940): «Il sistema
economico deve essere pensato e deliberatamente costruito. Le questioni
riguardanti la politica economica, la politica commerciale, il credito, la
protezione contro i monopoli, la politica fiscale, il diritto societario o il
diritto fallimentare, costituiscono i differenti aspetti di un solo grande
problema, che è quello di sapere come bisogna stabilire le regole dell'economia,
presa come un tutto a livello nazionale ed internazionale». Dunque, per gli
Ordoliberali il ruolo dello Stato nell'economia sociale di mercato non è affatto
quello di uno sregolato laissez-faire, è bensì quello di uno «Stato forte»
adeguatamente attrezzato contro l'assalto dei monopolisti e dei cacciatori di
rendite. Eucken: «Lo Stato deve agire sulle forme dell'economia, ma non deve
essere esso stesso a dirigere i processi economici. Pertanto, sì alla
pianificazione delle forme, no alla pianificazione del controllo del processo
economico». «Non fa d'uopo confutare ancora una volta la grossolana fola che il
liberalismo sia sinonimo di assenza dello Stato o di assoluto lasciar fare o
lasciar passare». Questo scrive Luigi Einaudi in una delle sue Prediche inutili
(dal titolo: Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglianze tra
liberalismo e socialismo). E prosegue: «Che i liberali siano fautori dello Stato
assente, che Adamo Smith sia il campione dell'assoluto lasciar fare e lasciar
passare sono bugie che nessuno studioso ricorda; ma, per essere grosse, sono
ripetute dalla più parte dei politici, abituati a dire: superata l'idea
liberale; non hanno letto mai nessuno dei libri sacri del liberalismo e non
sanno in che cosa esso consista». Contro Croce, per il quale il liberalismo «non
ha un legame di piena solidarietà col capitalismo o col liberismo economico
della libera concorrenza», Einaudi giudica del tutto inconsistente simile
posizione in quanto una società senza economia di mercato sarebbe oppressa da
«una forza unica dicasi burocrazia comunista od oligarchia capitalistica capace
di sovrapporsi alle altre forze sociali», con la conseguenza «di uniformizzare e
conformizzare le azioni, le deliberazioni, il pensiero degli uomini». Così
Einaudi nel suo contrasto con Croce (in B. Croce-L. Einaudi, Liberismo e
Liberalismo, 1957). È un fatto sotto gli occhi di tutti che ipertrofia dello
Stato ed i monopoli sono storicamente nemici della libertà. Monopolismo e
collettivismo ambedue sono fatali alla libertà. Per questo, tra i principali
compiti dello Stato liberale vi è una lotta ai monopoli, a cominciare dal
monopolio dell'istruzione. Solo all'interno di precisi limiti, cioè delle regole
dello Stato di diritto, economia di mercato e libera concorrenza possono
funzionare da fattori di progresso. Lo Stato di diritto equivale all'«impero
della legge», e l'impero della legge è condizione per l'anarchia degli spiriti.
Il cittadino deve obbedienza alla legge. Legge che deve essere «una norma nota e
chiara, che non può essere mutata per arbitrio da nessun uomo, sia esso il primo
dello Stato». Uguaglianza giuridica di tutti i cittadini davanti alla legge; e,
dalla prospettiva sociale, uguaglianza delle opportunità sulla base del
principio che «in una società sana l'uomo dovrebbe poter contare sul minimo
necessario per la vita» un minimo che sia «non un punto di arrivo, ma di
partenza; una assicurazione data a tutti gli uomini perché tutti possano
sviluppare le loro attitudini» (Lezioni di politica sociale, 1944). Netta
appare, quindi, la differenza tra la concezione liberale dello Stato e la
concezione socialista dello Stato, nonostante che l'una e l'altra siano animate
dallo stesso ideale di elevamento materiale e morale dei cittadini. «L'uomo
liberale vuole porre norme osservando le quali risparmiatori, proprietari,
imprenditori, lavoratori possano liberamente operare, laddove l'uomo socialista
vuole soprattutto dare un indirizzo, una direttiva all'opera dei risparmiatori,
proprietari, imprenditori suddetti. Il liberale pone la cornice, traccia i
limiti dell'operare economico, il socialista indica o ordina le maniere
dell'operare» (Liberalismo e socialismo in Prediche inutili). E ancora:
«Liberale è colui che crede nel perfezionamento materiale o morale conquistato
con lo sforzo volontario, col sacrificio, colla attitudine a lavorare d'accordo
cogli altri; socialista è colui che vuole imporre il perfezionamento colla
forza, che lo esclude, se ottenuto con metodi diversi da quelli da lui
preferito, che non sa vincere senza privilegi a favor proprio e senza esclusive
pronunciate contro i reprobi». Il liberale discute per deliberare, prende le sue
decisioni dopo la più ampia discussione; ma questo non fa colui che presume di
essere in possesso della verità assoluta: «Il tiranno non ha dubbi e procede
diritto per la sua via; ma la via conduce il paese al disastro». Dario Antiseri
"Liberali di tutta Italia, svegliatevi". Pubblichiamo, per gentile concessione
dell'editore "La Nave di Teseo", un brano dal nuovo libro di Nicola Porro, "La
disuguaglianza fa bene", scrive Nicola Porro, Lunedì 12/09/2016, su "Il
Giornale". Nel tempo in cui viviamo, bisogna diffidare di quanti si definiscono
liberali senza esserlo. I principi del liberalismo classico, nonostante sembrino
accettati da tutti, non lo sono fino in fondo. Da quanto abbiamo appena detto,
il liberale tende a essere conservatore quando c’è una libertà da proteggere (il
diritto di proprietà, ad esempio, di chi non riesce a sfrattare un inquilino
moroso), progressista quando se ne devono tutelare di nuove (si pensi alle
recenti minacce alla nostra privacy da parte di banche, stati o anche motori di
ricerca) e talvolta anche reazionario quando occorre recuperare diritti sepolti
nel passato (ad esempio una tassazione ridotta). Il filo rosso che lega queste
diverse attitudini è ciò che Dario Antiseri definisce l’«individualismo
metodologico»: la storia è guidata dalle azioni degli individui e sono questi
ultimi che determinano le scelte fondamentali dell’economia. La collettività non
esiste in sé, è la somma di una molteplicità di individui. Come diceva Pareto,
un altro grande liberale di cui parleremo: «I tempi eroici del socialismo sono
passati, i ribelli di ieri sono i soddisfatti di oggi». Il rischio è che questi
soddisfatti si spaccino per liberali e anzi finiscano per spiegare ai liberali
come devono comportarsi, anche in virtù degli errori che essi stessi hanno
commesso. Quanti intellettuali ex maoisti, ex comunisti, ex gruppettari, ex
fiancheggiatori delle Brigate rosse e delle rivolte di piazza, oggi in posizioni
di comando, decantano le virtù del mercato? Se la loro fosse una conversione
ragionata, alla Mamet come leggeremo, la cosa non dovrebbe scandalizzarci. Il
problema è che i soddisfatti di oggi hanno un’idea farsesca del liberalismo e lo
associano al loro personale successo. Che nella gran parte dei casi è arrivato
solo grazie alle loro spiccate capacità di relazione. Fermatevi un attimo,
pensate agli intellettuali che contano e vedrete due caratteristiche ricorrenti:
hanno praticamente tutti combattuto contro i liberali tra gli anni sessanta e
settanta eppure oggi spiegano al mondo i pregi del liberalismo, che a seconda
dei casi si porta dietro l’aggettivo sociale o democratico. I veri liberali, non
solo di casa nostra, si devono dare una mossa. Svegliarsi da un letargo ideale,
che dura da qualche lustro. Il progresso tecnologico e quello degli ordini più o
meno spontanei in cui si sono trasformate le nostre istituzioni obbliga anche i
liberali di ieri ad affrontare, sul piano teorico, nuove sfide. Se i principi
restano i medesimi, il contesto e le minacce sono cambiate. Alcuni dei veleni
tipici del mercato hanno preso forme diverse, soprattutto quando sono coinvolte
istituzioni finanziarie e grandi corporation digitali. Il monopolio e la sua
rendita, il ruolo del free rider (cioè di chi ottiene benefici senza pagarne il
prezzo) e il peso del moral hazard (ovvero prendere rischi enormi contando sul
fatto di essere poi salvati, come nel caso di alcune note banche) hanno assunto
forme diverse. Non è questo certo il luogo per affrontare in modo dettagliato il
problema. Qualcosa si può dire, però. Un liberale classico pretende che
l’impresa con perduranti conti in rosso fallisca. Altrimenti si stravolgerebbe
la regola principale del mercato e della concorrenza. Il discorso vale anche per
le banche. E se vale per le banche di una nazione, dovrebbe valere per tutti,
vista la globalizzazione dei mercati? La risposta, sia chiaro, non è univoca.
Anche dal punto di vista strettamente liberale. Taluni ad esempio potrebbero,
per la tutela suprema del mercato, continuare a pensare che in ultima analisi
salvare il fallito danneggerà anche il salvatore: e dunque chiederanno il
fallimento delle banche nonostante i paesi vicini le sostengano con denaro
pubblico. D’altra parte è anche vero che la discussione sembra essersi spostata
dai conti dell’impresa ai bilanci della politica, dagli scambi sul mercato alle
trattative nei palazzi del potere. Come rispondere alle imprese che sono
tutelate e protette dalle proprie leggi nazionali, nonostante abbiano i conti in
disordine? Insomma è una sfida nuova al pensiero liberale tradizionale. Così
come si è rinnovata la battaglia contro i monopoli. Una fissazione di Luigi
Einaudi, ma non solo. Pensiamo a quando Facebook – tra poco con i suoi 1,7
miliardi di abitanti la nazione più popolata della Terra – o Google –
praticamente l’unico motore di ricerca sopravvissuto – diventeranno dei
rentiers, dei profittatori della posizione privilegiata che hanno conquistato, e
non più degli innovatori. E qui dimentichiamo per un attimo la gigantesca
questione della privacy (altro terreno inesplorato) e andiamo al centro degli
affari. Grazie al loro successo questi colossi spazzeranno via dal mercato
(comprandolo) ogni concorrente. È sbagliato pensare che lo stato si debba
occupare di loro, ma altrettanto illogico ritenere che il set di regole pensate
per l’atomo si possa adattare al mondo dei byte: siamo di fronte a un processo
simile a quello che ha visto cambiare le nostre civiltà da agricole a
industriali. E che oggi le vede diventare digitali. Nuove entusiasmanti sfide
per i liberali, che ieri contestavano Pigou e le sue esternalità basate
sull’inquinamento dell’industria nei fiumi, e oggi dovranno capire come, e se,
contenere gli effetti collaterali del digitale. Facebook ha impiegato quattro
anni a toccare la favolosa capitalizzazione di borsa di 350 miliardi di dollari
(praticamente quanto vale l’intera borsa italiana), Google nove, Microsoft
tredici, Amazon diciotto e Apple trentuno anni. La velocità con cui queste
grandi multinazionali assumono dimensioni finanziarie gigantesche è aumentata
vertiginosamente. Ciò può spaventare, ma d’altro canto può anche rappresentare
la fragilità di questi colossi: come velocemente sono nati e cresciuti, così
rapidamente si possono sgonfiare. Chi mai pensava che Yahoo sarebbe stata
acquistata per pochi (si fa per dire, meno di 5) miliardi di euro da un
operatore telefonico? Il dilemma di un liberale oggi resta: si deve intervenire
o no nella regolazione economica? E come? Problemi di sempre, ma che oggi hanno
cambiato forma.
Antonio Giangrande: Femminicidi mediatici e partigiani.
Andria 4 dicembre 2023 i funerali di Vincenza Angrisano. Folla commossa senza
clamore mediatico, perché lì in famiglia non c’erano attivisti a sobillare la
folla. Lì nessuno si è schierato politicamente su un dramma strettamente
familiare con responsabilità esclusivamente personale.
Padova 5 dicembre 2023 i funerali (quasi) di Stato per Giulia Cecchettin. Tutte
le tv ed i giornali in diretta ad esprimere opinioni a senso unico. Un dramma
strettamente familiare con responsabilità esclusivamente personale diventato
atto di accusa contro i maschi. Megafono delle femministe e dei sinistri.
Quei sinistri con il cervello copia incolla uno dell'altro di cui non si troverà
alcuna minima differenza di pensiero. Uno clone dell’altro.
Posizioni sempre contro qualcuno per il Potere. In questo caso per la lotta di
Potere delle donne contro e a scapito degli uomini.
Lo stesso padre di Giulia, a rimorchio dell’altra figlia, l’attivista Elena,
pronto a fare il pistolotto contro se stesso in quanto maschio, contro il Papa,
contro il Presidente della Repubblica. Gli stessi che si accodano all’andazzo
contro sé stessi e a ricordare Giulia, ma ad ignorare e discriminare Vincenza.
Ma è difficile dire che il rispetto l’uno per l'altro non deve essere diritto di
genere, ma rispetto per la persona in quanto tale, sia essa donna o uomo e senza
fare discriminazione fra vittime?
Per questo non ci lamentiamo se in Italia mai nulla cambia. E se l’Italia ancora
va, ringraziamo tutti coloro che anziché essere presi per il culo, i comici e la
loro clack (claque) li mandano a fanculo.
Antonio Giangrande: Le manifestazioni di
piazza: conformismo ed ipocrisia. La dittatura della minoranza.
Ci vogliono tutti conformati al pensiero unico dei salvatori della
pseudo-civiltà.
Le manifestazioni di piazza. Sono sempre loro: di sinistra. Si fanno sempre
riconoscere. Sempre dalla parte sbagliata: dalla parte del torto. Mai a favore
di qualcuno. Sempre contro un nemico da combattere.
Manifestano contro i Femminicidi: combattono contro il Maschio, ma solo se è
occidentale. Ed i maschi coglioni presenti, manifestano contro se stessi.
Mi ricordo quando per il delitto di Sarah Scazzi, noi avetranesi ignari dei
fatti, diventammo tutti colpevoli, nell'ignavia dell'Amministrazione comunale.
Manifestano contro la Mafia: combattono contro i Meridionali.
Manifestano contro l'Omofobia: combattono contro gli Etero.
Manifestano per l'Aborto: combattono contro i Nascituri.
Manifestano per la Pace: combattono contro l'Ucraina ed Israele.
Manifestano per il Lavoro: combattono contro la classe Media ed il Governo.
Manifestano per l'Accoglienza e l'Inclusione: combattono contro l'Occidente e la
Cristianità.
Manifestano per il Politicamente Corretto. combattono contro la Libertà di
Parola.
Mai che ci sia una manifestazione spuria. Solite facce, solite bandiere, solita
ideologia e soliti quattrogatti fracassoni.
Dove ci sono le telecamere ed i taccuini di media partigiani, lì ci sono loro: è
la manifestazione del loro esibizionismo. Molte persone amano mettersi al centro
dell’attenzione, cercano in tutti i modi di farsi notare dagli altri, sentono,
cioè, un profondo bisogno di farsi vedere da tante persone, affinchè
l’attenzione delle persone sia rivolta solo a loro, perchè si parli di loro.
Quei catto-comunisti che se governano loro è democrazia, se governano gli altri
è dittatura.
Quei catto-comunisti che, pur minoritari affetti dalla sindrome della
Resistenza, impongono il loro pensiero ideologico con manifestazioni di piazza,
anche violente, disconoscendo l’opera, addirittura, dei loro stessi
rappresentanti parlamentari portatori dei loro medesimi interessi.
Non capisco chi va a dimostrare. I loro problemi li manifestano in piazza: a
chi?
Alla stampa omertosa? Ai politici menefreghisti? Ai colleghi di sventura che
pensano a risolvere la loro personale situazione?
Non basta una buona rete sul web per far sentire la nostra voce?
Chi ha votato, si rivolga al suo rappresentante in Parlamento, affinchè tuteli
il cittadino dai poteri forti.
Chi non ha votato, partecipi con altri alla formazione di un movimento
democratico e pacifista per poter fare una rivoluzione rosa e cambiare l’Italia.
Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare lì ci sono loro: i sinistri e le loro associazioni. E solo
loro sono finanziate.
La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e
l'espropriazione proletaria dei beni.
I mafiosi si inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è umano, incentivare le partenze ed andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Tutelare l’infanzia è comprensivo. Toglierli ai genitori naturali e legittimi a
scopo di lucro è criminale.
L'aiuto alle donne vittime di violenza è un business con i finanziamenti
pubblici.
Sorreggere le donne, vittime di violenza è solidale. Inventare le accuse è
criminale.
Antonio Giangrande:
Il ciclo vitale, in biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni
di una specie. L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza
ciclica di stadi ed eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di
appartenenza. Queste sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni
essere vivente segue un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi:
nascita, crescita, riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere
breve o corta la vita, nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma
la sua specie diventa immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli
esseri viventi si evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla
natura che li circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i
propri geni a quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni
possono assumere caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si
traducono in vantaggi o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul
processo evolutivo tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove
caratteristiche che agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo
maggiori probabilità di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale
non riprodursi. Senza riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della
specie. Senza riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende
mortali. Parlare in termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi
di stati naturali, fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un
non-comunista? Cercare di informare i simili contro la deriva involutiva, fa di
me un mitomane o pazzo?
Antonio Giangrande:
Che razza di Stato è quello che permette di uccidere in grembo un bimbo sano che
non vuol morire e poi nega una morte dignitosa ed assistita all’adulto che vuol
morire per le atroci sofferenze?
Aborto: i perché di
un figlicidio.
Di Antonio
Giangrande domenica 26 giugno 2022.
La Corte suprema
degli Stati Uniti ha ribaltato la storica sentenza Roe contro Wade del 1973,
annullando così il diritto costituzionale Usa all'aborto. In questo modo ha
sentenziato che ogni Stato ha la competenza di legiferare in riferimento
all'interruzione della gravidanza.
In base al
dibattito che ne è scaturito sorgono delle domande spontanee.
1 Perché i media
politicizzati, fomentando dibattiti e polemiche, oltre che proteste, hanno fatto
passare il messaggio che la sentenza riguardasse l’abolizione dell’aborto e non
la libertà di scelta di ciascuno Stato?
2 Perché nei talk
show il dibattito era palesemente schierato a favore dell’aborto ed al diritto
costituzionale al figlicidio, considerando la sentenza un arretramento della
civiltà? Perché tutelare la vita del figlio è incivile e retrogrado?
3 Perché nel paese
più civile al mondo si considerano incivili da una parte la vendita delle armi
libere che causano morti e dall’altra parte la libertà di scelta di ogni Stato a
vietare la morte dei nascituri?
4 Perché la
sinistra fa sua la battaglia sull’aborto, confermando quel detto sui comunisti
che mangiano i bambini, non foss’altro che, intanto, ne agevolano la morte?
5 Perché è primario
il diritto della donna all’aborto, violando l’istinto naturale materno alla
difesa dei cuccioli, rispetto al diritto alla vita del nascituro?
6 Perchè il diritto
all'aborto della donna va pari passo al diritto della donna alla libera
sessualità, irresponsabile degli eventi?
7 Perché è diritto
della sola donna decidere sulla vita del nascituro, tenuto conto che c’è sempre
un uomo che ha avuto rilevanza fondamentale alla fecondazione? E perché, se il
figlio non lo si vuole per problemi economici e/o sociali, non si fa un regalo a
coppie sfortunate che la gioia di un figlio non la possono avere?
8 Perché una vita
deve essere sindacata in base alla cronologia dello sviluppo e non in base
all’esistenza?
9 Perché un delitto
viene punito in base all'evolversi del diritto politico alla morte e non al
diritto naturale alla vita?
Assumono
denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre
(matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello
o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).
Si noti bene: il
politicamente corretto elude il termine figlicidio, scaturente dal reato di
aborto.
La scriminante è la
carta del pepe.
Si dibatte quando,
l'embrione, prima, ed il feto, poi, ha valore di nascituro.
Il diritto alla
vita dell'embrione e del feto nascente: futuri nascituri di fatto.
10 Perché il
dispositivo dell'art. 544 bis Codice Penale prevede: “Chiunque, per crudeltà o
senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da
quattro mesi a due anni”; mentre per l’omicidio del nascituro la sinistra si
batte per l’immunità dell'omicida?
(1) Tale articolo è
stato inserito dalla l. 20 luglio 2004, n. 189.
(2) La l. 20 luglio
2004, n. 189 ha previsto una serie di ipotesi in cui sussiste per presunzione la
necessità sociale. Si tratta della caccia, pesca, allevamento, trasporto,
macellazione, sperimentazione scientifica, giardini zoologici, etc. (art. 19ter
disp.att.).
(3) Il trattamento
sanzionatorio prima previsto nei limiti di tre e diciotto mesi di reclusione è
stato innalzato secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett a), della l.
4 novembre 2012, n. 201.
Ratio Legis
La norma è stata
introdotta al fine di apprestare una tutela più incisiva agli animali, i quali
però non ricevono copertura legislativa diretta, rimanendo ferma la tradizionale
impostazione che nega un certo grado di soggettività anche agli animali. Di
conseguenza risulta qui garantito il rispetto del sentimento per gli animali,
inteso come sentimento di pietà.
In conclusione:
perchè per gli animali si ha sentimento di pietà e per i futuri nascituri viene
negata l'umana misericordia?
Antonio Giangrande: · Chi comanda il Mondo? Le femmine!
Vogliono l’egemonia del potere.
Le donne sono autonome.
Come donne decidono loro di fare o disfare le famiglie.
Come donne decidono loro se dare sesso.
Come madri decidono loro di tenersi i figli, quando ci sono le separazioni.
Come madri decidono loro di uccidere i loro figli, con l’aborto o
l’infanticidio.
L’uomo è solo un optional, senza diritto di scelta.
Antonio Giangrande:
L’Italia è un parassitario senza fondo, dove i soldi non bastano mai. Reso così
dai catto-comunisti, dissimulati anche sotto mentite spoglie (5 Stelle-Lega).
Quei catto-comunisti che se governano loro è democrazia, se governano gli altri
è dittatura. Quei catto-comunisti che, pur minoritari affetti dalla sindrome
della Resistenza, impongono il loro pensiero ideologico con manifestazioni di
piazza, anche violente, disconoscendo l’opera, addirittura, dei loro stessi
rappresentanti parlamentari portatori dei loro medesimi interessi. Quei
catto-comunisti che vogliono il lavoro, ma non vogliono le imprese che creano
lavoro. Per loro il lavoro è inteso ancora come il posto fisso statale
parassitario. Oggi il lavoro si inventa, non lo si subisce o lo si cerca senza
trovarlo. Si agevoli, allora, l’invenzione dell’impresa.
La differenza tra
uguaglianza ed equità. Tre ragazzi di differenti altezze dietro una staccionata,
intenti a seguire la partita di calcio della loro squadra del cuore. Sono poveri
e non possono permettersi il biglietto di ingresso allo stadio. A tutti e tre lo
Stato, per il diritto di uguaglianza, dà a disposizione una identica cassetta di
legno ciascuno, per guardare oltre la staccionata. Il primo da sinistra è
avvantaggiato: essendo già “alto” di suo, ha i requisiti necessari per poter
vedere la partita senza l’ausilio della cassetta. Il secondo, quello al centro,
ha bisogno di quella cassetta per vedere lo spettacolo e con quella ci riesce
benissimo. Il terzo a destra, molto più piccolo di statura rispetto agli altri
due, anche con quel supporto, non arriva a vedere oltre l’ostacolo: non le basta
una cassetta per poter vedere la partita. Con l’equità il primo dei tre può fare
a meno del supporto e, offrendolo al terzo in aggiunta al suo, riesce a
fornirgli la possibilità di raggiungere l’altezza necessaria per vedere la
partita. In Italia con i catto-comunisti c'è il diritto di uguaglianza, non di
equità. Non siamo tutti uguali e non ci può essere diritto di uguaglianza, ma
dare a tutti la possibilità di vedere il futuro, specie ai più meritevoli,
allora sì che si ha l’equità sociale.
Antonio Giangrande:
L’OCCIDENTE MOLLICCIO E DEPRAVATO.
Il mondo è diviso
in due parti. I cattivi ed i buoni.
Dipende da quale
parte lo si guardi. Ogni parte si arroga il diritto di stare dalla parte giusta.
Noi occidentali,
sotto giogo culturale, politico ed economico statunitense, giudichiamo tutti gli
altri come regimi religiosi fondamentalisti, ovvero regimi autoritari e
dispotici.
Gli altri ci
considerano pericolosi perché portatori di pseudo democrazie, governate dalla
dittatura delle minoranze, e infette dalle tre C: Capitalismo; Caos,
Criminalità.
A ciò si aggiunge
l’ateismo dilagante e, cosa fondamentale, il culto del singolo individuo e della
sua personalità, o della frammentazione dei singoli Stati servi della loro
politica economica.
In mano a legioni
di imbecilli, diceva Umberto Eco, guidate dal gradimento di un clik.
Noi vediamo la
pagliuzza negli occhi altrui, ignorando la trave nei nostri occhi.
Da noi i casi di
censura sono sempre più frequenti. A definirne la pericolosità è la natura
ideologica, quasi religiosa, attraversata da una spinta revisionista della
propria storia e delle proprie origini. Dunque è la censura a essere figlia del
politicamente corretto e non l’inverso. La retorica del politicamente corretto
divide la realtà, la storia, gli individui tra bene e male, tra luce e oscurità,
e queste opposizioni pretendono adesioni unanimi, omologazione, conformismo.
Queste radicalizzazioni non concepiscono alcun relativismo, anzi, presentano
evidenze che non possono essere negate. Ideologizzazione e sessualizzazione
dell’insegnamento ai minori, fin dalle elementari, sono due problemi enormi.
Tendono ad ostentare ed imporre le posizioni di infime minoranze, fino a farle
sembrare maggioritarie.
Agli occhi delle
altre culture sembriamo essere governati dal femminismo e dagli LGBTI.
La “cancel
culture”, la “woke revolution” e poi sempre il “politically correct” sono
termini inglesi che stanno entrando prepotentemente nel lessico italiano.
Secondo la maggior
parte degli opinionisti di sinistra non esiste nulla di tutto ciò: sono solo
paranoie.
Sono invece tre
aspetti di una rivoluzione culturale in corso.
La definizione la
traiamo da un articolo di Stefano Magni su Inside Over.
La “woke
revolution” prende il nome dallo slang afro-americano. Woke vuol dire
letteralmente “in allerta”.
Nelle università
più costose anglosassoni sono gli studenti (molto spesso bianchi) e gli
intellettuali che sentono il dovere di restare “in allerta” per scovare ogni
traccia di razzismo nel discorso pubblico. Un gesto, una parola, un tono di
voce, possono sembrare innocui, ma, secondo gli woke, sono minacce velate o
segni di un razzismo residuo.
Il politically
correct è il codice che definisce ciò che per un woke è corretto o scorretto. E
il razzismo contro cui lottano non è solo quello contro i neri, ma anche contro
tutti coloro che sono visti come gli oppressi di ieri e di oggi: omosessuali,
donne, difetto estetico (obesità, nanismo, handicap) immigrati, membri di
minoranze etniche e religiose, transgender, animali (difesi da umani, in questo
caso). Ma le categorie si estendono di continuo e in modi e tempi difficilmente
prevedibili, secondo le mode del momento.
La cancel culture è
il modo in cui gli woke esercitano la giustizia. Ed è un eufemismo per definire
la nuova forma di linciaggio online: il colpevole viene bandito, dopo una
campagna di odio in rete, nelle università e in pubblica piazza, dopo il
boicottaggio, il ritiro di ogni invito e infine anche il licenziamento. Se
l’ingiustizia è un simbolo, come una statua, si chiede la sua rimozione. Se è un
film, si chiede la sua cancellazione. Se è un testo, non deve essere più
venduto. E così di seguito, fino al reset del passato.
Secondo Bari Weiss,
il mostro woke è cresciuto per mancanza di coraggio di chi avrebbe dovuto
opporsi: è un atteggiamento infantile a cui gli adulti, i responsabili, gli
insegnanti, non hanno mai risposto con un “no”. Ma nessuno, neppure Bari Weiss o
Greg Lukianoff, riesce a individuare la radice di questa rivoluzione culturale.
Se tutto ciò vi
ricorda il marxismo leninismo applicato in Urss e in Cina, ma anche nei
movimenti più violenti del nostro Sessantotto, forse avete ragione. La nuova
sinistra non è molto distante dalla vecchia logica della lotta di classe. E se
il fenomeno è cresciuto è perché negli Usa, che non sono mai stati comunisti, il
marxismo è sempre più di moda nelle università, spesso filtrato attraverso lo
studio di Gramsci, il filosofo italiano più influente nella cultura americana da
vent’anni a questa parte.
In conclusione
bisogna dire che il mondo è contro di noi occidentali perché ai loro occhi ci
siamo comunistizzati, ossia siamo molli, effeminati e depravati. E questo stile
di vita non vogliono che infetti il loro modo d'essere.
Naturalmente,
nessuno dei due mondi scende a compromessi.
Entrambi tendono
all'ostentazione ed all'imposizione dei loro difetti.
Antonio Giangrande:
Cari signori, io ho iniziato a destare le coscienze 20 anni prima di Beppe
Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli onesti, ma le vittime del sistema,
per creare una rivoluzione culturale…ma un popolo di “coglioni” sarà sempre
governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico
medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già
da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle
serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello
che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti,
cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per
volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione
familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso,
dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo
sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace
e disposto ad ascoltarci.
In una Italia dove
nulla è come sembra, chi giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i
comunisti, i dipietristi, i leghisti, i pentastellati. Lor signori si son
dimostrati peggio degli altri e comunque servitori dei magistrati. E se poi son
questi magistrati a decidere chi è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla
parte della ragione, io mi metto dalla parte del torto.
Antonio Giangrande:
La guerra ed i contemporanei.
Noi, ieri, abbiamo
studiato la storia. Oggi la viviamo.
Per questo non
bisogna guardare gli eventi bellici periodici con gli occhi di piccoli menti, ma
annotare gli eventi per poterli raccontare in modo imparziale ai posteri.
Di personaggi come
Putin è subissata la storia e solo loro sono ricordati.
La malvagia
ambizione è insita negli esseri normali e di questo bisogna prenderne atto.
Antonio Giangrande: L'invasione dell’Ucraina. Ci sono due tipi di pacifisti.
Quelli comunisti ed eternamente antiamericani, astiosi del fatto di essergli
sempre riconoscenti per la libertà conquistata dal nazifascismo e perchè ha
impedito la vittoria e l’egemonia del comunismo con l’espansione dell’Unione
Sovietica ad Ovest.
Quelli che…”che me ne fotte a me!” Interessati esclusivamente al loro benessere
e tornaconto personale. Fa niente se il loro stato è dovuto al martirio di tanti
soldati stranieri che hanno combattuto in Italia. Quelli che quando vedono una
vittima di violenza o sopraffazione, non degnano attenzione e proseguono oltre.
Antonio Giangrande:
Solo gli imbecilli non cambiano idea.
Questo è il mio
post di un anno fa.
Antonio Giangrande:
ho scritto il libro work in progress sulla guerra Ucraina-Russia
Il pericolo del
pensiero unico omologato e conformato.
La vittima, dico
vittima, ha sempre ragione?
Cosa noi proviamo,
guardando un film, nel vedere un criminale omicida braccato dalla polizia che si
para dietro una vittima indifesa, usandola come scudo umano, e minacciata con
un'arma a mo di ritorsione? Credo che molti di noi provino odio profondo.
E che dire di chi
fa crollare i ponti prima che la gente possa fuggire dalle città?
Come considerare i
carri armati ucraini nascosti tra i palazzi delle loro città? E come considerare
i resistenti tra i civili?
Non la resa in una
lotta impari, ma si pretende l'aiuto diretto delle nazioni occidentali,
nonostante si preveda il loro coinvolgimento in una guerra totale con la morte
di gente estranea al conflitto in corso. Quella gente sono i nostri figli o noi
stessi.
Non la resa, ma la
pretesa accoglienza di profughi ucraini, negata, però da loro stessi, ad afgani,
siriani, ecc. ecc.
Quando qualcuno al
mare, nonostante l'avviso che è pericoloso fare il bagno, chiede aiuto perchè
sta affogando, tu altruista ti tuffi senza analizzare le conseguenze. Quando ti
trovi al suo cospetto, la reazione dell'affogando è salvarsi a tutti i costi,
aggrappandosi a te, tanto da attentare alla tua sicurezza pur di stare a galla.
I media palesemente
anti Putin che per propaganda ci inondano di immagini di bambini profughi e
ripetutamente ci raccontano di bambini morti e che inneggiano alla resistenza
degli occupati, ci vogliono far entrare in una guerra fratricida e nazionalista
non nostra?
Più che filo
ucraino sono filo italiano, senza dimenticare, però, che, nelle guerre, solo per
la povera gente tutto si perde e nulla si guadagna.
Oggi dopo un anno
penso che Putin dica bene: Non è una guerra.
Nella guerra, come
in una rissa, ci sono due bulli che combattono, magari per motivi futili.
Bambini morti di
qua, bambini morti di là.
In Ucraina vi è
solo la vile aggressione di bulli (Putin e tutti i russi che lo appoggiano).
Quindi di vile
aggressione si tratta. Appunto: "Operazione speciale".
E vedere solo
bambini ucraini morire e nessun bambino russo, esclude ogni giustificazione.
A questo punto i
russi e i pacifondai filoputiniani taccino. Questo è il momento, per i
contemporanei, di sostenere l'evoluzione della specie umana nella giusta
direzione, impedendo, per i vili ed egoistici interessi personali,
l'involuzione.
Le culture nel
mondo sono diverse, non migliori. Ma la violenza sul più debole va fermata a
tutti i costi e con tutti i mezzi. Noi siamo niente rispetto all'evoluzione
della nostra specie: dei nostri figli...
Come cambia la
prospettiva.
I russi
aggrediscono l’Ucraina con crimini contro l’umanità. Il Regno Unito appoggia
l’Ucraina e gli ucraini filo-occidentali si chiamano resistenti.
I tedeschi
aggrediscono l’Italia con crimini contro l’umanità. Il Regno Unito appoggia
l’Italia e gli italiani comunisti si chiamano partigiani.
I piemontesi Savoia con a capo Vittorio Emanuele II aggrediscono il Regno delle
Due Sicilie di Francesco II. Il Regno Unito appoggia i piemontesi ed i
meridionali resistenti dalla storiografia saranno chiamati: Briganti.
Antonio Giangrande: Le manifestazioni per la pace dei pacifondai.
Sono loro: di sinistra. Si fanno sempre riconoscere. Sempre dalla parte
sbagliata: dalla parte del torto. Sempre contro l’Occidente.
Mai che ci sia una manifestazione spuria. Solite facce, solite bandiere, solita
ideologia e soliti quattrogatti fracassoni.
La mattanza degli bambini israeliani: manifestano in favore dei palestinesi e
dei terroristi di Hamas.
Quei palestinesi e terroristi di Hamas che festeggiano l’attacco alle torri
gemelle dell’11 settembre 2001 con la morte di cira 3000 persone.
La mattanza dei bambini ucraini: manifestazioni a favore del dittatore Putin.
Putin: il macellaio di Cecenia, Giorgia, Siria, Ucraina.
La Parlamentare comunista Luciana Castellina da Porro a “Stasera Italia” su
Rete4 Mediaset il 30 ottobre 2023: «Prima di tutto le vorrei dire, lei ha detto:
“le nostre idee”, io le sue non le condivido per nulla. E’ difficile che lei mi
dica che sono antisemita, visto che io sono per metà ebrea…» Però la sua parte
comunista ha prevalso rispetto alla sua parte ebrea, schierandosi nel suo
intervento platealmente contro Israele con la solita litania dei decenni di
occupazione dei territori palestinesi, nonostante le si facesse notare in studio
che era stata la risoluzione dell’Onu n. 181 del 29 novembre 1947 ad aver deciso
due Stati, due Nazioni e che fossero stati gli Stati arabi a non averla
accettata muovendo guerra ad Israele.
Ma si sa le idee dei comunisti sono incrollabili ed inamovibili. E’ inutile
instaurare un contraddittorio con loro. Non si riuscirà ma a smuovere le loro
certezze...sbagliate, frutto di ignoranza e/o malafede. E propagandano e
mistificando le loro verità, per proselitismo antioccidentale, alimentano odio e
violenza. Ai comunisti non è andata giù il non essere caduti nelle grinfie
dell’URSS alla fine della seconda guerra mondiale.
Antonio Giangrande: Credo di spiegarmi l’idolatria verso i magistrati dei
comunisti e dei penta stellati para comunisti (perché chi è comunista, è cattivo
ed invidioso dentro). Loro pensano, non avendo niente da perdere in termini di
proprietà, che i “padroni” sono tali sol perché rubano. Ecco la loro voglia di
dire “ quello che è tuo è mio, quello che è mio, è mio”. Per gli effetti i
comunisti pensano di avere dalla loro parte i magistrati che li vendicano
punendo i padroni. In questo modo vedono nemici ovunque. Non pensano i fessi che
facendo così alimentano la ingiustizia sociale. Uno, perché in carcere ci sono
solo indigenti, spesso innocenti. Due, perché in Italia il vero potere lo
detengono i magistrati. Quindi non si parla di democrazia, ma di magistocrazia.
Inoltre, né i magistrati, né i comunisti vengono da Marte. Ergo nel marcio
italico si è tutti uguali. Basta non guardare fuori, ma guardarsi dentro. E non
alimentare leggende metropolitane in simbiosi con i propri simili. Basta aprire
al mondo il proprio cervello.
Antonio Giangrande: Massoneria. Rivoluzioni e conquiste.
La
Brexit come disegno ordito dalla massoneria.
L’opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
«Non voglio passare per un complottista, ma la saggistica scrive che la
massoneria anglosassone, non anglicana, non atea, ma pagana, ha sempre
complottato contro la chiesa cattolica per estirpargli l’egemonia di potere che
esercita sul mondo occidentale. Per avere il primato d’imperio sulla civiltà e
sui popoli e per debellare questa forza internazionale, prima temporale e poi
spirituale, la massoneria ha manipolato le masse povere ed ignoranti contro le
dinastie regnanti cristiane. Ha fomentato la rivoluzione francese, prima,
americana, poi, ed infine, russa, inventando il socialismo ateo e anticlericale,
da cui è scaturito fascismo, nazismo e comunismo, fonte di tante tragedie. La
chiesa, ciononostante, non ha capitolato. Non riuscendo nel suo intento, la
massoneria, si è inventata, attraverso i media ed i governi fantoccio, le guerre
di democratizzazione del Medio Oriente e Nord Africa, foraggiando, al contempo,
gruppi estremistici e terroristici, e contestualmente ha intensificato
l’affamamento dell’Africa, con lo sfruttamento delle sue risorse a vantaggio di
tiranni burattini, con il fine ultimo di incentivare l’invasione islamica
dell’occidente, attraverso gli sbarchi continui sulle coste dell’Europa di
migranti, rifugiati e terroristi infiltrati. L’islamizzazione dell’Europa come
fine ultimo per arrivare all’estinzione della cristianità.
La
sinistra nel mondo è soggiogata e manipolata da questo disegno di continua
destabilizzazione dell’ordine mondiale, di fatto favorendo l’invasione
dell’Europa, incitando il diritto ad emigrare.
“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a
emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione
di rimanere nella propria terra” afferma il Santo Padre Benedetto XVI nel suo
Messaggio per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà
celebrata domenica 13 gennaio 2013, sul tema “Migrazioni: pellegrinaggio di fede
e di speranza”.
Il
monopoli o domino massonico destabilizzante continua il 23 giugno 2016. Il Regno
Unito ha votato la sua uscita dall'Unione Europea. Ma la domanda è: Il Regno
Unito ci è mai entrato nell'Unione Europea? E se lo ha fatto con quali
intenzioni? Sia l’entrata che l’uscita dall’Unione Europea dell’Union Jack non è
forse un tentativo di destabilizzare la normalizzazione dei rapporti tra gli
Stati europei ed impedire la loro unificazione politica, economia e monetaria,
oltre che ostacolare l’espandersi dei rapporti amichevoli con la Russia che è
vista come antagonista degli Usa nell’egemonizzazione del mondo?
Dominato dall'orgoglio francese, ma anche perché non li considerava
"europeizzabili", Charles de Gaulle non voleva gli inglesi nella comunità. Li
sospettava di essere una quinta colonna degli Stati Uniti massoni.
"Leggo dello sconforto di Jacques Delors, ex presidente della Commissione:
«Avremmo fatto meglio a lasciare fuori gli inglesi». Ero a Parigi nel 1966,
quando si discuteva già se permettere o no l’ingresso della Gran Bretagna nella
Cee. De Gaulle era contrarissimo, mentre la maggior parte degli altri partner
europei erano favorevoli. In uno dei tanti discorsi che soleva tenere alla tv,
De Gaulle fece questa profezia: «Fate entrare l’Inghilterra e l’Europa non sarà
mai fatta». Può dirmi, alla luce di quanto sta accadendo, se «l’Europa delle
Patrie» dallo stesso De Gaulle tanto auspicata, avrebbe intrapreso forse un
cammino più rapido verso una vera Unione europea simile a quella degli Usa?"
Domanda di Rocco Caiazza a Sergio Romano del 5 dicembre 2012 su “Il Corriere
della Sera”. “Caro Caiazza, Non ricordo la frase da lei citata, ma sul problema
dell’adesione della Gran Bretagna alla Comunità europea la posizione di De
Gaulle fu sempre chiara ed esplicita. Era convinto che Londra sarebbe stata il
«cavallo di Troia» dell’America nell’organizzazione europea e non esitò a
boicottare i negoziati con una clamorosa conferenza stampa il 14 gennaio 1963.”
Fu la risposta di Romano. In effetti, dal 1975, da quando cioè il Regno Unito
attraverso un altro referendum convocato sulla permanenza nell'Ue ad appena tre
anni dal suo ingresso ufficiale ha optato per il «sì» a Bruxelles, le relazioni
tra Londra e il blocco comunitario non sono mai state idilliache, scrive Arianna
Sgammotta su “L’Inkiesta” il 22 giugno 2016. Non soltanto. Oltremanica l'Unione
europea è sempre stata o ignorata o accusata di tutto quello che non funzionava
in patria. Non stupisce quindi che fino al 2008, agli anni precedenti la crisi
economica e finanziaria, l'etichetta euroscettico fosse a uso e consumo dei
britannici, quasi a porsi come un sinonimo del carattere nazionale. In
trent'anni di convivenza difficile il Regno Unito ha ottenuto una serie di
deroghe all'implementazione di vari regolamenti validi invece per tutti gli
altri Stati membri. Questo grazie alla cosiddetta clausola dell'opt-out. Ma non
basta, grazie alla leader di ferro, Margaret Tatcher, Londra gode di un deciso
sconto sul contributo annuale al bilancio comunitario. All'origine della
diatriba tra Regno Unito e resto delle capitali Ue, la visione stessa del
progetto comunitario. Per Londra una mera area di libero scambio solo se per sé
vantaggiosa, per i Paesi fondatori - tra cui l'Italia - le basi di un'unione
politica, economica e monetaria. Tant’è che il Regno Unito non è nell’area Euro
né nello spazio Schenghen.
Allora, anziché rammaricarci del risultato, perchè non brindiamo per la vittoria
che gli europeisti continentali hanno ottenuto ed analizziamo le notizie ed i
dati offerteci dai media con maggior approfondimento e distacco ideologico? Come
chiederci: gli antieuropeisti come gli europeisti fallimentisti, che con il
formalismo e la burocrazia minano le basi dell’Unione, sono mica massoni?»
Dr
Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: La saggistica scrive che la massoneria anglosassone, non
anglicana, non atea, ma pagana, ha sempre complottato contro la chiesa cattolica
per estirpargli l’egemonia di potere che esercita sul mondo occidentale. Per
debellare questa forza, prima temporale e poi spirituale, la massoneria ha
manipolato le masse povere ed ignoranti. Ha fomentato la rivoluzione francese,
prima, americana, poi, ed infine, russa, inventando il socialismo ateo e
anticlericale, da cui è scaturito fascismo, nazismo e comunismo, fonte di tante
tragedie. La chiesa, ciononostante, non ha capitolato. Non riuscendo nel suo
intento, la massoneria, si è inventata, attraverso i media ed i governi
fantoccio, le guerre di democratizzazione del Medio Oriente e Nord Africa,
foraggiando, al contempo, gruppi estremisti e terroristici, e contestualmente ha
intensificato l’affamamento dell’Africa, con lo sfruttamento delle sue risorse a
vantaggio di tiranni burattini, con il fine ultimo di incentivare l’invasione
islamica dell’occidente, attraverso gli sbarchi continui sulle coste dell’Europa
di migranti, rifugiati e terroristi infiltrati. L’islamizzazione dell’Europa
come fine ultimo per arrivare all’estinzione della chiesa cattolica.
La
sinistra nel mondo favorisce l’invasione, incitando il diritto ad emigrare.
“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a
emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione
di rimanere nella propria terra” afferma il Santo Padre Benedetto XVI nel suo
Messaggio per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà
celebrata domenica 13 gennaio 2013, sul tema “Migrazioni: pellegrinaggio di fede
e di speranza”.
Salve. E’ da anni che studio ed approfondisco il tema del fenomeno mafioso,
senza essere gossipparo o partigiano.
Dagli atti e dalle fonti ufficiali ho scoperto che “La Mafia”, in Italia
artatamente costruito come segno distintivo degli italiani meridionali in Italia
e come etichetta denigratoria degli italiani all’estero, è uno strumento di
potere politico-economico usato da qualcuno a danno di altri, col mezzo dei
media finanziato dai poteri forti (mafiosi).
In Italia nulla è come appare. Ho scritto 450 saggi di inchiesta. Per quanto
riguarda “La Mafia”
ho scritto:
Mafiopoli in varie parti;
La Mafia in Italia;
Contro tutte le Mafie in varie parti;
La Mafia dell’Antimafia in varie parti;
Mafia, la colpa degli innocenti;
Usuropoli e Fallimentopoli in varie parti;
Massoneriopoli in varie parti;
Castopoli;
Caporalato ed Ipocrisia;
Questi libri hanno gli aggiornamenti annuali.
Quello di quest’anno, ultimo della collana, le consiglio di leggerlo,
ordinandolo in E-book su Google libri (parzialmente gratuito) e cartaceco su
Lulu.com. Come tutti gli altri testi.
Lo può fare da lunedì ed è il più aggiornato.
Esso si chiama: Anno 2023 la Mafiosità, diviso in 6 parti.
I libri di Antonio Giangrande li può trovare sui siti indicati o cercando il
nome Antonio Giangrande e il nome del titolo.
Antonio Giangrande: Tommaso Buscetta: “Cosa Nostra ha costituzione piramidale.
La famiglia mafiosa prendeva il nome dal paese di origine. Tre famiglie contigue
formavano il mandamento. I mandamenti formavano la Commissione provinciale o
Cupola, i cui rappresentanti formavano la Commissione interprovinciale o Cupola.
Di fatto i mafiosi non votavano la DC in quanto tale, ma votavano e facevano
votare ogni partito che non fosse il Partito Comunista”. Per questo i comunisti,
astiosi e vendicativi, ritengono mafiosi tutti coloro che non sono comunisti o
che non votano i comunisti. Tenuto conto che al Sud i moderati hanno maggiore
presa, in tutte le loro declinazioni, anche sinistri, ecco la gogna territoriale
o familiare o come scrive Paolo Guzzanti: Il teorema della mafiosità ambientale.
L’accanimento prende forma in varie forme:
Il caso del delitto fantastico di “concorso esterno”.
Il Business “sinistro” dei beni sequestrati preventivamente e dei beni
confiscati dopo la condanna.
La Mafia delle interdittive prefettizie che alterano la concorrenza.
Lo scioglimento dei Consigli Comunali eletti democraticamente.
Antonio Giangrande:
Un popolo di coglioni…
Parafrasi ed
Assioma con intercalare. Non ho nulla più da chiedere a questa vita che essa
avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo di
coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato,
curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di
coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non
meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura
in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione
del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di
post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa
qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Hanno prima
istituito le zone rosse contagiate dal Virus Padano con limiti invalicabili e
poi hanno permesso agli infettati di quelle zone di varcare i limiti e di
contagiare il Sud.
Hanno prima chiuso
gli stadi del nord per timore del contagio del Virus Padano e poi hanno permesso
la trasferta a Lecce degli infettati atalantini.
Oggi hanno
unificato l’Italia. Se prima si erano dati al lassismo, oggi, nell’onda lunga
giustizialista, hanno ristretto l’Italia ai domiciliari con misure draconiane.
Antonio Giangrande: Per chi denigra la Regina e la Monarchia. Per onor del vero
è solo un’icona ed ha meno poteri la monarchia britannica con degni natali che
il presidente repubblicano italiano, eletto da un Parlamento di …
Tutti contagiati.
Ergo: niente vizi privati; niente servizi pubblici.
Tra queste misure
si è previsto la chiusura delle scuole in tutta Italia. Come se le scuole
fossero veicolo di contagio in territori dove il virus non c’è.
Come dire: gli
ulivi del Salento sono infettati dalla Xylella? Tagliamo le piante in Liguria.
Vada per gli stadi
ed ogni manifestazione sportiva, per non avvantaggiare nessuno. Ma cosa centrano
le scuole.
Se uno Stato non
riesce a garantire la sicurezza dalla violenza e dall’illegalità.
Se uno Stato non
riesce a garantire la salubrità degli edifici pubblici da contaminazioni e
contagi.
Se uno Stato non
riesce a fare ciò: è uno Stato che non merita rispetto.
Vincenzo Magistà :
Tgnorba 4 marzo 2020. «A tutto c’è rimedio, anche al Coronavirus. Ma, a quanto
sembra, nulla, nulla può guarire dalla idiozia. L’idiozia sta facendo danni
irreparabili. Hanno cominciato i social a diffondere il terrore. Stanno
continuando gli idioti. Gli idioti sono quei soggetti che, sempre sui social,
stanno prendendo di mira le persone risultate positive ai controlli. I
contagiati, così come vengono definiti, con la stessa terminologia che si usava
ai tempi della peste. E loro da appestati vengono trattati. Un esempio della più
cieca ed assurda inciviltà. Queste persone andrebbero sostenute, difese,
rispettate. E, invece, ricevono insulti, offese, emarginazione. Loro, i figli ,
le famiglie. C’è da vergognarsi. Anche in questi casi, però, c’è da
indentificare i responsabili delle denigrazioni e denunciarli. Così come una
denuncia la merita questo giornale che adesso vedrete. Che anziché Libero
(Quotidiano, nda), è stupido e idiota. Una vera miscela esplosiva, fra l’altro.
“Il Virus va alla conquista del Sud” leggete questo titolo. Così titola con
entusiasmo questo giornale milanese e leghista: “trenta infetti in Campania,
undici nel Lazio, cinque in Sicilia e sei in Puglia. Ora sì che siamo tutti
fratelli”. Verrebbe da lanciargli qualcosa contro, se ne avessimo la
possibilità. Potremmo rispondergli che, invece di fare gli stupidi, dovrebbero
piangere per le loro sventure., perché poi gli untori sono proprio loro: i
lombardi, che da soli contano 1500 infetti. Noi ne abbiamo in tutto il Sud,
insieme, meno dei loro morti, che sono 55. Adesso si rallegrano per averci
contagiato. Come se ci fosse da guadagnare qualcosa in questo. La supesanità
lombarda è allo stremo: denuncia tutti i propri limiti. Gli ospedali, la Regione
Lombardia chiedono aiuto a noi. E un giornale che “Libero” non è per niente si
permette di ironizzare sull’Unità d’Italia realizzata attraverso il Coronavirus.
Adesso siamo tutti uguali: Coronavirus al Nord; Coronavirus al Sud. No, no, no
signori. L’Italia resta ancora divisa: spaccata in due. Da una parte il Nord: il
Nord degli untori. Quello che infetta. Dall’altra, purtroppo, il Sud infettato.
Però, una volta tanto, stiamo meglio noi».
Antonio Giangrande:
ARCELORMITTAL. Una fonte di lavoro per impedire l'esodo e l'emigrazione.
I foraggiati dallo
Stato la vogliono far chiudere. A loro non importa il risanamento. Nulla importa
se ivi ci lavorano migliaia di giovani e, per questo, si mantengono migliaia di
famiglie. Forse i pochi lavoratori che nel Sud Italia non sono sfruttati o
pagati a nero. Nulla interessa se preme prima a quei lavoratori, che ivi ci
lavorano, che l'industria siderurgica non inquini.
Chi è nato prima:
il siderurgico o i Tamburi?
Come è possibile
che si sia costruito a ridosso del siderurgico. Oppure. Come è possibile che si
sia costruito in prossimità del quartiere di Taranto? Perchè ora non va più bene
il siderurgico, motivo di tutti quegli interventi di edilizia popolare destinati
proprio agli operai dello stabilimento. Perchè solo oggi si è rancorosi ai
Tamburi, nonostante il siderurgico abbia dato lavoro ed abitazioni a costo
agevolato a quegli operai ingrati che ora lo rinnegano?
Antonio Giangrande:
“La Mafia dell’Antimafia”. Il nuovo libro del dr Antonio Giangrande.
Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie. Questo saggio fa parte della collana editoriale “L’Italia
del Trucco, l’Italia che siamo” che si compone di decine di opere: saggi
periodici di aggiornamento temporale; saggi tematici e saggi territoriali. Opere
oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste
giornalistiche. “L’Italia del Trucco, l’Italia che Siamo”. Collana editoriale di
decine di saggi autoprodotta da Antonio Giangrande su Amazon, Create Space,
Lulu, Google Libri ecc.
Si troveranno delle
recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è
soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo
difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione
del palesato.
Antonio Giangrande,
orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati
(uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà
mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a
precederti.
In un mondo
caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi
sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla
rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o
perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che
cazzo di vita è?
Si nasce senza
volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Dove si sentono
alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta
quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo
percorso.
Il difetto degli
intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio
degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di
avere già le risposte.
Un popolo di
“coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
E’ comodo definirsi
scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano
poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile
scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In
questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono
diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano.
Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali
con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte
dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per
farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra.
Antonio Giangrande:
In un mondo dove sono tutti ciottiani per convenienza, pronti a spartirsi il
ricavato, mi onoro di essere il solo ad essere sciasciano e come lui processato
dai gendarmi dell'antimafiosità.
Antonio Giangrande:
Col sigillo antimafia molti, come dice Sciascia, fanno carriere, e molti, come
dice il PM Maresca, fanno i soldi.
Antonio Giangrande:
In un mondo dove sono tutti ciottiani per convenienza, pronti a spartirsi il
ricavato, mi onoro di essere il solo ad essere sciasciano e come lui processato
dai gendarmi dell'antimafiosità.
Antonio Giangrande:
Col sigillo antimafia molti, come dice Sciascia, fanno carriere, e molti, come
dice il PM Maresca, fanno i soldi.
Antonio Giangrande: Quel mafioso di
Pubblico Ufficiale.
La mafia dove non te l'aspetti. Un paradosso tutto italiota.
L'uso della violenza, minaccia o, comunque, persuasione o timore reverenziale
per costringere o promettere a dare/non dare una cosa (denaro, altra utilità
anche non patrimoniale), o fare/non fare una cosa, comporta una pena maggiore se
commessa da un Pubblico Ufficiale, uguale o minore se commessa a suo danno.
Concussione:
Il Pubblico Ufficiale è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Estorsione:
Chiunque è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da
euro 1.000 a euro 4.000.
Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale:
è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni per un atto contrario
all'ufficio; La pena è della reclusione fino a tre anni per un atto conforme
all'ufficio.
Violenza privata:
è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Violenza o minaccia per costringere (chiunque) a commettere un reato:
è punito con la reclusione fino a cinque anni.
Poi parliamo di Omertà.
Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione.
Se il pubblico Ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio omette un atto
del suo Ufficio è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale.
L'omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale è punita con
la multa da euro 30 a euro 516.
Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio.
L'omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio è punita con
la multa fino a euro 103.
Omissione di referto.
L'omissione di referto è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Poi parliamo di appropriazione di denaro o cosa mobile altrui per sé o per un
terzo.
Peculato.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio da quattro a dieci
anni e sei mesi; è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni., quando il
colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa,
dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
Peculato mediante profitto dell'errore altrui.
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni.
Appropriazione indebita.
Chiunque è punito, a querela della persona offesa [120], con
la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.
Concussione.
Dispositivo dell'art. 317 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo II -
Dei delitti contro la pubblica amministrazione → Capo I - Dei delitti dei
pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della
sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o
a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è
punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Estorsione.
Dispositivo dell'art. 629 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo XIII
- Dei delitti contro il patrimonio → Capo I - Dei delitti contro il patrimonio
mediante violenza alle cose o alle persone
Chiunque, mediante violenza [581] o minaccia, costringendo taluno a fare o ad
omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui
danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro
1.000 a euro 4.000.
Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale.
Dispositivo dell'art. 336 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo II -
Dei delitti contro la pubblica amministrazione → Capo II - Dei delitti dei
privati contro la pubblica amministrazione
Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di
un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri
doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio [328], è punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni [339].
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per
costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio
ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa [339].
Violenza privata.
Dispositivo dell'art. 610 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo XII
- Dei delitti contro la persona → Capo III - Dei delitti contro la libertà
individuale → Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale
Chiunque, con violenza [581] o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od
omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata [64] se concorrono le condizioni prevedute
dall'articolo 339.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia
d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o
per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma.
Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato.
Dispositivo dell'art. 611 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo XII
- Dei delitti contro la persona → Capo III - Dei delitti contro la libertà
individuale → Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale
Chiunque usa violenza [581] o minaccia per costringere o determinare altri a
commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque
anni.
Antonio Giangrande:
Il dito e la Luna. A proposito di Pino Maniaci di Telejato.
L’opinione del dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Chi
parla di Mafia e antimafia dice a sproposito la sua e non so cosa ne capisca del
tema. Chi mi conosce sa che sono disponibile a dar lezione! Nel caso di Pino
Maniaci ci troviamo a bella a posta a sputtanare qualcuno con notizie segretate
con tanto di video e senza sentire la sua versione, così come io ho fatto. Pochi
amici su Facebook hanno visto il video, nessuno l’ha condiviso. Gli altri
cosiddetti amici l’hanno ignorato. Eppure sono già centinai di visualizzazioni
in poche ore. A prescindere dal caso specifico, Pino Maniaci da vero giornalista
ha indicato sempre la luna e ora si sta a guardare questo cazzo di dito. Vi
siete chiesti perché tutto è successo nel momento in cui è stata attaccata
“Libera” ed i magistrati e tutta la carovana antimafia con i suoi carovanieri?
In quel momento i paladini mediatici e scribacchini dell’antimafiosità ed i
magistrati delatori si son dati da fare a distruggere un mito, prima di una
sentenza. I codardi, poi, che prima osannavano Pino, oggi lo rinnegano come Gesù
Cristo. Comunque io sto con chi ha le palle, quindi con Pino Maniaci. Mi
dispiace del fatto che a Palermo si vede la Mafia anche dove non c’è, giusto per
sputtanare un popolo e fottersi i beni delle aziende sane. E di questo tutti
tacciono. Se a Palermo si stanno dissequestrando i beni sequestrati dagli
“Antimafiosi” è grazie a Pino. Pino colpevole, forse, anche perché in Italia
nessuno può dirsi immacolato, ma guardiamo la luna e non sto cazzo di dito.
Antonio Giangrande: L'Antimafia a scuola.
Indottrinamento e proselitismo.
«Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza» Dante
Alighieri.
Inchiesta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Tutto è rito, e l'antimafia è liturgia. “Non ci interessa la retorica, la
liturgia ripetitiva. Perché 24 anni dopo Capaci e 24 dopo via D’Amelio, il
rischio c’è. Come per certa antimafia da operetta”. Così Mimmo Milazzo,
segretario della Cisl Sicilia, il 21 maggio 2016 a quasi un quarto di secolo
dalle stragi mafiose. Era il 23 maggio del 1992 quando un’esplosione devastante
mandò per aria, sulla A29 nei pressi di Palermo, la Fiat Croma in cui
viaggiavano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli
agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Quasi un
mese dopo a perdere la vita furono, con Paolo Borsellino, Walter Eddie Cosina,
Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano. Un’ecatombe.
Ma il cui anniversario, sostiene Milazzo, “non può essere una mera occasione
formale, dentro e fuori dal palazzo. L’ennesimo show”.
Scuola ed antimafia, scrive Franca De Mauro. Franca De Mauro è figlia di Mauro
De Mauro e nipote di Tullio De Mauro, Linguista e Ministro della Pubblica
Istruzione. C’è un equivoco che ricorre frequentemente sia all'interno della
scuola, e questo è grave, sia all'esterno: cioè che noi insegnanti si faccia
educazione alla legalità soltanto quando, per un motivo contingente, affrontiamo
un tema, per così dire, monografíco: la storia della mafia, mafia e latifondismo
in Sicilia, la vita di Peppino Impastato, di Giovanni Falcone, di Paolo
Borsellino, di Placido Rizzotto, di Pio La Torre... ahimè, l'elenco potrebbe
essere anche più lungo. Ma noi insegnanti, questo è il mio parere, facciamo
educazione alla legalità quando facciamo nostre le dieci tesi di educazione
linguistica, quando, cioè, insegniamo ai nostri alunni a muoversi da
protagonista all'interno dell'universo della comunicazione. Quando insegniamo ad
ascoltare e comprendere, a leggere e comprendere, a parlare e scrivere con
chiarezza nelle diverse situazioni comunicative e con scopi diversi. Solo allora
saranno in grado di scegliere. Perché se ci limitiamo a proporre argomenti
antimafia, e non diamo loro il possesso della lingua, noi conosceremo diecimila
vocaboli e saremo liberi, loro ne conosceranno sempre mille e saranno schiavi.
Saremo sempre noi a scegliere per loro. Sceglieremo, giustamente, un impegno per
la legalità, ma saremo noi a scegliere, non loro. E, uscendo dalla scuola, i
ragazzi, così come dimenticano immediatamente date, fatti, personaggi, letture,
dimenticheranno quanto diciamo sulla legalità. E dovremo registrare di non aver
neanche scalfito il consenso sociale verso la mafia, di non avere intaccato la
cultura mafiosa. Ma se daremo agli alunni gli strumenti linguistici per capire
un articolo di giornale, il discorso di un politico, un volantino sindacale, il
telegiornale, la Costituzione, forse il loro impegno per la legalità sarà più
concreto e duraturo. La cultura facilita scelte etiche, non le rende immediate,
me ne rendo conto: certo 'don Rodrigo aveva più cultura di Renzo, Andreotti più
di un operaio che vendeva il suo voto per un pacco di pasta... però se Renzo, se
quell'operaio avessero avuto gli strumenti per difendersi da angherie, raggiri,
soprusi, per lottare contro l'illegalità... per loro le cose sarebbero andate
meglio. In un'epoca in cui le grandi ideologie, l'aggregazione politica non
esistono quasi più, in cui la Tv spazzatura è il modello di riferimento
culturale per moltissimi, dare agli alunni gli strumenti per comprendere, per
smascherare promesse messianiche, ideali di ricchezza facile e veloce, questo
diventa la vera scommessa della scuola per la legalità.
Istruzione o Indottrinamento? Scrive David Icke. L‘istruzione esiste allo scopo
di programmare, indottrinare e inculcare un convincimento collettivo, in una
realtà che ben si addica alla struttura del potere. Si tratta di subordinazione,
di mentalità del…non posso, e del non puoi, perché è questo ciò che il sistema
vuole che ciascuno esprima nel corso nel proprio viaggio verso la tomba. Ciò che
noi chiamiamo istruzione non apre la mente: la soffoca. Così come disse Albert
Einstein, “l’unica cosa che interferisce con il mio apprendimento, è la mia
istruzione.” Egli disse anche che “l’istruzione è ciò che rimane dopo che si è
dimenticato tutto quanto si è imparato a scuola”. Perché i genitori sono
orgogliosi nel vedere che i loro figli ricevono degli attestati di profitto per
aver detto al sistema esattamente quanto esso vuole sentirsi dire? Non sto
dicendo che le persone non debbano perseguire la conoscenza ma – se qui stiamo
parlando di libertà – noi dovremmo poterlo fare alle nostre condizioni, non a
quelle del sistema. C’è anche da riflettere sul fatto che i politici, i
funzionari del governo e ancora giornalisti, scienziati, dottori, avvocati,
giudici, capitani di industria e altri che amministrano o servono il sistema,
invariabilmente sono passati attraverso la stessa macchina creatrice di menti
(per l’indottrinamento), cioè l’università. Triste a dirsi. Molto spesso si
crede che l’intelligenza e il passare degli esami siano la stessa cosa.
Giuseppe Costanza ha deciso di parlare perché a suo parere troppi lo fanno a
sproposito. C' è un uomo che più di altri avrebbe titolo a dire qualcosa
sull'apparizione di Riina junior in Rai e sulla lotta alla mafia in generale. È
Giuseppe Costanza, l'autista di Giovanni Falcone negli ultimi otto anni di vita
del magistrato, dal 1984 fino al 23 maggio 1992. Costanza era a Capaci, scrive
Alessandro Milan per “Libero Quotidiano” il 18 aprile 2016. Di più, Costanza era
a bordo della macchina guidata da Falcone e saltata in aria sul tritolo azionato
da Giovanni Brusca. Eppure in pochi lo sanno. Perché per quei paradossi tutti
italiani, e siciliani in particolare, da quel giorno Costanza è stato
emarginato. Non è invitato alle commemorazioni, pochi lo ricordano tra le
vittime. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, di essere suo ospite a cena in
Sicilia e ho ricavato la sensazione di trovarmi di fronte a qualcuno che è stato
più del semplice autista di Giovanni Falcone: forse un confidente, un custode di
ricordi e, chissà, uno scrigno di segreti. Che però Costanza dispensa col
contagocce: «Perché un conto è ciò che penso, un altro è ciò che posso provare».
Un particolare mi colpisce del suo rapporto con Falcone: «Il dottore - Costanza
lo chiama così - aveva diritto a essere accompagnato in macchina, oltre che da
me, dal capo scorta. Ma pretendeva che ci fossi solo io».
Perché non si fidava di nessun altro?
«Quale altro motivo ci sarebbe?».
Cominciamo da Riina a "Porta a Porta"?
«Mi
sono rifiutato di vederlo. Solo a sapere che questo soggetto era stato invitato
da Bruno Vespa mi ha dato il voltastomaco. Vespa qualche anno fa ha invitato
pure me, mi ha messo nel pubblico e non mi ha rivolto una sola domanda. Ora
parla con il figlio di colui che ha cercato di uccidermi. I vertici della Rai
dormono?».
Cosa proponi?
«Lo
Stato dovrebbe requisire i beni che provengono dalla vendita del libro di Riina.
Questo si arricchisce sulla mia pelle».
Lo
ha proposto la presidente Rai Monica Maggioni.
«Meno male. Ma tanto non succederà nulla. D'altronde sono passati 24 anni da
Capaci senza passi avanti».
Su
che fronte?
«Hanno arrestato la manovalanza di quella strage. Ma i mandanti? Io un'idea ce
l'ho».
Avanti.
«Presumo che l'attentato sia dovuto al nuovo incarico che Falcone stava per
ottenere, quello di Procuratore nazionale antimafia».
Ne
sei convinto?
«Una settimana prima di Capaci il dottore mi disse: "È fatta. Sarò il
procuratore nazionale antimafia"».
Questa è una notizia.
«Ma
non se ne parla».
Vai
avanti.
«Se
lui avesse avuto quell'incarico ci sarebbe stata una rivoluzione. Sempre Falcone
mi disse che all' Antimafia avrebbe avuto il potere, in caso di conflitti tra
Procure, di avocare a sé i fascicoli. Chiediti quali poteri ha avuto il
Procuratore antimafia in questi anni. E pensa quali sarebbero stati se invece
fosse stato Falcone».
Chi
non lo voleva all'Antimafia?
«Forse politici o faccendieri. Gente collusa. Ma queste piste non le sento
nominare».
Torniamo ai mandanti.
«L'attentato a Palermo è un depistaggio, per dire che è stata la mafia
palermitana. Sì, la manovalanza è quella. Ma gli ordini da dove venivano? Ti
racconto un altro particolare. Io personalmente, su richiesta di Falcone, gli
avevo preparato una Fiat Uno da portare a Roma. E lui nella capitale si muoveva
liberamente, senza scorta. Se volevano colpirlo potevano farlo lì, senza tutta
la sceneggiata di Capaci. Ricorda l'Addaura».
21
giugno 1989, il fallito attentato all'Addaura. Viene trovato dell'esplosivo
vicino alla villa affittata da Falcone.
«Io
c'ero».
All'Addaura?
«Sì, ero lì quando è intervenuto l'artificiere, un carabiniere. Eravamo io e
lui. Lui ha fatto brillare il lucchetto della cassetta contenente l'esplosivo
con una destrezza eccezionale. Poi ha dichiarato in tribunale che il timer è
andato distrutto. Ha mentito. Io ho testimoniato la verità a Caltanissetta e lui
è stato condannato».
Invece come è andata?
«L'esplosivo era intatto. Lo avrà consegnato a qualcuno, non chiedermi a chi.
Evidentemente lo ha fatto dietro chissà quali pressioni».
Falcone aveva sospetti dopo l'Addaura?
«Parlò di menti raffinatissime. Io posso avere idee, ma non mi va di fare nomi
senza prove. Attenzione, io non generalizzo quando parlo dello Stato. Ma ci sono
uomini che si annidano nello Stato e fanno i mafiosi, quelli bisogna
individuarli».
23
maggio 1992: eri a Capaci.
«Ma
questo agli italiani, incredibilmente, non viene detto. Quella mattina Falcone
mi chiamò a casa, alle 7, comunicandomi l'orario di arrivo. Io allertai la
scorta. Solo io e la scorta in teoria sapevamo del suo arrivo».
Cosa ricordi?
«Falcone, sceso dall'aereo, mi chiese di guidare, era davanti con la moglie
mentre io ero dietro. All'altezza di Capaci gli dissi che una volta arrivati mi
doveva lasciare le chiavi della macchina. Lui istintivamente le sfilò dal
cruscotto, facendoci rallentare. Lo richiamai: "Dottore, che fa, così ci andiamo
ad ammazzare". Lui rispose: "Scusi, scusi" e reinserì le chiavi. In quel
momento, l'esplosione. Non ricordo altro».
Perché la gente non sa che eri su quella macchina?
«Mi
hanno emarginato».
Chi?
«Le
istituzioni. Ti sembra giusto che la Fondazione Falcone non mi abbia considerato
per tanti anni?».
La
Fondazione Falcone significa Maria Falcone, la sorella di Giovanni.
«Io
non la conoscevo».
In
che senso?
«Negli ultimi otto anni di vita di Giovanni Falcone sono stato la sua ombra.
Ebbene, non ho mai accompagnato il dottore una sola volta a casa della sorella.
Andavamo spesso a casa della moglie, a trovare il fratello di Francesca,
Alfredo. Ma mai dalla sorella».
Poi?
«Lei è spuntata dopo Capaci. Ha creato la Fondazione Falcone e fin dal primo
anno, alle commemorazioni, non mi ha invitato».
Ma
come, tu che eri l'unico sopravvissuto, non eri alle celebrazioni del 23 maggio
1993?
«Non avevo l'invito, mi sono presentato lo stesso. Mi hanno allontanato».
È
incredibile.
«Per anni non hanno nemmeno fatto il mio nome. Poi due anni fa ricevo una
telefonata. "Buongiorno, sono Maria Falcone". Mi ha chiesto di incontrarla e mi
ha detto: "Io pensavo che ognuno di noi avesse preso la propria strada". Ma vedi
un po' che razza di risposta».
E
le hai chiesto perché non eri mai stato invitato prima?
«Come no. E lei: "Era un periodo un po' così. È il passato". Ventitré anni e non
mi ha mai cercato. Poi quando ho iniziato a denunciare il tutto pubblicamente mi
invita, guarda caso. Comunque, due anni fa vado alle celebrazioni, arrivo
nell'aula bunker e scopro che manca solo la sedia con il mio nome. Mi rimediano
una seggiola posticcia. Mi aspettavo che Maria Falcone dicesse anche solo: "È
presente con noi Giuseppe Costanza". Niente, ancora una volta: come se non
esistessi».
L'
emarginazione c'è sempre stata?
«Un
anno dopo la strage di Capaci sono rientrato in servizio alla Procura di Palermo
ma non sapevano che cavolo farsene di un sopravvissuto. Così mi hanno retrocesso
a commesso, poi dopo le mie proteste mi hanno ridato il quarto livello, ma ero
nullafacente».
Per
l'ennesima volta: perché?
«Ho
avuto la sfortuna di sopravvivere».
Come sfortuna?
«Credimi, era meglio morire. Avrei fatto parte delle vittime che vengono
giustamente ricordate ma che purtroppo non possono parlare. Io invece posso
farlo e sono scomodo. Diciamola tutta, questi presunti "amici di Falcone" dove
cavolo erano allora? Ma chi li conosce? Io so chi erano i suoi amici».
Chi
erano?
«Lo
staff del pool antimafia. Per il resto attorno a lui c'era una marea di colleghi
invidiosi. Attorno a lui era tutto un sibilìo».
Tu
vai nelle scuole e parli ai ragazzi: cosa racconti di Falcone?
«Che era un motore trainante. Ti racconto un episodio: lui viveva in ufficio,
più che altro, e quando il personale aveva finito il turno girava con il
carrellino per prelevare i fascicoli e studiarli. Questo era Falcone».
È
vero che amava scherzare?
«A
volte raccontava barzellette, scendeva al nostro livello, come dico io. Però
sapeva anche mantenere le distanze».
Tu
hai servito lo Stato o Giovanni Falcone?
«Bella domanda. Io mi sentivo di servire lo Stato, che però si è dimenticato di
me. E allora io mi dimentico dello Stato. L'ho fatto per quell' uomo, dico oggi.
Perché lo meritava. È una persona alla quale è stato giusto dare tutto, perché
lui ha dato tutto. Non a me, alla collettività».
Il
presidente Mattarella non ti dà speranza?
«Io
spero che il presidente della Repubblica mi conceda di incontrarlo. Quando i
miei nipoti mi dicono: "Nonno, stanno parlando della strage di Capaci, ma perché
non ti nominano?", per me è una mortificazione. Io chiederei al presidente della
Repubblica: "Cosa devo rispondere ai miei nipoti?"».
Questo silenzio attorno a te è un atteggiamento molto siciliano?
«Ritengo di sì. Fuori dalla Sicilia la mentalità è diversa. Devo dire anche una
cosa sul presidente del Senato, Piero Grasso».
Prego.
«Di
recente, a Ballarò, presentando un magistrato, un certo Sabella, come colui che
ha emanato il mandato di cattura per Totò Riina, mi indicava come "l'autista di
Falcone".
Ma
come si permette questo tizio? Io sono Giuseppe Costanza, medaglia d'oro al
valor civile con un contributo di sangue versato per lo Stato e questo mi
emargina così? "L'autista" mi ha chiamato. Cosa gli costava nominarmi?».
Costanza, credi nell' Antimafia?
«Non più. Inizialmente dopo le stragi c'è stata una reazione popolare sincera,
vera. Poi sono subentrati troppi interessi economici, è tutto un parlare e
basta. Noi sopravvissuti siamo pochi: penso a me, a Giovanni Paparcuri, autista
scampato all' attentato a Rocco Chinnici, penso ad Antonino Vullo, unico
superstite della scorta di Paolo Borsellino. Nessuno parla di noi».
Il
23 maggio che fai?
«Mi
chiudo in casa e non voglio saperne niente. Vedo personaggi che non c'entrano
nulla e parlano, mentre io che ero a Capaci non vengo nemmeno considerato.
Questa è la vergogna dell'Italia».
Non
li voglio vedere, scrive Salvo Vitale il 22 maggio 2016. Stanno preparando il
vestito buono per la festa. Passeranno la notte a lustrarsi le piume. E domani,
l’uno dopo l’altro, con una faccia che definire di bronzo è un eufemismo,
correranno da una parte all’altra della penisola cercando i riflettori della
tivvù, il microfono dei giornalisti, per inondarci della loro vomitevole
retorica su twitter, facebook, e in ogni angolo della rete; loro, tutti loro,
gli assassini di Giovanni Falcone, della moglie, e dei tre agenti della sua
scorta, saranno proprio quelli che ne celebreranno la memoria. Firmandola.
Sottoscrivendola. Faranno a gara per raccontarci come combattere ciò che loro
proteggono. Spiegheranno come custodire l’immensa eredità di un magistrato
coraggioso; loro, proprio loro che ne hanno trafugato il testamento, alterato la
firma, prodotto un perdurante falso ideologico che ha consentito ai loro partiti
di rinverdire i fasti di un eterno potere. Li vedremo tutti in fila, schierati
come i santi. Ci sarà anche chi oserà versare qualche calda lacrima, a suggello
e firma dell’ipocrisia di stato, di quel trasformismo vigliacco e indomabile che
ha costruito nei decenni la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza, l’humus
naturale dal quale tutte le mafie attive traggono i profitti delle loro azioni
criminali. Domani, non leggerò i giornali, non ascolterò le notizie, non seguirò
i telegiornali, e men che meno salterò come una pispola allegra da un mi piace
all’altro su facebook a commento di striscette melense e ipocrite che
inonderanno la rete con una disgustosa ondata di piatta e ipocrita demagogia.
Domani, uccideranno ancora Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta. E io
non voglio farne parte.
E
un altro giorno di Borsellino è andato, scrive Luca Josi per “Il Fatto
Quotidiano” il 21 luglio 2015. Stormi di parole alate, visi contriti, rugiada di
lacrime. Qualche minuto, una crocetta sopra, e la terra ha continuato il suo
giro intorno al sole. Ci si rivede l'anno prossimo per ascoltare nuove cronache
sudate di dolore, impregnate di partecipazione e narrazione per "sensibilizzare
i cittadini e non dimenticare". Bene. Tra i sacerdoti laici chiamati a celebrare
il rito e la liturgia della memoria, la Rai. Sostenuta dal nostro canone per
onorare il contratto di servizio con lo Stato la Rai dovrebbe informare gli
italiani così da contribuire al loro crescere civile; nello Stato appunto. Molto
bene. Parafrasando l'audizione de "La primula rossa di Corleone" alla
Commissione Antimafia - quella in cui l'interrogato in merito all'esistenza
della mafia, rispose: "Se esiste l'antimafia esisterà anche la mafia" - la Rai
certifica l'esistenza dello Stato. Ne è infatti la tv. Benissimo. Veniamo al
punto. Ero un imprenditore del panorama televisivo italiano (un gruppo che ha
avuto centinaia di dipendenti, ha prodotto migliaia di ore di programmi, ha
conquistato cinque Telegatti, premi di ogni genere e tanti altri primati da
snocciolare). Per una produzione in Sicilia, davvero poco fortunata, il gruppo è
fallito (ma non starò a ricordare il carrozzone di schifezze, angherie e miserie
che hanno prodotto questo scempio). C'è solo un punto che vorrei puntualizzare
nel giorno successivo alle retoriche per Borsellino. Il 7 giugno 2007 il più
stretto collaboratore di un direttore della Tv di Stato mi telefona per
raccomandarmi un tizio per la nostra produzione Rai (tra l'altro Educational!):
"... un personaggio locale di qui - siciliano - di dubbia provenienza, che
comunque pare non faccia molte, come dire, non faccia molti problemi insomma, si
accontenta di molto poco e cioè di, di, di, veramente ... insomma pare che sia,
che sia tranquillizzante insomma la cosa. Non lo è per le sue tradizioni e per
le sue origini, però, non lo so io comunque ti ho avvertito …". Non ho nemmeno
bisogno di registrare l'assurdo. L'acuto dirigente fa tutto da sé lasciando il
messaggio sulla mia segreteria telefonica (la si può ancora ascoltare su il
fattoquotidiano.it: Agrodolce, i raccomandati e uomini in odor di mafia). Dal
giorno successivo metto a conoscenza della telefonata i dirigenti competenti.
Penso che si tratti ancora del caso di un singolo, ma gli anni successivi mi
dimostreranno, ampiamente, che non era così. Incontri successivi e lettere per
denunciare la situazione producono il silenzio. Di fronte a tutto questo il mio
gruppo, nella mia persona di allora presidente, decide di procedere penalmente
verso i protagonisti della nostra distruzione. Il 4 dicembre 2011, dopo la
pubblicizzazione della telefonata incriminata il protagonista della stessa
risponde così a il Fatto Quotidiano: “Si sa che quando le produzioni vanno in
Sicilia, devi sottostare alle regole legate alle tradizioni dell’isola” per
aggiungere “ho chiamato Josi, e lui mi fatto una scenata incredibile, dicendo
che lui ‘ rapporti con mafiosi non li voleva avere, mai e poi mai”. Il 17
dicembre 2011 sarà la cronaca giudiziaria a confermarne la veridicità di questa
interpretazione. Infatti, la DDA di Palermo farà eseguire ventotto arresti
all’interno del Clan Porta Nuova. Nel mirino dello stesso, la produzione di
Canale 5, Squadra Antimafia Palermo Oggi. Non erano attratti dal contenuto
editoriale della fiction, ma dall’opportunità di controllarne i servizi di
trasporto, il catering per la troupe e di assumere come comparse parenti e
affiliati (oltre all'opportunità di fornire droga all'interno della produzione).
Tutto questo avveniva a pochi chilometri dagli stabilimenti del nostro gruppo
televisivo con l’aggravante che noi si era capaci di occupare fino a 440
comparse al mese per una prospettiva di diversi anni - le soap opera possono
durare decenni - in uno dei distretti a più alta disoccupazione giovanile
europea. Il 23 ottobre 2012 - sei mesi dopo dalla messa in onda della fiction
Paolo Borsellino - I 57 giorni, per Rai Uno: - la vicenda incontrerà una
conclusione tragicamente solare. L'imprenditore "proposto" nella telefonata
dall'incaricato Rai verrà arrestato dalla Polizia di Palermo, insieme al
fratello, per i reati di estorsione e associazione mafiosa (trattavasi
d'imprenditori polivalenti che, oltre a una struttura dedicata alle forniture di
servizi per lo spettacolo, diversificavano con un’attività di pompe funebri). La
sua compagine era riuscita a infiltrarsi all’interno di un’altra produzione
esterna Rai, Il segreto dell’acqua (fiction sul tema della lotta alla mafia).
Purtroppo dall'azienda pubblica che impegna gli imprenditori a sottoscrivere
corposi Codici Etici e Codici Antimafia non si sono mai registrate riflessioni
sulle singolari vicende risultate forse troppo neorealiste. In compenso le
fiction antimafia, continueranno a prolificare perché "non possiamo permetterci
di abbassare la guardia". Antimafia e magistratura. L’alleanza malsana che
Falcone rifiutò. Indagine sui professionisti della patacca che hanno trasformato
l’antimafia in una macchietta della giustizia politica, scrive Giuseppe Sottile
il 12 Maggio 2016 su "Il Foglio".
Prologo. “Tutto pagato mio”. Quando l’onorevole Salvo Lima varcò la soglia del
bar “Rosanero”, i picciotti di don Masino Spadaro, boss della Kalsa e re del
contrabbando, formarono – così, spontaneamente – due piccole ali di folla.
L’onorevole si inconigliò nel mezzo e salutò prima a destra e poi a sinistra.
Raggiunse il banco e ordinò il caffè. “Lei, carissimo onorevole, merita questo
ed altro”, declamò cerimonioso don Masino. Ma senza fortuna. Perché l’onorevole
continuò a masticare il suo bocchino di madreperla, quello con la molletta
interna e la cicca estraibile, senza pronunciare sillaba. Si limitò solo a
guardarli, quei picciotti. E guardandoli gli significò che se avevano qualcosa
da dire potevano anche dirla. Tanto lui era in campagna elettorale e li avrebbe
certamente ascoltati. Figurarsi però se don Masino poteva mai lasciare una
simile entratura a Vincenzo Mangiaracina, detto “Scintillone”, pizzicato otto
anni prima per tentato omicidio, e appena uscito dall’Ucciardone; o a Filippo
Paternò, detto “Cardone”, che nell’aprile del 1989 andò per sparare e fu
sparato, e parlava con mezza bocca perché l’altra era praticamente affunata in
un nodo cavernoso di osso, muscolo e pelle; o a Lillo Trippodo, detto “Cacauovo”
perché prima di ogni tiro, scippo o rapina che fosse, aveva sempre un dubbio da
manifestare ma poi puntava la pistola ch’era una meraviglia. “Tutti bravi
ragazzi, onorevole”, disse don Masino presentando cumulativamente i picciotti
disposti a semicerchio, come gli ami di una paranza. Ma l’onorevole Lima
ostinatamente non parlava. Se ne stava appoggiato al bancone, con la tazzina di
caffè appiccicata alle dita. Fino a quando, don Masino – e che boss sarebbe
stato, altrimenti – non si armò di coraggio e mirò a quello che, per lui, era il
cuore del problema. “Mi dica, onorevole: che dobbiamo fare con quei cornuti di
Ciaculli che si sono inventati questa minchiata del rinnovamento…”. Il tema, in
effetti, era molto delicato. Delicatissimo. “La sbirrame di Leoluca Orlando e
padre Pintacuda ha fatto breccia. Ora fanno tutti gli antimafiosi, anche a
Ciaculli, ma in realtà sono semplicemente cornuti. Così cornuti che, nei loro
confronti, il fango è acqua minerale”. Ciaculli, Orlando, Pintacuda. L’onorevole
si cambiò di faccia. Posò la tazzina sul bancone e ringraziò per il caffè. Ma
don Masino gli puntò al petto l’ultima domanda: “Sono o non sono cornuti, quelli
di Ciaculli?”. L’onorevole si bloccò sulla soglia. Si abbottonò il cappotto,
alzò il bavero del colletto, infilò un’altra sigaretta nel bocchino di
madreperla e sentenziò: “Gentuzza… Gentuzza e nulla più”.
Svolgimento. Che Dio ce ne guardi. Nessuno qui si azzarderà a definire
“gentuzza” gli uomini dell’antimafia, anche se dentro la compagnia di giro ci
ritrovi qualche pataccaro, come Massimo Ciancimino, già processato e condannato
per avere invischiato in storiacce di mafia dei galantuomini che non c’entravano
nulla; o come quel Pino Maniaci, che per anni si è spacciato come giornalista
coraggioso ed è finito sotto inchiesta per estorsione: secondo la procura di
Palermo sparava fuoco e fiamme ma, sottobanco, prometteva benevolenza
soprattutto a chi aveva la compiacenza di allungargli la mille lire. No, nessuno
qui si azzarderà a definire “gentuzza” gli uomini dell’antimafia. Perché dentro
quel mondo non ci sono solo degli inquisiti sui quali prima o poi dovrà essere
detta una parola di verità. Ci sono anche e soprattutto figli che hanno
assistito al martirio del padre, come Claudio Fava o Lucia Borsellino o Franco
La Torre; o sorelle, come Maria Falcone, che portano ancora negli occhi il
terrore di avere visto, su un tratto di autostrada sventrato dal tritolo, il
sangue versato dal proprio fratello. No, questi nomi non possono essere
trascinati in polemiche da quattro soldi. Nemmeno quando uno di loro – ed è il
caso di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice assassinato in via
D’Amelio – se ne va in giro per Palermo ad abbracciare Massimuccio Ciancimino,
il figlio di don Vito, prima celebrato come “icona dell’antimafia” e poi gettato
negli abissi chiari dell’inattendibilità dagli stessi pupari che lo avevano
offerto a giornali e talk-show come il testimone del secolo, l’unico in grado di
rivelare gli intrighi delle cosche e di scardinare finalmente l’impero di Cosa
nostra, con le sue ricchezze e i suoi misteri, con i suoi boss e i suoi
picciotti, con le sue coperture e le sue complicità. Non chiameremo “gentuzza”
neppure quelli che hanno utilizzato l’antimafia per amministrare al meglio i
propri affari, per intramare nuove e più sofisticate imposture, per costruire
nuove e più spregiudicate carriere; o per meglio aggrapparsi alla grande
mammella dei beni sequestrati ai mafiosi – terreni, case e aziende – diventati
all’improvviso una immensa terra di nessuno sulla quale hanno mangiato a quattro
mani, fino a ingozzarsi, magistrati e cancellieri, avvocaticchi e
commercialisti. E non chiameremo “gentuzza” nemmeno i tanti narcisi che pure
popolano questo mondo. Non c’è magistrato che non abbia i suoi quattro angeli
custodi, non c’è papavero dell’antimafia che non abbia diritto a una
sorveglianza, non c’è pentito, vero o fasullo, che non pretenda una tutela
particolare. Ah, le scorte. A volte hai il sospetto che siano diventate gli
svolazzi del nuovo potere: Rosario Crocetta, il governatore della Sicilia che ha
trasformato l’antimafia in una macchietta della politica, può contare su cinque
blindate, pagate dalla regione a peso d’oro. Uno spreco? Guai a pensarlo, ma
immaginate l’effetto che fa il suo scorrazzare in lungo e in largo per l’Isola
con tutto questo fragore o il suo arrivo, a ogni fine settimana, a Gela o a Tusa
Marina, dove altri militari sono impegnati a presidiare le sue case. Oppure
pensate a quale timore o a quale riverenza vi spingerà, se mai capiterete
all’aeroporto di Palermo, la visione di Roberto Scarpinato, procuratore generale
del Palazzo di giustizia e Gran Sacerdote dell’Antimafia, scortato all’imbarco
per Roma non da uno ma da cinque agenti in borghese. Tre dei quali non lo
mollano nemmeno quando tutti i passeggeri sono già dentro l’aereo. Ragioni di
sicurezza, si dirà. E sarà anche vero, ma una domanda andrebbe comunque posta: e
se la mafia fosse ancora governata da quegli stragisti che rispondevano al nome
di Totò Riina e Bernardo Provenzano quanti uomini sarebbero necessari per
scortare il dottore Scarpinato? Forse sette, forse sette volte sette. La verità,
tanto per andare subito al sodo, è che il Piazzale degli eroi – nel quale sono
stati collocati tutti i campioni della lotta a Cosa nostra – rifiuta tenacemente
di accettare quello che gli storici più coscienziosi, come Salvatore Lupo, hanno
accertato con la forza dei loro studi e della loro onestà. E cioè che, dopo una
guerra durata oltre trent’anni, il risultato è che la mafia ha perso e lo stato
ha vinto. Una verità semplice ma capace di mandare a gambe per aria non solo il
concetto mistico di antimafia ma anche tutte le impalcature – e i privilegi e i
narcisismi – che attorno a un tale concetto sono state costruite. Questo spiega
perché la tesi del professore Lupo sia stata tanto sbeffeggiata durante una
infausta audizione alla commissione parlamentare presieduta da Rosy Bindi. E
spiega anche perché una fetta ancora consistente della magistratura palermitana
insiste nel portare avanti un processo senza capo né coda qual è quello sulla
fantomatica trattativa tra la mafia e alcuni vertici degli apparati statali.
Quel processo serve per tenere in piedi il postulato che la storia della
Repubblica abbia un doppio fondo, e che dietro ogni verità, anche dietro quella
processualmente accertata, ci sia sempre una verità nascosta. Un azzardo, non
c’è dubbio. Ma che consente a quei magistrati particolarmente votati alla
militanza politica, di chiamare in causa qualunque esponente del potere
costituito. Ricordate cosa combinò Antonio Ingroia, procuratore aggiunto oltre
che maestro compositore e arrangiatore della Trattativa, pochi mesi prima di
presentarsi con una sua lista, Rivoluzione civile, alle elezioni politiche di
tre anni fa? Intercettò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e ci
impiantò sopra un casino mediatico di proporzioni tali da fare tremare le
colonne del Quirinale. Nel braccio di ferro, Ingroia ha perso e Napolitano ha
vinto. Ma il partito dei magistrati che vogliono tenere sotto tiro il potere
politico resta ancora forte e agguerrito. Con una aggravante: che questo partito
ha saputo anche costruirsi un’antimafia di supporto. L’antimafia di Massimo
Ciancimino e di Salvatore Borsellino, tanto per fare un doloroso esempio: dove
il fratello del giudice assassinato diventa fraternissimo amico del figlio di
don Vito per il semplice fatto che il pataccaro è stato contrabbandato dalla
magistratura politicizzata come l’unico grimaldello capace di violare il sancta
sanctorum dei segreti mafiosi. Ai tempi di Giovanni Falcone, questa alleanza
malsana non si sarebbe stretta. E non si è stretta. Ricordate il caso del falso
pentito Giuseppe Pellegriti? Eravamo alla fine degli anni Ottanta e l’antimafia
di quel tempo – i leader erano Leoluca Orlando e il gesuita Ennio Pintacuda – si
era aggrappata all’indiscrezione secondo la quale il pentito Pellegriti, un
delinquentucolo di periferia, avrebbe accusato Salvo Lima, plenipotenziario di
Giulio Andreotti in Sicilia, di essere il mandante dell’omicidio del generale
Carlo Alberto Dalla Chiesa. Falcone andò al carcere di Alessandria. E, dopo
avere verificato che Pellegriti sosteneva soltanto cose non vere, lo incriminò
per calunnia. Non la passò liscia. L’antimafia di Orlando e Pintacuda – quella
che aveva inventato la formula del “sospetto come anticamera della verità” – se
la legò al dito e scatenò contro Falcone una offensiva senza precedenti. Fino ad
accusarlo di tenere le prove nascoste nei cassetti; o a esporlo, nel corso di un
indimenticabile Maurizio Costanzo Show, a una gogna tanto ingiusta quanto
feroce. L’antimafia di oggi, quella finita nella polvere con tutti i suoi
imbroglioni e i suoi pataccari, si è prestata invece a tutte le manovre
giudiziarie, anche le più avventate e le più spregiudicate. E forse anche per
questo, alla fine, è rotolata nel burrone profondo dell’irrilevanza. Chi è
quell’uomo? – chiede a un certo punto il Signore. “E’ uno che imbratta di
tenebra il pensiero di Dio. Parla senza sapere quello che dice”, risponde
Giobbe.
La
Carlucci e il PdL contro i libri di scuola: “Propagandano il comunismo, vanno
cambiati”, scrive "Giornalettismo" il 12/04/2011. Secondo 19 deputati del Popolo
delle Libertà, scrive l’agenzia Dire, c’è bisogno di una commissione d’inchiesta
per valutarne l’imparzialità. Ma il testo che più si distingue “per la quantità
di notizie partigiane e propagandistiche” è, secondo i 19 deputati Pdl, quello
di Camera e Fabietti. In Elementi di storia, citano, viene descritta l’attuale
presidente del Pd, Rosy Bindi, come la “combattiva europarlamentare” che, ai
tempi della militanza nella Democrazia cristiana, sollecitava ad “allontanare
dalle cariche di partito” tutti “i propri esponenti inquisiti”. E come viene
descritto l’antagonista Berlusconi? Nel 1994, citano ancora i parlamentari dalle
pagine del libro di testo, “con Berlusconi presidente del Consiglio, la
democrazia italiana arriva a un passo dal disastro”. Secondo gli autori, “l’uso
sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi alla magistratura,
alla Direzione generale antimafia, alla Banca d’Italia, alla Corte
costituzionale e soprattutto al presidente della Repubblica condotti da
Berlusconi e dai suoi portavoce esasperarono le tensioni politiche nel Paese”.
L’elenco dei libri “naturalmente potrebbe continuare ancora per molto - conclude
il Pdl - ma bastano questi esempi per capire la gravità della questione”.
Dr
Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
Antonio Giangrande: Basta con la liturgia dell’antimafia di sinistra.
Antonio Giangrande: «Se aprile è il mese dei riti cristiani con la pasqua,
maggio è il mese della liturgia dell’antimafia di sinistra.»
Io
sono abituato a parlare di argomenti, di cui ho qualcosa da dire. Sulla mafia,
per esempio, ho scritto un libro letto in tutto il mondo: “Mafiopoli. Mafia,
quello che non si osa dire”. Per me Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono il
faro a cui mi ispiro ed il loro esempio è l’oggetto del mio libro. Il mio
ricordo a loro va tutti i giorni e non solo nell’anniversario della loro morte.
Per molti la data della loro morte è solo l’anniversario degli attentati. Il
gesto criminale sminuisce la figura dell’uomo che viene a mancare. Mai dire
antimafia è il concetto che divulgo, in qualità di noto autore di saggi
sociologici che raccontano di una Italia alla rovescia, profondo conoscitore ed
esperto del tema e presidente nazionale di una associazione antimafia. Il mio
intento è dimostrare che la mafia siamo noi: i politici che colludono, i media
che tacciono, i cittadini che emulano e le istituzioni che abusano ed omettono.
Credo che sul tema io sia uno dei principali esperti, anche perché sono
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antiracket ed
antiusura riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Una delle tante associazioni
a cui viene disconosciuto il ruolo e gli onori che meritano, solo perché non
fanno parte del sistema strutturato dalla sinistra, di cui “Libera” è la
maggiore espressione.
Anche quest’anno i giornali e le tv, quasi sempre di sinistra, osannano l’evento
che corrompe le giovani menti. Se aprile è il mese dei riti cristiani con la
pasqua, maggio è il mese della liturgia dell’antimafia di sinistra. A
Civitavecchia si sono imbarcati circa 1.500 studenti, gai per aver marinato la
scuola, a cui si sono aggiunti altri 1.500 studenti all’arrivo a Palermo.
Corrompendo le menti dei giovani si cerca di perpetrare quel credo partigiano,
per il quale gli onesti stanno da una parte e i delinquenti dall’altra, Grillo
permettendo.
QUALE ANTIMAFIA? Camera dei Deputati. 15 maggio 2014. Alessio Villarosa
(Movimento 5 Stelle) accusa la maggioranza di non rispettare (nei fatti) gli
insegnamenti di Falcone e Borsellino. "Noi siamo il partito di Pio La Torre e
non accettiamo lezioni da nessuno in materia di legalità. Soprattutto da chi è
guidato da chi sostiene che la mafia non esiste". Lo ha urlato nell'aula della
Camera Anna Rossomando del Pd replicando al M5s in dichiarazione di voto sulla
richiesta di arresto per Francantonio Genovese. Tutti i suoi colleghi di gruppo
si sono levati in piedi per applaudirla mentre il M5s urlava: "Vergognatevi".
"Noi siamo i fondatori della democrazia", ha rivendicato l'esponente democratica
citando Pio La Torre, il segretario del Partito comunista siciliano ucciso dalla
mafia il 30 aprile del 1982. Il Pd, ha detto Rossomando rivolta al gruppo M5S,
"non accetta lezioni da nessuno, soprattutto da chi è andato in Sicilia dicendo
che la mafia non esiste, facendo le buffonate attraversando lo Stretto". La
presidente della commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi (Pd) ha preso la
parola in aula, al termine del dibattito sulla richiesta di arresto a carico del
deputato democratico Francantonio Genovese, per replicare al polemico intervento
di Alessio Villarosa del Movimento 5 stelle. "Vorrei restasse agli atti di
questa Camera, nel rispetto del sacrificio della loro vita e dei loro familiari
- ha detto Bindi - che nessuno può appropriarsi di Falcone e di Borsellino".
Secondo la presidente dell'antimafia, i due magistrati uccisi dalla mafia "sono
di tutta la nazione, di tutta l'Italia e da quando abbiamo messo le loro
immagini nel parlamento europeo sono di tutta l'Europa". Bindi a capo
dell'Antimafia: sfruttò i sindaci anti boss per farsi eleggere alla Camera. Il
Pd la candidò in Calabria: ma una volta presi i voti, non s'è più fatta vedere,
scrive Felice Manti su “Il Giornale”. A Siderno la stanno ancora aspettando.
Eppure a Rosy Bindi la Locride dovrebbe esserle cara, visto che quei voti
raccolti alle primarie Pd in Calabria sono stati decisivi per la sua elezione
come capolista. Da febbraio invece l'ex presidente Pd i calabresi la vedono solo
in tv. D'altronde la Bindi non ha fatto un solo incontro sulla 'ndrangheta
durante la campagna elettorale, ammettendo «di non sapere niente di mafia».
Da
presidente nazionale di una associazione antimafia è una vergogna non essere
invitati ad alcuna celebrazione istituzionale o scolastica dedicata ai martiri
della mafia: tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questo pur essendo il
massimo esperto della materia. Questo perché noi non seguiamo la logica
nazionale delle celebrazioni dei due magistrati, specialmente fatta da chi ne ha
causato la morte. Perché non ci associamo alla liturgia di questa antimafia che
poi è forse solo propaganda.
SVELARE LA VERITÀ SUI MAGISTRATI. Si farebbe cosa nobile, invece, svelare la
verità sulla loro morte e disincentivare tutti quei comportamenti socio mafiosi
che inquinano la società italiana. Come si farebbe onore alla verità svelare chi
e come paga il giro di carovane e carovanieri. In riferimento all’attentato di
Brindisi e a tutte le manifestazioni di esaltazione di un certo modo di fare
antimafia di parte e di facciata, denuncio l’ipocrisia di qualcuno che
suggestiona e manipola la mente dei giovani per indurli ad adottare
comportamenti miranti a promuovere una verità distorta su chi e come fa
antimafia.
LOTTA ALLA MAFIA CON LA CONOSCENZA. Con l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone
e la morte di Melissa Bassi Brindisi e Mesagne e l’intero Salento sono diventate
tutto d’un tratto terra di mafia e di mafiosi e per gli effetti sono diventate
palco promozionale per carovane e carovanieri proveniente da ogni dove, da cui
noi prendiamo assolutamente le distanze. Mesagne e Brindisi e tutto il Salento
non hanno bisogno di striscioni in sparute manifestazioni o di omelie religiose
per fare ciò che deve essere fatto: sia in campo istituzionale, sia in campo
sociale. Gli studenti, con la mente vergine e aperta, non devono essere
influenzati da falsi pedagoghi catto-comunisti, sostenuti da sindacati e
movimenti di sinistra, che inducono a falsi convincimenti di tipo ideologico. La
lotta alla mafia è un’altra cosa: è conoscenza senza censura e omertà scevra da
giudizi preconcetti. E di questo anche il Santo Padre, Papa Francesco, ne deve
essere edotto: non esiste solo un’antimafia clericale-comunista. E Don Ciotti
non è l’unico punto di riferimento.
Le
vittime di mafia, non hanno bisogno di ricordare, perché la mafia la vivono
sulla loro pelle ogni giorno.
Le
vittime di mafia non hanno bisogno di front office pubblicizzati e finanziati
dalla politica. Le vittime non hanno bisogno di visibilità, a loro basta che
l’Ordine Pubblico e la Giustizia funzionino. Che le loro denuncie non siano
insabbiate.
Ma
a Palermo la liturgia antimafia del 23 maggio non si tocca: e così i vip
istituzionali della “Falconeide” hanno ricordato la strage di Capaci
riempiendosi la bocca di una parola cruciale: la memoria. La “Falconeide” è un
festival della memoria, ma di quella memoria a intermittenza che è tipica dei
professionisti della “doppia morale istituzionale”. Dispiace per la buona
volontà disinteressata di alcuni: ma finché la memoria istituzionale sarà
esclusivo privilegio di defilé mediatici, regolati da star del buonismo
televisivo, finché la memoria istituzionale non avrà lo stessa sacralità della
verità storica, la “Falconeide” – e le analoghe manifestazioni che fanno
spettacolo dell’impegno antimafia – non potrà essere altro che quello che oggi
(tristemente) appare: una sfilata di virtuosi dell’ipocrisia di Stato che forse
non fanno parte, come sostiene Beppe Grillo, “dello stesso governo che ha ucciso
Falcone e Borsellino”, ma di certo sono parte integrante della stessa classe
politica senza scrupoli.
Peccato che trattasi, anche quest’anno, di memoria buona solo ed esclusivamente
alle passerelle antimafia, come ha rilevato qualche tempo fa il pm Nino Di
Matteo che ha toccato con mano le tante amnesie istituzionali nell’indagine
sulla trattativa Stato-mafia: “Per tanti, i magistrati sono da onorare solo da
morti; siamo stanchi dell’ipocrisia di chi, quando erano in vita Falcone e
Borsellino, non esitava a definirli “giudici politicizzati”, mentre, dopo che
sono morti finge di onorarli. E’ un falso storico”. E quei “giudici
politicizzati” non erano di sinistra, quindi si ricordi bene da vivi da chi
erano attaccati: da chi oggi li osanna!!!
CHI
PAGA? Tra canti, fiaccole e palloncini, infatti, è stato un vero trionfo
dell’ipocrisia istituzionale. E per ultimo, in tempo di spending review , tutti
noi dovremmo chiederci: tutto l’ambaradan comunista della nave della legalità
che porta in gita gli studenti, la cui estrazione sociale è tutta da verificare,
quanto costa alla comunità, quindi a noi stessi, pur distanti da quella
ideologia vetusta?
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande:
Il dito e la Luna. A proposito di Pino Maniaci di Telejato.
L’opinione del dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Chi parla di Mafia
e antimafia dice a sproposito la sua e non so cosa ne capisca del tema. Chi mi
conosce sa che sono disponibile a dar lezione! Nel caso di Pino Maniaci ci
troviamo a bella a posta a sputtanare qualcuno con notizie segretate con tanto
di video e senza sentire la sua versione, così come io ho fatto. Pochi amici su
Facebook hanno visto il video, nessuno l’ha condiviso. Gli altri cosiddetti
amici l’hanno ignorato. Eppure sono già centinai di visualizzazioni in poche
ore. A prescindere dal caso specifico, Pino Maniaci da vero giornalista ha
indicato sempre la luna e ora si sta a guardare questo cazzo di dito. Vi siete
chiesti perché tutto è successo nel momento in cui è stata attaccata “Libera” ed
i magistrati e tutta la carovana antimafia con i suoi carovanieri? In quel
momento i paladini mediatici e scribacchini dell’antimafiosità ed i magistrati
delatori si son dati da fare a distruggere un mito, prima di una sentenza. I
codardi, poi, che prima osannavano Pino, oggi lo rinnegano come Gesù Cristo.
Comunque io sto con chi ha le palle, quindi con Pino Maniaci. Mi dispiace del
fatto che a Palermo si vede la Mafia anche dove non c’è, giusto per sputtanare
un popolo e fottersi i beni delle aziende sane. E di questo tutti tacciono. Se a
Palermo si stanno dissequestrando i beni sequestrati dagli “Antimafiosi” è
grazie a Pino. Pino colpevole, forse, anche perché in Italia nessuno può dirsi
immacolato, ma guardiamo la luna e non sto cazzo di dito.
Antonio Giangrande:
A proposito delle vittime della mafia e la solita liturgia antimafia che
nasconde il malaffare.
In virtù degli
scandali gli Italiani dalla memoria corta periodicamente scoprono che sui
bisogni della gente e dietro ad ogni piaga sociale (mafia, povertà ed
immigrazione, randagismo, ecc.) ci sono sempre associazioni e cooperative di
volontariato che vi lucrano. Un sistema politico sostenuto da una certa stampa e
foraggiato dallo Stato. Stato citato dalle grida sediziose dei ragazzotti che
gridano alle manifestazioni organizzate dal solito sistema mafioso antimafioso.
Cortei che servono solo a marinare la scuola ma in cui si grida: “Fuori la mafia
dallo Stato”. Poveri sciocchi, se sapessero la verità, capirebbero che, se
ottenessero quello che chiedono, nessuno rimarrebbe dentro a quello Stato,
compresi, per primi, coloro che sono a capo di quei cortei inneggianti.
La scusa delle
piaghe sociali non è che serve ad una certa sinistra comunista per espropriare
la proprietà dei ricchi o percepire finanziamenti dallo Stato al fine di
ridistribuire la ricchezza, senza che si vada a lavorare e queste manifestazioni
pseudo antimafia, non è che sono propaganda per non far cessare il
sostentamento?
Antonio Giangrande:
Lo Stato patrigno che uccide i suoi figli (specie se lavoratori autonomi).
Un imprenditore
costretto a pagare 1 milione di euro non dovuto e che non ha. Costretto dalla
mafia? No dallo Stato!
Quando si sentono
le miriadi storie di ordinaria ingiustizia e si parla di lavoratori autonomi
estenuati dal sistema fino a togliersi la vita, a volte vien da pensare che le
forze dell’ordine e la magistratura stiano lì a fottere le persone per mantenere
uno Stato (e quindi loro stessi) senza alcun rimorso o rispetto per il male
ingiusto che spesso arrecano con i loro errori.
Racconto questa
storia esemplare che nessun giornalista mai racconterà. Una storia che è
l’antitesi delle note distribuite dalle forze dell’ordine e dalla magistratura
ai giornali che prontamente tal quali li pubblicano. Note in cui le cosiddette
istituzioni si vantano delle loro gesta per essere santificati.
Ad Avetrana, (ma
può essere qualsiasi altro paese italiano) è successo che, prima del caso di
Sarah Scazzi, si son visti volteggiare sul paese un sacco di elicotteri. Sulla
spinta degli ambientalisti di maniera, spesso dipendenti statali, ecco montare
il tema dell’inquinamento ambientale e delle discariche abusive. Ogni
appezzamento di terreno, a torto o ragione, era ed è sotto la lente del
controllo inusuale. Ognuno di noi che sia maleducato e che butti un sacchetto di
rifiuti in un terreno altrui, deve sapere che mette nei guai il malcapitato
proprietario per smaltimento illecito di rifiuti. Bruci una carta o piccole
sterpaglie o accendi un falò in spiaggia: sempre smaltimento illecito di
rifiuti.
Avetrana non è la
terra dei fuochi, ma la terra di cave tufacee e del relativo materiale di
risulta. L’estrazione dei blocchi di tufo comporta che, tolto l’elemento utile
squadrato, il materiale originario di scarto rimanga in cava. Certo è che tale
materiale non può essere per logica trattato come smaltimento di rifiuto
speciale, se è materiale vergine ed indigeno del posto. Ebbene. Il paradosso è
che questo stormo di elicotteri volteggiava su una piccola cava dismessa da
decenni alla periferia del paese. Cava già utilizzata abusivamente dallo stesso
Comune di Avetrana per la discarica di acque reflue piovane. Il proprietario di
un lotto confinante, comprendente una misera abitazione ed il suo piccolo
opificio di manufatti in cemento decide di comprare una parte della cava
dismessa, pari a 5 mila metri quadri, per usarla come luogo di sosta dei mezzi,
senza arrecare alcuna modifica. Dopo qualche mese ecco la Guardia di Finanza,
con varie pattuglie ed elicotteri, intervenire in forze spropositate sul luogo,
intimorendo i proprietari e sequestrando l’area. Risultato: un processo penale e
sanzioni amministrative pari ad un milione di euro, che il piccolo artigiano non
ha e non avrà nemmeno dopo una vita di estenuante lavoro. In più il ripristino
dei luoghi. Punizioni per un fatto che lui non ha commesso e per la dimensione
inesistente.
La relazione
stilata dalla Guardia di Finanza e prodotta agli atti era: smaltimento illecito
di rifiuti speciali per decine di migliaia di metri cubi da parte
dell’artigiano, per i quali, oltretutto, non era stata pagata l’eco tassa, ed
abuso edilizio. Tempi dell'illecito non veritieri e calcoli falsi ed
inverosimili sull'entità del presunto materiale smaltito. Ma tant’è servono
soldi allo Stato e tutto va bene.
L’artigiano che ha
pagato regolarmente sempre le sue tasse, quindi meritevole di tutela e rispetto,
è stato costretto a rivolgersi ad esosi avvocati per difendersi dalle infamanti
accuse penali e dalle inconsistenti accuse amministrative. L’avvocato tarantino
nella causa penale, non si sa perché, è tentato dal Patteggiamento, ma poi ci
ripensa. Con le relazioni prodotte dalla guardia di Finanza comunque c’è lo
spettro della condanna.
L’avvocato leccese,
non si sa perché, perde la causa amministrativa. Nessuno degli avvocati in atti
hanno menzionato il fatto che il materiale contestato è materiale vergine ed
indigeno e che, se di smaltimento si tratta, il nuovo proprietario non è
responsabile di quanto è avvenuto decenni prima da parte di chi gestiva la cava.
Colpe comunque ampiamente prescritte. L’amministrativista, inoltre non avverte
il cliente dell'opportunità dell'appello. Questo principe del foro è quello che
si è attivato affinchè il presidente del Tar di Lecce emettesse un decreto
cautelare dopo sole 24 ore dal deposito, di sabato, da chi non era legittimato
ed in favore di un azienda in odor di mafia, per una vicenda che si collega ad
un appalto per la raccolta dei rifiuti urbani a Casarano. Il presidente del Tar
non è nuovo ad essere soggetto di accuse. Dai giornali si apprende che: "Ilva,
il presidente del Tar di Lecce cognato dell'avvocato dell'azienda". I ricorsi
del colosso sempre accolti. Esposto di Legambiente al Csm.
Ciononostante sul
povero artigiano, protagonista di questa storia, cala Equitalia per riscuotere
il milione di euro, che il tapino non ha. In quella famiglia è calato il lutto,
consapevoli che dall'inizio della storia uno stormo di avvoltoi è calato su di
loro e gli toglieranno il frutto di tutto il lavoro di una vita, che ad oggi non
ha più senso di essere vissuta. E meno male che non ci sono avvisaglie di gesti
inconsulti autolesionistici.
Chi ringraziare di
tutto ciò. Grazie Stato patrigno. Grazie stampa che non raccontate mai la realtà
dei fatti, ossia le versioni difensive che sputtanano le note di forze
dell’Ordine e della Magistratura, o comunque le storie di ordinaria follia
burocratica che si insinua nella vita della gente che lavora per poter da essi
estrarre il sangue per mantenere questo Stato Patrigno. Quando parlate dei
suicidi degli imprenditori, cari giornalisti, parlate delle storie che li hanno
indotti.
Se non fosse per me
questa storia non sarebbe mai stata raccontata e la sofferenza dell’artigiano
mai esistita. Come volevasi dimostrare, in Italia, pur con la ragione, non si
riesce a cavare un ragno dal buco, anzi sì è cornuti e mazziati e ti dicono, in
aggiunta, subisci e taci.
DUE PAROLE SULLA
MAFIA. QUELLO CHE LA STAMPA DI REGIME NON DICE.
«Berlusconi aveva
assunto lo stalliere Vittorio Mangano per far entrare Cosa Nostra dentro la sua
villa. Il patto sancito in una cena a Milano alla quale avevano partecipato lo
stesso Cavaliere e diversi esponenti della criminalità organizzata siciliana».
Le motivazioni (pesantissime) della condanna d'appello per Dell'Utri. «E' stato
definitivamente accertato che Dell'Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (tre
mafiosi) avevano siglato un patto in base al quale l'imprenditore milanese
avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in
cambio protezione (...)». E poi: «Vittorio Mangano non era stato assunto per la
sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi
familiari e come presidio mafioso all'interno della villa dell'imprenditore».
Sono parole pesantissime quelle che i giudici della terza sezione penale della
Corte di appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui Marcello
Dell'Utri è stato condannato il 25 marzo 2013 a sette anni di reclusione per
concorso esterno in associazione mafiosa. Parole pesanti verso lo stesso
Dell'Utri, che «tra il 1974 e il 1992 non si è mai sottratto al ruolo di
intermediario tra gli interessi dei protagonisti», e «ha mantenuto sempre vivi i
rapporti con i mafiosi di riferimento», ma anche verso l'ex premier dato che
Dell'Utri viene definito «mediatore contrattuale» del patto tra Cosa Nostra e lo
stesso Berlusconi. Secondo i giudici, «è stato acclarato definitivamente che
Dell'Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e Cinà (mafioso
siciliano) a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano
presenti Dell'Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di
Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l'assunzione di Vittorio Mangano
presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de
relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con
Berlusconi». «In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) Dell'Utri ha,
con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l'associazione e di rivolgersi
a coloro che incarnavano l'anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze
dell'imprenditore milanese (Silvio Berlusconi) e gli interessi del sodalizio
mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale
dell'associazione», è scritto poi nelle motivazioni. Dell'Utri quindi è
«ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, della
condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992» e la sua
personalità «appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente
in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi
allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative
gli aveva dato una possibilità di farlo» .
Per i magistrati è
più utile considerare Berlusconi un mafioso, anziché considerarlo una vittima
dell’inefficienza dello Stato che non sa difendere i suoi cittadini. Una vittima
che è disposta ai compromessi per tutelare la sicurezza dei suoi affari e della
sua famiglia.
Chi paga il pizzo
per lo Stato è un mafioso. E se non ti adegui ti succede quello che succede a
tutti. Una storia esemplare. Valeria Grasso: “Ho denunciato la mafia, ora
denuncio lo Stato”. “Una vergogna, una vergogna senza fine”. Con queste poche
parole si può descrivere la situazione dei Testimoni di Giustizia in Italia.
Dove lo Stato non riesce a fare il proprio dovere. Fino in fondo. Sono troppe le
storie drammatiche, che restano nel silenzio. Troppi gli ostacoli, le
difficoltà, i pericoli, i drammi. I testimoni di giustizia, fondamentali per la
lotta alla criminalità organizzata, devono essere protetti e sostenuti. Nel
Paese delle mafie lo Stato abbandona i suoi testimoni. Lo ha fatto in passato e
sta continuando a farlo. Non stiamo parlando dei "pentiti", dei collaboratori di
giustizia. Di chi ha commesso dei reati e ha deciso, per qualsiasi ragione, di
"collaborare" con lo Stato. Anche i "pentiti" (quelli credibili) servono, sono
necessari per combattere le organizzazioni criminali. Ma i testimoni sono
un’altra cosa. Sono semplici cittadini, che non hanno commesso reati. Hanno
visto, hanno subito e hanno deciso di "testimoniare". Per dovere civico, perché
è giusto comportarsi in un certo modo. Nel BelPaese il dovere civico è poco
apprezzato. I testimoni di giustizia, in Italia, denunciano le stesse
problematiche. Ma nessuno ascolta, risponde. Si sentono abbandonati. Prima
utilizzati e poi lasciati in un "limbo" profondo. Senza luce e senza futuro.
“La mafia, come ci
è inculcata dalla stampa di regime, è un’entità astratta, impossibile da
debellare, proprio perché non esiste.”
Lo scrittore
Antonio Giangrande sul fenomeno “Mafia” ha scritto un libro: “MAFIOPOLI.
L’ITALIA DELLE MAFIE. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE”. Book ed E-Book pubblicato su
Amazon.it e che racconta una verità diversa da quella profusa dai media
genuflessi alla sinistra ed ai magistrati.
«L'Italia tenuta al
guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e
massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La “Politica” deve essere
legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi,
invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il
rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini
e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge,
vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto”
degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed
istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la
responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione.»
Continua Antonio
Giangrande.
«La mafia cos'è? La
risposta in un aneddoto di Paolo Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia...
faccia conto che ci sia un posto libero in tribunale..... e che si presentino 3
magistrati... il primo è bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha
appoggi formidabili dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi
vincerà??? Il fesso. Ecco, mi disse il boss, questa è la MAFIA!"
“La vera mafia è lo
Stato, alcuni magistrati che lo rappresentano si comportano da mafiosi. Il
magistrato che mi racconta che Andreotti ha baciato Riina io lo voglio in
galera”. Così Vittorio Sgarbi il 6 maggio 2013 ad “Un Giorno Da Pecora su Radio
2.
“Da noi - ha
dichiarato Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio
2013 - la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo
dico sapendo di dire una cosa grossa”. “In Italia regna una "magistocrazia".
Nella magistratura c'è una vera e propria associazione a delinquere”. Lo ha
detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013 durante la riunione del gruppo Pdl a
Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi all'attacco ai magistrati: «L'Anm è
come la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier
è alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il
Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio.
Questi sono solo
pochi esempi di dichiarazioni ufficiali.
Abbiamo una
Costituzione catto-comunista predisposta e votata dagli apparati politici che
rappresentavano la metà degli italiani, ossia coloro che furono i vincitori
della guerra civile e che votarono per la Repubblica. Una Costituzione fondata
sul lavoro (che oggi non c’è e per questo ci rende schiavi) e non sulla libertà
(che ci dovrebbe sempre essere, ma oggi non c’è e per questo siamo schiavi). Un
diritto all’uguaglianza inapplicato in virtù del fatto che il potere, anziché
essere nelle mani del popolo che dovrebbe nominare i suoi rappresentanti
politici, amministrativi e giudiziari, è in mano a mafie, caste, lobbies e
massonerie.
Siamo un popolo
corrotto: nella memoria, nell’analisi e nel processo mentale di discernimento.
Ogni dato virulento che il potere mediatico ci ha propinato, succube al potere
politico, economico e giudiziario, ha falsato il senso etico della ragione e
logica del popolo. Come il personal computer, giovani e vecchi, devono essere
formattati. Ossia, azzerare ogni cognizione e ripartire da zero all’acquisizione
di conoscenze scevre da influenze ideologiche, religiose ed etniche. Dobbiamo
essere consci del fatto che esistono diverse verità.
Ogni fatto è
rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da una verità
giudiziaria.
La verità storica è
conosciuta solo dai responsabili del fatto. La verità mediatica è quella
rappresentata dai media approssimativi che sono ignoranti in giurisprudenza e
poco esperti di frequentazioni di aule del tribunale, ma genuflessi e stanziali
negli uffici dei pm e periti delle convinzioni dell’accusa, mai dando spazio
alla difesa. La verità giudiziaria è quella che esce fuori da una corte, spesso
impreparata culturalmente, tecnicamente e psicologicamente (in virtù dei
concorsi pubblici truccati). Nelle aule spesso si lede il diritto di difesa,
finanche negando le più elementari fonti di prova, o addirittura, in caso di
imputati poveri, il diritto alla difesa. Il gratuita patrocinio è solo una
balla. Gli avvocati capaci non vi consentono, quindi ti ritrovi con un avvocato
d’ufficio che spesso si rimette alla volontà della corte, senza conoscere i
carteggi. La sentenza è sempre frutto della libera convinzione di una persona
(il giudice). Mi si chiede cosa fare. Bisogna, da privato, ripassare tutte le
fasi dell’indagine e carpire eventuali errori dei magistrati trascurati dalla
difesa (e sempre ve ne sono). Eventualmente svolgere un’indagine parallela.
Intanto aspettare che qualche pentito, delatore, o intercettazione, produca una
nuova prova che ribalti l’esito del processo. Quando poi questa emerge bisogna
sperare nella fortuna di trovare un magistrato coscienzioso (spesso non accade
per non rilevare l’errore dei colleghi), che possa aprire un processo di
revisione.
Non sarà la mafia a
uccidermi ma alcuni miei colleghi magistrati (Borsellino). La verità sulle
stragi non la possiamo dire noi Magistrati ma la deve dire la politica se non
proprio la storia (Ingroia). Non possiamo dire la verità sulle stragi altrimenti
la classe politica potrebbe non reggere (Gozzo). Non sono stato io a cercare
loro ma loro a cercare me (Riina). In Italia mai nulla è come appare. Ipocriti e
voltagabbana. Le stragi come eccidi di Stato a cui non è estranea la
Magistratura e gran parte della classe politica del tempo.
Chi frequenta bene
le aule dei Tribunali, non essendo né coglione, né in mala fede, sa molto bene
che le sentenze sono già scritte prima che inizi il dibattimento. Le pronunce
sono pedisseque alle richieste dell’accusa, se non di più. Anche perché se il
soggetto è intoccabile l’archiviazione delle accuse è già avvenuta nelle fasi
successive alla denuncia o alla querela: “non vi sono prove per sostenere
l’accusa” o “il responsabile è ignoto”. Queste le motivazioni in calce alla
richiesta accolta dal GIP, nonostante si conosca il responsabile o vi siano un
mare di prove, ovvero le indagini non siano mai state effettuate. La difesa: un
soprammobile ben pagato succube dei magistrati. Il meglio che possono fare è
usare la furbizia per incidere sulla prescrizione. Le prove a discarico: un
perditempo, spesso dannoso. Non è improbabile che i testimoni della difesa siano
tacciati di falso.
Nel formulare la
richiesta la Boccassini nel processo Ruby ha fatto una gaffe dicendo: "Lo
condanno", per poi correggersi: "Chiedo la condanna" riferita a Berlusconi.
Esemplare anche è
il caso di Napoli. Il gip copia o si limita a riassumere le tesi accusatorie
della Procura di Napoli e per questo il tribunale del riesame del capoluogo
campano annulla l'arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa nostra,
Totò, avvenuto il 14 novembre 2011. L'accusa era di concorso esterno in
associazione camorristica. Il gip, scrive il Giornale di Sicilia, si sarebbe
limitato a riassumere la richiesta di arresto della Procura di Napoli,
incappando peraltro in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza
neanche le parole «questo pm» con «questo gip».
Il paradosso, però,
sono le profezie cinematografiche adattate ai processi: «... e lo condanna ad
anni sette di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, e
all'interdizione legale per la durata della pena». Non è una frase registrata
Lunedì 24 giugno 2013 al Tribunale di Milano, ma una battuta presa dagli ultimi
minuti del film «Il caimano» di Nanni Moretti. La condanna inflitta al
protagonista (interpretato dallo stesso regista) è incredibilmente identica a
quella decisa dai giudici milanesi per Silvio Berlusconi. Il Caimano Moretti,
dopo la sentenza, parla di «casta dei magistrati» che «vuole avere il potere di
decidere al posto degli elettori».
Tutti dentro se la
legge fosse uguale per tutti. Ma la legge non è uguale per tutti. Così la
Cassazione si è tradita. Sconcertante linea delle Sezioni unite civili sul caso
di un magistrato sanzionato. La Suprema Corte: vale il principio della
discrezionalità.
Ed in fatto di
mafia c’è qualcuno che la sa lunga. «Io non cercavo nessuno, erano loro che
cercavano me….Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono,
i carabinieri……Di questo papello non ne sono niente….Il pentito Giovanni Brusca
non ha fatto tutto da solo, c'è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale
anche per l'agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perchè non vanno da quello
che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l'agenda. In via D'Amelio
c'erano i servizi……. Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che
nessuno mi cercasse. Com'è possibile che sono responsabile di tutte queste cose?
La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro.
Loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una
cosa la porta a termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre
queste mura……Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire
che era un galantuomo e che io sono stato dell'area andreottiana da sempre». Le
confidenze fatte da Toto Riina, il capo dei capi, sono state fatte in due
diverse occasioni, a due guardie penitenziarie del Gom del carcere Opera di
Milano.
Così come in fatto
di mafia c’è qualcun altro che la sa lunga. Parla l’ex capo dei Casalesi. La
camorra e la mafia non finirà mai, finchè ci saranno politici, magistrati e
forze dell’ordine mafiosi.
CARMINE SCHIAVONE.
MAGISTRATI: ROMA NOSTRA!
"Ondata di ricorsi
dopo il «trionfo». Un giudice: annullare tutto. Concorsi per giudici, Napoli
capitale dei promossi. L'area coperta dalla Corte d'appello ha «prodotto» un
terzo degli aspiranti magistrati. E un terzo degli esaminatori". O la statistica
è birichina assai o c'è qualcosa che non quadra nell'attuale concorso di accesso
alla magistratura. Quasi un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli orali
vengono infatti dall'area della Corte d'Appello di Napoli, che rappresenta solo
un trentacinquesimo del territorio e un dodicesimo della popolazione italiana.
Un trionfo. Accompagnato però da una curiosa coincidenza: erano della stessa
area, più Salerno, 7 su 24 dei membri togati della commissione e 5 su 8 dei
docenti universitari. Cioè oltre un terzo degli esaminatori.
Lo strumento per
addentrarsi nei gangli del potere sono gli esami di Stato ed i concorsi pubblici
truccati.
I criteri di
valutazione dell’elaborato dell’esame di magistrato, di avvocato, di notaio,
ecc.
Secondo la
normativa vigente, la valutazione di un testo dell’esame di Stato o di un
Concorso pubblico è ancorata ad alcuni parametri. Può risultare utile, quindi,
che ogni candidato conosca le regole che i commissari di esame devono seguire
nella valutazione dei compiti.
a) chiarezza,
logicità e rigore metodologico dell’esposizione;
b) dimostrazione
della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;
c) dimostrazione
della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;
d) dimostrazione
della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;
e) relativamente
all'atto giudiziario, dimostrazione della padronanza delle tecniche di
persuasione.
Ciò significa che
la comprensibilità dell’elaborato — sotto il profilo della grafia, della
grammatica e della sintassi — costituisce il primo criterio di valutazione dei
commissari. Ne consegue che il primo accorgimento del candidato deve essere
quello di cercare di scrivere in forma chiara e scorrevole e con grafia
facilmente leggibile: l’esigenza di interrompere continuamente la lettura, per
soffermarsi su parole indecifrabili o su espressioni contorte, infastidisce (e,
talvolta, irrita) i commissari ed impedisce loro di seguire il filo del
ragionamento svolto nel compito. Le varie parti dell’elaborato devono essere
espresse con un periodare semplice (senza troppi incisi o subordinate); la
trattazione dei singoli argomenti giuridici deve essere il più possibile
incisiva; le ripetizioni vanno evitate; la sequenza dei periodi deve essere
rispettosa della logica (grammaticale e giuridica). Non va mai dimenticato che
ogni commissione esaminatrice è composta da esperti (avvocati, magistrati e
docenti universitari), che sono tenuti a leggere centinaia di compiti in tempi
relativamente ristretti: il miglior modo di presentarsi è quello di esporre —
con una grafia chiara o, quanto meno, comprensibile (che alleggerisca la fatica
del leggere) — uno sviluppo ragionato, logico e consequenziale degli argomenti.
Questa è la regola,
ma la prassi, si sa, fotte la regola. Ed allora chi vince i concorsi pubblici e
chi supera gli esami di Stato e perché si pretende da altri ciò che da sé non si
è capaci di fare, né di concepire?
PARLIAMO DELLA
CORTE DI CASSAZIONE, MADRE DI TUTTE LE CORTI. UN CASO PER TUTTI.
La sentenza contro
il Cavaliere è zeppa di errori (di grammatica).
Frasi senza
soggetto, punteggiatura sbagliata... Il giudizio della Cassazione è un obbrobrio
anche per la lingua italiana. Dopodiché ecco l’impatto della realtà nella
autentica dettatura delle motivazioni a pag.183: «Deve essere infine rimarcato
che Berlusconi, pur non risultando che abbia trattenuto rapporti diretti coi
materiali esecutori, la difesa che il riferimento alle decisioni aziendali
consentito nella pronuncia della Cassazione che ha riguardato l’impugnazione
della difesa Agrama della dichiarazione a non doversi procedere per
prescrizione in merito ad alcune annualità precedenti, starebbe proprio ad
indicare che occorre aver riguardo alle scelte aziendali senza possibilità.
quindi, di pervernire...». Ecco. Di prim’acchito uno si domanda: oddio, che fine
ha fatto la punteggiatura? Ma dov’è il soggetto? Qual è la coordinata, quante
subordinate transitano sul foglio. «...ad una affermazione di responsabilità di
Berlusconi che presumibilmente del tutto ignari delle attività prodromiche al
delitto, ma conoscendo perfettamente il meccanismo, ha lasciato che tutto
proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni strategiche i soggetti da lui
scelti...». Eppoi, affiorano, «le prove sono state analiticamente analizzate». O
straordinarie accumulazioni semantiche come «il criterio dell’individuazione del
destinatario principale dei benfici derivanti dall’illecito fornisce un
risultato convergente da quello che s’è visto essere l’esito dell’apprezzamento
delle prove compito dai due gradi di merito..» E poi, nello scorrere delle 208
pagine della motivazione, ci trovi i «siffatto contesto normativo», gli
«allorquando», gli «in buona sostanza», che accidentano la lettura. Ed ancora la
frase «ha posto in essere una frazione importante dell’attività delittuosa che
si è integrata con quella dei correi fornendo un contributo causale...».
Linguaggio giuridico? Bene anch’io ho fatto Giurisprudenza, ed anch’io mi sono
scontrato con magistrati ed avvocati ignoranti in grammatica, sintassi e perfino
in diritto. Ma questo, cari miei non è linguaggio giuridico, ma sono gli effetti
di un certo modo di fare proselitismo.
'Ad Arcore presidio
mafioso'.
«Berlusconi aveva
assunto lo stalliere Vittorio Mangano per far entrare Cosa Nostra dentro la sua
villa. Il patto sancito in una cena a Milano alla quale avevano partecipato lo
stesso Cavaliere e diversi esponenti della criminalità organizzata siciliana».
Le motivazioni (pesantissime) della condanna d'appello per Dell'Utri. Adriano
Botta su L’Espresso il 5 settembre 2013
«È stato
definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (tre
mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese
avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in
cambio protezione (...)». E poi: «Vittorio Mangano non era stato assunto per la
sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi
familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore».
Sono parole
pesantissime quelle che i giudici della terza sezione penale della Corte di
appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui Marcello Dell'Utri è
stato condannato il 25 marzo scorso a...
«Berlusconi aveva
assunto lo stalliere Vittorio Mangano per far entrare Cosa Nostra dentro la sua
villa. Il patto sancito in una cena a Milano alla quale avevano partecipato lo
stesso Cavaliere e diversi esponenti della criminalità organizzata siciliana».
Le motivazioni (pesantissime) della condanna d’appello per Dell’Utri.
«E’ stato
definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (tre
mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese
avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in
cambio protezione (…)». E poi: «Vittorio Mangano non era stato assunto per la
sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi
familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore».
Sono parole
pesantissime quelle che i giudici della terza sezione penale della Corte di
appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui Marcello Dell’Utri è
stato condannato il 25 marzo scorso a sette anni di reclusione per concorso
esterno in associazione mafiosa.
Parole pesanti
verso lo stesso Dell’Utri, che «tra il 1974 e il 1992 non si è mai sottratto al
ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti», e «ha mantenuto
sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento», ma anche verso l’ex
premier dato che Dell’Utri viene definito «mediatore contrattuale» del patto tra
Cosa Nostra e lo stesso Berlusconi.
Secondo i giudici,
«è stato acclarato definitivamente che Dell’Utri ha partecipato a un incontro
organizzato da lui stesso e Cinà (mafioso siciliano) a Milano, presso il suo
ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell’Utri, Gaetano Cinà, Stefano
Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto
l’assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come
riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato
il patto di protezione con Berlusconi»
«In tutto il
periodo di tempo in oggetto (1974-1992) Dell’Utri ha, con pervicacia, ritenuto
di agire in sinergia con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano
l’anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese
(Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò
consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione», è scritto
poi nelle motivazioni.
Dell’Utri quindi è
«ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, della
condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992» e la sua
personalità «appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente
in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi
allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative
gli aveva dato una possibilità di farlo»
Antonio Giangrande:
Quel che si rimembra non muore mai. In effetti il fascismo rivive non negli atti
di singoli imbecilli, ma quotidianamente nell’evocazione dei comunisti.
Antonio Giangrande:
L’ITALIA DEGLI IPOCRITI. GLI INCHINI E LA FEDE CRIMINALE.
L’italiano è stato
da sempre un inchinante ossequioso. Ti liscia il pelo per fottersi l’anima.
Fino a poco tempo
fa nessuno aveva mai parlato di inchini. Poi i giornali, in riferimento alla
Concordia, hanno parlato di "Inchini tollerati". Lo sono stati fino a qualche
ora prima della tragedia sulla Costa Concordia che ha provocato morti e feriti
incagliandosi sulla scogliera davanti al porto dell'Isola del Giglio.
Repubblica.it lo ha documentato: nei registri delle capitanerie di porto che
dovrebbero controllare il traffico marittimo, emerge che la "Costa Concordia" -
così come tutte le altre navi in zona e in navigazione nel Mediterraneo e nei
mari di tutto il mondo - era "seguita" da Ais, un sistema internazionale di
controllo della navigazione marittima che è stato attivato da alcuni anni e reso
obbligatorio da accordi internazionali dopo gli attentati dell'11 settembre (in
funzione anti-terrorismo) e dopo tante tragedie del mare avvenute in tutto il
mondo. Si è scoperto così che quel passaggio così vicino all'isola del Giglio
era un omaggio all'ex comandante della Costa Concordia Mario Palombo ed al
maitre della nave che è dell'isola del Giglio. Si è scoperto anche che per ben
52 volte all'anno quella nave aveva fatto gli "inchini". Inchini che fino al
giorno prima, fino a prova contraria, erano stati tollerati: nessuno fino ad
allora aveva mai chiesto conto e ragione ai comandanti di quelle navi. Nessuno
aveva cercato di capire perché passassero così vicini alla costa dove per legge
è anche vietato (se una piccola imbarcazione sosta a meno di 500 metri dalle
coste, se beccata dalle forze dell'ordine, viene multata perché vietato).
Figuriamoci se a un bestione come la Costa Concordia è consentito "passeggiare"
in mezzo al mare a 150-200 metri dalla costa. Il comandante Schettino, come
confermano le indagini e le conversazioni radio con la capitaneria di porto di
Livorno, ha fatto errori su errori, ma nessuno prima gli ha vietato di
avvicinarsi troppo all'isola del Giglio. Quando si è incagliata era troppo
tardi.
Da un inchino ad un
altro. Dopo il 2 luglio 2014 l’anima italica, ipocrita antimafiosa, emerge dalle
testate di tutti i giornali. I moralisti delle virtù altrui, per coprire meglio
le magagne governative attinenti riforme gattopardesche. Si sa che parlar dei
mondiali non attecchisce più per la male uscita dei pedanti italici. Pedanti
come ostentori di piedi pallonari e non di sapienza. Lo dice uno che sul tema ha
scritto un libro: “Mafiopoli. L’Italia delle mafie”.
Una protesta
plateale. Se la Madonna fa l’inchino ai boss, i carabinieri se ne vanno. Se i
fedeli e le autorità, civili e religiose, si fermano in segno di “rispetto”,
davanti alla casa del mafioso, le forze dell’ordine si allontanano, in segno di
protesta. E ne diventano eroi. Tanto in Italia basta poco per esserlo. È
successo il 2 luglio 2014, a Oppido Mamertina, piccolo paese in provincia di
Reggio Calabria, sede di una sanguinosa faida tra mafiosi: durante trenta
secondi di sosta per simboleggiare, secondo tutti i giornali, l’inchino al boss
Giuseppe Mazzagatti, i militari che scortavano la processione religiosa si sono
allontanati. Tutti ne parlano. Tutti si indignano. Tutti si scandalizzano.
Eppure l’inchino nelle processioni è una tradizione centenaria in tantissime
località del sud. Certo è che se partiamo con la convinzione nordista mediatica
che il sud è terra mafiosa, allora non ci libereremo mai dei luoghi comuni degli
ignoranti, che guardano la pagliuzza negli occhi altrui. Gli inchini delle
processioni si fanno a chi merita rispetto: pubbliche istituzioni e privati
cittadini. E’ un fatto peculiare locale. E non bisogna additare come mafiosi
intere comunità (e dico intere comunità), se osannano i singoli individui e non
lo Stato. Specie dove lo Stato non esiste. E se ha parvenza di stanziamento,
esso dà un cattivo esempio. A volte i giudizi dei tribunali non combaciano con
quelle delle comunità, specie se il reato è per definizione nocumento di un
interesse pubblico. Che facciamo? Fuciliamo tutti coloro che partecipano alle
processioni, che osannano chi a noi non è gradito? A noi pantofolai sdraiati a
centinaia di km da quei posti? Siamo diventati, quindi, giudici e carnefici?
Eliminiamo una tradizione centenaria per non palesare il fallimento dello Stato?
Dare credibilità
agli amministratori locali? Sia mai da parte dei giornali. Il sindaco di Oppido
Mamertina, Domenico Giannetta, ha rilasciato un lungo comunicato per spiegare
l'accaduto «Noi siamo una giovane amministrazione che si è insediata da 40
giorni e non abbiamo nessuna riverenza verso un boss. Se i fatti e le
motivazioni di quella fermata sono quelli ricostruiti finora noi siamo i primi a
condannare e a prendere le distanze», spiega Domenico Giannetta, sindaco di
Oppido Mamertina. «A quanto appreso finora - spiega ancora il sindaco - la
ritualità di girare la madonna verso quella parte di paese risale a più di 30
anni, ma questa - chiarisce Giannetta - non deve essere una giustificazione. Se
la motivazione è, invece, quella emersa condanniamo fermamente. Noi - sottolinea
- siamo un’amministrazione che vuole perseguire la legalità. Ci sentiamo come
Amministrazione Comunale indignati e colpiti nel nostro profilo personale e
istituzionale. Era presente al corteo religioso tutta la Giunta Comunale, il
Presidente del Consiglio Comunale, il Comandante della Polizia Municipale e il
Comandante della Stazione dei Carabinieri di Oppido. Giunti all'incrocio tra via
Ugo Foscolo e Corso Aspromonte, nel seguire il Corteo religioso tutti i predetti
camminando a piedi svoltavamo a sinistra, circa 30 metri dietro di noi vi erano
i presbiteri e ancora dietro la vara di Maria SS. Delle Grazie. Mentre tutti
procedevamo a passo d'uomo la vara si fermava all'intersezione predetta e veniva
girata in direzione opposta al senso di marcia del Corteo, come da tradizione.
Peraltro, nell'attimo in cui i portatori della vara hanno espletato tale
rotazione, improvvisamente il Comandante della Stazione locale dei Carabinieri
che si trovava alla destra del Sindaco si è distaccato dal Corteo, motivando che
quella gestualità era riferibile ad un segno di riverenza verso la casa di
Mazzagatti. Sentiamo dunque con sobrietà di condannare il gesto se l'obiettivo
era rendere omaggio al boss, perché ogni cittadino deve essere riverente alla
Madonna e non si debba verificare al contrario che per volontà di poche persone
che trasportano in processione l'effigie, venga dissacrata l'onnipotenza divina,
verso cui nessun uomo può osare gesto di sfida. Dal canto nostro
nell'immediatezza del fatto, nel dubbio abbiamo agito secondo un principio di
buon senso e non abbiamo abbandonato il Corteo per non creare disagi a tutta la
popolazione oppidese ed ai migliaia di fedeli che giungono numerosi da diversi
paesi ed evitare il disordine pubblico».
Se non vanno bene,
possiamo cambiare le regole. Bene ha fatto a centinaia di km in quel di Salerno
il clero locale. Meno applausi e più preghiere, affinchè la processione di San
Matteo ritorni ad essere «un corteo orante» e non un teatro o un momento «di
interessi privatistici», scrive “La città di Salerno”. L’arcivescovo Luigi
Moretti annuncia così le nuove “regole” che, in linea con la Cei,
caratterizzeranno la tradizionale celebrazione dedicata al Santo Patrono,
invitando tutti - fedeli, portatori, istituzioni - a recuperare il senso
spirituale della manifestazione. Non sono previste fermate dinanzi alla caserma
della Guardia di Finanza, nè dinanzi al Comune. Aboliti gli “inchini” delle
statue che per nessuna ragione dovranno fermarsi sulla soglia di bar e
ristoranti, visto che «sono i fedeli che si inchinano ai Santi e non il
contrario». Nessuna “ruota” delle statue, fatta eccezione per tre momenti di
sosta all’altezza di corso Vittorio Emanuele, corso Garibaldi e largo Campo. I
militari che sfileranno dovranno essere rigorosamente non armati e le bande
saranno ridotte ad un unica formazione. Le stesse statue saranno compattate «in
un blocco unico per evitare dispersioni». Nei giorni che precedono la
processione saranno organizzate iniziative nelle parrocchie della zona
orientale, «che prima erano tagliate fuori dalla celebrazione». Il corteo sarà
aperto da croci e candelabri, poi le associazioni, con l’apertura anche a quelle
laiche, altra novità di quest’anno. A seguire la banda, le statue, il clero «su
doppia fila», l’arcivescovo che precederà San Matteo e dietro i Finanzieri, il
Gonfalone del Comune e le autorità con il popolo. Durante la sfilata «si
pregherà e verranno letti dei brani del Vangelo». No ai buffet allestiti per
ingraziarsi il politico di turno con brindisi e pizzette. «Quelle, se i fedeli
vorranno, potranno recapitarle a casa dei portatori», ha ironizzato Moretti.
«Ben venga chi vuole offrire un bicchiere d’acqua a chi è impegnato nel
trasporto delle statue, ma il resto no, perchè c’è un momento per fare festa ed
uno per pregare».
In conclusione
sembra palese una cosa. Gli inchini nelle processioni non sono l’apologia della
mafia, ma spesso sono atti senza analisi mediatica dietrologica. Molte volte ci
sono per ingraziarsi, da parte dei potenti, fortune immeritate. Sovente sono un
segno di protesta contro uno Stato opprimente che ha vergognosamente fallito.
L’italiano è stato
da sempre un inchinante ossequioso. Ti liscia il pelo per fottersi l’anima. Si
inchina a tutti, per poi, un momento, dopo tradirlo. D'altronde ognuno di noi
non si inchina a Dio ed ai Santi esclusivamente per richieste di tornaconto
personale? Salute o soldi o carriera?
Ricordatevi che lo
sport italico è solo glorificare gli appalti truccati ed i concorsi pubblici
falsati.
Dr Antonio
Giangrande
Antonio Giangrande: L’ANTIRACKET SALENTO PRESENTATA DA ALFREDO MANTOVANO
LA
POSIZIONE DELL’ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE
Antiracket Salento. Arrivano con il progetto Pon sulla Sicurezza 2.4 dall’Unione
Europea 1.351.000,00 Euro per il Salento. Un contributo per le province di
Taranto, Lecce e Brindisi per l’apertura di sportelli comunali antiracket che
raccolgano le denunce. “La nostra terra è meritevole di un sostegno” ha spiegato
l’onorevole Alfredo Mantovano a Taranto il 22 giugno 2012 in un incontro con la
stampa ed il sindaco di Taranto.
Il
dr. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie,
riguardo agli aspetti trattati da Alfredo Mantovano (ex magistrato, eletto PDL,
ex AN) rilascia questa dichiarazione:
«la
nostra terra è sì meritevole di un sostegno, ma perché è ritenuta un covo di
mafiosi, in quanto così è presentata da chi ha un interesse politico od
economico. Per raccogliere le denunce non ci sono già le caserme dei
carabinieri, i commissariati o le Procure? Come presidente nazionale, quindi,
data la mia esperienza extraterritoriale, ho adottato alcune misure che ho
proposte a tutte le Prefetture d’Italia. Suggerimenti divulgabili ed adottabili
da ogni ente governativo provinciale, per poterne usufruire ed apprezzare gli
aspetti più utili. Il tutto senza alcuna reclame.
L’Associazione Contro Tutte le Mafie:
con
Tele Web Italia, la sua web tv nazionale, ospita tutte le web tv locali e dà
visibilità gratuita al territorio ed alle aziende che ivi producono per superare
la crisi di mercato o il pericolo di usura;
considerando che le vittime del racket e dell’usura non hanno bisogno di
visibilità e non vogliono apparire per paura delle ritorsioni, ha predisposto
sui suoi siti web associativi uno sportello telematico (VADEMECUM) affinchè le
vittime, senza ausilio di intermediari, possano accedere agli strumenti di
denuncia e di autotutela più adeguati, previa informazione senza filtri sui
benefici di legge, questo perché gli sportelli antiracket aperti a Lecce,
Taranto e Brindisi, od in altri posti, pur in apparenza utili, possono sembrare
solo strumenti di propaganda politica e di speculazione economica per attingere
ai progetti PON o POR;
ha
invitato ad una collaborazione reale la Camera di Commercio e le associazioni di
categoria attraverso l’accesso ai Cofidi o gli Interfidi per superare l’ostacolo
della mancata fruizione di finanziamenti dalle banche, per evitare il fallimento
delle aziende o l’accesso al mondo usuraio dei cittadini.
In
virtù di tali atti e proposte, quindi, si spera in una collaborazione senza
oneri per lo Stato e che non sia solo di stampo burocratico, con la creazione di
un Pool informale con il delegato dell’ufficio competente presso la Prefettura
territoriale; con il responsabile della locale Camera di Commercio, Industria,
Agricoltura ed Artigianato, in rappresentanza delle categorie sociali ed
economiche; con il magistrato delegato ai reati specifici; con la presente
associazione che telematicamente aiuta i bisognosi sul territorio a trovare una
sponda istituzionale per risolvere i loro problemi. Insomma, noi abbiamo bisogno
da parte dello Stato di avere un solo nome presso cui convogliare le
innumerevoli richieste di aiuto, per ovviare altresì ai disservizi esistenti nel
sistema. Quel nome istituzionale, territorialmente, deve garantire:
procedibilità della denuncia fondata presentata; immediato accesso ai
finanziamenti dei Cofidi e Statali od ai risarcimenti di legge; tempestiva
interruzione dei procedimenti giudiziari esecutivi a carico dell’usurato
denunciante. Crediamo che la lotta al racket ed all’usura (anche bancaria e di
Stato) non debba essere fatta solo di chiacchiere, ma deve essere sostenuta da
atti concreti, che a quanto pare nessuno vuole adottare. La Legalità è il
comportamento umano conforme al dettato della legge nel compimento di un atto o
di un fatto. Se l'abito non fa il monaco, e la cronaca ce lo insegna, nè toghe,
nè divise, nè poteri istituzionali o mediatici hanno la legittimazione a dare
insegnamenti e/o patenti di legalità. Lor signori non si devono permettere di
selezionare secondo loro discrezione la società civile in buoni e cattivi ed
ovviamente si devono astenere dall'inserirsi loro stessi tra i buoni. Perchè
secondo questa cernita il cattivo è sempre il povero cittadino, che oltretutto
con le esose tasse li mantiene. Non dimentichiamoci che non ci sono dio in terra
e fino a quando saremo in democrazia, il potere è solo prerogativa del popolo.»
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande:
Io non capisco chi critica o ignora la condivisione di una mia opera nel diario
della mia pagina e nel gruppo di cui sono fondatore ed amministratore.
Quando si parla di
mafia ognuno pensa che basti proferire il nome e di colpo saperne tutto di essa.
La mafia è una
coltura che rigoglisce in una apposita cultura. Io studio la cultura per
conoscere meglio la coltura. Quell’aspetto della cultura che nessuno fa
conoscere.
Mi presento. Dr
Antonio Giangrande. Scrittore (scrivo saggi letti in tutto il mondo e studiati
come testi in tesi universitarie). Sociologo storico (studio i comportamenti
umani correlati tra loro rispetto a tempo, spazio e tema), Giurista (competenza
legislativa e verifica anche sull’operato dei magistrati). Blogger e Youtuber
(uso di tutti i sistemi contemporanei tecnologici per divulgare le mie opere e
promuovere i territori. Chi fa parte della mia cerchia di amici o iscritti ai
miei canali youtube lo fa per essere aggiornato). Presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie ONLUS (inserito nel sistema dell’antimafia per conoscere e
per sapere. Ma sono quel tipo di antimafia che sta dalla parte del torto, perchè
i posti della parte della ragione son tutti occupati). Assolutamente Libero (non
foraggiato o promosso da alcuno).
Se si pensa che nei
miei post io promuova me stesso e non si capisce il senso dell’oggetto in
promozione, vuol dire che, in mala fede o per ignoranza, si guarda il dito e non
si attenziona la luna.
Non ho bisogno di
promuovermi attraverso i miei post. Basta digitare il mio nome sui motori di
ricerca e compariranno 200.000 siti web che parlano di me. Ogni giorno 10.000
lettori aprono un mio libro e leggono gratuitamente su “Google Libri” centinaia
di migliaia di pagine. Altrettanti sono gli utenti che vedono i miei video ogni
giorno.
Dopo Twitter e
Linkedin, Facebook è il più fallimentare dei miei canali di divulgazione. Lì la
gente parla, ma non ascolta, né impara. I miei amici sono pochi e selezionati e
dopo un anno sono cancellati. Li seguo e mi seguono. Imparano da me ed io imparo
da loro. I veri amici, dopo essere stati cancellati, richiedono l’amicizia con
ostinazione. I veri amici sostengono e perdonano…
Sono presuntuoso ed
arrogante? No! Sono diverso? Sì e ne sono orgoglioso.
Per il fatto di
essere conosciuto ed apprezzato, pur non potendo risolvere alcun problema, sono
destinatario di tantissime storie e preghiere d’aiuto e richieste di consigli.
Queste storie mi rendono conoscitore e sapiente. Queste storie mi fanno
conoscere tutte le mafie. Se un’opera da me prodotta, è da me promossa per
essere conosciuta, è per far capire che tutte le storie sono collegate tra loro:
tutto è frutto del sistema marcio.
Ma c’è sempre chi
è, per egocentrismo o per ignoranza, refrattario alla verità. Come si dice, non
c’è più sordo di chi non vuol sentire.
Chi chiede la mia
amicizia è perché ha letto quello che io ho scritto per esempio sulla sua
regione o città, oppure sulla sua professione o stato sociale, o addirittura ha
letto il suo nome perché io disinteressatamente mi sono interessato alla sua
storia e ho raccontato quello che, fino ad allora, non si era detto.
Quello della
biografia fatta da Giangrande è cosa che ambiscono in tanti, troppi…fino a
creare astio quando l’ambizione non si realizza.
Comunque, per chi
non mi conosce: piacere, sono Antonio Giangrande.
Se qualcuno si è
accorto di aver sbagliato persona può togliermi l’amicizia da subito, senza
aspettare la naturale scadenza dell’anno.
Antonio Giangrande: SALVINI-SAVIANO ED I SOLITI MALAVITOSI.
Saviano a Salvini: “Ministro della malavita”. La propaganda fa proseliti e voti.
Sei ricco? Sei mafioso! Il condizionamento psicologico mediatico-culturale lava
il cervello e diventa ideologico, erigendo il sistema di potere comunista. Cosa
scriverebbero gli scrittori comunisti senza la loro Mafia e cosa direbbero in
giro per le scuole a far proselitismo comunista? Quale film girerebbero i
registi comunisti antimafiosi? Come potrebbero essere santificati gli eroi
intellettuali antimafiosi? Quali argomenti affronterebbero i talk show comunisti
e di cosa parlerebbero i giornalisti comunisti nei TG? Cosa scriverebbero e
vomiterebbero i giornalisti comunisti contro gli avversari senza la loro Mafia?
Cosa comizierebbero i politici comunisti senza la loro Mafia? Quali processi si
istruirebbero dai magistrati eroi antimafiosi senza la loro mafia? Cosa
farebbero i comunisti senza la loro Mafia ed i beni della loro Mafia? Di cosa
camperebbero le associazioni antimafiose comuniste? Cosa esproprierebbero i
comunisti senza l'alibi della mafiosità? La Mafia è la fortuna degli
antimafiosi. Se non c'è la si inventa e si infanga un territorio. Mafia ed
Antimafia sono la iattura del Sud Italia dove l’ideologia del povero contro il
ricco attecchisce di più. Sciagura antimafiosa che comincia ad espandersi al
Nord Italia per colpa della crisi economica creata da antimafia e burocrazia.
Più povertà per tutti, dicono i comunisti.
Antonio Giangrande: Si deve sempre guardare il retro della medaglia. Si dice che
i soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro. Invece i soldi vanno ai
migranti tramite le cooperative di sinistra e della CGIL. Ergo: Ai migranti
quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i voti dei futuri
cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali fino a voler
mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Poi per l’aiuto
agli italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi cosa: case
popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative. Se sei di
destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della sinistra, ma
perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che non sanno
neppure tutelare se stessi.
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Se questa è
antimafia…. In Italia, con l’accusa di mafiosità, si permette
l’espropriazione proletaria di Stato e la speculazione del Sistema su beni di
persone che mafiose non lo sono. Persone che non sono mafiose, né sono
responsabili di alcun reato, eppure sottoposte alla confisca dei beni ed alla
distruzione delle loro aziende, con perdita di posti di lavoro. Azione
preventiva ad ogni giudizio. Alla faccia della presunzione d’innocenza di stampo
costituzionale. Interventi di antimafiosità incentrati su un ristretto ambito
territoriale o di provenienza territoriale.
La Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, on. le Rosy Bindi,
dichiara che è impossibile che in Valle d’Aosta non ci sia ’ndrangheta – «che ha
condizionato e continua a condizionare l’economia» – stante che il 30% della
popolazione è di origine calabrese.
E’ risaputo che le aziende del centro nord appaltano i grandi lavori pubblici,
specialmente se le aziende del sud Italia le fanno chiudere con accuse artefatte
di mafiosità.
Questa antimafia, per mantenere il sistema, impone la delazione e la calunnia ai
sodalizi antiracket ed antiusura iscritti presso le Prefetture provinciali. Per
continuare a definirsi tali, ogni anno, le associazioni locali sono sottoposte a
verifica. L’iscrizione all’elenco è condizionata al numero di procedimenti
penali e costituzioni di parti civili attivate. L’esortazione a denunciare,
anche il nulla, se possibile. Più denunce per tutti…quindi. Chi non denuncia,
anche il nulla, è complice od è omertoso.
A tal fine, per non aver adempito ai requisiti di delazione, calunnia e
speculazione sociale, l’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS, sodalizio
nazionale di promozione sociale già iscritta al n. 3/2006 presso il registro
prefettizio della Prefettura di Taranto Ufficio Territoriale del Governo, il 23
settembre 2017 è stata cancellata dal suddetto registro.
Dove non arrivano con le interdittive prefettizie, arrivano con i sequestri
preventivi.
Proviamo a spiegarci. Le interdittive funzionano così: sono discrezionali.
Decide il prefetto. Non c’è bisogno di una condanna penale, addirittura – nel
caso ad esempio, del quale stiamo parlando – nemmeno di un avviso di garanzia o
di una ipotesi di reato. Il reato non c’è, però a me tu non mi convinci. Punto e
basta. Inoltre l’antimafia preventiva diventata definitiva. Antimafia mafiosa.
Come reagire, scrive il 27 settembre 2017 Telejato. C’È, È INUTILE RIPETERLO
TROPPE VOLTE, UNA CERTA PRESA DI COSCIENZA DELLA TURPITUDINE DELLA LEGISLAZIONE
ANTIMAFIA, CHE MEGLIO SAREBBE DEFINIRE “LEGGE DEI SOSPETTI”. ANCHE I PIÙ
COCCIUTI COMINCIANO AD AVVERTIRE CHE NON SI TRATTA DI “ABUSI”, DI DOTTORESSE
SAGUTO, DI “CASI” COME QUELLO DEL “PALAZZO DELLA LEGALITÀ”, DI FRATELLANZE E
CUGINANZE DI AMMINISTRATORI DEVASTANTI. È tutta l’Antimafia che è divenuta e si
è rivelata mafiosa. Come si addice al fenomeno mafioso, questa presa di
coscienza rimane soffocata dalla paura, dal timore reverenziale per le ritualità
della dogmatica dell’antimafia devozionale, del komeinismo nostrano che se ne
serve per “neutralizzare” la nostra libertà. Molti si chiedono e ci chiedono:
che fare? È già qualcosa: se è vero, come diceva Manzoni, che il coraggio chi
non c’è l’ha non se lo può dare, è vero pure che certi interrogativi sono un
indizio di un coraggio che non manca o non manca del tutto. Non sono un profeta,
né un “maestro” e nemmeno un “antimafiologo”, visto che tanti mafiologhi ci
hanno deliziato e ci deliziano con le loro cavolate. Ma a queste cose ci penso
da molto tempo, ci rifletto, colgo le riflessioni degli altri. E provo a dare un
certo ordine, una certa sistemazione logica a constatazioni e valutazioni. E
provo pure a dare a me stesso ed a quanti me ne chiedono, risposte a
quell’interrogativo: che fare? Io credo che, in primo luogo, occorre riflettere
e far riflettere sul fatto che il timore, la paura di “andare controcorrente”
denunciando le sciagure dell’antimafia e la sua mafiosità, debbono essere messe
da parte. Che se qualcuno non ha paura di parlar chiaro, tutti possono e debbono
farlo. Secondo: occorre affermare alto e forte che il problema, i problemi non
sono quelli dell’esistenza delle dott. Saguto. Che gli abusi, anche se sono tali
sul metro stesso delle leggi sciagurate, sono la naturale conseguenza delle
leggi stesse. Che si abusa di una legge che punisce i sospetti e permette di
rovinare persone, patrimoni ed imprese per il sospetto che i titolari siano
sospettati è cosa, in fondo, naturale. Sarebbe strano che, casi Saguto,
scioglimenti di amministrazioni per pretesti scandalosi di mafiosità,
provvedimenti prefettizi a favore di monopoli di certe imprese con
“interdizione” di altre, non si verificassero. Terzo. Occorre che allo studio,
alle analisi giuridiche e costituzionali delle leggi antimafia e delle loro
assurdità, si aggiungano analisi, studi, divulgazioni degli uni e degli altri in
relazione ai fenomeni economici disastrosi, alle ripercussioni sul credito,
siano intrapresi, approfonditi e resi noti. Possibile che non vi siano
economisti, commercialisti, capaci di farlo e di spendersi per affrontare
seriamente questi aspetti fondamentali della questione? Cifre, statistiche,
comparazioni tra le Regioni. Il quadro che ne deriverà è spaventoso. Quindi
necessario. E’ questo l’aspetto della questione che più impressionerà l’opinione
pubblica. E poi: non tenersi per sé notizie, idee, propositi al riguardo. Questo
è il “movimento”. Il movimento di cui molti mi parlano. Articolo di Mauro
Mellini. Avvocato e politico italiano. È stato parlamentare del Partito
Radicale, di cui fu tra i fondatori.
Ma cosa sarebbe codesta antimafia, che tutto gli è concesso, se non ci fosse lo
spauracchio mediatico della mafia di loro invenzione? E, poi, chi ha dato la
patente di antimafiosità a certi politicanti di sinistra che incitano le masse…e
chi ha dato l’investitura di antimafiosità a certi rappresentanti
dell’associazionismo catto-comunista che speculano sui beni…e chi ha dato
l’abilitazione ad essere portavoci dell’antimafiosità a certi scribacchini di
sinistra che sobillano la società civile? E perché questa antimafiosità ha
immenso spazio su tv di Stato e giornali sostenuti dallo Stato per fomentare
questa deriva culturale contro la nostra Nazione o parte di essa. Discrasia
innescata da gruppi editoriali che influenzano l’informazione in Italia?
Fintanto che le vittime dell’antimafia useranno o subiranno il linguaggio dei
loro carnefici, continueremo ad alimentare i cosiddetti antimafiosi che
lucreranno sulla pelle degli avversari politici.
Se la legalità è l’atteggiamento ed il comportamento conforme alla legge, perché
l’omologazione alla legalità non è uguale per tutti,…uguale anche per gli
antimafiosi? La legge va sempre rispettata, ma il legislatore deve conformarsi a
principi internazionali condivisi di più alto spessore che non siano i propri
interessi politici locali prettamente partigiani.
Va denunciato il fatto che l’antimafiosità è solo lotta politica e di propaganda
e la mafia dell’antimafia è più pericolosa di ogni altra consorteria criminale,
perchè: calunnia, diffama, espropria e distrugge in modo arbitrario ed impunito
per sola sete di potere. La mafia esiste ed è solo quella degli antimafiosi, o
delle caste o delle lobbies o delle massonerie deviate. E se per gli
antimafiosi, invece, tutto quel che succede è mafia…Allora niente è mafia. E se
niente è mafia, alla fine gli stranieri considereranno gli italiani tutti
mafiosi.
Invece mafioso è ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di
sopraffazione e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.
Non
denunciare ciò rende complici e di questo passo gli sciasciani non avranno mai
visibilità se rimarranno da soli ed inascoltati.
Lettera al Direttore. Se questa è antimafia…di Antonio Giangrande.
In
Italia, con l’accusa di mafiosità, si permette l’espropriazione proletaria di
Stato e la speculazione del Sistema su beni di persone che mafiose non lo sono.
Persone che non sono mafiose, né sono responsabili di alcun reato, eppure
sottoposte alla confisca dei beni ed alla distruzione delle loro aziende, con
perdita di posti di lavoro. Azione preventiva ad ogni giudizio. Alla faccia
della presunzione d’innocenza di stampo costituzionale.
Interventi di antimafiosità incentrati su un ristretto ambito territoriale o di
provenienza territoriale.
Questa antimafia, per mantenere il sistema, impone la delazione e la calunnia ai
sodalizi antiracket ed antiusura iscritti presso le Prefetture provinciali. Per
continuare a definirsi tali, ogni anno, le associazioni locali sono sottoposti a
verifica. L’iscrizione all’elenco è condizionata al numero di procedimenti
penali e costituzioni di parti civili attivate.
L’esortazione a denunciare, anche il nulla, se possibile. Più denunce per
tutti…quindi. Chi non denuncia, anche il nulla, è complice od è omertoso.
Ma
cosa sarebbe codesta antimafia, che tutto gli è concesso, se non ci fosse lo
spauracchio mediatico della mafia di loro invenzione?
E,
poi, chi ha dato la patente di antimafiosità a certi politicanti di sinistra che
incitano le masse…e chi ha dato l’investitura di antimafiosità a certi
rappresentanti dell’associazionismo catto-comunista che speculano sui beni…e chi
ha dato l’abilitazione ad essere portavoci dell’antimafiosità a certi
scribacchini di sinistra che sobillano la società civile?
E
perché questa antimafiosità ha immenso spazio su tv di Stato e giornali
sostenuti dallo Stato per fomentare questa deriva culturale contro la nostra
Nazione o parte di essa. Discrasia innescata da gruppi editoriali che
influenzano l’informazione in Italia?
Fintanto che le vittime dell’antimafia useranno o subiranno il linguaggio dei
loro carnefici, continueremo ad alimentare i cosiddetti antimafiosi che
lucreranno sulla pelle degli avversari politici.
Se
la legalità è l’atteggiamento ed il comportamento conforme alla legge, perché
l’omologazione alla legalità non è uguale per tutti,…uguale anche per gli
antimafiosi?
La
legge va sempre rispettata, ma il legislatore deve conformarsi a principi
internazionali condivisi di più alto spessore che non siano i propri interessi
politici locali prettamente partigiani.
Va
denunciato il fatto che l’antimafiosità è solo lotta politica e di propaganda e
la mafia dell’antimafia è più pericolosa di ogni altra consorteria criminale,
perchè: calunnia, diffama, espropria e distrugge in modo arbitrario ed impunito
per sola sete di potere.
La
mafia esiste ed è solo quella degli antimafiosi, o delle caste o delle lobbies o
delle massonerie deviate. E se per gli antimafiosi, invece, tutto quel che
succede è mafia…
Allora niente è mafia.
E
se niente è mafia, alla fine gli stranieri considereranno gli italiani tutti
mafiosi.
Invece mafioso è ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di
sopraffazione e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.
Non
denunciare ciò rende complici e di questo passo gli sciasciani non avranno mai
visibilità se rimarranno da soli ed inascoltati.
*Antonio Giangrande ha scritto dei saggi sulla Mafia. (Mafiopoli; La Mafia
dell’Antimafia; Castopoli; Massoneriopoli; Impunitopoli.)
Antonio Giangrande:
Siamo tutti mafiosi, ma additiamo gli altri di esserlo. La mafia che c’è
in noi. Quando i delinquenti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i politici
dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le istituzioni ed i magistrati dicono: “qua
è cosa nostra!”; quando caste, lobbies e massonerie dicono: “qua è cosa
nostra!”; quando gli imprenditori dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i
sindacati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i professionisti dicono: “qua è
cosa nostra!”; quando le associazioni antimafia dicono: “qua è cosa nostra!”;
quando i cittadini, singoli od associati, dicono: “qua è cosa nostra!”. Quando
quella “cosa nostra”, spesso, è il diritto degli altri, allora quella è mafia.
L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando
coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per
commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o
comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé
o per altri”.
Antonio Giangrande:
“Un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da
coglioni.” Antonio Giangrande dal libro “L’Italia allo specchio. Il DNA degli
italiani”.
"Il popolo cornuto
era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola
alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del
colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci
sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi;
cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento
cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle
corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno
della civetta".
Antonio Giangrande:
Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato
non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri
sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli
avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono
critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel
libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei
diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate.
Chi siamo noi?
Siamo i “coglioni”
che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.
Da bambini i
genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era
solo il canone di poveri ignoranti.
Da studenti i
maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che
era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano
“Bella Ciao”.
Da credenti i
ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro
verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o
terroristi.
Da lettori e
telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per
il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato,
fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani.
Da elettori i
legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo
scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni.
Ecco, appunto:
siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.
E se qualcuno non
vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che
è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
Antonio Giangrande:
A Roma, 2000 anni fa, il potere, per tacitare il popolo, dava "panem et
circensis". La massa barattava la propria libertà per un tozzo di pane e per gli
spettacoli negli anfiteatri. Dopo 2000 anni nulla è cambiato.
Antonio Giangrande: PER AVERE UNA PARVENZA DI INFORMAZIONE SONO COSTRETTO A
VISIONARE: L'ESPRESSO, LA REPUBBLICA, IL CORRIERE DELA SERA (RCS) PER CONOSCERE
I GOSSIP SULLA DESTRA; PANORAMA E IL GIORNALE (MONDADORI) PER I GOSSIP SULLA
SINISTRA.
Antonio Giangrande: Gli impresentabili e la deriva forcaiola.
Ognuno di noi, italiani, siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
In famiglia, a scuola, in chiesa, sui media, ci hanno deturpato l’anima e la
mente, inquinando la nostra conoscenza. Noi non sappiamo, ma crediamo di sapere…
La
legalità è il comportamento conforme al dettato delle centinaia di migliaia di
leggi…sempre che esse siano conosciute e che ci sia qualcuno, in ogni momento,
che ce li faccia rispettare!
L’onestà è il riuscire a rimanere fuori dalle beghe giudiziarie…quando si ha la
fortuna di farla franca o si ha il potere dell'impunità o dell'immunità che
impedisce il fatto di non rimaner invischiato in indagini farlocche, anche da
innocente.
Parlare di legalità o definirsi onesto non è e non può essere peculiarità di chi
è di sinistra o di chi ha vinto un concorso truccato, né di chi si ritiene di
essere un cittadino da 5 stelle, pur essendo un cittadino da 5 stalle.
Questo perché: chi si loda, si sbroda!
Le
liste di proscrizione sono i tentativi di eliminare gli avversari politici,
tramite la gogna mediatica, appellandosi all'arma della legalità e della onestà.
Arma brandita da mani improprie. Ed in Italia tutte le mani sono improprie, per
il sol fatto di essere italiani.
Ci
sono delle regole stabilite dalla legge che definiscono i criteri che vietano
eleggibilità e candidabilità. Se un cittadino regolarmente iscritto alle liste
elettorali non si trova in nessuna di queste condizioni si può candidare. Punto.
"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". (art. 49
della costituzione italiana). Alle amministrative del 31 maggio 2015 gli
elettori saranno aiutati dalla commissione parlamentare antimafia che ha
presentato una lista di impresentabili, spiega Piero Sansonetti. Cioè un elenco
di candidati che pur in possesso di tutti i diritti civili e politici, e quindi
legittimati a presentarsi alle elezioni, sono giudicate moralmente non adatte
dai saggi guidati da Rosy Bindi. Le liste di proscrizione furono inventate a
Roma, un’ottantina di anni prima di Cristo dal dittatore Silla, che in questo
modo ottenne l’esilio di tutti i suoi avversari politici. L’esperimento venne
ripetuto con successo 40 anni dopo da Antonio e Ottaviano, dopo la morte di
Cesare, e quella volta tra i proscritti ci fu anche Cicerone. Che fu torturato e
decapitato. Stavolta per fortuna la proscrizione sarà realizzata senza violenze,
e questo, bisogna dirlo, è un grosso passo avanti. La commissione naturalmente
non ha il potere – se Dio vuole – di cancellare i candidati, visto che i
candidati sono legalmente inattaccabili. Si limita a una sorta di blando
pubblico linciaggio. Un appello ai cittadini: «Non votate questi farabutti».
Ed
i primi nomi spifferati ai giornali sono pugliesi.
Ma
chi sono i 4 candidati impresentabili pugliesi, quelli che, in base al codice
etico dei loro partiti o dei partiti al cui candidato sono collegati non
avrebbero potuto presentare la loro candidatura?
Attenzione! Siamo di fronte al diritto di tutti i candidati ad essere
considerati persone perbene fino all’ultimo grado di giudizio.
Uno
di loro è semplicemente indagato, gli altri sono stati assolti dalle accuse in
primo grado, anche se i pm poi hanno fatto ricorso. Nessuno di loro è
incandidabile, secondo la legge Severino, e tutti e quattro fossero votati
potrebbero fare i consiglieri regionali.
Il
primo è l’imprenditore Fabio Ladisa della lista «Popolari con Emiliano» che
appoggia il candidato del Pd ed ex sindaco di Bari, Michele Emiliano. La
Commissione precisa che «è stato rinviato a giudizio per furto aggravato,
tentata estorsione (e altro), commessi nel 2011, con udienza fissata per il
3.12.2015». Imputato, non condannato.
Con
Schittulli c'è Enzo Palmisano, medico, accusato per voto di scambio (anche se
poi il procedimento era andato prescritto). Prescrizione non vuol dire condanna,
ma scelta legittima di economia processuale.
Con
Schittulli c'è Massimiliano Oggiano, commercialista, della lista «Oltre» (per
lui accuse attinenti al 416 bis e al voto di scambio con metodo mafioso, è stato
assolto in primo grado e pende appello, la cui udienza è fissata per il 3 giugno
2015). Assolto, quindi innocente.
Giovanni Copertino, ufficiale del corpo Forestale in congedo, accusato di voto
di scambio (anche se poi era stato tutto prescritto, contro tale sentenza pende
la fase di appello ), consigliere regionale Udc è in lista invece con
Poli-Bortone. Prescrizione non vuol dire condanna, ma scelta legittima di
economia processuale.
C’è
un solo caso davvero incomprensibile: quello del candidato Pd alla presidenza
della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Per legge non potrà fare né il
consigliere regionale, né il presidente della Regione Campania. Se venisse
eletto il giorno dopo non potrebbe nemmeno mettere piede in consiglio regionale.
Vittima, anch'egli di una legge sclerotica voluta dai manettari. Legge che ha
colpito proprio loro, i forcaioli, appunto Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno,
e Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e già dell’IDV di Antonio Di Pietro.
Sospesi per legge, ma coperti temporaneamente dal Tar. Tar sfiduciato dalla
Cassazione che riconosce il potere al Tribunale.
Con
le liste di proscrizione si ha un regolamento politico di conti che nulla ha a
che vedere con la legalità, spiega Mattia su “Butta”. La legalità la stabilisce
la legge, non Rosy Bindi. Se la legge vigente non piace, liberissimi in
Parlamento di modificarla affrontando l’opinione pubblica. Ma non è giusto
mettere un timbro istituzionale su una cosa illegale come quella che sta facendo
oggi la commissione antimafia. Illegale perchè va contro ed oltre la legge
vigente, e non può farlo una istituzione. Non una istituzione, che per altro si
è ben guardata dall’inserire nell’elencone degli impresentabili qualcuno
macchiato del reato tipico dei consiglieri regionali: il peculato, la truffa sui
contributi ai gruppi consiliari. L’avessero fatto, non ci sarebbero state
elezioni...
Un
privato cittadino può anche dire in giro che Tizio o Caio sono impresentabili
perché X, ma rimane un suo giudizio personale. Già di suo è un giudizio
scorretto: al massimo puoi dire che Tizio non deve essere eletto, non che è
impresentabile. Puoi cioè invitare la gente a non votarlo (così come fai con
tutti i candidati che non ti garbano) ma non è corretto dire che non dovrebbe
essere nemmeno presentato. Può presentarsi eccome: in democrazia non c’è nessuno
che è meno degno di presentarsi.
Forse non si percepisce la gravità di questo precedente. Il fatto che un pezzo
di parlamento, ossia una istituzione che avrebbe ben altro da fare, come cercare
la mafia nell’antimafia, si arroghi il diritto di indicare alla popolazione chi
è degno di essere eletto e chi no in base ai propri gusti e non a una legge
dello Stato è aberrante. Uscire l’ultimo giorno di campagna elettorale ad
additare, con la forza di una istituzione, un tizio gridando “vergogna! è un X!
non votatelo” senza dare al tizio la possibilità di difendersi allo stesso
livello è preoccupante. Il metodo Boffo delle elezioni.
In
questo modo avremo come impresentabili tutti quelli indicati da Filippo Facci.
1)
Quelli condannati in giudicato;
2)
No, quelli condannati in Appello;
3)
No, quelli condannati in primo grado;
4)
Basta che siano rinviati a giudizio;
5)
Basta che siano indagati;
6)
Sono impresentabili anche gli assolti per prescrizione;
7)
Anche gli assolti e basta, ma "coinvolti" (segue stralcio di una sentenza);
Sono quelli che sarebbero anche gigli di campo, ma sono amici-parenti-sodali di
un impresentabile;
9)
Sono quelli che, in mancanza d'altro, sono nominati in un'intercettazione anche
se priva di rilevanza penale;
10)
gli impresentabili sono quelli che i probiviri del partito e lo statuto del
partito e il codice etico del partito e il comitato dei garanti (del partito)
fanno risultare impresentabili, cioè che non piacciono al segretario;
11)
Sono quelli a cui allude vagamente Saviano;
12)
Sono quelli - sempre innominati, sempre generici - che i giornali definiscono
"nostalgici del Duce, professionisti del voto di scambio in odore di camorra";
13)
Sono quelli - sempre innominati, sempre generici - di cui parlano anche il
commissario Cantone e la senatrice Capacchione, e ne parlano pure i candidati
che invece si giudicano presentabili, i quali dicono di non votare gli
impresentabili;
14)
Gli impresentabili sono quelli menzionati da qualche giornale, che però sono
diversi da quelli nominati da altri giornali;
15)
Sono i voltagabbana;
16)
Gli impresentabili sono quelli che sono impresentabili: secondo me.
E
così sia.
Antonio Giangrande: La mafia, conviene, ma non esiste. O almeno come oggi ce la
propinano.
Cosa è la legalità?
La
legalità è ogni comportamento difforme da quanto previsto e punito dalla legge.
Si parla di comportamento e non di atteggiamento. Con il primo si ha un’azione o
omissione, con il secondo vi è neutralità senza effetti. Per quanto riguarda la
legge c’è da dire che un popolo di “coglioni” sarà sempre governato,
amministrato, giudicato, istruito, informato, curato, cresciuto ed educato da
coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di
coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate.
Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura in mano alle religioni; alle
ideologie; all’economie.
Cosa significa comportamento mafioso?
Prendiamo per esempio il nostro modo di chiamare i prepotenti violenti che
vogliono affermare la loro volontà: diciamo “so’ camburristi”, ossia: sono
camorristi. Quindi mafia significa prepotenza.
Contro il “Subisci e Taci”. Il dettato normativo. L. 13 settembre 1982 n. 646
(Rognoni-Latorre) L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo
mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di
omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o
indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare
profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.
Mafia: Nascita ed evoluzione.
Il
fenomeno delle organizzazioni criminali in tutta Italia prendevano il nome di
Brigantaggio. La struttura era orizzontale con nuclei locali autonomi ed
indipendenti.
In
tutto il Sud Italia con l’unificazione e l’occupazione Sabauda, se prima il
brigantaggio ha favorito l’ascesa di Garibaldi, successivamente è diventato un
piccolo esercito partigiano di liberazione di piccola durata 1860-1869. La
struttura orizzontale è rimasta, ma si formò una sorta di coordinamento. Se da
una parte vi fu la soppressione del brigantaggio politico meridionale,
dall’altra parte in Sicilia si sviluppò il fenomeno di Cosa Nostra e del
separatismo.
Mafiosi erano i potentati locali, sia essi amministratori periferici dello
Stato, sia i latifondisti o potentati economici. Il loro braccio armato erano i
componenti delle famiglie locali più pericolose e numerose. La mafia ha
agevolativo di eventi storici: lo sbarco dei mille di Garibaldi, che ha permesso
l’invasione dell’Italia meridionale da parte dei settentrionali; lo sbarco degli
Alleati che ha agevolato la cacciata dei tedeschi.
La
strage della portella della Ginestra a Palermo si deve ricondurre ad un
tentativo di ristabilire l’ordine che veniva turbato da manifestazioni
sindacali. Il fenomeno mafioso nel centro-nord Italia non era sviluppato, perché
il Potere era molto più vicino alle periferie ed il controllo era più
stringente.
Quel potere si sosteneva con le estorsioni, le mazzette, giochi d’azzardo e
prostituzione, l’abigeato ed il furto di frutti o di bestiame. L’affare della
droga verrà successivamente.
Il
sistema mafioso aveva una struttura orizzontale, sia in Sicilia, sia in
Calabria, sia in Campania e nel resto del Sud Italia. La Stidda e Cosa Nostra,
la ‘Ndrangheta, La Sacra Corona Unita, i Basilischi, la Camorra, la Società
foggiana.
Cosa Nostra, in Sicilia, rispetto alla Stidda, era il braccio armato dei
potentati locali: al servizio della politica e dell’economia. Il Clan dei
Corleonesi era una fazione all’interno di Cosa Nostra formatasi negli anni
settanta, così chiamata perché i suoi leader più importanti provenivano dalla
famiglia di Corleone: Luciano Liggio, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano,
Leoluca Bagarella. Cosa Nostra aveva struttura piramidale.
La
Camorra, in Campania, da sodalizi criminali locali strutturati in linea
orizzontale, agevolati dalla scarsità di risorse rispetto alla demografia del
territorio, ha avuto un incremento con l’avvento di Raffaele Cutolo (Nuova
Camorra Organizzata) con l’influenza e la supervisione di Cosa Nostra e
‘Ndrangheta. Con il culto della personalità degli esponenti delle fazioni in
lotta la Camorra prende una struttura verticistica.
La
Camorra influenzerà la Società Foggiana a struttura orizzontale.
La
mafia pugliese e la mafia lucana, invece, sono creature delle famiglie
calabresi.
Il
sistema statale di contrasto.
Se
dal Regno Sabaudo fino al Fascismo la magistratura era sotto l’egita
governativa, con l’avvento della Repubblica i Magistrati sono sotto effetto
politico.
La
lotta al brigantaggio era più che altro una lotta politica contro gli oppositori
della monarchia Sabauda ed impegnava tutte le risorse governative. In tal senso
la criminalità comune e disorganizzata ne veniva avvantaggiata. Da sempre c’è
stato il problema della sicurezza. Già oggi noi riscontriamo il problema della
sicurezza. In caso di reati diffusi e ritenuti a torto bagatellari (furti,
aggressioni, minacce, ingiurie, ecc.). Figuriamoci nei tempi andati, dove la
struttura amministrativa aveva maglie molto più larghe e meno capillari,
specialmente nei territori più remoti e lontani dal Centro del Potere. Se oggi
abbiamo pochi agenti delle forze di polizia, figuriamoci allora. In questi
territori lontani dal controllo burocratico il potere del Governo era
affievolito perché non poteva contare su risorse adeguate di mezzi e persone.
Ciò arrecava anarchia e corruzione, dove il prepotente, spesso al soldo dei
ricchi, la faceva da padrone. In queste terre lontane si commettevano abusi e
violenze di ogni specie, specie nei campi, lontani da occhi indiscreti. La
mancanza di prove o la complicità delle istituzioni locali produceva impunità.
L’impunità creava omertà.
Nella stessa America, nel Far West, per esempio si assoldavano pistoleri, spesso
loro stessi criminali, per incutere rispetto al ruolo, al fine di affermare
l’Ordine e la Sicurezza.
In
Italia le terre più remote erano la Sicilia e la Calabria. In questi territori
il rispetto, la sicurezza e l’ordine era delegata dai rappresentanti dello Stato
o dai latifondisti a gruppi di cittadini, che oggi potremmo chiamare “vigilanza
o ronda privata”. A questi, spesso galeotti o criminali, veniva riconosciuta una
sorta di impunità dei loro crimini, nel nome dell’interesse comune.
Gli
affari della Mafia.
L’attività criminale del Brigantaggio era fondata da rapine, estorsioni, furti.
giochi d’azzardo e prostituzione, l’abigeato ed il furto di frutti o di
bestiame.
La
loro struttura solidale portava intimidazione e quindi soggezione ed omertà.
Poi
è arrivata il traffico di droga ed armi, lo smaltimento di rifiuti illeciti e la
tratta degli esseri umani. E cosa più importante sono arrivati gli appalti
pubblici: la mafia-appalti.
L’Evoluzione della Mafia. Da coppola e lupara a penna e calcolatrice.
Nel
1950 Il Governo De Gasperi istituì La Cassa per il Mezzogiorno, ossia un fondo
per finanziare lo sviluppo del meridione. Con questo strumento finanziario si
ebbe la scissione tra mente e braccio armato della gestione criminale della cosa
pubblica. E di conseguenza si ebbe una dicotomia del sistema mafioso tra armato
e colletti bianchi. In Sicilia la struttura capillare territoriale rimase con il
nome “Stidda”. Al contempo nella zona di Palermo, partendo da Corleone, si
impose una struttura piramidale chiamata “Cosa Nostra” che si espanse in Italia
e nel mondo. Avere a che fare con un singolo capo dei capi, era più comodo che
interloquire con centinaia di capetti. Ora la gestione del potere non era più
improntata sulla gestione del territorio e la commissione di reati comuni, ma
sui flussi finanziari del denaro che servivano per lo sviluppo del Sud Italia.
La gestione illecita di quei flussi, inoltre non era prevista e punita come
illegale da nessuna norma. Quella mafia era perseguita con l’art.416 c.p.
La
mafia appalti aveva appetiti enormi ed aveva tante bocche: La politica, la
Massoneria deviata, le caste e le lobby. Queste componenti avena la mafia come
braccio armato.
L’evoluzione dell’attacco al sistema.
Con
l’avvento degli anni 80 si ebbe il salto di qualità. La torta di Mafia Appalti
non era più distribuita in modo equitativo. Cominciarono a cadere le vittime
eccellenti, ossia gli uomini dello Stato con alte cariche.
Lo
Stato rispose con la Legge antimafia Rognoni-La Torre. Negli anni 90 si ebbe il
periodo stragista.
Il
Periodo Stragista e la morte di Falcone e Borsellino.
Fino a che non si è toccato il potere politico istituzionale e fino a Mani
Pulite, cioè fino al tentativo di coinvolgere il PCI nelle malefatte politiche
di Tangentopoli, il fenomeno mafioso rimaneva sottaciuto.
L’originale famiglia numerosa, pericolosa e prepotente territoriale, è
sostituita da una famiglia più allargata: quella dei partiti che si finanziano
con i fondi illeciti perché destinate per altre finalità. Questo per perpetuare
il potere e le poltrone.
La
gestione dell’ingente flusso di risorse finanziarie statali destinate al Sud era
in mano alla politica (meno il MSI): Da Roma di decideva a chi destinare i
fondi. La politica locale amministrava quei fondi. Tutti erano coinvolti.
Probabilmente il Pci, nella suddivisione della torta, era meno favorito della
DC, al governo da sempre, a Roma come in Sicilia, per questo Berlinguer nel 1981
parlo di Questione morale.
Giovanni Falcone con il nuovo 416 bis c.p. istruì il Maxi Processo. Ma di questo
enorme flusso di denaro se ne era accorto, come si era accorto, anche, che la
faccia della mafia era cambiata. Il potere dalla Coppola e la Lupara di gente
ignorante, era passato in mano ai colletti bianchi. I colletti bianchi
rappresentavano i poteri dello Stato: la politica che gestiva il denaro;
l’economia che riciclava quel denaro; la magistratura che insabbiava le notizie
di reato. Per questo Falcone diceva che per sconfiggere la mafia bisognava
seguire i soldi: quelli della Cassa del Mezzogiorno, in seguito quelli dei fondi
europei. E per questo nacque la collaborazione con Antonio Di Pietro a Milano.
Ma Falcone diceva anche un’altra cosa che ai magistrati dava molto fastidio
perché lesiva delle loro prerogative: creare un’entità nazionale che potesse far
applicare la legge in quei porti delle nebbie che erano i palazzi di giustizia.
Quell’essere diverso è costata cara a Giovanni Falcone. Su quei soldi non si
doveva indagare. Il fatto che Falcone potesse avere un più alto grado di
Responsabilità e Potere nei palazzi romani era osteggiato da tutti, specialmente
dalla sinistra e da quei magistrati di riferimento. Falcone, che con quel ruolo
al Ministero della Giustizia, aveva fatto nascere la Procura Nazionale
Antimafia, era da calunniare e denigrare. Lo stesso Leoluca Orlando, “eterno”
sindaco di Palermo ed esponente di quella sinistra della Dc, poi tramutata in La
Rete, è stato il più acerrimo nemico di Giovanni Falcone con i suoi molteplici
esposti penali contro il magistrato. L’inchiesta “Mafia appalti”, assolutamente
non si doveva fare. O lo si fermava con le calunnie. O lo si fermava in alto
modo.
Il
Penta Partito acquisiva ed impiegava i fondi illeciti Italia su Italia. Il Pci
li acquisiva e li inviava a Mosca. Qui le somme di denaro si convertivano in
Rubli, ed in questa forma rientravano come finanziamenti leciti dall’Urss che li
riciclava e li lavava. Finanziamenti ignorati dal Pool di Milano
Agli inizi del 1992 inizia Mani Pulite. Al Penta Partito ci pensa il Pool di
Mani Pulite di Milano, che sui rubli del PCI rimane inattivo, ma che,
sicuramente, Falcone non avrebbe avuto remore ad andare avanti, o chi per lui,
anche attraverso gli incarichi ministeriali. Ma non doveva.
Infatti il 23 maggio 1992 con la sua morte la pista dei rubli di Mosca si ferma
definitivamente.
Con
la morte di Falcone e di Paolo Borsellino, che sicuro ne avrebbe proseguito le
orme, il Pci è uscito indenne dal ciclone di Mani Pulite, dove addirittura la
Lega ha pagato lo scotto.
E
l’immagine del Pci è rimasta illibata a scanso di tutte le inchieste. Quelle
inchieste in cui gli investigatori hanno trovato candidatura nei partiti da loro
inquisiti, o comunque alleati: Di Pietro, Emiliano, Maritati.
Gli
affari dell’antimafia.
Con
la Morte di Falcone e Borsellino gli affari della mafia sono diventati affari
dell’antimafia.
L’apparato statale in mano alla sinistra: Le istituzioni, i media, la cultura,
l’associazionismo e il sindacalismo hanno impiegato tutto il loro impegno nella
propaganda, sfruttando al meglio la possibilità di finanziarsi economicamente
con il business dell’antimafia.
Oggi con le leggi del Cazzo si attua quell’espropriazione proletaria che ha
sempre ispirato il Pci (tu sei ricco perché sei mafioso ed hai rubato), ma il
meridione paga un danno enorme, perché in nome della lotta alla mafia si lede la
libera concorrenza. Perché il meridionale è mafioso a prescindere, ovunque esso
sia.
Nel
nome della lotta antimafia l’azienda meridionale non può lavorare perché se si
ha sentore di mafiosità scatta l’interdittiva antimafia. Anche sol perché si ha
un parente lontano ritenuto mafioso o un dipendente vicino o con parenti vicini
ad esponenti mafiosi.
Nel
nome dell’antimafia si sequestrano i beni di imprenditori ritenuti mafiosi da
indagini aperte per delazione di pentiti fasulli. Imprenditori che alla fine
risultano innocenti. Ciò nonostante quei beni vengono confiscati.
Nel
nome dell’antimafia gli appalti tolti alle aziende meridionali (cessate o
interdette) vanno a finire per lo più assegnati alle Cooperative Rosse, ed in
minima parte ad altre aziende settentrionali.
Oggi con le leggi del Cazzo la sinistra ha pensato bene di finanziare la sua
attività politica e di propaganda anche con attività extraeconomiche. Lo stesso
Sciascia nel 1987 puntava il dito sui professionisti dell’antimafia.
Oggi ci ritroviamo Libera ad essere il collettore monopolista di tutte le
associazioni antimafia prefettizie che costringono i loro assistiti alla
denuncia, per non essere cancellati, da cui scaturisce il business delle
costituzioni di parti civili e dei beni sequestrati e confiscati.
Oggi ci ritroviamo Libera ad avere il monopolio della gestione dei beni
sequestrati e confiscati ai cosiddetti mafiosi o presunti tali. Gestione
oltretutto sostenuta con progetti e fondi finanziati dallo Stato.
Oggi ci ritroviamo apparati giudiziari ed associativi che
Perché si è Sciasciani.
Prima degli anni ‘80 a dare carattere di mafiosità al sistema
criminal-burocratico vi era solo un grande conoscitore della questione: il
comunista Leonardo Sciascia. Sciascia con il suo “Il Giorno della Civetta”
suddivideva la realtà contemporanea in “uomini (pochi) mezzi.
Tutte le mafie. Oggi l’originale famiglia numerosa, pericolosa e prepotente
territoriale, con la coppola e la lupara, è sostituita da una famiglia più
allargata e dalla faccia pulita:
Quella dei partiti che continuano a finanziarsi non più con fondi illeciti, ma
con fondazioni.
Quella delle caste e delle lobby, composte da ordini, collegi, e gruppi
economici, che per pressione elettorale inducono a legiferare per i loro
tornaconti
Quella delle Massonerie deviate, i cui componenti, portatori di interessi
lobbistici e di gruppi economici finanziari, influenzano le scelte politiche
nazionali e locali.
Queste entità spostano l’attenzione, attraverso i media a loro asserviti su
falsi problemi.
Il
Caporalato. Parlano di caporalato, tacendo sullo sfruttamento addirittura del
magistrati onorari, ricercatori universitari, praticanti e portaborse
parlamentari.
L’Usura ed i fallimenti truccati. Parlano di Usura, tacendo su quella bancaria e
quella di Stato e sui fallimenti truccati e sulle aste truccate.
gestiscono in modo approssimativo ed amicale i beni sequestrati e confiscati ai
cosiddetti mafiosi.
Le
mafie in Italia. In questo stato di cose oggi ci troviamo ad avere oltre le
nostre mafie bianche e nere, anche le mafie di importazione: nigeriana, cinese,
albanese, rumena, russa, ecc.
Oggi intanto gli arroganti saccenti col ditino alzato continuano a menarla con
“avversario politico = ignorante-mafioso.
Antonio Giangrande: La liturgia antimafia.
«Da
presidente nazionale di una associazione antimafia è una vergogna non essere
invitati ad alcuna celebrazione istituzionale o scolastica dedicata ai martiri
della mafia: tra cui Falcone e Borsellino. Questo pur essendo il massimo esperto
della materia. Questo perché noi non seguiamo la logica nazionale delle
celebrazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, specialmente fatta da chi
ne ha causato la morte. Perché non ci associamo alla liturgia di questa
antimafia che poi è forse solo propaganda. Si farebbe cosa nobile, invece,
svelare la verità sulla loro morte e disincentivare tutti quei comportamenti
socio mafiosi che inquinano la società italiana. Come si farebbe onore alla
verità svelare chi e come paga l’andabaran di carovane e carovanieri. In
riferimento all’attentato di Brindisi ed a tutte le manifestazioni di
esaltazione di un certo modo di fare antimafia di parte e di facciata, denuncio
l’ipocrisia di qualcuno che suggestiona e manipola la mente dei giovani per
indurli ad adottare comportamenti miranti a promuovere una verità distorta su
chi e come fa antimafia» Questa è la denuncia del Dr Antonio Giangrande,
presidente nazionale de “L’Associazione Contro Tutte le Mafie”. «Brindisi e
Mesagne e l’intero Salento sono diventate tutto d’un tratto terra di mafia e di
mafiosi e per gli effetti sono diventate palco promozionale per carovane e
carovanieri proveniente da ogni dove, da cui noi prendiamo assolutamente le
distanze. Mesagne e Brindisi e tutto il Salento non hanno bisogno di striscioni
in sparute manifestazioni o di omelie religiose per fare ciò che deve essere
fatto: sia in campo istituzionale, sia in campo sociale. Gli studenti, con la
mente vergine ed aperta, non devono essere influenzati da falsi pedagoghi
catto-comunisti, sostenuti da sindacati e movimenti di sinistra, che inducono a
falsi convincimenti di tipo ideologico. La lotta alla mafia è un’altra cosa: è
conoscenza senza censura ed omertà scevra da giudizi preconcetti».
Antonio Giangrande: Cultura e cittadinanza attiva. Diamo voce alla piccola
editoria indipendente.
Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”. Una lettura
alternativa per l’estate, ma anche per tutto l’anno.
L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante,
Inferno XXVI.
La
collana editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”
racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
Antonio Giangrande:
Siracusa. Indagate 17 persone. Coinvolti a vario titolo ci sono magistrati,
giudici, imprenditori, dirigenti pubblici, politici, giornalisti, avvocati,
faccendieri e portaborse.
Antonio Giangrande
sempre dalla parte del torto, perché dalla parte della ragione i posti son tutti
occupati.
Antonio Giangrande:
La vicenda “Siracusa” sarà inserita nel libro periodico: “Italia allo Specchio”.
Il Dna degli Italiani, Anno 2017”. Per l’approfondimento per temi e per
territori si prega di visionare gli altri Titoli della Collana editoriale
“L’Italia del Trucco. L’Italia che siamo” su Amazon.
Franco Oddo:
Antonio Giangrande merita attenzione. Se non ricordo male la data, nel 2010 ho
pubblicato sulla Civetta alcune sue riflessioni sui concorsi nella magistratura,
sui "consigli ai sindaci senza esperienza" per truccare gli appalti, e
qualcos'altro. Sferzante, efficace, coraggioso. E' per questo che, da
giornalista indagato dalla Procura di Messina quale autore, nel 2011/2012,
dell'inchiesta sulla Procura (in 334 pagine di intercettazioni ai politici che
chiacchieravano in un bar, non ce n'è una sola di me che parlo con qualcuno o
viceversa, non c'è riferimento a dazioni di denaro o nomina di consulenti o
assunzione di congiunti) mi piacerebbe sapere in che modo Giangrande intende
trattare la vicenda Siracusa.
Antonio Giangrande:
Come trattare la vicenda Siracusa? Parlarne, approfondirne gli aspetti
sociologici e dare voce a tutti (come Concetto Alota), attraverso le loro
pubblicazioni imparziali e disinteressate, per vedere cosa c’è dietro il
risvolto della medaglia. Verità, attinenza/pertinenza, interesse pubblico. Non
parlare della singola vittima, che nella ragione è tacciata di mitomania o
pazzia e che tende ad essere in ogni discorso, l’ombelico del mondo, ma parlare
dell’oggettivo. I magistrati, dio in terra, nel pretendere ovazione, devono
meritarla. Incutere il sospetto che la venerazione sia immeritata è già di per
sé una notizia indicibile e reprensibile. Parlare di Siracusa è come, già fatto,
parlare di tutte le altre città. Ergo: Siracusa-Italia. E di conseguenza parlare
delle disfunzioni della Giustizia a danno dell’interesse privato
(Ingiustiziopoli) e dell’interesse pubblico (Malagiustiziopoli) con
l’irresponsabilità dei colpevoli (Impunitopoli). Quindi parlarne per cambiare il
sistema impunito ed omertoso. E se lo scrive Antonio Giangrande, allora tutto il
mondo lo leggerà.
Capitano Pustizzi:
"Non parlare della singola vittima, che nella ragione è tacciata di mitomania o
pazzia e che tende ad essere in ogni discorso, l’ombelico del mondo, ma parlare
dell’oggettivo." Questo me la devo scrivere come la più grossa minchiata del
secolo, una minchiatona mai vista.
Antonio Giangrande: A questa minchiatona mai vista ci sono arrivato dopo decenni
di studio. Ed è un dogma incontestabile frutto di una logica deduzione. In
Italia ci sono 5 milioni di vittime conclamate di ingiustizia negli ultimi 50
anni. Ed un numero doppio di altri casi di gente che, se pur innocente, non ha
potuto dimostrarlo. Ognuno di loro, però, guarda solo i cazzi suoi, fottendosene
della disgrazia altrui, pur pretendendo aiuto. E ad aiutarli si rischia di
sprofondare con loro per colpa del loro egoismo. E’ successo a me come avvocato
ed a tanti colleghi che hanno avuto il coraggio di mettersi contro i potenti del
Foro. I clienti li difendi contro tutto e tutti e questi ti lasciano solo.
Aprendo i loro blog invisitati si legge solo di loro e delle loro disavventure
giudiziarie. E dire che molti miei libri parlano di queste vittime e di questo
ne sono assolutamente ignari. Parlare dell’oggettivo, per dimostrare che le
vittime non sono mitomani o pazzi, è uno strumento di persuasione pubblica. Se
si parlasse di minchioni, anziché di minchiate, allora si analizzerebbe il fatto
che se 5 milioni di vittime conclamate votanti, oltre ad altrettante vittime
indimostrate assieme alla loro parentela, votassero per cambiare il sistema
allora sì che non ci sarebbero più minchioni a commentare cose che non sanno e
che vanno al di là del loro comprendonio. Il risultato al netto delle minchiate
secolari è che un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato da
coglioni. Ergo: con tanti minchioni mai nulla cambierà.
Antonio Giangrande: Usurati ed
esecutati. Aste giudiziarie fallimentari. Il marcio sotto il tappeto: chi si
scusa si accusa.
Il business delle Aste giudiziarie fallimentari e della gestione dei beni
confiscati a presunti mafiosi.
L’intervento del dr Antonio Giangrande, presidente della Associazione Contro
Tutte le Mafie.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sono presidente di una associazione Antiracket ed Antiusura, riconosciuta dal
Ministero dell’Interno perché iscritta presso la Prefettura di Taranto
nell’elenco dei sodalizi antimafia, finchè lo permetteranno. La mia peculiarità
è quella di essere presidente di una associazione che non prende soldi da
alcuno, né ha agganci politici o istituzionali. Per tale carica e per la mia
storia sono l’unico destinatario delle lamentele di migliaia di cittadini
usurati ed esecutati da tutta Italia. Accuse tutte uguali: sfiducia nella
giustizia e nelle istituzioni. La mia risposta a costoro è una sola: non
caverete un ragno dal buco.
L’assunto è provato dal mio libro “Usuropoli e Fallimentopoli. Usura e
fallimenti truccati”. Saggio che raccoglie le storie piccole e grandi sparse in
tutta Italia. Storie come quelle di cui si parla in questo periodo al tribunale
di Taranto: Foro chiacchierato per questa e per altre vicende. Ma del
chiacchiericcio si deve tacere, altrimenti capita quello che capita a me:
perseguitato dalla magistratura di Taranto e Potenza perché oso parlarne.
Da tempo mi chiamano i cittadini tarantini per denunciare anomalie nella
gestione delle aste giudiziarie fallimentari e di questi ne ho fatto un gran
fascio, oggetto di prove, veicolati presso uno studio legale che le raccoglie.
Solo in questo periodo è montata la polemica per la presentazione di
interrogazioni parlamentari, che ha permesso di parlare pubblicamente del
fenomeno senza ritorsioni e stranamente si è parata un’alzata di scudi a spada
tratta da parte delle corporazioni coinvolte: Excusatio non petita, accusatio
manifesta, ossia, chi si scusa si accusa.
Ma provare a chi? Ai magistrati?
Un fallimento? In Italia può durare anche mezzo secolo !!! Quarantasei anni: a
tanto ammonta la durata della procedura fallimentare di un’azienda di Taranto.
Lo racconta Sergio Rizzo nella “Cricca”, un saggio Rizzoli dedicato alle
lentezze e ai mille conflitti d’interesse del nostro Paese. Leggiamone un
estratto. A Berlino la costruzione del Muro procedeva a ritmi serrati. Papa
Giovanni XXIII aveva scomunicato il comunista Fidel Castro e la Francia
riconosceva l’indipendenza dell’Algeria. In Italia Aldo Moro apriva la stagione
del centrosinistra, Enrico Mattei regnava sull’Eni, Antonio Segni entrava al
Quirinale. E mentre per la prima volta, dopo 400 anni, le orbite di Nettuno e
Plutone si allineavano e gli Stati Uniti mandavano il loro primo uomo in orbita
intorno alla Terra, in quel 1962 falliva a Taranto la ditta del signor Otello
Semeraro. Non meritò nemmeno due righe in cronaca la notizia che al tribunale
del capoluogo pugliese stava per cominciare una delle procedure fallimentari più
lunghe della storia della Repubblica. Quarantasei anni. Nel 2008 il tribunale di
Taranto ha approvato il rendiconto finale del fallimento Semeraro, con un
verbale condito da particolari burocraticamente esilaranti. «Avanti
l’Illustrissimo Signor Giudice Delegato Pietro Genoviva assistito dal
cancelliere è personalmente comparso il curatore Michele Grippa il quale fa
presente che tutti i creditori ed il fallito sono stati avvisati mediante
raccomandata con avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del conto di
cancelleria.» Nonostante ciò il giudice «dà atto che all’udienza né il fallito
né alcun creditore è comparso». Sulle ragioni dell’assenza dei creditori non ci
sono informazioni certe. Invece il signor Semeraro, pur volendo, difficilmente
si sarebbe potuto presentare. Fitto è il mistero dell’indirizzo al quale gli
sarebbe stata recapitata la raccomandata, con tanto di ricevuta di ritorno:
perché egli, purtroppo, non è più tra i vivi. Come il tribunale di Taranto non
poteva non sapere, avendo accertato, nel rendiconto del fallimento, un
versamento di 10.263 euro «a favore della vedova di O. Semeraro». Quarantasei
anni. Una lentezza inaccettabile per qualunque procedimento. Figuriamoci per un
fallimento che ha fatto recuperare in tutto 188.314 euro, ai valori di oggi. Con
la doverosa precisazione che un terzo abbondante se n’è andato in spese: 70.000
euro, di cui 50.398 soltanto per gli avvocati. Nei tribunali mancano i
cancellieri, è vero. Nemmeno i giudici sono così numerosi. Poi la burocrazia, le
procedure...Sulla scia del fenomeno denunciato è scandaloso quanto succede a
Taranto. L’avv. Patrizio Giangrande, fratello del presidente Antonio Giangrande,
e l’avv. Giancarlo De Valerio vincono la causa contro Equitalia Spa per
risarcimento danni, sulla base di ipoteche su immobili emesse da detta società
senza alcun avviso e per importi milionari attinenti presunti crediti, risultati
inesistenti. Il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento di svariate migliaia
di euro liquidati in via equitativa. La cosa scandalosa è che, purtroppo, sono
migliaia i casi in cui avvengono invii di cartelle talvolta recanti debiti anche
estinti e con scadenze decennali. Il sistema permette al Fisco di effettuare
sequestri di immobili o fermo amministrativo di auto, senza aver verificato,
come nel caso di causa, la effettiva esistenza debitoria applicando interessi e
spese che spesso superano l’importo del debito stesso, stranamente somme non
calcolate come usuraie. Allucinante è il fatto che gli avvocati, in virtù della
sentenza di condanna, recatisi unitamente all’ufficiale giudiziario per rendere
ad Equitalia il torto subito ed eseguire il pignoramento presso la loro sede a
Taranto, gli è stato comunicato dalla stessa Equitalia spa che non intende
pagare, ritenendo i beni e i fondi insequestrabili. Pazzesco è che solo il
Quotidiano di Puglia, alla pagina interna su Manduria, a firma di Gianluca
Ceresio, si è occupato della vicenda che interessa tutti i cittadini, non solo
tarantini, per la disparità di trattamento dei diritti lesi.
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06628. Pubblicato il 9 novembre
2016, nella seduta n. 719: “…le denunce che giungono presso il Tribunale e la
Procura potentina sarebbero destinate all'insabbiamento ed all'archiviazione,
così come era stato evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo 4-06370”. Aste,
stop alle accuse: “rispettate tutte le leggi”, scrive Campicelli su “Il
Quotidiano di Puglia”. Il presidente del Tribunale di Taranto Francesco Lucafò
respinge con fermezza qualsiasi insinuazione su “condotte non lineari”
nell’esercizio delle funzioni svolte dai magistrati tarantini impegnati sul
fronte delle esecuzioni immobiliari e delle aste giudiziarie: «La legge è chiara
e le procedure si rispettano fino in fondo».
Già perché nei tribunali si rispettano le leggi? A questa domanda risponde un ex
magistrato antimafia.
Ingroia: «Il tribunale di Roma ignora il lavoro dei pm nisseni». L’ex pm aveva
chiesto che l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara venisse ascoltato come teste
assistito nel processo sul riciclaggio del tesoro di Ciancimino, scrive il 2
novembre 2015 "Il Corriere del Mezzogiorno". «Sono rimasto sorpreso della
decisione del tribunale di Roma di non acquisire gli atti dell’inchiesta della
procura di Caltanissetta e del Consiglio Superiore della Magistratura sull’ex
presidente della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana
Saguto, e di non ascoltare l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara nella veste di
teste assistito. Una decisione che trovo assolutamente incomprensibile e che
rende purtroppo più difficile la ricerca della verità». Lo dichiara l’avvocato
Antonio Ingroia, difensore di Raffaele Valente e del rumeno Victor Dombrovschi.
«Il collegio - aggiunge Ingroia - ha totalmente ignorato le evidenti connessioni
probatorie esistenti tra il processo di Roma e l’inchiesta di Caltanissetta, che
vede indagati l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara e la giudice Silvana Saguto
per fatti gravissimi all’esame del Csm e su cui si è pronunciato in modo netto
anche il ministro della Giustizia Orlando. Nel procedimento romano, infatti,
risultava che Cappellano Seminara era stato nominato dalla Saguto amministratore
giudiziario dei beni sequestrati, e sequestrati proprio grazie alle informative
di Cappellano Seminara: come si può negare che ci sia una connessione con quanto
emerso nelle ultime settimane a Palermo? La logica suggerisce di sì e invece il
tribunale ha deciso di ignorare il lavoro dei pm nisseni. Evidentemente -
conclude Ingroia - meglio non sentire, non vedere, non sapere. Ma non è così che
si accerta la verità e si fa giustizia».
Ma provare a chi? Agli ispettori ministeriali?
Se, come è stato evidenziato nell’interrogazione parlamentare, tutto è stato
insabbiato a Potenza, come può desumersi fonte di prova un atto che non si trova
o che sia già valutato negativamente dal sistema giudiziario? E comunque, il
Ministero della Giustizia, (andando contro corrente, anche in virtù delle
risultanze di una certosina ispezione senza condizionamenti ambientali, da cui
risultasse un sistema criminale collusivo non certificato dai magistrati),
promuovesse un’azione disciplinare nei confronti dei responsabili, quale
risultato ne conseguirebbe, se non un esito scontato?
PUNTATA DEL 29/11/2015. LA GIUSTA CAUSA di Claudia Di Pasquale
CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO:…ma un procedimento disciplinare del CSM a
carico di un magistrato può durare fino a 5 anni.
CLAUDIA DI PASQUALE: Ogni anno quanti procedimenti vengono invece archiviati?
PASQUALE CICCOLO - PROCURATORE GENERALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE: La media è
il 94% circa.
CLAUDIA DI PASQUALE: Che cosa?
PASQUALE CICCOLO - PROCURATORE GENERALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE: Delle
archiviazioni sul numero degli esposti. Noi facciamo azione disciplinare sul 7%
degli esposti.
FRANCANTONIO GRANERO - EX PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI SAVONA: Quando un
magistrato prende uno svarione nessuno gli fa un procedimento disciplinare.
Ma provare a chi? Ai Prefetti in funzione antiusura ed antiracket?
Nella migliore delle ipotesi, da rappresentanti istituzionali e governativi, ti
impediscono di parlare di usura bancaria e di aste truccate, come di
malagiustizia in generale; nella peggiore delle ipotesi si parla di Prefetti
arrestati o condannati, come Ennio Blasco per corruzione in relazione alle
certificazioni antimafia rilasciate, o Carlo Ferrigno per usura e sesso in
cambio di aiuto o agevolazioni.
Ma provare a chi? Agli avvocati?
Avvocati? A trovarne uno meritevole di tale appellativo è un’impresa. E se lo
trovi te lo tieni stretto, pur essendo sempre un avvocato, coi i suoi difetti e
con i suoi pregi. Il fascio di prove sono in mano ad un avvocato coraggioso di
Massafra, che per ripicca è isolato ed accusato di Stalking giudiziario. Per
altro gli avvocati di Taranto hanno preso una netta posizione.
I presunti brogli nella gestione dei fallimenti. «Infangata la Giustizia per
scopi elettorali», Il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vincenzo Di Maggio,
attacca il M5S: “preferisce il sensazionalismo all’impegno per risolvere i
problemi”, scrive Enzo Ferrari su "Taranto Buona Sera” il 16 novembre 2016.
«Fallimenti ed esecuzioni, le procedure sono corrette». Documento delle Camere
delle Procedure Esecutive e delle Procedure Concorsuali, scrive "Taranto Buona
Sera” il 10 novembre 2016. In un documento congiunto, i rispettivi presidenti,
gli avvocati Fedele Moretti e Cosimo Buonfrate, fanno chiarezza a tutela della
onorabilità dei professionisti impegnati come curatori e custodi giudiziari ed
esprimendo piena fiducia nell’operato dei magistrati.
Ma provare a chi? Ai commercialisti?
Vicenda Aste pilotate, i commercialisti: fiducia nei magistrati, scrive Marcella
D'Addato il 15 novembre 2016 su "Canale 189”.
Ma provare a chi? Ai politici parlamentari?
I due parlamentari di Taranto (avvocati) scrivono al ministro per difendere la
sezione fallimentare del tribunale. Chiarelli e Pelillo evidenziano quelle che
ritengono le estraneità assolute con fatti riguardanti la malavita e attaccano i
parlamentari M5S che chiedono di chiarire presunte anomalie, scrive il 16
novembre 2016 “Noi Notizie”.
La polemica. Abusi nella gestione dei fallimenti, bufera sul Movimento 5 Stelle.
Pelillo e Chiarelli scrivono al ministro Orlando e attaccano i senatori
pentastellati, scrive "Taranto Buona Sera” il 16 novembre 2016. Diventa un caso
politico la polemica sollevata da un gruppo di senatori del M5S su presunti
abusi nella gestione dei fallimenti al Tribunale di Taranto. La reazione
parlamentare all’interrogazione dei Cinquestelle arriva in modalità bipartisan
con una lettera congiunta degli onorevoli Michele Pelillo (Pd) e Gianfranco
Chiarelli (CoR) indirizzata al ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Una
lettera nella quale, oltre a esprimere incondizionata fiducia agli operatori
della giustizia, i due deputati accusano i senatori del M5S di aver voluto
strumentalizzare politicamente situazioni che neppure conoscono.
Ma provare a chi? All’antipolitica parlamentare?
Aste Immobiliari del Tribunale di Taranto, il Meetup amici di Beppe grillo di
Massafra risponde, scrive "Vivi Massafra” il 16 Novembre 2016. «Ma quali fini
elettoralistici… il movimento 5 stelle non ne ha bisogno, cammina sulle sue
gambe, anzi corre, e meno male che c’è!" Meetup Amici di Beppe Grillo Massafra».
Da sapere che i 12 senatori della prima interrogazione che ha innescato la
polemica ed i 15 senatori della seconda interrogazione sono quei parlamentari
che hanno votato contro la responsabilità civile dei magistrati. Ergo: per la
loro assoluta impunità ed irresponsabilità! Inoltre è risaputo il fenomeno dei
concorsi pubblici farsa o truccati. Allora perché non chiedere ai rappresentanti
delle categorie interessate pronti ad aprir bocca, come loro sono stati
abilitati?
Ma provare a chi? Al regime omologato dell’informazione, che ha anch’essa
assoluta fiducia nella magistratura?
Da premettere che ricevo segnalazioni di inchieste a carico di magistrati ed
avvocati delle quali nessuno ha mai saputo nullo, compreso l’inchiesta sul
bilancio del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto. Ma è esemplare
come la vicenda delle aste giudiziarie fallimentari a Taranto con conseguente
interrogazione parlamentare e ispezione ministeriale a gennaio 2017, sia rimasta
censurata sulla stampa nazionale e locale, salvo casi eccezionali. Nella cerchia
nell’eccezionalità, nella maggioranza dei casi, però, deformando la realtà. Si
pensi che il video della intercettazione privata ambientale in cui si dimostra
la concussione di un delegato giudiziario è stato pubblicato da un giornale non
tarantino, non pugliese, ma da un giornale lucano. E comunque nessuno ha avuto
il coraggio di fare il nome dell’avvocato coinvolto a chiedere la presunta
tangente.
Su come sono stati trattati i fatti vi è un esempio lampante: “Caso aste
giudiziarie a Taranto, un'inchiesta per fare chiarezza. La procura farà
chiarezza sulle denunce arrivate dagli agricoltori”. Servizio di Francesco
Persiani del 9/11/2016 su TeleNorba. Breve intervista a Paolo Rubino, Tavolo
Verde agricoltori: «Non possiamo che registrare una grande sfiducia nelle
istituzioni. In questo caso della Magistratura». Il resto dell'intervista
dedicata all'Avv. Fedele Moretti, Presidente Camera Procedure ed Esecuzioni
Immobiliari. «La Procura indagherà, partendo dai servizi giornalistici di questi
giorni, ritenute possibili notizie di reato e per questo acquisiti dall’autorità
giudiziaria su disposizione del procuratore capo presso il Tribunale di Taranto
Carlo Maria Capristo», chiosa Persiani.
Servizi giornalistici? Lo studio legale che ha il fascio di prove sulle aste di
Taranto è tenuta ben lontana dagli autori dei servizi giornalistici mai nati.
Perché? Perché i giornalisti son di sinistra e son amici dei magistrati. Ecco a
voi una vera e propria perla andata in onda su Rainews24: durante la notte delle
elezioni americane, Giovanna Botteri si è lasciata andare alla disperazione:
«Che ne sarà di noi giornalisti se non riusciamo più a influenzare l’opinione
pubblica?» Parole testuali: «Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai
vista come in queste elezioni una stampa così compatta ed unita contro un
candidato… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella
società americana? Le cose che sono state scritte, le cose che sono state dette
evidentemente non hanno influito su questo risultato e sull’elettorato che ha
creduto a Trump e non alla stampa!». Forse è per questo che la gente non si fida
più di voi? Forse è per questo che non vendete più giornali? Forse è per questo
che dovete andarvene tutti a casa?
Ma i giornalisti sono troppo di sinistra? Si chiedono Luigi Curini e Sergio
Splendore di Lavoce.info il 20 ottobre 2016 su "Il Fatto Quotidiano". I
giornalisti italiani si collocano politicamente più a sinistra dei cittadini. Ne
consegue una scarsa fiducia dei lettori nella carta stampata. Perché i giornali
non reagiscono? Perché a leggerli e comprarli sono coloro che hanno una
posizione ideologica in media più vicina a chi li scrive. Il difficile rapporto
tra italiani e stampa. Stando ai sondaggi periodicamente effettuati da
Eurobarometro, i cittadini italiani hanno poca fiducia nella carta stampata.
Sostanzialmente più di un italiano su due esprime un giudizio negativo a
riguardo: negli ultimi quindici anni la media del livello di fiducia verso la
stampa è stata complessivamente del 43 per cento, quattro punti in meno del dato
europeo nello stesso periodo. Le spiegazioni più ricorrenti riconducono la
sfiducia al modello di giornalismo italiano contraddistinto da una propensione
al commento, da un alto livello di parallelismo politico e da una stampa che
storicamente si è indirizzata a una élite, producendo, come conseguenza, bassi
livelli di lettura. In questo quadro, il rapporto tra giornalisti e cittadini
rimane tuttavia in secondo piano.
Tra gli omologati spicca la figura dell’eccezione. «Cane non morde cane. Le
certezze del sistema e i dubbi dei cittadini. Sul caso delle aste pilotate al
tribunale di Taranto e delle facili archiviazioni alla Procura di Potenza levata
di scudi contro i Cinque Stelle e la nostra inchiesta. A quando la verità? -
Scrive Michele Finizio su "Basilicata 24", mercoledì 16/11/2016. - Può darsi che
quanto raccontato negli esposti dei cittadini vittime delle “presunte”
irregolarità sia tutto falso, Oppure tutto vero. Basta fare qualche verifica.
Eppure, a quanto pare, tutti i signori della giustizia, della politica, delle
professioni, della stampa, non hanno dubbi: “Tutto regolare”. Vorremmo toglierci
il dubbio anche noi, per questo il nostro lavoro di inchiesta sulla vicenda,
continua. A presto rivederci».
Ma provare a chi? Agli usurati esecutati?
Le vittime, accusate di mitomania o pazzia, anziché fare un fascio di prove
aggregandosi tra loro, anche per rompere il velo di omertà e censura, pensano
bene di smarcarsi e fare guerra a sé per salvare il proprio orticello.
La conclusione di questo mio intervento, quindi, è che ogni vittima di
qualsivoglia ingiustizia non caverà mai un ragno dal buco perché per gli altri
sarà sempre “Tutto Regolare”, mentre per quanto riguarda se stessi: chi è causa
del suo mal, pianga se stesso.
E comunque, dopo quanto ho scritto, non mi si chieda perché il mio sodalizio si
chiama Associazione Contro Tutte le Mafie. Il perché dovrebbe essere chiaro…
Antonio Giangrande: FALLIMENTI TRUCCATI.
IL MARCIO DOVE NON TE LO ASPETTI: NEI TRIBUNALI E NELLO SPORT.
Beni confiscati alla mafia in modo strumentale e fallimenti truccati.
Chi controlla i controllori? Dal caso Cavallotti ai casi di Danilo Filippini e
di Sergio Briganti.
Venerdì 24 ottobre 2014 si tiene a Taranto la conferenza prefettizia tra il
Prefetto, Umberto Guidato, il dirigente dell’Ufficio Ordine e Sicurezza
Pubblica, sostituito dal capo di Gabinetto, Michele Lastella e le associazioni
antimafia operanti sul territorio della provincia di Taranto. In quell’occasione
è intervenuto il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro
Tutte le Mafie”, oltre che scrittore e sociologo storico, che da venti anni
studia il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste
indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale
"L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi
sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai
magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare
su Amazon.it, Lulu.com. CreateSapce.com e Google Libri.
Il dr Antonio Giangrande ebbe ad affermare che nuovi fenomeni si affacciavano
nel mondo dell’illegalità: l’usura di Stato con Equitalia, l’usura bancaria e,
per la crisi imperante, l’usura pretestuosa, ossia la denuncia di usura per non
pagare i fornitori.
Il prefetto ed il suo vice, in qualità di rappresentanti burocratici del sistema
statale prontamente hanno contestato l’esistenza dell’illegalità para statale e
para bancaria, mettendo in dubbio l’esistenza di indagini giudiziarie che hanno
svelato il fenomeno.
Eppure La corruzione passa per il tribunale. Tra mazzette, favori e regali. Nei
palazzi di giustizia cresce un nuovo fenomeno criminale. Che vede protagonisti
magistrati e avvocati. C'è chi aggiusta sentenze in cambio di denaro, chi vende
informazioni segrete e chi rallenta le udienze. Il Pm di Roma: Un fenomeno
odioso, scrive Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso”. A Napoli, dove il caos è
dannazione di molti e opportunità per gli scaltri, il tariffario lo conoscevano
tutti: se un imputato voleva comprarsi il rinvio della sua udienza doveva
sganciare non meno di 1.500 euro. Per “un ritardo” nella trasmissione di atti
importanti, invece, i cancellieri e gli avvocati loro complici ne chiedevano
molti di più, circa 15mila. «Prezzi trattabili, dottò...», rabbonivano i clienti
al telefono. Soldi, mazzette, trattative: a leggere le intercettazioni
dell’inchiesta sul “mercato delle prescrizioni” su cui ha lavorato la procura di
Napoli, il Tribunale e la Corte d’Appello partenopea sembrano un suk, con
pregiudicati e funzionari impegnati a mercanteggiare sconti che nemmeno al
discount. Quello campano non è un caso isolato. Se a Bari un sorvegliato
speciale per riavere la patente poteva pagare un magistrato con aragoste e
champagne, oggi in Calabria sono tre i giudici antimafia accusati di corruzione
per legami con le ’ndrine più feroci. Alla Fallimentare di Roma un gruppo
formato da giudici e commercialisti ha preferito arricchirsi facendo da
parassita sulle aziende in difficoltà. Gli imprenditori disposti a pagare
tangenti hanno scampato il crac grazie a sentenze pilotate; gli altri, che
fallissero pure. Ma negli ultimi tempi magistrati compiacenti e avvocati senza
scrupoli sono stati beccati anche nei Tar, dove in stanze anonime si decidono
controversie milionarie, o tra i giudici di pace. I casi di cronaca sono
centinaia, in aumento esponenziale, tanto che gli esperti cominciano a parlare
di un nuovo settore illegale in forte espansione: la criminalità del
giudiziario. «Ciò che può costituire reato per i magistrati non è la corruzione
per denaro: di casi in cinquant’anni di esperienza ne ho visti tanti che si
contano sulle dita di una sola mano. Il vero pericolo è un lento esaurimento
interno delle coscienze, una crescente pigrizia morale», scriveva nel 1935 il
giurista Piero Calamandrei nel suo “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”.
A ottant’anni dalla pubblicazione del pamphlet, però, la situazione sembra assai
peggiorata. La diffusione della corruzione nella pubblica amministrazione ha
contagiato anche le aule di giustizia che, da luoghi deputati alla ricerca della
verità e alla lotta contro il crimine sono diventati anche occasione per
business illegali. Nello Rossi, procuratore aggiunto a Roma, prova a definire
caratteristiche e contorni al fenomeno: «La criminalità del giudiziario è un
segmento particolare della criminalità dei colletti bianchi. Una realtà tanto
più odiosa perché giudici, cancellieri, funzionari e agenti di polizia
giudiziaria mercificano il potere che gli dà la legge». Se la corruzione è uno
dei reati più diffusi e la figura del giudice comprato è quella che desta più
scandalo nell’opinione pubblica, il pm che ha indagato sulla bancarotta Alitalia
e sullo Ior ricorda come tutti possono cadere in tentazione, e che nel gran
bazar della giurisdizione si può vendere non solo una sentenza, ma molti altri
articoli di enorme valore. «Come un’informazione segreta che può trasformare
l’iter di un procedimento, un ritardo che avvicina la prescrizione, uno stop a
un passaggio procedurale, fino alla sparizione di carte compromettenti». Numeri
ufficiali sul fenomeno non esistono. Per quanto riguarda i magistrati, le
statistiche della Sezione disciplinare del Csm non fotografano i procedimenti
penali ma la più ampia sfera degli illeciti disciplinari. Nell’ultimo decennio,
comunque, non sembra che lo spirito di casta sia prevalso come un tempo: se nel
2004 le assoluzioni erano quasi doppie rispetto alle condanne (46 a 24) ora il
trend si è invertito, e nei primi dieci mesi del 2012 i giudici condannati sono
stati ben 36, gli assolti 27. «Inoltre, se si confrontano queste statistiche con
quelle degli altri Paesi europei redatte dalla Cepej - la Commissione europea
per l’efficacia della giustizia - sulla base dei dati del 2010», ragiona in un
saggio Ernesto Lupo, fino al 2013 primo presidente della Cassazione, «si scopre
che a fronte di una media statistica europea di 0,4 condanne ogni cento giudici,
il dato italiano è di 0,6». Su trentasei Paesi analizzati dalla Commissione,
rispetto all’Italia solo in cinque nazioni si contano più procedimenti contro i
magistrati. Chi vuole arricchirsi illegalmente sfruttando il settore giudiziario
ha mille modi per farlo. Il metodo classico è quello di aggiustare sentenze
(come insegnano i casi scuola delle “Toghe Sporche” di Imi-Sir e quello del
giudice Vittorio Metta, corrotto da Cesare Previti affinché girasse al gruppo
Berlusconi la Mondadori), ma spulciando le carte delle ultime indagini è la
fantasia a farla da padrona. L’anno scorso la Procura di Roma ha fatto arrestare
un gruppo, capeggiato da due avvocati, che ha realizzato una frode all’Inps da
22 milioni di euro: usando nomi di centinaia di ignari pensionati (qualcuno era
morto da un pezzo) hanno mitragliato di cause l’istituto per ottenere
l’adeguamento delle pensioni. Dopo aver preso i soldi la frode continuava agli
sportelli del ministero della Giustizia, dove gli avvocati chiedevano, novelli
Totò e Peppino, il rimborso causato delle «lungaggini» dei finti processi. Un
avvocato e un giudice di Taranto, presidente di sezione del tribunale civile
della città dei Due Mari, sono stati invece arrestati per aver chiesto a un
benzinaio una tangente di 8mila euro per combinare un processo che il titolare
della pompa aveva con una compagnia petrolifera. Se a Imperia un magistrato ha
aiutato un pregiudicato a evitare la “sorveglianza speciale” dietro lauto
compenso, due mesi fa un giudice di pace di Udine, Pietro Volpe, è stato messo
ai domiciliari perché (insieme a un ex sottufficiale della Finanza e un
avvocato) firmava falsi decreti di dissequestro in favore di furgoni con targa
ucraina bloccati dalla polizia mentre trasportavano merce illegale sulla
Venezia-Trieste. Il giro d’affari dei viaggi abusivi protetti dal giudice era di
oltre 10 milioni di euro al mese. Raffaele Cantone, da pochi giorni nominato da
Matteo Renzi presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, evidenzia come
l’aumento dei crimini nei palazzi della legge può essere spiegato, in primis,
«dall’enorme numero di processi che si fanno in Italia: una giustizia dei grandi
numeri comporta, inevitabilmente, meno trasparenza, più opacità e maggiore
difficoltà di controllo». I dati snocciolati tre mesi fa dal presidente della
Cassazione Giorgio Santacroce mostrano che le liti penali giacenti sono ancora
3,2 milioni, mentre le cause civili arretrate (calate del 4 per cento rispetto a
un anno fa) superano la cifra-monstre di 5,2 milioni. «Anche la farraginosità
delle procedure può incoraggiare i malintenzionati» aggiunge Rossi. «Per non
parlare del senso di impunità dovuto a leggi che - sulla corruzione come
sull’evasione fiscale - sono meno severe rispetto a Paesi come Germania,
Inghilterra e Stati Uniti: difficile che, alla fine dei processi, giudici e
avvocati condannati scontino la pena in carcere». Tutto si muove attorno ai
soldi. E di denaro, nei tribunali italiani, ne gira sempre di più. «Noi giudici
della sezione Grandi Cause siamo un piccolo, solitario, malfermo scoglio sul
quale piombano da tutte le parti ondate immense, spaventose, vere schiumose
montagne. E cioè interessi implacabili, ricchezze sterminate, uomini tremendi...
insomma forze veramente selvagge il cui urto, poveri noi meschini, è qualcosa di
selvaggio, di affascinante, di feroce. Io vorrei vedere il signor ministro al
nostro posto!», si difendeva Glauco Mauri mentre impersonava uno dei giudici
protagonisti di “Corruzione a palazzo di giustizia”, pièce teatrale scritta dal
magistrato Ugo Betti settant’anni fa. Da allora l’importanza delle toghe nella
nostra vita è cresciuta a dismisura. «Tutto, oggi, rischia di avere strascichi
giudiziari: un appalto, un concorso, una concessione, sono milioni ogni anno i
contenziosi che finiscono davanti a un giudice», ragiona Rossi. I mafiosi nelle
maglie larghe ne approfittano appena possono, e in qualche caso sono riusciti a
comprare - pagando persino in prostitute - giudici compiacenti. In Calabria il
gip di Palmi Giancarlo Giusti è stato arrestato dalla Dda di Milano per
corruzione aggravata dalle finalità mafiose («Io dovevo fare il mafioso, non il
giudice!», dice ironico Giusti al boss Giulio Lampada senza sapere di essere
intercettato), mentre accuse simili hanno distrutto le carriere del pm Vincenzo
Giglio e del finanziere Luigi Mongelli. A gennaio la procura di Catanzaro ha
indagato un simbolo calabrese dell’antimafia, l’ex sostituto procuratore di
Reggio Calabria Francesco Mollace, che avrebbe “aiutato” la potente ’ndrina dei
Lo Giudice attraverso presunte omissioni nelle sue indagini. Sorprende che in
quasi tutte le grandi istruttorie degli ultimi anni insieme a politici e
faccendieri siano spesso spuntati nomi di funzionari di giustizia e poliziotti.
Nell’inchiesta sulla cricca del G8 finirono triturati consiglieri della Corte
dei Conti, presidenti di Tar e pm di fama (il procuratore romano Achille Toro ha
patteggiato otto mesi), mentre nell’inchiesta P3 si scoprì che erano molti i
togati in contatto con l’organizzazione creata da Pasquale Lombardi e Flavio
Carboni per aggiustare processi. Anche il lobbista Luigi Bisignani, insieme al
magistrato Alfonso Papa, aveva intuito gli enormi vantaggi che potevano venire
dal commercio di informazioni segrete: la P4, oltre che di nomine nella pubblica
amministrazione, secondo il pubblico ministero Henry Woodcock aveva la sua
ragion d’essere proprio nell’«illecita acquisizione di notizie e di
informazioni» di processi penali in corso. Secondo Cantone «nel settore
giudiziario, e in particolare nei Tar e nella Fallimentare, si determinano
vicende che dal punto di vista economico sono rilevantissime: che ci siano
episodi di corruzione, davanti a una massa così ingente di denaro, è quasi
fisiologico». I casi, in proporzione, sono ancora pochi, ma l’allarme c’è. Se i
Tar di mezza Italia sono stati travolti da scandali di ogni tipo (al Tar Lazio è
finito nei guai il giudice Franco Maria Bernardi; nelle Marche il presidente
Luigi Passanisi è stato condannato in primo grado per aver accettato la promessa
di ricevere 200 mila euro per favorire l’imprenditore Amedeo Matacena, mentre a
Torino è stato aperto un procedimento per corruzione contro l’ex presidente del
Tar Piemonte Franco Bianchi), una delle vicende più emblematiche è quella della
Fallimentare di Roma. «Lì non ci sono solo spartizioni di denaro, ma anche
viaggi e regali: di tutto di più. Una nomina a commissario giudiziale vale 150
mila euro, pagati al magistrato dal professionista incaricato. Tutti sanno
tutto, ma nessuno fa niente», ha attaccato i colleghi il giudice Chiara
Schettini, considerata dai pm di Perugia il dominus della cricca che
mercanteggiava le sentenze del Tribunale della Capitale. Dinamiche simili anche
a Bari, dove l’inchiesta “Gibbanza” ha messo nel mirino la sezione Fallimentare
della città mandando a processo una quarantina tra giudici, commercialisti,
avvocati e cancellieri. «Non bisogna stupirsi: il nostro sistema giudiziario
soffre degli stessi problemi di cui soffre la pubblica amministrazione», spiega
Daniela Marchesi, esperta di corruzione e collaboratrice della “Voce.info”.
Episodi endemici, in pratica, visto che anche Eurostat segnala che il 97 per
cento degli italiani considera la corruzione un fenomeno “dilagante” nel Paese.
«Mai visto una città così corrotta», protesta uno dei magistrati protagonisti
del dramma di Betti davanti all’ispettore mandato dal ministro: «Il delitto dei
giudici, in conclusione, sarebbe quello di assomigliare un pochino ai
cittadini!». Come dargli torto?
A conferma di ciò mi sono imbattuto nel servizio di TeleJato di Partinico (Pa)
del 21 ottobre 2014 che al minuto 31,32 il direttore Pino Maniaci spiega: «Ci
occupiamo ancora una volta di beni sequestrati. Questa mattina una audizione al
Consiglio Superiore della Magistratura, scusate in Commissione Nazionale
Antimafia, alla presenza della Bindi, alcuni procuratori aggiunti e pubblici
ministeri di Palermo stanno parlando di Italgas. Quelli di Italgas è tutto un
satellite ed una miriade di altre società che ci girano intorno, dove dovranno
spiegare come mai le misure di prevenzione di Palermo hanno deciso di mettere
sotto amministrazione giudiziaria questa società a livello nazionale. Sapete
perché? Perché un certo Modica De Mohac, già il nome è quanto dire, altosonante,
ha venduto, mentre le società erano sottosequestro. Dovevano essere
semplicemente essere amministrate e per legge non toccate. E per legge in un
anno si deve redimere se quel bene va confiscato definitivamente o restituito ai
legittimi proprietari. I Cavallotti di Belmonte Mezzagno, assolti con formula
piena dall’accusa di mafia, da ben 16 anni hanno i beni sottoposti a sequestro.
16 anni!! Dottoressa Saguto, 16 anni!!! Il Tribunale può violare la legge? In
questo caso, sì. E che cosa è successo? Le imprese, le ditte, i paesi che sono
stati metanizzati dai Cavallotti, da Modica De Mohac, naturalmente sotto la
giurisdizione delle misure di prevenzione della dottoressa Saguto, ha venduto
questa metanizzazione, ha venduto queste società all’Italgas. E lì, dopo si è
scoperto, che essendoci le società dei Cavallotti, guarda caso l’Italgas è
infiltrata mafiosa. E cosa si fa? Si sequestra l’Italgas! Sono quei paradossi
tutti nostri. Tutti siculi. Dove, sinceramente, chi amministra la giustizia, che
commette queste illegalità la fa sempre da padrone e la fa sempre franca. Ma è
possibile? In Sicilia sì!! Vediamo i particolari nel servizio. “Italgas alcuni
mesi fa è stata sequestrata e messa sotto tutela, cioè affidata alle cure di
amministratori giudiziari ed ispettori che entro 6 mesi dovrebbero verificare se
nell’azienda ci sono o ci sono stati infiltrazioni mafiose. La Guardia di
Finanza, non si sa se ispirata dal giudice che si occupa dell’ufficio di misure
di prevenzione (sapete chi è? La solita dottoressa Saguto, ha trovato che alcuni
pezzi di attività delle società erano stati rilevati presso le aziende
Cavallotti di Belmonte Mezzagno che si occupavano di metanizzazione. Ma da qui
16 anni sono sotto sequestro. L’operazione di trasferimento degli impianti di
metano dei vari comuni venduti in parte all’Italgas per un importo di 20 milioni
di euro ed un’altra parte prima alla Coses srl, azienda posta sotto sequestro,
amministrata dal Modica, tramite una partita di giro contabile avvenuto nel 2007
per un importo di 2 milioni di euro. Poi gli stessi impianti, dopo essere stati
in possesso della Coses srl vengono rivenduti sempre alla Italgas per un importo
di 5 milioni di euro. E dopo aver incassato la somma, la stessa Comest Srl,
amministrata sempre dal Modica, provvede a trasferire i ricavati della vendita
degli impianti di metano nelle società riconducibili ad esso stesso ed ai suoi
familiari. Questa manovra è avvenuta semplice al Modica, in quanto alla Comest
srl era ed è confiscata e definitivamente passata al demanio. Il Prefetto
Caruso, quando era direttore dell’amministrazione dei beni sequestrati e
confiscati, accortosi delle malefatte del Modica De Mohac, ha provveduto a
sollevare il Modica da tutti i suoi incarichi per poi affidarli ad altri
amministratori del tribunale di Palermo. E’ chiaro che l’operazione di vendita,
come prescrive la legge, deve essere fatta con il consenso del giudice che ha
nominato l’amministratore stesso e quindi la solita dottoressa Saguto dovrebbe
essere al corrente di quanto oggi la Commissione Antimafia vorrebbe sapere,
avendo convocato il procuratore aggiunto di Palermo Dino Petralia, il Pubblico
Ministero Dario Scaletta ed il pubblico ministero Maurizio De Lucia. Non è
chiaro quanto c’entrano i magistrati in tutto questo e perché non ha interrogato
il magistrato che invece c’entra. In Italia funziona proprio così. Per
complicare quest’indagine è stata associata un’altra indagine che non c’entra
con i fratelli Cavallotti e che riguarda una serie di aziende a suo tempo del
tutto concorrenziali con quelle degli stessi Cavallotti e che facevano capo a
Ciancimino, al suo collaboratore prof. Lapis ed ad un altro suo socio. Le
notizie trasmesse dalla stampa lasciano credere invece che le aziende dei
Cavallotti sono ed agiscono assieme a quelle di Ciancimino e che l’infiltrazione
mafiosa che riguarda due cose diverse sia invece la medesima cosa. Staremo a
vedere se passati 6 mesi di controllo e l’Italgas potrà tornare a distribuire il
suo gas senza pagare di tasca sua il solito amministratore giudiziario e se
l’attività persecutoria che si accanisce sui fratelli Cavallotti, assolti,
ricordiamo, in via definitiva ma sempre sotto il mirino della solita dottoressa
Saguto, possa continuare all’infinito per tutta la settima generazione. Per
quanto riguarda l’audizione del giudice Scaletta, egli ha avuto in mano le
indagini che riguardavano la discarica di Clin in Romania. Una parte della
quale, la cui proprietà è stata attribuita a Ciancimino è amministrata dal
solito re degli amministratori giudiziari, Cappellano Seminara, che è sotto
processo per aver combinato alcuni imbrogli nel tentativo di impadronirsi di una
parte di quella discarica. Ma fermiamoci. Il discorso è così complesso che siamo
convinti che la Commissione Antimafia preferirà metterlo da parte e lasciare
tutto come si trova per non scoprire una tana di serpi o per non aprire il
coperchio di una pentola dove c’è dentro lo schifo distillato. Per una volta non
soltanto di distilleria Bertollini. (Parla la Bindi: La Commissione ha
registrato un fallimento sui beni confiscati. Non è così. Non abbiamo registrato
un fallimento perché i risultati sono stato ottenuti e non perché questa è la
città dove metà dei beni sequestrati della mafia sono in questa città e le
misure di prevenzione e la gestione di questi beni che è stata fatta in questa
città e di questa regione ha fatto scuola in tutta Italia.) Sono quei bordelli
tutti siculi, sai perché? Ti trovi nella terra del Gattopardo: cambiare tutto
per non cambiare un cazzo….»
Uno dice, meno male che di pulito in Italia ci rimane lo sport. Segno tangibile
di purezza, sportività e correttezza.
Giovanni Malagò, n.1 dello sport italiano, un po' abbacchiato per i 16 mesi di
squalifica come... nuotatore, scrive Fulvio Bianchi su “La Repubblica”. Un
momento difficile per tutto lo sport italiano, specie nelle istituzioni del
calcio. Un momento non facile per la Lega Pro e il suo storico presidente Mario
Macalli: dossier e denunce sono nelle mani della Procura federale (sperando che
Palazzi, almeno stavolta, faccia in fretta) e anche della Repubblica della
Repubblica di Firenze. Sono tanti, troppi, i fronti aperti: la Lega Pro ha
licenziato il direttore generale Francesco Ghirelli, già braccio destro di
Franco Carraro. E Ghirelli ha "confezionato" un dossier (scottante) che Macalli
ha fatto avere al superprocuratore Palazzi. Lo stesso Palazzi presto potrebbe
deferire il n.1 della Lega, e vicepresidente Figc, per il caso Pergocrema (vedi
Spy Calcio dell'8 ottobre). In caso di condanna definitiva superiore ad un anno,
decadrebbe dalle sue cariche. Inoltre la Procura della Repubblica di Firenze
l'estate scorsa ha rinviato a giudizio Macalli sempre per il Pergocrema. La
stessa Procura toscana avrebbe aperto un fascicolo anche sull'acquisto della
splendida sede fiorentina della Lega, sede inaugurata da Platini. In ballo ci
sono un fallimento e un paio di milioni..
Il presidente del Coni Giovani Malagò è stato condannato dalla Disciplinare
della Federnuoto a 16 mesi di squalifica in qualità di presidente dell'Aniene,
società per la quale gareggia anche Federica Pellegrini, scrive “La Gazzetta
dello Sport”. Per Malagò dunque scatta la sospensione da ogni attività sociale e
federale per il periodo in questione. E' stata così riconosciuta la
responsabilità di Malagò per "mancata lealtà" e "dichiarazioni lesive della
reputazione" del presidente federale Barelli, denunciato dal Coni per una
presunta doppia fatturazione. Il caso era nato per una denuncia del Coni,
presieduto da Malagò, alla Procura della Repubblica di Roma, per una presunta
doppia fatturazione per 820mila euro per lavori di manutenzione della piscina
del Foro Italico in occasione dei Mondiali di nuoto. Nel registro degli indagati
era stato iscritto il presidente della Federnuoto Barelli, ma il pm aveva
chiesto al gip l'archiviazione. La partita giudiziaria era stata poi riaperta
dalla decisione di quest'ultimo di chiedere un supplemento di indagini, tuttora
in corso. Nel frattempo, nuovi colpi di scena. Barelli, infatti, ha invitato la
Procura federale della Fin ad "accertare" e valutare i comportamenti di Malagò,
nella sua condizione di membro della Fin come presidente della Canottieri
Aniene. Un invito a verificare se ci possano essere state "infrazioni
disciplinarmente rilevanti" nelle parole con cui Malagò riassunse la vicenda
nella giunta Coni del 4 marzo, parlando, sono espressioni dello stesso Malagò
davanti al viceprocuratore federale, "come presidente del Coni e non da
tesserato Fin". Il documento-segnalazione di Barelli accusava in sostanza Malagò
di aver detto il falso in Giunta accusando ingiustamente la Federazione. La nota
Fin citava la "mancata lealtà" e le "dichiarazioni lesive della reputazione",
gli articoli 2 e 7, che Malagò avrebbe violato con le sue parole su Barelli in
Giunta sulle "doppie fatturazioni". I legali del Coni avevano sollevato
eccezioni di nullità, illegittimità e incompetenza, depositando anche il parere
richiesto dalla Giunta al Collegio di Garanzia dello Sport, che chiariva la non
competenza degli organi di giustizia delle Federazioni su vicende del genere.
Il passato scomodo di Tavecchio, scrivono da par loro Tommaso Rodano e Carlo
Tecce per Il Fatto Quotidiano. "Spuntano una denuncia per calunnia contro il
super candidato alla Federcalcio e un dossier depositato in procura che lo
riguarda. E si scoprono strane storie, dalle spese pazze fino al doppio
salvataggio del Messina. Ogni giorno che passa, e ne mancano cinque
all’annunciata investitura in Federcalcio, il ragionier Carlo Tavecchio arruola
dissidenti, smarrisce elettori: resiste però, faticosamente resiste. Nonostante
le perplessità di Giovanni Malagò (Coni), dei calciatori più famosi e di qualche
squadra di serie maggiore o inferiore. Il padrone dei Dilettanti, che dal ‘99
gestisce un’azienda da 700.000 partite a stagione e da 1,5 miliardi di euro di
fatturato, com’è da dirigente? Dopo aver conosciuto le sue non spiccate capacità
oratorie, tra donne sportive handicappate e africani mangia-banane, conviene
rovistare nel suo passato. E arriva puntuale una denuncia per calunnia contro
Tavecchio, depositata in Procura a Varese due giorni fa, a firma Danilo
Filippini, ex proprietario dell’Ac Pro Patria et Libertate, a oggi ancora
detentore di un marchio storico per la città di Busto Arsizio. Per difendersi da
una querela per diffamazione – su un sito aveva definito il candidato favorito
alla Figc un “pregiudicato doc” – Filippini ha deciso di attaccare: ha
presentato documenti che riguardano il Tavecchio imprenditore e il Tavecchio
sportivo, e se ne assume la responsabilità. Oltre a elencare le cinque condanne
che il brianzolo, già sindaco di Ponte Lambro, ha ricevuto negli anni (e per i
quali ha ottenuto una riabilitazione) e i protesti per cambiali da un miliardo
di lire dopo il fallimento di una sua azienda (la Intras srl), Filippini allega
una lettera, datata 24 ottobre 2000, Tavecchio era capo dei Dilettanti dal
maggio ‘99. Luigi Ragno, un ex tenente colonnello dei Carabinieri, già
commissario arbitrale, vice di Tavecchio, informa i vertici di Lega e
Federazione di una gestione finanziaria molto personalistica del presidente. E
si dimette. “Mi pregio comunicare che nel corso del Consiglio di Presidenza – si
legge – è stato rilevato che la Lega intrattiene un rapporto di conto corrente
presso la Cariplo di Roma, aperto successivamente al Primo Luglio 1999 (…).
L’apertura del conto corrente appare correlata alla comunicazione del Presidente
di ‘avere esteso alla Cariplo, oltre alla Banca di Roma già esistente, la
gestione dei fondi della Lega. Entrambi gli Istituti hanno garantito, oltre alla
migliore offerta sulla gestione dei conti, forme di sponsorizzazione i cui
contenuti sono in corso di contrattazione”. Quelle erano le premesse, poi
partono le contestazioni a Tavecchio: “Non risulta che alcun organo collegiale
della Lega sia mai stato chiamato a esprimere valutazioni in ordine a offerte
formulate dagli Istituti di credito di cui sopra”. “Risulta che non sono state
prese in considerazione dal presidente più di venti offerte di condizione
presentate in busta chiusa da primarie banche che operano su Roma, le quali
erano state contattate dal commissario”. “Non risulta che né la Banca di Roma né
la Cariplo abbiano concluso con la Lega accordi di sponsorizzazione”. “Nella
sezione Attività della situazione patrimoniale del bilancio della Lega non
appare, nella voce ‘banche’, la presenza del conto corrente acceso presso
Cariplo”. “Nella sezione Attività della situazione patrimoniale, alla voce
‘Liquidità/Lega Nazionale Dilettanti’ risulta l’importo di Lire 18.774.126.556,
che non rappresenta, come potrebbe sembrare a prima vista, il totale delle
risorse finanziarie dei Comitati e delle Divisioni giacenti presso la Lega,
bensì è costituito da un saldo algebrico tra posizioni creditorie e posizioni
debitorie nei confronti della Lega”. Segue una dettagliata tabella dei
finanziamenti ai vari Comitati regionali, e viene così recensita: “Il presidente
della Lega ha comunicato che ai suddetti ‘finanziamenti di fatto’ è applicato il
tasso di interesse del 2,40%, la cui misura peraltro non è stata stabilità da
alcun organo collegiale”. Il vice di Tavecchio fa sapere di aver scoperto anche
un servizio di “private banking”, sempre con Cariplo, gestito in esclusiva dal
ragionier brianzolo: “Nessun Organo collegiale della Lega ha mai autorizzato
l’apertura di tale rapporto (…) e mai ha autorizzato il presidente a disporre
con firma singola (…) Trattasi di un comportamento inspiegabile e
ingiustificabile, anche in considerazione della consistenza degli importi non
inferiore ai venti miliardi di lire”. Ragno spedisce una raccomandata alla
Cariplo, e si congeda dai Dilettanti di Tavecchio: “Di fronte all’accertata
mancanza di chiarezza, di trasparenza e di correttezza e di gravi irregolarità
da parte del massimo esponente della Lega, non mi sento di avallare tale
comportamento gestionale e comunico le immediate dimissioni”. Per comprendere la
natura del consenso costruito minuziosamente da Tavecchio nella gestione della
Lega Dilettanti, un caso esemplare è quello del Messina calcio. La società
siciliana approda in Lnd nella stagione sportiva 2008-2009. La famiglia Franza è
stufa del suo giocattolo, vorrebbe vendere la squadra, ma non trova acquirenti.
Il Messina è inghiottito dai debiti. Dovrebbe militare in serie B, ma il
presidente Pietro Franza non l’iscrive al campionato cadetto: deve ricominciare
dai dilettanti. Il problema è che il Messina è tecnicamente fallito (la
bancarotta arriverà dopo pochi mesi) e non avrebbe le carte in regola nemmeno
per ripartire da lì. E invece Tavecchio, con una forzatura, firma l’iscrizione
dei giallorossi alla Lega che dirige. L’uomo chiave si chiama Mattia Grassani,
principe del foro sportivo e, guarda caso, consulente personale di Tavecchio e
della stessa Lnd: è lui a curare i documenti (compreso un fantasioso piano
industriale per una società ben oltre l’orlo del crac) su cui si basa
l’iscrizione dei siciliani. In pratica, si decide tutto in casa. Nel 2011 il
Messina, ancora in Lega dilettanti, è di nuovo nei guai. Dopo una serie di
vicissitudini, la nuova società (Associazione Calcio Rinascita Messina) è finita
nelle mani dell’imprenditore calabrese Bruno Martorano. La gestione economica
non è più virtuosa di quella dei suoi predecessori. Martorano firma in prima
persona la domanda d’iscrizione della squadra alla Lega. Non potrebbe farlo:
sulle sue spalle pesa un’inibizione sportiva di sei mesi. Non solo. La
documentazione contiene, tra le altre, la firma del calciatore Christian
Mangiarotti: si scoprirà presto che è stata falsificata. Il consulente del
Messina (e della Lega, e di Tavecchio) è sempre Grassani: i giallorossi anche
questa volta vengono miracolosamente iscritti alla categoria. Poi, una volta
accertata l’irregolarità nella firma di Mangiarotti, la sanzione per il Messina
sarà molto generosa: appena 1 punto in classifica (e poche migliaia d’euro,
oltre ad altri 18 mesi di inibizione per Martorano). Tavecchio, come noto, è
l’uomo che istituisce la commissione “per gli impianti sportivi in erba
sintetica” affidandola all’ingegnere Antonio Armeni, e che subito dopo assegna
la “certificazione e omologazione” degli stessi campi da calcio alla società
(Labosport srl) partecipata dal figlio, Roberto Armeni. Non solo: la Lega
Nazionale Dilettanti di Tavecchio ha un’agenzia a cui si affida per
l’organizzazione di convegni, cerimonie ed assemblee. Si chiama Tourist sports
service. Uno dei due soci, al 50 per cento, si chiama Alberto Mambelli. Chi è
costui? Il vice presidente della stessa Lega dilettanti e lo storico braccio
destro di Tavecchio. Un’amicizia di lunga data. Nel 1998 Tavecchio è alla guida
del comitato lombardo della Lnd. C’è il matrimonio della figlia di Carlo,
Renata. Mambelli è tra gli invitati. Piccolo particolare: sulla partecipazione
c’è il timbro ufficiale della Figc, Comitato Regionale Lombardia. Quando si dice
una grande famiglia."
«Denuncio Tavecchio. Carriera fatta di soprusi» dice Danilo Filippini a “La
Provincia Pavese”. A quattro giorni dalle elezioni Figc, Carlo Tavecchio
continua a tenere duro, incurante delle critiche e delle prese di posizione -
sempre più numerose e autorevoli - di coloro che ritengono l’ex sindaco di Ponte
Lambro del tutto inadeguato a guidare il calcio italiano. Tavecchio è stato
anche denunciato per calunnia da Danilo Filippini, ex presidente della Pro
Patria che ha gestito la società biancoblù dall’ottobre 1988 all’ottobre 1992.
Filippini, perché ha deciso di querelare Tavecchio?
«Scrivendo sul sito di Agenzia Calcio, definii Tavecchio un pregiudicato doc e
un farabutto, naturalmente argomentando nei dettagli la mia posizione e
allegando all’articolo il suo certificato penale storico. Offeso per
quell’articolo, Tavecchio mi ha denunciato per diffamazione. Così, tre giorni
fa, ho presentato alla Procura di Varese una controquerela nei suoi confronti,
allegando una ricca documentazione a sostegno della mia tesi».
In cosa consiste la documentazione?
«Ci sono innanzitutto le cinque condanne subite da Tavecchio. Poi i protesti di
cambiali per una somma di un miliardo di vecchie lire dopo il fallimento della
sua azienda, la Intras srl. Ho allegato inoltre l’esposto di Luigi Ragno, già
vice di Tavecchio in Lega Dilettanti, su presunte irregolari operazioni bancarie
con Cariplo. Più tutta una serie di altre irregolarità amministrative».
Quando sono nati i suoi dissidi con Tavecchio?
«Ho avuto la sfortuna di conoscerlo ai tempi in cui ero presidente della Pro
Patria. Quando l’ho visto per la prima volta, era presidente del Comitato
regionale lombardo. In quegli anni ci siamo scontrati continuamente. Con
Tavecchio in particolare e con la Federazione in generale».
Per quale motivo?
«I miei legittimi diritti sono sempre stati negati, in maniera illecita,
nonostante numerosi miei esposti e querele, con tanto di citazioni di testimoni
e prove documentali ineccepibili. Da vent’anni subisco dalla Federcalcio ogni
tipo di abusi».
Per esempio?
«Guardi cos’è successo con la denominazione “Pro Patria et Libertate”, da me
acquisita a titolo oneroso profumatamente pagato, e che poi la Federazione ha
girato ad altre società che hanno usato indebitamente quel nome. Per non parlare
della mia incredibile radiazione dal mondo del calcio, che mi ha impedito di
candidarmi alla presidenza della Figc, come volevo fare nel 2001. Una vera
discriminazione, che viola diritti sanciti dalla Costituzione. Sa qual è l’unica
cosa positiva di questa vicenda?»
Dica.
«Sono uscito da un mondo di banditi come quello del calcio. E ora mi occupo di
iniziative a favore dei disabili: impiego molto meglio il mio tempo».
Tavecchio risulta comunque riabilitato dopo le cinque condanne subite.
«Mi piacerebbe sapere in base a quali requisiti l’abbia ottenuta, la
riabilitazione. E comunque, una volta riabilitato, avrebbe dovuto tenere un
comportamento inappuntabile sul piano etico. Non mi pare questo il caso».
Insomma, a suo parere un’eventuale elezione di Tavecchio sarebbe una iattura per
il calcio italiano...
«Mi auguro davvero che non venga eletto. Questo è il momento di cambiare, di
dare una svolta: non può essere Tavecchio l’uomo adatto. Avendolo conosciuto di
persona, non mi sorprende neanche che abbia commesso le gaffes di cui tutti
parlano. Lui fa bella figura solo quando legge le lettere che gli scrivono i
principi del foro. Comunque, ho mandato la mia denuncia per conoscenza anche al
Coni e al presidente Malagò. Non ho paura di espormi: quando faccio una cosa, la
faccio alla luce del sole».
"La vicenda Tavecchio? Una sospensione molto particolare.. Ma chi stava
nell'ambiente del calcio sapeva perfettamente cosa sarebbe successo. Ho letto
varie dichiarazioni e mi sento di condividere chi dice: tutti sapevano tutto, e
questi tutti sono quelli che sono andati al voto e che, malgrado sapessero che
questo sarebbe successo, hanno ritenuto che era giusto votare per Tavecchio. La
domanda va girata a queste persone". Il presidente del Coni, Giovanni Malagò,
commenta così la vicenda dei sei mesi di stop al presidente della Figc decisi
dall'Uefa, scrive “La Repubblica”. "L'elezione è stata assolutamente
democratica, evidentemente non hanno ritenuto che il fatto potesse essere
penalizzante per il proseguo dell'attività di Tavecchio. Io come presidente del
Coni di questa cosa, può piacere o meno, ne devo solo prendere atto perché il
Coni può intervenire se una elezione non è stata regolare, se ci sono delle
gestioni non fatte bene, per problemi di natura finanziaria, se non funziona la
giustizia sportiva, per tutto il resto dobbiamo prenderne atto senza essere
falsi". Anche il sottosegretario Delrio, presente stamani ad un convegno al Coni
col ministro Lorenzin, si è tirato fuori: "Il mondo sportivo è autonomo, il
governo non può intervenire". Malagò ha anche spiegato che comunque questa
vicenda "crea un problema di immagine al nostro calcio". Carlo Tavecchio,
presente anche lui al Coni, ci ha solo detto: "Io sono stato censurato dall'Uefa
e non sospeso. L'Uefa ha preso una decisione, non una sentenza". E dal suo
entourage si precisa che la "lettera che Tavecchio ha scritto alle 53
Federazioni europee era di presentazione e non di scuse". Il 21 a Roma c'è
Platini per presentare il suo libro: Tavecchio è irritato col n.1 dell'Uefa, lo
incontrerà? Domani comitato presidenza Figc, venerdì il presidente Figc a
Palermo con gli azzurri. Il lavoro va avanti. Intanto, il 27 torna in ballo
anche Malagò: processo di appello alla Federnuoto dopo la condanna di 16 mesi in
primo grado. La speranza è in drastico taglio, in attesa di Frattini...
Ma almeno Macalli è immune da qualsivoglia nefandezza?
Caso Pergocrema, Macalli verso il deferimento? Il vicepresidente della Figc e
n.1 storico della Lega Pro, Mario Macalli, rischia il deferimento in margine al
caso Pergocrema. Il procuratore federale, Palazzi, ha chiuso l'indagine e
passato le carte alla Superprocura del Coni come prevedono le nuove norme di
giustizia sportiva volute dal Coni: ora Macalli potrà presentare le sue
controdeduzioni, ed essere anche interrogato. La prossima settimana Palazzi
deciderà se archiviare o deferire (più che probabile). Il caso Pergocrema si
trascina ormai da molto tempo: questa estate la procura della Repubblica di
Firenze aveva chiesto il suo rinvio a giudizio. Macalli secondo i magistrati
avrebbe "provveduto a registrare a proprio nome i marchi Pergocrema, Pergocrema
1932, Pergolettese e Pergolettese 1932". In questo caso, il n.1 dell'ex Serie C,
come stato scritto su Repubblica la scorsa estate da Marco Mensurati e Matteo
Pinci, "intenzionalmente si procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale
arrecando un danno patrimoniale al Pergocrema fornendo agli uffici preposti
della Lega esplicita disposizione di bloccare senza giustificazione giuridica il
bonifico da oltre 256mila euro, importo spettante come quota di suddivisione dei
diritti televisivi che se disponibili avrebbero consentito alla società sportiva
di evitare il fallimento". Macalli aveva sempre assicurato la sua totale
estraneità ai fatti. "Chiarirò tutto". Pare sia arrivato il momento. Possibile
inoltre il deferimento di Belloli, presidente del Comitato regionale lombardo e
fra i candidati alla successione di Tavecchio alla presidenza della Lega
Nazionale Dilettanti. Oltre a lui, resterebbero in corsa solo Tisci e Mambelli,
mentre avrebbero fatto un passo indietro Repace e Dalpin. Mercoledì prossimo
riunione con Tavecchio. Si vota l'11 novembre. Per finire, chiusa l'inchiesta di
Palazzi anche su Claudio Lotito: interrogati quattro giornalisti, acquisito il
video. Ora le carte sono in possesso di Lotito, che deve difendersi, e del
generale Enrico Cataldi, superprocuratore Coni: presto Palazzi dovrebbe fare il
deferimento per le parole volgari su Marotta.
La Commissione Disciplinare ha deliberato il 6 marzo 2013 in merito al
fallimento dell’Us Pergocrema 1932 ed ha inibito gli ex presidenti Sergio
Briganti per 40 mesi e Manolo Bucci per 12, l’ex amministratore delegato
Fabrizio Talone per 6 mesi, l’ex vice presidente Michela Bondi per 3 e gli ex
consiglieri del Cda Estevan Centofanti per 3, Luca Coculo e Gianluca Bucci
entrambi per 6 mesi, scrive “La Provincia di Crema”. Sulla base delle indagini
effettuate dalla Procura Federale, la Disciplinare ha deciso di infliggere
sanzioni ai personaggi di cui sopra accusandoli «di aver determinato (i due
presidenti) e di aver contribuito (gli altri dirigenti) con il proprio
comportamento la cattiva gestione della società, con particolare riferimento
alle responsabilità del dissesto economico-patrimoniale».
A sbiadire ancor di più l’immagine di Briganti, però, ci pensa Striscia la
Notizia. L’ex presidente del Pergocrema, Sergio Briganti, è stato protagonista
di un servizio in una delle ultime puntate di Striscia la Notizia, il tg
satirico in onda su Canale 5, intitolato “Minacce, spintoni, schiaffi”, scrive
“La Provincia di Crema”. Jimmy Ghione è stato avvicinato da una giovane donna
che ha segnalato come, nel vicolo del pieno centro di Roma dove si trova il bar
di Briganti, le auto non riescano a transitare in quanto la strada è occupata da
un lato da sedie e tavolini del locale e dall’altro da motorini. In quel vicolo,
il transito è consentito soltanto agli automezzi di servizio, ai taxi, ai
motocicli e alle auto munite del contrassegno per i disabili. E proprio un
disabile stava sull’auto guidata dalla donna, che si è trovata la strada
bloccata. A quel punto, la signora ha chiesto a Briganti di spostare i tavolini,
ma la risposta è stata «un vulcano, una cosa irripetibile», ha commentato la
donna.
C’è da chiedersi: quanto importante sia il Briganti per Striscia, tanto da
indurli ad occuparsi di lui e non delle malefatte commesse dai magistrati e
dall’elite del calcio?
Macalli a inizio ottobre 2014 è stato anche deferito per violazione dell’art. 1
dalla Procura Figc (dopo un esposto di Massimo Londrosi, d.s. del Pavia) per
aver registrato a suo nome nel 2011 quattro marchi riconducibili al club
fallito, e per aver ceduto - dopo aver negato il bonifico che ha fatto fallire
il club - quello «Us Pergolettese 1932» alla As Pizzighettone, che nel 2012-13
ha fatto la Seconda divisione con quella denominazione. Macalli patteggerà,
scrive “Zona Juve”. Anche su internet non si trova conferma.
Mario Macalli, da 15 anni presidente della Lega Pro di calcio, sarebbe indagato
per appropriazione indebita, in merito alla sua acquisizione del marchio del
Pergocrema, scrive “La Provincia di Crema”. Sulla scomparsa della società
gialloblu (club dichiarato fallito dal tribunale cittadino il 20 giugno 2012),
indagano le procure di Roma e Firenze che hanno ricevuto una denuncia da parte
dell’ex presidente dei gialloblu Sergio Briganti, nei giorni scorsi inibito per
40 mesi dalla Federcalcio proprio per il fallimento del Pergo. E’ possibile che
le due inchieste vengano riunificate. Macalli è stato vice presidente per alcuni
anni della società gialloblu, vive a Ripalta Cremasca ed ha il suo studio in
città. La storia dell’acquisizione del marchio venne scoperta e resa pubblica da
un gruppo di tifosi che avrebbero voluto rilevare la società, percorrendo la
strada dell’azionariato popolare. Con quattro registrazioni di marchi, Macalli
ha reso impossibile il loro proposito.
Un altro terremoto scuote le malandate istituzioni del calcio italiano. La
procura di Firenze, nel giorno della stesura dei gironi, ha chiesto il rinvio a
giudizio per Mario Macalli, presidente della Lega Pro. L'accusa: abuso
d'ufficio, scrive “La Provincia di Crema”. Oggetto dell'inchiesta penale
condotta dal sostituto procuratore di Firenze, Luigi Bocciolini è la vicenda del
fallimento del Pergocrema nell'estate 2012, nata dalla denuncia di Sergio
Briganti, oggi difeso dagli avvocati Giulia De Cupis e Domenico Naso, e allora
presidente del club lombardo. I dettagli dell'accusa per il manager sono
pesantissimi: "In presenza di un interesse proprio, intenzionalmente si
procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale arrecando danno patrimoniale al
Pergocrema fornendo agli uffici preposti della Lega esplicita disposizione di
bloccare senza giustificazione giuridica il bonifico da oltre 256mila euro,
importo spettante come quota di suddivisione dei diritti televisivi, e che se
disponibili avrebbero consentito alla società sportiva di evitare il
fallimento".
“Abuso d’ufficio”. E’ questa l’accusa, formulata dal procuratore della
repubblica di Firenze, Luigi Bocciolini, che nei giorni scorsi ha portato alla
richiesta di rinvio a giudizio Mario Macalli, presidente della Lega Pro, scrive
“Crema On Line”. L’oggetto dell’inchiesta, iniziata nel marzo 2013 riguarda la
vicenda del fallimento del Pergocrema, avvenuta nel giugno 2012. L’indagine è
partita dalla denuncia dell’ex presidente gialloblu Sergio Briganti. Dai verbali
in possesso della polizia giudiziaria fiorentina nell’aprile 2012 l’avvocato
Francesco Bonanni, responsabile dell’ufficio legale della Lega Pro, era
incaricato di effettuare i conteggi relativi alla ripartizione della quota della
suddivisione dei diritti televisivi della legge Melandri. La somma destinata al
Pergocrema, allora iscritta al campionato di Prima Divisione Lega Pro, era pari
a 312.118,54 euro lordi, al netto 245.488, 80 euro. In quel periodo la società
cremasca gravava in una pesante situazione debitoria nei confronti di tecnici,
atleti e fornitori. Il 3 maggio 2012 è stata presentata un'istanza da Francesco
Macrì, legale dell’Assocalciatori, in rappresentanza di dieci tesserati del
Pergocrema che vantavano 170 mila euro di debiti nei confronti del club
gialloblu. Il tribunale di Crema ha autorizzato il sequestro cautelativo della
somma in giacenza, comunicandolo alla Lega Pro. Il sequestro è stato attivato il
giorno successivo. Il dato certo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, è
che il 27 aprile 2012 la Lega era pronta a versare la quota: Bonanni ha escluso
di aver dato l'ordine a Guido Amico di Meane, al commercialista della Lega Pro,
di bloccare il versamento alla società cremasca. L'unico che avrebbe dato
disposizione di non effettuare il relativo bonifico agli uffici preposti sarebbe
stato Macalli.
Eppure, nonostante l’impegno della Procura, il Gup di Firenze Fabio Frangini ha
assolto Mario Macalli, presidente della Lega Pro, dall’accusa di abuso d’ufficio
riguardo al caso del fallimento del Pergocrema. Secondo l'accusa Maccalli non
avrebbe autorizzato il versamento alla società della quota dei diritti tv
relativa alla stagione 2011-2012. Non luogo a procedere, scrive “La Provincia di
Crema”. Il presidente di Lega Pro e vicepresidente della Federcalcio, Mario
Macalli, è stato prosciolto dall’accusa di abuso d’ufficio, nell’ambito della
vicenda che portò nel giugno del 2012 al fallimento dell’Us Pergocrema 1932. La
decisione è stata presa martedì mattina 21 ottobre dal giudice dell’udienza
preliminare del tribunale di Firenze, che non ha quindi accolto la richiesta di
rinvio a giudizio depositata dal pubblico ministero Luigi Bocciolini il 30
luglio scorso. Il reato ipotizzato per Macalli era quello previsto e punito
dall’articolo 323 del codice penale (l’abuso d’ufficio, appunto). Secondo il
pubblico ministero, nella sua qualità di presidente della Lega Pro Macalli aveva
intenzionalmente arrecato un ingiusto danno patrimoniale al Pergocrema, dando
agli uffici preposti della Lega esplicita disposizione a bloccare, senza
giustificazione, il bonifico alla società di 256.488,80 euro alla stessa
spettante quale quota per i diritti televisivi. A seguito di ciò, il 28 maggio
2012, due creditori chirografari depositarono istanza di fallimento del
Pergocrema, presso il tribunale di Crema, fallimento che veniva dichiarato il 19
giugno. In sostanza, l’accusa puntava a dimostrare che, la società gialloblù
fallì perchè non fu in grado di saldare il debito contratto di 113.000 euro con
il ristorante Maosi e l’impresa di giardinaggio Non Solo Verde. Il fallimento
sarebbe stato evitato se la Lega Pro avesse eseguito a fine aprile sul contro
del Pergocrema, come venne fatto per tutti gli altri club, il bonifico dei
contributi spettanti alla società stessa. Ma il Gup — come detto —non ha sposato
la tesi.
Al
termine degli accertamenti, il Gup lo ha prosciolto con formula piena perché "il
fatto non sussiste". I difensori del ragioniere cremasco, l’avvocato Nino
D’Avirro di Firenze e Salvatore Catalano di Milano hanno evidenziato, tra
l’altro, che Macalli non svolge la funzione di pubblico ufficiale e pertanto non
si configura il reato di abuso d’ufficio, scrive “Crema On Line”. Quindi
l’inghippo c’era, ma non è stato commesso da un pubblico ufficiale? E qui, da
quanto dato sapere, il motivo del non luogo a procedere. Come mai questa svista
dei pubblici ministeri? «Aspettiamo le motivazioni — ha affermato a caldo l’ex
presidente del Pergocrema, Sergio Briganti — e poi ricorreremo. La cosa non
finisce qui».
Antonio Giangrande: ASTE TRUCCATE: LINFA PER LA MAFIA.
Una
Interrogazione Parlamentare alza il velo dell’ipocrisia a Taranto.
L’Omertà istituzionale, come sempre, ne coprirà la vergogna.
Il
resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che sul
tema ha pubblicato un saggio denuncia: “Usuropoli. Usura e Fallimenti Truccati”.
Il libro contiene un dossier completo anche sulle aste truccate e le inchieste
che nel tempo hanno coinvolto gli uffici giudiziari di tutta Italia.
Il
dr Antonio Giangrande nella sua inchiesta elenca una serie di casi eclatanti.
Esemplare è il fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello scandalo, la
liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre
quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti di duemila miliardi.
L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno
aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello scandalo è costituita
dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi,
favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
Altro tassello anomalo è la costituzione di società ad hoc per la gestione dei
fallimenti. Le principali banche hanno infatti costituto apposite società
denominate "Asteimmobili", nei principali Tribunali (Roma, Milano, Genova,
ecc.), con la finalità di chiudere il cerchio quando i tartassati e maltrattati
utenti non hanno la possibilità di adempiere alle obbligazioni, specie su mutui
e prestiti. ABI e banche si sono quindi ritrovate ben presto, con personale
impiegato nella società costituita “Asteimmobili” a fare lavoro di cancelleria
come altri pubblici ufficiali (con la non piccola differenza di non essere
entrati per concorso e di non aver dovuto "prestare giuramento di fedeltà" allo
Stato) in gangli alquanto delicati come le esecuzioni immobiliari, le procedure
fallimentari, gli uffici dei giudici di pace, le corti d'appello sia civili che
penali, le stesse procure.
Non
si può, comunque, dimenticare che il percorso dei giudici del Tribunale di
Milano è stato particolarmente difficile, soprattutto nei confronti di un
problema estremamente rilevante quale quello legato alla turbativa d'asta, vero
e proprio tallone d' Achille per il sistema delle esecuzioni. E' proprio su
questo punto che i giudici sono intervenuti in maniera decisa denunciando alla
Procura il fenomeno. I giornali allora parlarono di un "cartello" di speculatori
per le “aste truccate”. Una specie di organizzazione in grado di condizione le
gare per l'acquisto degli immobili pignorati. Come dire, nessuno poteva
partecipare ad un'asta giudiziaria senza pagare una "commissione" che andava dal
10 al 15 percento del valore dell'immobile che intendeva acquistare. In caso
contrario il "cartello" soprannominato allora "La compagnia della morte" avrebbe
fatto lievitare al prezzo. In passato, a partire dall’esperienza pilota del
Tribunale di Milano, stampa ed istituzioni hanno dato grande risalto alla
pretesa "innovazione" del sistema delle vendite giudiziarie, dedicando intere
pagine, anche di pubblicità a pagamento, sui quotidiani nazionali, facendoci
credere che con gli otto arresti di avvocati e pubblici funzionari della c.d.
"compagnia della morte", si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in
grado di condizionare le gare d’asta per l'acquisto degli immobili pignorati. Ci
hanno spiegato e confermato che per svariati anni una banda di "professionisti"
ha potuto agire impunita, scoraggiando la partecipazione alle aste del pubblico,
che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento di un "pizzo" pari al
10-15% del valore dell'immobile pignorato e pilotando l'assegnazione su società
immobiliari vicine o su professionisti, soggetti privati e prestanome, i cui
interessi spesso sono risultati riferibili agli stessi magistrati giudicanti,
come nei tanti casi da noi vanamente denunciati. Lo stesso dicasi per quanto
attiene l'ambito delle procedure fallimentari, controllate da un vero e proprio
racket di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco
negli uffici giudiziari del Tribunale di Milano, da cui sono stati sottratti in
10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di euro, mietendo
oltre 7000 vittime, ha messo a nudo una ultradecennale capacità di delinquere
interna agli uffici istituzionali, in grado di resistere ad ogni
denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale. Fatti per i
quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto sarebbe
avvenuto all'insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di Milano e
degli organismi di controllo preposti (CSM, Ministero di Giustizia, Procura di
Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure edotti di tutto,
dagli anni ‘80, hanno sistematicamente insabbiato anche le stesse segnalazioni
di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi, occultando solo negli ultimi anni
svariate decine di migliaia di esposti a carico di avvocati, magistrati e
curatori fallimentari, nei cui confronti sono rimasti del tutto inerti,
giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione dell’obbligo di registrazione
delle denunce nell’apposito Registro delle notizie di reato, tassativamente
previsto dall’art. 335 c. 1° c.p.p. (26.000 procedimenti insabbiati e occultati
in soffitta dalla sola Procura di Brescia).
Quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Da
“La Repubblica”. È la condanna emessa dal tribunale di Perugia nei confronti di
Pierluigi Baccarini, giudice della sezione Fallimentare del tribunale della
capitale accusato di aver "pilotato" diversi procedimenti fallimentari trai
quali quello della società che amministrava il tesoro immobiliare della
Democrazia Cristiana. L' inchiesta era scattata a Roma dalle indagini dei pm
Giuseppe Cascini e Stefano Pesci che nel 2005 avevano scoperto una sorta di
"comitato d' affari" che gestiva l'attività fallimentari degli uffici di viale
Giulio Cesare.
Dalle cronache dei giornali si apprende che una ispezione amministrativa a Lecce
«negli uffici interessati dalle esecuzioni giudiziarie», in particolare a
proposito dell’espletamento delle aste giudiziarie, è stata annunciata dal
sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano in conseguenza di quanto emerso
dopo l’uccisione di un salentino, Giorgio Romano, che avrebbe fatto affari
frequentando appunto le aste giudiziarie. Mantovano lo ha spiegato, parlando a
Lecce con i giornalisti. Romano è stato ucciso – a quanto è stato accertato
poche ore dopo l’omicidio – da un uomo che, per gravi difficoltà economiche,
aveva perso la sua casa e la sua macelleria e sperava di rientrarne in possesso
tramite un accordo proprio con Romano, abituale frequentatore di aste
giudiziarie. “Un procedimento disciplinare per tutti gli avvocati coinvolti
nella vicenda delle aste giudiziarie sottoposte all’indagine della Procura”. È
quanto ha annunciato il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di
Lecce Luigi Rella.
Su
“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre 2011 Giovanni Longo racconta la
Fallimentopoli barese. C’è voluto un camion per trasportare tutte le carte da
Bari a Lecce. E quando i faldoni sono giunti a destinazione, pare che nella
stanza del procuratore di Lecce Cataldo Motta non ci fosse spazio sufficiente.
L’inchiesta della Procura di Bari sulle procedure fallimentari si allarga e
trasloca: oltre a curatori, consulenti, professionisti, bancari e cancellieri,
nel mirino del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza sono finiti
anche magistrati in servizio presso il Tribunale del capoluogo pugliese. E
dunque il Pm ha passato la mano.
E
che dire del caso Cirio. Ci furono accertamenti su presunte irregolarità
avvenute nella sezione fallimentare del Tribunale di Roma, che hanno visto
coinvolti giudici accusati di aver “pilotato” alcuni fallimenti e che vede una
procedura di trasferimento d’ ufficio per incompatibilità, avviata nei confronti
di un giudice arrestato per corruzione in atti giudiziari.
E
che dire delle aste truccate in Lombardia. Al Tribunale di Milano i magistrati
hanno denunciato una loro collega: tentata concussione e abuso d'ufficio nelle
nomine dei consulenti, al fine di suddividerne i compensi. A Brescia si è
archiviato un procedimento penale per usura, pur essendo stato accertato dal
perito della Procura un tasso applicato del 446% annuo.
E
che dire dell’intrigo che lega il Piemonte e la Toscana. Un Giudice condannato
per tangenti per il fallimento Aiazzone e legato con un esponente della P2 in
altri processi in Toscana. All’indomani di una udienza a Prato contro di questo,
il suo difensore, noto avvocato e professore milanese, fu trovato morto a causa
di uno strano suicidio. Nell’ambito di quei processi si denunciano casi di
violazione del diritto di difesa. Sempre in Toscana, si chiede il processo ad un
giudice: al magistrato vengono contestati corruzione, concussione, peculato,
falso, abuso di ufficio e concorso in bancarotta.
Anche in Emilia Romagna si denunciano casi di lesione del diritto di difesa e
del contraddittorio a danno dei falliti.
Nelle Marche l'inchiesta sul crack delle aziende dell'imprenditore
sambenedettese ha coinvolto ben 18 personaggi. Fra essi numerosi magistrati,
avvocati, curatori fallimentari e dirigenti di banca.
In
Abruzzo, l’ex gip teramano, poi giudice a Giulianova e oggi magistrato di Corte
d’Appello a L’Aquila e l’attuale presidente del Tribunale di Teramo sono stati
coinvolti in un’inchiesta sulle vendite giudiziarie immobiliari partita da un
esposto presentato da un cancelliere.
A
Lecce, per la prima volta in Europa, è stato dichiarato il fallimento del
creditore su richiesta del debitore. L’imprenditore è stato sbattuto fuori di
casa, nonostante sia stato assolto dai reati di truffa e falso denunciati dal
direttore generale di un noto istituto di credito spacciatosi per suo creditore,
mentre era, in realtà debitore dell’imprenditore di cui ha provocato il
fallimento. Una vittima spara e uccide il suo aguzzino: solo allora danno il via
alle indagini, rimaste da tempo insabbiate.
Ciliegina sulla torta è il caso Palermo e Catania. A Palermo per il fallimento
con il trucco, tre giudici rischiano il processo. A denunciare le illegalità un
comitato antiracket ed antiusura. La competenza è passata alla Procura di Reggio
Calabria. Nei suoi uffici è scoppiato lo scandalo “cimici”. A Catania, con atto
ispettivo al Ministro della Giustizia n. 4-29179, l'interrogante On. Angela
Napoli, ha denunziato la triplice reciprocità d'indagine tra le procure di
Messina, Reggio Calabria e Catania con chiari e vicendevoli condizionamenti su
una denuncia di un imprenditore dichiarato, ingiustamente, fallito.
Veniamo a Taranto.
Legislatura 17. Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06370 Pubblicato il 21
settembre 2016, nella seduta n. 683.
Buccarella, Airola, Taverna, Donno, Bertorotta, Puglia, Cappelletti, Serra,
Giarrusso, Paglini, Santangelo, Bottici -
Al
Ministro della giustizia. -
Premesso che:
si
apprende da un articolo apparso su "TarantoBuonaSera", del 13 luglio 2016, che a
Taranto ci sarebbero quasi 750 case all'asta, con altrettante famiglie destinate
a perdere la propria casa, che nella maggior parte dei casi è proprio quella di
abitazione;
la
crisi che ha colpito il Paese sta incrementando il fenomeno delle aste
immobiliari, soprattutto conseguenti all'impossibilità, da parte dei cittadini,
di onorare i mutui contratti (senza sottacere delle tante abusive concessioni di
finanziamento, da parte degli istituti bancari, che vanno ad aggravare
situazioni fortemente compromesse dalla recessione);
purtroppo, non mancano anche conseguenze estreme, come i suicidi ed anche gli
omicidi-suicidi di interi nuclei familiari, ad opera di persone ritenute perbene
e tranquille, ma che, nella morsa della crisi, non ravvisando vie di soluzione
(nemmeno in conseguenza di azioni giudiziarie, che spesso non risultano loro
favorevoli), compiono tali deprecabili atti, e i numeri depongono per un vero
olocausto di italiani;
dall'Osservatorio suicidi per la crisi economica, gli interroganti hanno
rilevato che negli ultimi 4 anni, ovvero tra il 2012 e il 2015, si sono
verificati 628 suicidi, in media uno ogni 2 giorni. Ecco alcuni casi,
verificatisi solo negli ultimi 12 mesi, balzati agli onori delle cronache:
l'omicidio-suicidio di Boretto: agosto 2016, Albina Vecchi, 71 anni, uccide il
marito Massimo Pecchini, 77 anni, e poi si uccide perché la loro casa è andata
all'asta; 30 maggio 2016, Stefano, pescatore genovese di 55 anni tenta il
suicidio perché senza lavoro da mesi, da quando gli era stata sequestrata
l'imbarcazione con la quale usciva in mare, e, sfrattato dalla sua abitazione,
era costretto ad occupare abusivamente un alloggio del Comune; marzo 2016,
Sisinnio Machis, imprenditore di 58 anni, si è suicidato a Villacidro dopo il
pignoramento della propria casa; gennaio 2016, Maurizio Palmerini, cinquantenne
di Vaiano, frazione di Castiglione del Lago (Perugia), ha ucciso i suoi figli,
Hubert di 13 e Giulia di 8 anni, a coltellate e ferito la moglie, poi si è tolto
la vita; gennaio 2016, dopo il suicidio del signor Guarascio per aver subito lo
sfratto, i deputati dell'Assemblea regionale sciliana del Movimento 5 Stelle
comprano la casa andata all'asta e la restituiscono alla sua famiglia; dicembre
2015, un imprenditore si impicca a Lodi perché la sua casa viene messa all'asta;
risulta, inoltre, agli interroganti che presso il tribunale di Taranto, al
quarto piano dedicato alle aste immobiliari, si sarebbero imposte prassi non del
tutto conformi alla legge (come quella di vendere i beni pignorati anche al
"prezzo vile", favorendo gli "avvoltoi" di turno e, verosimilmente, la stessa
criminalità) a cui si aggiunge la tendenza a prestare maggiore attenzione alla
prosecuzione delle esecuzioni immobiliari, piuttosto che alla tutela ed alle
garanzie dei soggetti esecutati o falliti;
sempre presso il tribunale di Taranto, sarebbero diversi i cittadini ad aver
lamentato abusi e violazioni di legge da parte dei magistrati chiamati a
decidere le loro controversie, con grave nocumento dei loro diritti;
di
recente a quanto risulta agli interroganti, la signora Maria Giovanna Benedetta
Montemurro, presso il tribunale di Taranto, ha incardinato una procedura di
opposizione avverso l'esecuzione immobiliare n. 168/1986 R.G.E., tentando di far
valere molteplici ragioni a sua tutela. Nel ricorso, tra i tanti motivi di
opposizione, invocando il "decreto Banche" (rectiusdecreto-legge n. 59 del 2016,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2016), la signora
Montemurro ha anche dedotto che il giudice non poteva procedere
all'aggiudicazione atteso che, nella fattispecie, il prezzo di vendita era
inferiore al limite della metà e che erano stati esperiti tentativi di vendita
oltre il numero consentito dal citato decreto-legge. Effettivamente il recente
decreto-legge n. 59, andando a completare il quadro normativo disciplinante la
materia, non ha trascurato proprio i profili di tutela delle parti, creditrice e
debitrice, soprattutto al fine di evitare che la vendita avvenga oltre
determinati limiti e per un tempo indefinito;
la
vendita al "prezzo vile", ovvero al prezzo lontano da quello di mercato,
danneggia sia il debitore che lo stesso ceppo creditorio (con il rischio
concreto di vendere le case e non soddisfare nemmeno le ragioni dei creditori) e
pare anche certo che, indipendentemente dalle modalità di vendita (con incanto o
senza), dal sistema delle norme che presidiano le esecuzioni immobiliari può
ricavarsi che la vendita non possa avvenire ad un prezzo inferiore al limite
della metà del valore del bene espropriando, così come stabilito dal tribunale
ai sensi dell'art. 568 del codice di procedura civile;
tuttavia, nonostante l'apparente e verosimile fondatezza del ricorso proposto
dalla signora Montemurro, il giudice dell'esecuzione ha rigettato le sue
ragioni, peraltro in circostanze di tempo così rapide da destare, a parere degli
interroganti, non poca inquietudine: il ricorso è stato presentato alle ore
12.30 del 24 maggio 2016; il magistrato ha ricevuto il fascicolo il 25 maggio
(perché lo ha "ereditato" da altro magistrato che ha inteso astenersi); nella
medesima data del 25 maggio il magistrato ha rigettato la tutela cautelare
chiesta dalla Montemurro; solo il giorno successivo, ovvero il 26 maggio, ha
provveduto all'aggiudicazione, a giudizio degli interroganti in maniera se non
illegittima quanto meno in modo poco prudente, in considerazione del fatto che
si trattava di espropriare un immobile adibito ad abitazione;
considerato che a quanto risulta agli interroganti:
la
signora Montemurro, ritenendo di non avere ricevuto alcuna tutela in sede
civile, con atto del 24 giugno 2016, ha adito il giudice penale ed ha denunciato
non solo il giudice dell'esecuzione, ma anche il "sistema" aste presso l'organo
di giustizia. Nel suo esposto, tra l'altro, ha lamentato che presso il tribunale
jonico: vi è l'orientamento di vendere all'asta, con poca o nessuna tutela per
le parti; vi è poca turnazione dei magistrati, che gestiscono le aste ed anche
degli ausiliari di questi ultimi; vi sarebbe prassi di vendere anche al limite
di 20.000 euro, indipendentemente da quello che è il valore del bene
espropriando, con la conseguenza che, a suo dire, alla fine, risulterebbero
"pagati" solo i costi delle procedure;
la
signora Montemurro non è l'unica ad aver lamentato condotte discutibili e
inclini alle banche (solitamente creditrici procedenti) ed alle espropriazioni
in genere da parte dei magistrati del tribunale tarantino, di volta in volta
chiamati ad intervenire in questioni relative alle opposizioni alle aste
immobiliari, in sede sia di cautela che di merito;
consta agli interroganti che anche il signor Vitantonio Bello abbia lamentato
una tenace chiusura della magistratura jonica rispetto all'asta immobiliare in
suo danno (n. 593/2011 R.G.E. del tribunale di Taranto), non ottenendo tutela
nonostante le molteplici procedure incardinate e nonostante, in qualche
provvedimento giurisdizionale, il magistrato estensore abbia riconosciuto la
fondatezza della doglianza da lui sollevata. Nel caso di Bello l'asta
immobiliare ha ad oggetto la casa ove vive con moglie e due figli minori (di
anni 5 ed uno), a tal punto il signor Bello avrebbe anche interessato della sua
vicenda la Presidenza della Repubblica e quest'ultima, di rimando, la Prefettura
di Taranto;
sempre nella vicenda del signor Bello, la magistratura di Taranto, non
accordandogli tutela e non sospendendo l'esecuzione, in un provvedimento
giurisdizionale, ha sostanzialmente anche asserito che non vi sarebbe alcun
vizio nel rapporto tra il medesimo e la banca, se pure l'istituto di credito,
concedendogli più prestiti a distanza di poco tempo, era a conoscenza che lo
stesso cliente non sarebbe stato in condizione di restituire il denaro (e ciò in
considerazione di quella che era la sua valutata capacità di rimborso). A parere
degli interroganti, nella stessa statuizione, vi sarebbe anche un'abnorme
legittimazione della concessione abusiva di credito;
altra vicenda molto sintomatica della pervicace chiusura dei giudici di Taranto
rispetto alla tutela da accordare agli esecutati e falliti è quella della
signora Maria Spera (procedura esecutiva n. 590/1994 R.G.E del tribunale di
Taranto). Vicenda che, nonostante non si sia ancora conclusa, ha registrato non
poche forzature, con grave danno economico, psicologico e morale dell'esecutata.
Addirittura la signora Spera ha lamentato un'illegittima duplicazione di titoli
esecutivi, con cui l'intero suo patrimonio risulta ancora bloccato: 1) la
procedura n. 590/1994 R.G.E., che si basa sul titolo esecutivo "mutuo fondiario"
e che vede quale bene pignorato un terreno di 24 ettari (terreno a cui sarebbe
interessato un facoltoso imprenditore locale, già socio di Emma Marcegaglia); 2)
un decreto ingiuntivo, che si basa sullo stesso e medesimo debito, decreto con
il quale è stato ipotecato l'intero restante patrimonio immobiliare della
signora Spera. La vicenda, a giudizio degli interroganti, è tanto più
inquietante se si pensa che il debito originario contratto dalla signora nel
1990 era a pari a 500 milioni di lire (corrispondenti a circa 258.000 euro) e la
signora, alla data del 2007, ne aveva già restituiti 400.000 euro
(corrispondenti a circa 800 milioni di lire);
ad
oggi la signora Spera, nonostante il pignoramento del terreno, sottostimato dal
tribunale di Taranto in poco più di 400.000 euro (somma che sarebbe più che
capiente rispetto all'eventuale debito residuo, ove ne residuasse, visto che
circa 400.000 euro sono stati già resi dalla signora alla Banca nazionale del
lavoro), ha l'intero suo patrimonio ipotecato, in virtù dell'altro titolo
esecutivo (il decreto ingiuntivo), emesso per lo stesso ed unico debito (che
così è consacrato in 2 distinti titoli esecutivi). Pertanto, se la signora
volesse vendere qualcosa per pagare eventuali residui debiti, non potrebbe farlo
(e nemmeno è in condizione di onorare le esose tasse sulla proprietà, se non con
gli aiuti dei figli);
la
signora Spera ha riferito agli interroganti che, decorsi 10 anni dall'iscrizione
dell'ipoteca sul suo patrimonio, in virtù del decreto ingiuntivo, nell'assenza
di atti esecutivi (perché nel frattempo la procedura è andata avanti per la
vendita del terreno pignorato sulla base del titolo esecutivo "mutuo
fondiario"), ha chiesto la cancellazione dell'ipoteca, anche ritenendo la
perenzione del decreto ingiuntivo, ma in risposta ha ottenuto dal tribunale
tarantino il rigetto della sua legittima istanza (procedura n. 3291/2014 R.G.
del tribunale). La questione pende in appello (causa n. 536/2014 R.G. della
Corte di appello di Lecce, sezione di Taranto), ma la signora Maria Spera
ritiene che incontrerà ancora l'illogico ed illegale ostacolo;
considerato, inoltre, che:
la
signora Maria Spera ha riferito agli interroganti di aver presentato, presso il
tribunale di Potenza (competente a valutare gli esposti nei confronti dei
magistrati di Taranto), denuncia penale nei confronti dei magistrati ed
ausiliari che, a suo parere, avrebbero male esercitato la funzione
giurisdizionale, causandole danni; ma anche a Potenza ha dovuto prendere atto
che, anziché ottenere tutela, ha solo registrato l'astio del pubblico ministero
e la pessima sua azione. Allo stato la signora Spera, esecutata dal 1994, non ha
ottenuto, né dai giudici di Taranto né da quelli di Potenza, la tutela che le
leggi le garantirebbero ma che la magistratura (chiamata ad applicarle) le ha
negato;
la
vicenda è già balzata agli onori della stampa (sul settimanale tarantino "Wemag"
del 12 novembre 2010) ed è stata anche oggetto di un'altra interrogazione
parlamentare presentata alla Camera dei deputati nel 2010 (4-07339 a firma
dell'on. Zazzera dell'IdV, Legislatura XVI);
ad
avviso degli interroganti, circostanza molto inquietante è quella per cui,
sempre in danno della signora Spera, né la magistratura jonica (sia in sede
civile che penale) né quella potentina (in sede penale) hanno inteso accertare
l'usura che la signora stessa ha lamentato esserle stata applicata. Usura che è
poi emersa nell'ambito di una causa civile sempre dinanzi al tribunale
tarantino, in occasione di una consulenza di ufficio redatta (causa n. 7929/2009
R.G. del tribunale di Taranto);
considerato infine che:
i
fatti lamentati, per quanto gravi, non sono isolati. Gli interroganti hanno
preso atto anche di un'intervista fatta dalla televisione locale "Studio 100" a
varie persone esecutate, che avrebbero descritto il quadro inquietante e
ricorrente al quarto piano del tribunale di Taranto, destinato appunto alle
esecuzioni e ai fallimenti: si racconterebbe di prassi illegali che, pur
denunciate, non vengono sanzionate, di "avvoltoi" che si avvicinano agli
esecutati, estorcendo denaro per rinunciare all'acquisto, per poi acquistare
all'udienza di vendita successiva, con ulteriore ribasso del prezzo e aggravio
di danno per le povere vittime;
a
giudizio degli interroganti la delicatezza dell'argomento, sia per le gravose
conseguenze sulle persone, che per i dubbi di opinabile esercizio della funzione
giurisdizionale, impone interventi urgenti e forti,
si
chiede di sapere:
se
non ricorrano le circostanze per intraprendere le opportune iniziative
ispettive, sia presso il tribunale di Taranto, che presso quello di Potenza,
onde verificare se quanto lamentato dai soggetti coinvolti corrisponda al vero
e, in caso di verifica positiva, se non ricorrano le condizioni di adozione dei
necessari provvedimenti correttivi a tutela delle parti e del corretto esercizio
della funzione giurisdizionale;
se,
nell'ambito delle attività ispettive, il Ministro in indirizzo non ritenga di
dover verificare: la sussistenza delle condotte descritte, con particolare
riguardo ai rapporti con le banche e le società di recupero crediti, ai fini
dell'eventuale adozione di provvedimenti sanzionatori da parte delle autorità
competenti; se corrisponda al vero che, presso il tribunale di Taranto, si
celebrano aggiudicazioni di immobili anche al di sotto della metà del loro
valore, e comunque in violazione delle norme di legge;
se
esista un obbligo di turnazione dei magistrati nelle sezioni di esecuzione
immobiliare e fallimentare e, in caso positivo, se lo stesso venga rispettato
presso il tribunale di Taranto e se il medesimo obbligo sussista rispetto ai
consulenti e ausiliari vari.
Dr
Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande:
Come si truccano le aste giudiziarie, o i procedimenti dei sequestri/confische
antimafia o i procedimenti concorsuali o esecutivi.
Intervista al
sociologo storico Antonio Giangrande, autore di un centinaio di saggi che
parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise
per argomenti e per territorio.
Dr Antonio
Giangrande di cosa si occupa con i suoi saggi e con la sua web tv o con i suoi
canali youtube?
«Denuncio i difetti
e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per
migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che
abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e
qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che i
procedimenti giudiziari esecutivi sono truccati o truccabili, siano esse aste
giudiziarie, o procedimenti di sequestro o confisca di beni presunti mafiosi,
ovvero procedimenti concorsuali o esecutivi.
«Oltre ad essere
scrittore, sono presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Sodalizio
nazionale antiracket ed antiusura (al pari di Libera). Associazione già iscritta
all’apposito elenco prefettizio di Taranto, ma cancellata il 6 settembre 2017
per mia volontà, non volendo sottostare alle condizioni imposte dalla normativa
nazionale: obbligo delle denunce (incentivo alla calunnia ed alla delazione) e
obbligo alla costituzione di parte civile (speculazione sui procedimenti
attivati su denunce pretestuose). Come presidente di questa associazione
antimafia sono destinatario di centinaia di segnalazioni da tutta Italia.
Segnalazioni ricevute in virtù della previsione statutaria associativa. Solo
alcune di queste segnalazioni sono state prese in considerazione e citate nei
miei saggi: solo quelle di cui si sono interessati organi istituzionali o di
stampa. Articoli giornalistici od interrogazioni parlamentari inseriti nei miei
saggi d’inchiesta: “Usuropoli. Usura e Fallimenti truccati” e “La Mafia
dell’antimafia».
Perché le
segnalazioni sono state rivolte a lei e non agli organi giudiziari?
«Per sfiducia nella
giustizia. La cronaca lo conferma. Chiara Schettini tenta di scrollarsi di dosso
le accuse pesantissime che l'hanno portata in carcere, aggravate da
intercettazioni che la inchiodano a minacce, a frasi sorprendenti come: "Io se
voglio sono più mafiosa dei mafiosi". Il Fatto contro i giudici fallimentari:
"Sono corrotti". Il quotidiano di Travaglio alza il velo sui giudici
fallimentari. A parlare è una di loro: "Ci davano 150 mila euro e viaggi pagati
per pilotare le cause...", scrive “Libero Quotidiano”. Il Fatto contro le toghe.
No, non è un ossimoro, ma l'approfondimento del quotidiano di Travaglio e
Padellaro sui tribunali fallimentari. Raramente capita di leggere sul Fatto
qualche articolo contro le toghe e la magistratura. Per l'ultimo dell'anno in
casa travaglina si fa un'eccezione. Così il Fatto alza il velo sullo scandalo
dei magistrati corrotti dei tribunali fallimentari. A parlare è l'ex giudice
Chiara Schettini, arrestata a giugno che al Fatto racconta: "A Roma era una
prassi. Viaggi e soldi in contanti erano la norma per comprare le sentenze. Si
divideva il compenso con il magistrato, tre su quattro sono corrotti". La
Schettini è un fiume in piena e accusa i colleghi: "L'ambiente della
fallimentare è ostile, durissimo, atavico, non ci sono solo spartizioni di
denaro ma viaggi, regali, di tutto di più, una nomina a commissario giudiziale
costa 150 mila euro, tutti sanno tutto e nessuno fa niente". Infine punta il
dito anche contro i "pezzi grossi" della magistratura fallimentare: "Si sapeva
tranquillamente che lì c'era chi per una nomina a commissario giudiziale andava
via in Ferrari con la valigetta e prendeva 150 mila euro da un famoso studio,
tutti sanno ma nessuno fa niente...". Cause truccate, tangenti, favori. Tra
magistrati venduti, politici, e top model che esportano milioni - La giudice
“pentita” Schettini, arrestata per corruzione e peculato, ha cominciato a fare i
nomi del “sistema”, tra avvocati, commercialisti e legami tra professionisti e
banditi della criminalità romana…, scrive Dagospia. Corruzione al tribunale: voi
fallite, noi rubiamo, scrive, invece, Pietro Troncon su “Vicenza Piu”.
Corruzione al tribunale: voi fallite, noi rubiamo, scrive Lirio Abbate su
L'Espresso n. 3 - del 23 gennaio 2014. Più che un tribunale sembra il discount
delle grandi occasioni. Una fiera dove la crisi fa arrivare di tutto: dagli
hotel alle fabbriche, a prezzi scontatissimi. Ma all'asta sarebbero finiti anche
incarichi professionali milionari, assegnati al miglior offerente. O preziosi
paracadute per imprenditori spericolati dalla mazzetta facile. Minerva e il
prezzo della verità. Fallimenti, magistrati e giornalisti, scrive Francesco
Monteleone su “Affari Italiani”. Giornalisti contro magistrati. Quanto costa
essere veritieri? E' la domanda posta dai giornalisti riuniti, all'ombra della
statua di Minerva, sulle scale del Palazzo di Giustizia di Bari. “Aste e
fallimenti truccati…” Di fronte all’ingresso dello stesso palazzo, una scritta
sul muro sintetizza impietosamente il comportamento vergognoso di alcuni
magistrati responsabili della Sezione Fallimentare, che hanno subìto
provvedimenti duri da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. E la
verità bisogna raccontarla...tutta! Una scatola di pasta piena di soldi
consegnata in un parcheggio di Trezzano. Altre due buste di denaro, una passata
di mano in un ristorante di Pogliano Milanese e una in un pub in zona San Siro.
Infine, una borsa di Versace, regalata in un negozio del centro di Milano,
scrive Gianni Santucci su “Il Corriere della Sera”. Ruota per ora intorno a
questi quattro episodi l'inchiesta della Procura su un sistema di corruzione
nelle aste giudiziarie del Tribunale di Milano. Ville in Sardegna all’asta
assegnate dai magistrati ai loro colleghi. Sospeso il giudice Alessandro Di
Giacomo e un perito. Otto indagati in tutto. Il sospetto di altri affari
pilotati, scrive Ilaria Sacchettoni il 15 dicembre 2017 su "Il Corriere della
Sera". Magistrati che premiano altri magistrati nell’aggiudicazione di ville
superlative. Avvocati che, in virtù dell’amicizia con presidenti del Tribunale
locale, si prestano a dissuadere altri avvocati dall’eccepire. Colleghi degli
uni e degli altri che, interpellati dagli ispettori del ministero della
Giustizia, su possibili turbative d’asta oppongono un incrollabile mutismo.
Massa e Pisa, aste truccate: “Dobbiamo rubare il più possibile”. Chiesta la
sospensione del giudice Bufo. L'accusa è di aver sottratto soldi all'erario e
aver dato gli incarichi alla figlia dell'amico. Sette provvedimenti. Ai
domiciliari anche l’ex consigliere regionale Luvisotti (An), scrivono Laura
Montanari e Massimo Mugnaini il 10 gennaio 2018 su "La Repubblica". «Qui bisogna
cercare di rubare il più possibile» dice uno. E l’altro che è un giudice,
Roberto Bufo, 56 anni, di Carrara ma in servizio al tribunale di Pisa, risponde:
«Esatto». E il primo: «Il concetto di fondo è uno solo... anche perché tanto a
essere onesti non succede niente». La procura di Caltanissetta ha chiesto il
rinvio a giudizio per la Saguto e per 15 suoi amici, scrive il 26 ottobre 2017
Telejato.
DOPO MESI DI
INDAGINI, INTERROGATORI, INTERCETTAZIONI, IL NODO È ARRIVATO AL PETTINE. La
procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per la signora Silvana
Saguto, già presidente dell’Ufficio Misure di prevenzione, accusata assieme ad
altri 15 imputati, di corruzione, abuso d’ufficio, concussione, truffa
aggravata, riciclaggio, dopo una requisitoria durata cinque ore. Saranno invece
processati col rito abbreviato i magistrati Tommaso Virga, Fabio Licata e il
cancelliere Elio Grimaldi. Tra coloro per cui è stato chiesto il rinvio figurano
il padre, il figlio Emanuele e il marito della Saguto, il funzionario della DIA
Rosolino Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano,
assieme ad altri suoi parenti, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo.
Virus su rai 2 condotto da Nicola Porro. 22:33 va in onda un servizio dedicato
al caso del magistrato Antonio Lollo di Latina. Gomez: "C'è un problema in
Italia riguardo i tribunali fallimentari. Non è la prima volta che un magistrato
divide i soldi con il consulente. Nelle fallimentari, è noto che c'è la
cosiddetta mano nera. Sulle aste, succedono cose strane. E se a dirlo è Peter
Gomez, il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, giornale notoriamente
giustizialista e genuflesso all’autorità dei magistrati, è tutto dire. Ed
ancora.
RACKET DI
FALLIMENTI E ASTE. LE CONNIVENZE DELLA PROCURA FANTASMA TRIESTINA, scrive Pietro
Palau Giovannetti (Presidente di Avvocati senza Frontiere). Non solo a Trieste.
E adesso l'inchiesta sulle aste pilotate a palazzo di giustizia potrebbe salire
decisamente di tono: alla Procura di Brescia, competente a indagare sui
magistrati del distretto di Milano (dunque anche quelli lecchesi), sarebbero
stati inviati mesi fa una serie di documenti di indagine, scrive Claudio Del
Frate con Paolo Marelli su “Il Corriere della Sera”. Ed ancora. Tangentopoli
scuote ancora Pavia, scrive Sandro Repossi su “Il Corriere della Sera”. Mentre
il sostituto procuratore Vincenzo Calia invia due avvisi di garanzia a
personaggi "eccellenti" del Policlinico San Matteo come Giorgio Domenella,
primario di traumatologia, e Giovanni Azzaretti, direttore sanitario, spunta
un'altra ipotesi: un magistrato sarebbe coinvolto nell'inchiesta sulle aste
giudiziarie. Caso San Matteo. Ed ancora. Il pm Paolo Toso ha presentato oggi le
richieste di pena per i 15 imputati del processo sulle aste giudiziarie
immobiliari di Torino e provincia: in totale 62 anni di condanna. Aste
immobiliari, il business dal lato oscuro. L'incanto di case e immobili, in
arrivo da fallimenti di privati e imprese è, complice la crisi, un settore in
crescita esponenziale. Ma anche uno dei più grandi coni d'ombra del sistema
giudiziario, scrive Luciana Grosso su “L’Espresso”. Se avete qualche soldo da
riciclare, le aste immobiliari sembrano essere fatte apposta. E sono tante:
circa 50mila all'anno, per un valore complessivo incalcolabile e, soprattutto,
incalcolato. Corruzione e falso, arrestati giudice e cancelliere a Latina,
scrive “la Repubblica”. Corruzione in atti giudiziari, concussione, turbativa
d'asta, falso. Sono alcune delle accuse contestate a otto persone ai quali la
squadra mobile di Latina ha notificato ordinanze di custodia cautelare emesse
dai giudici di Perugia e di Latina. Tra gli arrestati, quattro in regime di
detenzione in carcere e altrettanti ai domiciliari, anche un magistrato e un
cancelliere in servizio presso il tribunale del capoluogo, alcuni professionisti
e un sottufficiale della Guardia di Finanza. Al giudice andava una percentuale
dei compensi che, in sede di giudizio, lo stesso giudice riconosceva ai
consulenti. Le indagini avrebbero accertato come i consulenti nominati dal
giudice nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a
quest'ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso.
Il filone di indagine ha permesso anche di svelare altri illeciti sullo
svolgimento delle aste disposte dal Tribunale di Latina per la vendita di beni
oggetto di liquidazione. Tutto questo non basta ad avere sfiducia nella
Magistratura? Ogni segnalazione conteneva una denuncia presentata, che si è
conclusa con esito negativo. Sono stato sentito dagli organi inquirenti,
territorialmente toccati dagli scandali, per rendere conto del mio dossier. Gli
ho spiegato che sono uno scrittore e non un Pubblico Ministero con potere
d’indagine, con l’inchiesta giudiziaria bell’e fatta, né sono una parte con le
prove specifiche allegate alla singola denuncia rimasta lettera morta. Val bene
che una denuncia può non essere sostenuta da prove, o che al massino vale un
indizio. Ma decine di casi a supporto di un’accusa, valgono decine di indizi che
formano una prova. Se si ha fede si crede a ciò che non si vede; se non si ha
fede (voglia di procedere da parte di PM o suoi delegati), una montagna di prove
non basta! Anche il giornalista di Telejato, Pino Maniaci, a Palermo non veniva
creduto quando parlava di strane amministrazioni giudiziarie sui beni
sequestrati e confiscati a presunti mafiosi, che poi le sentenze non li
ritenevano mafiosi. Però, successivamente, l’insistenza e lo scandalo ha
costretto gli inquirenti a procedere contro i loro colleghi magistrati, che poi
sono i dominus dei procedimenti giudiziari, anche tramite i collaboratori che
loro nominano. Comunque di scandali se ne parla e se ne è parlato. Quasi tutti i
Tribunali sono stati toccati da scandali od inchieste giudiziarie. Quei pochi
luoghi rimasti immuni sono forse Fori unti dal Signore...».
Spieghi, lei,
allora, come si truccato le aste giudiziarie e i procedimenti connessi…
«LA NOMINA DEI
COLLABORATORI DA PARTE DEL GIUDICE TITOLARE. I custodi giudiziari spesso si
spacciano anche per amministratori giudiziari, per poter pretendere con
l’avvallo dei magistrati compensi raddoppiati e non dovuti. Essendo i consulenti
tecnici, i periti, gli interpreti ed i custodi/amministratori giudiziari i
principali ausiliari dei magistrati, come a questi ci si pretende di porre in
loro una fiducia incondizionata. Spesso, però ci si accorge che tale fiducia è
mal riposta, sia nei collaboratori, che nei magistrati stessi. La nomina del
curatore esecutivo o del commissario concorsuale o amministratore dei beni
mafiosi sequestrati o confiscati si dice che avviene per rotazione. Vero!
Bisogna però verificare la quantità degli incarichi e, ancor di più, la qualità.
Un incarico del valore di 10 mila euro è diverso da quello di 10 milioni di
euro. All’amico si affida l’incarico di valore maggiore con liquidazione
consistente del compenso! Di quest’aspetto ne parla la “Stampa”. Giuseppe
Marabotto era scampato a un primo processo per un serio reato (aveva rivelato a
un indagato che il suo telefono era sotto controllo). Chiacchierato da molti
anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha costruito in una tranquilla
periferia giudiziaria un regno personale e il malaffare perfetto per chi, come
lui, si sentiva impunito stando dalla parte della legge: 11 milioni di euro
sottratti allo Stato sotto forma di consulenze fiscali seriali ed inutili ai
fini di azioni giudiziarie. Secondo quanto scrivono Il Messaggero e Il Fatto
Quotidiano la procura di Perugia sta indagando sulla gestione delle procedure
fallimentari del Tribunale di Roma. Ovvero di come il Tribunale assegna i vari
casi di crisi aziendali ai curatori fallimentari, avvocati o commercialisti, che
in base al valore della pratica che gestiscono vengono pagati cifre in alcuni
casi molto alte. L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è che a “guidare” queste
assegnazioni ci sia un sistema clientelare o corruttivo.
L’AFFIDAMENTO E LA
GESTIONE DEI BENI CONFISCATI/SEQUESTRATI AI PRESUNTI MAFIOSI. I beni dei
presunti mafiosi confiscato o sequestrati preventivamente sono affidati e
gestiti da associazione di regime (di sinistra) che spesso illegittimamente sono
punto di riferimento delle prefetture, pur non essendo iscritte nell’apposito
registro provinciale, e comunque sempre destinatari di fondi pubblici per la
loro gestione, perchè vincitori di programmi o progetti allestiti dalla loro
parte politica.
LA DURATA DEL
MANDATO. Un mandato collusivo e senza controllo porta ad essere duraturo e senza
soluzione di continuità. Quel mandato diventa oneroso per i beni e ne
costituiscono la loro naturale svalutazione. Trattiamo della nomina e della
remunerazione dei custodi/amministratori giudiziari. In questo caso trattasi di
custodia dei beni sequestrati in procedimenti per usura. Il custode ha pensato
bene di chiedere il conto alle parti processande, ben prima dell’inizio del
processo di I grado ed in solido a tutti i chiamati in causa in improponibili
connessioni nel reato, sia oggettive che soggettive. Chiamati a pagare erano
anche a coloro a cui nulla era stato sequestrato e che poi, bontà loro, la loro
posizione era stata stralciata. Questo custode ha pensato bene di chiedere ed
ottenere, con l’avallo del Giudice dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben
72.000,00 euro (settantaduemila) per l’attività, a suo dire, di
custode/amministratore. Sostanzialmente il GUP, per pervenire artatamente
all’applicazione delle tariffe professionali dei commercialisti, in modo da
maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che la qualifica spettante al
suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati (art. 321 cpp, primo
comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati (art. 321 cpp, secondo
comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL 306/1992 che applica
gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L. 575/1965). Il presidente
Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola in decreto, solo la somma
di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che non tutti possono
permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP, è inconcepibile
l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto effettivamente
riconosciuto dal Presidente del Tribunale di Taranto. Anche “Il Giornale” ha
trattato la questione. Parcelle gonfiate, indagato consulente del Pm. Avrebbe
ritoccato note spese liquidate dalla Procura: è stato nominato in 144
procedimenti. Con le accuse di truffa ai danni dello Stato e frode fiscale, il
pm Luigi Orsi ha messo sotto inchiesta il commercialista M.G., più volte
nominato consulente tecnico del pubblico ministero e dell'ufficio del giudice
civile e anche amministratore giudiziario di beni sequestrati. E poi c’è
l’inchiesta de “Il Messaggero”. Tribunale fallimentare, incarichi d'oro.
Inchiesta sui compensi da capogiro. In tribunale, avvocati e cancellieri ne
parlano con circospezione. E lo raccontano come se fosse un bubbone che prima o
poi doveva scoppiare, perché gli interessi economici in ballo sono davvero
altissimi e gli esclusi dalla grande torta cominciavano a dare segni di
insofferenza da tempo.
LA VALUTAZIONE DEI
BENI. La valutazione dei beni da vendere all’asta pubblica è fatta in ribasso,
anche in forza di attestazioni false dello stato dei luoghi. Per esempio: si
prende una visura catastale in cui il terreno risulta incolto/pascolo, ma in
effetti è coltivato ad uliveto o vigneto. Oppure si valuta come catapecchia una
casa ben manutenuta e rinnovata. Esemplare è il fallimento della Federconsorzi.
Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili
e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti
di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione
di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello scandalo
è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato
entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
LE FUGHE DI
NOTIZIE. Le fughe di notizie sulla situazione dei beni, le notizie sulla
pericolosità o meno dei loro proprietari, o gli avvisi sulle offerte sono cose
risapute.
LA MANCATA VENDITA.
Spesso ci sono dei personaggi, con i fascicoli dei procedimenti in mano, che in
cambio di tangenti promettono la sospensione della vendita. Altre volte i
proprietari mettono in essere comportamenti intimidatori nei confronti dei
possibili acquirenti, tanto da inibirne l’acquisto.
LA VENDITA VIZIATA.
La vendita del bene all’asta può essere viziata, impedendo ai possibili
acquirenti di parteciparvi. Per esempio si indica una data di vendita sbagliata
(anche da parte degli avvocati nei confronti dei propri clienti esecutati), o il
luogo di vendita sbagliato (un paese per un altro).
L’AQUISTO DI
FAVORE. L’acquisto dei beni è spesso effettuato tramite prestanomi al posto di
chi non è legittimato all’acquisto (come per esempio il proprietario esecutato),
e spesso effettuato per riciclaggio o auto riciclaggio.
IL PREZZO VILE
(VALORE TROPPO BASSO RISPETTO AL MERCATO). Il filo conduttore che lega tutte le
aste truccate è la riconducibilità al prezzo vile: ossia il quasi regalare il
bene da vendere all’asta, frutto di sacrifici da parte degli esecutati, rispetto
al valore di mercato, affinchè si liquidi il compenso dei collaboratori del
giudice, e, se ne rimane, il resto al creditore».
Cosa si può fare
contro il prezzo vile?
«Contro il prezzo
vile, se si vuole si può intervenire. Casa all'asta: addio aggiudicazione se il
prezzo è troppo basso. Importante ordinanza del Tribunale di Tempio sulla revoca
dell'aggiudicazione di un immobile all'asta, scrive la dott.ssa Floriana Baldino
il 10 febbraio 2018 su “Studio Castaldi” - Dal tribunale di Tempio, con la firma
del giudice Alessandro Di Giacomo, arriva un'importante decisione. Il giudice, a
seguito del deposito di un ricorso urgente, ha revocato l'aggiudicazione
dell'immobile all'asta, considerando la circostanza che l'immobile era stato
venduto ad un prezzo troppo basso rispetto al valore che lo stesso aveva sul
mercato. Il giudice, infatti, deve sempre valutare l'adeguatezza del prezzo di
vendita rispetto a quello di mercato onde evitare "l'eccesso di ribasso", che
sicuramente non va a vantaggio né del creditore né del debitore. L'unico a
trarne vantaggio sarebbe soltanto colui che all'asta acquista l'immobile ad un
prezzo irrisorio. Il giudice Di Giacomo, accogliendo dunque la tesi
dell'avvocato difensore, ha revocato l'aggiudicazione dell'asta in base ai
principi stabiliti dalla legge n. 203 del 1991. Tale legge parla impropriamente
di "sospensione" ma, in verità, attribuisce al G.E. – fino all'emissione del
decreto di trasferimento – un vero e proprio potere di revocare l'aggiudicazione
dell'immobile a prezzo iniquo. Il potere di revocare l'aggiudicazione, prima
spettava solo al giudice delegato ex art. 108 della legge fallimentare, ma la
riforma ha attribuito questo potere al giudice dell'esecuzione, allo scopo di
"restituire il processo esecutivo alla fase dell'incanto che andrà rifissato con
diverse modalità, affinchè la gara tra gli offerenti si svolga per
l'aggiudicazione del bene al prezzo giusto".
La sospensione
della vendita. Già prima dell'approvazione del decreto del 2016, molti giudici,
di diversi tribunali, avvalendosi della possibilità riconosciuta loro ex art.
586 c.p.c., in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 203/91 di
conversione del D.lg. n. 152/91, sospendevano la vendita quando il prezzo era
notevolmente inferiore a quello "giusto". Quel decreto, urgente, era stato
pensato per la lotta alla criminalità organizzata delle vendite pilotate, ovvero
negli anni in cui si assisteva ad una serie di incanti deserti al fine di
conseguire, attraverso successivi ribassi, un prezzo di aggiudicazione
irrisorio. Questa legge, pensata e studiata per la lotta alla criminalità
organizzata, è stata poi applicata in diversi tribunali e per tutte le procedure
che non avevano più alcuna utilità. Ogniqualvolta i giudici ritenevano che gli
interessi economici del debitore e del creditore venissero frustrati dal prezzo
troppo basso di aggiudicazione dell'immobile, potevano, a discrezione,
"sospendere la vendita". Così, ad es., il tribunale di Roma, sez. distaccata di
Ostia, con ordinanza del 9 Maggio 2013 che ha sospeso per un anno l'esecuzione
immobiliare dopo cinque tentativi di asta. Nella fattispecie, il prezzo del bene
si era talmente ridotto rispetto alla stima del perito che il giudice ha
ritenuto che la sospensione di un anno della procedura, potesse essere un
congruo termine per tentare la vendita dell'immobile ad un prezzo diverso, e
magari più adeguato. Al Tribunale di Napoli invece un giudice è andato oltre
restituendo il bene al debitore (ord. del 23.01.2014.), facendo riferimento a
due principi importanti. Il primo, della ragionevole durata del processo, ed il
secondo, principio cardine a cui il giudice napoletano ha fatto riferimento,
quello secondo cui, procedere con l'esecuzione, non era più fruttuoso né per il
debitore né per il creditore, sempre per il c.d. "giusto prezzo".
Successivamente anche il Tribunale di Belluno si è espresso in tal senso con
ordinanza del 3.06.2013.
La necessaria
utilità del processo esecutivo. Il processo esecutivo deve avere una sua
utilità. Soddisfare il creditore e liberare il debitore dai suoi debiti. Il
periodo storico in cui ci troviamo non è sicuramente dei migliori ed il mercato
immobiliare è sicuramente molto penalizzato. Si assiste sempre a situazioni in
cui alle aste non vi è alcuna proposta di acquisto, almeno fino a quando il
prezzo dell'immobile rimane alto. Poi il bene viene venduto ad un prezzo
veramente irrisorio ed il creditore non viene soddisfatto dal prezzo ricavato
dalla vendita, mentre il debitore si ritrova senza immobile (in molti casi
proprio la prima abitazione) e con ancora i debiti da saldare. Molte norme sono
intervenute in aiuto degli imprenditori in crisi ed ora tutto sta nelle mani dei
giudici dei tribunali, che possono applicare le norme in una maniera più
elastica e meno rigida.
La giurisprudenza.
Importante, in materia di esecuzione, è la sentenza n. 692/2012 della
Cassazione. Occupandosi di esecuzione in materia fiscale, la S.C. ha ribadito
che: "Nell'esecuzione esattoriale il potere del giudice di valutare
l'adeguatezza del prezzo di trasferimento non solo non subisce alcuna eccezione
rispetto l'esecuzione ordinaria ma deve essere esercitato con particolare
oculatezza, sì da valutare se, nel singolo caso, sia più dannoso per lo Stato
creditore il protrarsi dei tempi di riscossione o la perdita della possibilità
di realizzare gran parte del proprio credito, a causa della sottovalutazione del
bene pignorato". Una massima enunciata prima della approvazione del "decreto del
fare", ovvero quando ancora Equitalia poteva pignorare e vendere all'asta gli
immobili dei contribuenti. La massima enunciata dalla Cassazione in materia
tributaria, si adegua, ed uniforma, a quello da sempre sottolineato nel
procedimento civile.
Il processo
esecutivo deve mantenere la sua utilità. La Cassazione specifica inoltre che il
concetto di prezzo giusto, non richiede necessariamente una valutazione
corrispondente al valore di mercato, ma occorre aver riguardo alle modalità con
cui si è pervenuti all'aggiudicazione, al fine di accertare se tali modalità
(pubblicità ed altro), siano stati tali da sollecitare l'interesse
dell'acquisto. Insomma, sempre più numerose le sentenze a favore del consumatore
indebitato che vede svendere i propri beni senza ottenere, per di più, dalla
vendita la soddisfazione dei creditori».
Come bloccare
un'Asta?
«Se la tua casa è
all’asta esistono diversi metodi per sospendere o bloccare definitivamente il
pignoramento a seconda delle situazioni. L’importante è che le aste vadano
deserte, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Molto spesso – specie
quando si ha a che fare con la legge – si prende cognizione dei problemi quando
il danno è spesso irrimediabile. Succede a chi ha la casa pignorata che, dopo
aver ignorato gli svariati avvisi del creditore e aver sottovalutato le carte
ricevute dal tribunale, si chiede come bloccare un’asta. In verità, anche per
chi è soggetto a un’esecuzione forzata immobiliare, esistono alcune scappatoie,
pienamente legali, ma da prendere con le dovute cautele. Infatti, se è vero che
esse consentono di sbarazzarsi del pignoramento dall’oggi al domani, dall’altro
lato non vengono accordate dal giudice con facilità e automatismo. Del resto,
come tutte le norme, anche quelle che consentono di bloccare un’asta immobiliare
sono soggette a interpretazione e, peraltro, come vedremo, lasciano un campo di
azione abbastanza ampio alla valutazione del giudice. Ma procediamo con ordine.
Il problema della casa all’asta resta il cruccio principale per molti debitori
che subiscono il pignoramento. Impropriamente si crede peraltro che la «prima
casa» non sia pignorabile, cosa non vera per due ordini di motivi: innanzitutto
il limite vale solo nei confronti dell’agente della riscossione (Equitalia o,
dal 1° luglio 2017, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione); in secondo luogo
perché a non essere pignorabile non è la «prima casa» ma solo l’unico immobile
di proprietà del debitore (per cui, se questi ha due case, ad essere pignorabili
sono entrambe e non solo la seconda). A dirla tutta, quando si tratta di
creditori privati (la banca, un fornitore o la controparte che ha vinto una
causa) il pignoramento immobiliare può essere avviato anche per debiti di scarso
valore (invece, per i debiti con il fisco il pignoramento è possibile solo
superati 120mila euro). Prima di capire come bloccare la casa all’asta sono
necessarie due importanti precisazioni. La prima cosa da sapere è che, di norma,
prima di procedere al pignoramento (e, quindi, all’asta), il creditore iscrive
un’ipoteca sull’immobile. Per quanto ciò non sia vincolante (lo è solo nel caso
in cui ad agire sia l’Agente della riscossione), avviene quasi sempre perché
attribuisce un diritto di prelazione sul ricavato: in altre parole, il creditore
con l’ipoteca si primo grado si soddisfa prima degli altri. La seconda
indispensabile precisazione è che, per bloccare la casa all’asta si può
contestare le ragioni del creditore solo se questi agisce in forza di un assegno
o di un contratto di mutuo. Viceversa, se il creditore agisce in forza di una
sentenza di condanna, il debitore non può più metterla in discussione (avendo
avuto il termine per fare appello o ricorso per cassazione). Quindi, se il
giudice ha fissato il nuovo esperimento d’asta e il creditore agisce perché ha
ottenuto un decreto ingiuntivo (ad esempio, la banca per interessi non
corrisposti) non è più possibile sollevare eccezioni sul merito del credito (ad
esempio sull’anatocismo)».
Ma allora quando si
può bloccare la casa all’asta?
«Le ragioni sono
essenzialmente legate all’utilità della procedura. Ci spieghiamo meglio, scrive
lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Lo scopo del pignoramento – e quindi
delle aste – è quello di liquidare i beni del debitore e, con il ricavato,
soddisfare il creditore procedente. Una procedura che realizza l’interesse di
entrambe le parti: quello del creditore – perché così ottiene i soldi che gli
spettano – e quello del proprietario della casa – perché in tal modo si libera
del debito. Quando però queste due finalità non possono essere realizzate,
allora non c’è ragione di tenere in vita la procedura. Si pensi al caso di
un’asta battuta a un prezzo ormai così basso da non consentire al creditore di
recuperare neanche la metà delle somme per le quali agisce, al netto delle spese
legali già sostenute. Nello stesso tempo, l’eventuale vendita – eseguita magari
a favore di chi, furbescamente, ha atteso diverse aste prima di proporre
un’offerta, in modo da far calare il prezzo – non consente al debitore di
liberarsi della morosità, peraltro espropriandolo di un bene per lui vitale.
Risultato: insoddisfatto il creditore, insoddisfatto il debitore. Consapevole di
ciò il legislatore ha, di recente, emanato due norme che, sebbene possano
apparire indipendenti tra loro, se applicate l’una con l’altra possono favorire
la rapida conclusione del pignoramento.
COME BLOCCARE
L’ASTA. Qualora non si presenti alcun offerente alle aste promosse dal
tribunale, il giudice può disporre un ribasso del prezzo di vendita del 25%
(ossia di un quarto). Molto spesso, però, nonostante i ribassi e il calo
drastico del prezzo rispetto alla stima fatta all’inizio del pignoramento dal
consulente del tribunale (il cosiddetto «Ctu», ossia il consulente tecnico
d’ufficio), non si presenta alcun offerente. Con la conseguenza che il prezzo
d’asta scende sempre di più fino al punto da non soddisfare le pretese dei
creditori. Così il codice di procedura stabilisce che «quando risulta che non è
più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei
creditori – anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della
procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore
di realizzo – è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo». In
pratica, tutte le volte che la casa, sottoposta a pignoramento immobiliare, non
trova potenziali acquirenti e la base d’asta, a furia di ribassi, arriva a un
prezzo che non è in grado di garantire un ragionevole soddisfacimento dei
creditori il giudice decreta la fine anticipata del processo esecutivo. Si
tratta di una estinzione anticipata del pignoramento che non consente allo
stesso di risorgere in un secondo momento. Questo significa che il debitore
torna nella piena disponibilità della propria casa prima pignorata e non dovrà
subire alcuna asta. Ma quando è possibile raggiungere questo risultato? Quante
aste bisogna aspettare? In teoria molte. E proprio per questo è intervenuta la
seconda parte della riforma di cui abbiamo accennato in partenza. La seconda
norma in evidenza è contenuta nel cosiddetto «decreto banche» dell’inizio 2016.
In base all’ultima riforma del processo esecutivo, quando il terzo esperimento
d’asta va deserto e il bene pignorato non viene aggiudicato, il giudice dispone
un quarto tentativo di asta e, per rendere più allettante la partecipazione
degli offerenti, può decurtare fino a metà il prezzo di vendita. Con l’ovvia
conseguenza che, andata deserta anche la quarta asta, il prezzo di vendita sarà
sceso così tanto da consentire il verificarsi di quella condizione – prima
descritta – che consente l’estinzione anticipata del pignoramento: ossia
l’impossibilità di conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei
creditori. Ecco così che già dopo la quarta o la quinta asta, al più dopo la
sesta, è possibile bloccare le aste successive e chiudere una buona volta il
pignoramento. Del resto scopo del pignoramento è quello di soddisfare il
creditore e non infliggere al debitore una sanzione esemplare. Tanto è vero che
una recente ordinanza del Tribunale di Tempio ha stabilito che: «Neppure le
esigenze di celerità cui tale particolare procedura è improntata (si riferisce
all’ esecuzione esattoriale), in forza delle quali l’espropriazione anche per
prezzo vile trova la sua ragion d’essere nel preminente interesse dello Stato
procedente, possono giustificare che il trasferimento degli immobili pignorati
prescinda da un qualsiasi collegamento con il valore dei beni e che tale valore
possa essere anche irrisorio, atteso che l’espropriazione ha la finalità di
trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non certo
di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente». Secondo il giudice
quindi è anche possibile sospendere la vendita se il prezzo è troppo basso. Il
che è previsto dal codice di procedura civile che prevede la possibilità di
sospendere il pignoramento anche una volta intervenuta la vendita: «Avvenuto il
versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può sospendere la vendita
quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello
giusto».
LA SOSPENSIONE
DELL’ESECUZIONE FORZATA SULLA CASA. C’è poi la possibilità di chiedere la
sospensione del pignoramento quando il giudice ritiene che il prezzo offerto sia
notevolmente inferiore a quello giusto e di mercato. La misura è nell’interesse
sia del debitore (che ha interesse a che la casa si venda al prezzo reale, per
poter chiudere la partita col creditore), sia del creditore stesso (che intende
recuperare quanto più possibile delle somme che gli spettano). Si tratta di un
potere riservato al vaglio discrezionale del tribunale (ma che, ovviamente può
essere sollecitato dagli avvocati delle parti) che comporta il differimento
dell’asta pubblica “a data da destinarsi” (ossia a quando il mercato sarà più
“maturo”). Sempre che, nelle more, non intervengano altri eventi modificativi
del processo come, per esempio, il disinteresse del creditore, una trattativa
tra le parti che porti a una transazione con sostanziale decurtazione del
debito, ecc.
NEL CASO DI
FALLIMENTO. Anche se la vendita avviene per via di un fallimento, le cose non
cambiano. Difatti, la legge fallimentare prevede, nel caso in cui oggetto della
vendita forzata sia un bene appartenente a un imprenditore fallito, che «il
giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri
interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere,
con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e
giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti». In
passato il tribunale di Lanciano, nell’ambito di pignoramento immobiliare
conseguente a un fallimento ha preso atto del notevole squilibrio tra il prezzo
di base d’asta dell’immobile e quello di mercato (per come attestato dalla
perizia del Consulente tecnico d’ufficio) e, sulla scorta di ciò, ha sospeso la
vendita della casa pignorata».
Commissione d’incasso. Mancata Trasparenza o Tangente bancaria.
Se in Italia dal punto di vista fiscale si pagano le imposte dirette sul lavoro,
si pagano le imposte indirette sull’acquisto di un bene frutto di quel lavoro e
si pagano le tasse per il possesso di quello stesso bene, dal punto di vista
bancario si pagano gli interessi sul denaro altrui e si pagano le commissioni
bancarie per tenere ed avere il denaro proprio.
Come dire? Dalla padella, nella brace.
A tal proposito racconto che l’amministratore di un immobile locato distribuisce
ai proprietari, eredi in comunione, la 16ª parte del canone di locazione. Ad
ognuno di loro tocca euro 55,40 liquidati con assegni della banca del medesimo
amministratore. Gli eredi già pagano le imposte dirette e comunali
sull’immobile.
Il 16 ottobre 2023, avendo ricevuto l’assegno nominativo circolare bancario di
euro 55,40 dell’Iccrea Banca di Credito Cooperativo di Avetrana, anziché
depositarlo gratuitamente sul mio conto di una banca terza, per fare prima
decido di incassarlo direttamente dalla banca traente e trattaria, ma
all’incasso mi consegnano solo 50,40 euro.
Si sono trattenuti 5,00 euro, pari al 10% del valore del loro stesso assegno.
Alla mia domanda sul perché quell’ammanco, mi si risponde: così è, gliel’ho
detto.
Non essendo cliente di quella banca, non ho potuto leggere le condizioni
generali di gestione, né all’esterno vi era alcun avviso sull’incasso degli
assegni, tanto meno sono stato avvisato oralmente, altrimenti avrei receduto
dall’incassare in quel modo.
E’ successo ad Avetrana, ma è come se fosse successo in ogni parte d’Italia.
Io avendo un conto corrente con un’altra banca non ci casco più, ma chi non ha
un conto corrente bancario aperto, o ce l’ha online, come fa? Deve patire?
E’ normale questo andazzo? Come definire quest’azione: mancata trasparenza o
tangente bancaria del 10%?
Bisogna sempre subire e tacere, specie se le banche sono agevolate dalla
politica e sono solite finanziare la pubblicità mediatica, per far tacere queste
anomalie?
Antonio Giangrande: INCHIESTA ESCLUSIVA. PARLIAMO DELLE RIFORME CHE NESSUNO
VUOLE.
LIBERALIZZAZIONI FARLOCCHE E TUTELA DI CASTE E LOBBIES
ELETTORI. ATTENTI AL TRUCCO. ALZATE LA TESTA.
Tra
liste bloccate per amici e parenti e boutade elettorali, ogni nuova tornata
elettorale, come sempre, non promette niente di nuovo: ergo, niente di buono. I
vecchi tromboni, nelle idee più che nell’età, minacciano il nostro futuro - dice
il dr Antonio Giangrande, scrittore dissidente e presidente dell'Associazione
Contro Tutte le Mafie - Nomi e numeri: al 15 agosto 2012 il parlamentare con
maggiore permanenza (40 anni) alla Camera è Giorgio La Malfa, ex ministro negli
anni 80, tra i leader del Partito Repubblicano, di cui suo padre Ugo è stato uno
storico dirigente: il suo debutto da onorevole risale al 1972. Al secondo posto
Mario Tassone, (Udc) deputato da 34 anni e 14 giorni. Quindi Francesco Colucci
(PdL) 33 anni e 34 giorni. Al quarto posto, appaiati, due "big" della scena
politica nazionale: i presidenti della Camera Gianfranco Fini (Fli) e il leader
Udc Pier Ferdinando Casini, entrambi con 29 anni e 32 giorni. ln Senato è il
presidente della Commissione Antimafia Beppe Pisanu ad essere saldamente al
primo posto: 38 anni e 128 giorni per lui. Il secondo, Altero Matteoli del Pdl,
è staccato di ben 9 anni, come il collega di partito Filippo Berselli. La
presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro è all'ottavo posto con 25 anni e
42 giorni, più di Emma Bonino (21 anni e 90 giorni), ma soprattutto più di
Franco Marini: 20 anni e 111 giorni. Maurizio Gasparri e i leghisti Roberto
Calderoli e Roberto Castelli sono parlamentari da 20 anni. E Pedica? Lui, che ha
fatto le pulci ai suoi colleghi, stilando la classifica dei vecchi, non lo
scrive ma, eletto la prima volta alla Camera il 6 giugno 2006 (ora è al Senato),
finora ha trascorso da onorevole 6 anni e 71 giorni.
Paolo Del Debbio che su Rete 4 ha condotto la prima puntata di Quinta Colonna in
risposta ai cittadini in esterna a Roma che dicevano che i politici erano tutti
uguali e che dovevano andare a casa ha risposto: “ma li vota la gente, li votate
voi”. Bene. Questi giornalisti pagati dalla politica e dall’economia se nei loro
salotti, anziché ospitare le solite litanie di vecchi tromboni con idee vetuste
sulla società, invitassero qualcuno con idee innovative, forse sì che si
farebbero le riforme.
RIFORME VERE, NON ARTEFATTE E MILLANTATORIE.
Per
esempio vi ricordate delle liberalizzazioni di Bersani? Dopo due decenni alla
voce carburanti i rincari più pesanti: +170%. Ma anche l'assicurazione non
scherza: i costi sono triplicati e ora contano per il 17% del totale, mentre le
tasse ammontano al 6%.
Per
esempio sui concorsi pubblici a 13 anni dall'ultima selezione per esami e titoli
- che si è svolta in ambito regionale soltanto per alcune classi di concorso - e
dopo 22 anni da quella precedente, ancora valida per le materie d'insegnamento
con le graduatorie più affollate, è facile immaginare che le persone interessate
al concorso di insegnante sono davvero parecchie. La dichiarazione più
autorevole è quella dello stesso Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo che
parla di concorso destinato a coloro che sono già abilitati. In questo caso
potrebbero partecipare tutti gli inclusi nelle graduatorie ad esaurimento dei
precari e tutti coloro che, pur non essendo inclusi in queste liste, si sono
abilitati attraverso i precedenti concorsi a cattedre. Insomma, chi lo dice ai
candidati che questo non è un concorso, ma una sanatoria al precariato.
Ora
parliamo delle riforme forensi ed in particolar modo di accesso alla
professione. Tralasciando le innumerevoli interrogazioni parlamentari che
denunciano le anomalie e l’irregolarità di un concorso che tutti sanno essere
truccato ed impunito, passiamo all’analisi politica dell’approccio al problema.
Con l’avvento di Berlusconi con le sue abbindolanti promesse di libertà si ebbe
l’illusione che l’Italia delle professioni stesse per cambiare.
L’on. Luca Volontè, (UDC) alla Camera, il 5 luglio 2001, presenta un progetto di
legge, il n. 1202, in cui si dichiara formalmente che in Italia gli esami per
diventare avvocato sono truccati. Secondo la sua relazione diventano avvocati
non i capaci e i meritevoli, ma i raccomandati e i fortunati. Propose il doppio
binario di abilitazione: esame ed al suo superamento l’abilitazione ovvero
patrocinio legale di 6 anni ed al termine l’abilitazione. Nel 2003 (Legge 180,
conv. Dl 112) si è partorito dalla mente geniale dei leghisti l’obbrobrio della
pseudo riforma razzista dei compiti itineranti. Il 12 luglio 2011 sulla strada
dell’approvazione della finanziaria il governo ha vissuto una giornata
incandescente. Questa volta non si è trattato di proteste dell’opposizione o di
leggi ad personam del premier. Il caso è esploso all’interno del Popolo della
libertà. Perché diversi esponenti del partito hanno alzato le barricate contro
una norma sulla liberalizzazione degli ordini professionali. Dopo una raccolta
di firme di parlamentari del Pdl, è arrivata la retromarcia dell’esecutivo, con
il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto che ha spiegato: “E’
stata raggiunta l’intesa tra maggioranza e governo sull’emendamento relativo
alla liberalizzazione delle professioni”. L’annuncio dopo un incontro tra il
presidente del Senato Renato Schifani, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti
e altri membri del governo. Nella nuova versione della norma dovrebbe esserci
una distinzione tra gli ordini professionali che sostengono l’esame di Stato e
quelli che non lo sostengono. Il governo ha concesso le modifiche
all’emendamento dopo che 22 senatori del Pdl avevano inviato una lettera ai
presidenti del Senato, del gruppo Pdl e della Commissione Bilancio di Palazzo
Madama per esprimere la loro netta opposizione alla liberalizzazione degli
ordini professionali. E dopo che all’interno del partito era iniziata una
raccolta di firme. Tra gli ordini colpiti ci sarebbe stato quello degli
avvocati: secondo il disegno del governo per esercitare la professione di
avvocato in futuro sarebbe stato sufficiente avere conseguito la laurea e avere
svolto il praticantato. “Fino a quando non verrà tolta la norma che abolisce gli
ordini professionali, noi il testo – assicurava un avvocato del Pdl – non la
voteremo mai dovesse anche cadere Tremonti”. Gli avvocati del Pdl sono 44, 13 i
medici, un solo notaio. A difesa della posizione degli avvocati del Pdl, si era
schierato forse il più noto tra loro: Ignazio La Russa. “Da avvocato ritengo che
sia una norma che merita un approfondimento ulteriore. Non mi sembra materia da
inserire in un decreto. Ritengo che la protesta degli avvocati – conclude La
Russa – non sia affatto irragionevole”. Un’altra presa di posiziona, che rende
l’idea del caos nel partito, è stata quella del capogruppo al Senato Maurizio
Gasparri, secondo il quale il tema dell’abolizione degli ordini professionali
“non sussiste. La formulazione del tema è già superata. Molti reagiscono a un
testo che non c’è. Comunque ne stiamo parlando”.
Da
qui si è capito che il centro-destra vuol tutelare gli ordini, quindi le
lobbies. Da loro non arriveranno mai riforme. Della serie: i raccomandati alla
riscossa.
Conosciute le pubbliche virtù del centro destra, si sperava nel centro sinistra,
che a parole sono contro i poteri forti. L’On. Mario Lettieri (Margherita)
presenta alla Camera una proposta di legge, n. 4048/03, contro gli abusi a danno
dei Praticanti Avvocato, prevedendo la remunerazione per gli stessi e
l’abolizione dell’esame. I Democratici di Sinistra, invece, chiedono un accesso
alla professioni forense più rigoroso - si parla addirittura di concorso, non di
esame di abilitazione - si schierano contro l'abolizione delle tariffe minime e
massime che favorirebbero i Giovani Avvocati ed i praticanti abilitati e
ripropongono quell'aberrazione rappresentata delle scuole di formazione forensi
e post-universitarie a pagamento ed obbligatorie per potere sostenere l'esame
forense.
Relazione introduttiva di Massimo Brutti (Responsabile DS Giustizia). Dal
Convegno "Giustizia: voltare pagina; Il contributo dei Ds a un nuovo programma
di governo" (30 giugno 2005) [.............] L'accesso alla professione va reso
maggiormente selettivo e il concorso (nazionale o decentrato in più sedi, ma non
certo presso ogni distretto) deve rappresentare il compimento di un complesso
percorso di professionalizzazione, a cui dovrebbero contribuire Università,
scuole comuni di formazione e scuole forensi.[.............]
Non
basta: dello stesso parere il Senatore Guido Calvi DS che nello stesso convegno
si è scagliato anche contro il numero eccessivo e patologico di avvocati e
contro l'esame troppo facile.
La
Proposta dei DS sulla Giustizia. 2 Novembre 2005. Commissione progetto DS. Area
Istituzioni e Pubblica amministrazione. Le politiche
istituzionali...............D’altro canto, gli abnormi numeri dell’avvocatura
italiana (quasi 160.000 avvocati) ci dicono che il problema non è affatto, come
per altre professioni, quello di una maggiore apertura alla concorrenza, ma di
come garantire l’indipendenza, la professionalità e la responsabilità di
professionisti così decisivi per la tutela di diritti primari dei
cittadini..............La professionalità deve essere assicurata sia attraverso
una maggiore selezione all’accesso, sia attraverso verifiche periodiche. In
proposito, possibili strade appaiono: a) una selezione di merito nell’accesso a
scuole post-universitarie obbligatorie e al tirocinio, ...............Proponiamo
una liberalizzazione delle tariffe relative alle consulenze ed alle attività
extra-giudiziarie............... (quindi non abolizione di quelle giudiziali che
più interessano ai praticanti abilitati ed ai Giovani Avvocati).
Relazione di Massimo Brutti alla conferenza nazionale dei DS. 13 Gennaio 2006.
Giustizia uguale per tutti e tutela dei diritti................. Numeri: quasi
160.000 avvocati. Il problema non è affatto, come per altre professioni, quello
di una maggiore apertura alla concorrenza,................La professionalità
deve essere assicurata sia attraverso una maggiore selezione all’accesso, sia
attraverso verifiche periodiche. In proposito, le vie da seguire sono: a) una
selezione di merito nell’accesso a scuole post-universitarie obbligatorie e al
tirocinio pratico,.................
Proponiamo una liberalizzazione delle tariffe limitatamente alle consulenze ed
alle attività extra-giudiziarie........
Donatella Ferranti, capogruppo dei democratici in Commissione Giustizia, in
riferimento al ritardo nel 2011, lamentato dall’avvocatura, nell’esame del
disegno di legge di riforma dell’ordine forense, sottolineava come “l’avvocatura
necessiti di un ordinamento nuovo, volto alla verifica degli accessi, a garanzia
della qualità e della professionalità”.
La
senatrice Donatella Poretti, PD (in realtà Radicale) ha presentato in parlamento
il ddl S.2994. Annunciato nella seduta pom. n. 632 del 26 ottobre 2011. L’«uovo
di Colombo» – capace di aumentare, e di non poco, le entrate dello Stato – è
quello di eliminare il limite di sei anni: si verrebbe così a creare una figura
intermedia di professionista, il patrocinatore legale, che aprirebbe le porte al
mondo del lavoro a circa 30.000 giovani, senza contrastare l’articolo 33 della
Costituzione. Il patrocinatore legale potrebbe quindi decidere se rimanere tale
(con limiti di materia e territorio) ovvero tentare, senza assilli, la strada
che lo abiliti al pieno esercizio della professione. Se solo i 30.000
patrocinatori legali che si verrebbero così a creare versassero allo Stato la
media di euro 1.000 annue, l’Italia incasserebbe 30.000.000 di euro in più, a
partire da subito. Altra positiva innovazione che si propone, è che, sempre in
campo forense, finito il tirocinio, risultino abilitati ipso iure i diplomati
post-laurea alla scuola di specializzazione per le professioni legali istituita
secondo quanto previsto dall’articolo 17, commi 113 e 114, della legge 15 maggio
1997, n. 127, e dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n.
398, emanato in base alla delega conferita dal citato articolo 17, comma 113:
l’ingresso in detta scuola è a numero programmato, è biennale e sono previsti
tirocini. Si consideri infatti che il diploma (attualmente) esonera da un anno
di pratica forense.
Alla luce di questa proposta si deve sapere che i progetti e le proposte di
legge ogni fine legislatura decadono, quindi sono poco credibili quelle
presentate artificiosamente nell’imminenza delle nuove elezioni.
Da
qui si è capito che anche il centro-sinistra vuol tutelare gli ordini, quindi le
lobbies. Da loro non arriveranno mai riforme. Della serie: i raccomandati alla
riscossa.
Per
dare spazio alla meritocrazia basta eliminare gli Ordini di costituzione
fascista. (Ordinamento Forense, regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36). Oppure
basterebbe togliere gli esami, che si truccano, o fare almeno gli esami per test
attitudinali. Tutto il resto è truffa. Così come è stata l’ultima pseudo
riforma. Non ci sarà alcuna cancellazione degli ordini professionali: il
Consiglio dei ministri si è limitato a riorganizzarli. La questione era aperta
da più di un anno, con la Casta fortemente contraria alle liberalizzazioni. Ma
dopo i provvedimenti del governo, che non portano a grandi stravolgimenti,
alcune categorie professionali lamentano una scarsa attenzione da parte
dell’Esecutivo. Obbligo per i professionisti di stipulare polizze assicurative a
tutela del cliente, formazione continua, durata massima del tirocinio a 18 mesi,
separazione all’interno degli Ordini fra le funzioni disciplinari e quelli
amministrative, sì alla pubblicità informativa: sono i contenuti principali
della riforma delle professioni che dopo un lungo percorso è stata approvata lo
scorso 3 agosto 2012. Il Dpr “Regolamento recante riforma degli ordinamenti
professionali, a norma dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.
148” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 agosto ed è in vigore
dal giorno successivo. Per alcune norme (es.: obbligo assicurativo e formazione
continua) ci sono ancora 12 mesi di tempo. Vediamo in sintesi i principali punti
della riforma delle professioni.
Ambito di applicazione. Il regolamento riguarda solo le professioni
regolamentate il cui esercizio è consentito a seguito dell’iscrizione a ordini e
collegi. Significa che il decreto non riguarda gli iscritti ad albi o elenchi
tenuti da amministrazioni pubbliche (precedenti stesure del provvedimento
inglobavano invece anche queste professioni).
Tirocinio. L’obbligatorietà del tirocinio, o praticantato, continua a essere
stabilita dall’Ordine (ci sono professioni che non prevedono un periodo di
praticantato obbligatorio, e questo continuerà ad essere possibile). Per le
professioni che prevedono il praticantato, la durata massima è fissata in 18
mesi (quindi gli Ordini che prevedono praticanti più lunghi dovranno
uniformarsi). E’ previsto che il tirocinio possa essere svolto, per un periodo
massimo di sei mesi, presso enti o professionisti abilitati di altri paesi.
Prevista anche la possibilità di effettuare i primi sei mesi di praticantato nel
corso dell’ultimo anno di università, oppure dopo la laurea presso una pubblica
amministrazione. In entrambi i casi, è necessaria un’apposita convenzione fra
Ordine e ministero. Questo non riguarda le professioni sanitarie.
Pubblicità. La pubblicità informativa relativa a esercizio dell’attività,
titoli, studio professionale e tariffe è ammessa «con ogni mezzo». Deve essere
«veritiera e corretta», non deve violare il segreto professionale, non può
essere «equivoca, ingannevole o denigratoria». Le violazioni rappresentano
illecito disciplinare.
Assicurazione. E’ una delle novità introdotte dal decreto: il professionista ha
l’obbligo di stipulare un’assicurazione per i danni derivanti al cliente
dall’esercizio dell’attività professionali, anche relativi a custodia di
documenti e valori. L’assicurazione può essere stipulata attraverso convenzioni
collettive degli Ordini o degli Enti Previdenziali di categoria. Questa
disposizione diventa obbligatoria entro 12 mesi dall’entrata in vigore del
decreto, quindi dal 15 agosto 2013. L’obbligo di assicurazione non riguarda i
giornalisti. La violazione rappresenta illecito disciplinare.
Formazione continua. Anche questa è una novità introdotta dalla riforma, e per
dare il tempo di adeguarsi è previsto che entri in vigore entro 12 mesi: il
professionista ha l’obbligo della formazione continua, attraverso corsi di
formazione che possono essere organizzati da Ordini e Collegi, associazioni di
iscritti all’Albo o altri soggetti autorizzati dagli Ordini. Sono gli Ordini
che, entro un anno dal decreto (quindi entro il 15 agosto 2013) dovranno emanare
i regolamenti per prevedere modalità è condizioni dell’aggiornamento
professionale obbligatorio, requisiti minimi dei corsi, valore dei crediti
professionali. Prevista la possibilità di convenzioni con le università.
Procedimenti disciplinari. Viene stabilita l’incompatibilità fra le cariche
relative all’esercizio dei poteri disciplinari e quelle amministrative: prevista
l’istituzione dei consigli di disciplina territoriali, composti da persone
diverse dai consiglieri dell’Ordine.
Ma
nel Governo dei tecnici che ha partorito una riforma, che non riforma un bel
niente, non vi era quel presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che
diceva: «Sarebbe ora che gli Ordini professionali riconoscessero l'aleatorietà
di quegli esami. Si tratta di prove che spesso non premiano il merito. Meglio
prevedere percorsi più selettivi all'università e poi un quinto anno che serva
da tirocinio o praticantato. E poi subito l'ingresso nel mondo del lavoro».
Alle prossime elezioni, prima di andare a votare si sappia prima e bene chi
vuole veramente riformare questo paese allo sfascio.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: LECCE E CAGLIARI: AVVOCATI CON LE PALLE
Lecce e Cagliari: avvocati con le palle. Gli avvocati protestano, credi che non
ti riguardi?
«Per una volta sorvolo sull’abilitazione truccata nell’avvocatura. E per quanto
ne parli, tanto me la fanno pagare. Ciononostante per la prima volta posso
osannare le gesta delle toghe leccesi e cagliaritane che si differenziano dalla
massa succube della politica e della magistratura».
Esordisce così, senza giri di parole il dr Antonio Giangrande.
«Da mesi gli avvocati cagliaritani e leccesi sono impegnati in un'azione di
astensione dalle udienze, nel silenzio dei media nazionali. Azione a carattere
generale che non attiene battaglie di bottega, come per esempio la chiusura
della sede distaccata di quel Tribunale o di quel Giudice di Pace. Qui trattasi
dei tagli e dell’aumento dei costi ad una giustizia allo sfascio che genera
ingiustizia. Lotta che ha lasciato indifferenti e silenziosi sia il presidente
del Consiglio Renzi che il ministro della giustizia Orlando». Continua
Giangrande, noto autore di saggi con il suffisso opoli (per denotare una
disfunzione) letti in tutto il mondo. «Le coraggiose toghe hanno promosso una
raccolta fondi tra gli avvocati di Lecce e Cagliari per acquistare una mezza
pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera e spiegare, ancora una volta, le
ragioni che hanno portato negli ultimi mesi a scioperare e protestare. I media
se non li paghi non informano. E’ ammirabile il gesto se si tiene conto che la
protesta, questa volta, è mirata non solo a difesa della lobby, ma anche alla
tutela dei diritti del cittadino.»
Sul giornale leggi.
GLI AVVOCATI PROTESTANO:CREDI CHE NON TI RIGUARDI?
Lo sai che i tempi di un processo sono aumentati mediamente di 2 anni? E che,
invece, dal 2002 al 2012 il costo di ciò che tu paghi allo Stato per un processo
è aumentato fino al 182,67%? Lo Stato ha aumentato le tasse che tu paghi per
difendere i tuoi diritti e ha imposto la mediazione obbligatoria, con costi a
tuo carico prima di poter andare davanti a un giudice.
Lo sai che il Governo sta pensando di chiederti una tassa per sapere i motivi
delle sentenze? E i soldi che hai versato per la tassa non te li restituirà in
nessun caso?
Lo sai che in appello la tassa che hai pagato in primo grado viene aumentata del
50%. E in Cassazione si raddoppia? E che se perdi la devi pagare di nuovo?
Lo sai che se per esempio devi impugnare un’espropriazione al TAR la Tassa costa
almeno 650 euro (ma per gli appalti può arrivare fino a 6.000!), ed altri 650 (o
6.000) se successivamente dovrai impugnare altri atti e che al Consiglio di
Stato quella tassa viene aumentata del 50%? Perdi? Rischi di pagare di nuovo.
Lo sai che se hai ricevuto un accertamento fiscale o un fermo amministrativo
illegittimo e vuoi ricorrere in Commissione Tributaria devi pagare una tassa per
ogni accertamento impugnato e se siete in due (ad es. tu e tua moglie) dovete
pagare due volte? E che se vuoi impugnare in Commissione Tributaria Regionale
quella tassa viene aumentata del 50%?
Lo sai che se sei povero la Costituzione ti garantisce che l'avvocato te lo paga
lo Stato, ma che lo stesso Stato ha introdotto delle norme che lo rendono di
fatto impossibile?
Lo sai che lo Stato è talmente lento nel perseguire i reati che in media la
prima udienza dei processi si tiene quando già è trascorso il 70% del tempo
utile per la prescrizione del reato?
Lo sai che lo Stato nel settore penale minaccia di elevare fino a € 10.000,00 la
sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso?
Lo sai che, a causa della chiusura dei Tribunali periferici, i tempi e i costi
delle esecuzioni nei confronti del tuo debitore si sono allungati a dismisura?
Lo sai che senza l’avvocato la tua domanda di giustizia non sarebbe ascoltata?
Lo sai che è grazie al coraggio degli avvocati che sono andati contro la
giurisprudenza dominante se, ad esempio, oggi puoi fare causa alla banca per
l’anatocismo sui conti correnti? O se puoi fare causa al datore di lavoro che ti
ha licenziato ingiustamente? O se puoi lottare affinché tuo figlio non sia
allontanato dalla tua famiglia? O se puoi difenderti dall’accusa di un reato che
non hai commesso?
Per questo, e molto altro, gli Avvocati di Lecce e Cagliari sono in astensione
ad oltranza dalle udienze. Lo Stato sta smantellando la Giustizia. Sei ancora
convinto che se la giustizia non funziona è tutta colpa degli avvocati?
Per la Commissione di garanzia pare proprio di sì. La Commissione di garanzia
dell’attuazione della legge sullo sciopero ha aperto un procedimento nei
confronti dell’Ordine degli avvocati di Lecce, in particolare, nella persona del
suo presidente, Raffaele Fatano. Due sono le contestazioni mosse: violazione
dell’obbligo di preavviso minimo e della determinazione della durata dello
sciopero, e violazione della norma sulla durata massima dell’astensione. Le
toghe salentine hanno deciso di astenersi dalle udienze nel corso dell’assemblea
straordinaria riunitasi il 18 febbraio scorso. Decisione confermata il 14 aprile
in un successivo appuntamento assembleare laddove si decise di portare avanti lo
sciopero a oltranza fino al 3 giugno, anticipata al 28 maggio, giorno in cui gli
avvocati si riuniranno nuovamente per stabilire se continuare o meno a disertare
le aule dei tribunali. Un invito a sospendere l’astensione dalle udienze era
stato rivolto agli avvocati dall’Anm attraverso un documento stilato nel corso
dell’assemblea degli iscritti tenutasi lo scorso 23 aprile. Molto probabilmente
la Giustizia non è un sentire comune.
La Video
Sorveglianza.
Antonio Giangrande. L'INSICUREZZA PUBBLICA E LA VIDEO SORVEGLIANZA PRIVATA.
Lo Stato non
garantisce la sicurezza e inibisce chi ci pensa da solo con la burocrazia e con
le reprimende e le speculazioni.
Inchiesta del dr
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
I media da sempre
ce la menano sul fatto che contro gli atti criminali, specie quelli bagatellari
e comuni, bisogna denunciare. Poco si sa, invece, che la gente rinuncia a
denunciare proprio quei reati più odiosi, per il fatto sottaciuto che, in un
modo o in un altro, le notizie di reato non vanno avanti per insabbiamenti
(denunce non registrate; archiviazioni artefatte, non comunicando la richiesta
di archiviazione, quando preteso per presentare opposizione; indagini mai svolte
o svolte male), o per il disincentivo (perchè è solo una perdita di tempo).
Allorquando
qualcuno si incaponisce a credere che ci sia uno Stato di Diritto e questi ha
bisogno di prove per perseguire i responsabili del reato e lo fa con la ripresa
delle immagini. Ecco che allora lo Stato lo inibisce in tutti i modi.
Certo è che lo
Stato, prima ti sbeffeggia. La Stabilità 2016 ha stanziato fondi (15 milioni di
euro) per il Bonus Sicurezza, ovvero un credito d'imposta per quei privati che
decidono di installare sistemi di videosorveglianza. I cittadini che si
doteranno di impianti si vedranno riconoscere il 50 per cento della spesa
sostenuta.
I fondi son
limitati. Ergo: Chi prima arriva, prima alloggia...
Dopo lo sberleffo
arriva l'inghippo. Tutti i modi per impedire la sicurezza fai da te.
1. Il tema della
Privacy. Ce lo spiega Alessio Sgherza il 15 febbraio 2017 su "La Repubblica". Il
tema videocamere pone per i cittadini un problema di privacy: il problema di chi
viene ripreso e deve mantenere il suo diritto alla riservatezza e ai suoi dati
personali; e il problema di chi decide di installare i sistemi di
videosorveglianza perché ha il diritto a difendere le proprie pertinenze. Due
diritti che si contrastano sulla carta e tra i quali è necessario trovare un
equilibrio. Ecco quindi che sul tema - già dal 2004 - è intervenuto il Garante
della Privacy, che ha emesso un provvedimento sulla videosorveglianza datato
2010 e in corso di aggiornamento. Il testo è stato pubblicato in Gazzetta
ufficiale il 29 aprile 2010 e elenca tutte le misure che soggetti pubblici e
privati devono mettere in pratica per installare questi sistemi. Per quanto
riguarda i privati, è esplicitamente prevista la possibilità di installare
telecamere "contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di
vandalismo, prevenzione incendi" e in questi casi "si possono installare
telecamere senza il consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base delle
prescrizioni indicate dal Garante". Ma quali sono le prescrizioni del Garante?
Eccole, in quattro punti:
I cittadini che
transitano nelle aree sorvegliate devono essere informati con cartelli della
presenza delle telecamere.
I cartelli devono
essere resi visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è attivo in
orario notturno.
Le immagini
registrate possono essere conservate per periodo limitato e fino ad un massimo
di 24 ore.
Nel caso in cui i
sistemi di videosorveglianza installati da soggetti pubblici e privati (esercizi
commerciali, banche, aziende etc.) siano collegati alle forze di polizia è
necessario apporre uno specifico cartello, sulla base del modello elaborato dal
Garante.
2. Il tema
sindacale. L'autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. Ce lo
spiega "La Gazzetta di Reggio" il 26 ottobre 2016. Un ispettore del lavoro, dopo
un sopralluogo, gli ha fatto togliere tre telecamere che aveva da poco messo nel
locale, appioppandogli anche una multa di circa 500 euro. Ma appena spento
l’occhio elettronico, un ladro è entrato nel negozio è ha portato via l’incasso,
pari ad altri 500 euro. È l’odissea raccontata da Federico Ferretti, insieme a
Fabrizio Salsi uno dei soci della gelateria Cupido in via Emilia San Pietro 71.
Dopo un punto vendita a Carpi e Correggio, a maggio la gelateria ha aperto un
locale anche in città. E alla fine di luglio, i due soci avevano deciso di
installare nel locale tre telecamere di videosorveglianza, due nell’area vendita
e una nel laboratorio. «Eravamo in attesa dell’autorizzazione, dal momento che
in estate molti uffici erano chiusi – racconta Ferretti – quando il 12 agosto
abbiamo ricevuto la visita di un ispettore del lavoro, che ci ha contestato il
fatto che le telecamere riprendessero il bancone, dicendo che dovevano essere
indirizzate solo all’ingresso. Sosteneva che usavamo le telecamere per
controllare i nostri due dipendenti, che invece avevano firmato la liberatoria.
Noi le avevamo collocate così solo per ragioni di sicurezza». Dal sopralluogo è
scattato un verbale, recapitato ai soci a metà settembre, in cui si dava tempo
trenta giorni per rimuovere la videosorveglianza. «Sabato – aggiunge Ferretti –
abbiamo rimosso l’impianto. L’ispettore ci ha anche chiesto la certificazione
dell’azienda che le ha tolte, con un eccesso di rigidezza». Ma, due giorni dopo
la rimozione, nella gelateria è avvenuto un furto: «Lunedì sera, intorno alle
21, c’erano il mio socio e un dipendente. Il socio era nel laboratorio. E ha
chiamato un secondo il dipendente per dargli del gelato pronto. Un secondo. Ma
qualcuno è entrato nel negozio e velocissimo ha rubato incasso e fondo cassa, in
totale quasi 500 euro. Abbiamo subito chiamato i carabinieri. La prima cosa che
ci hanno chiesto: “Avete telecamere?”. Gli abbiamo dovuto spiegare che ce le
avevano appena fatte togliere». Per i titolari, oltre al danno la beffa:
«Abbiamo ripresentato domanda per una nuova installazione, ma dall’ispettorato
ce l’hanno bocciata. Siamo reggiani, abbiamo deciso di investire qui, dove i
furti sono all’ordine del giorno. Non è possibile trovarsi davanti a queste
cose. Le telecamere sono presenti anche nelle grandi catene e nessuno dice
niente».
3. Il tema
Amministrativo-burocratico. Per le telecamere occorre la Scia, scrive Maurizio
Caprino su "Il Sole 24ore" del 9 marzo 2017. Le telecamere di videosorveglianza
sono sostanzialmente fuorilegge, se sono anche del Comune. In questo caso, vanno
trattate come impianti privati e quindi necessitano di un’autorizzazione, che in
molti casi manca. Lo stesso vale per altri impianti di trasmissione, tra cui
quelli per le radio di servizio dei vigili urbani. Lo afferma chiaramente la
Prefettura di Pordenone, nella nota n. 6104, emanata il 6 marzo dopo una
segnalazione del ministero dello Sviluppo economico. E quella della provincia
friulana è una realtà...tutta italiana.
4.
Il tema fiscale-speculativo. Lo Stato stanga la sicurezza "fai da te". Multati i
Comuni che installano telecamere. Sanzioni dal prefetto per i sindaci che si
dotano di sistemi di sorveglianza, scrive Pier Francesco Borgia, Venerdì
10/03/2017, su "Il Giornale". Nell'Italia dei campanili, quella più alta è
sempre la torre del paradosso. Solo da noi, infatti, possiamo assistere al poco
comprensibile «spettacolo» di una prefettura che commina multe e sanzioni ai
Comuni che per difendere la tranquillità dei propri cittadini decide di
investire le scarse risorse a disposizione per installare sistemi di
videosorveglianza. Con una nota del 16 febbraio scorso, infatti, il Ministero
dello Sviluppo economico, tramite il suo Ispettorato territoriale di Pordenone,
ha fatto sapere alla prefettura del capoluogo friulano «di aver rilevato presso
le Amministrazioni comunali ripetute problematiche conseguenti la carenza dei
necessari dati informativi relativi agli obblighi di legge previsti per
l'installazione ed esercizio di reti e servizi di comunicazione elettronica». La
citazione è presa da una circolare che gli uffici della prefettura di Pordenone
hanno inviato il 6 marzo a tutte le amministrazioni comunali della provincia. Lo
scopo è quello di chiarire che a disciplinare i sistemi di videosorveglianza ci
pensa il Decreto legislativo 259 dell'agosto del 2003 (ovvero il cosiddetto
Codice delle Comunicazioni elettroniche). Fatto questo che fa ricadere le stesse
telecamere a circuito chiuso nei sistemi di informazione. E quindi chi li
installa, che si tratti di un privato o di un'amministrazione locale poco
importa, è tenuto a corrispondere un canone al Mise (il già citato Ministero per
lo sviluppo economico). Da qui la facile deduzione che senza quel canone si
rischia un'ammenda. D'altronde, spiega Stefano Manzelli direttore della rivista
on line poliziamunicipale.it, «molti di quegli amministratori non immaginavano
nemmeno che un sistema di telecamere a circuito chiuso fosse paragonato a un
sistema aperto di trasmissioni radio». La violazione di queste norme, insomma,
sarebbe avvenuta in buonafede. Resta però il fatto che senza quel canone scatta
la sanzione e si rende più faticosa la gestione del territorio di competenza. E
questo contraddice - fa notare lo stesso Manzelli - lo stesso spirito del
decreto legge 14 del 2017 che aumenta lo spettro delle competenze in materia di
sicurezza. «Ora i sindaci hanno ricevuto ulteriori poteri di ordinanza su
questioni di ordine pubblico e sicurezza, per migliorare il controllo e la
qualità della vita delle aree più a rischio. Eppure, se non pagano il canone di
questi sistemi di videosorveglianza, rischiano le sanzioni». Un sistema per
evitare il peggio sarebbe quello di affidare questi sistemi di videosorveglianza
direttamente allo Stato, attraverso le forze dell'ordine. Gli unici soggetti,
infatti, esentati dal pagare il canone. L'iter, però è lungo e farraginoso,
spiega Manzelli, e non sempre le amministrazioni locali hanno la possibilità di
ricorrere a questo escamotage. Resta il fatto che se un Comune si pone anche
solo l'obiettivo di regolare l'accesso ad aree a traffico limitato per le auto,
deve sottostare alle regole imposte dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche
con tanto di canoni da sborsare.
Antonio Giangrande: La tassa di passaggio.
Il
problema della Sicilia? “Il traffico!” “Palermo ha un grande problema! Un
problema intollerabile!”. “Quale?”. “Il traffico!”
Ricordate l’avvocato mafioso di “Jonny Stecchino” di e con Roberto Benigni?
Il
film è del ’91, ma la battuta è sempre attuale
“Nel mondo siamo conosciuti anche per qualcosa di negativo, quelle che voi
chiamate piaghe. Una terribile, e lei sa a cosa mi riferisco: l’Etna, il
vulcano, ma è una bellezza naturale. Ma c’è un’altra cosa che nessuno riesce a
risolvere, lei mi ha già capito. La Siccità. La terra brucia e sicca, una brutta
cosa. Ma è la natura e non ci possiamo fare niente. Ma dove possiamo fare e non
facciamo, perché in buona sostanza, purtroppo posiamo fare e non facciamo…
Dov’è? È nella terza e più grave di queste piaghe che diffama la Sicilia e in
particolare Palermo agli occhi del mondo. Eh… Lei ha già capito. È inutile che
glielo dica. Mi vergogno a dirlo. È il traffico! Troppe macchine! È un traffico
tentacolare, vorticoso, che ci impedisce di vivere e ci fa nemici famiglia
contro famiglia, troppe macchine!”.
E'
esemplare la celebre scena del film “Non ci resta che piangere” con Roberto
Benigni e Massimo Troisi. I due viaggiatori si trovavano ad attraversare il
confine della Signoria fiorentina, e un integerrimo casellante continuava a
domandare: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate? Un Fiorino!”
ad ogni minimo movimento andirivieni alla dogana. Così ad ogni movimento dei
poveri viaggiatori (una volta gli cadeva un sacco di farina, un’altra volta
perdevano qualcos’altro), venivano richiamati e bloccati. Fino a che Troisi,
spazientito dalla bizzarra e petulante circostanza con un vivace “Vaffa” risolve
la situazione proseguendo il cammino.
La
tassa di Passaggio. Da tripadvisor.it il 2020.
saveriodb Lecce, Italia
Gentile Forum di Roseto Capo Spulico,
ho
ricevuto una multa per eccesso di velocità sulla SS106 Jonica a Roseto.
Vivendo a Lecce, chiederei a qualcuno del luogo, se possibile, un'informazione:
-
La multa è per aver superato la velocità media in un tratto di 1,77 Km, in
direzione Ovest (da Metaponto verso Villapiana per intenderci). Per quel che
ricordavo, su quel percorso l'unico controllo della velocità media era a
Montegiordano, ma non a Roseto. A Roseto mi sembrava fosse segnalato dai
cartelli solo un controllo 'istantaneo', non medio. Sbaglio io?
Vi
ringrazio per l'informazione! Saverio Di Benedetto
hildita nikita Catanzaro, Italia
Ciao, purtroppo in quel tratto ci sono sistemati ben 4 autovelox ognuno di un
comune diverso, oltre quello di Roseto c'è del comune di Amendolara, Spezzano
Albanese e non ricordo se c'è anche Trebisacce o Rocca Imperiale ... in due km
ho preso 4 multe nello stesso giorno e non credo lo dimenticherò più quel tratto
L’Italia degli autovelox. ‘Fare cassa’ e ‘Tassa di passaggio’. Da aduc.it il 13
giugno 2022.
A
novembre il decreto Infrastrutture (Dl 121/2021) ha imposto la pubblicazione sul
web dei rendiconti comunali da proventi di multe. Il quotidiano ILSOLE24ORE ha
spulciato i dati, ed ha rilevato cose interessanti. Soprattutto lo “zero” che si
legge negli incassi 2021 da multe diverse da quelle per eccesso di velocità in
luoghi come Roseto Capo Spulico (Cosenza) e Melpignano (Lecce). Quest’ultimo
Comune ha rivitalizzato le entrate incassando 4,98 milioni e Roseto 728mila euro
(che si aggiungono agli incassi delle vicine Montegiordano, Rocca Imperiale e
Trebisacce). Dai dati del ministero si evince che qui i vigili non hanno visto
nemmeno una cintura slacciata, un guidatore parlare al cellulare, parcheggiare
in modo vietato, prendersi una precedenza non dovuta o qualsiasi altra
infrazione stradale.
A
Colle Santa Lucia (BL) succede lo stesso. Idem per la Provincia di Brescia, che
pare non avere altre forme di vigilanza su strada e così risulta non incassare
un euro nemmeno da chi è uscito fuori corsia rovinando un guard-rail.
Il
quotidiano economico si chiede se, per esempio, i mutui che a Milano vengono
ripagati anche con una parte dei cospicui incassi delle multe siano davvero
attinenti alla sicurezza stradale.
“Tassa di passaggio” per locali o turisti che in alcune strade sono poco ligi al
rispetto di limiti di velocità che, chiunque si sposta, sa che spesso sono un
po’ troppo risicati rispetto a tipo di strade e di veicoli. Le norme risalgono a
quando certi asfalti e certe caratteristiche infrastrutturali erano molto più
precarie di oggi, mentre le auto più diffuse erano tipo la 500 Fiat con le
portiere incernierate posteriormente che, per passare da una marcia all’altra,
occorreva fare la doppietta, oltre che quando si andava a 90Kmh tremava tutta la
carrozzeria.
Il
mondo è cambiato, ma non le norme per far rispettare i limiti di velocità. E
siccome alcuni autovelox erano proprio “indecenti” per dove erano piazzati, a
luglio del 2020 fa è stata modificata la legge per consentire l’uso di
macchinette automatiche ovunque, trasformando in regolarità le precedenti
irregolarità.
Nel
nostro Paese, quando ci sono i problemi, invece di affrontarli, spesso si fa
come la polvere che finisce sotto il tappeto. A questo aggiungiamo che oltre
“per fare cassa”, gli autovelox sono anche “tassa di passaggio”.
Nel frattempo, sicurezza a go-go e crescita della sfiducia dei cittadini verso
le istituzioni, con conseguente invenzione e applicazione di marchingegni per
“fottere” o “non farsi fottere”.
Antonio Giangrande: Intervista di
Antonio Giangrande alla radio tedesca ARD.
Salerno Reggio Calabria: Eterna Incompiuta.
«Attenzione, spesso si cade nei luoghi comuni. La Mafia e la Corruzione sono
icone che dove non ci sono si inventano per propaganda politica o per coprire i
propri fallimenti. Spesso dietro quel fenomeno si nasconde l’inefficienza tutta
italiana. Il problema è che ci sono persone sbagliate (incapaci più che
disoneste) a ricoprire ruoli di responsabilità. Si pensi che addirittura Antonio
Di Pietro (il PM di Mani Pulite) ha avuto responsabilità nel dicastero di
competenza. I politici dicono cosa fare, ma sono i burocrati che decidono come
fare (in virtù delle leggi, come la Bassanini, che hanno dato potere ai
dirigenti pubblici). Le leggi artificiose create dagli incapaci politici, perché
non hanno fiducia dei loro cittadini, crea caos e nel caos tutto succede.
Basterebbe rendere tutto più semplice e quel semplice controllarlo.
Un procedimento pur se corrotto dovrebbe comunque avere una soluzione. La
Salerno-Reggio Calabria, a prescindere da mafia o corruzione in itinere,
comunque non ha soluzione di continuità: ergo, vi è incapacità, più che
disonestà.
E’ come quel luogo comune sugli italiani: si dà l’appuntamento per le otto circa
e, se va bene, ci si incontra a mezzogiorno.
Se i politici sono nominati con elezioni truccate, questi non rispondono ai
cittadini delle loro malefatte. Se i politici nominati raccomandano i funzionari
pubblici con concorsi truccati (compreso i magistrati), questi non rispondono ai
cittadini delle loro malefatte. I dirigenti nominati con concorsi truccati non
hanno remore a truccare gli appalti. Alla fine, però, i lavori dovrebbero
concludersi. Invece tutti se ne fottono del risultato finale, avendo per sé
soddisfatto i propri bisogni. A questo punto sono tutti responsabili del
fallimento: i politici, i funzionari pubblici (compreso i magistrati per
omissione di controllo) e gli imprenditori che delinquono; i giornalisti che
tacciono ed i cittadini che emulano.
La mia proposta come presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”
attraverso il suo braccio politico “Azione Liberale” è che ogni procedimento
amministrativo pubblico ha un suo responsabile che ne risponde direttamente,
attraverso la perdita del posto, della buona riuscita per sé e per i suoi
sottoposti da lui nominati.
Però, purtroppo, un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato
da “coglioni”».
Ancora vostro Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: L’aspetto formale e l’aspetto sostanziale. Perché il
Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sbagliato. E perché chi lo
difende è ignorante o in mala fede.
La
lezione di chi, il dr Antonio Giangrande, non è titolato, se poi i titoli
(accademici) si danno per cooptazione e conformità ed omologazione.
L’articolo 90 della Costituzione dice infatti che «Il presidente della
Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue
funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione».
Spieghiamo perché è responsabile. Partiamo proprio dalla base della Costituzione
italiana.
PRINCIPI FONDAMENTALI. "Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata
sul lavoro (non sulla libertà). La sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
Qui
si enuncia il principio fondamentale che incarnano forma e sostanza. La sostanza
ci dice che in Italia c’è la democrazia parlamentare (indiretta) come forma di
governo e quindi ci dice che la maggioranza dei votanti (non dei cittadini che
non votano più, sfiduciati dalla vecchia politica) elegge i suoi legislatori e,
tramite loro, i suoi governanti (stranamente mancano i magistrati). L’esercizio
del potere popolare prende forma, non sostanza, attraverso l’enunciazione di
articoli costituzionali che mai possono violare il principio fondamentale. E non
a caso proprio il primo articolo prende in considerazione l’aspetto democratico
della vita dello Stato italiano.
IL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA "Art. 83. Il Presidente della Repubblica è eletto
dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre
delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia
assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo
delegato. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio
segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è
sufficiente la maggioranza assoluta".
Qui
si richiama forma e sostanza dell’art. 1. La sovranità popolare esprime,
attraverso i suoi rappresentanti, la scelta del Presidente della Repubblica.
"Art. 88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti,
sciogliere le Camere o anche una sola di esse". "Il Consiglio dei Ministri. Art.
92. Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei
Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente
della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta
di questo, i Ministri".
L’art. 88 e 92 sono articoli formali. Norme che delegano al Presidente della
Repubblica, con il ruolo di notaio, la verifica di una maggioranza parlamentare
democraticamente eletta per esercitare la sovranità popolare di cui all’articolo
1: Se c'è una maggioranza si forma un Governo sostenuto da essa; se non c'è una
maggioranza, non c'è Governo e quindi si va a votare per trovarne una nuova.
Si
va contro l’articolo 1 (non a caso primo articolo dei principi generali) e
quindi contro la Costituzione se alla volontà popolare che esprime un Governo
che mira alla tutela degli interessi nazionali si impone la volontà di un
singolo (il Presidente della Repubblica) che antepone qualsiasi altra ragione
tra cui i principi dell’art. 10. "L’ordinamento giuridico italiano si conforma
alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", e dell’art.
art. 11. "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo".
In
conclusione si chiude il parere, affermando che si è concordi con l’iniziativa
della messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, anche se il
procedimento è complicato e farraginoso, pensato proprio a non dare esiti
positivi, in ossequio ad uno Stato di impuniti. Si è concordi perché l’Italia è
una Repubblica Democratica Parlamentare; non è una Repubblica Presidenziale.
Antonio Giangrande: Nota bene. Non illudetevi dai voti alti. I voti ottenuti dai
candidati alle amministrative non sono voti esclusivamente personali, ma
conseguiti attraverso alleanze e tradimenti. Con il voto con doppia preferenza
di genere ognuno ha potuto fare l’alleanza con il candidato dell’altro sesso
della medesima lista. I più furbi hanno stabilito alleanza con più partner
disattendendo il principio della reciprocità.
Antonio Giangrande: Inchiesta. La polemica sulla nomina dei presidenti di
seggio e degli scrutatori. E’ solo una guerra tra poveri.
Ogni anno, dappertutto in Italia ad ogni tornata elettorale, vi sono aspettative
e delusioni e si scatena la tradizionale bagarre sulla nomina degli scrutatori e
dei presidenti di seggio, col corollario di polemiche ed accuse contro i
nominati.
L'accusa più ricorrente è che a svolgere le funzioni di scrutatore e presidente
di seggio siano più o meno sempre gli stessi raccomandati.
Dichiarazione di Antonio Giangrande, presidente della “Associazione contro tutte
le mafie”, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, che raccontano questa
Italia alla rovescia. «E’ come se l'ufficio di collocamento fosse gestito dai
partiti politici, e ogni partito potesse fare assumere un certo numero di
lavoratori, in base alla percentuale di voti ottenuti. Sarebbe ovviamente uno
scandalo: ma è proprio questo che avviene con le attuali modalità di nomina. La
differenza risiede solo nella durata dell'occupazione, ma la sostanza
dell'ingiustizia è la stessa. Ma ci sono altri aspetti importanti da valutare.
Facciamo chiarezza. Cominciamo dagli scrutatori che dal 2005 vengono scelti non
più tramite sorteggio ma per nomina diretta da un comitato elettorale costituito
da soggetti politici, i cui criteri di scelta sono discrezionali. Quindi per
farsi scegliere bisogna presentare a loro le proprie referenze. Qualcuno, per
orgoglio, non si abbasserà a tanto, ma è anche vero che la conoscenza conta,
anche solo dei motivi della scelta necessaria rispetto ad altri candidati. Cosa
diversa è per la nomina dei presidenti di Seggio-Sezione. In questo caso la
scelta spetta al presidente della Corte d'Appello competente per territorio. In
più vi è una circolare del 2009 del Ministero dell'Interno che, per limitare il
verificarsi di problemi in un ruolo comunque delicato, di fatto invita a
favorire chi, in passato, ha già svolto bene l'incarico, senza commettere errori
o irregolarità. Per questo salta all’occhio la periodica nomina di alcuni
presidenti di Seggio, evidentemente capaci, e questo unito al fatto che ai
suddetti presidenti sono aggregati i soliti segretari da loro nominati (molte
volte loro parenti). Spesso gli incarichi di segretario e presidente si
alternano tra loro, ma da fuori sembra che sia sempre uguale ed ecco spiegato
come mai, soprattutto nei piccoli comuni, vengano percepiti come "sempre gli
stessi". Quello che la gente dovrebbe sapere, però, prima di incorrere in
qualunquistici luoghi comuni è che le elezioni sono una cosa seria e gli
adempimenti burocratici sono onerosi e dispendiosi. Il collegio deve essere
formato da gente capace e dedita all’incarico. A volte ci si trova a dover
coordinare persone svogliate, o che non sanno, o non possono, per handicap, o
non vogliono scrivere. In questo modo l’ingranaggio si inceppa e la gente fuori
fa la fila, impedita a votare. Gente che guarda caso si da appuntamento
all’orario dello struscio e si accalca sempre negli orari di punta che sono
sempre gli stessi: il pomeriggio tardi e la prima sera. E poi c’è che il sabato
molti dei nominati non si presentano ed allora bisogna che il presidente chiami
il primo soggetto disponibile che ha di fronte, la cui capacità è tutta da
dimostrare. Per gli assenti della domenica, poi, non vi è sostituzione ed allora
il collegio è monco. Ancora una cosa la gente non sa. Non è il far votare che
stanca, ma l’aspetto burocratico con la redazione dei doppi verbali ed il
bilanciamento dei numeri e la formazione dei pacchi. Inoltre vi è l’incognita
dei rappresentanti di lista. Situazione da monitorare. Molti rappresentanti di
lista sono nominati apposta per falsare od intralciare il regolare andamento
della votazione. Ecco perché, spesso, le polemiche sono montate ad arte, specie
se a presiedere il seggio vi è qualcuno non propenso ad agevolarli. Comunque le
strumentali o fondate diatribe circa la nomina è solo una guerra tra poveri. Un
solo dato attinente le ultime elezioni. Preparazione seggio al sabato dalle ore
16,00. Un paio di ore, se non tre, per autenticare le schede elettorali
(bollatura e firmatura) e tutti gli altri adempimenti. La domenica apertura alle
ore 07,00, ma con rientro almeno mezzora prima per istruire gli scrutatori. Cosa
che nessun comune fa nei giorni precedenti al voto. Termine votazione alle ore
23,00. Spoglio e chiusura dopo almeno 3 ore. Ricapitolando: 3 ore al sabato ed
una ventina la domenica. Sono 23 ore di lavoro impegnativo e di responsabilità,
ricoprendo la qualità di pubblico ufficiale. Si percepisce 96 euro (una decina
in più per il presidente). Fate i conti: 4 euro circa ad ora. La dignità e
l’orgoglio imporrebbe a questo punto rendersi conto che è inutile alimentare una
guerra tra poveri e favorire il clientelismo sostenuto dalle nomine, ma
ribellarsi al fatto che ci hanno ridotto ad anelare quei 4 euro l’ora per una
sola e misera giornata.» Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il pregio di essere un autodidatta è quello che nessuno gli
inculcherà forzosamente della merda ideologica nel suo cervello. Il difetto di
essere un autodidatta è quello di smerdarsi da solo. Antonio Giangrande
Antonio Giangrande:
Inchiesta. Ancora a parlare di concorsi truccati. Questa volta nelle Forze di
Polizia.
Il metodo di
correzione negli esami di Stato o nei concorsi pubblici è sempre lo stesso: si
dichiarano corretti i compiti che non sono stati nemmeno visionati. Per
attestare ciò detto non si abbisogna di microfoni o micro spie nelle segrete
stanze delle commissioni e dei "Compari". Basta verificare i tempi di correzione
se siano sufficienti e controllare le prove se e come sono state corrette, anche
in relazione alle altre prove ritenute idonee. I Tar di tutta Italia ne scrivono
di nefandezze commesse. Nel ribellarsi, però, non si caverà un ragno dal buco:
perchè così fan tutti!! Giudicanti, ingiudicati.
L’inchiesta del dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce inascoltate
di centinaia di migliaia di candidati estromessi di tutta Italia.
Parliamo della
Magistratura. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in
magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dall’avv.
Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma dichiarati
corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha
battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992.
Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei
compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della
busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai
esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il
Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria
mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per
gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri,
proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente
del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici
e tutti abilitati.Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un
servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi
di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al
concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato
ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico
ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel frattempo
diventati dei, esercitano.
Parliamo della
Avvocatura. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in avvocatura,
così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dal dr Antonio Giangrande, che
ha provato sulla sua pelle per ben 17 anni l’ignominia e la gogna di non essere
all’altezza per una funzione meritatissima. Elaborati non visionati, ma
dichiarati corretti. Ha scritto dei saggi in base alla sua esperienza. Ha
pubblicato dei video per chi non vuol leggere. Per questo gli hanno inibito la
professione di avvocato e, addirittura, processato per aver denunciato e scritto
cose che tutti sanno.
Potevano bastare
questi esempi per dimostrare l’illibatezza dei nostri tutori della legalità?
Certo che no!!
Parliamo della
Guardia di Finanza: Lo dice il maresciallo capo della Finanza Antonio Izzo ai
genitori di un aspirante finanziere, mentre davanti a un caffè illustra la
proposta indecente: 1500 euro in cambio del superamento dei test attitudinali
per il figlio. “Signora, questa è una cosa normale. Voi pensate che non ci siano
persone corrotte? Qui tutto il sistema è corrotto”, scrive Vincenzo Iurillo su
“Il Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2015. «Non si entra in Guardia di Finanza
se non per queste vie». È la frase che il maresciallo della Gdf Bruno Corosu ha
pronunciato, scrive “Il Corriere del Mezzogiorno" del 24 marzo 2015. Un
finanziere romano e alcuni aspiranti marescialli avevano in casa copia dei test
a risposta multipla del concorso svolto a Bari nell’aprile scorso. Lo hanno
scoperto i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanzi di
Bari durante le perquisizioni disposte dalla magistratura barese nell’ambito
dell’inchiesta della Procura di Bari dove si ipotizzano i reati di corruzione e
rivelazione di segreti d’ufficio nei confronti di sette persone, tra finanzieri
in servizio e ex militari, tutti romani, e partecipanti al concorso per 297
posti da allievo maresciallo nella Guardia di finanza, scrive “La Gazzetta del
Mezzogiorno” il 2 dicembre 2013.
Parliamo della
Polizia Penitenziaria. Concorso agenti polizia penitenziaria a Roma: scoperti
dal servizio di sorveglianza durante i controlli. Tutto per un posto in carcere.
Anche, magari, rischiando il carcere stesso. 88 persone tra gli undicimila
uomini e le duemila donne partecipanti al concorso per agenti della polizia
penitenziaria, tenutosi a Roma tra il 20 e il 22 aprile, sono state indagate e
denunciate a piede libero: le operazioni di controllo effettuate dalla task
force di vigilanza tra i banchi della Nuova Fiera di Roma hanno infatti portato
a scoprire materiale con cui i presunti furbetti cercavano di passare il test a
pieni voti. Ne scrive il 26 aprile 2016 il Messaggero con Michela Allegri.
E poi, non poteva
mancare lo scandalo per la Polizia di Stato.
Parliamo della
Polizia di Stato. Concorso Vice Ispettori: gli esclusi devono avere delle
risposte, scrive Il Sap Nazionale il 21 marzo 2016. I candidati non idonei alla
prova scritta del concorso per 1.400 posti da Vice Ispettore devono avere delle
risposte e tanti dei loro elaborati risultano non essere inferiori di altri che
hanno superato l’esame. E’ quanto emerge con chiarezza dalla lettera inviata il
18 marzo 2016 dal SAP al Capo della Polizia Alessandro Pansa e per conoscenza al
Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Secondo il SAP non è accettabile che i
numerosi colleghi risultati non idonei alla prova scritta del concorso siano
così bistrattati anche quando, dopo il difficilissimo accesso agli atti, hanno
scoperto le carte e le hanno messe sul tavolo. Documenti che sono stati
analizzati dallo stesso Sindacato, il quale condivide quanto è stato
rappresentato da molti degli esclusi. Non c’è mai stata una manifestazione di
dissenso così forte. Basti pensare che è stata costituita anche un’associazione
chiamata “Tutela e Trasparenza” con l’obiettivo di tutelare i colleghi esclusi
ingiustamente dalla prova scritta. La stessa associazione ha ricordato che la
pubblica amministrazione deve assicurare il rispetto dei principi costituzionali
del buon andamento e dell’imparzialità, senza dimenticare il principio di
trasparenza che deve valere anche per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Il
SAP auspica che l’Amministrazione riveda i temi giudicati non idonei e rivaluti
quelli che effettivamente risultano meritevoli di consentire l’accesso alle
prove orali. Da ultimo, e forse la cosa più importante, l’Amministrazione deve
valutare un allargamento dei posti previsti dall’attuale bando, che avrebbe
costi esigui e non paragonabili con quelli abnormi che si dovranno affrontare
con il concorso esterno.
L’incontro
organizzato dall’associazione “Tutela & Trasparenza” che si è svolto lunedì 7
marzo 2016 a Milano presso Hotel Galles, relativa all’esito dell’accesso agli
atti della prova scritta per 1400 v.isp, è stato un autentico successo di
pubblico. Il Presidente Walter Massimiliani ha approfondito il discorso,
ricostruendo per intero gli avvenimenti che hanno portato all’incontro e, dopo
aver precisato che non si tratta di una guerra a coloro che sono stati ritenuti
idonei alla prova scritta ma semplicemente di una richiesta di equità di
giudizio, ha mostrato alcuni dei numerosi elaborati che sono stati analizzati e
per i quali sono state rilevate evidenti criticità sotto vari punti di vista, in
particolare:
presenza di
elaborati con segni o frasi non inerenti lo svolgimento della traccia;
elaborati con ampi
passi identici a testi o link presenti sulla rete;
elaborati con
contenuti palesemente inadatti e scarsi dal punto di vista sintattico
grammaticale e/o di concetti giuridici. L’Avvocato Leone il 28 gennaio 2016 ha
preso parte all’importante incontro/dibattito svoltosi all’Hotel Holiday Inn di
Cava de’ Tirreni (SA) in merito al ricorso per il Concorso Interno per 1400 Vice
Ispettori della Polizia di Stato, organizzato dalla Associazione di agenti
“Tutela e Trasparenza”. Tantissimi i presenti accorsi presso la sede designata,
per cercare di approfondire dal punto di vista giuridico il bando di concorso,
che presenta una serie di criticità degne di nota, nonché la fase di correzione
e di valutazione degli elaborati che, in modo manifesto, appare illogico e
illegittimo.
Al fine di
consentire di capire di cosa stiamo parlando descrivo brevemente il concorso in
argomento: nel mese di giugno 2014 si è svolta una prova preselettiva articolata
con nr. 80 quiz a risposta multipla su 5 materie d’esame (diritto penale,
procedura penale, diritto amministrativo, diritto civile, diritto
costituzionale) cui hanno partecipato 22mila candidati ed alla quale sono
risultati idonei 7032 candidati;
nel mese di gennaio
2015 si è svolta una prova scritta consistente nella stesura di un elaborato di
diritto penale, conclusa da 6355 candidati ed alla quale sono risultati idonei
2127 candidati che hanno riportato una votazione superiore a 35/50.
Il 17 dicembre
2015, a distanza di 11 mesi dalla prova scritta, è stata diffusa una lista degli
idonei che sin da subito a suscitato forti dubbi di correttezza per la
distribuzione dei voti. Infatti oltre 2/3 degli idonei (più di 1400) hanno
superato la prova con il voto di 35/50; nessun candidato ha conseguito 34/50 e
solo in 73 hanno conseguito la sufficienza compresa tra 30/50 e 33/50. Inoltre
una gran parte dei candidati sono stati valutati non idonei con il voto di 25/50
e 28/50. Si evidenzia che l’associazione “Tutela & Trasparenza”, ha effettuato
un accesso agli atti straordinario e storico richiedendo ed ottenendo TUTTI i
2127 elaborati dei candidati idonei e TUTTI gli atti endoprocedimentali.
L’analisi di tale materiale effettuata con una task force di colleghi poliziotti
che in dieci giorni ha controllato tutti gli elaborati, ha permesso di scoprire
delle considerevoli anomalie, in particolare:
numerosissimi
elaborati con palesi errori sintattico grammaticali diffusi;
numerosissimi
elaborati con palesi errori concettuali grossolani e confusione su elementi
basilari di diritto penale tali da stravolgerne completamente le basi;
numerosi elaborati
singolarmente identici a libri di testo e/o da documenti rinvenuti sulla rete
internet;
alcuni elaborati
con segni o con messaggi di testo rivolti alla commissione come: SI RINGRAZIA
PER L’ATTENZIONE, NOTA PER IL FUNZIONARIO CHE CORREGGE, SCUSATE PER LA
CALLIGRAFIA E GRAZIE et.
Il lavoro
dell’associazione non si è comunque esaurito in tale fase, sono stati infatti
presentati circa 400 ricorsi al TAR, circa 50 al Presidente della Repubblica e
circa 150 istanze di ricorrezione al Dipartimento di P.S., tali numeri hanno di
fatto bloccato le udienze in Camera di Consiglio al TAR Lazio al punto che ad
oggi non risultano ancora calendarizzati la maggior parte dei ricorsi.
D'altronde di cosa
parliamo: è tutta “Cosa nostra”. Si sa la famiglia in Italia è sacra.
Parliamo del Corpo
Forestale. Amici e parenti la grande famiglia della Forestale. E’ sempre una
notizia attuale e quindi utile leggere l’articolo de “La Stampa” del 13 maggio
2009 riguardo il Corpo Forestale. I figli di dirigenti e comandanti alla corte
di papà. Bravi. Anzi, bravissimi. Ma non c’erano dubbi, visto che spesso la
sapienza passa di padre in figlio. E così, da una parte il caso, dall’altro le
conoscenze e le tante doti è accaduto che tra i 500 vincitori al concorso
allievi per il Corpo forestale, molti tra questi sono figli di comandanti,
dirigenti, uomini di stretta vicinanza del capo del Corpo, Cesare Patrone. Il
fato, infatti, è stato così generoso nei loro confronti, che molti di costoro
sono stati, addirittura, assegnati nelle stazioni dove comandano i loro capo
famiglia. Non sfugge, infatti, che la sorte abbia riservato a Matteo Colleselli
la stazione di Candaten proprio nell’area dove papà, comanda la regione Veneto;
e così è accaduto a Stefano Piastrelli figlio del capo di Perugia, o a
Massimiliano Giusti discendente diretto del numero due della regione Umbria. Ma
le regalie della dea bendata non finiscono qui. Tanto che a trarne beneficio è
toccato pure a Matteo Palmieri, «omonimo» del capo della segreteria del Corpo e
destinato in Puglia, terra d’origine, a Francesco Polci (figlio del vice
comandante d’Abruzzo assegnato a Chieti), a Massimo Priori (omonimo del
caposervizio del personale assegnato a Livorno), a Vittorio Scarpelli (figlio
del dirigente del servizio ispettivo assegnato nel vicino Abruzzo), nonché al
figlio del comandante di Taranto, Pasquale Silletti, assegnato alla stazione di
Cassano Murge a Bari, a Dante Stabile, parente del capo di Napoli finito alla
stazione di Boscoreale in Campania. E’ chiaro, però, che la fortuna non poteva
girare a tutti. Ma dove non osò la sorte, giunsero i «pizzini» del patronato:
per Alfonso, figlio di Rosetta, per Emidio figlio di Cesarina di zio Antonio, o
per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria. E ancora, per Massimiliano, cugino
di Rosetta, ma anche per Paolo che è nel cuore di zio Domenico e altri. Del
resto si sa, in Italia le cose marciano spedite solo se stanno veramente a cuore
a qualcuno. E tra le camicie verdi del Corpo Forestale la regola, stavolta, non
fa eccezione. I capisaldi sembrano tre: l’ambiente e il soccorso, il rispetto
della legge ma anche la famiglia. Non a caso, infatti, a capo del Corpo è finito
Cesare Patrone, figlio dell’ex geometra della Forestale, Michele. Al suo fianco
ci sono anche il fratello Amato (sovrintendente), la moglie di quest’ultimo
Serena Pandolfini (sovrintendente), Domenico, zio del capo ma ora in quiescenza,
dalla fulgida carriera e la figlia di quest’ultimo Rosa, primo dirigente del
Corpo, la quale classificatasi quarta al concorso da primo dirigente (i posti
erano tre) si è vista riconoscere dall’amministrazione il ruolo, ma senza
arretrati per la decorrenza della nomina dal 1 gennaio 2002 (data del posto
vacante), secondo quanto stabilito dall’ufficio centrale del bilancio del
Ministero. Nomina sì, dunque, ma senza «indennizzo». Ma per la serie, la
speranza è l’ultima a morire, ecco che in soccorso di Rosa Patrone, la Camera ha
approvato un emendamentino ad hoc che si «applica anche agli idonei nominati,
nell’anno 2008, nelle qualifiche dirigenziali» e che risarcisce e stabilisce
anche le quantificazioni economiche: oltre 177mila euro per il 2008, 24mila per
il 2009 e altri 24 mila per il 2010. Insomma, un indennizzo niente male, che
desta non pochi malumori. Così come destano sorpresa i risultati del concorso
per 182 posti da vice ispettore. Dopo la prova scritta tra i primi posti a
piazzarsi ci sono i più stretti collaboratori del capo del Corpo. Uomini
certamente brillanti e qualificati come il suo autista Domenico Zilli (voto 30
su 30), Marco Giurissich della segreteria (30/30), Amato Patrone, fratello del
capo (30/30), Noemi La Motta, segretaria del capo (29,5/30), Serena Pandolfini,
la cognata di Patrone (29,5/30), Claudio Bernardini, segreteria della cugina del
capo del corpo (29/30), Cristiano De Michelis, assistente del capo (29/30),
Quintilia Pomponi, segreteria della cugina del capo (29/30), Vania La Motta,
sorella di Noemi, cognata di Zilli l’autista del capo. Tanta conoscenza e
bravura, nelle prove scritte, ha stupito il parlamentare del Pdl, Marco Zacchera
che in una interrogazione spiega «che dall’esame dei 50 concorrenti che hanno
superato il punteggio di 28/30 appaiono alcune anomalie, ovvero che ben 32 di
essi hanno sede di lavoro a Roma, molti negli uffici dell’ispettorato generale,
mentre altri 8 hanno sede di lavoro in Calabria e solo 10 nel resto d’Italia», e
quindi chiede «di accertare se i testi dei quiz siano stati resi pubblici a
nicchie» e se non si ritenga di «dover sospendere il concorso». Niente da fare,
ovviamente. Il concorso va avanti, così come procede spedita anche un’altra
interrogazione. Stavolta, a siglarla è il parlamentare leghista, Maurizio
Fugatti al quale non sfugge che «dei 29 candidati che hanno riportato voti tra
il 29 e il 30, ben 21 provengono dal medesimo ispettorato generale». Attitudini
spiccate? Chissà. Di certo, nemmeno Fugatti sembra capacitarsi di «un personale
così altamente qualificato in servizio all’ispettorato - scrive - e che sarebbe
consigliabile correggere tale squilibrio sul territorio nazionale, assegnando a
compiti territoriali almeno parte delle migliori risorse ora collocate a
mansioni amministrative». Ma nonostante ciò al Corpo si guarda avanti.
L’attenzione nelle ultime ore è rivolta a tutta una serie di promozioni varate
in una delle riunioni del cda della Forestale presieduto dal ministro Zaia.
Anche qui, la fortuna ha lasciato il segno. Tangibile, ma solo per pochi,
«posandosi» sui fascicoli di nove candidati, otto dei quali del nord Italia e
Veneto, che così hanno ottenuto il punteggio massimo pur non avendo alcuni
titolo speciale valutabile.
Dr Antonio
Giangrande
Concorsi pubblici,
in vigore il nuovo regolamento.
Da lentepubblica.it 17 Luglio 2023
Il nuovo
regolamento, che stabilisce nuove misure destinate alle procedure nei concorsi
pubblici, è entrato in vigore: ecco cosa cambia.
Sono già a regime
le nuove norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le
modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di
assunzione nel pubblico impiego.
Scopriamo dunque
quali sono tutte le novità.
Indice dei
contenuti
Concorsi pubblici,
in vigore il nuovo regolamento
Concorsi su base
territoriale
Tetto agli idonei
Pubblicazione bandi
Rappresentatività
di genere
Prova orale
I manuali Simone
per tutti i concorsi pubblici
Il testo completo
del nuovo regolamento
Concorsi pubblici,
in vigore il nuovo regolamento
Le nuove misure
sono entrate ufficialmente in vigore il 14 luglio. Il testo contiene la
disciplina regolamentare che le amministrazioni sono tenute ad applicare
nell’espletamento delle procedure concorsuali.
L’intervento si
inquadra nell’ambito di una riforma di sistema che interessa la pubblica
amministrazione, con l’obiettivo di realizzare un ampio disegno volto alla
riforma della capacità amministrativa della pubblica amministrazione e al
raggiungimento degli obiettivi negoziati con la Commissione Europea nell’ambito
del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Concorsi su base
territoriale
In primo luogo i
concorsi unici potranno essere organizzati su base territoriale.
In sostanza, chi
partecipa a un concorso pubblico, anche se bandito su base nazionale, potrà
scegliere la Regione per cui partecipare e potrà concorrere solo per quella.
Potranno esserci
degli slittamenti da un ambito territoriale all’altro, solo se in una non vi
saranno abbastanza candidati idonei. Però, il trasferimento potrà avvenire solo
tra Regioni confinanti.
Tetto agli idonei
Ed ancora,
l’amministrazione potrà coprire i posti non assegnati mediante scorrimento delle
graduatorie degli idonei non vincitori dello stesso profilo in altri ambiti
territoriali confinanti con il maggior numero di idonei.
Nei concorsi
pubblici saranno considerati idonei i candidati collocatisi, nella graduatoria
finale, entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi.
In caso di rinuncia
all’assunzione o di dimissioni del lavoratore entro 6 mesi dall’assunzione,
l’amministrazione potrà procedere allo scorrimento della graduatoria.
Pubblicazione bandi
I bandi per i
concorsi pubblici saranno pubblicati sul Portale inPA, il portale per il
reclutamento del personale della Pubblica Amministrazione e sul sito dell’ente
che organizzerà il concorso.
Rappresentatività
di genere
In una nota della
Funzione Pubblica, si evidenzia che sarà data una particolare attenzione alla
rappresentatività di genere, con l’obiettivo di eliminare qualsiasi forma di
discriminazione.
Sono previste anche
delle speciali tutele per le donne in stato di gravidanza o di allattamento.
Prova orale
Fino al 31 dicembre
2026, i bandi di concorso, per profili non apicali, potranno prevedere solo lo
svolgimento della prova scritta, eliminando il colloquio orale.
Prova orale nei
concorsi pubblici. Sorteggio delle domande e svolgimento della prova orale in
un’aula aperta al pubblico.
Studio Legale Gallone & Urso il 13 Marzo 2019
In questo periodo
si stanno svolgendo le prove selettive di diverse procedure concorsuali, tra cui
quelle per la selezione di docenti nella scuola pubblica e quelle per dirigenti
medici ed infermieri. In diverse occasioni le commissioni esaminatrici hanno
proceduto allo svolgimento delle prove orali, o colloqui, in palese violazione
della specifica normativa sullo svolgimento dei concorsi pubblici. In
particolare si fa riferimento al D.P.R. 487/1994 e, per quanto concerne il
personale sanitario, anche ai D.P.R. 483/1997 e D.P.R. 220/2001, i quali
sanciscono il principio inderogabile ed immodificabile secondo cui la
commissione esaminatrice, prima della prova orale, formula i quesiti da
sottoporre ai candidati, che dovranno essere somministrati ai candidati mediante
estrazione a sorte. In nessun caso, quindi, la commissione esaminatrice di un
pubblico concorso può evitare il sorteggio delle domande da porre ai candidati,
e ciò, a prescindere da qualsiasi motivazione addotta dalla stessa. La
giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che la regola del sorteggio
delle domande è una regola generale ed inderogabile a garanzia della trasparenza
delle prove concorsuali. Al fine di invalidare le prove orali, quindi, non
occorre provare altro. In caso di mancato sorteggio delle domande la prova orale
è radicalmente viziata e deve sempre essere annullata e ripetuta.
Sempre con
riferimento alla prova orale, il problema ha investito anche la possibilità per
la commissione esaminatrice di far svolgere le prove in aule non aperte al
pubblico. Anche questo contrasta nettamente con quanto previsto dalla suindicata
normativa, e pertanto, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che anche in
tale ipotesi le prove orali siano irrimediabilmente viziate, e come tali vadano
annullate e ripetute. E’ accaduto più volte che la commissione esaminatrice
impedisse ai candidati in attesa di sostenere la prova orale di assistere alle
prove dei colleghi, con la motivazione di voler impedire che gli stessi
potessero essere avvantaggiati dal fatto di ascoltare in anticipo domande poi
ripetute. Il Consiglio di Stato, confermando una pronuncia di primo grado, ha
ribadito che le prove orali di qualsiasi procedura concorsuale debbano sempre
svolgersi in un’aula aperta al pubblico in modo che chiunque possa assistervi.
Di conseguenza, nel caso in cui la commissione esaminatrice chieda ai candidati
in attesa di essere esaminati di attendere il loro turno in una stanza separata,
pone in essere un comportamento certamente illegittimo e, in caso di bocciatura,
il candidato potrà senza dubbio ottenere l’annullamento di tale bocciatura
dinnanzi al tribunale amministrativo competente.
Se avete un
problema simile o che comunque concerne la tematica dei concorsi pubblici, non
esitate a contattarci per una consulenza personalizzata.
Diritto del
candidato assistere alle prove orali di concorsi.
Il Consiglio di
Stato, con sentenza n°1626 del 27/03/2015, ha chiarito che è diritto del
candidato e di terzi estranei accedere alle aule di concorso durante le prove
orali.
Il candidato che ha
già sostenuto la prova o deve ancora sostenere il colloquio, ha il diritto di
presenziare alle prove degli altri candidati sia per assicurarsi dello
svolgimento della prova, sia per verificare il corretto operare della
Commissione.
Antonio
Giangrande: la prova orale, madre si tutte le arroganze e presunzioni. In
sede di esame orale ti trovi di fronte una schiera di Commissari di esame che
fanno sfoggio della loro sapienza rispetto a te e rispetto a loro stessi.
L’oggetto dell’esame non verte sulla tua perizia rispetto alle materie
esaminandi, ma sulla capacità di metterti in difficoltà rispetto alla loro
presunzione di saperne più di te e del loro collega. Tu che hai superato a pieni
voti lo scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di
approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano il tuo
stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o meglio, un
raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i voti sono in contrasto
con la scena muta. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
Le prove scritte.
Antonio Giangrande:
Nei Concorsi Pubblici ci sono due tipi di prove scritte:
Quella con risposte
uniche e motivate, la cui correzione è, spesso, lunga, farraginosa e fatta da
commissioni clientelari, familistici e incompetenti che non correggono o
correggono male non avendo il tempo necessario o la preparazione specifica e che
promuovono secondo fortuna o raccomandazione.
Quella con domande
multiple, spesso, incoerenti con la competenza richiesta, ma che garantiscono
velocità di correzione e uniformità di giudizio.
Chi è abituato
all’aiutino disdegna i quiz, in cui non si può intervenire, se non conoscendoli
in anticipo.
ANTONIO GIANGRANDE: VI SPIEGO COME IN ITALIA SI TRUCCANO I CONCORSI PUBBLICI.
In
Italia tutti sanno che i concorsi pubblici sono truccati e nessuno fa niente,
tantomeno i magistrati. Gli effetti sono che non è la meritocrazia a condurre le
sorti del sistema Italia, ma l'incompetenza e l'imperizia. Non ci credete o vi
pare un’eresia? Basta dire che proprio il Consiglio Superiore della
Magistratura, dopo anni di giudizi amministrativi, è stato costretto ad
annullare un concorso già effettuato per l’accesso alla magistratura. Ed i
candidati ritenuti idonei? Sono lì a giudicare indefessi ed ad archiviare le
denunce contro i concorsi truccati. E badate, tra i beneficiari del sistema, vi
sono nomi illustri.
IL
VADEMECUM DEL CONCORSO PUBBLICO TRUCCATO.
INDIZIONE DEL CONCORSO: spesso si indice un concorso quando i tempi sono maturi
per soddisfare da parte dei prescelti i requisiti stabiliti (acquisizione di
anzianità, titoli di studio, ecc.). A volte chi indice il concorso lo fa a sua
immagine e somiglianza (perché vi partecipa personalmente come candidato).
Spesso si indice il concorso quando non vi sono candidati (per volontà o per
induzione), salvo il prescelto. Queste anomalie sono state riscontrate nei
concorsi pubblici tenuti presso le Università e gli enti pubblici locali.
COMMISSIONE D’ESAME: spesso a presiedere la commissione d’esame sono personalità
che hanno una palese incompatibilità. Per esempio nella commissione d’esame
centrale presso il Ministero della Giustizia del concorso di avvocato è stato
nominato presidente colui il quale non poteva, addirittura, presiedere la
commissione locale di Corte d’Appello. Cacciato in virtù della riforma
(decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, coordinato con la legge di conversione 18
luglio 2003, n. 180). Spesso le commissioni d'esame sono mancanti delle
componenti necessarie per la valutazione tecnica della materia d'esame. Le
Commissioni d’esame hanno sempre e comunque interessi amicali, familistiche e
clientelari. Seguendo una crescente letteratura negli ultimi anni abbiamo messo
in relazione l'età di iscrizione all'albo degli avvocati con un indice di
frequenza del cognome nello stesso albo. In particolare, per ogni avvocato
abbiamo calcolato la frequenza del cognome nell'albo, ovvero il rapporto tra
quante volte quel cognome vi appare sul totale degli iscritti, in relazione alla
frequenza dello stesso cognome nella popolazione. In media, il cognome di un
avvocato appare nell'albo 50 volte di più che nella popolazione. Chi ha un
cognome sovra-rappresentato nell'albo della sua provincia diventa avvocato
prima. Infine vi sono commissioni che, quando il concorso è a numero aperto,
hanno tutto l’interesse a limitare il numero di idonei per limitare la
concorrenza: a detta dell’economista Tito Boeri: «Nelle commissioni ci sono
persone che hanno tutto da perderci dall'entrata di professionisti più bravi e
più competenti».
I
CONCORSI FARSA: spesso i concorsi vengono indetti per sanare delle mansioni già
in essere, come il concorso truffa a 1.940 posti presso l'INPS, bandito per
sistemare i lavoratori socialmente utili già operanti presso l'Ente.
LE
PROVE D’ESAME: spesso sono conosciute in anticipo. A volte sono pubblicate su
internet giorni prima, come è successo per il concorso degli avvocati, dei
dirigenti scolastici, o per l’accesso alle Università a numero chiuso
(medicina), ovvero, come succede all’esame con più sedi (per esempio all’esame
forense o per l’Agenzia delle Entrate, le tracce sono conosciute tramite
cellulari o palmari in virtù del tardivo inizio delle prove in una sede rispetto
ad altre. Si parla di ore di ritardo tra una sede ed un’altra). A volte le
tracce sono già state elaborate in precedenza in appositi corsi, così come è
successo all’esame di notaio. A volte le prove sono impossibili, come è successo
al concorsone pubblico per insegnanti all'estero: 40 quesiti a risposta multipla
dopo averli cercati, uno ad uno, in un volume di oltre 4mila che i partecipanti
alla selezione hanno visto per la prima volta, leggere quattro testi in lingua
straniera e rispondere alle relative domande. Il tutto nel tempo record di 45
minuti, comprese parti di testo da tradurre. Quasi 1 minuto a quesito.
MATERIALE CONSULTABILE: spesso, come al concorso di magistrato o di avvocato
dello Stato ed in tutto gli altri concorsi, ad alcuni è permessa la
consultazione di materiale vietato (codici commentati, fogliettini, fin anche
compiti elaborati dagli stessi commissari) fino a che non scoppia la bagarre.
Spesso, come succede al concorso di avvocato, sono proprio i commissari a
dettare il parere da scrivere sull’elaborato, tale da rendere le prove dei
candidati uniformi e nonostante ciò discriminati in sede di correzione.
IL
MATERIALE CONSEGNATO: il compito dovrebbe essere inserito in una busta da
sigillare contenente un’altra busta chiusa con inserito il nome del candidato.
Non ci dovrebbero essere segni di riconoscimento. Non è così come insegna il
concorso di notaio. Oltre ai segni di riconoscimento posti all’interno (nastri),
i commissari firmano in modo diverso i lembi di chiusura della busta grande
consegnata.
LA
CORREZIONE DEGLI ELABORATI. Quanto già indicato sono i trucchi che i candidati
possono vedere ed eventualmente denunciare. Quanto avviene in sede di correzione
è lì la madre di tutte le manomissioni. Proprio perchè nessuno vede. La norma
prevede che la commissione d’esame (tutti i componenti) partecipi alle fasi di:
•
apertura della busta grande contenente gli elaborati;
•
lettura del tema da parte del relatore ed audizione degli altri membri;
•
correzione degli errori di ortografia, sintassi e grammatica;
•
richiesta di chiarimenti, valutazione dell'elaborato affinchè le prove d’esame
del ricorrente evidenzino un contesto caratterizzato dalla correttezza formale
della forma espressiva e dalla sicura padronanza del lessico giuridico, anche
sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, e che anche la soluzione
delle problematiche giuridiche poste a base delle prove d’esame evidenzino un
corretto approccio a problematiche complesse;
•
consultazione collettiva, interpello e giudizio dei singoli commissari, giudizio
numerico complessivo, motivazione, sottoscrizione;
•
apertura della busta piccola contenete il nome del candidato da abbinare agli
elaborati corretti;
•
redazione del verbale.
Queste sono solo fandonie normative. Di fatto si apre prima la busta piccola, si
legge il nome, se è un prescelto si dà agli elaborati un giudizio positivo,
senza nemmeno leggerli. Quando i prescelti sono pochi rispetto al numero limite
di idonei stabilito illegalmente, nonostante il numero aperto, si aggiungono
altri idonei diventati tali “a fortuna”.
In
effetti, con migliaia di ricorsi al TAR si è dimostrato che i giudizi resi sono
inaffidabili. La carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del
giudizio negativo reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza
di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti,
ecc., o comunque la infondatezza dei giudizi assunti, tale da suffragare e
giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò
denota l’assoluta discrasia tra giudizio e contenuto degli elaborati, specie se
la correzione degli elaborati è avvenuta in tempi insufficienti, tali da rendere
un giudizio composito. Tempi risibili, tanto da offendere l’umana intelligenza.
Dai Verbali si contano 1 o 2 minuti per effettuare tutte le fasi di correzione,
quando il Tar di Milano ha dichiarato che ci vogliono almeno 6 minuti solo per
leggere l’elaborato. La mancanza di correzione degli elaborati ha reso invalido
il concorso in magistratura. Per altri concorsi, anche nella stessa
magistratura, il ministero della Giustizia ha fatto lo gnorri e si è sanato
tutto, alla faccia degli esclusi. Già nel 2005 candidati notai ammessi agli
orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con buoni
voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di
professionisti ed europarlamentari prima considerati "non idonei" e poi promossi
agli orali. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un
servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi
di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al
concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato
ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico
ufficio. Riguardo la magistratura, l’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi,
classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per
magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali
dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media
(comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e
quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel
1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una
vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che
vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario,
tra gli altri, proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si
occupò inutilmente del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti
i compiti identici e tutti abilitati. O ancora l'esame di ammissione all'albo
dei giornalisti professionisti del 1991, audizione riscontrabile negli archivi
di radio radicale, quando la presenza di un folto gruppo di raccomandati venne
scoperta per caso da un computer lasciato acceso nella sala stampa del Senato
proprio sul file nel quale il caposervizio di un'agenzia, commissario
esaminatore, aveva preso nota delle prime righe dei temi di tutti quelli da
promuovere. E ancora lo scandalo denunciato da un’inchiesta del 14 maggio 2009
apparsa su “La Stampa”. A finire sotto la lente d’ingrandimento del quotidiano
torinese l’esito del concorso per allievi per il Corpo Forestale. Tra i 500
vincitori figli di comandanti, dirigenti, uomini di vertice. La casualità ha
voluto, inoltre, che molti dei vincitori siano stati assegnati nelle stazioni
dove comandano i loro genitori. Una singolare coincidenza che diventa ancor più
strana nel momento in cui si butta un occhio ad alcuni “promemoria”, sotto forma
di pizzini, ritrovati nei corridoi del Corpo forestale e in cui sono annotati
nomi, cognomi, date di nascita e discendenze di alcuni candidati. «Per Alfonso,
figlio di Rosetta», «Per Emidio, figlio di Cesarina di zio Antonio», «Per Maria,
figlia di Raffaele di zia Maria». Piccole annotazioni, certo. Il destino, però,
ha voluto che le tutte persone segnalate nei pizzini risultassero vincitrici al
concorso.
GLI
ESCLUSI, RIAMMESSI. Candidati che sono stati esclusi dalla prova per
irregolarità, come è successo al concorso per Dirigenti scolastici, o giudicati
non idonei, che poi si presentano regolarmente agli orali. L’incipit della
confidenza di Elio Belcastro, parlamentare dell’Mpa di Raffaele Lombardo,
pubblicata su "Il Giornale". Belcastro ci fa subito capire, scandendo bene le
parole, che Tonino non era nemmeno riuscito a prenderlo quel voto, minimo.
«Tempo fa l’ex procuratore capo di Roma, Felice Filocamo, che di quella
commissione d’esami era il segretario, mi ha raccontato che quando Carnevale si
accorse che i vari componenti avevano bocciato Di Pietro, lo chiamò e si
arrabbiò molto. Filocamo fu costretto a tornare in ufficio, a strappare il
compito del futuro paladino di Mani pulite e a far sì che, non saprei dire come,
ottenesse il passaggio agli orali, seppur con il minimo dei voti». Bocciato e
ripescato? Magistrato per un falso? Possibile? Non è l'unico caso. Era già stato
giudicato non idoneo, ma in una seconda fase sarebbero saltati fuori degli
strani fogli aggiuntivi che prima non c’erano. Ecco come sarebbe sorto il
sospetto che qualcuno li avesse inseriti per “salvare” il candidato già
bocciato, in modo da giustificare una valutazione diversa oppure da consentire
un successivo ricorso al TAR. I maggiori quotidiani nazionali e molti locali, ed
anche tanti periodici, si sono occupati di tale gravissimo fatto, e che è stato
individuato con nome e cognome il magistrato (una donna) in servizio a Napoli
quale autore del broglio accertato. Per tale episodio il CSM ha deciso di
sospendere tale magistrato dalle funzioni e dallo stipendio. In quella sessione
a fronte di 350 candidati ammessi alle prove orali pare che oltre 120 siano
napoletani, i quali sembrano avere particolari attitudini naturali verso le
scienze giuridiche e che sembrano essere particolarmente facilitati nel loro
cammino anche dalla numerosa presenza nella commissione di esami di magistrati e
professori napoletani.
TUTELA GIUDIZIARIA. Un ricorso al TAR non si nega a nessuno: basta pagare la
tangente delle spese di giudizio. Per veder accolto il ricorso basta avere il
principe del Foro amministrativo del posto; per gli altri non c’è trippa per
gatti. Cavallo di battaglia: mancanza della motivazione ed illogicità dei
giudizi. Nel primo caso, dovendo accertare un’ecatombe dei giudizi, la Corte
Costituzionale, con sentenza 175 del 2011, ha legittimato l’abuso delle
commissioni: “buon andamento, economicità ed efficacia dell’azione
amministrativa rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle
commissioni esaminatrici, delle ragioni sottese ad un giudizio di non idoneità,
sia per i tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono
essere portate a compimento, sia per il numero dei partecipanti alle prove”.
Così la Corte Costituzionale ha sancito, il 7 giugno 2011, la legittimità
costituzionale del cd. “diritto vivente”, secondo cui sarebbe sufficiente
motivare il giudizio negativo, negli esami di abilitazione, con il semplice voto
numerico. La Corte Costituzionale per ragion di Stato (tempi ristretti ed
elevato numero) afferma piena fiducia nelle commissioni di esame (nonostante la
riforma e varie inchieste mediatiche e giudiziarie ne minano la credibilità),
stabilendo una sorta d’infallibilità del loro operato e di insindacabilità dei
giudizi resi, salvo che il sindacato non promani in sede giurisdizionale. I
candidati, quindi, devono sperare nel Foro presso cui vi sia tutela della
meritocrazia ed un certo orientamento giurisprudenziale a favore dei diritti
inviolabili del candidato, che nella massa è ridimensionato ad un semplice
numero, sia di elaborato, sia di giudizio. Giudizi rapidi e sommari, che spesso
non valorizzano le capacità tecniche e umane che da un’attenta lettura
dell’elaborato possono trasparire. Fatto assodato ed incontestabile il voto
numerico, quale giudizio e motivazione sottesa. Esso deve, però, riferire ad
elementi di fatto corrispondenti che supportino quel voto. Elementi di fatto che
spesso mancano o sono insussistenti. All'improvvida sentenza della Corte
Costituzionale viene in soccorso la Corte di Cassazione. Il sindacato
giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo sulle valutazioni
tecniche delle commissioni esaminatrici di esami o concorsi pubblici
(valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale
viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice
quale organo straordinario della pubblica amministrazione), è legittimamente
svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è affetto da illogicità
manifesta o da travisamento del fatto in relazione ai presupposti stessi in base
ai quali è stato dedotto il giudizio sull'elaborato sottoposto a valutazione. In
sostanza il TAR può scendere sul terreno delle valutazioni tecniche delle
commissioni esaminatrici per l’accesso a una professione o in un concorso
pubblico, quando il giudizio è viziato da evidente illogicità e da travisamento
del fatto. Ad affermare l’importante principio di diritto sono le Sezioni Unite
della Cassazione con sentenza n. 8412, depositata il 28 maggio 2012. Insomma, la
Cassazione afferma che le commissioni deviano il senso della norma concorsuale.
Certo che a qualcuno può venire in mente che comunque una certa tutela giuridica
esiste. Sì, ma dove? Ma se già il concorso al TAR è truccato. Nel 2008 un
consigliere del Tar trombato al concorso per entrare nel Consiglio di Stato, si
è preso la briga di controllare gli atti del giorno in cui sono state corrette
le sue prove, scoprendo che i cinque commissari avevano analizzato la bellezza
di 690 pagine. "Senza considerare la pausa pranzo e quella della toilette,
significa che hanno letto in media tre pagine e mezzo in 60 secondi. Un record
da guinness, visto che la materia è complessa", ironizza Alessio Liberati. Che
ha impugnato anche i concorsi del 2006 e del 2007: a suo parere i vincitori
hanno proposto stranamente soluzioni completamente diverse per la stessa
identica sentenza. Il magistrato, inoltre, ha sostenuto che uno dei vincitori,
Roberto Giovagnoli, non aveva nemmeno i titoli per partecipare al concorso.
Mentre il Governo rifiuta da mesi di rispondere alle varie interrogazioni
parlamentari sul concorso delle mogli (il concorso per magistrati Tar vinto da
Anna Corrado e Paola Palmarini, mogli di due membri dell’organo di autogoverno
che ne nominò la commissione) si è svolto un altro – già discusso – concorso per
l’accesso al Tar. Nonostante l’organo di autogoverno dei magistrati
amministrativi (Consiglio di Presidenza – Cpga) si sia stretto in un
imbarazzante riserbo, che davvero stride con il principio di trasparenza che i
magistrati del Tar e del Consiglio di Stato sono preposti ad assicurare
controllando l’operato delle altre amministrazioni, tra i magistrati
amministrativi si vocifera che gli elaborati scritti del concorso sarebbero
stati sequestrati per mesi dalla magistratura penale, dopo aver sorpreso un
candidato entrato in aula con i compiti già svolti, il quale avrebbe già
patteggiato la pena. Dopo il patteggiamento la commissione di concorso è stata
sostituita completamente ed è ricominciata la correzione dei compiti. Si è già
scritto della incredibile vicenda processuale del dott. Enrico Mattei, fratello
di Fabio Mattei (oggi membro dell’organo di autogoverno), rimesso “in pista” nel
precedente concorso c.d. delle mogli grazie ad una sentenza del presidente del
Tar Lombardia, assolutamente incompetente per territorio, che, prima di andare
in pensione coinvolto dallo scandalo della c.d. cricca, si era autoassegnato il
ricorso ed aveva ammesso a partecipare al concorso il Mattei, redigendo
addirittura una sentenza breve (utilizzabile solo in caso di manifesta
fondatezza), poco dopo stroncata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 6190/2008),
che ha rilevato perfino l’appiattimento lessicale della motivazione della
decisione rispetto alle memorie difensive presentate dal Mattei. Dopo il
concorso delle mogli e il caso Mattei, un altro concorso presieduto da Pasquale
De Lise è destinato a far parlare di sé. Si sono infatti concluse le prove
scritte del concorso per 4 posti a consigliere di Stato, presieduto da una
altisonante commissione di concorso: il presidente del Consiglio di Stato
(Pasquale De Lise), il presidente aggiunto del Consiglio di Stato (Giancarlo
Coraggio), il presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
regione Sicilia (Riccardo Virgilio), il preside della facoltà di giurisprudenza
(Carlo Angelici) ed un presidente di sezione della Corte di Cassazione (Luigi
Antonio Rovelli). Ma anche il concorso al Consiglio di Stato non è immune da
irregolarità. Tantissime le violazioni di legge già denunciate all’organo di
autogoverno: area toilettes non sigillata e accessibile anche da avvocati e
magistrati durante le prove di concorso, ingresso a prove iniziate di pacchi non
ispezionati e asseritamente contenenti cibi e bevande, ingresso di estranei
nella sala durante le prove di concorso, uscita dei candidati dalla sala prima
delle due ore prescritte dalla legge, mancanza di firma estesa dei commissari di
concorso sui fogli destinati alle prove, presenza di un solo commissario in
aula. Tutti vizi, questi, in grado di mettere a rischio la validità delle prove.
Qual è l’organo deputato a giudicare, in caso di ricorso, sulla regolarità del
concorso per consigliere di Stato? Il Consiglio di Stato… naturalmente!
Ecco perché urge una riforma dei concorsi pubblici. Riforma dove le lobbies e le
caste non ci devono mettere naso. Ed ho anche il rimedio. Niente esame di
abilitazione. Esame di Stato con la laurea specialistica. Attività professionale
libera con giudizio del mercato o assunzione per nomina del responsabile
politico o amministrativo che ne risponde per lui.
E'
da vent'anni che studio il fenomeno dei concorsi truccati. Anche la fortuna fa
parte del trucco, in quanto non è tra i requisiti di idoneità. Qualcuno si
scandalizzerà. Purtroppo non sono generalizzazioni, ma un dato di fatto. E da
buon giurista, consapevole del fatto che le accuse vanno provate, pur in una
imperante omertà e censura, l’ho fatto. Invitando ad informarsi tutti
coloro che, ignoranti o in mala fede, contestano una verità incontrovertibile,
non mi rimane altro che attendere: prima o poi anche loro si ricrederanno e
ringrazieranno iddio che esiste qualcuno con le palle che non ha paura di
mettersi contro Magistrati ed avvocati. E sappiate, in tanti modi questi cercano
di tacitarmi, con l’assistenza dei media corrotti dalla politica e dall’economia
e genuflessi al potere. Ho perso le speranze. I praticanti professionali sono
una categoria incorreggibile: so tutto mi, e poi non sanno un cazzo, pensano che
essere nel gota, ciò garantisca rispetto e benessere. Che provino a prendere in
giro chi non li conosce. Ripeto. La quasi totalità è con le pezze al culo e
genuflessi ai Magistrati. Come avvoltoi a buttarsi sulle carogne dei cittadini
nei guai e pronti a vendersi al miglior offerente. Non è vero? Beh! Chi esercita
veramente sa che nei Tribunali, per esempio, vince chi ha più forza dirompente,
non chi è preparato ed ha ragione. Amicizie e corruttele sono la regola.
Naturalmente per parlare di ciò, bisogna farlo con chi lavora veramente, non chi
attraverso l’abito, cerca di fare il monaco. Ho costituito un gruppo facebook
per “ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LA LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI",
in quanto parlare di liberalizzazione e di purificazione dell’esame di
abilitazione o di accesso alle carriere pubbliche solo con i praticanti non
porta da nessuna parte. Come sempre.
Dr
Antonio Giangrande
Di Attila, re degli
Unni, si parlava che fosse il Flagello di Dio. Dove passa Attila, non cresce più
l’erba, si diceva. Oggi l’Amministrazione Comunale di Avetrana ricorda vecchie
tragedie, perché ha attuato il suo piano: desertificare Avetrana per non
lasciare niente a chi gli succederà, salvo che gli altri non facciano di tutto
per perdere. Dopo quasi tutti i Pini delle scuole e dei viali è toccato
soccombere agli Eucalipti della scuola elementare Mario Morleo. Per loro si era
già provveduto alla potatura, con esborso ulteriore di denaro, con i rami
tagliati lasciati a penzolare per settimane sul muro, con pericolo per i
passanti. Per i Pini era la processioniaria ed il manto stradale divelto, ma gli
Eucalipti centenari che male hanno fatto? Erano lì già prima della mia nascita
ed hanno accompagnato tutta la mia vita con la loro ombra. L’anno prossimo, la
nuova amministrazione, già nel ripiantumare il maltolto, avrà già fatto una
buon’opera degna di consenso, tenuto conto che la promessa di questa
amministrazione e di quella precedente, di ripiantumare gli alberi divelti, da
11 anni è in attesa ancora di realizzazione.
Antonio Giangrande: Non voglio sembrare un complottista, ma ho notato che
l’apparizione della Xylella e della sua prolificazione è avvenuta in
concomitanza di questi elementi in un dato periodo storico:
Si minava il sostegno europeo di integrazione alle imprese olivicole
meridionali;
Si promuoveva da parte dell’Europa l’importazione di olive ed olio nordafricano;
Si alimentava la piantagione nelle campagne di impianti fotovoltaici, finanziata
con prelievi sulla bolletta Enel di tutti gli utenti italiani. Sistemi
fotovoltaici importati da terre lontane. Pannelli divenuti probabilmente vettori
dell’insetto batterio killer, “Cicalina Sputacchina – Philaenus spumarius”.
Si agevolava l’invasione del vettore in zone non attinti dalla malattia
attraverso il trasporto in altri luoghi degli scarti di potatura, vietato
bruciarli in loco da una legge infame, così come tradizione millenaria.
Non si estirpa il problema, nonostante si trovi sempre una profilassi ad ogni
malattia, anche umana. Ci si limita, solo, alle semplici buone pratiche, già
adottate anzitempo dal buon contadino.
Il Nord Italia e la scuola: Quando l’invidia la fa da padrona.
Prove Invalsi – Ocse ed Esame di Maturità con lode: c’è chi fa, volutamente,
confusione per instillare, ancora una volta, malsane stille di razzismo. Si fa
confondere l’oggettivo con il soggettivo.
Quando il nord vuol sempre primeggiare e quando i dati vengono analizzati dalle
opinioni risibili e partigiane degli opinionisti settentrionali.
Inchiesta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Il
presidente della Regione Veneto Luca Zaia, alla luce dei risultati scolastici
degli studenti italiani diffusi l’11 agosto 2016 dal ministero dell'Istruzione,
solleva il problema delle modalità di valutazione degli studenti nelle scuole
italiane, scrive “L’Ansa" il 12 agosto 2016. «E' evidente che c'è qualcosa che
non funziona nella scuola italiana e nei suoi sistemi di valutazione - accusa -
se i ragazzi del Nordest, in testa alle classifiche Ocse e Invalsi per
preparazione, poi risultano all'ottavo posto nelle statistiche dei "cento e
lode" alla maturità». Da qui l'appello al ministro: «convochi al più presto una
commissione ministeriale di esperti, riattivi sistemi di verifica su campioni
omogenei di scuole e di studenti». E' un leghista e per tale va trattato.
Il
problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti
sono pieni di dubbi (Bertrand Russell)
L’ignorante parla a vanvera. L’intelligente parla poco. ‘O fesso parla
sempre (Totò)
L’aggiotaggio
scolastico.
L’adozione di libri
di testo scolastici è deliberata dal collegio dei docenti entro la seconda
decade di maggio per tutti gli ordini e gradi di scuola.
Le materie
scolastiche sono sempre quelle. Gli autori dei testi scolastici sono sempre
quelli.
Perché ogni anno si
cambiano i libri, anziché riusare l’edizione dell’anno prima? Dove
l’aggiornamento è necessario “nulla quaestio”, (Nulla quaestio (in italiano
"nessuna questione", "nessun problema") è una locuzione latina della tradizione
giuridica medievale, utilizzato, spesso in relazione a varie ipotesi, per
indicare che in una determinata circostanza una data questione non si pone, ma
ove la nuova versione non sia necessaria, tale modo di fare è dannoso per le
famiglie e può nascondere un’azione criminale.
Si impedisce alle
famiglie di riusare i testi per gli altri figli, ovvero di acquistarli sul web o
nei mercatini scontati del 50%.
Cui prodest? –
Frase latina («a chi giova?»), tratta dal passo della Medea di Seneca, a. III,
vv. 500-501, cui prodest scelus, is fecit «il delitto l’ha commesso colui al
quale esso giova»; è appunto in questo senso che la domanda viene posta, nella
sua formulazione abbreviata, quando si cerca di scoprire chi sia l’autore o il
promotore di un fatto (non necessariamente delittuoso), nel presupposto che può
esserlo soltanto chi se ne ripromette un vantaggio per sé.
Il vantaggio sicuro
è per gli editori. Ma cosa ci guadagnano i docenti con questa azione scellerata?
Deep State: Stato
profondo
e Spoils system: cooptazione dei Dirigenti Pubblici.
Il Sistema
esistente del Deep State la Cooptazione politica (Spoils
system) di
Responsabilità dei dirigenti Pubblici.
Metodo da usare in
tutte le assunzioni pubbliche.
Chi li nomina,
risponde del loro operato.
Taglia…Taglia, si
rimane con le pezze al culo.
Nel 1996, agli
inizi del mio praticantato forese avevo chiaro il mio futuro. Potevo districarmi
a pochi chilometri di distanza da casa mia presso giudici di Pace, Tribunali
monocratici e collegiali e Tar con minime spese tra:
Ricorsi in
opposizione a sanzioni amministrative,
Ricorsi su sinistri
stradali,
Cause di ogni
sorta.
Tutti gli avvocati
lavoravano, anche quelli col gratuito patrocinio, e tutti potevano chiedere
giustizia.
Poi hanno deciso
che la giustizia era lenta ed onerosa.
Hanno dato la colpa
al numero eccessivo di avvocati forieri di litigiosità. Hanno limitato l’accesso
all’avvocatura: tutto come prima.
Hanno dato la colpa
all’eccessive cause. Hanno elevato gli importi delle iscrizioni a ruolo, hanno
eliminato molte competenze, hanno riformato la risarcibilità dei sinistri
stradali e inserito la figura del mediatore: tutto come prima.
Hanno dato la colpa
a troppe sedi decentrate dei Tribunali e giudici di Pace. Hanno tagliato le sedi
dei Tribunali e dei Giudici di Pace: tutto come prima.
Hanno detto che vi
erano pochi operatori giudiziari. Hanno inserito l’ufficio del processo: tutto
come prima
Hanno dato la colpa
al gratuito patrocinio. Hanno limitato l’accesso con norme farraginose e
ostacolato il pagamento agli avvocati, che, di conseguenza, vi hanno rinunciato:
tutto come prima.
Oggi ci troviamo con i supposti stessi
problemi di lentezza, ma con rinuncia alle cause e con meno avvocati.
Che la cura sia
stata peggio della malattia dispensata da medicastri improvvisati?
Antonio Giangrande: LA DENUNCIA SUI SOCIAL DEI CANDIDATI BRESCIANI. «Non
possiamo promuoverli tutti»: il microfono rimasto aperto all’esame da avvocato.
L’episodio, durante l’esame per l’abilitazione da avvocato con i candidati di
Brescia esaminati dai commissari di Lecce, documentato in un audio è finito sui
social. Verifiche del Ministero.
E'
risaputo che, dati alla mano, le Commissioni d'esame di avvocato nordiste sono
più malevoli nei confronti dei candidati meridionali (30% di ammessi all'orale).
Ma fa notizia il fatto che i candidati padani non siano tutti promossi.
Lettera di Antonio Giangrande, Presidente dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie e di Tele Web Italia, al Ministro della Giustizia per l’accusa di plagio a
100 candidati all’esame di avvocato.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
Al
Ministro della Giustizia. — Per sapere – premesso che:
alla fine di giugno 2013 si apprendeva dalla stampa che a Lecce sarebbero solo
440 su 1258 i compiti ritenuti validi. Questo il responso della Commissione di
esame di avvocato presso la Corte d’Appello di Catania, presieduta dall’Avvocato
Antonio Vitale, addetta alla correzione degli elaborati dell’esame di avvocato
sessione 2012 tenuta presso la Corte d’Appello di Lecce. Più di cento scritti
sono finiti sul tavolo della Procura della Repubblica con l’accusa di plagio per
poi, magari, scoprire che è tutta una bufala. Copioni a parte, sarebbe,
comunque, il 65% a non superare l’esame: troppi per definirli asini, tenuto
conto che alla fase di correzione non si dedicano oltre i 5 minuti, rispetto ai
15/20 minuti occorrenti. Troppo pochi per esprimere giudizi fondati.
Tenuto conto che le notizie sono diffamatorie e lesive della dignità e
dell’onore non solo dei candidati accusati del plagio, ma anche di tutta la
comunità giudiziaria di Taranto, Brindisi e Lecce coinvolta nello scandalo, si
chiede di approfondire alcune questioni (in relazione alle quali l’interrogante
ritiene opportuno siano comunicati con urgenza dati certi) per dimostrare se di
estremo zelo si tratti per perseguire un malcostume illegale o ciò non nasconda
un abbaglio o addirittura altre finalità –
Per
ogni sede di esame di avvocato ogni anno qual è la media degli abilitati
all’avvocatura ed a che cosa è dovuta la disparità di giudizio, tenuto conto che
i compiti corretti annualmente presso ogni sede d’esame hanno diversa
provenienza.
Se
per l’esame di avvocato è permesso usare codici commentati con la
giurisprudenza;
Se
le tracce d’esame di avvocato indicate del 2012 erano riconducibili a massime
giurisprudenziali prossimi alla data d’esame e quindi quasi impossibile
reperirle dai codici recenti in uso i candidati e se, quindi, i commissari, per
l’impossibilità acclamata riconducibile ad errori del Ministero, hanno dato
l’indicazione della massima da menzionare nei compiti scritti;
Nella sessione di esame di avvocato 2012 a che ora è stabilita la dettatura
delle tracce; presso la sede di esame di avvocato di Lecce a che ora sono state
lette le tracce; se in tal caso la conoscenza delle stesse non sia stata
conosciuta prima dell’apertura della sessione d’esame con il divieto imposto
dell’uso di strumenti elettronici;
Quali sono le mansioni delle commissioni d’esame di avvocato: correggere i
compiti e/o indagare se i compiti sono copiati e quanto tempo è dedicata ad una
o all’altra funzione;
Quali sono i principi di correzione dei compiti, ed in base ai principi dettati,
quali sono le competenze tecniche dei commissari e se corrispondono esattamente
ai criteri di correzione: Chiarezza, logicità e metodologia dell’esposizione,
con corretto uso di grammatica e sintassi; Capacità di soluzione di specifici
problemi; Dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti
giuridici trattati e della capacità di cogliere profili interdisciplinari;
Padronanza delle tecniche di persuasione.
Tra
i principi indicati qual è la figura professionale tra avvocati, magistrati e
professori universitari che ha la perizia professionale adatta a correggere i
compiti dal punto di vista lessicale, grammaticale, sintattico, persuasivo ed
ogni altro criterio di correzione riconducibile alle materie letterarie,
filosofiche e comunicative.
Quanti e quali sono le sottocommissioni in Italia che da sempre hanno scoperto
compiti accusati di plagio e in base a quali prove è stata sostenuta l’accusa;
Quante e quali sono le sottocommissioni di Catania che hanno verificato il
plagio de quo e quanti sono gli elaborati accusati di plagio ed in base a quali
prove è sostenuta l’accusa.
Se
le Sottocommissioni di Catania coinvolte erano composte da tutte le componenti
necessarie alla validità della sottocommissione: avvocato, magistrato,
professore.
Se
tutti i compiti di tutte le sottocommissioni di esame di avvocato di Catania
(contestati, dichiarati sufficienti, e dichiarati insufficienti) presentano
segni di correzione (glosse, cancellature, segni, correzioni, note a margine);
Quanto tempo, in base ai verbali apertura-chiusura sessione, per ogni compito
tutte le sottocommissioni di Catania (anche quelle che non hanno scoperto le
plagiature) hanno dedicato alla fase di correzione (apertura della busta grande,
lettura e correzione dell’elaborato, giudizio e motivazione, verbalizzazione e
sottoscrizione);
Quanto tempo, in base ai verbali apertura-chiusura sessione, per ogni compito
tutte le sottocommissioni di Catania (quelle che hanno scoperto le plagiature)
hanno dedicato alla fase di correzione e quanto tempo alla fase di indagine con
ricerca delle fonti di comparazione e quali sono stati i periodi di pausa (caffè
o bisogni fisiologici).
Al
Ministro si chiede se si intenda valutare l’opportunità di procedere ad un
indagine imparziale ed ad un’ispezione Ministeriale presso le sedi d’esame
coinvolte per stabilire se Lecce e solo Lecce sia un nido di copioni, oppure se
la correzione era mirata, anzichè al dare retti giudizi, solo a fare opera
inquisitoria e persecutoria con eccesso di potere per errore nei presupposti;
difetto di istruttoria; illogicità, contraddittorietà, parzialità dei giudizi.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande:
Da:
Pacho Pedroche Lorena (venerdì 22 settembre 2018). Salve, sono Lorena Pacho,
giornalista spagnola presso il giornale El País. Sto lavorando presso un
servizio sugli avvocati italiani che chiedono l'omologazione del titolo di
studio in Spagna. Sarebbe possibile parlare con il Dr. Giangrande, per favore,
per fare qualche domanda sul processo e come funziona in Italia? in relazione
con i sui libri L' Italia dei concorsi pubblici truccati ed esame di avvocato.
La ringrazio cordiali saluti. La ringrazio tanto, gradisco molto questa
soluzione e la ringrazio. Invio qua delle domante, si senta libero di rispondere
a tutte oppure solo a una parte. Anche si senta libero per la lunghezza, ma non
è necessario sia molto lungo. L'obiettivo di questo servizio è per una parte
fare capire ai lettori spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per diventare
avvocato spiegando come è il processo in Italia, perchè è così lungo, difficile
e tortuoso accedere alla abilitazione alla professione di avvocato e quale sono
le ombre e difetti di questo processo:
-
Quali sono le particolarità que definiscono meglio il processo per
l'abilitazione alla professione di avvocato? (per fare capire ai lettori
spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per l'omologazione.
«In
Italia per diventare avvocato bisogna laurearsi in Giurisprudenza (in legge).
Poi si segue un periodo di praticantato con corsi obbligatori onerosi ed esosi e
solo alla fine si affrontano gli esami di abilitazione organizzati dal Ministero
della Giustizia. Le commissioni di esame di avvocato sono composte da avvocati,
professori universitari e magistrati. La stessa composizione che abilita gli
stessi magistrati ed i professori. Con scambio di ruoli e favori. Io ho
partecipato per 17 anni all’esame di abilitazione, fino a che ho detto basta! In
questi anni ho vissuto tutte le fasi delle riforme emanate per rendere, in
effetti, impossibile l’iscrizione all’albo tenuto dagli avvocati più anziani.
All’inizio della mia esperienza il praticantato era di due anni e poi affrontavi
l’esame con le commissioni del proprio distretto, portando i codici annotati
solo con la giurisprudenza. Allora non si sentiva parlare di migrazione verso la
spagna di aspiranti avvocati. Se eri bocciato, bastava riprovare ed aspettare.
Da sempre, però, vi era la litania che gli avvocati erano troppi. Ad oggi il
praticantato si svolge con corsi di formazione obbligatori ed a pagamento per 18
mesi e l’esame sarà svolto con soli codici senza annotazioni della
giurisprudenza. Inoltre, con l’avvento del cosiddetto governo “liberale” di
Silvio Berlusconi, l’allora Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha
previsto la transumanza degli elaborati degli esami. Spiego meglio. Le
commissioni di esame di avvocato del Nord Italia erano avare nell’abilitare, per
limitare la concorrenza. Roberto Castelli era del partito di Matteo Salvini,
attuale vice premier. La lega Nord, prima di essere anti immigrati è stata da
sempre anti meridionale. Se il loro motto oggi è “prima gli italiani”, allora
era “prima i settentrionali”. Nel Nord d’Italia vi era la convinzione che le
commissioni del sud Italia erano prodighi, per questo vi erano più idonei
all’esame di avvocato. La stessa Ministro Gelmini del Governo Berlusconi, lei
impedita a Brescia, ha fatto l’esame in Calabria. A loro dire, poi, la massa di
idonei emigrava al Nord, togliendo lavoro ai locali, che tanto avevano fatto
illecitamente per tutelare se stessi. Secondo questa riforma di stampo razzista
le prove scritte sono visionate da commissioni estratte a sorte, con spostamento
dei plichi con gli elaborati da nord a sud e viceversa, con aggravio di tempo e
di denaro. In questo modo sono avvantaggiati i candidati del nord Italia, i cui
compiti sono corretti dalle commissioni del sud, rimaste benevoli. I partiti
statalisti di sinistra non hanno fatto altro che confermare questo iniquo
sistema».
-
Secondo Lei, che senso ha rendere obbligatorio l'esame di Stato per gli
avvocati?
«Non ha senso rendere obbligatorio un esame che non garantisce il merito, tenuto
conto che i candidati, oltretutto, hanno sostenuto tantissimi esami
all’università. Benissimamente a fine studio universitario potrebbero sostenere
l’esame finale di abilitazione (come in altri paesi) avente valore di esame di
Stato. Poi ci pensa il mercato: chi vale, lavora».
-
Funziona il sistema dei concorsi di abilitazione alla professione forense in
Italia?
«Il
sistema di abilitazione forense in Italia non funziona perché non garantisce il
merito, ma è stabilito solo per limitare l’accesso ai giovani aspiranti avvocati
per la tutela di rendita di posizione o per garantire i propri protetti».
-Perchè è così alta la percentuale di concorrenti che non superano, che non
passano gli esami di avvocato?
«La
percentuale di idonei diventa di anno in anno sempre minore. Perché negli anni
hanno limitato l’intervento degli avvocati nella tutela dei diritti (vedi
ricorsi contro le sanzioni amministrative o per i sinistri stradali o per
onerosità delle cause); ovvero hanno imposto delle tasse e dei contributi esosi.
Questo porta la lobby degli avvocati a tutelare gli interessi corporativi sempre
più ristretti, negando l’accesso ai nuovi. I giovani per aggirare l’ostacolo
prendono altre strade: ossia, la migrazione per ottenere la meritata professione
per la quale hanno studiato per anni e che per questo non possono fare altro.
Inoltre il fatto di diventare avvocato non dà sicurezza di reddito, perché
comunque ai giovani avvocati è impedito entrare in un certo sistema di potere
che assicura lavoro. Per lavorare come avvocato devi essere protetto ed
omologato».
-Si
può parlare di qualche irregolarità, anomalie nella fase di correzione ed in che
modo? Possiamo parlare di altre anomalie?
«Il
mio parere è per cognizione di causa diretta e per aver studiato e cercato prove
(in testi ed in video da visionare sul mio canale su Dailymotion) per oltre
venti anni per dimostrare che l’esame di avvocato in particolare, ma ogni esame
di abilitazione o concorso pubblico in Italia è truccato (irregolare). Il frutto
del mio lavoro sono i saggi “ESAME DI AVVOCATO. ABILITAZIONE TRUCCATA”, in
particolare. E “CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI” per quanto riguarda tutti i concorsi
pubblici e gli esami di Stato.
Nei
miei saggi si dimostra con prove inoppugnabili dove si annida il trucco:
Nelle fasi preliminari (tracce conosciute);
Durante le prove (copiature e dettature);
Durante le correzioni (commissioni irregolari e compiti non corretti, ma
dichiarati tali);
Durante la tutela giudiziaria (disparità di giudizio rispetto a ricorsi simili o
uguali).
Da
tener conto che i commissari sono professionisti diventati tali in virtù di
concorsi analoghi, quindi truccati».
-
Quale sarebbe l'obiettivo di truccare questi esami di avvocati?
«Si
truccano gli esami per garantire un proprio familiare o un proprio amico o
conoscente. O per tutelare l’interesse corporativo».
-
Lei vuole aggiungere qual cosa altro che pensa può essere utili per i lettori
spagnole oppure importante per capire la situazione e questo fenomeno.
«Io
sin dalla prima volta ho denunciato le anomalie. Sin dal principio mi hanno
minacciato che non sarei diventato avvocato. Pensavo che valesse la forza della
legge e non, come è, la legge del più forte. Per 17 anni mi hanno sempre dato
voti identici per tutte le tre prove annuali, senza che il compito sia stato
corretto (mancanza di tempo calcolato dal verbale). Le mie denunce pubbliche
hanno provocato la reazione del potere con procedimenti penali a mio carico da
cui sono uscito sempre assolto. I giornalisti, anche loro figli del sistema, mi
oscurano, non impedendomi, però, di essere seguitissimo sul web, attraverso le
mie opere pubblicate su Amazon. Si dà il caso che sia una giornalista spagnola a
chiedere un mio parere e non una italiana. Il fatto che i giovani italiani
vadano in Spagna o in Romania o in altre località molto più liberali che
l’Italia, per poter realizzare i loro sogni, hanno la mia piena solidarietà. E’
solo un atto di puro stato di necessità che discrimina eventuali reati commessi.
Se lo fanno violando le norme non sono meno colpevoli di chi nella loro patria
illiberale, viola le norme impunemente. Perché negli esami di Stato e nei
concorsi pubblici chi aiuta o favorisce o raccomanda qualcuno a scapito di altri
viola una noma penale grave, costringendo gli esclusi a spendere tantissimi
soldi che non hanno. E solo per poter lavorare».
Antonio Giangrande:
Esame di avvocato e lo scandalo ciclico delle copiature.
L’Opinione del dr
Antonio Giangrande, scrittore, blogger e youtuber.
Bufera sul concorso
di Napoli. Noi nel 2009 avevamo già documentato i controlli inesistenti su Roma,
scrive Antonio Crispino e lo documenta su Corriere TV il 25 febbraio 2016.
«Milano smaschera Napoli», «Trento smaschera Potenza», «Catania smaschera
Lecce». Periodicamente sui giornali si leggono titoli di questo tipo. Si
riferiscono alle prove d’esame che le commissioni di turno annullano agli
aspiranti avvocati che si cimentano con l’esame di Stato. Perché risultano
essere elaborati copiati dalla prima all’ultima parola. I candidati di una
regione, infatti, sono esaminati da una commissione di provenienza territoriale
diversa, scelta tramite sorteggio dal ministero della Giustizia. Basta
prendersela con qualche candidato per giustificare l’incapacità di tutti. Da
sempre si copia tra candidati o si detta da parte dei commissari. Certo che nè
giornalisti, né magistrati osano verificare quello che di ignobile succede
dentro le stanze buie e segrete dove si riuniscono le commissioni di esame. Da
arrestare tutti. I compiti sono dichiarati falsamente letti e corretti: cosa non
vera. Giornalisti e magistrati verifichino i tempi dedicati al singolo elaborato
rispetto ai tempi di apertura e chiusura del verbale e verifichino sugli
elaborati quanti errori sono stati corretti. Ho scritto un libro per dimostrare
che da sempre l’esame forense è truccato ed ho scritto un altro libro per
dimostra che tutti i concorsi pubblici sono truccati, anche quello per
magistrati. In questo caso coloro che sono stati abilitati con tale sistema,
commissioni di esame e magistrati inquirenti e giudicanti, hanno il coraggio di
perseguire?
Da quanto
analiticamente già espresso e motivato si denota che violazione di legge,
eccesso di potere e motivi di opportunità viziano qualsiasi valutazione negativa
adottata dalla commissione d’esame giudicante, ancorchè in presenza di una
capacità espositiva pregna di corretta applicazione di sintassi, grammatica ed
ampia conoscenza di norme e principi di diritto dimostrata dal candidato in
tutti e tre i compiti resi.
1. Qui si evince un
fatto, da sempre notorio su tutti gli organi di stampa, rilevato e rilevabile in
ambito nazionale: ossia la disparità di trattamento tra i candidati rispetto
alla sessione d’esame temporale e riguardo alla Corte d’Appello di competenza.
Diverse percentuali di idoneità, (spesso fino al doppio) per tempo e luogo
d’esame, fanno sperare i candidati nella buona sorte necessaria per
l’assegnazione della commissione benevola sorteggiata. Nel Nord Italia le
percentuali adottate dalle locali commissioni d’esame sono del 30%, nel sud fino
al 60%. Le sottocommissioni di Palermo sono come le sottocommissioni del Nord
Italia. I Candidati sperano nella buona sorte dell’assegnazione. La Fortuna:
requisito questo non previsto dalle norme.
2. Qui si contesta
la competenza dei commissari a poter svolgere dei controlli di conformità ai
criteri indicati: capacità pedagogica propria di docenti di discipline
didattiche non inseriti in commissione.
3. Qui si contesta
la mancanza di motivazione alle correzioni, note, glosse, ecc., tanto da essere
contestate dal punto di vista oggettivo da gente esperta nella materia di
riferimento.
4. Qui si evince la
carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del giudizio reso in
contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli
elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque si
contesta la fondatezza dei rilievi assunti, tale da suffragare e giustificare la
corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta
mancanza di motivazione al giudizio, didattica e propedeutica al fine di
conoscere e correggere gli errori, per impedirne la reiterazione.
5. Altresì qui si
contesta la mancanza del voto di ciascun commissario, ovvero il voto riferito a
ciascun criterio individuato per la valutazione delle prove.
6. Altresì qui si
contesta l’assenza ingiustificata del presidente della Commissione d’esame
centrale e si contesta contestualmente l’assenza del presidente della Iª
sottocommissione.
7. Altresì qui si
contesta la correzione degli elaborati in tempi insufficienti, tali da rendere
un giudizio composito.
Dr Antonio
Giangrande
INCHIESTA
SULL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TARANTO.
Un'inchiesta di cui
nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei
magistrati, dai quali riceve la notizia segretata. Chi è amico degli avvocati
che tace della notizia già pubblicata. Ne scrive il dr Antonio Giangrande,
scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie.
"Siediti lungo la
riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo
nemico", proverbio cinese.
Taranto, rimborsi
non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro
spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su
“La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione
della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A
rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo
Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le
anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo
da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense.
Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone,
l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di
diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita ma il
pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la
pubblica amministrazione).
Ordine Avvocati,
buco nel bilancio. Indaga la Procura, scrive Michele Montemurro su “Il
Quotidiano di Puglia” dell’11 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale
indebite o solo assenze di “giustificativi”? È quanto dovrà accertare la procura
di Taranto, chiamata in causa dal consiglio dell’Ordine degli Avvocati del
capoluogo jonico, che avrebbe accertato nel suo bilancio un “buco” di oltre
90mila euro. A investire della questione il pm dottor Maurizio Carbone è stato
lo stesso Consiglio presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio. All’appello,
nei libri contabili del Consiglio, mancherebbe una cifra complessiva che non
risulta essere “coperta” da alcuna documentazione. Allo stato, l’ipotesi di
reato per cui si procede a carico di ignoti è quella di peculato, dal momento
che il Consiglio dell’Ordine è ritenuto Ente pubblico non economico.
La Procura indaga
sul “buco” del bilancio dell’Ordine Avvocati di Taranto sotto la guida dell’Avv.
Angelo Esposito. E sulla fuga di notizie…? Si chiede e scrive Antonello De
Gennaro su “Il Corriere del Giorno” del 12 aprile 2016. Spese di rappresentanza
istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? Chi rimborserà
l'Ordine degli Avvocati di Taranto delle spese allegre e non giustificate di
qualcuno? L’intervento della Procura di Taranto che ha affidato le indagini al
pm Maurizio Carbone, contrariamente a quanto pubblicato dai soliti cronisti
giudiziari a “gettone” è avvenuta in conseguente di una segnalazione,
obbligatoria per legge ai sensi dell’art. 331 c.p.p. che il Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, presieduto dall’avvocato
Vincenzo Di Maggio, ha inteso rispettare. Singolare anche come ancora una volta
la notizia sia “filtrata” dagli uffici giudiziari tarantini sulla solita stampa
“ventriloqua” di alcuni magistrati, nonostante la discrezione e riservatezza
adottata dal presidente Di Maggio che ha depositato personalmente il tutto
soltanto giovedì scorso e direttamente negli uffici della Procura, e non a
quelli della polizia giudiziaria, proprio per evitare delle possibili fughe di
notizie.
“Concorsi Pubblici
ed Esami di Abilitazione. Ci vogliono burocrati e poi gerarchi, non esperti per
risolvere i problemi.
I Funzionari
Pubblici, eccentrici ed autoritari, quasi dispotici, tra vessazioni e
favoritismi, perpetuano la loro dinastia attraverso le Commissioni domestiche
per l’esame orale. E’ un incesto che provoca problematiche genetiche
nell’evoluzione della specie.”
Intervista al Dr
Antonio Giangrande, noto saggista, che parla del tema in base alla sua
esperienza quarantennale e in relazione all’inchiesta e all’approfondimento
relativa all’esperienza degli italiani raccontata nei suoi saggi.
D. Dr Antonio
Giangrande come si fa ad ottenere il famoso posto fisso o diventare magistrato,
notaio, avvocato, ecc.
R.
La vera domanda è: Pubblica Amministrazione: si
accede per concorso pubblico?
L’Articolo 97 della Costituzione
recita:
“Le pubbliche amministrazioni, in
coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei
bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono
determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie
dei funzionari [28].
Agli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge
[51 c.1].
Nella Pubblica Amministrazione si
può essere assunti a tempo indeterminato:
1.
Per Pubblico Concorso:
a.
diretto da idoneo vincitore;
b.
indiretto da idoneo non vincitore per scorrimento delle
graduatorie (in alcuni casi 20%);
2
Per Mobilità permanente da altra Pubblica
Amministrazione;
3
tramite centri per l’impiego, per qualifiche che, come requisito di
accesso, richiedano l’aver frequentato la scuola dell’obbligo;
4
contratti per persone appartenenti alle Categorie Protette.
5
Per stabilizzazione.
Nella Pubblica Amministrazione si
può essere assunti a tempo determinato con contratti flessibili:
1.
contratto di somministrazione a tempo determinato;
2.
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato;
a) prestazioni di lavoro accessorio
(voucher)
b) contratti di collaborazione
coordinata e continuativa.
c) collaborazioni marginali
(prestazioni occasionali -30 g – Euro 5000)
d) prestazioni di lavoro autonomo
occasionale
3. contratti di formazione.
a. Apprendistato per laureati;
b. Formazione-Lavoro per laureandi.
Agenzie di
reclutamento per la Pubblica Amministrazione.
InPa.
Adecco.
Asmel.
Ales.
D. Dr Antonio
Giangrande, qualcuno potrebbe dire che lei parla sempre e solo di se stesso,
giustificando i suoi fallimenti.
R. Vero. Qualcuno
mi accusa di essere egocentrico e fallito. Lo sono in quest’intervista. Nei miei
libri, però, parlo degli italiani, milioni di altri me inascoltati.
D. E’ un fallito?
R. Dal punto di
vista scolastico non direi:
7.
R. Diploma di Licenza Media il 23 giugno 1977
8.
20/02/84. Iscritto nel Registro degli Esercenti il Commercio al dettaglio di
Taranto: Tab.: I-II-III-IV-V-VI-VII-VIII-XIV (tabella speciale tabaccai).
9.
Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale presso l’Istituto Statale Tecnico
Commerciale Luigi Einaudi di Manduria (TA) 5 luglio 1992:
C.
Privatista per tutti i 5 anni;
D.
Voto: 36/60.
10.
Laurea in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano 11 luglio 1996.
E.
Vecchio Ordinamento Quadriennale;
F.
Studente Lavoratore e famiglia a carico (moglie e 2 figli);
G.
26 annualità superate in 2 anni;
H.
Voto: 79/110
Titolo regionale
della Regione Puglia: Operatore dei Servizi Giudiziari: Perito Fonico
Trascrittore Dattilografo Stenotipista Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari.
Qualifica regionale di 600 ore: 350 ore di teoria, 250 ore di stage. Inizio
25/02/2023 fine 01/08/2023. Corso svolto presso Dea Center di Salice Salentino
(Le).
D. Qualcuno dirà:
la scuola comunista promuove tutti, pecore e porci.
R. Non direi. Ho
avuto riscontro della mia preparazione nei concorsi pubblici ed esami di
abilitazione, laddove il merito emergeva da prove personali oggettive e non da
valutazioni interessate di terzi.
21.
02/06/1976. Domanda nell’Arma dei Carabinieri: lettera morta.
22.
13/09/1991. Concorso della Polizia di Stato, scritto voto 8.16, tra i primi 50
su oltre 20.000 candidati. Il seguito: lettera morta.
23.
29/10/1991, prova di guida e 25/01/1992 prova psico-fisica-attitudinale superate
al concorso del Ministero della Giustizia per autisti degli automezzi speciali:
mai chiamato.
24.
26/10/1992. Concorso all’ATM di Milano per ferrotranviere. Prova di guida: mai
chiamato.
25.
16/01/1997. Concorso di Uditore Giudiziario: lettera morta.
26.
04/05/1998. Domanda per nomina di Giudice di Pace. Lettera Morta.
27.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Manduria.
Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da chi aveva indetto e
regolato il concorso.
28.
Dalla sessione di esame di Avvocato 1998 alla sessione di esame di Avvocato
2014, per 17 anni, alla prova scritta si è dato sempre – stranamente - un voto
uguale (25/30) a tutti e tre gli elaborati (civile, penale, amministrativo),
insufficiente al superamento dell’esame, a mo’ di ritorsione per le battaglie
intraprese. I ricorsi al Tar, rigettati, ma accolti per tutti gli altri, per le
medesime ragioni.
29.
Dal 2000 al 2023 non ho potuto svolgere concorsi pubblici per procedimenti
penali pendenti con accuse risultate infondate per reati di opinione. Ritorsione
per aver denunciato la malagiustizia.
30.
22/05/2023. Iscritto nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della
Polizia Locale, dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello
all’orale delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi
interpellanti.
31.
10/07/2023. Comune di Venosa, aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
interpellanti 229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°, esame
orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto.
32.
06/09/2023. Comune di Gattinara, aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
interpellanti 76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il
18/09/2023. Preceduto ingiustamente.
33.
02/10/2023. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una
obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo
esauriente, meno che uno...
34.
10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia
Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea.
Da Fenomeno negli
scritti a Brocco negli orali, intendendo come tali anche gli elaborati
dell’esame di avvocato, che appunto non sono quesiti scritti, ma tracce da
elaborare a secondo i gusti dei correttori. Come si può vedere negli scritti a
risposta multipla, tra centinaia di candidati, mi sono sempre posto tra i primi
5, niente male per un fallito. Poi quando mi presentavo alle prove orali o
all’esame scritto di abilitazione tutto cambiava. Non era l’oggettività a
decidere, ma il gusto soggettivo degli esaminatori.
D. Questo lo dice
lei.
R. Dal 17/04/1998
al 17/04/2004: Praticante Avvocato con patrocinio legale presso Il Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Taranto e Titolare di Studio Legale ad Avetrana.
Non abilitato Avvocato dopo 17 anni di esame di Stato a causa di ritorsione per
aver denunciato l’esame nazionale truccato di abilitazione forense, da cui è
scaturita la riforma del 2003. Il D.L. 112/03 è convertito nella Legge 180/03.
Non lo dico io, lo dice il legislatore.
D. E per quanto
riguarda gli esami di aspirante comandante dei vigili Urbani?
R. Le domande non
erano poste per saggiare il comportamento e l’atteggiamento del candidato
rispetto ad un caso concreto, cioè vedere quanto lui sapesse su una norma
principale e altre norme ad essa collegate, ma volevano elementi nozionistici.
Volevano a memoria l’articolo di legge e finiva lì. Volevano sentire quello che
loro sapevano o si aspettavano di sentire.
Spesso l’esito delle prove scritte a
risposta multipla (veritiere ed oggettive), si scontrano e contrastano con i
giudizi personali resi in sede di orale da commissari pregiudiziali e limitati
nella preparazione.
Mi trovo ad affrontare le prove orali
nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte commissari che ogni giorno usano gli
stessi articoli dei codici di pertinenza alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per
comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di fronte un comandante in ruolo o un
saccente Segretario comunale che ti chiede risposte sul codice degli appalti.
Loro ogni giorno usano il codice della
strada, come si usano le stesse posate per mangiare. Ed è un modo per rendere
truccato l’esame. Se vuole ti mette in difficoltà. E in difficoltà mette i
candidati che a lui sono antipatici e non piacciono. Chiede ai candidati numero
e contenuto di un articolo in particolare, estrapolato tra milioni di articoli.
Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non
interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida
in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e
sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il
conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima
sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie
sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno.
L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi
di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale
articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle
richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo: il comandante dovrebbe essere
preparato anche in diritto penale e di procedura penale, per evitare i numerosi
ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame dei luoghi e responsabilità dei
sinistri e psicologia per la relazione con l’utenza, la telematica per la
formazione dei verbali e l’evoluzione della materia, sul diritto amministrativo
per quanto riguarda la trasparenza e la collaborazione con l’utenza per la
pronta autotutela in caso di errori, la sociologia per studiare l’impatto di
certi comportamenti con l’utenza.
Su questo, anche, si dovrebbe
interrogare.
Invece ti chiedono a memoria l’art.
186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo snoccioli. Però poi ci ritroveremo
qualcuno che saprà recitare a memoria il codice della strada ed eleverà sanzioni
a raffica, però poi si troverà sommerso da verbali annullati dalle autorità
competenti per incapacità professionale e relazionale.
Solleva qualche dubbio se poi le
domande sono poste tutte su una materia spuria, della quale solo uno dei
candidati è informato.
Per esempio.
Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli
appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che
uno...
Oppure, per
esempio. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. I nomi dovrebbero essere
omessi per l’oblio meritato.
Prima domanda. Il
sindaco comunica al comandante che l'acqua è inquinata.
Risposta articolata
qui riassunta: ordinanza contingente e necessaria a tutela dei cittadini
impedendone l'uso. Ordinanza-ingiunzione contro il responsabile che cessi e
relative sanzioni.
Il comandante
avvisa il pm del reato che persegue il responsabile.
Seconda domanda. La
pattuglia interviene per un sinistro con lesioni e un fuggitivo ed avvisano il
comandante.
Risposta: l'ufficio
verifica la fondatezza della segnalazione e chiama i soccorsi, facendo
intervenire la pattuglia. La pattuglia dà assistenza al ferito e verifica le
circostanze del fatto e assicura i mezzi di prova per l’individuazione del
fuggitivo. Svolge le indagini per omissione di soccorso e per accertare la
responsabilità delle lesioni e cerca di trarre identità dagli elementi raccolti.
Inoltre verifica la responsabilità attraverso l'analisi degli elementi
atmosferici, dell'auto, della strada e del l'alcol test del ferito,
possibile responsabile. Si chiama il comandante perché è Pubblico Ufficiale che
tiene i rapporti con l’autorità Giudiziaria. Gli agenti diventano Pubblici
Ufficiali solo per espressa delega particolare del Comandante.
Terza domanda. Un
medico redige referto più grave di quello del collega del primo intervenuto in
seguito ad un sinistro con lesioni, ma non comunica al pm.
Sono tracce da
esame di abilitazione di avvocato, non sono domande secche. Per cui io ho
risposto in base alla mia esperienza e preparazione professionale di ex agente
assicurativo ed ex avvocato. Rispondo in base alla sentenza della Cass. Pen.,
Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456 in tema di omissione di referto. Quindi
si va oltre le materie indicate in esame e si va oltre la competenza degli
esaminatori.
Uno risponde per
quel poco o tanto sa, non per quel tanto o poco che i commissari sanno e
vogliono sentire.
Per me è omissione
di atti di ufficio o di Referto perché le parole sono importanti
nell’interpretazione dei fatti.
Il medico non
comunica. Significa che aveva l’obbligo di comunicare e non l’ha fatto. Obbligo
nascente dalla richiesta del Pubblico Ministero o dalle leggi. Non si dice: ha
dimenticato, o non conosceva la legge che lo obbligava. Non ha comunicato. E’
reato proprio doloso, in quanto non voleva farlo per coprire il collega per
falso ideologico o il responsabile della lesione, o per altri suoi motivi. E
comunque si risponde alle domande da collaboratori del Pubblico Ministero,
quindi dell’accusa, e non da avvocato che cerca la scriminante.
Invece per chi si
ergeva più esperto degli altri, mi costringeva a dire che fosse un reato
colposo. Questo se ne viene fuori con la colpa. Basata su quale reato non so.
Non c'è omissione e/o falso colposo.
Naturalmente le tre
risposte condite con eloquente e corposa disamina. Ma loro non cercano
l’esperto, cercano il burocrate. E’ una presa in giro dopo giorni di trasferta e
nottate all’addiaccio a Napoli e Milano, con le stazioni dei treni chiuse, in
attesa della coincidenza che ti porta in sede di esame.
D. Cosa intende per
Commissione domestica?
R. I regolamenti
degli Enti Locali sulle Commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici
dispongono in generale che la Commissione è composta da tre membri nel modo
seguente.
a) il Funzionario
Responsabile dell’Area/Settore nel cui ambito di assegnazione rientra il posto
messo a concorso, con funzioni di Presidente;
b) da n.2 tecnici
esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti possibilmente e
preferibilmente tra i dipendenti e/o Funzionari dell’Ente e/o di altre delle
Pubbliche Amministrazioni, oppure scelti tra docenti ed esperti in possesso di
specifica competenza nelle materie oggetto del concorso. La vera domanda è: chi
certifica la competenza e l’imparzialità: loro stessi!
D. Comunque anche
per qualcuno rimane sempre un fallito.
R. Sarà, ma come
per l’esame di avvocato anche qui il legislatore mi dà ragione. Riforma
Concorsi Pubblici 2023: niente più Prove Orali. Il governo ha recentemente
adottato una decisione che avrà un impatto significativo sui concorsi pubblici:
la sospensione delle prove orali fino al 2026, sostituendole esclusivamente
con prove scritte. Così è per il concorso dei Funzionari Tributari dell’Agenzia
delle Entrate, oppure per i Funzionari dei Servizi Pubblicità Immobiliare,
oppure per i Funzionari dell’Ufficio per il Processo, ecc. Vediamo senza prove
orali che si aiutano gli amichetti, se rimarrò ancora un fallito.
Le
prove orali da eliminare nei concorsi pubblici.
Spesso
l’esito delle prove scritte a risposta multipla (veritiere ed oggettive), si
scontrano e contrastano con i giudizi personali resi in sede di orale da
commissari pregiudiziali e limitati nella preparazione.
Mi
trovo ad affrontare le prove orali nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte
commissari che ogni giorno usano gli stessi articoli dei codici di pertinenza
alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di
fronte un comandante in ruolo o un saccente Segretario
comunale che ti chiede risposte sul codice degli appalti.
Loro
ogni giorno usano il codice della strada, come si usano le stesse posate per
mangiare. Ed è un modo per rendere truccato l’esame. Se vuole ti mette in
difficoltà. E in difficoltà mette i candidati che a lui sono antipatici e non
piacciono. Chiede ai candidati numero e contenuto di un articolo in particolare.
Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non
interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida
in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e
sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il
conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima
sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie
sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno.
L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi
di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale
articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle
richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo:
il comandante dovrebbe essere preparato anche in diritto penale e di procedura
penale, per evitare i numerosi ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame
dei luoghi e responsabilità dei sinistri e psicologia per la relazione con
l’utenza, la telematica per la formazione dei verbali e l’evoluzione della
materia, sul diritto amministrativo per quanto riguarda la trasparenza e la
collaborazione con l’utenza per la pronta autotutela in caso di errori, la
sociologia per studiare l’impatto di certi comportamenti con l’utenza.
Su
questo, anche, si dovrebbe interrogare.
Invece
ti chiedono a memoria l’art. 186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo
snoccioli. Però poi ci ritroveremo qualcuno che saprà recitare a memoria il
codice della strada ed eleverà sanzioni a raffica, però poi si troverà sommerso
da verbali annullati dalle autorità competenti per incapacità professionale e
relazionale.
Antonio Giangrande:
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono
generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante
tracce lasci del tuo percorso.
Antonio Giangrande:
Diritto del candidato assistere alle prove orali di concorsi. Il Consiglio di
Stato, con sentenza n°1626 del 27/03/2015, ha chiarito che è diritto del
candidato e di terzi estranei accedere alle aule di concorso durante le prove
orali.
Il candidato che ha
già sostenuto la prova o deve ancora sostenere il colloquio, ha il diritto di
presenziare alle prove degli altri candidati sia per assicurarsi dello
svolgimento della prova, sia per verificare il corretto operare della
Commissione.
Antonio
Giangrande: la prova orale, madre si tutte le arroganze e presunzioni. In sede
di esame orale ti trovi di fronte una schiera di Commissari di esame che fanno
sfoggio della loro sapienza rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto
dell’esame non verte sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma
sulla capacità di metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di
saperne più di te e del loro collega. Tu che hai superato a pieni voti lo
scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di approssimazioni, di
fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano il tuo stato psicologico. Se
invece sei un amico o conoscente, o meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le
domande sono benevole, o i voti sono in contrasto con la scena muta. Meglio
allora se non si fanno più le prove orali.
I miei concorsi
come Comandante dei Vigili Urbani.
18/11/1999.
Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Manduria. Candidati
oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da chi aveva indetto e regolato
il concorso.
22/05/2023.
Iscritto nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale,
dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale delle
Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi interpellanti.
10/07/2023. Comune
di Venosa, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 229,
partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°, esame orale pubblico a
Venosa il 14/07/2023. Preceduto.
06/09/2023. Comune
di Gattinara, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 76,
posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il 18/09/2023. Preceduto
ingiustamente.
02/10/2023. Comune
di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249.
Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti
pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
10/10/2023. Comune
di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti
53. Preceduto. Commissione: non idonea.10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese,
aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto.
Commissione: non idonea. I nomi dovrebbero essere omessi per l’oblio meritato.
COMUNE DI VIGLIANO
BIELLESE
Determinazione N.
474 del
Data di
registrazione 5/10/2023
Oggetto: Bando di
interpello “elenco Idonei” di A.S.M.E.L. per la copertura di un posto a tempo
pieno e indeterminato di Funzionario di Vigilanza (ex cat. D) – Nomina
Commissione Giudicatrice.
Il Titolare della
posizione organizzativa.
Il Sottoscritto
dott. Francesco Cammarano – Segretario Comunale – Responsabile del Servizio
Personale
Determina
1.
Di nominare membri
della Commissione di interpello pubblico, per la copertura di n. 1 posto a tempo
pieno e indeterminato di Funzionario di Vigilanza (ex cat. D) le persone sotto
indicate e con la funzione a fianco specificata.
– Dott. Francesco
Cammarano – Presidente
Segretario Comunale
– Responsabile del Personale
-
Comm. Emanuela
Scarpa – membro esperto
Comandante della
Polizia Locale del Comune di Vigliano Biellese
-
Dott. Palmino
Camerlo – membro esperto
Avvocato ed ex
Comandante di Polizia Locale
2.
….
3.
Di corrispondere ai
membri esterni il compenso di euro 500,00 ciascuno.
Prima domanda. Il
sindaco comunica al comandante che l'acqua è inquinata.
Risposta articolata
qui riassunta: ordinanza contingente e necessaria a tutela dei cittadini
impedendone l'uso. Ordinanza-ingiunzione contro il responsabile che cessi e
relative sanzioni.
Il comandante
avvisa il pm del reato che persegue il responsabile.
Seconda domanda. La
pattuglia interviene per un sinistro con lesioni e un fuggitivo ed avvisano il
comandante.
Risposta: l'ufficio
verifica la fondatezza della segnalazione e chiama i soccorsi, facendo
intervenire la pattuglia. La pattuglia dà assistenza al ferito e verifica le
circostanze del fatto e assicura i mezzi di prova per l’individuazione del
fuggitivo. Svolge le indagini per omissione di soccorso, e da accertare la
responsabilità delle lesioni, e cerca di trarre identità dagli elementi
raccolti. Inoltre verifica la responsabilità attraverso l'analisi degli elementi
atmosferici, dell'auto, della strada e del l'alcol test del ferito,
possibile responsabile. Si chiama il comandante perché è Pubblico Ufficiale che
tiene i rapporti con l’autorità Giudiziaria. Gli agenti diventano Pubblici
Ufficiali solo per espressa delega particolare del Comandante.
Terza domanda. Un
medico redige referto più grave di quello del collega del primo intervenuto in
seguito ad un sinistro con lesioni, ma non comunica al pm.
Sono tracce da
esame di abilitazione di avvocato, non sono domande secche. Per cui io ho
risposto in base alla mia esperienza e preparazione professionale di ex agente
assicurativo ed ex avvocato. Quindi si va oltre le materie indicate in esame e
si va oltre la competenza degli esaminatori.
Uno risponde per
quel poco o tanto sa, non per quel tanto o poco che i commissari sanno e
vogliono sentire.
Per me è omissione
di atti di ufficio o di Referto perché le parole sono importanti
nell’interpretazione dei fatti.
Il medico non
comunica. Significa che aveva l’obbligo di comunicare e non l’ha fatto. Obbligo
nascente dalla richiesta del Pubblico Ministero o dalle leggi. Non si dice: ha
dimenticato, o non conosceva la legge che lo obbligava. Non ha comunicato. E’
reato proprio doloso, in quanto non voleva farlo per coprire il collega per
falso ideologico o il responsabile della lesione, o per altri suoi motivi. E
comunque si risponde alle domande da collaboratori del Pubblico Ministero,
quindi dell’accusa, e non da avvocato che cerca la scriminante.
Invece, per chi si
ergeva più esperto degli altri, mi costringeva a dire che fosse un reato
colposo. Questo se ne viene fuori con la colpa. Basata su quale reato non so.
Non c'è omissione e/o falso colposo.
Naturalmente le tre
risposte condite con eloquente e corposa disamina. Ma loro non cercano
l’esperto, cercano il burocrate.
Cass. Pen.,
Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456 in tema di omissione di referto
DI AVV. MARIA
VITTORIA MAGGI · PUBBLICATO 10/01/2021 · AGGIORNATO 04/01/2021
La massima.
“In tema di
omissione di referto, l’esercente una professione sanitaria che accerti
l’aggravamento delle lesioni personali conseguenti ad un incidente stradale,
tali da integrare il reato procedibile d’ufficio ai sensi dell’art. 590-bis cod.
pen., ha l’obbligo di informarne l’autorità giudiziaria, a nulla rilevando che,
sulla base di una precedente diagnosi, effettuata da un medico diverso, fosse
stata indicata una prognosi meno grave, rispetto alla quale il reato sarebbe
stato procedibile a querela” (Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456).
Il caso.
Con sentenza del 4
luglio 2019, il Tribunale di Grosseto assolveva l’imputato dal reato di cui
all’art. 365 c.p., perché il fatto non costituisce reato. Il Tribunale, in
particolare, rilevava che, con riguardo alle lesioni stradali, il sanitario non
ha l’obbligo di referto quanto alla prognosi secondaria, rispetto ad una prima
prognosi da altri espressa. Il Tribunale evidenziava che quanto sostenuto valeva
anche nel caso in cui la somma dei giorni facesse pervenire ad un periodo di
malattia superiore a 40 giorni.
Il P.M. presso il
Tribunale di Grosseto presentava ricorso avverso la sentenza del Giudice di
Prime Cure, deducendo la violazione dell’art. 365 c.p.. L’assunto che l’obbligo
di referto debba essere riferito solo alla notizia di reato, perseguibile
d’ufficio ed appresa originariamente, e non al sopravvenuto regime di
procedibilità, deve ritenersi erroneo. Secondo il ricorrente, infatti, rispetto
al delitto di lesioni stradali l’obbligo sorgeva in capo al medico che aveva
rilasciato il certificato con cui si superava la prognosi di quaranta giorni,
venendo in rilievo un reato diverso, perseguibile d’ufficio.
Ad avviso della
Corte di Cassazione, il ricorso presentato dal P.M. è fondato.
La motivazione.
La Corte di
Cassazione ha precisato in motivazione che “il delitto di omissione di referto,
che ha natura di reato di pericolo, in quanto volto ad assicurare il corretto
andamento dell’amministrazione della giustizia attraverso l’invio alla A.G.
competente della notizia qualificata di un reato, includente elementi tecnici
essenziali ai fini dello svolgimento delle indagini e
dell’esercizio
dell’azione penale, è ravvisabile con riguardo ad una condotta omissiva, che
risulta apprezzabile nel momento in cui il sanitario viene a trovarsi di fronte
ad un caso che può presentare i connotati di un reato perseguibile d’ufficio,
dovendosi inoltre valutare se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di
fatto dai quali desumere in termini di astratta possibilità la configurabilità
di un simile delitto e abbia avuto la coscienza e volontà di omettere o
ritardare il referto”.
Orbene, nel caso di
specie la Corte constatava che l’imputato avesse avuto effettivamente contezza
di un periodo di guarigione superiore a quaranta giorni, tale da rendere
configurabile il delitto di lesioni stradali gravi, di cui all’art.
590-bis c.p..
Per questo
motivo, la valutazione del Giudice di primo grado doveva ritenersi erronea. Il
primo approccio alla notizia di reato, infatti, non esonera dall’obbligo
sopraggiunto di referto. Al contrario, ciò che rileva – ai fini della
configurabilità del delitto di cui all’art. 365 c.p. – è che la prestazione
sanitaria abbia messo l’esercente nella posizione di avvedersi di un reato
procedibile d’ufficio, tale da imporre la redazione del referto.
La Corte di
Cassazione, nondimeno, ha osservato che nel caso di specie non si trattava di
mero mutamento del regime di procedibilità, bensì della cognizione di un reato
diverso, cioè l’autonomo reato di lesioni stradali gravi, in relazione al quale
l’obbligo di referto era specificamente insorto al manifestarsi di un diverso
periodo di guarigione.
Sulla base di
quanto sostenuto è disceso l’annullamento della sentenza impugnata, con
rinvio alla Corte di appello di Firenze ai sensi dell’art. 569, co. 4, c.p.p..
Avv. Maria Vittoria
Maggi
Avvocato penalista,
esperta in Scienze Forensi, Vice Responsible dell’area di Criminologia di Ius in
Itinere.
Che delusione i
colleghi che come iene tifano per la tua bocciatura, anche se ingiusta.
Poi ci sono loro.
Gli occupati che per sfizio o per ambizione, cercano di vincere questo concorso.
Non capisco come si possa lasciare un incarico sicuro della stessa mansione per
un altro che ha la spada della prova dei 6 mesi.
Antonio Giangrande: Il Codice Penale della Strada.
Parlare solo di Codice della Strada è riduttivo.
La
circolazione stradale è il movimento, la sosta, la fermata, l’arresto di
veicoli, persone ed animali, su strade, arredi e pertinenze.
Elementi costituenti sono la strada, il veicolo, l’ambiente e l’utente.
Agli inizi erano solo segnali e norme di comportamento. Tutto chiaro.
Il
Codice della Strada aveva carattere Preventivo.
Poi
tutto è cambiato: dalla velocità alla capacità psicofisica del guidatore tra
alcool e stupefacenti sull’onda proibizionista.
Il
Codice della Strada diventa così fonte repressiva e fondamentalmente di cassa.
Si interviene fondamentalmente contro il cittadino: sul veicolo e sull’utenza.
Da
martedì 1 luglio 2003 entra in vigore la norma sui punti sulla patente. Governo
Berlusconi.
Dal
23 marzo 2016 la legge 41 (art. 589-bis c.p.) introduce l’omicidio stradale.
Governo Renzi.
A
seguire le norme di inasprimento sulla guida in Stato di ebbrezza e di velocità.
Se
prevede la recidiva e la criminalizzazione di neo patentati per revoca o per
età.
La
patente va e viene, creando economia, e le sanzioni aumentano in qualità e
quantità, creando fonte di finanziamento pubblico.
Il
legislatore circola con la scorta e l’auto blu, cosa ne sa della circolazione.
Interventi sulla mobilità pubblica e sulle strade: nulla. Troppo oneroso anche
se i proventi delle sanzioni sono a loro destinate.
In
Italia ci sono tre tipi di criminali: i mafiosi meridionali, i contribuenti e
gli utenti della strada.
Oggi non si può più parlare di Codice della Strada ma di Codice Penale della
Strada.
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: ASSIOMA CON INTERCALARE: Un popolo di coglioni sarà sempre
governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Ed è per
questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà
“Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Perché "like" e
ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca
di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà
significa qualcosa allora è il diritto di dire alla gente quello che non vuole
sentire.
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi
è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle,
interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con
sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia
elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo,
chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società,
che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio
Alfieri (1790).
Antonio Giangrande: Dialogo con un
mussulmano in Italia.
«Perché tu sei così radicale?
Perché non abiti in Arabia Saudita???
Perché hai abbandonato già il tuo Paese musulmano?
Voi lasciate Paesi da voi definiti benedette da Dio con la grazia dell’Islam e
immigrate verso Paesi da voi definiti puniti da Dio con l’infedeltà.
Emigrate per la libertà …
per la giustizia …
per il benessere …
per l’assistenza sanitaria ..
per la tutela sociale …
per l’uguaglianza davanti alla legge …
per le giuste opportunità di lavoro …
per il futuro dei vostri figli …
per la libertà di espressione ..
quindi non parlate con noi con odio e razzismo ..
Noi vi abbiamo dato quello che non avete …
Ci rispettate e rispettate la nostra volontà, altrimenti andate via».
Qualcuno afferma che queste frasi le abbia pronunciate Julia Gillard (primo
ministro australiano) ed abbia rilasciato queste affermazioni nel 2005
rivolgendosi ad un Islamista radicale estremista in Australia.
Qualcun altro decreta che sia una bufala e che Julia Gillard non abbia mai
proferito quelle frasi.
Se nessuno fino ad oggi ha dato paternità a queste frasi, allora dico: sono mie!
Antonio Giangrande:
Immigrazione/emigrazione. Dimmi dove vai, ti dirò chi sei.
Rendiconto
analitico del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS. Sul
tema ha scritto “Profugopoli. Vittime e carnefici”.
L'immigrato/emigrato italiano o straniero è colui il quale si è trasferito, per
costrizione o per convenienza, per vivere in un altro luogo diverso da quello
natio.
Soggetti:
L’immigrato arriva, l’emigrato parte. La definizione del trasferito la dà colui
che vive nel luogo di arriva o di partenza. Chi resta è geloso della sua terra,
cultura, usi e costumi. Chi arriva o parte è invidioso degli altri simili. Al
ritorno estemporaneo al paese di origine gli emigrati, per propria vanteria, per
spirito di rivalsa e per denigrare i conterranei di origine, tesseranno le lodi
della nuova cultura, con la litania “si vive meglio là, là è diverso”, senza,
però, riproporla al paese di origine, ma riprendendo, invece, le loro vecchie e
cattive abitudini. Questi disperati non difendono o propagandano la loro cultura
originaria, o gli usi e costumi della terra natia, per il semplice motivo che da
ignoranti non li conoscono. Dovrebbero conoscere almeno il sole, il mare, il
vento della loro terra natia, ma pare (per soldi) preferiscano i monti, il
freddo e la nebbia della terra che li ospita.
Tempo: il
trasferimento può essere temporaneo o permanente. Se permanente le nuove
generazioni dei partenti si sentiranno appartenere al paese natio ospitante.
Luoghi di arrivo:
città, regioni, nazioni diverse da quelle di origine.
Motivo del
trasferimento: economiche (lavoro, alimentari, climatiche ed eventi naturali);
religiose; ideologiche; sentimentali; istruzione; devianza.
Economiche: Lavoro
(assente o sottopagato), alimentari, climatiche ed eventi naturali (mancanza di
cibo dovute a siccità o a disastri naturali (tsunami, alluvioni, terremoti,
carestie);
Religiose:
impossibilità di praticare il credo religioso (vitto ed alloggio decente
garantito);
Ideologiche:
impossibilità di praticare il proprio credo politico (vitto ed alloggio decente
garantito);
Sentimentali:
ricongiungimento con il proprio partner (vitto ed alloggio decente garantito);
Istruzione:
frequentare scuole o università o stage per elevare il proprio grado culturale
(vitto ed alloggio decente garantito);
Devianza: per
sfuggire alla giustizia del paese di origine o per ampliare i propri affari
criminali nei paesi di destinazione (vitto ed alloggio decente garantito).
Il trasferimento
per lavoro garantito: individuo vincitore di concorso pubblico
(dirigente/impiegato pubblico); trasfertista (assegnazione temporanea fuori sede
d’impresa); corrispondente (destinazione fuori sede di giornalisti o altri
professionisti). Chi si trasferisce con lavoro garantito ha il rispetto della
gente locale indotto dal timore e rispetto del ruolo che gli compete, fatta
salva ogni sorta di ipocrisia dei locali che maschera il dissenso all’invasione
dell’estraneo. Inoltre il lavoro garantito assicura decoroso vitto e alloggio
(nonostante il caro vita) e civile atteggiamento dell’immigrato, già adottato
nel luogo d’origine e dovuto al grado di scolarizzazione e cultura posseduto.
Il trasferimento
per lavoro da cercare in loco di destinazione: individuo nullafacente ed
incompetente. Chi si trasferisce per lavoro da cercare in loco di destinazione
appartiene ai ceti più infimi della popolazione del paese d’origine, ignari di
solidarietà e dignità. Costui non ha niente da perdere e niente da guadagnare
nel luogo di origine. Un volta partiva con la valigia di cartone. Non riesce ad
inserirsi come tutti gli altri, per mancanza di rapporti adeguati amicali o
familistici, nel circuito di conoscenze che danno modo di lavorare. Disperati
senza scolarizzazione e competenza lavorativa specifica. Nel luogo di
destinazione faranno quello che i locali non vorrebbero più fare (dedicarsi agli
anziani, fare i minatori o i manovali, lavorare i campi ed accudire gli animali,
fare i lavapiatti nei ristoranti dei conterranei, lavare le scale dei condomini,
fare i metronotte o i vigilanti, ecc.). Questo tipo di manovalanza assicura un
vergognoso livello di retribuzione e, di conseguenza, un livello sconcio di
vitto ed alloggio (quanto guadagnano a stento basta per sostenere le spese),
oltre l’assoggettamento agli strali più vili e razzisti della popolazione
ospitante, che darà sfogo alla sua vera indole. Anche da parte di chi li usa a
scopo politico o ideologico. Questi disperati subiranno tacenti le angherie e
saranno costretti ad omologarsi al nuovo stile di vita. Lo faranno per
costrizione a timore di essere rispediti al luogo di origine, anche se qualcuno
tenta di stabilire la propria discultura in terra straniera anche con la
violenza.
Ecco allora è
meglio dire: Dimmi come vai, ti dirò chi sei.
Antonio Giangrande:
LE DONNE IMMIGRATE PER I GIORNALISTI? MEGLIO SCHIAVE CHE PUTTANE.
Processo alla
stampa. Un nuovo capitolo riempie il saggio “MEDIOPOLI. DISINFORMAZIONE. CENSURA
ED OMERTA’”. Il libro di Antonio Giangrande.
La cronaca è fatta
di paradossi. Noi avulsi dalla realtà, manipolati dalla tv e dai giornali, non
ce ne accorgiamo. I paradossi sono la mia fonte di ispirazione e di questo
voglio rendere conto.
In Italia dove
tutto è meretricio, qualche ipocrita fa finta di scandalizzarsi sull’esercizio
della professione più antica del mondo. L’unica dove non si ha bisogno di
abilitazione con esame di Stato per render tutti uniformi. In quell’ambito la
differenza paga.
Si parla di
sfruttamento della prostituzione per chi, spesso, anziché favorire, aiuta le
prostitute a dare quel che dagli albori del tempo le donne danno: amore. Si tace
invece della riduzione in schiavitù delle badanti immigrate rinchiuse in molte
case italiane. Case che, più che focolare domestico, sono un vero e proprio
inferno ad uso e consumo di familiari indegni che abbandonano all’ingrato
destino degli immigrati i loro cari incapaci di intendere, volere od agire.
Di questo come di
tante altre manchevolezze dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio
“Mediopoli. Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il
sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini
ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia
del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi
l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla
politica.
Un esempio. Una
domenica mattina di luglio, dopo una gara podistica a Galatone in provincia di
Lecce, nel ritorno in auto lungo la strada Avetrana-Nardò insieme a mio figlio
ed un altro amico intravediamo sedute sotto il solleone su quelle sedie in
plastica sul ciglio della strada due figure familiari: le nostre vicine di casa.
Non ci abbiamo mai parlato, se non quando alla consuetudinaria passeggiata
serale di uno dei miei cani una di loro disse: che bello è un chow chow! Ciò me
li rese simpatiche, perché chi ama gli animali sono miei amici.
Poi poverette sono
diventate oggetto di cronaca. I loro nomi non c’erano. Ma sapevo trattarsi di
loro.
“I carabinieri di
Avetrana hanno denunciato un 31enne incensurato poiché sorpreso mentre prelevava
due giovani rumene dal loro domicilio di Avetrana per condurle a bordo della sua
autovettura, nella vicina località balneare di Torre Lapillo del comune di Porto
Cesareo (Le), dove le donne esercitavano la prostituzione - scrivevano il 22
agosto 2014 “La Voce di Manduria” e “Manduria Oggi” - I militari, che da diversi
giorni monitoravano gli spostamenti dell’uomo, ieri mattina, dopo aver pedinato
a bordo di auto civetta, lungo tutto l’itinerario che dal comune di Avetrana
conduce alla località balneare salentina, decidevano di intervenire bloccando
l’autovettura con a bordo le due giovani ragazze ed il loro presunto protettore,
proprio nel punto in cui le donne quotidianamente esercitavano il meretricio.
Accompagnati in caserma, le rumene di 22 anni sono state solo identificare
mentre l’uomo è stato denunciato in stato di libertà alla Procura della
Repubblica di Taranto, con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. Lo
stesso è stato inoltre destinatario del foglio di via obbligatorio dal comune di
Avetrana per la durata di tre anni.”
Tutto a caratteri
cubitali, come se fosse scoppiato il mondo. E’ normale che succeda questo in una
Italia bigotta e ipocrita, se addirittura i tassisti sono condannati per aver
accompagnato le lucciole sul loro posto di lavoro e ciò diventa notizia da
pubblicare. Le stesse ragazze erano state oggetto di cronaca anche
precedentemente con un altro accompagnatore.
“Ai domiciliari un
50enne di Gallipoli per favoreggiamento della prostituzione. Le prostitute, che
vivono ad Avetrana, venivano accompagnati lungo la strada per Nardò,” scriveva
ancora il 18 luglio 2014 “Manduria Oggi”.
“Accompagnava le
prostitute sulla Nardò-Avetrana in cambio di denaro. Ai domiciliari 50enne
gallipolino”, scriveva il 17 luglio 2014 il “Paese Nuovo”.
“I militari della
Stazione di Nardò hanno oggi tratto in arresto, in flagranza di reato, MEGA
Giuseppe, 50enne di Gallipoli, per il reato di favoreggiamento della
prostituzione. Nell’ambito dei controlli alle ragazze che prestano attività di
meretricio lungo la provinciale che collega Nardò ad Avetrana, i Carabinieri di
Nardò, alcune settimane orsono, avevano notato degli strani movimenti di una
Opel Corsa di colore grigio. Pensando potesse trattarsi non di un cliente ma di
uno sfruttatore o comunque di un soggetto che favorisse la prostituzione, i
militari hanno iniziato una serie di servizi di osservazione che hanno permesso
di appurare che il MEGA, con la propria autovettura, accompagnava sul luogo del
meretricio diverse ragazze, perlopiù di etnia bulgara e rumena. I servizi svolti
dai militari di Nardò hanno permesso di appurare che quotidianamente il MEGA,
partendo da Gallipoli, si recava in Avetrana, dove le prostitute vivevano e ne
accompagnava alcune presso la provinciale Nardò – Avetrana, lasciandole lì a
svolgere il loro “lavoro” non prima però di aver offerto loro la colazione in un
bar situato lungo la strada. Per cui, avendo cristallizzato questa situazione di
palese favoreggiamento dell’attività di prostituzione, nella mattinata odierna i
militari di Nardò, dopo aver seguito il MEGA dalla sua abitazione e averlo visto
prendere le due prostitute, lo hanno fermato nell’atto di lasciarle lungo la
strada e lo hanno portato in caserma assieme alle due ragazze risultate essere
di nazionalità rumena. Queste ultime hanno confermato di svolgere l’attività di
prostituzione e di pagare il MEGA per i “passaggi” che offre loro. Viste le
risultanze investigative, il MEGA è stato tratto in arresto per favoreggiamento
della prostituzione e, su disposizione del P.M. di turno, dott. Massimiliano
CARDUCCI, è stato posto ai domiciliari presso la sua abitazione”.
Come si evince dal
tono e dalla esposizione dei fatti, trattasi palesemente di una velina dei
carabinieri, riportata pari pari e ristampata dai giornali. Non ci meravigliamo
del fatto che in Italia i giornalisti scodinzolino ai magistrati ed alle forze
dell’ordine. E’ un do ut des, sennò come fanno i cronisti ad avere le veline o
le notizie riservate e segrete.
Fatto sta che le
povere ragazze appiedate, (senza auto e/o patente) proprio affianco al dr
Antonio Giangrande dovevano abitare? Parafrasi prestata da “Zio Michele” in
relazione al ritrovamento del telefonino: (proprio lo zio lo doveva trovare….).
Antonio Giangrande personaggio noto ai naviganti web perché non si fa mai “i
cazzi suoi”. E proprio a me medesimo chiedo con domanda retorica: perché in
Italia i solerti informatori delegati non fanno menzione dei proprietari delle
abitazioni affittate alle meretrici? Anche lì si trae vantaggio. I soldi
dell’affitto non sono frutto delle marchette? Silenzio anche sui vegliardi,
beati fruitori delle grazie delle fanciulle, così come il coinvolgimento degli
autisti degli autobus di linea usati dalle ragazze quando i gentili
accompagnatori non sono disponibili.
Un fatto è certo:
le ragazze all’istante sono state sbattute fuori di casa dal padrone intimorito.
Che fossero
prostitute non si poteva intuire, tenuto conto che il disinibito abbigliamento
era identico a quello portato dalle loro italiche coetanee. Lo stesso disinibito
uso del sesso è identico a quello delle loro italiche coetanee. Forse anche più
riservato rispetto all’uso che molte italiane ne fanno. Le cronache spesso
parlano di spudorate kermesse sessuali in spiaggia o nelle piazze o vie di paesi
o città. Ma questo non fa scandalo. Come non fa scandalo il meretricio
esercitato dalle nostre casalinghe in tempo di crisi. Si sa, lo fanno in casa
loro e nessuno li può cacciare, nè si fanno accompagnare. Oltre tutto il loro
mestiere era usato dalle ragazze rumene per mangiare, a differenza di altre
angeliche creature che quel mestiere lo usano per far carriere nelle più
disparate professioni. In modo innocente è la giustifica per gli ipocriti.
Giusto per saltar la fila dei meritevoli, come si fa alla posta. E magari le
furbe arrampicatrici sociali sono poi quelle che decidono chi è puttana e chi
no!
Questa mia
dissertazione non è l’apologia del reato della prostituzione, ma è l’intento di
dimostrare sociologicamente come la stampa tratta alcuni atteggiamenti illegali
in modo diseguale, ignorandoli, e di fatto facendoli passare per regolari.
Quando il diavolo
ci mette la coda. Fatto sta che dirimpettai a casa non ne ho. C’è la scuola
elementare. Ma dall’altro lato della mia abitazione c’è un vecchio che non ci
sta più con la testa. Lo dimostrano le aggressioni gratuite a me ed alla mia
famiglia ogni volta che metto fuori il naso dalla mia porta e le querele senza
esito che ne sono conseguite. Però ad Avetrana il TSO è riservato solo per “Zio
Michele Misseri”, sia mai che venga creduto sulla innocenza di Cosima e Sabrina.
Dicevo. Queste aggressioni sono situazione che hanno generato una forte
situazione di stalking che limita i nostri movimenti. Bene. Il signore in
questione (dico quello, ma intendo la maggior parte dei nostri genitori ormai
inutili alla bisogna tanto da non meritare più la nostra amorevole assistenza)
ha da sempre delle badanti rumene, che bontà loro cercano quanto prima di
scappare. Delle badanti immigrate nessuno mai ne parla, né tanto meno le forze
dell’ordine hanno operato le opportune verifiche, nonostante siano intervenuti
per le mie chiamate ed abbiano verificato che quel vecchietto le poverette le
menava, così come spesso tentava degli approcci sessuali.
Rumene anche loro,
come le meretrici. Ma poverette non sono puttane e di loro nessuno ne parla. In
tutta Italia queste schiave del terzo millennio sono pagate 500 o 600 euro al
mese a nero e per 24 ore continuative, tenuto conto del fatto che sono badanti
di gente incapace di intendere, volere od agire. Sono 17 euro al giorno. 70
centesimi di euro all’ora. Altro che caporalato. A queste condizioni non mi
meraviglio nel vedere loro rovistare nei bidoni dell’immondizia. A dormire, poi,
non se ne parla, in quanto il signore, di giorno dorme e di notte si lamenta ad
alta voce, per mantenere sveglia la badante e tutto il vicinato. Il paradosso è
che il signore e la sua famiglia sono comunisti sfegatati da sempre, pronti, a
loro dire, nel difendere i diritti del proletariato ed ad espropriare la
proprietà altrui. Inoltre non amano gli animali. Ed è tutto dire.
Le badanti,
purtroppo non sono puttane, ma semplici schiave del terzo millennio, e quindi
non meritevoli di attenzione mediatica.
Delle schiave nelle
italiche case nessuno ne parla. Perché gli ipocriti italiani son fatti così.
Invece dalle alle meretrici. Zoccole sì, ma persone libere e dispensatrici di
benessere. Se poi puttane non lo sono affatto, le donne lo diventano con
l’attacco mediatico e gossipparo.
«Marita Bossetti
massacrata con il gossip. Accusata gratuitamente di avere due amanti. Ma cosa
c’entra questo con l’omicidio di Yara? - si chiede Vittorio Feltri su “Il
Giornale” il 21 agosto 2014 - Siamo basiti. Ieri apriamo il Corriere della Sera
a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: «Due uomini dai pm: siamo stati
amanti di Marita Bossetti». Chi è costei? La moglie di Massimo Giuseppe
Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio, l'adolescente di
Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del suo Dna rilevato
sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è stata raccontata
mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza. Ci limitiamo a
esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima incursione nella vita
privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto - che avrebbe diritto a
essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne, avendo il proprio capo
chiuso in una cella senza che esista la minima probabilità che questi reiteri il
reato attribuitogli, inquini le prove (che non ci sono) e si appresti a fuggire,
visto che in quattro anni non ha mai provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali,
la cronista che ha rivelato quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due
gentiluomini si sono presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno
confidato agli inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita.
Hanno detto la verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha
facoltà di fare ciò che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di
giustificarsi con nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso
nelle mutande di una sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe
interessante che qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non
accertate) relazioni avute dalla donna in questione con il delitto di Yara
commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o
infondato che sia - ai fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque.
Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato negli atti processuali che due
linguacciuti asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la
consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio,
nonché detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce
di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da
mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da pagare
e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando ufficialmente
(zero prove) per puttana. A voi, cari lettori, questa sembra un'operazione
legittima? Comprendiamo la necessità degli investigatori di non trascurare alcun
dettaglio nel tentativo di arrivare a capo dell'orrenda matassa, siamo altresì
consapevoli che dal quadro familiare di Bossetti sia facile ricavare qualche
indicazione utile all'inchiesta, ma prendere per buone le vanterie di un paio di
tizi onde avvalorare l'ipotesi che la famiglia Bossetti fosse una specie di
bordello, in cui ogni crimine poteva maturare, incluso un omicidio, è troppo.
Trattasi di scorrettezza e di crudeltà. Un conto è sondare la vita di un
imputato nella speranza di trovare una chiave per aprire la sua scatola nera, un
altro è ricorrere a mezzucci degni di un giornaletto scandalistico e indegni,
viceversa, di una giustizia decente. I giudici non devono guardare dal buco
della serratura e raccogliere materiale da portineria, ma costruire un impianto
accusatorio credibile, basato su indizi concreti e non su chiacchiericci volgari
che distruggono l'immagine di gente innocente, comunque non direttamente
implicata in un fatto di sangue. Alla signora Marita Bossetti e ai suo poveri
figli, esposti al pubblico ludibrio a causa di una sciatteria istituzionale
imperdonabile, va la nostra solidarietà. Siamo con loro in questo momento
tormentato. Un'ultima osservazione. Noi del Giornale spesso siamo stati additati
quali manovratori della macchina del fango. Faceva comodo a molti liquidarci
così. Ora, davanti alla macchina produttrice di letame gossiparo, che massacra e
lorda tante persone, tutti zitti. Zitti e complici».
«Yara, un caso nel
caso: gossip estremo o strategia mediatica? Seguendo il corso delle indagini, la
cronaca passa ora ai "raggi X" la vita della moglie di Bossetti: per soddisfare
la curiosità dei lettori o per qualcos'altro? –Si chiede invece Marco Ventura su
“Panorama” - “Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara”. Questa
didascalia sul sito del Corriere della Sera, cronaca di Bergamo, dice tutto.
Dice più di qualsiasi gossip allungato a giornalisti compiacenti che si prestano
a fare da megafono dell’accusa pur di continuare a beneficiare di “presunti”
scoop (dico “presunti” perché il giornalismo d’inchiesta all’americana, quello
vero, non si affida a una sola fonte, non sposa acriticamente una sola parte,
soprattutto si sviluppa anticipando le indagini, non si riduce a diffondere le
veline degli inquirenti). Quella didascalia è un insulto alla Costituzione (e ai
diritti di tutti noi in quanto potenziali Bossetti), perché “il carpentiere di
Mapello”, come viene sbrigativamente inquadrato dai media, agli occhi della
legge e a tutti gli effetti è l’opposto del “presunto assassino”. È, invece, un
“presunto innocente”, sospettato di aver ucciso l’adolescente Yara Gambirasio.
La didascalia accompagna le foto tratte dalla pagina Facebook dell’uomo (che non
è neppure imputato ma solo indagato). Altri scatti inquadrano la moglie Marita
in macchina che un po’ si vede, un po’ si copre la faccia per evitare i
fotografi il giorno in cui va a farsi interrogare. Sono una, due, tre, quattro,
cinque istantanee pressoché identiche, per soddisfare il “presunto” voyeurismo
compulsivo del lettore. Dico “presunto”, perché a scorrere i commenti alla
notizia delle “presunte” relazioni extraconiugali di Marita sul sito
dell’Huffington Post che riprende il Corriere (un bell’esempio di complicità
mediatica tra il gruppo L’Espresso e il “Corsera”), la gran parte dei lettori si
dice più o meno schifata e indignata, e se la prende con un certo giornalismo
gossiparo che massacra le persone per fare cassetta. Ma la foto peggiore è
quella che campeggia più grande di tutte: Marita a viso aperto, al mare,
circondata dai tre figli avuti con Massimo (già, ci sono pure dei figli minori,
i volti sono graficamente irriconoscibili, ma basta?). In realtà, dietro quel
giornalismo c’è forse qualcosa di più: una strategia mediatica da parte di chi
lavora sulle indagini. È singolare che nei giorni scorsi sia apparsa la notizia
del rifiuto di Marita a farsi interrogare senza il difensore, Marita che
continua a difendere il marito e a proclamare anche pubblicamente la sua fiducia
(ricambiata da Massimo di cui sappiamo, dalle indiscrezioni dei suoi già cinque
interrogatori nessuno conclusivo, che ai magistrati che lo incalzavano sulle
“presunte” avventure della consorte avrebbe replicato: “Impossibile. Sento il
suo amore, ho piena fiducia e rispetto di lei”). È mai possibile che di fronte a
quella che viene presentata come prova regina, definita dalla stessa difesa di
Bossetti come indizio grave, cioè la “presunta” corrispondenza del Dna del
“carpentiere di Mapello” con quello ritrovato sugli indumenti intimi di Yara
(dico “presunta” perché non c’è al momento una controperizia, una perizia di
parte, una ripetizione del test, né un contraddittorio o dibattimento e tante
volte abbiamo visto le prove regine perdere la corona nei processi), è mai
possibile dicevo che vi sia un simile accanimento sulla famiglia Bossetti, tale
da far sospettare (o presumere?) una disperazione dell’accusa, un’angoscia di
non riuscire, nonostante tutto, a trovare la verità cioè incastrare il “presunto
colpevole”? E mi chiedo: se la moglie (e la madre) di Massimo Bossetti lo
avessero “scaricato”, dicendo ai Pm quello che i Pm vorrebbero tanto sentirsi
dire, avremmo ugualmente letto notizie così orribilmente intrusive della vita
privata di persone che non sono neppure indagate e la cui vita intima non serve
probabilmente a far luce sull’ipotizzato crimine del “carpentiere di Mapello”?
Massimo Bossetti ha saputo dai magistrati di essere figlio illegittimo, ora sa
che forse la moglie gli ha messo le corna (e tutto questo lo sappiamo anche
noi). È costretto in carcere a un isolamento totale, anche nell’ora d’aria,
perché gli altri detenuti gliel’hanno giurata (per loro è il “presunto
assassino” di Yara, anzi per dirla con il ministro dell’Interno, Angelino
Alfano, è “l’assassino” e basta). La moglie si trova a dover fronteggiare non
solo i magistrati, ma anche i giornalisti che sanno e partecipano allo
scandaglio impietoso della sua privacy (grazie a chi?) e se si azzarda a dire la
sua al settimanale Gente, c’è subito pronto il solerte cronista di giudiziaria,
nello specifico Paolo Colonnello de La Stampa, che si dedica a sottolineare
sotto il titolo “Yara, le contraddizioni della signora Bossetti”, le “presunte”
(il virgolettato è mio) discrepanze tra le parole della “bella moglie che
rilascia interviste ai settimanali popolari” (stavolta il virgolettato è di
Colonnello) e quelle che Marita ha pronunciato davanti ai Pm. A Paolo vorrei
ricordare quanto lui stesso ha scritto su Facebook tempo fa, in quello che
appariva come un post di encomiabile ma evidentemente “presunta” autocritica,
dopo aver premesso che dubitava dell’innocenza di Bossetti: “Ciononostante mi
piacerebbe che i giornali avessero il coraggio di distinguersi dal trash delle
trasmissioni televisive smettendo di occuparsi di questo caso day by day,
proprio per rispetto dei protagonisti e della loro sofferenza. Piccoli dettagli,
elucubrazioni, fughe di notizie cui io stesso ho partecipato (con assoluta
controvoglia, credetemi) non aggiungono nulla di più a questo punto alla
tragedia che si è ormai consumata. La solita tragedia, verrebbe da dire. Perché
purtroppo, anche grazie alla nostra morbosità, statene certi che si ripeterà”».
«Dai lettore, prova
a metterti nei panni del mostro. Massimo Bossetti non è soltanto accusato di
essere l'assassino di Yara. Contro di lui si muove uno tsunami distruttivo,
massacrante, implacabile. Domandina: e se poi, invece, fosse innocente? – Si
chiede, invece Maurizio Tortorella su “Panorama” - Caro lettore, stavolta ti
propongo un gioco: ma fa' attenzione, perché è un brutto gioco. Facciamo finta
che due anni fa un bruto, un maniaco sessuale, abbia ucciso una povera ragazzina
a una decina di chilometri da casa tua. E facciamo finta che una mattina arrivi
da te la polizia, che ti ammanetta e ti accusa di quell'orribile delitto. Dai
magistrati inquirenti, che t'interrogano, scopri che sul cadavere della
poveretta è stato trovato materiale organico che i periti sostengono sia
compatibile con il tuo Dna. Tu non sai proprio spiegartene il motivo, perché sai
perfettamente che sei innocente e in realtà non hai mai nemmeno visto la
ragazzina. Ma gli inquirenti non vogliono sentire ragione: il colpevole sei
sicuramente tu. Così finisci in prigione. I giornali, contemporaneamente,
vengono inondati di carte dell'accusa. Il tuo nome esplode su tutti i mass
media, la tua vita viene passata al setaccio. Il tuo avvocato è in difficoltà:
non riesce a fare passare nemmeno il minimo dubbio. Poi gli inquirenti ti dicono
che sono arrivati a te per vie d'indagine complicatissime. E ti spiegano che
grazie a quelle indagini hanno scoperto, anche, che tuo padre non è quello che
tu hai avuto accanto per decenni, perché in realtà tua madre ti ha concepito con
un altro. Aggiungono che tutto questo è provato con certezza dallo stesso Dna. A
questa rivelazione, ovvio, resti senza fiato. Sui giornali che ti arrivano in
cella leggi che tua madre nega disperatamente, giura che sei figlio di tuo
padre, quello che hai sempre creduto che lo fosse. Ma chissà se dice la
verità... La vita, che già ti è stata sconvolta dall'arresto e dalle terribili
accuse che ti vengono rivolte, ti viene così letteralmente sradicata dall'anima:
anche per via sentimentale. Intanto passi i giorni in cella, dove ti disperi
leggendo i giornali che parlano del caso e cercando di sfuggire alle violenze
degli altri reclusi, tradizionalmente molto ostili a chi viene accusato di aver
fatto del male a donne e a bambini. Pensi e ripensi alla tua vita distrutta, ai
tuoi figli che inevitabilmente in paese vengono additati come «figli del
mostro», a quella poveretta di tua moglie che inutilmente grida alla tua
innocenza. I giorni trascorrono, diventano settimane e mesi. Non sai che fare.
Dentro sei come morto. Ti aggrappi ai tuoi poveri affetti, in questo momento
fragili come e più di te. Pensi solo a tua moglie e ai tuoi figli: sono l'unica
cosa che ti resta. Poi una mattina ti svegli, sempre in cella e sempre
terrorizzato, e sul primo quotidiano italiano leggi un titolo che ti
tramortisce. Perché rivela che due uomini sono stati appena ascoltati dai pm e
hanno raccontato loro di essere stati entrambi amanti di tua moglie (che hai
sposato nel 1999): uno nel 2009 e uno anche più di recente. Ti domandi se sia
vero. Come sia possibile. Ti interroghi anche sul perché gli inquirenti abbiano
deciso di ascoltare i due uomini, che cosa c'entrino le loro relazioni con
l'accusa che ti viene rivolta. L'articolo ti spiega che i pm vogliono indagare
nella tua vita sessuale, per capire se tutto era «normale». La tua disperazione
a questo punto è totale: non hai più nulla cui aggrapparti. Che ti resta, al
mondo? Pensi alla tua vita, annichilita, e forse vuoi soltanto morire. Ecco,
caro lettore. Io non so se Massimo Bossetti sia colpevole o innocente
dell'orribile delitto di cui è accusato da oltre due mesi. Ti domando, però, di
porre mente a un'ipotesi: e se non fosse colpevole? A quest'uomo la giustizia
italiana ha distrutto tutto: vita, famiglia, affetti. Gli è accaduto tutto
quello che hai appena finito di leggere, e anche molto di più. È stata una
devastazione implacabile, assoluta, senza scampo alcuno. Certo: è possibile che
Bossetti sia colpevole. E tu allora mi dirai, in un impeto di violenza: si
merita tutto quel che sta soffrendo. Ma che cosa accadrà se invece, in un
regolare processo condotto stavolta non sui giornali ma in un'aula di tribunale,
davanti a una corte puntigliosa e con tutti i crismi di legge, si dovesse
appurare che Bossetti è innocente, magari perché l'analisi del Dna condotta sul
corpo della povera Yara è stata sbagliata? In questi casi ho sempre pensato che
sia pratica onesta provare a mettersi nei panni dell'accusato, ovviamente
ipotizzandosi innocenti. Io l'ho fatto, e confesso la mia debolezza: non so se
saprei sopravvivere allo tsunami, alla gogna mediatica e al disastro
esistenziale che mi è stato gettato addosso. Proverei forse a impiccarmi in
cella. Però l'idea mi sconvolge e mi disgusta profondamente. Perché non è questo
il finale giusto, nemmeno nella peggiore vicenda giudiziaria; non può e non deve
esserlo: equivale a dichiarare che la giustizia non esiste. È una soluzione
abietta, vergognosa, indecente, indegna di uno Stato di diritto. Prova a fare
altrettanto. Non ci vuole molto, soltanto un po' di fantasia. Mettersi nei panni
dell'accusato è sempre un esercizio utile: solletica sensibilità intorpidite
dalla voglia di sangue. E magari fa pensare... ».
Dr Antonio
Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Wikipedia e la censura su Antonio Giangrande, le sue opere e le sue attività,
scrive “Oggi” il 19 luglio 2012. Wikipedia, secondo la presentazione contenuta
sulla sua home page web, è un’enciclopedia online, collaborativa e gratuita.
Disponibile in 280 lingue, Wikipedia affronta sia gli argomenti tipici delle
enciclopedie tradizionali sia quelli presenti in almanacchi, dizionari
geografici e pubblicazioni specialistiche. Wikipedia, a suo dire, è liberamente
modificabile: chiunque può contribuire alle voci esistenti o crearne di nuove.
Ogni contenuto è pubblicato sotto licenza Creative Commons CC BY-SA e può
pertanto essere copiato e riutilizzato adottando la medesima licenza. La
comunità di Wikipedia in lingua italiana è composta da 771.190 utenti
registrati, dei quali 8.511 hanno contribuito con almeno una modifica
nell’ultimo mese e 105 hanno un ruolo di servizio. Gli utenti costituiscono una
comunità collaborativa, in cui tutti i membri, grazie anche ai progetti tematici
e ai rispettivi luoghi di discussione, coordinano i propri sforzi nella
redazione delle voci. Quello che non si dice di Wikipedia, però, è che, pur
lagnandosi essa stessa del pericolo della censura, i suoi utenti con ruolo di
servizio svolgono proprio un’attività censoria. Non tutti i contenuti inseriti,
nuovi o di rettifica, sono pubblicati sulla cosiddetta enciclopedia libera.
Wikipedia ha una serie di regole e di linee guida per la pubblicazione, ma poi
ti accorgi che sono puri accorgimenti per censurare contenuti e personaggi non
aggradi all’utente di turno con mansioni di servizio. Censura dovuta ad
ignoranza o mala fede. Un esempio: provate a cercare Antonio Giangrande pur
avendo 200 mila risultati sui motori di ricerca (siti web che parlano di lui), o
cercate i suoi 100 libri, o Associazione Contro Tutte le Mafie. Non troverete
nessuna pagina a loro dedicata, e si potrebbe capire non reputandoli degni di
attenzione, ma non troverete anche alcun riferimento a contenuti attinenti ed
esistenti ed inclusi in altre pagine. Per esempio, alla voce mafia tra le
associazioni antimafia non vi è l’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Addirittura hanno tolto il riferimento bibliografico al libro con il titolo
“Sarah Scazzi, il delitto di Avetrana. Il resoconto di un Avetranese”, scritto
da Antonio Giangrande e da tempo inserito alla pagina “Il Delitto di Avetrana”.
Ognuno, comunque, può verificare da sé con i propri contenuti. Alla fine ti
accorgi che, mancando alcune opere, fatti, personaggi o contenuti nuovi o di
rettifica, dovuti al fatto perché vi è impedimento al loro inserimento,
Wikipedia proprio un’enciclopedia libera non è.
E poi c'è la massa di frustrati. Il 9 giugno 2016 mi trovo sulla mia pagina
Facebook la richiesta di amicizia di un tipo insignificante a da me ignorato.
Attingo le sue informazioni: libero pensatore (?) di Milano e con pochi amici.
Confermo la richiesta. Facebook lo impedisce. Cerco di eliminarla, idem. Dopo un
paio di giorni vedo citato il mio nome a sua firma in un blog sconosciuto. E
leggo quanto su di me racconta. Il tipo, sicuramente, lo fa con un certo astio,
non avendo letto alcun mio libro. Oppure, avendo letto quello su Milano, ne sia
rimasto risentito. “Lenzuolate. Cercando informazioni sul sempreverde Paglia,
al secolo Giancarlo Pagliarini mi sono imbattuto in codesto personaggio, tal
Antonio Giangrande. Uno che le mitiche lenzoluate di Uriel Fanelli sono termini
delle elementari. Un grafomane assoluto come non ne avevo mai visti. Nu tipo
tutto d’un pezzo. Uno che tiene ‘na caterva di siti. Insomma una specie di
professionista della neNuNZia civil/penale. Uno che – parole sue: Denuncio al
mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite
compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza
pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, calunnia o pazzia
le accuse le provo con inchieste testuali tematiche e territoriali. Per chi non
ha voglia di leggere ci sono i filmati tematici sul 1° canale, sul 2° canale,
sul 3° canale Youtube. Non sono propalazioni o convinzioni personali. Le fonti
autorevoli sono indicate. Promuovo in video tutto il territorio
nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime
discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti
istituzionali, sui miei blog d’informazione personali e sui miei canali video
sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per
quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi
censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie
opere sono gratuite. Anche l’uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi
sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi
mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno
loro. Gli ingredienti del complottista ci sono tutti:
è convinto che gli altri lo taccino di mitomania, calunnie o pazzie (oh, por
ninin)
si ritiene ingiustamente maltrattato (oh, pora stela)
ritiene di essere perseguitato per la sua azione “meritoria”. Infatti:
i media lo censurano (oh, por ninin)
le istituzioni lo perseguitano (oh, pora stela)
ma chicca delle chicche, questa missione superiore oh, poffartopo,
gli impedisce di lavorare!
Dico, ma quello che fa a casa mia si chiama “giornalismo”. Tant’è vero che vende
i suoi libri su Amazon, su Google libri, e perfino su Lulu o su Create Space. È
talmente preso dal bisogno morboso e patologico di scrivere, di dire al mondo
che è tutto un’ingiustizia che non si rende nemmeno conto che forse a strillare
così come un ossesso sembra davvero fuori di cotenna. Poi capisco la foga di
dire al mondo la notizia. Ma diamine scrive come se parlasse alla radio! E ne
sà, ma quante ne sà. In lungo e in largo, su ogni tema e su ogni zona di codesto
infame paese E son tutti cattivi con lui: non lo sfiora neanche per un attimo
che forse è proprio il suo atteggiamento che lo rende poco credibile. Ma no, lui
ci ha la CiuSDiZia nelle vene.
Giusto per non farsi mancare niente, leggete come si descrive – in inglese:
THE ASSOCIATION AGAINST ALL THE MAFIAS
INTRODUCES
THE RELATION OF THE JUSTICE IN ITALY
President: Antonio Giangrande been born in Avetrana in the 2nd June 1963.
Professions: entrepreneur, private investigator, lawyer.
he emigrated in Germany when he had 16 years, because he was poor.
today, in Italy, for the threats and the attacks of the Mafia, he is unemployed.
today, in Italy, for the irregular examinations, he is unemployed.
The President with the degree is unemployed.
His wife is unemployed.
His son with the 2 degrees is unemployed.
His daughter with the diploma is unemployed.
They are unemployed because they fight the Mafia.
The judges do not punish the Mafia.
In Italy the environment is polluted;
In Italy the administrators publics do not respect the law;
In Italy the insurance agencies do not respect the law;
In Italy the lawyers do not respect the law;
In Italy the banks do not respect the law;
In Italy all the examinations are irregular, wins who is more cunning.
In Italy the authorities ignore the disabled, the prisoner, the unemployed, the
poor people.
In Italy the judges do not respect the law;
In Italy the police does not respect the law;
In Italy the authority does not respect the law;
In Italy the authority misuses its power.
In Italy the authority says to the citizen: you undergo and be quiet!
The Italian citizen is silent.
You can translate the complete relation.
It is in Italian.
Nessuno è onesto, son tutti disonesti, farabutti ecceterì ecceterà. Ma se è così
un campione di superiore intelligenza….. perché non è andato all’estero a far
faville? Mistero….Personalmente io sono una mezza sega, ma almeno sò di esserlo…
codesto è il genio dei farlocchi incompresi. O meglio, sembra esserne
convinto…”.
Non aspiro al consenso assoluto, comunque grazie per la pubblicità. Oscar Wilde
diceva “Bene o male, purchè se ne parli…” Il detto «Nel bene o nel male, purché
se ne parli» (e simili) parafrasa un brano de Il ritratto di Dorian Gray di
Oscar Wilde (1890): “... ma attirare l'attenzione delle persone su di te ha due
risvolti: il primo è che se non sei indifferente ad esse, e che quindi parlano,
anche male, di te, vuol dire che comunque esisti; ma quando a parlare male di te
sono persone disperate, derise dal resto del mondo e che passeranno su di esso
senza lasciare alcuna traccia, allora è proprio triste...E ancora, se l'unica
cosa che meriterebbero queste "persone" sarebbe un Oscar, se ne esistesse uno
per la capacità di fingere, per la falsità con cui gestiscono i rapporti anche
tra loro, allora è ancora più triste. Il mio errore più grande è stato quello di
adeguarmi a frequentare "esseri" i cui neuroni sono pochi e purtroppo anche
stanchi... e per adeguarmi intendo dire che ho accettato i loro limiti
intellettivi, umani, culturali e sono passato sopra alle cose anche gravi che
hanno fatto... così, perchè ho deciso di adottare la filosofia secondo la quale
tutti siamo diversi... per intelletto, umanità e cultura... E quando mi sono
sentito chiedere: "Come fai a stare con certa gente?" ho risposto che le persone
è necessario conoscerle prima di giudicarle. Il problema è che io mi faccio
conoscere come sono, ma spesso mi illudo di conoscere chi mi sta intorno. Forse
sottovaluto ciò di cui possono essere capaci...Non avevo idea di come potesse
essere cattiva la gente, o meglio, non pensavo di poterlo provare sulla pelle,
di essere io l'oggetto della cattiveria di qualcuno/a... e mentre mettevo in
guardia le persone a cui tengo di più, non mi accorgevo che dovevo stare anche
io in guardia....La cosa che questi esseri (scusate ma non so proprio come
definirli) non capiscono è che mentre cercano di rovinare la tua reputazione,
dispensando giudizi negativi e gratuiti su di te, non si accorgono che la loro è
già compromessa, o forse sono solo consapevoli che se si concentrano sui tuoi
difetti non vedono i propri... Tu comunque non vieni intaccato, perchè ciò che
dicono rimane nel loro piccolo mondo di cacca che si sono costruiti, e fuori da
quel mondo di cacca tu sei apprezzato e rispettato, intrecci rapporti
lavorativi, sociali, interagisci con persone diverse, mentre loro suscitano
ilarità, disprezzo o peggio ancora indifferenza...Ecco perchè dopo tutto ciò non
sono deluso, o triste, ma provo solo pietà... perchè io so, e sapevo, di tutta
questa ilarità, disprezzo e indifferenza... la leggevo negli occhi di quelle
stesse persone alle quali oggi gli esseri dispensano giudizi negativi e gratuiti
su di me...Che falsità, che ipocrisia...Finchè nella tua vita non fai niente di
"speciale", niente che possa suscitare l'invidia delle persone, passi
inosservato, e nessuno si sente in diritto di giudicarti... ma quando eccelli in
qualcosa, quando volente o nolente "ti fai notare" allora sei fottuto... e cosa
ancora più grave proprio da chi ti diceva - Ma come sei bravo, diventerai un
bravo ing., ecc.! . Giuda almeno ci ha guadagnato 30 denari con un
bacio...L'importante è avere la stima delle persone a cui tieni di più: la tua
famiglia, gli Amici veri, e perchè no, la gente con cui lavori... ma soprattutto
il tuo orgoglio, il resto è niente... un tassello da aggiungere ad un puzzle, un
pezzo che vorresti perdere ma che comunque fa parte del quadro, e senza
mancherebbe sempre qualcosa, ci sarebbe un vuoto. Ben vengano le critiche
allora, gli sguardi invidiosi, le maldicenze... sono prove a cui la vita ci
sottopone, e ne usciamo più forti. Ci sono due tipi di "invidia": quella
"malata", che porta molti a credere che per avere successo bisogna affondare chi
è meglio o credi sia meglio di te, e quella "sana" che porta a migliorarti,
perchè sai che tu puoi essere meglio di come sei ... che ti stimola a
perfezionarti, perchè è così che si ottiene il successo. Purtroppo, come la
gramigna, la prima è più diffusa, è insita nella natura umana, e propria di chi
non vuole far fatica a mettere a prova sè stesso... è più facile distruggere chi
rappresenta una minaccia...Rappresento una minaccia per qualcuno? non so, può
darsi. Suscito invidia? Forse... ma non penso che qualcuno riesca a
distruggermi.”
PLAGIO E VERITA’. LA CRONACA PUO’ DIVENTARE STORIA? Antonio Giangrande:
“stavolta io sto con Roberto Saviano”.
Intervento di Antonio Giangrande, scrittore tarantino, autore di decine di saggi
d’inchiesta.
Lo scrittore napoletano, autore di “Gomorra” e “Zerozerozero”, è accusato di
aver inserito delle frasi altrui nei suoi libri, tratte da fonti non citate.
Saviano si difende: “è cronaca…e la cronaca appartiene a tutti”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
Come far sì che si parli di questioni delicate e pericolose che gli scribacchini
non fanno? Come si fa a far conoscere situazioni locali e temporali su tutto il
territorio nazionale e raccontate da autori poco conosciuti?
Quello che succede quotidianamente davanti ai nostri occhi è quello che vedono
tutti e non ci sono parole diverse per raccontarlo. I racconti sono coincidenti.
Possono cambiare i termini, ma i fattori non cambiano. Gli scribacchini, poi,
nel formare i loro pezzi, spesso e volentieri si riportano alle veline dei
magistrati e delle forze dell’Ordine.
Ergo: E’ una bestialità parlare di plagio.
E poi, l’informazione di regime dei professionisti abilitati alla conformità non
è tutta un copia ed incolla?
Si deve sempre guardare il retro della medaglia. Come per esempio: si dice che i
soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro. Invece i soldi vanno ai
migranti tramite le cooperative di sinistra e della CGIL. Ergo: Ai migranti
quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i voti dei futuri
cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali fino a voler
mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Quegli stessi
mussulmani che in casa loro i cristiani li trucidano. Poi per l’aiuto agli
italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi cosa: case
popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative. Se sei di
destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della sinistra, ma
perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che non sanno
neppure tutelare se stessi.
A proposito dell’invasione dei mussulmani senza colpo ferire….diamo proposte e
non proteste. Se lo sbarco incontrollato dei clandestini è dovuto alla guerra
fratricida nei loro paesi: fermiamo quella guerra con una guerra giusta
sostenendo la ragione. Per molto meno si è bombardato l’Iraq, l’Afghanistan e la
Libia, senza aver un interesse generale europeo, se non quello di assecondare le
mire americane. E poi, dalla patria in fiamme non si scappa, ma si combatte per
la sua liberazione. Gli italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione
tedesca. O i comunisti hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per
consegnarla all’URSS? Se il motivo dello sbarco incontrollato dei clandestini è
quello economico, evitiamo di farci espropriare il nostro benessere ottenuto con
sacrifici. Per la sinistra è un sistema che vale in termini elettorali, ma è
ingiusto. Difendiamoci dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di
espatrio dei clandestini. Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere
gli immigrati a poltrire in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di
loro per dargli una preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano
loro stessi ad aprire le aziende.
E comunque, senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a
tutti, compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se
bisogna mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti. Per
inciso. Non sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono
stufo dei quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
La sinistra usa la stessa solidarietà adottata con i migranti come nella lotta
alla mafia: farsi assegnare i beni confiscati e farli gestire da associazioni o
cooperative vicine a loro a alla CGIL o a Libera, che è la setta cosa.
Io ho trovato un sistema affinchè non sia tacciato di mitomania, pazzia o
calunnia: faccio parlare chi sul territorio la verità scomoda la fa diventare
cronaca ed io quella realtà contemporanea la trasformo in storia affinchè non si
dimentichi.
Io generalmente non sto con Saviano: per il suo essere di sinistra con quello
che comporta in termini di difetti ed appoggi. La sinistra, per esempio, non
dice che mafia ed antimafia, spesso, sono la stessa cosa, sol perché l’antimafia
è da loro incarnata. Ma stavolta io sto con Saviano perché la verità appartiene
a tutti e noi abbiamo l’obbligo di conoscerla e divulgarla. Saviano ha
raccontato una realtà conosciuta, ma taciuta. Verità enfatizzata e
strumentalizzata dalla sinistra tanto da renderla nociva. Può aver appreso da
scritti altrui? Può darsi. Basta che sia verità. Se qualche autore vuol
speculare sulla verità raccontata, allora la sua dignità vale quanto la moneta
pretesa. Se poi chi critica ed aizza mesta nel fango, questi vuol distogliere
l’attenzione sulla sostanza del contenuto, anteponendo artatamente la forma. Ed
i lettori, in questa diatriba, non guardino il dito, ma notino la luna.
Io, da parte mia, le fonti le cito, (eccome se le cito), per dare credibilità
alle mie asserzioni e per dare onore a chi, nelle ritorsioni, è disposto con
coraggio a perdere nel nome della verità in un mare di viltà. I miei non sono
romanzi, ma saggi da conoscere e divulgare. Perché noi dobbiamo essere quello
che noi avremmo voluto che diventassimo. E delle critiche: me ne fotto. Dr
Antonio Giangrande
DIRITTO ALL’OBLIO. FINE DELLA STORIA!
Per
gente indegna. Umanità senza vergogna e con la memoria corta. Nata, ma per i
posteri mai vissuta.
Voi
umani, dimenticate il passato. Hitler, Stalin ed ogni piccolo e grande criminale
innominabile dai giudici avrà la facoltà di essere innominato.
Intervista al dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa c’entra Lei che non è giornalista con il Diritto all’Oblio?
«Io
della Cronaca faccio Storia. Ciononostante personalmente sono destinatario degli
strali ritorsivi dei magistrati. A loro non piace che si vada oltre la verità
giudiziaria. La loro Verità. Oggi però sono intere categorie ad essere colpite:
dai giornalisti ai saggisti. Dagli storici ai sociologi. Perché oggi in tema di
Diritto all'Oblio e Libertà di espressione, la Cassazione tutela meno del
Regolamento Privacy. Una recente sentenza della Cassazione colpisce un giornale
(Prima Da Noi) con una interpretazione inedita e pericolosa del diritto
all'oblio. Superando le previsioni dei Garanti Privacy e della Corte europea dei
Diritti dell'Uomo».
Cosa dice la legge sulla Privacy?
«La
nuova normativa, concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il
diritto di cronaca, è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy
che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della
Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di
giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei
pubblicisti o dei praticanti, o che si limiti ad effettuare un trattamento
temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può
procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza dell'autorizzazione
del Garante rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196 del 2003;
può
utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27 del
Codice privacy;
può
trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche prescrizioni
previste per questa tipologia di dati;
non
è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né per il
trattamento di dati sensibili».
Cosa prevedeva la Legge e la Giurisprudenza?
«Come è noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non
può essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta, ma è necessario porre
dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e
della dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni morali ingiustificate. La
decisione si trova in completa armonia con altre numerose pronunce della Corte.
La Cassazione, infatti, ha costantemente ribadito che il diritto di cronaca
possa essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell’altrui
reputazione, costituendo così causa di giustificazione della condotta a
condizione che vengano rispettati i limiti della verità, della continenza e
della pertinenza della notizia. Orbene, è fondamentale che la notizia pubblicata
sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il
diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata
laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica
opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine,
richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga
mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività. A tal proposito, giova
ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un articolo di giornale deve
essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto dell’articolo, sia sotto
il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le
quali la notizia viene data (Cass. sez. V n. 26531/2009). Tanto premesso si può
concludere rilevando che pur essendo tutelato nel nostro ordinamento il diritto
di manifestare il proprio pensiero, tale diritto deve, comunque, rispettare i
tre limiti della verità, pertinenza e continenza. Diritto di Cronaca e gli
estremi della verità, della pertinenza e della continenza della notizia. L'art.
51 codice penale (esimente dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un
dovere) opera a favore dell'articolista nel caso in cui sia indiscussa la verità
dei fatti oggetto di pubblicazione e che la stessa sia di rilevante interesse
pubblico. In merito all'esimente del Diritto di Cronaca ex art. 51 c.p., la
Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma: "la cronaca ha per fine
l'informazione e, perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie,
mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta
rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne
sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". Il diritto ad esprimere
delle proprie valutazioni, del resto non va represso qualora si possa fare
riferimento al parametro della "veridicità della cronaca", necessario per
stabilire se l'articolista abbia assunto una corretta premessa per le sue
valutazioni. E la Corte afferma, in proposito: "Invero questa Corte è costante
nel ritenere che l'esimente di cui all'art. 51 c.p., è riconoscibile sempre che
sia indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione, quindi il loro
rilievo per l'interesse pubblico e, infine, la continenza nel darne notizia o
commentarli ... In particolare il risarcimento dei danni da diffamazione è
escluso dall'esimente dell'esercizio del diritto di critica quando i fatti
narrati corrispondano a verità e l'autore, nell'esposizione degli stessi, seppur
con terminologia aspra e di pungente disapprovazione, si sia limitato ad
esprimere l'insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n. 10031)"».
Con
la novella di cosa si sta parlano?
«La
sentenza 13161/16 del 24 giugno 2016 (Presidente Salvatore Di Palma, relatore
Maria Cristina Giancola) entrerà nella storia perché cancella la Storia. La
Suprema Corte ha infatti allargato di parecchio la sfera del diritto all’oblio
(right to be forgotten) secondo cui si può far valere il diritto ad essere
dimenticati, ovvero a fare in modo che il nostro passato non ritorni a galla con
una ricerca online anche dopo anni. La Cassazione, ha stabilito che “un articolo
di cronaca su un accoltellamento in un ristorante dovesse essere cancellato
dall’archivio digitale perché pur essendo corretto, raccontando la verità e non
travalicando i limiti di legge, aveva prodotto un danno ai ricorrenti, cioè i
soggetti attivi della vicenda di cronaca giudiziaria”. Vicenda che, ai tempi
della richiesta di rimozione dell’articolo, non si era ancora conclusa in
giudizio. Spiega Vincenzo Tiani: “La Cassazione richiama la celebre sentenza
Google Spain (C-131/12) che ha sancito per prima l’esistenza di un diritto ad
essere dimenticati, e le linee guida dell’Art. 29 Data Protection Working Party
(WP29) redatte dopo la sentenza (novembre 2014). Peccato che ciò che la Corte di
Giustizia Europea (CJEU) ha sancito in quell’occasione è che ogni soggetto ha
diritto sì alla de-indicizzazione dai motori di ricerca delle notizie che lo
riguardano, qualora lesive della sua dignità, denigratorie, non più rilevanti
per l’opinione pubblica, ma mai ha stabilito che tali informazioni dovessero
essere rimosse dagli archivi dei giornali, soprattutto laddove tale
pubblicazione fosse legale, come nel caso in specie. Ci si riferisce sempre alla
lista di risultati che fornisce il motore di ricerca e mai alla notizia di per
sé. Se poi andiamo a leggere le linee guida di WP29, al paragrafo 18 questo
indirizzo viene confermato. Si dice infatti che la de-indicizzazione non
riguarda i motori di ricerca di piccola portata come quelli dei giornali online.
Ergo non vi è un obbligo per la testata non solo di rimuovere l’articolo ma
neanche di de-indicizzarlo dal proprio motore di ricerca, cosa che avrebbe lo
stesso effetto di rimuoverlo visto che lo renderebbe di fatto introvabile.”»
Cosa dice la sentenza Google Spain?
«La
sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 (Google Spain
case, nda), del 13 maggio 2014, ha disposto che i singoli individui possono
chiedere ai motori di ricerca di rimuovere specifici risultati che appaiono
effettuando una ricerca con il proprio nome, qualora tali risultati siano
relativi all’interessato e risultino obsoleti. Un risultato può essere
considerato obsoleto quando la tutela dei dati personali dell’interessato
prevale rispetto all’interesse pubblico alla conoscenza della notizia cui tale
risultato rimanda. E su questo che si deve ragionare. I risultati della ricerca
devono essere vagliati per verificare quale dei due diritti fondamentali, quello
alla privacy e quello di cronaca, debba prevalere. Ciononostante con la nuova
GDPR (General Data Protection Regulation, Reg. 2016/679), che entrerà in vigore
nel 2018 sostituendo la ormai obsoleta direttiva 95/46/EC, il Diritto alla
Cancellazione (o diritto all’Oblio) è stato introdotto dall’Art. 17. Secondo la
nuova norma, qualora sussistano alcuni dei motivi previsti successivamente,
l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la
cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo
e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato
ritardo i dati personali […] Tuttavia, al comma 3, si prevedono talune
eccezioni. Chi detiene e fa uso dei dati dell’interessato (il titolare del
trattamento, il giornale in questo caso) non dovrà dare seguito alla richiesta
di cancellazione qualora tale uso sia stato lecitamente fatto:
a)
per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
d)
a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica
o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in
cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di
pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento».
Quali sono stati gli effetti?
«Google rende noti i dati relativi al diritto all'oblio fino al 2015 introdotto
da una sentenza della corte di Giustizia Ue nel maggio 2014, che garantisce il
diritto dei cittadini europei a veder cancellati sui motori di ricerca i link a
notizie personali "inadeguate o non più pertinenti". I link rimossi sono
580mila».
Allora sembra essere tutto risolto!
«Per nulla! Siamo in Italia e per gli ermellini nostrani l’interesse pubblico
cessa dopo due anni. Spiega Vincenzo Tiani: “Quello che la Cassazione ha pensato
invece è che, scaduti 2 anni e 6 mesi, tale eccezione venga meno. Non solo
questa interpretazione mette a repentaglio il diritto alla libera informazione,
lasciando spazio a una censura della stampa approvata dalla Corte stessa, ma
viola il diritto di difesa (artt. 24 e 25 Cost.) poiché si basa su una legge non
scritta e su una interpretazione totalmente libera e priva di solide basi che la
possano rendere condivisibile. Il termine di 2 anni e 6 mesi è totalmente
arbitrario oltre che ingiustificato. Forse che la stampa sia destinata, in un
prossimo futuro, a sopravvivere giusto il tempo di un like su facebook?”»
Cosa ha detto la vittima azzannata degli ermellini?
«"Confesso che ci abbiamo messo più di un giorno per comprendere che si trattava
di una sentenza reale ed ufficiale del massimo organo giudiziario – scrive il
direttore Alessandro Biancardi il 30 Giugno 2016 su “Prima Da Noi”. La cosa ci
ha colpito ulteriormente perchè dopo le pessime esperienze nel piccolo tribunale
di provincia riponevamo una certa fiducia nella inappellabile Cassazione. Ci
siamo sbagliati ma almeno ora sappiamo di che morte dovremo morire noi, la
libertà di stampa e soprattutto la libertà di informarsi. Non spenderemo più
parole per esprimere il nostro sdegno ed il nostro disgusto per aver raccolto
solo umiliazioni in una guerra che abbiamo deciso di combattere da soli contro
tutti per la libertà e la dignità di un Paese quando nessuno sapeva cosa fosse
il diritto all’oblio, una invenzione che nella nostra esperienza permette a
lobby e pregiudicati di tornare nell’ombra indisturbati. Siamo di fronte ad una
situazione più che assurda generata dal giudice dei giudici che condanna un
giornalista che ha fatto bene il proprio mestiere ma che ha provocato un danno
violando una norma che non esiste e che stabilisce la scadenza di un articolo.
Assurdo perchè siamo stati condannati una prima volta perchè non avevamo
cancellato l’articolo e pure una seconda volta pur avendolo cancellato ma non
abbastanza in fretta. Assurdo perchè gli ermellini dicono in sostanza che i due
che si sono accoltellati nel loro ristorante hanno avuto un danno all’immagine
(loro e del ristorante) non dalla violenza del gesto di cui si spera siano
responsabili ma dal suo racconto rimasto fruibile sul web. Assurdo perchè si
stabilisce che in venti anni il Garante della Privacy non ci ha capito niente.
La domanda però è: ora ci dite come avremmo dovuto e potuto fare per non
incorrere in questa violazione? Dove avremmo dovuto leggere la data di scadenza
dell’articolo? Sul retro, sul tappo, sul codice civile, penale, deontologico? A
proposito ma un giornalista che cancella articoli siamo sicuri che rispetta le
leggi della categoria (l’autocensura è condannata, la post censura no)? Ma
sappiamo bene il perchè dopo sei anni siamo i primi ad essere stati condannati
per questo: perché la maggior parte dei siti preferisce cancellare per non
‘avere problemi’ nonostante non ci sia una legge che impone il dovere di farlo.
Dal canto nostro non riusciremo a far fronte alla mole di danni che abbiamo
provocato con 800mila articoli in archivio esercitando correttamente il nostro
lavoro di onesti giornalisti e per questo molto difficilmente il quotidiano
potrà sopravvivere, schiacciato da superficialità, poteri forti e sentenze
impossibili da immaginare in un Paese davvero serio. Ma noi siamo l’ultimo dei
problemi, cercheremo giustizia fuori dall'Italia e con il tempo anche la gente
capirà, ci volessero anche 20 anni ma alla fine capirà…".»
Ed
allora, quali gli effetti sul suo operato?
«Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del
fair dealing ai sensi delle leggi internazionali vigenti sul copyright. Le norme
internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per ricerca
e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore di oltre
un centinaio di libri con centinaia di pagine che raccontano l'Italia per
argomento e per territorio. A tal fine posso assemblare le notizie afferenti lo
stesso tema per fare storia o per fare una rassegna stampa. Questo da oggi lo
potrò fare nel resto del mondo, ma non in Italia: la patria dell'Omertà. Perchè
se non c’è cronaca, non c’è storia. Ed i posteri, che non hanno seguito la
notizia sfuggente, saranno ignari di cosa sono stati capaci di fare di ignobile
ed atroce i loro antenati senza vergogna».
Antonio Giangrande: Non capisco chi va a dimostrare. I loro problemi li
manifestano in piazza: a chi?
Alla stampa omertosa? Ai politici menefreghisti? Ai colleghi di sventura che
pensano a risolvere la loro personale situazione?
Non basta una buona rete sul web per far sentire la nostra voce?
Chi ha votato, si rivolga al suo rappresentante in Parlamento, affinchè tuteli
il cittadino dai poteri forti.
Chi non ha votato, partecipi con altri alla formazione di un movimento
democratico e pacifista per poter fare una rivoluzione rosa e cambiare l’Italia.
Antonio Giangrande: Se questi son giornalisti...
Avviso DMCA di Google Libri [1-1127000032185]
Da Removalsatgoogle.com
04/03/2022 20:24
A presidenteatcontrotuttelemafie.it
Google è stata informata, secondo i termini del Digital Millennium Copyright Act
(DMCA), che alcuni dei contenuti da te pubblicati su Google Libri
presumibilmente violano i diritti d'autore di altri:
Libro: ANNO 2020 IL GOVERNO SECONDA PARTE
Denunciante: Damon Cheronis
Il DMCA è una legge sul copyright degli Stati Uniti che fornisce linee guida per
il porto sicuro dei fornitori di servizi online in caso di violazione del
copyright.
Google può ripristinare il contenuto in questione se invii una contronotifica
adeguata ai sensi delle sezioni 512(g)(2) e (3) del DMCA.
Se hai domande legali su questa notifica, dovresti rivolgerti al tuo consulente
legale. Se hai altre domande su questa notifica, faccelo sapere.
Testo del reclamo: L'intero articolo di corriere.it pubblicato il 27 dicembre
2019, dalla prima all'ultima parola, compare in una pagina di questo libro in
questione. Questo contenuto è protetto da copyright e non abbiamo concesso tali
diritti per la pubblicazione in nessun libro. Ne chiediamo la rimozione da
Google Libri.
Da presidenteatcontrotuttelemafie.it
05/03/2022 08:25
A Removalsatgoogle.com
Sono autore e legittimo proprietario dei diritti di pubblicazione del contenuto.
Ogni riferimento di terzi è doverosamente citato e di pubblico dominio. Le opere
di terzi citate, ai sensi delle leggi nazionali italiane (artt. 65, 66, 67 e 70
della Legge n. 633/1941) ed internazionali, sono legittimamente incluse a fini
didattici ed insegnamento, di critica e di discussione e ricerca e di
informazione. Le mie opere non danneggiano lo sfruttamento commerciale
dell’opera altrui. Per questi motivi io posso vantare diritti esclusivi di
diritto d’autore su fatti di cronaca e non violare le norme internazionali del
fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti nazionali, europee o
internazionali (DMCA).
"Confermo di astenermi dall'inviare qualsiasi contenuto per il quale non ho i
diritti di pubblicazione esclusivi e che aderirò a tutti i termini delle Linee
guida per i contenuti quando pubblicherò nuovi contenuti."
In un mio saggio sulla mafia mi è sembrato opportuno integrare, quanto già
ampiamente scritto sul tema, con una tesi-articolo pubblicato su "La Repubblica"
da parte di un'autrice poco nota dal titolo "La Mafia Sconosciuta dei
Basilischi". Dacchè mercoledì 16 gennaio 2019 mi arriva una e-mail di diffida di
questo tenore: qualche giorno fa mi sono resa conto che senza nessuna tipologia
di autorizzazione Lei ha fatto confluire il mio abstract pubblicato da la
Repubblica ad agosto 2017, in un suo libro "La mafia in Italia" e forse anche in
una seconda opera. Le ricordo che a norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul
diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di
parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per
uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se
effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali." NB. In
dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione
oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della
Costituzione e non, invece, l’utilizzazione funzionale allo svolgimento di
attività economiche ex art. 41 Cost. La sua opera essendo caratterizzata da fini
di lucro, (viene venduta al pubblico ad uno specifico prezzo) rientra a pieno in
un'attività economica. L'art 70 ut supra è , pertanto, pienamente applicabile al
caso del mio abstract, non rientrando neanche nel catalogo di articoli a
carattere "economico, politico o religioso", poichè da questi vengono escluse
"gli articoli di cronaca od a contenuto culturale, artistico, satirico, storico,
geografico o scientifico ", di cui all'art 65 della medesima legge (secondo
un'interpretazione estensiva della stessa), la cui riproduzione può avvenire in
"altri giornali e riviste, ossia in veicoli di informazione diretti ad un
pubblico generalizzato e non a singole categorie di utenti – clienti
predefinite." Pertanto La presente è per invitarLa ad eliminare nel più breve
tempo possibile il mio abstract dalla sua opera (cartecea e digitale), e laddove
sia presente, anche da altri eventuali suoi libri, e-book e cartacei, onde
evitare di dover adire le apposite sedi giudiziarie per tutelare il mio Diritto
d'Autore e pedissequamente richiedere il risarcimento dei danni.
La mia risposta: certamente non voglio polemizzare e non ho alcun intendimento a
dissertare di diritto con lei, che del diritto medesimo ne fa una personalissima
interpretazione, non avendo il mio saggio alcun effetto anche potenzialmente
concorrenziale dell'utilizzazione rispetto al suo articolo. Nè tantomeno ho
interesse a mantenere il suo articolo nei miei libri di interesse pubblico di
critica e di discussione. Libri a lettura anche gratuita, come lei ha
constatato, avendo trovato il suo articolo liberamente sul web. Tenuto conto che
altri sarebbero lusingati nell’essere citati nelle mie opere, e in migliaia lo
sono (tra i più conosciuti e celebrati), e non essendoci ragioni di utilità per
non farlo, le comunico con mia soddisfazione che è stata immediatamente
cancellata la sua tesi dai miei saggi e per gli effetti condannata all’oblio.
Saggi che continuamente sono utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e
tesi di laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non
avendone mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno
di essere riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente.
La risposta piccata è stata: Guardi mi sa che parliamo due lingue diverse. Non
ho dato nessuna interpretazione mia personale del diritto, ma come può notare
dalla precedente mail, mi sono limitata a riportare il tenore letterale della
norma, che lei forse ignora. Io credo che molte persone, i cui elaborati sono
stati interamente riprodotti nei suoi testi, non siano assolutamente a
conoscenza di quello che lei ha fatto. Anche perché sono persone che conosco
direttamente e con le quali ho collaborato e collaboro tutt'ora. Di certo non
sarà lei attraverso l'estromissione (da me richiesta) dalle sue "opere" a farmi
cadere in qualsivoglia oblio, poiché preferisco continuare a collaborare con
professionisti (quali ad esempio Bolzoni) che non mettono in vendita libri che
non sono altro che un insieme di lavori di altri, come fa lei, ma che come me
continuano a studiare ed analizzare questi fenomeni con dedizione, perizia e
professionalità. Ma non sto qui a disquisire e ad entrare nel merito di
determinate faccende che esulano la questio de quo. Spero che si attenga a
quanto scritto nella precedente mail.
A questo preme puntualizzare alcuni aspetti. Il mio utilizzo dei contenuti
soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi
vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di
manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal
fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a
scopo culturale o didattico.
Molti moralizzatori, sempre col ditino puntato, pretendono di avere il monopolio
della verità. Io che non aspiro ad essere come loro (e di fatto sono orgoglioso
di essere diverso) mi limito a riportare i comizietti, le prediche ed i
pistolotti di questi, contrapponendo gli uni agli altri. A tal fine esercito il
mio diritto di cronaca esente da mie opinioni. D'altronde tutti i giornalisti
usano riportare gli articoli di altri per integrare il loro o per contestarne il
tono o i contenuti. Oppure come fa Dagospia o altri siti di informazione online,
che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di
esclusività non sono liberamente fruibili. Diritto di cronaca su Stampa non
periodica.
Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente
(è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Stampa non periodica, perché la Stampa periodica è di pertinenza esclusiva della
lobby dei giornalisti, estensori della pseudo verità, della disinformazione,
della discultura e dell’oscurantismo.
Diritto di cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della
verità, attinenza-continenza, interesse pubblico.
Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa
diritto di critica storica. La critica storica, se da una parte può scriminare
la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506,
dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la
riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico
sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti
giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera".
Certamente le mie opere nulla hanno a che spartire con le opere di autori
omologati e conformati, e quindi non costituiscano concorrenza all'utilizzazione
economica dell'opera altrui. Quindi questi sconosciuti condannati all'oblio
dell'arroganza e della presunzione se ne facciano una ragione.
Ed anche se fosse che la mia cronaca, diventata storia, fosse effettuata a fini
di insegnamento o di ricerca scientifica, l'utilizzo che dovrebbe inoltre
avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali è pienamente
compiuto, essendo io autore ed editore medesimo delle mie opere e la
divulgazione è per mero intento di conoscenza e non per fini commerciali, tant’è
la lettura può essere gratuita e ove vi fosse un prezzo, tale è destinato per
coprirne i costi di diffusione.
Ho appena saputo
che tre dei miei articoli pubblicati per "Articolo 21" e "Antimafia Duemila"
sono stati citati nel libro del sociologo Antonio Giangrande che ringrazio.
Gli articoli in
questione sono, uno sulla riabilitazione dei cognomi infangati dalle mafie
(ripreso giusto oggi da AM2000), uno sulla precarietà nel giornalismo e il
terzo, ultimo pubblicato in ordine di tempo, intitolato alla legalità e contro
ogni sistema criminale.
Chi
era Luigi Amicone morto di Covid. Un anno fa si è impegnato a censurarmi. Ha
fatto in modo che nessuno pubblicasse le mie opere. Ha inoltrato l’esposto
infondato contro di me ad Amazon, Google Libri e Lulu, costringendoli a
cancellare il mio account di pubblicazione e di fatto censurandomi. L’unico a
farlo rispetto a centinaia di migliaia di autori e di citazioni e in riferimento
a un suo articolo marginale, doverosamente citato, pubblicato su Il Giornale.it,
posto in discussione ed in contraddittorio rispetto ad altri articoli sullo
stesso argomento. Mi ha posto temporaneamente sul lastrico, ledendo, oltretutto,
la mia onorabilità e reputazione. Questa la mia risposta:
Dr
Luigi Amicone, sono il dr Antonio Giangrande. Il soggetto da lei indicato a
Google Libri come colui che viola il copyright di “Qualcun Altro”. Così come si
evince dalla traduzione inviatami da Google. “Un sacco di libri pubblicati da
Antonio Giangrande, che sono anche leggibile da Google Libri, sembrano violare
il copyright di qualcun altro. Se si controlla, si potrebbe scoprire che
sono fatti da articoli e testi di diversi giornalisti. Ha messo nei suoi libri
opere mie, pubblicate su giornali o riviste o siti web. Per esempio, l'articolo
pubblicato da Il Giornale il 29 maggio 2018 "Il serial Killer Zodiac ... ".
Sembra che abbia copiato l'intero articolo e incollato sul "suo" libro. Sembra
che abbia pubblicato tutti i suoi libri in questo modo. Puoi chiedergli di
cambiare il suo modo di "scrivere"? Grazie”.
Comunque,
nonostante la sua opera sia stata rimossa, Francesco Amicone, mi continua a
minacciare: “Domani vaglierò se inviare una email a tutti gli editori
proprietari degli articoli che lei ha inserito - non si sa in base a quale nulla
osta da parte degli interessati - nei suoi numerosi libri. La invito - per il
suo bene - a rimuovere i libri dalla vendita e a chiedere a Google di non
indicizzarli, altrimenti è verosimile che gli editori le chiederanno di pagare.”
Non riesco a capire
tutto questo astio nei miei confronti. Una vera e propria stolkerizzazione ed
estorsione. Capisco che lui non voglia vedere il suo lavoro richiamato su altre
opere, nonostante si evidenzi la paternità, e si attivi a danneggiarmi in modo
illegittimo. Ma che si impegni assiduamente ad istigare gli altri autori a fare
lo stesso, va aldilà degli interessi personali. E’ una vera è propria cattiva
persecuzione, che costringerà Google ed Amazon ad impedire che io prosegui la
mia attività, e cosa più importante, impedisca centinaia di migliaia di lettori
ad attingere in modo gratuito su Google libri, ad un’informazione completa ed
alternativa.
E’ una vera è
propria cattiva persecuzione e della quale, sicuramente, ne dovrà rendere conto.
Mi
vogliono censurare su Google.
Premessa: Ho scritto centinaia di saggi e centinaia di migliaia di pagine,
affrontando temi suddivisi per argomento e per territorio, aggiornati
periodicamente. Libri a lettura anche gratuita. Non esprimo opinioni e faccio
parlare i fatti e gli atti con l’ausilio di terzi, credibili e competenti, che
sono ben lieti di essere riportati e citati nelle mie opere. Opere che
continuamente sono utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e tesi di
laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non avendone
mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno di essere
riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente. Libri a lettura anche
gratuita. Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use
o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme
nazionali ed internazionali mi permettono di manifestare il proprio pensiero,
anche con la testimonianza di terzi e a tal fine fare copie singole di parti di
opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico.
Reclamo: Non si chiede solo di non usare i suoi articoli, ma si pretende di
farmi cambiare il mio modo di scrivere. E questa è censura.
Censura da Amazon
libri. Del Coronavirus vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che ci hai fornito e confermiamo la
nostra precedente decisione di chiudere il tuo account e di rimuovere tutti i
tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni presente che, come previsto dai nostri
Termini e condizioni, non ti è consentito di aprire nuovi account e non
riceverai futuri pagamenti royalty provenienti dagli account aggiuntivi creati.
Tieni presente che questa è la nostra decisione definitiva e che non ti
forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori azioni relativamente alla
questione. Amazon.de".
Amazon chiude
l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver rendicontato sul
Coronavirus in 10 parti.
La chiusura
dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere riguardante ogni tema
ed ogni territorio d’Italia.
Opere pubblicate in
E-book ed in cartaceo.
La pretestuosa
motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto nessuna prova del
fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di copyright per il libro
seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro non è
bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti
i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro non è
bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate opere con Kdp
Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro non è
bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e
di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si potrebbero trovare le
medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione e-book.
A loro interessava
solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro interessava
solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che tutto ciò sia
solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il fatto è che ci
si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare un editore che sia
disposto a pubblicare le tue opere.
Opere che,
comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo: Amazon,
sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.
Per
questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, giudicato ed
informato, educato ed istruito da coglioni.
Antonio Giangrande: Il vizio di Amazon.
Con la
scusa della tutela del cliente: arricchirsi sulle spalle dei venditori.
Metodo:
Pagamento a tre mesi dei prodotti venduti.
Se
arriva una segnalazione truffaldina ed artificiosa inesistente o di uno stalker,
ti blocca l’intero account e non il prodotto de quo.
Di
conseguenza si intasca indebitamente tutti gli utili dei prodotti fin lì
venduti.
E’
inibito ogni diritto di difesa, salvo che non li sputtani con le Iene o Striscia
La Notizia.
Antonio
Giangrande: Censura da Amazon libri. Del Coronavirus vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che ci hai fornito e confermiamo la
nostra precedente decisione di chiudere il tuo account e di rimuovere tutti i
tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni presente che, come previsto dai nostri
Termini e condizioni, non ti è consentito di aprire nuovi account e non
riceverai futuri pagamenti royalty provenienti dagli account aggiuntivi creati.
Tieni presente che questa è la nostra decisione definitiva e che non ti
forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori azioni relativamente alla
questione. Amazon.de".
Amazon
chiude l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver rendicontato
sul Coronavirus in 10 parti.
La
chiusura dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere riguardante
ogni tema ed ogni territorio d’Italia.
Opere
pubblicate in E-book ed in cartaceo.
La
pretestuosa motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto
nessuna prova del fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di
copyright per il libro seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro
non è bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di
tutti i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro
non è bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate opere
con Kdp Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro
non è bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro in
oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si potrebbero
trovare le medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione e-book.
A loro
interessava solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro
interessava solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che
tutto ciò sia solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il
fatto è che ci si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare un
editore che sia disposto a pubblicare le tue opere.
Opere
che, comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo:
Amazon, sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il Civil Law, ossia il nostro Diritto, è l’evoluzione
dell’intelletto umano ed ha radici antiche, a differenza del Common Law dei
paesi anglosassoni fondato sull’orientamento politico momentaneo.
Il
Diritto Romano, e la sua evoluzione, che noi applichiamo nei nostri tribunali
contemporanei non è di destra, né di centro, né di sinistra. L’odierno diritto,
ancora oggi, non prende come esempio l’ideologia socialfasciocomunista, né
l’ideologia liberale. Esso non prende spunto dall’Islam o dal Cristianesimo o
qualunque altra confessione religiosa.
Il
nostro Diritto è Neutro.
Il
nostro Diritto si affida, ove non previsto, al comportamento esemplare del buon
padre di famiglia.
E un
Buon Padre di Famiglia non vorrebbe mai che si uccidesse un suo figlio: eppure
si promuove l’aborto.
E un
Buon Padre di Famiglia vorrebbe avere dei nipoti, eppure si incoraggia
l’omosessualità.
E un
Buon Padre di Famiglia vorrebbe difendere l’inviolabilità della sua famiglia,
della sua casa e delle sue proprietà, eppure si agevola l’invasione dei
clandestini.
E un
Buon Padre di Famiglia vorrebbe che la Legge venisse interpretata ed applicata
per soli fini di Giustizia ed Equità e non per vendetta, per interesse privato o
per scopi politici.
Mi
spiace. Io sono un evoluto Buon Padre di Famiglia.
Il
Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti.
Il Commento di Antonio Giangrande.
Sono
Antonio Giangrande autore ed editore di centinaia di libri. Su uno di questi
“L’Italia dei Misteri” di centinaia di pagine, veniva riportato, con citazione
dell’autore e senza manipolazione e commenti, l’articolo del giornalista
Francesco Amicone, collaboratore de “Il Giornale” e direttore di Tempi. Articolo
di un paio di pagine che parlava del Mostro di Firenze ed inserito in una più
ampia discussione in contraddittorio. L’Amicone, pur riconoscendo che non vi era
plagio, criticava l’uso del copia incolla dell’opera altrui. Per questo motivo
ha chiesto ed ottenuto la sospensione dell’account dello scrittore Antonio
Giangrande su Amazon, su Lulu e su Google libri. L’intero account con centinai
di libri non interessati alla vicenda. Google ed Amazon, dopo aver verificato la
contronotifica hanno ripristinato la pubblicazione dei libri, compreso il libro
oggetto di contestazione, del quale era stata l’opera citata e contestata. Lulu,
invece, ha confermato la
sospensione.
L’autore
ed editore Antonio Giangrande si avvale del Diritto di Citazione. A norma
dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o
di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità
illustrative e per fini non commerciali."
Nei libri
di Antonio Giangrande, per il rispetto della pluralità delle fonti in
contraddittorio per una corretta discussione, non vi è plagio ma Diritto di
Citazione.
Il
Diritto di Citazione è il Diritto di Cronaca di un’indagine complessa
documentale e testimoniale senza manipolazione e commenti con di citazione di
opere altrui senza lesione della concorrenza con congruo lasso di tempo e
pubblicazione su canali alternativi e differenti agli originali.
Il
processo a Roberto Saviano per “Gomorra” fa precedente e scuola: si condanna
l’omessa citazione dell’autore e non il copia incolla della sua opera.
Vedi
Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO
DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati
della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che
realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena
arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono
iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure
come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a
riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono
liberamente fruibili. Dagospia si definisce "Risorsa informativa online a
contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto
D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole
di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei
portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli
autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare
tutte le notizia contemporaneamente”.
Così come
il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com, o di pressreader.com.
Così come
fanno alcuni giornali e giornalisti. Non fanno inchieste o riportano notizie
proprie. Ma la loro informazione si basa anche su commento di articoli di terzi.
Vedi “Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il
Sussidiario, o twnews.it/it-news, ecc.
Comunque,
nonostante la sua opera sia stata rimossa, Francesco Amicone, mi continua a
minacciare: “Domani vaglierò se inviare una email a tutti gli editori
proprietari degli articoli che lei ha inserito - non si sa in base a quale nulla
osta da parte degli interessati - nei suoi numerosi libri. La invito - per il
suo bene - a rimuovere i libri dalla vendita e a chiedere a Google di non
indicizzarli, altrimenti è verosimile che gli editori le chiederanno di pagare.”
Non riesco a capire
tutto questo astio nei miei confronti. Una vera e propria stolkerizzazione ed
estorsione. Capisco che lui non voglia vedere il suo lavoro richiamato su altre
opere, nonostante si evidenzi la paternità, e si attivi a danneggiarmi in modo
illegittimo. Ma che si impegni assiduamente ad istigare gli altri autori a fare
lo stesso, va aldilà degli interessi personali. E’ una vera è propria cattiva
persecuzione, che costringerà Google ed Amazon ad impedire che io prosegui la
mia attività, e cosa più importante, impedisca centinaia di migliaia di lettori
ad attingere in modo gratuito su Google libri, ad un’informazione completa ed
alternativa.
E’ una vera è
propria cattiva persecuzione e della quale, sicuramente, ne dovrà rendere conto.
Omertà…Omertà! La Nenia degli scribacchini.
Il
reato ha una responsabilità personale.
Chiunque è innocente fino a prova contraria.
Non si
può colpevolizzare qualcuno per una prova che non esiste o che manca per
incapacità degli investigatori.
Le
persone lavorano, studiano o riposano: non sono comari dedite a spettegolare o a
fare domande in giro.
Il
giornalista che criminalizza il singolo, o, addirittura, una comunità o una
categoria, non fa informazione, ma fa diffamazione.
Se
questi scribacchini sono spinti da odio territoriale o ideologico, la loro
diffamazione è a sfondo razzista, specie se poi nascondono discriminatamente le
malefatte dei loro compagni e compaesani.
Antonio Giangrande: Quello che non ci dicono. Prendiamo per esempio il
fenomeno cosiddetto dell'abusivismo edilizio, che è elemento prettamente di
natura privata. I comunisti da sempre osteggiano la proprietà privata,
ostentazione di ricchezza, e secondo loro, frutto di ladrocinio. Sì, perchè, per
i sinistri, chi è ricco, lo è perchè ha rubato e non perchè se lo è guadagnato
per merito e per lavoro.
Il
perchè al sud Italia vi è più abusivismo edilizio (e per lo più tollerato)? E’
presto detto. Fino agli anni '50 l'Italia meridionale era fondata su piccoli
borghi, con case di due stanze, di cui una adibita a stalla. Paesini da cui
all’alba si partiva per lavorare nelle o presso le masserie dei padroni, per poi
al tramonto farne ritorno. La masseria generalmente non era destinata ad
alloggio per i braccianti.
Al
nord Italia vi erano le Cascine a corte o Corti coloniche, che, a differenza
delle Masserie, erano piccoli agglomerati che contenevano, oltre che gli edifici
lavorativi e magazzini, anche le abitazioni dei contadini. Quei contadini del
nord sono rimasti tali. Terroni erano e terroni son rimasti. Per questo al Nord
non hanno avuto la necessità di evolversi urbanisticamente. Per quanto
riguardava gli emigrati bastava dargli una tana puzzolente.
Al
Sud, invece, quei braccianti sono emigrati per essere mai più terroni. Dopo
l'ondata migratoria dal sud Italia, la nuova ricchezza prodotta dagli emigranti
era destinata alla costruzione di una loro vera e bella casa in terra natia,
così come l'avevano abitata in Francia, Germania, ecc.: non i vecchi tuguri dei
borghi contadini, nè gli alveari delle case ringhiera o dei nuovi palazzoni del
nord Italia. Inoltre quei braccianti avevano imparato un mestiere, che volevano
svolgere nel loro paese di origine, quindi avevano bisogno di costruire un
fabbricato per adibirlo a magazzino o ad officina. Ma la volontà di chi voleva
un bel tetto sulla testa od un opificio, si scontrava e si scontra con la
immensa burocrazia dei comunisti, che inibiscono ogni forma di soluzione
privata. Ergo: per il diritto sacrosanto alla casa ed al lavoro si è costruito,
secondo i canoni di sicurezza, ma al di fuori del piano regolatore generale
(Piano Urbanistico). Per questo motivo si pagano sì le tasse per una casa od un
opificio, che la burocrazia intende abusivo, ma che la stessa burocrazia non
sana, nè dota quelle costruzioni, in virtù delle tasse ricevute e a tal fine
destinate, di infrastrutture primarie: luce, strade, acqua, gas, ecc.. Da qui,
poi, nasce anche il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
Burocrazia su Burocrazia e gente indegna ed incapace ad amministrarla.
Per quanto riguarda, sempre al sud, l'abusivismo edilizio sulle coste, non è uno
sfregio all'ambiente, perchè l'ambiente è una risorsa per l'economia, ma è un
tentativo di valorizzare quell’ambiente per far sviluppare il turismo, come
fonte di sviluppo sociale ed economico locale, così come in tutte le zone a
vocazione turistica del mediterraneo, che, però, la sinistra fa fallire, perchè
ci vuole tutti poveri e quindi, più servili e assoggettabili. L'ambientalismo è
una scusa, altrimenti non si spiega come al nord Italia si possa permettere di
costruire o tollerare costruzioni alle pendici dei monti, o nelle valli
scoscese, con pericolo di frane ed alluvioni, ma per gli organi di informazione
nazionale, prevalentemente nordisti e razzisti e prezzolati dalla sinistra, è un
buon viatico, quello del tema dell'abusivismo e di conseguenza della criminalità
che ne consegue, o di quella organizzata che la si vede anche se non c'è o che è
sopravalutata, per buttare merda sulla reputazione dei meridionali.
Antonio Giangrande:
TRIBUNALE DI POTENZA. SI DECIDE SUL DIRITTO DI CRITICA, MA ANCHE SUL DIRITTO
DI INFORMARE.
Le maldicenze
dicono che i giornalisti sono le veline dei magistrati. Allora, per una volta,
facciamo parlare gli imputati.
Tribunale di
Potenza. Ore 12 circa del 21 aprile 2016. All’udienza tenuta dal giudice Lucio
Setola finalmente si arriva a sentenza. Si decide la sorte del dr. Antonio
Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, conosciutissimo sul web. Ma noto,
anche, agli ambienti giudiziari tarantini per le critiche mosse al Foro per i
molti casi di ingiustizia trattati nei suoi saggi, anche con interrogazioni
Parlamentari, tra cui il caso di Sarah Scazzi e del caso Sebai, e per le sue
denunce contro l’abilitazione nazionale truccata all’avvocatura ed alla
magistratura. Il tutto condito da notizie non iscritte nel registro dei reati o
da grappoli di archiviazioni (anche da Potenza), spesso non notificate per
impedirne l’opposizione. Fin anche un’autoarchiviazione, ossia l’archiviazione
della denuncia presentata contro un magistrato. Lo stesso che, anziché inviarla
a Potenza, l’ha archiviata. Biasimi espressi con perizia ed esperienza per aver
esercitato la professione forense, fin che lo hanno permesso. Proprio per questo
non visto di buon occhio dalle toghe tarantine pubbliche e private. Sempre a
Potenza, in altro procedimento per tali critiche, un Pubblico Ministero già di
Taranto, poi trasferito a Lecce, dopo 9 anni, ha rimesso la querela in modo
incondizionato.
Processato a
Potenza per diffamazione e calunnia per aver esercitato il suo diritto di difesa
per impedire tre condanne ritenute scontate su reati riferiti ad opinioni
attinenti le commistioni magistrati-avvocati in riferimento all’abilitazione
truccata, ai sinistri truffa ed alle perizie giudiziarie false. Alcuni giudizi
contestati, oltretutto, non espressi dall’imputato, ma a lui falsamente
addebitate. Fatto che ha indotto il Giangrande per dipiù a presentare una
istanza di rimessione del processo ad altro Foro per legittimo sospetto (di
persecuzione) ed a rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Rigettata dalla Corte di Cassazione e dalla Cedu, così come fan per tutti.
Per dire: una norma
scomoda inapplicata.
Processato a
Potenza, secondo l’atto d’accusa, per aver presentato una richiesta di
ricusazione nei confronti del giudice di Taranto Rita Romano in tre distinti
processi. Motivandola, allegando la denuncia penale già presentata contro lo
stesso giudice anzi tempo. Denuncia sostenuta dalle prove della grave
inimicizia, contenute nelle motivazioni delle sentenze emesse in diversi
processi precedenti, in cui si riteneva Antonio Giangrande una persona
inattendibile. Atto di Ricusazione che ha portato nel proseguo dei tre processi
ricusati all’assoluzione con giudici diversi: il fatto non sussiste. Questione
rinvenibile necessariamente durante le indagini preliminari, ma debitamente
ignorata.
Ma tanto è bastato
all’imputato, nell’esercitare il diritto di difesa ed a non rassegnarsi
all’atroce destino del “subisci e taci”, per essere processato a Potenza. Un
andirivieni continuo da Avetrana di ben oltre 400 chilometri. Ed è già una pena
anticipata.
L’avvocato della
difesa ha rilevato nell’atto di ricusazione la mancanza di lesione dell’onore e
della reputazione del giudice Rita Romano ed ha sollevato la scriminante del
diritto di critica e la convinzione della colpevolezza del giudice da parte
dell’imputato di calunnia. La difesa, preliminarmente, ha evidenziato motivi di
improcedibilità per decadenza e prescrizione. Questioni Pregiudiziali non
accolte. L’accusa ha ravvisato la continuazione del reato, pur essendo sempre un
unico ed identico atto: sia di ricusazione, sia di denuncia di vecchia data ad
esso allegata.
Il giudice Rita
Romano, costituita parte civile, chiede all’imputato decine di migliaia di euro
di danno. Imputato già di per sé relegato all’indigenza per impedimento allo
svolgimento della professione.
Staremo a vedere se
vale la forza della legge o la legge del più forte, al quale non si possono
muovere critiche. Che Potenza arrivi a quella condanna, dove Taranto dopo tanti
tentativi non è riuscita?
Dicono su Avetrana
accusata di omertà: “Chi sa parli!” Se poi da avetranese parli o scrivi, ti
processano.
Non si stancano mai
PROCEDIMENTO N.
4401/2018 RGNR (PM), N. 4578/2018 RG G.I.P, N. 5389/2023 RG DIB.
UDIENZA: 20 giugno
2023, Aula G
Reato ex artt 82,
cpv; 595, 3° comma, fino al 28 aprile 2015.
Decreto penale di
condanna 26 giugno 2018.
Opposizione l’8
febbraio 2021
Decreto di giudizio
immediato 19 dicembre 2022.
Udienza del 7 marzo
2023 rinviata per difetto di notifica.
Ex art. 161 c.p. è
scattata la prescrizione il 28 ottobre 2022.
L’anno 2023, il
mese di marzo, il giorno 7 alle ore 12:16 in Taranto nell’Aula G De Tribunale,
davanti al Giudice Dottoressa Maria D’AMICO, presente il P.M. Dottoressa Maria
Teresa LATORRE per la trattazione in pubblica udienza del processo nei confronti
di GIANGRANDE ANTONIO
Rappresentato e
difeso dall’A. Grazia Resta di Ufficio – assente
Sostituito ex art.
97, IV comma c.p.p. dall’avv. Pietro Putignano
Parte Offesa Bravo
Stefano – assente
Preliminarmente
Il Tribunale rileva
che non è stato notificato il decreto all’avv. Mirko Giangrande né tantomeno
all’imputato a alla persona offesa; pertanto si rinvia per regolarizzare le
notifiche.
Si rinvia al 20
giugno 2023 ore 9:00 Aula G.
N. 4401/2018 P.M.
N. 4578/2018 G.I.P.
Tribunale di
Taranto
Ufficio del Giudice
per le Indagini Preliminari
Decreto di giudizio
immediato a seguito di opposizione a
Decreto Penale di
Condanna
Art. 464 comma 1
c.p.p.
Il Giudice
Dispone procedersi
con giudizio immediato nei confronti gi Giangrande Antonio inputato dei seguenti
reati: Artt. 81 cpv, 595, 3° comma c.p.
TRIBUNALE PENALE DI
TARANTO
UFFICIO DEL GIUDICE
DELLE INDAGINI PRELIMINARI
DOTT.SSA PAOLA R.
INCALZA
Proc. Pen. n.
4401/18 R.G.N.R. 4578/18 R.G.GIP DECRETO PENALE n.663/18
OPPOSIZIONE A
DECRETO PENALE DI CONDANNA EX ART. 461 C.P.P.
Il sottoscritto dr
Antonio Giangrande nato a Avetrana il 02/06/1963 C.F.: GNGNTN63H02A514Q
e residente in
Avetrana, Via A. Manzoni n. 51
PREMESSO
1) Che in data 1
febbraio 2021 è stata ricevuta la notifica del DECRETO PENALE DI CONDANNA
n.663/18 emesso, nell’ambito del procedimento penale in epigrafe dalla Dott.sa
Paola R. Incalza, GIP presso il Tribunale Penale di Taranto, in data 26 giugno
2018 e depositato in cancelleria il 29 giugno 2018 (All. 1);
2) Che con il
predetto decreto l’interessato è stato condannato per il delitto di cui agli
artt. 81 cpv. c.p., 595, 3° comma, c.p., alla pena di 9.000,00 di multa, pena
sospesa;
3) Che il decreto
penale di condanna de quo è stato emesso sul presupposto che:
“perchè, con più azioni esecutive di un
disegno criminoso, offendeva la reputazione di Bravo Stefano mediante la
pubblicazione sul sito “Google Libri” – quindi, attraverso il sistema
“Internet”- di libri dal contenuto ingiurioso ed altamente lesivi dell’immagine
professionale della p.o., indicandola come persona coinvolta nell’ambito
dell’inchiesta “MAFIA CAPITALE”, in particolare:
-
pubblicava il libro
e-book da titolo “GOVERNOPOLI”, INDICANDO LA P.O. come “IL COMMERCIALISTA CHE
RICICLAVA I SOLDI DI BUZZI E CARMINATI”, soggetti coinvolti nel predetto
procedimento penale e sottoposti a misure cautelari;
-
pubblicava il libro
e-book dal titolo “APPALTOPOLI: APPALTI TRUCCATI” indicando la p.o. come:
“STEFANO BRAVO LO SPALLONE DEL CLAN, IL COMMERCIALISTA CHE PORTAVA I SOLDI
OLTRECONFINE, E’ STATO TRA I PROMOTORI DELLA HUMAN FOUNDATION, UNA CREATURA
DELL’EX-MINISTRO PD GIOVANNA MELANDRI…”
-
pubblicava il libro
e-book dal titolo: “MAFIOPOLI SECONDA PARTE: LA MAFIA SIAMO NOI”, indicando la
p.o. come: “STEFANO BRAVO CHE RICICLAVA I SOLDI PER BUZZI E CARMINATI”.
In Avetrana, sino
al 28 aprile 2015 (competenza territoriale individuata ex art.9, 3°comma,
c.p.p.)
4) Che il suddetto
decreto penale dovrà essere revocato per i seguenti motivi:
-
Io esercito il mio
diritto di cronaca e di critica. Diritto di cronaca previsto
dall’art. 21 della Costituzione e scriminato dall’art. 51 C.P. Diritto di
cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della verità,
attinenza-continenza, interesse pubblico. Diritto di cronaca su Stampa non
periodica. Che cosa significa "Stampa non periodica"? Ogni forma di
pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad
esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro). Con me la cronaca diventa
storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica.
Il Diritto di Cronaca può
essere inoltre desunto dall'art. 2 della legge n. 69/1963 ("Ordinamento della
professione di giornalista"): «È diritto insopprimibile dei giornalisti la
libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di
legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile
il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri
imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie
che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori.» Negli anni ottanta la
Corte di Cassazione ha fissato il punto di equilibrio tra la doverosa tutela del
diritto di cronaca e l'altrettanto doverosa tutela della persona con due note
sentenze: Cass. pen. 30/06/1984 (n. 8959) e Cass. civ. 18/10/1984 (n. 5259).
Quest'ultima (detta anche “sentenza-decalogo”) afferma che l'esercizio della
libertà di diffondere alla collettività notizie e commenti è legittimo, e quindi
può anche prevalere sul diritto alla riservatezza, se concorrono le seguenti
condizioni:
1.
che la notizia pubblicata sia vera ("verità del fatto esposto");
2.
che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione
alla loro attualità ed utilità sociale ("rispondenza ad un interesse sociale
all'informazione", ovvero requisito della pertinenza);
3.
che l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena
obbiettività ("rispetto della riservatezza ed onorabilità altrui", ovvero
"correttezza formale della notizia o della critica").
-
Che se tutte queste condizioni vengono rispettate, una notizia può essere
pubblicata anche se danneggia la reputazione di una persona. Diritto di Cronaca
e gli estremi della verità, della pertinenza e della continenza della notizia.
L'art. 51 codice penale (esimente dell'esercizio di un diritto o
dell'adempimento di un dovere) opera a favore dell'articolista nel caso in cui
sia indiscussa la verità dei fatti oggetto di pubblicazione e che la stessa sia
di rilevante interesse pubblico. In merito all'esimente del Diritto di Cronaca
ex art. 51 c.p., la Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma: "la cronaca
ha per fine l'informazione e, perciò, consiste nella mera comunicazione delle
notizie, mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta
rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne
sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". La nuova normativa
concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il diritto di cronaca è
contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy che hanno
sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della Legge 675
del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di giornalista
indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei pubblicisti o dei
praticanti o che si limiti ad effettuare un trattamento temporaneo finalizzato
esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli saggi o
altre manifestazioni del pensiero:
1.
può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza
dell'autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196
del 2003;
2.
può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27
del Codice privacy;
3.
può trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche
prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
4.
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né
per il trattamento di dati sensibili.
-
Che Io sono un
giurista ed un blogger d’inchiesta. Opero nell’ambito dell’art. 21 della
Costituzione che mi permette di esprimere liberamente il mio pensiero. Nell’art.
65 della legge n. 633/1941 il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione,
riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di
attualità, che possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o
giornali. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale
parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine
giornalistica”, con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e
spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o
“d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile
espressione dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce
aspetti e circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al
contempo sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il
giornalista svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica
dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie
di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del
materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo. (Cass.,
9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza
la Corte Suprema precisa che “Con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta),
infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione
di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di
notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso
gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza
di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”). Come saggista, al
fine di studio o di discussione, per critica storica o per inchiesta, posso
approfondire e comparare un caso ad altri casi già trattati, per elevarli ad
anomalia del sistema. In questo caso i soggetti originali non possono impedirne
la pubblicazione, né il pubblicato può essere da loro ritirato. In conclusione
posso dire che non vi è alcun legame con le parti e la pubblicazione, credibile,
attendibile, affidabile ed incontestabile, avviene per amor di Verità.
-
Che Io sono un
Aggregatore di contenuti tematici di ideologia contrapposta con citazione della
fonte, al fine del diritto di cronaca e di discussione e di critica dei
contenuti citati.
Con me la cronaca diventa storia
ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. NB. In
dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione
oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della
Costituzione. Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di
cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica può scriminare la
diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506.
L'esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere non punibile
dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui
reputazione. Resoconto esercitato nel pieno diritto di Critica Storica. La
critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V,
sentenza 10/11/2016 n° 47506. La ricerca dello storico, quindi, comporta la
necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti,
dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che
conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile
documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in
fonti certe e di essere plausibili e sostenibili”. La critica storica, se da una
parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza
10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione
al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza
all'utilizzazione economica dell'opera".
-
Le frasi contestate
sono tratte da brani riferiti ad articoli di stampa mai rettificati
riconducibili a Francesco Merlo su “la Repubblica” del 12/12/2014 (All. 2) e
Marco Damilano e Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso” del 18/12/204 (All. 3).
-
La parte offesa mai
ha chiesto la rettifica dei brani citati: né, a quanto pare dalla pubblicazione
recente, all’autore principale, né al secondario.
5) Che quindi si
ritiene vi siano fondate ragioni sulla base delle quali proporre opposizione
avverso il Decreto Penale di Condanna di cui all’epigrafe;
Tutto ciò sopra
premesso l’interessato dr Antonio Giangrande, come in atti identificato, propone
con il presente atto di OPPOSIZIONE Avverso il DECRETO PENALE DI CONDANNA
n.663/18 emesso dal GIP, Dott.ssa Paola R. Incalza presso il Tribunale Penale di
Taranto, nel procedimento penale n.4401/2018 R.G.N.R. e n. 4578/2018 R.G. GIP,
il 26/06/2018 e depositato in data 29/06/2018 e ricevuto in notifica in data
1/02/2021, chiedendo che si proceda con le forme del giudizio Ordinario (e non
per giudizio immediato/giudizio abbreviato/applicazione della pena su richiesta
delle parti ex art. 444 c.p.p.) e che il DECRETO PENALE qui opposto venga
revocato.
Dichiaratamente
domiciliato, ai sensi dell’art 161 c.p.p., nella propria residenza sopra
indicata.
NOMINA Quale
proprio difensore di fiducia l’Avv. Mirko Giangrande del Foro di Taranto con
studio in Avetrana, Via A. Manzoni, 51, tel. _____________ – fax _______________
- pec ____________________________, conferendo al medesimo ogni più ampia
facoltà di legge.
Si deposita:
1) Copia di
richiesta di emissione e decreto penale di condanna notificato l’1 febbraio
2021;
2) Copia articolo
di Francesco Merlo;
3) Copia articolo
di Marco Damilano e Emiliano Fittipaldi,
Avetrana lì
__________ _____________________________
Per autentica Avv.
_____________________________
LA DITTATURA DELLA
CENSURA.
Gli Stati Uniti
impongono la loro economia, le loro regole e la loro cultura. Tenuto conto che
negli Stati Uniti la fazione LGBTI detta i comportamenti a loro congeniali, il
cui contrasto lede il politicamente corretto, i pappagalli europei emulano e
scimmiottano tali scelte di vita, facendoli passare per normali.
Non fa più
scandalo, anzi è politicamente corretto adottare ogni comportamento deviante, ma
fatto passare per normale e progressista, adottato nelle trame dei film.
Coppie gay o
multietniche o relazioni poliamorose non devono mancare nelle serie televisive
americane, affinchè la cultura LGBTI statunitense prenda largo oltreoceano.
Ecco perché in
Italia ci sono polemiche ideologiche sulla fiera dell’ovvietà.
Ci sono cose che
tutti pensano, ma che sono vietate dire.
A Crotone i giovani
della Lega pubblicano un manifesto per l’8 marzo in onore della donna.
Una manifestazione
di stima per la donna ed una denuncia contro i comunisti ipocriti.
I sinistri,
sentendosi toccati, hanno reagito, facendo una questione di Stato. Qualcuno,
addirittura, facendone questione territoriale retrograda. Sì, ma le offese ai
meridionali, per i sinistri non contano.
Anche il buon
Salvini, da buon comunista, ha rinnegato l’ovvietà.
Tutti rinnegano le
loro idee. I comunisti, invece, rimangono sempre fedeli alla loro ideologia di
potere: usando ed abusando di tutte le minoranze, assoggettandole e
strumentalizzandole ai loro fini.
Quasi la totalità
dei media si è parata contro il manifesto, del quale ognuno ha dato una sua
personalissima interpretazione femministica, senza, peraltro, quasi nessuno di
loro, aver pubblicato pari pari il volantino stesso.
Antonio
Giangrande: I giornalisti in ogni dove, ormai, esprimono opinioni partigiane del
cazzo. Alcuni di loro dicono che il movimento 5 stelle ha sfondato al sud con i
voti dei nullafacenti per il reddito di cittadinanza: ossia la perpetuazione
dell’assistenzialismo. Allora dovrebbe essere vero, anche, che al nord ha
stravinto il razzismo della Lega di Salvini, il cui motto era: "Neghèr föra da i
ball", ossia immigrati (che hanno preso il posto dei meridionali) tornino a casa
loro. La verità è che l’opinione dei giornalisti vale quella degli avventori al
bar; con la differenza che i primi sono pagati per dire stronzate, i secondi
pagano loro la consumazione durante le loro discussioni ignoranti.
Antonio Giangrande: INVITO ALL’APPROFONDIMENTO: LA RAI, YOUTUBE E LA CENSURA.
Può la Rai, servizio pubblico di un’azienda di Stato, finanziata con il canone e
le tasse dei cittadini, vantare diritti esclusivi di diritto d'autore su fatti
di cronaca ed impedire la divulgazione di notizie di interesse pubblico e
violare le norme internazionali del fair use o del fair dealing ai sensi delle
leggi vigenti sul copyright?
Tutto inizia e finisce con una E-mail.
Venerdì 18/05/2018 19:40 da YouTube <accounts-noreply@youtube.com> ad ANTONIO
GIANGRANDE <presidente@ingiustizia.info>: [Avviso di rimozione per violazione
del copyright] Il tuo account YouTube verrà disattivato tra 7 giorni.
Salve ANTONIO GIANGRANDE, In seguito a una richiesta di rimozione per violazione
del copyright siamo stati costretti a rimuovere il tuo video da YouTube: Titolo
del video: Sarah Scazzi. Il processo. 1ª parte. La scomparsa.
Rimozione richiesta da: RAI. Questo significa che non sarà più possibile
riprodurre il video su YouTube. Hai ricevuto un avvertimento sul copyright. Al
momento hai 3 avvertimenti sul copyright. Per questo motivo, è prevista la
disattivazione del tuo account tra 7 giorni. Il tuo canale rimarrà pubblicato
per i prossimi 7 giorni per consentirti di cercare una soluzione e mantenerlo
attivo. Se ritieni di non essere in torto in uno o più casi sopra descritti,
puoi fare ricorso inviando una contronotifica. Durante l'elaborazione della
contronotifica, il tuo account non verrà disattivato. Tieni presente che l'invio
di una contronotifica con informazioni false può comportare gravi conseguenze
legali. Puoi inoltre contattare l'utente che ha rimosso il tuo video e
chiedergli di ritirare la richiesta di rimozione. Durante questo periodo, non
potrai caricare nuovi video e gli avvertimenti sul tuo account non scadranno.
Risposta: Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use
o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme
nazionali ed internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di
opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti
sono autore del libro che racconta della vicenda. A tal fine posso assemblarle o
per fare una rassegna stampa. In ogni caso le immagini sono di utilizzo pubblico
così come stabilito dal tribunale di Taranto in virtù del decreto
dell’autorizzazione esclusiva alle telecamere di “Un Giorno in Pretura” con
obbligo di condividere i filmati con gli altri media. Su questo filmato altre
rivendicazioni analoghe sono state ritirate in seguito alla stessa
contestazione. E comunque, stante che il filmato è già stato rimosso da youtube,
si chiede alla signoria vostra di ritirare l’avvertimento, affinchè l’intero
canale “Antonio Giangrande” con 387 video di Pubblico Interesse non venga
disattivato.
Insomma non si presenta la contronotifica, per minaccia di azioni legali del
colosso Rai e si genuflette per un diritto.
Ma Youtube non si ferma qua. Già, sul portale di informazione ed approfondimento
in oggetto, pagava solo 1 decimo di tutti i video di cui si era chiesto la
monetizzazione. E non solo a quel portale.
California, a sparare una youtuber: «Era arrabbiata perché la società le aveva
sospeso i pagamenti». Il padre della donna che ha aperto il fuoco, Nasim Aghdam:
«Odiava la società». Aghdam, 39 anni scriveva: «Non c'è libertà di parola»,
scrive Marta Serafini il 4 aprile 2018 su "Il Corriere della Sera". Era
arrabbiata perché «YouTube aveva smesso di pagarla per i video che pubblicava
sulla piattaforma». Gli investigatori scavano nel passato di Nasim Aghdam, 39
anni, attivista vegana e animalista residente a San Diego, che ha fatto fuoco
nel campus di San Bruno ferendo tre persone per poi togliersi la vita. A
confermare l’ipotesi che la donna fosse furibonda con YouTube, il padre Ismail
Aghdam che in un’intervista ad un giornale locale ha spiegato come la figlia
fosse sparita lunedì e non rispondesse al telefono da due giorni. «Era
arrabbiata perché YouTube aveva sospeso tutto, li odiava», ha dichiarato l’uomo.
L’ipotesi è la società avesse sospeso i pagamenti o a causa dei contenuti
inappropriati dei filmati postati dalla donna o a causa di un calo dei follower.
Secondo la Nbc un suo filmato era stato censurato da YouTube e secondo il New
York Times tutti i suoi canali erano stati rimossi martedì notte. Il 20 febbraio
YouTube ha stabilito nuove regole che escludono dalla monetizzazione i canali
con meno di 10.000 abbonati e meno di 4.000 ore di visualizzazione e
probabilmente i filmati di Aghdam sono rientrati in questo giro di vite.
Cos'è accaduto e chi era la donna. Aghdam, di origini iraniane, aveva una
presenza sul web «rilevante», un sito internete postava video dal 2011 con il
nickname di Nasim Wonderl e sul suo sito. Il contenuto variava: dalle ricette
vegane, passando per le parodie musicali, fino ai commenti contro la violenza
sugli animali e gli esercizi di bodybuilding. «Tutti i miei video sono
autoprodotti senza l'aiuto di nessuno», scriveva orgogliosa. Aghdam si sarebbe
lamentata più volte pubblicamente perché alcuni suoi post erano stati vietati ai
minori, un trattamento che la stessa youtuber aveva denunciato non essere
applicato a filmati dai contenuti più espliciti come i video clip di Miley
Cyrus. «Non c’è libertà di parola nel mondo e verrai perseguitata per aver detto
la verità», scriveva. Su Instagram il 18 marzo si lamentava di nuovo della
censura di YouTube. La donna era anche un’attivista della Peta e manifestava a
favore dei diritti degli animali. «Per me gli animali devono avere gli stessi
diritti degli esseri umani», diceva a Los Angeles Times nel 2009.
YouTube sta rendendo più restrittive le regole che consentono agli iscritti di
inserire pubblicità nei propri video e di guadagnare soldi. Lo scopo principale
dell’iniziativa è quello garantire agli inserzionisti che i propri spot non
finiscano all’interno di contenuti inappropriati o con immagini disturbanti,
come avvenuto in passato.
La novità è stata annunciata dalla stessa azienda con un post sul blog “YouTube
creators”: a partire da ieri, per iscriversi al “Programma partner” sono
necessari almeno 1000 iscritti al proprio canale e 4000 ore di visualizzazione
nell’arco degli ultimi 12 mesi.
“Le nuove regole ci permetteranno di migliorare in maniera significativa la
nostra capacità di individuare i canali che contribuiscono positivamente alla
nostra community e ci aiuteranno a generare maggiori entrate pubblicitarie per
loro (e a tenerci lontano dai "cattivi attori"). Questi standard più elevati ci
aiuteranno anche a evitare che i video potenzialmente inappropriati possano
monetizzare, danneggiando i ricavi per tutti”, hanno spiegato Neal Mohan, chief
product officer e Robert Kyncl, chief business officer. In precedenza, il
requisito minimo per accedere al programma era quello delle 10mila
visualizzazioni complessive. La differenza sembra sostanziale: a pagarne le
conseguenze saranno sicuramente i canali più piccoli, che non attraggono un
pubblico vasto ma che fino due giorni fa potevano guadagnare e perlomeno
sostenere la realizzazione dei propri video. Prima di diventare famosi e
raggiungere i requisiti richiesti, adesso gli aspiranti Youtuber dovranno
trovare delle strade alternative per finanziare i propri progetti. YouTube pensa
ovviamente ai propri interessi: un paio di mesi fa, aveva perso milioni di
dollari di ricavi, in seguito alla decisione di alcuni inserzionisti – tra i
quali Adidas, Mars, Deutsche Bank – di lasciare la piattaforma dopo essersi
ritrovati la propria pubblicità sui dei video disseminati di commenti pedofili.
Come sottolinea il sito d’informazione The Next Web, l’approccio sembra
contraddittorio: i nuovi criteri rendono la vita più difficile ai canali con
pochi iscritti e visualizzazioni, lasciando tuttavia uno spiraglio ai
trasgressori che distribuiscono contenuti inappropriati, ma che hanno successo.
YouTube pensa di risolvere la questione affidandosi non solo alla metrica
quantitativa, ma anche alle segnalazioni che arrivano dalla community e a
metodologie di rilevazione di spam o altri abusi più efficaci.
L’annuncio arriva a distanza di una settimana della vicenda che ha coinvolto
Logan Paul: il famoso Youtuber, apprezzatissimo tra i teenager, aveva condiviso
il video di un suicidio avvenuto in Giappone. A rimuovere il contenuto però non
era stato YouTube, bensì il suo stesso creatore. Con le identiche modalità era
scomparso il video caricato qualche mese fa da PewPewDie – che con i suoi 12
milioni di dollari è tra le 10 star più pagate del Tubo nel 2017 – nel quale
comparivano due uomini a petto nudo che avevano in mano un cartello con la
scritta “Death to All Jews”. I due episodi, in particolare, hanno spinto YouTube
a modificare anche le regole di Google Preferred, la soluzione di advertising
dedicata ai canali più popolari (circa il 5% del totale): tutti i contenuti del
programma saranno valutati da un moderatore e approvati manualmente. Se da un
lato le mosse appaiono logiche e sensate, soprattutto per non perdere la fiducia
degli inserzionisti e milioni di ricavi dalla pubblicità, dall’altro non si può
fare a meno di notare che che la nuova policy, rischia di stroncare sul nascere
i sogni di migliaia aspiranti youtuber e di rendere esclusiva una piattaforma
che ha fatto invece dell’inclusività uno dei fattori chiave del suo successo.
Le migliori alternative a YouTube, scrive "1and1". YouTube è il campione
indiscusso tra i portali video e può tranquillamente essere definito come il
leader del settore. Con oltre un miliardo di utenti, secondo i dati forniti
dalla compagnia stessa, quasi un terzo di tutta l’utenza Internet naviga su
YouTube. È indubbio che la piattaforma da tempo sia stata riconosciuta anche
come un efficace strumento di marketing. I video sono caricabili con pochi click
e tramite la generazione automatica di un codice HTML sono facilmente postabili
su siti web esterni. Inoltre, dal 2010, quando YouTube e SIAE hanno firmato un
accordo riguardo ai video musicali e ai proventi generati dalle visualizzazioni
di questi, è diventato ancora più difficile per la concorrenza. Dunque è lecito
porsi la seguente domanda: quali alternative ci sono a YouTube?
Le alternative attive a YouTube presentate in questo articolo sono cinque e sono
Vimeo, Dailymotion, Veoh, Vevo e Flickr. Questi quattro servizi offrono agli
utenti privati ed a coloro che li utilizzano per lavoro molte possibilità
diverse, come guardare e mettere a disposizione contenuti eccezionali.
Dailymotion è un portale video di origine francese, che rappresenta una delle
migliori alternative a YouTube in termine di numero utenti, soprattutto nel suo
paese di origine. Nel 2015 il servizio ha registrato una utenza attiva del 23%.
Comparando a livello internazionale, nessun altro servizio raggiunge un valore
simile. In Francia infatti Dailymotion si trova secondo solo a YouTube, che ha
una utenza attiva del 57%. Ad ogni modo, anche in altri paesi Dailymotion si
trova al secondo posto dietro a YouTube. La compagnia calcola i suoi utenti in
giro per il globo attorno ai 300 milioni. Mensilmente vengono visualizzati 3,5
miliardi di video su Dailymotion. In Italia Dailymotion riceve 6 milioni di
unique viewers al mese, registrando un totale di circa 65 milioni di
visualizzazioni tra tutti i tipi di dispositivi. Dailymotion punta
principalmente sulle specifiche di upload: con file video fino a 2GB e 60 minuti
di durata. Vengono supportati numerosi formati video e audio, così che è
possibile scegliere tra file con estensione .mov, .mpeg4, .mp4, .avi e .wmv.
Come codec video e audio vengono consigliati rispettivamente H.264 e AAC con un
frame rate di 25FPS. La risoluzione massima possibile è 1080p (Full HD). In
questo modo il portale si confà anche agli uploader più esigenti; i file di
grandi dimensioni sono ben accetti tanto quanto lo è una qualità convincente
dell’immagine. Il layout, di colore blu e bianco, è semplice e comodo da
utilizzare. L’ordine degli elementi è decisamente orientato a quello di YouTube,
che ha il vantaggio, che anche i principianti riescono a raccapezzarci qualcosa
sin da subito. Anche l’integrazione e la condivisione dei video su piattaforme
esterne è semplice; con un click il codice HTML corretto viene automaticamente
generato. Ci sono inoltre ulteriori funzioni per i cosiddetti partner, i quali
hanno la possibilità di guadagnare soldi con Dailymotion esattamente come su
YouTube. Anche con Dailymotion si può monetizzare con i video, personalizzare il
player e controllare i proventi attraverso il tool di analisi. Perciò
Dailymotion è una delle migliori alternative a YouTube particolarmente per i
blogger, che vogliono mettere i propri contenuti a disposizione solo a pagamento
o che vogliono offrire dei contenuti premium separati. Chi ad esempio vuole
usufruire della monetizzazione offerta da Dailymotion per un sito web, può sia
attivare il proprio sito sia incorporare un dispositivo speciale del provider.
Alcuni partner rinomati hanno già preso parte a questo programma, e tra questi
vi sono ad esempio la CNN, la Süddeutsche Zeitung e la Deutsche Welle. Anche la
vasta scelta di App di Dailymotion risulta piacevole. L’alternativa a YouTube è
presente con apposite App su molte Smart TV, set-top box o sulla Playstation 4
della Sony, e può essere guardata comodamente dal divano di casa. Il servizio
può essere utilizzato anche da dispositivo mobile con applicazioni iOS, Android
o Windows.
Antonio Giangrande: Vorrei comunicare agli amici che il 19 aprile 2016 ed il 19
maggio 2016, in due distinti procedimenti penali contro il sottoscritto promossi
da un sostituto procuratore presso il Tribunale di Taranto, il primo, e da un
giudice monocratico, il secondo, il Tribunale di Potenza mi ha assolto.
Processato per aver pubblicato fatti di ingiustizia a Taranto e per aver
ricusato un giudice che voleva giudicarmi a Taranto in tre processi pur da me
denunciato. Processi promossi da avvocati e periti la cui condotta è stata da me
criticata. Assoluzioni a Potenza che si assommano a quelle decine su Taranto.
Manco fossi Riina o Berlusconi. Ma questo non fa notizia, perché non sono
comunista. Mica sono Saviano. Decine di processi per reati di opinione a mio
carico è il costo di essere Liberi, ossia non amico di “Libera” e di questa
antimafia, non amico dei magistrati che delinquono, non amico dei politici
corrotti. Se fossi diverso, forse, sarei amico dei giornalisti…
Antonio Giangrande: Per dimostrare quello che non si osa dire:
1)
La migliore giornalista italiana non è giornalista (Sic) giusto per dimostrare
che nelle professioni spesso si abilita chi non lo merita.
2)
Grillo vuol solo rottamare l’ordine dei giornalisti. Come tutti gli altri è
prono alle lobbies.
Questa è “Mi-Jena Gabanelli” (secondo Dagospia), la Giovanna D’Arco di Rai3, che
i grillini volevano al Quirinale. Milena Gabanelli intervistata da Gian Antonio
Stella per "Sette - Corriere della Sera".
Sei
impegnata da anni nella denuncia delle storture degli ordini professionali: cosa
pensi dell'idea di Grillo di abolire solo quello dei giornalisti?
«Mi
fa un po' sorridere. Credo che impareranno che esistono altri ordini non meno
assurdi. Detto questo, fatico a vedere l'utilità dell'Ordine dei giornalisti.
Credo sarebbe più utile, come da altre parti, un'associazione seria e rigorosa
nella quale si entra per quello che fai e non tanto per aver dato un esame...».
Ti
pesa ancora la bocciatura?
«Vedi un po' tu. L'ho fatto assieme ai miei allievi della scuola di giornalismo.
Loro sono passati, io no».
Essere bocciata come Alberto Moravia dovrebbe consolarti.
«C'era una giovane praticante che faceva lo stage da noi. Le avevo corretto la
tesina... Lei passò, io no. Passarono tutti, io no».
Mai
più rifatto?
«No. Mi vergognavo. Per fare gli orali dovevi mandare a memoria l'Abruzzo e io
lavorando il tempo non l'avevo».
Nel
senso del libro di Franco Abruzzo, giusto?
«Non so se c'è ancora quello. So che era un tomo che dovevi mandare a memoria
per sapere tutto di cose che quando ti servono le vai a vedere volta per volta.
Non ha senso. Ho pensato che si può sopravvivere lo stesso, anche senza essere
professionista».
Antonio Giangrande: ITALIA. PROCESSO ALLA STAMPA. COME IL FATTO DIVENTA
NOTIZIA.
Siamo sicuri di essere e di voler essere correttamente informati di quello che
succede intorno a noi?
In
Italia la notizia è tale solo se data da un giornalista iscritto all’albo di
origine fascista e non perché il fatto vero, raccontato correttamente da
chiunque, può suscitare un pubblico interesse. Se non creata dal pennivendolo,
la notizia è solo una misera e opinabile opinione. L’opinione si eleva a notizia
solo se è pubblicata come editoriale dal direttore dell’organo di informazione,
o da un suo delegato. Gli esperti, che hanno molto da dire, invece, se graditi,
parlano solo se intervistati.
Il
giornalista, come in tutte le categorie professionali, può essere un incapace
raccomandato, vincitore di un esame-concorso truccato. Come tutti, del resto, in
Italia. Inoltre in questa professione può essere anche uno sfruttato a 5 euro al
pezzo.
La
preparazione culturale del giornalista non permette alcuna competenza specifica,
né egli ha alcuna esperienza diretta dei fatti, vivendo recluso in redazione, di
conseguenza si appoggia alle considerazioni di coloro che lui reputa esperti.
Quindi, non ci si aspetti da lui un approfondimento peritale del fatto.
Importante sapere è che i fatti non sono cercati dalle redazioni giornalistiche,
d'altronde non possono prevedere gli eventi, ma sono vagliati in base alle
segnalazioni ricevute. Sono cestinati i suggerimenti scomodi o che comportano
approfondimento e ricerca. Sono dileggiate le note che urtano i loro
convincimenti o danno fastidio ai loro amici. Alcune fonti, poi, sono da loro
trattati erroneamente come mitomani o pazzi.
Quindi come far diventare notizia, un fatto vero ed interessante ed
assolutamente conoscibile?
“Conditio sine qua non” è che il fatto deve essere giornalisticamente
pubblicabile: vero; pubblicamente interessante; con obbiettiva, corretta e
civile esposizione. A questi requisiti noti si aggiunge il modus operandi
corrente: comodo, condiviso ed omologato. Insomma diventa notizia quella che
tutti danno. Non esiste lo scoop, se non quello artefatto.
Chi
ha un fatto da far conoscere, per prima cosa ha bisogno di attivarsi nel cercare
quanto più contatti redazionali, per poter inviare la segnalazione o il
contributo pre confezionato in stampo giornalistico. Tra il mucchio si può
trovare la redazione interessata alla problematica condivisa dalla sua politica
editoriale. Le grandi testate nazionali, che nessuno più legge, destinati
all’estinzione dall’inevitabile assottigliarsi del numero dei loro lettori,
disdegnano tutto quanto esce dalla loro dotta (a loro dire) professionalità. Le
piccole testate lette solo dal parentado redazionale ed interessate
esclusivamente alle loro sagre paesane, scartano le segnalazioni non attinenti
la competenza condominiale. Eccezionalmente, nel mucchio si può anche trovare
qualcuno che si impietosisce e fa passare il suggerimento come l’istanza di un
caso umano.
Se
la nota parte da un organo politico o istituzionale, avrà fortuna solo se il
ricevente è un suo referente politico o destinatario di contributi pubblici.
Invece le veline dei magistrati e degli organi di polizia giudiziaria, pur
attinenti fatti coperti da segreto istruttorio, hanno pubblicazione certa e
pedissequa alla virgola, specie se si sbatte il mostro in prima pagina.
Il
contributo già formato in stampo giornalistico, inoltre, non deve urtare la
suscettibilità del ricevente. Bisogna apparire inferiori intellettualmente.
Quindi non deve essere perfetto in sintassi e grammatica ed essere zoppicante
nella fluidificazione del discorso. Avere un linguaggio politically correct. Non
avere intercalari di linguaggio comune e moderno, né usare un lessico
comprensibile al popolo. Non offendere nessuno. Meglio appuntare i nomi. Non
denunciare il malaffare di magistrati ed avvocati e comunque del sistema di
potere precostituito di cui i giornalisti sono servi, salvo eccezioni. Chi è
giornalista lo sa, chi dice verità scomode è tacciato di mitomania, pazzia o
addirittura accusato di diffamazione a mezzo stampa. Oggi il valore del
giornalista si compara alla quantità delle querele a carico. Parlar male della
politica e di politici in particolare, può segnare l’interesse della redazione
avversa a quel partito.
Non
approfondire la tematica, pur se esperti, sareste chiamati prolissi. Basta
l’accenno del profano. Non collegarli a casi similari, sareste chiamati
confusionari. Basta l’allusione dell’inesperto. L’autore del contributo non si
deve presentare nel testo, sarebbe accusato di autocelebrazione ed
autocitazione. Meglio essere anonimi. Sia mai che diventi propaganda gratuita,
perché la pubblicità è l’anima del commercio….e pure dell’informazione. E poi,
il testo come può essere firmato come proprio da chi lo riceve e lo pubblica?
Le
recensioni dei libri, inviate alle redazioni cultura, devono essere attinenti ai
testi pubblicati dall’editore della testata: non è permesso agevolare la
concorrenza. Gli scrittori, poi, violentino il loro talento e diano una parvenza
di inettitudine allo scritto. Insomma, bisogna essere sintetici e divulgativi. I
giornalisti superano l’esame di abilitazione nello svolgimento di una prova di
sintesi di un articolo o di un altro testo scelto dal candidato tra quelli
forniti dalla commissione in un massimo di 30 righe di 60 caratteri ciascuna,
per un totale di 1.800 caratteri compresi gli spazi. Per le moderne testate
tutto questo spazio è troppo, meglio centellinare i periodi, se no nella pagina
non entra nello spazio lasciato libero dalle inserzioni pubblicitarie. Per
esempio, questo pezzo è troppo lungo è sarebbe di sicuro cestinato.
L’espressione del pensiero deve essere misurato e limitato in spazi
preconfezionati. Non si consulti il dizionario, ma la calcolatrice.
Seguendo queste basilari regole, forse, dico forse, tra 1500 testate, ai cui
contatti email arrivano le note stampa, qualcuno di loro può prendere in
considerazione la missiva sotto forma di lettere al direttore e far leggere ai
suo pochi lettori quello che solo allora diventa notizia.
In
caso contrario, se i giornalisti altezzosi o permalosi ci ignorano, ci si apre
un blog o si fa parte di un social network o di un portale di giornalismo
partecipativo. In tal caso, però ci si accorge che i commenti dei lettori alla
notizia da noi data, spesso, sono postate da gente esaltata ed alienata: lo
specchio della società. Solo allora ci si rende conto qual è l’umanità frustrata
che ci circonda e che la notizia dovrebbe leggere. A quel punto ci si pensa che
è meglio tenere il fatto per sé, non elevandolo a notizia, e far vivere gli
altri nell’illusione di essere informati su tutto. Perché gli altri son convinti
che la notizia è solo quella detta dai tg. Perche?!? Perché l’ha detto la
televisione!!!
Per
inciso ed in conclusione, voglio dire che sui media ho scritto un saggio
“Mediopoli. Disinformazione, censura ed omertà”. Ho cognizione di causa. Facendo
parlar loro, la cronaca diventa storia. Per il resto i miei scritti, quelli sì,
pur non pubblicizzati, sono al vaglio del giudizio dei miei tanti lettori, anzi
studiosi, oggetto delle loro tesi di laurea. Ad ognuno il suo.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Il
disastro ferroviario in Puglia sulla tratta Corato-Andria ed il Binario unico
del giornalismo italiano.
Che
fine hanno fatto la mamma e la figlia trovate morte avvinghiate?
La
puntualizzazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sono 23 le vittime del disastro ferroviario avvenuto in Puglia il 12 luglio 2016
sulla tratta Corato-Andria; 52 i feriti transitati dai pronto soccorsi degli
ospedali; 24 le persone attualmente ricoverate, otto dei quali in prognosi
riservata, tra cui il piccolo Samuele che ha 7 anni appena compiuti e che era
con la nonna, morta nell'incidente ferroviario. Non ci sono dispersi. I dati
sono stati ufficializzati in una conferenza stampa che si è tenuta dal
presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e dal professor Franco
Introna, primario di Medicina Legale del Policlinico di Bari il 13 luglio 2016
alle ore 14.30. Otto cadaveri individuati da dettagli: anelli, fotografie o
carte che gli infermieri hanno mostrato ai familiari. Per quasi tutti i giornali
Giuseppe Acquaviva è lo sfortunato contadino morto sul suo campo. Per “Andria
Live”, invece, Giuseppe Acquaviva, 59 anni, di Andria, era disoccupato e
viaggiava con la sorella Serafina Acquaviva, detta Lella, 62 anni, anche lei
morta nell'impatto. Per “La Repubblica”, invece, era un ragioniere. E poi la
chicca. Da più fonti e con più interviste si è parlato che i soccorritori si
sono ritrovati anche davanti ad una scena di due corpi esanimi abbracciati: una
madre e sua figlia. I loro nomi, però, non risultano tra quelli comunicati dalle
autorità come vittime riconosciute o non riconosciute. Sono state ritrovate
senza vita una madre e sua figlia, avvinghiate l'una all'altra in quell'ultimo
abbraccio istintivo e protettivo. Una scena drammatica che i soccorritori si
sono trovati dinanzi agli occhi, non appena giunti sul luogo del disastro, su
quel tratto ferroviario a binario unico che collega Bari a Barletta, in Puglia.
A raccontarlo sono gli stessi soccorritori all'emittente locale Telenorba ed ad
altre emittenti private. Testimonianze su cui hanno ricamato i loro commenti
centinaia di giornalisti. "Erano contro un ulivo, la mamma con il suo corpo
proteggeva la bimba piccola ed erano in posizione fetale. Sono le prime che ho
trovato, in mezzo a teste, braccia, mezzi busti sparsi ovunque sotto gli ulivi",
ha raccontato Marianna Tarantini, una volontaria del Ser di Corato, una delle
prime ad arrivare sul luogo dell'incidente”. Che sia una bufala a cui tutti ci
sono cascati?
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: Politica, giustizia
ed informazione. In tempo di voto si palesa l’Italietta delle verginelle.
Da scrittore navigato, il cui sacco di 40 libri scritti sull’Italiopoli degli
italioti lo sta a dimostrare, mi viene un rigurgito di vomito nel seguire tutto
quanto viene detto da scatenate sgualdrine (in senso politico) di ogni
schieramento politico. Sgualdrine che si atteggiano a verginelle e si presentano
come aspiranti salvatori della patria in stampo elettorale.
In Italia dove non c’è libertà di stampa e vige la magistratocrazia è facile
apparire verginelle sol perché si indossa l’abito bianco.
I nuovi politici non si presentano come preparati a risolvere i problemi, meglio
se liberi da pressioni castali, ma si propongono, a chi non li conosce bene,
solo per le loro presunti virtù, come verginelle illibate.
Ci si atteggia a migliore dell’altro in una Italia dove il migliore c’ha la
rogna.
L’Italietta è incurante del fatto che Nicola Vendola a Bari sia stato assolto in
modo legittimo dall’amica della sorella o Luigi De Magistris sia stato assolto a
Salerno in modo legale dalla cognata di Michele Santoro, suo sponsor politico.
L’Italietta non si scandalizza del fatto che sui Tribunali e nella scuole si
spenda il nome e l’effige di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino da parte di
chi, loro colleghi, li hanno traditi in vita, causandone la morte.
L’Italietta non si sconvolge del fatto che spesso gli incriminati risultano
innocenti e ciononostante il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio. E per
questo gli avvocati in Parlamento, anziché emanar norme, scioperano nei
tribunali, annacquando ancor di più la lungaggine dei processi.
L’Italietta che su giornali e tv foraggiate dallo Stato viene accusata da
politici corrotti di essere evasore fiscale, nonostante sia spremuta come un
limone senza ricevere niente in cambio.
L’Italietta, malgrado ciò, riesce ancora a discernere le vergini dalle
sgualdrine, sotto l’influenza mediatica-giudiziaria.
Fa niente se proprio tutta la stampa ignava tace le ritorsioni per non aver
taciuto le nefandezze dei magistrati, che loro sì decidono chi candidare al
Parlamento per mantenere e tutelare i loro privilegi.
Da ultimo è la perquisizione ricevuta in casa dall’inviato de “La Repubblica”, o
quella ricevuta dalla redazione del tg di Telenorba.
Il re è nudo: c’è qualcuno che lo dice. E’ la testimonianza di Carlo Vulpio
sull’integrità morale di Nicola Vendola, detto Niki. L’Editto bulgaro e l’Editto
di Roma (o di Bari). Il primo è un racconto che dura da anni. Del secondo invece
non si deve parlare.
I giornalisti della tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono
tacciati di faziosità e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati
dal potere e che esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. La
verità è che sono solo codardi.
E cosa c’è altro da pensare. In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano
con violenza le contro voci. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia
dell’illegalità e dell’utopia.
Tutti hanno taciuto "Le mani nel cassetto. (e talvolta anche addosso...). I
giornalisti perquisiti raccontano". Il libro, introdotto dal presidente
nazionale dell’Ordine Enzo Jacopino, contiene le testimonianze, delicate e a
volte ironiche, di ventuno giornalisti italiani, alcuni dei quali noti al grande
pubblico, che hanno subito perquisizioni personali o ambientali, in casa o in
redazione, nei computer e nelle agende, nei libri e nei dischetti cd o nelle
chiavette usb, nella biancheria e nel frigorifero, “con il dichiarato scopo di
scoprire la fonte confidenziale di una notizia: vera, ma, secondo il magistrato,
non divulgabile”. Nel 99,9% dei casi le perquisizioni non hanno portato “ad
alcun rinvenimento significativo”.
Cosa pensare se si è sgualdrina o verginella a secondo dell’umore mediatico.
Tutti gli ipocriti si facciano avanti nel sentirsi offesi, ma che fiducia
nell’informazione possiamo avere se questa è terrorizzata dalle querele sporte
dai PM e poi giudicate dai loro colleghi Giudici.
Alla luce di quanto detto, è da considerare candidabile dai puritani nostrani il
buon “pregiudicato” Alessandro Sallusti che ha la sol colpa di essere uno dei
pochi coraggiosi a dire la verità?
Si badi che a ricever querela basta recensire il libro dell’Ordine Nazionale dei
giornalisti, che racconta gli abusi ricevuti dal giornalista che scrive la
verità, proprio per denunciare l'arma intimidatoria delle perquisizioni alla
stampa.
Che giornalisti sono coloro che, non solo non raccontano la verità, ma tacciono
anche tutto ciò che succede a loro?
E cosa ci si aspetta da questa informazione dove essa stessa è stata visitata
nella loro sede istituzionale dalla polizia giudiziaria che ha voluto delle
copie del volume e i dati identificativi di alcune persone, compreso il
presidente che dell'Ordine è il rappresentante legale?
Allora io ho deciso: al posto di chi si atteggia a verginella io voterei sempre
un “pregiudicato” come Alessandro Sallusti, non invece chi incapace, invidioso e
cattivo si mette l’abito bianco per apparir pulito.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: I giornalisti di sinistra: voce della verità? L’Espresso
e l’ossessione per Silvio Berlusconi.
«Quando la disinformazione è l’oppio dei popoli, che li rincoglionisce. I
giornalisti corrotti ed incapaci ti riempiono la mente di merda. Anziché essere
testimoni veritieri del loro tempo, si concentrano ad influenzare l’elettorato
manovrati dal potere giudiziario, astio ad ogni riforma che li possa coinvolgere
e che obbliga i pennivendoli a tacere le malefatte delle toghe, non solo
politicizzate», così opina Antonio Giangrande, sociologo storico ed autore di
tantissimi saggi, tra cui “Governopoli”, “Mediopoli” ed “Impunitopoli”.
Il declino di un’era. 20 anni di niente. Silvio Berlusconi: ossessione dei
giornalisti di destra, nel difenderlo, e di sinistra, nell’attaccarlo.
1977: quell'articolo premonitore di Camilla Cederna su Silvio Berlusconi. Uno
splendido pezzo di una grande firma de "L'Espresso". Che aveva già capito tutto
dell'ex Cavaliere, agli albori della sua ascesa.
1977: Berlusconi e la pistola. Il fotografo Alberto Roveri decide di trasferire
il suo archivio in formato digitale. E riscopre così i ritratti del primo
servizio sul Cavaliere. Immagini inedite che raccontano l'anno in cui è nato il
suo progetto mediatico. Con al fianco Dell'Utri. E un revolver sul tavolo per
difendersi dai rapimenti, scrive Gianluca Di Feo su “L’Espresso”.
Il Caimano in prima pagina: vent'anni di copertine dell'Espresso. Sono 88. La
prima, il 5 ottobre del 1993. L'ultima, ma non ultima, il 25 novembre 2013. Ecco
come l'Espresso ha sbattuto il Cavaliere in prima pagina.
5 ottobre 1993. Berlusconi a destra. Nuove Rivelazioni: QUI MI FANNO NERO!
Dietro la svolta: Le ossessioni, la megalomania, la crisi Fininvest….
17 ottobre 1993. Esclusivo. I piani Fininvest per evitare il crac. A ME I SOLDI!
Rischio Berlusconi. Rivelazioni. Il debutto in politica e l’accordo con segni. A
ME I VOTI!
21 novembre 1993. Elezioni. Esclusivo: tutti gli uomini del partito di
Berlusconi. L’ACCHIAPPAVOTI.
7 gennaio 1994. BERLUSCONI: LE VERITA’ CHE NESSUNO DICE. Perché entra in
politica? Forse per risolvere i guai delle sue aziende? Che senso ha definirlo
imprenditore di successo? Quali sono i suoi rapporti oggi con Craxi? Cosa
combina se si impadronisse del Governo? Quali banchieri lo vedono già a Palazzo
Chigi? Esistono cosi occulti nella Fininvest? Chi sono? Insomma: questo
partito-azienda è una barzelletta o una cosa seria?
4 marzo 1994. Speciale elezioni. CENTO NOMI DA NON VOTARE. Dossier su: buoni a
nulla, dinosauri, inquisiti, riciclati, voltagabbana.
11 marzo 1994. DIECI BUONE RAGIONI PER NON FIDARSI DI BERLUSCONI. Documenti
esclusivi da: commissione P2, magistratura milanese, Corte costituzionale.
29 luglio 1994. Troppe guerre inutili. Troppi giochetti d’azzardo. Troppe
promesse a vuoto. Troppo disprezzo degli altri. Troppe docce fredde per lira e
borsa….LA FANTASTICA CANTONATA DEGLI ITALIANI CHE SI SONO FIDATI DI BERLUSCONI.
26 agosto 1994. Tema del giorno. Atroce dubbio su Berlusconi: ci sa fare o è
un…ASINO?
18 novembre 1994. Dossier Arcore: LA REGGIA. Storia di un Cavaliere furbo, di un
avvocato, di un’ereditiera. Dossier alluvione. LA PALUDE. Storia di un governo
ottimista e di una catastrofe.
14 aprile 1995. L’incubo di pasqua. Ma davvero la destra vince? VENDETTA!
9 giugno 1995. L’AFFARE PUBBLITALIA. Tre documenti eccezionali. 1. Dell’Utri.
Viaggio tra i fondi neri. Della società che voleva conquistare un paese. 2.
Berlusconi. Le prove in mano ai giudici: dal caso Berruti alla pista estera. 3.
Letta. I verbali dei summit di Arcore. Con i big di giornali e televisioni
Fininvest.
10 settembre 1995. Case d’oro/ esclusivo. L’ALTRA FACCIA DELLO SCANDALO.
Rapporto sui raccomandati di sinistra. Rivelazioni: manovre ed imbrogli della
destra.
17 settembre 1995. L’ALTRA FACCIA DI AFFITTOPOLI/NUOVE RIVELAZIONI.
745.888.800.000! Come, dove e quanto hanno incassato i fratelli Berlusconi
rifilando palazzi e capannoni agli enti previdenziali.
25 ottobre 1995. SHOWMAN. Berlusconi ultimo grido. L’attacco a Dini e Scalfaro:
astuzie, bugie, sceneggiate.
2 febbraio 1996. L’uomo dell’inciucio. Segreti, imbrogli, stramberie, pericoli….
SAN SILVIO VERGINE.
5 aprile 1996. Dall’album di Stefania Ariosto: festa con il cavaliere. C’ERAVAMO
TANTO AMATI. Nuove strepitose foto/La dolce vita di Berlusconi & C. Caso
Squillante/Tutto sui pedinamenti. E sui gioielli Fininvest. Se vince il Polo
delle Vanità/Poveri soldi nostri…
24 ottobre 1996. D’Alema e Berlusconi: il nuovo compromesso. Origini,
retroscena, pericoli. DALEMONI.
18 dicembre 1996. FORZA BUFALE. Rivelazioni. Chi e come alimenta la campagna
contro Di Pietro. Qual è la fabbrica delle false notizie agghiaccianti sul Pool
Mani Pulite. Che cosa fa acqua nei rapporti della Guardia di Finanza. I segreti
dell’agenda di Pacini Battaglia. Le grandi manovre per l’impunità. E il ritorno
di fiamma dell’amnistia….C’è in Italia un partito antigiudici. Ha capi, quadri,
ha compagni di strada. Per vincere deve spararle sempre più grosse. Inchiesta su
un malessere che non passa. E che nessuna riforma risolve.
3 maggio 1996. THE END.
10 aprile 1997. ALBANIA SHOW. Speciale/tragedie e polemiche, sceneggiate e
pericoli.
3 agosto 2000. Esclusivo. Un rapporto dei tecnici della Banca d’Italia. COSI’ HA
FATTO I SOLDI BERLUSCONI.
22 marzo 2001. LA CARICA DEI 121. Fedelissimi, folgorati e riciclati. Con loro
Berlusconi vorrebbe governare l’Italia.
16 maggio 2001. L’AFFONDO. Berlusconi si gioca il tutto per tutto. Ma la partita
è ancora aperta. Le urne diranno se sarà alba o tramonto.
24 magio 2001. E ORA MI CONSENTA. L’Italia alle prese con il Cavaliere
pigliatutto.
19 dicembre 2001. GIUSTIZIA FAI DA ME. Sondaggio choc: i giudici, gli italiani e
Berlusconi.
7 febbraio 2002. L’importante è separare la carriera degli imputati da quella
dei giudici. L’ILLUSIONE DI MANI PULITE.
15 maggio 2003. COMPARI. Negli affari, nella politica, nei processi. Berlusconi
e Previti pronti a tutto. A riscrivere le leggi e a sconvolgere le istituzioni.
11 settembre 2003. Esclusivo. GLI ZAR DELLA COSTA SMERALDA. Le foto segrete
dell’incontro Berlusconi-Putin.
29 gennaio 2004. RISILVIO. Vuole rifare il governo, rifondare Forza Italia,
riformare lo Stato. E per cominciare si è rifatto.
13 maggio 2004. LE 1000 BUGIE DI BERLUSCONI. Il suo governo ha stabilito il
record di durata. E anche quello delle promesse non mantenute. Ecco il bilancio.
24 giugno 2004. – 4.000.000. Ha perso voti e credibilità. Ora gli alleati gli
presentano il conto. L’estate torrida del cavalier Silvio Berlusconi.
3 marzo 2005. AFFARI SUOI. Società e fiduciarie nei paradisi fiscali. Falsi in
bilancio. Così Silvio Berlusconi dirottava i proventi del gruppo Mediaset sui
diritti Tv.
7 aprile 2005. RISCHIATUTTO. Il voto delle regionali segnerà il destino dei
duellanti. Romano Prodi e Silvio Berlusconi? Ecco che cosa ci aspetta dopo il
verdetto delle urne.
21 aprile 2005. FARE A MENO DI BERLUSCONI. L’ennesima sconfitta ha chiuso un
ciclo. Gli alleati del Cavaliere pensano al dopo. E a chi potrà prendere il suo
posto.
2 febbraio 2006. PSYCHO SILVIO. Impaurito dai sondaggi tenta di rinviare la
campagna elettorale. Occupa radio e tv. Promuove gli amici nei ministeri.
Distribuisce una pioggia di finanziamenti clientelari. Così Berlusconi le prova
tutte per evitare la sconfitta.
6 aprile 2006. DECIDONO GLI INDECISI. Identikit degli italiani che ancora non
hanno scelto. Ma che determineranno l’esito del voto del 9 aprile.
9 novembre 2006. LA CASA DEI DOSSIER. Da Telecom-Serbia alle incursioni
informatiche. Ecco il filo che lega le trame degli ultimi anni. Con un
obbiettivo: delegittimare Prodi e la sinistra.
29 novembre 2007. Retroscena. VOLPE SILVIO. Il piano segreto di Berlusconi per
far cadere Prodi e tornare al Governo. Fini e Casini azzerati. L’Unione
sorpresa. Ma Veltroni è tranquillo. Non mi fanno paura.
24 aprile 2008. Elezioni. L’ITALIA DI B&B. Il ciclone Berlusconi. Il trionfo di
Bossi. Lo scacco a Veltroni. E l’apocalisse della sinistra radicale rimasta
fuori dal Parlamento.
15 maggio 2008. Inchiesta. LA MARCIA SU NAPOLI. Silvio Berlusconi arriva in
città con il nuovo governo. Per liberarla dai rifiuti ma anche per spazzare via
la sinistra da Comune e Regione.
25 giugno 2008. DOPPIO GIOCO. Si propone come statista. Aperto al dialogo. Ma
poi Berlusconi vuole fermare i suoi processi. Ricusa i giudici. Vieta le
intercettazioni. Manda l’esercito nelle città. Ed è solo l’inizio.
3 luglio 2008. Esclusivo. PRONTO RAI. Raccomandazioni. Pressioni politiche.
Affari. Le telefonate di Berlusconi, Saccà, Confalonieri, Moratti, Letta,
Landolfi, Urbani, Minoli, Bordon, Barbareschi, Costanzo….
19 febbraio 2009. Berlusconi. L’ORGIA DEL POTERE. L’attacco al Quirinale e alla
Costituzione. Il caso Englaro. La giustizia. Gli immigrati. L’offensiva a tutto
campo del premier.
19 marzo 2009. Inchiesta. PIER6SILVIO SPOT. Le reti Mediaset perdono ascolto. Ma
fanno il pieno di pubblicità a scapito della Rai. Da quando Berlusconi è tornato
al governo, i grandi inserzionisti hanno aumentato gli investimenti sulle tivù
del cavaliere.
14 maggio 2009. SCACCO AL RE. Il divorzio chiesto da Veronica Lario a
Berlusconi. Tutte le donne e gli amori del Cavaliere. La contesa sull’eredità.
Le possibili conseguenze sulla politica.
11 giugno 2009. SILVIO CIRCUS. Per l’Italia la fiction: tra promesse fasulle e
clamorose assenze come nel caso Fiat-Opel. Per sé il reality: le feste in villa
e i voli di Stato per gli amici.
17 giugno 2009. Governo. ORA GUIDO IO. Umberto Bossi è il vero vincitore delle
elezioni. E già mette sotto ricatto Berlusconi e la maggioranza.
Nell’opposizione Di Pietro si prepara a contendere la leadership al PD, reduce
da una pesante sconfitta.
25 giugno 2009. ESTATE DA PAPI. Esclusivo. Le foto di un gruppo di ragazze
all’arrivo a Villa Certosa. Agosto 2008.
9 luglio 2009. Il vertice dell’Aquila. G7 E MEZZO. Berlusconi screditato dalle
inchieste e dagli scandali cerca di rifarsi l’immagine. Con la passerella dei
leader della terra sulle macerie. L’attesa per un summit che conferma la sua
inutilità.
16 luglio 2009. SILVIO SI STAMPI. Tenta di intimidire e limitare la libertà dei
giornalisti. Ma Napolitano stoppa la legge bavaglio. E i giornali stranieri non
gli danno tregua. Umberto eco: “E’ a rischio la democrazia”.
23 luglio 2009. TELESFIDA. Tra Berlusconi e Murdoch è il corso una contesa senza
esclusione di colpi. Per il predominio nella Tv del futuro. Ecco cosa succederà
e chi vincerà.
30 luglio 2009. Esclusivo. SEX AND THE SILVIO. Tutte le bugie di Berlusconi
smascherate dai nastri di Patrizia D’Addario. Notti insonni, giochi erotici,
promesse mancate, E ora la politica si interroga: può ancora governare il paese?
12 agosto 2009. Governo. SILVIO: BOCCIATO. Bugie ed escort. Conflitti con il
Quirinale. Assalti al CSM. Debito Pubblico. Decreti di urgenza. Soldi al Sud.
Clandestini e badanti. Bilancio del premier Berlusconi. E, ministro per
ministro, a ciascuno la sua pagella.
3 settembre 2009. DOPPIO GIOCO. Montagne di armi per le guerre africane. Vendute
da trafficanti italiani a suon di tangenti. Ecco la Libia di Gheddafi cui
Berlusconi renderà omaggio. Mentre l’Europa chiede di conoscere il patto anti
immigrati.
10 settembre 2009. SE QUESTO E’ UN PREMIER. Si scontra con la chiesa. Litiga con
l’Europa. Denuncia i giornali italiani e stranieri non allineati. E, non
contento, vuol metter le mani su Rai 3 e La7.
1 ottobre 2009. GHEDINI MI ROVINI. Oggi è il consigliere più ascoltato del
premier. Autore di leggi ad personam e di gaffe memorabili. Storia
dell’onorevole-avvocato, dai camerati al lodo Alfano.
8 ottobre 2009. SUA LIBERTA’ DI STAMPA. Attacchi ai giornali. Querele. Bavaglio
alle trasmissioni scomode della tv. Così Berlusconi vuole il controllo totale
dell’informazione.
15 ottobre 2009. KO LODO. La Consulta boccia l’immunità, Berlusconi torna
imputato. E rischia un’ondata di nuove accuse. Ma la sua maggioranza si rivolge
alla piazza. E apre una fase di grande tensione istituzionale.
19 novembre 2009. LA LEGGE DI SILVIO. Impunità: è l’obbiettivo di Berlusconi.
Con misure che annullano migliaia di processi. E con il ripristino dell’immunità
parlamentare. Mentre Cosentino resta al governo dopo la richiesta di arresto.
16 dicembre 2009. SCADUTO. I rapporti con i clan mafiosi. Lo scontro con Fini. I
guai con la moglie Veronica e con le escort. L’impero conteso con i figli.
L’anno orribile di Silvio Berlusconi.
21 gennaio 2010. Palazzo Chigi. SILVIO QUANTO CI COSTI. 4.500 dipendenti. Spese
fuori controllo per oltre 4 miliardi di euro l’anno. Sono i conti della
Presidenza del Consiglio. Tra sprechi, consulenze ed eventi mediatici.
4 marzo 2010. UN G8 DA 500 MILIONI DI EURO. Quanto ci è costato il vertice tra
la Maddalena e l’Aquila. Ecco il rendiconto voce per voce, tra sprechi e
raccomandazioni: dal buffet d’oro ai posacenere, dalle bandierine ai cd
celebrativi.
18 marzo 2010. SENZA REGOLE. Disprezzo della legalità. Conflitti con il
Quirinale. Attacchi ai magistrati e all’opposizione. Scandali. E ora per la
sfida elettorale Berlusconi mobilita la piazza. Con il risultato di portare il
paese nel caos.
31 marzo 2010. STOP A SILVIO. Le elezioni regionali possono fermare la deriva
populista di Berlusconi. Bersani: “Pronti al dialogo con chi, anche a destra,
vuole cambiare”.
13 maggio 2010. IL CASINO DELLE LIBERTA’. Le inchieste giudiziarie. Gli scontri
interni al partito. La paralisi del Governo. Dopo le dimissioni di Scajola,
Berlusconi nella bufera.
27 maggio 2010. STANGATA DOPPIA. Prima il blocco degli stipendi degli statali, i
tagli sulla sanità, la caccia agli evasori e un nuovo condono. Poi la scure
sulle pensioni e un ritorno alla tassa sulla casa.
8 luglio 2010. I DOLORI DEL VECCHIO SILVIO. La condanna di Dell’Utri per mafia e
il caso Brancher. La rivolta delle Regioni contro i tagli e l’immobilismo del
governo. Le faide nel Pdl e i sospetti della Lega. Il Cavaliere alla deriva.
15 luglio 2010. SENZA PAROLE.
11 novembre 2010. BASTA CON ‘STO BUNGA BUNGA. BASTA LO DICO IO.
18 novembre 2010. QUI CROLLA TUTTO. Le macerie di Pompei. L’alluvione annunciata
in Veneto. L’agonia della maggioranza. L’economia in panne. Per non dire di
escort e bunga bunga. Fotografia di un paese da ricostruire.
16 dicembre 2010. La resa dei conti tra Berlusconi e Fini è all’atto finale. Chi
perde rischia di uscire di scena. FUORI UNO.
22 dicembre 2010. FINALE DI PARTITA. Voti comprati. Tradimenti.
Regalie…Berlusconi evita a stento la sfiducia, ma ora è senza maggioranza e deve
ricominciare daccapo. Anche se resisterà, una stagione s’è chiusa. Eccola, in 40
pagine, di foto e ricordi d’autore.
27 gennaio 2011. ARCORE BY NIGHT. Un harem di giovanissime ragazze pronte a
tutto. Festini, orge, esibizioni erotiche, sesso. L’incredibile spaccato delle
serate di Berlusconi nelle sue ville. Tra ricatti e relazioni pericolose.
10 febbraio 2011. PRETTY MINETTI. Vita di Nicole, ragazza chiave dello scandalo
Ruby. Intima di Berlusconi, sa tutto sul suo harem. Se ora parlasse.
26 maggio 2011. MADUNINA CHE BOTTA! Milano gli volta le spalle, Bossi è una mina
vagante, il PDL spaccato già pensa al dopo. Stavolta Berlusconi ha perso
davvero. Analisi di una disfatta. Che, Moratti o non Moratti, peserà anche sul
governo.
21 giugno 2011. Esclusivo. VOI QUORUM IO PAPI. Domenica 12 giugno l’Italia
cambia, lui no. Domenica 12 giugno l’Italia corre a votare, lui a villa Certosa
a occuparsi d’altro. In queste foto, la wonderland del cavaliere. Lontana anni
luce dal paese reale.
7 luglio 2011. Sprechi di Stato. IO VOLO BLU MA PAGHI TU. Il governo brucia
centinaia di milioni per i suoi viaggi. E Berlusconi si regala due super
elicotteri. A spese nostre.
21 luglio 2011. MISTER CRACK. La tempesta economica. La borsa in bilico. La
paura del default. E un premier sempre isolato. Il varo della manovra è solo una
tregua. Prima della resa dei conti. E spunta l’ipotesi di un governo guidato da
Mario Monti.
25 agosto 2011. LACRIME E SANGUE. Diceva: meno tasse per tutti. Ma la pressione
fiscale non è mai stata così alta. Chiamava Dracula gli altri. Ma ora è lui a
mordere i soliti. Processo all’iniqua manovra d’agosto. Che ci cambia la vita e
non tocca gli evasori.
15 settembre 2011. E SILVIO SI TAGLIO’ 300 MILIONI DI TASSE. Il Premier impone
il rigore agli italiani. Ma gli atti sulla P3 svelano le trame per evitare la
causa fiscale sulla Mondadori. Dal presidente della Cassazione al
sottosegretario Caliendo, ecco chi si è mosso per salvarlo dalla maximulta.
29 settembre 2011. SERIE B.
13 ottobre 2011. SQUALIFICATO. Condannato dalla Chiesa, mollato dagli
imprenditori, bocciato dalle agenzie di rating. E’ l’agonia di un leader né
serio né credibile che non si decide a lasciare. Denuncia Romano Prodi a
“L’Espresso”: Qualsiasi governo sarebbe meglio del suo.
17 novembre 2011. THE END. Berlusconi tenterà di sopravvivere, ma ha dovuto
prendere atto della fine del suo governo. Intanto la crisi economica si fa
sempre più drammatica e la credibilità dell’Italia è ridotta a zero. Non c’è più
tempo da perdere.
19 gennaio 2012. I GATTOPARDI. Crescita, liberalizzazioni, lotta all’evasione e
alla casta…Monti è atteso alla prova più dura. Ma i partiti frenano. Come se
avessero voluto cambiare tutto per non cambiare niente.
5 luglio 2012. RIECCOLO. Attacco euro e Merkel. Destabilizza il governo Monti.
Blocca la Rai. E rivendica la leadership del suo partito. Così Berlusconi prova
ancora una volta a farsi largo.
14 febbraio 2013. VI AFFONDO IO. Pur di risalire al china Silvio Berlusconi
sfascia tutto accende la campagna elettorale con promesse da marinaio e
terrorizza i mercati. Davvero può farcela? Chi lo fermerà? E come dovrebbe
reagire il PD? L’Espresso lo ha chiesto a due guru.
19 settembre 2013. BOIA CHI MOLLA. Accettare il silenzio la decadenza o
l’interdizione. O fare un passo indietro prima del voto. Berlusconi ha pronta
una via d’uscita. Per restare il capo della destra.
29 novembre 2013. EXTRA PARLAMENTARE. Per Berlusconi si chiude un ventennio e
comincia lo scontro finale: fuori dal Senato e in piazza, dalle larghe intese
all’opposizione dura. Contro il governo, contro Napolitano, contro l’Europa…..
Antonio Giangrande:
Le Fake News della stampa italiana sulla Turchia.
Ma è vero che in
Turchia c’è la dittatura ed un sistema elettorale fondato sui brogli?
Secondo i
giornalisti italiani, legittimati dalla legge ad essere i soli a scrivere e ad
essere i soli ad essere letti, abilitati per concorso pubblico per raccontare
fatti secondo verità, continenza, e pertinenza, sì.
Il commento del dr
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Premesso che
proprio gli italiani sui brogli elettorali meglio che tacciano, se già ci furono
dubbi sui risultati della consultazione elettorale con il referendum
istituzionale del 2-3 giugno 1946, che sancì la nascita della Repubblica
italiana.
Poi ci aggiungiamo
le accuse periodiche di brogli per ogni tornata elettorale italiana,
tralasciando quelle sulle primarie e sui tesseramenti della sinistra: "Noi
abbiamo una tradizione molto negativa nel nostro passato circa le votazioni, in
molte occasioni ci sono stati sottratti voti per la professionalità nei brogli
della sinistra". Lo dice Silvio Berlusconi al Corriere Live spiegando che, senza
un metodo tecnologicamente più avanzato, la correttezza del voto non è assoluta:
"Fino a quando noi non avremo un voto diverso dalla matita i brogli sono
possibili". Tuttavia, aggiunge il leader di Fi, "ritengo che quando c'è un
risultato elettorale, chi perde non può non riconoscere la vittoria dell'altra
parte. Poi si possono eventualmente avanzare richieste di riconteggio dello
schede, una volta fatte delle verifiche". (02/12/2016 Adnkronos.com).
Broglio, da
Wikipedia. La moderna espressione italiana deriva da un analogo termine
veneziano. Nell'antica Serenissima era infatti consuetudine per i membri della
nobiltà impoverita riunirsi in uno spazio antistante il Palazzo Ducale di
Venezia per far commercio dei propri voti in seno al Maggior Consiglio che
reggeva la città e nel quale sedevano per diritto ereditario. Tale spazio era
allora noto col nome di Brolio dal latino Brolus, cioè "orto", retaggio del
fatto che la terra su cui tuttora sorge piazza San Marco era in antico proprietà
agricola del vicino monastero di San Zaccaria.
L'accusa di brogli
elettorali in Italia è antica. Durante il Risorgimento, le annessioni dei regni
preunitari al Regno d'Italia, vennero sempre ratificate mediante plebisciti.
Tali consultazioni, a suffragio censitario, si svolsero senza tutela della
segretezza del voto e talvolta in un clima di intimidazione. I "no"
all'annessione furono in numero irrisorio e statisticamente improbabile. Il
procedimento dei plebisciti durante il Risorgimento fu criticato da diverse
personalità politiche ed il The Times sostenne che fu «la più feroce beffa mai
perpetrata ai danni del suffragio popolare». Tale evento è stato anche trattato
nel romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Alla nascita della
Repubblica Italiana, i monarchici attribuirono la loro sconfitta a brogli
elettorali. Nella puntata del 5 febbraio 1990 della trasmissione Mixer, condotta
da Giovanni Minoli, andò in onda un falso scoop secondo il quale il re avrebbe
fatto in modo che il referendum proclamasse la Repubblica per evitare al paese
la guerra civile, ma si trattava soltanto di un abile montaggio per esibire
quanto la televisione potesse deformare la realtà dei fatti e influenzare il
pensiero dei cittadini, e scatenò un mare di polemiche.
Appena conclusesi
le consultazioni per il rinnovo del parlamento italiano del 2006 il premier
Silvio Berlusconi, primo caso nella cinquantennale storia della Repubblica di
una tale grave contestazione da parte di un esponente del governo uscente, ha
paventato l'ipotesi di brogli elettorali sebbene il presidente Ciampi e il
Ministro dell'interno Pisanu avessero espresso il loro compiacimento per lo
svolgimento regolare delle elezioni. Durante i giorni dell'insediamento del
Senato della Repubblica della XV legislatura Roberto Calderoli ha continuato ad
insistere sulle ipotesi di brogli elettorali, confermando la sua convinzione
secondo la quale la Casa delle Libertà è risultata vittima di un complotto che
l'ha privata della vittoria elettorale. Piuttosto, forti sospetti ha destato
l'insolito comportamento di Pisanu. Mai infatti, nella storia dell'Italia
repubblicana, un ministro dell'interno aveva abbandonato il Viminale nel corso
delle operazioni di spoglio elettorale. Convocato da Berlusconi, il ministro ha
dovuto sostenere un faccia a faccia con quest'ultimo e, cosa ancora più strana,
nessuno è a conoscenza di quello che fu l'oggetto della loro discussione. Sulla
vicenda dei possibili brogli alle elezioni politiche italiane del 2006 sono
anche usciti un romanzo e un documentario: Il broglio di Aliberti editore;
Uccidete la democrazia!
Altra cosa è
l’accusa di tirannia turca.
Porca miseria, mi
spiegate quali poteri prende Erdogan? Si chiede Nicola Porro il 18 aprile 2017
sul suo canale youtube. «Tutti quanti i giornali oggi parlano di Erdogan e la
vittoria del referendum di misura del 51%. L’intervista del Corriere della Sera
sugli osservatori OCSE che avrebbero contestato e che contestano le elezioni di
Erdogan sono fatte da una vecchia conoscenza del Parlamento Italiano: Tana de
Zulueta. Ex corrispondente dell’Economist una vita contro Silvio Berlusconi, una
parentesi contro Erdogan. Vi leggete l’intervista sul Corriere della Sera e
capite che i brogli probabilmente ci sono stati, forse sono stati significativi.
Non lo so. Ricordiamo che anche la nostra Repubblica è nata sui brogli. Lì è
nata forse una dittatura, dicono gli osservatori più attenti, ma l’intervista di
Tana De Zulueta, tutto fa, come rappresentante dell’OCSE, tranne rassicurarci
sulla serietà, non solo di Erdogan, ma anche dell’Ocse. Ma questo è un discorso
a parte. La domanda, che io mi faccio e che rivolgo a tutti quanti voi, è: quali
sono questi poteri che Erdogan avrebbe acquistato dopo i referendum?
Porca miseria: A,
B, C, secondo me, del giornalismo. Ma siete tutti quanti voi che comprate i
giornali, pochi per la verità, dei fenomeni, degli esperti di geopolitica. E
volete tutti vendere commenti, di leggervi Ferrari; di leggervi Sergio Romano;
leggervi, son so, Montale; leggervi Kissinger; leggervi Dante Alighieri; o
qualcuno di voi alza il dito: scusate, ma quali sono i poteri che Erdogan prende
con questo referendum?
Non c’è un porca
miseria di giornale che oggi, il giorno in cui passa il referendum, ci scrive
con semplicità, quali sono questi poteri dittatoriali che ha preso Erdogan. Li
avrà presi sicuramente, non lo metto in dubbio, ma almeno scrivete. Io che sono
banalmente uno che legge i giornali, oggi avrei voluto vedere sui giornali che
cosa succedeva alla Turchia da domani. Mentre non riesco a capirci nulla. Lego
l’intervista al presidente del Parlamento Europeo, e non solo lui, Tajani, che
dice “forse farà un referendum per chiedere la pena di morte. Quindi in futuro
farà un referendum a cui faranno giudicare i turchi sulla pena di morte. Se
dovesse fare, accettare, vincere quel referendum non potrebbe più partecipare
alla discussione sull’Europa. Ma oggi, con questo referendum che poteri ha avuto
Erdogan? Un solo dettaglio lo leggo.
Erdogan potrà, da
presidente della Repubblica turca, potrà anche tornare a diventare segretario
della AKP, che è il partito confessionale che lo ha visto leader. Quindi una
delle riforme, è che lui potrà fare: Presidente della Repubblica e Segretario
del partito. Mi chiedo: ma questa cosa in Italia, per esempio, che non è una
dittatura, vi suona familiare? I presidenti del Consiglio che sono anche
segretari di partito, non l’avete mai sentita? Lo chiedo. Perché se questa è la
riforma che rende dittatura la Turchia, anche noi siamo una dittatura».
PROPOSTA DI RIFORMA
COSTITUZIONALE. Da Wikipedia. Descrizione analitica delle modifiche.
1. Articolo 9. La
magistratura è tenuta ad agire in condizioni di imparzialità.
2. Articolo 75. Il
numero di seggi nel parlamento aumenta da 550 a 600.
3. Articolo 76.
L'età minima per candidarsi ad un elezione scende da 25 anni a 18 anni. È
abolito l'obbligo di aver completato il servizio militare obbligatorio per i
candidati. Gli individui con rapporti militari sono ineleggibili e non possono
partecipare alle elezioni.
4. Articolo 78. La
legislatura parlamentare è estesa da 4 a 5 anni. Le elezioni parlamentari e
presidenziali si tengono nello stesso giorno ogni 5 anni. Per le presidenziali è
previsto un ballottaggio se nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta
al primo turno.
5. Articolo 79.
Vengono istituite le regole per i cd. «parlamentari di riserva», che vanno a
sostituire i posti dei deputati rimasti vacanti.
6. Articolo 87. Le
funzioni del Parlamento sono: a) approvare, cambiare e abrogare le leggi; b)
ratificare le convenzioni internazionali; c) discutere, approvare o respingere
il bilancio dello Stato; d) nominare 7 membri del Supremo Consiglio dei Giudici
e dei Pubblici Ministeri; e) usare tutti gli altri poteri previsti dalla
Costituzione.
7. Articolo 98. Il
parlamento monitora il governo e il vicepresidente con ricerche parlamentari,
indagini parlamentari, discussioni generali e domande scritte. L'istituto
dell'interpellanza è abolito e sostituita con le indagini parlamentari. Il
vicepresidente deve rispondere alle domande scritte entro 15 giorni.
8. Articolo 101.
Per candidarsi alla presidenza, un individuo deve ottenere l'approvazione di uno
o più soggetti che hanno ottenuto il 5% o più nelle elezioni parlamentari
precedenti e di 100.000 elettori. Il presidente eletto non è obbligato a
interrompere la sua appartenenza a un partito politico.
9. Articolo 104. Il
presidente diventa sia il capo dello Stato che capo del governo, con il potere
di nominare e rimuovere dall'incarico i ministri e il vicepresidente. Il
presidente può emettere «decreti esecutivi». Se l'organo legislativo fa una
legge sullo stesso argomento di un decreto esecutivo, quest'ultimo diventerà
invalido, mentre la legge parlamentare entrerà in vigore.
10. Articolo 105.
Il Parlamento può proporre un'indagine parlamentare nei confronti del Presidente
con la maggioranza assoluta (301). La proposta va discussa per 1 mese, per poi
essere aperta con l'approvazione di 3/5 (360) dei deputati (votazione segreta).
Concluse le indagini, il parlamento può mettere in stato di accusa il presidente
con l'approvazione dei 2/3 (400) dei parlamentari (votazione segreta).
11. Articolo 106.
Il Presidente può nominare uno o più Vicepresidenti. Se la Presidenza si rende
vacante, le elezioni presidenziali devono svolgersi entro 45 giorni. Se le
future elezioni parlamentari si dovessero svolgere entro un anno, anch’esse si
svolgono lo stesso giorno delle elezioni presidenziali anticipate. Se la
legislatura parlamentare termina dopo più di un anno, allora il neo-eletto
presidente serve fino alla fine della legislatura, al termine della quale si
svolgono sia le elezioni presidenziali che parlamentari. Questo mandato non deve
essere contato per il limite massimo di due mandati del presidente. Le indagini
parlamentari su possibili crimini commessi dai Vice Presidenti e ministri
possono iniziare in Parlamento con il voto a favore di 3/5 deputati. A seguito
del completamento delle indagini, il Parlamento può votare per incriminare il
Vice Presidente o i ministri, con il voto a favore di 2/3 a favore. Se
riconosciuto colpevole, il Vice Presidente o un ministro in questione viene
rimosso dall'incarico solo qualora il suo crimine è uno che li escluderebbe
dalla corsa per l'elezione. Se un deputato viene nominato un ministro o vice
presidente, il suo mandato parlamentare termina immediatamente.
12. Articolo 116.
Il Presidente o 3/5 del Parlamento possono decidere di rinnovare le elezioni
politiche. In tal caso, il Presidente decade dalla carica e può essere
nuovamente candidato. Le nuove elezioni saranno sia presidenziali che
parlamentari.
13. Articolo 119.
La possibilità del presidente di dichiarare lo stato di emergenza è ora oggetto
di approvazione parlamentare per avere effetto. Il Parlamento può estendere la
durata, accorciarla o rimuoverla. Gli stati di emergenza possono essere estesi
fino a quattro mesi tranne che durante la guerra, dove non ci saranno
limitazioni di prolungamento. Ogni decreto presidenziale emesso durante uno
stato di emergenza necessita dell'approvazione del Parlamento.
14. Articolo 123.
Il presidente ha il diritto di stabilire le regole e le procedure in materia di
nomina dei funzionari dipendenti pubblici.
15. Articolo 126.
Il Presidente ha il diritto di nominare alcuni alti funzionari amministrativi.
16. Articolo 142.
Il numero dei giudici nella Corte costituzionale scende da 17 a 15. Quelli
nominati dal presidente scendono da 14 a 12, mentre il Parlamento continua a
nominarne 3. I tribunali militari sono aboliti a meno che non vengono istituiti
per indagare sulle azioni dei soldati compiute in guerra.
17. Articolo 159.
Il Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri viene rinominato in
"Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri". I membri sono ridotti da 22 a
13, e i dipartimenti giudiziari scendono da 3 a 2: quattro membri sono nominati
dal Presidente, sette dal parlamento, gli altri 2 membri sono il ministro della
giustizia e il sottosegretario del Ministero della giustizia. Ogni membro
nominato dal parlamento viene eletto in due turni: nel primo necessita
dell'approvazione dei 2/3 dei parlamentari, al secondo dei 3/5.
18. Articolo 161.
ll presidente propone il bilancio dello Stato al Grande Assemblea 75 giorni
prima di ogni nuova sessione annuale di bilancio. I membri della Commissione
parlamentare del Bilancio possono apportare modifiche al bilancio, ma i
parlamentari non possono fare proposte per cambiare la spesa pubblica. Se il
bilancio non viene approvato, verrà proposto un bilancio provvisorio. Se nemmeno
il bilancio provvisorio non approvato, il bilancio dell'anno precedente sarà
stato utilizzato con il rapporto incrementale dell'anno precedente.
19. Diversi
articoli. Adattamento di diversi articoli per il passaggio dei poteri esecutivi
dal governo al presidente.
20. Temporaneo
articolo 21. Le prossime elezioni presidenziali e parlamentari si terranno il 3
novembre 2019. L'elezione del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici
Ministeri avverrà entro 30 giorni dall'approvazione della presente legge. I
tribunali militari sono aboliti con l'entrata in vigore della legge.
21. Diversi
articoli. Gli emendamenti 2, 4 e 7 entreranno in vigore dopo nuove elezioni, gli
altri emendamenti (tranne quelli temporanei) entreranno in vigore con il
giuramento del nuovo presidente.
Se la Turchia è una
dittatura, cosa dire di quella tanto decantata democrazia invidiata da tutti?
Potere esecutivo
USA, da Wikipedia.
Il potere esecutivo
è tenuto dal Governo federale, composto dal Presidente degli Stati Uniti
(President of the United States of America), dal Vicepresidente (Vice President
of the United States of America) e dal Gabinetto (Cabinet of the United States),
cioè il gruppo di "ministri" (tecnicamente chiamati "Segretari", tranne colui a
capo dell'amministrazione della giustizia, nominato "Procuratore generale") a
capo di ogni settore della pubblica amministrazione, i Dipartimenti. Se, come è
ovvio, i Segretari sono di nomina presidenziale, il Presidente e il
Vicepresidente vengono eletti in occasione di elezioni presidenziali separate
dalle elezioni per il rinnovo del Congresso e che si svolgono ogni quattro anni
(con il limite massimo di due mandati).
I poteri del
Presidente sono molto forti. Oltre ad essere a capo del governo federale ed
essere sia il comandante supremo delle forze armate e capo della diplomazia, il
Presidente possiede anche un forte potere di veto per bloccare la promulgazione
delle leggi federali emanate dal Congresso (potere superabile soltanto quando la
legge viene approvata a larga maggioranza).
Paesi democratici e
non tirannici sono naturalmente anche quei paesi, come l’Olanda e la Germania,
che hanno impedito i comizi di esponenti turchi presso le loro comunità, ma non
hanno potuto impedire a questi (senza brogli) di esprimere un voto maggioritario
di gradimento alla riforma del loro paese.
Antonio Giangrande: A COME ABUSIVISMO
EDILIZIO ED EVENTI NATURALI.
La Natura vive. Alterna periodi di siccità a periodi di alluvioni e conseguenti
inondazioni.
La Natura ha i suoi tempi ed i suoi spazi.
Anche l’uomo ha i suoi tempi ed i suoi spazi. Natura ed Uomo interagiscono,
spesso interferiscono.
Un fenomeno naturale diventa allarmismo anti uomo degli ambientalisti.
Da sempre in montagna si è costruito in vetta o sottocima, sul versante o sul
piede od a valle.
Da sempre in pianura si è costruito sul greto di fiumi e torrenti.
Da sempre lungo le coste si è costruito sul litorale.
Cosa ci sia di più pericoloso di costruire là, non è dato da sapere. Eppure da
sempre si è costruito ovunque perché l’uomo ha bisogno di una casa, come gli
animali hanno bisogno di una tana.
Invece, anziché pulire gli alvei (letti) dei fiumi o mettere in sicurezza i
costoni dei monti per renderli sicuri, si impongono vincoli sempre più
impossibili da rispettare.
Invece di predisporre un idoneo ed aggiornato Piano Regolatore Generale (Piano
Urbanistico Comunale) e limitare tempi e costi della burocrazia, si prevedono
sanzioni per chi costruisce la sua dimora.
A questo punto, quando vi sono delle disgrazie, l’allarmismo dell’ambientalismo
ideologico se la prende con l’uomo. L’uomo razzista ed ignorante se la prende
con i meridionali: colpa loro perché costruiscono abusivamente contro ogni
vincolo esistente.
Peccato che le disgrazie toccano tutti: in pianura come in montagna o sulla
costa, a prescindere dagli abusi o meno fatti da Nord a Sud.
Solo che al Nord le calamità sono disgrazie, al Sud sono colpe.
Peccato che i media razzisti nordisti si concentrano solo su temi che
discriminano le gesta dei loro padroni.
Antonio Giangrande:
Italia. Educazione civica e disservizi.
Sosta selvaggia e
raccolta differenziata dei rifiuti.
Lo scrittore e
sociologo storico Antonio Giangrande, nel suo ultimo libro (L’Italia allo
Specchio. Il DNA degli italiani. Anno 2019. Prima parte. In vendita su Amazon in
formato Book o ebook) parla dei parcheggi e della raccolta e smaltimento dei
rifiuti.
Italia. Sosta
selvaggia ed incompetenza.
I turisti, nel
mettere piede in Italia, la prima cosa che notano è che sulla strada ognuno fa
quel che gli pare. E’ abbastanza irregolare la circolazione, ma allucinante è il
comportamento di chi si ferma con il suo veicolo. Un codice della strada fai da
te, insomma.
Il fenomeno più
appariscente è la sosta selvaggia.
Ma è possibile che
in Italia ognuno parcheggia come gli pare, con il benestare dei vigili urbani e
delle amministrazioni comunali?
La trasmissione
televisiva di Mediaset, Striscia la Notizia, da sempre e stranamente si occupa
solo dei parcheggi riservati ai disabili, occupati da chi non ne ha diritto.
Addirittura, chi si
ritiene il più onesto del firmamento, cade nella tentazione della sosta
selvaggia: “Multe per doppia fila al comizio della Raggi. I grillini: è un
complotto - scrive il lunedì 23 maggio 2016 Carlo Marini su Secolo d’Italia.-
Comizio di Virginia Raggi a Roma. A Piana del Sole, periferia romana, gli slogan
sono i soliti: “Onestà, onestà”. Ma basta l’arrivo dei vigili urbani per mandare
nel panico l’aspirante sindaco M5S e i suoi sostenitori. Una voce dalla platea
lancia l’allarme: «Stanno a fa’ le multe». «Proprio adesso dovevano venì». I
grillini, che vedono “microchip sotto la pelle” e “complotti” dappertutto, non
hanno dubbi. Li palesa il deputato pentastellato al tavolo della Raggi, Stefano
Vignaroli «Cioè a Piana del Sole non si vede un vigile nemmeno…». Virginia tace
e sorride imbarazzata. Il rispetto delle regole dovrebbe valere per tutti. Anche
per chi sa solo gridare “onestà, onestà”.
Eppure in Italia è
consentito parcheggiare, ovunque, anche quando non ci sono le strisce che
delimitano l’area di sosta, e comunque, come in doppia fila. Il tutto salvo che
non ci sia un espresso divieto di legge od amministrativo e che ci sia qualcuno
che lo faccia rispettare.
Quindi, lungo la
carreggiata cittadina, anche a doppio senso di circolazione, ove l’area di sosta
non è delimitata dalle strisce bianche o blu, auto, camper e roulotte, autocarri
con rimorchio ed autoarticolati, autobus ed autosnodati possono parcheggiare
come, quando e quanto vogliono, pur se intralciano il traffico?
Per il codice della
strada e per la Corte di Cassazione: Sì. Basta che ci sia lo spazio di transito
pari almeno a 3 metri.
E per quanto
riguarda la sosta in seconda o terza fila?
Il parcheggio in
doppia fila è una pratica piuttosto diffusa, soprattutto nelle grandi città dove
la carenza cronica di parcheggi crea molti disagi soprattutto a chi ha bisogno
di fare una sosta breve, “al volo”, per fare una veloce commissione. Il nostro
“5 minuti e poi la sposto” può creare gravi problemi alle auto che risultano
bloccate e che non possono muoversi. Oltre ad intralciare la circolazione. “La
lascio qui due secondi e torno subito” pensiamo, non rendendoci conto che stiamo
infrangendo non solo il Codice della Strada, ma anche il Codice Penale,
commettendo un vero reato. Quante volte è capitato di vedere un’auto
parcheggiata in doppia fila e di augurarsi che un vigile facesse un’improvvisa
comparizione per punire il colpevole?
La sosta in doppia
fila è esplicitamente vietata dal Codice della Strada, all’articolo 158, comma
2, lettera c, dove stabilisce, con la stessa occasione, anche la sanzione
amministrativa pecuniaria, che oscillerà tra un minimo di 41€ e un massimo di
168€ per i mezzi a quattro ruote, e tra un minimo di 24€ e un massimo di 97€ per
le due ruote a motore. L’articolo successivo (art. 159 C.P.) sancisce
addirittura la possibilità per gli agenti di Polizia di provvedere ad ordinare
la rimozione forzata, nel caso in cui la sosta vietata costituisca un pericolo o
un grave intralcio alla circolazione degli altri veicoli. La situazione può però
aggravarsi e diventare persino un reato (quindi un’infrazione del Codice
Penale), almeno secondo l’interpretazione della Cassazione. I Giudici infatti
hanno stabilito con le sentenze 24614/2005 e 32720/2014 che la sosta in doppia
fila è idonea ad integrare il reato di violenza privata, proprio a causa
dell’ostruzione dell’unica via d’uscita di un altro veicolo.
Quando la legge
chiude un occhio. Attenzione però, perché esistono delle situazioni in cui il
parcheggio in doppia fila è tollerato. Questo significa che, anche nel caso in
cui all’automobilista venga notificata la violazione dell’articolo 158, comma 2,
lett. c, del Codice della Strada, egli potrà presentare ricorso e ottenere
l’annullamento della sanzione. Ma quali sono questi casi e come individuarli
chiaramente? Come è facile immaginare, la legge non specifica i singoli casi in
cui sia possibile adottare o meno un certo comportamento, ma si limita a
definire i principi fondamentali. I quali, nello specifico, si ritrovano
nell’articolo 54 del Codice Penale, che recita: “Non è punibile chi ha commesso
il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non
volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia
proporzionato al pericolo”.
Il caso specifico
delle eccezioni. Per passare dai principi generali all’applicazione della legge,
quand’è che la sosta in doppia fila è consentita? Si tratta di tutti quei casi
in cui si prefigurino:
Carattere d’urgenza
e imminenza;
Situazione di
pericolo non evitabile (non esistono soluzioni alternative);
Condizione di
gravità della situazione che si vuole evitare.
Ci penserà
l’italica genialità a trovare l’eccezione e la latina persuasione a porre
rimedio.
Rifiuti. Affari, ma
non per tutti.
Oggetto di raccolta
sono i rifiuti domestici e quelli cosiddetti assimilati ovvero quelli derivanti
da attività economiche, artigianali, industriali che possono essere assimilati
(con decisione del comune tramite apposita delibera) per qualità a quelli
domestici.
Natura della tassa
sui rifiuti. Il presupposto della tassa è l'occupazione di uno o più spazi,
adibiti a qualsiasi uso e giacenti sul territorio del comune dove il servizio di
smaltimento rifiuti è reso in maniera continuativa. Quindi, il presupposto
impositivo non è il servizio prestato dal comune, ma la potenziale attitudine a
produrre rifiuti da parte dei soggetti detentori degli spazi. Infatti, fatta
eccezione per i comuni con popolazione inferiore a 35.000 abitanti, l'importo da
corrispondere per questa tassa non è commisurato ai rifiuti prodotti, ma alla
quantità di spazi occupati. Tali presupposti danno a questa tassa natura di
imposta anziché di tassa, il cui importo viene invece commisurato al servizio
prestato. Un altro elemento che lascia propendere verso la natura di tributo è
dato dal fatto che la Tassa non è soggetta a IVA, come lo sarebbe invece stato
qualunque tipo di servizio.
Ma come mai più si
differenzia, più si paga?
Più si conferiva il
tal quale indifferenziato, meno si pagava. Che strano ambientalismo!
Prima c’erano i
cassonetti dell’indifferenziata. Poche spese e pochi operatori ecologici. In
alcune zone scatta l’emergenza dei rifiuti, più per complotti politici e
speculazioni economiche per la gestione delle discariche.
Poi ai tradizionali
cassonetti si sono aggiunti i contenitori per carta, plastica, vetro, formando
le isole ecologiche. Più spese e più operatori ecologici, ma anche più guadagni
per la vendita del differenziato. In alcune zone aumenta l’emergenza dei
rifiuti, più per complotti politici, ma crescono le speculazioni economiche: per
la gestione delle discariche e per gli affari sul differenziato.
La politica si
inventa l’ecotassa. Tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in
discarica.
Poi siamo arrivati
all’oggi. Raccolta porta a porta dei rifiuti. Distribuzione dei contenitori per
il conferimento dei vari rifiuti, divisi per specie. In alcuni paesi cinque, ad
altri solo due. I colori sono differenti da paese a paese.
Ogni bidone (utenze
non domestiche) o bidoncino (utenze domestiche) avrà il suo giorno stabilito per
essere svuotato.
L’utente ha bisogno
di una laurea. Finisce come la parodia di Ficarra e Picone nel film: l’Ora
legale. Ficarra si mangia la buccia del melone, non sapendo dove buttarla e
chiede: “Voi a Milano i tovaglioli sporchi di sugo dove li buttate?”
OGNI BIDONE UN
COLORE, OGNI COLORE UN TIPO DI SPAZZATURA, TU LI SAI?
Cerchiamo di capire
quali sono i colori più utilizzati per i bidoni della spazzatura nella raccolta
differenziata dei rifiuti, non esiste ancora uno standard, ma in linea di
massima queste sono le colorazioni più usate.
Pur non essendo
ancora ufficialmente uno standard, si può dire che per la raccolta differenziata
i vari colori dei bidoni seguono questo schema:
Bianco: Carta,
cartone (riviste, giornali e materiali cellulosici in generale)
Verde: Vetro
(bottiglie, barattoli, specchi, etc.)
Rosso o marroncino:
Organico (umido)
Giallo: Plastica
riciclabile (bottiglie di bevande, detersivi, prodotti per l’igiene, etc.)
Blu: Alluminio
(lattine, imballaggi, bombolette spray, etc.)
Va comunque detto
che essendo i comuni gli assegnatari dei vari colori in alcune zone potrebbero
esserci delle variazioni, infatti ci sono zone in cui i bidoni blu sono
destinati a carta e cartone, quelli verdi a vetro e lattine, quelli gialli alla
plastica, quelli marroni o rossi ai rifiuti non riciclabili, quelli arancioni
all'indifferenziata e quelli neri ai rifiuti organici. Ma non è finita qui, ad
ogni sacco un colore, ad ogni colore un tipo di spazzatura, secondo voi vale la
stessa regola e lo stesso abbinamento di colori che abbiamo appena visto per i
bidoni?
Sempre che i bidoni
rimangano in nostro possesso in comodato d’uso, perché un nuovo sport prende
piede: il furto di bidoni e bidoncini. Le denunce presentate posso riempire
centinaia di questi bidoni. E la burocrazia anche in questi casi punisce in modo
grave. Dopo la denuncia seguono giorni di attesa e di adempimenti per la
sostituzione di un bidoncino di pochi euro di valore.
Poi bisogna
combattere anche con l’arroganza degli operatori che ti riprendono per ogni
errore: smaltire un certo tipo di rifiuti in giorni sbagliati o in orari
sbagliati.
Se poi gli
operatori minacciano di sanzione in caso di errore, allora l’ansia cresce.
Intanto le utenze
domestiche diventano bombe ecologiche, con tanti contenitori sparsi per casa che
non trovano posto.
E che dire delle
città e dei paesi che sono delle vere bidonville maleodoranti, ossia strade
invase da bidoni perenni posti sui marciapiedi (da 2 a 5 per utenza non
domestica, come negozi, ristoranti, attività artigianali e professionali, ecc.).
Dove ci sono loro
(i bidoni) è impedito il transito ai pedoni.
Intanto i pseudo
ambientalisti osteggiano i termovalorizzatori per meri intenti speculativi.
Rifiuti organici,
in Italia un giro d'affari da 1,8 miliardi di euro. Aumenta la raccolta nel
2017, a livello nazionale passa da 107 a 108 kg la raccolta annuale procapite.
Lombardia in testa per produzione, scrive La Repubblica il 16 Febbraio 2019.
Sulle tariffe
rifiuti, l’Italia non è unita (e i virtuosi sono pochi). I dati sulle tariffe
rifiuti fotografano un Paese iperframmentato: i virtuosi pagano meno e solo al
top per raccolta differenziata e tariffazione puntuale, scrive Rosy Battaglia il
14.12.2018 su valori.it. Se il giro d’affari dell’industria del riciclo è
stimato in 88 miliardi di fatturato, con ben 22 miliardi di valore aggiunto,
ovvero l’1,5% di quello nazionale, come riporta lo studio di Ambiente Italia
(promosso da Conai e da Cial, Comieco, Corepla e Ricrea) quanto costano, invece,
i rifiuti alle famiglie italiane?
I miliardi nel
cassonetto: chi vince e chi perde nel grande business dei rifiuti. Un giro
d’affari di 11 miliardi: i profitti tutti al Nord e all’estero, dove arrivano
centinaia di treni e camion dalle regioni del Centrosud rimaste gravemente
indietro, che non possono fare altro che imporre tasse più alte, scrive Daniele
Autieri su La Repubblica il 22 maggio 2017.
Raccolta
differenziata, tra conflitti di interesse e dati segreti: “Costi a carico delle
casse pubbliche”. Tra opacità e critiche dell'Antitrust, il sistema Conai non
garantisce la copertura dei costi di raccolta a carico dei Comuni con i prezzi
di fatto definiti dai produttori di imballaggi. Una situazione capovolta
rispetto a quella di altri Paesi europei, scrive Luigi Franco l'8 Ottobre 2016
su Il Fatto Quotidiano. Domanda numero uno: quanta plastica, carta o vetro da
riciclare ha raccolto il tal comune? Domanda numero due: lo stesso comune quanti
contributi che gli spettano per legge ha incassato a fronte dei costi sostenuti
per la raccolta differenziata degli imballaggi? Due domande le cui risposte sono
contenute nella banca dati Anci–Conai prevista dagli accordi tra l’Associazione
nazionale dei comuni italiani e il Conai, ovvero il consorzio privato che è al
centro del sistema della raccolta differenziata degli imballaggi. Numeri non
diffusi ai cittadini, che possono contare solo su un report annuale con dati
aggregati. Ma i dati aggregati non sempre vanno d’accordo con la trasparenza. E
soprattutto non rendono conto delle incongruenze di una situazione su cui
l’Antitrust di recente ha espresso le sue critiche, mettendo nero su bianco che
“il finanziamento da parte dei produttori di imballaggi dei costi della raccolta
differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per
intero a loro carico”. Con la conseguenza che a rimetterci sono le casse
pubbliche, visto che tocca ai comuni coprire gran parte di quei costi.
Inceneritori in
Italia, dove sono e qual è la differenza coi termovalorizzatori. Diversamente
dai primi, i termoutilizzatori producono elettricità e non inquinano. Ma c'è il
problema CO2. Da Nord a Sud, la mappa completa, scrive Paco Misale il 19
novembre 2018 su Quotidiano.net. Inceneritori e termovalorizzatori. In molti li
identificano come la stessa cosa. In realtà, non è così. I primi sono impianti
che bruciano i rifiuti e basta, mentre i secondi sono impianti che bruciano i
rifiuti per generare energia. Gli inceneritori sono impianti vecchi, che oggi
non si costruiscono più: si preferiscono i termovalorizzatori, che permettono
non solo di distruggere i rifiuti, ma anche di produrre elettricità.
Termovalorizzatori
e inceneritori, ecco verità e bufale, scrive Nino Galloni su Starmag il 19
novembre 2018. Perché si confondono termovalorizzatori e inceneritori? Ha
ragione Matteo Salvini, per due ordini di motivi:
1) né le discariche
né la differenziata rappresentano la soluzione del problema;
2) il patto o
contratto di governo è fondamentale (come rispettare il sabato) ma se ti cade
l’asino nel pozzo lo vai a tirar fuori anche se è sabato.
Tuttavia, sia
Salvini, sia la stampa e la televisione hanno parlato di termovalorizzatori e di
inceneritori. Bene, quarant’anni fa c’erano gli inceneritori e una discreta
mafia se ne interessò, ma la loro capacità di inquinare e rilasciare diossina
quando gli impianti si raffreddavano era massima. Vent’anni fa arrivarono i
termovalorizzatori – dotati di filtri – riducevano l’inquinamento del bruciare,
ma non abbastanza, in cambio fornivano energia elettrica da combustione (legno,
rifiuti, gasolio, tutto può bruciare). Oggi esistono gli Apparati di Pirolisi;
due brevetti italiani, Italgas e Ansaldo. Oggi, dunque, esistono Pirolizzatori
di cui un tipo che emette gas combustibile, inerti ed anidride carbonica; ed un
altro che non emette l’anidride carbonica perché svolge al chiuso i processi.
Perché non si parla di dotare l’Italia di questi apparati attuali? Perché si
confondono termovalorizzatori e inceneritori? Perché la mafia non solo non si è
interessata ai Pirolizzatori, ma anzi, li ha osteggiati in tutti i modi entrando
nella politica e nell’economia per impedirne la diffusione? Perché a Roma
Virginia Raggi ed il suo staff non hanno voluto prendere in considerazione tale
proposta? Ci sono anche altre tecniche non aerobiche – in cui, sempre al chiuso,
intervengono i batteri – e che consentono di trasformare la risorsa “rifiuti” in
concimi, fertilizzanti e gas naturali, combustibili, a impatto ambientale
negativo (cioè risolvono più problemi dell’abbandonare i rifiuti – come tali – a
sé stessi o cercare di riciclarli in modo non efficiente). Intendiamoci, la
differenziata e l’economia circolare sono buonissime idee; ma perché vetro,
metalli, plastica eccetera vengano recuperati occorre dotare le città di
industrie adeguate, non mandare tali risorse in Svezia o in Germania (che,
invece, al pari di alcuni lodevolissimi comuni italiani – ma l’eccezione
conferma la regola- sanno approfittare di tali opportunità. Credo che
dell’ambiente – e non solo – si debba ragionare in modo non propagandistico,
valutando bene, di ogni cosa, l’impatto economico, finanziario e sociale.
(Estratto di un articolo tratto da Scenari economici)
Rifiuti. Cosa fanno
a Parigi. Scrive il Consorzio Recuperi Energetici. Un termovalorizzatore in
parte interrato che tratta 460 mila tonnellate di rifiuti l’anno sull’argine
della Senna. Vi sembra una fantasia? No è la realtà dell’impianto di Syctom
Isseane, a Issy -les- Moulineeaux, un Comune della cintura di Parigi. Il
progetto raggruppa 48 Comuni che hanno aderito ad un medesimo piano e si sono
messi insieme per smaltire i rifiuti, realizzando quest’impianto. Dal 2007 il
centro tratta i rifiuti prodotti di circa un milione di abitanti...Un’apposita
carta della qualità ambientale è stata sottoscritta con il comune di Issy che
garantisce le condizioni di qualità, di sicurezza e di protezione dell’ambiente.
L’impatto sulla salubrità dell’ambiente è regolato da limiti rigorosissimi. Un
impianto simile e forse anche più avanzato è quello di Firenze almeno sul ciclo
dei rifiuti. Qui si raggiunge il 54% della raccolta differenziata ed entro il
2020 è previsto il 70%. Il termovalorizzatore di Case Passerini eviterà che i
rifiuti residui, ossia quelli non riciclabili, siano inviati altrove producendo
energia elettrica equivalente al fabbisogno annuo di 40 mila persone,
climatizzando l’intero aeroporto ed eliminando lo smog causato dai camion che
trasportano rifiuti nelle discariche.
Copenaghen, l'inceneritore con pista da sci sul tetto. Di Maio: "Ce la vedo ad
Acerra..." Tutto pronto per il nuovo termovalorizzatore costato 670 milioni di
dollari. Produrrà energia a impatto zero. Attorno un parco con piste ciclabili e
impianti sportivi. Sul lato più alto della struttura la parete artificiale
d'arrampicata più alta del mondo, scrive Paco Misale il 19 novembre 2018 su
Quotidiano.net
Il Verde pubblico.
Avetrana. La strage degli alberi.
Il commento del Dr Antonio Giangrande, scrittore, blogger, youtuber.
Mi ero
ripromesso di non occuparmi più della politica locale per la sua inutilità,
ritenuta stantia e stagnante e periodicamente riproposta da gente di destra e di
sinistra ambiziosa e senza alcun valore, ma di fronte alla desertificazione che
l’odierna amministrazione di destra di Avetrana sta attuando al fine del suo
mandato non è possibile rimanerne complici con il proprio silenzio. Questi
signori stanno per finire di tagliare tutti gli alberi piantati dall’ultima
amministrazione di sinistra, affinchè alla fine del loro mandato non ne rimanga
nessuna testimonianza. Nessun motivo o giustificazione può essere avvalorato
dalla logica. Hanno usato la scusa delle radici che spaccano il manto stradale;
delle foglie che sporcano, del pericolo di cadute per cedimento. Hanno usato,
addirittura, la scusa della presenza della Processionaria su qualche albero, per
tagliarli tutti. Usano il metodo Xylella. Come dire: se il cane ha le pulci o le
zecche, il coglione non disinfesta i parassiti, ma uccide il cane. Questi
signori non hanno alcuna cultura ambientalista. Usare la potatura o la
disinfestazione non è ipotesi alla loro portata. Meglio eliminare ogni pianta
dal paese. Credevo che fosse il rosso il colore da costoro odiato…invece è il
verde. Che peccato condividere il paese con gente che non ama la Natura, anche
perché chi non ama la Natura, non ama l’uomo.
Antonio Giangrande: L'ambientalista Grillo con una casa sul bagnasciuga del
mare. Per lui non ci sono vincoli ambientali, idrogeologici e distanze di
rispetto? In affitto a 12.750 euro a settimana la villa in Toscana di Beppe
Grillo. Maurizio Bologni su La Repubblica il 28 giugno 2021. Sulla spiaggia di
Marina di Bibbona, ha segnato la storia politica del movimento 5S: dai summit al
caminetto coi leader pentastellati ai faccia a faccia con Giuseppe Conte.
Disponibile da settembre. Da Villa Corallina, splendida dimora di Beppe Grillo
isolata dalla macchia mediterranea sulla spiaggia di Marina di Bibbona,
provincia di Livorno, passa la storia politica del Movimento 5S, ma anche quella
personale del comico diventato leader politico. Dai ripetuti summit del
caminetto – c’è anche quello nella residenza al mare – coi vertici del partito,
ai recenti faccia a faccia con Giuseppe Conte, tutto in quella che qualcuno ha
definito l’ultima villa di un potere balneare, anche fatta perquisire dalla
magistratura nel settembre 2019 nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria per lo
stupro di gruppo che coinvolge Ciro, figlio del leader.
Antonio Giangrande: Se l’ANPI è l’Associazione Nazionale dei Partigiani
d’Italia, ed i partigiani non erano solo comunisti, chi ne fa parte quanti cazzo
di anni hanno? Considerato che dovrebbero essere dei centenari, gli anni se li
tengono molto bene. Se invece non sono Partigiani, ma solo gente di parte, che
lo dicessero: siamo solo comunisti, che operano al di là della loro pertinenza
storica.
Antonio
Giangrande: Catastrofi naturali e salute. Fatalismo e prevenzione.
La demagogia degli
scienziati e la sicurezza impossibile.
Prevenzione. Costi
e burocrazia: la protezione irrealizzabile.
Antonio Giangrande: Razzismo e Disastri Ambientali.
Disastri Ambientali e Dissesti idrogeologici: morte e distruzione.
Alluvioni, Allagamenti, Smottamenti, Frane.
Per i
media prezzolati e razzisti.
Al
Nord Italia: Eventi e danni naturali imprevedibili dovuti al cambiamento
climatico in conseguenza del riscaldamento globale e causati da Vortici di Bassa
Pressione dovuti all'alta Pressione perenne del Sud Italia con i suoi 30 gradi
anche ad ottobre.
Al Sud
Italia: Disastri meritati dovuti a causa dell'abusivismo; degli incendi dolosi e
del disboscamento; dell'incuria e dell'abbandono delle opere pubbliche di
contenimento e prevenzione.
“Per
fortuna il maltempo si è spostato al sud”: la gaffe del TG5. Da Redazione di
Cefalù Web 13 novembre 2014. Elena Guarnieri, presentatrice del TG5 ieri sera si
è resa protagonista di una brutta gaffe parlando di maltempo. La giornalista in
diretta durante l’edizione serale del popolare tg della rete ammiraglia di
Mediaset, parlando della perturbazione che imperversa su tutta la penisola ha
affermato: “Il peggio sembra essere passato, la perturbazione si è spostata al
Sud“. Forte lo sdegno dei telespettatori soprattutto del meridione che
condannano con fermezza l’imperdonabile gaffe.
Inchiesta del Dr.
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nelle tv salottiere
e sui giornali gli “Esperti” si cimentano a dare le loro opinioni. "Ormai
abbiamo osservato che ogni 4 o 5 anni c'è un sisma che colpisce la dorsale
appenninica. Eppure gli amministratori non fanno prevenzione. Il risultato è che
l'Italia è arretrata come il Medio Oriente: in un paese avanzato una scossa di
magnitudo 6 non provoca crolli e vittime". Mario Tozzi, geologo e noto
divulgatore scientifico in tv, non usa giri di parole contro la politica che a
sette anni dal tragico terremoto dell'Aquila non ha fatto quasi nulla per
prevenire il disastro di questo 24 agosto 2016 ad Amatrice e dintorni.
Scrive Maurizio
Ribechini il 25 agosto 2016: “Un interessante studio su questo circa un anno e
mezzo fa è stato effettuato dal "Consiglio Nazionale degli Ingegneri", il quale
con una precisa valutazione dei costi economici, ha calcolato che, fino al
novembre 2014, ammontavano a più di 120 miliardi di euro gli stanziamenti dello
Stato per i terremoti verificatisi in Italia negli ultimi 50 anni: da quello
siciliano del Belice nel 1968, all’ultimo del maggio 2012 in Emilia Romagna,
passando per quello del Friuli del 1976, quello dell'Irpinia del 1980, il primo
avvenuto in Umbria e Marche del 1997, quello del Molise del 2002 e quello
dell'Aquila nel 2009. Per una spesa media annua di circa 2,5 miliardi di euro.
Cifre ancora più elevate sono quelle che fornivano, ormai quattro anni fa
(quindi senza considerare i costi del sisma del 2012 in Emilia) Silvio Casucci e
Paolo Liberatore nel saggio dal titolo "Una valutazione economica dei danni
causati dai disastri naturali", dove hanno stimato un costo di ben 147 miliardi
di euro, per una spesa media annua di 3,6 miliardi. Tale stima arrivava da un
dossier sul rischio sismico redatto dal Dipartimento della Protezione Civile che
recitava "i terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni
economici valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro (a
prezzi 2005), che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione
post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore
economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale". Attualizzando tale
valore al 2012, si otteneva un totale complessivo pari a circa 147 miliardi. Ma
appunto tale cifra non considerava i costi della ricostruzione in Emilia. Se
vogliamo contare anche questi, possiamo prendere dei dati ufficiali diffusi
dalla Regione Emilia Romagna nel maggio 2015, che parlavano di 1 miliardo e 770
mila euro di contributi concessi. Ecco pertanto che la somma complessiva dei
costi per i terremoti lievita a circa 149 miliardi complessivi. Ma quanto
sarebbe costato mettere in sicurezza il territorio? L’ex capo della Protezione
Civile, Guido Bertolaso, nei mesi scorsi aveva dichiarato che per mettere in
sicurezza tutto il nostro paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro.
Mentre proprio ieri, l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha dichiarato:
"Nel 2012 presentai un piano da 40 miliardi per la prevenzione, oltre
all'assicurazione obbligatoria per il rischio sismico. Non se ne fece nulla, ma
quegli interventi sono la grande opera di cui abbiamo bisogno". Numerose altre
stime tecniche ed economiche parlano tutte di cifre che oscillano appunto fra i
25 e i 40 miliardi di euro. Ovvero fra circa 1/3 e 1/4 di quanto abbiamo speso
in 50 anni per ricostruire dopo i terremoti.”
Detto questo gli
esperti omettono di dire che il costo della prevenzione va quasi tutto a carico
del privato, salvo quella minima parte a carico del pubblico, secondo la sua
pertinenza, mentre la ricostruzione, con tutte le sue deficienze, è tutta a
carico del pubblico. Bene. Si dimenticano i cosiddetti esperti che i cittadini
italiani non sono come i profughi, ospitati negli alberghi a 5 stelle e con
vitto gratis. I cittadini italiani hanno bisogno di un tetto sulla testa, anche
abusivo e prevedibilmente pericolante. Abusivo, stante l’incapacità degli
amministratori locali di prevedere un Piano Urbanistico Generale. I soldi son
pochi e non ci sono per lussi, burocrati e prevenzione. L'alternativa al tetto
insicuro sono le arcate dei ponti. Spesso i cittadini italiani, se non ci
fossero i morti a corredo, sarebbero contenti dei terremoti, in quanto
gioverebbero della ricostruzione delle loro vecchie case. Lo stesso vale per le
alluvioni ed altri eventi naturali.
Antonio Giangrande:
L’abbattimento delle case private. Abusivo: Condonato e distrutto.
L’inerzia delle amministrazioni pubbliche: ambientalismo militante e toghe
politicizzate.
Il
privato con diritto alla casa, rinunciando all’assegnazione o all’occupazione
abusiva di un appartamento pubblico, non aspetta i tempi biblici degli
intimoriti amministratori che, per interessi privati o per lo spauracchio
dell’abuso d’ufficio, negano il diritto ad una salubre esistenza, non adottando
gli strumenti urbanistici adeguati, o non approvando in tempi accettabili un
progetto lecito presentato. Il buon padre di famiglia provvede, per necessità, a
dare un tetto ai suoi cari, investendo i risparmi di una vita. Chi è abituato a
chiedere ed a ottenere una casa senza sudore della sua fronte in conto alla
comunità, si oppone a tutto ciò.
Antonio Giangrande: Fognature, depuratori, allacci e salassi.
Con
questa mia, tratto di un posto, ma è riferito a tutto il territorio pugliese:
imposizione dei siti di raccolta e smaltimento delle acque nere, con
l’aggravante dello scarico a mare, ed imposizione di salassi per servizi non
resi.
Più
volte, inascoltato, ho parlato del depuratore-consortile di Manduria-Sava,
viciniori alla frazione turistica di Avetrana, con il progetto dello scarico a
mare delle acque reflue. L’ho fatto come portavoce dell’associazione “Pro
Specchiarica” (zona di recapito della condotta sottomarina di scarico) e come
presidente nazionale della “Associazione Contro Tutte le Mafie”. Il progetto sul
depuratore e sullo scarico a mare fu avviato da Antonio Calò e proseguito da
Francesco Saverio Massaro, Paolo Tommasino, Roberto Massafra. I governatori e le
giunte regionali hanno autorizzato i depuratori e gli scarichi a mare, (quindi
non solo quello consortile di Manduria-Sava posto a confine al territorio di
Avetrana e sulla costa). I vari governatori sono stati Raffaele Fitto del centro
destra e Nicola Vendola del centro sinistra. Entrambi gli schieramenti hanno
preso per il culo (intercalare efficace) le cittadinanze locali, preferendo fare
gli interessi dell’Acquedotto pugliese, loro ente foriero di interessi anche
elettorali. Le popolazioni in rivolta, in particolare quelle di Avetrana, sono
sobillate e fomentate da quei militanti politici che ad Avetrana hanno raccolto,
prima e dopo l’adozione del progetto, i voti per Antonio Calò alle elezioni
provinciali e per tutti i manduriani che volevano i voti di Avetrana. Il sindaco
Luigi Conte, prima, e il sindaco Mario De Marco, dopo, nulla hanno fatto per
fermare un obbrobrio al suo nascere. Conte ha pensato bene, invece, con i soldi
pubblici, di avviare una causa contro Fitto per la riforma sanitaria. In più,
quelli del centro destra e del centro sinistra, continuavano e continuano ed
essere portatori di voti per Raffaele Fitto e per Nicola Vendola, o chi per loro
futuri sostituti, e per gli schieramenti che li sostengono. Addirittura Pietro
Brigante sostenitore dell’amministrazione Calò nulla ha fatto per rimediare allo
scempio. Brigante, nativo di Avetrana e candidato sindaco proprio di Avetrana.
Ma
oggi voglio parlare d’altro, sempre in riferimento all’acquedotto pugliese e al
problema depurazione delle acque. In generale, però. Giusto per dire: come ci
prendono per il culo (intercalare efficace).
Di
questo come di tante altre manchevolezze degli ambientalisti petulanti e
permalosi si parla nel saggio “Ambientopoli. Ambiente svenduto”. E’ da venti
anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale.
Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana
editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo,
ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti
all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su
Amazon.it.
L’acquedotto Pugliese ha fretta per l’inizio dei lavori del depuratore di
Manduria e Sava e della relativa condotta sottomarina. L’ente idrico ricorda che
i finanziamenti accordati dalla Regione Puglia per la realizzazione dell’opera
già appaltata, sono fruibili entro il 31 dicembre del 2015. Quindi solo di
speculazione si tratta: economica per l’AQP; politica per gli amministratori
regionali in previsione delle elezioni regionali??
Si
parla sempre di Depurazione e scarico in mare. Perché non si parla mai di
Fitodepurazione? Perché non fornire agli operatori del settore significativi
spunti di riflessione attorno ai vantaggi e alle opportunità reali della
fitodepurazione? La fitodepurazione non è solo una tecnica naturale di rimozione
degli inquinanti utilizzabile per i reflui di provenienza civile, industriale ed
agricola: è, allo stesso tempo, strumento efficace di miglioramento e
salvaguardia ambientale. Rappresenta, altresì, una risposta concreta ed
economicamente interessante nella gestione delle acque di scarico di derivazione
civile ed industriale. Invece no. Nulla si guadagnerebbe!
Ma
andiamo avanti. Il Sindaco di Avetrana Mario De Marco con Ordinanza n. 7 del 15
aprile 2014 Prot. n. 2543, impone l’allaccio obbligatorio alla rete fognaria
entro luglio 2014. Tutto il paese è nel panico per quanto riguarda le opere di
allaccio, tenuto conto che la maggior parte sono vecchie case ed i collegamenti
partono dalla parte posteriore delle abitazioni. Migliaia di euro di spesa. Il
Sindaco è a posto. I cittadini, no!
Ma la
beffa è che, per chi più onesto degli altri è stato pronto a contrarre il
servizio, rispetto ad altri più riottosi o addirittura omittenti, dal 1° maggio
2014 gli sono addebitati in bolletta la quota fissa e variabile di fognatura e
depurazione, per sé ed anche per i terremotati. Una mazzata. Peccato, però, che
l’allaccio non c’è e non si sa quando ci sarà.
Quindi
i depuratori si costruiscono con i finanziamenti regionali e il servizio si paga
anche se non c’è? Mi chiedo dove si impara a fare impresa in questo modo. Vorrei
sapere chi sono i docenti.
Svista, speculazione, o cosa? Ma intanto il sindaco Mario De Marco è a posto con
la sua coscienza e la sua responsabilità amministrativa. Così come per il
depuratore di Manduria, vale anche per il depuratore di Avetrana.
Imposizione dei siti di raccolta e smaltimento delle acque nere, con
l’aggravante dello scarico a mare ed imposizione di salassi per servizi non
resi. Spero che questo succeda solo ad Avetrana, perché se succede in tutta la
Puglia (e a me risulta di sì), be’ stiamo proprio freschi e salassati!
Dr
Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: DEPURATORI DELLE ACQUE E POLEMICHE STRUMENTALI. UN
PROBLEMA NAZIONALE, NON LOCALE
Come
si butta via l’acqua. Lo spreco di una risorsa naturale essenziale per la vita e
lo sviluppo economico.
Diritto alla salute o idolatria naturista? Politica malsana o interessi
economici? Disatteso fabbisogno di acqua o inquinamento delle acque
superficiali? Tutto questo parlame coinvolge tutti i cittadini, mentre la
magistratura sta a guardare…..
«Per
secoli si sono sversate in falda sotterranea o nei canali di scolo le acque
reflue di origine urbana, quando esse non erano riutilizzate. La natura auto
depurava l’insano liquido. Poi con l’industrializzazione sono nati i problemi di
inquinamento delle risorse idriche. E sono nati i depuratori ed il business del
trattamento delle acque reflue. Oggi è una vergogna solo starne a parlare.
Scegliere tra il riuso e lo spreco o l’inquinamento? Solo i mentecatti possono
decidere di buttare a mare o in falda una risorsa naturale limitata! Solo i
criminali scelgono di inquinare l’ambiente e impedire lo sviluppo economico!»
Questo
denuncia il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte
le Mafie” ed autore del libro “Ambientopoli” pubblicato su Amazon.
Si
definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) il
processo di rimozione dei contaminanti da un'acqua reflua di origine urbana o
industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti
organici e/o inorganici. Le acque reflue non possono essere reimmesse
nell'ambiente tal quali poiché i recapiti finali come il terreno, il mare, i
fiumi ed i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di sostanze
inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa. Il trattamento di
depurazione dei liquami urbani consiste in una successione di più fasi (o
processi) durante i quali, dall'acqua reflua vengono rimosse le sostanze
indesiderate, che vengono concentrate sotto forma di fanghi, dando luogo ad un
effluente finale di qualità tale da risultare compatibile con la capacità
autodepurativa del corpo ricettore (terreno, lago, fiume o mare mediante
condotta sottomarina o in battigia) prescelto per lo sversamento, senza che
questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista dell'ecosistema ad
esso afferente). . Il ciclo depurativo è costituito da una combinazione di più
processi di natura chimica, fisica e biologica. I fanghi provenienti dal ciclo
di depurazione sono spesso contaminati con sostanze tossiche e pertanto devono
subire anch'essi una serie di trattamenti necessari a renderli idonei allo
smaltimento ad esempio in discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura tal
quale o previo compostaggio.
Il
problema che ci si pone è: la depurazione è effettivamente eseguita? Le acque
reflue depurate dove possono essere reimmesse? In grandi vasche o bacini per il
riuso in agricoltura od industria, o smaltite inutilizzate in mare o nei fiumi o
direttamente in falda? Quale è la valenza economica per tale decisione? Quale
conseguenza ci può essere se la depurazione è dichiarata tale, ma non è invece
effettuata?
L'acqua di riuso, costa di più dell'acqua primaria, sotterranea o superficiale,
per questo è conveniente smaltire ed inquinare il mare o la falda con le acque
che i gestori dicono essere depurate. Affermazioni infondate? No! Peggiora lo
stato di salute del nostro mare. Imputato numero uno è la «mala depurazione»:
130 i campioni risultati inquinati dalla presenza di scarichi fognari non
depurati - uno ogni 57 km di costa - sul totale delle 263 analisi
microbiologiche effettuate dal laboratorio mobile di Goletta Verde, storica
campagna di Legambiente, in quest'estate. Un dato in aumento rispetto all’anno
precedente,quando era risultato inquinato 1 punto ogni 62km.
Su
queste basi ultimamente è salita alla ribalta la presa di posizione con relative
proteste di alcune località costiere. La popolazione non vuole lo scarico a
mare. Ma come sempre nessuno li ascolta.
Ogni
estate la bellezza incontaminata del nostro mare è messa a rischio dalla pessima
gestione di depuratori e scarichi a mare da parte di istituzioni e
amministrazioni pubbliche. Ed il turismo ne paga le conseguenze. E’ da qualche
anno ormai che l’inizio della bella stagione ci pone l’inquietante dubbio di
quale sarà il tratto di costa a chiazze marroni che dovremo evitare e, quel che
è peggio, leggiamo distrattamente delle proteste del comitato di turno, quasi la
cosa non riguardasse tutti noi. La situazione è molto delicata e non mette a
rischio solo ambiente e salute, ma anche la possibilità di fare del nostro mare
il principale volano di sviluppo del territorio. Le maggiori criticità
riguardano i comuni di Manduria, Lizzano, Pulsano e il capoluogo Taranto ed è
perciò facile capire come la situazione vada letta nel suo insieme, poiché
finisce per riguardare tutta la litoranea orientale.
Oggi
in Puglia il servizio di depurazione copre il 77% del fabbisogno totale, secondo
i dati forniti dal Servizio di tutela delle acque della Regione e contenuti nel
Piano di tutela delle acque. Numeri che evidenziano come poco meno di un milione
di cittadini pugliesi scarica i propri reflui senza che questi vengano depurati.
Sono 187 i depuratori che coprono il servizio su tutto il territorio regionale,
ma su cui insistono ancora problemi di funzionamento, criticità e situazioni
irrisolte che in alcuni casi rendono inefficace la depurazione dei reflui.
Innanzitutto c’è la questione dei 13 impianti che scaricano in falda, con grave
rischio di inquinamento delle acque sotterranee. Poi ci sono i depuratori che
presentano problemi nel funzionamento e i cui scarichi risultano non conformi,
come certificano i dati Arpa relativi al 2012. La causa di queste anomalie
deriva dal cattivo funzionamento degli impianti, causato in alcuni casi anche
all’ingresso nei depuratori di reflui particolari (scarti dell’industria
casearia o olearia, industriali o un apporto eccessivo di acque di pioggia
spesso legate alla incapacità dei tessuti urbani di drenare l’acqua). Un
problema che riguarda il 39% degli impianti a livello regionale secondo i dati a
disposizione dell’Acquedotto pugliese, ma che in alcune province arriva ad oltre
l’80%, come nel caso dei depuratori della BAT. La Puglia, inoltre, come si
evince dal dossier Mare Monstrum di Legambiente, è la quarta regione a livello
nazionale per numero di illeciti legati all’inquinamento del mare riscontrati,
con 261 infrazioni, pari al 10,1% sul totale, 328 fra le persone denunciate e
arrestate e 156 sequestri.
Le
norme violate sono quelle previste dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.
152, Norme in materia ambientale e comunque il reato contestato è il getto
pericoloso di cose. Ma non tutte le procure della Repubblica si muovono
all’unisono.
Avetrana, Pulsano, Lizzano, Nardò, ecc. Il problema, però, come si evince, non è
solo pugliese. Il riuso delle acque nessuno lo vuole. Eppure il fabbisogno di
acqua cresce. Recentemente, con la crescita della sensibilità ambientale in
tutto il pianeta, il tema del riutilizzo delle acque si sta diffondendo sempre
più: anche l’Unione Europea si è spesso occupata di riutilizzo delle acque
reflue, ma solo recentemente questo tema è entrato nel Piano di Azione volto ad
individuare criteri e priorità per il finanziamento di nuovi progetti nel campo
della gestione delle risorse idriche. Il riutilizzo in agricoltura delle acque
usate è una pratica diffusa in molti paesi e sempre più spesso raccomandata
dagli organismi internazionali che promuovono lo sviluppo sostenibile; tra i
paesi che hanno la maggior esperienza nel settore è bene ricordare gli Stati
Uniti e lo Stato di Israele.
La
vicepresidente e assessore all'Assetto del Territorio della Regione Puglia,
Angela Barbanente, ha diffuso questa nota sulla questione della depurazione in
Puglia. «La mia opinione è che “la politica si manterrà chiacchierona,
rincorrendo ora l’uno ora l’altro contestatore” sino a quando, in questo come in
altri campi, mancherà di una visione chiara, condivisa, realizzabile. La visione
che occorre perseguire, questa sì senza tentennamenti se si hanno a cuore la
salvaguardia e il risanamento dell’ambiente, e quindi la salute dei cittadini,
dovrebbe innanzitutto prevedere il massimo possibile riutilizzo delle acque
depurate in agricoltura o per usi civili. Non è ammissibile, infatti, che nella
Puglia sitibonda si butti in mare l’acqua depurata mentre nei paesi nordeuropei
ricchi di acque superficiali si adottano ordinariamente reti duali per evitare
di sprecare la risorsa! Inoltre, ove possibile e specialmente nelle aree
turistiche, si dovrebbe fare ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali
il lagunaggio o la fitodepurazione.»
Non ha
tutti i torti e sentiamo di sposare le sue parole. Nell'ultimo decennio sono
state registrate annate particolarmente siccitose con una ridotta disponibilità
di risorse idriche tradizionali. Le cause sono dovute in parte ai mutamenti
meteo climatici ma anche al crescente peso demografico e turistico, ai maggiori
fabbisogni connessi allo sviluppo economico industriale, agricolo (anche se in
questi ultimi anni pare affermarsi un'inversione di tendenza complice la crisi
economica) e civile. Ciò implica la necessità di avviare cambiamenti radicali
nei comportamenti e nelle abitudini di cittadini e aziende finalizzati al
risparmio idrico, di reperire nuove fonti di approvvigionamento e al contempo di
incentivare in tutte le forme possibili il riuso delle acque depurate. Il
riutilizzo delle acque reflue costituisce una fonte di approvvigionamento idrico
alternativo ai prelievi da falda, e rappresenta una buona pratica di gestione
sostenibile delle acque che consente di fronteggiare lo stato di crisi
quali-quantitativa in cui versa la risorsa idrica. Infatti attraverso il
riutilizzo si limita il prelievo delle acque sotterranee e superficiali e si
riduce la riduzione dell'impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori.
Questa
lotta di civiltà ci deve coinvolgere tutti, senza tentennamenti ed ipocrisie,
fino all’estremo gesto di non votare più i nostri partiti di riferimento con gli
amministratori regionali che decidono contro gli interessi della collettività.
E
passiamo oltre al fatto che i sindaci ci obbligano a contrarre in termini
perentori il servizio di smaltimento delle acque con i gestori locali, che sono
anche i gestori dei depuratori. I sindaci si mettono a posto per eventuali
screzi legali. I cittadini pagano un oneroso tributo in termini di spese di
allaccio e di smaltimento per un servizio che non si sa se e quando si attiverà.
Un altro balzello che si dovrebbe invece chiamare “Pizzo”.
Dr Antonio Giangrande
Ed ancora in tema
di prevenzione non bisogna dimenticare poi gli esperti sanitari che ci propinano
consigli sulla prevenzione delle malattie, specie tumori ed infarti. Impossibile
da seguire. E non stiamo parlando delle vecchie ed annose liste di attesa o
dell'impedimento al ricorso del pronto soccorso ormai solo aperto ai casi
pre-morte.
Il 21 gennaio 2016
è entrato in vigore il cosiddetto “decreto Lorenzin” sull’appropriatezza delle
prescrizioni approvato il 9 dicembre 2015. Il decreto che porterà alla stretta
sulle prescrizioni di visite mediche ed esami a rischio di inappropriatezza ed
il giro di vite riguarderà oltre 200 prestazioni di specialistica ambulatoriale,
scrive Rai News. E' stato infatti pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 gennaio
il decreto "Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza
prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell'ambito
del Servizio sanitario nazionale". Si tratta di prestazioni di Odontoiatria,
Genetica, Radiologia diagnostica, Esami di laboratorio, Dermatologia
allergologica, Medicina nucleare. Il decreto Enti locali da cui scaturisce il DM
appropriatezza, prevede che le 203 prestazioni se prescritte AL DI FUORI DELLE
CONDIZIONI DI EROGABILITA' contemplate dal DM saranno poste A TOTALE CARICO DEL
PAZIENTE. Esempio. "Ai fini dell’applicazione delle condizioni di erogabilità
nella prescrizione delle prestazioni di radiologia diagnostica di cui al
presente decreto, per la definizione del «sospetto oncologico» di cui
all’allegato 1, note n. 32, 34, 36, 38 e 40 devono essere considerati i seguenti
fattori: 1) anamnesi positiva per tumori; 2) perdita di peso; 3) assenza di
miglioramento con la terapia dopo 4-6 settimane; 4) età sopra 50 e sotto 18
anni; 5) dolore ingravescente, continuo anche a riposo e con persistenza
notturna. Altro esempio. L'esame del colesterolo totale: le condizioni di
erogabilità dell'esame a carico del Ssn prevedono che sia da eseguire come
screening in tutti i soggetti di età superiore a 40 anni e nei soggetti con
fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per dislipidemia o eventi
cardiovascolari precoci. Ma in assenza di valori elevati, modifiche dello stile
di vita o interventi terapeutici, si precisa, l'esame è da ripete a distanza di
5 anni. Per quanto riguarda poi le condizioni di erogabilità delle prestazioni
odontoiatriche, si valuteranno le condizioni di "vulnerabilità sanitaria"
(condizioni sanitarie che rendono indispensabili le cure odontoiatriche) o di
"vulnerabilità sociale" (ovvero di svantaggio sociale ed economico). Anche per
l'erogazione delle dentiere sono previsti gli stessi criteri. Secondo Costantino
Troise, segretario del maggiore dei sindacati dei medici dirigenti,
l'Anaao-Assomed, "da oggi, per sapere come curare, i medici dovranno leggere la
gazzetta ufficiale e non più i testi scientifici".
E dulcis in fundo
ci sono gli esperti dei sinistri stradali. Quelli che dicono è sempre colpa
dell'insobrietà, della disattenzione e della velocità dell’autista. Questi
signori probabilmente non conoscono le cause dei sinistri:
riconducibili al
conduttore (inabilità alla guida permanente o temporanea);
riconducibili al
mezzo (malfunzionamento delle componenti tecniche per tutti i veicoli o
bloccaggio del motore per le moto);
riconducibili alla
strada (sconnessione o ostacoli improvvisi o non segnalati);
riconducibili ad
eventi atmosferici che limitano visibilità o aderenza.
In conclusione la
prevenzione spesso e volentieri è impossibile attuarla per l’imprevedibilità
degli eventi, ma ancor di più per i costi e per la burocrazia esosa ed
assillante ed è inutile che in tv gli esperti ce la menano sulla prevenzione: la
realtà la impedisce.
Dr Antonio
Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande:
Una
persona può essere sana o avere qualche malattia.
Le
malattie sono curabili secondo l'evoluzione della scienza riconosciuta dalle
istituzioni e dalle lobby farmaceutiche, e/o la preparazione dei medici, e/o nel
caso della prevenzione e della scoperta nei tempi giusti.
La
sanità italiana non permette la prevenzione o la cura adeguata, tenuto conto
delle liste di attesa dovute alla gestione privatistica della sanità dei baroni
e, spesso, della svogliatezza e dell’impreparazione dei medici.
Un
malato: o è curabile o è terminale.
Al
malato curabile si somministrano le terapie necessarie prescritte da uno
specialista voglioso e preparato.
Il
malato terminale, in base al censo ed alla famiglia, si abbandona o gli si
somministrano le terapie palliative.
La
parola palliativo deriva dalla parola latina pallium che significa mantello,
protezione.
Per
cure palliative si intende “l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici
e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare,
finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base,
caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non
risponde più a trattamenti specifici”. (Legge n.38/1 Art. 2-Definizioni)
Le
cure palliative, quindi, sono quell'insieme di cure, non solo farmacologiche,
volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase
terminale che della sua famiglia.
La
cura palliativa per i pazienti agiati in Italia diventa, spesso, accanimento
terapeutico. I familiari, o solo per imposizione di alcuni di essi in contrasto
con il resto della famiglia, o il malato, servito e riverito, protraggono
egoisticamente la cessazione della vita di qualche giorno, al costo di immani
sofferenze per il malato stesso con interventi chirurgici e cure inutili, che
non vuol cessare una vita, spesso inutile per sè stesso e per la società, e con
molti oneri assistenziali per loro da parte dei familiari e della sanità
pubblica.
Quando
si decide di dire basta alle cure palliative, non è eutanasia egoistica, ma vero
senso di carità per una morte dignitosa e caritatevole.
Quale
valore affettivo vuol significare vedere il proprio caro sofferente in perenne
stasi o in catalessi con il catetere per l'urina, la pala al culo, la flebo
attaccata, il sondino per l'alimentazione. l'occhialino dell'ossigeno?
Quale
interesse è per il malato terminale a cui si danno false speranze di guarigione,
facendolo morire disperato, anziché accompagnarlo ad una morte serena e
consapevole?
Il Diritto e la
Pretesa.
La gioventù e la
vecchiaia sono facce della stessa medaglia. In entrambe le fasi della vita c’è
qualcuno che dipende da un altro, che se ne prende cura.
I giovani sono
mantenuti, istruiti ed educati dai vecchi.
I vecchi sono
mantenuti dai giovani.
Cosa vuol dire e
qual è la differenza.
Vuol dire che c’è
un obbligo giuridico a carico di giovani e vecchi.
La differenza è che
i giovani non possono scegliere, né pretendere, ma solo, eventualmente,
recriminare. A loro viene dato il mantenimento, l’istruzione e l’educazione
secondo i canoni familiari di appartenenza, che la fortuna gli ha riservato, e
da lì dipende il loro futuro. Lo Stato interviene ove la famiglia manca
fisicamente o per incapacità, ma non è sempre un giovamento. Spesso l’intervento
è tardivo, o mancante, o nocivo. Ergo: essi non si discostano dalla falsa riga
culturale ed economica di appartenenza.
I vecchi, invece,
possono scegliere. Si diceva: i giovani sono i bastoni della vecchiaia dei
genitori. E i genitori questo dogma l’hanno preso alla lettera, tanto che si
creavano più di un bastone: famiglie con tanti figli. Figli che erano bastoni
anche della gioventù dei genitori, perché lavoravano per loro.
Gli odierni vecchi
sono persone che hanno usufruito del pensionamento in tenera età e si son goduti
la vita. Si sentono giovani e non hanno nessuna voglia di morire. Hanno una
bella pensione, spesso aggiunta a quella di reversibilità del coniuge. Quindi,
non hanno bisogno di mantenimento, come per legge. E lì finisce l’obbligo dei
figli nei loro confronti.
Invece, ad un certo
punto i vecchi, però, fanno i capricci. Vogliono l’assistenza!!! Perché così fan
tutti.
Fa niente se sono
stati cattivi genitori e non la meritano: loro la pretendono.
L’assistenza,
secondo i vecchi, è che i figli li devono accudire come bambini: averli presenti
fisicamente notte e giorno con loro. Come moderni schiavi. Fa niente che questi
hanno la loro famiglia ed il loro lavoro: i loro obblighi verso i loro figli.
I vecchi pensano
solo per loro. Non vogliono lasciare la loro casa per stare, per comodità, con i
figli. Spesso non dormono la notte e non fanno dormire i presenti, perché hanno
paura di morire nel sonno o hanno delle allucinazioni, come le apparizioni di
persone care defunte. Mentre di giorno poltroneggiano, di notte si mettono a
camminare in casa. Vogliono essere accompagnati al bagno, per paura di cadere, o
imboccati quando mangiano, per paura di sporcarsi. Voglio essere accuditi come
malati, con medico ed infermiera al seguito. Medicine e visite mediche
periodiche non devono mancare. Vogliono essere ascoltati. Parlano e parlano,
dicendo sempre le stesse cose. Le loro opinioni sono incontestabili. Quindi, non
sono persone incapaci, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per
altra causa, di provvedere a sé stesse. E quantunque fosse, lo Stato offre
l’intervento dei Servizi Sociali, la possibilità dell’accompagnamento e
dell’esenzioni mediche, oltre che delle agevolazioni della legge 104. Tra
pensioni ed accompagnamento si ha la possibilità della Residenza per anziani o
della badante. Ma loro vogliono i figli senza pagare.
Eppure, se non fai
come loro pretendono, ti minacciano di diseredarti per qualcosa che non hai
ancora avuto, o ti rinfacciano qualcosa che ti hanno dato. Fosse anche niente,
ma per loro è tantissimo. Comunque, non mi sembra che nell’aldilà qualcuno abbia
portato le cose terrene con sé.
Insomma, alla fine,
riescono a rovinare tutto quel di buono vi era stato nei rapporti in famiglia.
Io spero di non
diventare come loro e, magari, di morire prima…anche se vecchio già lo sono.
I Genitori.
Art. 30 della
Costituzione:
“E’ dovere dei
genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal
matrimonio.
Nei casi di
incapacità dei genitori, la legge provvede che siano assolti i loro compiti”.
Dispositivo
dell'art. 147 Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262):
Codice Civile LIBRO
PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo VI - Del matrimonio Capo IV - Dei
diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio
Il matrimonio
impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e
assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni
naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315
bis Dispositivo dell'art. 315 bis Codice Civile
Codice Civile LIBRO
PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo IX - Della responsabilità
genitoriale e dei diritti e doveri del figlio Capo I - Dei diritti e doveri del
figlio
Il figlio ha
diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai
genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e
delle sue aspirazioni.
Il figlio ha
diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i
parenti.
Il figlio minore
che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di
discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le
procedure che lo riguardano.
Il figlio deve
rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità,
alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia
finché convive con essa.
I Figli.
Articolo 433 Codice
Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262)
Codice Civile LIBRO
PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo XIII - Degli alimenti
All'obbligo di
prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli;
3) i genitori e, in
loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;
4) i generi e le
nuore;
5) il suocero e la
suocera;
6) i fratelli e le
sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Dispositivo
dell'art. 591 Codice Penale:
Codice Penale LIBRO
SECONDO - Dei delitti in particolare Titolo XII - Dei delitti contro la
persona Capo I - Dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale
Chiunque
abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona
incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di
provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è
punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Alla stessa pena
soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni
diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
La pena è della
reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da
tre a otto anni se ne deriva la morte.
Le pene sono
aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal
coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
L'obbligo di
assistenza ai genitori anziani.
Da
studiolegalecastagna.it il 12 gennaio2023
I dati demografici
degli ultimi anni, come noto, mostrano un progressivo invecchiamento della
popolazione che pone spesso di fronte al problema di anziani in stato di
bisogno che vivono soli o che possono essere a tutti gli effetti
considerati genitori abbandonati dai loro figli.
All'interno del
nostro codice civile, come è noto, è previsto l'obbligo dei genitori di
prendersi cura dei propri figli e mantenerli sino al raggiungimento della loro
completa autonomia economica.
Tuttavia, meno
conosciuto ma non meno importante, potrebbe essere il corrispondente obbligo dei
figli, nei confronti dei propri genitori, i quali si trovino in stato di bisogno
e incapacità a provvedere al proprio mantenimento, sancito dall'art. 433 c.c.
Inoltre, se i
genitori ormai anziani vengono lasciati a sé stessi, i figli e/o i nipoti
potrebbero rischiare di incorrere nel reato previsto dall'art. 591 c.p., il
quale sanziona l'abbandono di persone incapaci.
Per sapere quando
questo reato sussista, occorre partire dall'articolo stesso del codice penale,
secondo cui: chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici,
ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o
per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o
debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Tali pene vengono
aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal
coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
Tale fattispecie è
stata più volte interpretata dalla Corte di Cassazione, il cui precedente
orientamento, prevedeva che ai fini della sussistenza del reato di abbandono di
persone incapaci, era necessario accertare in concreto l’incapacità del soggetto
passivo di provvedere a sé stesso.
A differenza dei
bambini, che a prescindere vengono considerati incapaci fino al compimento dei
14 anni, per quanto riguarda gli anziani va valutato caso per caso, in quanto
l'età avanzata, di per sé, non può essere considerata motivo invalidante.
Con la conseguenza
che, non essendoci presunzione di incapacità per la vecchiaia, in quanto
condizione non patologica, abbandonare il genitore anziano senza malattie
specifiche, non poteva costituire reato.
Con la sentenza n.
44098/2016 la Corte cambia orientamento: il caso trattava di un anziano, padre
della ricorrente, il quale trovandosi in uno stato di precaria salute e
sostanzialmente abbandonato dalla figlia, sarebbe stato posto in pericolo.
La ricorrente era,
infatti, stata condannata per abbandono di incapace dal tribunale di primo
grado, con sentenza confermata anche dalla Corte d’appello di Bari.
La donna tuttavia
si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando un'errata applicazione
dell’art. 591 c.p., poiché il pericolo per l’incolumità fisica derivante
dall’inadempimento dell’obbligo di assistenza, non poteva sussistere, in quanto
il padre non era mai stato affidato alla sua custodia. In aggiunta, precisava
che l'impossibilità di assistere il padre derivava dalla necessità di accudire i
propri figli.
La Cassazione ha
ritenuto tutti i motivi presentati dalla ricorrente infondati, sancendo che:
"l’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è
integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere
giuridico di cura (o di custodia) gravante sul soggetto agente, da cui derivi
uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità
dei soggetto passivo"; sottolineando, inoltre, come dalle precedenti sentenze,
soprattutto di primo grado, il Giudice abbia ampiamente motivato sul tema del
dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo all’imputata
verso il padre.
Tale motivazione
viene fondata sull'interpretazione sistematica di diverse norme, sia di livello
costituzionale, che riguardano il riconoscimento della famiglia come società
naturale, il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la
personalità dei singoli e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale (artt.
3 e 29 Cost.), sia di quelle del codice civile che impongono il dovere di
rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in
caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio
mantenimento ( art. 433 c.c.).
La Corte di
Cassazione si sofferma infine sul dovere di cura gravante sulla donna, sancendo
che chi lascia il proprio genitore anziano da solo, in condizioni di grave
incapacità fisica o mentale, anche senza una patologia specifica ma
semplicemente per vecchiaia, risponde del reato di abbandono di persone
incapaci, così come previsto dall'art. 591 c.p., sancendo che l’obbligo di
accudire i genitori non è più unicamente morale, ma stabilito per legge, grazie
anche ai rinvii operati alla Costituzione e al codice civile.
Legge 104
assistenza genitori anziani: come funziona?
Da epicura.it
3/2/2023
Indice
1. Assistenza
genitori anziani da parte dei figli
2. Legge 104: a chi
spetta?
3. Legge 104 e
permessi: come funziona?
4. Legge 104: come
fare domanda?
5. Assistenza
genitori anziani: due anni di congedo retribuito
In Italia, più di
14 milioni gli anziani necessitano di cure e assistenza continua perché non più
autosufficienti.
Negli ultimi anni,
infatti, la figura di Caregiver familiare ha assunto un ruolo di primaria
importanza. Con questo termine, s'intende "colui che si prende cura”, ovvero
tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato o disabile.
Tuttavia, ad oggi
chi svolge questa attività di assistenza non è ancora formalmente tutelato da un
quadro normativo.
L'unica modalità
concessa dallo Stato Italiano è rappresentata dalla Legge 104 per l'Assistenza
di Genitori Anziani, ovvero riconoscimento per un familiare che accudisce un
parente anziano, con copertura da parte dello Stato dei contributi
maturati durante l'assistenza e il lavoro svolto prendendosi cura del soggetto,
equiparandoli a quelli che si maturano come lavoro domestico.
Assistenza genitori
anziani da parte dei figli
Un genitore, per
quanto possibile, desidera trascorrere il resto della sua vita nella casa dove
ha visto nascere e crescere la propria famiglia. Si sente più tranquillo e
sereno se a occuparsi di lui è un figlio o comunque una figura familiare, con la
quale ha confidenza e intimità.
Prendersi cura di
un genitore anziano è un atto meraviglioso, dettato dall’affetto e dalla
necessità di garantirgli il necessario benessere emotivo, mentale e fisico.
Un desiderio
legittimo, a cui segue, però, un'attenta riflessione sul rovescio della
medaglia. Si tratta di un impegno che richiede nervi saldi, tempo, lavoro e
qualche sacrificio in più perché le attività da svolgere sono tante e onerose.
E se il familiare
da assistere non fosse autosufficiente o affetto da gravi patologie?
In questo caso, si
può usufruire dei permessi e degli strumenti descritti nella Legge 104 per
l’Assistenza ai Genitori Anziani.
Legge 104: a chi
spetta?
La Legge 104 si
applica a qualsiasi lavoratore dipendente, con un contratto a tempo
indeterminato o determinato e con a carico un familiare affetto da una grave
disabilità.
I soggetti che non
hanno diritto alla 104 sono i lavoratori autonomi, quelli a domicilio, i
lavoratori agricoli a tempo determinato occupati a giornata e chi svolge lavori
domestici e familiari.
Legge 104 e
permessi: come funziona?
Le agevolazioni previste dalla legge 104 / 92 per l’Assistenza dei Genitori
Anziani sono di natura fiscale, economica e lavorativa.
Uno degli aiuti più
importanti stabiliti dalla Legge 104 sono i giorni di permesso. La legge
stabilisce che chi ha un familiare con patologia invalidante o handicap grave,
ha diritto a 3 giorni al mese di permessi retribuiti. Inoltre, è possibile
frazionarli in ore purché non si superi il triplo delle ore lavorative
giornaliere.
Una recente
sentenza della Cassazione ha stabilito che è possibile richiedere il permesso
anche se il familiare è ricoverato in una struttura residenziale, a patto che
sia una casa di riposo e non una RSA dove è garantita un’assistenza sanitaria
continua.
A questa
agevolazione, ha diritto chi è in possesso di 3 requisiti specifici ovvero:
l'assistito deve
avere più di 65 anni
il grado di
parentela deve essere al massimo entro il terzo grado
il lavoratore deve
essere convivente o comunque abitare vicino al familiare anziano
L’assistenza
esclusiva dei genitori anziani da parte dei figli prevista dalla Legge 104
stabilisce che il permesso possa essere richiesto da un solo lavoratore
dipendente che diventa a tutti gli effetti un referente. Nel caso in cui una
persona debba assistere più familiari contemporaneamente, può usufruire di più
permessi.
Sarà necessario,
inoltre, programmare un piano accurato con le assenze previste da consegnare
all’amministrazione. L’INPS o datore di lavoro sono chiamati a effettuare
dei controlli finalizzati all’accertamento della presenza dei
requisiti richiesti dalla normativa.
Per quanto riguarda
la sede lavorativa, la Legge 104 dispone che il lavoratore abbia la facoltà di
scegliere quella più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito
senza il suo consenso. Allo stesso modo, è possibile rifiutare di lavorare in
orari notturni (7 ore consecutive a partire dalla mezzanotte) se si tratta di un
familiare non autosufficiente.
Legge 104: come
fare domanda?
Innanzitutto,
bisogna richiedere un certificato medico per attestare l’intera storia clinica
del genitore anziano da assistere. A compilarlo è il medico di base che, una
volta visitato il paziente, è tenuto a inviare telematicamente all’INPS l’intera
documentazione e a rilasciare il numero di protocollo.
Una volta in
possesso del numero di protocollo, bisogna inviare la richiesta della Legge 104
alla sede dell'INPS che, una volta visionata l’anamnesi del medico di base,
convocherà l'assistito per essere visitato dalla commissione medica della ASL di
appartenenza.
Se la diagnosi non
è sufficientemente chiara, la commissione potrà richiedere altri accertamenti.
In caso di esisto
positive, si provvederà al rilascio del verbale in cui sarà indicato in maniera
chiara e inequivocabile il grado di handicap grave ai sensi della Legge 104
articolo 3 comma 3.
Assistenza genitori
anziani: due anni di congedo retribuito
I lavoratori
dipendenti pubblici o privati possono usufruire anche di un’altra
importante agevolazione, ovvero il congedo straordinario biennale, frazionato o
continuativo, da richiedere nell’arco della vita lavorativa.
Il congedo
è retribuito sulla base dell’ultimo stipendio percepito, dà diritto
alla tredicesima ed è coperto dai contributi ai fini pensionistici.
Il requisito per
richiedere tale congedo è che l'assistito non sia ricoverato a tempo pieno e che
non presti attività lavorativa per il biennio in esame.
E se il figlio non
fosse convivente?
A chiarire la
questione, è intervenuto l’articolo 42 del D.Lgs. n.151/2001 che ha definito
"non prioritario il requisito della convivenza a patto che suddetta convivenza
abbia luogo entro l’anno dalla richiesta di congedo straordinario e sia
conservata per l'intera durata dello stesso".
La Legge 104 in
materia di Assistenza ai Genitori Anziani dispone che il figlio, se in possesso
di 20 anni di contributi, possa richiedere la pensione anticipata. L’assegno
mensile in questo caso non dovrà superare il tetto massimo di 1.500 euro lordi.
Tra i diritti
stabiliti dalla Legge 104 per l’Assistenza dei Genitori Anziani da parte dei
figli, c'è la possibilità di richiedere:
Indennità di
accompagnamento
Agevolazioni che
spettano per l’acquisto di attrezzature e accessori come le poltrone speciali
destinate ai non deambulanti
Detrazioni fiscali
per l’assunzione della badante, per l'acquisto di farmaci o per l’eliminazione
delle barriere architettoniche.
Alla base di quanto
descritto, la legge 104 rappresenta quindi un quadro normativo importante al
quale fare riferimento per agevolare la vita degli assistiti e dei loro figli.
In conclusione,
occuparsi di un caro non autosufficiente non è semplice: per questo è
fondamentale vagliare tutte le opzioni per trovare la soluzione che garantisca
la serenità alla persona anziana e a tutta la sua famiglia.
Figlio si occupa da
solo della madre malata, può chiedere il rimborso al fratello?
Il figlio che cura
gli anziani genitori adempie ad un’obbligazione naturale (articolo 2034 del
codice civile). Di Marcella Ferrari, Avvocato, Pubblicato il 19/03/202 su
altalex.com
Nelle famiglie,
capita spesso che uno dei figli si occupi, in via esclusiva, degli anziani
genitori (o di uno solo di essi) e che il fratello, vivendo in un’altra città,
se ne disinteressi. Il figlio che ha sempre assistito il genitore, che ha pagato
le cure e ha investito il proprio tempo nella gestione della casa, può chiedere
un rimborso all’altro?
Prima di rispondere
al quesito, analizziamo gli obblighi gravanti sui figli in relazione
all’assistenza degli ascendenti.
Sommario
L’obbligo degli
alimenti a carico dei figli
L’obbligo di
assistenza ai genitori
Le somme spese per
i genitori e l’obbligazione naturale
Un figlio che si
disinteressa dei genitori è indegno a succedere?
L’obbligo degli
alimenti a carico dei figli
Qualora gli anziani
genitori versino in stato di bisogno, poiché, ad esempio, la pensione non è
sufficiente per pagare tutte le spese o perché malati, grava sui figli l’obbligo
di alimenti (art. 433 c.c.). La legge richiede che il soggetto non sia in grado
di sopportare le spese fondamentali, come il vitto, l’alloggio, il vestiario e i
medicinali.
È irrilevante che
lo stato di bisogno sia imputabile al genitore che, ad esempio, ha dilapidato il
proprio patrimonio senza pensare al futuro. Il Codice civile indica un elenco di
soggetti obbligati a versare gli alimenti. Primo tra tutti, l’altro coniuge
(art. 433 n. 1 c.c.), anche se separato. Vi sono poi i figli e i discendenti
(art. 433 n. 2 c.c.) chiamati a fornire un aiuto qualora non vi sia un coniuge o
questi non possa soddisfare l’obbligo alimentare. Il diritto agli alimenti è
limitato allo stretto necessario ed è proporzionato alle condizioni economiche
dell’onerato.
Se il genitore ha
più di un figlio, tutti sono obbligati a concorrere alla prestazione in base
alle proprie capacità (art. 441 c. 1 c.c.).
Se il figlio non
intende versare alcuna somma, può ospitare in casa propria il genitore, in tal
modo adempiendo all’obbligo di legge (art. 443 c. 1 c.c.).
L’obbligo di
assistenza ai genitori
Il Codice penale
sanziona chi fa mancare i mezzi di sussistenza agli ascendenti con il reato di
“violazione degli obblighi familiari” punito con la reclusione fino a un anno o
con la multa da 103 a 1032 euro (art. 570 c.p.).
I mezzi di
sussistenza sono quelli indispensabili a soddisfare le necessità essenziali
della vita, come il cibo, l’abitazione e i medicinali. Inoltre, costituisce
reato l’abbandono di una persona incapace di provvedere a se stessa, per
malattia o per vecchiaia, o per altra causa, della quale si debba avere cura; la
fattispecie di reato è punita con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e le pene
sono aumentate se il fatto è commesso dal figlio (art. 591 c. 4 c.p.).
Dalla norma penale
emerge un generale dovere in capo ai figli di assistere i genitori.
Le somme spese per
i genitori e l’obbligazione naturale
Torniamo ora alla
domanda iniziale: il figlio che aiuta economicamente il genitore può chiedere il
rimborso al fratello?
La risposta è
negativa.
Il figlio che cura
gli anziani genitori adempie ad un’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.). Con
tale espressione, ci si riferisce alle somme versate spontaneamente in
esecuzione di doveri morali e sociali. Si tratta di doveri imposti dal principio
di solidarietà e il loro inadempimento comporta la disistima sociale. Ebbene,
simili prestazioni non sono ripetibili, ossia non è possibile chiederne la
restituzione.
Allora, cosa può
fare il figlio che accoglie il genitore nella propria abitazione per farsi
aiutare dai fratelli?
Come abbiamo visto,
tenere in casa il soggetto bisognoso rappresenta un modo in cui adempiere
all’obbligazione alimentare, pertanto, il genitore, in qualità di legittimato
attivo, può chiedere agli altri figli di versare gli alimenti, come prescritto
dal Codice civile e, in caso di loro rifiuto, rivolgersi al Tribunale per
ottenere una condanna in tal senso.
Molto spesso, il
figlio che ha accudito il genitore pensa di aver diritto ad una quota maggiore
dell’asse ereditario. Anche in questo caso, la risposta è negativa. Infatti, la
circostanza che uno dei figli si sia occupato in via esclusiva del genitore
anziano o malato, non incide sulle quote del patrimonio ereditario.
Un figlio che si
disinteressa dei genitori è indegno a succedere?
La morale e il diritto non sempre
vanno di pari passo. Infatti, anche se eticamente è biasimevole la condotta
noncurante di un figlio, non è possibile considerarlo giuridicamente come
indegno a succedere. L’istituto dell’indegnità (art. 463 c.c.) riguarda casi
tassativi come, ad esempio, l’ipotesi in cui un figlio attenti alla vita del
genitore. Solo in tale evenienza egli può essere escluso dall’asse ereditario,
perché l’indegnità rappresenta una causa di esclusione dalla successione. Al di
fuori di tali casi limite, tutti i figli succedono ai genitori in base alle
quote stabilite per
legge in assenza di testamento.
Quindi, il genitore
che intende “ricompensare” il figlio che si è preso cura di lui può farlo
tramite una disposizione testamentaria. Infatti, oltre alla quota di legittima,
che spetta di diritto anche all’altro figlio, il testatore è titolare di una
quota disponibile che può lasciare a chi desidera.
L’obbligo
alimentare dell’art 433 codice civile.
Studio Legale degli
Avv.ti Berti e Toninelli. Articolo pubblicato: 17 Febbraio 2022
Chi e come deve
versare gli alimenti ex art 433 codice civile
L’obbligo
alimentare dell’art 433 codice civile per chi versa in stato di bisogno
Nel Titolo XIII,
del primo libro del Codice Civile è contenuta la particolare disciplina inerente
gli obblighi alimentari: dell’art 433 codice civile all’art. 448 bis codice
civile si parla delle obbligazioni alimentari (conosciute anche come c.d.
diritto agli alimenti) alle quali alcuni soggetti sono tenuti, in virtù
dell’esistenza di vincoli familiari.
Presupposto del
diritto agli alimenti è lo “stato di bisogno”. Una delle ipotesi più frequente
è, ad esempio, quella del mantenimento genitore anziano non economicamente
autosufficiente.
Il fondamento delle
obbligazioni alimentari è individuato nei principi costituzionali
di solidarietà e assistenza.
L’art. 433 codice
civile indica i soggetti chiamati a prestare gli alimenti, secondo il principio
del grado, sulla base della intensità del legame personale con il soggetto
beneficiario.
In base all’elenco
dell’art 433 codice civile, il primo degli obbligati è il coniuge del
beneficiario. In sua assenza, sono obbligati i figli, gli ascendenti prossimi, i
generi/nuore, i suoceri ed infine i fratelli/sorelle. Obbligato è altresì
il donatario, cioè chi ha ricevuto una donazione dal beneficiario, ma nei limiti
del valore “residuo” della donazione ricevuta.
Dopo una breve
analisi generale sull’obbligazione alimentare, l’articolo si sofferma
sui presupposti, sulle cause di modifica e cessazione dell’obbligo e sui
soggetti obbligati.
Viene approfondita
soprattutto l’obbligazione nei confronti del coniuge e dei parenti affini:
l’articolo esamina se in caso di separazione consensuale gli alimenti continuano
ad essere dovuti, e qual è la sorte degli alimenti dopo il divorzio (se cioè
sono dovuti o meno gli alimenti al coniuge divorziato).
Viene esaminata
anche la dimensione processuale: in che modo il beneficiario può richiedere il
diritto agli alimenti. L’azione alimentare deve essere intrapresa dal
beneficiario, oppure dal suo tutore, curatore o amministratore di sostegno
(nominato tra i parenti e affini entro il quarto grado, oppure esterno alla
famiglia), previa autorizzazione del Giudice Tutelare
Questi sono gli
argomenti trattati:
Cos’è l’obbligo
alimentare ex art 433 codice civile?
L’art 433 codice
civile e le altre fonti delle obbligazioni alimentari
Quali sono i
presupposti dell’obbligazione alimentare ex art 433 codice civile
Art 433 codice
civile: cosa si intende per “stato di bisogno”
Gli alimenti nei
confronti del fallito: art 433 codice civile e dlgs 14/2019
Chi sono i soggetti
obbligati in base all’art 433 codice civile
Quando i figli (n.
2 dell’art 433 codice civile) sono obbligati al mantenimento del genitore
anziano
Quando si è
obbligati al mantenimento del suocero o della suocera (n. 4 dell’art 433 codice
civile)?
Quale differenza
tra alimenti e mantenimento
In caso di
separazione consensuale gli alimenti sono dovuti?
Devono essere
corrisposti gli alimenti dopo il divorzio?
Quando gli alimenti
sono dovuti nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto
Perché il donatario
precede tutti i soggetti indicati all’art 433 codice civile
Quali sono le
caratteristiche dell’obbligazione alimentare
Art 433 codice
civile: come si calcola l’assegno alimentare
Art 433 codice
civile: come devono essere versati gli alimenti
Come si richiedono
gli alimenti ai soggetti ex art 433 codice civile
Gli alimenti
urgenti e provvisori ex art 433 codice civile
Art 433 codice
civile: quando si modifica e si estingue l’obbligazione alimentare?
Cosa si rischia per
l’inadempimento ex art 433 codice civile
COS’È L’OBBLIGO
ALIMENTARE EX ART 433 CODICE CIVILE?
Nel codice civile
non viene fornita una vera e propria definizione di obbligo alimentare. Si
tratta dell’obbligo di garantire, ad una persona che versa in “stato di
bisogno”, le risorse economici sufficienti a soddisfare i bisogni primari, quali
il vitto e l’alloggio.
Tale obbligo può
sorgere sia in base ad una disposizione di legge, ed è il caso dell’art 433
codice civile, sia in base ad un testamento, sia infine in base ad
un contratto, quale la donazione in primis.
In via generale, i
caratteri distintivi dell’obbligo alimentare sono:
Lo stato di
bisogno del beneficiario: questo deve essere privo di risorse economiche
sufficienti a soddisfare i bisogni primari della persona e nella impossibilità
oggettiva di procurarseli.
Il
particolare legame che lega l’obbligato ed il beneficiario: può trattarsi di un
vincolo di famiglia (obbligati in base all’art. 433 del codice civile sono il
coniuge, i parenti e gli affini più prossimi) o meramente giuridico (la
donazione, oppure un diverso contratto, oppure ancora un lascito testamentario).
Secondo una recente pronuncia di merito (Trib. Lecce, sentenza 1418/2020) il
legame particolare può sostanziarsi anche nella convivenza di fatto (da non
confondere con la mera coabitazione) intesa quale vincolo affettivo.
L’entità della
prestazione deve essere commisurata alla situazione personale (non solo sul
piano economico, ma anche di età, salute, capacità lavorativa …) di chi la
richiede ed alle condizioni economiche di chi è tenuto a tale obbligo. Non può
comunque superare alcuni limiti, identificabili in base alla posizione sociale
dell’alimentando e ciò che appare necessario ai fini del suo sostentamento.
Nei prossimi
paragrafi saranno approfonditi i requisiti richiesti per procedere ex art. 433
codice civile all’identificazione dell’obbligato, nonché altri aspetti tecnici
dell’obbligo alimentare.
L’ART 433 CODICE
CIVILE E LE ALTRE FONTI DELLE OBBLIGAZIONI ALIMENTARI
Nel nostro
ordinamento sono previste diverse fonti da cui può sorgere l’obbligazione
alimentare.
Come anticipato la
fonte principale dell’obbligo alimentare è l’art. 433 codice civile, e cioè
la legge, la quale muove dal principio di assistenza e di solidarietà familiare.
La fonte
dell’obbligo alimentare può altresì essere di natura convenzionale, nel rispetto
del principio dell’autonomia contrattuale. Quindi è possibile, ad esempio, far
sorgere un’obbligazione alimentare anche con contratto (prevedendo ad esempio un
vitalizio alimentare) sulla base del principio dell’autonomia dei privati. Unico
contratto previsto espressamente (articoli 437 e 438 codice civile) è
la donazione, tanto che “il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro
obbligato, a prestare gli alimenti al donante”, con esclusione della donazione
fatta in riguardo di un matrimonio e della donazione remuneratoria.
Infine, l’obbligo
alimentare può essere imposto per testamento: l’art. 660 codice
civile stabilisce che “Il legato di alimenti, a favore di chiunque sia fatto,
comprende le somministrazioni indicate dall’art. 438, salvo che il testatore
abbia altrimenti disposto.”
QUALI SONO I
PRESUPPOSTI DELL’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE EX ART 433 CODICE CIVILE
Concentrandoci
sull’obbligazione alimentare di fonte legale ex art. 433 codice civile e
successivi, i presupposti essenziali sono:
l’oggettivo ed
incolpevole stato di bisogno dell’alimentando, che deve trovarsi in una
condizione tale da non poter provvedere autonomamente al proprio sostentamento.
Ad esempio, sono dovuti gli alimenti per il mantenimento del genitore anziano
che percepisce un reddito complessivo (ad esempio la pensione oppure altre
indennità o rendite) insufficiente per il vitto e l’alloggio;
lo stato di bisogno
deve essere, secondo una valutazione prognostica, non provvisorio. Il soggetto
deve versare nella impossibilità oggettiva di procurarsi i mezzi necessari alla
sussistenza. Ad esempio, sono dovuti gli alimenti per il mantenimento del
genitore anziano che non può svolgere alcuna attività lavorativa;
Anche il
soggetto obbligato al versamento degli alimenti deve presentare alcune
caratteristiche. Questo deve essere il donatario o un familiare stretto del
beneficiario/donante e deve risultare capace di far fronte alla prestazione
economica degli alimenti, ovvero avere una posizione economica tale da potervi
provvedere senza sacrificare i propri bisogni primari.
ART 433 CODICE
CIVILE: COSA SI INTENDE PER “STATO DI BISOGNO”
Lo stato di
bisogno dell’alimentando è il presupposto per far sorgere l’obbligazione oggetto
d’esame: ai sensi dall’art. 438 codice civile “gli alimenti possono essere
chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al
proprio mantenimento”. Per poterne dare una definizione più precisa, viene in
aiuto la giurisprudenza che, in modi diversi, ha fornito specifiche indicazioni
sul punto.
Nel 2013 la
Cassazione ha affermato che per stato di bisogno va fatto riferimento ad uno
stato di “impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei
suoi bisogni primari, quali il vitto, l’abitazione, il vestiario, le cure
mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni
dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il
medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili
in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità
primarie” (Cass., sent. 25248/2013).
Lo stato di bisogno
richiede poi una valutazione prognostica sulla impossibilità, per il futuro, di
ricevere fonti di reddito, quale l’attività lavorativa in primis. Questa è la
parte più difficile da accertare, in concreto, poiché non si limita all’aspetto
economico, ma coinvolge tutti gli aspetti della persona del beneficiario: l’età,
lo stato di salute, financo il grado di istruzione.
Oltre che
oggettivo, lo stato di bisogno deve essere incolpevole. Questo vuol dire che la
causa della impossibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni deve
essere non imputabile al beneficiario.
Inoltre il
beneficiario deve aver tentato, in ogni modo ragionevolmente possibile, di
provvedere autonomamente ai propri bisogni.
GLI ALIMENTI NEI
CONFRONTI DEL FALLITO: ART 433 CODICE CIVILE E DLGS 14/2019
L’art. 147 del
codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, riprendendo l’art. 47 della
“vecchia” legge fallimentare, stabilisce che “Se al debitore vengono a mancare i
mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei
creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la
famiglia.”
Anche se la
disposizione si riferisce agli “alimenti” condizionati alla mancanza dei mezzi
di sussistenza, si tratta di qualcosa di diverso dall’istituto previsto dall’art
433 del codice civile.
Il sussidio a
beneficio del debitore fallito e della sua famiglia, viene “concesso” dal
giudice. Non si tratta quindi, in questo caso, di un diritto soggettivo, ma
rimesso alla discrezionalità del giudice delegato. Inoltre, il sussidio viene
attinto dal patrimonio dello stesso beneficiario, pur se destinato alla
soddisfazione dei creditori.
CHI SONO I SOGGETTI
OBBLIGATI IN BASE ALL’ART 433 CODICE CIVILE
Come già
anticipato, soggetti obbligati a versare gli alimenti sono i familiari stretti e
il donatario, cioè colui che in passato ha ricevuto una donazione da parte di
chi, successivamente, si è trovato in stato di bisogno.
L’art. 433 codice
civile, fornisce una elencazione tassativa dei soggetti obbligati a versare gli
alimenti al familiare in difficoltà, indicandoli in ordine di “affezione”
parentale. Infatti, l’art. 433 del codice civile stabilisce che all’obbligo di
prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:
il coniuge;
i figli, anche
adottivi (sono inclusi tutti i figli adottivi, sia quelli adottati dopo il
compimento della maggiore età, sia i soggetti adottati nei c.d. casi
particolari),
i discendenti
prossimi (in mancanza di figli);
i genitori. Come
stabilito dall’art. 436 codice civile, il genitore adottante è obbligato prima
del genitore del beneficiario;
gli ascendenti
prossimi (in mancanza dei genitori);
gli adottanti;
i generi e le
nuore;
il suocero e la
suocera;
i fratelli e le
sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Si applica
il principio del grado: la possibilità dell’adempimento da parte di chi è più
prossimo al beneficiario, esclude che l’obbligo ricada su chi è meno prossimo.
In altre parole, solo se il coniuge non è in grado di provvedere al pagamento
degli alimenti, l’obbligo del mantenimento del genitore anziano ricade sui figli
o sui nipoti, e così via.
Il primo dei
chiamati agli alimenti è l’eventuale donatario, che ai sensi dell’art. 437
codice civile precede ogni altro obbligato, salvo che si tratti di una donazione
obnuziale o remuneratoria.
Nel caso vi
siano più persone nello stesso grado (fratelli, sorelle, figli…) o di grado
diverso (coniuge e figli) chiamate congiuntamente a corrispondere gli alimenti
(ad esempio per il mantenimento del genitore anziano), l’obbligo viene tra
essi diviso in proporzione alle condizioni economiche di ciascuna (art. 441
codice civile). Si tratta di una obbligazione parziaria, in base a cui ciascuno
risponde in proporzione alle proprie sostanze, ma ai sensi dell’art. 443 codice
civile, in caso di urgente necessità, l’autorità giudiziaria può porre
temporaneamente l’obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli
che vi sono obbligati, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli
altri. Peraltro, come sancito dalla giurisprudenza di legittimità, “qualora i
bisogni dell’avente diritto agli alimenti sono soddisfatti per intero da uno
solo dei condebitori ex lege, questi può esercitare l’azione di regresso, senza
la necessità di una preventiva diffida ad adempiere” (Cassazione civile,
sentenza n. 4883/1988)
Ai sensi
dell’ultimo comma dell’art. 441 codice civile, i coobbligati
possono accordarsi sulla misura, sulla distribuzione e
sul modo di somministrazione degli alimenti. In mancanza di accordo,
provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze.
QUANDO I FIGLI (N.
2 DELL’ART 433 CODICE CIVILE) SONO OBBLIGATI AL MANTENIMENTO DEL GENITORE
ANZIANO
Quando i figli sono
chiamati al mantenimento del genitore anziano?
In caso di un
genitore anziano i doveri dei figli sono indicati all’art. 315 bis del codice
civile: “il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione
alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al
mantenimento della famiglia finché convive con essa”.
Indipendentemente
dalla convivenza, i figli devono occuparsi del mantenimento del genitore
anziano, quando ricorrono alcune condizioni:
il genitore anziano
si trova in uno stato di bisogno, come ampiamente descritto nei paragrafi
precedenti (art. 438 codice civile);
i soggetti chiamati
in via principale (il coniuge del genitore anziano, nonché un eventuale
donatario, se esistenti), sono impossibilitati totalmente o parzialmente ad
adempiere (art. 433 del codice civile);
i figli
hanno risorse economiche sufficienti a provvedere, almeno in parte, ai bisogni
elementari del genitore (art. 441 capoverso del codice civile).
Al verificarsi di
queste condizioni, i figli sono obbligati al mantenimento del genitore anziano,
ciascuno in proporzione alla propria capacità economica.
QUANDO SI È
OBBLIGATI AL MANTENIMENTO DEL SUOCERO O DELLA SUOCERA (N. 4 DELL’ART 433 CODICE
CIVILE)?
La prestazione
alimentare ex art 433 codice civile coinvolge anche gli affini, ed in
particolare gli ascendenti prossimi del coniuge.
È quindi possibile
che il genero o la nuora siano chiamati al mantenimento del suocero o
della suocera in stato di bisogno.
Rispetto
all’ipotesi precedentemente descritta, tuttavia, per poter configurare la
sussistenza dell’obbligo, occorre che:
il suocero o la
suocera versino in stato di bisogno;
siano
impossibilitati a mantenerli, in tutto o in parte, i rispettivi coniugi, i loro
figli o nipoti, i loro genitori o ascendenti prossimi, nonché eventuali
donatari;
Il genero o la
nuora abbiano risorse economiche sufficienti per provvedere, almeno in parte, al
mantenimento dei suoceri.
QUALE DIFFERENZA
TRA ALIMENTI E MANTENIMENTO
In caso di
separazione giudiziale o separazione consensuale gli alimenti sono dovuti? Per
rispondere a questa domanda, occorre distinguere tra mantenimento ed alimenti,
sebbene nel linguaggio comune tali espressioni vengano spesso confuse ed
utilizzate come sinonimi.
L’obbligo di
mantenimento investe una serie di situazioni diverse, tutte riconducibili al
contesto dei rapporti endo-familiari. Si parla dell’obbligo di mantenimento dei
genitori nei confronti dei figli (art. 147 codice civile), dell’imprenditore nei
confronti del collaboratore familiare (art. 230 bis codice civile), del coniuge
separando nei confronti dell’altro (art. 156 codice civile).
Come anticipato nei
paragrafi precedenti, l’obbligazione alimentare è finalizzata ad assicurare a
chi si trovi in “stato di bisogno”, la possibilità di provvedere al proprio
sostentamento ed è dovuta in proporzione al bisogno di chi li richiede ed alle
condizioni economiche di chi deve somministrarli.
Diversamente,
il mantenimento che il soggetto economicamente “forte” versa all’altro, è una
prestazione economica di portata molto più ampia di quella alimentare,
finalizzata ad assicurare al soggetto “debole” non solo il minimo
indispensabile per i bisogni vitali, ma anche un adeguato tenore di vita.
C’è quindi una
differenza qualitativa e quantitativa.
IN CASO DI
SEPARAZIONE CONSENSUALE GLI ALIMENTI SONO DOVUTI?
Fatta questa
preliminare distinzione, alla domanda se in caso di separazione giudiziale o
separazione consensuale gli alimenti sono comunque dovuti, occorre dare
risposta affermativa.
Nel sistema
italiano, la separazione dei coniugi non determina il venir meno del vincolo
coniugale, ma solamente la sospensione di alcuni obblighi endo-familiari (come
l’obbligo di coabitazione e di fedeltà tra i coniugi). Pertanto, anche in
pendenza di separazione, al verificarsi dei presupposti il coniuge in stato di
bisogno ha diritto a ricevere la prestazione alimentare dall’altro coniuge, e
ciò a prescindere dall’eventuale addebito.
Inoltre, in materia
di separazione, l’addebito (ne abbiamo parlato in questo articolo ) esclude il
diritto al mantenimento, ma non quello agli alimenti.
In materia
di successione, l’art. 548 comma 2 codice civile stabilisce che “Il coniuge cui
è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto
soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione
godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato
alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non
è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta.”
DEVONO ESSERE
CORRISPOSTI GLI ALIMENTI DOPO IL DIVORZIO?
Sono dovuti gli
alimenti dopo il divorzio? Se la separazione costituisce una fase di “crisi” del
ménage matrimoniale, il divorzio ne segna il definitivo scioglimento, e con esso
la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ivi compresi tutti gli
obblighi reciproci dei coniugi indicati all’art. 143 del codice civile.
Con la sentenza di
divorzio, il “coniuge” cessa di essere tale. Perde quindi il diritto agli
alimenti il coniuge divorziato, che tuttavia può ricorrere agli altri soggetti
indicati dall’art 433 codice civile.
Lo stesso può dirsi
in caso di annullamento del matrimonio, che a differenza del divorzio, lo
cancella come se non fosse mai esistito.
Tuttavia, l’art. 5
comma 6 della legge sul divorzio n. 898 del 1970 stabilisce che “Con la sentenza
che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio, il tribunale (…) dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare
periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi
adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Anche in questo
caso, occorre soffermarsi sulla differenza tra obbligo alimentare ed assegno
divorzile, il quale ha funzione assistenziale, perequativa e compensativa (SS.
UU. sent. n. 18287/2018). L’assegno divorzile ha la funzione di assicurare
all’ex coniuge l’autosufficienza economica (Cass., sent. n. 11504/2017) e viene
stabilito sulla base non solo dello stato di bisogno, ma anche su altri
fattori, quali il contributo dato dall’ex-coniuge al nucleo familiare ed al
patrimonio, alla durata del matrimonio, al nesso causale tra le scelte operate
dagli ex coniugi in costanza di matrimonio e la loro situazione attuale
(Cassazione, ordinanza n. 1786/2021).
QUANDO GLI ALIMENTI
SONO DOVUTI NELLE UNIONI CIVILI E NELLE CONVIVENZE DI FATTO
L’art. 433 codice
civile nulla dice in merito alla possibilità di poter considerare, alla stregua
del coniuge, anche il soggetto convivente di fatto o unito civilmente. Orbene,
l’art. 1 comma 65 della legge “Cirinnà” (legge n. 76/2016) afferma che in caso
di cessazione della convivenza di fatto, il giudice adito stabilisce il diritto
del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, qualora versi in
stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Peraltro il
Tribunale di Lecce (sentenza n. 1418 del 18.06.2020) ha interpretato l’art. 1
comma 65 della legge 76/2016 applicandolo anche alle coppie di fatto more uxorio
non registrate. Pertanto, il convivente more uxorio, anche in assenza del
contratto di convivenza, ha diritto agli alimenti “qualora sia accertato lo
stato di bisogno del richiedente e questi non sia in grado di provvedere al
proprio mantenimento, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza
e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438, co 2 c.c., in proporzione
cioè del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve
somministrarli“.
La maggiore
differenza rispetto alla disciplina “ordinaria” contenuta all’art 433 codice
civile sta nella durata dell’obbligo: gli alimenti devono essere versati
dall’unito civilmente per un periodo di tempo determinato dal giudice, che sia
proporzionale alla durata della convivenza intercorsa e nella misura determinata
ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile.
Per quanto riguarda
la “posizione” nella gerarchia dell’art. 433 del codice civile, la L.
76/2016 obbliga l’unito civilmente con precedenza su fratelli e sorelle, ma in
subordine al coniuge, ai figli, ai discendenti, ai genitori, agli ascendenti
prossimi, agli adottanti, ai generi e nuore, ai suoceri.
PERCHÉ IL DONATARIO
PRECEDE TUTTI I SOGGETTI INDICATI ALL’ART 433 CODICE CIVILE
Come abbiamo visto
nei precedenti paragrafi, l’art. 437 codice civile prevede che
il donatario (colui che ha ricevuto una donazione) sia obbligato, con precedenza
su ogni altro soggetto, a prestare gli alimenti al donante.
La ratio alla base
è ben individuabile nel rapporto tra donante e donatario.
Quando la donazione
viene fatta per assoluto spirito di liberalità, cioè in modo totalmente gratuito
e fine a sé stesso, la legge ravvede nella posizione del donatario, un dovere
di riconoscenza.
Tanto è vero che,
ai sensi dell’art. 801 del codice civile, la donazione può
essere revocata “per ingratitudine”, se il donatario rifiuta indebitamente di
versare gli alimenti dovuti.
L’obbligo del
donatario precede quello dei familiari, perché sarebbe irragionevole che il
donatario si arricchisca, mentre la famiglia del donante, che pur ha risentito
gli effetti sfavorevoli della donazione, debba provvedere al suo mantenimento.
Viene tuttavia temperato nel quantum: l’art. 438 codice civile stabilisce che
questo è obbligato nei limiti del valore della cosa donata, che residua al
momento in cui nasce l’obbligazione alimentare.
Viceversa, laddove
la donazione non sia animata da una liberalità “pura”, il donatario è escluso
dall’elenco ex art 433 del codice civile e dai soggetti chiamati. È il caso
delle donazioni remuneratorie ex art. 770 codice civile, cioè quelle effettuate
per ricompensare il donatario di qualche merito, e quelle obnuziali ex art. 785
codice civile, effettuate in relazione alla celebrazione del matrimonio del
donatario. Sono escluse anche le donazioni elargite in virtù di usi
e consuetudini, e quelle di modico valore.
Rimane invece
discusso se possano essere o meno escluse le donazioni indirette.
QUALI SONO LE
CARATTERISTICHE DELL’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE
Il c.d. diritto
agli alimenti di cui agli art 433 codice civile e seguenti ha carattere
strettamente personale. Ai sensi dell’art. 447 codice civile, il credito
alimentare è indisponibile: non può essere ceduto, né usato per compensare i
debiti del beneficiario ed è intrasmissibile agli eredi.
È irripetibile (non
ne può essere richiesta la restituzione) e inalienabile, non potendo neanche
essere sottoposto a rinuncia o transazione.
Il carattere di
indisponibilità non riguarda invece l’obbligo alimentare sorto
per convenzione (Cass. civ. n. 10362/1997).
Le somme dovute a
titolo di alimenti non possono essere pignorate, ai sensi dell’art. 545 comma 1
codice di procedura civile, tranne che per cause di alimenti.
Infine, è escluso
dalla massa fallimentare, nei limiti di quanto necessario al fine di garantire
il sostentamento del fallito e della sua famiglia .
ART 433 CODICE
CIVILE: COME SI CALCOLA L’ASSEGNO ALIMENTARE
Gli alimenti sono
dovuti “in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni
economiche di chi deve somministrarli” (art. 438 codice civile).
Il giudice determina il quantum dell’obbligo alimentare, considerate diverse
circostanze, sia oggettive che soggettive.
Occorre valutare
sia la situazione economica effettiva nella quale versa l’alimentando, comprese
le fonti di reddito derivanti o derivabili da diritti reali che gli
consentirebbero di sopravvivere dignitosamente, sia quella di coloro i quali
sono chiamati ad adempiere la prestazione alimentare.
La Suprema Corte ha
precisato che, per poter individuare il quantum del diritto agli alimenti, “il
raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento
alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la
probabile riscossione di crediti, le quali potranno avere influenza, al loro
verificarsi, per un’eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell’art.
440 c.c.” (Cass., sent. n. 9432/1994).
Tra fratelli e sorelle, gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto
necessario (a prescindere dalle condizioni economiche e sociali del
beneficiario) e possono comprendere anche le spese per l’educazione e
l’istruzione, se l’alimentando è minorenne.
Il variare delle
condizioni economiche dell’obbligato e/o del beneficiario, giustifica una
variazione dell’importo da versare. Ai sensi dell’art. 440 codice civile “se
dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li
somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la
cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze.”
L’obbligo
alimentare non può eccedere quanto necessario per la vita dell’alimentando,
mentre un limite specifico è previsto per l’obbligo del donatario, per il quale
l’importo da versare non può superare il valore attuale e residuo
della donazione accettata.
ART 433 CODICE
CIVILE: COME DEVONO ESSERE VERSATI GLI ALIMENTI
In base all’art.
443 codice civile, “chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di
adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in
periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi
ha diritto. L’autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare
il modo di somministrazione.”
Pertanto l’assegno
alimentare, di regola versato mensilmente, può essere sostituito
dall’accoglimento nella propria casa dell’alimentando, provvedendo così alle sue
spese, garantendogli vitto, alloggio, assistenza (si pensi al mantenimento del
genitore anziano) e cure mediche ove necessarie.
Nel caso in cui la
scelta della convivenza non sia condivisa dal beneficiario, egli può chiedere
che ai sensi dell’art. 443 comma 2 codice civile, sia l’autorità giudiziaria a
determinare le modalità di somministrazione degli alimenti, anche
prevedendo soluzioni alternative a quelle indicate al primo comma, come ad
esempio la fornitura periodica di beni in natura, la messa a disposizione di una
rendita, la stipulazione di un contratto di comodato abitativo di un immobile.
La prestazione
alimentare è dovuta dal momento della domanda giudiziale o dal momento in cui si
effettua la costituzione in mora dell’obbligato, se entro sei mesi dalla stessa
viene iniziato il giudizio.
COME SI RICHIEDONO
GLI ALIMENTI AI SOGGETTI EX ART 433 CODICE CIVILE
Per poter ottenere
la prestazione alimentare, l’interessato deve rivolgersi al proprio legale di
fiducia, al fine di instaurare un procedimento avanti al Tribunale competente.
Nel caso in cui al
beneficiario sia affiancato un tutore, un curatore o un amministratore di
sostegno, nominato tra i parenti ed affini entro il quarto grado, oppure esterno
alla famiglia, è necessaria l’autorizzazione del Giudice Tutelare (art. 374
codice civile).
La domanda
giudiziale, nella forma dell’atto di citazione (art. 163 codice procedura
civile), instaura un giudizio ordinario di merito, nel quale il richiedente deve
dimostrare il proprio stato di bisogno e l’impossibilità di provvedere al
proprio sostentamento, nonché il vincolo (familiare o contrattuale) che lo lega
al soggetto chiamato.
In merito al
riparto dell’onere della prova, si evidenzia come sull’obbligato gravi la
dimostrazione del suo stato di impossibilità economica a provvedere ai bisogni
del parente in difficoltà, e/o la esistenza di altri soggetti, tra quelli
indicati all’art 433 del codice civile, che lo precedono nell’obbligo del
versamento.
Il deposito della
domanda giudiziale segna anche l’inizio della debenza degli alimenti, che
tuttavia retroagisce al momento della messa in mora dell’obbligato, se l’azione
viene intrapresa entro i sei mesi successivi (art. 445 codice civile).
La sentenza che
accerta l’esistenza del diritto e condanna l’obbligato è pronunciata “sic rebus
stantibus”, cioè al permanere della situazione di fatto e di diritto attuale.
Questo quindi non preclude la possibilità di una futura modifica della misura
degli alimenti (sia in aumento, che in riduzione) o
della cessazione dell’obbligo, al sopravvenire di nuove circostanze di fatto e
di diritto.
GLI ALIMENTI
URGENTI E PROVVISORI EX ART 433 CODICE CIVILE
Considerato che i
lunghi termini del procedimento giudiziario non consentirebbero, nelle more
della sua definizione, una tutela effettiva del richiedente, l’art. 446 codice
civile prevede che il Presidente del Tribunale disponga, su richiesta ed in
via provvisoria, la corresponsione di un assegno.
Inoltre, in base
all’art. 443 codice civile, pur in presenza di più coobbligati (si è detto, in
maniera parziaria, ciascuno in proporzione delle proprie capacità economiche),
l’obbligo può essere temporaneamente posto interamente a carco di uno solo di
essi, salvo il diritto di regresso nei confronti degli altri.
La giurisprudenza
si è spesso interrogata sulla natura del provvedimento urgente e provvisorio
emesso dal giudice e sulla possibilità che lo stesso possa essere reso in altri
modi diversi dall’introduzione del giudizio di merito, cioè evitando la causa
vera e propria in caso di disaccordo tra le parti. L’orientamento prevalente
ritiene che sia necessario istaurare il giudizio di merito, non essendo
possibile ottenere il provvedimento provvisorio in via cautelare, ad esempio
tramite un provvedimento ex art. 700 c.p.c. (in tal senso, v. Trib. Milano ord.
3 aprile 2013; Trib. Venezia ord. 28 luglio 2004; Trib. Catania ord. 22 marzo
2005). Tuttavia, parte della giurisprudenza di merito invece ritiene ammissibile
la tutela d’urgenza prima dell’inizio della causa vera e propria (v. Trib.
Catania 22 marzo 2005; Trib. Trani 9 gennaio 2012).
ART 433 CODICE
CIVILE: QUANDO SI MODIFICA E SI ESTINGUE L’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE?
Come tutte le
obbligazioni, anche quella alimentare può subire modifiche o estinguersi al
verificarsi di svariate situazioni.
L’art. 440 codice
civile stabilisce che, se le condizioni economiche di chi somministra o chi
riceve gli alimenti mutano dopo la sentenza, occorre nuovamente rivolgersi al
giudice per richiedere una modifica dell’importo da versare.
Tipicamente, un
motivo di richiesta di modifica è la inflazione monetaria, anche se nella
prassi, la misura dell’obbligo alimentare viene legata alla rivalutazione
economica.
Inoltre, la
prestazione alimentare può subire riduzioni anche al verificarsi di una condotta
disordinata o riprovevole dell’alimentato, ad esempio, quando alimentando non
utilizzi le somme di denaro corrisposte a titolo di alimenti in maniera
coscienziosa. In questi casi, i parenti e gli affini entro il quarto grado
possono richiedere la nomina di un amministratore di sostegno, che si occupi
della gestione economica dei beni dell’alimentando.
Inoltre, è
possibile chiedere la cessazione dell’obbligo in capo ai soggetti ex art. art
433 codice civile nel caso in cui vengano meno i presupposti previsti dall’art.
438 codice civile.
L’estinzione
dell’obbligo alimentare si verifica anche con la morte dell’alimentando o
dell’alimentante (v. art. 448 c. c. caso di estinzione per morte
dell’obbligato).
Sono poi
previste ipotesi speciali di cessazione dell’obbligo:
per il figlio (o i
suoi discendenti prossimi) cessa l’obbligo nei confronti del genitore per il
quale sia stata pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale (art.
434 codice civile);
per i suoceri (e
del genero e della nuora) cessa l’obbligo quando il beneficiario è passata a
nuove nozze; e quando il coniuge, da cui deriva l’affinità, e i figli nati dalla
sua unione con l’altro coniuge e i loro discendenti sono morti (art. 448 bis
codice civile). Come da pacifica giurisprudenza, la sentenza di divorzio non
determina l’automatica caducazione del vincolo di affinità fra un coniuge e i
parenti dell’ex coniuge: di tale vincolo viene meno, in base all’art. 78 comma 3
codice civile, solo in caso di nullità del matrimonio. Quindi, il divorzio non
fa venir meno l’obbligo alimentare tra affini, che resta disciplinato dall’art.
434 c. c.: la sentenza, mentre determina la caducazione dell’obbligo alimentare
tra gli affini solo ove l’avente diritto passi a nuove nozze e se non siano vivi
i figli nati dal matrimonio o loro discendenti, peraltro può giustificare
soltanto una richiesta di revisione dell’obbligo medesimo, ove essa sentenza si
traduca, anche in relazione alle statuizioni patrimoniali conseguenziali al
divorzio, in un mutamento della situazione in base alla quale gli elementi siano
stati riconosciuti e liquidati (in tal senso Cass., sent. n. 2848/1978).
per
il donatario, in caso di revoca o nullità della donazione;
per il coniuge, che
perde il diritto agli alimenti dopo il divorzio o in caso di annullamento del
matrimonio.
COSA SI RISCHIA PER
L’INADEMPIMENTO EX ART 433 CODICE CIVILE
L’inadempimento
dell’obbligo alimentare comporta una duplice responsabilità, sia sul piano
civile che su quello penale.
Sul
piano civile, l’inadempiente potrebbe subire un procedimento di esecuzione
forzata, con conseguente pignoramento dei propri beni.
Sul
piano penale, l’art. 570 codice penale, rubricato “obblighi di assistenza
familiare”, punisce con la reclusione sino a un anno, ed una sanzione pecuniaria
che va da 103 a 1.032 euro, chi fa mancare i mezzi di sussistenza agli
ascendenti (…ai discendenti di età minore, inabili al lavoro, agli ascendenti o
al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa…).
Inoltre, l’art. 388
comma 2 del codice penale (mancata esecuzione dolosa del provvedimento del
giudice) punisce con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a
euro 1.032, chi “elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del
codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel
procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora
l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o
contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci,
ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del
credito”.
Lo Studio Legale
degli Avv.ti Berti e Toninelli opera presso i Tribunali di Pistoia, Prato, Lucca
e Firenze ed in tutta Italia tramite i servizi online. Si trova a Pistoia, in
Piazza Garibaldi n. 5.
Accompagnamento
anziani: cosa è, a chi viene dato e come richiederlo.
Da Seremy.
Finalmente un pò di chiarezza sul tema dell'accompagnamento anziani, molto
importante per chi si prende cura di un genitore avanti con gli anni.
Non tutti sanno
esattamente cosa sia esattamente l’accompagnamento anziani, chi ne abbia diritto
e a quanto ammonti la somma percepita. Per questo abbiamo deciso di fare
chiarezza sul tema, molto importante per chi si prende cura di un genitore
avanti con gli anni.
Chi ha diritto
all’accompagnamento anziani?
La richiesta può
essere fatta da tutti coloro che hanno un’età minima di 67 anni, ma non basta
l’età anagrafica per ottenere l’accompagnamento anziani. In questo caso è
fondamentale avere un’invalidità al 100% riconosciuta in modo permanente
dall’INPS, ente nazionale di previdenza sociale.
Si tratta quindi di
un beneficio che va a favore di chi ha difficoltà a compiere le attività
quotidiane e necessita di costante assistenza.
Come fare domanda
di indennità di accompagnamento?
Per ottenere
l’accompagnamento anziani è importante avere un certificato di invalidità al
100% rilasciato dall’INPS. Successivamente il patronato correda questo documento
con la dichiarazione dei redditi del richiedente e l’ASL di riferimento contatta
il cittadino per la visita medica che ne certifichi il grado di invalidità.
Oltre
all’invalidità al 100% è importante sapere che si deve avere un reddito
inferiore a 17,340,17 euro all’anno per richiedere l’importo
dell’accompagnamento anziani. Se la procedura di richiesta va a buon fine
l’anziano riceve la somma dal mese successivo al recepimento del verbale.
A quanto ammonta
l’assegno di accompagnamento?
Pochi sanno a
quanto ammonti l’assegno di accompagnamento per anziani. Nel dettaglio si tratta
di un sussidio di importo pari a 530,27€ mensili per un totale di 12 mensilità
annue e che a differenza dell’indennità di invalidità civile non prevede la
tredicesima.
Quali sono le
differenze tra accompagnamento e invalidità?
Oltre all’importo
erogato ci sono altre differenze tra accompagnamento e invalidità civile. La
domanda di invalidità civile riguarda tutti coloro che – dai 18 ai 67 anni di
età – sono affetti da gravi patologie o deficit fisici e psichici. La richiesta
viene fatta anche dagli invalidi al 100% oltre i 67 anni di età e non più
autosufficienti e bisogna rispettare alcuni requisiti di reddito.
In alcuni casi
l’accompagnamento è rivolto anche ai minori di 18 anni con gravi patologie,
anche in questo caso sulla base di requisiti di reddito.
In ogni caso in
Italia le persone invalide hanno diritti ad un assegno di mantenimento che
permette loro di vivere in modo adeguato e coprire le spese per un
eventuale servizio di badante.
Vittorio Puglisi se n’è andato.
Non è
ritornato a Catania in Sicilia, sua terra natia, per rinchiudersi in un ospizio,
come aveva preventivato di fare. No! E’ morto.
E ad
Avetrana, suo paese ospitante, nessuno ne sa niente. Nemmeno un manifesto
funebre per avvisare la popolazione, eppure era conosciuto e beneamato da molti.
Non
può essere che se ne vada così senza che di lui non vi rimanga un ricordo.
Era di
Catania. Era un agente di commercio trasfertista, poi domiciliatosi nel barese.
Era sposato con due figli.
Dopo
che si era trasferito lasciò la moglie a Catania per la sua segretaria di Erchie
(Br) con due figlie, che lui crebbe ed istruì. Una di loro è diventata Avvocato
e poi Parlamentare.
La
famiglia di Catania recise ogni rapporto con lui.
Da
pensionato si trasferì con la nuova famiglia a Manduria e poi comprò casa in un
condominio a San Pietro in Bevagna.
Con la
seconda moglie le cose non andarono bene, tanto che lei, malata, lo lasciò per
trasferirsi in una casa di riposo per anziani, fino alla sua morte. Anche le
figlie di lei recisero ogni rapporto con Vittorio, salvo mantenere una lite
giudiziaria per degli immobili comprati dai coniugi, ma in possesso delle figlie
e non resi come quota ereditaria a Vittorio. Gesto che indusse Vittorio, per
ripicca, a donare ai figli di Catania la sua casa al mare.
Lui
rimase comunque solo, ultrasettantenne.
Su
consiglio di un personaggio, che si autodefiniva guardiano dei condomini della
litoranea in cambio di regalie, si trasferisce ad Avetrana, in un appartamento
vicino al suo, affinché non fosse da solo a svernare sulla marina. Si scoprì poi
che la ragione del gesto era di poter affittare l’appartamento ed intascare i
soldi, senza che Vittorio ne sapesse niente.
Vittorio diventa mio vicino, spalla a spalla.
La
casa vecchia presa in locazione, con lui si trasforma tutto a vantaggio del
proprietario.
È
autonomo, giovanile e distinto e voleva affrancarsi dai figli, assoggettandosi
ad un estraneo. Non è acculturato e non riesce a capire che l’estraneo è
limitato dalla legge nelle decisioni che lo riguardano, tantomeno non vi era
alcun incentivo con la donazione modale, avendo dato tutto ai figli.
Lui fa
amicizia con tutti quelli che si rapportano con lui.
Un
giorno dalla mia cucina sento un tonfo dall’altra parte del muro divisore, con
conseguenti gemiti.
Mio
figlio Mirko, prima chiama il suo nome e poi, non ricevendo risposta, salta il
muro e va a vedere cosa fosse successo.
Vittorio era caduto in bagno. Era scivolato nella vasca, aveva battuto la testa
e si era rotto l’anca e non aveva la forza di chiedere aiuto.
Chiamammo l’ambulanza che lo ricoverò all’ospedale di Manduria. Durante la sua
decenza lo assistemmo, io e la mia famiglia, e pagai le spese correnti, in
quanto lui non poteva prelevare il denaro.
Gli
consigliai di chiamare i figli, per l’assistenza e per poter prendere decisioni.
Lui lo fece.
Loro
rimasero solo un giorno, lasciando il malato da solo a letto, impossibilitato a
muoversi.
Io
chiamai l’OSS e l’assistente sociale di Avetrana. Non potevo assistere un malato
con la spada di Damocle della circonvenzione di incapace. Io, per autotutela,
rifiutai ogni forma di donazione di riconoscenza, cosa che altri, forse, non
fecero dopo il mio allontanamento. Perché lui era prodigo con tutti, vantandosi
della sua capacità di intendere e volere.
L’assistente sociale ed i carabinieri mi supplicarono di provvedere a Lui, ma
non potevo. Non avevo la legittimità di agire dei figli o di un rappresentante
legale.
Denunciai i figli per abbandono di incapace. Vittorio non poteva muoversi dal
letto per l’operazione all’anca e non vi era nessuno ad aiutarlo, nemmeno per
mangiare. La denuncia fu rigettata.
Vittorio sapeva della denuncia e ne rimase male. Lui voleva molto bene ai figli
e soffriva per il fatto che l'amore non era ricambiato.
In
questo modo Vittorio era rimasto solo, salvo la presenza della cagnolina.
Comunque io non ho mai negato ogni aiuto urgente e necessario, o che altri non
fossero capaci di dare.
Vittorio in cerca di qualcuno che gli facesse compagnia, cercò la sponda in un
altro vicino di casa.
Intanto con me festeggia le festività e il 2 giugno 2023 festeggia con me i miei
sessant’anni in famiglia.
Dopo
pochi giorni vende la casa, con la firma dei figli donatari. Questi rimangono
poche ore, giusto il tempo della firma: ricevono i soldi e vanno via.
Agli
inizi di luglio 2023 muore la cagnolina, sua compagna per 19 anni.
La sua
routine giornaliera era regolare. Incombenze casalinghe e passeggiate con la
cagnolina.
E così
è andato avanti, fino a che nell’ultimo anno si sentiva stanco ed affaticato.
Era un po’ sordo ed aveva la prostatite. Aveva fatto l’operazione della
cataratta agli occhi ed altri esami di routine. Eppure arriva un giorno che, per
l’ennesima volta, chiamo insieme a lui il medico, perché era un po’ di giorni
che non andava al bagno. Lei arriva, lo visita, legge le analisi fatte giorni
prima e chiama l’ambulanza. Il pronto soccorso di Manduria dopo un’ora mi chiama
per riprenderlo, perché gli hanno dato l’uscita. Era il 25 luglio 2023: entrata
ore 16-uscita ore 18. Gli danno come cura un placebo: degli integratori che io
provvedo a comprare in farmacia.
Dopo
tre giorni di cura inutile, uso di purghe varie e della peretta, nulla succede,
Vittorio va nuovamente al pronto soccorso con un amico. Dopo ore di attesa senza
che venga visitato, ritorna a casa debilitato.
Il 31
luglio 2023 alle ore 4 del mattino Vittorio si fa riaccompagnare al pronto
soccorso di Manduria dallo stesso amico coetaneo.
Questa
volta lo tengono in osservazione e lo ricoverano. Solo adesso si accorgono che
Vittorio ha tutti i sintomi visibili della Leucemia ed i valori dei globuli
bianchi sono sfalsati. Tutto visibile da un anno a questa parte. Tanto che il
medico, che lo cura in reparto dell’ospedale, si spinge a dire: come mai nessuno
si era accorto prima della malattia, nonostante i reiterati esami, omettendo
l’accusa ai suoi colleghi del pronto soccorso.
Il
Medico, stante la situazione, dice a Vittorio di chiamare i figli.
Loro
vengono e nello stesso giorno vanno via, portandosi con sé la sua Mercedes
pagata qualche mese prima 16mila euro.
L’11
agosto 2023 alle ore 18.00 Vittorio muore all’ospedale di Manduria. Aveva 86
anni.
I
figli ritornano e il giorno dopo vanno via.
Vittorio è rimasto ancora una volta da
solo nella camera mortuaria del cimitero di Avetrana, dall’11 al 17 agosto 2023,
giorno della sua cremazione a Foggia, come lui ha sempre voluto.
Il
proprietario della casa di Vittorio ne prende possesso.
Delle
cose di Vittorio site nella sua dimora nulla più si saprà; delle sue volontà
depositate dal notaio, nulla si sa.
Questo
resoconto affinchè di Vittorio non rimanga solo cenere ed oblio.
Ciao
Vittorio, ci ricorderemo di te…
Estratto da open.online il 7 Settembre 2023
Domenico, il padre del cantante Michele Merlo, dice che suo figlio è stato
ucciso dal sistema sanitario. E sostiene di essere rimasto basito dalla
richiesta di archiviazione dell’indagine da parte della procura.
L’ex carabiniere ricorda l’accusa nei confronti del medico di base di Rosà
Domenico Pantaleo. Ma poi aggiunge: «Il punto non è un giovane medico di base
che ha commesso un errore madornale. Il punto è il sistema che per anni ha
promosso i tagli e le politiche che hanno prodotto le condizioni perché un
errore del genere fosse commesso».
Annuncia l’opposizione alla richiesta di archiviazione.
(...)
Michele Merlo è morto per una leucemia fulminante il 6 giugno 2021. Ma il padre
non ci sta: «Ci sono diverse perizie che dicono la stessa cosa: con le giuste
cure Michele aveva altissime probabilità di essere salvato. Eppure per il pm non
è possibile stabilirlo con certezza. Lo capisco, ma che mi si venga a dire una
cosa del genere dopo due anni… Io vorrei solo che il pm si mettesse anche solo
per un minuto – non dico per oltre due anni, basterebbe un minuto – nei nostri
panni.
Se immaginasse cos’è diventata la nostra vita…». Nel colloquio con Maria Elena
Grottarelli ricorda: «Prima ci eravamo rivolti al pronto soccorso di Cittadella,
in provincia di Padova e, il 26 maggio, a quello di Vergato, fuori Bologna, da
cui Michele venne mandato via con un antibiotico. E allora, secondo lei, io con
chi me la dovrei prendere? Con Vitaliano Pantaleo? Con un ospedale? No, questo è
un problema di sanità».
Noci,
turista 92enne muore dopo una caduta: 6 chiamate al 118 e una al 113 senza
risposta. L'anziana vittima, Domenico Fiorelli, si era ferito alla testa
scivolando da una scala esterna di un trullo. Il figlio Umberto sporge denuncia
e scrive a Giorgia Meloni: «Ci pensi a portare il G7 in Puglia, qui la sanità
non esiste». REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno l' 08 settembre
2023
. Una
vacanza finita in tragedia per un 92enne di Bolzano che lo scorso 4 agosto è
morto a Noci. L'uomo, Domenico Fiorelli si era ferito alla testa scivolando da
una scala esterna di un trullo. Nonostante la famiglia e i vicini avessero
chiamato per 6 volte il 118 e una volta il 113, non hanno ricevuto alcuna
risposta. Così, i vicini decidono di portare il signor Domenico direttamente al
presidio ospedaliero di Noci e, di fronte al medico, che per spostarsi ha
bisogno di un’autorizzazione del servizio medico, chiamano ancora il 118. Ma
ancora una volta non ottengono alcuna risposta.
Tra la
prima e l’ultima chiamata passano 40 minuti. Momenti fatali visto che Domenico -
secondo quanto raccontano i familiari - ha avuto un infarto. «Il medico, senza
effettuare alcuna manovra di rianimazione come credo che si debba fare in queste
situazioni, gli fa un elettrocardiogramma e mi annuncia che è morto. Erano in
tre nell’ambulanza e nessuno ha tentato una manovra, nulla. Non so perché. Mio
papà è morto così», spiega il figlio della vittima
A
denunciare la vicenda alla questura di Bolzano, città di residenza dell’anziano,
è stato il figlio Umberto: il caso verrà preso in gestione dai magistrati di
Bari. Il figlio della vittima anche scritto a Giorgia Meloni: “Ci pensi a
portare il G7 in Puglia, qui la sanità non esiste”.
Il
centro operativo del servizio 118 di Bari sta ora effettuando gli accertamenti
per capire cosa sia accaduto realmente. Inoltre, chi indaga sta risalendo al
registro delle chiamate e ai turni di lavoro nella sala operativa per verificare
se effettivamente possano esserci responsabilità da parte dei sanitari.
Malasanità, il Nas setaccia ospedali e case di cura: 3.884 liste d'attesa
truccate, denunciati 26 medici. Tra
le irregolarità anche prenotazioni chiuse per far fare le ferie al personale. La
Stampa l'08 Settembre 2023
Ventisei, tra medici e infermieri, sono stati denunciati dai carabinieri del Nas
in diverse città d’Italia a seguito di controlli effettuati tra luglio e agosto
sulle liste d'attesa. Nel mirino del Nucleo Antisofisticazione dell’Arma sono
finite in particolare le prestazioni ambulatoriali, ma l’indagine si è poi
allargata ad altre questioni: visite specialistiche ed esami nel Servizio
sanitario pubblico. Le ispezioni sono state eseguite in presidi ospedalieri e
ambulatori delle aziende sanitarie, compresi gli Istituti di Ricovero e Cura a
carattere scientifico e le strutture private accreditate, con l’obiettivo di
accertare il rispetto dei criteri previsti dal Piano Nazionale di Governo delle
Liste di Attesa.
Sono
stati effettuati controlli in 1.364 tra ospedali, ambulatori e cliniche, sia
pubblici sia privati in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale,
analizzando 3.884 liste e agende di prenotazione per prestazioni ambulatoriali
relative a svariate tipologie di visite mediche specialistiche e di esami
diagnostici.
Tra i
casi più rilevanti, i Nas di Milano, Torino, Perugia e Catania hanno denunciato
9 medici per aver favorito conoscenti e propri pazienti privati, stravolgendo le
liste d'attesa, consentendo loro di essere sottoposti a prestazioni in data
antecedente rispetto alla prenotazione ed eludendo le classi di priorità. Il Nas
di Reggio Calabria ha denunciato, per l'ipotesi di peculato, 3 medici di Aziende
Sanitarie per aver prestato in modo fraudolento servizio presso un
poliambulatorio privato sebbene contrattualizzati in regime esclusivo con le
aziende sanitarie pubbliche. Il Nas di Perugia ha invece individuato un medico
radiologo svolgere attività privata presso un altro ospedale, pur trovandosi in
malattia, oltre a due infermieri che svolgevano esami del sangue per privati,
registrando falsi ricoveri.
Oltre
3 mila agende analizzate
Le
ispezioni svolte sull'ingente mole di dati e riscontri relativi a oltre 3 mila
800 agende ha consentito, inoltre, di rilevare 1.118 situazioni di affanno nella
gestione delle 2 liste di attesa e superamento delle tempistiche imposte dalle
linee guida del Piano nazionale, pari al 29% di quelle esaminate. Tra le cause
più frequenti degli sforamenti delle tempistiche sono state accertate, su 761
agende, carenze funzionali ed organizzative dei presidi ospedalieri e degli
ambulatori, diffusa carenza di personale medico e tecnici specializzati che,
oltre alla alla mancanza di adeguati stanziamenti e attrezzature, il che ha
determinato il rallentamento dell'esecuzione di prestazioni sanitarie.
Nessun
rispetto di priorità e urgenze
Slittamento che si ripercuote anche nel mancato rispetto delle classi di
priorità (“Urgente”, “Breve” e “Differibile”) ricollocate, in 138 casi, in
tempistiche entro i 120 gg (“Programmabili”), non compatibili con i criteri di
precedenza ed urgenza. In 195 situazioni il Nas ha riscontrato la sospensione o
la chiusura delle agende di prenotazione, in parte condotte con procedure non
consentite, oppure determinate dalla carenza o assenza di operatori senza
prevederne la sostituzione. Proprio in tale contesto, gli accertamenti svolti
dai Nuclei di Palermo, Reggio Calabria, Latina e Udine hanno consentito di
rilevare vere e proprie condotte dolose, con la denuncia di 14 dirigenti e
medici ritenuti responsabili del reato di interruzione di pubblico servizio, per
aver arbitrariamente chiuso in modo ingiustificato le agende di prenotazione a
luglio/agosto, posticipando le prestazioni diagnostiche per consentire al
personale di poter fruire delle ferie estive o svolgere indebitamente attività a
pagamento. Alle carenze di organico si integrano anche comportamenti non
allineati ad una corretta deontologia professionale, come nel caso di un
dirigente medico di una Asl della provincia di Roma che - sebbene responsabile
degli ambulatori di gastroenterologia e colonscopia per cui vi fosse
indisponibilità presso l'intera ASL - esercitava le stesse prestazioni in
attività intramoenia extramuraria – regolarmente autorizzata - presso un
poliambulatorio privato, con una programmazione fino ad 8 esami giornalieri.
Tra
pubblico e privato
Sono
state anche individuate 21 irregolarità nello svolgimento di attività
intramoenia per esubero delle prestazioni concordate con le Asl e omesse
comunicazioni sullo svolgimento delle attività esterne da parte dei medici
pubblici. Un ulteriore aspetto emerso dai controlli è la mancata adesione di
cliniche e ambulatori privati, già convenzionati, nel sistema di prenotazione
unico delle Aziende sanitarie o a livello regionale, aspetto che riduce la
platea di strutture utili per l'erogazione delle prestazioni mediche
specialistiche e diagnostiche.
Facebook. ZeroGas: Organizzazione di tutela ambientale
COME
MUORE UN ANZIANO OGGI?
Muoiono in OSPEDALE.
Perché
quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere
ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le
sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili
fleboclisi, le radiografie.
“Come
va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”.
Il
giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente!
Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da
diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come
va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile
dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma
voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare
un’ endoscopia”.
Chi
lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo.
Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia?
Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una
diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti
vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di
tutto per la nonna.
Certe
volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti.Talvolta no.
Dopo
la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola
ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato
fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A
questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La
vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire
in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce
sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è
abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le
notti diventano un incubo.
La
vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata,
rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia
come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della
figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore
dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il
medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”.
Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente
messa a dormire.
“Come
va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto
questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi
muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia
la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti
nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore
sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania
“assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La
cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale
ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di
emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco
spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in
ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente,
che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine
della vita.
Che
serve amore, vicinanza e dolcezza.
Vengo
preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è
anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le
elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma
perché?
Perché
i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono
vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel
lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il
cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima
dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina
di letto.
In
ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non
ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto
tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono
“rotture di scatole” delle 3 del mattino.
O
forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e
compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura
di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto
nosocomiale e non sul letto di casa.
di
Carlo Cascone (belle persona conosciuta per caso da ZeroGas)
11 ore
in attesa di ricovero Covid: la precisazione del Marianna Giannuzzi. Non ha
tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio
ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad
aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca
Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad
arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero
“Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in
ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza,
era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista
rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga
attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel
piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal
responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande
in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo
per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia
adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto
accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle
ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando
il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le
cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per
l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile,
riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di
Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio,
ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza
grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti.
Francesca Dinoi
Parla
il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza prima del ricovero al Giannuzzi.
L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di
Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore
in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un
calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana
domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di
Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che
l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da
diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una
cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo
le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione -
ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le
comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento
respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle
16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato –
già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento
e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa
sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che
angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era
interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione
e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho
contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a
denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande.
Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista,
sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli
dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi
preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di
comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un
uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere
ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a
novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore
organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le
ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per
un’emergenza? Non ho parole».
Verso
mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi all’Ospedale di Castellaneta, a 100
km di distanza, e la mia forte opposizione (ho preso la valigetta e stavo per
scendere dall’ambulanza per recarmi al pronto soccorso), mi introducono in
Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel
corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero effettivo in reparto avviene il
giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».
La situazione del presidio continua ad essere drammatica.
Primario chirurgo in ferie, niente interventi al Giannuzzi, pazienti trasferiti
altrove. La Redazione de la Voce di Manduria, giovedì 17 agosto 2023
Dal 12 agosto e sino al 21, all’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria non si
fanno interventi chirurgici perché il primario Rocco Lomonaco è in ferie. In
questo periodo dunque il pronto soccorso non accetta più patologie che
necessitano di intervento di natura chirurgica, neanche quelli di estrema
urgenza come emorragie interne di qualsiasi natura. Quelli che capitano che
vengono trasferiti altrove.
Lo ha comunicato la responsabile della direzione sanitaria del presidio
ospedaliero messapico, la dottoressa Irene Pandiani, in una circolare
indirizzata al pronto soccorso e alla centrale operativa del 118 che dal 12
scorso dirotta le ambulanze con i pazienti potenzialmente chirurgici negli
ospedali di Taranto, Martina Franca e Castellaneta. «Considerate le note carenze
di dirigenti medici nella struttura complessa di chirurgia generale – si legge
-, è possibile inserire in turno un solo chirurgo reperibile e logicamente –
aggiunge la nota -, non potranno essere effettuati interventi chirurgici da un
solo chirurgo». L’organico interno è quello che è: tre specialisti di cui uno
con limitazioni funzionali oltre al primario Rocco Lomonaco che è in vacanza.
L’alternativa sembra essere scontata per chi dirige il Giannuzzi e per la stessa
Asl ionica che lascia fare: «trasferire i pazienti chirurgici agli ospedali
limitrofi in assenza del primario».
In effetti a tutte le postazioni del 118, informato del caso, è stato impartito
l’ordine di bypassare il Giannuzzi e portare i pazienti con accertata patologia
chirurgica come primo step a Taranto e, in caso di indisponibilità di posti
letto, negli altri presìdi della provincia. E per chi si reca in pronto soccorso
con mezzi propri con disturbi di natura chirurgica, la storia non cambia perché,
altro ordine impartito dalla direzione medica del Giannuzzi, prima di essere
ricoverati tutti i pazienti devono essere valutati dall’unico chirurgo
reperibile che deciderà se tenerlo o farlo trasferire altrove se i disturbi
fanno prospettare una possibile implicazione di natura operatoria.
I disagi sono sotto gli occhi di tutti con ambulanze che dai comuni del versante
orientale della provincia fanno su e giù a Taranto e viceversa con gli
immancabili intasamenti davanti al pronto soccorso del Santissima Annunziata che
si deve far carico dell’utenza «servita» dalla struttura periferica chiusa per
le ferie del primario. E attendere il proprio turno, a volte lungo anche diverse
ore, significa lasciare scoperta la propria area di competenza con il rischio,
quasi quotidiano per la centrale operativa, di dover attivare ambulanze di altre
postazioni distanti decine di chilometri dal luogo della chiamata. Questo sia
per i codici di piccola o medie gravità ma anche per i codici rossi che devono
anche loro attendere l’arrivo della prima ambulanza disponibile spesso distante
15 o 20 chilometri, oppure «prestata» dalla centrale operativa 118 della
provincia di Brindisi o Lecce. Ovviamente questo crea disagi anche ai reparti
di chirurgia degli altri ospedali il cui organico, seppure più fornito del
Giannuzzi, risente sempre del calo della disponibilità dovuto allo stesso
diritti delle ferie che deve essere garantito.
Sanità, «a Taranto attese per pazienti fino a 12 ore».
La denuncia di Renato Perrini, vice presidente della commissione Sanità della
Regione Puglia. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29
Agosto 2023
«La
sanità pugliese è allo sbando. Lo denuncio da tempo ma, evidentemente, Emiliano
e Palese hanno altro a cui pensare. Una riflessione però va fatta, oggi, alla
luce di tutto quello che sta succedendo: nel 2014 è stato un errore chiudere il
Pronto Soccorso del Moscati, che come struttura sanitaria, era centrale, in
quando serviva non solo a sollevare il sovraccarico del Santissima Annunziata di
Taranto, ma anche di altri Comuni vicini». Lo dichiara in un comunicato il
vicepresidente della commissione Sanità della Regione Puglia, Renato Perrini.
«Non è possibile - continua - che il paziente oncologico, già fortemente provato
fisicamente, debba girovagare nei vari Pronto soccorso ed essere rimandato al
Moscati. È un’inutile sofferenza. Dopo l’ennesimo sopralluogo - effettuato ieri
sera - continuerò a sollecitare l’assessore Palese affinché venga riaperto il ps
dell’ospedale S.Giuseppe Moscati e il Moscati diventi davvero un polo oncologico
in grado di prendersi cura dell’ammalato».
«Oggi - conclude Perrini - alla luce di quello che sta avvenendo al Santissima
Annunziata, dove le attese per essere visitati arrivano anche a 12 ore, dare ai
cittadini di Taranto e provincia un presidio efficiente non è solo
indispensabile, ma dignitoso per i tanti pazienti che hanno diritto a una Sanità
degna di questo nome.
Quant’era bella giovinezza. La sanità italiana non riesce a compensare
l’invecchiamento della popolazione.
Gianni Balduzzi su L'Inkiesta il 30 Agosto 2023
I
medici sono in aumento, così come gli infermieri. A cambiare, negli ultimi
vent’anni, è stato il rapporto tra il numero di dottori e gli anziani, cioè
quelli che hanno più bisogno di cure e assistenza
Secondo i più recenti sondaggi di Eurobarometro sia per gli italiani che per gli
altri popoli dell’Unione europea al primo posto tra le riforme prioritarie che i
singoli Paesi, con l’aiuto di Bruxelles, dovrebbero intraprendere ci sono quelle
riguardanti la sanità. Viene anche prima dell’istruzione, del mercato del
lavoro, della transizione ecologica, del sostegno alle famiglie.
All’origine dell’emergenza, delle liste di attesa che si allungano, dell’assenza
dei medici di famiglia, non c’è solo la maggiore consapevolezza dell’importanza
del settore che il Covid ha portato, ma soprattutto una delle sfide epocali del
ventunesimo secolo (e probabilmente anche dei successivi): il calo demografico.
I dati, pubblicati molto di recente, sono chiari.
È
importante sottolineare che i medici praticanti per adesso non sono in calo, né
in Italia né altrove. Nel nostro Paese nel 2022 erano 424,9 per centomila
abitanti. E facendo una media dei numeri degli ultimi tre anni siamo circa a
metà classifica in Europa.
Lo
stesso discorso si può fare per un’altra categoria indispensabile e spesso
ignorata, quella degli infermieri, che sono 621,3, sempre ogni centomila
persone.
Certo, in Italia già si nota un certo rallentamento del trend, non a caso negli
anni Duemila vi erano più medici pro capite che in Spagna e in Germania, mentre
ora in questi ultimi due Paesi ne sono presenti circa il sei per cento in più.
Questo è un dato importante, un sintomo del fatto che la situazione italiana è
in realtà ancora più grave di quella degli altri Paesi.
Tuttavia il fatto più rilevante è il rapporto tra il numero di medici e quello
di coloro che di cure sanitarie hanno più bisogno, gli anziani. È qui il
principale problema, è qui che entra in gioco la transizione demografica e il
suo impatto, che come si vede, è più trasversale di quello che si pensa.
Se
nel 2000 vi era una ragionevole relazione diretta tra proporzione di over
settantacinquenni nella popolazione e densità di medici, ovvero ve ne erano di
più laddove vi erano più anziani, oggi le cose sono cambiate.
L’Italia si posiziona come il Paese in cui la percentuale di ultra-75enni, il
dodici per cento degli abitanti, è di gran lunga la più ampia, eppure siamo
passati dall’essere tra gli stati con più dottori a metà classifica. Ve ne sono
decisamente di più in Spagna, Norvegia, Austria, Germania, Lituania, dove la
quota di anziani è, di poco o di molto, più ridotta.
C’è
stata un’evoluzione differente da quella che ha interessato il resto d’Europa.
In alcuni (rari) casi come la Svezia il numero di medici pro-capite è cresciuto
anche in assenza di invecchiamento della popolazione, in altri, come in Germania
o Spagna, le due cose sono andate quasi di pari passo. In Italia, invece, la
crescita della quota di over-75 è stata decisamente più rapida.
Il
risultato è che oggi abbiamo il terzo peggior rapporto tra numero di medici e di
popolazione con più di settantacinque anni dopo Lettonia e Francia. Ce ne sono
solo 34,55 ogni mille. Non solo, scivoliamo al penultimo posto, davanti ai soli
francesi, se il confronto è con gli over-80.
Ci
sono 54,19 medici ogni mille ottantenni in Italia, mentre in Germania sono
63,48, in Spagna 73,78, nei Paesi Bassi 81,51, in Irlanda addirittura 115,13.
Considerando che, è pleonastico dirlo, sono questi, gli over-75, gli over-80, ad
avere maggiore necessità di servizi sanitari, siamo davanti a un grande
incremento di domanda di fronte a un’offerta che non aumenta abbastanza.
Aggiungiamo a questo il fatto che negli anni, anche a parità di età, è cresciuta
l’attenzione per la propria salute, vi è una maggiore premura di fare
prevenzione, di approfondire un sintomo.
Come mai l’offerta stenta? In parte proprio per la stessa ragione che sta
portando a un eccesso di domanda, la transizione demografica: i medici italiani
sono i più vecchi d’Europa, più di metà, il 54,1 per cento di essi, ha più di
cinquantacinque anni. Questa percentuale è del 44,1 per cento in Germania, del
44,6 per cento in Francia, del 32,7 per cento in Spagna. E questo invecchiamento
è avvenuto in modo più veloce proprio nel nostro Paese che altrove.
Non
si tratta solo di questo, però. Tra i motivi c’è anche il limitatissimo afflusso
di medici dall’estero. Solo l’1,5 per cento di quelli presenti si è formato in
altri Paesi e poi è arrivato in Italia, meno che in Romania, in Polonia, che in
gran parte dei Paesi dell’Est. A questi ci accomuna, tra l’altro, un destino di
emigrazione sostenuta del personale medico.
È
stridente il confronto con realtà come quelle della Norvegia, dell’Irlanda,
della Svizzera, dove intorno al quaranta per cento dei medici è immigrato.
Singolare è il caso della Grecia, dove un terzo dei dottori ha studiato altrove,
per esempio proprio in Italia, ma si tratta in gran parte di greci che poi sono
tornati.
Abbiamo grande bisogno di stranieri che si formino nel nostro Paese e ci
rimangano, o che arrivino anche dopo. Come accade nel caso di tanti infermieri
che sono giunti nel nostro Paese.
Ci
si può consolare con il fatto che dal 2014 aumentano i laureati in medicina, e
non di poco. Sono più di diciotto all’anno ogni centomilamila abitanti, erano
meno di dodici un anno fa. Abbiamo fatto meglio degli altri Paesi europei da
questo punto di vista.
Basterà di fronte all’invecchiamento di chi medico è già e sta per andare in
pensione? Di fronte alla crescita inarrestabile della proporzione di anziani?
No. La transizione demografica ci sta facendo pagare pegno anche in questo
ambito, non solo in campo pensionistico, economico, fiscale.
Visto che interessa tutta Europa nel medio periodo neanche l’immigrazione da
altri Paesi può essere una soluzione stabile. In una lotta a chi strappa più
giovani, risorsa sempre più scarsa, all’altro, i Paesi più poveri come l’Italia
sarebbero perdenti.
E
di fronte all’ineluttabilità dei comportamenti riproduttivi in Occidente, non
possiamo sperare in un ritorno a un numero di nascite analogo a quello di
cinquant’anni fa, l’unico aiuto può venire dalla tecnologia. Anche se questo
vuol dire che si tratterà soprattutto di soluzioni che importeremo, se il
sistema Paese rimarrà questo, allergico alle innovazioni, allergico alla
ricerca.
Insomma, il futuro non possiamo prevederlo, non sappiamo quanto
l’informatizzazione e l’intelligenza artificiale potranno prendere piede nella
sanità e quanto velocemente, ma una cosa appare piuttosto certa: è meglio se gli
attuali over-50 che non sanno farlo comincino a imparare a usare il computer e
gli strumenti digitali.
Antonio Giangrande: Covid. Immunità di
gregge o Lockdown e coprifuoco?
L'Immunità di gregge è l'infezione totale ed immediata, tale da scongiurare la
reinfezione, ove sussistesse come nel Coronavirus. La pandemia si estinguerebbe
naturalmente in breve tempo.
Il Confinamento-Quarantena (Lockdown) e Coprifuoco è l'infezione graduale che,
ove si manifestasse la reinfezione, sarebbe duratura e mai totale. La pandemia,
negli anni, si fermerebbe, inibendo il protrarsi dell'infezione, tramite la
prevenzione con i vaccini periodici, a secondo la variante del virus, che
attivano gli anticorpi nei soggetti più forti, o con le cure con gli antivirali
(combattono le cause) ed antinfiammatori (leniscono gli effetti). La quarantena
è preferita per la speculazione effettuata su prevenzione e cura.
Immunità di gregge. Sarebbe un sistema che ci permetterebbe di uscire dalla
crisi in tempi brevi senza restrizione. Il Virus circola liberamente. Ci
sarebbero asintomatici, paucisintomatici e sintomatici lievi e gravi, i quali,
quest'ultimi, sarebbero ricoverati e curati con qualsiasi cura disponibile,
anche quelle osteggiate, ma efficaci. Ma è No! No. Non perchè, per media
prezzolati ed allarmisti, per politici incapaci e per pseudoesperti virologi di
sinistra, morirebbe troppa gente, ma perchè la malconcia sanità italiana non
potrebbe sopportare lo stress dei ricoveri. Ergo: i morti sarebbero tali per la
malasanità e non per il virus.
Lockdown e coprifuoco: misure per salvare vite umane? No! Misure deleterie per
l'economia, ma obbligate per nascondere il fallimento della Sanità. Foraggeria e
tagli. Clientelismi e nepotismi per la cooptazione e favoritismi al Privato
hanno ridotto il sistema sanitario a dover adottare l'unica scelta: confinare i
cittadini e centellinare i ricoveri per Covid per mancanza di personale ed
infrastrutture, impedendo la cura, inoltre, di altre patologie, il cui numero di
morti conseguenti è taciuto. Infartuano i pazienti per non collassare gli
ospedali. Taglia, taglia che qualcosa resterà!
Insomma: confinamento e crisi economica è il prezzo da pagare per salvare la
faccia ed i finanziamenti a pioggia a soggetti fisici e giuridici tutelati a
fini elettorali. Finanziamenti che, se veicolati sulla sanità, porterebbe questa
ad affrontare qualsiasi emergenza.
Antonio Giangrande:
Il Lockdown (confinamento) visto con gli occhi di un bambino.
Bimbo: papà, perché
siamo reclusi in casa come i carcerati?
Padre: per non
farci ammalare…
Bimbo: ma non ci
sono gli ospedali per curarci?
Padre: non ci sono
posti per tutti…
Bimbo: papà, tu ti
lamenti che paghi tante tasse, perché non fanno i posti per tutti?
Padre: i posti
c’erano, poi li hanno tolti, perché dicevano che i soldi non bastano.
Bimbo: perché se i
soldi non ci sono, tutti li vogliono senza lavorare e poi li ottengono?
Padre: perché ne
vogliono di più…e tanti campano così.
Bimbo: papà, se io
mi ammalo e vado in ospedale e non ci sono posti, muoio?
Padre: Non ti
preoccupare, i posti disponibili li danno ai malati più giovani, mentre i malati
più vecchi li fanno morire, o li mandano in quei posti dove ci sono altri
vecchi.
Bimbo: ma papà, ma
così fanno ammalare e morire anche quelle persone anziane che sono sane! Meno
male che io sono giovane. Se vado in ospedale mi curano…
Padre: no! Se tu
vai all’ospedale ti ammali. Quasi tutte le persone si sono infettate
all’ospedale, dove c’erano anche i medici e gli infermieri senza mascherine.
Bimbo: papà, allora
perché non chiudono gli ospedali e ci fanno uscire a noi?
Papà: non dire
queste cose, perché alla tv dicono che chi lavora in ospedale sono eroi e non
untori e poi sono i medici che decidono che dobbiamo essere reclusi. Per loro se
andiamo in ospedale e ci ammaliamo è colpa nostra!
Antonio Giangrande:
La pedanteria sanitaria. Per i medici tutto fa male. Pedante. Nell’uso
moderno, e per lo più in senso spregevole, e chi, nell’insegnamento e nello
studio e nella cura, si richiama continuamente alle regole, osservandole e
facendole osservare con scrupolo meticoloso e scarsa intelligenza; per
estensione, di chi pone una cura eccessivamente minuziosa, meticolosa, pignola
in qualsiasi cosa faccia: Finalmente i medici sono riusciti a renderti la tua
vita sana, ma vissuta in un inferno.
Coronavirus, non
uscire di casa, non fare sesso, non mangiare le patate fritte. Arrigo D'Armiento
il 10 Aprile 2020 su romadailynews.it. La sapete quella delle patate fritte? Un
uomo va dal dottore per un controllo. Dopo la visita, il dottore gli dice: “Le
condizioni generali sono buone, tuttavia io le raccomando vivamente di smettere
di fumare”. Il paziente: “Veramente io non fumo, non ho mai fumato”.
Il medico: “Bene,
ma mi raccomando, smetta di bere alcolici, al massimo mezzo bicchiere di vino ai
pasti”. Il paziente: “Veramente io non bevo alcolici, sono totalmente astemio”.
Il medico: “Bene,
bene. Però, non esageri con le donne, col sesso, ha una certa età, deve
trattenersi”. Il paziente: “Dottore, io sono assolutamente casto, vado in chiesa
tutte le mattine, ho sposato soltanto Cristo e la Madonna”.
A questo punto il
medico spazientito sbotta: “Ma c’è una cosa, almeno una, che le piace?”. Il
paziente: “Bè, veramente, io ho una certa predilezione per le patate fritte, le
mangio spesso”. Il medico non trattiene un urlo: “Basta! Da oggi non mangi più
le patate fritte!”.
Quanta saggezza
nelle barzellette! Perché il medico ha proibito al malcapitato paziente di
mangiare le patate fritte? Semplice, perché proibendo al paziente una cosa,
qualsiasi cosa, il medico lo spinge a fare mea culpa. Se ti ammali, se hai
problemi di salute, la colpa è tua, non mia che non so curarti.
È la stessa ricetta
che la chiesa ci propina da millenni, vietandoci un sacco di cose a cui non
sappiamo né possiamo rinunciare. La trovata più perfida e più utile, utile ai
preti, è di proibirci di fare sesso se non alle condizioni stabilite da loro.
Agli adolescenti è
proibito masturbarsi, ai ventenni di fornicare con le ragazze, ai mariti e alle
mogli di ricorrere alle corna per rendere meno noioso il matrimonio. E hanno la
faccia tosta di vietare tutte queste naturali tendenze con la trovata che sono
contro natura. Contro natura le tendenze naturali? Contro natura la cosa più
naturale del mondo, conseguente all’istinto di conservazione della specie?
Loro, i preti, lo
sanno benissimo che contro la natura non c’è proibizione che tenga. Proprio per
questo ricorrono a quei divieti, così chi non obbedisce, e non obbedisce
nessuno, si sente in colpa, poi più recita il mea culpa e più si sottomette al
potere dei preti.
Perché vi ho
raccontato queste cose? È per ricordarvi che le autorità sanitarie e politiche
ragionano alla stessa maniera: vietano al gregge di stare all’aperto, pur
sapendo che il contagio di covid-19 è molto meno facile all’aperto che al
chiuso. Facendo jogging o passeggiate, rimanendo a più di un metro di distanza
dagli altri, non ci si infetta. Affollandoci al supermercato o sui mezzi
pubblici, ci si infetta facilissimamente.
Così, se ti
infetti, è colpa tua che sei uscito di casa, non colpa delle autorità che non ti
hanno dato la mascherina e che hanno tagliato i fondi alla sanità non avendo
l’abitudine di guardare al passato per prevenire i danni nel futuro.
Antonio Giangrande: Chi cerca trova: i misteri della coerenza della scienza.
Tasso di morbosità più alta rispetto agli altri paesi? Perché sono stati fatti
più tamponi rispetto alla popolazione.
Tasso di letalità più alto rispetto altri paesi? Perché sono stati fatti meno
tamponi rispetto alla popolazione.
Antonio Giangrande:
La Dittatura Sanitaria.
Sono sì consulenti,
ma guai a non attenersi alle loro linee guida. Gli esperti scientifici e gli
enti nazionali ed internazionali di Sanità hanno dimostrato la loro
inaffidabilità. Eppure a sviare dalle loro voglie si paga dazio con la
magistratura, la quale alla politica deviante affibbierà le colpe di un
disastro.
Antonio Giangrande:
Coronavirus. I nostri esperti? Inaffidabili.
Da rivedere le
misure contro il contagio.
Il virus si
trasmette tramite aerosol naturale (nebbia, pulviscolo, polveri sottili) a molti
metri di distanza e per parecchio tempo. Si contagiano occhi, naso, bocca. Per
questo servono mascherine che coprano occhi e naso ed occhiali che proteggano
gli occhi.
Antonio Giangrande:
Coronavirus ed esperti. I protocolli sanitari della morte.
I protocolli
adottati e resi obbligatori hanno dimostrato gli errori criminali dell’OMS
(Organizzazione Mondiale di Sanità) ed dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) e
del Comitato Tecnico Scientifico consulente del Governo.
I tamponi non
previsti per gli asintomatici ed i paucisintomatici hanno fatto sì che gli
infettati contagiassero tutti coloro che, prima, erano liberi di muoversi, e,
dopo, era permesso di muoversi.
L’uso non previsto
delle mascherine e di ogni apparato di protezione ha permesso agli infettati di
contagiare ed ai sani di essere ammorbati.
La politica ha
pensato bene di prevedere uno scudo penale per la sanità e per i suoi pseudo
esperti scientifici.
Ergo: di questo
scempio mai nessuno renderà conto, se non a Dio.
Antonio Giangrande: Gli affari della Sanità privata padana a danno di quella
del Sud, sotto tutela dello Stato.
Con
il principio della spesa storica (riferimento a quanto percepito negli anni
precedenti), il Nord Italia si “fotte” più di quanto dovuto, a spese del Sud
Italia.
In
virtù, anche, di quel dipiù la Sanità padana spende di più perché è foraggiata
dallo Stato a danno della Sanità meridionale, che spende di meno perchè
vincolata a dei parametri contabili prestabiliti.
Poi
c’è un altro fenomeno sottaciuto:
Nelle strutture private del Nord, costo pieno di rimborso;
Nelle strutture private del Sud, costo calmierato di rimborso.
Con
questa situazione si crea una contabilità sbilanciata e un potere di spesa
diversificato.
In
questo modo i migliori chirurghi del meridione sono assoldati dalle strutture
settentrionali e pagati di più. Questi, spostandosi, con armi, bagagli e
pazienti meridionali affezionati, creano il turismo sanitario.
Con
una finanza rinforzata la Sanità padana è pubblicizzata dalle tv commerciali e
propagandata dalla tv di Stato.
Ergo: loro diventano più ricchi e reclamizzati. Noi diventiamo sempre più poveri
e dileggiati.
Poi
arriva il Coronavirus e ristabilisce la verità:
la
presunta efficienza crea morte nei loro territori;
la
presunta arretratezza contiene la pandemia, nonostante, artatamente, dal Nord
per salvare la loro sanità, siano stati fatti scappare i buoi infetti con
destinazione Sud.
Michele Emiliano a Stasera Italia su Rete4 (Rete Lega) del 3 maggio 2020.
«Innanzitutto noi abbiamo aumentato di millecinquecento posti i posti letto
autorizzati da Roma. E abbiamo subito approfittato di questa cosa. Devo essere
sincero: il sistema sanitario pugliese è un sistema sanitario regolare. Noi non
abbiamo mai avuto problemi sulle terapie intensive. Quindi però, Pomicino
evidentemente è intuitivo, capisce che questo è il momento per cui le sanità del
Sud…siccome i nostri non possono più andare al Nord per curarsi perché è troppo
pericoloso, devono essere rinforzate per limitare la cosiddetta mobilità
passiva. Quindi io l’ho detto chiaro: io non terrò più conto dei limiti, posti
letto, assunzioni, di tutta questa roba, perché non siamo in emergenza. Farò
tutte le assunzioni necessarie, assumerò tutte le star della medicina che
riuscirò a procurarmi, cercherò di rinforzare i reparti. Manterrò i posti letto
in aumento. Anche di più se possibile. Chiederò ai grandi gruppi privati della
Lombardia per i quali c’è una norma che li tutelava in modo blindato.
Immaginate: io potevo pagare senza limite i pugliesi che andavano in Lombardia
presso queste strutture, se queste strutture erano in Puglia c’era un tetto
massimo di spesa fatto apposta…Siccome questo tetto deve saltare, io sto
proponendo a questi grandi gruppi di venire e spostarsi al Sud per evitare i
rischi Covid, ma soprattutto per evitare il rischio aziendale per loro. Perché è
giusto che questa mobilità passiva: 320 milioni di euro di prestazioni sanitarie
che la Puglia paga alla Lombardia in prevalenza, solo perché quel sistema è
stato supertutelato. Adesso tutti dovremmo trovare il nostro equilibrio e la
nostra armonia».
Antonio Giangrande:
Il Covid ed il Fallimento del Sistema Sanitario Nazionale.
Emergenza Covid e
la paralisi della Sanità: altro che dare la colpa ai No Vax. E’ Il fallimento
del sistema sanitario.
Baronato,
demeritocrazia, austerity ed interessi privati nella gestione di un servizio
pubblico sono la causa del fallimento.
Parola d’ordine:
austerity e interessi privati. Con questi principii la sanità pubblica è stata
ridimensionata e, spesso, data in mano ai privati, sostenuti dai media, dalla
politica interessata e dalla finanza.
Il sistema privato
accreditato è parte integrante e necessario del sistema sanitario italiano. Ed
ha assunto una grande rilevanza in nome dell’austerity. Con l’epidemia il
sistema sanitario limitato nel suo agire è al collasso.
Del sistema
sanitario italiano fanno parte erogatori sia pubblici sia privati.
Il Sistema privato
si distingue in accreditato con il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e non
accreditato.
Il primo è parte
integrante dell’offerta delle cure garantite dal nostro paese. Il suo obiettivo
è di essere complementare all’offerta dei servizi sanitari del pubblico in una
logica di partnership istituzionale e di condivisione dei valori fondanti il
Ssn: universalità, uguaglianza, equità.
Negli ultimi anni
le prestazioni sanitarie private accreditate hanno assunto una rilevanza
maggiore. Ma anche quelle non accreditate sono aumentate.
Il contenimento
della spesa ha portato inevitabilmente a una contrazione dell’offerta del Ssn.
Il Nord Italia,
capofila nell’accreditare al privato la cura pubblica, è stato quello che ha
pagato più dazio alla limitazione del servizio di cura ed assistenza.
Invece i media
prezzolati e la politica interessata, anziché denunciare l’anomalia
costituzionale, parlano e sparlano sempre dei No Vax, incentrando su di loro le
pecche del sistema e giustificando con questo ogni indirizzo politico di
contrasto: obbligo vaccinale e Green Pass
Antonio Giangrande,
autore del saggio “IL COGLIONAVIRUS”.
Covid-19: lo
conosco; li conosco.
Il virus: mi ha
colpito pesantemente. Ho rispettato tutte le regole imposte dagli incompetenti.
Regole inutili visti i risultati di morti ed infetti, nonostante si voglia dare
la colpa alla gente ligia al dovere. In ospedale mi hanno somministrato 15 litri
di ossigeno con la saturazione del sangue a 82. Stavo per morire e non me ne
rendevo conto. In ospedale ho visto morire gente che stava meglio di me. Un
attimo prima scherzavano e ridevano; un attimo dopo annaspavano come se
affogassero in mare. Non avevo ossigeno, ma avevo spirito, tanto da darlo agli
altri. Mi sono salvato solo grazie alle cure sperimentali assunte su mia piena
responsabilità, ma negate ai malati ignoranti o inconsapevoli sedati, incapaci
di decidere.
Gli esperti: tutti
si elevano a professoroni in tv nel parlare di qualcosa che non si conosce e
quindi che non conoscono. Sballottando di qua e di là i cittadini, in base alle
loro opinioni cangianti dalla sera alla mattina.
I coglioni sani,
asintomatici o pauci sintomatici che non ci credono alla pericolosità del virus:
dicono che sono un miracolato, perché avevo patologie pregresse, o, comunque,
non curate. Tutto falso. I morti per Covid-19 sono il frutto della malasanità,
specialmente quella nordica, falsamente eccelsa tanto pubblicizzata in tv, e/o
di protocolli sanitari criminali. Sono menzogne divulgate da media prezzolati
dal Potere incompetente ed incapace. Protocolli sanitari internazionali, giusto
per dire: tutto il mondo è paese. Protocolli imposti da chi diceva che il
Coronavirus non era pandemia. Ero sanissimo, più di altri. Uno sportivo di arti
marziali che a 57 anni riusciva, prima, e riesce, ancora dopo, a fare 22
chilometri di corsa in un’ora e 45 minuti e con la bici da cross in 41 minuti.
Per il mio lavoro ero e sono chiuso in casa da mattina a sera. Se ha colpito me,
colpisce tutti.
I NoVax: cosa mi
sentirei di dire a chi osteggia il vaccino? Cazzi loro. Di Covid-19 c’è ne per
tutti, anche per loro. Mi spiace solo per i loro familiari, vittime
inconsapevoli. Perché questa è una malattia che si trasmette, specialmente, alle
persone più vicine. E poi direi che il vaccino non è solo la panacea di tutti i
mali, ma sicuramente è la speranza che si possa uscire da quest’incubo. E chi
non si nutre di speranza: muore disperato. Dr Antonio Giangrande
Coronavirus. Covid-19. SARS-CoV-2. Lo conosco. Li conosco. Testimonianza
dall’inferno della malattia.
Intervista al dr Antonio Giangrande, sociologo storico, autore di
“Coglionavirus”, libro in 10 parti che analizza gli aspetti clinici e
sociologici del Virus; la reazione degli Stati e le conseguenze sulla
popolazione.
Dr Antonio Giangrande, lei stesso è stato vittima del virus, essendo stato
ricoverato in gravi condizioni in ospedale. Esprima, preliminarmente, la sua
considerazione da vero esperto del virus.
«I nostri professoroni,
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al Consiglio Superiore di Sanità,
fino ai componenti dei vari comitati consultivi, saranno titolati, sì, ma sono
assolutamente ignoranti sul tema, essendo il Covid-19 un virus assolutamente
sconosciuto. A dimostrazione di ciò ci sono i pareri e le direttive
espressi nel tempo, spesso in contraddizione tra loro. Si va da “non è epidemia”
dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, al “le mascherine non servono” del
Consiglio Superiore di Sanità. Per non dire delle contrapposizioni tra gli
scienziati. Nonostante ciò, i pseudo esperti hanno imposto regole che si sono
dimostrati essere protocolli della morte.
Il
Contagio avviene per aerosol con insinuazione in ogni orifizio. O si è tutti
bardati o ristretti in casa, o si è tutti a rischio di infezione: altro che
mascherina e distanziamento di un metro. Basterebbe indossare il burqa con
visiera e saremmo liberi di circolare.
E
che dire dei medici di base che che per colpa non verificano la salute, non
seguono e non assistono i malati e non denunciano i positivi, in presenza di
sintomatologia specifica, lasciandoli liberi di infettare.
La
gente non è morta, o ha sofferto per il Covid-19, ma per la malasanità e per i
protocolli sbagliati.
I
posti letto negli ospedali sono mancanti perchè il ricovero non è tempestivo e
con ciò si allungano i tempi di degenza. E le degenze non sono ristrette,
usufruendo della terapia domiciliare o dell'assistenza domiciliare Usca per i
casi più gravi non ospedalizzabili.
I
nostri governanti, poi, da incompetenti in materia, hanno delegato ai sanitari,
spesso amici, per pararsi il culo, la gestione della pandemia. Dico amici perché
stranamente gli esperti non allarmisti, si trovano tutti dalla parte
dell'opposizione politica. La Gestione maldestra della pandemia ha comportato
gravi conseguenze economiche, sociali e psicologiche. Le Autorità sanitarie, a
loro volta, hanno adottato dei protocolli passivi, giusto per “pararsi il culo”
anche loro. Giusto per evitare azioni di tutela legale per colpa professionale.
In
questo modo hanno osteggiato ogni forma di cura palliativa, sperimentale,
innovativa e compassionevole. Chi lo ha fatto se n’è assunta la piena
responsabilità.
I
morti, poi, li hanno fatti passare per fisiologici:
E’
morto perché anziano.
E’
morto perché aveva patologie pregresse.
La
verità è che il protocollo prevede la discrezionalità su chi deve vivere e su
chi deve morire.
I
medici come Dio, insomma.
Un
giorno, forse, qualcuno dovrà rendere conto a Dio ed alla giustizia penale e
civile per il male fatto alla popolazione».
Da leggo.it il 22 dicembre 2020.
"Quello
che ci stupisce è che durante tutta la pandemia, fino a oggi, non si è mai
parlato di assistenza domiciliare e prevenzione. Ciò che andrebbe immediatamente
sviluppato è il rapporto tra pubblico e privato, che al contrario non si è
sviluppato al punto tale da poter fare gioco di squadra utile ai cittadini".
Così la dottoressa Maria Stella Giorlandino, amministratrice dei Centri
Diagnostici Artemisia Lab, intervenendo alla Camera dei Deputati alla conferenza
stampa organizzata dai deputati del gruppo Misto Antonio Zennaro e Raffaele
Trano per presentare, in osservanza della Costituzione, protocolli a tutela
dell'universalità del sistema sanitario nazionale, sulla base della necessità di
procedimenti diagnostici e terapeutici uniformi. "Le informazioni giunte dalla
Cina hanno creato una grandissima confusione - ha sottolineato Giorlandino - su
quella che era la reale natura del virus, là dove era stata erroneamente
definita come polmonite bilaterale. Grazie alla professionalità dei nostri
medici è stato rilevato che il Coronavirus parte come semplice stato influenzale
per poi trasformarsi nei soggetti più deboli o affetti da patologie, in malattia
immunitaria. Tralasciando le ben note difficoltà che le strutture private hanno
incontrato per poter svolgere i vari test di supporto al pubblico - ha aggiunto
- abbiamo delle proposte per uscire dalla pandemia". Secondo l'amministratrice
di Artemisia Lab occorrerebbero "percorsi diagnostici curativi già esistenti con
terapie da fare a domicilio al primo sintomo, lastre domiciliari polmonari per
evitare l'intasamento dei Pronto Soccorso, ricoveri per persone a rischio o
anziani immunodepressi, tampone dell'antigene quantitativo e non qualitativo". E
infine, conclude Giorlandino "informazioni dettagliate dalle strutture del
territorio, dei mass media non allarmistiche ma chiarificatrici e linee di
condotta uniche a livello nazionale".
Quali le
conseguenze per non essere omertoso come tutti gli italiani?
«Scrivere
"Coglionavirus" ha comportato la mia rovina economica. Amazon, piattaforma
internazionale su cui quel libro ed altri 200 testi tematici, erano distribuiti,
stampati e venduti, ha cancellato il mio account e fatto cessare i miei
proventi. Da questo Stato è logico non avere alcun ristoro economico. Non ho
diritto a niente: bonus aziende o professionisti, indennità di disoccupazione,
cassa integrazione, reddito di cittadinanza, pacchi alimentari».
Cosa
pensa dell’allarmismo?
«Quando i numeri si danno a casaccio.
La comparazione tra i tamponi effettuati ed il numeri dei positivi non sono
veritieri. I dati ufficiali, se da una parte sono carenti, dall’altra parte sono
eccedenti:
si
prendono in esame i tamponi effettuati da privati, che danno solo esito
positivo, escludendo quelli con esito negativo;
per
ogni soggetto si effettuano più tamponi procrastinati nel tempo, quindi si
rilevano più positività per un singolo soggetto positivo.
Da quotidianosanita.it il 3 novembre 2020. Gentile Direttore, ogni giorno
nell’aggiornamento dei dati giornalieri sul Covid-19 tra i dati del Ministero
della Salute/Istituto Superiore di sanità costantemente riportati e rielaborati
in tutti i sistemi “derivati” di monitoraggio (come quelli utilizzati dai media
di settore o “generalistici” o da social molto seguiti come “Pillole di
ottimismo” su Facebook) ci sono quelli relativi ai nuovi casi (e quindi il
numero di persone trovate per la prima volta positive al tampone riportato nella
Tabella originale nella colonna “incremento casi totali”) ed al numero di
tamponi effettuati (riportato nella tabella originale nella colonna “incremento
tamponi”). Prendiamo i dati di ieri 2 novembre: ci sono stati in Italia 22.253
nuovi casi e 135.731 tamponi. Automaticamente viene calcolato in molti sistemi
“derivati” il rapporto positivi/tamponi che sistematicamente cresce (ad esempio
ieri è stato di 21,9 contro il 21,7 del giorno prima). E ovviamente questo dato
viene assimilato ad un dato negativo che testimonia della maggiore circolazione
del virus. In realtà si tratta di un indicatore fuorviante che così com’è non
andrebbe usato o comunque molto meglio descritto ed interpretato. Perché mette
in un unico calderone dati di diversa provenienza e completezza come evidenzierò
tra poco. Premesso che il disciplinare tecnico che regolamenta il flusso dei
tamponi è difficile da trovare (e non dovrebbe esserlo), lo si può ricostruire
in base ad alcune ricostruzioni empiriche che partono da una analisi del modello
organizzativo delle attività di laboratorio che “generano” il dato sui tamponi
(ovviamente di quelli ritenuti validabili dai Servizi di Prevenzione e quindi
eseguiti con tecnica molecolare in laboratori autorizzati dalle Regioni). I
tamponi vengono per lo più eseguiti all’interno di tre percorsi: quello delle
nuove diagnosi in persone con sintomi compatibili o contatti di casi, quello del
monitoraggio dei casi ai fini del calcolo dei “guariti” e quello dello screening
spesso su base volontaria da persone che vogliono sapere se sono infette o
meno. I primi due percorsi sono gestiti per lo più da laboratori pubblici,
mentre il terzo vede un coinvolgimento imponente dei laboratori privati
autorizzati dalle Regioni. Cosa succede? La mia ricostruzione in base alla
situazione delle Marche, che conosco bene, è che mentre i nuovi casi positivi
diagnosticati dai privati finiscono appunto tra i nuovi casi e confluiscono nel
numeratore del rapporto positivi/tamponi, il numero totale di persone esaminato
dai privati (che comprende anche i negativi) non entra nel denominatore falsando
l’andamento del rapporto. Ma non è finita qui. Il denominatore ha invece dentro
anche i dati dei tamponi di monitoraggio che non c’entrano niente coi
nuovi casi. Un denominatore (o un suo pezzo) che non genera numeratore non va
incluso nel calcolo di un rapporto. Facciamo una verifica coi dati Ministero/ISS
del 29 ottobre relativi alla Regione Marche che confrontiamo con l’elaborazione
più analitica che ha fatto coi dati dello stesso giorno la Regione Marche.
Scegliamo questo giorno perché sta in mezzo alla settimana e rappresenta più
fedelmente la situazione. I dati di Ministero e Regione coincidono: 686 casi e
3.915 tamponi. Ma quello della Regione Marche è più analitico e ci dice che in
realtà i nuovi casi sono stati “generati” da soli 2.372 tamponi (quelli relativi
al cosiddetto percorso nuove diagnosi) e che quel numero 3.915 ha dentro anche i
tamponi del cosiddetto percorso guariti ovvero quello che riguarda il
monitoraggio dei “vecchi” casi. Ma non è finita qui. I tamponi del percorso
diagnosi includono quelli dei laboratori privati solo quando positivi, mentre
quelli negativi sempre più numerosi non vengono verosimilmente conteggiati.
Risultato: il rapporto positivi/tampone del monitoraggio ministero/ISS per
quanto riguarda le Marche al denominatore conta tamponi in più di un tipo che
non ci dovrebbero stare e dall’altra manca dei tamponi dei privati che ci
dovrebbero stare. Se non si fa chiarezza è legittimo e credibile pensare che
almeno parte dell’incremento quotidiano del rapporto positivi/tamponi sia
sovrastimato visto il numero fortemente crescente dei tamponi fatti dai privati.
Soluzione: migliore gestione del flusso. Claudio Maria Maffei,
Coordinatore scientifico di Chronic-on».
Parli di come è stato infettato.
«Io
vivo in Avetrana in provincia di Taranto.
Per il mio lavoro e per il mio carattere ho
sempre fatto vita riservata, così come mia moglie. Le uniche uscite erano il
fare sport da singolo ed isolato ed il fare la spesa, con rispetto delle regole
imposte: mascherine e distanziamento e rapportarsi il meno possibile con i
genitori anziani. Eppure, questo mio comportamento esemplare, in ossequio alle
regole sbagliate, si è dimostrato letale.
L’8
novembre 2020 mio fratello fa visita ai genitori: il giorno dopo ha la febbre.
Il
9 novembre 2020 vado a far visita ai miei genitori ultraottantenni: mascherina e
distanziamento. Presente un terzo fratello. Ho notato che avevano il
riscaldamento alto.
Il
10 novembre 2020, cioè giorno dopo il malessere dei miei genitori si trasforma
in febbre lieve. Per questo motivo tutti i figli, tre maschi ed una donna, con
altri familiari ristretti, gli fanno visita con mascherina e distanziamento.
I
miei due fratelli dopo pochi giorni hanno evidenziato i primi sintomi, mia
sorella asintomatica. Immediatamente, si è coinvolto il medico curante che ha
provveduto al tampone per tutti. Alla fine risultano tutti infettati, compresi
le loro famiglie. 15 componenti di 4 nuclei familiari. Ai primi sintomi,
correttamente, tutti abbiamo adottato il confinamento domiciliare e nessuno ha
infettato alcuno. Fortunatamente i genitori anziani sono stati pauci
sintomatici, così come gli altri componenti della famiglia. Un fratello
ricoverato in modo lieve. Solo io ho subito le conseguenze gravissime,
rasentando la morte.
Si
è scoperto che mio padre è stato infettato frequentando, con mascherina e
distanziamento, un luogo pubblico. Egli pensava che la lieve febbre fosse dovuta
al vaccino antinfluenzale.
Questo sta ha dimostrare due cose:
1.
Che la mascherina ed il distanziamento non bastano, ma bisogna essere bardati
con occhiali e visiera per non essere infettati. Il virus si insinua in ogni
orifizio. Il virus è 100 volte più piccolo del batterio e quindi galleggia
nell’aria e con essa si muove. Posso prenderlo dopo molti metri e dopo molti
minuti;
2.
Che spesso sono gli anziani ad infettare i giovani e non viceversa. Perché sono
quelli che spesso non rispettano le regole;
3.
Molti sono infetti asintomatici e non lo sanno. Ed infettano in buona fede;
4.
Molti sono infetti pauci sintomatici o conviventi asintomatici o pauci
sintomatici di infetti conclamati. Sanno di essere infetti, ma continuano la
loro vita e da criminali infettano gli altri.
5.
Ma cosa più importante che ho potuto constatare in seguito, dopo il mio
ricovero, è che ci si infetta principalmente in strutture protette. Il degente
C.mo C.lò è stato infettato in una RSA, quella di Villa Argento di Manduria e
poi trasferito al Giannuzzi di Manduria. Il Degente V.to T.liente di Martina
Franca, ricoverato al Santissima Annunziata di Taranto per altre patologie, è
stato refertato negativo all’arrivo nel nosocomio e poi infettato in quel
reparto. Successivamente trasferito al Giannuzzi di Manduria».
Parli della reazione degli avetranesi.
« A
riguardo mi riporto a al post di mio figlio, avv.
Mirko Giangrande, pubblicato sulla sua pagina
facebook il 18 dicembre 2020 ore 20.30: “Il Festival delle Illazioni”. Come
tutti ben sanno l’intera mia famiglia è stata vittima, chi in modo più grave chi
in modo più lieve, del Covid - 19. Un nemico invisibile e infido che ha colpito
in modo violento, repentino e simultaneo. Un fulmine a ciel sereno che si è
abbattuto su gente sempre diligente e rispettosa di ogni regola: mascherina,
distanziamento, tamponi, ecc. Tutto ciò, purtroppo, non è bastato ma alla fine,
uniti come sempre, ne siamo usciti più forti di prima. Combattendo anche contro
la “malasanità pugliese”, ma su tale argomento ormai tanto è stato detto e
scritto, sebbene ancora qualcuno, accecato dalla partigianeria politica, esalta
qualcosa che esiste solo nella propria mente e continua ad inondarci di belle
parole su una situazione invece tragica e sotto gli occhi di tutti. Ma cosa ci è
rimasto di questa esperienza? Il letame. Esatto, tutta la “merda” che buona
parte (ovviamente non tutta) del nostro paese ci ha tirato addosso. Non
supportandoci ma trattandoci da “untori del paese”, che “il virus ce lo siamo
meritato”, “che non dovremmo più farci vedere in giro per un bel po’”, “che ci
siamo infettati partecipando a delle feste”. Ma la stronzata numero uno è che
l’untore degli untori sono stato io, il principio della pandemia avetranese. Io
avrei infettato i miei familiari e poi sarei scappato via. Ovviamente
tralasciando il fatto che è dal primo ottobre che sto a Parma senza mai tornare
e che nessuno dei miei familiari ha partecipato a nessuna festa. Tali illazioni
non possono che partire dalle bocche di criminali e che non possono che far leva
solo sui COGLIONI creduloni. Tutto ciò condito da un alto tasso di codardia,
dato che chi mette in giro queste voci lo fa di nascosto, conscio che fa bene a
non esporsi, rischiando tantissimo in termini legali...”.
In
questo modo per la cattiveria e l’ignoranza della gente, i positivi non si
palesano per paura della gogna, alimentando l’epidemia.»
Parli dell’evoluzione della malattia.
«Dal famoso 9 novembre 2020 ho
avvertito subito sintomi di malessere e febbre, ma ho continuato a fare i miei
22 chilometri di corsa e bicicletta. Fino a che la febbre a 39 e mezzo, senza
sintomi specifici, me lo ha impedito. Pensavo fosse un periodico raffreddore,
dovuto alla sudorazione e le temperature anomale, curabile con la tachipirina e
gli antibiotici.
Il
15 novembre 2020 chiamo il medico curante chiedendogli un antibiotico più
potente, con l’ausilio della penicillina, il cortisone e la protezione. Mi
prescrive tutto, meno la tachipirina che è a pagamento. Antibiotico Azitromicina
da 500, cortisone Deltacortene da 25, Penicillina, protezione, Eparina e
sciroppo per la tosse. Per il proseguo della malattia ha voluto essere informata
ed ella stessa si informava. Ha prontamente contattato l’ASL.
Il
20 novembre 2020 il tampone effettuato risulta positivo.
Il
22 novembre 2020 alle 10.30 per il persistere della febbre e per i sintomi di
asfissia chiamo il 118. Con l’ossigenazione del sangue a 82, si decide il
ricovero immediato».
Parli degli altri medici di base.
«La
Dr.ssa Maria Antonietta Ingarozza, mio medico di base è stato esemplare. Ha
seguito l’assistito ed avvisato le autorità. Ed è lo stesso medico di mia madre:
esemolare anche con lei.
Il medico di mio
padre, sintomatico, ha omesso la cura del paziente, abbandonandolo a sé stesso,
e non ha avvisato le autorità, alimentando l’infezione in famiglia.
Il medico dei miei
fratelli sintomatici, ha omesso alcune cure ai pazienti e ha disposto il tampone
solo su sollecitazione degli assistiti.
Parlando con alcuni
passanti, ho scomperto, addirittura, che a Sava vi era un medico che consigliava
ai suoi assistiti di nascondere i sintomi del Covid-19, dissimulandoli come
sintomi influenzali, omettendo, così, il controllo del tampone».
«Parli del suo ricovero e dell’impatto con il sistema sanitario.
«Per questa malattia la tempestività
è essenziale. Prima si interviene, prima si impedisce l’aggravamento, prima si
guarisce e nessuno muore. Prima si interviene e meno giorni sono di degenza e
più posti letto sono a disposizione. Così come più posti letto si ottengono con
una degenza limitata sostenuta da assistenza domiciliare Usca. Invece il sistema
sanitario, per non ingolfare gli ospedali impedisce il ricovero ai pazienti
sintomatici fino a farli diventare critici ed a lunga degenza, o con conseguenze
mortali.
Ergo: il protocollo sbagliato porta la morte dei pazienti e la paralisi delle
strutture sanitarie.
La
saturazione ottimale del sangue deve essere pari a 100 o quasi. Ogni alterazione
comporta un intervento immediato. A mio fratello è stato impedito un primo
ricovero, dal medico del 118, con la saturazione a 92, chiaro sintomo di
sofferenza. Tanto che c’è stato l’inevitabile peggioramento ed il ricovero, con
degenza di settimane.
Alle 12 del 22 novembre 2020 inizia la mia odissea. L’equipaggio del 118 misura
la saturazione del sangue: 82. Mi rendo conto perché, andando in bagno, ho avuto
un mancamento stando in piedi e ho sbattuto la fronte sul muro sopra il vaso. Mi
caricano sull’ambulanza e partono. Sento le sirene: questa volta le sirene sono
per me e sento un groppo alla gola. Legato al lettino pare che tutte le buche
della strada sono centrate dalle ruote posteriori: una volta una, altra volta
l’altra. E finalmente si arriva all’ospedale Giannuzzi di Manduria.
Dante Inferno, Canto III
"...Dinanzi a me non fuor cose create
se
non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...
Ed
ecco verso noi venir per nave
un
vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e
avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna..."
11 ore in attesa di ricovero Covid: la precisazione del Marianna Giannuzzi.
Non ha tardato ad arrivare la
replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna
Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per
circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca Dinoi su La Voce di
Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad arrivare la replica da
parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul
caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore
prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza, era stato il figlio del
paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista rilasciata al Nuovo
Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga attesa a cui erano
stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel piazzale
dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal
responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande
in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo
per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia
adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto
accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle
ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando
il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le
cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per
l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile,
riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di
Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio,
ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza
grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti.
Francesca Dinoi
Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza prima del ricovero al
Giannuzzi.
L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di
Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore
in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un
calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana
domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di
Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che
l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da
diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una
cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo
le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione -
ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le
comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento
respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle
16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato –
già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento
e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa
sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che
angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era
interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione
e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho
contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a
denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande.
Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista,
sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli
dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi
preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di
comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un
uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere
ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a
novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore
organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le
ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per
un’emergenza? Non ho parole».
Verso mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi all’Ospedale di Castellaneta,
a 100 km di distanza, e la mia forte opposizione (ho preso la valigetta e stavo
per scendere dall’ambulanza per recarmi al pronto soccorso), mi introducono in
Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel
corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero effettivo in reparto avviene il
giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».
Parli della sua degenza in ospedale.
«Traumatica e psicologicamente
devastante. Dante Inferno, Canto III
"...Dinanzi a me non fuor cose create
se
non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...
Ed
ecco verso noi venir per nave
un
vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e
avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna..."
Il Reparto.
I Reparti Covid si suddividono in: reparto ordinario Covid; reparto Medicina
Covid (reparto semi intensivo con gestione diversa del paziente); reparto di
terapia intensiva (Rianimazione con assistenza più pregnante per i casi più
gravi), reparti post Covid per la rieducazione polmonare. Sono stato ricoverato
al Reparto Ortopedia Covid dell’ospedale Giannuzzi di Manduria. Quindi curato
anche da ortopedici. Mi portano in una stanza a tre letti. C’è uno di Avetrana
che non vuole esser nominato ed il mio amico Damiano Messina, noto per la sua
ditta di trasporti, che mi ha autorizzato a citarlo. E’ critico e con criticità,
cioè grave e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie pregresse. In
precedenza i suoi polmoni erano stati colpiti da una malattia simile al Covid 19
dovuta ad un virus trasmesso dai pipistrelli e debitamente curata. Era
proveniente dal Moscati di Taranto, di cui racconta tutto il male possibile. E’
stato tra i primi degenti del reparto Ortopedia Covid di Manduria, con altri
provenienti dal Moscati di Taranto. Arrivato sabato 14 novembre sera, ha trovato
il solito balletto dell’inaugurazione. Però non c’era ancora acqua per lavarsi,
né per bere. Così come mancava l’elemento essenziale: l’ossigeno. Elemento
essenziale e continuativo. Poi sono sempre state insufficienti le bombolette
dell’ossigeno per i degenti sufficienti che dovevano andare al bagno non
accompagnati. Avevo il letto numero 2. In quella stanza c’era il letto n. 3.
Postazione speciale con ossigenazione fino a 20 litri. Adeguata per necessità
dopo un caso di emergenza proveniente dalle altre stanze. Alla dimissione dei
miei amici mi hanno spostato nella stanza assieme a mio fratello, ricoverato al
pronto soccorso il giorno prima di me, ma saliti simultaneamente in reparto. Poi
sono stato spostato in un’altra stanza. Avevo il letto n. 7. Entrambe le stanze
avevano un comune denominatore. Le emergenze delle seconda andavano a finire
nella prima. E guarda caso solo la stanza numero 2 ha avuto emergenze,
risultate, poi, mortali. La stanza è una prigione. Rispetto a noi i reclusi
ostativi o del 41 bis del carcere sono in vacanza. Quando non sei costretto a
letto, sei comunque costretto a letto. Non puoi aprire le finestre, né aprire la
porta di entrata/uscita. Così per settimane. La stanza aveva due telecamere,
affinchè i medici avessero la situazione sempre sotto controllo. In questo modo
loro sanno tutto quanto succede nelle camere, anche delle emergenze. Non puoi
ricevere i parenti, ne la biancheria di ricambio, quindi stesse mutande, stessa
maglietta, stesso pigiama per settimane. Se non hai rasoi o strumenti della
manicure diventi un licantropo.
La pulizia delle stanze. La pulizia
era buona e per due volte al dì.
Il Vitto.
Il vitto era decente, ma spesso freddo. Le buste ermeticamente chiuse con
l’elenco del contenuto, come previsto dal capitolato d’appalto, erano sempre
aperte a rischio di contaminazione e con l’acqua mancante. L’acqua era riservata
al buon cuore dei sanitari, su richiesta. La distribuzione del vitto avviene:
Ore
8.00 colazione. Latte macchiato o te, quasi sempre freddo. Biscotti o fette
biscottate con marmellata.
Ore
12. Pranzo. Primo, secondo, pane e frutta. Posate. Acqua mancante.
Ore
15.30. Cena. Idem come pranzo.
I pazienti.
Paziente inteso come sostantivo si intende una persona affetta da malattia
affidata ad un medico. Paziente inteso come aggettivo si intende una persona
disposta alla moderazione, alla tolleranza ed alla rassegnata sopportazione. In
questo caso verso il Covid e nei confronti dei sanitari.
Per
i sanitari la morte di un paziente è sempre certificata come conseguenza di
patologie pregresse: falso!
Antonio Calitri per “il Messaggero” il 22 novembre 2020. Nella BAT che i medici
chiedevano diventasse zona rossa, una mamma di 41 anni è morta di Covid dopo
aver atteso 11 ore al pronto soccorso. Non ci sono posti per i ricoveri all'
ospedale di Barletta, capoluogo della provincia Bat in Puglia. E così Antonella
Abbatangelo, che soffriva da una settimana di sintomi da Covid-19 sempre più
gravi, è costretta ad attendere ben 11 ore prima di essere visitata. Quando
finalmente viene presa in carico come recita la nota della Asl, i medici si
accorgono subito della gravità della situazione, in due giorni finisce in
terapia intensiva ma non ce la fa e dopo altri quattro, muore. E sberleffo
finale, il marito e il figlio di appena 14 mesi non possono partecipare al suo
funerale perché in isolamento domiciliare nonostante siano risultati negativi al
tampone.
LE FALLE. Disorganizzazione, ospedali allo stremo e tanta sfortuna hanno inciso
sul destino di una donna, giovane per le statistiche della letalità del virus,
ma che si scopre essere stata anche vittima di malasanità. «Ben 11 ore di attesa
prima di essere visitata al pronto soccorso», ha denunciarlo il marito
Massimiliano che poi ha anche scritto sui social di aver ricevuto pochissime
notizie della moglie. «Siamo stati attaccati al telefono da mattina a sera solo
per avere spiegazioni confuse e veloci da parte dei dottori». La storia inizia
la settimana scorsa quando la donna accusa febbre e tosse che inizia a curare a
casa. Quando la situazione diventa più grave, il 12 novembre Antonella si reca
all' ospedale di Trani, la città dove vive, ma non essendoci un reparto Covid,
viene rimandata a casa. Il giorno dopo viene accompagnata a Barletta, dove
attende 11 ore, fino alla presa in carico delle 23.01.
LA NOTA DELLA ASL. Poi, seguendo la nota della Asl, la donna è stata sottoposta
a visita medica alle 23.05, sono stati evidenziati dispnea e febbre elevata da
due giorni curata a domicilio. Al quadro clinico acuto va aggiunta una grande
comorbilità rappresentata da problemi metabolici. È stato immediatamente
eseguito tampone che ha dato esito positivo. La signora è stata quindi
sottoposta a ossigenoterapia e sono stati immediatamente richiesti esami
ematochimici ed emogasanalisi. Poi, prosegue la ricostruzione dell' Asl, il
quadro clinico è apparso già molto complesso e compromesso. La situazione è
peggiorata nella mattinata del 15 novembre quando sono intervenuti i rianimatori
che hanno intubato la paziente in pronto soccorso e poi l' hanno trasferita nel
reparto di Rianimazione ma, conclude il comunicato, nonostante tutti gli sforzi
dei clinici la paziente è deceduta in data 19.11. Per sapere se abbia inciso
anche la lunga attesa prima di accedere alla struttura, il direttore generale
della Asl Alessandro Delle Donne ha detto di aver «avviato indagine per
verificare tutti i passaggi di quanto accaduto».
Nel
reparto normale ortopedia Covid di Manduria venivano ricoverati pazienti
critici, ma anche critici e con criticità, cioè gravi e con comorbidità o
comorbilità, ossia patologie pregresse, che sicuramente avevano bisogno di altro
reparto:
con
assistenza specialistica semi intensiva ed intensiva, con interventi invasivi e
non invasivi, che un normale reparto non garantisce;
strumenti specifici come per esempio il casco respiratorio per ventilazione
polmonare o l’intubazione e non la semplice mascherina polmonare, o
l’occhialino polmonare di un normale reparto.
La
ossigenoterapia può essere sostenuta da 0 a oltre venti litri di ossigeno.
Dipende dagli strumenti di erogazione. E in quel reparto non c’erano. Come non
c’erano medici specialistici per ogni patologia riscontrata. Differenze di
interventi che possono causare la morte.
Il
mio amico Damiano Messina mi parla della sua esperienza traumatica. Ha assistito
alla morte di P.tro D.ghia di Monteiasi, 64 anni. Damiano è stato ricoverato
sabato 14 novembre, P.tro è portato nella sua stanza 2-3 giorni dopo. Il degente
critico e con criticità non è stato ricoverato in un reparto adeguato alle sue
patologie: ne prima né dopo l’emergenza. Il pomeriggio del 16 o 17 novembre è
stato spostato di urgenza dal posto n. 9 della stanza di ricovero e posto al n.
3 della stanza di Damiano. Il posto è stato adeguato successivamente come
postazione speciale. Tutto il pomeriggio P.tro ha sofferto agonizzante con
sintomi di asfissia. Sostenuto con il solo ausilio del casco respiratorio con
ossigenazione a 20. Spesso i compagni di stanza chiamavano con il pulsante di
emergenza, perché il paziente lasciato solo per molto tempo si spostava e si
toglieva il casco, perchè non dava il ristoro richiesto. L’intervento dei
sanitari non era immediato. L’agonia si è protratta, senza soluzione di
continuità, senza che vi sia stato alcun cambio di intervento terapeutico, fino
al primo mattino del giorno dopo. La morte è intervenuta per inerzia. Spesso la
presenza fisica dell'assistenza dei sanitari non era garantita. Loro hanno visto
tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Morte di un essere umano senza
il sostegno dei familiari. E’ seguita pulizia della salma e composizione della
stessa in un sacco di plastica. Un uomo diventato una cosa trasferita in
obitorio.
La
mia seconda stanza era la camera della morte. Durante la mia decenza, tutti i
morti erano ivi ricoverati. C.mo C.lò, infettato alla RSA Villa Argento di
Manduria, del letto n.9 ha preso il posto di P.tro D.ghia di Monteiasi. Il
degente critico e con criticità non è stato ricoverato in un reparto adeguato
alle sue patologie: ne prima né dopo l’emergenza. Ho convissuto con lui per due
giorni dal 3 al 4 dicembre 2020. Era un continuo chiamare seguito da non
immediata risposta. Per due giorni i parametri erano intorno agli 85-90 per
l’ossigenazione e un ritmo cardiaco intorno ai 135 battiti, mai al di
sotto dei 125, senza soluzione di continuità. La mascherina con il sacchetto
gliela hanno messa quando la saturazione era ad 88, in sostituzione di quella
con la proboscide. L’ultima chiamata di allarme da parte nostra (mia e di mio
fratello riuniti nella stanza) per l’evidente sofferenza del paziente è avvenuta
il 4 dicembre 2020. L’intervento non è stato pronto ed immediato. Loro
hanno visto tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Saturazione a 85 e
135 battiti e strumentazione impazzita. Il ritardo degli interventi mi ha
costretto a filmare gli eventi a fini di giustizia ed informazione. Quando con
le telecamere hanno visto che filmavo con il telefonino la situazione, con i
parametri anomali e gli allarmi sonori della strumentazione, sono intervenuti a
spostare il paziente nella postazione speciale. Subito dopo è intervenuto un
energumeno di infermiere, che con fare minaccioso mi ha intimato, su ordine del
medico, di cancellare il video dal cellulare. C.mo C.lò successivamente è morto,
a 56 anni, ma tutti (dagli Oss, fino agli infermieri ed i medici) omertosamente
hanno tenuto nascosto la notizia. Nella postazione n. 8 della mia seconda stanza
un degente non autosufficiente è andato al bagno senza bomboletta di ossigeno,
mancante, così come senza accompagnamento dei preposti a farlo. Loro hanno visto
tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Il paziente uscendo dal bagno ha
avuto una mancanza d'aria ed è caduto. Si è schiantato al suolo ed è morto.
Omertà o meno, peccato per loro che mi sono trovato sempre nel posto giusto al
momento giusto. O sbagliato secondo i punti di vista.
L’assistenza sanitaria.
E’ previsto il Bonus Covid per medici e operatori sanitari. Va da 600 euro a
oltre mille euro. L’1 dicembre 2020 c’è stata un’infornata di nuove assunzioni e
trasferimenti al reparto Ortopedia Covid di Manduria.
Coronavirus.
Rapporto decessi-guariti. Se la matematica è un'opinione.
Bollettino del
Ministero della Salute riferito al 16 marzo 2020. Infettati 27980: Positivi
23073 (in attesa di evoluzione della malattia); Deceduti 2158; Guariti 2749.
Ad occhio sembra
che il Rapporto decessi-guariti è quasi alla pari. Ergo: una metà degli
infettati muore, l'altra guarisce.
Antonio Giangrande:
Morire di Fame o di Virus? A proposito di arresti domiciliari. L'Italia non è
tutta Milano e come tale non deve essere trattata. Perchè nei privilegi siamo
diversi e nella disgrazia siamo uguali? Perchè non alleviare il peso di
un'emergenza con raziocinio? Siamo reclusi in casa e liberi di muoverci in
quell'ambiente chiuso per difenderci dal contagio. Se la nostra casa è immune in
quanto nessuno esce e nessuno entra, perchè non considerare alla stessa stregua
un luogo indenne ed incontaminato la casa allargata? Casa allargata come fortino
inespugnabile può essere considerato il condominio, o il borgo isolato, o il
quartiere, o il paese: nessuno entra; nessuno esce. Ma all'interno si è liberi
di muoverci e lavorare.
Antonio Giangrande: I pregiudizi territoriali ed economici.
Mio
nonno contadino ed analfabeta diceva: “Son ricchi. Hanno rubato. Io lavoro tutto
il giorno e non divento ricco”. Ergo i ricchi sono ladri. La verità è che non
aveva nè arte, nè parte, nè degni natali.
Mia
zia emigrata al nord diceva: qua non è come "da voi", è meglio qua, tutta
un'altra cosa. La verità è questa: è emigrata perchè non aveva nè arte, nè
parte, nè degni natali. Per rivalsa è diventata rinnegata. La verità dei
rinnegati è che, appunto per invidia, rinnegano le loro origini. Non sanno che
sono condannati al limbo: saranno sempre terroni per i corona polentoni e corona
polentoni per i terroni.
I
Settentrionali puri conosciuti al Nord hanno sempre dei pregiudizi sui
Meridionali: siamo tutti pregiudicati (da pregiudizio). Ergo: pregiudicati
uguale a delinquente ed essendo del Sud siamo tutti delinquenti mafiosi. La
verità è che sono ignoranti, resi tali dai media prezzolati dalla Finanza del
Nord, e sono in malafede perchè vogliono le risorse finanziare pubbliche tutte
per loro e lo sfruttamento delle risorse umane meridionali per i loro fini. E'
l'invidia di non avere il mare, il sole e di non essere gente del sud solidale e
con la luce nel cuore.
Quindi se per i comunisti e per i settentrionali siamo mafiosi, noi meridionali
non abbiamo diritto a gestire le nostre risorse se non dimostriamo di non essere
mafiosi.
In
Italia l’onere della prova è ribaltata: i ricchi ed i meridionali devono
dimostrare di essere onesti, mentre gli accusatori non devono dimostrare di
essere bugiardi e razzisti.
Antonio Giangrande:
Il Fallimento della Sanità Lombarda. Gli altezzosi, arroganti e presuntuosi
padani ed i loro media amici non possono nascondere la verità. Un sistema di
sanità privata promossa e pubblicizzata come "Eccellenza" dalla padana Mediaset,
ma toccato da scandali e finanziato dalle Regioni meridionali per pagare i
servizi resi ai loro malati con la valigia. Quei meridionali illusi che al nord
Italia vi sia un'eccellenza che al Sud manca. Ma oggi con l'emergenza della
pandemia si notano tutti i limiti di una menzogna. E' un ecatombe addebitabile,
sì, al Coronavirus, ma causata da inefficienze strutturali. Basti pensare che le
prime vittime ed i primi carnefici sono stati proprio gli operatori sanitari.
Antonio Giangrande:
Il Reato di Passeggiata. Italia criminale: stai a casa immobile o ti arrestiamo.
Controlli e sanzioni penali a decine di migliaia di trasgressori. Furti, omicidi
ed altri efferati delitti? Sono ormai reati di second'ordine e di cui nessun
Media ne parla. Nell'Italia della mafiosità è vietata la libertà di mobilità.
Come se fosse l'aria a diffondere il virus. Invece sono gli uomini ad infettare.
Anzi, è la stupidità del genere umano a contagiare fisico ed intelletto. I media
allarmistici ed i manettari pronti ad additare i fuorvianti. I panzoni
poltronari e pantofolai pronti ad accusare gli atleti. La soluzione? Basta poco,
che ci vuole. Basterebbe che lo Stato garantisse la distribuzione dei
dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine, occhiali, tute,
cuffie) dai contatti di prossimità. Ma se lo Stato non riesce a fornire tali
strumenti ai sanitari ed a proteggere chi sta in prima linea, trasformandoli nei
principali untori, ovvio che si metta ai domiciliari un intero popolo di pavidi.
La domanda allora
è: E' necessità, giustizialismo o incapacità?
Milano VS Napoli.
Al Sud gli si nega anche il merito. Gli Egoisti ed Invidiosi: si fanno sempre
riconoscere.
Galli (Sacco)
contro Ascierto (Pascale): “Non avete scoperto nulla, protocollo testato prima
al nord”. Delle due l’una:
o hanno nascosto la
sperimentazione ufficiosa della cura non condividendo i risultati al resto
d’Italia;
o sono dei bugiardi
patentati, oltre che essere egoisti, invidiosi e razzisti.
Antonio Giangrande:
Coronavirus: idiozia ed invidia vs capacità. Mediaset ed il sistema
padano non possono nascondere i meriti mondiali dei professori meridionali
Ascierto, Gambotto, Ranieri. rispettivamente: Cura, vaccino e tecnica salvavita.
Il razzismo territoriale dei padani contro la competenza dei meridionali. Ci
chiamano Terroni, potremmo chiamarli Corona, ma li apostrofiamo semplicemente:
Coglioni.
Antonio Giangrande:
Settentrionali vs Meridionali. La parafrasi di un atteggiamento razzista da
una parte e coglionista dall'altra.
Ogni volta che
aprono bocca i padani non parlano mai (o solo) dei cazzi loro.
Su ogni argomento
stanno sempre lì a comparare loro ai meridionali.
Riguardo al tema
del Coronavirus.
Il Nord untore ha
prima infettato il Sud e poi l'ha rinchiuso in casa da sano, affamandolo.
Il Nord ha dato
prova di inefficienza ed incompetenza. Ciononostante, stanno lì a chiedersi ed a
trovare il cavillo calunnioso sul perchè il Sud non deborda di morti, stante,
secondo loro, l'arretratezza della sanità e della società meridionale, restia a
rispettare le norme di contenimento.
La litania dei
"Corona" settentrionali con la moglie cozza: Quanta è bella mia moglie; ma
quanta è brutta la loro.
La risposta dei
"Terroni" meridionali con la moglie bella ed affascinante: Quanta è brutta mia
moglie; è più bella la loro.
Non riesco a
trovare nessun settentrionale che riveli la realtà dei fatti e parli male della
Padania. Che dica: che racchia di femmina!
Si riscontra solo:
quanto è bella, progredita, onesta, ricca che paga le tasse.
Non riesco a
trovare alcun meridionale che metta in evidenza i difetti e le mancanze del Nord
ed indichi le eccellenze del Sud e che, nel paragone dica: che bonazza di
femmina!
Si riscontra solo:
quanto è brutta, arretrata, mafiosa, povera ed evasora fiscale.
Non so chi mandare
a fanculo: i razzisti o i coglioni!!
Antonio Giangrande:
Bonus Spesa: l'umiliazione della domanda e l'umiliazione della spesa e la
rinuncia per dignità ed orgoglio. Ne approfitteranno i soliti furbi,
spendendoli in futilità, e chi ne chiederà conto politico. Se tutti, oggi, sono
in emergenza, perché non distribuiscono i pacchi spesa casa per casa, salvo
rifiuto? Consegna a domicilio del fabbisogno alimentare a carico degli esercizi
commerciali convenzionati con l'amministrazione comunale.
Antonio Giangrande:
In che mani stiamo. Un Governo che non è stato votato dal Popolo, si
impegna a non rappresentarlo. Questo Governo non decide, ma per pararsi il culo
per le stragi, si tiene buoni scienziati, pubblici ministeri e giornalisti. A
loro fa decidere sulla carcerazione domiciliare dei cittadini e sulla
scarcerazione dei detenuti. Ed ai giornalisti ha dato l'incarico di vigilanza
sulle fake news (sic).
Antonio Giangrande:
A proposito di Coronavirus.
Il parere del
sociologo storico e scrittore, dr Antonio Giangrande.
Sul Coronavirus ho
scritto “Coglionavirus”, un saggio in più parti di centinaia di pagine con fonti
autorevoli ed attendibili.
Il saggio scritto a
futura memoria e inteso a dimostrare come l’incapacità ed inaffidabilità del
passato possa affrontare un problema nel presente, e l’incompetenza, poi,
ritrovarcela nel futuro.
Perché in Italia
nemmeno i disastri o le rivoluzioni cambiano le cose.
Il sunto del mio
saggio sono verità che dai media prezzolati e politicizzati non sentirete mai.
Il Virus italiano
non è cinese: nessun cinese o comunità razziale o etnica diversa da quella
italiana, stanziata nel Bel paese, è stata origine di focolaio o di paziente
zero.
Il Virus italiano
non è tedesco, come qualcuno a ripicca del diniego degli euro aiuti vuole far
credere. Nessun focolaio tedesco è stato acceso in Germania, così come in
Italia.
Il Virus italiano è
padano, per la precisione è lombardo: perché lì vi è stato il paziente uno. Lì
vi è stato il focolaio principale che ha causato decine di migliaia di morti.
Tanti contati, altri non conosciuti. Quel Focolaio ha dato vita alla pandemia in
Italia ed all’estero. Perché gli italiani dove vai vai, lì ne trovi sempre
qualcuno, chi per vacanza, chi per lavoro.
Il Virus italiano è
simile, non uguale, a quello cinese ed ama umidità ed inquinamento. Attraverso
le particelle dello smog o le goccioline della nebbia si trasporta per vari
metri e per lungo tempo.
Il fattore
principale di propagazione in tutta Italia è stata la partita a Milano tra
l’Atalanta ed il Valencia, con quarantamila bergamaschi in trasferta, originari
del focolaio principale. Così come è stato strumento di propagazione ogni
partita che l’Atalanta ha giocato a porte aperte fuori casa, compresa quella col
Lecce, in Puglia.
Per il resto si è
permesso di infettare il Sud Italia, al momento immune, per alleggerire il
carico sulla sanità padana. Qualche coglione padano, cosiddetto giornalista, si
rallegrava del fatto che ora sì, siam diventati tutti “Fratelli d’Italia”!
Oltretutto, e non
lo dicono, oltre alla mascherina omologata ci vuole l’occhiale che protegge gli
occhi. Perchè se è vero, come è vero, che il virus viaggia nell’aria, può
entrare da ogni pertugio del corpo umano.
La Sanità Lombarda,
prima, e quella nazionale, poi, ha mostrato tutti i suoi limiti, essendo gli
operatori sanitari i principali untori della pandemia. Si andava per cure e si
usciva infettati.
Gli operatori
sanitari, qualcuno vero eroe, altri meno, tra cui coloro che hanno preso
decisioni scellerate o i disertori dalla malattia facile, hanno pensato bene di
proporre la loro immunità penale, facendo leva sull’indignazione e cavalcando
l’onda del momento a loro favore.
Il sistema lombardo
centrico non ha avuto remore, in tempo di crisi, a privare la sanità meridionale
dei macchinari salva vita per devolverli agli ospedali del nord, requisendo i
respiratori già consegnati in Calabria ed in Puglia.
L’eccellenza
riconosciuta all’estero, ma come al solito denigrata in Italia, è stata quella
dell’ospedale napoletano: il Cutugno per mezzo del prof. Ascierto, che ha
scoperto la cura testata su tanti pazienti già guariti.
I media prezzolati
e politicizzati, poi, con i soliti ciarlatani, hanno allarmato il popolo per
prepararlo al peggio, con decisioni risibili.
Il popolo italiano,
inoltre, ha combattuto la guerra come è usuale farlo: fuggendo.
Chi di dovere,
anziché relegare pochi migliaia di malati ed il proprio nucleo familiare in
strutture protette, ha rinchiuso 60 milioni di sani, privandoli di libertà e
ricchezza, senza soluzione di continuità e senza barlume di speranza. Non li ha
rinchiusi tutti, però. Nel contempo hanno permesso a chi, infettato, era
autorizzato a girare per le città su autobus e metrò, e così a continuare a
contagiare ed a diffondere l’epidemia.
Bastava poco ad
arginare l’emergenza. Tamponare o analizzare il sangue a tutti, o perlomeno, uno
per nucleo familiare, considerato che dove lo è uno lo sono tutti quelli a lui
vicino. Di conseguenza monitorare i suoi spostamenti, passati, presenti e
futuri, con gli strumenti tecnologici.
Invece se coglioni
eravamo prima del disastro, lo siamo durante o lo resteremo in futuro.
Per provare quello
che dico, basta fare mente locale su quello che si è detto e fatto durante tutto
questo periodo: il tutto ed il contrario di tutto. E nulla si sa del futuro.
Antonio Socci
cinguetta: "Siccome non erano capaci di procurare le mascherine, ci dicevano che
non servivano alla gente comune. Di questa splendida informazione sanitaria
firmata dal governo chi risponde?"
Maria Giovanna
Maglie punta il dito contro il secondo presunto fronte della menzogna, quello
relativo ai tamponi. "E siccome non hanno tamponi ci dicono che i test agli
asintomatici non servono. Quante bugie di Stato! Qualcuno pagherà?”
Qualcuno dice che
tutto questo ci cambierà: sì, in peggio.
Dr Antonio
Giangrande
Antonio Giangrande: La lezione degli Albanesi ai Lombardo-Veneti.
E’ atterrato all'aeroporto Valerio Catullo di Verona, riaperto in via
straordinaria per l'occasione, il volo con a bordo il team, arrivato ieri a
Fiumicino, composto da 10 medici e 20 infermieri provenienti dall'Albania per
aiutare gli ospedali di Bergamo e Brescia, tra le zone più colpite dalla
pandemia.
"È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere e anche Paesi
ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse esattamente perché noi
non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non
dimostrare all'Italia che gli albanesi e l'Albania non abbandonano mai l'amico
in difficoltà". Ha detto il Premier Albanese.
Matteo Salvini e la coerenza, un rapporto complicato. Il leader della Lega, come
tanti colleghi politici, ha ringraziato il gesto di solidarietà del premier
albanese Edi Rama, che ha inviato 30 medici e infermieri in Lombardia per
aiutare la sanità nostrana a fronteggiare l’epidemia di Covid-19. Bisogna andare
indietro di qualche anno, è il 24 giugno del 2014, per leggere sempre sui social
dell’ex ministro parole al vetriolo contro la stessa Albania. “Alla faccia della
storia, dell’economia, del passato e del futuro – è il commento del leader del
Carroccio, all’epoca europarlamentare – No all’Europa Supermercato”.
"Qualche giorno fa è uscita una lettera dei primari di rianimazione della
Regione Lombardia, che accusavano la mancanza di solidarietà delle vicine
Regioni, e credo si riferissero al Veneto, perché non avevano messo a
disposizione personale medico e infermieristico fondamentale nel momento in cui
qui avevamo il picco e non riuscivamo più a gestire le terapie intensive e il
personale che veniva ricoverato. Mi sono chiesto, leggendo questa lettera, se
esiste il Servizio sanitario nazionale, visto che ogni Regione cerca di
chiudersi al proprio interno". Lo ha detto il sindaco di Brescia, Emilio Del
Bono, ospite di "Che tempo che fa" il 29 marzo 2020.
«L'impresa veneta ha un Pil di 150 miliardi di euro: se crolla il Pil del Veneto
crolla l'Italia». Lo ribadisce il governatore del Veneto, Luca Zaia, impegnato
da questa mattina, 28 febbraio, nella sede della Protezione civile regionale a
Marghera per fare il punto sulla situazione sanitaria in Veneto in merito alla
diffusione del coronavirus. «In Veneto il turismo è letteralmente in ginocchio -
dice Zaia -. Un comparto che, con 18 miliardi di fatturato, a livello nazionale
rappresenta la più grande industria turistica in Italia. A questo settore si
aggiunge la grande difficoltà che stanno vivendo le nostre 600mila partite Iva».
A questo punto ci vorrebbe un pernacchia. Ma mi esimo, ricordando la storia.
Il Veneto da prima dell'annessione al regno d'Italia era una terra con una forte
tradizione migratoria soprattutto nelle zone pedemontane. Inizialmente il
fenomeno fu di carattere perlopiù temporaneo o stagionale, diretto in
particolare verso la Germania, l'Austria e l'Ungheria. Si emigrava soprattutto
dalle zone montane, in particolare dalle province di Vicenza, Treviso e Belluno.
Dopo l'Unità d'Italia, anche il Veneto subì una profonda crisi economica, la
quale diede inizio alla grande emigrazione.
E dire che in momenti di estrema necessità, a mangiare i topi – e qualsiasi
altro essere vivente commestibile – siamo stati anche noi italiani. E in
particolare, proprio i veneti. Per ironia della sorte, era stato lo stesso Zaia
a ricordarlo nel 2018 con un post su Facebook. «Topi messi ad essiccare a
Belluno durante “l’an de la fam“, l’anno della fame. Questa straordinaria
immagine è esposta, insieme a moltissime altre, nella straordinaria mostra
documentaria, iconografica e multimediale su Belluno durante la Prima guerra
mondiale appena inaugurata a Palazzo Crepadona».
Antonio Giangrande:
Coronavirus: rinchiudono i sani per difenderli dai malati. La logica
vorrebbe: relegare gli infettati in quarantena. Come? Individuarli col tampone a
tappeto. Il costo sarebbe inferiore rispetto al blocco dell'economia. Ci hanno
sottoposto alla cultura del sospetto. Diffidiamo, addirittura, dei nostri
affetti. Ristretti ai domiciliari perdiamo gli ultimi momenti importanti con i
nostri vecchi e i primi dei nostri giovani.
Perché il
Coronavirus ha colpito in modo massiccio la Padania? Polveri sottili, nebbia e
correnti d’aria, sono le zattere di permanenza e strumenti di proliferazione del
contagio. Il virus si posa sulle goccioline e sulle polveri, galleggiando nel
tempo e spostandosi nello spazio. Potrebbe non essere l’uomo il veicolo di
diffusione, ma l’aria. E l’aria entra dappertutto.
L’inutile e dannosa
autocertificazione. Sarà la quarta e ultima autocertificazione? Se consideriamo
chi doveva entrare e uscire dalle prime zone rosse, senza contare il
provvedimento dell’8 marzo scorso.
Stanno lì solo per
fotterci. In una situazione di merda non poteva capitarci gente peggiore e
giustizialista.
In un paese civile
uno Stato avrebbe fiducia nei suoi cittadini che lo mantiene con le tasse,
tributi e contributi.
Invece lo Stato che
fa? Anziché aiutare il cittadino in difficoltà pensa solo a fotterlo.
Se uno ha necessità
di uscire dal carcere dove è stato recluso senza condanna, gli si chiede
oralmente qual è il motivo. Il cittadino si giustifica oralmente e finisce lì.
Invece lo Stato burocrate considera tutti i suoi civici come incalliti spergiuri
da perseguire. Senza alcuna distinzione e monca di difesa. La Sanzione da
penale, poi, l’hanno resa amministrativa: per far pronta cassa.
Intanto i media
asserviti creano tensione, ansia e stress parlando di assembramenti che non
esistono. Si creano untori e delatori. Creano odio tra la gente. A morte il
Runner! Le Istituzioni che non ringrazio per la situazione che hanno creato si
vantano delle sanzioni elevate e dei controlli effettuati.
E’ corretto, è
sacrosanto controllare e monitorare. Ma perché sempre a onerare chi è già
soggetto ad una tensione psicologica? Perché lo Stato è forte con i deboli e
debole con i forti? Perché stiamo pagando la sottovalutazione di un fenomeno?
Perché non si sono svegliati prima nel chiedere di rompere il tabù dei tamponi
che sono limitati e possono essere fatti solo dall’Istituto superiore di sanità
e non nei laboratori disponibili? Perché gli asintomatici non sono stati
considerati e non lo sono tutt’ora per il ministero un fenomeno scientificamente
“pericoloso” per la diffusione del virus?
Noi ci
autocertificheremo ancora, lo Stato si è già da solo autocertificato assente e
deficiente (inadeguato), pesante, malato morente, e ancor di più correo.
Perché lo Stato ha
permesso il propagarsi dell’infezione nelle sedi che meno te lo aspetti: gli
ospedali; e resi i maggiori untori: gli operatori sanitari. Perché lo Stato
rinchiude i suoi cittadini in casa, ma autorizza e consente il propagarsi
dell’infezione dal Nord al Sud Italia. E se qualcuno lo rinfaccia, scatta la
denuncia per vilipendio come per il sindaco Cateno De Luca.
Mi preoccupa
altresì un fatto addivenire: cosa farà questo Stato nel momento in cui la gente
sarà costretta ad uscire di casa per la fame? Non avendo né da mangiare, né
soldi per comprare: ci fucileranno seduta stante? Subire e tacere? Ma andate
affanculo. Sono anch’io Cateno De Luca.
Antonio Giangrande:
L'inutile quarantena. Indicazioni di difesa dal contagio inefficaci e
faziose.
Il parere del Dr
Antonio Giangrande, sociologo storico, che ha scritto "Coglionavirus".
Ci dicono di usare
la mascherina e di rimanere reclusi in casa. Inefficace la prima, inutile la
seconda.
E’ ormai noto che
la trasmissione del virus avviene da una persona all’altra attraverso le vie
respiratorie. “Parlando si liberano nell’aria migliaia di micro-goccioline di
saliva assieme al virus a uno-due metri di distanza, ma anche a sei metri di
distanza dopo uno starnuto. Queste goccioline possono rimanere sospese in aria
per più di mezz’ora, contagiando altre persone”, ricorda Claudio Azzolini,
ordinario di malattie dell’apparato visivo presso il Dipartimento di Medicina e
Chirurgia dell’Università degli Studi dell'Insubria. Il contagio avviene quando
le goccioline infette entrano in bocca o nel naso, ma avviene anche attraverso
gli occhi tramite le lacrime.
Quindi è necessario
non solo l'uso delle mascherine, ma anche l'utilizzo di altri dispositivi di
protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici) conformi.
L'uso di questi
dispositivi di protezione e l'adozione del tamponamento a tappeto, comporta
l'inutilità della quarantena e la circoscrivibilità dell'epidemia.
Antonio Giangrande:
Chiudono i parchi per le passeggiate e liberano i treni degli infettati...
Antonio Giangrande:
Coronavirs: altro che Immunità di Gregge. Con la falsa quarantena si è
permesso di infettare il Sud Italia per salvare i padani.
L’opinione del
sociologo storico e scrittore Antonio Giangrande che sul tema ha scritto il
saggio “Coglionavirus”.
I media prezzolati
e nordisti a criticare l’immunità di gregge, per giustificare le scelte del
Governo italiano.
Perché si obbliga
la quarantena della reclusione in casa con relative sanzioni penali e poi si
agevola la fuoriuscita criminale dalle zone rosse del settentrione degli
infettati, permettendo loro la mobilità verso il sud?
Scientemente si è
diffuso il contagio dell’epidemia nel sud Italia? Perché?
Il virus si può
combattere in due modi: il primo è il metodo cinese e nei fatti, anche se messo
in atto con ritardo ed incertezze, anche il metodo italiano. Un metodo che si
basa sull’isolamento delle aree urbane, o comunque dei territori, dove la
malattia imperversa, e che determina il crollo della possibilità di avere
contatti sociali, limitando in questo modo la circolazione della malattia.
Esiste poi un
secondo metodo che è sicuramente meno “prudente” ma in presenza di determinate
condizioni potrebbe essere più efficace delle quarantene. Il secondo metodo
consiste nel far circolare liberamente il virus, far si che infetti rapidamente
gran parte della popolazione ed raggiungere, dopo circa 3/4 mesi La cosiddetta
immunità di gregge.
Un termine
importante è la Curva appiattita. Questa è un qualcosa di non concreto, ma
importante. Si tratta di spalmare il numero di contagi più in là nel tempo
grazie ai vari interventi fatti. Se si lasciasse proseguire il contagio libero,
quest’ultimo presenterebbe un picco molto più grande, ma in poco tempo. Il
problema di lasciarlo libero è che si crea una pressione eccessiva sul sistema
sanitario e altri collegati. Si diluisce il contagio per favorire il suo
decorso. Moltissimi contagiati, in pochissimo tempo e, anche se la letalità
fosse bassissima, le vittime potrebbero essere tantissime (su grandi numeri,
anche una piccola percentuale è in ogni caso numerosa).
Questo, a
prescindere dalla gravità dei sintomi della malattia, oltre a fare vittime,
sovraccarica le strutture sanitarie. Migliaia di persone si riversano al pronto
soccorso, centinaia di ricoverati, tanti in rianimazione. Serve personale,
farmaci, posti letto, macchinari. Quando questo succede in sei mesi (come per
l'influenza) si riesce a sopportare l'impatto (e supportare tutti), quando
questo avviene in un mese potrebbe far crollare tutto. E poi diventa una
reazione a catena.
Se i reparti di
rianimazione fossero pieni di pazienti con polmonite da Coronavirus, non
potrebbero ricevere persone in insufficienza renale, con un infarto, chi ha
avuto un incidente, una donna che ha avuto un'emorragia post partum, un uomo che
ha avuto un ictus con conseguente diminuzione dell'assistenza, delle cure e
quindi un aumento senza precedenti della mortalità e delle complicanze, oltre
che un peggioramento improvviso e pesante del livello delle cure.
L’Italia disponeva
un tempo di molti più posti letto di terapia intensiva, sub intensiva e di
degenza ordinaria. Poi vennero le “razionalizzazioni”, le cure dimagranti, i
tagli alla sanità. Benvenuti nell’era dell’austerità.
Togliamocelo dalla
testa: l'attenzione all'epidemia di coronavirus non è dovuta alla sua letalità
quanto alla capacità di far «saltare» il nostro sistema sanitario. La
spiegazione è nelle parole di Massimo Galli, primario infettivologo
dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista rilasciata a Corriere della Sera
il 23 febbraio 2020: «In quarantadue anni di professione non ho mai visto
un’influenza capace di stravolgere l’attività dei reparti di malattie infettive
e delle rianimazioni di un’intera regione tra le meglio organizzate e preparate
alle emergenze d’Italia. Nessun sistema sanitario avanzato può essere
predisposto per ricoverare tanti pazienti critici tutti assieme e per di più in
regime di isolamento». Alle 18 di ieri infatti, dei 2052 casi confermati, circa
l'8% è in terapia intensiva e il 36% è ricoverato con sintomi. Anche se il
rischio di contrarre la malattia nella popolazione, soprattutto al di fuori dei
focolai, rimane basso, la diffusione del virus va rallentata per evitare che
questo rischio aumenti con il conseguente collasso degli ospedali. Più persone
si ammalano - e nella maggior parte dei casi il decorso è benigno - e più
individui necessiteranno di ricovero.
Conclusione.
Hanno infettato il
Sud per spalmare su tutta l’Italia e le relative strutture sanitarie il picco
del contagio e salvare, curandoli, così, quanto più Padani. Dr Antonio
Giangrande
Antonio Giangrande: Scomparse letali. Genitori disattenti e ricerche
infruttuose.
Le
ricerche fallimentari degli scomparsi: dispiegamento oneroso ed inutile di
uomini e mezzi, con elicotteri e cani molecolari.
Si
potevano salvare! Yara, Ciccio e Tore, Gioele, Nicola...Errori madornali e
ritrovamenti casuali.
Antonio Giangrande: Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la
nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di
quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime,
dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è
farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo
solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Liberale=amante della libertà propria e rispetto di quella altrui. Secondo
diritto naturale, non economico. Per esempio: i poveri non si sostengono
economicamente, per farli rimanere tali, ma si aiutano a diventare ricchi,
eliminando ogni ostacolo posto sulla loro strada da caste e lobbies.
In
parole povere. Spiegazione con intercalare efficace: Fare i cazzi propri, senza
rompere il cazzo agli altri.
Attenzione, pero, a nominare il termine “liberale” invano, perché i liberali non
esistono.
Si
spacciano come tali quelli come Berlusconi, ma sono solo lobbisti capitalisti. E
molto hanno in comune con i comunisti, leghisti e fascisti e gli inconsistenti 5
stelle. Tutti fanno solo i cazzi loro, rompendo il cazzo agli altri.
Qual è la differenza tra equità e uguaglianza?
L’uguaglianza comporta che chi non si vuole sbattere, ottenga lo stesso di chi
invece si fa il mazzo.
Equità significa che se uno per esempio fa carriera (e i soldi) e l’altro no,
pur avendo frequentato entrambi la stessa scuola nelle stesse condizioni, quello
rimasto al palo, dovrebbe biasimare solo sè stesso, perchè hanno avuto entrambi
la stessa opportunità.
Antonio Giangrande:
L’ITALIA DEGLI ABILITATI. ESAME DI ABILITAZIONE ANCHE PER CORRERE
Non solo gli
avvocati, o gli altri professionisti, possono svolgere la professione unicamente
se abilitati, ma anche i podisti non possono correre se non abilitati FIDAL.
«Mens sana in
corpore sano, dice un vecchio adagio. Che il corpo troppo sano dia alla testa?
Se non sei tesserato (abilitato) FIDAL non puoi correre nelle manifestazioni da
loro organizzate. Se, invece, sei un tesserato FIDAL non puoi correre nei raduni
organizzati da altri.»
Questo denuncia il
dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” ed
autore del libro “Sportopoli.”
Nell'atletica
leggera, la corsa su strada comprende gare su strade comuni, generalmente in
asfalto o di campagna, e su distanze che vanno dai 5 ai 100 km.
Queste corse
possono essere competitive e non competitive.
Corse competitive.
Le specialità più celebri tra le corse su strada sono la maratona, che si corre
su una distanza di 42.195 m, e la mezza maratona, che si corre su una distanza
di 21.097 m.
Sempre più diffuse
sono le gare di ultramaratona, specialità che identifica gare di corsa che hanno
una distanza superiore a 42,195 km (distanza ufficiale della maratona).
L'ultramaratona su strada più conosciuta è la 100 km, ratificata dalla IAAF. In
tutto il mondo vengono anche organizzate svariate competizioni, su distanze
comprese dai 5 ai 30 km. La IAAF riconosce ufficialmente le gare su distanze di
10, 15, 20, 25 e 30 km, ratificando per ognuna di queste specialità i propri
record mondiali e continentali. Data la varietà di competizioni, le gare più
brevi rappresentano anche un utile e realistico allenamento per atleti
normalmente impegnati su distanze maggiori, che le includono a volte nei loro
programmi di allenamento. In ambito italiano, la FIDAL organizza attività su
strada a livello nazionale, regionale e provinciale. Esistono anche
manifestazioni agonistiche organizzate dagli enti di promozioni sportiva come
UISP, CSI, LIBERTAS, AICS, ecc.
Corse non
competitive. In ogni parte d'Italia si organizzano corse non competitive
denominate anche marce o camminate per il fatto che sono a passo libero, cioè vi
partecipano sia podisti che camminatori. Queste manifestazioni non sono
riconosciute dalla FIDAL (la federazione sovrintende solo l'attività agonistica)
e vengono organizzate sotto il patrocinio degli enti di promozione sportiva
riconosciuti dal CONI o da organizzazioni non riconosciute come ad esempio la
FIASP. Molti gruppi o comitati amatoriali organizzano corse per puro
divertimento per fare sport e passare un momento di relax in compagnia ed
all’aria aperta. Queste gare vedono spesso la presenza anche di atleti tesserati
che le affrontano per allenamento. Esse rappresentano comunque un modo per
avvicinarsi al mondo dell'atletica.
Come si è spiegato
la differenza tra le corse sta nel riconoscimento degli eventuali record,
nell’individuazione di eventuali futuri campioni e nell’antagonismo delle
squadre iscritte. Nelle corse competitive ci sono i direttori di gara. Per
entrambe le corse si paga un ticket di partecipazione.
La differenza tra
Agonisti o non agonisti sta principalmente nel fatto che, per essere considerati
agonisti e per partecipare all'attività competitiva (organizzata sia dalla FIDAL
che da altri enti), è necessario avere l'idoneità alla pratica agonistica.
L'idoneità viene rilasciata dopo un'approfondita visita medica, dalla sanità
nazionale o da centri autorizzati. Nella maggior parte delle manifestazioni,
comunque, oltre alla gara competitiva, viene proposta una prova non competitiva
sulla stessa distanza e/o su distanza ridotta, per incentivare la partecipazione
e permettere anche alle persone prive di un'adeguata preparazione atletica di
vivere un momento di sport e socializzazione.
Quando questo
succede, nelle manifestazioni simultanee, spesso ai non agonisti non viene
riconosciuto un premio per la vittoria di categoria. Non è raro che qualcuno di
questi, però, sia più forte degli agonisti. Chi partecipa alle corse lo sa.
Qualcuno dirà: Cosa
si denuncia con questo articolo? Dove è l’inghippo?
Con questo articolo
si da voce a tutti coloro, comitati od associazioni, che organizzano unicamente
le corse non competitive e che sono destinatarie degli strali della FIDAL.
Spesso e volentieri la FIDAL cerca di impedire, con diffide legali inviate agli
organizzatori di corse non competitive ed alle autorità locali, lo svolgimento
delle manifestazioni da questi organizzati.
Non ci si ferma
qui. Nelle pagine facebook di gruppi di podisti agonisti e non agonisti vi sono
intimidazioni da parte degli iscritti alla FIDAL nei confronti dei loro
colleghi, avvisandoli che nel partecipare a corse non competitive comporta per
loro l’adozione di sanzioni.
A riprova di ciò
basta cercare “minacce FIDAL” o “polemica FIDAL” su un motore di ricerca web e
si troverà tutto quello che finora non si è cercato. E cioè provare che il
monopolio delle corse è in mano alla FIDAL, perché sono impedite le gare non
competitive, non foss’altro, anche, inibendo la partecipazione a queste
manifestazioni ai suoi tesserati. Tesserati che a loro volta, ignavi, si fanno
intimorire.
La corsa podistica
non è cosa loro, della FIDAL e simili.
Un abominio, non
fosse altro che ognuno di noi, anche i tesserati di un organismo sportivo, siamo
soggetti agli articoli 16 e 17 della Costituzione italiana e quindi liberi di
muoverci in compagnia….anche di corsa.
Dr Antonio
Giangrande
Perché
molti podisti hanno l’insano vizio di non partecipare alle corse organizzate nei
loro stessi paesi, rendendo vano il sacrificio degli organizzatori, loro
compaesani, di promuovere in loco uno sport completo e sociale?
Perché
i podisti non obbligano i loro amministratori locali a definire una pista
pedo-ciclabile per praticare lo sport in modo sicuro?
Antonio Giangrande: Ponte Morandi. Diamo a
Cesare quel che è di Cesare…
Si
dica: i morti per Genova e non i morti di Genova.
L’ipocrisia italica tende a mistificare una realtà che è sotto gli occhi di
tutti. Una mistificazione che non può giustificare quel logorroico fiume di
parole demagogiche spese in un periodo agostano privo di notizie.
Cosa
nasconde tutta quest’enfasi del dolore?
Che
voglia la brigata d’arlecchini, servi di un nuovo padrone, usare la disgrazia a
fini speculativi per ripicca e per rivalsa con strumenti demagogici?
Che si
voglia, con il faro mediatico acceso, riavere tutto e subito, a discapito di
altri disgraziati?
Il
parere del dr Antonio Giangrande, che su Genova ha scritto un libro. Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Con le
tragedie si perdono cose o persone. Quanto valgono le une di più rispetto alle
altre?
L’omelia di Bagnasco: “Giustizia e orgoglio. Genova non si arrende”. "Il crollo
del ponte Morandi sul torrente Polcevera ha provocato uno squarcio nel cuore di
Genova. La ferita è profonda" ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo
di Genova, sabato 18 agosto 2018 nell'omelia dei funerali delle vittime.
Bagnasco ha poi riferito della telefonata fatta da Papa Francesco: "Ieri sera,
con una telefonata affettuosa" il pontefice "ha voluto manifestarci la sua
prossimità". "Sappiamo che qualunque parola umana, seppure sincera, è poca cosa
di fronte alla tragedia, così come ogni doverosa giustizia nulla può cancellare
e restituire". "Alziamo lo sguardo", ha poi esortato Bagnasco rivolto alla
folla. "La Madonna Assunta al cielo ci invita anche in questo momento guardare
in alto, verso Dio, fonte della speranza e della fiducia. Guardando a Lui - ha
concluso l'arcivescovo di Genova - eviteremo la disperazione e potremo tornare a
guardare con coraggio il mondo, la vita, la nostra amata Città. Potremo
costruire ponti nuovi e camminare insieme".
Non
solo Milan-Genoa e Sampdoria-Fiorentina, a fermarsi sono anche Lega Pro e Serie
D. In segno di rispetto e vicinanza verso tutti coloro che sono stati colpiti
dalla tragedia il presidente della Lega Pro Gabriele Gravina, ha disposto il
rinvio, a data da destinarsi, delle gare di Coppa Italia che erano in programma
domenica 19 agosto. "La Lega Pro ed i suoi club - si legge nel comunicato -
rinnovano la vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutti gli abitanti di
Genova".
Si
arriva addirittura a dire…
Una
città in lutto fatica a elaborare dolore e sgomento. Un gruppo di psicologi e
counselor specializzati nelle emergenze si offre di dar loro una mano, scrive
Marta Buonadonna il 19 agosto 2018 su "Panorama". Siamo ancora sotto choc, e
chissà per quanto durerà questa senso di vuoto che proviamo noi genovesi, che
sul ponte Morandi passavamo tutti i giorni. Anche se non abbiamo perso una
persona cara il 14 agosto, anche se non ci siamo salvati per miracolo, come è
capitato a tanti sopravvissuti di cui abbiamo letto i racconti in questi giorni,
la sensazione che proviamo è che anche un pezzo di noi sia rimasto sotto quelle
macerie. Qualcuno si propone di aiutare i genovesi a elaborare la tragedia.
Ora è
il momento di stabilire una verità. Se nessuno la dice, la dico io.
Parliamo di cose perse. Genova ha avuto per oltre 50 anni un ponte, che, forse,
molti non l’hanno mai avuto. Oggi Genova lo ha perso in modo tragico e ne sono
addolorato. Ma sicuramente chi, genovese, ha perso il ponte e la propria
abitazioni, riavrà il tutto senza compromessi.
Ora
parliamo di persone perse e che mai nessuno ce li ridarà.
Su 43
morti solo 7 sono di Genova. E di Genova, forse, nulla gli interessava.
Solo 7
erano di Genova: Roberto Robbiano (44), Ersilia Piccinino (41 anni) ed il
piccolo Samuele (9). Bruno Casagrande (57) anni, Sandro Campora (53). Andrea
Cerulli, (47). Funerale pubblico. Mirko Vicini (31). Funerale privato.
1 era
di Busalla (Ge). Elisa Bozzo (33). Funerale privato.
1 era
di Serra Riccò (Ge): Francesco Bello, (42). Funerale privato.
2
erano della provincia di Savona. Di Toirano Giorgio Donaggio (57). Funerale
privato. Di Borghetto Santo Spirito Luigi Matti Altadonna (35) funerale
pubblico.
9
erano Piemontesi: Cristian Cecala (42), Dawne Munroe e la piccola Crystal (9).
La famiglia era di Oleggio in provincia di Novara. Andrea Vittone, 49 anni, sua
moglie Claudia Possetti, 48 anni, e i figli della donna Manuele e Camilla
Bellasio, di 16 e 12 anni. Erano di Pinerolo (No). Alessandro Robotti, 50 anni,
e la moglie Giovanna Bottaro, 43 anni. Erano di Arquata Scrivia (Al). Tutti con
funerali privati.
1 era
lombarda. Angela Zerilli (58) di Corsico (Mi).
4
erano toscani: Jesus Erazo Trujillo (26) e Stella Boccia (24), la coppia di
fidanzatini di Capolona (Ar). Funerali privati. Alberto Fanfani (32) e Marta
Danisi (29) di Pisa
5
erano campani. Matteo Bertonati (26), Giovanni Battiloro (29), Gerardo Esposito
(26) e Antonio Stanzione (29) di Torre del Greco (Na). Gennaro Sarnataro (43) di
Casalnuovo di Napoli. Funerali privati.
1 era
siciliano: Vincenzo Licata (58) Funerale privato.
7
erano francesi. Anatoli Malai (44), Marian Rosca (36). Origine moldava e rumena
vivevano a Parigi. Diaz Enzo Henry (30). Nathan Gusman (20), Melissa Artus (21)
William Pouza Doux (22), Axelle Nèmati Alizèe Plaze (21). Funerale di Stato.
3
cileni: Leyla Nora Rivera Castillo (48), Juan Carlos Pastena (64), Ruben
Figuerosa Carrasco (68). Funerale di Stato.
2
albanesi e mussulmani: Marius Djerri, (28) e l’amico Edy Bokrina (22). Funerale
pubblico.
Alla
fine del conto pare chiaro che Genova abbia perso molto meno in termini di vite
umane rispetto alle altre città, mai citate.
I
ponti si rifanno, le persone no! Ed il rispetto per il dolore di una comunità
deve essere pari per tutte.
E mai
come questa volta, per il ponte Morandi di Genova, il dolore deve essere
delocalizzato.
A cura
del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande: SPRECOPOLI. L’ITALIA
DEGLI SPRECHI
“Sprecopoli. L’Italia degli sprechi”. Il libro di Antonio Giangrande.
Ma
quanto mi rubi? (Sprechi di Stato). Uno Stato che si fa rubare più di 565
miliardi di euro all’anno non è in crisi: è una nazione di deficienti!
Evasione fiscale, Corruzione, Sprechi, Disservizi, Speculazioni, Mafie,
Estorsioni ed Usura, Contraffazione, Crac finanziari, Costo economico della
burocrazia, Lentezza della giustizia.
Per un
totale di 565 miliardi di euro all’anno.
Ed io
pagooooo!!!......E’ la parafrasi di Totò. Frase detta nel film “47 morto che
parla!” e ripresa da Striscia la Notizia. Ed è quello che ci diciamo ogni giorno
quando ci rapportiamo con la vera faccia dello Stato. A fronte di un fabbisogno
sempre crescente di risorse finanziarie che alimenta il debito pubblico e la
pressione fiscale, di pari passo aumentano i tagli dei servizi pubblici ed i
disservizi dei pochi rimasti, tanto da farci chiedere: dove cazzo vanno a finire
i nostri soldi estorti in balzelli?
Ogni
tanto qualcuno parla, a spizzichi e morsi, di quella o questa fonte di spreco,
creando un momentaneo stato di indignazione e di rabbia, per poi ripiombare
nell’indifferenza generale dell’italica ignavia. Salvo essere oggetto di strali
dei buontemponi leghisti contro i soliti spreconi meridionali. Dicevo, questi
qualcuno dalla penna facile scrivono dello spreco altrui, stando ben attenti,
però, a non intaccare la propria fonte. Provate a pensare se tutte queste fonti
di spreco fossero raccolte tutte insieme in un unico elenco. Tutte, veramente
tutte. Farebbero accapponare la pelle. Ed è quello che si fa con il saggio
“Sprecopoli. L’Italia degli sprechi”. Saggio che fa da contraltare all’altro
saggio “Disserviziopoli. Disservizi a pagamento” ed ad un altro saggio
“Speculopoli. Fisco e Monopoli”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia,
a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono
scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del
Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi
l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla
politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Sprechi che non si esauriranno mai perché, tra stipendi da dare agli amici,
clientele da alimentare, eredità da dare ai figli ed ai parenti, privilegi da
difendere, è un cane che si morde la coda e fa comodo alla politica ed al
sistema di potere. Alla faccia del povero fesso…Pantalone.
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande:
Il Valore di una Vita: il Capitale Umano.
Il valore di una
vita: «Importi come questo vengono calcolati valutando parametri specifici:
l’aspettativa di vita di una persona, la sua potenzialità di guadagno, la
quantità e la qualità dei suoi legami affettivi. I periti assicurativi lo
chiamano il capitale umano.» Da Il Capitale Umano, film di Paolo Virzì
Antonio Giangrande.
Tutta la verità su un processo:
che vede Michele
Misseri condannato ad 8 anni per occultamento di cadavere, mentre da sempre si
dichiara colpevole dell'omicidio di Sarah Scazzi;
che vede Cosima
Serrano e Sabrina Misseri condannati all'ergastolo per un omicidio del quale si
dichiarano innocenti;
dove la corda dello
strangolamento si trasforma in cintura;
dove le pettegole
(parole di Coppi) vengono credute;
dove i testimoni si
intimidiscono (alla Spagnoletti: Sarah e Sabrina litigavano? Dì di sì);
dove i testimoni
anticipano l'orario di uscita di Sarah: dalle ore 14.30 alle ore 14 circa,
assecondando l'ipotesi accusatoria;
dove si fanno
passare per fatti veri i sogni dei testimoni;
dove si induce
Michele Misseri ad accusare la figlia Sabrina per l'ottenimento dello sconto di
pena per entrambi.
Parla Concetta
Serrano Spagnolo Scazzi, Claudio Scazzi, Valentina Misseri, Ivano Russo.
Marialucia
Monticelli, inviata del programma “Chi l’ha visto?”, Maria Corbi, giornalista de
“La Stampa”.
Walter Biscotti,
Franco Coppi, Nicola Marseglia, Roberta Bruzzone.
Brani tratti dalla
trasmissione “Tutta la Verità” trasmessa sull’emittente Nove il 26 aprile 2018
Omertà…Omertà! La Nenia degli scribacchini.
Il
reato ha una responsabilità personale.
Chiunque è innocente fino a prova contraria.
Non si
può colpevolizzare qualcuno per una prova che non esiste o che manca per
incapacità degli investigatori.
Le
persone lavorano, studiano o riposano: non sono comari dedite a spettegolare o a
fare domande in giro.
Il
giornalista che criminalizza il singolo, o, addirittura, una comunità o una
categoria, non fa informazione, ma fa diffamazione.
Se
questi scribacchini sono spinti da odio territoriale o ideologico, la loro
diffamazione è a sfondo razzista, specie se poi nascondono discriminatamente le
malefatte dei loro compagni e compaesani.
Antonio Giangrande: Se questi son giornalisti… “Ma nessuno si fa troppe domande,
giù nel Basso Salentino, tra Specchia e Alessano, belle ville di vacanza della
swinging Puglia e terre riarse dei poveracci, masserie rifatte a bed and
breakfast e pozzi sperduti nel buio. Come ad Avetrana, del resto, l’omertoso
paese di Sarah Scazzi, che dista un’ora di strada da qui, ma meno d’un sospiro
di silenzio da questa trama mostruosa, quest’altra, quasi in fotocopia, di
un’altra ragazzina sepolta nei campi, di altre famiglie disfunzionali o malate,
di familismi amorali che diventano delitto e complicità, perché la legge non
varca l’orto di casa”. Goffredo Buccini 13 settembre 2017 Corriere della Sera.
Non
aspettatevi, però, tutela della comunità da parte degli amministratori locali.
Specchia. Noemi Durini e Lucio Marzo. Un film già visto, come Sarah Scazzi.
Lucio
Marzo, fidanzato di Noemi, ha confessato ed ha fatto trovare il corpo.
Per il
delitto di Sarah Scazzi, Michele Misseri, reo confesso, anch’egli ha fatto
trovare il corpo, ma non è stato condannato per l’omicidio.
Chi
sarà condannato per il delitto di Noemi Durini?
A
Specchia, come ad Avetrana, si aspettavano i giornalisti con le palle, ma son
arrivati solo…i coglioni.
Antonio Giangrande: Popolo di Avetrana, se avete un po’ di dignità ed orgoglio,
indignatevi e condividete questo post su quanto ha scritto contro gli avetranesi
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati e direttore de "La Voce di Manduria", un
giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama
indistintamente tutti gli avetranesi, e non me ne spiego l'astio, e gli
amministratori locali e la loro opposizione non sono capaci di difendere l’onore
di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e
protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
“La
triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di
Avetrana altrimenti sconosciuto ai più. Ha portato luce su un paese in ombra
infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è
contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non
ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari
propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato
indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori
hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi,
poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente
per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle
cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza
o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli
avetranesi dovranno fare i conti.”
Il
giornalista, come lui si definisce, dovrebbe sapere che i conti si fanno alla
fine. Per ora omette di contare i due imputati assolti dall'accusa di
favoreggiamento...o questo per omertà o censura non si può dire?
Antonio Giangrande:
Processo Scazzi a Taranto…aspettando la Cassazione.
Aste e
usura: chiesta ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza. Interrogazione dei
Senatori Cinque Stelle: “Prassi illegali e vicende inquietanti”, titola
“Basilicata 24” nel silenzio assordante dei media pugliesi e tarantini.
Ne
parliamo con il dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che ben
conosce quel foro avendo esercitato la professione forense e dalla cui
esperienza ne sono usciti dei libri.
«Da
presidente dell’ANPA (Associazione Nazionale Praticanti ed Avvocati) già dal
2003, fin quando mi hanno permesso di esercitare la professione forense fino al
2006, mi sono ribellato a quella realtà ed ho messo in subbuglio il Foro di
Taranto, inviando a varie autorità (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Taranto, Procura della Repubblica di Taranto, Ministro della Giustizia) un
dossier analitico sull’Ingiustizia a Taranto e sull’abilitazione truccata degli
avvocati. Da questo dossier è scaturita solo una interrogazione parlamentare di
AN del Senatore Euprepio Curto (sol perché ricoprivo l’incarico di primo
presidente di circolo di Avetrana di quel partito). Eccezionalmente il Ministero
ha risposto, ma con risposte diffamatorie a danno dell’esponente. Da allora e
per la mia continua ricerca di giustizia come Vice Presidente provinciale di
Taranto dell’Italia dei Valori (Movimento da me lasciato ed antesignano dei 5
Stelle, entrambi a me non confacenti per mia palese “disonestà”) e poi come
presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio
antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, per essermi permesso di
rompere l’omertà, gli abusi e le ingiustizie, ho subito decine di procedimenti
penali per calunnia e diffamazione, facendomi passare per mitomane o pazzo,
oltre ad inibirmi la professione forense. Tutte le mie denunce ed esposti e la
totalità dei ricorsi presentati a tutti i Parlamentari ed alle autorità
amministrative e politiche: tutto insabbiato, nonostante la mafiosità
istituzionale è sotto gli occhi di tutti.
I
procedimenti penali a mio carico sono andati tutti in fumo, non riuscendo
nell’intento di condannarmi, fin anche a Potenza su sollecitazione dei
denuncianti magistrati.
Il 3
ottobre 2016, dopo un po’ di tempo che mancavo in quel di Taranto, si apre un
ulteriore procedimento penale a mio carico per il quale già era intervenuta
sentenza di assoluzione per lo stesso fatto. Sorvolo sullo specifico che mi
riguarda e qui continuo a denunciare alla luna le anomalie, così già da me
riscontate molti anni prima. Nei miei esposti si parlava anche di mancata
iscrizione nel registro generale delle notizie di reato e di omesse
comunicazioni sull’esito delle denunce.
L’ufficio penale del Tribunale è l’ombelico del disservizio. Non vi è traccia
degli atti regolarmente depositati, sia ufficio su ufficio (per le richieste
dell’ammissione del gratuito patrocinio dall’ufficio del gratuito patrocinio
all’ufficio del giudice competente), sia utenza su ufficio per quanto riguarda
in particolare la lista testi depositata dagli avvocati nei termini perentori.
Per questo motivo è inibito a molti avvocati percepire i diritti per il gratuito
patrocinio prestato, non essendo traccia né delle istanze, né dei decreti
emessi. Nell’udienza del 3 ottobre 2016, per gli avvocati presenti, al
disservizio si è provveduto con una sorta di sanatoria con ripresentazione in
udienza di nuove istanze di ammissione di Gratuito patrocinio e di nuove liste
testi (fuori tempo massimo); per i sostituiti avvocati, invece, ogni diritto è
decaduto con pregiudizio di causa. Non un avvocato si è ribellato e nessuno mai
lo farà, perché mai nessuno in quel foro si è lamentato di come si amministra la
Giustizia e di come ci si abilita. Per quanto riguarda la gestione degli uffici
non si può alludere ad una fantomatica mancanza di personale, essendo l’ufficio
ben coperto da impiegate, oltretutto, poco disponibili con l’utenza.
Io ho
già dato per fare casino, non foss’altro che ormai sono timbrato tra i tarantini
come calunniatore, mitomane o pazzo, facendo arrivare la nomea oltre il Foro
dell’Ingiustizia.
La
presente, giusto per rendere edotti gli ignoranti giustizialisti e sinistroidi
in che mani è la giustizia, specialmente a Taranto ed anche per colpa degli
avvocati».
Antonio Giangrande: è stato presentato il ricorso contro lo Stato italiano
presso la Corte Europea dei Diritti Umani.
In
Italia si rileva che la Corte di Cassazione, sistematicamente, rigetta ogni
istanza di rimessione da chiunque sia presentata e qualunque ne sia la
motivazione.
Inoltre qui si rileva che la Corte Costituzionale legittima per tutti i concorsi
pubblici la violazione del principio della trasparenza. Trasparenza, da cui
dedurre l’inosservanza delle norme sulla legalità, imparzialità e buon andamento
(efficienza).
Antonio Giangrande: Lettera aperta a “Quarto Grado”.
Egregio Direttore di “Quarto Grado”, dr Gianluigi Nuzzi, ed illustre Comitato di
Redazione e stimati autori.
Sono
il Dr Antonio Giangrande, scrittore e cultore di sociologia storica. In tema di
Giustizia per conoscere gli effetti della sua disfunzione ho scritto dei saggi
pubblicati su Amazon.it: “Giustiziopoli. Ingiustizia contro i singoli”;
“Malagiustiziopoli”. Malagiustizia contro la Comunità”. Per conoscere bene
coloro che la disfunzione la provocano ho scritto “Impunitopoli. Magistrati ed
Avvocati, quello che non si osa dire”. Per giunta per conoscere come questi
rivestono la loro funzione ho scritto “Concorsopoli. Magistrati ed avvocati col
trucco”. Naturalmente per ogni città ho rendicontato le conseguenze di tutti gli
errori giudiziari. Errore giudiziario non è quello conclamato, ritenuto che si
considera scleroticamente solo quello provocato da dolo o colpa grave. E questo
con l’addebito di infrazione da parte dell’Europa. Né può essere considerato
errore quello scaturito solo da ingiusta detenzione. E’ errore giudiziario ogni
qualvolta vi è una novazione di giudizio in sede di reclamo, a prescindere se vi
è stata detenzione o meno, o conclamato l’errore da parte dei colleghi
magistrati. Quindi vi è errore quasi sempre.
Inoltre, cari emeriti signori, sono di Avetrana. In tal senso ho scritto un
libro: “Tutto su Taranto, quello che non si osa dire” giusto per far sapere come
si lavora presso gli uffici giudiziari locali. Taranto definito il Foro
dell’Ingiustizia. Cosa più importante, però, è che ho scritto: “Sarah Scazzi. Il
delitto di Avetrana. Il resoconto di un avetranese. Quello che non si osa dire”.
Tutti hanno scribacchiato qualcosa su Sarah, magari in palese conflitto
d’interesse, o come megafono dei magistrati tarantini, ma solo io conosco i
protagonisti, il territorio e tutto quello che è successo sin dal primo giorno.
Molto prima di coloro che come orde di barbari sono scesi in paese pensando di
trovare in loco gente con l’anello al naso e così li hanno da sempre dipinti.
Certo che magistrati e giornalisti cercano di tacitarmi in tutti i modi,
specialmente a Taranto, dove certa stampa e certa tv è lo zerbino della
magistratura. Come in tutta Italia, d’altronde. E per questo non sono conosciuto
alla grande massa, ma sul web sono io a spopolare.
Detto
questo, dal mio punto di vista di luminare dell’argomento Giustizia, generale e
particolare, degli appunti ve li voglio sollevare sia dal punto giuridico (della
legge) sia da punto della Prassi. Questo vale per voi, ma vale anche per tutti
quei programmi salottieri che di giustizia ne sparlano e non ne parlano,
influenzando i telespettatori o da questi sono condizionati per colpa degli
ascolti. La domanda quindi è: manettari e forcaioli si è o si diventa guardando
certi programmi approssimativi? Perché nessuno sdegno noto nella gente quando si
parla di gente rinchiusa per anni in canili umani da innocente. E se capitasse
agli ignavi?
Certo
direttore Nuzzi, lei si vanta degli ascolti alti. Non è la quantità che fa un
buon programma, ma la qualità degli utenti. Fare un programma di buon livello
professionale, si pagherà sullo share, ma si guadagna in spessore culturale e di
levatura giuridica. Al contrario è come se si parlasse di calcio con i tifosi al
bar: tutti allenatori.
Il suo
programma, come tutti del resto, lo trovo: sbilanciatissimo sull’accusa,
approssimativo, superficiale, giustizialista ed ora anche confessionale.
Idolatria di Geova da parte di Concetta e pubblicità gratuita per i suoi
avvocati. Visibilità garantita anche come avvocati di Parolisi. Nulla di nuovo,
insomma, rispetto alla conduzione di Salvo Sottile.
Nella
puntata del 27 settembre 2013, in studio non è stato detto nulla di nuovo, né di
utile, se non quello di rimarcare la colpevolezza delle donne di Michele
Misseri. La confessione di Michele: sottigliezze. Fino al punto che Carmelo
Abbate si è spinto a dire: «chi delle due donne mente?». Dando per scontato la
loro colpevolezza. Dal punto di vista scandalistico e gossipparo, va bene, ma
solo dalla bocca di un autentico esperto è uscita una cosa sensata, senza essere
per forza un garantista.
Alessandro Meluzzi: «non si conosce ora, luogo, movente ed autori
dell’omicidio!!!».
Ergo:
da dove nasce la certezza di colpevolezza, anche se avallata da una sentenza, il
cui giudizio era già stato prematuramente espresso dai giudici nel corso del
dibattimento, sicuri di una mancata applicazione della loro ricusazione e della
rimessione del processo?
E
quello del dubbio scriminate, ma sottaciuto, vale per tutti i casi trattati in
tv, appiattiti invece sull’idolatria dei magistrati. Anzi di più, anche di
Geova.
Dr
Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande è sui Social Network
Antonio Giangrande:
Sarah Scazzi. Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Un Giorno in Pretura e lo
scandalo delle motivazioni.
Una giustizia senza
vergogna. Comunque la si pensi sulle responsabilità è giustappunto scandaloso
permettere tutto ciò.
La puntualizzazione
del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande di
Avetrana, ha seguito il caso sin dall’inizio e sulla vicenda ha scritto ben tre
libri e pubblicato decine di video.
Roberta Petrelluzzi
è la ideatrice, regista e conduttrice di “Un Giorno in Pretura”. Le telecamere
del programma di Rai Tre sono state le uniche ammesse nell’Aula Alessandrini del
Tribunale di Taranto per riprendere in diretta tutte le fasi del dibattimento
sul processo del delitto di Sarah Scazzi. “Un Giorno in Pretura” aveva l’onere
di distribuire le immagini agli altri media.
Roberta
Petrelluzzi, nella sua peculiarità di testimone privilegiata, ha avuto modo di
seguire con imparzialità il dibattimento di primo grado, non essendo parte nel
processo.
Quindi le sue
parole hanno una certa importanza se pronunciate da chi, con il suo lavoro, di
dibattimenti penali ne ha visionati a migliaia.
Il 25 giugno 2016,
al momento dei saluti per l’ultima puntata del ciclo di stagione della
trasmissione televisiva “Un giorno in pretura”, Roberta Petrelluzzi, conduttrice
del programma, ha speso delle splendide parole per Cosima Serrano e Sabrina
Misseri, condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi.
«Voglio richiamare
la vostra attenzione su una vicenda che mi ha molto coinvolta e che mi sta molto
a cuore: la storia di Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Le due donne sono state
condannate in primo grado nell’aprile del 2013, e oggi sono in attesa della
sentenza della Cassazione. Ci sono voluti più di 11 mesi dopo il primo grado per
scrivere le motivazioni della sentenza, cosa che è avvenuta anche per il
processo d’appello. Più di 11 mesi. È stata questa la ragione che una giovane
ragazza e sua madre, che si dichiarano disperatamente innocenti, sono da cinque
anni in carcere. E ancora non si può dire la parola “fine” per una vicenda
giudiziaria relativa a un delitto fra i più mediatici dell’ultimo decennio,
dando al termine “mediatico” tutta la valenza negativa che alcune volte merita.»
Antonio Giangrande: Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed
ignominia.
I
Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro pelle cosa sia la gogna
della vergogna.
Il
commento dello scrittore Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il
libro “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana”.
Devo
dire che a meno di 9 anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti
sapevano”, sono atti di accusa per un intero territorio e risuonano per tutta
Italia per mano di scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della
verità, se non quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese
di origine dei responsabili meridionali di un reato è la pena accessoria di cui
tenere conto.
Devo
dire che, scartando la gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla
medesima Manduria che son venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu
l’aggressione con conseguente morte di Salvatore Detommaso, ovvero vi fu il
mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i
responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di
vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro.
Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi
testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare
particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto
fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto
parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di
una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e
sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla
verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno
Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione
avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua,
ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per
chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso
Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo
episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando
difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo
Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che
erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di
aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori
pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte).
I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza
installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata
sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto
di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore
scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato
a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci
tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà
ad Avetrana fa notizia.
Chi fa
la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa,
non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa
vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può
parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a
quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile
per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche
successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i
responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre
articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah
Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria,
paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista
settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è direttore de "La Voce di
Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese"
diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli
amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere
l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010
e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La
triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di
Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il
nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita.
Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra
peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so
ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che
di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso
parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di
duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto
qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con
l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di
loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per
favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi
dovranno fare i conti.»
Detto
questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa dei manduriani andiamo ad
analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una violenza senza limiti». Lo ha
detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in merito alle
aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da ragazzini tra i 16 e i 23 anni,
tutti di Manduria. «L’intervento è stato tempestivo ma sarebbe stato ancora più
tempestivo se chi sapeva avesse avvisato prima le forze dell’ordine – ha
aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i
bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe
stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che
oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una
casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una
parrocchia lasciato solo. Il prete ha detto di essere intervenuto più volte, ma
perché non ha segnalato subito ai servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e
appassionato, del prefetto Vittorio Saladino, uno dei tre commissari prefettizi
di Manduria che, all’AdnKronos, parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e
cullato la brutalità delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto
ai servizi sociali perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto
segnalazioni - aggiunge - La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da
tanto tempo e nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era
all’oscuro. Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali,
è un paese ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso
di mira da turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e
l’annuncio: «Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto
Saladino - parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le
colpe le ha una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e
da episodi negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto
indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia
Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano
rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso da
Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato di
Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa strada
dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le ore
serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si stanno
verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa 5/6
persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si legge
ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno
perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al
prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e
agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la
vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto
ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da
parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a
introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della
quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione
soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo
urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia
moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha
così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel
povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli più
avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno voluto
firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare
Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019. Era un uomo malato,
Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il
pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della
chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che
fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se
stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue
condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un
passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando
all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da
molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine,
aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate,
ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e
nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era
un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I
vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta,
prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando
«quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente
spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. I vicini
non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono
appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel
giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento
è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da
allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi
fisici oltre quelli mentali.
Nazareno Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano,
insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del
Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni
Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati
sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia
potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della
parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo
intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero
conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando
sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i
ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i
ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando i
genitori, ma senza risultati.
Il
Fatto Quotidiano. 29 Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni,
secondo i vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013.
Eppure, stando a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità
su Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in
riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata, né
formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna
segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino, responsabile
dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una chiamata –
aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo il
servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118
intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo
era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era stato
preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto perché, vinto
dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi
già un anno e mezzo fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono
intervenuti. Allora perché si continua a nascondere una omissione di atti di
ufficio ed accusare la cittadinanza ed il clero di omertà?
A due
anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook
il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San
Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una
raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua
decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro
Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a
Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo
avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di
cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della
parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San
Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in
quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è
bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali,
ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure
non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti
cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano
angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie
ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle
smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti.
Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte
sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto
con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste
strofe:
“Ma
ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no
lassi operi ca restunu,
tutti
ti te si ni scordunu.
Pi
l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu
tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene!
Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico
fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto
materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla
storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di
cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la
costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il
loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della
Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di
Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove
Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e
grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci
che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe
potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova
ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo.
Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per
tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo
paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da
parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don
Dario.
Non
sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da
gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono
allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato
con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o
le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le
avverse fazioni.
Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario
(orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta
la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui
stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente
lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non
si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un
attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo
faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don
Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani
che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata
da gente come lui……..
Il
parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”,
smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli
ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha
segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro
di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco
questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi
piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui
volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah
Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi
d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di
tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e,
seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come
si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?».
Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni
televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la
villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e
investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu
dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle
operazioni.
Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un
carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe
così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la
ragione della sua presenza.
Anche
l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele
Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti
metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno
interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura
arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti
fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la
sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il
religioso, però, è pronto a smentire.
«Per
favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi
rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E
non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace
perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna
sull’argomento.
«Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del
giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega
meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati
di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo
ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di
quelle conversazioni».
Si
accusa una comunità di omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una
comunità di omertà. Ma non è omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché,
come è ampiamente dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile
denunciare: o le indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa
è l’Italia e tutti lo sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
Nei testi di
Filosofia si legge che bisogna separare l’Osservazione dalla Valutazione:
“Quando mescoliamo l’osservazione e la valutazione gli altri saranno propensi a
udire una critica e quindi a porsi sulla difensiva. Al contrario le osservazioni
dovrebbero essere circostanziate nel tempo e nel contesto. Il nostro repertorio
di parole utili per affibbiare etichette alle persone è spesso assai più grande
del nostro vocabolario di parole che ci permettono di descrivere con chiarezza
il nostro stato emotivo. Ciò che gli altri dicono o fanno può essere stimolo, ma
mai causa dei nostri sentimenti”.
Nel valutare ed
esprimere giudizi ci si deve affidare ai pareri degli esperti di chiara
credibilità ed attendibilità, discernendole dalle opinioni di gente ignorante
sul tema in discussione.
La Criminologia studia l’autore di
un crimine sotto ogni aspetto. In questo campo, le ricerche puntano non
solo sull’individuazione del fatto e sull’identità del responsabile, ma anche
sulla sua condotta, nonché sulle modalità di controllo dei comportamenti
illegali (o socialmente devianti) e delle vittime. Il Criminologo si differenzia
dall’Investigatore in quanto quando ti rivolgi al primo, ti affidi a un esperto
che si avvale di metodi d’indagine standard, mentre il secondo si addentra di
più nelle dinamiche psico-sociali.
La Criminologia
applicata al caso concreto è conosciuta come Criminalistica. Conosciuta anche
come scienza forense o delle tracce, la criminalistica ha l’intento di
ricostruire i mezzi e le dinamiche messe in atto sulla scena del delitto.
L’approccio alla materia è di tipo tecnico: si avvale di conoscenze e competenze
acquisite in campo chimico, fisico, bio-tecnologico, informatico, balistico e
perfino matematico.
La Sociologia
Storica non guarda la Forma degli atti o l’Apparenza dei Fatti o delle Persone,
ma guarda nella Sostanza delle cose. Guarda sul retro della medaglia, cosa che
nessuno studioso o mediologo fa.
Il Principio di
Legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è
considerato reato da un’apposita dello Stato, è sancito dall’art 25 e dal Codice
Penale agli articoli 1 e 199. Da questo si deduce che il Principio di Legalità
non è altro che il rispetto della Legge.
Invece no!
Il Principio di
Legalità non è solo in rispetto della Legge, ma ogni atteggiamento e
comportamento conforme al principio di quella Legge.
Per esempio.
Prendiamo il caso di un Giudice che presiede un processo. Lui con sua esclusiva
discrezione esamina e condanna un imputato.
Ma se il Giudice è
tale in virtù di un concorso truccato;
Ma se il Giudice ha
picchiato la moglie;
Non si evince nulla
di tutto questo, perché un suo collega dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha
insabbiato tutto.
Altro esempio. Il
Giudice ammette le prove. Sarà veritiero il verdetto frutto di una esclusione di
una prova fondamentale a discrimine?
Non ci sono state
conseguenze per nessuno...Luca Palamara nelle chat parlava da solo: tempi
scaduti e tutto è finito a tarallucci e vino. Paolo Pandolfini su Il Riformista
il 17 Maggio 2023
I sempre più
frequenti richiami ai magistrati da parte del capo dello Stato a svolgere la
propria attività con correttezza e imparzialità, l’ultimo in ordine di tempo
questa settimana in occasione dell’inaugurazione della sede di Napoli della
Scuola superiore della magistratura, finiscono puntualmente in un nulla di
fatto. Se ne è accorto l’ex sostituto procuratore generale della
Cassazione Rosario Russo, ora in pensione, che nelle scorse settimane ha
presentato una istanza al Consiglio superiore della magistratura per conoscere
che fine avessero fatto gli eventuali procedimenti aperti nei confronti dei
magistrati che chiedevano favori e incarichi a Luca Palamara.
Antonio Giangrande:
Siamo tutti mafiosi, ma additiamo gli altri di esserlo. La mafia che c’è
in noi. Quando i delinquenti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i politici
dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le istituzioni ed i magistrati dicono: “qua
è cosa nostra!”; quando caste, lobbies e massonerie dicono: “qua è cosa
nostra!”; quando gli imprenditori dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i
sindacati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i professionisti dicono: “qua è
cosa nostra!”; quando le associazioni antimafia dicono: “qua è cosa nostra!”;
quando i cittadini, singoli od associati, dicono: “qua è cosa nostra!”. Quando
quella “cosa nostra”, spesso, è il diritto degli altri, allora quella è mafia.
L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando
coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per
commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o
comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé
o per altri”.
Antonio Giangrande:
“Un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da
coglioni.” Antonio Giangrande dal libro “L’Italia allo specchio. Il DNA degli
italiani”.
"Il popolo cornuto
era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola
alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del
colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci
sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi;
cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento
cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle
corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno
della civetta".
La moglie di Cesare
deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
E’ a tutti noto il
detto:
La moglie di Cesare
deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
Dovrebbe non solo
essere pura e fedele ma anche apparire impeccabile e seria a tutti coloro che la
frequentano.
Quale è l’origine
del celebre modo di dire?
Ci viene tramandato
da Plutarco, che, nel decimo capitolo della Vita di Giulio Cesare, ci dice che
in occasione di una festa dedicata alla dea Bona, cui potevano partecipare
soltanto le donne, Pompea, moglie di Cesare, accolse nella sua abitazione, un
suo spasimante, Publio Clodio, travestito da suonatrice.
L’inganno
tuttavia venne scoperto e Clodio fu scacciato via ei trascinato in tribunale.
Cesare, fu citato
come testimone. Alla domanda del pubblico ministero, rispose che non conosceva
personalmente Clodio e che non sapeva nulla delle sue malefatte. Il magistrato
non sembrò’ convinto di quella risposta e pregò il dittatore di essere più
chiaro.
Al che, l’illustre
testimone rispose che la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di ogni
sospetto.
Insomma l’apparenza
prima di tutto.
E’ giusto
domandarsi se nell’esercizio di un mandato pubblico oltre la legge debba
esservi anche un codice deontologico che sanzioni quei comportamenti inopportuni
anche se non penalmente rilevanti.
Certo se la moglie
di Cesare apparisse solamente onesta, sarebbe ancor più grave e sarebbe ben
accolta soltanto nelle società” puritane”.
Mai come in questi
tempi sembra calzante questo celebre modo di dire.
Perché bisogna essere uomini giusti? La (non) risposta di Platone.
Qual è
il motivo per cui l’uomo onesto si deve comportare onestamente? L’idea di
Platone e la critica di Aristotele. La sesta puntata della Letteratura greca
raccontata da Walter Lapini. Iacopo Gori CorriereTv su Il Corriere della Sera il
06 giugno 2023
La Repubblica di Platone è un trattato sullo Stato ma il punto di partenza è la
riflessione sulla giustizia. La domanda se l’uomo onesto ha qualcosa
da guadagnare dalla sua onestà o ha tutto da perdere. Platone osserva che nella
vita quotidiana l’uomo onesto ha tutto da perdere mentre il disonesto ha sempre
tutto da guadagnare.
Qual è
il motivo per cui l’uomo onesto debba comportarsi onestamente? Può accadere che
l’uomo più giusto possa passare per il peggiore dei malfattori (come è successo
a Socrate) e viceversa.
La
risposta è tranciante: in questo mondo non c’è coincidenza tra utile e giusto.
Ma si può pensare a una società diversa, una società dove tutti gli uomini
siano cointeressati alla cosa comune, al bene comune, una società dove non c’è
la proprietà privata né dei beni ma neppure delle mogli e dei figli.
Ma può
esistere una società così? Per Platone quello è il modello. Il grande
allievo Aristotele criticherà il maestro Platone per quella teoria, specie la
parte sulla proprietà privata. E qui si torna al celebre quadro
di Raffaello con Platone che indica l’alto e Aristotele che frena indicando
il basso.
Walter
Lapini, filologo classico e grecista, è professore ordinario di letteratura
greca all’università di Genova. È autore di numerosi saggi e monografie sul
mondo classico.
Qualcuno potrebbe
dire: se tutti sono criminale, allora nessuno è criminale.
Parliamo di
statistiche: ufficiali.
Il reato che
fa flop: su 5.418 processi solo 27 condanne. Stefano Zurlo il 19 Maggio 2023 su
Il Giornale.
I dati sono
impressionanti: "Nel 2017, 6.500 procedimenti finiti in nulla salvo che in 57
casi. Il 97% di assoluzioni". L'Anci: "Bisogna intervenire". Ma il Carroccio
adesso frena.
I numeri non
mentono. Nel 2017 in Italia sono stati avviati 6500 procedimenti per abuso
d'ufficio. Ma solo 57 volte si è arrivati a una condanna definitiva. Una
percentuale bassissima. Il dossier presentato ieri dall'ex ministro Enrico Costa
in parlamento parla con le tabelle più che con i discorsi.
E' il fenomeno più
sottovalutato. Tre innocenti arrestati o condannati ogni giorno: gli errori
giudiziari e i risarcimenti beffa dello Stato. Benedetto Lattanzi e Valentino
Maimone su Il Riformista il 11 Maggio 2023
Quando avrete
finito di leggere questo articolo, dalle casse dell’Erario saranno usciti circa
cinquecento euro per risarcimenti alle vittime di errori giudiziari. Al ritmo di
55 euro al minuto, lo Stato cerca di arginare il fenomeno dei propri cittadini
arrestati o condannati da innocenti, versando loro somme di denaro il più delle
volte risibili, sempre e comunque inadeguate per riparare la tragedia personale
che hanno vissuto.
Il fenomeno degli
errori giudiziari è il più sottovalutato, misconosciuto e trascurato problema
della giustizia in Italia. Negli ultimi trent’anni ha colpito 30.231 persone,
l’equivalente di un “tutto esaurito” in uno stadio di calcio di serie A come
quello del Torino. Alla media di 975 casi l’anno, tutti gli anni, da un
trentennio. Significa tre innocenti arrestati o condannati (e per questo
risarciti dallo Stato) ogni giorno. Uno ogni otto ore.
Correggiamo la
storia distorta dalle indagini di mafia e di Tangentopoli. La sentenza della
Cassazione sulla Trattativa segna la fine della pretesa della magistratura di
essere protagonista nelle vicende sociali e politiche. Giuseppe Gargani su Il
Dubbio il 7 maggio 2023
La recente sentenza
sulla trattativa tra lo Stato e la mafia non ha avuto un adeguato commento dalla
grande stampa eppure si tratta di una decisione della Cassazione eclatante e
fondamentale per la storia civile, politica e umana del nostro Paese.
È una sentenza che
non può soltanto essere pubblicata nel Massimario e dare lustro a magistrati che
hanno dimostrato la loro serena indipendenza come prevista dall’art. 104
della Costituzione, ma deve avere conseguenze nella valutazione attenta da parte
della cultura giuridica e del mondo giudiziario. Come è noto la Cassazione ha
stabilito che il fatto “trattativa” non è stato commesso e non costituisce
reato; e quando un “fatto” non è reato e non è stato compiuto il processo penale
non ha consistenza.
Viene da dar
ragione a chi si pone la domanda perché è stato intentato un processo lungo
venti anni che ha costruito una storia che non esiste. La magistratura non può
inquinare le vicende della storia con cronache non vere che incidono fortemente
sul tessuto sociale e sulla convivenza dei cittadini.
Figura chiave nei
processi è il Testimone. La Testimonianza è il mezzo di prova. Il Contenuto
della Testimonianza è la Prova.
Antonio Giangrande:
La sorte di Cosimo Cosma, presunto innocente
Parla di lui
Antonio Giangrande, autore del libro “Sarah Scazzi, il delitto di Avetrana, il
resoconto di un avetranese” e del sequel “La condanna e l’Appello”.
Avetrana, contrada
Centonze. 7 aprile 2014. E’ morto Cosimo Cosma, 46 anni. Per i suoi parenti ed
amici: il gigante buono. Un tumore repentino e violento in pochi mesi ha chiuso
la sua breve vita e ha chiuso la bocca ai cattivi d’animo sempre in cerca del
mostro da dileggiare. Nel necrologio i giornali fanno a gara a rinvangare quella
condanna comminata dai giudici di Taranto. Condanna resa a tutti coloro che
erano stati rinviati a giudizio, anzi di più, perché altri processi sono stati
aperti a margine, specialmente per chi ha testimoniato contro la tesi
accusatoria del tutti dentro. Se ne va da presunto innocente, come lui stesso si
è sempre professato, e questo a noi basta. Dopo 11 mesi sono arrivate le
motivazione della condanna e ciò ha impedito di presentare l’appello a quella
condanna che a lui sembrava ingiusta, tramite il suo difensore, l’avv. Raffaele
Missere. Se innocente, a lui tutto il nostro rispetto; se colpevole, a lui tutto
il nostro perdono. Saranno altri giudici, forse più illuminati di quelli
terreni, a doverlo ora giudicare. Funerali ad Avetrana, tumulazione ad Erchie.
Forse, a torto o a ragione, per disprezzo dei suoi compaesani. Tutti i suoi
familiari ed amici lo hanno accompagnato nel viaggio dove cala per sempre il
sipario su uno dei nove imputati condannati dalla Corte di Assise di Taranto al
processo di primo grado per l’omicidio della quindicenne di Avetrana Sarah
Scazzi, strangolata e gettata in un pozzo nelle campagne del paese il 26 agosto
2010. Mimino, come lo chiamavano gli amici, che si era sempre proclamato
innocente, venne arrestato insieme a Carmine Misseri il 23 febbraio 2011, ma il
successivo 10 marzo il provvedimento restrittivo fu annullato dal Tribunale del
Riesame. «Sono stato in carcere 16 giorni da innocente – furono le prime parole
di Cosma, riferite dal suo legale Raffaele Missere, una volta tornato in libertà
– ora sono felice, ma spero che finisca tutto al più presto. Mi devono spiegare
perchè è accaduto tutto questo. Non avrei mai fatto quello che mi contestano,
occultare il cadavere di una bambina. E' stata una esperienza terribile. Sono
stato diversi giorni in isolamento senza televisioni, senza giornali. Spero che
sia fatta giustizia». Cosma, con la sentenza emessa dalla Corte il 20 aprile
2013, era stato condannato a sei anni di reclusione perchè ritenuto colpevole di
soppressione di cadavere. Reato che, secondo la tesi dell’accusa fatta propria
dalla Corte, Cosma avrebbe commesso insieme a Carmine Misseri, fratello di
Michele, allo stesso Michele, alla moglie e alla figlia di quest’ultimo, Cosima
Serrano e Sabrina Misseri. Per la Procura della Repubblica di Taranto, Cosma
aiutò lo zio Michele Misseri ad occultare il corpo di Sarah in un pozzo-cisterna
in contrada Mosca, nelle campagne di Avetrana. Sul suo coinvolgimento
nell’inchiesta giocarono un ruolo una serie di intercettazioni telefoniche e
ambientali che per gli inquirenti – tesi accolta poi dalla Corte di Assise di
Taranto - avrebbero dimostrato la partecipazione di Cosma alla fase successiva
al delitto. Cosimo Cosma si è sempre detto “innocente”. Non avrebbe mai aiutato
suo zio ad occultare il corpo della piccola Sarah: «Andava a scuola con mio
figlio, aveva la sua stessa età. Come avrei potuto fare una cosa del genere? Non
sapevo neanche dov’era quel pozzo… la contrada Mosca sì, ci passo due volte
all’anno… Mi hanno indagato per una telefonata, perché mio zio, quel giorno, mi
cercò sul cellulare di mia moglie dopo aver trovato spento il mio». Ma a
dimostrazione che Mimino osteggiasse i molestatori di bambine, nel novembre 2013
Cosma era incappato in un’altra disavventura giudiziaria: condannato ad un anno
e quattro mesi perchè avrebbe partecipato, insieme a due parenti, ad una
spedizione punitiva nei confronti di un uomo accusato di aver molestato la
nipote di 16 anni. Ora che le motivazioni della sentenza Scazzi sono state
depositate dopo 11 mesi, attendeva con il suo legale di ricorrere in appello per
cercare di dimostrare di non aver aiutato lo zio a nascondere il corpo di Sarah.
Troppo tardi, al cospetto del destino, troppo tardi per ristabilire dignità ed
onore.
Antonio Giangrande.
Al Presidente del
Consiglio Comunale di Avetrana
Per il sindaco di
Avetrana e la Giunta Comunale
Per i consiglieri
comunali
Avetrana lì 3
giugno 2015
Oggetto: Art. 47/49
Statuto di Avetrana. Richiesta di convocazione di un Consiglio Comunale
monotematico attinente il Caso Sarah Scazzi per la ricerca di strumenti di
tutela dell’immagine e della reputazione del paese e dei suoi cittadini di
fronte alla gogna mediatica a cui è perennemente sottoposto.
Il sottoscritto Dr
Antonio Giangrande, scrittore, nato ad Avetrana il 02/06/1963 ed ivi residente
alla via Manzoni, 51, presidente nazionale della Associazione Contro Tutte le
Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, direttore di
Tele Web Italia e vice presidente della Associazione Pro Specchiarica, sodalizio
di promozione del territorio, con sede legale in via Piave 127 ad Avetrana, tel
0999708396 cell. 3289163996,
premesso che
sin dal 26 agosto
2010, dal momento della scomparsa di Sarah Scazzi in Avetrana, i cittadini del
paese sono oggetto di una gogna mediatica senza soluzione di continuità che non
trova pari in nessun altro caso di cronaca nazionale ed internazionale. Da
allora ho scritto 3 libri sul delitto, rendicontando giorno per giorno eventi
avvenuti e commenti elargiti in tutta Italia. Per gli effetti ho verificato che
di Avetrana si è fatta carne da macello. Se da una parte, per quanto riguarda i
protagonisti della vicenda, il diritto di cronaca è tutelato dalla Costituzione
italiana, quantunque per esso non vi è giustificazione quando per loro questo si
travalica. E’ criminale, però, quando si coinvolgono in questa matassa tutti gli
altri cittadini di Avetrana che nulla centrano con la vicenda. Eppure dal 26
agosto 2010 tutti gli avetranesi sono stati dipinti come retrogradi, omertosi e
mafiosi. Chi riesce ad andare oltre i confini della “Cinfarosa” si accorge che
Avetrana è conosciuta in tutto il mondo e certo non in toni lusinghieri. Tanto
da far mortificare i suoi cittadini e far pagare loro fio per colpe non
commesse. Non basta il mio prodigarmi a favore di Avetrana attraverso la
pubblicazione dei miei libri o di video o di note stampa sui miei o altrui blog
per ristabilire la verità. Io sono sempre un semplice cittadino che non fa testo
e questo è un limite, oltretutto, chi mi segue, per come mi conosce, non pensa
che io sia di Avetrana e ciò rende meno efficace la posizione da me assunta.
D’altra parte, però, a difesa dei diritti di Avetrana si è notato una certa
mancanza di iniziativa adeguata da parte dell’Amministrazione Comunale, tanto
meno la minoranza ha adottato misure opportune di pungolo o di critica. Il tutto
per mancanza di coraggio o di impreparazione comunicazionale. E per questo nei
libri non ho mancato di rilevare l’ignavia atavica degli amministratori. Poco si
è fatto e quel poco è risultato al di più dannoso. Se da una parte può essere
considerato opportuno, con oneri per la comunità, costituirsi parte civile nei
confronti di chi si addita prematuramente come responsabile e comunque non ha
nulla da risarcire, intollerabile è che Pasquale Corleto, avvocato per il Comune
di Avetrana, che dovrebbe tutelare l’immagine degli avetranesi, dica in pubblica
udienza inopinatamente: «Avetrana è una città di gente che lavora e vi
preannunzio per andare sempre più in fretta LA GENTE DI AVETRANA E’ COME MICHELE
MISSERI. Se ad Avetrana non ci fosse stata gente sana, non avremmo potuto
parlare della contestazione d'accusa di sequestro di persona». Io non sono come
Michele Misseri. Io non mi accuso di essere un assassino!
Comunque,
l’inadeguato contrasto da parte del Comune di Avetrana ha portato all’apice
dell’ignominia.
In occasione della
notifica dei 12 gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari fatti
notificare a quanti, secondo l’accusa, erano a conoscenza di fatti e particolari
riguardanti l’omicidio e hanno taciuto, o peggio detto il falso, dinanzi ai
pubblici ministeri o alla corte d’assise, i media si sono sbragati.
Nel caso
dell'omicidio di Sarah Scazzi, trattato molto spesso da “Quarto Grado” su “Rete
4” di Mediaset la redazione (guidata da Siria Magri) si è attestata su una linea
prevalentemente conforme agli indirizzi investigativi della pubblica accusa,
cioè della Procura della Repubblica di Taranto. Tanto che i suoi ospiti, quando
sono lì a titolo di esperti (pseudo esperti di cosa?) o, addirittura, a
rappresentare le parti civili, pare abbiano un feeling esclusivo con chi accusa,
senza soluzione di continuità e senza paura di smentita. A confermare questo
assioma è la puntata del 15 maggio 2015 di “Quarto Grado”, condotto da Gianluigi
Nuzzi ed Alessandra Viero e curato da Siria Magri.
A riprova della
linea giustizialista del programma, lo stesso conduttore è impegnato a far
passare Ivano come bugiardo, mentre il parterre è stato composto da:
Alessandro Meluzzi,
notoriamente critico nei confronti dei magistrati che si sono occupati del
processo, ma che sul caso trattato è stato stranamente silente o volutamente non
interpellato;
Claudio Scazzi,
fratello di Sarah;
Nicodemo Gentile,
legale di parte civile della Mamma Concetta Serrano Spagnolo Scazzi.
Solita tiritera
dalle parti private nel loro interesse e cautela di Claudio nel parlare di
omertà in presenza di cose che effettivamente non si sanno.
Per il resto ospite
è Grazia Longo, cronista de “La Stampa”, che si imbarca in accuse diffamatorie,
infondate e senza senso: «…e purtroppo tutto questo è maturato in seno ad una
famiglia ed anche ad un paese dove mentono tutti…qui raccontano tutti bugie».
Vada per i
condannati; vada per gli imputati; vada per gli indagati; ma tutto il paese cosa
c’entra?
Ospite fisso del
programma è Carmelo Abbate, giornalista di Panorama, che anche lui ha guizzi di
idiozia: «Io penso che da tutto quello che ho sentito una cosa la posso dire con
certezza: che se domani qualcuno volesse scrivere un testo sull’educazione
civica, di certo non dovrebbe andare ad Avetrana, perché al di là della
veridicità o meno della dichiarazione della ex compagna di Ivano, al di là della
loro diatriba, è chiaro che qui c’è veramente quasi un capannello di ragazzi che
nega, un’alleanza tra altri che si mettono d’accordo: mamma ha visto questo,
mamma ha visto quest’altro. Ma ci rendiamo conto di quanto sia difficile
scalfire, scavalcare questo muro, veramente posto tra chi deve fare le indagini
e la verità dei fatti? E’ difficilissimo. Cioè, la sicurezza, la nostra
sicurezza è nelle mani di noi.»
Complimenti ad
Abbate ed alla sua consistenza culturale e professionale che dimostra nelle sue
affermazioni sclerotiche. Cosa ne sa, lui, dell'educazione civica di Avetrana?
Fino, poi, nel
prosieguo, ad arrivare in studio, ad incalzare lo stesso Claudio, come a
ritenere egli stesso di essere omertoso e reticente. Grazia Longo: «..però
Claudio anche tu devi parlare, anche tu, scusa se mi permetto, dici delle cose e
non dici. Io non ho capito niente di quello che hai detto. Tu sai qualcosa e non
lo vuoi dire!»
Accuse proferite al
fratello della vittima…assurdo! Tutto ciò detto di fronte a milioni di
spettatori creduloni.
Si noti bene:
nessun ospite è stato invitato per rappresentare le esigenze della difesa delle
persone accusate o condannate o addirittura estranee ai fatti contestati.
Per questi motivi
SI CHIEDE ALLA SV
VOSTRA
Non essendoci fin
qui, colpevolmente, nessun provvedimento adottato per motu proprio, ossia
d’ufficio, nonostante le segnalazioni verbali al presente ufficio di presidenza,
al sindaco, al vice sindaco ed ad esponenti della minoranza, di convocare ai
sensi dello Statuto del Comune di Avetrana, come previsto dagli artt. 24 comma
3, 29, 37, attraverso la presente richiesta di pubblico interesse inoltrata in
virtù del dettato dello Statuto del Comune di Avetrana, ex art. 47, in qualità
di presidente di una associazione ed ex art. 49 da semplice cittadino, un
consiglio comunale monotematico per le motivazioni in oggetto, opportunamente
pubblicizzato e partecipato. In tale sede si ricerchino e si adottino,
finalmente all’unanimità ed in unione, adeguati e netti strumenti di tutela
dell’onorabilità di Avetrana e dei suoi cittadini, come per esempio una denuncia
per diffamazione a mezzo stampa e relativa azione civile contro i giornalisti ed
al direttore del programma televisivo citati. Altresì aggiungersi una campagna
stampa istituzionale, affinchè, a tale delibera adottata, sia data ampia
rilevanza nazionale in modo tale che la querela non sia fine a se stessa ma
attivi un clamore mediatico. In questo modo, dal dì di approvazione in poi, sia
di monito a tutti e, finalmente, tutti si possano lavare la bocca prima di
pronunciare qualsivoglia considerazione malevola sul nostro paese.
Comunque qualcosa
va fatto, in quanto la misura è abbondantemente colma e con vostra
responsabilità.
Mi è stato
consigliato di soprassedere alla mia proposta, ovvia e normale in altri luoghi,
ma forse considerata estemporanea ad Avetrana. Io non dispero, considerando,
nonostante tutto, Avetrana un paese normale.
Con ossequi.
Dr Antonio
Giangrande
NATURALMENTE:
LETTERA MORTA
Giunta Municipale
sotto la presidenza del Sindaco Avv. Mario DE MARCO e nelle persone dei Signori
seguenti:
1) DE MARCO Mario
Presidente
2) SCARCIGLIA
Alessandro Assessore
3) MINO’ Antonio
Assessore
4) TARANTINO Enzo
Assessore
5) PETARRA Daniele
Assessore
Consiglio Comunale
DE MARCO Mario
TARANTINO Enzo
PETARRA Daniele
BALDARI Antonio
MAGGIORE Vito
GIANGRANDE Pietro
DERINALDIS Cosimo
MANNA Cosima
SARACINO Francesco
CONTE Luigi
LANZO Antonio
MICELLI Emanuele
PETRACCA Rosaria
Antonio Giangrande: Quarto Grado. Nuzzi, Longo ed Abbate, Avetrana vi dice:
vergogna!
Per il resto ospite è Grazia Longo, cronista de “La Stampa”, che si imbarca in
accuse diffamatorie, infondate e senza senso: «…e purtroppo tutto questo è
maturato in seno ad una famiglia ed anche ad un paese dove mentono tutti…qui
raccontano tutti bugie».
Vada per i condannati; vada per gli imputati, ma tutto il paese cosa c’entra?
Ospite fisso del programma è Carmelo Abbate, giornalista di Panorama, che anche
lui ha guizzi di idiozia: «io penso che da tutto quello che ho sentito una cosa
la posso dire con certezza: che se domani qualcuno volesse scrivere un testo
sull’educazione civica, di certo non dovrebbe andare ad Avetrana, perché al di
là della veridicità o meno della dichiarazione della ex compagna di Ivano, al di
là della loro diatriba, è chiaro che qui c’è veramente quasi un capannello di
ragazzi che nega, un’alleanza tra altri che si mettono d’accordo: mamma ha visto
questo, mamma ha visto quest’altro. Ma ci rendiamo conto di quanto sia difficile
scalfire, scavalcare questo muro, veramente posto tra chi deve fare le indagini
e la verità dei fatti? E’ difficilissimo. Cioè, la sicurezza, la nostra
sicurezza è nelle mani di noi.»
Complimenti ad Abbate ed alla sua consistenza culturale e professionale che
dimostra nelle sue affermazioni sclerotiche. Cosa ne sa, lui, dell'educazione
civica di Avetrana?
Fino, poi, nel prosieguo, ad arrivare in studio, ad incalzare lo stesso Claudio,
come a ritenerlo egli stesso di essere omertoso e reticente. Grazia Longo:
«..però Claudio anche tu devi parlare, anche tu, scusa se mi permetto, dici
delle cose e non dici. Io non ho capito niente di quello che hai detto. Tu sai
qualcosa e non lo vuoi dire!»
Accuse proferite al fratello della vittima…assurdo!
Antonio Giangrande: Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana. Processo ai
Misseri. Quando la Giustizia non convince, ma la televisione sì.
Una farsa dove i media sono la pubblica accusa ed i loro spettatori sono i
giudici popolari. La difesa è un optional assente.
Intervista al dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, autore
avetranese che sulla vicenda ha scritto tre libri: sulla scomparsa, il
ritrovamento, gli arresti ed il processo di primo grado; sull’appello; sui
giudizi penali ai testimoni non conformi alla linea accusatoria.
Dr. Antonio Giangrande lei su quali basi può essere ritenuto un relatore
attendibile della vicenda?
«Sono di Avetrana ed ho esercitato la professione forense nel foro di Taranto,
finchè me lo hanno permesso, non essendo conforme, quindi conosco i luoghi e le
persone al di là dell’aspetto processuale specifico. Nella mia peculiare
situazione ho raccolto in testi ed in video tutto il materiale attinente la
vicenda».
E quale idea si è fatto?
«Nonostante abbia consultato tutti gli atti processuali ed extraprocessuali
difensivi ed accusatori, le sentenze, finanche quella definitiva, mi lasciano il
dubbio, oltre che l’amaro in bocca».
L’amaro in bocca?
«Sì. Perché gli studenti che vogliono presentare una tesi scolastica o
universitaria sulla vicenda di Sarah Scazzi, spesso mi chiedono il materiale
video della requisitoria dell’accusa, non essendo interessati minimamente alle
arringhe della difesa. Dico loro che tutto il materiale accusatorio e difensivo
da me raccolto può essere consultato anche in testi e gratuitamente. Questi, pur
non conoscendo la posizione della difesa delle parti in causa, mi rispondono:
“Grazie, ma la vicenda mi è già ben chiara.” Capite? È chiara una vicenda sol
perché si è seguita mediaticamente tramite i portavoce dei PM, o perché si è
visionata la requisitoria accusatoria. Questo è per la vicenda di Sarah Scazzi,
come lo è per tutti i grandi processi mediatici».
Lei che conosce tutto il materiale probatoria, cosa, invece, ha da aggiungere
per completezza di informazione?
«Gli elementi giudiziari principali su cui basare un giudizio di logica sono:
Arma del delitto. Non vi è certezza. La difesa dice corda. L’accusa dice
cintura.
Orario del delitto. Vi è contraddizione. L’orario incerto e non provato
dell’accusa è prima delle 14.00 di quel giovedì 26 agosto 2010, basato su
testimoni che si son contraddetti (il vicino, la coppietta, i genitori di Sarah
e la badante) ed il consulente contestato; l’orario certo della difesa è circa
le 14.30, provato da un testimone attendibile.
Movente del delitto. Non vi è certezza. Passionale da parte di Sabrina, per
l’accusa, però senza riscontro o conferme degli amici ascoltati. Sessuale da
parte di Michele, per la difesa, con il riscontro dei precedenti di Misseri con
la cognata.
Gli elementi spuri. Il fantomatico furgone visto da Massari ed il fantastico
sogno del fioraio Buccolieri. Il furgone non prova né l’omicidio, né il
rapimento. Il Sogno non prova l’omicidio, ma solo il coinvolgimento di Cosima
Serrano nell’eventuale rapimento di Sarah. Sogno che non è stato mai indicato
come realtà. Solo la Pisanò ed i pubblici ministeri hanno ritenuto che quel
sogno fosse realtà, nonostante vi sia stata immediata ritrattazione o
puntualizzazione del Buccolieri, il cui procedimento penale per false
dichiarazioni al Pubblico Ministero, sicuramente morirà di prescrizione, non
arrivando a definire una verità assoluta sull’eventuale abbaglio accusatorio o
sulla falsità della ritrattazione. Per aver sostenuto che era sogno molti
parenti ed amici del Buccolieri sono finiti sotto la scure giudiziaria. Per
questo non si capisce l’incaponimento di questi a sostenere una versione che
l’accusa ritiene falsa, se effettivamente falsa non sia.
Le confessioni di rei ritenuti innocenti. Cosima ha sempre sostenuto la sua
estraneità all’omicidio ed al fantomatico rapimento onirico. Anche per mancanza
di tempo, ribadita da un testimone, perchè rientrata alle 13.30 circa dal lavoro
in campagna. Sabrina ha sempre negato il suo coinvolgimento al delitto,
confermate dagli sms alle Spagnoletti, e la sua gelosia per Ivano, confermando
il suo affetto per Sarah. Michele ha confessato il delitto, con riscontro di
fatti, facendo trovare prima il cellulare, poi il corpo e palesando la sua colpa
nella prima telefonata genuina intercettata tra lui e la figlia Sabrina durante
il suo arresto nella caserma di Taranto, in seguito del quale ha fatto ritrovare
il corpo. Ha deviato sulla sua versione solo quando non era presente
coscientemente a causa dei farmaci somministrati ed indotto dal carabiniere
presente all’audizione, ovvero quando è stato indotto dal suo avvocato
difensore, Daniele Galoppa, consigliato a Michele dal pubblico ministero Pietro
Argentino, componente dell’accusa, ed indotto dalla consulente Roberta Bruzzone.
Così come dichiarato dallo stesso Misseri. Bruzzone che nel processo ha
rivestito le vesti di consulente di Michele Misseri, testimone dell’accusa e
persona offesa (logicamente astiosa) nei confronti di Michele.
Testimoni fondamentali dell’accusa. L’unica super testimone: Anna Pisanò,
sedicente amica di Sabrina Misseri. La sua testimonianza collide con tutte le
altre versioni degli amici e parenti di Sabrina che sono stati ascoltati nel
processo. Sarah la mattina dell’omicidio era felice? Per la Pisanò no, per gli
altri sì. Sabrina era gelosa di Sarah per Ivano Russo? Per la Pisanò sì, per gli
altri, no. Dopo la scomparsa vi sono elementi colpevolizzanti per Sabrina? Per
la Pisanò, sì, per gli altri, no. Chi ha parlato per prima del sogno? La Pisanò
che sospettava una relazione sentimentale tra sua figlia Vanessa e il fioraio,
suo datore di lavoro. La Pisanò ha detto di tutto su tutto, anche
contraddicendosi, come per la questione del sogno. La Pisanò, testimone e
detective allo stesso modo ed allo stesso tempo. La Pisanò, con cui Sabrina non
si confidava perché non la riteneva amica, in quanto considerata “pettegola”, si
arrogava il merito di sapere tutto su Sabrina stessa. Franco Coppi, l’avv. di
Sabrina, ebbe a dire nell’arringa di primo grado: “Sabrina ammette di essere
colpevole. Sabrina con la casa invasa dai giornalisti ammette la sua
responsabilità …con chi? Con la più pettegola delle donne di Avetrana, Con la
Pisanò!”»
In sintesi ha raccontato i processi. Cosa ne deduce?
«Se già io che ho studiato, cercato, approfondito tutti gli elementi del
processo. Ho conosciuto tutti i fatti exatraprocessuali che ne hanno minato la
credibilità. Se già io conosco tutto ciò e ho dei dubbi sull’esito processuale,
come fanno gli sbarbatelli che poco conoscono l’argomento a dire: “ho le idee
chiare”?»
Si farà un docufiction sulla vicenda da parte di Mediaset…
«Già. Ma non sono io il consulente della regia o degli autori. Sicuramente si
saranno avvalsi di qualcuno più autorevole ed attendibile di me… senza
stereotipi, pregiudizi e superficialità. Sicuramente la redazione di Quarto
Grado fornirà il suo apporto. Sicuramente si farà riferimento al fatto, come
spesso dichiarato impunemente in quella trasmissione, che Avetrana è un paese
omertoso…sol perché non sono stati tutti pettegoli…».
Antonio Giangrande:
Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si
tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è.
Sapendo che io ho le palle per denunciare le illegalità, questi deficienti usano
il mio nome ed appongono falsamente la mia firma in calce a degli esposti che
colpiscono i poveri cristi rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che
poi fanno carriera politica, non sanno che i destinatari dei miei strali sono
magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o
esercenti un pubblico servizio. Che poi queste denunce finiscono nell’oblio
perché “ cane non mangia cane” e per farmi passare per mitomane o pazzo o
calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da parte di questi coglioni
prendersela con i poveri cristi per poi far addossare la colpa a me ed essere
oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri vigliacchi. D'altronde un paese
di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.
Antonio
Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.
I
Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro pelle cosa sia la gogna
della vergogna.
Il
commento dello scrittore Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il
libro “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana”.
Devo
dire che a meno di 9 anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti
sapevano”, sono atti di accusa per un intero territorio e risuonano per tutta
Italia per mano di scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della
verità, se non quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese
di origine dei responsabili meridionali di un reato è la pena accessoria di cui
tenere conto.
Devo
dire che, scartando la gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla
medesima Manduria che son venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu
l’aggressione con conseguente morte di Salvatore Detommaso, ovvero vi fu il
mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i
responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di
vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro.
Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi
testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare
particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto
fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto
parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di
una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e
sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla
verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno
Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione
avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua,
ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per
chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso
Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo
episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando
difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo
Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che
erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di
aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori
pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte).
I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza
installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata
sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto
di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore
scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato
a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci
tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà
ad Avetrana fa notizia.
Chi fa
la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa,
non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa
vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può
parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a
quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile
per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche
successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i
responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre
articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah
Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria,
paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista
settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è direttore de "La Voce di
Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese"
diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli
amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere
l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010
e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La
triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di
Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il
nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita.
Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra
peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so
ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che
di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso
parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di
duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto
qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con
l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di
loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per
favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi
dovranno fare i conti.»
Detto
questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa dei manduriani andiamo ad
analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una violenza senza limiti». Lo ha
detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in merito alle
aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da ragazzini tra i 16 e i 23 anni,
tutti di Manduria. «L’intervento è stato tempestivo ma sarebbe stato ancora più
tempestivo se chi sapeva avesse avvisato prima le forze dell’ordine – ha
aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i
bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe
stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che
oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una
casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una
parrocchia lasciato solo. Il prete ha detto di essere intervenuto più volte, ma
perché non ha segnalato subito ai servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e
appassionato, del prefetto Vittorio Saladino, uno dei tre commissari prefettizi
di Manduria che, all’AdnKronos, parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e
cullato la brutalità delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto
ai servizi sociali perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto
segnalazioni - aggiunge - La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da
tanto tempo e nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era
all’oscuro. Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali,
è un paese ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso
di mira da turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e
l’annuncio: «Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto
Saladino - parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le
colpe le ha una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e
da episodi negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto
indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia
Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano
rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso da
Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato di
Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa strada
dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le ore
serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si stanno
verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa 5/6
persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si legge
ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno
perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al
prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e
agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la
vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto
ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da
parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a
introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della
quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione
soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo
urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia
moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha
così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel
povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli più
avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno voluto
firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare
Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019. Era un uomo malato,
Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il
pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della
chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che
fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se
stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue
condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un
passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando
all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da
molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine,
aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate,
ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e
nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era
un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I
vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta,
prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando
«quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente
spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. I vicini
non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono
appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel
giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento
è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da
allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi
fisici oltre quelli mentali.
Nazareno Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano,
insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del
Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni
Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati
sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia
potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della
parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo
intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero
conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando
sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i
ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i
ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando i
genitori, ma senza risultati.
Il
Fatto Quotidiano. 29 Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni,
secondo i vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013.
Eppure, stando a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità
su Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in
riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata, né
formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna
segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino, responsabile
dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una chiamata –
aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo il
servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118
intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo
era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era
stato preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto
perché, vinto dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi
già un anno e mezzo fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono
intervenuti. Allora perché si continua a nascondere una omissione di atti di
ufficio ed accusare la cittadinanza ed il clero di omertà?
A due
anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook
il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San
Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una
raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua
decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro
Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a
Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo
avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di
cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della
parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San
Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in
quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è
bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali,
ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure
non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti
cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano
angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie
ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle
smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti.
Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte
sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto
con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste
strofe:
“Ma
ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no
lassi operi ca restunu,
tutti
ti te si ni scordunu.
Pi
l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu
tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene!
Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico
fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto
materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla
storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di
cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la
costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il
loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della
Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di
Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove
Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e
grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci
che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe
potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova
ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo.
Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per
tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo
paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da
parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don
Dario.
Non
sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da
gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono
allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato
con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o
le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le
avverse fazioni.
Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario
(orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta
la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui
stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente
lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non
si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un
attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo
faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don
Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani
che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata
da gente come lui……..
Il
parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”,
smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli
ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha
segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro
di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco
questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi
piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui
volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah
Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi
d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di
tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e,
seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come
si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?».
Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni
televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la
villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e
investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu
dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle
operazioni.
Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un
carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe
così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la
ragione della sua presenza.
Anche
l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele
Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti
metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno
interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura
arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti
fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la
sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il
religioso, però, è pronto a smentire.
«Per
favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi
rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E
non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace
perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna
sull’argomento.
«Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del
giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega
meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati
di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo
ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di
quelle conversazioni».
Si
accusa una comunità di omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una
comunità di omertà. Ma non è omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché,
come è ampiamente dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile
denunciare: o le indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa
è l’Italia e tutti lo sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
“Manduria: nuova vittima della gogna mediatica”.
Azione Liberale, giovane movimento politico
nazionale, attraverso il suo presidente, l’avv. Mirko Giangrande, l'1 maggio
2019 si esprime riguardo alla gogna mediatica di cui è vittima la cittadinanza
di Manduria, a seguito della morte di Antonio Cosimo Stano. “Negli ultimi giorni
nelle case degli italiani è entrata la follia. La follia di un gruppo di
ragazzini, molti di buona famiglia, che, in stile “Arancia Meccanica”, ha
perseguitato e pestato Antonio Cosimo Stato, un sessantaseienne di Manduria
(TA), fino, molto probabilmente, a causarne la morte. Una follia irrazionale ed
immotivata, posta in essere solo per puro divertimento e passatempo. Ma al
peggio non c’è mai fine. Alla follia si aggiunge follia. Ecco che, puntuale,
arriva la gogna mediatica. Noi Avetranesi la conosciamo bene. Incurante di
qualsiasi etica, si abbatte sulle cittadine, specie quelle del sud. Manduria sta
per entrare nella “lista nera” delle località italiane. È iniziata la fase
dell’omertà e si finirà con la complicità. Si addita un’intera cittadina (quasi
35.000 abitanti) come omertosa: come facevano a non sapere? A questa accusa noi
non ci stiamo! Quante volte, nel periodo dell’omicidio Scazzi, ce lo siamo
sentiti ripetere. Ma che significa? Le persone che erano a conoscenza della
situazione (i vicini, il parroco) hanno parlato, hanno agito. Esatto, loro. E le
istituzioni? Sarà forse che con l’invenzione dell’omertà si voglia far ricadere
sull’ignara cittadinanza le colpe di chi, a livello istituzionale, doveva
(ripeto, doveva) intervenire? Ma poi, pur ammettendo il fatto che tale
situazione persecutoria fosse veramente di dominio pubblico, è mai possibile che
la voce sia arrivata alle orecchie di tutti tranne a quelle di chi doveva
intervenire? E’ chiaro, quindi, che dietro al già inquietante fatto di cronaca
si nasconde uno sciacallaggio mediatico e giornalistico, mirante a farne di
Manduria la cornice omertosa, vile e arretrata. Le istituzioni, i cittadini, la
società civile fa ancora in tempo a ribellarsi e a non subire passivamente ciò
che Avetrana ha subito quasi dieci anni fa. Altrimenti rimarrà negli annali non
come la capitale della Messapia, la Terra del Primitivo, la custode di
chilometri di spiagge e mare cristallino ma come un’accozzaglia di vili ed
omertosi che ha lasciato morire un pover’uomo, in balia delle angherie di un
gruppetto di piccoli delinquenti.” Avv. Mirko Giangrande Presidente di Azione
Liberale
Caro
Domenico Sammarco, presidente della Proloco, la tua “lettera aperta”,
indirizzata alle istituzioni che avrebbero infangato Manduria e i manduriani, è
indirizzata solo ai due procuratori. Non manca un altro destinatario che prima
di loro lo avrebbe fatto? Come mai ti è sfuggito? Nazareno Dinoi. La Voce di
Manduria giovedì 2 maggio 2019.
Omertà! Omertà!
Ergo: tutti mafiosi.
Una dissertazione
dedicata ai giornalisti di cronaca nera che raccontano il meridione d’Italia.
L’uso
dell’intercalare rende l’idea dello stato d’animo di un meridionale che si sente
diffamato su ogni articolo o servizio tv.
Gli spocchiosi ed
ignoranti giornalisti del nord, o quei pennivendoli rinnegati meridionali, vanno
a fare domande nel cazzo alla gente del Sud.
Gli intervistati li
ignorano o li sbeffeggiano.
I cronisti di
rigetto parlano di omertà.
Cosa ne sanno i
pennivendoli e startv, inviati sul posto, della reticenza.
Ignoranti non
conoscono i pettegolezzi paesani.
Qui la gente non è
reticente o omertosa.
La gente qua parla
e sparla sempre, altro che omertà. La notizia, vera, falsa o alterata/ingrossata
è sulla bocca di tutti. Dalle comari, in visita ai vicini, ai loro mariti, fino
alle orecchie di parroci e carabinieri ed infine il Sindaco. Tutto si mostra e
si sputtana in piazza, senza alcun timore. Perché nel meridione ancora esistono
le piazze come punto di ritrovo sociale. Il detto comune, appunto, per legittima
difesa contro le malelingue è: fatti i cazzi tuoi!
Che puntualmente
non avviene.
Nessuno si nasconde
dietro la tenda della finestra a sbirciare i fatti del vicino ed a delare
nell’anonimato alle autorità.
Nulla è segreto.
Che ne sanno i
pennivendoli, loro che vivono in casermoni e che non conoscono i loro
dirimpettai.
La nostra, gente
del sud, non è omertà.
O abbiamo da
lavorare, nonostante quello che al nord pensano, e non abbiamo tempo da perdere
in chiacchiere o in innumerevoli citazioni di testimonianze nei tribunali per
udienze rinviate per una malfunzionante giustizia.
O abbiamo il timore
di passare da carceriere a carcerato per una parola fuoriposto usata dalla
giustizia contro di noi.
Oppure non ci piace
essere presi per il culo con domande del cazzo da giornalisti improvvisati in
cerca di notorietà per un immeritato scoop.
Oppure,
semplicemente, non sappiamo, perché, come tutti, viviamo in casa nostra e non in
quella degli altri.
Quindi, anziché
mandarli affanculo platealmente, educatamente preferiamo il silenzio.
E’ educazione, non
è omertà!
Dr Antonio
Giangrande: Deindicizzazione: cosa significa.
Il deindicizzare
significa non rimuovere la pubblicazione, ma significa impedire che il contenuto
venga trovato tramite motori di ricerca.
Quindi basta una
lieve modifica al nome, affinché si impedisca la ricerca.
Spesso, però la
deindicizzazione non è dovuta se il diritto di cronaca sovrasta il diritto alla
privacy.
Se qualcosa ha
modificato lo status del richiedente, in questo caso, il diritto di cronaca si
modifica. Intervengono integrazioni, aggiornamenti o rettifiche.
Ce l’hanno tutti
con il Sud e le sue genti! Verità o vittimismo? Antonio
Giangrande
“Giornalisti,
mafiosi ed omertosi siete voi!”
Quando il rigurgito
del brodo primordiale dell’ignoranza produce conati di vomito di razzismo.
Un fatto di cronaca
diventa lo stimolo per condannare una comunità.
Ci sedemmo dalla
parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini
che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi,
ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli
che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.
Il giornalista per
essere tale deve essere abilitato: ossia deve essere conforme ed omologato ad
una stessa linea di pensiero.
E’ successo ad
Avetrana dove i pennivendoli a frotte si son presentati per dare giudizi sommari
e gratuiti, anziché raccontare i fatti con continenza, pertinenza (attinenza) e
verità. Hanno estirpato dichiarazioni a gente spesso non del posto e comunque
con una bassa scolarizzazione, o infastidita dalla loro presenza, cestinando le
testimonianze scomode per il loro intento. Certo è che a Brembate di Sopra, per
il caso di Yara Gambirasio, hanno trovato impedimento alle loro scorribande per
la meritoria presa di posizione del sindaco del luogo.
E’ successo a
Melito Porto Salvo dove il fatto di cronaca è divenuto secondario rispetto
all’intento denigratorio dei pseudo giornalisti, sobillato dai soliti istinti
razzisti di genere o di corporazione o di interesse politico. E certo, che come
a Mesagne per la vicenda di Melissa Bassi, dove la mafia era estranea, non
poteva mancare l’intervento di “Libera” per dare una parvenza di omertà e
‘ndranghetismo sulla vicenda. Non c’è migliore visibilità se non quella di
tacciare di mafiosità una intera comunità.
Nel render conto
della vicenda nei miei libri sociologici ho avuto enorme difficoltà, fino
all’impossibilità, a trovare un pezzo che riportasse la testimonianza di tutte
quelle persone per bene di Melito, assunte tutto ad un tratto, dalle penne
malefiche e conformi, a carnefici di una ragazzina.
Il tarlo che
pervade i pennivendoli è sempre quello: MAFIA ED OMERTA’.
Eppure il sindaco
di Melito ha espresso totale solidarietà alla 13enne abusata e ciononostante non
poteva non difendere il suo paese e la sua comunità, cosa che a Mesagne ed ad
Avetrana non è successo. “Nel paese c’è una parte di omertà e una parte di
‘ndrangheta ma il paese non è tutto ‘ndrangheta e non è tutto omertà, nel paese
c’è una parte sana che è la stragrande maggioranza”. Così il sindaco di Melito
Porto Salvo, Giuseppe Salvatore Meduri, commenta le polemiche che si sono
scatenate intorno alla vicenda della ragazza vittima di violenza sessuale di
gruppo. Libera, nei giorni scorsi, ha organizzato per la ragazza una fiaccolata
a cui però hanno partecipato poche persone. “Alla fiaccolata, è vero, ha
partecipato solo il 10% della popolazione, io avrei gradito una presa di
posizione forte ma non posso condannare chi non se l’è sentita di venire, devo
rispettare la volontà di ognuno”, ha detto il sindaco. Quello che è successo, ha
sottolineato il primo cittadino, “è la cosa peggiore accaduta nella storia
melitese in assoluto, da parte mia c’è una ferma e piena condanna e totale
solidarietà alla ragazzina. La cosa principale adesso è salvaguardare il suo
interesse con ogni forza e ogni mezzo. Come sindaco e come genitore mi sento
corresponsabile per quello che è accaduto e in questa vicenda ci sono
responsabilità di tutti, la scuola, la chiesa, la società civile – ha aggiunto –
Tutti ci dobbiamo interrogare”. “Adesso quello che posso fare è spendermi per
vedere cosa si può fare per la ragazza – ha detto il sindaco – ho già fatto la
delibera di indirizzo per la costituzione di parte civile quando si farà il
processo. Ci siamo impegnati per sostenere le spese legali. L’indirizzo è quello
di aiutare la famiglia. I ragazzi che hanno causato questa situazione vanno
condannati a prescindere, quello che è stato fatto è inimmaginabile ma auguro
loro un futuro migliore e apro loro la porta del perdono”.
Questa presa di
posizione ai pennivendoli è di intralcio. Su “Stretto web” del 13 settembre 2016
si legge. “Il Comitato di redazione della Tgr Calabria, in una nota a firma dei
suoi componenti, Livia Blasi, Gabriella d’Atri e Maria Vittoria Morano,
“respinge con forza – è detto in un comunicato – gli ingiustificati e reiterati
attacchi da parte del primo cittadino di Melito Porto Salvo, Giuseppe Salvatore
Meduri, al servizio pubblico, colpevole, a suo dire, di sciacallaggio mediatico.
Il riferimento è al modo in cui il nostro giornale avrebbe trattato la vicenda
di abusi e violenze di gruppo ai danni di una ragazzina”. “In particolare, in
occasione della marcia silenziosa organizzata da Libera – aggiunge il Cdr – dal
palco, il sindaco ha fortemente criticato i servizi realizzati sul caso dalla
Tgr Calabria sostenendo: “Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci
hanno offesi”, come riportato anche dall’inviato de “La Stampa”, Niccolo’
Zancan, autore di un reportage pubblicato in data 11 settembre sul quotidiano
torinese. Testimone degli attacchi, il service per le riprese “Bluemotion”,
nella persona della nostra collaboratrice Giusy Utano, presente alla fiaccolata
per conto della Tgr Calabria e alla quale va tutta la nostra solidarietà”. “La
posizione assunta dal primo cittadino di Melito – è detto ancora nella nota – ci
colpisce e ci sorprende. La Tgr Calabria, infatti, come testimoniano i servizi
andati in onda e visionabili sul sito on-line della testata, ha trattato sin dal
primo momento il caso con tutte le cautele possibili, nel rispetto sia della
vittima che dei suoi presunti carnefici. Nostra volontà, inoltre, è stata quella
di raccontare di una comunità ferita e darle voce e questo abbiamo fatto. Ne è
emerso un contesto assai complesso in cui non sono mancati atteggiamenti di
chiusura, di condanna, di riflessione ma anche di vicinanza e solidarietà ai
ragazzi del branco. Fedeli al dovere di cronaca, abbiamo “fatto parlare” le
immagini e dato spazio alle diverse testimonianze raccolte. Pertanto, non
crediamo che questo corrisponda a denigrare la comunità di Melito. D’altronde,
lo stesso Sindaco, ai nostri microfoni, ha sottolineato come nella vicenda tutti
abbiano la loro parte di responsabilità. “Sono mancate – ha detto – la famiglia,
la scuola, la chiesa, la società’ civile, la politica, le associazioni sportive.
Nessuno può dirsi esente da responsabilità. Tutti dobbiamo recitare un mea
culpa’”. “A questo punto – conclude il Cdr della Tgr Calabria – ci chiediamo,
qual è l’offesa da noi arrecata alla comunità di Melito? E’ evidente che non ne
abbiamo alcuna in una vicenda di per sè talmente dolorosa da essere capace, da
sola, di scuotere l’opinione pubblica e sollecitare non poche riflessioni”.
L’offesa più grande
arrecata alla comunità non è quello che si è voluto far vedere, anche
artatamente, istigando i commenti più crudeli e sprezzanti su di essa, ma quello
che si è taciuto per poter meglio screditarla. L’omertà è in voi, non nei
Militesi. Avete omesso di raccontare quel paese pulito con una comunità onesta,
coinvolta inconsapevolmente in una cruda vicenda. Ecco perché non ci dobbiamo
meravigliare di trovare e leggere solo articoli fotocopia con un fattore comune:
’Ndrangheta ed omertà. Lo stesso atteggiamento avete avuto con Avetrana. Sembra
un film già visto.
Cari giornalisti,
parlare di un semplice fatto di cronaca come quello contemporaneo di Tiziana
Cantone, suicida per il video hot nel napoletano, senza coinvolgere la Comunità
locale? Non ce la potete proprio fare? Godete ad infangare le comunità del sud?
E che soddisfazione si trae se a scrivere nefandezze è proprio quella gente del
sud che condivide territorio, lingua, cultura, tradizioni, usi di quella stessa
gente che denigra?
Un’ultima cosa. In
queste stravaganti e bizzarre liturgie delle fiaccolate che servono per far
sfilare chi è in cerca di notorietà io non ci sono mai andato: a Mesagne ed a
maggior ragione ad Avetrana, perché cari giornalisti: mafiosi ed omertosi siete
voi ed io dai mafiosi mi tengo lontano!”
Dr Antonio
Giangrande
Antonio Giangrande:
Quelli che…ed io pago le tasse per il Sud. E non è vero.
Le grandi aziende
che lavorano nel Sud Italia hanno la sede legale al Nord e lì pagano le tasse.
Le grandi aziende
del Nord Italia hanno la sede legale nei paradisi fiscali e lì pagano le tasse.
Antonio Giangrande:
A proposito del Titolo di Libero sui “Terroni”.
Gli opinionisti del
centro-nord Italia “po’ lentoni” (lenti di comprendonio, anche se oggi
l’epiteto, equivalente a “Terrone”, da rivolgere al settentrionale è “Coglione”)
su tutti i media la menano sulla terronialità. Cioè l’usare il termine “terrone”
come una parola neutra. Come se fossero un po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani
della giustizia sulla Lega Padania. Come tutti. Più di tutti. I leghisti
continuano a parlare, anziché mettersi una maschera in faccia per la vergogna.
Su di loro io, Antonio Giangrande, ho scritto un libro a parte: “Ecco a voi i
leghisti: violenti, voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti
colonizzatori. Non (ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con
disprezzo”. Molti di loro, oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e
polentoni: una litania che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone
come mangia polenta o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di
comprendonio. Ergo: COGLIONE. Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il
gestore della pagina Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per
fornire una “Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate
quotidianamente dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti
a sentirsela tutto il giorno. Una gallery di perle pubblicate sulla radio
comunitaria che prende soldi pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si
rincorre il Sud come prossimo passato, si vince se il Sud è vissuto oggi come
consapevolezza di non poterne fare a meno. Accettare di essere comunque
meridionale e non terrone a qualunque latitudine. Il treno porta giù, un altro
mezzo ti può portare in qualunque altro luogo senza farti dimenticare chi sei e
da dove vieni. A chi appartieni? Così si dice al Sud quando ti chiedono chi sia
la tua famiglia. È un'espressione meravigliosa: si appartiene a qualcuno, si
appartiene anche ai luoghi che vivono dentro di te.
Essere orgogliosi
di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia
e lascia il cuore nella terra natia.
Ciononostante i
nordisti, anziché essere grati al contributo svolto dagli emigrati meridionali
per il loro progresso sociale ed economico, dimostrano tutta la loro
ingratitudine.
Antonio Giangrande:
Il nostro cavallo di battaglia è l’istituzione del difensore civico giudiziario
che possa operare con i poteri giudiziari, contro gli abusi e le omissioni dei
magistrati e degli avvocati e degli apparati ministeriali a tutela dei
cittadini. Sposiamo la causa e divulghiamo l’iniziativa concreta.
Antonio Giangrande:
“La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
Intervista al
sociologo storico Antonio Giangrande, autore di un centinaio di saggi che
parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise
per argomenti e per territorio.
Antonio Giangrande:
Chi dice Terrone è solo un coglione.
La sperequazione
inflazionata di un termine offensivo come nota caratteristica di un popolo
fiero.
L’approfondimento
del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha
scritto “L’Italia Razzista” e “Legopoli”.
Sui media spopola
il termine “Terrone”. Usato dai razzisti del centro Nord Italia in modo
dispregiativo nei confronti degli italiani del Sud Italia ed usati dai
deficienti meridionali come caratteristica di vanto.
Così è sempre, così
è stato a Pontida il 22 aprile 2017. Sono più di 1500 e molti di loro vestono la
t-shirt “terroni a Pontida” o anche “terroni del Nord”. Sono accorsi a Pontida,
in provincia di Bergamo, da tutta Italia, ma soprattutto da quella Napoli che
l’11 marzo 2017 aveva ospitato Matteo Salvini, leader della Lega Nord che
proprio qui a Pontida ha la sua roccaforte. «Abbiamo espugnato Pontida, questa
terra considerata della Lega Nord. Siamo qui per raccontare che per noi non
esistono i feudi della Lega Nord e del razzismo, vogliamo costruire ponti e lo
facciamo con questa festa, che richiama l’orgoglio antirazzista e terrone», ha
spiegato Raniero Madonna di Insurgencia a “La Stampa”. E mentre il sindaco di
Napoli Luigi De Magistris invita sui social i "terroni" a unirsi da Lampedusa a
Pontida si pensa al bis. Il clou del concertone è la canzone "Gente d'ò Nord",
brano che i 99 Posse hanno firmato con una serie di altri artisti che insieme
hanno inciso un doppio cd con il nome di "Terroni uniti". "C'è tantissima gente.
E' un bel posto - ha concluso Luca O'Zulú dei 99 Posse - perché non farlo
diventare da simbolo della Lega a sede del Concerto Nazionale Antirazzista
Migrante e Terrone?".
Un
contro-concertone del Primo Maggio gratuito e dal sapore terrone con 10 ore di
musica, interventi e colori degli artisti del Sud, scrive “La Repubblica” il 26
aprile 2017. In scena in piazza Dante, dalle 14 a mezzanotte, il festival
dell'orgoglio antirazzista e meridionale che ha iniziato il suo tour a Pontida
lo scorso 22 aprile. E in programma c'è una già terza tappa: Lampedusa.
L'annuncio è arrivato dalla voce del sindaco de Magistris, durante una
conferenza stampa che dal Comune si è spostata in piazza Municipio. "E' un
progetto talmente bello - ha detto il sindaco - che lo riteniamo un progetto
della città: ogni primo maggio si dovrà tenere nella capitale del Mezzogiorno un
concerto che abbia come obiettivo i sud del mondo, i diritti, la solidarietà,
l'antirazzismo, il lavoro e la lotta per la liberazione dei nostri popoli". Un
Primo Maggio "terrone" perché "i terroni difendono il proprio territorio dai
rifiuti, dalla malavita, dallo sfruttamento, dalla finanza predatoria". Ed è
proprio sul palco del Primo Maggio che i Terroni Uniti continueranno il loro
tour dopo Pontida, perché "a Napoli la festa dei lavoratori diventa la festa
ribelle dei lavoratori a nero, dei lavoratori sfruttati, della manodopera
dell'informale, delle vittime clandestine del caporalato".
Interverranno anche
gli scrittori “Terroni uniti” come Maurizio de Giovanni e Antonello Cilento. Una
maratona di musica e impegno sociale che avrà come tema il lavoro, la difesa dei
diritti dei lavoratori, dei disoccupati e delle vittime del caporalato, e
l'orgoglio meridionale.
Che figure di
merda…più che terroni si è coglioni. Se già da sé ci si chiama terroni, cosa
faranno chi li vuol denigrare?
«Non è un reato
dare dei terroni ai terroni, indi per cui i terroni sono terroni, punto.
Arrivano dalla Terronia, terra di mezzo», diceva al telefono, parlando di un
calabrese, una delle campionesse della Capitale Morale, quella Maria Paola
Canegrati che smistava affarucci e mazzette per appalti nella Sanità, per circa
400 milioni di euro, a quanto è venuto fuori sinora. Naturalmente, lady
Mazzetta, non sa che, invece, dire “terrone” con l'intento di offendere, è
reato: ci sono sentenze, anche della Cassazione. Ma a lei deve sembrare
un'ingiustizia! «Che cazzo ti devo dire, se adesso è un reato dare del terrone a
un terrone, a 'sto punto qui io voglio diventare cittadina omanita»...., scrive
Pino Aprile il 22 febbraio 2016.
«Io litigioso? È
vero, ma sono migliorato… Mi chiamavano terun, africa, baluba, altro che non
incazzarsi…» Dice Teo Teocoli in un intervista a Gian Luigi Paracchini il 22
luglio 2016 su "Il Corriere della Sera".
Gli opinionisti del
centro Italia “po’ lentoni” (lenti di comprendonio, anche se oggi l’epiteto,
equivalente a “Terrone”, da rivolgere al settentrionale è “Coglione”) su tutti i
media la menano sulla terronialità. Cioè l’usare il termine “terrone” come una
parola neutra. Come se fossero un po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani
della giustizia sulla Lega Padania. Come tutti. Più di tutti. I leghisti
continuano a parlare, anziché mettersi una maschera in faccia per la vergogna.
Su di loro io, Antonio Giangrande, ho scritto un libro a parte: “Ecco a voi i
leghisti: violenti, voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti
colonizzatori. Non (ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con
disprezzo”. Molti di loro, oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e
polentoni: una litania che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone
come mangia polenta o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di
comprendonio. Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della
pagina Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una
“Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente
dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a sentirsela
tutto il giorno. Una gallery di perle pubblicate sulla radio comunitaria che
prende soldi pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si
rincorre il Sud come passato, si vince se il Sud è vissuto oggi come
consapevolezza di non poterne fare a meno. Accettare di essere comunque
meridionale e non terrone a qualunque latitudine. Il treno porta giù, un altro
mezzo ti può portare in qualunque altro luogo senza farti dimenticare chi sei e
da dove vieni. A chi appartieni? Così si dice al Sud quando ti chiedono chi sia
la tua famiglia. È un'espressione meravigliosa: si appartiene a qualcuno, si
appartiene anche ai luoghi che vivono dentro di te.
Essere orgogliosi
di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia
e lascia il cuore nella terra natia.
Ciononostante i
nordisti, anzichè essere grati al contributo svolto dagli emigrati meridionali
per il loro progresso sociale ed economico, dimostrano tutta la loro
ingratitudine.
Il Terrone visto
dai Polentoni, scrive Gianluca Veneziani. Dopo Vieni via con me è la volta di
Sciamanninn, la versione terrona del programma di successo condotto da Fazio e
Saviano. Anche in questo programma ci saranno degli elenchi. Ma non
riguarderanno né i valori di destra, né quelli di sinistra, e tantomeno i 27
modi di essere gay. Avranno a che fare, piuttosto, con le caratteristiche
tipiche di un meridionale. A stilare la tassonomia ci penserà un padano. Ecco
allora il dodecalogo del terrone visto da un uomo del Nord. Terrone è:
Barbuto.
Pregiudizio in voga soprattutto nei confronti delle donne. Si perpetua l’idea
che le donne meridionali abbiano i baffi. Il pelo nell’ovulo riecheggia lo stato
selvaggio e ferino del nostro Meridione.
Barbaro. Il terrone
è considerato un ostrogoto. Per due ragioni: è rozzo, incurante di ciò che tocca
e vede. E, quando apre bocca, non lo capisce nessuno. Credono che parli
ostrogoto.
Barbone. Il
meridionale è pensato come un mendicante, uno che questua soldi e vive a scrocco
altrui. Magari un finto invalido che si mette agli angoli delle strade durante
il giorno e la sera va a ballare con i soldi ricavati dall’elemosina.
Borbone.
Pregiudizio storico. Il sudista è ancora assimilato alla vecchia dinastia
pre-unitaria. Contribuiscono al cliché i cosiddetti neo-borbonici che, con
grande tempismo, si fanno sentire adesso che l’Italia deve spegnere 150
candeline.
Lo sfaticato, che
non vuole lavorare. Terrone non indica più la provenienza geografica, ma
un’attitudine lavorativa. È terrone non chi viene dal Sud, ma chi sgobba poco.
Il fannullone, il perdigiorno, chi lavora con lentezza. Fatto curioso, se si
pensa che i terroni vanno al Nord, appunto, per lavorare. Ma il pregiudizio
resta. Terùn, va a lavurà!
Il cafone, il
tamarro, il che cozzalone. Fare una “terronata” significa fare una pacchianata,
qualcosa di kitsch e di trash. Anche se chi la fa è un brianzolo, il nome
“terrone” gli si appicca addosso.
Chi a colazione
chiede cornetto ed espressino. Il barista lo guarda perplesso, senza capirlo. In
Padania si dice brioche e marocchino. Occorre adeguarsi. Altrimenti vieni
scambiato per un terrone o, peggio, per un marocchino.
Chi, il venerdì
sera, fa il pendolare Nord-Sud e torna a casa in cuccetta, mentre i lumbard
escono per fare l’happy hour Il terrone fugge dal Nord nel fine settimana: il
sabato e la domenica va a consacrare le feste altrove.
Chi il lunedì
mattina torna con lo stesso treno a Nord. Con un bagaglio però, pesante il
doppio, perché la mamma lo ha caricato di tutte le sue delizie fatte in casa.
Quella che si chiama “roba genuina”.
Chi al rientro in
ufficio, offe ai colleghi specialità tipiche del suo Paese (magari le stesse che
la mamma gli ha sbattuto in valigia). Una mia collega di Cava de’ Tirreni ci ha
offerto mozzarelle di bufala campane. È stata festa grande, quel giorno.
Chi è legato alla
terra, come dice il nome. Ama la terra, nel senso dei campi da coltivare: ama la
terra, nel senso della propria terra; e ama la Terra, con la t maiuscola, perché
il terrone è soprattutto un terrestre. Anche se qualcuno lo considera un
extraterrestre.
Chi è legato al
cielo. Il terrone è umile, cioè vicino all’humus, alla terra. Ma degli umili è
il regno dei cieli.
Da “La Gazzetta del
Mezzogiorno” del 19 novembre 2010.
C’è sempre, però,
chi è più terrone di un altro.
L’infelice battuta
di Mandorlini. Il suo Verona giocò e vinse quella finale playoff contro la
Salernitana, conquistando la serie B. Nel dopo partita si lasciò andare a frasi
poco carine (Ti amo terrone…), che scatenarono una disgustosa rissa in sala
stampa. E quando Agroppi, opinionista Rai, lo bacchettò in televisione
invitandolo a chiedere scusa per aver offeso il Sud, replicò in modo beffardo:
«Tu sei fuori dal mondo». Mandorlini, ravennate di nascita, ha giocato in sei
squadre, Ascoli quella più a Sud. E allenato dodici club, più giù di Bologna non
è mai sceso. Spesso comportamenti e dichiarazioni sono state tipiche del
leghista, il suo capolavoro resta la festa promozione in B, ottenuta contro la
Salernitana. Saltellava e ballava con i tifosi gialloblù cantando «Ti amo
terrone»: festival del razzismo puro. Travolto da critiche e polemiche, fece
spallucce. Qualche mese più tardi ci pensò un napoletano, Aniello Cutolo, a
rispondergli per le rime a nome di tutti i terroni: giocava con il Padova, derby
veneto a Verona, gol pazzesco del partenopeo da venticinque metri e di corsa ad
esultare in faccia a Mandorlini: «Ti amo coglione».
“Ti amo terrone, ti
amo terrone, ti amo”. Ve lo ricordate quel coro di Mandorlini? Beh di certo in
pochi lo avranno dimenticato. Per questo ieri ne abbiamo scritto. E’ il simbolo
di questo Paese dove in uno stadio si canta la Marsigliese per ricordare le
vittime degli attentati di Parigi, poi un minuto dopo in quello stesso stadio si
consente a quegli stessi tifosi di inneggiare il solito coretto “Vesuvio lavali
col fuoco”. Certo, se poi un allenatore del Verona, che lavora in una città ad
alto tasso di razzismo, soffia sul fuoco anziché cercare di educare la propria
tifoseria, allora la battaglia è proprio persa. “Ti amo terrone”, “Lavali col
fuoco”, “Napoli colera”. Per quanto tempo ancora vogliamo andare avanti in
questo modo? Fatecelo sapere. Lo capiremo quando anche stavolta, l’ennesima, non
arriverà nessuna sanzione realmente incisiva verso chi canta queste schifezze
insopportabili.
Giovani padani:
"Siamo invasi dai terroni" , scrive Daniele Sensi su “L’Unità”. «Non è giusto,
siamo invasi! Ovunque ti giri sei sommerso da ‘sti qui che vogliono comandare
loro, mi fanno venire la nausea», sbotta una novarese. «Troppi, ce ne sono
troppi, meglio con contarli», ribatte un utente di Mondovì. «Ce ne sono tanti,
ma molti dei loro figli crescono innamorati del territorio in cui sono nati e
cresciuti», replica un magnanimo iscritto ligure. Ennesimo dibattito su
immigrazione e presunte invasioni islamiche? No. Il sito è quello dei Giovani
Padani, e l'oggetto della discussione è quanti siano i meridionali residenti nel
nord Italia. Non si tratta solo di un divertito passatempo: lamentando la
mancanza di dati ufficiali («Purtroppo nessuno ha mai pensato di fare un
censimento etnico in Padania, poiché siamo tutti "fratelli italiani"»), sul
forum del movimento giovanile leghista con cura e dovizia vengono incrociate
fonti diverse per tentare di fornire una risposta all'inquietudine che pare
togliere il sonno ad alcuni simpatizzanti. Così, ricorrendo ad una terminologia
allarmante e servendosi del censimento del 2001, delle analisi di alcuni
studiosi dialettali e di quelle relative alle migrazioni interne del dopoguerra
(con una certa approssimazione dovuta all'impossibilità di conteggiare con
precisione i «meridionali nati al nord da genitori immigrati o da matrimoni
misti padano-meridionali») alla fine, tenendo comunque conto «del tasso di
fecondità dei centro-meridionali in base al quale è possibile stimare 3 milioni
di discendenti meridionali nati in Padania, compresi i bambini nati da coppie
miste», il verdetto è di «9 milioni di individui, tra centro-meridionali etnici
e loro discendenti puri o misti». Una stima al ribasso secondo un utente
milanese che arriva a denunciare, nelle statistiche, «la mancanza dei
clandestini, cioè di quelli che sono qui di fatto ma non hanno domicilio o
residenza padane». Dati eccessivamente gonfiati, al contrario, per un altro
giovane lombardo, perché «credo proprio che il meridionale al nord, specie se
sposato con una padana, figli meno rispetto al meridionale che sta al sud». Una
ragazza di Reggio Emilia, invece, pare poco interessata a parametri e variabili:
«Non so quanti siano, non mi interessa il numero, so solo che sono troppi e che
stanno rovinando una zona che era un'isola felice. Girando per strada
difficilmente si incontra un reggiano! Purtroppo stiamo diventando una minoranza
e i meridionali la fanno da padrone».
La Lega, si sa, ha
oramai ampliato il proprio bacino elettorale, pertanto pure un simpatizzante
salernitano si inserisce nella conversazione, e, quasi invocando clemenza («Io
sono meridionale ma amo la Lega e odio i terroni che vengono qui al nord per
spadroneggiare e per rompere i coglioni»), finisce col cedere allo stesso
meccanismo di autodifesa visto attivarsi durante la recente campagna mediatica e
politica anti-rom, quando, per riflesso, non pochi cittadini rumeni quasi si
sono messi rivendicare distinzioni etniche dai loro connazionali residenti nei
campi nomadi, poiché nel gioco all'esclusione c'è sempre chi sta un po' peggio:
«Certi meridionali non possono essere espulsi perché italiani, ma, se si potesse
fare una bella barca, sopra ci metterei i meridionali che non lavorano e gli
extracomunitari, che sono più bastardi dei meridionali». Qualche nordico
animatore del forum non indugia nel mostrare comprensione e solidarietà al
fratello salernitano, e si affretta a precisare come sia possibile ravvisare
differenza tra "meridionali" e "terroni", spiegando che «terrone è colui che
arriva e pensa di essere nel suo luogo di origine, e si comporta di conseguenza,
tanto che nemmeno si offende se lo chiami terrone». Per taluni, addirittura, il
luogo di origine non c'entra proprio nulla, perché «non è la provenienza che fa
l'individuo, e nemmeno il sangue o il colore della pelle, ma unicamente
l'atteggiamento». L'insistenza dei più ostinati («Se ne dicono tante sui cinesi
ma sicuramente li rispetto più di certi meridionali o marocchini o slavi perché
almeno lavorano e si fanno i fatti loro») incontra obiezioni dalle quali
emergono ulteriori sfumature d'opinione tra i giovani padani, quelli più
"cosmopoliti", coinvolti nella surreale disamina, tanto che tra essi diviene
possibile distinguere tra filantropi («Di meridionali ne conosco tanti e tanti
miei amici sono meridionali, per me un meridionale è colui che è venuto e lavora
onestamente»), progressisti («Esempi di integrazione con il passare degli anni
si fanno più frequenti, sono esempi da non snobbare ma anzi da far diventare
casi di scuola: piano piano li integreremo»), e possibilisti («Un meridionale
che lavora e interagisce con gli altri vale quanto un settentrionale»). Su
tutti, però, inesorabile cade il richiamo ad un maggior pragmatismo da parte dei
realisti: «Siete in ritardo di 40 anni, c'è bel altra gente che invade le nostre
città, purtroppo!». Trascorso qualche giorno, sul forum viene avviata una nuova
discussione: «Un test per capire a quale sottogruppo della razza caucasica
apparteniamo». Un test scientifico, affidabile, perché «per una volta non ci si
basa sul colore della pelle, dei capelli e degli occhi, ma sulla forma del
cranio».
Non siamo noi
razzisti, sono loro che sono napoletani, scrive Francesco Romano su “Onda del
Sud”. Trento: “Terrone di merda”. Operaio reagisce all’insulto con un pugno:
licenziato. Al centro della discussione fra l’uomo e il caporeparto un ritardo
dopo una pausa. Il giudice ha dato ragione all’azienda. “Il Gazzettino.it” di
Trento ha riportato la seguente notizia: - Il caporeparto dell’azienda trentina
per la quale lavorava lo ha appellato “terrone di merda” e lui, un operaio di
origini meridionali, ha reagito all’insulto con un pugno. Per questo è stato
licenziato. Al centro della discussione c’era il presunto ritardo dell’operaio
dopo una pausa. Al termine dell’accesa discussione, il caporeparto avrebbe
mandato via l’operaio dicendo “terrone di merda”. L’operaio avrebbe così reagito
sferrando un cazzotto contro il collega, raggiungendolo di striscio. Dopo dieci
giorni è arrivato il licenziamento in tronco. Da qui la causa intentata
dall’operaio. La sentenza di primo grado del giudice del lavoro di Trento ha
dato ragione al caporeparto in quanto «non è possibile affermare anche nei
rapporti di lavoro la violenza fisica come strumento di affermazione di sé,
anche quando si tratti della mal compresa affermazione del proprio onore». Un
concetto ribadito dalla sentenza d’appello che ribadisce come «la violenza
fisica non può mai essere giustificata da una provocazione rimasta sul piano
verbale». Questo è quello che accade nel profondo Nord. Se non è mobbing questo,
che cos’è. “Non siamo noi razzisti, sono loro che sono napoletani” era una
vecchissima battuta comica di Francesco Paolantoni. La violenza certamente non
ci appartiene ma forse è arrivato il momento di rivoluzionare il significato
delle parole. Passare da negativo ad uno positivo. Questa è la cultura leghista
che si è affermata al Nord. Dobbiamo subire la discriminazione dell’emigrazione
e ci è impedita l’integrazione in questa nazione proprio quando ci apprestiamo a
festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia.
Mutuiamo il titolo
del libro di Lino Patruno “Alla riscossa Terroni” e “Terroni” di Pino Aprile per
farne un motivo di orgoglio meridionale che deve portarci ad invertire una
tendenza che data 150 anni. Non rivendichiamo un passato di benessere del
Meridione, rivendichiamo un presente migliore per un Sud messo alle corde.
I terroni nascono
anche a Gemonio e nelle valli bergamasche, scrive "L'Inkiesta" il 6 aprile 2012.
Leggendo le cronache, ma, soprattutto, vedendo le immagini, relative al marciume
che sta venendo a galla dai sottoscala leghisti, mi par che si possa dire una
grande verità: l'aggettivo spregiativo "terrone" non si può appioppare solo ai
meridionali, ma, con grande precisione, anche ai miei conterronei nordici. Devo
dire la verità. Io - nordico e fieramente antileghista da molto tempo - che le
storie di roma ladrona, dell'uccello duro, del barbarossa, dell'ampolla sul
diopò (che, a dire il vero, mi par più una saracca che un rito), di riti
celtici, di fazzolettini verdi come il moccio, erano tutte una rozza e ignorante
presa per il culo per ammansire i buoi e farsi in comodo i sollazzi propri, ne
ero convinto da tempo. Da ben prima che si svegliassero i soliti magistrati
(verrà il giorno, in questo paese dei matocchi, che qualche rivoluzione la farò
il popolo?), bastava un po' di fiuto per capire che il sottobosco era questo. Ma
le vedete le facce del cerchio magico? Ma avete presente la pacchianità della
villa di Gemonio? E poi, la priorità alla "family", come la più bieca usanza del
troppo noto familismo amorale, perchè parlare di "famigghia" era troppo terrone.
Ma il dato è che questi sono - culturalmente, esteticamente e antropologicamente
- terroni. Perchè terrone, per me, non è un epiteto riferibile a una provenienza
geografica I.G.P.; è uno stile deteriore di rappresentarsi, chiuso, retrivo, in
cui il dialetto non è cultura, ma rozzume esibito con orgoglio (e questo vale
tanto per i napoletani, quanto per i veneti), in cui prevale la logica del clan
su quella della civile società, in cui si deve fare sfoggio dell'ignoranza
perchè questo è "popolare". Terrone è un ignorante retrogrado, cafone,
ineducato. Con il risultato che il Bossi e la family sprofondano, il terronismo
impera e un peloso, stantio e pietistico meridionalismo riprende fiato. Grazie
Bossi, grazie leghisti: avete ucciso non solo la dignità del nord, ma anche la
speranza vera che una riforma moderna di questo paese, tenuto insieme con una
scatarrata, si potesse fare. Ah, dimenticavo. Se qualcuno mi dovesse dire "parla
lui, di ignoranza presentata con orgoglio.
Da che pulpito vien
il sermone!", dico: "Non perdete tempo in analisi: son diverso e me ne vanto. Si
vuol che dica che sono ignorante e delinquente. Bene lo sono, in un mondo di
saccenti ed onesti mafiosi, sono orgoglioso di esser diverso. Cosa concludere,
di fronte a tali notizie di carattere storico? Questo: trovo triste che i nostri
bravi leghisti rinneghino le proprie radici arabe, albanesi, meridionali,
mediterranee. Da loro, così orgogliosi della Tradizione, non me lo aspettavo.
Anzi dirò di più. Buon per loro avere origini meridionali, perchè ad essere
POLENTONI si rischia di avere una considerazione minore che essere TERRONE.
Secondo Wikipedia
Il termine polentone è un epiteto, con una connotazione negativa, utilizzato per
indicare gli abitanti dell'Italia settentrionale. Origine e significato.
Letteralmente significa mangiatore di polenta, un alimento, questo, storicamente
molto diffuso nella cucina povera dell'Italia settentrionale. Fino ai primi anni
del XX secolo, infatti, la polenta rappresentava l'alimento base, se non
esclusivo, delle popolazioni del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.)
con conseguenze nefaste sulla salute di molti soggetti spesso vittime della
pellagra. Polentone, come stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un
significato spregiativo, e sta ad indicare una persona zotica un pò lenta di
comprendonio (po' lentone). Il termine si è inserito nella dialettica
campanilistica fra abitanti del nord e del sud della penisola, essendo usato in
contrapposizione all'appellativo terrone: ambedue le parole hanno connotazioni
antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità etnica e culturale. Lo
stesso epiteto è utilizzato in Val Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn),
per indicare una persona lenta e dai movimenti goffi e impacciati.
Analisi dei termini
offensivi. Il termine polentone è un epiteto, con una connotazione negativa,
utilizzato dagli abitanti dell'Italia meridionale per indicare gli abitanti
dell'Italia settentrionale, scrive Wikipedia. Letteralmente significa mangiatore
di polenta, un alimento, questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera
dell'Italia settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la
polenta rappresentava l'alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del
nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) purtroppo con conseguenze nefaste
sulla salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra, anche se li ha
salvati da tante carestie alimentari. Polentone, come stereotipo linguistico, ha
assunto, quindi, un significato spregiativo nell'Italia del Sud, e sta ad
indicare una persona zotica. Il termine si è inserito nella dialettica
campanilistica fra abitanti del nord e del sud della penisola, essendo usato in
contrapposizione all'appellativo terrone: ambedue le parole hanno connotazioni
antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità etnica e culturale, anche
se spesso usate solo in modo bonario. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val
Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta di
comprendonio (tonta) e dai movimenti goffi e impacciati.
La Padania o
Patanìa (lett. Terra dei Patanari, coltivatori di patate) si estende in tutte le
regioni del nord Italia: dalla Val d'Aosta alla Toscana fino al Friuli Venezia
Giulia. È facile collocare geograficamente la Patanìa vera e pura: si traccia
una retta che attraversa interamente il Po, passando rigorosamente al centro,
perché solo la parte nord del Po è padana. La Padania si definisce anche
Barbaria, cioè terra di barbari. Il mito di una terra popolata da eroi celtici,
circondata da terribili barbari di matrice slava, è il concetto su cui si basa
la Lega Nord. Trascurabile il dettaglio che un tempo la Padania fosse abitata da
un'accozzaglia di popoli oltre ai Celti.
Terrone è un
termine della lingua italiana, utilizzato dagli abitanti dell'Italia
settentrionale e centrale come spregiativo per designare un abitante dell'Italia
meridionale, talvolta anche in senso semplicemente scherzoso, scrive Wikipedia.
In passato il termine era utilizzato con un altro significato e valenza; solo
nel corso degli anni sessanta ha acquisito il senso attuale. Con il termine
"terrone" (da teróne, derivazione di terra) si indicava nel XVII secolo un
proprietario terriero, o meglio un latifondista. Già tra le Lettere al
Magliabechi, l'erudito bibliotecario Antonio Magliabechi (1633-1714) il cui
lascito, i cosiddetti Codici Magliabechiani costituiscono un prezioso fondo
della Biblioteca Nazionale di Firenze, scriveva (CXXXIV -II - 1277): «Quattro
settimane sono scrissi a Vostra Signoria illustrissima e l'informai del brutto
tiro che ci fanno questi signori teroni di volerci scacciare dal partito delle
galere, contro ogni equità e giustizia, già che ho lavorato tant'anni per
terminarlo, e ora che vedano il negozio buono, lo vogliono per loro». Il termine
in seguito fu utilizzato per denominare chi era originario dell'Italia
meridionale e con particolare riferimento a chi emigrava dal Sud al Nord in
cerca di lavoro, al pari dei nordici milanesi, etichettati come baggiani, che
emigravano nelle valli del Bergamasco, come menzionato da Alessandro Manzoni. Il
termine si diffuse dai grandi centri urbani dell'Italia settentrionale con
connotazione spesso fortemente spregiativa e ingiuriosa e, come altri vocaboli
della lingua italiana (quali villano, contadino, burino e cafone) stava per
indicare "servo della gleba" e "bracciante agricolo" ed era riferita agli
immigrati del meridione. Gli immigrati venivano quindi considerati, sia pure a
livello di folklore, quasi dei contadini sottosviluppati. Il termine, che deriva
evidentemente da "terra" con un suffisso con valore d'agente o di appartenenza
(nel senso di persona appartenente strettamente alla terra) è stato variamente
interpretato come frutto di incrocio fra terre (moto) e (meridi)one, come
"mangiatore di terra" parallelamente a polentone, "mangiapolenta", cioè
l'italiano del nord; come "persona dal colore scuro della pelle, simile alla
terra" o anche come "originario di terre soggette a terremoti" ("terre matte",
"terre ballerine"). Il suo maggiore utilizzo data comunque essenzialmente agli
anni sessanta e settanta e limitatamente ad alcune zone del nord Italia, in
seguito alla forte ondata di emigrazione di lavoratori e contadini del meridione
d'Italia in cerca di lavoro verso le industrie del nord e in particolare del
triangolo industriale (Genova – Milano – Torino). In tale ambito si spiega anche
la diffusione del termine: storicamente, grossi movimenti di popolazioni hanno
sempre portato con sé anche fenomeni di intolleranza o razzismo più o meno
larvati. Successivamente, allo stesso modo è sorta la locuzione "terrone del
nord", generalmente per indicare gli italiani del nord-est (principalmente i
veneti, detti "boari"), che per ragioni simili cominciarono negli stessi anni ad
emigrare verso il nord-ovest, venendo così accomunati agli emigranti
meridionali. Il riconoscimento di terrone come insulto e non come termine
folkloristico è un processo che storicamente ha subito molte battute d'arresto e
incomprensioni, probabilmente dovute al fatto che solo una parte della
popolazione italiana ne riconosceva pienamente la gravità e il suo carattere
offensivo. La Corte di Cassazione ha ufficialmente riconosciuto che tale termine
ha un'accezione offensiva, confermando una sentenza del Giudice di Pace di
Savona e confermando che la persona che l'aveva pronunciata dovesse risarcire la
persona offesa dei danni morali. Spesso vengono associati a questo epiteto
caratteristiche personali negative, tra le quali ignoranza, scarsa voglia di
lavorare, disprezzo di alcune norme igieniche e soprattutto civiche.
Analogamente, soprattutto in alcune accezioni gergali, il termine ha sempre più
assunto il significato di "persona rozza" ovvero priva di gusto nel vestire,
inelegante e pacchiana, dai modi inurbani e maleducata, restando un insulto
finalizzato a chiari intenti discriminatori. Inoltre vengono spesso associati al
termine anche tratti somatici e fisici, come la carnagione scura, la bassa
statura, le gote alte, caratteristiche fisiche storicamente preponderanti al Sud
rispetto al Nord Italia.
In conclusione c’è
da affermare che bisogna essere orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale
non è migrante: è viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Chi
proferisce ingiurie ad altri o a se stesso con il termine terrone non resta che
rispondergli: SEI SOLO UN COGLIONE.
Antonio Giangrande: “LEGOPOLI. LEGA DA LEGARE. TUTTO SULLA LEGA NORD. QUELLO
CHE NON SI OSA DIRE”.
Il
libro di Antonio Giangrande.
Il
paradosso di chi, bue, chiama cornuto l’asino. I barbari padani si son sempre
lavati la bocca a suon d’insulti sul popolo meridionale, per nascondere la loro
insipienza. Con il libro “Legopoli. Lega da legare. Tutto sulla Lega nord.
Quello che non si osa dire” si butta una luce abbagliante non solo sulla Lega ed
i suoi elettori, ma su tutto il nord Italia in generale. Il saggio non parla di
politica ma di un modo di pensare insito nella gente del nord: indica la
pagliuzza negli occhi altrui e non vede la trave nei suoi occhi.
Vediamo chi sono.
Da
quando esiste l’Unità d’Italia esiste la diatriba, politica o meno, fondata o
meno, sulla differenza, prima culturale e poi economica, tra il Nord ed il Sud
d’Italia. Questa lotta fratricida rende più debole una nazione con enormi
potenzialità. Di sicuro ne esce malconcia la credibilità del paese e delle sue
istituzioni, come se non bastasse quanto già avvenuto prima con gli scandali. E’
da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello
nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi letti in tutto
il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli
venduti all’economia ed alla politica.
Quante
volte ci hanno umiliato con i loro giudizi sferzanti. Chi? Ma la civilissima
gente del Nord. Sud che vai, degrado che trovi: dicono loro. Se poi sono solo
loro ad avere voce nel mondo dell’informazione. Be’ allora. Ma ora nel mondo
dell’editoria alternativa c’è un saggio che parla di loro, e rende pan per
focaccia. Non è un libro che parla della civilissima gente del nord che da
turista, ospite in casa nostra, esprime tutta la sua inciviltà: che fanno la
pipì dentro un cestino, che decidono di lavarsi nelle fontane artistiche. Ne
vediamo di tutti i colori: dalle auto che si ritrovano in fondamenta o sulle
scalinate, ai campeggiatori tra i parcheggi, dalle docce di svariata natura,
nudi dietro un camper, o, appunto, con il solo costume a due passi dalle piazze
più belle, o ai tuffi sotto i ponti cittadini. Da quelli che si presentano nelle
piazze architettoniche col pranzo al sacco e tavolino da pic-nic sotto braccio.
Come andassero a una scampagnata fuori porta. Quante volte abbiamo visto
frequenti bivacchi a base di riso o pasta. Di gente che cambia il pannolino ai
bambini lavandoli alla fontanella o di altri che si fanno la pedicure proprio
lì. Non sono sempre barbari che vengono da lontano, da oltre le alpi, o che
viaggiano col passaporto. Quante volte i turisti sono finiti su YouTube filmati
dai cellulari dei passanti mentre facevano l'amore vicino alle statue o che
prendevano il sole nelle aiuole come fossero in spiaggia: asciugamano disteso,
bikini e crema solare. E quelli che con firme e pensieri lasciano la traccia
della loro imbecillità sui muri dei monumenti? C’è chi fa pipì in strada
incurante dei divieti. Di giorno c'è chi usa le fontane per refrigerare i piedi,
chi i ponti per lasciare scritte a pennarello o lucchetti e buttare via la
chiave. Tanto c' è sempre qualcuno che rimedia, ripulisce, raccoglie. Quelli che
di notte schiamazzano e di giorno vanno in giro in costume da bagno lungo le vie
o le piazze del paese. Capita spesso di trovare visitatori con le scarpe
appoggiate ai muri dei musei o delle opere d’arte o di qualunque manufatto o che
si debbano ripulire le panchine dai chewingum. E poi quelli che contestano i
prezzi del soggiorno o del servizio, minacciando ricorsi, con l’intento di
scroccare la vacanza. Che abbiano bisogno di noi meridionali per saper come ci
si deve comportare? Lezione di stile o soltanto di educazione?
Secondo i documenti ufficiali, quando i piemontesi “occuparono” Caserta
appropriandosi della Reggia, nell’inventario ufficiale delle bellezze e dei
tesori ritrovati all’interno delle stanze, il bidet non fu riconosciuto.
Assolutamente ignari della funzione di quello strano arnese, i piemontesi
scrissero nel loro registro “Oggetto sconosciuto a forma di chitarra”. Basta
fare due conti, anche abbastanza approssimativi, per trarre una conclusione
inevitabile: “Quando a Napoli ci lavavamo il sedere, nel resto d’Italia
proliferavano piattole, sporcizia e sudiciume..” e poi quelli che hanno bisogno
di una lavata, saremmo noi?
Proprio per questo nel libro si parla di loro, ma in casa loro. Tutto quello che
non si dice.
Dr
Antonio Giangrande: Quando qualcuno, bianco o nero, cristiano, mussulmano o
induista, ricco o povero, gay o etero, italiano o straniero, entra in casa
nostra senza permesso è occupazione.
Quando
questo qualcuno ci occupa casa e ci impone di sostentarlo è assoggettamento.
Quando
qualcuno ci assoggetta e ci obbliga di abbracciare la sua cultura e la sua
religione è invasione.
Quando
qualcuno ci invade e noi ci rifiutiamo e reagiamo e questo poi ci mette la bomba
in casa e/o ci uccide è conquista.
Bene.
Se la legge è uguale per tutti, per tutti va applicata anche in caso di
conquista di beni e persone. Quindi, di cosa stiamo parlando?
Io non
sono razzista e fascista: chiedo solo rispetto! A chiunque suoni alla mia porta
e chiede permesso io lo faccio entrare! E se chiede aiuto io lo aiuto.
Però non voglio essere occupato, assoggettato, invaso, conquistato o addirittura
ucciso: sono razzista e fascista?
Antonio Giangrande:
Inglesi e padani. Quello che sono e quello che appaiono.
Oggi 12 luglio
2021. All’indomani dello spettacolo indegno del razzismo inglese contro gli
italiani, ma ancor più grave, contro i loro neri che hanno sbagliato i rigori.
I tifosi inglesi
hanno dileggiato l’inno e la bandiera italiana e picchiato gli italiani allo
stadio.
I giocatori hanno
rifiutato la medaglia ed i reali hanno rifiutato di premiare gli avversari.
Gli arroganti se ne
fottono se gli altri del Regno Unito tifavano contro di loro.
Così era in tutta
Europa.
Essere Razzisti
significa essere coglioni (cafoni ignoranti).
La mia
constatazione: gli italiani ed in special modo i meridionali nel ‘900 erano
poveri, ignoranti e cafoni. E ci stava sopportare le angherie.
La mia domanda è:
nel 2021 cosa costringe la gente italiana e meridionale scolarizzata ed
emancipata ad essere sfruttata e votata ad arricchire dei coglioni?
Per poi diventare
come loro?
Return Home-
tornate a casa. Create ricchezza nel vostro paese. Lì, al nord o all'estero,
sarete sempre dei profughi.
Hanno solo i media
che li esaltano e per questo si decantano. Ma la loro natura la si conosce
quando perdono: non sanno perdere, perché si sentono superiori. Peccato che non
lo sono. Forse nel ‘900. Non nel 2021.
Ricordate: da loro
si va solo per lavorare e non per visitare. Per questo sono cattivi.
Da noi si viene
(forse in troppi) per vivere bene e conoscere la bellezza che loro non hanno.
Per questo siamo buoni.
Foibe: le vittime
della realpolitik. Il silenzio degli ignavi italiani sotto il giogo occidentale.
Il comunista dittatore sanguinario Tito per battere il comunista dittatore
sanguinario Stalin.
Contro l’estinzione
dell’italianità. Un fiocco o nastro nero per gli emarginati, diseredati, gli
ingiustamente condannati o detenuti, i tartassati e le vittime dei reati
impuniti e comunque vittime di ingiustizie. Italiani dimenticati dal
politicamente corretto e dalla politica oligarchica che li valuta meno di gay ed
immigrati. Basta con il comunismo di destra (fascismo) ed il comunismo di
sinistra (stalinismo) e con l’ostentazione fuori luogo della loro religione.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli
ignoranti e voltagabbana.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato,
giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni.
Se questa è
democrazia…
Riportiamo
l’opinione del sociologo storico Antonio Giangrande, autore del saggio
“Governopoli” e di tanti saggi dedicati per ogni fazione politica presente in
Parlamento.
Se questa è
democrazia…
I nostri politici
sono solo mediocri amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato.
Governanti sono coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni
norma intralciante la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi
estemporanee ed improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti.
I liberali sono una
parte politica atea e senza ideologia. Credono solo nella libertà, il loro
principio fondante ed unico, che vieta il necessario e permette tutto a tutti,
consentendo ai poveri, se capaci, di diventare ricchi. Io sono un liberale ed i
liberali, sin dall’avvento del socialismo, sono mal tollerati perché contro
lobbies e caste di incapaci. Con loro si avrebbe la meritocrazia, ma sono
osteggiati dai giornalisti che ne inibiscono la visibilità.
I popolari (o
populisti) sono la maggiore forza politica fondata sull’ipocrisia e sulle
confessioni religiose. Vietano tutto, ma, allo stesso tempo, perdonano tutto,
permettendo, di fatto, tutto a tutti. Sono l’emblema del gattopardismo. Con loro
non cambia mai niente. Loro sono l’emblema del familismo, della raccomandazione
e della corruzione, forte merce di scambio alle elezioni. Si infiltrano spesso
in altre fazioni politiche impedendone le loro peculiari politiche ed agevolano
il voltagabbanesimo.
I socialisti
(fascisti e derivati; comunisti e derivati) sono una forza politica ideologica e
confessionale di natura scissionista e frammentista e falsamente moralista, a
carattere demagogico ed ipocrita. Cattivi, invidiosi e vendicativi. La loro
confessione, più che ideologia, si fonda sul lavoro, sulle tasse e sul fisco.
Rappresenterebbe la classe sociale meno abbiente. Illude i poveri di volerli
aiutare, carpendone i voti fiduciari, ma, di fatto, impedisce loro la scalata
sociale, livellando in basso la società civile, verso un progressivo
decadimento, in quanto vieta tutto a tutti, condanna tutto e tutti, tranne a se
stessi. Si caratterizzano dalla abnorme produzione normativa di divieti e
sanzioni, allargando in modo spropositato il tema della legalità, e dal
monopolio culturale. Con loro cambierebbe in peggio, in quanto inibiscono ogni
iniziativa economica e culturale, perché, senza volerlo si vivrebbe
nell’illegalità, ignorando, senza colpa, un loro dettato legislativo, incorrendo
in inevitabili sanzioni, poste a sostentare il parassitismo statale con la
prolificazione di enti e organi di controllo e con l’allargamento dell’apparato
amministrativo pubblico. L’idea socialista ha infestato le politiche comunitarie
europee.
Per il
poltronificio l’ortodossia ideologica ha ceduto alla promiscuità ed ha partorito
un sistema spurio e depravato, producendo immobilismo, oppressione fiscale,
corruzione e raccomandazione, giustizialismo ed odio/razzismo territoriale.
La gente non va a
votare perché il giornalismo prezzolato e raccomandato propaganda i vecchi
tromboni e la vecchia politica, impedendo la visibilità alle nuove idee
progressiste. La Stampa e la tv nasconde l’odio della gente verso questi
politici. Propagandano come democratica l’elezione di un Parlamento votato dalla
metà degli elettori. Ed un terzo di questo Parlamento è formato da un movimento
di protesta. Quindi avremo un Governo di amministratori (e non di governanti)
che rappresenta solo la promiscuità, e la loro riconoscente parte amicale, ed
estremamente minoritaria.
ISTANZA DI
ACQUISIZIONE DEI DIRITTI D’AUTORE
DA PARTE DEL
MINISTERO DELLA CULTURA
DA PARTE DELLA
MONDADORI LIBRI SPA
DA PARTE DELLA SIAE
DELL’OPERA
MONUMENTALE DI SOCIOLOGIA STORICA
“L’ITALIA DEL
TRUCCO. L’ITALIA CHE SIAMO.
L’ITALIA ALLO
SPECCHIO. IL DNA DEGLI ITALIANI.”
Al Presidente del
Consiglio
Giorgia Meloni
Al Ministro della
Cultura
Gennaro Sangiuliano
Ai Sottosegretari per la Cultura
Lucia Borgonzoni
Gianmarco Mazzi
Vittorio Sgarbi
Al Presidente
Marina Berlusconi
Al Presidente del
Consiglio di Gestione della SIAE
Salvatore Nastase
Oggetto: cessione onerosa dei diritti d’autore dell’opera monumentale di
Sociologia Storica “L’Italia
del Trucco, l’Italia che siamo. L’Italia allo specchio. Il DNA degli italiani”
ed acquisizione
Pregiatissimi
Sono il dr Antonio Giangrande, sociologo storico, ad oggi autore di oltre 360
saggi, composti da centinaia di pagine cadauno, che raccontano l’Italia per
argomento e per territorio, con aggiornamenti periodici senza soluzione di
continuità, così come indice in calce alla presente
Opere frutto di ricerca, di
raccolta, di studio e di discussione. Oggetto di lettura gratuita di migliaia di
internauti internazionali, fruitori degli e-book pubblicati su Google Play.
Fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche. La stessa
enciclopedia Wikipedia attinge da queste opere, citandole.
A dispetto del titolo della
Collana Editoriale, le opere non sono denigratorie dell’Italia, anzi ne
risaltano le qualità, ma affermano delle verità storiche taciute. In queste
opere sono escluse fake news e fonti propagandistiche ed ideologiche e le
citazioni sono di autori credibili ed autorevoli.
Sin dal 2008, è stata la mia missione raccontare l’Italia contemporanea, anche
attraverso il suo passato.
Costretto a spendere il mio tempo in quest’opera, impedito dalle circostanze
avverse a far altro, dopo aver dedicato la mia vita a formarmi professionalmente
nel campo giuridico.
Mai finanziato o sostenuto economicamente da alcuno, anzi osteggiato, oggi a 60
anni, senza reddito e senza prospettive di possibilità di alcuna pensione, mi
trovo costretto a cedere i diritti della mia opera. Mia moglie, anch’essa
sessantenne, dopo avermi sostenuto economicamente, svolgendo i lavori più umili
e poco remunerati, non è più in grado di svolgere adeguatamente il suo appoggio.
Per questi motivi, dato che con la Cultura non si mangia, con la presente
istanza
chiedo alle Autorità Adite
di procedere all’acquisizione esclusiva dei diritti d’autore delle opere in
oggetto peculiari ed esclusive, affinchè siano di fruizione universale, con un
contributo una tantum o un sostegno vitalizio, affinchè mi si dia una
possibilità per continuare, o, addirittura, che tale immane lavoro non sia
disperso per abbandono dopo la mia morte.
Sono in attesa di un loro riscontro. Intanto porgo i miei distinti saluti ad
ognuno di loro.
In calce i titoli delle opere aggiornate periodicamente.
Avetrana lì 21 novembre 2022 Dr
Antonio Giangrande
Nord e Sud ed i ladri e razzisti dentro.
"Sbagliato dare gli stessi stipendi a Milano e Reggio Calabria" dice il sinistro
Beppe Sala, sindaco di Milano. Dovrebbe sapere, lui, se fosse solo ignorante e
non in malafede, che a parità di stipendio il maggiore costo della vita elevato
al Nord va a pareggiare i maggiori costi dei diritti negati al Sud, a causa del
ladrocinio padano dei Fondi nazionali e comunitari destinati al meridione. Da
buoni comunisti (Padani) per loro vale il detto: “quello che è mio è mio; quello
che è tuo è pure mio”. Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il Turista fai da te. Il Salento e l’orda dei profughi.
Arrivano in massa, senza soldi e con la litania lamentosa e diffamatoria: perché
qua è diverso?
L’osservazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
La
meta del turista fai da te che arriva in Salento è il mare, il sole, il vento ma
è stantio a metter mano nel portafogli e nell’intelletto. C’è tanta quantità, ma
poca qualità.
Il
turista fai da te che arriva nel Salento è come un profugo in cerca spasmodica
di benessere gratuito. Crede nei luoghi comuni e nei pregiudizi, nelle false
promesse e nelle rappresentazioni menzognere mediatiche.
E’
un emigrante con la seconda casa abusiva, oppure con prenotazione diretta last
minute, al netto dell’agenzia, prende un appartamento con locazione al ribasso e
con pretesa di accesso al mare. Si aggrega in gruppo per pagare ancora meno. Ma
a lui sembra ancora tanto. Poi si meraviglia della sguaiatezza di ciò che ha
trovato. Tutto l’anno fa la spesa nei centri commerciali e pretende di trovarli
a ridosso del mare. Non vuol fare qualche kilometro per andare al centro
commerciale più vicino, di cui i paesi limitrofi son pieni, e si lamenta dei
prezzi del negozietto stagionale sotto casa. Durante l’anno non ha mai mangiato
una pizza al tavolo e quando lo fa in vacanza se ne lamenta del costo. Vero è
che il furbetto salentino lo trovi sempre, ma anche in Puglia c’è la legge del
mercato: cambia pizzeria per il prezzo giusto.
Il
turista fai da te tutto l’anno vive in palazzoni anonimi, arriva in Salento e si
chiude nel tugurio che ha affittato con poco e poi si lamenta del fatto che in
loco non c’è niente, nonostante sia arrivato nel Salento, dove ogni dì è festa
di sagre e rappresentazioni storiche e di visite culturali, che lui non ha mai
frequentato perché non si sposta da casa sua. Comunque una tintarella a piè di
battigia del mare cristallino salentino è già una soddisfazione che non ha
prezzo.
Il
turista fai da te si lamenta del fatto che sta meglio a casa sua (dove si sta
peggio per cognizione di causa) e che qui non vuol più tornare, ma, nonostante
il piagnisteo, ogni anno te lo ritrovi nella spiaggia libera vicino al tuo
ombrellone. Si lamenta della mancanza di infrastrutture. Accuse proferite in
riferimento a zone ambientali protette dove è vietato urbanizzare e di cui egli
ne gode la bellezza. A casa sua ha lasciato sporcizia e disservizi, ma si
lamenta della sporcizia e della mancanza di servizi stagionali sulle spiagge.
Intanto, però, tra una battuta e l’altra, butta cicche di sigaretta e cartacce
sulla spiaggia e viola ogni norma giuridica e morale. La raccolta differenziata
dei rifiuti, poi, non sa cosa sia. Ogni discorso aperto per socializzare si
chiude con l’accusa ai meridionali di sperperare i soldi pagati da lui. Lui,
ignorante, brutto e cafone, che risulta essere, anche, evasore fiscale.
Il
turista fai da te lamentoso è come il profugo: viene in Salento e si aspetta
osanna, vitto e alloggio gratis di Boldriniana fattura. Ma nel Salento
accogliente, rispettoso e tollerante allora sì che trova un bel: Vaffanculo…
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Turismo e risorse ambientali. “Ci vogliono brutti,
sporchi e cattivi”
19
settembre 2016. Dibattito pubblico a Otranto, in Puglia, sul tema: "Prospettive
a Mezzogiorno".
Il
resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nel
Salento: sole, mare e vento. Terra di emigrazione e di sotto sviluppo economico
e sociale dei giovani locali. Salentini che emigrano per mancanza di
lavoro…spesso con un diploma dell’istituto alberghiero. Salentini che
perennemente si lamentano della mancanza di infrastrutture per uno sviluppo
economico e che reiteratamente protestano per i consueti disservizi sulle coste
e sui luoghi di cultura. Salentini con lo stipendio pubblico che si improvvisano
ambientalisti affinchè si ritorni all’Era della pietra. Salentini con la
sindrome di Nimby: sempre no ad ogni proposta di sviluppo sociale ed economico,
sia mai che i giovani alzino la testa a danno delle strutture politiche
padronali. Il fenomeno, ben noto, si chiama “Nimby”, iniziali dell’inglese Not
In My Backyard (non nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di
interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sul territorio in
cui vengono costruite. I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano
progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia. Le
contestazioni promosse dai cittadini sono “cavalcate” (con perfetta par
condicio) dalle opposizioni e dagli stessi amministratori locali, impegnati a
contenere ogni eventuale perdita di consenso e ad allontanare nel tempo
qualsiasi decisione degna di tale nome. La fotografia che emerge è quella di un
paese vecchio, conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae
investimenti perché è ideologicamente contrario al rischio d’impresa. Il
risultato, sotto gli occhi di tutti, è la tendenza allo stallo. Quella che i
sociologi definiscono “la tirannia dello status quo”, cioè dello stato di fatto,
quasi sempre insoddisfacente e non preferito da nessuno. Salentini che dalla
nascita fin alla morte si accompagnano con le stesse facce di amministratori
pubblici retrogradi che causano il sottosviluppo e che usano ancora il metro di
misura dei loro albori politici: per decenni sempre gli stessi senza soluzione
di continuità e di aggiornamento.
Presente al convegno Flavio Briatore, fine conoscitore del tema, boccia il
modello turistico italiano, partendo proprio dalla Sardegna del suo Billionaire.
Intanto per il caro trasporti: «Hanno un'isola e non lo sanno - dice Briatore
alla platea del convegno - pensano che la gente arrivi per caso. La gente arriva
o via mare o via aerea: sono due monopoli, per cui fanno i prezzi (che
vogliono). Se tu vai da Barcellona a Maiorca, quattro persone sul traghetto
spendono 600 euro. Da Genova ad Alghero ne spendono 1600. L'80 per cento degli
amministratori - aggiunge ancora Briatore - non ha mai preso un aereo. Come si
fa a parlare di turismo senza averlo mai visto?».
Briatore è poi passato alla Puglia, dove nell’estate 2017 aprirà il Twiga Beach
di Otranto grazie a una cordata di imprenditori locali ed ha criticato l'offerta
turistica del territorio, sottolineando in particolare la mancanza di servizi
adeguati alle esigenze dei turisti più facoltosi, sorvolando sulla mancanza di
infrastrutture primarie: «Se volete il turismo servono i grandi marchi e non la
pensione Mariuccia, non bastano prati, né musei, il turismo di cultura prende
una fascia bassa di ospiti, mentre il turismo degli yacht è quello che porta i
soldi, perché una barca da 70 metri può spendere fino a 25mila euro al giorno.
Masserie e casette, villaggi turistici, hotel a due e tre stelle, tutta roba che
va bene per chi vuole spendere poco - ha affermato Briatore - ma non porterà qui
chi ha molto denaro. Ci sono persone che spendono 10-20mila euro al giorno
quando sono in vacanza, ma a questi turisti non bastano cascine e musei, prati e
scogliere - ha continuato l'imprenditore - io so bene come ragiona chi ha molti
soldi: vogliono hotel extralusso, porti per i loro yacht e tanto divertimento».
Non poteva essere altrimenti: Briatore ha puntato il dito sulle mancanze di
infrastrutture a sostegno di quelle strutture turistiche mancanti ad uso e
consumo di un’utenza diversificata e non solo mirata ad un turismo di massa che
non guarda alla qualità dei servizi ed alla mancanza di infrastrutture. Una
semplice analisi di un esperto. Una banalità. Invece...
Sulle affermazioni di Briatore si è scatenato un acceso dibattito, in
particolare sui social: centinaia i commenti, quasi tutti contro.
I
contro, come prevedibile, sono coloro che sono stati punti nel nerbo, ossia gli
amministratori incapaci di dare sviluppo economico e risposte ai ragazzi che
emigrano e quei piccoli imprenditori che con dilettantismo muovono un giro di
affari di turismo di massa a basso consumo con scarsa qualità di servizio.
L’assessore regionale Sardo Maninchedda: «A parole stupide preferisco non
rispondere».
Francesco Caizzi, presidente di Federalberghi Puglia replica alle parole
dell’imprenditore: «La Puglia non è Montecarlo, Briatore si rassegni. La Puglia
ha hotel che vanno dai 2 stelle ai 5 stelle, dai bed & breakfast agli
affittacamere. Sono strutture per tutte le tasche e le esigenze, ma con un unico
denominatore comune: rispettano l’identità del luogo. Questo significa che non
ci si può aspettare un’autostrada a 4 corsie per raggiungere una masseria. È
probabile che si dovrà percorrere un tratto di sterrato, ma nessuno ha mai avuto
da ridire su questo. Anzi, fa parte del fascino del luogo».
Loredana Capone, assessore imperituri (governo Vendola per 10 anni e con il
Governo Emiliano), che ha concluso da poco un lavoro di diversi mesi sul piano
strategico del turismo, ha illustrato il punto di vista di un eterno
amministratore pubblico: «Dobbiamo partire da quello che abbiamo per puntare ai
mercati internazionali. Come stiamo nei mercati? Prima di tutto evitando
qualsiasi rischio di speculazione e abusivismo. È puntando sulla valorizzazione
del patrimonio, residenze storiche, masserie, borghi, che saremo in grado di
offrire un turismo di qualità, capace di portare ricchezza. Non i grandi
alberghi uguali dappertutto, modelli omologati e omologanti. Anche gli
investimenti internazionali puntano al recupero più che alla nuove costruzioni».
La
visione di Briatore proprio non piace a Sergio Blasi, altro esponente eterno del
Pd che si è detto disponibile a concorrere alla primarie del centrosinistra a
Lecce: «Briatore punta alla creazione di non-luoghi riservati all’accesso
esclusivo di una élite economica ad altissima qualità di spesa, nei quali conta
chi sei prima di entrare e non quello che sarai diventato alla fine del tuo
viaggio o della tua vacanza. Io la ritengo una prospettiva poco interessante per
il Salento. E lo dico da persona che ha criticato fortemente la svolta “di
massa” di alcune attrazioni, che a furia di sbandierare numeri sempre più alti
finiscono per rovinare più che per valorizzare le opportunità di crescita. Ma
esiste un mezzo – ha proseguito nel suo post l’ex segretario regionale del Pd -
nel quale collocare un’offerta turistica che sia in grado di valorizzare le
potenzialità inespresse, e sono tante, garantendo al contempo una “selezione”
non in base al ceto sociale quanto agli interessi e alle aspettative del
turista. Noi dobbiamo guardare ad un turismo che apprezza la cultura, anche
quella popolare, la natura e il paesaggio. Che apprezza i musei e i centri
storici tanto quanto il buon vino e il buon cibo. Che sia in grado di apprezzare
e rispettare la terra che visita e di non farci perdere il rispetto per noi
stessi».
Per
Albano Carrisi: “La Puglia piace così!”
Naturalmente l’Italia degli invidiosi, che odiano la ricchezza, quella ricchezza
che forma le opportunità di lavoro per chi poi, senza quell’occasione è
costretto ad emigrare, non ha notato la luna, ma ha guardato il dito. Il
discorso di Briatore non è passato inosservato sul web dove alcuni utenti
classisti, stupidi ed ignoranti hanno manifestato subito il loro disappunto.
"Tranquillo Briatore, i parassiti milionari che viaggiano e non pagano non ce li
vogliamo in Puglia", ha commentato un internauta, "Noi vogliamo musei e prati
perché vogliamo gente che ami cultura e natura. Gli alberghi di lusso fateli a
Dubai", ha ribattuto un altro.
Ci
vogliono brutti, sporchi e cattivi. E’ chiaro che il Salento quello ha come
risorsa: sole, mare e vento. E quelle risorse deve sfruttare: in termini di
agricoltura, ma anche in termini di turismo, essendo l’approdo del mediterraneo.
E’ lapalissiano che le piccole e le grandi realtà turistiche possono coesistere
e la Puglia e il Salento possono essere benissimo l’alcova di tutti i ceti
sociali e di tutte le esigenze. E se poi le grandi strutture turistiche
incentivano opere pubbliche eternamente mancanti a vantaggio del territorio, ben
vengano: il doppio binario, strade decenti al posto delle mulattiere, aeroporti,
collegamenti ferro-gommati pubblici accettabili per i pendolari ed i turisti,
ecc.. Ma il sunto del discorso è questo. Salento: sole, mare e vento. Ossia un
luogo di paesini e paesoni agricoli a vocazione contadina con il mito
tradizionale della “taranta” e della “pizzica”. E da buoni agricoltori, i
salentini, da sempre, la loro costa non la considerano come una risorsa
turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro
capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a
vigna od ulivi ed edificati abusivamente, perciò da trascurare. Ed i contadini
poveri ed ignoranti, si sa, son sottomessi al potere dei politicanti
masso-mafiosi locali.
Stesso discorso va ampliato in tutto il Sud Italia. Gente meridionale: Terroni e
mafiosi agli occhi dei settentrionali, che invidiano chi ha sole, mare e vento,
e non si fa niente per smentirli, proprio per mancanza di cultura e prospettive
di sviluppo autonomo della gente del sud: frignona, contestataria e nel
frattempo refrattaria ad ogni cambiamento e ad una autonoma e propria
iniziativa, politica, economica e sociale.
Allora chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Dr
Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: I cinquestelle, nel loro totale giustizialismo,
inesperienza, imperizia, non aiutano i poveri con il reddito di cittadinanza.
Il
loro sistema di sostegno populista aiuta i nullatenenti ritenuti in apparenza
onesti, non i poveri, non gli emarginati.
Se,
per esempio, un disoccupato riceve dai genitori in eredità un vecchio rudere,
che per il fisco valuta più dei limiti di valore dai pentastellati stabiliti,
non ha diritto al reddito di cittadinanza, sempre che non rinuncia all’eredità.
Non
può accettarlo e cederlo. Se lo vende supera il reddito previsto o la giacenza
in banca.
Se,
per esempio, una vittima di ingiustizia o oggetto delle circostanze, si ritrova
emarginato e bisognoso, ad esso il reddito di cittadinanza è escluso, tanto da
reindurlo al crimine per campare.
Antonio Giangrande: Buon Primo maggio. La festa dei
nullafacenti.
Editoriale del Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS, che
sul tema ha scritto alcuni saggi di approfondimento come "Uguaglianziopoli.
L'Italia delle disuguaglianze" e "Caporalato. Ipocrisia e speculazione".
Il
primo maggio è la festa di quel che resta dei lavoratori e da un po’ di anni, a
Taranto, si festeggiano i lavoratori nel senso più nefasto della parola.
Vogliono mandare a casa migliaia di veri lavoratori, lasciando sul lastrico le
loro famiglie. Il Governatore della Puglia Michele Emiliano, i No Tap, i No Tav,
il comitato “Liberi e Pensanti”, un coacervo di stampo grillino, insomma, non
chiedono il risanamento dell’Ilva, nel rispetto del diritto alla salute, ma
chiedono la totale chiusura dell’Ilva a dispregio del diritto al lavoro, che da
queste parti è un privilegio assai raro.
Vediamo un po’ perché li si definisce nullafacenti festaioli?
Secondo l’Istat gli occupati in Italia sono 23.130.000. Ma a spulciare i numeri
qualcosa non torna.
Prendiamo come spunto il programma "Quelli che... dopo il TG" su Rai 2. Un
diverso punto di vista, uno sguardo comico e dissacrante sulle notizie appena
date dal telegiornale e anche su ciò che il TG non ha detto. Conduttori Luca
Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Mia Ceran. Il programma andato in onda il primo
maggio 2018 alle ore 21,05, dopo, appunto, il Tg2.
«Primo maggio festa dei lavoratori. Noi abbiamo pensato una cosa: tutti questi
lavoratori che festeggiano, vediamo tutte ste feste. Allora noi ci siamo
chiesti: Quanti sono quelli che lavorano in Italia. Perchè saranno ben tanti no?
Siamo 60.905.976 (al 21 ottobre 2016). Però facciamo così.
Togliamo quelli sotto i sei anni: 3.305.574 = 57.600.402 che lavorano;
Togliamo quelli sopra gli ottant’anni: 4.264.308 = 53.336.094 che lavorano;
Togliamo gli scolari, gli studenti e gli universitari: 10.592. 685 = 42.743.409
che lavorano;
Togliamo i pensionati e gli invalidi: 19.374.168 = 23.369.241 che lavorano;
Togliamo anche artisti, sportivi ed animatori: 3.835.674 = 19.533.567 che
lavorano;
Togliamo ancora assenteisti, furbetti del cartellino, forestali siciliani,
detenuti e falsi invalidi: 9.487.331 = 10.046.236 che lavorano;
Togliamo blogger, influencer e social media menager: 2.234.985 = 7.811.251 che
lavorano;
Togliamo spacciatori, prostitute, giornalisti, avvocati, (omettono magistrati,
notai, maestri e professori), commercialisti, preti, suore e frati: 5.654.320 =
2.156.931 che lavorano;
Ultimo taglietto, nobili decaduti, neo borbonici, mantenuti, direttori e
dirigenti Rai: 1.727.771 = 429.160 che lavorano».
Questo il conto tenuto da Luca e Paolo con numeri verosimili alle fonti
ufficiali, facilmente verificabili. In verità a loro risulta che a rimanere a
lavorare sono solo loro due, ma tant’è.
Per
non parlare dei disoccupati veri e propri che a far data aprile 2018 si contano
così a 2.835.000.
In
aggiunta togliamo i 450.000 dipendenti della pubblica amministrazione dei
reparti sicurezza e difesa. Quelli che per il pronto intervento li chiami ed
arrivano quando più non servono.
Togliamo ancora malati, degenti e medici (con numero da precisare) come gli
operatori del reparto di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale di Manduria
“Giannuzzi”. In quel reparto i ricoverati, più che degenti, sono detenuti in
attesa di giudizio, in quanto per giorni attendono quell’intervento, che prima o
poi arriverà, sempre che la natura non faccia il suo corso facendo saldare
naturalmente le ossa rotte.
A
proposito di saldare. A questo punto non solo non ci sono più lavoratori, ma
bisogna aspettare quelli futuri per saldare il conto.
Al
primo maggio, sembra, quindi, che a conti fatti, i nullafacenti vogliono
festeggiare a modo loro i pochi veri lavoratori rimasti, condannandoli alla
disoccupazione. Ultimi lavoratori rimasti, che, bontà loro, non fanno più parte
nemmeno della numerica ufficiale.
La morte della Politica: L’Opinionismo.
Ideologia personale e forma di Governo:
Una
volta si parlava di ideologia. Lo spunto era economico:
1
Comunismo-Economia pianificata a tutela dei più deboli.
2
Liberismo o Liberalismo-Economia basata sul libero Mercato.
La
scelta di Governo era data da quella maggioranza di cittadini che sposava una
Ideologia, anziché l'altra.
Oggi domina il
primato del parere personale.
I Fatti son fatti
oggettivi naturali e rimangono tali.
Chi conosce i fatti
si chiama esperto ed esprime pareri.
Chi non conosce i
fatti esprime opinioni e si chiama opinionista.
Le opinioni sono
atti soggettivi cangianti.
Le opinioni se sono
oggetto di discussione ed approfondimento, in TV diventano testimonianze.
Nel valutare ed
esprimere giudizi ci si deve affidare ai pareri degli esperti di chiara
credibilità ed attendibilità, discernendole dalle opinioni di gente ignorante
sul tema in discussione.
Le
opinioni si identificano in varie forme secondo da chi vengono profuse:
Editoriale per i giornalisti.
Corrente di pensiero per gli Intellettuali.
Motivazione per i Giudici.
Parere
per gli esperti.
La
cronaca e quell’irresistibile corsa a creare mostri: senza linciaggio vi sentite
meno buoni?
Secondo Piero Sansonetti fior di intellettuali mobilitati per spiegarci come è
possibile la loro perfidia, chi l’ha generata, quanto sta degenerando la nostra
gioventù, i telefonini, i videogiochi, la droga… È stato un incidente stradale,
e quando si svolgerà il processo vedremo quanta e quale fosse la colpa di chi
guidava la Lamborghini. Noi oggi non lo sappiamo. E allora inventiamo,
inventiamo, inventiamo. È il bisogno di linciaggio che mi colpisce. Il
linciaggio come liberazione dai propri incubi. Il linciaggio come gioia e prova
della propria innocenza. Il linciaggio come dimostrazione di forza. Di eticità.
Di incorruttibilità. Di sapienza. Sostenuto e lodato e magnificato e amplificato
dall’intero sistema dell’informazione.
Secondo Maurizio Assalto: “Narrazione” è uno dei termini chiave della
comunicazione pubblica contemporanea. C’è la narrazione di Giorgia Meloni
«underdog» e la narrazione di Elly Schlein che «non ci hanno visti arrivare».
C’è la narrazione di Giuseppe Conte “avvocato del popolo”, quella di Matteo
Renzi “rottamatore” e ci sono state le metamorfiche narrazioni di Silvio
Berlusconi “presidente imprenditore”, “operaio”, “contadino”, “ferroviere”…
Anziché affidare come un tempo le loro idee a soporiferi saggi che nessuno
legge, o a deprimenti articoli su riviste che nessuno compra (e che del resto
neppure si pubblicano più), i leader politici hanno scoperto il business (anche
commerciale) delle biografie e pseudo-autobiografie che, attraverso il racconto
di una vicenda proposta come implicitamente esemplare, trasmettono la propria
visione dell’Italia e del mondo (del resto, oggetto tipico delle narrazioni sono
le storie, le favole, fole, spesso sinonimo di “balle”).
Non ci
sono però soltanto le narrazioni della politica: c’è la narrazione d’impresa
(variante più manageriale: la narrazione strategica d’impresa), la narrazione
del brand, la narrazione del prodotto, la narrazione dei beni culturali, la
narrazione dei musei, la narrazione della scienza, la narrazione
enogastronomica, la narrazione ecologista, la narrazione pacifista e quella
bellicista, la narrazione terrapiattista, le narrazioni complottiste, le
narrazioni no vax, no tav, no tap… A ognuno la sua narrazione.
Ma
anche Platone, in epoca ormai risolutamente letteraria, intercala volentieri la
sua opera filosofica, che è già in sé una filosofia narrata, con la narrazione
di un mito che ha lo scopo dichiarato di sciogliere i nodi concettuali più
intricati: nel Protagora, al celebre sofista che si accinge a esporre la sua
tesi sull’insegnabilità della virtù politica, viene messa in bocca la domanda
«Preferite che io, come anziano che parla ai giovani, ve la dimostri narrando un
mito, oppure con un ragionamento?»; e poiché gli interlocutori gli rimettono la
scelta, Protagora opta per la prima soluzione, in quanto «più piacevole». La
forma narrativa assolve in questo modo a una funzione didattico-esplicativa, che
in altri casi si specifica ulteriormente come più efficace in termini
persuasivi-emozionali.
Secondo Matteo Giangrande, il buon debater può usare il riferimento all’autorità
nella parte del discorso argomentativo dedicata alle “evidenze” e, insieme, non
può usare il riferimento all’autorità nella parte dell’argomento dedicata al
“ragionamento”. E ciò perché il ricorso all’opinione di un esperto è un modo
ragionevole per rendere “credibile” un’affermazione. Ma, al contempo, non la
“dimostra”.
L’argomento dell’autorità (o argomento ad verecundiam) diventa una fallacia
subito dopo aver illustrato la funzione di evidenza che la citazione del parere
di un esperto può svolgere all’interno dell’argomento complessivo.
Gli
esperti: tutti si elevano a professoroni in tv nel parlare di qualcosa che non
si conosce e quindi che non conoscono. Sballottando di qua e di là i cittadini,
in base alle loro opinioni cangianti dalla sera alla mattina.
I
giornalisti in ogni dove, ormai, esprimono opinioni partigiane del cazzo. Alcuni
di loro dicono che il movimento 5 stelle ha sfondato al sud con i voti dei
nullafacenti per il reddito di cittadinanza: ossia la perpetuazione
dell’assistenzialismo. Allora dovrebbe essere vero, anche, che al nord ha
stravinto il razzismo della Lega di Salvini, il cui motto era: "Neghèr föra da i
ball", ossia immigrati (che hanno preso il posto dei meridionali) tornino a casa
loro. La verità è che l’opinione dei giornalisti vale quella degli avventori al
bar; con la differenza che i primi sono pagati per dire stronzate, i secondi
pagano loro la consumazione durante le loro discussioni ignoranti.
La
cronaca è fortemente inquinata da un forte pregiudizio mediatico e fa sentire i
suoi effetti presso una parte dell’opinione pubblica disposta a bersi qualunque
dichiarazione. Ciò nonostante, la parte anomala è quel “ci dovrebbe essere un
contraddittorio”, ossia, ogni volta che qualcuno esprime un’opinione su qualcun
altro deve esserci anche l’altro. E’ macchinoso come metodo ed è sempre
disatteso.
Quindi
esprimere un’opinione senza che l’oggetto dell’opinione sia presente non è
corretto.
E’
opinione, quindi, quella tesi oratoria fine a se stessa senza portare evidenze
documentali che la sostengano.
«Siamo
noi». Dove quel «noi» sta per opinione pubblica. Le leadership per emergere
devono prima sparare cazzate per bucare lo schermo e poi consolidarsi con un
ruolo di guida assoluta, attorniandosi con gli uomini più leali. Naturalmente
queste ascese repentine e di gruppo segnalano, una volta al governo, le
difficoltà a risolvere i problemi della collettività
Antonio Giangrande: I brogli del referendum della Repubblica.
Il
senso della democrazia secondo i resistenti antifascisti:
Assoluta assenza della par conditio e il palese condizionamento dei media nel
nord Italia. La campagna elettorale fu a senso unico, con la stampa del nord
apertamente repubblicana, mentre i giornali al sud erano poco diffusi. Il solo a
fare campagna elettorale per i monarchici era il Re Umberto, effettuata solo con
la propria presenza. I manifesti per la monarchia affissi sulla pubblica via,
quando non erano strappati, erano inutili dato l'alto tasso di analfabetismo.
L'intimidazione diffusa. Le voci fuori dal coro non erano tollerate ed erano
sconsigliati i comizi di piazza opposti, mentre le piazze erano continuamente
piene con innumerevoli eccelsi oratori di tutti i rispettivi partiti
antimonarchici. Le ritorsioni contro i commercianti e gli imprenditori erano
all'ordine del giorno.
La
minaccia della guerra civile in caso di vittoria dei monarchici. Il fronte
antimonarchico era già dilaniato nel suo interno, mentre era già martoriato tra
fascisti ed antifascisti.
I
brogli, o presunti tali, erano superflui in tale clima di condizionamento dove
la vittoria era imperativa per i repubblicani. Il fatto che si parli di brogli,
comunque, mina la fiducia nell'esito finale. Atto di nascita di una Repubblica
già difettata.
Antonio
Giangrande: 25 aprile. Non era guerra di Liberazione (ci hanno pensato gli
Alleati) ma una miserabile guerra civile per il Potere.
Antonio Giangrande:
25 APRILE. DATA DI UN INGANNO. COME SI FALSIFICA LA STORIA. LETTERA SEGRETA AI
COMPAGNI MILITANTI. MESSAGGIO CHE CHIARAMENTE INCITA ALL’ODIO E
ALL’ANTI-CATTOLICESIMO. La seguente lettera è stata consegnata dal Comitato
Centrale del Partito Comunista Italiano, diretto da Palmiro Togliatti
(1893-1964), ai quadri propagandisti rivoluzionari nel 1947. Rileggendola è
facile capire l’odio che ha guidato la mano omicida di tanti partigiani durante
la guerra e nell’immediato dopoguerra.
Antonio
Giangrande: A proposito di primarie ad Avetrana ed in tutta Italia…fascismo e
comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o di poltrone.
Cosa accomuna gli
interisti ai comunisti? Quando si perde è perché gli altri hanno rubato.
Ad Avetrana, tanti
anni fa, il sottoscritto emergeva in politica. Presidente di Alleanza nazionale,
non sono stato mai accettato perché non avevo il sangue nero ed i miei
sostenitori non erano di destra, ma erano dei moderati. Per la nomenclatura ero
buono solo a portare voti ai soliti noti. Li mandai a fanculo…e sostenni Conte a
sinistra che con i voti dei miei sostenitori vinse le Comunali.
Ad Avetrana, a
sinistra c’è Emanuele Micelli, mai accettato dai comunisti perché non ha sangue
rosso. Alle primarie 2016 tutta la nomenclatura comunista era schierata contro
di lui in previsione di una futura scissione del PD e la cui figura della
Petracca, (con i soliti 200 voti degli ultracomunisti) era solo specchio per le
allodole. Il vero intento era contarsi per valere. Micelli per la nomenclatura è
buono solo a portare i voti dei moderati alle elezioni…per Conte e per altri.
Voti dell’aria moderata che, però, non sono accettati alle primarie: perché
fanno schifo ai comunisti.
Lo schifo per i
voti moderati ha fatto sì che il mio interesse per chi si professa diverso è
cessato e da allora la sinistra ad Avetrana ha sempre perso, nonostante, per
fottersi i miei voti, hanno messo mio fratello nelle loro liste e che io stesso
non ho votato. Fino a che, a sinistra come a destra, le nomenclature locali
saranno più interessate alle poltrone che alle cose reali, perderanno sempre,
perché non è vittoria quella con il 50% di astensione. Messaggio di gente che
manda a fanculo gli schieramenti con le solite facce.
… fascismo e
comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o di poltrone per persone
incapaci.
Antonio Giangrande: Amministrative di Avetrana: 5 giugno 2016. Un bravo a tutti
i candidati da parte di un incompetente ed inesperto.
Un
bravo ai candidati della lista Minò (centrodestra), che pur apprezzati e votati,
per quello che sono e per quello che fanno, da soli 1601 avetranesi su 8279,
sono riusciti a vincere ed a festeggiare, a dispetto dei loro 2656 elettori del
2011. Essi continueranno imperterriti a dimostrare la loro competenza e la loro
esperienza a vantaggio del loro paese che non li stima.
Un
bravo ai candidati della lista Micelli e della lista Petracca (centrosinistra),
che pur con il favore di 2810 avetranesi su 8279 (1418+1392), in più rispetto ai
2438 del 2011, sono riusciti a perdere divisi…ma da “liberi”. Senza alcun
rimorso. Giustificati con la solita tracotanza, essi continueranno,
imperterriti, a non riconoscere i loro errori ed a non dimostrare la loro
capacità a vantaggio del loro paese che li ha voluti più dell’altra lista. Bravi
per aver fatto continuare ad amministrare Avetrana con la competenza e
l’esperienza della precedente amministrazione.
Un
bravo al 32,6 % dell’elettorato avetranese che non è andato a votare,
incrementato rispetto al 25,42 del 2011. Primi della provincia di Taranto.
Questi, in aggiunta a chi si reca per consegnare scheda bianca o scarabocchiata
da imprecazioni, sono la maggioranza degli avetranesi, di cui a nessuno gliene
frega niente. Maggioranza che disprezza questa classe politica basata sull’odio
e l’ideologia e che si fa eleggere non sui programmi reali, ma sugli attacchi
personali agli avversari. Penso che questi avetranesi che non votano, darebbero
prova di saggezza e coraggio, se venissero fuori con una loro lista, per
formattare la politica avetranese. Solo allora, per loro, sarebbe un bravo
sincero.
Antonio Giangrande:
Una considerazione sociologica a margine di quanto già rendicontato dal punto di
vista politico in riferimento alle amministrative del 5 giugno 2016. La
maggioranza della gente di Avetrana, (così come del resto dell'Italia) se da una
parte è disposta a vendere il suo voto, più che in cambio di denaro, in termini
di favori, al contrario si dimostra essere alquanto irriconoscente, una volta
che è stata soddisfatta. Prendiamo per esempio dei casi limite ad Avetrana dove,
sicuramente, da parte dei candidati si è ottenuto molto meno di quanto
elettoralmente si valesse, senza nulla togliere agli altri candidati di pari
valore intellettuale e politico.
Antonio Minò. La
sua lista ha preso 1601 voti di lista rispetto ai 2656 voti di lista del suo
predecessore, Mario De Marco. Rispetto al De Marco, però, il Minò esercita nel
sociale (presidente di Avetrana Soccorso) ed a rendere un favore chiesto, anche
al di là della sua sfera professionale, non si tira mai indietro. Probabilmente
ha ricevuto molta irriconoscenza.
Daniele Fedele
Saracino. 143 voti, il penultimo dei votati della lista Minò. Il fatto che sia
un imprenditore, non è indicativo di consenso, ma essere il presidente della
locale squadra di calcio che ha appena ottenuto con i suoi sacrifici un
risultato insperato per un piccolo paese, quale l’approdo in Eccellenza, e non
essere ricambiato in termini di consenso, almeno da parte dei tifosi che
numerosi calcavano gli spalti, ciò è significativo di estrema irriconoscenza.
Anna Maria Katia
Maggiore. 165 voti con la lista Petracca. Il fatto che sia imprenditrice non é
indicativo di consenso. Essere la figlia di Giovanni, il più facoltoso
imprenditore di Avetrana, non si tramuta in termini di voti. Però, il fatto che
ad ogni manifestazione pubblica che si tiene ad Avetrana od ad ogni altro evento
sociale in cui la comunità è coinvolta, si chieda il suo appoggio e Giovanni non
faccia mai mancare il suo sostegno economico in termini di contributi o di
sponsor, questo dovrebbe significare un po' di consenso. E quando questo manca,
come è mancato per sua figlia Anna Maria, questo denota somma irriconoscenza.
Come si dice "a
fani beni...". E con questo ho detto tutto.
Antonio Giangrande:
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo con la discultura e la
disinformazione.
Ci si deve
chiedere: perchè a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che
Garibaldi era un eroe ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il
luogo comune di un sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che
insegnano a scuola è la canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo
tramite il web: che il Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi
a vantaggio dei Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel
meridione d’Italia scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare,
oltre che da amare; che “Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica
italiana che in nome di una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto
degli americani, vinse la guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli,
con le sue leggi, ad un regime illiberale e clericale.
Antonio Giangrande: Il moralismo fasciocomunistoide ipocrita e giustizialista
tende a stratificare di norme l’ordinamento giuridico dello Stato senza
soluzione di continuità, nonostante cambino i Governi. L’eccesso di norme
liberticide mi porta a pensare al colesterolo. Tanto più si accumula sulle
pareti delle arterie, tanto aumenta il rischio di coronaropatie.
Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze ed enormi
aspettative in piccoli uomini e donne senza vergogna.
Antonio Giangrande: Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze
ed enormi aspettative in piccoli uomini senza vergogna.
Antonio Giangrande: Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli
si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta
quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro
dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero
sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un
ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a
quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati
monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo
giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma
inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto:
dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento
politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro
sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo
che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati,
che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e
saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi
di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si
sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti
condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di
cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere
delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti
perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di
sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e
della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla
magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la
figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere
uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle
sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle
non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto
loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son
capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro
magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami
pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per
le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine,
rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo
siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni
nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa
incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne
disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite.
Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che
altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande
soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa
Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono
degli altri.
"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.
Lettera da Crispi a Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.
Mio Generale! Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un mese, credo mio
dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i
vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo
regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna
giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un
governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e
le ho trovate piene zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale
sono prigionieri. Che dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza
lume la notte, sudici, nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza
una voce che li consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa. La
popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più
tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi,
che fummo causa prima del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti
vittime della tirannide la quale viene da Torino e quindi ci fa grazia della
involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia
andrà incontro ad una catastrofe. E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse
potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad
evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie
unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e
coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e
occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la
costituzione d'Italia. Della vostra salute, alla quale tutti c'interessiamo, ho
buone notizie, che spero sempre migliori. Di Palermo tutti vi salutano come vi
amano. Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro
affetto e credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.
La verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali
sono incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non
rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate,
essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe
Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868)
Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.
27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere
indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica
bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e
consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una
spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera
quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi
che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli
venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per
nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato
staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca
della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il
nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa
all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la
Sicilia.
11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus,
Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I
mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa
è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo
lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno
fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi
arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta".
15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande
battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111
furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il
campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone
inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale
borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che
l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi
sono tutte una montatura.
27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone,
mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia.
30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi
sono saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo
d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un
cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli
eroici siciliani.
31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In
quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana
Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un
cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento
opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico,
decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a
cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare.
2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai
contadini; molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa
la rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo
stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso
Milazzo.
17 luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale
Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura
garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra
promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia
loro Nino Bixio.
10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di
stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre
contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.
21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si
depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come
abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su
una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%).
Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono
disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore
inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che:
"Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano
sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John
Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in
questi regni non hanno il minimo valore".
1861 - L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per
chi ha soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi,
compiono atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello,
sordomuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo
aguzzino, il colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e
Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in
cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà
in un anno”.
1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il
governo piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per
massacrare i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i
Siciliani.
8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie
italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia.
15 agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si
rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le
famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi.
Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone.
(Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato
inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali
meriti.)
1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per
tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano
state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni,
stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata
e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed
ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel
frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più
ricco, la Sicilia sempre più povera.
1868 - Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del
Sud, temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto
al Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che
assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta.
1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva
connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e
smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di
cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta
il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare
mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.
1892 - Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era
pacifica ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani.
Chiedeva, l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o
incolte, la diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc.
4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere:
STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a
perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000
soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere
l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese
Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel
1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola.
Note di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie,
piazze e strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto
di un pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995
il giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di
Garibaldi fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100
milioni al mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso
di una visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6: “Il presidente d'Italia è
stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua
visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio
della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa
parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre
discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha
lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il
contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno
svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo. (1):
«Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così strane che
i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da
un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche
settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza
navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che tenga al
cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero
nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i
generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e
pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente
congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro
che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra
ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono
la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo
elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al Nunziante:
Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio, Comandante
Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha fatti il Conte
di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco II° (lettera
pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia Nazionale che,
secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore
prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver
genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai
piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana. Beh, Con
questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della
Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a
contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della
rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto
il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la
rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i
piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio
della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo
può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione
è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo
modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare
le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo
Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di
Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi
dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli
Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso
destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia
Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli
Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci
libereremo di questa gente maledetta.
Le Redazioni
Partigiane.
La Stampa è il cane
da guardia della democrazia: CANE CHE NON MORDE IL SUO PADRONE.
Antonio Giangrande:
LA PAROLA CAZZO NEL DIALETTO SALENTINO.
Nessuno se ne abbia
a male se il contenuto di questo scritto è un po' volgare... nel nostro dialetto
molti concetti, anche molto diversi, vengano riassunti da un'unica semplice
parola: "cazzo" ....diciamo come i puffi sostituivano tutti i verbi con il verbo
puffare. "Cazzo" in italiano è una brutta parola, ma nel nostro dialetto è molto
importante in quanto insieme ad altre spiega chiaramente il senso della
vita....In Italiano la parola CAZZO risulta volgare, nel dialetto salentino
invece è usata comunemente per sottolineare e accentuare i concetti. Scopriamo
degli esempi:
Non saprei = cce
cazzu ne sacciu
Chi se ne importa =
cce cazzu me na futtu
La situazione è
grave = mo su cazzi
Sei proprio
testardo = sinti propriu na capu de cazzu
Hai la faccia tosta
= tieni la facci ti cazzu
Chi sei? = ci cazzu
sinti?
Non ti ho mai visto
prima = chi cazzu te canusce
Chi ti credi di
essere = ci cazzu ti criti ca sinti?
Non valete niente =
non baliti nu cazzu
Mi fai cadere le
braccia = e cce cazzu
Grazie, ma lo
sapevo già = grazie allu cazzu
Ti stai ponendo con
aria un po’ troppo saccente = sta ‘rrivi bellu bellu cazzu cazzu
Chi ti autorizza a
parlarmi in questo modo? = ma ci cazzu sinti tie?
Mi stai chiedendo
qualcosa che io posso darti = ma cce cazzu vuej de mie?
Non dovresti
interessarti ai fatti che non ti riguardano = fatti li cazzi toj
Sei una persona un
po’ assillante = sinti propriu nu cacacazzi
Non ti stai
impegnando a sufficienza = nnu ‘mbali nu cazzu
Non ti ho mai visto
prima = chi cazzu te canusce
Dove sei? = addu
cazzu stai
Dove sei stato? = a
du cazzu si statu??
Dove sei andato? =
addo cazzzu sisciutu
Con chi sei uscito?
= cu ci cazzu si statu?
Non riesci a
masticare? = non dai cazzu?
Hai un’ottima
capacità di schiacciare (le noci con i denti) = Tei nu bellu cazzu
Schiacciare
mandorle = addu fatichi allu cazzu e quanto guadagni 5 lire e lu cazzu francu
Non riesco a
masticare = mi manca lu cazzu
Che disgrazia ci è
capitata = Capu ti stu cazzu!!! Ce cazzanculu ca mu cappatu!!!!
Ti hanno fatto un
bidone= hai piatu nu cazzunculu
Ti hanno fatto un
regalo = ce cazzu ete? ci cazzu l'ave ndutu?
Mi hai pestato il
piede = m'ha cazzatu lu pede
Che mangi oggi? =
ci cazzu mangi osci?...
Non sono affari
tuoi = nu su cazzi toi
E mo li rivedi i
soldi prestati = Cu lu cazzu ca me tae li sordi
Niente di niente! =
Cazzi ttaccati cu li mazzi
Caspita!
Accipicchia! = Capu de stu cazzu
Adesso basta! = m'a
cagatu lu cazzu?
Mi offenderei.
Oltre al danno, La beffa = lu cazzu nun è ca te ncazzi...ete ca te toli
Con chi mi pare =
cu ci cazzu me pare... e cu ci cazzu voiu
Non ho niente = No
tegnu nu cazzu
Chi ti vuole = ma
ci cazzu ti voli
Fatti i fatti tuoi-
fatte li cazzi toi!
Non devi guardare
proprio niente = no a uardare propriu nu cazzu
Dove andiamo? = a
du cazzu amu scire???
Non abbiamo capito
niente = imu kina nà casa de cazzi ma nn imu capitu nu cazzu!!
E ti pareva = e nà
cazzuu!!
Oggi sarà dura =
osce so cazzi amari
Questo sì che è un
bel pasticcio = quistu si ca è nu bellu cazzunculu!
Che brutto tempo!!
= Che cazzu de tiempu
Non abbiamo risolto
niente = imu dittu missa allu cazzu
Non saprei che cosa
fare = che cazzu aggiu fare?????
L'hai fatto male! =
l'ha fattu a cazzu!
Quando lo si usa
troppo la parola cazzo nel discorso = ma sempre cu lu cazzu m'ucca stai?!
Non prendermi in
giro = lu cazzu ca te futte!!!!
Prendi quel coso =-
piya du cazzunculu
Se mi arrabbio sono
fatti tuoi = ci mi incazzu so cazzi toi
Relatore che
continua a parlare fino a farti arrivare allo sbadiglio = sinceramente ma'ggiù
ruttu lu cazzu
Persona che ti
deride e maltratta = e basta mo ma'ggiu cacatu lu cazzu
Espressione di
meraviglia = Stu cazzu!
Sono entusiasta se
penso che la volgarità intesa come “vulgus” (dal latino: popolo, plebe, massa)
rappresenta anche il lato più intimo di un popolo: il linguaggio. Ad oggi troppi
volgari provano ad arrampicarsi sull’inutile montagna della raffinatezza o
eleganza millantata. Ogni stile, cultura e usanza ci deve appartenere per
rappresentarla al meglio, altrimenti è più rispettoso studiarla, ammirarla e
rispettarla. Volgare non è qualcosa da evitare, ma da custodire, facendo in modo
che non si mescoli facilmente con altri termini come maleducazione, ignoranza e
menefreghismo. Per questo in Salento la parola cazzo è usata sempre: come il
cacio su tutti i tipi di pietanza.
Rapace sul
volontariato.
Antonio Giangrande:
Imu e Tasi. Quando il Volontariato “va a farsi fottere”.
Gennaio, tempo di
notifica delle cartelle esattoriali inviate il 31 dicembre, per impedirne la
prescrizione quinquennale. Gennaio tempo di scoperte e di sorprese.
Il “No Profit” paga
Imu e Tasi dei locali dove svolge la sua attività.
Intervento del
Sociologo storico, dr Antonio Giangrande, autore, tra gli altri, anche del
saggio UGUAGLIANZIOPOLI e relativi aggiornamenti annuali.
L’Italia è il Paese
del foraggiamento a pioggia, dove tutti chiedono e dove tutti ottengono. Eppure
si trascura quel mondo fatto di centinaia di migliaia di associazioni di
volontariato: il cosiddetto “No Profit”.
Mondo che supplisce
a tutte quelle mancanze statali a sostegno dei diritti inalienabili dei
cittadini.
La Costituzione,
appunto, prevede la tutela del Principio di solidarietà e di Uguaglianza, ma,
come sempre in questa Italia, tutti i principi costituzionali vengono sempre
calpestati. Per inciso con l’intercalare: vanno a farsi fottere.
Il “No Profit”,
proprio per sua stessa definizione, non produce reddito. La sua attività si basa
sull’opera di milioni di volontari che, gratuitamente, prestano la loro opera
materiale ed intellettuale.
Il Volontariato,
non producendo reddito, va da sé, logicamente, non può acquistare nulla per sé,
né essere proprietario di alcunché.
La sede legale è
spesso sita presso un locale messo a disposizione gratuitamente dal presidente
dell’associazione, o da un suo componente, o da terzi benefattori.
Quindi di quel
locale con il COMODATO si ha l’UTILIZZO e non il POSSESSO.
Il Dlgs 504/1992
(Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta
Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), in ossequio alla
Costituzione prevedeva la dicotomia Utilizzo e Possesso, prevedendo l’esenzione
dell’Imu/Tasi sia per i possessori sia per gli utilizzatori, se diversi dai
proprietari. In questo caso viene premiato il COMODATO D’USO a fini
solidaristici.
Invece, i Comuni
hanno pensato bene di non distinguere i possessori dagli utilizzatori,
inquadrando l’esentato in una sola figura: ossia il proprietario deve essere
l’utilizzatore.
A tal riguardo si
riporta, a titolo esemplare, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana
con oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta
municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5(Immobili utilizzati dagli
enti non commerciali), discostandosi dai principi previsti dal legislatore, che
recita “L'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30
dicembre 1992, n. 504, si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli
stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale
utilizzatore”. Regolamento adottato dai Consiglieri Mario De Marco, sindaco,
Enzo Tarantini, assessore al ramo, Antonio Minò, Daniele Petarra, Antonio
Baldari, Vito Maggiore, Pietro Giangrande e Cosimo Derinaldis, presidente del
Consiglio. Il Funzionario del servizio ragioneria, Antonio Mazza, esprimeva
parere favorevole.
La casistica
riporta i casi in cui vi sia l’utilizzo indiretto di un beneficiario. Prendendo
in esame solo i casi in cui i beni ecclesiastici, di per sé esentati, vengono
utilizzati da terzi, con le stesse finalità solidaristiche. Non si parla di
possessori privati che prestano i loro beni gratuitamente alle associazioni di
Volontariato.
Si denota con
stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero
dell’Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del
1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e
la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo l’esenzione solo a quei
“No Profit” che oltre ad essere utilizzatori siano anche possessori.
Va da se che
termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo
caso si intende PROPRIETA’ O USUFRUTTO, e non COMODATO.
Il Legislatore, con
la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini
solidaristici costituzionali.
Con riferimento
agli Enti non commerciali, la Legge di Bilancio 2020 non modifica la precedente
agevolazione prevista dall’art. 7 co. 1 lett. i) del D.Lgs. 504/1992, ovvero per
tali enti prevista l’esenzione dal pagamento dell’Imu qualora ricorrano i
seguenti requisiti:
· L’immobile sia
posseduto e/o utilizzato da enti non commerciali di cui all’art. 73 co 1 lettera
c) del TUIR;
· Lo stesso sia
destinato, in via esclusiva, allo svolgimento, con modalità non commerciali, di
una o più delle attività elencate all’art. 7, co1 lett. a) del D.lgs. 504/1992
(assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche,
ricettive, culturali, ricreative e sportive).
Per la legge di
bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio
pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1 comma 759 “Sono
esenti dall'imposta, per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le
condizioni prescritte: g) gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di
cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità'
non commerciali delle attività' previste nella medesima”. Con questa
enunciazione la legge di Bilancio 2020 sembra discostarsi dai principi previsti
dal legislatore del 1992.Ma la vera novità è introdotta dalla Legge di Bilancio
2020 nell'art. 1 comma 777 che prevede la possibilità per i Comuni di prevedere
l’esenzione del pagamento IMU sugli immobili dati in comodato d’uso gratuito
alle associazioni, a prescindere dall’attività svolta dall’ente.
Art. 1 comma 777.
“Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo
52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con
proprio regolamento: (…)
e) stabilire
l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune o ad altro ente
territoriale, o ad ente non commerciale, esclusivamente per l'esercizio dei
rispettivi scopi istituzionali o statutari”.
Questo significa la
possibilità di un’esenzione del pagamento IMU sugli immobili che spesso il
presidente e / o altri dirigenti cedono a titolo gratuito. Ricordiamo che la
scelta in merito a questa esenzione viene rimandata ai comuni, quindi sarà
fondamentale verificare i regolamenti comunali e, se ce ne sono le condizioni,
fare pressione affinché il Comune si muova in tal senso.
Degna di nota è la
citazione del Comune di Falconara, in nome del vice sindaco Raimondo Mondaini,
con delega al Bilancio. Comune che tra i primi, con merito, ha previsto
l’esenzione IMU per quegli immobili ceduti gratuitamente alle associazioni di
volontariato.
Quando il
Legislatore ha configurato l’ipotesi di esenzione da Imu e Tasi per la platea
degli enti non commerciali lo ha fatto con riferimento agli immobili che vengono
direttamente utilizzati nella loro attività “istituzionale”.
In particolare, è
l’articolo 9, comma 8, D.Lgs. 23/2011 a disporre che si applica all’Imu
l’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. 504/1992 recante
disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili “destinati
esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività
assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche,
ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui
all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
Con il D.L.
16/2014, invece, al fine di assimilare il trattamento della Tasi a quello
dell’Imu, l’articolo 1, comma 3 del citato decreto rende applicabili alla Tasi
quasi tutte le esenzioni applicabili all’Imu, tra le quali certamente spicca
quella riservata agli enti non commerciali, stabilendo che “Sono esenti dal
tributo per i servizi indivisibili (Tasi) gli immobili posseduti dallo Stato,
nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle
province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove
non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati
esclusivamente ai compiti istituzionali. Sono altresì esenti i rifugi alpini non
custoditi, i punti d’appoggio e i bivacchi. Si applicano, inoltre, le esenzioni
previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), ed i) del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; ai fini dell’applicazione della lettera i)
resta ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 91-bis del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni”. E nel richiamo alla lett. i)
dell’articolo 7 D.Lgs. 504/1992 c’è proprio la citata esenzione prevista per gli
enti non commerciali ai fini Imu. Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: IMU e ONLUS ad Avetrana. Comodato e Proprietà del
Volontariato.
Disuguaglianza ed Estorsione tra i No Profit più deboli presso tutte le Avetrana
d’Italia.
Il
Possesso e l’Ipocrisia della Politica. La Violazione dei principi costituzionali
nel silenzio dei media e del Volontariato d’Elite. Una questione non di poco
conto.
La
denuncia pubblica del saggista Antonio Giangrande, presidente della Associazione
Contro Tutte Le Mafie ONLUS, già iscritto presso la Prefettura di Taranto
nell'elenco delle Associazioni Antiracket ed Antiusura. Associazione che non
riceve sovvenzionamenti pubblici o privati.
Ed
a quanto pare nemmeno risposte dagli Uffici preposti dei Ministeri interpellati
del Walfare e delle Finanze.
Oggetto: chiarimento ed interpretazione.
Riferimento: Il presidente di una associazione di volontariato - onlus – ente
non commerciale deve pagare l’Imu-Tasi, essendo usufruttuario di un immobile
dato in comodato gratuito, presso il quale si è eletta sede legale
dell’associazione e per il quale locale l’associazione se ne fa uso gratuito?
La
legge stabilisce il no. L’alta giurisprudenza e la burocrazia impone il sì.
Di
questo si fa forte il Comune di Avetrana, nella persona del Dr Mazza, che ha
voluto precisare: “difenderemo gli interessi comunali in ogni stato e grado del
giudizio. L’eventuale costituzione in giudizio comporta il pagamento del
contributo unificato. Inoltre, la parte che perde in giudizio può essere
condannata al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, maggiorate del
50% a titolo di spese del procedimento di mediazione".
Cosa è l’Imu? L'IMU, Imposta Municipale Propria, è il tributo istituito dal
governo Monti nella manovra Salva-Italia del 2011 e si paga a livello comunale
sul possesso dei beni immobiliari. È operativa a decorrere dal gennaio 2012, e
fino al 2013 è stata valida anche sull'abitazione principale. L'ICI (Imposta
comunale sugli immobili) era la vecchia tassa applicata al possesso dei beni
immobiliari prima dell'arrivo dell'IMU, a partire dal gennaio 2012. L'IMU in
buona sostanza ne ha replicato i regolamenti e i sistemi di calcolo. La tassa
sulla proprietà della prima casa:
prima del 2012: non si pagava più dal 2007, quando si chiamava ICI
2012: IMU con 0,4% di aliquota standard. Detrazione di 200 euro + 50 euro per
ogni figlio
2013: mini IMU di gennaio, la differenza fra l’IMU calcolata con aliquota allo
0,4% e con quella del comune. Niente detrazioni. In discussione l’eliminazione
di questo conguaglio.
Dal
2014: Tasi con aliquota standard allo 0,1%, detrazioni 200 euro + 50 euro per
ogni figlio.
Cos’è il Volontariato? Il Volontariato è quell’insieme di sodalizi che operano
sussidiariamente nei vari campi dei servizi pubblici, laddove lo Stato non vuole
o non può operare. A favore del Volontariato sono previste delle agevolazioni
fiscali e dei sostegni economici a ristoro di progetti inclusivi ed accoglibili.
Da questo quadro d’insieme, però, sono osteggiate le piccole realtà
solidaristiche, spesso non incluse nel grande sistema della solidarietà
partigiana, foraggiata dalla politica amica. I grandi nomi, sponsorizzati con
partigianeria dai media e sostenuti economicamente dalla politica, non hanno
difficoltà ad acquistare gli immobili dove hanno la sede locale o dove operano.
Le miriadi piccole realtà, distribuite sul territorio e con maggior valore per
l’intervento di prossimità, non hanno sostentamento e quindi si sorreggono con
le liberalità degli associati. Gli immobili dove operano sono dati in comodato
dagli stessi membri del sodalizio.
Qual è il sostegno al Volontariato? 5XMille; Finanziamento pubblico di progetti
per ogni ramo di intervento; donazioni private
Quali sono e agevolazioni ed esenzioni fiscali al Volontariato? I benefici
fiscali per le organizzazioni di volontariato e le onlus (Da ipfonlus.it). Oltre
che dalla legge istitutiva, sono stati riconosciuti, a favore delle
organizzazioni di volontariato, numerosi vantaggi anche da parte di una serie di
altri provvedimenti legislativi, fra i quali assume particolare rilievo il
decreto legislativo 460/97, relativo al riordino ed alla disciplina tributaria
degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità
sociale (Onlus). Tali vantaggi sono estesi alle organizzazioni di volontariato,
in forza di esplicito rinvio con il quale vengono considerate Onlus le
organizzazioni di volontariato, purché iscritte nei registri regionali. I
benefici riconosciuti con il suddetto decreto possono essere suddivisi in due
parti: agevolazioni ed esenzioni.
Agevolazioni. Le agevolazioni riguardano:
le
imposte sui redditi;
le
erogazioni liberali;
l’imposta sul valore aggiunto;
le
ritenute alla fonte;
l’imposta di registro;
le
lotterie, le tombole, le pesche e i banchi di beneficenza.
È
il caso di fare qualche accenno su ognuna di esse. Le agevolazioni ai fini delle
imposte sui redditi riguardano il solo reddito di impresa e non si riferiscono
ad altre categorie reddituali che concorrono alla formazione del reddito
complessivo.
Per
le erogazioni liberali, il decreto legislativo pone, da una parte, le persone
fisiche e gli enti non commerciali e, dall’altra, le imprese. I primi possono
detrarre dall’imposta lorda le erogazioni liberali in denaro, fatte a favore
delle organizzazioni di volontariato, per un importo fino a quattro milioni di
lire.
Per
le imprese è prevista una serie di deduzioni che riguardano:
–
le erogazioni liberali in denaro per un importo non superiore a quattro milioni
di lire o al due per cento del reddito di impresa dichiarato;
–
le spese relative all’impiego dei lavoratori dipendenti assunti a tempo
indeterminato, utilizzati per prestazioni di servizi a favore delle
organizzazioni di volontariato, nel limite del cinque per mille dell’ammontare
complessivo delle spese per prestazioni di lavoro dipendente;
–
la cessione gratuita alle organizzazioni di volontariato, in alternativa alla
usuale eliminazione dal circuito commerciale, di derrate alimentari, di prodotti
farmaceutici e di beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività
dell’impresa.
Le
disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto (Iva) prevedono una serie
di agevolazioni per prestazioni effettuate da organizzazioni di volontariato o a
favore delle stesse organizzazioni. Esse attengono a:
–
divulgazione pubblicitaria;
–
cessioni di beni-merce;
–
trasporto di malati o feriti con veicoli all’uopo equipaggiati;
–
educazione dell’infanzia e della gioventù e didattica di ogni genere anche per
la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e la riconversione
professionale. In esse sono comprese anche le prestazioni relative all’alloggio,
al vitto ed alla fornitura di libri e materiali didattici come pure le lezioni
relativi a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo
personale;
–
attività socio sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in
comunità, in favore di persone svantaggiate, rese dalle organizzazioni di
volontariato sia direttamente sia in esecuzione di appalti,
convenzioni e contratti in genere.
Le
organizzazioni di volontariato inoltre, non sono soggette all’obbligo di
certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale.
Per
quanto riguarda la ritenuta alla fonte, non viene applicata la ritenuta del
quattro per cento a titolo di acconto sui contributi corrisposti alle
organizzazioni di volontariato dagli enti pubblici. Inoltre, la ritenuta sui
redditi di capitale corrisposti alle organizzazioni di volontariato viene
considerata a titolo di imposta anziché di acconto.
Relativamente all’imposta di registro, occorre distinguere fra Onlus e
organizzazioni di volontariato. Per quanto riguarda le prime, è da sottolineare
che tutti gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili
in genere e gli atti traslativi o contributi di diritti reali immobiliari di
godimento, compresa la rinuncia ad essi, destinati ad essere utilizzati
nell’ambito delle attività statutarie, deve essere corrisposta, per la
registrazione, la cifra fissa di lire 250 mila.
Per
quanto concerne le organizzazioni di volontariato, occorre fare riferimento alla
legge-quadro la quale prevede la totale esenzione dall’imposta di registro. Con
l’autorizzazione dell’Intendenza di finanza e previo nulla osta delle
prefetture, le organizzazioni di volontariato possono effettuare lotterie,
tombole, pesche e banchi di beneficenza, con le seguenti limitazioni:
per
le lotterie è previsto che la vendita di biglietti deve riguardare il solo
territorio della provincia. I biglietti vanno staccati da registri a matrice in
numero determinato. L’importo complessivo di ogni lotteria non può superare i
100 milioni di lire;
per
le pesche e i banchi di beneficenza, le operazioni sono limitate al territorio
del comune in cui esse hanno luogo. Il ricavato complessivo non può superare i
100 milioni di lire.
Esenzioni. Le esenzioni riguardano:
l’imposta di bollo;
le
tasse sulle concessioni governative;
l’imposta sulle successioni e sulle donazioni;
l’imposta sostitutiva;
l’imposta sull’incremento di valore degli immobili e della relativa imposta
sostitutiva;
l’imposta sugli spettacoli;
le
raccolte pubbliche occasionali di fondi;
i
contributi per lo svolgimento convenzionato dell’attività.
Anche su ognuna di esse si ritiene utile fare qualche accenno.
Sono esenti dall’imposta di bollo:
gli
atti, i documenti, le istanze, i contratti, le copie anche se dichiarate
conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni
poste in essere oppure richieste dalle organizzazioni di volontariato.
Sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative
tutti gli atti ed i provvedimenti concernenti le organizzazioni di volontariato.
Sono pure esenti dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni i
trasferimenti a favore delle organizzazioni di volontariato.
Agli immobili acquistati a titolo gratuito, anche per causa di morte, non si
applica l’imposta sull’incremento di valore. Lo stesso trattamento è riservato
all’imposta sostitutiva di quella comunale sull’incremento di valore degli
immobili.
L’imposta sugli spettacoli non è dovuta per le attività spettacolistiche svolte
occasionalmente dalle organizzazioni di volontariato in concomitanza di
celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Per ottenere
l’esenzione è necessario dare comunicazione, prima dell’inizio della
manifestazione, all’ufficio accertatore territorialmente competente.
Sono da considerarsi attività spettacolistiche:
–
gli spettacoli cinematografici e misti di cinema e avanspettacolo, comunque ed
ovunque dati, anche se in circoli e sale private;
–
gli spettacoli sportivi di ogni genere, ovunque si svolgano, nei quali si
tengano o meno scommesse;
–
gli spettacoli teatrali; le esecuzioni musicali di qualsiasi genere, escluse
quelle effettuate a mezzo di elettrogrammofoni a gettone o a moneta; i balli, le
lezioni di ballo collettive, i veglioni e altri trattenimenti di ogni natura
ovunque si svolgano e da chiunque organizzati; i corsi mascherati e in costume,
le rievocazioni storiche, le giostre e tutte le manifestazioni similari;
–
gli spettacoli teatrali di opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia
musicale, rivista, concerti vocali e strumentali; le attività circensi e dello
spettacolo viaggiante;
–
gli spettacoli di burattini e marionette ovunque tenuti;
–
le mostre e le fiere campionarie;
–
le esposizioni scientifiche, artistiche e industriali, rassegne cinematografiche
riconosciute con decreto del Ministero per le finanze e altre manifestazioni
similari di qualunque specie.
Il
Ministro delle finanze può stabilire, con proprio decreto, quando le suddette
attività sono da considerarsi occasionali.
Le
raccolte pubbliche occasionali di fondi non concorrono alla formazione del
reddito delle organizzazioni di volontariato anche se esse avvengono mediante
offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori in concomitanza di
celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
Anche in questo caso, il Ministero delle finanze può stabilire, con proprio
decreto, condizioni e limiti atti a definire occasionali le predette attività.
Non
concorrono alla formazione del reddito i contributi corrisposti alle
organizzazioni di volontario da amministrazioni pubbliche per lo svolgimento
convenzionato di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai
fini istituzionali.
Altre agevolazioni
Tutti i vantaggi e le esenzioni finora segnalati sono riconosciuti dalla
normativa nazionale. Ci sono, però, alcuni tributi che sono di pertinenza di
comuni, provincia, regioni e province autonome. Per essi, i predetti enti
possono prevedere la riduzione oppure, addirittura, l’esenzione. (Da
ipfonlus.it)
IMU
e ONLUS. Qual è la discrepanza tra Norme, Principi Costituzionali e pratica
burocratica?
Il
Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I,
Capo I (Imposta Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni),
recita: “Sono esenti dall'imposta:
a)
gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonchè dai
comuni, se diversi da quelli indicati nell'ultimo periodo del comma 1
dell'articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle
unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui
all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio,
industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti
istituzionali;
(…)
i)
gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera
c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,e successive modificazioni, fatta
eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque
assoggettati all'imposta indipendentemente dalla destinazione d'uso
dell'immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non
commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca
scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché
delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985,
n. 222”. L'esenzione spetta per il periodo dell'anno durante il quale sussistono
le condizioni prescritte (art. 7, comma 2 Dlgs 504/1992).
Per
la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e
bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1, comma
777. “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui
all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni
possono con proprio regolamento: (…)
e)
stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune o ad
altro ente territoriale, o ad ente non commerciale, esclusivamente per
l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o statutari”.
Questa è una Interpretazione autentica: Proviene dallo stesso soggetto che ha
emanato la norma, al fine di eliminare incertezze e dubbi. Essendo contenuta in
un atto avente forza di legge è vincolante per tutti; alla norma in questione
non sarà più attribuibile un significato diverso da quello fissato dalla legge
interpretativa.
Questa è una interpretazione EVOLUTIVA E’ necessario interpretare una
disposizione normativa non solo facendo riferimento al contesto passato in cui è
stata emanata ma anche a quello attuale in cui è in vigore.
Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 10.03.2020, n. 6752. E' bene al
riguardo rammentare che l'attività ermeneutica, in consonanza con i criteri
legislativi di interpretazione dettati dall'art. 12 preleggi, deve essere
condotta innanzitutto e principalmente, mediante il ricorso al criterio
letterale; il primato dell'interpretazione letterale è, infatti, costantemente
ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (vedi ex multis, Cass. 4/10/2018 n.
241651 , Cass. 21/5/2004 n. 97002 , Cass. 13/4/2001 n. 3495) secondo cui
all'intenzione del legislatore, secondo un'interpretazione logica, può darsi
rilievo nell'ipotesi che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da
rifiutare una diversa e contraria interpretazione. Alla stregua del ricordato
insegnamento, l'interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che
risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro
formulazione tecnico giuridica.
L’Intenzione del legislatore è chiara, ma racchiusa in quella deleteria delega
agli enti locali, che sistematicamente disapplicano lo scopo ed i principi della
legge.
Inoltre la mancata applicazione dell’art. 1, comma 777, della legge 160/2019
comporta la violazione dell’art. 3 della Costituzione. L’ampia discrezionalità
concessa ai singoli Comuni circa la possibilità di esentare da IMU – o meno –
gli immobili concessi in comodato unita all’assenza di criteri univoci utili a
garantire un trattamento di eguaglianza nei confronti degli enti interessati,
potrebbe portare disparità di trattamento - verso gli immobili concessi in
comodato - per i diversi contribuenti che risiedono all’interno di un raggio
territoriale limitato a pochi km di distanza l’un l’altro, ovvero ad eventuali
calcoli di convenienza tra le parti nello svolgere le proprie attività in
territori comunali con immobili ad “esenzione garantita” a favore del comodante,
verso il quale sarebbe auspicabile un chiarimento sia a livello legislativo,
oltre che di prassi, al fine di evitare il proliferarsi di eventuali contenziosi
nei confronti dei Comuni interessati a non concedere il beneficio agevolativo di
esenzione in parola.
Si
denota con stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il
Ministero dell'Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del
legislatore del 1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte
Costituzionale e la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo
l'esenzione solo a quei "No Profit" che oltre ad essere utilizzatori siano anche
possessori.
Va
da sè che termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in
questo caso si intende PROPRIETA' O USUFRUTTO, e non COMODATO. Il Legislatore,
con la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini
solidaristici costituzionali.
A
tal riguardo, di contro, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana con
oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta
municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5 (Immobili utilizzati dagli
enti non commerciali), discostandosi dai principi previsti dal legislatore,
recita “L'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30
dicembre 1992, n. 504, si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli
stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale
utilizzatore”.
Giunte di destra e di sinistra si sono succedute. Ma ad Oggi le Avetrana di
tutta Italia non hanno nessuna intenzione di allargare le magie dell’esenzione.
Sul
tema è intervenuta anche la giurisprudenza che, discostandosi dai principi
previsti dal legislatore, ha circoscritto l’ambito applicativo dell’esenzione ai
soli immobili che risultano posseduti ed utilizzati allo stesso tempo dall’ente
non commerciale.
Con
le ordinanze 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, la Corte costituzionale ha
dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 59 co. 1 lett. c) del DLgs. 15.12.97 n. 446, in relazione all’art. 7
co. 1 lett. i) del DLgs. 30.12.92 n. 504. Secondo la Consulta, tale disposizione
non innova la disciplina dei requisiti soggettivi richiesti dalla richiamata
lett. i), in quanto “l’esenzione deve essere riconosciuta solo all’ente non
commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo
svolgimento delle attività ivi elencate”.
La
Corte di Cassazione, in più sentenze, ha espressamente subordinato il
riconoscimento del diritto all’esenzione alla duplice condizione soggettiva che
l’ente non commerciale possieda ed utilizzi l’immobile; e tale orientamento
troverebbe fondamento nella “costante giurisprudenza di questa Corte” che in
materia duplice condizione “dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte
dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari
che non siano produttive di reddito”.
Chiarimenti sono pervenuti anche dall’Amministrazione finanziaria. La circolare
Min. Economia e Finanze 26.1.2009 n. 2/DF si è limitata a richiamare le
ordinanze della Corte Cost. 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, ravvisandovi
elementi atti a sostenere che l’esenzione “deve essere riconosciuta solo
all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza
direttamente per lo svolgimento delle attività … elencate” alla lett. i)
dell’art. 7 co. 1 del DLgs. 504/92. Nello stesso senso si è espressa anche la
ris. Min. Economia e Finanze 4.3.2013 n. 4/DF che ha ritenuto applicabili
all’IMU le sopra richiamate sentenze della Corte costituzionale, oltre alla
Cass. 30.5.2005 n. 11427.
Di
senso opposto ed in ossequio ai principi previsti dal legislatore, si è
conformata la giurisprudenza prevalente successiva. Si sta formando in
giurisprudenza un indirizzo per cui l’esenzione da Imu e Tasi non spetta
solamente ai soggetti che utilizzano direttamente l’immobile per il
soddisfacimento dei propri fini istituzionali, ma anche a coloro che concedono
in uso gratuito lo stesso immobile a realtà che lo utilizzano nel perseguono
delle medesime finalità istituzionali del soggetto concedente.
Con
riferimento al vincolo dell’utilizzo “diretto” dell’immobile, quale requisito
inderogabile per riconoscere l’esenzione, recente giurisprudenza sta mettendo in
crisi tale concetto, riconoscendo il beneficio anche nei casi in cui lo stesso
immobile sia stato concesso in comodato a soggetti che, a loro volta, lo
utilizzano per il perseguimento dei propri fini istituzionali, anch’essi
meritevoli di tutela. L’esenzione spetta anche per gli immobili in comodato.
La
gratuità del comodato giustifica l'esenzione dal pagamento dell'Imu per gli enti
non commerciali che svolgono attività meritevole. Questa la conclusione
"progressista" cui giunge il Mef nella risoluzione 4DF del 4.3.2013. Nella
risoluzione 4/DF del 4.3.2013, il Mef tratta il caso di un ente non commerciale
che concede in comodato gratuito un immobile di sua proprietà ad un altro ente
non commerciale, per lo svolgimento di attività meritevoli. Il Mef stravolge
l'orientamento prevalente della Corte di Cassazione e della Corte
costituzionale, che hanno da sempre richiesto la coincidenza soggettiva tra
proprietario e utilizzatore dell'immobile, sostenendo che ciò che conta è la
gratuità della concessione, e quindi la non formazione di reddito in capo
all'ente. Secondo alcune pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di
Cassazione, l'esenzione per gli enti non commerciali si applica a condizione che
l'immobile sia posseduto e utilizzato per attività meritevoli (articolo 7 comma
1 letera i del D.lgs. 504/1992) direttamente dallo stesso ente non commerciale,
circostanza che non avviene in caso di concessione in comodato ad un altro ente
non commerciale. Per attività meritevoli si intendono quelle assistenziali,
previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreativi,
sportive, di religione e di culto.
In
netto contrasto con questa soluzione il Ministero, nella risoluzione 4/DF,
conclude affermando che l'esenzione Imu si applica nel caso di immobili concessi
in comodato a titolo gratuito ad altri enti dello stesso tipo. Secondo il Mef,
infatti, l'elemento decisivo per l'applicazione o meno dell'Imu è la presenza di
un reddito determinato dall'immobile, che nel caso del comodato a titolo
gratuito non sussiste.
A
sostegno di questa tesi, nella risoluzione si richiama la sentenza n. 11427/2007
della Corte di Cassazione che ha trattato il caso di un immobile dato in
locazione. Anche in questo caso si verificava la non coincidenza tra soggetto
proprietario e soggetto utilizzatore dell'immobile, che secondo il principale
orientamento della giurisprudenza escludeva l'applicabilità dell'esenzione. In
tale sentenza però la Corte di Cassazione, esclude l'applicabilità
dell'esenzione per il fatto che la locazione determinava un reddito in capo
all'ente, indice di una determinata capacità contributiva, non idonea a
giustificare l'agevolazione.
Nel
caso del comodato gratuito, invece, a differenza della locazione non si genera
alcun reddito in capo all'ente, e pertanto l'esenzione si applica.
Ovviamente l'ente utilizzatore non deve pagare l'Imu perché non è soggetto
passivo, ma deve fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso
l'immobile, tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento
degli obblighi tributari sia di carattere formale che sostanziale.
D'altra parte l'orientamento "elastico" del Mef è da apprezzare, considerando
che ha voluto cogliere la ratio più profonda della norma. L'esenzione, infatti,
è il giusto riconoscimento del valore sociale apportato dagli enti no profit
attivi in settori particolarmente delicati della vita dei cittadini. È proprio
il carattere non lucrativo l'elemento che giustifica l'esenzione, e che tra
l'altro, esprimendosi in termini di umanizzazione, costituisce un "ritorno"
nelle tasche dei cittadini. E' pertanto la natura del contratto di comodato e la
sua non onerosità a consentire al ministero di giustificare l'esenzione Imu.
Restano ovviamente soggetti a tassazione gli immobili locati in quanto l'affitto
rappresenta un reddito e una fonte di ricchezza che è oggettivamente
incompatibile con gli obiettivi che le norme sull'esenzione dall'Imu tutelano.
Peraltro l’Amministrazione Finanziaria, contrariamente a quanto affermato dalla
su indicata giurisprudenza, con le Risoluzioni n. 3 e 4 del 4 marzo 2013 ha
chiarito che un ente commerciale che conceda in comodato un immobile ad un altro
ente non commerciale per l’esercizio di attività non commerciale gode ugualmente
dell’esenzione IMU.
È
infatti con la sentenza n. 3528/2018 che la suprema Corte di Cassazione ha
stabilito che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento delle
imposte locali per il fatto di essere accreditati o convenzionati con la
pubblica amministrazione. La sottoscrizione di una convenzione con l’ente
pubblico, quindi, non garantisce che l’attività venga svolta in forma non
commerciale e che i compensi richiesti siano sottratti alla logica del profitto.
In tutte queste situazioni, pertanto, al fine di valutare l’esenzione, si
dovranno verificare con molta attenzione le caratteristiche dell’attività svolta
dall’ente non commerciale, non essendo sufficiente limitarsi alla verifica
dell’esistenza di una convenzione con la pubblica amministrazione. In sintonia
con l’ultima sentenza citata anche l’ordinanza n. 10754/2017 con la quale,
sempre la Cassazione, ha affermato che le scuole paritarie sono soggette al
pagamento dei tributi locali, e quindi non godono dell’esenzione, se l’attività
non viene svolta a titolo gratuito o dietro richiesta di una somma simbolica.
In
condizioni normali, dopo l’istanza in autotutela, rigettato, e dopo il
reclamo-ricorso, rigettato, si potrebbe agire in giudizio presso la Commissione
Tributaria Provinciale, ove si ponesse fiducia nel giudice illuminato e
preparato sicuri della vittoria. Però il Comune di Avetrana, nella persona del
Dr Mazza ha voluto precisare: “difenderemo gli interessi comunali in ogni stato
e grado del giudizio. L’eventuale costituzione in giudizio comporta il pagamento
del contributo unificato. Inoltre, la parte che perde in giudizio può essere
condannata al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, maggiorate del
50% a titolo di spese del procedimento di mediazione".
Ciò
significa che trovato il giudice illuminato a Taranto, ritrovato un ulteriore
giudice illuminato a Bari, per forza di cose ci ritroviamo a Roma dove gli
ermellini si guarderebbero bene a rinnegare i loro precedenti.
Quindi il novello Davide “Antonio Giangrande”, pur in una famiglia di avvocati e
con pochezza di risorse, contro il Golia “Comune di Avetrana”, con risorse
comunali illimitate, pur nella ragione, soccomberebbe.
Gli
avversari troppo forti, quali sono la burocrazia e la giurisprudenza.
Il
legislatore inane, che in assenza di una politica rappresentativa degli
interessi diffusi, che non afferma i suoi principi e metta fine a questa
sperequazione, favorisce l’intimazione, l’oppressione e l’omertà.
Ergo: Dr Antonio Giangrande, paga, subisci e taci!
Dr
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: “SPECULOPOLI. FISCO E MONOPOLI”. Il libro di Antonio
Giangrande.
COME SI COMBATTE LA CRISI E L’EVASIONE FISCALE? UCCIDENDO LAVORO ED IMPRESA E
SPOLPANDO I POVERI CRISTI.
Quale è la nazione dove di permette ai professionisti, come per esempio gli
avvocati, di sfruttare i praticanti, non pagandoli o pagandoli poco od a nero,
ed omettendo di pagare loro i contributi, mentre si rastrellano i poveri
coltivatori, artigiani, commercianti, al fine di estorcere loro quel poco che
hanno ed inibendo il proseguo dell’attività, costringendoli al suicidio
economico e spesso anche fisico? Come si chiama quella nazione dove i giornali
vanno dietro alle veline dei magistrati ed al gossip ed ignorano le richieste di
aiuto dei poveri contribuenti per far cessare la mattanza?
In
Italia naturalmente. Basta denunciare il fatto. Ed è quello che si fa con il
saggio “Speculopoli. Fisco e Monopoli”. E’ da venti anni che studio il sistema
Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono
scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del
Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi
l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla
politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Siamo basiti, scrive Vittorio Feltri su “Il Giornale”. «Ieri (20 agosto 2014)
apriamo il Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: “Due
uomini dai pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti”. Chi è costei? La moglie
di Massimo Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara
Gambirasio, l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi
per via del suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda
perché è stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a
conoscenza. Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa
ennesima incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti,
appunto - che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa
trovarne, avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima
probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che non
ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai provato a
farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato quest'ultimo
particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono presentati
(spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli inquirenti di
avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la verità o no?
Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò che vuole con
chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con nessuno, tranne il
marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una sposa già distrutta
dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse che
c'entrano due supposte (non accertate) relazioni avute dalla donna in questione
con il delitto di Yara commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna
importanza - fondato o infondato che sia - ai fini di accertare la verità.
Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato
negli atti processuali che due linguacciuti asseriscono di essersi divertiti,
sessualmente parlando, con la consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a
essere inguaiato per un omicidio, nonché detenuto, adesso è anche formalmente
cornuto agli occhi di chi si pasce di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo
uomo agli arresti, tre figli da mantenere (in assenza di un reddito), un futuro
nebuloso, gli avvocati da pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la
reputazione passando ufficialmente (zero prove) per puttana».
A
fronte di uno stillicidio mediatico rispetto ad una notizia con valore zero,
dall’altra parte troviamo uno dei tanti, troppi casi, di ordinaria pazzia, che
non meritano l’attenzione dei media.
La
storia di Salvatore Lo Cascio di Monte Porzio Catone, in provincia di Roma.
Roma. Italia. “Dopo una vita di fatica, costretto alla fame ed al freddo. E
nessuno mi dà retta”.
Questa lettera mi è arrivata da un signore che scrive dal Lazio, ma che può
pervenire da qualsiasi località italiana.
«Dr
Antonio Giangrande, da semplice ed onesto cittadino sto vivendo la più assurda
situazione:
1°
-Servizi idrici totalmente chiusi da 33 mesi.
2°
-Lavoro bloccato, il Comune mi ha tolto la licenza di vendita di ciò che produco
da 33 mesi.
3°
-L’Inps mi ha cancellato da coltivatore diretto iscrivendomi alla categoria
commercianti e, tassandomi per tale, ha ipotecato tutto ciò che ho e per gli
effetti Equitalia minaccia espropriazioni. Ho denunciato ogni casa a
Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, tribunali. Tutto giace
archiviato, ne letto ne ascoltato, messo a tacere. Ho inviato denuncia al C.S.M.
per occultamento della denuncia nel Tribunale di Velletri, ho inviato messaggi
scritti al Capo dello Stato, messaggi email a Matteo Renzi, a Pietro Grasso. Una
lettera è stata inviata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Tutte le
richieste alle testate giornalistiche e televisive non hanno avuto risposta. Non
posso cercare soluzione tramite un bravo avvocato perchè non ho alcun mezzo
economico. Io non chiedo aiuti economici, me li hanno offerti dalla Calabria
dopo la mia esternazione in TV su Rete 4 a “5ª Colonna.” Chiedo esclusivamente
di non essere messo a tacere. Ho inviato email e lettere alla Merkel,
all'ambasciatore Germanico a Roma, al Tribunale Diritti Umani di Strasburgo. Ho
cercato sostegno agli avvocati delle associazioni dei consumatori e dei
sindacati. Nulla.»
Dopo questa richiesta di aiuto ho fatto delle ricerche per conferma ed
approfondimento, rinunciando alla marea di carte inutili che in casi simili le
vittime son pronte ad inondarti. In effetti solo un giornale locale ne ha
parlato. E’ stata la giornalista Lucrezia La Gatta su “La fiera dell’est” del 21
dicembre 2013. Essa parla di come il sistema spolpa i poveri cristi ed io le do
rilevanza nazionale. Non gliene fregherà niente a nessuno e non si caverà un
ragno dal buco. Intanto io il mio dovere l’ho fatto, altri chissà…..
“La
storia di Salvatore Lo Cascio, residente a Monte Porzio Catone, è una storia di
privazioni ed ingiustizie. Con una casa ipotecata e la licenza agricola revocata
a 62 anni. La sua vita avanti tra una battaglia e l’altra. «Lavoro come
agricoltore da quando ero ragazzo - spiega Salvatore - ho iniziato vendendo i
prodotti del mio terreno all'ingrosso poi, a seguito delle nuove leggi, ho
dovuto optare per la Convenzione di Tipo A per l'occupazione di suolo pubblico
presso la Piazza del Mercato di Monte Porzio Catone». Ci viene mostrata una
fotocopia della licenza nella quale si legge che la Convenzione di Tipo A
permette la vendita dei prodotti agricoli quotidianamente. Il 25 novembre 2011 è
arrivata, però, una lettera da parte del Comune dove si fa presente che
l'accordo con Salvatore Lo Cascio prevede che la vendita dei suoi prodotti
avvenga esclusivamente di martedì. Il 1 dicembre 2011, inoltre, arriva una
lettera da parte del Comune dove si annuncia la revoca dell'occupazione del
suolo pubblico. Quello che viene detto, dunque, è che la sua licenza fosse stata
di tipo B, la quale prevede la vendita dei prodotti per uno o più giorni a
settimana, in base agli accordi. «Ho mandato lettere al Comune di Monte Porzio
Catone, ho sporto denuncia al Tribunale di Velletri, ho protestato davanti
Montecitorio, ma nessuno mi ha mai risposto» continua a spiegarci mostrandoci
tutte le lettere e le denunce sporte negli ultimi anni. Il periodo in cui viene
revocata la Licenza Agricola al sig. Lo Cascio coincide con la fondazione di
un'Associazione Commercianti di Monte Porzio, la quale utilizza proprio la
Piazza del Mercato. Da quel giorno Salvatore ha smesso di lavorare all'età di 62
anni: «Dopo anni di sacrifici mi sarei aspettato una pensione ed una vita
tranquilla, invece ora mi ritrovo senza un lavoro e con una casa ed il terreno
ipotecati». Negli anni, il signor Lo Cascio ha accumulato 120.000 euro di
arretrati: una cifra che l'INPS, tempo fa, aveva richiesto di riunire nel giro
di soli cinque giorni. Non avendo le disponibilità economiche per coprire il
debito, Equitalia ha proceduto con l'ipoteca. Neanche le lettere inviate
all'Agenzia Delle Entrate, alla Regione Lazio, alla Federconsumatori ed alla
Confesercenti hanno saputo porre rimedio al danno subìto. «Mi hanno distrutto la
vita e la famiglia - ci racconta - mia moglie è costretta a lavorare come
badante e donna delle pulizie per guadagnare quel poco che ci fa andare avanti».
Salvatore ha sempre portato avanti le sue battaglie personalmente, non avendo le
disponibilità economiche per assumere un legale. Dopo l'ennesima opposizione
alla richiesta di archiviazione della sua pratica, risalente al 9 ottobre 2013,
il 20 novembre arriva finalmente una lettera protocollata 796/13 PM e 5914/13
GIP dove si annuncia la prima seduta del 13 marzo 2014, al Tribunale di
Velletri, dove verrà analizzata la revoca della licenza agricola del sig. Lo
Cascio. Un piccola soddisfazione per l'agricoltore, dopo anni di silenzi e di
indifferenza totale. Nonostante la bella notizia, non si può affermare che ora
Lo Cascio possa vivere in tranquillità: tra il terreno ipotecato e la mancanza
di lavoro, i sacrifici e le sofferenze non terminano qui. In lacrime, conclude:
«Il problema di un singolo non fa notizia».
Dr
Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande:
ITALIA DA ROTTAMARE. GIUGNO. LA FARSA DEL PAGAMENTO DELLE TASSE
Giugno tempo di
tasse e di prese per il culo. Imu, Tari, Tasi, Tares, Redditi, ecc. Chi più ne
ha, più ne mette. Non si capisce cosa pagare a chi? Però alla fine nulla si può
pagare. Perché i burocrati sono sempre in ritardo. E poi dicono che i cittadini
evadono….
Se ne occupa
Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, tra cui
“Speculopoli. L'Italia delle speculazioni. Fisco e monopoli”. Libri che
raccontano questa Italia alla rovescia. Giangrande per una scelta di libertà si
pone al di fuori del circuito editoriale. Libri dettagliati che fanno la storia,
non la cronaca, perché fanno parlare i testimoni del loro tempo.
«Sono orgoglioso di
essere diverso. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi
diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io,
in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo
sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo
sottosopra. Che cazzo di vita è? Già ho rinunciato a chiedere l’iscrizione
all’elenco dei beneficiari del 5X1000, in qualità di presidente di una
associazione antimafia ONLUS, per i disservizi dell’Agenzia delle Entrate. Cosa
che ha già promosso una interrogazione parlamentare. Tra ladrocini a go go,
(vedi Expo e Mose) e puttanizi vari, dove ognuno si prostituisce per un favore
indebito - dice Giangrande - con la regola da rispettare degli appalti pubblici
taroccati ed i concorsi ed esami pubblici truccati, ci tocca pure pagare i
boiardi di Stato. Ci fanno una testa così a proposito dell’evasione fiscale. Si
sono inventati gli studi di settore e cazzate varie. Ciononostante, anche se non
hai incassato un euro, ti tocca addossarti l’onere di farlo sapere all’agenzia
delle entrate che, guarda caso, ti complica la vita. Da buon cittadino onesto,
cerco di far da me la dichiarazione Unico Persone Fisiche 2014. Il primo di
giugno mi metto di buona lena, consapevole del fatto che, mai sia, si superi i
termini di presentazione ed allora son cavoli amari. Mi metto a scaricare tutta
la massa di software che l’agenzia indica nelle pagine più disparate. E’ come
cercare il tesoro. Bene. Una volta che pensi di aver fatto tutto quanto precede
la benedetta dichiarazione on line, cominci a compilarla, con in allegato lo
studio di Settore, pensato da lunatici burocrati. Arrivati alla fine di Unico,
al modello RX, la schermata mi informa che è impossibile completare
l’operazione, in quanto non si può effettuare il controllo. Provo e riprovo per
giorni e notti. Riscarico i programmi, casomai ci sono errori nel mio PC.
Niente. Sono depresso e stanco. A quel punto mi chiedo: ma son veramente un
coglione? Sbaracco tutto e vado da un Caf o un commercialista, pago la tangente
di Stato per la compilazione di Unico e così sto a posto? Ma mi viene un dubbio:
vuoi vedere che i coglioni sono altri? E mi metto a cercare i forum dei
disgraziati come me. E cerca, che trovi, sul forum di fisco e tasse mi ritrovo
qualcuno con lo stesso mio problema.
Scrive Re Artù.
“Ciao. Sono un artigiano ex minimo, in contabilità supersemplificata ma soggetto
agli studi di settore. Ho elaborato il mio Unico PF - il mio quadro " G " -
elaborato con Gerico2014 il tutto risultato congruo e coerente - allego il
relativo file all'Unico2014, vado in RN e RX per stampare in miei bravi mod. F24
ed andare in banca a pagare, cosa mi dice il programma di UNICO: "Il modulo di
controllo dei record relativi agli studi di settore non è ancora disponibile,
non è pertanto possibile eseguire il controllo completo della dichiarazione". Ma
possibile che ogni anno si debbano mettere in difficoltà una intera categoria di
artigiani che vogliono fare il loro dovere, cioè pagare onestamente le tasse e
nel giusto termine imposto dalla legge, senza arrivare col fiatone ad eventuali
proroghe (che ci saranno vedrete). Cosa fanno i programmatori dell'ADE, perché
non perfezionano in tempo questi programmi messi in rete ogni anno sempre più in
ritardo. Sapete se debbo essere io a scaricarmi questo modulo di controllo e se
sì dove debbo andare a ricercarlo, oppure l'aggiornamento avviene
automaticamente nel pacchetto di UNICO2014? Scusate ma non se ne può più. Ciao a
tutti.”
Risponde Rocco, un
buon samaritano. “Stai calmo, non ti arrabbiare. Innanzitutto è in arrivo la
proroga dei versamenti di UNICO per i contribuenti che applicano gli studi di
settore. Il modulo di controllo degli studi di settore non è ancora disponibile;
trattasi di modulo superato da quello di controllo di UNICO. Pertanto, in
presenza di mod. UNICO con allegato il modello sds, non potrai trasmettere la
dichiarazione se il modulo di controllo non viene reso disponibile. Devi
pazientare ancora un po', considerando che la scadenza per l'invio telematico è
il 30/09/2014. Saluti.”
“E' la solita
"farsa" di ogni anno. Grazie Rocco. Saluti.” Risponde rassegnato Re Artù. Allora
mi chiedo. Ma per quanto tempo ancora ci devono prendere per il cu…….e non
perdere la pazienza?»
Dr Antonio
Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia