Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

ANNO 2023

FEMMINE E LGBTI

PRIMA PARTE


DI ANTONIO GIANGRANDE


 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO


 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.


 

IL GOVERNO


 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.


 

L’AMMINISTRAZIONE


 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.


 

L’ACCOGLIENZA


 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.


 

GLI STATISTI


 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.


 

I PARTITI


 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.


 

LA GIUSTIZIA


 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.


 

LA MAFIOSITA’


 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.


 

LA CULTURA ED I MEDIA


 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.


 

LA SOCIETA’


 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?


 

L’AMBIENTE


 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.


 

IL TERRITORIO


 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.


 

LE RELIGIONI


 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.


 

FEMMINE E LGBTI


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.


 


 


 

FEMMINE E LGBTI.


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

PRIMA PARTE


 

Il Sesso.

Il Maschio.

Le Femmine.

La Bellezza.

Il Reggiseno.

Le Mestruazioni.

La Menopausa.

Travestiti o Drag Queen.

I Transessuali.

Gli Omosessuali.

La Digisessualità.

La Sexsomnia.

Perversioni e Feticci.

Il Sesso Orale.

Il Sesso Anale.

Durante il sesso.

Mai dire…porno.

Mai dire…prostituzione.

Il Gang Bang.

I Poliamori.

Lo Scambismo.

San Valentino e la Monogamia.

Gelosia e Tradimento.


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)


 

SECONDA PARTE


 

La Molestia.

Il Metoo.

Il Revenge Porn.

Il Revenge Song.

Lo Stupro.

La Violenza e gli Abusi. Femminicidi e Maschicidi.

Gli Stalker.


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)


 

TERZA PARTE

Il Padre.

La Madre.

Quelli che…mamma e papà.

I Figli.

Il Figlicidio.

Il Padre.

La Madre.

Quelli che…mamma e papà.

I Figli.

Il Figlicidio.


 

FEMMINE E LGBTI

PRIMA PARTE


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Storia.

L’Educazione Sessuale.

Le Fake News.

La Vulva.

Il Pene.

La Storia.

Eleonora Barbieri per “il Giornale” sabato 2 dicembre 2023.

È davvero «Una storia imprevedibile», come promette il sottotitolo, quella raccontata da Kate Lister in Sesso (il Saggiatore, pagg. 438, euro 26), nonostante l'argomento non sia dei meno noti... Lister, che è una storica di formazione (il volume ha cento pagine di note e bibliografia), riesce a sorprendere e anche a divertire, ripercorrendo la storia di cibi afrodisiaci, perversioni, metodi contraccettivi, prostituzione maschile e femminile, biciclette, igiene (scarsa, di solito), peli pubici, test di verginità e, anche, attraverso un uso più che disinvolto del linguaggio del settore... 

Kate Lister, lei è una storica: perché ha iniziato a occuparsi di sesso?

«Trovo la storia del sesso affascinante perché esso è uno dei grandi livellatori umani. È qualcosa che tutti abbiamo in comune. Benché l'atto sessuale non sia mutato granché da quando abbiamo iniziato a compierlo, il significato, i valori e i rituali intorno a quell'atto cambiano enormemente. Imparare come siano cambiati gli approcci culturali al sesso ci aiuta a capire a che punto siamo noi, oggi». 

Per gli umani, dice, non è solo un atto fisico. Quanto è importante l'aspetto culturale?

«È incredibilmente importante, poiché è ciò che davvero ci differenzia dal resto del regno animale... Noi colleghiamo una serie di emozioni e di comportamenti al sesso come nessuna altra specie fa. Gli uomini rendono alcune pratiche sessuali punibili per legge, perfino con la morte, e tutto ciò deriva dall'intellettualizzazione del sesso. Dire che "pensiamo troppo al sesso" è un eufemismo».

C'è una cultura che è stata più disinibita?

«Ogni cultura si è comportata diversamente: quello che consideriamo accettabile, erotico, respingente o "sbagliato" nel sesso cambia continuamente. Vorrei poter dire che c'è stato un momento perfetto nella storia, ma non è così; ci sono stati tempi in cui si discuteva di sesso più apertamente, come nell'Antica Roma, ma anche all'epoca c'erano moltissime inibizioni». 

Come umani, che cosa ci rende unici nel sesso?

 «Il senso di colpa e il livello di controllo che esercitiamo intorno a esso. Nessun altro animale lo fa: gli animali sono guidati dalla lussuria e hanno i loro rituali, ma non si vergognano di ciò che fanno». 

Quello che usa nel libro, dice, è uno «slang storico»: perché ha scelto un linguaggio così provocatorio?

«Adoro lo slang e la sua storia. Considerando il modo in cui viene utilizzato nelle varie «Sesso. Una storia imprevedibile. Dall'antichità ai giorni nostri» di Kate Lister è pubblicato da ilSaggiatore (pagg. 438, euro 26; traduzione di Alice Guareschi). 

Con l'aiuto di fonti storiche e iconografiche, il saggio racconta curiosità e aspetti culturali della storia del sesso. epoche, si può tenere traccia di come cambino gli approcci culturali: quali parole siano ritenute oscene dice molto di una cultura... Inoltre, lo slang è una finestra meravigliosa sul modo in cui le persone si parlavano davvero e su ciò che consideravano divertente». 

Una delle parole che «esorcizza» è «puttana». Dice anche che, per secoli, le donne erano tutte considerate tali.

«Basterebbe tornare indietro di un centinaio d'anni e... sì. Cose come fare sesso prima del matrimonio, fare sesso casuale, fare sesso omosessuale erano ritenute sconvolgenti dal vittoriano medio. E non è che sia cambiato tutto all'improvviso».

La prostituzione è davvero il mestiere più antico del mondo?

«Si dice spesso, ma non è così. In molte culture, che non avevano né soldi né commercio, non c'è prova che il sesso fosse in vendita, proprio perché non c'erano né denaro, né lavoro. Il che non significa che il sesso non sia stato un "bene" molto utile... Molti antropologi ritengono che la professione più antica sia quella di medico». 

Nel vocabolario del sesso, qual è la parola più offensiva, e perché?

«In America e in Gran Bretagna direi "f...". È ancora una parola tabù. È anche la mia preferita. Come dicevo, si può capire molto di una cultura, grazie a quali parole considera oscene; e il fatto che una delle parole più offensive della lingua inglese significhi semplicemente vulva, beh, racconta molto di noi, non le pare?». 

Fra i molti «miti» legati al sesso, uno riguarda certi miracolosi antiage...

«Ai primi del '900 andavano pazzi per l'idea, del tutto folle, che si potesse invertire il processo di invecchiamento e stimolare la libido integrando i livelli di ormoni; il che, per gli uomini, significava integrare i livelli di testosterone. Come? L'idea era di farsi trapiantare dei testicoli di scimmia, nella convinzione che facessero miracoli... Ovviamente non aveva senso, ma all'epoca era molto popolare». 

Esistono cibi afrodisiaci?

«No. Non ci sono cibi davvero eccitanti, anche se il cibo fa spesso parte della seduzione ed è molto erotico. L'alcol può abbassare le inibizioni e potenziare le emozioni, ma è anche un soppressore, e può creare scompiglio nell'eccitazione». 

Le cose più strane che ha scoperto?

«Che fino all'invenzione della gomma, i preservativi erano fatti di budella animali e venivano lavati e riutilizzati. E poi che i cornflake sono stati inventati per abbassare la libido e prevenire la masturbazione: la teoria era che i cibi insipidi aiutassero a diminuire il desiderio».

Altro?

«Nel '700 e nell'800, gli amanti erano soliti regalarsi ciuffi di peli pubici, da portare in un medaglione. Lord Byron ne aveva moltissimi, spediti dalle sue ammiratrici». 

I vittoriani sono noti per essere stati molto puritani, ma nel suo libro sembrano anche molto sessualmente all'avanguardia.

«È vero. All'esterno erano repressivi e facili allo scandalo, ma in realtà erano ossessionati dal sesso. Inoltre nell'800, con l'avvento della fotografia, anche la pornografia venne industrializzata, a un livello mai visto prima. Però non sono sicura che noi siamo molto diversi dai vittoriani...».

Perché dice che la bicicletta è stata la vera svolta nella parità dei sessi?

«Perché ha consentito alle donne una libertà del tutto nuova. All'improvviso, viaggiare era possibile. In più ha spinto le donne ad abbandonare i corsetti troppo stretti e i gonnelloni svolazzanti, che si impigliavano nelle ruote, e a indossare mutandoni e corsetti più comodi. Tutte cose considerate scandalose, all'epoca». 

È vero che c'è chi si eccita per i raggi del sole?

«Sì, ad alcuni capita. Si chiama "actirastia". Ma le persone si eccitano per qualsiasi cosa».

(ANSA il 19 maggio 2023) - Risale a 4.500 anni fa, in Mesopotamia, il primo bacio documentato della storia: dunque almeno 1.000 anni prima di quanto ritenevano le precedenti ipotesi, che invece collocavano l'origine di questa usanza nell'Asia meridionale circa 3.500 anni fa. 

È quanto afferma uno studio pubblicato sulla rivista Science e guidato dall'Università danese di Copenaghen, che rivaluta al ribasso anche il ruolo non intenzionale del bacio nella trasmissione e diffusione di virus tra gli esseri umani: secondo gli autori della ricerca, infatti, visto che la pratica si è presto diffusa e radicata in molte società del passato, i suoi effetti nella trasmissione di patogeni sono stati più o meno costanti ed è perciò improbabile che possa essere stato un innesco decisivo della diffusione di particolari malattie. 

"Nell'antica Mesopotamia, che corrisponde all'attuale Iraq e Siria, si usava scrivere in caratteri cuneiformi su tavolette di argilla", racconta Troels Pank Arb›ll, autore dello studio insieme a Sophie Lund Rasmussen, dell'Università britannica di Oxford e di quella danese di Aalborg. "Molte migliaia di queste tavolette di argilla sono sopravvissute fino ad oggi - prosegue Arb›ll - e contengono chiari esempi del fatto che il bacio era considerato parte dell'intimità romantica già nei tempi antichi, proprio come dei rapporti di amicizia e delle relazioni familiari".

I due ricercatori spiegano che il bacio non dovrebbe essere considerata un'usanza che ha avuto origine esclusivamente in una singola regione, dalla quale si è poi diffusa, ma è probabile che sia invece stata praticata in più culture antiche per diversi millenni. "In effetti, la ricerca sui bonobo e sugli scimpanzé, i parenti viventi più prossimi all'uomo, ha dimostrato che entrambe le specie si baciano", aggiunge Rasmussen, "il che potrebbe suggerire che la pratica del bacio è forse un comportamento fondamentale e innato negli esseri umani".

Eleonora Barbieri per “il Giornale” il 4 marzo 2023.

È davvero «Una storia imprevedibile», come promette il sottotitolo, quella raccontata da Kate Lister in Sesso (il Saggiatore, pagg. 438, euro 26), nonostante l'argomento non sia dei meno noti... Lister, che è una storica di formazione (il volume ha cento pagine di note e bibliografia), riesce a sorprendere e anche a divertire, ripercorrendo la storia di cibi afrodisiaci, perversioni, metodi contraccettivi, prostituzione maschile e femminile, biciclette, igiene (scarsa, di solito), peli pubici, test di verginità e, anche, attraverso un uso più che disinvolto del linguaggio del settore...

 Kate Lister, lei è una storica: perché ha iniziato a occuparsi di sesso?

«Trovo la storia del sesso affascinante perché esso è uno dei grandi livellatori umani. È qualcosa che tutti abbiamo in comune. Benché l'atto sessuale non sia mutato granché da quando abbiamo iniziato a compierlo, il significato, i valori e i rituali intorno a quell'atto cambiano enormemente. Imparare come siano cambiati gli approcci culturali al sesso ci aiuta a capire a che punto siamo noi, oggi».

 Per gli umani, dice, non è solo un atto fisico. Quanto è importante l'aspetto culturale?

«È incredibilmente importante, poiché è ciò che davvero ci differenzia dal resto del regno animale... Noi colleghiamo una serie di emozioni e di comportamenti al sesso come nessuna altra specie fa. Gli uomini rendono alcune pratiche sessuali punibili per legge, perfino con la morte, e tutto ciò deriva dall'intellettualizzazione del sesso. Dire che "pensiamo troppo al sesso" è un eufemismo».

C'è una cultura che è stata più disinibita?

«Ogni cultura si è comportata diversamente: quello che consideriamo accettabile, erotico, respingente o "sbagliato" nel sesso cambia continuamente. Vorrei poter dire che c'è stato un momento perfetto nella storia, ma non è così; ci sono stati tempi in cui si discuteva di sesso più apertamente, come nell'Antica Roma, ma anche all'epoca c'erano moltissime inibizioni». 

Come umani, che cosa ci rende unici nel sesso?

 «Il senso di colpa e il livello di controllo che esercitiamo intorno a esso. Nessun altro animale lo fa: gli animali sono guidati dalla lussuria e hanno i loro rituali, ma non si vergognano di ciò che fanno».

 Quello che usa nel libro, dice, è uno «slang storico»: perché ha scelto un linguaggio così provocatorio?

«Adoro lo slang e la sua storia. Considerando il modo in cui viene utilizzato nelle varie «Sesso. Una storia imprevedibile. Dall'antichità ai giorni nostri» di Kate Lister è pubblicato da ilSaggiatore (pagg. 438, euro 26; traduzione di Alice Guareschi).

 Con l'aiuto di fonti storiche e iconografiche, il saggio racconta curiosità e aspetti culturali della storia del sesso. epoche, si può tenere traccia di come cambino gli approcci culturali: quali parole siano ritenute oscene dice molto di una cultura... Inoltre, lo slang è una finestra meravigliosa sul modo in cui le persone si parlavano davvero e su ciò che consideravano divertente».

 Una delle parole che «esorcizza» è «puttana». Dice anche che, per secoli, le donne erano tutte considerate tali.

«Basterebbe tornare indietro di un centinaio d'anni e... sì. Cose come fare sesso prima del matrimonio, fare sesso casuale, fare sesso omosessuale erano ritenute sconvolgenti dal vittoriano medio. E non è che sia cambiato tutto all'improvviso».

 La prostituzione è davvero il mestiere più antico del mondo?

«Si dice spesso, ma non è così. In molte culture, che non avevano né soldi né commercio, non c'è prova che il sesso fosse in vendita, proprio perché non c'erano né denaro, né lavoro. Il che non significa che il sesso non sia stato un "bene" molto utile... Molti antropologi ritengono che la professione più antica sia quella di medico».

 Nel vocabolario del sesso, qual è la parola più offensiva, e perché?

«In America e in Gran Bretagna direi "f...". È ancora una parola tabù. È anche la mia preferita. Come dicevo, si può capire molto di una cultura, grazie a quali parole considera oscene; e il fatto che una delle parole più offensive della lingua inglese significhi semplicemente vulva, beh, racconta molto di noi, non le pare?».

 Fra i molti «miti» legati al sesso, uno riguarda certi miracolosi antiage...

«Ai primi del '900 andavano pazzi per l'idea, del tutto folle, che si potesse invertire il processo di invecchiamento e stimolare la libido integrando i livelli di ormoni; il che, per gli uomini, significava integrare i livelli di testosterone. Come? L'idea era di farsi trapiantare dei testicoli di scimmia, nella convinzione che facessero miracoli... Ovviamente non aveva senso, ma all'epoca era molto popolare».

 Esistono cibi afrodisiaci?

«No. Non ci sono cibi davvero eccitanti, anche se il cibo fa spesso parte della seduzione ed è molto erotico. L'alcol può abbassare le inibizioni e potenziare le emozioni, ma è anche un soppressore, e può creare scompiglio nell'eccitazione».

 Le cose più strane che ha scoperto?

«Che fino all'invenzione della gomma, i preservativi erano fatti di budella animali e venivano lavati e riutilizzati. E poi che i cornflake sono stati inventati per abbassare la libido e prevenire la masturbazione: la teoria era che i cibi insipidi aiutassero a diminuire il desiderio».

Altro?

«Nel '700 e nell'800, gli amanti erano soliti regalarsi ciuffi di peli pubici, da portare in un medaglione. Lord Byron ne aveva moltissimi, spediti dalle sue ammiratrici».

 I vittoriani sono noti per essere stati molto puritani, ma nel suo libro sembrano anche molto sessualmente all'avanguardia.

«È vero. All'esterno erano repressivi e facili allo scandalo, ma in realtà erano ossessionati dal sesso. Inoltre nell'800, con l'avvento della fotografia, anche la pornografia venne industrializzata, a un livello mai visto prima. Però non sono sicura che noi siamo molto diversi dai vittoriani...».

Perché dice che la bicicletta è stata la vera svolta nella parità dei sessi?

«Perché ha consentito alle donne una libertà del tutto nuova. All'improvviso, viaggiare era possibile. In più ha spinto le donne ad abbandonare i corsetti troppo stretti e i gonnelloni svolazzanti, che si impigliavano nelle ruote, e a indossare mutandoni e corsetti più comodi. Tutte cose considerate scandalose, all'epoca».

 È vero che c'è chi si eccita per i raggi del sole?

«Sì, ad alcuni capita. Si chiama "actirastia". Ma le persone si eccitano per qualsiasi cosa».

Eleonora Barbieri per “il Giornale” il 13 giugno 2023.

È davvero «Una storia imprevedibile», come promette il sottotitolo, quella raccontata da Kate Lister in Sesso (il Saggiatore, pagg. 438, euro 26), nonostante l'argomento non sia dei meno noti... Lister, che è una storica di formazione (il volume ha cento pagine di note e bibliografia), riesce a sorprendere e anche a divertire, ripercorrendo la storia di cibi afrodisiaci, perversioni, metodi contraccettivi, prostituzione maschile e femminile, biciclette, igiene (scarsa, di solito), peli pubici, test di verginità e, anche, attraverso un uso più che disinvolto del linguaggio del settore... 

Kate Lister, lei è una storica: perché ha iniziato a occuparsi di sesso?

«Trovo la storia del sesso affascinante perché esso è uno dei grandi livellatori umani. È qualcosa che tutti abbiamo in comune. Benché l'atto sessuale non sia mutato granché da quando abbiamo iniziato a compierlo, il significato, i valori e i rituali intorno a quell'atto cambiano enormemente. Imparare come siano cambiati gli approcci culturali al sesso ci aiuta a capire a che punto siamo noi, oggi». 

Per gli umani, dice, non è solo un atto fisico. Quanto è importante l'aspetto culturale?

«È incredibilmente importante, poiché è ciò che davvero ci differenzia dal resto del regno animale... Noi colleghiamo una serie di emozioni e di comportamenti al sesso come nessuna altra specie fa. Gli uomini rendono alcune pratiche sessuali punibili per legge, perfino con la morte, e tutto ciò deriva dall'intellettualizzazione del sesso. Dire che "pensiamo troppo al sesso" è un eufemismo».

C'è una cultura che è stata più disinibita?

«Ogni cultura si è comportata diversamente: quello che consideriamo accettabile, erotico, respingente o "sbagliato" nel sesso cambia continuamente. Vorrei poter dire che c'è stato un momento perfetto nella storia, ma non è così; ci sono stati tempi in cui si discuteva di sesso più apertamente, come nell'Antica Roma, ma anche all'epoca c'erano moltissime inibizioni». 

Come umani, che cosa ci rende unici nel sesso?

 «Il senso di colpa e il livello di controllo che esercitiamo intorno a esso. Nessun altro animale lo fa: gli animali sono guidati dalla lussuria e hanno i loro rituali, ma non si vergognano di ciò che fanno». 

Quello che usa nel libro, dice, è uno «slang storico»: perché ha scelto un linguaggio così provocatorio?

«Adoro lo slang e la sua storia. Considerando il modo in cui viene utilizzato nelle varie «Sesso. Una storia imprevedibile. Dall'antichità ai giorni nostri» di Kate Lister è pubblicato da ilSaggiatore (pagg. 438, euro 26; traduzione di Alice Guareschi). 

Con l'aiuto di fonti storiche e iconografiche, il saggio racconta curiosità e aspetti culturali della storia del sesso. epoche, si può tenere traccia di come cambino gli approcci culturali: quali parole siano ritenute oscene dice molto di una cultura... Inoltre, lo slang è una finestra meravigliosa sul modo in cui le persone si parlavano davvero e su ciò che consideravano divertente». 

Una delle parole che «esorcizza» è «puttana». Dice anche che, per secoli, le donne erano tutte considerate tali.

«Basterebbe tornare indietro di un centinaio d'anni e... sì. Cose come fare sesso prima del matrimonio, fare sesso casuale, fare sesso omosessuale erano ritenute sconvolgenti dal vittoriano medio. E non è che sia cambiato tutto all'improvviso». 

La prostituzione è davvero il mestiere più antico del mondo?

«Si dice spesso, ma non è così. In molte culture, che non avevano né soldi né commercio, non c'è prova che il sesso fosse in vendita, proprio perché non c'erano né denaro, né lavoro. Il che non significa che il sesso non sia stato un "bene" molto utile... Molti antropologi ritengono che la professione più antica sia quella di medico». 

Nel vocabolario del sesso, qual è la parola più offensiva, e perché?

«In America e in Gran Bretagna direi "f...". È ancora una parola tabù. È anche la mia preferita. Come dicevo, si può capire molto di una cultura, grazie a quali parole considera oscene; e il fatto che una delle parole più offensive della lingua inglese significhi semplicemente vulva, beh, racconta molto di noi, non le pare?». 

Fra i molti «miti» legati al sesso, uno riguarda certi miracolosi antiage...

«Ai primi del '900 andavano pazzi per l'idea, del tutto folle, che si potesse invertire il processo di invecchiamento e stimolare la libido integrando i livelli di ormoni; il che, per gli uomini, significava integrare i livelli di testosterone. Come? L'idea era di farsi trapiantare dei testicoli di scimmia, nella convinzione che facessero miracoli... Ovviamente non aveva senso, ma all'epoca era molto popolare». 

Esistono cibi afrodisiaci?

«No. Non ci sono cibi davvero eccitanti, anche se il cibo fa spesso parte della seduzione ed è molto erotico. L'alcol può abbassare le inibizioni e potenziare le emozioni, ma è anche un soppressore, e può creare scompiglio nell'eccitazione». 

Le cose più strane che ha scoperto?

«Che fino all'invenzione della gomma, i preservativi erano fatti di budella animali e venivano lavati e riutilizzati. E poi che i cornflake sono stati inventati per abbassare la libido e prevenire la masturbazione: la teoria era che i cibi insipidi aiutassero a diminuire il desiderio». 

Altro?

«Nel '700 e nell'800, gli amanti erano soliti regalarsi ciuffi di peli pubici, da portare in un medaglione. Lord Byron ne aveva moltissimi, spediti dalle sue ammiratrici». 

I vittoriani sono noti per essere stati molto puritani, ma nel suo libro sembrano anche molto sessualmente all'avanguardia.

«È vero. All'esterno erano repressivi e facili allo scandalo, ma in realtà erano ossessionati dal sesso. Inoltre nell'800, con l'avvento della fotografia, anche la pornografia venne industrializzata, a un livello mai visto prima. Però non sono sicura che noi siamo molto diversi dai vittoriani...».

Perché dice che la bicicletta è stata la vera svolta nella parità dei sessi?

«Perché ha consentito alle donne una libertà del tutto nuova. All'improvviso, viaggiare era possibile. In più ha spinto le donne ad abbandonare i corsetti troppo stretti e i gonnelloni svolazzanti, che si impigliavano nelle ruote, e a indossare mutandoni e corsetti più comodi. Tutte cose considerate scandalose, all'epoca». 

È vero che c'è chi si eccita per i raggi del sole?

«Sì, ad alcuni capita. Si chiama "actirastia". Ma le persone si eccitano per qualsiasi cosa». 

L’Educazione Sessuale.

«In Italia l'educazione sessuale a scuola è impossibile. E così cresciamo individui fragili e oppressi». Impedire che nelle aule si parli ai bambini e alle bambine dei loro sentimenti e dei loro corpi equivale a soffocarli nei nostri ingiustificati timori. A perderli. E quindi a perdere l'anima e il futuro della comunità. Ricordiamo che figli e figlie non sono "nostri". Loredana Lipperini su L'espresso il 6 dicembre 2023

Sabato scorso, mentre si affollavano le piazze del 25 novembre, Pro Vita&Famiglia attaccava manifesti per le vie di Roma: vi si vede un bambino senza testa, con grembiulino arcobaleno, piede destro in un anfibio, piede sinistro in una scarpa (rossa) con tacco a spillo. Testo: «Basta confondere l’identità sessuale dei bambini nelle scuole». Bisogna riconoscere a Pro Vita l’efficienza, perché il bambino con scarpe “gender” arriva a poche ore dalla richiesta comune di introdurre educazione sentimentale, affettiva, sessuale nelle scuole: ma la reazione degli oltranzisti non sorprende affatto. 

Semmai, fa tornare in mente Russell Banks, che nel 1991 scrisse Il dolce domani (ne venne tratto un film da Atom Egoyan nel 1997 e nel 2020 i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo ritorneranno sugli stessi passi con Favolacce). Per Banks, il dolce domani è il sogno perverso dell’America liberal, e quando racconta l’incidente di uno scuolabus, che precipita sul ghiaccio uccidendo la gran parte dei bambini della cittadina di Sam Dent, ha in mente altro: «Negli Stati Uniti – diceva – da una ventina d’anni qualcosa di terribile è accaduto ai nostri bambini. Li abbiamo persi. Una comunità che perde i bambini perde l’anima. L’America è in uno stato di crisi profonda, antropologica. Con la perdita dei nostri bambini, l’avvenire passa dietro di noi e ci lascia di fronte al dolce domani illusorio». 

Perdere i bambini significa soffocarli con i nostri timori, allontanare da loro ogni possibile frustrazione, creare individui fragili che, un giorno, potrebbero essere sopraffatti o sopraffare. Perdere i bambini significa impedire sistematicamente che nelle scuole italiane si parli dei loro sentimenti e dei loro corpi: obbligatoria in quasi tutti i Paesi dell’Unione, l’educazione sessuale è praticamente impossibile nel nostro, le leggi presentate sono ferme o bloccate da anni e i progetti educativi boicottati. 

Nel maggio 1992 venne espulso dalle scuole Lupo Alberto, il personaggio a fumetti creato da Silver e scelto come protagonista della campagna contro l’Aids per spiegare ai ragazzi «come fregare il virus» usando il preservativo. Il ministero della Pubblica Istruzione fermò tutto perché «la parola profilattico non era opportuna». Le cose sono peggiorate da quando, nel 2011, Benedetto XVI bollò l’educazione sessuale come «minaccia alla libertà religiosa contraria alla fede e alla retta ragione», e si procede, ogni volta, con proteste e lettere di genitori e dei loro avvocati contro «l’ora di masturbazione» (sic). Eppure questa volta non avrebbero molto da temere dal progetto del ministro Valditara, che a quanto pare prevede poche attività riservate alla sola scuola secondaria, peraltro da sottoporre al controllo delle associazioni dei genitori. Uno di questi giustificò a Presa Diretta nel 2016 la propria contrarietà così: «Mio figlio è mio». 

La cosa preziosa di oggi è allora Il Pifferaio di Hamelin, sia nella versione raccolta dai fratelli Grimm sia nella poesia di Robert Browning, The Pied Piper. Da qui trassero ispirazione Russell Banks e poi i fratelli D’Innocenzo, per ricordarci la stessa cosa: i bambini e le bambine, quando vengono oppressi dalle loro famiglie, si perdono. I vostri figli non sono i vostri figli, diceva il poeta, molto e molto tempo fa.

 Estratto dell’articolo di Virginia Nesi per “Sette – Corriere della Sera” sabato 2 dicembre 2023.

Che cos’è il consenso? «Significa chiedere prima di un atto sessuale». «Se dico no è no». «Andrebbe insegnato ai ragazzi». «Lo associo alla pressione». Lunedì mattina, ore 11.30, liceo classico Carducci di Milano. Silvia, Giulia, Virginia e Sofia sono appena uscite dalla palestra. 

La 5H continua la lezione di educazione fisica mentre loro si confrontano a un tavolo nella stanza del preside. Sono quattro diciottenni che parlano delle loro esperienze. Allineano gli argomenti studiati sui banchi. Insieme dispiegano il glossario imparato a macchia di leopardo.

Racconta Giulia: «Bisognerebbe educare all’affettività. A me è capitato di dire no in situazioni intime. Ma lui continuava. Ripetevo: “No, lasciami. Te ne vai!”, una, due, tre volte. Alla fine, me ne andavo io… Poi i ragazzi fanno i risentiti. Dicono agli amici: lei mi ha paccato. Ma non ti ho paccato! Ho solo detto che non me la sento. Non sono un oggetto, non sono una valuta, non sono la tua merce di scambio». 

Giulia prende fiato. Esonda come un fiume: «Stavo con persone che portavano avanti azioni sessuali senza chiedere il mio permesso. Io non volevo. Vieni presa come una figa di legno, come una bambina, ma non è così, sono loro quelli sbagliati». Sì, sì, sì, ripetono a voci sfalsate le compagne di classe.  […]

«La preoccupazione principale è la “gravidansia”», afferma la psicologa, esperta in sessuologia Sabina Fasoli (@psychandlove). Pensa al suo pubblico in Rete: «Quando mi raccontano di aver avuto rapporti non protetti, le infezioni sessualmente trasmissibili (Ist ndr) non sono tra i loro pensieri quanto il rischio di gravidanza. 

Alcune indagini rilevano che quasi la metà dei giovani non usa il preservativo. Questo paradosso dimostra che non c’è sufficiente sensibilizzazione sulle Ist e c’è un’idea di controllo distorta dove si pensa che il coito interrotto sia efficace o che, se la penetrazione è durata solo qualche secondo, si può star tranquilli. Ma tranquilli, i giovani, non sono perché lo chiedono a me».

Secondo un progetto dell’Università Sapienza — che ha coinvolto 842 studenti di tutte le classi di un liceo artistico di Roma — la GenZ ottiene informazioni su riproduzione e sessualità dai coetanei e tramite i social: solo il 25,1% ha avuto incontri sul tema a scuola e il 29,7% tratta l’argomento in famiglia. 

Tra i punti esaminati nei questionari — compilati prima e dopo il corso in aula — ci sono: sessismo, il concetto di sex positive e quello di consenso. Il 62,5% delle persone intervistate è eterosessuale, il 5,3% omosessuale, il 15,3% bisessuale mentre il 16,9% rivela altri orientamenti (asessuali, demisessuali, queer, greysessuali e questioning).  […]

L’urgenza di inserire nei programmi scolastici questi nuovi insegnamenti è riemersa soprattutto dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. «Ogni volta che c’è un’azione di contrasto da mettere in atto ritorna fuori il tema. Aids? Insegniamo nelle scuole. Malattie sessualmente trasmissibili? Più formazione. Violenza di genere? Bisogna fare educazione sessuale. […]

Estratto dell'articolo di Milena Gabanelli per corriere.it giovedì 30 novembre 2023.

Nel 2018 l’Unesco dice che «l’educazione sessuale nelle scuole consente a bambini e ragazzi di sviluppare conoscenze, competenze, atteggiamenti e valori che li metteranno in grado di realizzarsi, nel rispetto della loro salute, del loro benessere e della loro dignità». L’aveva già sostenuto nel 2010 l’Organizzazione mondiale della sanità, raccomandando che iniziasse «fin dalla tenera età». In Italia la politica ne discute dal lontano 1902, quando il ministero dell’Istruzione risponde a un’interrogazione che chiede di istituire corsi per la prevenzione delle malattie veneree. 

Il primo vero tentativo di approvare una legge che introduce lezioni di educazione sessuale risale al 1975, e da allora si contano almeno 16 proposte parlamentari. Tutte fallite. Nel 1991, governo Andreotti, sembra in procinto di passare una legge che mira a renderla una materia (non obbligatoria) a partire dalla scuola primaria. Ma l’anno successivo non ottiene l’approvazione del Parlamento perché nel frattempo scoppia Tangentopoli e tutto rimane congelato. Da allora il dibattito torna ciclicamente d’attualità, col solito strascico di polemiche politiche (maggio 2022, Salvini: «Parlare di sesso, di coito e penetrazione ai bimbi delle elementari? Un secco no»; ottobre 2023, Amorese (Fdi): «I bambini non si toccano, i bambini non si deviano»).

Il 22 novembre, quattro giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, la giovane veneta uccisa dall’ex fidanzato, il ministro Giuseppe Valditara presenta il progetto per introdurre l’«Educazione alle relazioni»: 30 ore all’anno di lezioni agli studenti delle superiori, per far prendere loro «coscienza dei propri atteggiamenti» e delle conseguenze, anche penali, che possono comportare. Resteranno confinate fuori dal curriculum, si svolgeranno nel doposcuola su base volontaria. Tradotto: una legge sull’educazione sessuale vera e propria, all’interno del percorso scolastico, anche stavolta non si farà.

Così funziona in Italia

Il risultato è che oggi le attività educative sono disomogenee e lasciate alla buona volontà di presidi e Regioni. Nell’anno scolastico 2016/2017 su 5.364 istituti pubblici superiori neppure 1.400 hanno attivato percorsi di educazione sessuale e di promozione di comportamenti sicuri. Il loro numero è progressivamente cresciuto fino a coinvolgerne 1.600, per poi calare con la pandemia. In molti casi la durata delle attività è stata di appena tre sessioni per un totale di sei ore, durante le quali si è parlato soprattutto di malattie trasmissibili, relazioni e sessualità. Gli istituti del centro-nord e delle grandi città sono i più attivi, mentre solo il 17% delle attività ha coinvolto i giovani del Sud. […]

Europa, il fronte del no

Guardando all’Unione europea, oltre che in Italia, l’educazione sessuale a scuola non è obbligatoria in 6 Paesi: in Ungheria(dove una legge si assicura che il materiale scolastico non contenga nulla che promuova «la divergenza dall’auto-identità corrispondente al sesso di nascita, al cambiamento di sesso o all’omosessualità»), in Bulgaria, a Cipro, in Romania (dove ancora fa discutere la legge del 2022 che istituisce l’«educazione sanitaria»), in Lituania e in Polonia (dove ad agosto viene approvata in via preliminare una legge che vieta l’accesso nelle scuole a Ong che «promuovono la sessualizzazione dei bambini»).

[…] 

Europa, il fronte del sì

Negli altri 20 Stati membri dell’Ue l’educazione sessuale a scuola è obbligatoria […] La Svezia è stato il primo Stato a inserirla nel programma scolastico, già nel 1955, per tutti i ragazzi dai 12 anni ma di fatto fin dalla scuola dell’infanzia gli insegnanti rispondono a qualsiasi domanda dei bambini sulla sessualità in modo aperto e iniziano le lezioni vere e proprie prima della pubertà.

In Austria, altro Paese considerato all’avanguardia, l’educazione sessuale è obbligatoria dal 1970: inizia alle elementari, integrata nelle lezioni di Biologia […] In Germania si insegna da decenni, ma dopo la riunificazione, a metà degli anni Novanta ha introdotto programmi obbligatori: l’educazione sessuale inizia a scuola dai 9 anni, integrata in materie come Cittadinanza, Religione e Biologia. La legge prevede che i docenti non si limitino ai punti di vista biologici e medici, ma discutano anche di emozioni, relazioni ed etica. […]

In Francia è obbligatoria dal 2001 in tutte le scuole dalle elementari ai licei: sono tre cicli di lezioni all’anno (per circa trenta ore) che coprono aspetti biologici, sociali ed etici. […] Dal 2005 in Spagna l’educazione sessuale rientra nel più ampio insegnamento dell’Educazione alla Cittadinanza. […] Paese cattolico per definizione, in Irlanda nel 2003 l’educazione sessuale è diventata obbligatoria nel ciclo primario e post-primario. […] Anche se fuori dall’Unione europea, si può guardare all’esperienza del Regno Unito: l’ultima legge è del 2020 e estende alle primarie l’insegnamento dell’educazione alle relazioni, mentre alla scuola secondaria si aggiunge l’educazione sessuale vera e propria. […]

Effetti positivi sul Gender Gap

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ( Eige ) assegna ai Paesi membri un punteggio relativo all’uguaglianza di genere che tiene conto delle differenze nel lavoro (dal tasso di occupazione alle prospettive di carriera), negli organi di potere, nell’accesso all’istruzione... A ciascuno viene assegnato un voto tra 0 e 100, dove 100 significherebbe che un Paese ha raggiunto la piena uguaglianza tra donne e uomini. Ebbene l’Italia ha un punteggio di 68, sotto la media europea (70). […] Tutti gli Stati che abbiamo preso in esame in questo articolo sono messi meglio di noi. La Svezia svetta con 82 punti e poi Spagna 76, Francia 75, Irlanda 73… Peggio fanno proprio i Paesi che non hanno l’obbligatorietà dell’educazione sessuale a scuola: Bulgaria (65), Lituania (64), Polonia (61), Cipro (60), Ungheria (57) e Romania (56).

I femminicidi

L’Eurostat ci dice che nel 2021 in Italia sono state ammazzate dal compagno, o da qualcuno della sfera familiare, 103 donne (e quest’anno, al 28 novembre, le vittime sono già 105): quindi lo 0,34 ogni centomila abitanti. Peggioriamo: nel 2018 ad esempio era lo 0,27. La Svezia non ha comunicato i dati degli ultimi due anni ma nel 2019 era 0,18 (16 vittime), mentre le 60 donne uccise in Spagna rappresentano un tasso di 0,25. In Francia però il rapporto è 0,39 (136 vittime), in Germania 0,49 (207), in Austria 0,57 (26), in Inghilterra e Galles l’ultimo dato è precedente alla Brexit (0,38 a fronte di 113 femminicidi). Tutti, come noi, purtroppo sono in peggioramento.

Il primato dell’educazione

[…] nella realtà dei fatti se il primato educativo non è delle famiglie e della scuola ci pensa la Rete, dove i contenuti pornografici sono accessibili sempre prima.

I danni del porno online

Già tra i 14 anni e i 17 anni il 44% degli adolescenti italiani consuma pornografia […] Così chi si espone con regolarità a video e immagini porno è portato ad avere atteggiamenti sessisti e più aggressivi. Il 70% dei ragazzi percepisce le donne come oggetti sessuali; il 17% ammette di costringere la partner a compiere questi atti. Non è quello che vogliono le ragazze, i genitori dei figli maschi e, tantomeno, la società nel suo insieme.

Le Fake News.

Debby Herbenick per vice.com/it il 16 aprile 2023.

A proposito di orgasmi, dimensione del pene, sesso anale etc.

Per più di 15 anni ho tenuto corsi di educazione sessuale in centinaia di università americane. Ho anche tenuto rubriche su riviste, giornali, e siti. In altre parole, ne ho viste di ogni, ne ho sentite di ogni. E grazie alla situazione disastrosa dell'educazione sessuale in occidente, so che ci sono un sacco di miti duri a morire.

(Nel 2014, molte scuole americane ancora dicevano che il modo migliore per non incorrere in gravidanze e trasmissione di malattie era l'astinenza. E solo il 35 percento dei responsabili insegnava a usare correttamente un preservativo.) Queste sono le sei credenze sbagliate che mi sono trovata ad affrontare più spesso—ogni volta sperando che fosse l'ultima.

DURANTE IL PERIODO DI INTERRUZIONE DELLA PILLOLA NON PUOI FARE SESSO

Mi contattano spesso giovani e adolescenti preoccupate all'idea di essere rimaste incinte per aver fatto sesso senza preservativo durante la settimana di interruzione della pillola. Questo mi fa capire che molte donne e molti uomini non sanno come funziona la pillola. Pensano che funzioni solo nei giorni in cui la prendi, come se ogni pillola assicurasse 24 ore di protezione. 

Falso! La verità è che ogni pillola previene l'ovulazione. Molte prendono pillole combinate (estroprogestiniche), che sopprimono l'ovulazione. Altre prendono minipillole, ovvero solo progestiniche, che sopprimono meno l'ovulazione ma prevengono la gravidanza in altri modi. (Le confezioni di pillole combinate hanno spesso anche le pillole placebo per la settimana di interruzione, mentre le minipillole no.) 

Quindi, le donne che prendono le pillole seguendo le indicazioni sono protette da gravidanze indesiderate per tutto il mese—e anche durante la settimana in cui avranno perdite di sangue. Le pillole anticoncenzionali possono essere in confezioni da 21 giorni, con sette giorni di interruzione—durante i quali sei protetta, ma devi ricominciare sempre nel giorno giusto il pacchetto successivo.

Altre confezioni possono essere da 28, da 90 o da 365 giorni, e anche questi possono avere "strisce" da sette giorni non ormonali, o solo estrogeniche, o che contengono supplementi come il ferro. L'interruzione non inficia la protezione dalla gravidanza nemmeno in questi casi. Detto questo, ci sono anche coppie che per sicurezza psicologica usano anche il preservativo durante l'interruzione. 

DI MEDIA UN PENE È PIÙ LUNGO DI 15 CENTIMETRI 

Le pubblicità per l'allungamento del pene—e il porno—hanno incasinato la percezione delle dimensioni del maschio medio. Quando gli dici di indovinare quale sia la dimensione media, ti dirà che il pene eretto medio dovrebbe essere lungo 15-16 centimetri. Perciò un sacco di uomini mi hanno scritto, preoccupati che il loro pene—normalissimo—sia inadeguato. Ma molti studi nel corso degli anni hanno stabilito che la lunghezza media di un pene eretto sta tra i 13,7 e i 14,2 cm.

Uno studio condotto su 1661 uomini dal mio team ha scoperto che la lunghezza media in erezione è di 14,14 cm, e almeno un uomo su quattro ha un pene di 13,7 cm o più corto. I ricercatori hanno anche stabilito che i migliori indicatori della soddisfazione di una coppia sono cose come quanto spesso i partner si baciano, coccolano, e quanto si sentono legati psicologicamente ed emotivamente. 

LA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE HANNO PROVATO IL SESSO ANALE

Anche se il numero di persone che hanno provato il sesso anale è aumentato nel corso degli ultimi trent'anni, sono pochi quelli che lo fanno con regolarità. Secondo il National Survey of Sexual Health and Behavior, circa un terzo degli americani hanno fatto sesso anale almeno una volta nella vita. Però solo il 12 percento degli americani ha fatto sesso anale almeno una volta in un anno—e non sorprende che siano soprattutto uomini gay o bisessuali. 

Ma molti dei miei studenti dicono che il sesso anale è "la norma" e si sentono sotto pressione per provarlo. Considerato che molte donne descrivono il sesso anale come doloroso, è difficile immaginare di voler essere costretti a provarlo. Detto questo, se vi piace il sesso anale, ottimo—il mio consiglio è di usare un sacco di lubrificante, comunicare apertamente con l'altro, e andare molto, molto piano all'inizio. 

E se non vi piace? Ci sono un sacco di altre cose da fare. E poi, qualunque cosa facciate, non fingete per nessun motivo di aver "sbagliato buco"—secondo alcune ricerche il 10 percento degli universitari hanno accampato questa scusa.

SE UNA DONNA NON RAGGIUNGE L'ORGASMO, QUALCOSA NON VA 

Anche se molti pensano che l'orgasmo sia un importante fattore di soddisfazione sessuale, non tutti lo raggiungono sempre. E decenni di ricerca nel campo del sesso hanno reso chiaro che per le donne ci vuole spesso molto più che per gli uomini a capire come farlo, forse perché cominciano a masturbarsi più tardi. 

E la masturbazione è quello che ci insegna come raggiungere l'orgasmo. Le "regole" legate al genere fanno anche sì che le donne non si sentano in diritto di insistere sul loro bisogno di raggiungere l'orgasmo, anche quando sanno come farlo. Non importa il tuo genere, però, se vuoi fare sesso con qualcuno devi sempre fare del tuo meglio per essere gentile, generoso e attento. Cerca di capire cosa piace all'altro.

Chiedi che ti dica cosa prova quando lo tocchi, lecchi, penetri, o altro. Cerca di migliorare usando anche app come OMG Yes. Ma se una ragazza non ha mai avuto un orgasmo, non significa che il suo corpo sia sbagliato o il suo clitoride non funzioni. Molte donne danno la colpa al proprio corpo quando, in realtà, nella maggior parte dei casi sarebbero in grado di avere un orgasmo. Spesso ci vogliono tempo, esperienza, pazienza, comunicazione e attenzione. 

CHI HA UNA STORIA SERIA NON SI DEVE PREOCCUPARE DELLE MST 

La diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili ha spesso a che fare con la scarsa educazione sessuale, il costo delle spese mediche, e il livello di "sex positivity" in una cultura. Ancora peggio è il fatto che molti non usino il preservativo. Ma quello che dovreste sapere è molto semplice: i preservativi sono l'unico modo di proteggervi da malattie sessualmente trasmissibili come la clamidia, la gonorrea e l'HIV.

Eppure spesso bastano un paio di settimane con una persona per decidere che non è più il caso di usarli, anche se ancora non si è deciso per l'esclusività della coppia. Ecco, prima di farlo, fatevi testare, fatevi curare, e usate il preservativo almeno un mese più a lungo di quello che ritenete necessario. 

IL PUNTO G È UN'INFINITA FONTE DI ORGASMI

Non so se sia perché il nome fa pensare a una specie di bottone magico che apre le porte a ondate di piacere, o perché gli uomini si raccontano storie fantastiche a riguardo, ma diversi ragazzi mi hanno detto di esser rimasti piacevolmente sorpresi nello scoprire la verità sul punto G. C'era anche un po' di delusione nello scoprire che non si tratta di un punto segreto nel corpo della donna che, se toccato anche una sola volta, porta a un orgasmo dopo l'altro.

Il cosiddetto G–spot è in realtà una zona situata sulla parete anteriore della vagina che, se stimolata—di solito facendoci un po' di pressione—può dar piacere. In altre parole, a volte la stimolazione del punto G può portare all'orgasmo, a volte no. Se la tua partner rientra in questa seconda categoria, non è un problema—hai comunque tutto il resto del corpo e del cervello con cui lavorare.

La Vulva.

L aCensura.

L’Ostentazione.

Doppia Vagina.

Il Clitoride.

Le Mutilazioni.

L’Odore

La Censura.

Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” - Estratti domenica 19 novembre 2023.

A 85 anni, Willy Pasini ha l’energia e il senso dell’umorismo di un ragazzo, anche quando racconta che ha avuto un cancro, la leucemia, dieci operazioni e giura di vivere con mezzo cervello da un quarto di secolo. Gioca a golf tutti i sabati con la moglie, riceve ancora pazienti il mercoledì e ancora gira il mondo a caccia di cascate e quadri del Settecento. 

Nella sua carriera, ha fondato la Federazione Europea di Sessuologia, l’Associazione Italiana di Sessuologia e Psicologia Applicata, ha insegnato alla Sorbona di Parigi e per decenni a Ginevra, dove tuttora vive, e ha scritto una decina di best seller per Mondadori, vendendo sette milioni di libri in 14 Paesi. Per farsi raccontare la sua vita, bisogna mettersi comodi.

Prof, quando e come diventa sessuologo?

«Non è stata vocazione. È una passione che mi è arrivata coi soldi. Deve sapere che il mio primo ricordo da bambino è ai giardini pubblici, a Milano: sento le sirene, cadono le bombe.Scappiamo a Lenno, sul lago di Como, e lì veniamo bombardati di nuovo e mitragliati. Fino a sette anni, ho vissuto in guerra e, quando ti cadono le bombe in testa, non sai come difenderti e impari solo ad avere paura, per cui, sono cresciuto timido, non combattivo, privo di grinta».

(…)

Fu affascinato, dunque, dai due estremi: i casti e i libertini?

«Aspetti. Prima, devo dirle che ero mancino e, che alle elementari, mi corressero imponendomi l’uso della mano destra e bloccandomi la creatività. Facevo disegni bellissimi e, dopo, passai a ricopiare fiori e foglie senza alcun talento. Insomma, timido, censurato nella creatività, studiai Ginecologia, come il nonno, ma da ginecologo mi annoiavo e mi misi a studiare Psichiatria. Il mio primo paziente era un operaio psicotico di San Siro, innamorato della sua cavalla. Non sapevo che fare. Chiedo al primario e lui mi dice: dagli della biada, così vedrà che non è un cavallo. Il livello della Psichiatria in Italia era questo». 

E così va in un ospedale psichiatrico svizzero

«Qui arriviamo ai soldi e alla grinta ritrovata...La mia vita cambiò, perché affrontai una psicanalisi personale e imparai a combattere per quello che volevo. La mia fortuna fu che la Ford Foundation stanziò dieci milioni di dollari per studiare le resistenze alla contraccezione e io, da ginecologo e psichiatra, vinsi il posto. 

In pratica, iniziai a occuparmi di sessuologia perché arrivò quel finanziamento. Lavorai tanto. I giovani non usavano i preservativi, per convincerli inventai quelli colorati, quelli con le barzellette e quelli che si illuminavano di notte. Mi era tornata anche la creatività». 

Soldi, autostima, prestigio.

«Il secondo colpo di fortuna fu un ricco omosessuale di Ginevra che destinò i suoi averi ad aiutare le minoranze erotiche. Soldi che nessuno voleva, ma coi quali io aprii un dipartimento di Ginecologia Psicosomatica e Sessuologia».

Come si riavvicina all’Italia?

«Per aiutare la pianificazione dei primi consultori che si occupavano di contraccezione. Arrivai con la forza sovranazionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità per la quale tenevo seminari sulla salute sessuale e i cattolici non poterono fermarmi. Il presidente Sandro Pertini mi fece Cavaliere e poi Commendatore della Repubblica, il che mi diede lo slancio per fondare la prima Federazione Europea di Sessuologia». 

E in Italia, creò una scuola specialistica.

«Ero presidente, poi, due anni fa, mi hanno diagnosticato la leucemia e promesso una morte vicina e sono passato a presidente onorario.

Ma sono sopravvissuto, anzi, sto benissimo

Da esperto di psicosomatica, com’è scampato alla morte?

«Non so: mi sono cambiati i geni. Ho fatto una puntura nel midollo osseo ed ero già guarito. Penso di avere un angelo che mi protegge, perché ho rischiato la vita almeno cinque volte». 

Le altre quattro?

«Ho avuto il cancro a 40 anni. È lì che ho iniziato a scrivere libri divulgativi. Avevo pensato: non so quanto mi resta da vivere, tanto vale fare le cose che mi piacciono. Stranamente, ho venduto sette milioni di copie». 

Come se lo spiega?

«Forse, perché scrivo come se dipingessi quadri: mi torna la vena creativa. A Ginevra, ho avuto Paulo Coelho come vicino di casa. Gli chiedevo sempre: come faccio a passare da sette a 70 milioni? E lui: mettici più spiritualità». 

Le altre volte che ha rischiato di morire?

«Sotto le bombe, naturalmente. Poi, in un incidente d’auto e poi, a 60 anni, ho avuto un trombo al cervello su un aereo per Hong Kong. Da allora, funziono con mezzo cervello». 

Adesso, sta esagerando.

«No, no. Prima, pensavo due cose alla volta, ora devo stare attento a quello che dico». 

Parlava di un angelo custode. È credente?

«Nessuno: a Milano, ho studiato al Gonzaga, un liceo di preti. Ci ho incontrato prof straordinari ma anche dei pedofili, come padre Giacinto, che ha dato un colpo mortale alla mia fede». 

Padre Giacinto la molestò?

«Mi sono divertito a rimetterlo a posto più di una volta». 

Nel ’92, Sergio Zavoli, intervistandola sul Corriere, le chiese «che cosa sopravvive delle vecchie oscurità, generatrici di sensi di colpa, frustrazioni, errori?». Oggi, che risponderebbe?

«Che il tradimento resta sempre difficile da digerire. Specie quello della donna. In origine, non era accettato perché poteva portare un figlio di padre incerto, oggi non lo è perché sopravvive il senso di possesso del corpo della donna». 

Al Corriere, più di recente, ha detto di un patto con sua moglie: siete fedeli solo in Svizzera.

«Ai tempi degli hippy, a Los Angeles, due amici ci proposero lo scambio di coppia, rifiutammo, ma dopo, parlandone, concludemmo che non avevano torto. Lo scambismo però non ci attirava e ci organizzammo diversamente». 

È un patto che consiglierebbe?

«Certo: come si fa a essere fedeli per 50 anni?La fedeltà di cuore è più importante». 

Ha raccontato di tradire ai convegni. A 85 anni, è ancora infedele?

«Purtroppo, ai convegni, vado meno spesso». 

Da quanti anni sta con sua moglie?

«Da 57. Abbiamo cinque nipotine e due figli maschi, uno crea robot; l’altro crea strumenti finanziari. Giocavo a tennis e l’ho vista passare. È stata una frazione di secondo. Dopo, mi sono informato, ho saputo che faceva l’infermiera e mi sono presentato durante il turno di notte». 

Per quale contributo alla sessuologia le piacerebbe essere ricordato?

«Negli ultimi anni, ho lavorato soprattutto sulla civiltà del benessere, ma avrei dovuto lavorare di più sulla civiltà dell’odio: avrei dovuto fare criminologia invece che sessuologia». 

Diventò popolare grazie a Maurizio Costanzo. Che ricordi ha di lui?

«Se la puntata era fiacca, mi sussurrava: mettiamo un po’ d’incendio. Eravamo compari». Uso il titolo di un suo best seller per chiederle: a cosa serve la coppia?

«Deve essere tana, tenerezza, affetti stabili. Ma oggi, le si domanda una cosa che, prima, si chiedeva all’amante: di essere sempre come chi fa bungee jumping sui ponti con l’elastico». 

Un caso bizzarro di cui si è occupato? «Sono stato il ginecologo psicosomatico di un harem di ventotto donne perché la moglie principale non riusciva a restare incinta. Le altre erano nell’harem per ragioni politiche, per tenere buone tribù del deserto e delle montagne, così, la prescelta, ogni giorno, riceveva il loro odio. Feci costruire uno spazio architettonico per lei, dove poteva isolarsi: tra tanto astio, ovulare era impossibile. La donna ha avuto due figli e sono diventato famoso nel mondo arabo». 

(…) Per finire, diventeremo tutti fluidi?

«Si va in questa direzione, che non è fluidità, ma narcisismo: oggi, conta il desiderio che parte da sé, poi, l’oggetto d’amore è intercambiabile. A me spiace, sono un romantico». E il romanticismo è finito? «Spero di no, ma è innegabile che oggi le persone hanno più paura del cuore che del sesso».

Estratto dell'articolo di Mariano Croce per editorialedomani.it sabato 18 novembre 2023.

In pieno centro, a Roma, i gestori di un noto night club intimavano alle loro impiegate di interrompere il flusso mestruale durante il fine settimana. La pretesa è singolare, non solo né tanto perché indice di scarsa conoscenza del meccanismo secretorio, quanto perché fa da indovinata sineddoche di tutti i pregiudizi che si raccolgono intorno ad alcuni fatti, centrali per la vita umana, eppure trattati come fossero debolezze congenite della donna. 

[…] Ancor oggi, l’“effluente mestruale” è fonte di imbarazzi e oggetto di censure. Un segreto da celare sino al punto da rendersi invisibili.

Il ciclo mestruale è solo uno dei percorsi nel viaggio intrauterino che Leah Hazard imbastisce nel libro Utero. Storia intima del luogo da cui tutti veniamo (Ponte alle Grazie 2023).

L’autrice, “ostetrica, attivista e madre di due bambine” […] attraverso le mestruazioni, la gravidanza, la contraccezione, il travaglio, la menopausa e altre fasi e fattori dell’organo primario dell’antropogenesi, ci fa da guida in una selva di pregiudizi, fraintendimenti, mitologemi e disinformazione, in cui si appalesa quanto poco noi si sappia del luogo in cui tutti abbiamo letteralmente soggiornato.

[…] Tra storia delle scoperte mediche, aneddoti e resoconti di interviste, il nodo centrale del libro si può sintetizzare con relativa semplicità: l’aura di profanissima sacralità che circonda l’utero impedisce una più ampia conoscenza […]

In effetti, dell’utero si parla poco e male, con frettoloso disagio, come meritasse il tipo di rispetto che si deve alle divinità malvagie, le quali, pur sempre attorno a noi, mai evochiamo per timore che ci insozzino con le loro sconcezze o, peggio, che ci facciano del male. 

[…] Il problema, però, non è il deficit cognitivo in sé, ma la serie di infortuni cui espone le donne nelle diverse fasi della vita in cui hanno a che fare col proprio utero e che ne escono rafforzate nell’innato senso di disagevole pudore o persino traumatizzate da trattamenti inappropriati. 

Particolarmente istruttivo è il capitolo sul flusso mestruale, appunto evocato in apertura: un rituale ciclico, che comanda circospezione in chi teme di macchiare gli indumenti di cremisi o chi esce dall’aula scolastica con un assorbente nascosto nella manica. 

La nozione stessa di “effluente mestruale”, spiega l’autrice, convoca un immaginario di detriti e rifiuti. E se Tertulliano, filosofo e apologeta cristiano del II secolo, non aveva reticenze circa il suo senso della repulsione quando definiva la donna come “un tempio costruito sopra una fogna”, secondo Hazard non si è fatta molta strada da lì a qui, al netto delle molte app che del ciclo tengono tempi e mappano ritmi.

L’autrice si mette quindi sulle tracce di quelle studiose che alimentano l’ideale quasi fanatico di un ciclo “facoltativo”, il cosiddetto #PeriodsOptional, grazie agli estrogeni e al progesterone, per discutere poi del controverso impatto di tale scelta sullo sviluppo cognitivo delle adolescenti.

Questo non tanto al fine di offrire una guida pratica – intento ben lontano dal testo – ma per mostrare come, anche tra le donne, le mestruazioni rimangano “una fonte di costernazione e contraddizione”, alveo di polemiche e terreno di contrapposizioni. […]

L’utero è il posto da cui veniamo tutti, ma se ne parla ancora poco e male. MARIANO CROCE, filosofo, su Il Domani il 14 novembre 2023

In un saggio che è un inno al femminismo, l’ostetrica Leah Hazard racconta la “storia intima” di questo organo. Tra mestruazioni, gravidanza, menopausa e altre fasi ci guida per una selva di pregiudizi e incomprensioni

In pieno centro, a Roma, i gestori di un noto night club intimavano alle loro impiegate di interrompere il flusso mestruale durante il fine settimana. La pretesa è singolare, non solo né tanto perché indice di scarsa conoscenza del meccanismo secretorio, quanto perché fa da indovinata sineddoche di tutti i pregiudizi che si raccolgono intorno ad alcuni fatti, centrali per la vita umana, eppure trattati come fossero debolezze congenite della donna.

Peggio ancora se il legale che rappresenta i gestori l’ha definita “una goliardata”: si fa appunto goliardia su tratti che incarnano stereotipi e consolidano pregiudizi. Nondimeno, nel loro dubbio senso dell’ironia, questi maschi hanno ragione: ancor oggi, l’“effluente mestruale” è fonte di imbarazzi e oggetto di censure. Un segreto da celare sino al punto da rendersi invisibili.

Il ciclo mestruale è solo uno dei percorsi nel viaggio intrauterino che Leah Hazard imbastisce nel libro Utero. Storia intima del luogo da cui tutti veniamo (Ponte alle Grazie 2023). L’autrice, “ostetrica, attivista e madre di due bambine”, compie passi circospetti ma fermissimi nell’intricata dinamica da cui scaturisce la vita. Eppure, sarebbe riduttivo descrivere il libro come fosse un compendio di anatomia femminile per inespertə.

INNO AL FEMMINISMO

Esso è in primo luogo un coinvolgente inno al femminismo quale pratica per tutti i sessi e tutti i generi, che risulta così disincagliato dalle secche dell’attuale guerra tra bande – come Hazard asserisce con sintetica decisione nella dedica d’apertura: «Per tutti».

E così, attraverso le mestruazioni, la gravidanza, la contraccezione, il travaglio, la menopausa e altre fasi e fattori dell’organo primario dell’antropogenesi, Hazard ci fa da guida in una selva di pregiudizi, fraintendimenti, mitologemi e disinformazione, in cui si appalesa quanto poco noi si sappia del luogo in cui tuttə abbiamo letteralmente soggiornato.

L’intento dell’autrice è introdurre all’organo in questione per una via che, in gergo filosofico, si definisce “affettiva”, vale a dire, tramite la mobilitazione di un crescente legame emotivo con chi legge. Il libro muove alla ripugnanza, allo sconcerto, alla sorpresa, accompagnati sempre da un piacere che appunto coinvolge e lega alle storie delle molte donne (professioniste e non) che Hazard intervista, scruta e talora provoca.

Tra storia delle scoperte mediche, aneddoti e resoconti di interviste, il nodo centrale del libro si può sintetizzare con relativa semplicità: l’aura di profanissima sacralità che circonda l’utero impedisce una più ampia conoscenza di noi esseri umani quando ci si osserva dalla fenditura da cui siamo uscitə.

In effetti, dell’utero si parla poco e male, con frettoloso disagio, come meritasse il tipo di rispetto che si deve alle divinità malvagie, le quali, pur sempre attorno a noi, mai evochiamo per timore che ci insozzino con le loro sconcezze o, peggio, che ci facciano del male.

Ma l’ostacolo più molesto sulla strada di una più solida conoscenza dell’utero deve attribuirsi, per paradosso, a chi con esso vanta più familiarità. Consiste infatti in una serie di miti, perlopiù fabbricati da mano mascolina, nell’ambito della medicina specializzata: costruzioni malcerte e infide, come l’“utero sterile” (cioè privo di microbiota), quello “ostile” oppure l’idea di una sua passività nel concepimento, assieme a molte altre nozioni al meglio inesatte, che fanno della medicina un luogo in cui l’utero rimane l’oggetto di un sapere ancora rudimentale e a tratti superstizioso.

Il problema, però, non è il deficit cognitivo in sé, ma la serie di infortuni cui espone le donne nelle diverse fasi della vita in cui hanno a che fare col proprio utero e che ne escono rafforzate nell’innato senso di disagevole pudore o persino traumatizzate da trattamenti inappropriati. 

IL CICLO

Particolarmente istruttivo è il capitolo sul flusso mestruale, appunto evocato in apertura: un rituale ciclico, che comanda circospezione in chi teme di macchiare gli indumenti di cremisi o chi esce dall’aula scolastica con un assorbente nascosto nella manica.

La nozione stessa di “effluente mestruale”, spiega l’autrice, convoca un immaginario di detriti e rifiuti. E se Tertulliano, filosofo e apologeta cristiano del II secolo, non aveva reticenze circa il suo senso della repulsione quando definiva la donna come “un tempio costruito sopra una fogna”, secondo Hazard non si è fatta molta strada da lì a qui, al netto delle molte app che del ciclo tengono tempi e mappano ritmi.

L’autrice si mette quindi sulle tracce di quelle studiose che alimentano l’ideale quasi fanatico di un ciclo “facoltativo”, il cosiddetto #PeriodsOptional, grazie agli estrogeni e al progesterone, per discutere poi del controverso impatto di tale scelta sullo sviluppo cognitivo delle adolescenti.

Questo non tanto al fine di offrire una guida pratica – intento ben lontano dal testo – ma per mostrare come, anche tra le donne, le mestruazioni rimangano “una fonte di costernazione e contraddizione”, alveo di polemiche e terreno di contrapposizioni.

Ma se quantomeno la classe medica avesse buon cuore e lucida mente per guardare con più attenzione a cosa sta nel liquido stillante (nota Hazard che, nella letteratura scientifica, si contano “solo 400 articoli sull’effluente mestruale, contro i 15.000 e passa sul liquido seminale e sullo sperma”), ci si potrebbe avvedere di come esso sia capace di segnalare la presenza di malattie la cui diagnosi richiede altrimenti dai sette ai dieci anni, assieme a trattamenti invadenti e interventi dolorosi – oltreché gravanti sulle casse pubbliche.

Insomma, l’utero, proprio come il flusso che mensilmente rilascia, è ancora vittima di pregiudizi generali, noncuranza medica e ritegno femminile. Il tutto sotto il dominio ancora solido di “un patriarcato bianco con scarso rispetto per la saggezza delle donne”, che ha promosso metodi e pratiche tutt’altro che facilitanti il travaglio, l’aborto e altre fasi della vita uterina.

ALLEANZA E CONOSCENZA

Il libro, nella sua conclusione, auspica una prossimità più avveduta e documentata con un organo tanto decisivo per l’esistenza umana.

Eppure, non credo oggi si possa azzardare in ottimismo, se è vero com’è vero che in molte giurisdizioni nazionali, persino nei paesi sedicenti liberali, il corpo della donna torna oggetto di una legislazione aggressiva e proprietaria, con restrizioni sul diritto di decidere in autonomia del proprio corpo, assieme alla reviviscenza di ideologie conservatrici, in cui la donna è il perno della vita domestica, oltreché devota e sollecita educatrice della prole.

Ma è proprio in condizioni di ristagno morale come queste che soccorrono libri quali Utero. Di tale bizzoso organo, Hazard non fa un oggetto di venerazione né certo di occhiuta regolazione. Piuttosto, lo ritrae capitolo dopo capitolo come alleato fedele, informatore inatteso, seccatura ricorrente, sigillo di perenne alleanza tra chi genera e chi nasce, assieme a molte altre modalità di interazione con l’essere umano che lo ospita. 

Nella mia idiosincratica lettura, il libro mi sembra ravvivare l’insegnamento più prezioso del vecchio e troppo vituperato meccanicismo: il corpo umano è un assemblaggio di corpi più piccoli e, assieme ad altri corpi, forma assemblaggi che lo eccedono.

Per una vita saggia e felice, la prescrizione più raccomandabile è quella di una salda alleanza tra tutte queste macchine formanti macchine – un’alleanza che deve passare, come insiste Hazard, per una conoscenza quanto più chiara e distinta di ciò che, nell’intrico di macchine, ogni singola macchina fa e può fare.

MARIANO CROCE, filosofo, Professore di filosofia politica all'Università La Sapienza di Roma. I suoi ultimi libri sono Oltre lo stato di eccezione, Nottetempo 2022 e L'indecisionista. Carl Smith oltre l'eccezione, entrambi firmati con Andrea Salvatore

L’Ostentazione.

Estratto dell’articolo di Susanna Macchia – “La Repubblica - D” lunedì 30 ottobre 2023.

“Nessuno guarderà questa bizzarra serie che parla di un teenager che si mette a dare consigli di sesso dalla stanza di un bagno. È troppo strana”. Diceva così Laurie Nunn, ideatrice, sceneggiatrice e produttrice di Sex Education, uno dei titoli Netflix più di successo degli ultimi anni (la stagione finale è stata visualizzata, finora, da oltre 25 milioni di persone). 

«Avevo scritto la trama qualche anno prima e avevo ricevuto così tanti rifiuti che pensavo non avrebbe mai visto la luce», prosegue l'autrice. «Quando Netflix ha mostrato interesse e ho ottenuto il via libera, è stato uno shock. Non riuscivo a immaginarmi come la gente avrebbe reagito e non appena hanno iniziato a dirmi che l'avevano vista e che era piaciuta non mi sembrava possibile».

In effetti è stata la prima serie non documentaristica a parlare di sesso in maniera così esplicita e approfondita, coinvolgendo un pubblico vasto e trasversale. «Anche se si affrontano tematiche sessuali in modo schietto, volevo si capisse che era fatto con il cuore e con convinzione, in modo che chiunque, di qualsiasi età, potesse guardarlo».

Così è stato. E se Sex & the City, alla fine degli anni 90, aveva elaborato il tema di una sessualità femminile libera, consapevole e soprattutto glamour, Sex Education ha cambiato i codici semantici della conversazione spostando l'asticella su un linguaggio senza iperboli, senza filtri, senza confini di genere, identità e fantasia.

Parlare di sesso, analizzarlo, raccontarlo e talvolta ostentarlo è una caratteristica, e forse un'esigenza, molto specifica di questi ultimi anni. Prima delle vicende dei giovani del Moordale College narrate da Nunn, ci sono state le sessioni di sessoterapia condotte da Gwyneth Paltrow (e delle esperte) in The Goop Lab, il più recente Le basi del piacere, l'altro titolo teen Non ho mai... e il documentario sulla storia di PornHub Money Shot. 

Oltre ai prodotti tv ci sono poi i podcast (Il sesso degli altri, Vengo anch'io, È il sesso bellezza, solo per citarne alcuni), i libri (Vengo prima io di Roberta Rossi, Come as you are di Emily Nagoski, The Vagina Bible di Jen Gunter) e i progetti artistici. 

Hilde Sam Atalanta (they/them) è, per esempio, un'illustratrice basata ad Amsterdam che dal 2016 porta avanti The Vulva Gallery, piattaforma digitale di inclusione sulla rappresentazione della vagina. Sette anni fa era un'idea pioneristica: «Di vulva si parlava poco.

Poi è arrivata una nuova ondata di femminismo, il #MeToo, la body positivity ed è cambiato il modo in cui si pensa al corpo. Le diversità hanno assunto un ruolo chiave e qualcosa sta cambiando anche a livello politico. C'è un maggiore interesse, ad esempio, per i bambini intersessuali e la parola "vagina" è diventata mainstream», sostiene Atlanta. 

[…] A sentire l'artista, infatti, sono soprattutto le nuove generazioni le più «in lotta con l'immagine della vulva. Negli ultimi anni c'è stato un aumento mondiale degli interventi di labioplastica - trattamento che modifica le dimensioni delle labbra interne. C'è un "ideale di bellezza" della vulva (rosa con pochi o nessun pelo pubico e piccole labbra interne) proposto dai media, dal porno tradizionale e persino dai libri di testo di biologia totalmente irreale. 

Questa rappresentazione, unita alla mancanza di un'adeguata educazione alla diversità corporea e al fatto che non siamo abituati a parlare dei nostri genitali, può portare a sentimenti di insicurezza e alla paura di sentirsi "strani" o "brutti"».

Il risvolto paradossale di questa sovra narrazione è infatti l'insorgere di nuove insicurezze: «La tentazione di fare confronti è fortissima. Anche sulla frequenza "giusta" dei momenti dedicati ai rapporti intimi. Si cercano (e facilmente si trovano) rilevazioni statistiche su quanto spesso le coppie facciano l'amore: se il numero corrisponde si dice "Fiuu, sono nella norma", altrimenti scatta il sentirsi inadatti, inadeguati», sostiene Emily Nagoski, sex educator, autrice di libri e podcast di grande successo. 

D'accordo anche la counselor della sessualità Daniela Bocconi che spiega: «Il fatto che si parli tanto di sesso è un grande traguardo. Forse, però, il problema è che è stato raggiunto senza garantire gli strumenti in grado di elaborare correttamente le informazioni diffuse dai media e da una pornografia sempre più facilmente accessibile. Nelle scuole italiane, per esempio, si danno nozioni anatomiche di base e istruzioni contraccettive ma non si fa educazione sessuale.

Il risultato è che i ragazzi non sanno ascoltarsi. E pur avendo un'idea estremamente fluida della sessualità hanno creato nuovi stereotipi inventando ulteriori etichette di orientamenti». Gli adulti, dal canto loro: «Entrano facilmente in crisi paragonando le loro performance a quelle che vedono nei porno o anche nei film e nelle serie. Durata dei rapporti e orgasmi simultanei non corrispondono alla realtà e provocano frustrazioni». […] 

Doppia Vagina.

Estratto da leggo.it domenica 29 ottobre 2023. 

Una donna, nata con l'utero didelfo, ha affermato che il suo fidanzato ne reclama uno. L'utero didelfo, o meglio noto come doppio utero, è una possibile malformazione uterina, caratterizzata dalla presenza di due distinti corpi dell'utero, due cervici separate e, spesso, anche due vagine. Il fenomeno medico fa sì che la modella e attrice di contenuti per adulti possa concepire due bambini con due ragazzi diversi contemporaneamente. Dopo aver trovato l'amore, quest'anno, Annie Charlotte, del Surrey in Inghilterra, ha spiegato come ha gestito la cosa con il fidanzato che reclama una delle sue due vagine.

Il Clitoride.

Estratto dell'articolo di fanpage.it il 3 maggio 2023.

Il 3 maggio è il giorno in cui a Frosinone e in Ciociaria si festeggia Santa Fregna. No, non è una bufala né una presa in giro, ma una tradizione popolare che viene da lontano e che ha una spiegazione che affonda nella storia. 

Il 3 maggio è infatti il giorno che nel calendario dei santi è dedicato a Santa Elena Flavia Giulia, la madre dell'imperatore Costantino che, secondo il racconto della tradizione, subito prima della battaglia di Ponte Milvio vide la Croce su cui Gesù andò al martirio convertendosi alla nuova religione. Per questo Santa Elena è spesso rappresentata con una croce.

"Dal punto di vista profano invece la ‘croce' dell'uomo può essere identificata con il sesso femminile, del cui desiderio spesso rimane insoddisfatto. 

Da qui l'associazione di questo giorno ad un evento molto lontano e improbabile, che forse non accadrà mai e che, nella tradizione popolare, è stato appunto sostituito con l'espressione "Nsanta fregna", questa la spiegazione che fino a poco tempo fa compariva anche sul sito istituzionale del comune di Frosinone.

[…]

Estratto dell'articolo di Anna Lisa Bonfrancesco per wired.it il 17 febbraio 2023.

Nei bilanci di fine anno, per il 2022 avremmo potuto annoverare anche le scoperte sul clitoride. […] Abbiamo infatti scoperto che il nostro clitoride contiene un numero ancora più grande di quanto credessimo di fibre nervose: in appena 10 cm (considerando parti scoperte e non visibili) se ne concentrano 10 mila. […] nel 2022 abbiamo anche scoperto che lo stesso organo è presente e funzionale nelle femmine di delfino e nei serpenti. Scoperte che hanno un po' riscattato il clitoride, organo a volte un po' bistrattato, a volte difficile da studiare.

 A metterla così è oggi un articolo apparso su The Conversation, a firma di Louise Gentle, […] La tesi di Gentle è sostanzialmente questa: il maschilismo imperante, praticamente ovunque, ha colpito anche la ricerca sugli organi genitali, così che se molto sappiamo sui peni del regno animale, poco è noto sul loro equivalente femminile, il clitoride appunto. Anche se, a giudicare dalle ultime ricerche sul tema, qualcosa sta cambiando, […]

Cominciamo dai delfini, pardon dalle delfine, ma non senza aver prima ripassato brevemente di che cosa stiamo parlando. Il clitoride è un organo femminile erettile, considerato l'omologo del pene e […] centro del piacere, ma alla sua presenza e stimolazione si associano anche dei benefici riproduttivi: infatti, secondo alcuni, il piacere sarebbe infatti la strada per attuare tutta una serie di microcambiamenti anatomici e chimici che hanno lo scopo di favorire la fecondazione.

Ma torniamo ai cetacei. Nelle delfine l'esistenza del clitoride era già nota ma lo scorso anno uno studio apparso su Current Biology ha fatto luce sul suo ruolo, mostrando che, anche per i mammiferi marini svolge funzioni legate al piacere in modo simile a quanto osservato nella nostra specie. I delfini d'altronde fanno sesso anche a scopo sociale e non meramente riproduttivo – ricordano gli esperti - e stimolazioni del clitoride sono state osservate anche tra le femmine. […]

 il clitoride delle delfine era molto simile a quello umano, con abbondante tessuto erettile e innervazione, con alcuni nervi anche piuttosto grandi. […]

Il problema è qui, a detta di Gentle: se si cerca e si studia, poi si trova, e probabilmente il clitoride lo abbiamo cercato poco. Gli ultimi animali a rivendicare di averne uno sono i serpenti: quando un team australiano e statunitense si è messo a cercarlo per bene, lo ha trovato in nove specie e presenta tutte le caratteristiche – come innervazione e presenza di tessuto erettivo - per immaginare che abbia un ruolo nell'accoppiamento, che possa essere stimolato in sostanza, come spiegavano gli autori della scoperta solo un paio di mesi fa, notando la forma a cuore e una certa diversità da specie a specie. […]

 Stiamo riscoprendo il clitoride, dunque, l'omologo del pene. E, come il pene, animale che vai clitoride che trovi. Così Gentle cita alcuni dei più curiosi. Come quello della iena macchiata (o iena ridens) che ha un clitoride […] simile a un pene che usa per urinare, accoppiarsi e partorire, ma anche le scimmie ragno hanno un clitoride che ricorda in tutto e per tutto un pene.

Le Mutilazioni.

Mutilazioni genitali femminili: storia di un orrore. Allegra Filippi il 5 Febbraio 2023 su Inside Over.

Il 6 febbraio ricorre la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf). Secondo la Organizzazione mondiale della sanità (Oms) più di 200 milioni di bambine e donne nel mondo avrebbero subito questa pratica e ogni anno circa 3 milioni di ragazze sono a rischio Mgf. La pratica è ancora attiva in 40 Paesi ed è concentrata per l’80% in Africa, Medio Oriente e Asia. Sono state registrate forme di Mgf in Europa, Australia e America del nord. Malgrado alcuni dati incoraggianti mostrino che alcuni dei Paesi coinvolti stiano adottando misure per contrastare il fenomeno, il numero delle pratiche non sembra destinato a diminuire nel breve tempo.

Che cosa sono le mutilazioni genitali femminili e che rischi rappresentano?

Le Mgf sono tutte quelle procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili o altre lesioni agli organi genitali femminili per motivazioni non mediche. La stessa pratica varia in base a diversi fattori, soprattutto etnici. Secondo le stime condotte dal Who circa il 90% dei casi di mutilazione comprende la clitoridectomia, l’escissione e la scalfittura mentre il 10% la forma più grave e dannosa, l’infibulazione (restringimento dell’orifizio vaginale), praticata soprattutto in Paesi quali Gibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan. Le vittime sono per la maggior parte dei casi ragazze tra l’infanzia e i 15 anni, in alcuni Paesi però vengono operate bambine di pochi mesi o neonate di pochi giorni di vita. Quest’ultimo fenomeno si registra soprattutto in Eritrea, Mali e Yemen.

Le Mgf non rappresentano nessun beneficio per la salute, come la circoncisione, ma al contrario portano a gravi rischi per la salute sia fisica che psichica. Le ragazze che subiscono questa pratica potrebbero andare incontro a emorragie, infezioni, ritenzione di urina e trasmissione dell’Hiv, inoltre a lungo termine potrebbero soffrire di infertilità e complicanze post-partum. Le conseguenze psicologiche sono d’altro canto devastanti e si stima che almeno l’80% di chi è stata mutilata soffre di ansia e depressione.

Sono numerosi i motivi che concorrono alla persistenza di questa pratica, primo fra tutti la condizione socio economica poiché viene considerato come un mezzo di integrazione sociale delle giovani e per il mantenimento della coesione nella comunità. Non mancano però le ragioni sessuali per ridurre e piegare la sessualità femminile o per garantire la castità. Molti credono che vi siano specifiche nel Corano sentendosi quindi legittimati dal fattore religione malgrado la pratica non sia presente in nessun passaggio del testo sacro. Inoltre la mutilazione viene considerata come un prerequisito per il matrimonio e l’eredità e le ragazze che non vi vengono sottoposte rischiano l’esclusione dalla comunità.

Le Mfg rappresentano una violazione dei principi universali dei diritti umani poiché violano i principi di uguaglianza di genere, il diritto alla salute e all’integrità fisica e nondimeno violano i diritti del bambino.

La pratica in Italia e in Europa

La pratica è stata registrata anche negli stati membri dell’Ue. Secondo le stime tra l’11% e il 21% delle bambine originarie di Paesi dove la pratica è prassi, sono a rischio mutilazione. Il fenomeno è in forte crescita dagli ultimi dati raccolti nel 2016 arrivando a un incremento del 40%. La maggior parte delle pazienti alle quali è stata diagnosticata la pratica erano minorenni, la metà di loro aveva meno di 12 anni. Uno dei problemi più gravi che si presenta in Europa è la medicalizzazione della procedura che ha reso la pratica più accettabile per molte famiglie che vi ricorrono. I familiari della vittima si affidano a medici specializzati e questo viene percepito come più sicuro, più igienico e meno doloroso.

Anche in Italia sono stati registrati numerosi casi di Mgf tanto che dal 2006 vige la legge n.7 che stabilisce specifiche disposizioni per affrontare il problema. La legge prevede l’applicazione del principio dell’extraterritorialità, criminalizzando la pratica anche quando viene eseguita all’estero proteggendo così tutte quelle bambine che vengono portate nei Paesi di origine esclusivamente per essere mutilate. In caso di mutilazione vengono applicate le disposizioni generali di protezione dei minori e quindi i genitori possono essere ritenuti responsabili della pratica compiuta sulla propria figlia.

Gli sforzi globali per contrastare la pratica

I progressi per eliminare questa pratica non sono stati omogenei tra i vari Paesi. In alcuni di essi infatti la pratica è rimasta uguale a decenni fa e coinvolge lo stesso numero di bambine. Ad esempio in Somalia oltre il 90% delle donne e delle ragazze tra i 15 e i 40 anni ha subito la Mgf. Rispetto a 30 anni fa, una bambina ha qualche probabilità in meno di essere sottoposta alla Mgf grazie all’impegno di ogni singola nazione nel contrastare il fenomeno. Tuttavia se gli sforzi non verranno incrementare in modo più significativo si stima che nel 2030 aumenterà notevolmente il numero di bambine sottoposte a Mgf. Molte speranze per frenare la pratica sono riposte nell’opposizione delle stesse ragazze e di molti uomini contrari. Si stima che stiano aumentando le ragazze che si ribellano alla pratica sia in Europa che in Africa e Medio Oriente.

ALLEGRA FILIPPI

L’Odore.

Cattivi odori intimi, come eliminarli. Quando persiste un odore insolito nelle parti intime ciò può essere dovuto a fluttuazioni ormonali, infezioni vaginali, malattie sessualmente trasmissibili, tamponi dimenticati. Per limitare il fenomeno seguiamo alcuni semplici ma utili consigli. Francesca Bocchi il 30 Luglio 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Come si caratterizzano gli odori vaginali

 I sintomi associati a un cattivo odore intimo

 Le cause di un cattivo odore

 Infezione batterica (o vaginosi batterica)

 Infezione parassitaria

 Micosi vaginale

 Altre cause di odore vaginale

 Cattivo odore intimo: le conseguenze

 Come trattarlo e prevenirlo

 Previenire i cattivi odori

Ogni donna ha il proprio odore vaginale che può variare a seconda del ciclo mestruale. A volte un cambiamento nell'olfatto può rivelare la presenza di un'infezione parassitaria. Un cattivo odore vaginale è quindi generalmente il segno di uno squilibrio vaginale ma non deriva necessariamente da una scarsa igiene intima.

Come si caratterizzano gli odori vaginali

In ogni donna, la vagina ha un odore particolare. Questo può variare normalmente durante il ciclo mestruale e diventare, ad esempio, leggermente più acido durante le mestruazioni.

Una piccola differenza di odore non è quindi sempre un segnale allarmante, ecco perché è importante conoscere il proprio odore naturale. Tuttavia, se l'odore è molto diverso e sgradevole, potrebbe essere un segno di un'infezione (vaginosi).

La vagina è naturalmente sede di molti microrganismi che costituiscono quella che viene chiamata la flora vaginale ed è costituita principalmente da un batterio chiamato bacillo di Döderlein o lactobacillus che mantiene un ambiente acido nella vagina e contribuisce così alla sua protezione contro le infezioni. Qualsiasi cambiamento nell'equilibrio di questi microrganismi può influenzare l'odore delle perdite vaginali.

I sintomi associati a un cattivo odore intimo

L'odore vaginale anomalo non è l'unico sintomo caratteristico delle infezioni sopra menzionate. Altri sintomi possono accompagnarlo, come:

prurito;

una sensazione di bruciore;

dolore locale;

arrossamento;

perdite vaginali anormali (leucorrea).

Le cause di un cattivo odore

I motivi possono essere diversi per cui è bene conoscere le caratteristiche di ognuno così da poter individuare la causa scatenante corretta.

Infezione batterica (o vaginosi batterica)

Molto spesso, è causato dal batterio Gardnerella Vaginalis. Questo è naturalmente presente nella vagina ma in alcuni casi può moltiplicarsi in modo anomalo e prendere il sopravvento su altri batteri. Produce un cosiddetto odore di "pesce".

Infezione parassitaria

Un'infezione parassitaria da "trichomonas vaginalis" (tricomoniasi) è una causa comune di un cambiamento dell'odore e si tratta un'infezione a trasmissione sessuale facilmente curabile.

Micosi vaginale

L'infezione da lievito vaginale è un'infezione da Candida. La proliferazione di questo fungo è molto comune e ci sono molti fattori che contribuiscono, ad esempio, trattamenti ormonali, gravidanza o assunzione di antibiotici.

Altre cause di odore vaginale

Alcune malattie o comportamenti possono favorire le infezioni. Tra questi ci sono:

scarsa igiene o, al contrario, igiene eccessiva;

lo stress;

trattamento antibiotico;

una fistola rettovaginale (un'apertura anormale tra il retto e la vagina che provoca la fuoriuscita di feci nella vagina);

cancro cervicale;

cancro vaginale.

Le infezioni da lievito o Chlamydia e Neisseria gonorrhoeae (gonorrea) di solito non causano odore vaginale.

Cattivo odore intimo: le conseguenze

Se l'infezione responsabile del cattivo odore vaginale non viene trattata, può peggiorare e aumentare anche il rischio di contrarre altre infezioni. Ad esempio, la tricomoniasi aumenta il rischio di contrarre o trasmettere il virus dell'AIDS (HIV).

Infine, la vaginosi batterica durante la gravidanza aumenta il rischio di parto prematuro.

Come trattarlo e prevenirlo

In caso di odore vaginale anomalo, il medico farà fare un tampone per determinare se l'infezione sia dovuta a un batterio o a un parassita per proporre un trattamento antibiotico appropriato. In caso di tricomoniasi si può decidere di curare anche il partner sessuale.

Le infezioni sono più comuni nelle donne sessualmente attive e avere più partner aumenta il rischio di sviluppare vaginosi.

Previenire i cattivi odori

Una buona igiene intima è importante per limitare il rischio di infezione e non richiede alcuna tecnica particolare. Quindi meglio preferire l'uso di un sapone delicato ed evitare l'utilizzo eccessivo di lavande. Di seguito altri consigli utili.

Non utilizzare deodoranti, profumi vaginali o vaporizzatori vaginali . Questi prodotti possono indebolire le mucose e causare gravi irritazioni.

Usare mutandine mestruali o protezioni sanitarie in cotone organico, senza prodotti chimici, per limitare irritazioni e infezioni.

Cambiare regolarmente tamponi e assorbenti.

Scegliere biancheria intima di cotone ed evitare indumenti attillati.

Limitare l'assunzione di zucchero, alcool e tabacco.

Prestare attenzione durante la rasatura o la ceretta nella zona intima.

Usare probiotici per preservare il microbiota vaginale.

 

Barbara Costa per Dagospia l’8 gennaio 2023.

Se ti puzza di pesce non sta bene (c’è un’infezione batterica), se ti prude e ti s’arroventa e ti si trasforma in una yogurtiera neppure (c’è una micosi), se corri a pisciare non ogni momento ma quasi… probabilmente c’è una cistite. Una vulva è sana se è stabilmente umida e lubrificata, e chi lo dice che deve profumare di vaniglia o di qualche fiore?! Una vulva sana non profuma bensì odora di un "sapore" suo che è personale e che può essere “pepato, muschiato, dolce o salato, leggermente marino, simile al fieno tagliato, o alla cipolla fresca”.

 È quanto scrivono la giornalista Élise Thiébaut e l’ostetrica Camille Tallet nel loro "V per Vulva. Benessere Intimo dalla A alla V" (Odoya ed.), manualetto che dei dubbi che la tua vulva ti pone offre facile e mirata soluzione. E ne asfalta i tabù. Perché non è vero che le vulve sono tutte uguali, no: le orientali ce l’hanno in un modo, le europee in un altro, le afroamericane in un altro ancora. E son normalissime le vulve che hanno le labbra asimmetriche, e è errato dire che la vagina interna alla vulva sia un buco: essa è “una fessura elastica piena di pieghe e grinze, in media lunga da 6 a 8 cm, e larga 3”.

Tutte le vulve sicché tutte le donne hanno le ghiandole di Skene che le fanno squirtare: se la quantità di squirto va da un cucchiaino a mezzo litro, perché non tutte le vulve squirtano? Perché o non sono né auto né da altrui a dovere stimolate, o perché hanno le ghiandole di Skene non bacate ma atrofizzate: sono nate così, e non generano squirto. Ma non vi abbattete, che non ve n’è alcun motivo! La capacità di fare squirto e quanto non inficia nel modo più assoluto sul volume e sulla qualità degli orgasmi, chiaro?

E non è nemmeno vero che il clitoride risponde festoso a ogni tocco. Se la ragione di vita di un clitoride è esclusivamente quella di farsi titillare per farci tanto godere, sta a chi ce lo sfrega centrare la maniera la più precisa per appagarlo, maniera che differisce da donna a donna. E sta a ognuna di noi guidare il o la partner verso la "strada" più esatta.

Mi sa che è proprio grazie alla vulva che l’umanità ha imparato a contare: è sempre più certo che le prime matematiche siano state donne, tenutarie di archeo-agende vieppiù mentali e combacianti con le fasi lunari che bissano il ciclo mestruale nei 28 giorni.

Se ancora oggi il toro è simbolo di virilità, nell’antichità era simbolo di femminilità, e per la forma della sua testa e corna simili a un utero. Nel corso della sua età fertile, una donna che non ha figli e non prende la pillola, ha in media 450 cicli mestruali! Sono 2400 giorni col ciclo, e però ogni volta la perdita di sangue riempie una tazza di thè (solo???). Sono cifre variabili perché ogni donna ha il suo, di ciclo, che varia e per durata e per densità, come varia per dolori più o meno sopportabili.

 Un argomento più tabù del dolore da ciclo è quello della sindrome premestruale che c’è, esiste, e di solito sotto forma di dolori a gambe e reni, mal di testa, nausea, ansia, brufoli esagerati, e male e gonfiore al seno (com’è vero! Il mio aumenta e se ne fa accorgere…). Ogni donna ha la sindrome premestruale sua, ma non è dai suoi ormoni che va definita, né in quanto donna, né la sua sindrome: di conseguenza sarebbe ora di finirla di pensare e di rimarcarci che siamo nervose perché abbiamo le nostre cose!!!

Come dovremmo smetterla di pensare e dire che, se non facciamo sesso e penetrativo per lungo tempo, ci si arrugginisce... Ogni donna rimedia ai dolori premestruali e del ciclo in sé come ritiene, e però attenzione, è più che comprovato: masturbarsi pre e durante il ciclo porta sollievo, come per alcune è un toccasana fare sesso non necessariamente penetrativo pre e durante il ciclo.

 Ci sono donne che prima e durante il ciclo hanno un calo netto del desiderio ed è normale, ci sono altre che prima e durante il ciclo gli aumenta pazzamente la voglia, ed è normale pure questo (e meno male!). E ci sono donne che hanno crampi mestruali strani, “intensi e profondi, paragonabili a un attacco di cuore”, e sono le donne che soffrono di endometriosi: malattia di lunga e faticosa diagnosi, le cui cause sono oggetto di studio.

Ogni vulva va lavata con cura ma non esasperatamente, e meglio evitare docce vaginali e saponi alteranti il suo ph fisiologico. Le autrici dicono che va bene anche lavarla solo con acqua (sarà…), consigliano di dormire lasciandola all’aria, cioè senza mutande, e di indossare di giorno quelle di cotone, e sentite qua: in più punti del manuale raccomandano di “cambiare le mutande una volta al giorno” (e che, ci son donne che non se le cambiano?!?).

E poi, già: le donne non perdono secrezioni: creano secrezioni! Sono segno di salute le perdite di muco comunemente dette bianche, ma non se diventano gialle o grigie o verdi, maleodoranti, in presenza delle quali bisogna correre dal medico. E il muco che esce quando si fa sesso e si è accese al massimo si chiama "ciprina" ed è essenziale: esso ci lubrifica la vulva quando non vede l’ora di accogliere in sé quel pene (o mani, o lingua o sex toy) che tanto ci piace.

DAGONEWS l’8 gennaio 2023.

Esiste un enorme quantità di prodotti per la pulizia della vagina, ma non sono necessari. È quanto sostiene la dottoressa Shirin Lakhani, fondatrice di Elite Aesthetics a Londra, che spiega come le vagine siano autopulenti e quindi basti utilizzare solo l’acqua.

 Infatti una pulizia eccessiva con prodotti profumati o lavaggi può interrompere il delicato equilibrio. La dottoressa Shirin Lakhani consiglia: «Le nostre vagine sono aree sensibili. Lavatela una volta al giorno con acqua ed evitate profumi, coloranti e prodotti chimici aggressivi»

 I sette consigli utili su cosa dovresti e non dovresti fare...

1. EVITARE GLI SPRAY

Molti prodotti contengono fragranze che possono potenzialmente irritare la vagina e causare infiammazioni, prurito e dolore. Le lavande possono sconvolgere l'equilibrio naturale dei batteri nella vagina, rendendola più suscettibile alle infezioni.

«Se il pH aumenta e diventa meno acido, la vagina può essere soggetta a infezioni, tra cui vaginosi batterica o mughetto».

2. SBAGLIATO NON PARLARE CON IL DOTTORE

Il dottor Lakhani afferma: "Siamo in un'epoca in cui non dobbiamo avere vergogna dei nostri problemi vaginali. Se hai la pelle irritata intorno alla vulva, la cosa migliore da fare è usare luna soluzione salina, che si ottiene aggiungendo due cucchiaini di sale a un litro d'acqua, e applicarla su un batuffolo di cotone idrofilo. Non essere imbarazzato ad andare da un medico».

3. EVITARE PRODOTTI PROFUMATI

Ci sono vari punti sul tuo corpo in cui mettere il profumo per farlo durare più a lungo, ma la vagina non è una di queste. «Penso che una delle cose peggiori che possiamo fare alle nostre vagine sia usare prodotti profumati per la pulizia. Sono irritanti e per nulla necessari

La vagina ha un odore naturale, il che non significa che non sia pulita».

4. SE QUALCOSA STA IRRITANDO LA TUA VAGINA, POTRESTI ESSERE ALLERGICO

Si stima che la metà delle donne di età superiore ai 24 anni sperimenterà almeno un episodio di vulvovaginite. I sintomi possono includere un cambiamento di colore, odore o quantità di secrezioni vaginali, prurito o irritazione e dolore durante il sesso.

 «Potrebbe essere dovuto alle allergie. È abbastanza comune essere allergici alla carta igienica, ai lubrificanti, ai preservativi inlattice, agli antisettici e persino allo sperma. Il consiglio è sottoporvi a un test per le allergie.

 5. NON IGNORARE LE PERDITE

L’incontinenza urinaria può avere un impatto devastante su fiducia e autostima delle donne. «Con i molti pazienti che vedo settimanalmente, so quanto sia comune questa condizione nelle donne, soprattutto dopo il parto. Ma ci sono olti trattamenti per risolvere il problema. Parlatene con il medico».

 6. TRATTARE LA SECCHEZZA, MA EVITARE GLI IDRATANTI

La secchezza vaginale può essere causata da molte cose, dalla menopausa, al non essere eccitati e al diabete. Dovreste evitare di usare creme idratanti se sono profumate in quanto possono causare più irritazioni.

 Si consiglia l’utilizzo di saponi non profumati intorno alla vagina e idratanti vaginali specializzati. Inoltre, anche i preliminari prima del rapporto sessuale possono aiutare.

 7. COME GESTIRE I PELI INCARNITI

I peli incarniti causano protuberanze rosse e spesso pruriginose. Sono spesso causati dalla ceretta e possono essere molto fastidiosi. «La cosa migliore da fare è smettere di rimuovere i peli in quella zona fino a quando i peli incarniti non scompaiono. Applicate un impacco caldo nella zona per far riemergere il pelo e levatelo con una pinzetta sterilizzata.

Non depilatevi fino a quando l’area non sarà guarita. Non tentate di far uscire il pelo perché potreste causare delle infezioni».

La rasatura può anche creare irritazione sotto forma di eruzioni cutanee, che si presentano come protuberanze rosse, sensazioni di bruciore e prurito intenso.

I trattamenti per le eruzioni cutanee includono bagni caldi per aprire i pori e alleviare il gonfiore. Anche gli impacchi freddi possono essere lenitivi, così come indossare abiti larghi di cotone per evitare irritazioni sulla zona interessata.

Il Pene.

L’astinenza.

La Dimensione.

La pillolina blu.

L’astinenza.

Giulio Ragni per qnm.it il 21 maggio 2023. 

Quanto resiste un uomo senza avere rapporti sessuali? Storicamente la questione dell’astinenza, vuoi per abitudini e convenzioni sociali radicate, vuoi per luoghi comuni e stereotipi duri a morire, è sempre apparsa una questione più femminile che non maschile: l’idea del maschio alfa, che non può rimanere a lungo senza avere rapporti, sembra un totem inattaccabile della percezione sessuale popolare.

Tuttavia in campo scientifico la questione muta sensibilmente: per la sessuologia non vi sono regole stabilite fisse ed immutabili, e alla domanda quanto resiste un uomo senza avere rapporti sessuali la risposta più ovvia e banale è che dipende dalla psicologia del singolo individuo, del ruolo che il sesso gioca nel benessere individuale di ognuno di noi. 

Oggi che la questione della sessualità è più fluida e articolata rispetto a un tempo, sappiamo che all’interrogativo su quanto può resistere un maschio senza avere rapporti sessuali la variazione si può estendere da pochi giorni a persino anni, senza che ciò comporti una qualche problematica al benessere individuale.

Considerando infatti che esistono persino persone che si proclamano asessuali, ma che più in generale ci sono individui che possono non avere rapporti carnali anche per molto tempo per i più svariati motivi, senza per questo risultare affetti da turbe psichiche, è evidente che la percezione soggettiva varia da individuo a individuo. Se il sesso è un’idea fissa, un pensiero costante, è chiaro che la sua interruzione prolungata può comportare forme di squilibrio emotivo, fino a raggiungere condizioni di nevrosi ossessive nei casi più gravi.

Va anche detto che la funzione sessuale, osservano sempre gli esperti, non necessita esclusivamente di un altro individuo per poter agire a fine di eccitazione, anche orgasmico, e raggiungere così uno stato di benessere. Dunque un uomo può resistere senza avere rapporti sessuali anche per un tempo prolungato risultando una persona perfettamente equilibrata, a seconda di quanto la relazione tra sesso con un partner e benessere psicologico personale sia strettamente interconnessa. 

Se dal punto di vista psicologico la questione è alquanto complessa e non risolvibile in una risposta univoca, dalla prospettiva squisitamente fisica il discorso muta: quanto può resistere un uomo senza eiaculare? Questo interrogativo non è da intendersi sulla durata di un rapporto sessuale in sé, ma l’incidenza appunto dell’astinenza sulla salute del maschio, soprattutto dell’organo della prostata che regola la funzione erettile.

Tutti gli studi scientifici condotti negli ultimi anni concordano sull’importanza di eiaculare frequentemente, almeno 3-4 volte alla settimana, per garantire la buona salute dell’organo e allontanare lo spettro di malattie e insorgenze anche gravi come forme tumorali: ecco perché si è modificata radicalmente nell’arco di pochi decenni anche la percezione della funzione della masturbazione, da negativa a pienamente positiva, partendo dall’ambito medico fino ad arrivare alla divulgazione popolare. Ben lungi dal far diventare ciechi come volevano le raccomandazioni riservate ai nostri nonni e padri, la masturbazione maschile, oltre a garantire equilibrio e benessere psicologico tanto in un single quanto in un maschio felicemente accoppiato, fa bene a tutto l’apparato genitale e riproduttivo, con buona pace dei bigotti ancora in trincea.

ASTINENZA. Giulio Ragni per qnm.it il 21 aprile 2023. 

Quanto resiste un uomo senza avere rapporti sessuali? Storicamente la questione dell’astinenza, vuoi per abitudini e convenzioni sociali radicate, vuoi per luoghi comuni e stereotipi duri a morire, è sempre apparsa una questione più femminile che non maschile: l’idea del maschio alfa, che non può rimanere a lungo senza avere rapporti, sembra un totem inattaccabile della percezione sessuale popolare.

Tuttavia in campo scientifico la questione muta sensibilmente: per la sessuologia non vi sono regole stabilite fisse ed immutabili, e alla domanda quanto resiste un uomo senza avere rapporti sessuali la risposta più ovvia e banale è che dipende dalla psicologia del singolo individuo, del ruolo che il sesso gioca nel benessere individuale di ognuno di noi. 

Oggi che la questione della sessualità è più fluida e articolata rispetto a un tempo, sappiamo che all’interrogativo su quanto può resistere un maschio senza avere rapporti sessuali la variazione si può estendere da pochi giorni a persino anni, senza che ciò comporti una qualche problematica al benessere individuale. 

Considerando infatti che esistono persino persone che si proclamano asessuali, ma che più in generale ci sono individui che possono non avere rapporti carnali anche per molto tempo per i più svariati motivi, senza per questo risultare affetti da turbe psichiche, è evidente che la percezione soggettiva varia da individuo a individuo. Se il sesso è un’idea fissa, un pensiero costante, è chiaro che la sua interruzione prolungata può comportare forme di squilibrio emotivo, fino a raggiungere condizioni di nevrosi ossessive nei casi più gravi.

Va anche detto che la funzione sessuale, osservano sempre gli esperti, non necessita esclusivamente di un altro individuo per poter agire a fine di eccitazione, anche orgasmico, e raggiungere così uno stato di benessere. Dunque un uomo può resistere senza avere rapporti sessuali anche per un tempo prolungato risultando una persona perfettamente equilibrata, a seconda di quanto la relazione tra sesso con un partner e benessere psicologico personale sia strettamente interconnessa. 

Se dal punto di vista psicologico la questione è alquanto complessa e non risolvibile in una risposta univoca, dalla prospettiva squisitamente fisica il discorso muta: quanto può resistere un uomo senza eiaculare? Questo interrogativo non è da intendersi sulla durata di un rapporto sessuale in sé, ma l’incidenza appunto dell’astinenza sulla salute del maschio, soprattutto dell’organo della prostata che regola la funzione erettile.

Tutti gli studi scientifici condotti negli ultimi anni concordano sull’importanza di eiaculare frequentemente, almeno 3-4 volte alla settimana, per garantire la buona salute dell’organo e allontanare lo spettro di malattie e insorgenze anche gravi come forme tumorali: ecco perché si è modificata radicalmente nell’arco di pochi decenni anche la percezione della funzione della masturbazione, da negativa a pienamente positiva, partendo dall’ambito medico fino ad arrivare alla divulgazione popolare. Ben lungi dal far diventare ciechi come volevano le raccomandazioni riservate ai nostri nonni e padri, la masturbazione maschile, oltre a garantire equilibrio e benessere psicologico tanto in un single quanto in un maschio felicemente accoppiato, fa bene a tutto l’apparato genitale e riproduttivo, con buona pace dei bigotti ancora in trincea.

La Dimensione.

Estratto da “Come vivere - e bene -  senza i comunisti” di Roberto D'Agostino

«Le dimensioni degli attributi di un uomo sono importanti. C'è un livello di sicurezza. Al di sotto è solo disturbo. Sono una superdonna e ho bisogno di superuomini. Dopo mezz'ora, invece, quasi tutti non hanno più niente tra le gambe» (Serena Grandi, attrice) 

«Essere bisessuali è un puro fatto di comodo. Non si rischia mai di andare in bianco. Se non si trova una donna, si ripiega su un uomo» (Jack Nicholson, attore) 

«Né odori né musiche mi dicono molto. Io sono una voyeur, io devo guardare, sbirciare. Mi eccitano le statue di marmo, ma soprattutto i fumetti erotici. In Italia ci sono bravissimi disegnatori di fumetti sexy. E non parlo solo di Crepax, che anzi mi sembra un po' freddino con la sua Valentina. No, a me piacciono proprio quei fumettacci che affollano le edicole; sono pieni di situazioni erotiche. Consiglio di sfogliarli prima di un incontro col partner. Funziona» (Amanda Lear, showgirl)

Dagotraduzione da ladbible il 26 marzo 2023.

Se ti sei mai chiesto quale paese ha la dimensione media del pene più grande, non cercare oltre: un recente sondaggio su 86 nazioni le ha classificate tutte dal più grande al più piccolo.

 La farmacia online From Mars ha utilizzato i dati di Google di 86 paesi per condurre il proprio studio e i risultati potrebbero sorprenderti.

 Il farmacista Navin Khosla, che ha esaminato lo studio, ha dichiarato: «Le persone sono preoccupate per le dimensioni o la forma, o per qualsiasi altro aspetto, e la maggior parte di noi si è chiesto a un certo punto il nostro pene è abbastanza grande». «Le dimensioni del pene possono avere un enorme impatto sulla fiducia e sull'immagine di sé», ha aggiunto.

 Ma quale paese è uscito trionfante? Secondo lo studio, gli uomini in Ecuador sono i più dotati, con una dimensione media del pene di 17,61 centimetri quando è in erezione. Una misura che è oltre il 10% dell’altezza media.  Al secondo posto c'è il Camerun, con una taglia media di 16.67 cm, seguito dalla Bolivia, con 16,51 cm. A completare l'impressionante top five c'è il Sudan con 16,47 centimetri e infine Haiti con 16,01 centimetri.

Naturalmente, non può esserci un più grande senza un più piccolo. Lo studio ha scoperto che i cambogiani hanno le dimensioni del pene più piccole quando sono eretti, arrivando a soli 10,04 centimetri di lunghezza. Non lontano c'è Taiwan, con una dimensione media di 10,78 cm, e le Filippine si trovano appena sopra, con 10.85 cm.

 La Francia si è classificata a un rispettabile 11° posto, riportando una dimensione media del pene di 15,74 pollici, rispetto a una media australiana meno impressionante di 14,46 cm, che li posiziona al 43° posto.

 È importante notare che lo studio originale si basava su dati auto-riferiti per determinare le dimensioni medie del pene, il che lascia la possibilità che gli intervistati siano stati più generosi con le loro misurazioni.

 A conclusione dello studio, Navin Khosla pone la domanda... le dimensioni contano davvero? «Alla fine, la risposta è forse, forse no. La verità è che è molto più probabile che il proprietario del pene sia preoccupato per le dimensioni del proprio pene rispetto ai suoi partner sessuali!».

Antonio Riello per Dagospia l’8 marzo 2023.

Due Università Turche, la BIRUNI University e la SELCUK University, hanno fatto una lunga e sistematica ricerca su un tema di manifesto interesse: come si sono modificate le dimensioni dell'organo sessuale maschile nel corso di circa cinquecento anni di Storia dell'Arte.

 Risultato? E' cresciuto costantemente, ma dalla fine dell'Ottocento sembra che la crescita sia stata addirittura esponenziale. Insomma, malgrado tutto, la Storia del Mondo recente potrebbe non aver portato con sè solo ansie e delusioni. Qualcosa di buono (finalmente) sembra anche esserci stato.

Il lavoro accademico si è svolto con una perizia scientifica di rara serietà.  Sono stati preventivamente identificati 3 periodi (Rinascimento, Barocco-Rococò-Impressionismo, Arte Contemporanea). Sono stati esaminati, on line, 232 dipinti e per avere degli standard attendibili è stato creato uno specifico algoritmo in grado di rapportare per ogni dipinto la proporzione tra la lunghezza del naso e del pene dello stesso soggetto maschile. Si parla nel caso specifico di "penile lenght to nose lenght" (PtNL). Evidentemente roba seria. Dopo una lungo assestamento di parametri statistici si è arrivati appunto alla conclusione di un progressivo e acclarato allungamento del membro maschile.

Le cause? Forse il miglioramento della qualità e della quantità dell' alimentazione. Forse una progressiva "selezione naturale", generazione dopo generazione, di maschi con attributi sempre più prestanti. Magari solo la maggiore libertà degli artisti di liberare le proprie fantasie erotiche. Le risposte rimangono assai incerte e aperte a nuove ulteriori ricerche.

 Ma in tutto 'sto "ben di Dio" si intravedono anche dei lati oscuri. Malgrado questo stimato incremento di misure, uno studio fatto dal "Journal of Psychology of Men and Masculinities" nel 2006 dimostra che oltre il 55% dei maschi campione non sono affatto contenti delle dimensioni del proprio pene. La causa  principale è il confronto con le generose immagini dei porno sempre più diffusi. La colpa starebbe dunque nelle super prestazioni dei vari Siffredi e affini. Un altro studio fatto nel 2018 non solo conferma il "discontento" dei maschi ma suggerisce che tale disagio possa, a sua volta, indurre forme di temporanea impotenza.

Insomma per quanto il "coso" cresca sembra non riesca a crescere abbastanza per soddisfare le nuove, vere o immaginarie che siano, esigenze degli utenti. Una legittima soddisfazione di gender ha dato spazio ad una nuova forma di ansia collettiva. Un bel boomerang....

 Quel poco che è certo, a questo punto, è la evidente centralità della Storia dell'Arte nelle questioni fondamentali dell'Umanità. Attenzione a dire che l'Arte non serve a niente.

Dagonews il 16 febbraio 2023.

E voi lo sapete che il pene degli uomini è cresciuto in lunghezza negli ultimi 30 anni? Secondo il giornale inglese “Daily Mail”: “Una meta-analisi condotta dai ricercatori dell'Università di Stanford ha rilevato che il pene eretto medio è aumentato del 25% dal 1992 al 2021, passando da 12cm a 15cm.

Sembrerebbe una buona notizia per i maschietti ma il team di Stanford teme che l’allungamento dell’augello possa essere dovuto all'inquinamento atmosferico, agli stili di vita sedentari e al cibo dei fast food. I ricercatori hanno raccolto i dati di 75 studi condotti tra il 1942 e il 2021. In totale, sono state incluse le misure di 55.761 peni di uomini.

Dagospia il 5 febbraio 2023. Rebecca Taylor per “Mail On Line”

Ant Smith è l’ingegnere di 50 anni che nel 2015 ha scritto il poema ‘Shorty’ dove parlava della dimensione del suo pene: 3 centimetri a riposo, 10 scarsi quando è eretto. Ebbe così tanto successo che i versi furono recitati in vari locali di Londra, l’autore cominciò a rilasciare interviste e ad organizzare eventi per condividere con altri uomini la sua esperienza: «Molti soffrono di ansia legata alle loro dimensioni, anche se il 99% possiede un pene normale. Se si paragonano a me, cominceranno a sentirsi meglio».

Smith ha da poco pubblicato il libro ‘Small Penis Bible’, la Bibbia del micropene ed è andato a spiegare la sua condizione, sempre con l’ironia che lo contraddistingue, al programma televisivo ‘This Morning’, mostrando con delle sagome lo stato del suo membro a riposo e in estensione. Ha raccontato: «Uso più della mia parte anatomica quando faccio sesso con mia moglie. Sto attento a non ingrassare, per non vederlo scomparire. Per anni ho pensato di essere anormale, invece è una condizione più comune di quanto si pensi».

Estratto da today.it il 28 gennaio 2023.

Se il caldo estivo può determinare un aumento della pressione sanguigna causando il "pene estivo" (condizione che porta l’organo genitale maschile ad essere più grande nei momenti di picco dell’erezione), in inverno può verificarsi l’esatto opposto Quando le temperature si abbassano, l’uomo può avere il "pene invernale": non si tratta di una patologia, ma di una risposta fisiologica dell’organismo al freddo, simile a quel che accade con le mani e i piedi. Per preservare la temperatura corporea, l'organismo riduce l'afflusso di sangue alle periferie, e questo fa sì che le estremità del corpo, compreso il pene, diventino fredde. Solitamente, il disturbo è temporaneo, e non provoca danni permanenti.

Ad avere esaminato per la prima volta questa condizione dal punto di vista scientifico, e non solo osservazionale, è stato un gruppo di scienziati dell’Università di Leeds e del Queen Elizabeth Hospital di Birmingham, guidato da Oliver Kayes e Richard Viney. I ricercatori hanno visto che le temperature più fredde possono effettivamente causare un restringimento dei corpi cavernosi dell'organo genitale maschile causando il cosiddetto "pene invernale".

[...] Urologi ed esperti di salute sessuale hanno stimato che le temperature più fredde possono ridurre la lunghezza del pene fino al 50%. "In generale - hanno osservato gli scienziati -, se un uomo dovesse trovarsi nudo a temperature sotto lo zero sperimenterebbe una contrazione dello scroto, il sacco che contiene i testicoli e del pene. Questo avviene perché il muscolo si muove per avvicinare i testicoli al corpo ed evitare che si raffreddino eccessivamente. Si tratta di un riflesso assolutamente naturale, che verrebbe invertito semplicemente con un bagno caldo per 5 minuti o attraverso un’erezione".

La diminuzione del flusso sanguigno ai genitali causata dal "pene invernale" [...] è una condizione temporanea e non causa danni permanenti.

 Per contrastare il pene invernale, gli esperti suggeriscono alla popolazione maschile tre rimedi. "Per ridurre al minimo gli effetti del calo delle temperature sulla propria virilità - ha affermato Kayes - consigliamo di coprirsi bene, e di restare sessualmente e fisicamente attivi. Non appena la temperatura migliora, i genitali maschili tenderanno a tornare alle condizioni normali. Non c’è da preoccuparsi di conseguenze a lungo termine". [...]

Estratto dell’articolo di Alice Politi per vanityfair.it il 14 gennaio 2023.

Gli uomini che puntano sulle auto sportive sono insicuri riguardo alle dimensioni del loro pene. Lo confermerebbe una nuova ricerca dell'University College London (UCL), secondo la quale esiste una correlazione tra possedere un veicolo appariscente e credere che i propri genitali siano più piccoli della media. […]

[…] Gli psicologi hanno reclutato 200 uomini di età compresa tra 18 e 74 anni per completare un test online e ne è stata volontariamente manipolata la percezione della dimensione del pene, rispetto agli altri. Sono state fornite loro informazioni false, affermando che la dimensione media era più grande di quanto non sia in realtà e inducendoli a credere che il proprio pene fosse in alcuni casi più piccolo e in altri più grande rispetto alla media.

Ai partecipanti è stata mostrata una frase per un intervallo di sette secondi, prima che questa schermata fosse sostituita dall'immagine di un prodotto. […] Ai partecipanti è stato inoltre comunicato che tali affermazioni costituivano dei fatti e che il test mirava a indagare «il modo in cui le persone ricordano i fatti mentre acquistano i prodotti». […] quelli a cui è stato detto che il valore era più basso si sono sentiti «relativamente meglio» con se stessi mentre completavano l'attività. 

Quelli a cui invece è stato detto che il valore era più alto sono stati intenzionalmente indotti a credere che i loro genitali fossero di dimensioni inferiori alla media. Ai partecipanti veniva sempre mostrata l'immagine di un'auto sportiva in mezzo alle due dichiarazioni sulla dimensione del pene, con la richiesta di esprimere il loro desiderio di acquistarla.

 Quando il team ha analizzato i risultati, ha visto che gli uomini sopra i 30 anni che avevano la sensazione che la dimensione del loro pene fosse inferiore alla media avevano maggiori probabilità di voler acquistare l'auto sportiva. Inoltre, gli uomini a cui è stato fatto credere di avere un pene più grande rispetto alla media tendevano a mostrare un interesse decrescente per i veicoli di lusso, man mano che l'età di chi rispondeva si alzava. […]

 […]

 Sebbene questo studio debba ancora essere sottoposto a revisione, gli autori affermano inoltre che i loro risultati «pongono domande intriganti per la ricerca futura. Forse c'è davvero un legame specifico che collega automobili e peni nella psiche maschile». 

La pillolina blu.

Estratto dell'articolo di Enrico Franceschini per repubblica.it lunedì 4 dicembre 2023.

"Senza di lui il Viagra non esisterebbe". Trent’anni dopo la scoperta della pillola blu che ha risollevato le sorti della virilità maschile, uno dei medici che diressero gli studi sperimentali sul nuovo farmaco rivela come un minatore gallese disoccupato, confessando di avere avuto sorprendenti erezioni notturne, salvò il progetto quando stava per essere abbandonato. “Avremmo potuto completamente ignorare l’effetto del medicinale”, dice il dottor David Brown al quotidiano Guardian di Londra. “Non penso che oggi ci sarebbe il Viagra, se quel minatore non avesse alzato la mano”.

Era già noto che gli effetti del sildenafil, nome scientifico del Viagra, furono scoperti per caso: il farmaco era stato creato come potenziale trattamento per l’angina pectoris, ossia contro il restringimento delle vie coronarie, possibile campanello d’allarme di un infarto, ma nel corso della fase sperimentale venne alla luce che, mentre non era efficace come cura dei disturbi cardiaci, offriva un rimedio contro la disfunzione erettile, ovvero l’incapacità del soggetto di sesso maschile a raggiungere un’erezione sufficiente a portare a termine un rapporto sessuale soddisfacente, presente soprattutto con l’avanzare dell’età. 

Ma adesso il dottor Brown racconta per la prima volta il momento “eureka”, per così dire: le circostanze in cui la squadra di scienziati che portava avanti l’esperimento si accorse dell’imprevisto effetto collaterale del nuovo medicinale. Fu tutto merito, afferma il medico, di un singolo minatore. Brown guidava il progetto di ricerca, ma le prospettive non apparivano incoraggianti: così, nel 1993, la casa farmaceutica Pfizer (la stessa che insieme alla tedesca BioNTech ha sviluppato a tempo di record uno dei più efficaci vaccini contro il Covid) aveva deciso di abbandonare l’iniziativa.

“Praticamente ci dissero”, dichiara Brown al Guardian “che avevamo sprecato soldi per otto anni e che avrebbero messo fine alla sperimentazione”. Il medico ottenne di fare un ultimo tentativo: uno studio condotto in una clinica a Merthyr Tydfil, una piccola città di 50mila abitanti nel Sud del Galles. “Non eravamo sicuri di avere trovato la dose giusta”, ricorda. “Ipotizzammo che, aumentando la dose, forse saremmo riusciti ad avere un effetto sull’angina”. 

In declino a causa della chiusura delle miniere locali, che aveva lasciato migliaia di operai senza lavoro e l’intera popolazione del posto in miseria, la cittadina era piena di volontari per l’esperimento condotto dalla Pfizer. Gli ex minatori venivano pagati 300 sterline l’uno (circa 350 euro) per sottoporsi al test, che richiedeva di prendere il medicinale, passare la notte in clinica e farsi monitorare con esami del sangue.

“Il mattino dopo, la dottoressa che dirigeva lo studio diede loro un questionario per sapere se avessero notato altri effetti”, afferma il dottor Brown. “Un uomo alzò la mano e disse che gli era parso di avere avuto erezioni tutta la notte”. Era tra quelli che avevano ricevuto la dose più alta. 

A quel punto altri volontari, evidentemente esitanti a parlare per primi, ammisero di avere avuto una reazione simile. “La dottoressa, giovane, bionda e attraente, arrossì terribilmente quando me lo riferì”, continua il medico. [...] 

Riesaminando i dati raccolti in precedenza, Brown rimase sconcertato nel rendersi conto che altri volontari avevano riportato varie volte di avere avuto erezioni sorprendentemente forti, ma l’informazione non era stata notata perché giudicata irrilevante, visto che l’obiettivo dello studio era un altro. “Non ce ne saremmo accorti senza quel singolo minatore”, dice il medico. Battezzato Viagra, il farmaco fu lanciato sul mercato nel 1998 e in due settimane diventò il prodotto numero uno per la Pfizer sul mercato mondiale. […]

Estratto da ilfattoquotidiano.it il 27 aprile 2023.

Si presentano con richiami pubblicitari che ammiccano al mondo naturale e che stuzzicano soluzioni facili per perdere perso, migliorare la massa muscolare e aumentare le prestazioni sessuali. 

Sono integratori a base di estratti di piante vegetali disponibili anche nei supermercati e su Internet e che, recentemente, hanno richiamato l’attenzione dell’organizzazione americana National Center for Complementary and Integrative Health (NCCIH) che, attraverso la sua newsletter, ha fatto il punto sulla loro reale efficacia. L’Istituto Superiore di Sanità ha ripreso le osservazioni dell’NCCIH. Ecco che cosa è emerso.

Ci sono per esempio integratori che contengono Acai (una palma molto diffusa, in particolare nella Foresta Amazzonica). Il loro effetto? Praticamente nessuno; anzi, alcuni possono dare gravi problemi di sicurezza. Il punto fondamentale è che non c’è uno studio che riporti l’efficacia dell’Acai nel favorire una rapida perdita di peso. Ma c’è di più. 

Una revisione degli studi pubblicati tra il 2006 e il 2016 ha concluso che non ci sono prove sufficienti per stabilire che gli integratori più venduti per dimagrire diano un reale contributo, compresi quelli molto richiesti che contengono arancia amara e tè verde.

Inoltre, molti integratori alimentari commercializzati per la perdita di peso, anche quelli venduti come “bruciagrassi” o soppressori dell’appetito, non sono stati testati per la sicurezza e alcuni contengono caffeina o erbe, come il guaranà, che possono provocare alterazioni del ritmo e della frequenza cardiaca. […] 

Infine, una tipologia di integratori che imperversa nel web e che promette ai maschi immediati effetti sulla durata delle prestazioni sessuali. Anche in questo caso l’illusione è in agguato: non ci sono evidenze su integratori alimentari sicuri ed efficaci per il miglioramento delle prestazioni sessuali o il trattamento della disfunzione erettile (DE).

[…] A rischio è la salute di chi li consuma: alcuni prodotti includono combinazioni di più ingredienti o dosi eccessivamente elevate, che possono essere entrambe pericolose. Da sottolineare che alcuni integratori reclamizzati per la disfunzione erettile, soprattutto se adulterati con farmaci di sintesi, possono provocare interazioni farmacologiche. […]

Estratto dell'articolo di Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” il 28 marzo 2023.

«Parlane con il tuo medico, io lo farò...» . Con queste parole Pelé, il calciatore più grande di tutti i tempi, il 27 marzo del 1998 diventava l’indimenticabile testimonial del Viagra, il farmaco della Pfizer più imitato e abusato al mondo, […] e da allora la famosa pillola blu ha dominato le vendite planetarie del settore, al punto che in pochi mesi era conosciuto dal 92,8% della popolazione mondiale.

Ieri il Viagra ha compiuto 25 anni, un farmaco prescritto con oltre 65 milioni di ricette nominative e distribuito in oltre 3miliardi di pillole azzurre. Il nostro Paese, dopo l’Inghilterra, è secondo in Europa come consumo, in 15 anni ne sono state vendute più di 89 milioni di pasticche, e i principali utilizzatori sono stati registrati in Campania, seguita dalla Liguria e dal Lazio.

Il farmaco, scoperto dallo scienziato Louis Ignarro, di genitori italiani, che lo sintetizzò per la cura della ipertensione arteriosa e della angina pectoris, constatandone però che come effetto collaterale provocava negli uomini una erezione duratura e prolungata, […]e per tale intuizione Ignarro vinse il Premio Nobel del 1998 per la Fisiologia e Medicina.

SUCCESSO PLANETARIO

 Il Viagra (citrato di Sildenalfil) ebbe subito un successo incredibile e stratosferico, provocando una vera e propria rivoluzione del costume sessuale mondiale, al punto da cambiare realmente la sessualità e la salute globale dell’uomo, e veniva usato non solo da chi aveva difficoltà sotto le lenzuola, ma anche da chi ricercava prestazioni sessuali da record, il 25% dei quali aveva meno di 40anni. […]

La molecola […]ha sostituito e cancellato completamente i vecchi trattamenti che fino ad allora venivano proposti per la disfunzione erettile, precari ed umilianti per gli uomini, dalle onde d’urto applicate sui corpi cavernosi, alle punturine con fentolamina, che andavano praticate direttamente sul pene poco prima del rapporto sessuale[…] ma gli effetti collaterali di tale molecola si sono dimostrati numerosi, insieme alle molte incompatibilità con altri farmaci regolarmente assunti dai pazienti, che accusavano capogiri, lipotimie quando si alzavano rapidamente da seduti, con palpitazioni, vampate di calore, congestione nasale, dolore toracico, nistagmo e calo della vista, per cui da circa quindici anni il Viagra è ormai considerato un medicinale invecchiato e superato rispetto all’avanzamento scientifico, una magnifica molecola che ha fatto il suo tempo, e che è stata sostituita da farmaci per l’impotenza più innovativi e soddisfacenti, ma soprattutto più sicuri per la salute generale, più facili da usare, più immediati nel loro effetto, più maneggevoli, e cosa importante, del tutto o quasi privi di effetti avversi.

[…] tutte sorelle del capofila Viagra, aventi tutte identico meccanismo di azione, di efficacia e di durata dell’effetto terapeutico, che agiscono addirittura solo dopo 15 minuti dalla assunzione per restare attive fino a 36 ore, lasciando così più scelta sul momento migliore per affrontare il rapporto sessuale.

Il Vardenafil si può assumere in formulazione orosolubile, agisce in 15 minuti e una volta sciolta in bocca o sotto la lingua lascia il sapore di menta (per cui è chiamata “la mentina dell’amore”), l’Avanafil è detta “la Ferrari” perla sua velocità di azione, e il Tadalafil è chiamata “la pillola del weekend “ avendo un effetto prolungato che scema dopo 48 ore. È bene ricordare che il Viagra, come tutti gli altri farmaci derivati, non inducono automaticamente l’erezione, ma la favoriscono al cospetto dell’oggetto del desiderio, ovvero in presenza della stimolazione fisica, erotica o mentale che resta necessaria e indispensabile per attivare ed arrivare all’ effetto promesso.

OCCHIO: È UN FARMACO

Essendo medicinali vanno prescritti e come tali vanno assunti senza aumentare arbitrariamente le dosi, come pure vanno evitati i cocktail di pillole o sostanze chimiche diverse, ed è anche consigliabile diffidare delle offerte sottocosto od online, poiché nella maggior parte dei casi si tratta di pastiglie contraffatte, sovente prive del principio attivo, quindi poco efficaci se non pericolose. […]

Viagra, 25 anni fa la rivoluzione della pillola blu. Un quarto di secolo fa iniziava la rivoluzione dettata dal Viagra: ecco i nuovi progressi della Medicina e cosa sappiamo sul farmaco più venduto online. Alessandro Ferro il 25 Marzo 2023 su Il Giornale

Tabella dei contenuti

 Chi ne fa maggior uso

 Come cambia l'approccio

 Lo studio per combattere l'Alzheimer

Sono passati venticinque anni da quando l'Fda americana ha autorizzato al commercio la pillola blu, il Viagra, che ha rivoluzionato le terapie sulle disfunzioni erettili. Dal 27 marzo 1998 la Medicina ha fatto passi in avanti e oggi si contano numerose altre cure per la problematica maschile anche se l'originale rimane sempre molto gettonata.

Chi ne fa maggior uso

Da subito gettonatissima tanto da renderla la pillola più acquistata online, il Viagra ha ispirato tante canzoni e film: il Report dell'Osservatorio Nazionale sull'Impiedo dei Medicinai (Osmed) del 2022 lo mette al vertice dei farmaci per cui si spende di più. In Italia è la Campania a essere la Regione che ne fa più uso. Ma com'era la vita precedente a questa rivoluzione? "C'erano solo le iniezioni o le terapie ormonali - ha dichiarato all'AdnKronos il prof. Alessandro Palmieri, presidente della Sia (Società italiana di Andrologia), il quale ha spiegato che nei congressi medici si diceva che "chi avrebbe inventato una pillola contro la disfunzione erettile avrebbe vinto il Nobel": è andata proprio così perché il responsabile di aver scoperto l'ossido nitrico ha poi vinto il prestigioso riconoscimento mondiale nel 1998.

Questo farmaco ha fornito ai medici "un valido strumento per aiutare i pazienti e ha fatto uscire dall'ombra l'andrologia dando risalto alla nostra specialità e a come sia necessaria per la salute globale dell'uomo. Faremo infatti un congresso sul Monte Bianco per affrontare gli effetti del cambiamento climatico sulla salute maschile, dalla disfunzione erettile alla fertilità", ha aggiunto Palmieri.

Come cambia l'approccio

Dal suo arrivo, il Viagra ha cambiato l'approccio verso la sfera sessuale dei pazienti per i quali è necessaria una cura ma la ricerca si è intensificata tant'é che "sono arrivate nuove molecole e terapie orali e poi è cambiato l'approccio con il paziente", ha spiegato il presidente Sia. Se in precedenza si agiva sul sintomo adesso si può curare la disfunzione erettile grazie anche a "onde d'urto sui corpi cavernosi. Un approccio che migliora la qualità dell'erezione: in una alta percentuale di casi possiamo risolvere il problema. Abbiamo terapie mediche completamente differenti rispetto alla Viagra che si sciolgono in bocca simili ad un francobollo".

Ma per curare la disfunzione erettile oggi vengono utilizzati anche integratori vasodilatatori: nonostante l'enorme successo, la pillola blu viene via via prescritta sempre meno dagli esperti, "spesso le possono consigliare i medici di medicina generale e i farmacisti ma gli specialisti hanno altri strumenti". Nella chirurgia si è assistiti all'introduzione di protesi che hanno avuto un boom con il passaggio da centinaia a migliaia di interventi in pochi anni con tecnologie sempre più sicure. Al primo posto, però, la parola d'ordine rimane prevenzione. "Come società scientifica puntiamo ora a coinvolgere altre categorie: le forze armate, la Croce rossa italiana e le scuole guida. Il 21 giugno ci sarà un villaggio dell'Andrologia a Roma, alla terrazza del Pincio, dedicato proprio alla prevenzione", conclude.

Lo studio per combattere l'Alzheimer

Poco più di un anno fa, sul Giornale.it c'eravamo occupati di uno studio americano che indicava una minor possibilità di contrarre il morbo di Alzheimer: secondo quanto pubblicato su Nature Aging, infatti, il meccanismo del sildenafil (vero nome della pillola blu) sarebbe in grado di bloccare la terribile malattia fino al 69% dei casi. Ad oggi non sono ancora arrivate conferme definitive, chi ne soffre riesce ad andare avanti con cure che provano a bloccarne il peggioramento sperando di arrivare, quanto prima, a una cura definitiva.

DAGONEWS il 20 Gennaio 2023.

La pillolina blu fa bene a più di una parte del corpo.

Secondo un nuovo studio, il Viagra riduce il rischio di malattie cardiache negli uomini fino al 39%. Inoltre, gli uomini che assumono il farmaco sembrano avere meno probabilità di andare incontro ad una morte precoce per cause generiche.

 I ricercatori della University of Southern California (USC) hanno esaminato 70.000 uomini adulti con un'età media di 52 anni, tutti con una diagnosi di disfunzione erettile ad un certo punto della loro vita.

Gli esperti ritengono che il farmaco aumenti il flusso di sangue nelle arterie del cuore e migliori il flusso di ossigeno in tutto il corpo.

 Per questo motivo, precedenti ricerche hanno anche collegato l'uso del Viagra a una riduzione del rischio di Alzheimer, che può essere causato da una mancanza di flusso sanguigno al cervello.

 Sebbene i risultati di questo studio siano promettenti, i medici non raccomandano di assumere il farmaco con leggerezza, ed è stato approvato solo per il trattamento della DE.

Il farmaco agisce rilassando i muscoli del pene dell'uomo, consentendo un maggiore afflusso di sangue.

In fase di eccitazione, l'aumento del flusso sanguigno consente all'uomo di avere un'erezione più forte. 

 L'ultimo studio, pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, ha raccolto i dati di oltre 70.000 uomini con diagnosi di DE dal 2006 al 2020.

 I ricercatori hanno scoperto che coloro che avevano fatto uso di questi farmaci avevano meno probabilità di soffrire di problemi cardiaci.

Complessivamente, i decessi per patologie cardiache sono diminuiti di quasi il 40%.

 È stata registrata anche una diminuzione del 22% della probabilità di sviluppare angina instabile, quando la placca nell'arteria coronaria nega ossigeno e sangue al cuore.

 Gli uomini che hanno fatto uso di farmaci per la DE hanno anche vissuto in media più a lungo, con un rischio di morte precoce diminuito di un quarto nel corso del periodo di studio.

Inoltre l'aumento del flusso sanguigno può essere positivo anche per il cervello. Uno studio del 2014 ha rilevato che gli uomini che facevano uso di questi farmaci avevano un rischio minore di sviluppare la demenza.

 Si stima che oltre 10 milioni di uomini americani e 40 milioni di uomini in tutto il mondo, soffrano di DE.

 Molti uomini ricorrono a farmaci come il Viagra o il Cialis per risolvere questi problemi.

Estratto dell’articolo di Filippo Ceccarelli per “il Venerdì di Repubblica” sabato 11 novembre 2023. 

Ecco dunque, debitamente tagliato e colpevolmente ingrandito nella fotina qui sotto, Sua Maestà il Pacco, con mano d'ordinanza che lo contiene e slancio derelitto che ne espone l'ormai decadutissimo primato nel tempo più anti-patriarcale della storia umana. 

Ma oltre che neurovisivo, l'indizio è anche magnificamente verbale, degno della più aggiornata commedia all'italiana: «Posso toccarmi il pacco mentre ti parlo?» chiede Lui. «L'hai già fatto» risponde Lei – e in tal modo passa la gloria fallocratica nel fuorionda dell'allegra tragedia pure all'italiana.

[…] Nel caso specifico, oltre che con la storia, il mancato appuntamento è con il buonsenso e il ridicolo e infatti la sequenza di Striscia, che televisivamente sa come trattare i suoi polli arrosto, è accompagnata da risate, vibrazioni, bip-bip e sonorità pagliaccesche la più significativa delle quali è il "popi-popi" che segnala appunto quel fatidico gesto di orgogliosa, egocentrica, provocatoria, perturbante dimostrazione di... boh. 

Al netto della scemenza […], che pure nelle umane vicende qualche peso ce l'ha, non è facile risalire alle ragioni profonde che hanno incoraggiato l'ostentatio genitalium.

Per cui, dopo aver dato fondo ai propri più sgangherati ricordi, dal "tic del tennista" del delitto di Terry Broome alla Lega che ce l'aveva duro passando per quel povero sindaco di Roma che compulsivamente dava sollievo al proprio ingombro, si è cercato qualche spunto nella zoologia, tipo scimmie in calore, ma con scarsa soddisfazione. 

Meglio va con l'antropologia, là dove l'esposizione del pacco ricorreva in rituali dionisiaci o contro la jella e che nell'antica Grecia si unificavano nel misterioso gesto […] dell'anasyrma che grosso modo disvela ciò che esiste, ma che di norma non viene evidenziato.

Ma la lettura più convincente è di una studiosa, Ilenia Ruggiu, che si è dedicata alla pratica culturale dell'omaggio al pene del bambino, accolto al mondo con lodi e tributi alla sua virilità. Chi rimane bambino, viene da pensare, risponde a quelle lontane felicitazioni non solo toccandosi il pacco, ma anche chiedendo educatamente se può farlo – per quanto l'abbia già fatto.

Così le serie tv "educano" il maschio bianco etero. Alessandro Gnocchi il 12 Novembre 2023 su Il Giornale.

In un libro di Fitoussi le forzature negli show più famosi

Woke è una parola entrata nell'uso comune ma come potremmo definire con esattezza il suo significato? Prendiamo in prestito la risposta da Woke fiction. Comment l'idéologie change nos films et nos séries (Le cherche midi) di Samuel Fitoussi, editorialista del quotidiano francese Le Figaro: «Il militante woke è colui il quale crede che il razzismo, la misoginia, la transfobia e l'omofobia siano onnipresenti in Occidente, e rappresentino il fatto sociale più importante della nostra epoca». Il privilegio non è legato principalmente alla condizione economica ma al colore della pelle, al sesso, all'orientamento sessuale.

Il militante woke non si limita a individuare le meccaniche dell'oppressione ma applica un paradossale razzismo al contrario, a suo dire virtuoso. Per questo chiede trattamenti differenziati, anche dal punto di vista legale, per ogni categoria o minoranza.

Da un punto di vista della libertà, è una corsa vertiginosa verso l'abisso. Il ruolo dell'individuo è subordinato e schiacciato dalla appartenenza a un gruppo. Come rimedio, si attribuisce allo Stato il potere di discriminare e premiare le categorie che finiscono spesso con l'essere quelle elettoralmente più convenienti alla maggioranza di turno.

Il privato è politico. Il libero arbitrio è un inganno. La classe dominante agisce sempre per mantenere il privilegio. La classe dominata accetta sempre la servitù. L'ingegneria sociale è necessaria al fine di correggere questi comportamenti automatici. Fa parte di questo progetto anche la conquista e la revisione dell'immaginario collettivo attraverso un controllo serrato della cultura in tutte le sue forme. Si censurano i classici della letteratura. Si manganellano, per ora solo verbalmente, gli artisti (registi, scrittori, pittori) che non accettano ordini dalle cerchie «illuminate» dal politicamente corretto. I personaggi storici sono giudicati e condannati da grotteschi tribunali woke.

Il saggio di Fitoussi, appena uscito in Francia, prende in esame il lato pop di questa battaglia a parole progressista, nei fatti retrograda. Da tempo ci siamo accorti che qualcosa non quadra nelle serie tv e nei film. Hollywood e il mondo dei servizi in streaming, da Netflix in poi, hanno stipulato una alleanza con la cultura woke. Non si tratta solo di evitare guai e contestazioni. È qualcosa di più profondo e pericoloso. Di fatto, l'alleanza non riguarda solo i colossi dell'intrattenimento ma il mondo delle grandi corporations quasi per intero. Chiediamoci perché. Le risposte, tra quelle disponibili, non sono delle migliori. In nome del progresso, ci trasformiamo in una massa di consumatori indifferenziati. Perché fare prodotti per uomini e per donne? È uno spreco. Meglio promuovere la fluidità sessuale. Forse è anche peggio. Il grande capitale ha trovato il suo alleato naturale nella politica di sinistra. Entrambi si reggevano su una visione del mondo esclusivamente materialista. Entrambi avevano lo stesso nemico: l`individualismo del borghese. La piccola imprenditoria è conservatrice, un freno al progresso. La grande imprenditoria, invece, vuole il progresso, il progresso che le fa comodo, beninteso: la semplificazione del mercato in nome delle economie di scala. E se ci va di mezzo l'uomo? Amen.

L'arte non ci deve descrivere o ispirare: ci deve educare. Facciamo qualche esempio. Il finale della Carmen di Bizet, in alcune edizioni, viste anche in Italia, è stato riscritto: la protagonista non viene uccisa perché non si può mettere in scena un episodio che ricorda da vicino il femminicidio. Game of Thrones, una delle serie tv di maggior successo, era partita con stupri e altre infrazioni del politicamente corretto ed è stata corretta politicamente stagione dopo stagione. Gli interventi possono essere anche retroattivi: da Toy Story 2 è sparito un episodio di seduzione accusato di essere un esempio di mentalità patriarcale. I casi di rilettura woke della storia non si contano. Incredibile è la serie Bridgerton, soap opera ambientata nella nobiltà britannica tra XVIII e XIX secolo. La regina Carlotta, come potete vedere in questa pagina, è nera. Come molti altri personaggi, e pazienza se si tratta di un clamoroso anacronismo e di una invenzione. Stesso discorso per i Tre moschettieri, con un insensato d'Artagnan nero, e Cleopatra, anch'essa nera.

Un esempio di woke fiction di buona fattura è Get Out, un film dove i codici dell'horror vengono utilizzati per raccontare la vita dei neri oppressi dai bianchi. Anche in questo caso il fine è educare lo spettatore ma l'abilità nel maneggiare gli stereotipi della pellicola di genere salva lo spettacolo. Incredibile, e inguardabile, la svolta femminista di House of Cards nella stagione successiva al licenziamento di Kevin Spacey, accusato di innumerevoli molestie sessuali dalle quali è stato fino a qui assolto in tribunale. Spacey interpretava Frank Underwood, il presidente degli Stati Uniti, carica ereditata dalla moglie Claire. In un trionfo di femminismo woke arriva il giorno in cui una donna non dovrà più chiedere consiglio a un uomo. Claire licenzia tutti i ministri per sostituirli con donne. Certo, il finale non è che sia edificante ma almeno il merito della fine del mondo potrebbe andare a una donna e non a un uomo, sono soddisfazioni woke anche queste.

I supereroi sono stati manipolati in tutti i modi possibili da Catwoman lesbica a Superman bisessuale (fumetto del 2021). Anche Don Giovanni, il seduttore per eccellenza, è diventato bisessuale e soprattutto delicato, basta maschilismo tossico. Romeo e Giulietta si è visto in versione Romeo e Giulietto ma anche Romea e Giulietta. Il successo di queste operazioni pedagogiche (si fa per dire) però sta scemando. Speriamo…

Estratto dell’articolo di Gianna Fregonara per il “Corriere della Sera” giovedì 19 ottobre 2023
[...] il concorso per dirigenti scolastici che si svolgerà nel giro di qualche mese prevede espressamente all’articolo 10 della bozza del bando inviata ai sindacati che, «considerate le percentuali di rappresentatività di genere in ciascuna regione, viene garantito l’equilibrio di genere applicando nelle regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto, in cui il differenziale tra i generi è superiore al 30 per cento, il titolo di preferenza in favore del genere maschile in quanto meno rappresentato».
Tradotto dal burocratese, in tutta Italia tranne che in Sardegna, dove la percentuale è 61 a 39 per le donne, e in Valle d’Aosta e Molise, dove non ci sono posti disponibili per questa tornata di assunzioni, in caso di parità in graduatoria, sarà data priorità al candidato rispetto alla sua collega.
È l’effetto del decreto del giugno scorso che introduce le norme per il riequilibrio di genere nella pubblica amministrazione: se negli altri settori ci sono le quota rosa o, come si legge nelle nuove norme, un criterio di discriminazione positiva per evitare o compensare «svantaggi nelle carriere al genere meno rappresentato», a scuola le quote diventano blu.
Che gli insegnanti in Italia siano per la maggioranza donne è una realtà che affonda le sue radici addirittura nel XIX secolo, subito dopo l’unità d’Italia: oggi la percentuale è ancora in leggero aumento, poiché è passata negli ultimi dieci anni dall’80 all’83 per cento. Alle elementari le maestre sono il 95 per cento. Ma per quanto riguarda i presidi per lungo tempo, fino agli anni 2000, c’erano due uomini ogni tre posti. Sono stati gli ultimi concorsi — tre anni fa sono stati messi a bando quasi tremila posti su ottomila scuole — a far pendere il piatto della bilancia verso le donne. Questa volta in palio ci sono 587 posti.
[...]Visto il numero di posti e lo scorrimento delle graduatorie che costituisce la coda di ogni concorso, i casi in cui le quote rischiano di escludere una candidata a favore del suo collega saranno molto pochi. Ma il principio è sancito e sarà ribadito anche nel prossimo concorso per gli insegnanti il cui bando è in arrivo.

Alla faccia del sesso forte: un ministero per gli uomini. Storia di Roberto Fabbri su Il Giornale giovedì 7 settembre 2023.

Un ministero dedicato ai poveri uomini inglesi? Why not, perché no? Nel governo di Londra c'è un dicastero apposta per le donne e anche uno per i giovani, categorie considerate bisognose di un'attenzione speciale. Ma nessuno che abbia mai pensato alle necessità del «sesso forte», che secondo aggiornate statistiche risulta incline a debolezze caratteriali (tra le quali spicca un'inquietante tendenza al suicidio) e a soccombere a malattie e a conseguenze di pessime abitudini dalle quali le donne si tengono invece lontane. Ed ecco che, per la gioia di quanti credono che compito dello Stato sia preoccuparsi di ogni nostra esigenza, spunta la proposta di un deputato conservatore eletto nell'ex feudo laburista di Doncaster nel nord dell'Inghilterra: creare un ministero per il benessere maschile.

Non è una novità assoluta in Inghilterra: un movimento per i pari diritti che lamenta una discriminazione al contrario ai danni degli uomini e dei ragazzi è attivo da tempo con scarsi risultati. Il manifesto di Gender Parity UK punta il dito contro l'esclusione delle specifiche problematiche maschili dal dibattito sull'uguaglianza dei sessi. Ma adesso la spinta arriva dall'interno del Parlamento, dal partito di governo. Aiutare gli uomini a vivere una vita migliore non sottrarrebbe energie e attenzione dall'impegno per l'uguaglianza delle donne, premette Nick Fletcher, che l'anno scorso ci aveva già provato quando il premier era Boris Johnson, e che ironicamente è intervenuto a sostenere la sua idea in un programma radio della Bbc intitolato «L'ora della donna». Obiettivo dell'iniziativa sarebbe invertire alcune tendenze della società britannica che l'uomo politico considera rovinose: come ignorare un'epidemia di attacchi cardiaci che uccide 88 uomini al giorno, una strage di suicidi che per il 75% riguarda il sesso maschile, così come sono maschi l'83% degli insonni del Regno Unito, per non parlare della popolazione carceraria che è maschile addirittura al 96.

«Se queste statistiche fossero al contrario - provoca Fletcher - ci sarebbe un putiferio. Bisogna fare qualcosa, a partire dagli ospedali. Le autorità, ma anche il governo, ignorano questo fenomeno. Stiamo assistendo passivamente al fallimento dei nostri ragazzi, dei nostri giovani uomini. E così facciamo fallire l'intera società, donne e ragazze comprese». Secondo il parlamentare, non è solo una questione di affrontare problematiche sanitarie che diventano piaghe sociali. Una delle sue idee cardine è lavorare per portare un maggior numero di uomini a scegliere il mestiere di maestri di scuola («si fornirebbe così un modello ai tanti ragazzi che a casa non hanno un padre») o di infermiere, ma anche migliorare l'attuale legge sul congedo di paternità. «Non penso assicura l'esponente Tory, consapevole di andare incontro a critiche e ironie - che le necessità di ragazzi e uomini siano più importanti di quelle delle ragazze e delle donne: possiamo far bene due cose insieme. Ma osservo che, soprattutto negli ultimi 15 anni, abbiamo semplicemente ignorato i loro specifici problemi». Chissà se stavolta a Downing Street troveranno il tempo di pensarci su.

Traduzione dell’articolo di Samantha Bartlett per dailystar.co.uk sabato 2 settembre 2023.

Oggi, in occasione della Giornata Mondiale della Barba (2 settembre), abbiamo deciso di analizzare i motivi per cui i peli sul viso rendono gli uomini attraenti. A quanto pare, c'è più scienza di quanto si pensi. Dalla sicurezza di sé all'essere un segno di mascolinità, secondo gli esperti la peluria sul viso può dare grandi benefici. 

E le spiegazioni potrebbero farvi abbandonare definitivamente il rasoio. Secondo il sito web Bossman, avere la barba può essere ottimo per accentuare il viso. Scrivono: "La barba può accentuare la mascella, conferendole un aspetto degno di una star del cinema. La barba può anche aiutare a coprire un mento più debole, cicatrici da acne o altri problemi che possono far sentire meno attraenti"

Chi si sente più attraente diventa anche sicuro di sé. Le persone spesso cercano la fiducia in un partner, e la barba potrebbe essere la cosa giusta per conquistare un compagno. Oltre alla sicurezza, la barba è considerata un segno di mascolinità, poiché una mascella forte è correlata a un livello più elevato di testosterone. Molte donne trovano i tratti maschili molto attraenti, quindi farsi crescere la barba può sicuramente aiutarvi in questo senso. 

La barba ben curata è anche associata alla pazienza e alla maturità, poiché la sua crescita richiede tempo, impegno e costanza. Sono noti anche i benefici per la salute, tra cui la protezione della pelle dai raggi UV, la riduzione della possibilità di contrarre un'infezione batterica e persino l'aiuto a chi soffre di asma grazie al filtraggio di polvere e polline.

Questi benefici per la salute possono rendervi inconsciamente più attraenti per un compagno. Non si può ignorare anche l'influenza dei media e della cultura: gli uomini con la barba sono spesso rappresentati come eroi e rubacuori. Questo contribuisce a plasmare la percezione pubblica e fa sì che le persone colleghino la barba al carisma, alla forza e all'attrattiva. 

Secondo uno studio del 2020 condotto da Barnaby J. Dixson e Robert C. Brooks, la scienza dimostra che le donne spesso trovano più attraenti gli uomini con la barba. Dopo aver giudicato una serie di immagini che ritraevano uomini con diverse quantità di peli sul viso, la stragrande maggioranza delle donne ha ritenuto che gli uomini con la barba folta fossero i più belli. Le donne consideravano gli uomini con la barba folta come i più sani e i più adatti a diventare genitori.

Lo studio ha anche dimostrato che, con l'aumentare della lunghezza dei peli sul viso, gli uomini venivano visti come più mascolini. Questi risultati sono stati confermati prima di questo in un altro studio pubblicato dal Journal of Evolutionary Biology nel 2016. Questo studio ha chiesto a oltre 8.500 donne di valutare gli uomini con peli facciali di diversa lunghezza.

 Alle donne sono state mostrate immagini di uomini rasati, con una leggera barba incolta, con una barba pesante e con una barba folta. E, come avrete capito, ancora una volta i risultati hanno dimostrato che le donne erano più attratte da coloro che avevano una certa peluria sul viso. Quindi, se siete single, pronti a socializzare e state pensando di farvi crescere la barba per tenervi al caldo quest'inverno, probabilmente dovreste farlo se volete conquistare quell'appuntamento!

Nel nuovo libro nero della sinistra la lotta di classe diventa lotta di genere. Il maschio è il borghese mentre la donna è il proletariato. Un saggio spiega perché. Luigi Iannone il 18 Agosto 2023 su Il Giornale.

Nella società adolescenziale, quella che si culla nel neocomunismo e in un progressismo culturale che domina non solo l'agenda politica ma tutta la mentalità occidentale, c'è un'unica regola: «il nuovo è buono, il vecchio è cattivo».

Ad articolare in maniera coerente questa tesi attraverso un lavoro che non occhieggia ad accomodamenti di alcun tipo sono gli argentini Nicolás Marquez e Agustín Laje ne Il libro nero della Nuova Sinistra. Ideologia di genere o sovversione culturale (Eclettica, p. 270).

Obiettivo mirato è quell'avanguardia militante che non dissimula le sue intenzioni egemoniche sulla società anche se astutamente le ammanta dietro slogan nobili come l'egualitarismo, l'inclusione, la diversità, i diritti delle minoranze, l'ecologismo, il femminismo, l'omosessualismo.

Slogan che fanno risaltare il principio dell'autopercezione come misura di tutta la realtà possibile, dove i desideri del singolo corrispondono a diritti e «la diversità progredisce semplicemente perché possiamo tingerci i capelli di verde, sentirci nel corpo sbagliato o andare a letto con qualcuno dello stesso sesso e celebrarlo (come una grande impresa) per un mese intero ogni anno». E fin qui, nulla di nuovo. Sembra infatti di risentire i moniti post sessantottini di Prezzolini: «per essere moderni non occorre scrivere in modo da non essere intesi; per protestare contro le ingiustizie sociali non si devon portare i capelli lunghi e la biancheria sporca; per provar l'uguaglianza dei sessi non è necessario che si invertano i sessi».

Tuttavia, siamo molto più avanti di quanto si potesse immaginare solo un paio di decenni addietro. Viviamo un tempo nel quale la verità spacciata dai soloni del Pensiero Unico pare essere l'unica possibile. L'ideologia di genere, con le sue diverse varianti, è diventata cardine e paradigma intorno cui gira ogni azione politica e gran parte del dibattito pubblico, volto presentabile con cui si manifesta questo roboante (ma falso!) inno al pluralismo e alla diversità. È infatti evidente lo sfasamento e la falsificazione di una realtà oggettiva che vede le donne come le vere vittime dell'ideologia gender, nonostante questo fronte culturale reputi la società attuale organizzata intorno ad una «cultura etero-normativa e patriarcale» e continui a collocare gli uomini sul fronte del nemico assoluto.

Ma cosa c'entra tutto questo col comunismo? Marquez e Laje hanno ben ragione a sostenere che i miti della sinistra contemporanea, pur talora abbracciando in parte richieste lecite, sarebbero solo una evoluzione di vecchie parole d'ordine. Alle desuete concezioni economicistiche fondate sulla lotta di classe e che, oramai, non avrebbero più alcuna presa pubblica, è stato furbescamente aggregato un nuovo artificioso indottrinamento, sostenuto da una martellante propaganda mediatica, supportato dall'alta finanza, dalle multinazionali, da potenti centri di potere pubblico e privato e agevolato da una spaventosa semplificazione orwelliana del linguaggio di cui ne vediamo gli stilemi nell'ondata di finta inclusività che propagano piattaforme come Netflix, Amazon o la stessa Disney.

Dunque, di inedito poco o nulla visto che è da più di un secolo che, spesso con ragione, il femminismo reclama diritti civili e politici per la donna. Tuttavia, questa sorta di neo-marxismo ha traslato i piani di lettura. Se Engels e Marx avevano sostenuto che le ragioni dei problemi delle donne fossero tutte da incanalare nella questione dello sfruttamento tra le classi a causa dell'esistenza della proprietà privata, ora si è giunti al paradosso di aggiornare la nozione di un conflitto irrisolvibile tra i sessi riportando in auge la vecchia tesi di Engels secondo la quale «l'uomo è il borghese e la donna il proletariato»

Seguendo questa azzardata linea teorica si sono però moltiplicati a dismisura e deformati tutti i piani metaforici. Dalla genesi del femminismo ad oggi, abbiamo assistito a varie ondate di proteste. Dall'origine, in cui si reclamavano diritti di cittadinanza e si manifestava preoccupazione per il posto occupato dalla donna, siamo giunti all'ondata queer che vuole imporre modelli di società che non tengano conto dell'interesse dei figli e fagocitare il dissenso costringendolo nella sanzione penale. Ma abbiamo assistito anche alla alterazione dei significati e degli antichi simboli. Se nei paesi comunisti il trattamento riservato alle donne era sempre pessimo, in Cina gli omosessuali venivano castrati, Che Guevara li inviava ai lavori forzati e i sovietici in Siberia, la nuova sinistra marcia con le bandiere rosse e quelle con l'effigie del Che nelle manifestazioni del Gay Pride. Questo, però, attiene ai simboli. Per Márquez e Laje il passaggio decisivo è avvenuto quando il classismo si è trasformato in una strategia culturalista ad ampio raggio, che ha sorpreso tutti e che, per essere contrastata, necessita di cittadini che mettano in conto di sporcarsi nel fango del politicamente corretto e di venire perseguitati.

Così la sinistra celebra la morte del maschio.  Max Del Papa su Nicolaporro.it il 13 Agosto 2023

Simon Heffer con il suo “Una breve storia del potere” (edita in Italia da Liberilibri) traccia una sintesi delle umane pulsioni che è un viaggio affascinante nella storia degli imperi, ma anche la sconfessione si direbbe definitiva di qualsiasi provvidenzialismo mistico, non fosse altro che per imporla, questa redenzione piovuta dal cielo, ci sono volute guerre infinite e pretestuose. È anche la dimostrazione che la pseudoscienza marxista col suo messianismo storicistico è un battito di ciglia, una parentesi aperta e subito chiusa ma i marxisti parolai continuano a considerarla, viceversa, il momento saliente attorno al quale ruota l’intera vicenda umana, preesistente e successiva: o dell’immanenza dell’inesistenza.

Gli ha detto male agli esegeti di Marx, disponibili sul mercato a un soldo la dozzina: l’egemonismo gramsciano, che alla fine era organizzazione puramente strumentale per fare soldi, per durare, ha continuato a dettare la sua legge spartitoria, ma senza alcun contenuto fondativo. Un restare per restare, come si è visto nel prato bassissimo delle nuove lottizzazioni in Rai, accolte malissimo dalla sinistra che considera la televisione di stato un suo feudo perenne. La scommessa della rivoluzione sorta dalla classe operaia è stata persa con ignominia e neppure le derivazioni negriane o terroristiche hanno saputo salvare la stessa classe, evirata della sua coscienza per via tecnologica. Da cui un disperato riciclarsi nelle sottoideologie alla moda da nuovo secolo, crudelmente messe in fila da Ryszard Legutko, che in Italia, per scrupolo democratico, non viene tradotto almeno nei lavori più recenti e più urticanti: il genderismo, l’allarmismo ambientale, da ultimo l’autoritarismo sanitario, fughe in avanti capaci sì di sviluppare nuova egemonia, ma destinate subito a perdersi, a risolversi in clamorose disfatte sul piano concreto non meno che su quello teorico, drammaticamente inconsistente.

Da cui la ridefinizione del vecchio “Che fare “ di Lenin in “di che parlare?”. Oggi la sinistra parla di niente, di falsi problemi da risolvere con false soluzioni maturate da false analisi. Lo fa scrivendo pessimi libri e pessimi articoli in uno stile mortifero, antiletterario di stampo ruffiano, che insegue un parlato da dimenticare, sciatto, ammiccante e in definitiva reazionario. Francesco Piccolo, uno della folta schiera dei premi Strega per meriti che artisticamente continuano a riuscirci misteriosi, ha proditoriamente invaso una paginata della fatal Repubblica per puntare il dito, in continuità con l’appena scomparsa Murgia, contro i peggiori impulsi dell’uomo bianco occidentale italiano non piddino, l’uomo bestione che ad onta di decenni di rieducazione sociale non ha ancora perso l’impulso ad essere maschio, per dire accorgersi di una donna bella, avvenente e magari fischiarle, o, ancor più inaccettabile, clacsonarle dietro. Poi dice che un bel lockdown, una manovra europea per vietare le automobili non ci vorrebbero; magari anche un vaccino per spegnere il desiderio sublimato in ammirazione. Piccolo non fischia, non tromba, nel senso del segnale acustico, non si dà pace, e chi lo legge peggio di lui. Perché Piccolo non va da nessuna parte, si avviluppa, si strangola in arabeschi di frasi senza costrutto, si titilla verbalmente, escogita la categoria dei maquandomaisti, che spasso, che inventiva letteraria, Gadda scansate proprio, i quali, se siamo riusciti a capire, ma non ci giureremmo, sarebbero i qualunquisti, i farisei, quelli che pensano una cosa ma non la ammettono per paura, per viltà; per non avere rompimenti di coglioni dalle mogli (che, a quanto è dato capire, si fanno molti meno problemi, e viva loro): e non è chiaro se a questi animali scodinzolanti, nell’accezione del Dogui, vada più il compatimento o la solidarietà del Piccolo: forse ci sono entrambi, in dosi sapientemente bilanciate. Comunque in uno stile pessimo, davvero da Premio Strega, però dopo la bottiglia (stiamo facendo ironia, a scanso di guai: questi scrittori stregati sono tutti sussiegosi, per un niente fanno partire la minaccia di querela eccetera).

Una lenzuolata che magari fosse inutile, almeno sarebbe qualcosa, anche la vanitas vanitatum soccorre, quia absurdum, a contrariis, serve a distanziarsene. Invece no. L’unica cosa che si riesce a capire, alla fine di questa scalata narrativa alla rovescia, cui si arriva mezzi morti, è che l’uomo bianco, occidentale, italiano eccetera non evolve, non migliora, gnaafà, è maquandomaista cioè un povero pezzo di reazionario, imbarazzante e troglodita, una maschera di Checco Zalone però vera.

Siamo ai quaderni da Capalbio, alla sinistra problematica alla Calenda: io non ne imbrocco una, ma voi siete dei poveri stronzi. Poveri inteso come aggettivo sostantivato. Tra le cose di Piccolo che non si capiscono, tutte, praticamente, ma scritte incredibilmente male, questo almeno è lapalissiano, anche che razza di mondo, di società veda Piccolo a bordo del suo motorino, si presume senza clacson, dunque più inclusivo. La realtà è esattamente quella opposta e basta uno stabilimento balneare a tramortirci: ragazzine di quindici, dodici anni ipersessuate, cloni accuratissimi, sofisticatissimi delle Taylor Swift, le Lana del Rey (chi paga, a proposito?), insieme a maschi a metà, che o si disinteressano desolatamente o li vedi paralizzati dalla paura di finir nei guai per un complimento, un balenar di sguardi: par di assistere a consessi surreali di aspiranti popstar con servi o celenterati di ritorno.

Una cosa vera Piccolo la coglie, probabilmente senza volere: il maschio bianco, occidentale, italiano eccetera non evolve, anzi si è appassito, si è lobotomizzato, si è tafazzizzato. Ma non è un bel progresso, non una gran consolazione. Qui uno scrittore di sinistra, aduso a non frequentare solo i circoletti gramsciani ossia pubblicitari, ne avrebbe di che inzuppare il biscotto (absit): diciamo dell’ossessione neoconsumistica, parafascista di Pasolini, del predominio spettacolare di Debord, della monodimensionalità capitalistica marcusiana e francofortese, della problematica sui bisogni e gli oggetti di Baudrillard, per fare giusto i riferimenti più immediati e più scontati; per tacer della reificazione, fino alla definitiva sepoltura della classe, perché se c’è qualcosa che sta fottendo quello che resta della sensibilità di sinistra è il mondo Barbie, viceversa esaltato per malintese o demenziali pulsioni genderistiche.

Qui non è questione dei rozzi di Rozzano o der Tufello che clacsonano alle aspiranti influencer (in perizoma, specifica il Nostro: anche lui ne deve fare di strada a ritroso lungo il moralismo neocomunista asessuato), qui è che nei locali più costosi ci stanno quasi solo adolescenti, ripassi dopo due ore e sono ancora lì, i giri di alcolici si susseguono in una roulette impazzita, mocciose e mocciosi che nei modi tradiscono già una confidenza, una dimestichezza da viveur sessantenni e a vederli uno si domanda: questo sarebbe il paese che non ce la fa a tirare il mese? D’accordo, saranno questioni da bigotto o rincoglionito, ma come la spieghi, come la spiega la sinistra romanziera e rompicoglioni una tale smania di mantenere nella riccanza figli normali, di famiglie normali? O questo è diventato un paese che si regge sul malaffare diffuso, nella zona grigia dove praticamente tutti sono sporchi ma rispettabili? Poi da lì al branco che umilia o ammazza il diverso, il condannato alla solitudine è un attimo. Nella solidarietà dei clan familiari che ormai ragionano e si comportano come i mammasantissima del potere.

Sono questioni, moralismi se si vuole, schiettamente di sinistra, che dovrebbero appassionare un intellettuale di sinistra, ma la sinistra da simili faccende sta alla larga, ha capito che non le conviene trattarle perché la sua coda di paglia è gigantesca e così preferisce corteggiare i modelli che, nella sua tradizione culturale, nella sua sensibilità politica, dovrebbero essere perversi, usciti dal neoliberismo demoniaco dei creatori digitali, di quelli che fanno i soldi col fumo pornografico di OnlyFans. Un tempo queste si chiamavano aporie, adesso suona meglio garantismo opportunista. E fu così che il nostro Piccolino, partorita per disprezzo socioculturale la razza dei maquandomaisti, si ritrovò il principe di tutti i maquandomaisti. Scrivendo malissimo.

Max Del Papa, 13 agosto 2023

DAGONEWS il 20 maggio 2023.

Ti sei mai chiesto cosa pensa veramente un ex di te come amante? O qual è stata la vera ragione per la quale vi siete separati. A meno che non restiate buoni amici e non abbiate il coraggio di chiedere, raramente troviamo le risposte a queste domande. Finora.

Tracey Cox ha chiesto a tre donne, con rapporti molto diversi con un ex, di rivelare tutto. E i risultati sono incredibili.

"È stata la sua dipendenza dall’alcol che ha distrutto la nostra relazione, non i litigi”

Kate, 40 anni, ha frequentato Charlie per un anno

«Ho avuto una relazione con Charlie quando avevo 38 anni. Era l'uomo più bello con cui fossi mai stata ed ero infatuata di lui. Mi ha scaricato perché litigavamo costantemente. Avevo il cuore a pezzi, ma alla fine siamo rimasti buoni conoscenti».

Il verdetto di Charlie

Il sesso: «Ricordo la primissima volta che abbiamo fatto sesso. Ti ho spogliato e ti ho accarezzato dappertutto e ti sei rilassata e mi hai guardato mentre ti ammiravo. All'epoca era sexy, ma era un accenno di cosa sarebbe successo in futuro. Il nostro sesso era incentrato su di me che ti davo piacere. Il sesso all'inizio è stato piuttosto sorprendente in realtà, a pensarci ora. L'entusiasmo è diminuito da entrambe le parti verso la fine, ma è perché litigavamo tutto il tempo”.

La relazione: «Sai già che ho chiuso perché le continue discussioni mi stavano facendo ammalare fisicamente. Va bene alzarsi urlando a vicenda alle 3 del mattino quando hai poco più di 20 anni, ma non quando hai un'attività da gestire.

Ad essere brutalmente franco non sono state le discussioni a farmi chiudere, ma il fatto che beveva. L’alcol scatenava i nostri litigi. Ogni singola discussione che abbiamo avuto è avvenuta quando eri ubriaca. Se avessi smesso di bere - o meglio ancora, avessi rinunciato - sarei rimasto Non ti ho chiesto di farlo perché sapevo quale sarebbe stata la tua risposta: “assolutamente no!”».

La risposta di Kate: «Non sono stato sorpresa di leggere la tua risposta su come ero a letto. Anche altri mi hanno detto che sono egoista sessualmente. Ma non avevo idea che il mio bere fosse una parte così importante del motivo per cui ci siamo lasciati! Mi rende triste. Se me l'avessi detto in quel momento, probabilmente avremmo potuto sistemare la relazione. Mi sento in imbarazzo, ma sono consapevole di avere problemi con l'alcol».

"I miei amici l'hanno sopranominato la grande banana"

Louise, 34 anni, ha avuto una relazione occasionale con Ben

“Ben e io abbiamo avuto una relazione durante il lockdown. Abbiamo iniziato come amici e finivamo a pomiciare sul divano. Ma quando si doveva andare avanti se ne andava. Pensavo di non piacergli. Una notte è rimasto e mi mostrato il pene più enorme che avessi mai visto. (Il suo soprannome con i miei amici è "The Big Banana".) Era così grande. Quando facevamo sesso, il che era raro, sembrava che stesse spingendo un marshmallow in un parchimetro. Era tutto così imbarazzante! Usava una mano e cercava di ficcarcelo dentro. Non era a suo agio nel parlare di tutto questo, quindi non l'abbiamo mai fatto. Ci piacevamo abbastanza, ma non abbastanza per continuare a vederci una volta revocato il lockdown»

Il verdetto di Ben

Il sesso: «Non ho mai saputo se eri presa da me sessualmente o no. Faccio un po' fatica con il sesso. Ho bisogno di sentire che la donna mi vuole davvero prima di godermela. Il mio pene è più grande della maggior parte degli uomini, quindi non devo preoccuparmene. Ma temo che il resto del mio corpo non sia all'altezza. So che uscivi con palestrati e io ho la pancia. Non sono sicuro che tu abbia finto l'orgasmo per tutto il tempo. Lo hai fatto?».

La relazione: «Ci siamo conosciuti durante il Covid e dubito che saremmo mai diventati qualcosa di diverso da amici in circostanze normali. Ho pensato che fossi più preso da te e mi sembrava normale che dopo il lockdown non ci saremmo più visti. Però ci siamo fatti un sacco di risate e mi manchi». 

La risposta di Louise «Interessante che tu abbia pensato che il grosso pene fosse un vantaggio quando questo era ciò che rendeva le cose imbarazzanti! Probabilmente hai ragione, il rapporto era un po' sbilenco, ma non mi importava dei chili in più. E poi sì, beccata: per un po’ ho finto gli orgasmi». 

“Non mi guardavi nemmeno durante il sesso”

Jess, 28 anni, è stata con suo marito per nove anni

«Non ho parlato con il mio ex marito per quattro anni dopo che ci siamo lasciati, ma ora abbiamo fatto pace per il bene delle nostre due figlie. Sono sinceramente incuriosito da ciò che dirà su entrambi i fronti. Immagino di essere stato io a smettere di fare sesso e quindi è colpa mia se tutto è andato a rotoli. Direi che ci siamo lasciati perché abbiamo avuto figli troppo presto. Non so perché non abbiamo aspettato un po'. Entrambi amiamo le nostre ragazze, quindi forse alla fine non importa».

Il verdetto di Matt

Il sesso: «Era tutto divertimento e giochi i primi anni. Ti mettevi della bella lingerie, guardavamo porno, provavamo tutti i tipi di posizioni. Amavi farlo da dietro. Quattro anni e due bambini dopo, ero io sopra, nessun bacio e nessun entusiasmo da parte tua. Non mi guardavi nemmeno durante il sesso. So che è quello che succede nella maggior parte delle relazioni dopo i bambini, ma poiché all'inizio abbiamo fatto del sesso così bello, mi sono sentito derubato».

La relazione: «Tutto è andato alla grande finché non sono arrivati i bambini. Poi mi è sembrato che mi incolpassi di tutto: le orribili gravidanze e nascite, niente sonno, niente tempo per "te". Penso che ti sia risentita per il fatto che potessi scappare e andare a lavorare, ma anch'io sentivo la pressione, solo in un modo diverso. Mi preoccupavo costantemente per i soldi. Vorrei che ce l'avessimo fatta per il bene delle bambine, ma penso che tutto sia andato abbastanza bene adesso, tutto sommato».

La risposta di Jess «La sua risposta sulla relazione è esattamente ciò che mi aspettavamo dicessi. Nessuna sorpresa perché ho già sentito tutto prima. Siamo sempre stati in competizione per il ‘chi sta peggio?’»

Estratto dell'articolo di Walter Siti per “La Stampa – TuttoLibri” l’8 aprile 2023.

Questa non è una recensione al recente Cose da maschi di Alessandro Giammei. Se lo fosse, dovrei dire che si tratta di un libro ben scritto, divertente, su un tema oggi di grande interesse.

 Dovrei paragonare tra loro i vari capitoli e constatare che Giammei risulta stilisticamente più brillante quando parla di orecchini o di pettini che quando disquisisce su armi o muscoli. […]

 I sette capitoli si snodano agili con titoletti un po' paraculi, tra cui forse il più bello è quello dell'introduzione, Per una maschilità balneabile. Ma quello di Giammei è un saggio serio a forte vocazione pedagogica, al punto da chiedere al proprio lettore di fare da tramite, da mediatore culturale. È troppo intelligente per non sapere che i «maschi eterobasici» contro cui il libro si indirizza non leggeranno mai il libro, da qui la necessità di rivolgersi (come Boccaccio) alle «vaghe donne» e ai maschi non conformi.

[…] Insomma, vorrei discutere il sugo politico del libro. Il maschile non è un dato di natura, non dipende da quel che uno ha tra le gambe: la biologia ci dice che maschile e femminile sono uno spettro, non un'opposizione duale. Il maschile è una costruzione, una somma di condizionamenti o, come dice Giammei, una maschera. Fin qui condivido tutto, poi da maschera si scivola a «mascara», il cosmetico che si scioglie con le lacrime, e le nostre differenze biografiche cominciano a farsi evidenti.

 Lui è un trentacinquenne romano che andava a scuola a Mostacciano (un quartiere di Roma Sud), un ragazzo borghese «naturalmente predisposto all'eleganza e al socialismo»; io sono un settantaseienne cresciuto in un paesino alle porte di Modena, negato a qualunque forma di eleganza e assai diffidente rispetto al socialismo fin da allora.

Tanto per citare un caso, lui si è sentito bullizzato all'inizio degli anni Duemila da quello che chiama «fascismo casuale», o eterno, direbbe Eco; io ho patito solo una volta un atto di bullismo verso la fine degli anni Cinquanta, quando alla Cooperativa mi svuotarono in terra una bottiglietta di Coca Cola che mi aveva regalato zio e che mi piaceva moltissimo, perché era roba americana e non si doveva bere; gli autori del gesto prepotente erano quasi tutti ex partigiani.

 La nostra distanza fa sì che io mi chieda che diavolo di maschi Giammei abbia conosciuto: il tizio che non osa piangere, che preferisce non analizzarsi psicologicamente, che non riconosce i capezzoli maschili come zona erogena, mi pare più una caricatura che un etero in carne e ossa.

 Allo stesso modo, forse, ai miei tempi non mi è mai venuto voglia di truccarmi gli occhi o di indossare una gonna, e ancora oggi trovo questi parafernalia assai poco sexy in un corpo maschile (se non è Mel Gibson col kilt, ma non prendiamoci in giro). Può darsi che sia repressione, certo: fatto sta che, essendomi riconosciuto busone prima dei sei anni e potendo vantare un certificato ufficiale dell'esercito di «personalità abnorme e deviante», non ho sentito il bisogno di altri segnali di diversità. Questione di comodità, di aver altro da fare.

[...] Mi chiedo se abbia riflettuto su quanto si stia comodi a non dover pensare ogni momento a cosa indossare, o a come rendere evidente la propria fluidità. Il grande privilegio dei maschi standard (e questo Giammei lo dice) è che hanno l'impressione di agire «naturalmente»; ma forse Giammei non ha riflettuto a quanta rabbia e odio si scatenino nel momento in cui tale «lusso di non doversi conoscere» viene decostruito.

 Il punto politico è l'irenismo di cui dà prova il libro: dice cose controcorrente (la vagina è dura e i testicoli sono fragili, le donne possono avere i baffi, i monumenti sui piedistalli li si dovrebbe abbattere perché sono un simbolo di maschilità) ma non si augura una reazione violenta, perché la violenza è fascista, maschile e tossica.

Io il Gattamelata di Donatello che sta a Padova in piazza del Santo non lo butterei giù per niente al mondo, ma non mi sento maschilista né tanto meno fascista. Si tratta di valutare le «possibili conseguenze della nostra posizione», per tornare a bell hooks; capire insomma l'entità dei volumi psichici e sociologici che spostiamo e prevedere le reazioni della parte avversa. È una lotta, non un minuetto. Ma forse Giammei ha ragione a contare sul fattore tempo: se le ragazze e i ragazzi si abituano ad abitare in un ambiente di oggetti più fluidi, quando saranno loro i vecchi il patriarcato sistemico mostrerà qualche crepa, la gabbia degli stereotipi di genere sarà più agevole smontarla. Purché nel frattempo non si creino nuovi stereotipi: la donna-che-non-deve-chiedere-a-nessuno, o il maschio-che-poverino-bisogna-aiutarlo; la critica sia sempre anche autocritica. —

Maschio alfa addio, è l’ora degli uomini sentimentali. Paolo Di Paolo su L’Espresso il 15 Marzo 2023

Cinema, moda, letteratura, spettacolo raccontano il tramonto del modello tradizionale. Una rivoluzione silenziosa che svela un’emotività più complessa. E più libera

Non è un brutto segno che la pagina Instagram che ironizza sui «maschi etero basic» sia tanto seguita (@eterobasiche, oltre 200mila follwer): dimostrando che la specie è ancora tra noi, dà però la misura di una larga, lucida, spiritosa coscienza critica. E autocritica. Il tramonto dell’«etero basic», se così vogliamo definirlo, con la sua prevedibile perché un po’ schematica rozzezza (interessi standard, linguaggio e desideri convenzionali), non è un fatto recente. Costume, moda, nuove abitudini mentali hanno da tempo fatto vacillare il monolitico e a ogni modo ridicolo maschio alfa, costringendolo – se non a una resa incondizionata – a cedere il passo a esseri umani per cui l’aggettivo “virile” è di per sé fuori asse.

Non basta: perché l’enfasi mediatica sul politico che piange in pubblico, sulla star che si mostra vulnerabile (Fedez o Marco Mengoni, mettiamo), sull’anti-paternalista conferma che la rivoluzione non è ancora compiuta. Tanto meno nel campo della paternità: dove ancora si tende a rilevare come straordinario, quando non eccentrico, il padre partecipe, presente. Con il rischio che lo si inquadri – insopportabilmente – come “mammo”.

L’editoria, sul tema, insiste e spesso sbaglia: lasciando per l’appunto che i neopapà nati in coda al ’900 si compiacciano del loro stesso scoprirsi tali. Producendo una melassa retorica sulle gioie di un giorno-per-giorno con neonato o infante che non ha niente di davvero eccezionale. Per fortuna.

Non che la questione sia improduttiva in termini letterari – a patto, però, che a scriverne siano scrittori veri: è il caso dell’argentino Andrés Neuman (1977) che, nelle pagine di “Ombelicale” (Einaudi), sembra muovere proprio da un risveglio tardivo alla coscienza, a una consapevolezza emotiva più ampia, stratificata, complessa: «Spero – dice rivolgendosi al figlio – mi insegnerai a piangere le cose che non ho mai pianto». Curiosa, ma forse nemmeno troppo, la ricorrente evocazione dei dotti lacrimali in tali contesti: quasi che al pianto adulto il maschio contemporaneo assegni ancora un valore di rivelazione, di esposizione radicale, di liberazione.

«Scrivo di ogni cosa che mi ha fatto piangere»: chiude il suo “Tasmania” (Einaudi) Paolo Giordano, ed è la frase a cui approda l’io narrante-alter ego dopo avere messo alla prova sé stesso, le proprie certezze, dopo averle viste ondeggiare nel privato tanto quanto nell’orizzonte collettivo. Non sono lacrime da eroi greci, né da supereroi coi poteri scaduti: ma brillano come sintomi di una messa in gioco di sé più integrale, indifesa. Perfino in camera da letto: vedi certe pagine sincere e ansiose di Giordano, quarantenne “in trouble” come nel titolo originale della miniserie tv Disney “Fleishman a pezzi”. Con un’aria da nipote di Woody Allen un po’ meno ironico, Jesse Eisenberg interpreta il padre difettoso e in affanno di due bambini. Separato, ossessionato dalle app di dating e perciò dal sesso, si accorge a un certo punto di non riuscire nemmeno a masturbarsi: ed è lì che perdendo pezzi – benché da privilegiato – può inoltrarsi in una affollata solitudine che gli permette di vedere e di vedersi in modo nuovo.

Ancora: di riconoscere e perciò sfidare i propri limiti. Soprattutto emotivi: accade, in un clima molto diverso, anche in “Aftersun”, film diretto dalla trentacinquenne Charlotte Wells e candidato all’Oscar. Un padre giovane (Paul Mescal) in vacanza con una figlia undicenne prova a fare pace con l’idea di non essere ancora cresciuto. Peggio: sente che sta affondando. Un’onda di malinconia e di tristezza quasi insostenibile avvolge lo spettatore, a cui via via risulta chiaro come quel ragazzo “spezzato” non avesse la forza sufficiente per resistere agli urti del mondo. Inadeguato? Incompleto?

Ma chi ha stabilito i parametri dell’adeguatezza, della vita “compiuta”? Sembrano chiederselo i personaggi di “Cieli in fiamme” (Mondadori), il romanzo in cui Mattia Insolia dimostra che l’incompiuto non è una dimensione anagrafica. Che si può restarlo a lungo o per sempre, e non si tratta di rinvio delle responsabilità, ma di una misteriosa e bruciante paura. Insolia – ha scritto Crocifisso Dentello – rende coetanei genitori e figli, ed è esattamente ciò che per altre vie accade in “Aftersun”, e ancora diversamente nel film più autobiografico di Steven Spielberg, “The Fabelmans”, sopralluogo emotivo di un ex bambino nella giovinezza sconosciuta dei propri genitori. Piena, naturalmente, di ombre: ma nessuno deve perdonare nessuno, in fondo, basta il coraggio di non nascondersi la verità. E di raccontarsela e raccontarla: con lo slancio, l’afflato di chi non teme, quando occorre, di essere “sentimentale”.

El hombre sentimental” diceva il titolo di un vecchio romanzo di Javier Marías: anche se forse il tenore protagonista non è ancora e fino in fondo in grado di riconoscersi tale. Combatte per certi versi con la sua natura, mentre si impelaga in una ossessione amorosa più astratta che reale. Presagita o ricordata.

In ogni caso, totalizzante: come quella del bellissimo “L’amore inutile” (Wojtek), romanzo candidato al premio Strega da Valeria Parrella. «La sua teoria era che le emozioni vivevano una loro esistenza, avevano un’anima privata»: Gianfranco Di Fiore mette in scena la dolente e quasi indicibile sconfitta emotiva di un uomo che, letteralmente, vive una storia d’amore giocata solo sulla voce. La voce, le voci al telefono. Disordine e dolore precoce, una tragedia calma, ma anche una cruda estensione di quell’amour de loin, l’amore da lontano che è alle origini delle letterature romanze.

Come un trovatore disincantato o disperato, Di Fiore lavora sul sentimento ideale/virtuale come il rovescio contemporaneo di quei sospiri, come il segno di una solitudine lacerante. La «nuda verità», proprio quella: matrice di uno scrivere d’amore per mano maschile che dà in questi mesi esiti non convenzionali. Detto diversamente: l’impudente silenziosa rivoluzione di “uomini sentimentali” che scrivono d’amore. Massimiliano Virgilio nel romanzo “Il tempo delle stelle” (Rizzoli) svela il rovescio dei sentimenti di «una coppia solida, affettuosa e progressista». E offre al suo personaggio maschile l’occasione per evitare di diventare la versione crudele e oscena di sé stesso. Il sorprendente, elegiaco Dario Voltolini di “Giardino degli Aranci” (La Nave di Teseo), o il Marco Drago di “Innamorato” (Bollati Boringhieri): una sorta di poema in prosa sull’ossessione per una ragazza incontrata nel cuore dell’adolescenza e mai uscita dai pensieri. Drago la sogna e la risogna, la ricorda, la immagina e immaginandola quasi la consuma: ma parlando di lei e di certi luminosi interminabili pomeriggi degli anni Ottanta parla di sé, di come si diventava e si diventa – bene o male – maschi; di come si allenava la lingua dei desideri e meno, molto meno quella dei sentimenti. Che magari si apprende da adulti, diventando scrittori. È una questione di stile, no?

Lo dimostra, al polo opposto del romanzo di Drago, Giacomo Sartori col suo “Fisica delle separazioni” (Exòrma). Se l’uomo sentimentale di Marías vive nell’incompiuto, l’uomo sentimentale di Sartori fa i conti con ciò che al contrario sembrava avere trovato la sua solidità, la sua perfezione. Quando finisce una storia d’amore, cosa si fa per dimenticarla? Sartori propone “otto movimenti”, un training sofisticatissimo, malinconico-ironico, che è anche e soprattutto una scommessa sulla prosa della memoria, anzi dell’anti-memoria: «Va dimenticato tutto, per fare una cosa ben fatta bisogna dimenticare tutto». È un libro affascinante, spietato senza essere livido: i giorni dell’abbandono, una volta tanto, visti e vissuti da lui. Uno che non si libera del nodo in gola, conosce le sue colpe e i suoi errori, sa che è difficile capire chi lascia chi e fatica a darsi pace: intanto si scopre debole, indifeso, e anche se sembra il contrario è già una conquista. Letteraria, sì. E umana.

La “virilità” malintesa dei maschi costa all’Italia il 5% di Pil. Se provassimo a farne a meno? Antonio Polito su Il Corriere della Sera il 13 Febbraio 2023.

Pare scontato che da noi gli uomini siano più “cattivi”. Il libro di una giovane economista dimostra che lo si diventa e non denuncia solo i numeri della propensione maschile alla violenza, ma fa una stima del prezzo che paga la collettività: 98,78 miliardi di euro

Noi uomini italiani siamo «l’85,1% dei condannati, il 92% degli imputati per omicidio, il 98,7% degli autori di stupri, l’83% dei responsabili di incidenti stradali mortali, l’87% dei colpevoli di abusi su minori e il 93,6% degli imputati per pornografia minorile». Siamo anche «il 95,5% della popolazione mafiosa, l’87,5% degli imputati per rissa e il 76,1% per furto»; e siamo anche «il 91,7% degli evasori fiscali, l’89,5% degli usurai, il 93,4% degli spacciatori, il 95,7% della popolazione carceraria».

Con un incipit così è difficile che il libro di Ginevra Bersani Franceschetti, giovane economista con studi a Parigi, passi inosservato. Anche perché la nostra studiosa, sulla falsariga di un analogo lavoro svolto in Francia da Lucile Peytavin, non si ferma a denunciare i numeri di un’indiscutibile propensione maschile alla violenza, ma prova anche a fare una stima del prezzo che paga la collettività, e cioè la differenza tra l’importo speso per il comportamento degli uomini e quello per le donne. In una parola, calcola Il costo della virilità, come da titolo del volume (Il Pensiero Scientifico Editore).

Il risultato è sorprendente: mettendo insieme la spesa pubblica per le forze dell’ordine e il sistema giudiziario, l’amministrazione penitenziaria, le emergenze e i ricoveri ospedalieri, più i costi umani e sociali della «catena della violenza» maschile, si arriva a 98,78 miliardi di euro, una cifra pari più o meno al 5% del Pil, che risparmieremmo se gli uomini si comportassero come le donne. Naturalmente i calcoli tengono presente, con formule matematiche rigorose, la sproporzione esistente tra i sessi nelle varie attività.

Per esempio: la percentuale dell’83% dei responsabili maschili di incidenti mortali è calcolata a parità di tempo e chilometri di guida con le donne. Ma, quel che più conta, i conti tornano nonostante la drammatica carenza di dati sulla differenza di sesso nelle statistiche relative ai comportamenti antisociali. E sì, perché mentre sappiamo tutto o quasi tutto della percentuale di stranieri che delinquono e sulla loro nazionalità, o sull’età, la provenienza geografica e perfino l’origine sociale degli autori di reati, i dati suddivisi per sesso sono molto scarsi. Anzi, nel dibattito pubblico non se ne parla affatto, come se fosse scontato che gli uomini siano, diciamo così, più “cattivi”. Come se fosse un dato “naturale”, immodificabile, e perciò irrilevante dal punto di vista statistico.

Forse questo dipende dal luogo comune secondo cui noi maschi siamo più violenti perché siamo diversi, perché già nelle caverne ci occupavamo della caccia, perché abbiamo più testosterone o un cervello più grande. L’autrice contesta questi pregiudizi. E alla fine ci spiattella davanti agli occhi la verità: e cioè che non si nasce uomo violento, ma lo si diventa. Che la «virilità» è un processo di acculturazione alla violenza, non a caso definita nella Treccani come «la qualità propria dell’uomo forte, sicuro di sè e risoluto, coraggioso». E che la nostra società sarebbe molto migliore se noi uomini fossimo meno virili. Conclusione che virilmente sottoscrivo.

Estratto dell'articolo di Maurizio Zottarelli per "Libero quotidiano" il 12 febbraio 2023.

[...] l'argomento è scabroso, adatto solo a un pubblico adulto. Qui, infatti, si discetta di "virilità". Anzi, si tenta addirittura una, per quanto moderata, difesa della virilità. [...]

 La fantasia balzana è sorta a un filosofo della politica americano, Harvey Claflin Mansfield Jr., il quale nel 2006 ha scritto un ponderoso saggio che fin dal titolo sfida il comune sentire odierno: Virilità, appunto. Il saggio, ripubblicato ora da Liberilibri (pag. 420, 20 euro) fin dalle prime battute si pone come obiettivo quello di sfidare il modello di società «sessualmente neutra» che si è imposta negli ultimi decenni e di dimostrare che la virilità, caratteristica precipua dell'odiato maschio prevaricatore, «in tutta la sua irrazionalità merita di essere difesa dalla ragione». 

Quasi una bestemmia, visto che [...] si manifesta [...] a sostegno di una «mascolinità non tossica» e ridotta. Ma l'analisi di Mansfield prende l'avvio da una costatazione, quasi ovvia. Nonostante la guerra senza quartiere ingaggiata dai diversi movimenti femministi, e i tentativi per cancellarli, gli stereotipi sulle differenze tra uomini e donne resistono. Di più. 

Gli studi confermano che certi modelli maschili e femminili, lungi dall'essere stati imposti da una cultura prevaricatrice, sono in realtà precostituiti, fanno parte del bagaglio naturale degli appartenenti ai due sessi. Si tratta, peraltro, di ricerche condotte da donne (quali Eleanor Maccoby e Carol Jacklin, Alice H. Eagly, Deborah Tannen), il più delle volte partite con l'intento di dimostrare l'inconsistenza delle differenze psicologiche tra uomini e donne e scontratesi con la dura realtà che tali diversità continua a proporre. 

[...] si tratta di differenze naturali che [...] indicano [...] un modo diverso di affrontare la realtà. Insomma, anche se la cosa non va giù alle femministe e ai sostenitori della «società sessualmente neutra», uomini e donne insistono a comportarsi come hanno sempre fatto e per quanto un certo mondo scientifico si sforzi di cancellare gli odiati stereotipi, i fatti, più testardi di loro, si ostinano a ripresentarsi secondo le antiche consuetudini. 

E ci si mette pure Darwin a confermare che, per colpa dell'evoluzione, maledetta lei, una certa maggiore aggressività e forza si ritrovano nei maschi della quasi totalità delle specie animali. Altro che sovrastrutture culturali. Ma, per l'appunto, in cosa consiste questa benedetta virilità? Per definirla il filosofo si avvale di testimonianze letterarie, da Omero a Hemingway. 

 Alla fine, la definizione si può riassumere nel concetto di assertività, cioè nella capacità di far valere le proprie posizioni, all'occorrenza anche con una certa caparbietà [...] unita a una più accentuata aggressività che in natura si manifesta nel controllo del territorio [...]

[...] Mansfield [...] descrive la lunga parabola che nell'ultimo secolo, dalle protofemministe di inizio Novecento alle battaglie degli anni Settanta, ha fatto sì che si imponesse il modello della «società sessualmente neutra». 

Una costruzione che [...] pone le sue basi proprio sul darwinismo che ha spogliato l'uomo e la donna della dimensione eterna di creature, riducendoli alla loro parabola biologica [...] 

[...] le femministe [...] in un primo momento, si limitarono a contestare i ruoli sociali stabiliti per i due sessi, poi arrivarono a rivendicare una propria virilità come via per raggiungere il successo. Una rivoluzione, che sulla scorta del materialismo nichilista, cancella ogni ruolo e propone una liberazione sessuale tutta ricalcata su un modello maschile, predatorio, disgiunto da ogni riferimento alla riproduzione e alla maternità. 

Per inseguire la libertà la donna insegue un modello maschile che, paradossalmente finisce per fare il gioco degli uomini i quali se oggi possono godere di una disponibilità sessuale che in passato non avrebbero nemmeno sperato lo devono proprio alle battaglie femministe. [...]

Non basta. Nel tentativo di rivendicare il proprio nuovo ruolo "mascolino", le battaglie femministe si sono concentrate nello sforzo di ridefinire anche quello degli uomini: perché le donne possano competere con gli uomini bisogna che questi siano meno aggressivi, meno virili, e più "sensibili" (come, appunto, chiedono gli studenti in piazza con la gonna). 

 Ecco, dunque, comparire sulla scena "l'uomo nuovo", ripulito, aggraziato, sensibile, raffinato, meno rude e muscolare. Se le donne non vogliono più essere femminili, l'uomo non deve più essere maschile. 

Un quadro quello tratteggiato da Mansfield che, in qualche modo, la sapienza degli antichi aveva già fissato nelle parole. "Matrimonio", infatti, deriva dal latino "Matris-munus", "il dono della madre". Come dire che la famiglia si fonda sulla donna e sulle sue caratteristiche di accoglienza e accudimento. Così come il "dono del padre" è il "patrimonio" (patris-munus), come dire che l'ufficio del padre riguardava la sfera sociale ed economica. 

[...]  Penalizzare, limitare, sacrificare la virilità fin quasi a cancellarla, ha reso più felici uomini e donne? [...]

[...] per quanto ci sia sforzati di eliminarla, inoltre, la virilità negli uomini permane e cercare di reprimerla può portare solo a pericolosi eccessi (o carenze), come la cronaca racconta. 

Quindi, che fare visto che indietro non si può più tornare? La soluzione del nostro filosofo è che, forse, si può ancora trovare un'occupazione alla virilità così che uomini e donne, ognuno con la sua ricchezza, possano collaborare. [...]

Magari si potrebbe evitare di spingere i bambini maschi a giocare come le bambine; gli uomini potrebbero essere chiamati a essere non solo liberi, ma anche virili [...]

[...]

Il Pelo.

Diversi dal maschio.

Il Rosa.

Miss Italia.

Criminali.

La Prevaricazione.

L’Ideologia.

La Dissacrazione del Mito.

Donne straordinarie.

Il Pelo.

Dago-traduzione dal "Daily Mail" domenica 5 novembre 2023.

Ragazze, basta con quest’ossessione del pelo pubico. Passate più tempo a farvi toccare dall’estetista che dal vostro ragazzo. E non è vero che la vagina liscia liscia, come quella di una bambina, sia più igienica. D’altronde se i peli là sotto esistono ci sarà un motivo? Primo tra tutti, quello di proteggere la fessura più esposta e delicata del corpo di una donna. 

Sempre più ragazze optano per rasarsi in parte o del tutto i peli pubici, riportando la vagina al suo aspetto più infantile. Lo fanno prima del sesso, prima di una festa, dell’estate o di una visita dal medico, per sentirsi più fresche e pulite. Ma gli esperti mettono in guardia: la depilazione intima elimina lo strato protettivo della peluria e aumenta il rischio di contrarre infezioni e malattie sessualmente trasmissibili.

Il dottor Tami Rowen, dal reparto di ostetricia, ginecologia e scienze della riproduzione di San Francisco, commenta: “La depilazione è diventata un aspetto fondamentale per le donne del 21esimo secolo”. Tra queste, però vi sono però differenze demografiche sorprendenti. Le donne che si depilano di più hanno meno di 50 anni sono per lo più bianche e hanno frequentato l’università”.

Barbara Costa per Dagospia domenica 29 ottobre 2023. 

Uomini, c’è una cosa che una donna non vi dice, una cosa che a fatica confessa alla sua migliore amica, una cosa che non confida nemmeno a sua madre, e che con difficoltà accetta. E questa cosa è una cosa che succede a tutte le donne, inesorabilmente, e non a tutte nello stesso momento. E se questa cosa non nominabile noi ve la possiamo (finché riusciamo) tener nascosta, è perché accade al chiuso, tra le nostre gambe, ed è… l’imbiancamento della f*ga!

Non lo puoi arrestare, non lo puoi evitare, non ci puoi far niente: un giorno, all’improvviso, quando meno te lo aspetti, eccoli lì: i primi peli pubici… bianchi!!!!! E sapete perché non lo diciamo a nessuno? Perché anni e esempi educativi boomer-istici esaltati al giovanilismo supremo contrapposto a vecchiaia figlia di satana, hanno serrato l’imbiancamento della vulva in un tabù a tripla mandata. Ma la cosa incredibile è che l’incanutimento vellico non è per forza e anzi spesso proprio non è collegato alla vecchiaia, e alla presenza dei primi capelli bianchi, o alle prime sopracciglia bianche, e neppure è parallelo al bianco dei peli di altre parti del corpo.

Eccolo, il "dramma": ci sono donne che espongono i primi peli bianchi pubici mentre in testa è ancora tutto ok, e nel resto del corpo la peluria è ancora del colore "giusto". Sotto invece no, la vulva diventa non bianca ma bicolore anche precocemente: ci sono donne che si scoprono i primi peli bianchi anche a 30 anni, e alcune prima! Al contrario ci sono femmine – come la sottoscritta – che hanno fatto conoscenza coi primi capelli bianchi presto, e che però là sotto mantengono (per quanto?) un bel bruno. Io ve lo dico e assicuro: non c’è donna che, a ragion veduta, non si dia là sotto una minuziosa guardata, e non credo che esista donna che non ci vada in attenta perlustrazione una volta a settimana.

Una vulva sale e pepe, o una vulva imbiancata non è sintomo di menopausa, di pre-menopausa, né di invecchiamento. Una vulva imbiancata fa sesso come prima, gode come prima, la quantità e la qualità del sesso che fa non dipende dal suo "colore". E una vulva imbiancata non è un difetto, né una malattia: è la nostra natura. E se ci sono donne che, seppur non più di primo pelo, non vedono spuntar lì nessun bianco intruso, non c’è donna che non assisti via via a un diradamento dei peli pubici. In pochissime rimangono col boschetto folto come da vulva adolescente.

Se non ti si imbianca, ti si dirada, e il diradamento dei peli vaginali è causato dall’età, sì, e dallo stress, e però tanto è diretta causa di accanita e frequente depilazione. E qui sta il punto: che fare con una p*ssera rada, e/o bicolore? Accanto a chi è talmente sicura di sé da tenersela come natura comanda, ci sono donne che corrono ai ripari: una vulva imbiancata può essere "truccata" con tinte da comprare senza ammoniaca, vegetali, e non vi fate incantare da quelle che costano poco. Fare la tinta alla p*ssera comporta un esborso correlato a rischi molto sgradevoli (si può "rosolare"). Ci sono centri estetici che te la fanno.

Ci sono poi rimedi meno aggressivi come rossetti e mascara coloranti per vulva (non sono quelli che si usano sui capelli) che la ritoccano dove serve, però colano via col sudore (se avete intenzione di fare sesso, lasciateli stare), e vanno via con acqua e sapone intimo. Una vulva con peli bianchi può essere rasata o depilata secondo il metodo preferito. I peli bianchi ricresceranno, e non di meno. Una vulva con pelo diradato può essere "rinforzata" con frizioni di fiale apposite.

Chi vuole può ricorrere al trapianto di peli pubici, fatto in anestesia locale (a pomata), in più sedute e i peli trapiantati, se disponibili, sono presi dalla vulva medesima, o da altre zone del corpo, come i capelli sulla nuca. Scomode, ma ci sono le parrucche vaginali, di ogni taglio, e mucchio di pelo. In media, un pelo pubico, bianco e no, ricresce 0,2 mm a settimana, 1 mm al mese, 1,2 cm l’anno. E non si pensi che gli uomini non gradiscano una f*ga canuta: se così fosse, chi sono tutti quelli che intasano i video porno, specie amatoriali, con in primo piano e in azione bianche f*ghe pelose?

Estratto dell'articolo di Martina Manfredi per repubblica.it sabato 7 ottobre 2023.

Nelle metropolitane newyorchesi quest’autunno, proprio durante la New York Fashion Week, sono apparsi dei cartelloni di donne in metro con ascelle non depilate ben in vista per la campagna #FreeThePits di un noto marchio di bellezza. I ritratti femminili invitano a "liberare" le ascelle pelose e fregarsene dei giudizi altrui e nascono in risposta a un sondaggio del 2022 sulla percezione dei peli ascellari femminili […]: sei donne su 10 confessano di giudicare le ascelle di altre donne e l’80% delle donne ritiene che la società spinga un’immagine di ascella "ideale" che sia senza peli, inodore, liscia e uniforme.  

Se questo è ancora oggi il modello dominante, però, per le teenager della Gen Z sta diventando sempre più normale non depilarsi le ascelle. Già uno studio Mintel del 2016 aveva rivelato che quasi una donna su quattro di età inferiore ai 25 anni aveva smesso di radersi le ascelle. Nel 2018, per intercettare questa nuova sensibilità sono arrivate le prime pubblicità di rasoi che mostravano i peli prima di essere tagliati (prima il rasoio passava su una pelle già perfettamente liscia) e poi, nel 2019 sono arrivati il trend dei peli ascellari "unicorno" (cioè multicolore) e il movimento #januhairy, sfida social che invita le donne ad abbandonare cerette e rasoi nel mese di gennaio, al fine di normalizzare i peli femminili.

 Il momento decisivo che ha portato sempre più ragazze a non depilarsi le ascelle è arrivato, però, durante la pandemia, o almeno così sembra dai social, dove dal 2020 in poi sono esplosi su TikTok i video di ragazze con peli sulle ascelle (e in generale sul corpo) diventati virali con gli hashtag #bodyhair, #hairywoman e #bodyhairisnatural, che hanno raccolto milioni di visualizzazioni. 

La tendenza tra le star

Le star hanno contribuito non poco a cambiare la visione dei peli sotto le ascelle: curioso notare che mentre da un lato sta crescendo la mania della depilazione total face, ovvero la rasatura del viso per rimuoverne la peluria come usano fare anche Emma Roberts ed Eva Mendes; dall'altro lato sono sempre di più le star che scelgono di tenere i peli sotto le ascelle lunghi, al naturale.  

Phoebe Bridgers, Maria Lourdes Ciccone, Miley Cyrus, Amandla Stenberg, Bella Thorne, Emma Corrin, Rachel McAdams e Paris Jackson sono solo alcune celebrities che hanno mostrato i peli sotto le ascelle anche su red carpet e in patinati shooting di moda, mentre tra le italiane possiamo citare le influencer Giorgia Soleri, Paola Maugeri e Giulia Zollino.  

A confermare il - seppur ancora lieve - cambiamento culturale in atto è una ricerca sulla depilazione femminile fatta dall’Istituto Eumetra nel 2022 su un campione di mille donne e diffusa da Braun: secondo il 36% delle intervistate, l’accettazione della donna che sceglie di non depilarsi è in aumento, ma c'è ancora spazio di crescita tanto che, quando si parla di depilazione intima, solo il 16% dei rispondenti ritiene che sia accettabile non depilare la zona bikini.

"I dati raccolti suggeriscono come oggi ci siano segnali incoraggianti rispetto a una maggiore libertà nella scelta della depilazione", commenta la psicologa Ilaria Albano, esperta di benessere ed empowerment, conosciuta sui social come @psicologascortese. "Col tempo le persone hanno acquisito una maggiore consapevolezza e autostima, grazie alla promozione di un’immagine di sé autentica e oltre gli standard di bellezza imposti. Ognuno può essere sempre più libero di scegliere in relazione al proprio corpo e ai propri peli, perché ogni corpo ha la sua storia e dobbiamo rispettarla, con tolleranza". […] 

Alla faccia degli standard di bellezza e sensualità moderna, la presenza dei peli sotto le ascelle ha una funzione di richiamo sessuale: "Nelle ascelle sono presenti le ghiandole apocrine, direttamente connesse al bulbo pilifero, che producono una sostanza gialla dall’odore pungente ricca di ferormoni che in tutti i mammiferi ha la funzione di richiamo sessuale", ci spiega la dottoressa Valentina Amadu, medico chirurgo, specialista in dermatologia e venereologia ed esperta in allergologia e medicina estetica. 

"Inoltre, come tutti gli altri peli del corpo, anche i peli delle ascelle hanno una funzione protettiva, e proprio perché creano una barriera rendono i deodoranti un po' meno efficaci e aumenta la possibilità che la zona rimanga umida, permettendo così la proliferazione dei batteri", continua la dermatologa. […]

Niccolò Dainelli per leggo.it il 13 agosto 2022.

Dakota Cooke è la nuova star di TikTok a stelle e strisce. L'influencer è una trentenne non binaria di Las Vegas e il suo profilo social @dakotasbeard è sempre più popolare. Il motivo? Ha deciso di non tagliarsi più la barba e adesso, finalmente, si sente «più sexy che mai». 

La storia di Dakota

Dakota ha notato per la prima volta una crescita anormale dei peli sul viso all’età di 13 anni e ha dovuto sempre radersi due volte al giorno. La sua infanzia è stata segnata da questa disavventura che la costringeva a tagliarsi la barba due volte al giorno e, così, ha fatto vari test e consultato molti medici per determinare il motivo della sua anomalia. 

Tuttavia, i medici le hanno detto che era dovuto a problemi ormonali: in pratica le sue ghiandole surrenali producono livelli eccessivi di testosterone. Ma la sua rivincita la sta avendo a 30 anni.

Dopo aver cercato di sembrare una donna impeccabile per diversi anni, Dakota ha finalmente deciso di accettarsi così com’è e ha smesso di radersi la barba. E adesso ha deciso di usare i social per diffondere positività sui difetti del corpo e, nel suo caso, sui peli sul viso. 

«Mi sento più sexy che mai»

«Quando ho raggiunto la pubertà a 13 anni, ho iniziato a vedere una peluria color pesca sul viso che poi è diventata più lunga e scura - racconta Dakota al Daily Mail -. 

Un amico di famiglia me lo ha fatto notare, poi il mio patrigno mi ha portato dai medici per fare i test, per poi portarmi dal parrucchiere dove ho fatto la mia prima ceretta in assoluto.

Era super scomodo e all’epoca non sapevo nemmeno radermi le gambe. Sono cresciuta in un periodo in cui le donne con i peli sul viso erano così stigmatizzate che le donne del salone mi dicevano che le ragazze non dovrebbero farsi crescere i peli del viso. Mi è rimasto impresso, perché per i successivi dieci anni sono semplicemente sprofondata in una spirale di vergogna in cui cercavo di nascondere la mia faccia nelle foto e facevo cerette ogni settimana». 

«Sono arrivata a un punto, quando ho cominciato uno dei miei primi lavori, che mi radevo la faccia due volte al giorno, una al mattino e poi durante la pausa perché i peli erano così visibili e stavo lavorando nel reparto trucco dove non era accettabile essere nient’altro che una donna stereotipata». Ma nel 2015 è arrivata la svolta: ha iniziato ad accettare il suo corpo e la sua barba facendola crescere senza più vergogna.

«Ero a una festa con la mia amica, Sunshine, 35 anni, e lei mi raccontava tutte queste meravigliose storie su com’era lavorare al circo, e ho adorato l’idea di tutto. Le ho detto ‘Vorrei potermi far crescere la barba e unirmi a te’, a cui lei ha risposto, ‘perché no?’. All’inizio avevo molta ansia per lo sguardo fisso delle persone, ma sono arrivato a un punto in cui ho deciso di non preoccuparmene più. 

La mia famiglia e i miei amici sono stati di grande supporto durante il mio viaggio di accettazione di me stessa e mi hanno persino comprato un cartello “non fot*ere con la signora barbuta” che adoro. Adesso mi sento più sexy che mai!».

«Anche i miei follower su TikTok sono stati fantastici e adoro rispondere alle loro domande, oltre a ricevere parole di supporto. Ho persino ricevuto i complimenti da uno dei miei eroi assoluti, John Waters, dopo essere andata a trovarlo a un evento dove firmava il suo libro truccato, vestito da donna e la barba folta. Mi ha detto che amava il mio look e che avevo bisogno di fare campagne pubblicitarie, che la mia faccia doveva essere ovunque.

Carmen Covito per “la Stampa” l'8 luglio 2022.

Tra la seconda e la terza stagione della serie televisiva The Umbrella Academy, l'attore Elliot Page aveva annunciato la sua transizione da donna a uomo, dichiarando di non voler più sentir parlare di Ellen Page, la vecchia identità di attrice con cui aveva vinto premi ed era stato candidato a un Oscar per la migliore interpretazione femminile. 

Eravamo perciò molto curiose di vedere che cosa sarebbe successo alla donna che interpretava nella serie, la supereroina tormentata, emarginata e un po' psicopatica Vanya Hargreeves, dotata di poteri così terribili da poter causare un paio di apocalissi nei diversi livelli temporali su cui lei e i suoi fratelli si inseguono cercando di salvare il mondo. Elliot avrebbe rinunciato a sostenere il ruolo? Vanya sarebbe stata eliminata dalla trama? Non è insolito che gli sceneggiatori di una serie debbano fare modifiche al volo quando un interprete non è più disponibile e nessun altro può sostituirlo.

In questi casi, il personaggio muore, o si trasferisce, o, come don Matteo/Terence Hill, può anche venire misteriosamente rapito. Vanya no. Con una puntigliosa intrusione della realtà nella finzione, Vanya diventa Viktor così come Ellen è diventata Elliot, pari pari. La cosa accade all'inizio della seconda puntata, gli altri personaggi restano un attimo interdetti ma si riprendono nel giro di pochi fotogrammi, tutti accettano la trasformazione senza fare domande e l'America progressista del politicamente corretto si concede un minuscolo trionfo nel bel mezzo della catastrofe dei diritti umani che, nel nostro livello temporale, minaccia di schiacciarla.

Peccato che l'emergere di Viktor sia letteralmente tirato per i capelli. Vediamo Vanya fermarsi davanti alla vetrina di un barbiere. La sua attenzione è attratta da una pubblicità che illustra diversi tagli maschili con lo slogan «Uno stile senza tempo per ogni situazione». Vanya entra nel negozio del barbiere.

Quando la rivediamo, è Viktor che si sta avvicinando ai fratelli per dichiarare di aver trovato finalmente la sua vera identità, ma per gli spettatori è uguale a prima: stesso abbigliamento unisex pantaloni e felpa su t-shirt, stessa faccia pulita senza un filo di trucco. L'unica e sola differenza sta nel fatto che i suoi capelli lunghi e lisci sono diventati un taglio corto con frangetta, del tipo che i parrucchieri chiamano «alla Cesare». 

Per carità, è normale che in un prodotto televisivo si ricorra a una sintesi visiva efficace. Non si poteva certo dare conto di tutto il lungo, complesso e spesso doloroso processo che accompagna nella realtà la riassegnazione di genere, tra somministrazioni di ormoni e interventi chirurgici. Fermarsi al look però rischia di far sembrare tutto troppo facile. E per giunta il segnale di virilità scelto da Umbrella Academy è clamorosamente fuori moda.

 Già nel 1977 Desmond Morris in un saggio sulla comunicazione non verbale intitolato L'uomo e i suoi gesti notava che la lunghezza dei capelli non fa parte dei segnali di identità sessuale della specie umana, ma va collocata piuttosto nella categoria dei «segnali inventati», destinati a cambiare nel corso della storia e nei meandri della geografia. I capelli corti non sono stati sempre segno di mascolinità.

Lo furono nel mondo romano, e guarda caso fu il romano Paolo a dichiarare nella Prima Lettera ai Corinzi (11:14-15) che «è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna». Evidentemente non conosceva l'aneddoto biblico di Sansone che viene privato della forza con l'astuto espediente di tagliargli i capelli. Altri uomini chiomati e zazzeruti avrebbero poi invaso l'antico impero (potete immaginare un Obelix senza le trecce?) ma è nel lontano Giappone che troviamo la più stretta analogia con quella che potremmo definire la sindrome di Sansone.

L'acconciatura tipica del samurai (anche nella versione da disoccupato, il rnin vagabondo senza padrone) prevedeva capelli abbastanza lunghi da poter essere raccolti in una crocchia (mage). Questa foggia era nata per imitazione dello stile degli uomini dell'aristocrazia di corte, che usavano la crocchia per tenere a posto i loro cappellini di crine, ma in battaglia il mage poteva offrire un appiglio al nemico (poi, una volta troncata la testa, era un comodo manico per trasportare il trofeo) e forse fu per questo che i samurai finirono per assegnargli un valore simbolico molto alto.

Lasciarsi tagliare la crocchia per il guerriero significava perdere l'onore, cioè la vita stessa.

Era una castrazione neanche tanto simbolica. È comprensibile quindi che ci siano state non poche resistenze quando nel 1871 il nuovo governo Meiji nello sforzo di modernizzare il Giappone emanò il cosiddetto «editto dei capelli corti» (iwayu danpatsurei), che pur non imponendolo permetteva ai cittadini di tagliarsi i capelli e vestirsi come preferivano. 

 Il taglio corto (zangiri) si affermò comunque in breve tempo, diventando sinonimo di modernità, a tal punto che nel teatro Kabuki le opere ambientate nella realtà quotidiana furono chiamate zangirimono. Alcune spettatrici ne furono così entusiaste da cominciare a copiare il taglio del loro attore preferito. 

Il governo intervenne con un nuovo decreto per proibire alle donne di accorciarsi le chiome, ma in pratica riuscì soltanto a ritardare di un mezzo secolo quello che successe negli Anni Venti del Novecento, in Giappone così come in Europa e in America, con i tagli alla maschietta delle moga giapponesi e delle flapper europee e americane.

Furono quelle nostre nonne e bisnonne scapestrate ad avviare una rivoluzione forse piccola ma niente affatto frivola, perché è merito loro se nell'universo che ci piace - purtroppo solo uno degli universi culturali esistenti - l'abbigliamento e la lunghezza dei capelli sono una scelta libera e non un'uniforme femminile o maschile a cui attenersi obbligatoriamente.

Da “Corpo e Cuore” - “Oggi” il 19 maggio 2022.

«Mia figlia è fissata con la depilazione totale, anche genitale, a 17 anni! Ho provato a dissuaderla, ma mi risponde che vivo nel medioevo e che è una scelta più igienica. Ci sono dei rischi?»

Silvana T., Vicenza 

Risposta di Alessandra Graziottin, Direttore del centro di ginecologia San Raffaele Resnati, Milano 

Gentile signora, sì, i rischi ci sono. Purtroppo minimizzati perché l’effettomoda&business, legato alla depilazione laser, ha creato un’aura di “normalità” nei confronti di un gesto, la depilazione, innaturale e negativo per la salute della vulva.

Togliendo i peli, con modalità temporanee o definitive, eliminiamo solo la parte più visibile dello scudo biologico, raffinato e dinamico, che protegge i genitali esterni femminili. Lo strato sottile e invisibile che protegge la vulva contiene miliardi di cellule desquamate, disposte a strati come tanti mattoncini. 

Interposti, come nella millefoglie, troviamo minime quantità di acqua, che dà il senso di idratazione, e sebo, fondamentale perché contiene feromoni. Sono sostanze sessualmente attraenti, uniche per ciascuna di noi come le impronte digitali, perché sono codificate dal nostro “sistema maggiore di istocompatibilità”. 

Il sistema immunitario codifica infatti i componenti chimici di quella nuvola invisibile di feromoni da cui dipende gran parte della nostra “visibilità” e attrattività erotica, finalizzata nei millenni a garantire il maggior successo riproduttivo, ossia l’avere bimbi vitali. Interposti sono anche miliardi di microrganismi amici, che costituiscono il microbiota vulvare, vere truppe alleate preposte a svolgere funzioni preziose, tra cui la nostra difesa da germi invasori.

Quando depiliamo la vulva, o la laviamo troppo, la priviamo del suo scudo protettivo biologico. Le conseguenze? Gli studi scientifici ci dicono che questa pratica aumenta la secchezza vulvare, ora lamentata anche da molte giovani depilate, raddoppia le infezioni da virus sessualmente trasmessi, come il Papillomavirus e l’Herpes, e da germi a provenienza intestinale, come l’Escherichia coli, che causano vaginiti e cistiti, e raddoppia la probabilità di dolore vulvare, la vulvodinia.

Inoltre, togliendo i feromoni specifici, si privano i genitali del profumo e dell’attrattività “unica” di quella donna. Il sesso può essere più divertente per lui, se la vulva è glabra, ma il prezzo è alto: una vulva vale l’altra, o quasi. Questa distruzione in nome dell’igiene merita una riflessione non conformista, giusto?

Da liberoquotidiano.it il 17 aprile 2022.

Le Iene tornano sul tema “peli”. Sono sempre più le donne che scelgono di lasciarli crescere senza ricorrere a cerette o depilazioni maniacali. Libere da ogni pregiudizio. È su questo tema che il programma di Canale 5 aveva costruito un servizio andato in onda qualche settimana fa, intervistando delle “attiviste”. Una di loro era Giorgia Soleri, la fidanzata di Damiano, leader dei Maneskin. “Questa è esattamente una polaroid della realtà in cui viviamo. È doloroso pensare che siamo ancora a dire che se alzo le ascelle e ho i peli e chiedo di essere accettata la gente ride” aveva dichiarato l’influencer.

Nella puntata di mercoledì 13 aprile, Le Iene ritornano su questo “argomento caldo” intervistando un’altra ragazza: l’attivista Maria Sofia, bullizzata in tv per i suoi peli. La 16enne è stata messa a confronto con tre personalità dirompenti come Vittorio Sgarbi, Vittorio Feltri e Giuseppe Cruciani. All’interno del servizio Alessandro Onnis, inviato del programma rivolge anche qualche domanda a Fiamma Sanò, giornalista e autrice esperta in temi femminili. Alla domanda del perché la donne si depilano lei risponde: “Per moda, per cultura, per politica oltre che per piacere”.

Maria Sofia prima di procedere con il confronto mostra i suoi tanto criticati peli a Onnis. Lei ne va orgogliosa e non se ne vergogna, come invece tanti altri le dicono di fare. Alla domanda a Vittorio Sgarbi: “Cosa pensi della depilazione femminile?” Lui risponde: “Non dovrebbe esistere. È una forma di perversione. Disboscare la fi** è una delle violenze più disumane”. Il critico d’arte si trova quindi d’accordo con l’attivista. “In realtà a una parte di maschi depravati è piaciuta la depilazione” continua Sgarbi: “Qualche fi** però può essere anche compatibile con la depilazione”. Per Maria Sofia depilarsi per piacere ad uomo è inaccettabile: “E’ triste” afferma.

A Giuseppe Cruciani quando viene chiesto: “Peli nelle gambe, uguale maschio, uguale schifo?” Replica: “Oggettivamente una donna con i peli sulle gambe capisco che possa essere respingente”. Ma la 16enne risponde: “Noi vediamo una donna con i peli brutta perché non possiamo concepire una donna in quel modo”. Cruciani aggiunge ancora: “Il patriarcato non c’entra assolutamente nulla. Associare questo termine è una follia.”

Le “attiviste dei peli” sostengono che depilarsi sia sinonimo di sottomissione ma Vittorio Feltri risponde: “A me sembra una stronz***”. E aggiunge: “Le donne si depilano perché vogliono apparire migliori di quanto già lo siano.” A fine intervista Maria Sofia confessa che cosa succede quando si mostra sui social con i peli in vista: “Non riesco a capacitarmi di come le persone si possano permettere di dire che sono una tro** pelosa o una scimmia. Esprimere questa cattiveria gratuita non credo sia utile.”

Da liberquotidiano.it il 28 aprile 2022.

Ormai è un appuntamento fisso, quello de Le Iene che indagano sul pelo delle donne: depilarsi oppure no? Il programma di Italia 1 ha mostrato come dietro alla scelta ci sia un vero e proprio scontro culturale, non soltanto estetico. Le donne che dicono "no" alla depilazione, infatti, rivendicano il loro diritto di non farlo e rimarcano come gli uomini non siano costretti a simile pratica onde incappare in pregiudizi o battute di dubbio gusto.

E così, ecco che nella puntata di mercoledì 27 aprile, si torna sulla vicenda. Nel servizio ecco parlare Malena, Taylor Mega e Selen, oltre a due attiviste che si dicono contrarissime alla depilazione. Una di queste ultime parla addirittura di "scelta politica" nel non depilarsi: tesi, ammettiamolo, piuttosto peculiare. Ma tant'è.

Al contrario, Taylor Mega su tutte, si dice favorevole alla depilazione. Anzi, non solo favorevole: spiega come a suo giudizio sia del tutto inconcepibile una donna con il pelo. Dunque la biondissima influencer spiega con dovizia di particolari di non avere pelo su nessuna, ma proprio nessuna, parte del corpo. E aggiunge di depilarsi al massimo ogni due giorni (oltre ad aggiungere che anche gli uomini che frequenta devono essere completamente depilati).

E nel servizio di Alessandro Onnis c'è un momento bollente, ad altissimo tasso erotico. Infatti, la Iena chiede a Malena di fornire una prova del fatto che anche le sue parti intime siano depilate. E lei, senza pensarci due volte, ecco che abbassa pericolosamente i pantaloncini, fino a mostrare la prova: già, del pelo non vi è traccia.

Da liberoquotidiano.it il 28 aprile 2022.

Le Iene tornano sul tema “peli”. Sono sempre più le donne che scelgono di lasciarli crescere senza ricorrere a cerette o depilazioni maniacali. Libere da ogni pregiudizio. È su questo tema che il programma di Canale 5 aveva costruito un servizio andato in onda qualche settimana fa, intervistando delle “attiviste”. Una di loro era Giorgia Soleri, la fidanzata di Damiano, leader dei Maneskin. “Questa è esattamente una polaroid della realtà in cui viviamo. È doloroso pensare che siamo ancora a dire che se alzo le ascelle e ho i peli e chiedo di essere accettata la gente ride” aveva dichiarato l’influencer.

Nella puntata di mercoledì 13 aprile, Le Iene ritornano su questo “argomento caldo” intervistando un’altra ragazza: l’attivista Maria Sofia, bullizzata in tv per i suoi peli. La 16enne è stata messa a confronto con tre personalità dirompenti come Vittorio Sgarbi, Vittorio Feltri e Giuseppe Cruciani. All’interno del servizio Alessandro Onnis, inviato del programma rivolge anche qualche domanda a Fiamma Sanò, giornalista e autrice esperta in temi femminili. Alla domanda del perché la donne si depilano lei risponde: “Per moda, per cultura, per politica oltre che per piacere”.

Maria Sofia prima di procedere con il confronto mostra i suoi tanto criticati peli a Onnis. Lei ne va orgogliosa e non se ne vergogna, come invece tanti altri le dicono di fare. Alla domanda a Vittorio Sgarbi: “Cosa pensi della depilazione femminile?” Lui risponde: “Non dovrebbe esistere. È una forma di perversione. Disboscare la fi** è una delle violenze più disumane”. Il critico d’arte si trova quindi d’accordo con l’attivista. “In realtà a una parte di maschi depravati è piaciuta la depilazione” continua Sgarbi: “Qualche fi** però può essere anche compatibile con la depilazione”. Per Maria Sofia depilarsi per piacere ad uomo è inaccettabile: “E’ triste” afferma.

A Giuseppe Cruciani quando viene chiesto: “Peli nelle gambe, uguale maschio, uguale schifo?” Replica: “Oggettivamente una donna con i peli sulle gambe capisco che possa essere respingente”. Ma la 16enne risponde: “Noi vediamo una donna con i peli brutta perché non possiamo concepire una donna in quel modo”. Cruciani aggiunge ancora: “Il patriarcato non c’entra assolutamente nulla. Associare questo termine è una follia.”

Le “attiviste dei peli” sostengono che depilarsi sia sinonimo di sottomissione ma Vittorio Feltri risponde: “A me sembra una stronz***”. E aggiunge: “Le donne si depilano perché vogliono apparire migliori di quanto già lo siano.” A fine intervista Maria Sofia confessa che cosa succede quando si mostra sui social con i peli in vista: “Non riesco a capacitarmi di come le persone si possano permettere di dire che sono una tro** pelosa o una scimmia. Esprimere questa cattiveria gratuita non credo sia utile.”

Pelo o non pelo? La lunga storia della depilazione dall'età della pietra ai giorni nostri. Michele Mereu su La Repubblica il 19 luglio 2021. Una pratica obbligatoria nelle battaglie preistoriche, oggi è diventata uno dei trattamenti di bellezza più richiesti dalle donne nei centri estetici. Dall'Antico Egitto, in cui i peli del corpo identificavano lo stato sociale, sino alle celeb che li "indossano" con orgoglio sui red carpet, come simbolo di accettazione. Ripercorriamo insieme l'evoluzione della depilazione nel corso dei secoli. Per qualcuno è una dichiarazione politica, per altri una semplice scelta estetica. Fatto sta che la depilazione si praticava già migliaia di anni fa. Dalle pietre rasoio rudimentali ai laser dei giorni nostri, ecco aneddoti e curiosità sulla lotta ai peli. Prima che la depilazione fosse utilizzata per scopi estetici, radersi i capelli durante l'età della pietra era una tattica di sopravvivenza, radersi infatti era una misura di sicurezza durante la battaglia, poiché avere una testa e un viso senza peli proteggeva dagli avversari che avrebbero potuto afferrare i guerrieri per capelli o la barba.

Dagospia il 27 giugno 2021. Da dailymail.co.uk. Ragazze, basta con quest’ossessione del pelo pubico. Passate più tempo a farvi toccare dall’estetista che dal vostro ragazzo. E non è vero che la vagina liscia liscia, come quella di una bambina, sia più igienica. D’altronde se i peli là sotto esistono ci sarà un motivo? Primo tra tutti, quello di proteggere la fessura più esposta e delicata del corpo di una donna. Sempre più ragazze optano per rasarsi in parte o del tutto i peli pubici, riportando la vagina al suo aspetto più infantile. Lo fanno prima del sesso, prima di una festa, dell’estate o di una visita dal medico, per sentirsi più fresche e pulite. Ma gli esperti mettono in guardia: la depilazione intima elimina lo strato protettivo della peluria e aumenta il rischio di contrarre infezioni e malattie sessualmente trasmissibili. A capo dello studio il dottor Benjamin Breyer, professore associato presso il dipartimento di urologia di San Francisco: “Crediamo che la ceretta all’inguine sia associata alla trasmissione di malattie e virus”. Più di 3.316 donne tra i 18 e i 65 anni hanno partecipato allo studio e l’84 per cento di queste era rasata. “La cosa più evidente dai risultati è che le donne si fanno la ceretta intima sulla base di numerose pressioni esterne che sono probabilmente aumentate negli ultimi dieci anni.” Il dottor Tami Rowen, dal reparto di ostetricia, ginecologia e scienze della riproduzione di San Francisco, commenta: “La depilazione è diventata un aspetto fondamentale per le donne del 21esimo secolo”. Tra queste, però vi sono però differenze demografiche sorprendenti. Le donne che si depilano di più hanno meno di 50 anni sono per lo più bianche e hanno frequentato l’università”.

Barbara Costa per Dagospia il 27 Febbraio 2022.

"F*ga pelosa", "F*ga peli lunghissimi", "Peli sedere donna", "Peli nell’ano donna", "F*ga peli bianchi", "Pelo sul seno": sapete cosa sono? Sono categorie porno di recente in netto balzo, e per questo motivo: il pelo tira, il pelo arrapa, e una f*ga senza è in ribasso, è superata! 

Il porno lo vuole lungo, e le porno f*ghe senza pelo se la passano male, e le brulle corrono… alla ricrescita! Chi è sveglio di porno se n’è giusto accorto, della rinascita del cespuglio, e di come sempre più attrici non presentino se non di rado una "compagna di lavoro" totalmente depilata. 

Riley Reid, 30enne pornostar americana, tra le più amate su Pornhub e co., guida la riscossa del pelo: lei è stata tra le prime a non depilarsela più, o meglio, a depilarsi le labbra intime per regalare nitidi "interni" alle telecamere, e il resto no, il resto sta lì, intatto, come mamma l’ha (pelosa) fatta.

Riley segue ciò che ricercano oggi i registi, ma non solo: Riley ha anticipato un trend che varie influencer si intestano dandogli spazio, richiamo, dibattito, accettabilità social e sociale: un corpo – anche peloso, vieppiù peloso – che non va dietro ad alcuna norma, perché ognuna – e ognuno – è libero di mostrarsi e di essere come vuole, e coi peli sul corpo, su tutto il corpo, o su una parte, e pur intima. 

Se i pornostar maschi non ci pensano a rinfoltire il loro pene (è inscalfibile fuori e dentro il porno la convinzione che un pene rasato sembri più grosso) si trovano ora a dover affondare pene e bocca e naso in sessi e ani ridiventati pelosi.

Gran parte del pubblico del porno apprezza, e non potrebbe essere altrimenti: il porno non pompa consumo di scene che non riscuotono views, cioè quattrini. E le f*ghe col pelo intercettano l’interesse delle nuove generazioni – sobillate dai social – e delle vecchie, il cui evidente peloso primo amore batte indefesso: e infatti sessi e ani e ascelle pelosi nel porno sono mica una novità, anzi. 

Se non sbaglia chi imputa al porno (e alle sue decennali esibizioni di sessi senza il minimo pelo) l’influenza su donne e uomini comuni, del porno spettatori e dal porno spinti a fare spietata guerra al pelo per apparire più belli e adeguati (e non sani, perché è il pelo che protegge il sesso da tante infezioni, non il contrario), è pure vero che il porno stesso ha dagli anni '90 in poi subito il fascino di ciò che la moda presentava.

Era quello il tempo in cui le top-model imperavano, la TV imperava, e sono state top-model e telefilm-cult quali "Baywatch" a rendere corpi e sessi e specie delle donne senza peli. 

Il porno degli inizi aveva  ani e sessi e ascelle – e gambe e petti maschili – pieni di peli. Graditissimi (anche se non so fino a che punto da attori e attrici che su quei sessi pelosi praticavano orali affondi: mai uno o più peli molesti finitigli in gola, strozzandoli?).

È però dagli anni '80 che nel pornostar maschio radersi è divenuto strumento di etero contrapposizione a un mondo gay avanzante e che con le star gay porno (e non) rivendicava diritto di esistere, anche esteticamente a suon di baffi e corpi villosi. 

Il porno ha virato per corpi e sessi glabri man mano che le inquadrature e gli strumenti di ripresa fornivano figure ultra definite, e modo e stile di recitare e girare progredivano, convintamente indirizzandosi verso il porno gonzo (solo sesso, solo coiti, e amplificati) e verso insistiti primi piani di sessi spalancati. 

Una progressione che non ha riguardato solo il porno girato: uno sguardo a riviste storiche quali "Penthouse" e si vede come i corpi (veri!!! senza fotoritocchi!!!) delle donne lì sublimate hanno perso il pelo, riguadagnandolo in quest’ultimo periodo. Chi invece sul pelo ha infinitamente puntato è "Hustler" di Larry Flynt: nel suo impero di riviste porno, "All Bush" è stato e sta lì, con le sue modelle pelose, nude e sensuali.

Studios porno come "ATKingdom" mai hanno smesso di girar porno irsuto: dopo profitti di nicchia, stanno attraversando più gloria, soprattutto per i pelosi porno serial "Scary Hairy". Un ramo del porno che il pelo mai ha tagliato, è l’amatorial: sorprende che qui le pelose più cercate siano granny, cioè donne in età con peluria bianca…? 

Curiosità: qual è il metodo di depilazione più usato dalle porno attrici? Il rasoio usa e getta! Le pornostar si depilano ogni giorno se devono glabre girare e usano rasoi usa e getta anche maschili, con saponi e schiume, e abbondanti oli pre e post depilazione che prevengono le minime irritazioni. 

Sono pochissime quelle ricorse alle depilazione definitiva del sesso (le quali credo abbiano come soluzione il trapianto di peli pubici, operazione indolore, e i peli trapiantati li prendono dalla testa) e sono poche quelle che usano creme depilatorie (troppe allergie) o cerette di qualsiasi tipo.

La ceretta al sesso per una pornostar non è agevole: per ottenere una pelle che più liscia non si può, bisogna che il pelo ricresca e abbastanza, e come e cosa fa nel frattempo? Se ci aggiungi che frequenti cerette sono causa di peli incarniti e brufoli e rossori, che non puoi certo presentare sui set… vai con la lametta! 

E poi ti può capitare un set con un regista che richiede un sesso glabro, dopo pochi giorni un altro che invece lo vuole peloso: se hai fatto la ceretta, come fai, vai di parrucca pubica?!? (la quale poi esiste, si chiama merkin, e ha pure sfilato in passerella a New York).

Se il pelo nel porno torna in auge, non spinge però le pornostar e nessuna donna a rendersi sciatta là sotto: se una sforbiciatina ai peli più ribelli e inestetici è d’obbligo, lascio la parola a Riley Reid, che svela come fa lei, ad avere un cespuglio invitantissimo: “Uso burro di karitè, ma il mio segreto è gocce di olio di argan sui peli della mia f*ga. Il profumo che lascia è così delizioso che non esiste partner che non vorrà strofinarci faccia e lingua e bocca!”.

Diversi dal maschio.

Perché le donne dormono peggio degli uomini (e succede per tutta la vita). Storia di Cristina Marrone su Corriere della Sera il 22 settembre 2023.

La o a mantenere il sonno è comune, soprattutto con l’avanzare dell’età. E per le donne le complicazioni possono essere ancora maggiori. Questi problemi possono esordire durante la pubertà e mantenersi per tutta l’ età adulta. A entrare in gioco sono diversi fattori: biologici, psicologici, sociali. Che cosa c’è dietro alle difficoltà legate al sonno nelle donne? Durante i primi anni di ciclo mestruale i cambiamenti ormonali possono causare variazioni di umore (ansia e depressione), sintomi fisici (crampi, gonfiore e tensione al seno) che possono interrompere o disturbare il sonno.

Il ruolo degli ormoni

«L’aspetto ormonale è sicuramente tra i più importanti — sottolinea Carlotta Mutti, neurologa del Centro di Medicina del Sonno all’ospedale di Parma — perché gli ormoni sessuali, gli estrogeni e il progesterone per le donne e il testosterone per gli uomini, hanno recettori diffusi a livello cerebrale e sono in grado di influenzare direttamente l’architettura del sonno. Gli estrogeni, che raggiungono un picco nella prima fase del ciclo mestruale, promuovono un aumento del sonno Rem. «Viceversa il progesterone, ormone che domina la fase post-ovulazione nella donna, e che permane a concentrazioni molto elevate durante la gravidanza, potenzia il sonno profondo e riduce il sonno Rem. Sul riposo notturno delle donne incidono dunque le fluttuazioni ormonali, che invece sono praticamente assenti nell’uomo, dove la concentrazione di testosterone è molto più stabile».

Nonostante l’aspetto protettivo del progesterone sul sonno, durante la gravidanza possono scatenarsi disturbi nel riposo notturno a causa della nausea, la frequente necessità di urinare anche di notte (ne sono colpite il 90% delle donne nel terzo trimestre), il maggiore rischio di reflusso gastroesofageo, i movimenti fetali che possono generare microrisvegli. Una volta partorito, subentrano le tipiche interruzioni del sonno dovute alla cura del neonato.

I sintomi

Gli ormoni tornano in scena durante gli anni che precedono la menopausa. Fino all’80% delle in premenopausa, e possono durare anni. Per circa il 20% delle donne le vampate sono così frequenti e intense da interrompere il sonno. Le donne in post menopausa sono anche a maggiore rischio di apnee ostruttive del sonno e anche questo può portare a frequenti risvegli notturni e a una maggiore sonnolenza diurna. I sintomi possono essere, fra l’altro, diversi rispetto agli uomini, che in genere russano in modo intenso, si risvegliano con mal di testa e bocca secca e manifestano sonnolenza diurna. «Nella donna i segnali sono più subdoli e possono comparire insonnia, stati d’ansia, incubi» segnala Carlotta Mutti. È vero che le apnee notturne sono più frequenti nelle donne in menopausa, ma obesità e sono due fattori di rischio che possono fare insorgere il disturbo in periodi precedenti. Infine alcune malattie che interferiscono con il sonno sono più tipicamente femminili. «L’insonnia colpisce di più le donne che spesso soffrono anche della e di mioclono notturno, due condizioni legate anche a carenza di ferro, cui la donna è soggetta per il ciclo mestruale» conclude l’esperta.

La terapia cognitivo comportamentale

Secondo le linee guida internazionali, la terapia cognitivo comportamentale è il trattamento in prima battuta contro l’insonnia. Si tratta di un supporto psicologico che mira a correggere condotte errate e a riformulare schemi di pensiero negativi che minano il riposo notturno. «Il cronicizzarsi di comportamenti sbagliati porta al perpetuarsi dell’insonnia — dice Carlotta Mutti — ed è provato che il supporto psicologico mirato funziona per spezzare il circolo vizioso. Tuttavia la terapia comportamentale non è supportata dal Servizio sanitario nazionale. Non tutti possono permettersi un supporto psicologico che può richiedere mesi di terapia. Noi neurologi diamo consigli generali sull’igiene del sonno, ma se non bastano spesso dobbiamo ricorrere ai farmaci. Auspichiamo quindi che il trattamento possa rientrare nei Livelli essenziali di assistenza».

Corriere Della Sera

Il Rosa.

Carlo Freccero per Dagospia l'8 agosto 2023.

Per una persona come me che è vissuta consultando i risultati di Audience, l'exploit di Barbie al botteghino non poteva passare inosservato. L'esperienza mi insegna che, se un prodotto funziona, alla base del fenomeno c'è sempre qualcosa di positivo. In più mi sono sempre interessato al fenomeno Barbie come ad un termometro che misura ed espone lo spirito del tempo e l'industria culturale. Barbie è stata il prototipo dell'influencer e, col tempo, è passata come gli influencer di oggi, dalla semplice promozione dell'immagine, alla promozione di stili di vita e teorie emergenti.

La prima Barbie era una “bella ragazza”, ma molto diversa dalla Barbie prototipo di oggi. Era una bellezza degli anni 50. Col trascorrere del tempo è diventata una sorte di “Marianna” francese ed ogni decennio ha cambiato la propria immagine ispirandosi alla star dell'epoca. Successivamente c'è stata per Barbie l'esplosione dei consumi: casa di Barbie, automobile di Barbie, cavallo di Barbie. Contestualmente procedeva l'affermazione femminista di Barbie: Barbie dottoressa, Barbie scienziata, Barbie manager. 

Infine tutto questo non è bastato più e Barbie, è diventata una testimonial del politicamente corretto: Barbie nera, gialla, rossa, multietnica, ma anche Barbie obesa, Barbie in sedia a rotelle, Barbie transgender fino ad arrivare a “Barbie libera” come Ferragni a Sanremo. 

Ripercorrendo tutto questo percorso costruiamo una sorta di narrazione che, pur essendo Barbie una semplice bambola, la coinvolge in un processo di evoluzione o involuzione, che altro non è se non lo specchio della società occidentale. In definitiva Barbie è sempre stata uno strumento per imporre un Marketing, prima consumistico e poi sociale, anche conto terzi. Un testimonial testimonia e incita al consumo di qualcosa di altro da sé.

Qui invece il film deve adempiere ad un diverso scopo: rilanciare il prodotto Barbie costruendo un film che la renda popolare non solo nella vita reale, ma anche nell'audiovisivo, con un passaggio ed una traduzione dal reale al virtuale. 

Da tempo il cinema, per compensare il declino di presenze nelle sale, ha imparato ad attingere ad altre forme espressive, popolari tra giovani ed adolescenti: il fumetto prima, il videogioco poi.

Ma si tratta di strumenti mediatici facilmente traducibili sulla base di una componente comune ai diversi media: l'intreccio narrativo.

Barbie è un oggetto. Una bambola che esprime un'estetica camp. Nel cinema c'è una componente visiva ed una narrativa ed in genere è la seconda che funziona. Il Barbie film è un'esplosione dell'estetica della bambola feticcio, a cominciare della colata di Rosa che colora ed omologa ogni immagine del film. La componente visiva è curata nei particolari, ma non sarebbe sufficiente a spiegare il successo del film.

In realtà il film è un grande progetto di sceneggiatura e, come tale, funziona. Sono sorpreso della complessità dell'operazione narrativa che l'autrice Greta Gerwing ha saputo mettere in scena. Non so se bella o brutta e sino a che punto coinvolgente. Ma così complessa e studiata da destare comunque rispetto.

Nelle recensioni che, come faccio sempre, ho consultato a posteriori per non avere spoiler, questa complessità viene in genere sottolineata, ma spesso a vincere è l'opzione contenutistica. In Barbie si è voluto vedere un messaggio politicamente corretto di femminismo. Ma, secondo me, il messaggio del film non è così perentorio, ma in evoluzione, seguendo l'evoluzione della bambola come specchio della società dagli anni 50 ad oggi. Il femminismo è solo una tappa legata all'ideologia anni '70. Ma oggi quel modello è superato ed il femminismo si fonde col grande filone della cultura Woke. La realizzazione non è più, per la donna come per l'uomo, raggiungere un ruolo dirigenziale, ma diventare se stessi.

Ma torniamo alla struttura del film, che è quella che mi interessa. Come vecchio cinephile ho sempre pensato che il “messaggio” la “morale del film” rischino solo di appesantire la narrazione.

Barbie, come tutti i film che vogliono fare una predica, fa una predica che non condivido.

Forse in Barbie c'è tutto o c'è troppo: l'estetica Camp, il politicamente corretto, l'intreccio. Troppe cose da seguire. Però c'è una struttura narrativa fortissima e l'arco narrativo è rispettato e parla sia al pubblico adulto che vede in Barbie un metafilm, sia al pubblico infantile che ama la favola.

Come tutti gli eroi Barbie deve compiere il suo viaggio. Il viaggio dell'eroe è il viaggio del protagonista per diventare migliore, per realizzarsi e realizzare qualcosa.

E questo è tipico di Hollywood e dell'immaginario occidentale. Hollywood è lo scenario di questo immaginario. Ne consegue che le citazioni del film non sono né letterarie, né visive, ma cinematografiche a cominciare della scena iniziale che mostra la frattura nel modello tradizionale di madre simboleggiato dal feticcio bambolotto. Le citazioni sono innumerabili e, a parte le citazioni esplicite, come la serie “Orgoglio e pregiudizio”, si riferiscono per lo più alla fantascienza distopica come Blade Runner o Matrix.

Ma la prima citazione è la più significativa.. Delle bambine negli anni '50 giocano alla mamma accudendo i loro bambolotti. Ed ecco che, improvvisamente, sulle note della musica di 2001 Odissea nello spazio, una grande Barbie si manifesta di fronte a loro come il monolite di Kubrick. E come il monolite ispirava intelligenza ed aggressività nelle scimmie che brandendo un osso ne facevano un'arma, così le bambine fanno dei bambolotti la loro clava. 

Qui comincia la storia del film. Sarà la storia di un prodotto che si evolve per 50 anni adeguandosi allo spirito del tempo. Non a caso la Mattel stessa viene incorporata nella storia, con i suoi goffi ceo e impiegati al seguito. Come prodotto di marketing la bambola subisce continui aggiornamenti all'ideologia dominante e alle richieste del mercato. La storia del film scaturisce dall'attribuire sentimenti alla bambola oggetto di questo marketing. In pratica il marketing diventa l'arco narrativo personale di Barbie e la sua evoluzione di prodotto diventa vita vissuta allo scopo di realizzarsi.

Il riferimento letterario immediato é al burattino Pinocchio che diventa bambino. Anche Barbie alla fine della storia diventa donna ma riesce a farlo coniugando il viaggio dell'eroe con l'annullamento dell'eroismo. E' a modo suo un'idea inedita. Il protagonista non diventa più eroe, ma diventa comunque altro da sé, si realizza secondo l'imperativo di oggi. Per questo, secondo me, molti non hanno capito il finale del film. Barbie femminista è comunque un personaggio vincente. Al contrario, dopo la sua vittoria, Barbie sceglie di diventare una donna anonima.

Hollywood esordisce con una fase mitica in cui c'era ancora posto per l'eroe. Con l'affermazione del neoliberismo, l'uomo diventa insignificante a livello sociale e può costruire solo la sua identità sessuale che è la sfera più privata di tutte. Viene insegnato ai bambini a realizzarsi identificandosi con un genere che non è più naturale, ma frutto di una conquista personale. Oggi siamo già oltre la liquidità di genere. 

C'è chi sposa/ama un albero, chi un'aereo. Il passaggio ancora successivo è autoreferenziale. Non voglio più costruirmi un'identità sessuale, che richiederebbe ancora un interlocutore, ma un'identità alternativa alla mia. Non amo un cane, voglio diventare cane. Non amo un aereo, voglio diventare aereo. Chi condivide queste scelte chiede rispetto e non è oggi politicamente corretto contestarle.

Forse non tutti sanno che da tempo la bambola Barbie rappresenta uno degli obiettivi più gettonati per questo percorso. Uomini e donne che vogliono farsi Barbie non si contano. Molti si sottopongono a interventi estetici per assumere un aspetto di bambola e per godere di un quarto d'ora di visibilità. Le Barbie umane sono molte. Il solo Ken umano che io conosca, si è trasformato in Barbie umana e aspira oggi ad un trapianto dell'utero per diventare, come Barbie, donna.

In questo contesto Barbie bambola non poteva che intraprendere il percorso per diventare donna ritornando a quell'anonimato della donna da cui la nostra storia ha avuto inizio negli anni '50.

La Barbie che prende appuntamento col ginecologo, forse vuole diventare semplicemente madre.

Estratto dell’articolo di Luca Beatrice per “Libero quotidiano” domenica 6 agosto 2023.

Tra le avanguardie del secondo '900 la Pop Art resta la più longeva, quella che non ha ancora esaurito il suo percorso storico, anzi, e infatti il termine viene ancora usato per indicare opere, oggetti, immagini, film e quant'altro abiti nella zona di confine tra cultura di massa e prodotto con ambizioni estetiche, dalle caratteristiche subito individuabili per forma, colore, contenuto, riferimenti visivi. 

Nata in Inghilterra nel 1956, la cultura pop si diffonde simultaneamente in tutto l'occidente ma deve il successo planetario all'americanizzazione; la Pop è infatti la prima arte autenticamente a stelle e strisce, la prima a non avere debito alcuno con il vecchio continente ea imporsi come la forma del nuovo che esplode negli anni '60.

Tra i tanti oggetti che contraddistinguono questa rivoluzione socioculturale c'è anche lei, la Barbie, commercializzata da Mattel a partire dal marzo 1959, proprio mentre Andy Warhol (che ne farà un ritratto dei suoi nel 1985) si sta affermando insieme a Roy Lichtenstein e agli altri pittori pop. 

Da quel momento le vecchie bambole di pezza vanno in soffitta, rifiutate dalle bambine che vogliono un giocattolo nuovo, alla moda, che indossa abiti moderni e imita un nuovo modello di donna specchio del consumismo e del benessere. 

Il successo è planetario e giunge in Italia in tempo pressoché reale, nel 1964, stesso anno in cui gli artisti pop americani sbarcano alla Biennale di Venezia, che i critici più intransigenti interpretarono come l'esplicito segnale dell'avvenuta colonizzazione culturale.

Di quel mondo pop, zuccheroso, iperrealista, coloratissimo con un pantone di rosa come non si era mai visto, Barbie diventa tra le massime espressioni, ma negli anni, anzi nei decenni, non si ferma, si evolve, cambia radicalmente i modelli e assume le criticità dei tempi, prendendone le identità multiple che superano l'archetipo rimasto a lungo nell'immaginario -capelli biondi lunghi, abbigliamento cool, femminilità spiccata- e diventano altro, fino a correre il rischio dell'invisibilità. 

Barbie è uno, nessuno, centomila sa fare tante cose ma quale sia il suo vero mestiere non lo sappiamo, si afferma nel lavoro perché è brava a sentire lei, ama gli animali e non i bambini, ha una lunga storia con il fidanzato storico Ken da cui decide di separarsi e nel 2004 e infatti al tempo girava questa battuta, compra la Barbie separata perché ha l'auto di Ken, la casa di Ken, i gioielli che le regalò Ken... 

Come guest star ha partecipato a una mezza dozzina di film, però la prima biografia dedicata completamente a lei è proprio questa dell 'estate 2023, un film uscito in Italia il 20 luglio che sta andando benissimo come in tutti i paesi in cui viene proiettato. 

Diretto da Greta Gerwig, attrice e regista oggi molto influente a Hollywood che ne ha scritto il soggetto insieme al compagno Noah Baumbach, interpretato da Margot Robbie, il film di Barbie è stato letto come una parabola del neofemminismo nella chiave dell'indispensabile politicamente corretto. 

[…]

Tutto ciò che discende dalla cultura degli anni '60 finisce nel tritacarne dello stereotipo, messo in crisi da una lettura contemporanea che tiene conto della disidentità dei generi -il Ken di Ryan Gosling è in procinto di un coming out mai esplicitato eppure alquanto probabile- dei pensieri di morte che si traducono nel terrore dei piedi piatti e nei cenni di cellulite. Fuggire da un universo perfetto, eppure asessuato e senza figli, Barbie atterra nel mondo reale, pur sempre la California, dove al posto dei tacchi a spillo ci sono le Birkenstock che restano brutte anche se rosa.

[…]Le ragazzine cosplayer, che per assistere alla proiezione si vestono come Barbie, probabilmente si aspettavano un film diverso, meno teoricamente su domande quali la posizione della donna nella società contemporanea, l'evidente crisi del maschio, la fine del patriarcato, un'opera più leggera, non così densa e impegnata. 

Parla molto alle adolescenti ma questa Barbie continua a non avere età, cioè è genericamente giovane allo stesso modo in cui Pinocchio è sempre stato un burattino e quando diventa bambino la parabola finisce perché non è più interessante.

Barbie al cinema è, soprattutto, la prova che la cultura pop si trasforma continuamente, si evolve, sceglie nuove forme, nuovi modelli, e dietro all'apparenza ha sempre celato un'anima critica. Soffermarsi sul rosa rococò sarebbe un errore, Barbie è l'archetipo divenuto stereotipo ed è forse questa la ragione principale del successo del film. Metafisico, sospeso dallo spazio e dal tempo, cammina su autostrade colorate e atterra sulla West Coast, dove si fanno discorsi progressisti sotto la collina di Hollywood la cui regola fondamentale resta comunque il profitto. 

Il momento in cui il rosa è diventato un colore “da donne”. Ancora all’inizio del 900, era considerato una tinta per uomini e ragazzi. Tutto cambia nel 1953 con l’insediamento di Dwight Eisenhower. E con la Barbie. Riccardo Falcinelli su L'Espresso il 20 Luglio 2023.

Il colore rosa è sempre esistito. Del resto in molte lingue ha il nome di un fiore, ossia qualcosa che si trova in natura. Quello che però non è naturale è la possibilità di fabbricare altri materiali di colore rosa, come la stoffa o la plastica. Tutto ciò è possibile da quando la chimica e l’industria hanno trovato il modo di colorare qualsiasi sostanza di qualsiasi colore (circa un secolo fa). E le conseguenze sono state portentose.

Non c’è dubbio, infatti, che se un marziano guardasse oggi al pianeta Terra sarebbe colpito dalla diffusione di questa tinta: il rosa, da almeno settant’anni, è diventato amatissimo e, più di qualsiasi altro colore, è legato a connotazioni di genere, al punto che la storica del design Penny Sparke ne ha ricostruito con sagacia i risvolti sessisti e il conformismo sotteso. In modo simile l’artista coreana, JeongMee Yoon ha raccontato di essersi trovata spiazzata di fronte alla pretesa della figlia di cinque anni di possedere solo oggetti rosa, un desiderio che nessun bambino ha mai formulato prima della pervasività di personaggi come Barbie o Hello Kitty, e da qui è nato The Pink & Blue Project, una rassegna di foto in cui bambine e bambini si mostrano circondati solo dal loro colore di culto. E tuttavia la differenza tra rosa e celeste attribuita a maschi e femmine è recentissima ed è quanto di più convenzionale si possa immaginare, tanto che nell’Ottocento si faceva esattamente il contrario: il rosa spettava ai maschi perché sentito come una versione addolcita del rosso, tinta focosa e virile per antonomasia; mentre il celeste era il colore delle bambine in omaggio al manto della madonna. Abitudine tanto consolidata che nel 1914 il quotidiano statunitense «The Sunday Sentinel» consiglia alle giovani mamme di vestire i maschi di rosa e le femmine di blu se vogliono essere rispettose delle tradizioni. Ma allora dove ha avuto inizio la rosa-mania?

Dobbiamo tornare indietro al 20 gennaio 1953, il giorno dell’insediamento di Dwight Eisenhower come quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. La moglie, Mamie Eisenhower, si presenta vestita con un abito di seta rosa tempestato di duemila strass. Fu un evento. «Mio marito governa il Paese, io governo in cucina», diceva Mamie. Tuttavia fino ad allora non c’era nessun legame tra il colore rosa e quel tipo di femminilità conservatrice: è Mamie che lo impone, comportandosi da influencer ante litteram. La tendenza è lanciata: quello stesso anno Marilyn indossa un abito rosa shocking mentre canta “Diamonds Are a Girl’s Best Friend”; e nel 1957 il film “Cenerentola a Parigi” con Audrey Hepburn si apre con un numero musicale intitolato non a caso “Think Pink”: insomma, negli anni Cinquanta, “pensare rosa” significa essere moderni. Così, quando, due anni dopo, la Mattel lancia la Barbie – il giocattolo di maggior successo della storia dei giocattoli – sceglie come colore quello più di moda tra le ragazze: il “rosa Mamie” che dal quel momento in poi diventa la tinta girly per eccellenza, imitata da tutti i competitor nel mondo dei giochi per bambine.

Tuttavia nulla cambia rapidamente come le convenzioni. Oggi in tante e tanti rifiutano il rosa proprio per le sue connotazioni retoriche e stucchevoli; così come tanti e tante lo esibiscono, magari con ironia o come citazione post-post-moderna. Al punto che perfino Barbie è costretta a prendersi in giro, se vuole restare al passo coi tempi. 

Lettera di Carmel Llera Moravia per Dagospia il 23 Luglio 2023.

Da piccola giocavo con archi e frecce, soldati, persino con un trattore. Non ho mai avuto bambole. Potrei definirmi l'anti-Barbie, allora perché sono andata a vedere il film di Greta Gerwig? 

Forse perché stimo lei e Noah Baumbach, forse perché non mi era rimasto altro da vedere.  Non avevo letto recensioni quindi poteva sorprendermi o deludermi. Non avevo aspettative. 

La prima sorpresa è stata trovare una sala quasi piena alle 17, e non erano bambine. Ci voleva coraggio per attraversare la città infuocata da Caronte, in più l'aria condizionata non funzionava. 

Poi tutto quel rosa, quella perfezione noiosa di Barbieland, ero tentata di uscire... fine. Invece basta nominare la morte e tutto precipita: piedi piatti, cellulite, crisi esistenziale e cacciata dal paradiso verso il mondo reale.

Non è bello, lo sappiamo. E lo scoprono subito Barbie e Ken. Straordinario Ryan Gosling, più in versione La La Land che Drive. Povero uomo, proverà a far diventare un patriarcato Barbieland senza riuscirci, altro che cambiare la Costituzione! 

Brava anche Margot, più credibile che in Babylon. Un po' mi sono divertita, la seconda parte mi è sembrata scontata, banale, quasi sentimentale.

Tornano le donne al potere, tutte le Barbie, trionfa il femminismo, il buonismo, il consumismo?

Estratto dell'articolo di Tonia Mastrobuoni per "la Repubblica" mercoledì 26 luglio 2023.

La Barbie delle origini non aveva il sorriso pulito della ragazza della porta accanto. E non era neanche una bambola. Era una salace bionda dalla bocca a cuore e le sopracciglia arcuate — secondo qualcuno una prostituta d’alto bordo — che si chiamava Lilli ed era nata insieme al più controverso giornale tedesco, la Bild. Come tipo, più Marlene Dietrich che Grace Kelly. 

A Berlino, a ridosso della frontiera che divideva l’Ovest dall’Est, alla fine di giugno del 1952 stava nascendo il più popolare tabloid europeo. Quando mancavano poche ore al lancio della Bild, in redazione si accorsero che c’era un buco a pagina due. E chiesero al vignettista Reinhard Beuthien di riempirlo con una striscia. 

Beuthien si inventò una bionda irriverente e chic che annichiliva gli uomini con battute al vetriolo. E la striscia fu un tale successo che tre anni dopo nacque la bambola Lilli, rigorosamente per soli uomini, venduta nelle tabaccherie.

Per ricordarne lo spirito: in una vignetta si vede Lilli disegnare un asino sulla schiena di un marinaio: “Non dubitare della mia arte: la tua àncora sarà un successo”. In un’altra resiste alle avances di un uomo: “No, non è esattamente ciò che intendo per ‘godermi la natura’”.

In un’altra ancora risponde a un poliziotto che la ferma per strada in bikini: “E secondo lei quale parte dovrei togliermi?”. 

Anche la bambola Lilli diventa un successo travolgente, e viene prodotta in serie: Lilli tennista, Lilli al mare, Lilli in Vespa. Costa 12 marchi e conquista le famiglie tedesche: viene venduta 130mila volte. Ha lo stesso sguardo irriverente, i capelli biondi raccolti nella coda di cavallo e la bocca seducente del suo modello su carta.

Nel 1956, durante una vacanza in Europa con sua figlia Barbara, Ruth Handler, la geniale cofondatrice del colosso americano dei giocattoli Mattel, scopre una bambola Lilli in una vetrina di Lucerna. È un colpo di fulmine. “Eravamo totalmente ipnotizzate, non riuscivamo più a staccarci da quel negozio”, ricordò poi nelle sue memorie. 

Handler aveva pensato già anni prima a una bambola che somigliasse a un’indossatrice, ma l’altro cofondatore della Mattel, Harold Matson, aveva bocciato il progetto: troppo costosa. 

(...)

Miss Italia.

No alle trans a Miss Italia”. La fondatrice difende il concorso di bellezza. Massimo Balsamo il 20 Luglio 2023 su Il Giornale.

Dopo le polemiche legate all'incoronazione di una donna trans a Miss Olanda, la storica patron della manifestazione nostrana Patrizia Mirigliani ha precisato: "Non cambierò il regolamento"

No alle trans a Miss Italia: categorica Patrizia Mirigliani. Dopo aver bollato la vittoria di Rikkie Valerie Kollé a Miss Olanda come “un’iniziativa pubblicitaria”, la patron della storica manifestazione nostrana ha chiuso a qualsivoglia modifica del regolamento. Intervenuta a “Non Stop News” su RTL 102.5, ha confermato che nessuna concorrente transgender sarà ammessa all’84esima edizione del concorso di bellezza: “Nel mio regolamento, al momento, non ho ancora aperto alle transgender, poiché ritengo che debbano essere nate donne. Quindi, finché andrà avanti il mio regolamento sarà così. E per ora non ritengo di cambiarlo”.

La patron di Miss Italia ha sottolineato che si tratta di un dossier delicato: Miss Olanda ha ritenuto opportuno includere, ma lei non seguirà la scia. “Anche io ho lanciato nel concorso candidate con protesi ma non ho fatto di loro una bandiera assoluta”, l’analisi della Mirigliani: “Dico solo che le cose devono andare per gradi, l’Italia è un paese delicato e particolare. Inoltre, al momento, solo due transgender hanno richiesto di partecipare a Miss Italia. Pertanto, il mio regolamento attuale non lo consente. La tradizione di un concorso che esiste da 84 anni ha una sua importanza, ma non ho nulla in contrario riguardo a chi decide di ammettere transgender a concorsi di bellezza, a patto che non sia strumentale”.

Nessuna trans potrà dunque competere per la corona di Miss Italia, almeno per il momento. Soffermandosi sulla prossima edizione, la Mirigliani ha sottolineato che il profilo delle ragazze che partecipano al concorso non rappresenta unicamente il concetto di bellezza, ma anche le esperienze di vita ed i messaggi che le giovani di oggi vogliono comunicare. Miss Italia va oltre l’aspetto estetico, ha aggiunto: “Le partecipanti hanno storie incredibili, e queste storie contribuiscono a creare cultura, poiché l'identità del concorso è riflessa nelle esperienze e nelle vite delle donne. Non possiamo ridurre Miss Italia a un semplice concorso, poiché nel corso degli anni ha assunto un significato più profondo, diventando una rappresentazione dell'identità e della storia delle donne italiane”. Miss Italia brutte non ce ne sono, ha proseguito la patron: “Ma se guardiamo alla religione, anche la figura della Madonna è un’immagine di bellezza, come dice la famosa frase: 'La bellezza appartiene al bene, mentre la bruttezza al male'. Oggi la bellezza è un insieme di fattori non facilmente classificabili. Nel contesto di Miss Italia, la bellezza è così varia che non esiste uno stereotipo univoco, è un mix di aspetto estetico e personalità".

Il cortocircuito di sinistra su Miss Italia: svilisce le donne ma le trans fanno la fila per l'iscrizione. Per anni a sinistra hanno massacrato Miss Italia perché distorce il ruolo della donna ma allora perché oggi si stracciano le vesti perché non sono ammesse le transessuali? Francesca Galici il 25 Luglio 2023 su Il Giornale.

Miss Italia nella bufera. Strano, non succede mai. Ogni anno, ciclicamente, il concorso di bellezza entra nel mirino del politicamente corretto, che quest'anno compie un capolavoro straordinario smentendo se stesso. Dopo tanti anni il concorso torna in Rai, sua casa per lunghissimo tempo. Già questo contribuisce ad accendere ulteriormente i riflettori sul programma, che Patrizia Mirigliani cura con passione e amore anche in nome di suo padre Enzo, che nel 1959 ha assunto la guida del concorso facendolo crescere e sviluppare. Per tanti anni, i buonisti della domenica e gli integralisti del femminismo hanno chiesto che Miss Italia venisse chiuso perché offende le donne, ne mercifica il corpo, ne sminuisce il ruolo e tante altre belle cose.

Bene, perfetto. Ma ora perché le stesse persone si stracciano le vesti se il concorso non accetta l'iscrizione di donne transessuali? Amici di sinistra, abbiamo un problema. Delle due l'una: o Miss Italia è il male assoluto dell'emancipazione femminile, e allora va chiuso e a nessuna dev'essere permesso iscriversi, oppure non lo è e allora la partecipazione al concorso diventa motivo di emancipazione per le transessuali. Perché qui state creando molta confusione, state attenti. Lo diciamo per voi, che state perdendo l'ultimo barlume di credibilità che vi era rimasto dimostrando di avere poche idee ma ben confuse. Anche perché solo pochi anni fa una delle paladine della sinistra, Selvaggia Lucarelli, sollevò una polemica pruriginosa sulla presunta transessualità di una concorrente. Si rivelò infondata ma venne tirato fuori lo scoop discutibile.

Patrizia Mirigliani, che fino a prova contraria è l'unica ad avere potere decisionale sul concorso, tra l'altro privato, ha detto che solo le donne di nascita possono partecipare a Miss Italia. Una dichiarazione semplice, comprensibile e logica. Niente, gli attivisti con l'asterisco e la schwa ora sbraitano e si sbattono perché no, devono essere accettate anche le donne transessuali. Perché? Per dimostrare che sono migliori delle donne dalla nascita? Per gridare all'omofobia nel caso in cui dovessero essere scartate, come brutalmente fa da sempre il concorso per arrivare a eleggere una sola reginetta? Per avere agevolazioni facendo leva sul fatto che la giuria teme di essere accusata di transfobia e quindi inconsciamente agevolerebbe una concorrente transessuale? Qual è la logica di questo putiferio? Ma soprattutto, Miss Italia svilisce la figura delle donne ma è top per quella delle transessuali? Fateci capire.

E fanno riflettere anche i transessuali uomini nati donna che ora si stanno iscrivendo al concorso. Da anni la comunità Lgbt lavora all'identità alias per le persone che sono in transito ma ora quella stessa comunità si diverte a usare i nomi di battesimo di donne in transizione, rinnegando il nome da uomo scelto, per perculare Miss Italia? Quindi sono disposti a indossare i costumi da bagno e gli abiti da sera da donna per sfilare durante il concorso? Perché questo prevede la kermesse. O pretendono di cambiare anche queste regole?

Estratto dell'articolo di Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” il 24 luglio 2023.

La serata finale, quella dell’incoronazione, con la coroncina e la fascia sul petto, è prevista per l’8 settembre: ma Miss Italia è già nel centro della bufera. In quella Lgbt e in quella del politicamente corretto che tutto può, tutto ingloba e tutto trascina. 

[…] pochi giorni fa […] Patrizia Mirigliani, la patron della kermesse che quest’anno è alla sua 78esima edizione, lo dice chiaro: «Nel regolamento c’è scritto che devi essere donna dalla nascita per partecipare». 

Invece, in altri Paesi del mondo, come in Olanda, alcuni concorsi analoghi hanno già aperto le porte (pardon, la passerella) alle donne transessuali. Invece, in Italia, c’è chi vorrebbe fare lo stesso, come l’ex esponente di Rifondazione comunista Vladimir Luxuria che si dice «favorevole alle pari opportunità» e aggiunge: «Trovo fuori dal tempo che si escluda dalla partecipazione una transgender che ha ultimato la transizione e pertanto è donna a tutti gli effetti».

[…] 

Epperò Mirigliani tira dritto, non ci sta. Tanto per cominciare perché la corsa 2023 è già partita e cambiare le regole a bocce ferme è un conto, farlo quando la gara è iniziata un altro. E poi perché, a lei, quel politicamente corretto sbucato come i funghi di metà luglio proprio non va giù: «Non cambio in corsa con delle ragazze già in concorso», sbotta, «mi sono rotta di questo politicamente corretto per cui ti devi adeguare in due giorni. Si rispettino il mio pensiero libero e non politicizzato». 

[…] la querelle va avanti, rimbalza sui social, si fa sponda con la rete, chiama a raccolta attivisti e attiviste del mondo omo-lesbo-trans-eccetera. Come Federico. Federico Barbarassa è un ragazzo transessuale coi capelli ricci e il sorriso simpatico che questa polemica attorno a Miss Itala prende (un po’ per ridere, un po’ sul serio) a mo’ di provocazione.

E appunto come una provocazione decide di iscriversi. Si mette al computer, compila il form, invia la domanda. Gli risponde (è la prassi) un messaggio automatico che gli dice: «Ti confermiamo che la tua richiesta è stata registrata. Prossimamente verrai contattato dal referente regionale della tua Regione. Grazie, lo staff di Miss Italia». 

«Quando ho sentito parlare dell’assurdo regolamento mi è venuto spontaneo», spiega poi Federico, «sono stato assegnato al genere femminile alla nascita (come da regolamento, quindi: ndr), ma mi sono sempre sentito un ragazzo. Auspico che il gesto sussistiti il clamore mediatico che serve per rimettere al centro questi temi e che altre persone “donne alla nascita” si iscrivano in massa per prendersi beffa di questi posizioni fuori dal tempo e al di sopra della legge italiana».

Detto fatto, perché all’appello seguono, e nell’ordine, l’iscrizione di Elia (che sui social fa sue le parole di Federico e chiosa: «Voglio proprio vedere la faccia di chi dovrà esaminare le richieste quando si ritroverà davanti questi bei maschioni») e di Noah […]

Rikkie Kollé, miss Olanda 2023, è una femmina: basta capricci, battaglie ideologiche e alberi genealogici. La rubrica “L’umanista” di Alessandro Chelo, esperto di leadership e talento. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo. Alessandro Chelo su Il Riformista il 24 Luglio 2023 

C’era un tempo in cui non avere genitori biologici certi, corrispondeva a una condanna eterna, alla condanna di vivere con l’etichetta indelebile di “ figlio di madre ignota”. L’espressione madre ignota era abbreviato in “mignotta” e i figli di madre ignota erano considerati appunto figli di mignotta, espressione rimasta d’uso comune per indicare persone che vivono furbescamente di espedienti, visto che questo era il destino che il più delle volte toccava agli orfanelli non adottati. Costoro, anche raggiunta l’età adulta, non potevano liberarsi del marchio d’origine e quando provavano a rivendicare un’identità propria, veniva loro ricordato che non erano ragazzi normali, ma solo dei poveri “bastardi”.

Venne un tempo in cui tutto ciò cambiò e l’identità degli individui, di qualunque individuo, venne riconosciuta indipendentemente dalla sua oggettiva genesi genetica e le espressioni mignotta, figlio di mignotta e bastardo persero il loro significato originario per approdare alla stregua del puro e semplice insulto generico. Oggi guardiamo con sdegno a coloro che allora additarono e giudicarono e proviamo un senso di profonda partecipazione nei confronti della vicenda umana di quei ragazzi così duramente puniti da sorte infausta.

L’orientamento a etichettare sulla base della genesi genetica, è duro a morire e in fondo rappresenta la radice esistenziale del razzismo. Così, ancora oggi, molti guardano alla vicenda umana di quei giovani che affrontano il difficile e doloroso percorso di transizione di genere sessuale, con lo stesso giudicante distacco con cui un tempo si guardò ai figli di madre ignota, ai bastardi. Chi sceglie questo percorso, vive una sofferenza esistenziale profondissima, determinata dal disallineamento fra corpo e anima, dove per anima intendo il principio vitale, origine e centro del pensiero, del sentimento, della volontà, della stessa coscienza morale.

Tanto un’anima femminile in un corpo maschile quanto un’anima maschile in un corpo femminile, generano una sofferenza totalizzante che ha inizio con la pubertà e tocca la sua vetta, anzi il suo abisso, durante l’adolescenza. Una ricerca pubblicata nel 2022 sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, risultato di un mastodontico progetto internazionale durato quindici anni, rivela come il disallineamento fra corpo e anima sia in gran parte determinato da fattori genetici.

Chi intraprende questo percorso, in effetti non è protagonista di una transizione da un genere sessuale all’altro, ma semmai di un allineamento del proprio corpo con la propria anima. Certo, anche in questo caso, come nel caso dei figli di madre ignota, la “genesi genetica” resta quella originaria, così, come un tempo si ricordava al trovatello la sua genesi biologica, oggi c’è chi ama ricordare a questi individui finalmente allineati, che in fondo sono solo dei trans. La ventiduenne modella olandese Rikkie Kollé, Miss Olanda 2023, è una femmina, come i suoi documenti all’anagrafe testimoniano. Ricordarle la sua storia e appiccicarle l’etichetta di “trans” non aggiunge alcun valore.

Così come oggi sappiamo accettare gli individui indipendentemente dal loro albero genealogico e disprezzeremmo chi ricordasse a un trovatello la sua storia facendone etichetta indelebile, allo stesso modo, prima o poi, accetteremo pienamente le persone riallineate nella loro identità senza sentirci in obbligo di etichettarle e negare loro la piena legittimità identitaria. Si tratta di un processo già in atto, ma esso ha diversi nemici, in particolare tutti coloro che di questa faccenda fanno una bandiera ideologica.

Da un lato chi si rifiuta di considerare la realtà della sofferenza del disallineamento identitario, dall’altro chi ne fa una battaglia da baraccone. I primi sostengono che sei ciò che biologicamente sei e se ne fottono dell’anima, i secondi ritengono che il genere sessuale non esista e uno se lo possa scegliere di giorno in giorno. Entrambi riducono a capriccio la vicenda umana di chi sceglie la coraggiosa via del riallineamento di genere. Ancora una volta destra e sinistra si assomigliano, confermando la necessità di un’alternativa intellettuale umanistica.

Alessandro Chelo. Esperto di leadership e talento, ha pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni dei quali tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali italiani e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo.

Miss Italia dice no ai transgender, Luxuria non si trattiene: perché è assurdo. Christian Campigli su Il Tempo il 20 luglio 2023

Una manifestazione che, da sempre, tiene incollati alla televisione milioni di italiani. Che commentano, criticano e si dividono. Uno spettacolo che, nella follia di questa infuocata estate, si sta trasformando in una vicenda squisitamente politica. "Io sono favorevole alle pari opportunità. Così come credo debbano valere nello sport, altrettanto deve accadere per un concorso di bellezza. Trovo fuori dal tempo che si escluda dalla partecipazione a Miss Italia un transgender che ha ultimato la transizione e pertanto è donna a tutti gli effetti". Parole che faranno discutere, quelle rilasciate all'agenzia di stampa Adnkronos da Vladimir Luxuria.

L'ex deputata di Rifondazione Comunista commenta, con un evidente disappunto, il no della patron di Miss Italia alla partecipazione alla gara dei transgender. "Perché, se uno ha compiuto la transizione e pertanto è donna a tutti gli effetti, deve presentare il certificato di nascita? - prosegue la nativa di Foggia - Bisognerebbe semplicemente farle un provino, come accade con tutte le altre concorrenti". E su Patrizia Mirigliani, fondatrice del concorso di bellezza più famoso dello Stivale, rivela un aneddoto inedito: "Ti confesso che l'ho sentita dopo l'elezione di Miss Olanda (dove a vincere il titolo è stata l'attrice e modella transgender Rikkie Valerie Kollé), e in quell'occasione le ho rinnovato l'auspicio che le feci quando, anni fa, mi chiese di essere giurato a Miss Italia e le feci notare che accettava un giurato transgender ma non una concorrente".

Una polemica che, chiaramente, sta diventando politica e non più legata solo ad una scelta legata ad una manifestazione del mondo dello spettacolo. "Mi ha detto che ormai era tardi per inserire nuovi concorrenti, ed ha espresso la paura che potesse diventare come il caso di Denny Mendez, che quando vinse a suo tempo si disse che aveva vinto per il colore della pelle. Ma in realtà, Denny ha vinto perché e solare e bellissima", spiega l'ex deputata. Che conclude: "Io penso sia ormai veramente fuori dal tempo escludere delle donne in tutto e per tutto dal concorso. Poi certo, per chi non ha ultimato la transizione ci sono dei concorsi appositi, ma qui è differente. E' ormai scaduto il tempo per non includere le persone che hanno cambiato sesso a Miss Italia".

Miss Italia, 84 anni di storia di donne e di libertà ma le trans anche no! Manuel Betti il 20 Luglio 2023 su culturaidentita.it

Allora, hanno iniziato i Paesi Bassi e se è vero il detto Moglie e buoi dei paesi tuoi allora non dovremmo imitarli. E invece. Rikkie Valerie Kollé è la prima Miss Olanda transgender e lo è diventata perché per la giuria aveva una storia forte e una missione chiara. D’accordo sulla fortezza, ma la chiarezza? Non pervenuta. Ad ogni modo “è una strategia pubblicitaria“, come ha affermato Patrizia Mirigliani, patrona di Miss Italia che presenzierà con un video messaggio all’VIII Festival delle Città Identitarie al via domani a Trino, nella città dove Giuseppe De Santis girò un film importantissimo del neorealismo, Riso amaro, con Silvano Mangano , mentre sarà presente Lavinia Abate, Miss Italia nel 2022, ultima edizione del concorso che lanciò proprio la Mangano nel mondo del Cinema e dello Spettacolo.

Oggi Patrizia Mirigliani sta lavorando all’edizione numero 84 dello storico concorso (al momento sono in corso le selezioni che porteranno poi alle finaliste per Miss Italia 2023) e ha commentato l’incoronazione di Miss Olanda affermando che è solo marketing. Ci sono delle regole, anzi un regolamento: “Sin da quando è nato, il mio concorso prevede nel suo regolamento la precisazione secondo la quale bisogna essere donna sin dalla nascita“.

E’ giusto cambiare con i tempi che cambiano, del resto nel 1996 Denny Mendez, proveniente da Santo Domingo, vinse divenne Miss Italia e nel 1990 il presidente di giuria Maurizio Costanzo aveva fatto abolite le canoniche misure 90-60-90. Per non parlare poi dell’apertura di Miss Italia dal 1994 alle donne e mamme sposate, con Beatrice Scolletta che durante la finale 2022 ha sfilato in dolce attesa e sempre nella stessa edizione c’era una ragazza dichiaratamente omosessuale.

Quindi nessuna preclusione alle innovazioni, sottolinea la Mirigliani, ma nello stesso tempo non si deve cadere nell’eccesso: “Ultimamente i concorsi di bellezza cercano di fare notizia usando anche delle strategie che secondo me sono un po’ assurde. Al nostro concorso partecipano ragazze tatuate, con piercing, extension. Fa tutto parte del nuovo modo di raccontarsi delle donne, però tutto ciò che è eccesso per accentuare l’estetica cerchiamo di non agevolarlo. Gli eccessi non vanno bene“.

E se qualcuno vuole imbavagliare lo storico concorso, faccia pure, ma si ricordi che “Miss Italia è un concorso che ha 84 anni di storia ed è riuscito a raccontare non solo la storia del costume italiano ma anche la storia della bellezza e ha reso alcune donne italiane delle vere e proprie icone. Miss Italia ha reso grandi le donne, ma se qualcuno pensa che non ci sia più la libertà per le donne di partecipare al concorso allora va bene, ma la libertà delle donne è la cosa più importante, soprattutto in questo momento“

Criminali.

Le Regine del Crimine. Donne, apparentemente insospettabili, che si sono dimostrate abili in tutto. Stefano Piazza su Panorama il 28 Novembre 2023.

Le donne sono altrettanto capaci di commettere crimini gravi quanto gli uomini? Scorrendo la lista delle signore presenti sul sito web dei Most Wanted d'Europa è evidente che lo sono. Molti studi hanno esaminato il ruolo svolto dal genere nella criminalità. La maggior parte di essi ha considerato il sesso della vittima, ma meno spesso quello dell'autore del reato. Tuttavia, negli ultimi decenni, il numero di donne coinvolte in attività criminali è aumentato, anche se a un ritmo più lento rispetto agli uomini. Com’è possibile? Una delle possibili spiegazioni è che il progresso tecnologico e le norme sociali hanno liberato le donne dalla casa, aumentando la loro partecipazione al mercato della criminalità. Kelly Paxton, un'investigatrice privata con sede a Portland, Oregon, conosciuta come la Pink-Collar Crime Lady, afferma di non essere sorpresa dal fatto che i tassi di arresti femminili stiano aumentando: «Le donne improvvisamente si trovano ad affrontare le stesse pressioni finanziarie che gli uomini hanno avuto per decenni. Sono i capifamiglia nel 40% di tutte le famiglie. Se queste donne non riescono a pagare i conti, alcune ricorreranno a commettere crimini». Approfondendo il tema su riviste accademiche e report governativi sulla criminalità emergono alcuni fatti curiosi: mentre i tassi di criminalità nel mondo occidentale sono costantemente diminuiti negli ultimi tre decenni, il numero di giovani donne condannate per crimini violenti in alcuni paesi occidentali è aumentato in modo significativo; i registri delle Forze dell'ordine indicano che è vero il contrario per le loro controparti maschili. In altre parole, il divario di genere si sta riducendo. Ad esempio, alcune città del Regno Unito, il numero di arresti di donne è aumentato del 50% dal 2015 al 2016. Si tratta di molto di più che un piccolo incidente. Un rapporto del 2017 dell’Institute For Criminal Policy Research di Birkbeck, Università di Londra, ha fornito questo dato che fa riflettere: la popolazione carceraria femminile globale è aumentata di oltre la metà dall’inizio del secolo, mentre la popolazione carceraria maschile è aumentata di appena un quinto nello stesso periodo. Le donne e le ragazze rappresentano oggi solo il 7% di tutte le persone incarcerate, ma il loro numero sta crescendo a un ritmo molto più rapido che in qualsiasi momento della storia. Con il podcast «Le Regine del Crimine, le azioni criminali di donne, apparentemente insospettabili, che si sono dimostrate abili in tutto», raccontiamo le storie di jihadiste, trafficanti di esseri umani, narcotrafficanti e riciclatrici di denaro, truffatrici e autentiche boss della criminalità organizzata come compiono o ordinano uccisioni e che sono una vera spina nel fianco delle autorità di polizia in tutto il mondo.

La Prevaricazione.

I fatti separati dalle battute. BellicapelliToo e le priorità sballate delle femministe americanizzate. Guia Soncini Linkiesta il 10 Novembre 2023

Il New York Times ci dà lezioni di moralità perché non ci siamo indignati per il comportamento dell’ex compagno di Meloni. Detto dal paese dove non ci sono congedi di maternità né diritto di aborto, e fino agli anni 70 le donne non potevano aprire un conto corrente, fa molto ridere

È sempre spassoso quando una nazione che non ha tra le proprie leggi il congedo di maternità retribuito, e in cui quindi sta al buon cuore delle singole aziende non decurtare gli stipendi femminili qualora la donna non torni al lavoro prima d’aver finito d’espellere la placenta, ci fa la morale sui diritti delle donne.

È sempre interessante quando una repubblica in alcuni stati della quale ti puoi sposare a quattordici anni ci spiega come vadano tutelate le ragazze: non le spose bambine, quelle vanno benissimo; la tutela che è importante rivendicare è quella per noialtre adulte che andiamo protette dalle battutacce in ufficio.

È sempre buffo assistere allo spettacolo d’arte varia degli Stati Uniti d’America, un posto che – senza neanche la scusa d’avere il Vaticano nel centro della capitale – non è mai riuscito a fare una legge che tutelasse l’aborto, e il risultato è che nel 2023 puoi abortire solo se ti trovi nel codice postale giusto e se hai le risorse economiche (altrimenti tocca portare forzatamente a termine la gravidanza come Margaret Atwood mai avrebbe saputo immaginare), è sempre buffo assistere a gente la cui normalità è questa qui e che però ci spiega come vada fatto il femminismo.

Ogni volta che c’è qualche polemica tra le femministe inglesi – che si sono messe di traverso all’americanizzazione del mondo e al feticismo della transessualità – e le americane, che siccome sono così postmoderne da ritenere donna chiunque si immagini tale allora si sentono più femministe, ogni volta penso: americane, ma siete schizofreniche?

Quelle hanno e hanno avuto donne come primi ministri e come capi di stato, possono abortire a carico dello stato fino al sesto mese, hanno ventisei settimane di congedo di maternità. Voialtre, pur di non eleggere presidente una donna, avete eletto Donald Trump. Ma non sarà uno di quei casi in cui stare zitte e imparare?

E non si tratta di dire la scemissima frase «non accetto lezioni da»; si tratta di cogliere il ridicolo nell’ippopotamo che balla sulle punte, nel maniaco sessuale che fa la morale agli altri, e nel paese occidentale in cui le donne hanno meno diritti che si percepisce competente in femminismo. È impossibile non pensare: ma dite sul serio?

L’ho pensato di nuovo ieri, quando il New York Times ha pubblicato un incredibile articolo su che paese arretrato siamo, noi, che non abbiamo stigmatizzato il fatto che Bellicapelli Giambruno molestasse le colleghe, che paese disattento ai diritti delle donne. Parlava forse del Molise e del diritto di abortire? Parlava forse delle partite iva senza congedo di maternità? Macché: parlava del diritto di noi povere fragili creature a non ascoltare battute zozze.

A parte che non è neppure vero: esistendo l’americanizzazione del mondo, e imponendo codesta americanizzazione una scala sballata di priorità in cui le puttanate simboliche valgono più delle questioni concrete, c’è un pieno di italiane smaniose di fare le americane che hanno da subito detto quanto fossero gravi i toni di Giambruno con la tizia. Tizia che a tutte è parsa perfettamente in grado di rispondergli, ma sia mai che qualcuna rivendichi il sapersela cavare con le parole invece di frignare che l’hanno triggerata (che il dio delle parole mi perdoni), in questo scemissimo mondo americanizzato.

La prima volta in cui mi portarono negli Stati Uniti avevo sedici anni e, tra le poche cose che ricordo, c’è il primo quotidiano americano che sfogliai nella prima colazione da jet lag fatta prima che sorgesse il sole. C’era un articolo su una tizia che aveva fatto causa a uno che le aveva tenuto aperta la porta d’un palazzo in cui stava entrando, facendola così sentire vai a sapere se più debole o inferiore o corteggiata o un’altra qualunque di quelle percezioni che, in quel paese che s’imbottisce di psicofarmaci ma non sembra trarne beneficio, diventano sentenze.

Pensai che forse non capivo abbastanza bene l’inglese e stavo equivocando la notizia: ero troppo giovane per riconoscere un segnale, per individuare una deriva sociale. Non sapevo che il mondo andava in quella direzione e che non molti decenni dopo saremmo stati ovunque così: gente che chiede sia ufficiale che non sa badare a sé stessa.

In un ecosistema in cui la porta tenuta aperta è un trauma, la battutaccia è roba da ricovero immediato, figuriamoci.

Jason Horowitz, che firma l’articolo sul NYT di ieri, definisce l’Italia «la terra dimenticata dal MeToo», variante meno efficace d’un’ottima battuta di Maria Laura Rodotà, «il paese dove il MeToo viene a morire», e forse qualcuno dovrebbe dirgli la verità: e meno male.

Meno male che quel moralismo da due spicci che ha abolito le gerarchie e ci ha voluti convincere che una battutaccia sia grave quanto uno stupro qui non ha attecchito. Meno male che lo stato di diritto ha più o meno retto e non abbiamo avuto un Kevin Spacey del cui talento il pubblico sia stato privato giacché sacrificato all’isteria della folla che urla «Barabba».

Stranamente Horowitz, al cui ritratto della mancata emancipazione delle femmine italiane non manca un cliché, dalle Veline in giù, non cita un dato che va molto di moda in questo periodo: l’alto numero di donne italiane che non hanno un conto corrente personale (conto corrente che peraltro le americane, docenti mondiali di femminismo, non potevano fino agli anni Settanta aprirsi senza la firma del padre o del marito).

Chi lo riporta lo fa di solito con un tono che implica il nostro vivere nel paese di Pietro Germi (o di Paola Cortellesi): povere donne, vessate da mariti padronali. Nessuno mai immagina possa essere uno dei molti segni della regressione americanizzata di donne che ormai, rincoglionite dall’immaginario di quel paese in cui la proposta di matrimonio è il momento più importante della vita, sono travolte dal desiderio mimetico. E quindi cosa volete se ne facciano, le italiane di questo secolo, dell’emancipazione, se possono avere il brillocco da instagrammare, i pizzi da far invidiare alle cognate, e tutto l’americanizzato immaginario nuziale che sostituisce la carriera.

Ma quello va benissimo, perché dicono le docenti mondiali di femminismo che considerare il matrimonio un traguardo non è grave, non avere il congedo di maternità retribuito non è grave, che l’aborto sia un lusso non è grave.

Se fossero cose gravi le avrebbero risolte, invece si sono concentrate sul fatto che se uno ti guarda le tette vada licenziato o forse arrestato, e che le battute valgano come i fatti, ed è così che hanno ottenuto la più emancipata popolazione femminile del mondo. Proprio non capisco perché non prendiamo esempio.

Dolcemente emancipate. Il successo della Cortellesi e le donne che ambiscono solo all’abito da sposa. Guia Soncini su Linkiesta il 7 Novembre 2023

Il messaggio di “C’è ancora domani” è che il diritto di voto è un modo per liberarsi di tutto, anche dei mariti violenti. Solo che parla a una popolazione femminile che oggi ha meno piglio di quella di ottant’anni fa

Ma gli intellettuali, i critici, i fenomenologi di costume, coloro che ora cercano di spiegarsi il successo del film di Paola Cortellesi come fossero studenti ciucci davanti alla congettura di Poincaré, costoro annoverano non dico un paio di cugine in provincia, ma anche solo un telefono collegato all’internet?

E, se ce l’hanno, pensano forse di capire lo spirito del tempo, la società alla quale dovrebbero parlare, la popolazione che inspiegabilmente ha smesso di comprare i loro giornali, pensano di completare la loro formazione al presente guardando le storie Instagram della Ferragni?

Dovrebbe esserci, obbligatoria per l’esercizio delle professioni intellettuali, l’iscrizione ad almeno un paio di gruppi di mamme su Facebook. Non per capire la maternità: per capire quella grandissima parte di donne per cui l’identificazione precipua è nella maternità.

Per sapere che esistono le donne che noialtri, sui nostri divani costosi e godendoci una vita indipendente che le donne vere guardano con compatimento, non incontriamo mai. Quelle che vanno dall’usuraio per pagare il matrimonio della figlia. Quelle che il matrimonio loro è la cosa più importante della loro vita, la cosa che prendono un anno d’aspettativa per organizzare, la giornata per rievocare la quale pagano un fotografo che costa come tre rate di mutuo.

Quelle che si affacciano nel gruppo e pongono il loro grave problema, e il problema è che a loro piace un vestito con cui non sta bene il velo, e il marito a questa notizia ci è rimasto molto male perché a lui piaceva molto l’idea del gesto con cui, all’altare, alzava il velo dal viso (a costoro sembra più elegante dire «viso» di «faccia») alla sposa. Donne che hanno il diritto di voto da settantasette anni e li hanno usati per recedere dall’emancipazione abbastanza da sposare uomini che ci tengono al simbolismo della donna velata.

Donne così, vuoi che non si specchino nel film in cui Paola Cortellesi è sposata con un violento, Valerio Mastandrea, e allora gli nasconde una parte dei soldi che guadagna facendo mille lavoretti, e tu pensi li stia accumulando in quel cassetto per andarsene da quel matrimonio di merda, da quel seminterrato sui davanzali del quale pisciano i cani, da quei figli del 1946 maleducati come bambini del 2023, mannò: lei con quei soldi vuole comprare l’abito da sposa alla figlia maggiore, «Dev’essere la più bella di tutte».

Perché Paola Cortellesi ha sposato Valerio Mastandrea? Aveva una storia col mite Vinicio Marchioni, lui le dice qualcosa tipo «mi sono distratto un attimo e te n’eri andata con lui», e tu tutto il film aspetti che ti spieghino come mai, ma niente.

Come fa Paola Cortellesi a dire a un soldato americano, un soldato che ha cercato varie volte di parlarle ma lei non parla una parola d’inglese e lui non una d’italiano, tant’è che crede lei si chiami «Devoanna’», perché lei neanche quando lui le ha chiesto come si chiamasse ha capito la domanda, come fa Paola Cortellesi a spiegargli in dettaglio e in maniera convincente che deve far saltare in aria un certo posto per risolverle un certo problema? Non si sa, non te lo spiega nessuno.

D’altra parte non è un film, questo è ovvio: i sette milioni che ha incassato nei primi dieci giorni non ci dicono che la gente rivuole il cinema in sala (figuriamoci). Ci dicono – come già ce l’aveva detto il successo di Fiorello all’alba – che la gente rivuole il varietà del sabato sera, lo rivuole abbastanza da andarlo a vedere al cinema, lo rivuole abbastanza da guardarlo alle sette di mattina.

Le parti migliori – le botte coreografate, i denti sporchi di cioccolata, il rossetto tolto prima di chiudere la scheda elettorale – le parti migliori sembrano uscite non da “L’onorevole Angelina” e altri film più o meno a caso che vengono citati solo perché in bianco e nero e contenenti donne risolute: sembrano sketch di quel recente passato in cui Bibi Ballandi faceva i varietà del sabato sera, e la tv era una cosa seria, costosa, piena di idee, e da non guardare solo perché eri una disperata che nessuno invitava a uscire. Una figata da stare a casa apposta per guardarla.

Peraltro, segnalo sommessamente ai citatori di film a caso del secolo scorso, il bianchennero della Cortellesi non è un bianchennero da Luigi Zampa: è un bianchennero da Dolce e Gabbana. In tutte le scene in cui cammina, fa la spesa, supera le jeep dei militari, attraversa il cortile, la Cortellesi è la modella d’uno spot su com’eravamo belli quando la vita era più semplice, e le donne avevano gonne a metà polpaccio e sandali piatti che se non sei strafiga come la Cortellesi ti fanno sembrare due zamponi in attesa di lenticchie.

La sua borsa della spesa è identica alle borse di rafia che ha fatto quest’anno Miuccia Prada. Non è certo una critica – l’estetica del dopoguerra è stata saccheggiata così tanto che è impossibile non fare citazioni ambigue – né credo che siano forme casuali. Proprio come le musiche moderne sulle immagini fintamente antiche – i danni che ha fatto Baz Luhrmann ci vuole la protezione civile per conteggiarli – anche il sembrare uno spot patinato mentre racconti una storia povera e triste è una scelta estetica ben precisa.

In “C’è ancora domani” – il cui punto più debole non si può raccontare senza svelare cosa sia davvero quel McGuffin che appare a un certo punto e sembra chissacché e poi quando capisci cos’è ti senti, a seconda che tu sia ceto intellettuale o ceto Carlotta, presa per il culo o commossa – c’è una sola donna forte.

È l’amica fruttivendola della Cortellesi, Emanuela Fanelli, che viene redenta da questo suo difetto con uno sguardo struggente che, mentre mangia un gelato col marito, rivolge a una donna incinta che le passa davanti. Sì, sarà pure una che capisce il mondo, che comanda a bacchetta il marito, che ha la risposta pronta e le idee chiare, ma non è stata, direbbero nei gruppi di mamme, benedetta dall’arrivo di un angioletto o di una principessa (delle scelte lessicali differenti rispetto alla prole maschile o femminile parliamo un’altra volta, quando finiamo di meravigliarci del successo della Cortellesi).

Come avete già letto in un milione di articoli – e io pure, avendo avuto il vantaggio di vedere il film in ritardo – “C’è ancora domani” è ambientato nei giorni del 1946 in cui le donne italiane possono per la prima volta votare. E finisce col messaggio (diceva Nanni Moretti molti anni fa: col tema importante si vince sempre, ricattando il pubblico). Finisce con le immagini dell’Istituto Luce delle vere elettrici in fila ai seggi, e la scritta che ci dice che la maggioranza di coloro che votarono erano donne.

Il messaggio è l’emancipazione? Il messaggio è che «partecipazione, certo, è libertà, ma è pure resistenza»? È la canzone di Daniele Silvestri che la Cortellesi usa alla fine, quindi possiamo essere ragionevolmente certe che il messaggio sia quello.

Però la società che settantasette anni dopo va a vedere il film della Cortellesi ritiene, qualora cittadina nata femmina e con diritto di voto e di carriera e altri mille diritti di cui non intende fare uso, che la cosa più importante sia non essere la zitella al pranzo di Natale, e che l’abito da sposa sia l’invidia di tutte le amiche e parenti.

E quindi, una volta che sono uscite dal cinema sentendosi migliori perché hanno letto che nel ’46 votarono in tante, e la dedica «a Lauretta», che immagino essere la figlia della Cortellesi, chiarisce del tutto che il messaggio è che dovete partecipare alla democrazia, ragazze, e solo così vi libererete anche dei mariti violenti, ecco, una volta fatta ’sta lacrimuccia, poi siamo sicurissime che non tornino a casa a dire al marito ma certo che prendo il vestito col velo, ti pare che ti deludo – siamo sicure?

Chissà se basteranno centodiciotto minuti di Paola Cortellesi a riformare una popolazione femminile del 2023 assai meno emancipata di quanto lo fosse quella di prima del 1946. Io temo che, una volta passate quelle due ore, torneremo a casa e penseremo che domani ci licenziamo, se lo facciamo prima che l’angioletto o la principessa compiano un anno prendiamo la Naspi.

La frase più detta nei gruppi Facebook di mamme è «Siamo donne, siamo mamme, possiamo tutto». Tutto, tranne avere il piglio delle donne di ottant’anni fa, quelle che non essendosi trovate la pappa pronta ogni tanto ambivano a un po’ più dell’abito da sposa invidiabile. Ogni tanto.

DONNE CHE SFIDANO L’ODIO. La disobbedienza è donna: da Eva a Rosa Parks, il lungo cammino della liberazione femminile. La battaglia per liberare se stesse ha portato le donne a porre il problema universale del potere, simbolico e costituito, la messa in discussione delle leggi e della tirannia dentro e oltre il femminismo. Daniele Zaccaria Il Dubbio il 6 novembre 2023

La prima disobbediente della Storia è semplicemente la prima donna di cui si ha notizia: Eva, o più precisamente H’aWaH, il nome palindromo che nella Genesi viene assegnato alla madre dell’umanità. Eva la “traditrice” che si lascia sedurre dal demonio, assapora il frutto del peccato nel giardino dell’Eden, dividendo la mela con il compagno e condannando così il genere umano al dolore e alla sofferenza. Eva la suddita, creazione secondaria e posteriore all’uomo, il “secondo sesso” nato dalla costola di Adamo addormentato e per questo di natura inferiore e costretta a vivere all’ombra del maschio, nell’ordine biologico come in quello sociale. Ma anche la donna responsabile di tutti i nostri mali, travolta dalla curiosità che le fa smarrire saggezza e ragione, che cede alla tentazione satanica e diventa sua volta infida tentatrice. La porta del Diavolo parafrasando Paolo di Tarso.

È l’interpretazione letterale e doppiamente misogina che ne danno le religioni del Libro, sia dal punto di vista della creazione e che da quello della “caduta” la quale per millenni ha giustificato e sostanziato un sistema che, a ogni latitudine, ha consegnato all’uomo il monopolio del potere e della forza. Dall’antichità fino ai nostri giorni.

Ma in ogni mito coesiste una stratificazione di significati non univoci e persino il racconto biblico del nostro paradiso perduto può essere interpretato al rovescio, attraverso estrapolazioni meno dogmatiche e facendo parlare un po’ l’inconscio delle Scritture.

Dopo aver colto il frutto proibito Eva fa infuriare il Signore, destinando il suo compagno a «lavorare con sudore» e lei stessa a «partorire con dolore», ma quella condanna è in fondo ciò che ci ha resi completamente umani, che ci ha scaraventati lontani dall’Eden per realizzare la nostra irriducibile natura. Già negli anni sessanta la francofona Scuola biblica e archeologica di Gerusalemme vede nella disobbedienza di Eva un tentativo di appropriarsi della ragione, la mela viene colta dall’albero della conoscenza «del bene e del male», laddove bene e male sono una metonimia per indicare la totalità dello scibile e la mela un oggetto «desiderabile per acquisire l’intelletto». Non si tratta di curiosità malsana e morbosa ma del desiderio di conoscere e comprendere, che forma e completa l’essere umano e che è anch’essa una finalità della creazione.

Quel gesto di ribellione, quella «voglia di conoscenza » tutta femminile, è il prologo incompiuto di una liberazione che ha iniziato a prendere corpo soltanto nell’età moderna ma che nel corso della Storia si è incarnata nel coraggio e nell’intelligenza di donne “disobbedienti” che hanno sfidato i poteri maschili spesso mettendoli in crisi o comunque svelandone l’arbitrio e la prevaricazione. Non un album di figurine virtuose, un catalogo inerte di santini, ma una schiera indomita di ribelli che hanno tracciato la linea prima immaginaria, poi reale dell’emancipazione. Pagando spesso con un tributo pesantissimo l’aspirazione a voler vivere e realizzare i propri talenti come gli uomini.

Prendiamo il barbaro omicidio della filosofa e matematica Ipazia (le vennero cavati gli occhi, il corpo tagliato a metà e le ceneri sparse in tutta la città), assassinata dai cristiani di Alessandria perché invidiosi e spaventati dalla sua eloquenza, dalla sua passione per l’insegnamento e dal suo libero pensiero. L’uccisione di Ipazia ci porta nel cuore del fanatismo religioso che si costituisce come sistema di dominio tetragono e interamente maschile, la ferocia con cui venne fatta a pezzi traduce la paura che ogni regime ha della libertà scoprendo le fragili fondamenta filosofiche della discriminazione.

La battaglia per liberare se stesse dall’oppressione ha portato le donne a porre il problema universale del potere, simbolico e costituito, la messa in discussione delle leggi e della tirannia, dentro e oltre il femminismo. È il caso di Antigone, la protagonista della tragedia di Sofocle che disubbidisce al re di Tebe Creonte che aveva negato la sepoltura al fratello Polinice e affronta il suo drammatico destino accusando il tiranno di violare le leggi non scritte della polis ideate dagli dei, di non essere amato ma solamente temuto dai sudditi: «Tutti costoro direbbero di approvare il mio atto, se la paura non chiudesse loro la lingua. Ma la tirannide, fra molti altri vantaggi, ha anche questo, che le è lecito fare e dire quel che vuole».

Come Eva nell’ordine sociale giudeo-cristiano, anche Antigone è un archetipo della disobbedienza femminile nel mondo pagano, una figura che dialoga direttamente con la contemporaneità, tratteggiando la moderna idea di democrazia e di diritto, senza dubbio Antigone è un archetipo femminista tanto che Sofocle descrive così lo smarrimento di Creonte di fronte a una donna così tenace e coraggiosa, facendogli negare la sua stessa natura: «Costei è un uomo se quest’audacia le rimarrà impunita», ma allo stesso tempo la sua critica dell’autorità e del dispotismo tocca il fondamento universale dell’oppressione lo schema gerarchico dal quale nasce anche il patriarcato.

Ci sono voluti più di due millenni perché le nostre società mettessero in discussione la dominazione maschile e anche nei periodi più luminosi, dal Rinascimento all’Illuminismo, la conquista dei diritti ha sempre visto l’esclusione delle donne (pensiamo al diritto di voto negato ovunque fino al XX Secolo), cadevano i re e l’aristocrazia, cadevano i privilegi dell’ancien regime spazzati via dalle rivoluzioni, ma il timone rimaneva saldamente nelle mani degli uomini. Anzi, quando qualcuna ha provato a strapparlo quel timone, la rappresaglia è stata feroce. Come nel caso della drammaturga e intellettuale francese Olympe de Gouges che in pieno fervore rivoluzionario (1791) scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina in cui affermava la totale uguaglianza politica e sociale tra l’uomo e la donna e addirittura il diritto al divorzio.

L’égalité non era forse uno dei pilastri della Rivoluzione giacobina assieme alla libertà e alla fratellanza? Non la pensava così Robespierre che non solo rigettò con sprezzo la dichiarazione, ma fece chiudere tutti i club e le associazioni femminili. Poiché de Gouges aveva più volte criticato gli eccessi del Terrore, la furia cannibale con cui i giacobini si stavano trucidando tra di loro, quella Rivoluzione che finisce per «mangiare i suoi figli» come disse un’altra donna celebre di quel periodo, Charlotte Corday.

La reazione di Robespierre e soprattutto di Marat (il compilatore compulsivo delle liste di proscrizione dei controrivoluzionari) fu di spedire Olympe de Gouges direttamente alla ghigliottina «per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso ed essersi immischiata nelle cose della Repubblica».

È stato un cammino penoso quello che ha portato all’emancipazione, le donne hanno infatti dovuto lottare contro i loro nemici storici ma anche diffidarsi degli amici, compagni di viaggio nello sfidare l’oppressione politica ed economica e nel costruire la democrazia o nell’inseguire utopie socialiste ma ben poco disposti a condividere il potere, anche negli ambienti più illuminati e libertari. La lotta delle suffragette inglesi guidate alla fine del Settecento da Mary Wollstonecraft per ottenere il diritto di voto è stata luminosa ma spesso solitaria se si esclude qualche uomo di modernissime vedute come l’economista e filosofo John Stuart Mill, grande sostenitore del suffragio universale. Bisogna infatti aspettare il 1918 perché il governo di Londra autorizzi il voto femminile alle elezioni nazionali. Insomma viva le donne, ma che rimangano “al posto loro”.

Una che al suo posto non ci è saputa e non ci è voluta proprio stare è Rosa Parks, il simbolo della lotta contro la segregazione e il razzismo della comunità afroamericana negli Stati Uniti, non una femminista in senso stretto. Montgomery, Alabama, primo dicembre 1955, Parks stremata da una giornata di duro lavoro si rifiuta di cedere il suo posto sull’autobus a un bianco che le ordina di alzarsi. Lo fa ben due volte, con educazione e fermezza.

L’autista ferma l’autobus, si avvicina alla donna e le ripete di lasciare il posto e al terzo rifiuto chiama la polizia che l’arresta immediatamente. Un gesto che poteva passare inosservato nella società razzista del sud degli Usa ma che invece acceso la scintilla del movimento per i diritti civili dei neri americani.

La sera stessa migliaia di persone guidate dal giovane reverendo Martin Luther King scendono in piazza per protestare: nella sua comunità Rosa non era una tipa qualunque ma una protagonista della sua comunità, una networker, istruite e politicamente impegnata, Parks aveva un talento fuori dal comune nel costruire reti e relazioni e godeva di grandissima stima, anche tra i pochissimi bianchi non razzisti che aveva conosciuto, tra i quali Clifford Durr, l’avvocato “liberal” che pagò la cauzione e la riportò a casa il giorno dopo l’arresto.

Nella città di Montgomery viene organizzato un boicottaggio dei mezzi pubblici che durerà oltre un anno, fino a quando le leggi sulla segregazione saranno abolite dal Congresso: i posti riservati sugli autobus non ci saranno più mentre le scuole e le università aprono le porte ai giovani afroamericani. Ci vorranno ancora decenni per raggiungere la piena uguaglianza di diritti (ma non quella economica) e ancora oggi nel cuore di tenebra dell’America risuonano le eco della segregazione (basta pensare ala violenza della polizia, una piaga tutt’altro che debellata), ma il solco era stato tracciato.

Il piccolo grande gesto di Rosa Parks è una rivincita della Storia che affida alla voce di una donna il compito di riscattare i diritti di tutti e di disegnare un modello potente e non violento di disobbedienza civile. Come Antigone, anche Parks si è ribellata all’ingiustizia delle leggi, ma invece di trovare la morte, ha conquistato la libertà, per se stessa e per tutti noi.

Giornata della donna, nel lavoro e nel diritto al voto affondano le radici dell’emancipazione. Rappresentanza politica, occupazione, uguaglianza. Sono i capisaldi su cui si sono basate e si basano le rivendicazioni femminili. Dal movimento operaio del primo ’900 alla Resistenza e alla Costituzione repubblicana. Fino a oggi, con gli scioperi dell’8 marzo. Luca Casarotti su L'Espresso il 7 marzo2023

Nel 1977 Bianca Guidetti Serra pubblica “Compagne”, un libro che avrebbe fatto epoca, come l’anno in cui è uscito. Avvocata, partigiana (a lei Primo Levi ha indirizzato l’unico biglietto spedito dalla prigionia), militante della sinistra comunista, Guidetti Serra mette in pagina, con una cura speciale per la varietà del parlato, le interviste che da qualche tempo va raccogliendo tra le donne torinesi che hanno fatto la Resistenza. Donne diverse, ma tutte accomunate dall’aver variamente vissuto il partigianato e dalla consapevolezza che a determinarne la scelta antifascista siano state due fondamentali rivendicazioni: il lavoro e il diritto di voto.

Dignità della vita attraverso il lavoro, dunque, e rappresentanza politica: era questa l’impostazione della questione femminile in seno al movimento operaio primo-novecentesco, come la si legge negli atti dei congressi della seconda Internazionale e nella cui storia è la genesi stessa dell’8 marzo. L’8 marzo 1917, appunto, a Mosca un’imponente manifestazione per i diritti delle donne aveva anticipato la Rivoluzione d’ottobre.

La Costituzione italiana nomina la condizione della donna in tre punti. Rispetto al principio d’eguaglianza, che non ammette distinzioni di sesso: affermazione tanto importante da venire al primo posto, nel catalogo delle discriminazioni bandite dall’articolo 3. Rispetto ai diritti del lavoratore riconosciuti all’articolo 36, che il 37 precisa essere diritti anche della donna lavoratrice. Rispetto all’elettorato, attivo e passivo, e alla capacità di ricoprire gli uffici pubblici, da garantire in condizione di parità a donne e uomini (articoli 48, 51 e 117).

Ancora una volta: dignità della vita attraverso il lavoro e partecipazione alla cosa pubblica nel segno dell’uguaglianza sostanziale. Prova, da un lato, che la temperie raccontata nel libro di Guidetti Serra ha un corrispettivo nella Carta fondamentale, nel momento in cui l’antifascismo è chiamato a farsi esperienza costituente. E prova, dall’altro, che la società che esprime la Costituzione è innervata da quelle disuguaglianze: non ci sarebbe stato altrimenti bisogno di nominarle, di auspicarne il superamento fin dal patto fondativo dello Stato nuovo.

Settantacinque anni dopo, alcune organizzazioni del movimento operaio hanno cambiato pelle, non solo in Italia: talvolta hanno disconosciuto l’identità precedente. Un esempio: a rivendicare di aver sfondato il soffitto di cristallo è una presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che proviene da una tradizione opposta a quella del partigianato che ha scritto in Costituzione la parità di genere, anche in politica. Gli studi sul lavoro povero hanno accertato che l’occupazione non è sempre uno strumento sufficiente di emancipazione, una garanzia di salvezza dall’indigenza: specie per le donne, specie se sole e con figli. Contrariamente a quanto si dice, le politiche dell’impiego e quelle assistenziali non sono alternative, ma complementari.

Nonostante i mutamenti, però, l’origine della Giornata della donna nella storia delle lotte operaie non smette di esercitare la sua forza sul presente. La dimostrazione è nello strumento che i movimenti femministi hanno praticato negli ultimi anni per l’8 marzo: lo sciopero.

NONOSTANTE L’ISLANDA SIA IL PRIMO PAESE AL MONDO PER PARITÀ DI GENERE, LE DONNE CHIEDONO PIÙ UGUAGLIANZA. Estratto dell’articolo di Claudia De Lillo per “La Repubblica” martedì 24 ottobre 2023.

Oggi le donne non lavoreranno. Le insegnanti non faranno lezione, le impiegate non andranno in ufficio, le panettiere non faranno il pane. Oggi, 24 ottobre 2023, le donne non faranno il bucato né la spesa, non passeranno l’aspirapolvere e non stireranno le camicie. Non accudiranno i figli né i genitori anziani, scorderanno l’appuntamento dal pediatra e il compleanno dello zio. […] 

Gli uomini resteranno soli a gestire l’enormità dello spazio lasciato vuoto. Cosa succederà, lo vedremo. In Islanda. Nel Paese stabilmente primo nel mondo per la parità di genere (il divario è stato chiuso al 91,2%, lontanissimo dal 70,5% dell’Italia, al 79esimo posto), le islandesi non si accontentano e, per la settima volta nella storia, proclamano il kvennaverkfall, lo sciopero delle donne.

«Chiediamo l’eliminazione della violenza di genere e l’azzeramento del divario retributivo (al 21% in Islanda). Inoltre vogliamo che il contributo di tutte le donne e delle persone non binarie sia riconosciuto e premiato», spiega Freyja Steingrímsdóttir, portavoce dell’edizione 2023 dello sciopero, promosso da organizzazioni femminili di diverse categorie e da movimenti per i diritti Lgbtqia+. 

«Ci hanno sempre detto che siamo il Paese più evoluto e che dovevamo essere soddisfatte», continua Steingrímsdóttir. «Invece, dobbiamo essere ambiziose, rinnovare la nostra lotta ed essere un modello». La mobilitazione si prevede massiccia e persino la premier Katrín Jakobsdóttir si asterrà dal lavoro.

[…] Thóra Hjörleifsdóttir, autrice del romanzo Lui mi ama (Mondadori) sugli abissi delle relazioni tossiche, ha una bambina di sette mesi. «Non posso smettere di allattare ma, per il resto, farà tutto il mio partner perché è importante ribadire che la società, senza di noi, non funziona». 

Protesterà «per diffondere la consapevolezza sui lavori silenziosi e sottopagati, in particolare legati alla cura, prevalente appannaggio delle donne». Il problema, dice, «non sono i maschi islandesi ma il patriarcato radicato nella società».

Cosa faranno oggi gli uomini? «Quelli che non dovranno occuparsi della casa e dei figli, spero si uniranno alla protesta» auspica Magnea Rut Gunnarsdóttir, studentessa. «La discriminazione fa male a tutti, lo hanno capito anche loro». I datori di lavoro sono invitati a consentire alle dipendenti di assentarsi senza decurtazioni salariali. 

«Io sono fortunata», dice Sigrún Daníelsdóttir Flóvenz, project manager nella facoltà di Scienze sociali dell’Università d’Islanda. «Mi è bastato scrivere una mail per ottenere l’autorizzazione dal mio superiore, ma ogni lavoratrice dovrà contrattare con la propria azienda». […] Oggi l’Islanda si fermerà, c’è il kvennaverkfall e potrebbe essere contagioso.

L’Ideologia.

Antonio Giangrande: · Chi comanda il Mondo? Le femmine!

Vogliono l’egemonia del potere.

Le donne sono autonome.

Come donne decidono loro di fare o disfare le famiglie.

Come donne decidono loro se dare sesso.

Come madri decidono loro di tenersi i figli, quando ci sono le separazioni.

Come madri decidono loro di uccidere i loro figli, con l’aborto o l’infanticidio.

L’uomo è solo un optional, senza diritto di scelta.

Antonio Giangrande: Le manifestazioni di piazza: conformismo ed ipocrisia. La dittatura della minoranza.

Ci vogliono tutti conformati al pensiero unico dei salvatori della pseudo-civiltà.

Le manifestazioni di piazza. Sono sempre loro: di sinistra. Si fanno sempre riconoscere. Sempre dalla parte sbagliata: dalla parte del torto. Mai a favore di qualcuno. Sempre contro un nemico da combattere.

Manifestano contro i Femminicidi: combattono contro il Maschio, ma solo se è occidentale. Ed i maschi coglioni presenti manifestano contro se stessi.

Mi ricordo quando per il delitto di Sarah Scazzi, noi avetranesi ignari dei fatti, diventammo tutti colpevoli nell'ignavia dell'Amministrazione comunale.

Manifestano contro la Mafia: combattono contro i Meridionali.

Manifestano contro l'Omofobia: combattono contro gli Etero.

Manifestano per l'Aborto: combattono contro i Nascituri.

Manifestano per la Pace: combattono contro l'Ucraina ed Israele.

Manifestano per il Lavoro: combattono contro la classe Media ed il Governo.

Manifestano per l'Accoglienza e l'Inclusione: combattono contro l'Occidente e la Cristianità.

Manifestano per il Politicamente Corretto. combattono contro la Libertà di Parola.

Mai che ci sia una manifestazione spuria. Solite facce, solite bandiere, solita ideologia e soliti quattrogatti fracassoni.

Dove ci sono le telecamere ed i taccuini di media partigiani, lì ci sono loro: è la manifestazione del loro esibizionismo. Molte persone amano mettersi al centro dell’attenzione, cercano in tutti i modi di farsi notare dagli altri, sentono, cioè, un profondo bisogno di farsi vedere da tante persone, affinchè l’attenzione delle persone sia rivolta solo a loro, perchè si parli di loro.

Quei catto-comunisti che se governano loro è democrazia, se governano gli altri è dittatura.

Quei catto-comunisti che, pur minoritari affetti dalla sindrome della Resistenza, impongono il loro pensiero ideologico con manifestazioni di piazza, anche violente, disconoscendo l’opera, addirittura, dei loro stessi rappresentanti parlamentari portatori dei loro medesimi interessi.

Non capisco chi va a dimostrare. I loro problemi li manifestano in piazza: a chi?

Alla stampa omertosa? Ai politici menefreghisti? Ai colleghi di sventura che pensano a risolvere la loro personale situazione?

Non basta una buona rete sul web per far sentire la nostra voce?

Chi ha votato, si rivolga al suo rappresentante in Parlamento, affinchè tuteli il cittadino dai poteri forti.

Chi non ha votato, partecipi con altri alla formazione di un movimento democratico e pacifista per poter fare una rivoluzione rosa e cambiare l’Italia.

Affidati alla sinistra.

Dove c'è l'affare lì ci sono loro: i sinistri e le loro associazioni. E solo loro sono finanziate.

La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e l'espropriazione proletaria dei beni.

I mafiosi si inventano, non si combattono.

L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.

Accoglierli è umano, incentivare le partenze ed andarli a prendere è criminale.

L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.

Tutelare l’infanzia è comprensivo. Toglierli ai genitori naturali e legittimi a scopo di lucro è criminale.

L'aiuto alle donne vittime di violenza è un business con i finanziamenti pubblici.

Sorreggere le donne, vittime di violenza è solidale. Inventare le accuse è criminale.

Antonio Giangrande: Femminicidi mediatici e partigiani.

Andria 4 dicembre 2023 i funerali di Vincenza Angrisano. Folla commossa senza clamore mediatico, perché lì in famiglia non c’erano attivisti a sobillare la folla. Lì nessuno si è schierato politicamente su un dramma strettamente familiare con responsabilità esclusivamente personale.

Padova 5 dicembre 2023 i funerali (quasi) di Stato per Giulia Cecchettin. Tutte le tv ed i giornali in diretta ad esprimere opinioni a senso unico. Un dramma strettamente familiare con responsabilità esclusivamente personale diventato atto di accusa contro i maschi. Megafono delle femministe e dei sinistri.

Quei sinistri con il cervello copia incolla uno dell'altro di cui non si troverà alcuna minima differenza di pensiero. Uno clone dell’altro.

Posizioni sempre contro qualcuno per il Potere. In questo caso per la lotta di Potere delle donne contro e a scapito degli uomini.

Lo stesso padre di Giulia, a rimorchio dell’altra figlia, l’attivista Elena, pronto a fare il pistolotto contro se stesso in quanto maschio, contro il Papa, contro il Presidente della Repubblica. Gli stessi che si accodano all’andazzo contro sé stessi e a ricordare Giulia, ma ad ignorare e discriminare Vincenza.

Ma è difficile dire che il rispetto l’uno per l'altro non deve essere diritto di genere, ma rispetto per la persona in quanto tale, sia essa donna o uomo e senza fare discriminazione fra vittime?

Bestiario, l'Educhigna. L’Educhigna è un animale leggendario che esalta la nudità delle donne ma poi vuole entrare nelle scuole ad educare alla sessualità. Giovanni Zola il 7 Dicembre 2023 su Il Giornale.

L’Educhigna è un essere mitologico che si inventa acrobazie linguistiche per giustificare la mercificazione del corpo delle donne. Sui palchi dei concerti al femminile come nei videoclip musicali assistiamo a fantastici balletti ad altissimo tasso erotico dove le coreografie, le mosse esplicite, gli ammiccamenti e i pochissimi vestiti sono la riproduzione di rapporti sessuali in tutte le sue forme, tanto che il Kamasutra si vergogna. Le grandi artiste, non soddisfatte delle loro visite ginecologiche a distanza, teorizzano il significato sociologico delle loro performance senza mutande con pensieri straordinariamente originali per cui spogliarsi significa sentirsi liberi.

Ed ecco che in questo contesto entra in gioco l’Educhigna che difende la nudità dalle critiche inevitabili di mercificazione. L’Educhigna è studiata e ci spiega che "In Italia non si tollerano" le donne che sono “azioniste” della loro nudità. La nudità è vulnerabilità e svantaggio, ma nella sua scarsa accettabilità sociale è anche sfida. Mette in discussione il disagio. Fa riflettere su come la disuguaglianza influenzi le esperienze e le scelte di ciascuno di noi. Boh! Al di là del fatto che l’espressione “azioniste della loro nudità” è molto pericolosa in quanto riconduce al mestiere più antico del mondo, è curioso che la nudità sia l’esaltazione della libertà se proviene da una certa parte ideologica, mentre dall’altra si chiama sessismo.

Ma veniamo al dunque. L’Educhigna non si rende conto, oppure sì, ma è in cattiva fede, che le “azioniste del proprio corpo” propongono un modello di donna agli occhi delle giovani e dei giovani, che ha bisogno di apparire per essere e chi, se non ha le caratteristiche fisiche per apparire, è tagliato fuori da un sistema che non ha nulla di meritocratico. L’Educhigna dimentica forse che queste icone influenzano milioni di giovani. E più potente un video clip di trenta secondi che ore scolastiche dedicate all’educazione all’effettività.

Se ci fosse realmente la volontà di educare a un pensiero edificante bisognerebbe preoccuparsi di quei programmi televisivi apparentemente innocui e svuota cervelli dove la libertà di mettersi a nudo comporta una contrapposizione sempre divisiva e verbalmente violenta che niente a che fare con il rispetto dell’altro. Il mondo dei social propone la nudità in ogni tipo di forma facilmente reperibile che non ha nulla a che fare con la libertà, a meno che per libertà s’intenda monetizzazione facile a scapito della propria dignità.

Tante parole, forse inutili, si potrebbero sintetizzare in una sola frase: “Taylor Swift persona dell’anno”. Ha battuto la Barbie. Buon anno.

"I FUNERALI DI GIULIA CECCHETTIN SONO STATI UNO SHOW MEDIATICO, QUESTO CASO È UNA TELENOVELA NAZIONALE" (ANSA martedì 5 dicembre 2023) - VENEZIA, 05 DIC - "Ne sono state ammazzate tante di ragazze e di donne e nessuno ne parla mentre le televisioni stanno facendo diventare questo caso una telenovela nazionale". Lo afferma ad Affaritaliani.it Stefano Valdegamberi, consigliere regionale veneto eletto nella Lista Zaia (ora nel gruppo misto, ndr) che qualche giorno fa, per il suo post sui social nel quale criticava le parole di Elena Cecchettin aveva scatenato molte polemiche, commentando i funerali di Giulia Cecchettin "trasmessi in diretta da molte tv nazionali in uno show mediatico senza precedenti". 

"Temo che l'obiettivo sia quello di enfatizzare questo caso, senza dubbio gravissimo - aggiunge -, strumentalizzarlo e far approvare qualche legge assurda come l'educazione sessuale nelle scuole, dimenticandoci che il problema è un altro. I primi risultati, sull'onda dell'euforia emotiva sono già stati raggiunti: politici che si scusano di essere uomini, altri che stanziano fondi per educare contro il patriarcato. 

Non vorrei che diventasse un alibi per sdoganare la teoria gender nella scuola, buttata fuori dalla porta cerca di rientrare dalla finestra - prosegue Valdegamberi -, In Consiglio regionale ci sono risoluzioni che impegnano la giunta veneta davvero assurde. Una del Pd che invita addirittura a modificare l'uso del linguaggio. Altre di Forza Italia e Lega spostano la soluzione nell'educazione a scuola quando il problema invece sta altrove".

150 euro per un posto in terrazza con affaccio sui funerali di Giulia Cecchettin. Martina Melli su L'Identità il 5 Dicembre 2023

Un posto sulla terrazza di un locale privato a Padova – sopra Prato della Valle dove si sono tenuti i funerali di Giulia Cecchettin – è stato “venduto” dai gestori a 150 euro. Questo quanto emerso dall’audio di una conversazione privata tra uno dei proprietari e un fotografo che chiedeva di poter scattare alcune foto dalla terrazza. Il gestore prima acconsente, poi, dopo aver ricevuto richieste dello stesso tipo pensa bene di avviare uno squallido business. La cifra stabilita per i fotografi e le troupe televisive è di 150 euro.

La cerimonia funebre è stata celebrata nella basilica di Santa Giustina a Padova, davanti a circa 1.200 persone. In oltre 8mila sono giunti fuori dalla chiesa hanno seguito le esequie dai due maxischermi installati. l padre di Giulia, Gino Cecchettin, ha letto un messaggio prima della conclusione del rito: “La sua morte sia il punto di svolta contro la violenza sulle donne”. 

La sorella Elena, durante il momento di preghiera, ha salutato la sorella con queste parole: “Guardo il cielo e ti vedo in mezzo alle stelle, che fai a metà di un gelato con la mamma. Prima o poi ci rivedremo, lo prometto, ma fino a quel momento so che sarai con me, perché sei il mio angelo custode, perché in fin dei conti lo sei sempre stato”.

 Estratto dell'articolo di Monica Serra per “la Stampa” martedì 5 dicembre 2023. 

L'ultima volta che ha incrociato lo sguardo sorridente della figlia era di sabato pomeriggio. Ventiquattro giorni e una vita fa. Mancano poche ore ai funerali della sua Giulia, e a Gino Cecchettin tocca l'ennesima difficile prova. Superare la rabbia, la sete di vendetta di tanti. Proprio lui che è distrutto dal dolore, dalla mancanza, vuole solo unire[…] 

 Gino legge e ripensa al suo messaggio. Quello che alle 11 leggerà nella basilica di Santa Giustina a Padova durante i funerali «pubblici» di Giulia, dove sono attese più di diecimila persone […] «Parlate, denunciate, fidatevi!» aveva scritto in un post su Instagram il 25 novembre, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E quest'impegno, Gino ha deciso di portarlo avanti per Giulia. Perché diventi il simbolo di una rivoluzione culturale. Perché non venga mai dimenticata.

[…]

Per chi non potrà esserci, tutto sarà trasmesso in diretta dal Tg1 e da Canale 5. «Chi può abbassi la serranda, spenga una luce in un negozio, suoni il clacson, ognuno nel suo piccolo dia un segnale», è l'invito del governatore Luca Zaia, che ha proclamato una giornata di lutto regionale. «Domani in Veneto si faccia rumore per dire che i dati sulla violenza di genere sono inquietanti. Questa vicenda rappresenta uno spartiacque, deve essere una presa di coscienza culturale altrimenti va a finire che Giulia sarà dimenticata». 

[…]  Dopo le funzioni pubbliche, a Saonara – il paese d'origine della mamma Monica, che se n'è andata lo scorso anno appena 51enne, e dove vive la sua famiglia, i nonni, gli zii – ci sarà un momento «privato» di raccoglimento e di preghiera, prima del corteo fino al cimitero[…] Anche a Saonara sono attese tante persone, ma nella chiesa di San Martino possono entrarne solo trecento. Per gli altri, sono stati installati gli altoparlanti sulla piazza. «Era una ragazza forte ma aveva un animo buonissimo ed era eternamente allegra. Per lei andava sempre tutto bene», racconta la nonna di Giulia, Carla Gatto, intervistata da Pomeriggio 5.

[…] Ma nonna Carla ha un pensiero anche per la sofferenza dei genitori di Filippo Turetta, che ha confessato di aver sequestrato e ucciso Giulia. E che, oggi, chiuso nel carcere di Montorio a Verona, potrebbe decidere di seguire i funerali in tv.

Estratto dell'articolo di Marco Imarisio per il “Corriere della Sera” martedì 5 dicembre 2023. 

Tutto finirà qui. In questo cimitero di paese […] Giulia Cecchettin riposerà poco distante dalla madre Monica, scomparsa appena un anno fa. […] Saonara, questo il nome del comune, diecimila abitanti a est di Padova, sarà l’ultima tappa del suo viaggio terreno. Oggi ci saranno prima le esequie nella basilica di Santa Giustina, officiante il vescovo di Padova Claudio Cipolla, diretta televisiva nazionale alla quale dal carcere di Verona potrebbe assistere anche Filippo Turetta, che ha gli stessi diritti di qualunque altro detenuto, è sempre bene ricordarlo.

Sono attese diecimila persone in presenza, nonostante il tempo che si annuncia avverso, due maxischermi in Prato della Valle, un apparato di sicurezza imponente per quelli che ieri in Prefettura, durante la conferenza stampa di prefetto e questore sono stati definiti funerali di Stato non dichiarati. Anche i lanci di agenzia annunciano solenni che oggi l’Italia saluterà Giulia, […] 

Chissà cosa pensa suo padre Gino, chissà se lui ed Elena, la sorella, si sentono in qualche modo espropriati, da questa onda emotiva lunga ormai quasi un mese, di un dolore che in primo luogo appartiene a loro e soltanto a loro. Nel tardo pomeriggio lui esce dal suo ufficio attiguo alla villetta dalla cancellata ancora pavesata con fiori, messaggi di cordoglio[…]

No, assolutamente, dice a chi gli si para davanti e gli chiede anticipazioni sul contenuto del discorso che leggerà questa mattina in chiesa. Quello che provo io non ha importanza, quello che conta è che rimanga qualcosa, per far sì che non accada mai più quel che è successo a mia figlia.

Non è un’anticipazione, è l’ennesima frase ufficiosa carpita a una persona che fin dal primo momento non ha mai smesso di essere gentile, che da subito è sembrato guardare oltre, a un orizzonte collettivo, quasi che contasse più della sua sofferenza individuale.

 Li abbiamo osservati per tutto questo tempo, padre, sorella-figlia, persino la nonna Carla, criticata perché ha osato presentare un suo libro durante questo periodo di lutto […] Li abbiamo giudicati, i Cecchettin, discutendo della figura del padre, dividendoci sui social sulle parole di Elena, su quel «bruciamo tutto», come se una giovane donna non avesse il diritto di dirlo, dopo quel che è successo.

Li lasceremo infine sul sagrato della piccola chiesa di Saonara, dove alle 14 si terrà una cerimonia privata, solo familiari e amici. Ma prima ci saranno quei funerali quasi di Stato, senz’altro con la presenza annunciata di qualche esponente di rilievo del governo, che serviranno ad amplificare un messaggio necessario. Non ci sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che non a caso ieri ha però pronunciato parole nette e necessarie. «Le notizie dei femminicidi che ci giungono così frequentemente, anche negli ultimi giorni, sono un triste promemoria di quanto intenso sia lo sforzo ancora da compiere per realizzare un cambiamento radicale di carattere culturale. Cambiamento che chiama in causa le famiglie, l’intera società e gli stessi governi».

Siamo tutti coinvolti. In fondo, è questo quel che Gino ed Elena Cecchettin stanno cercando di ripeterci in ogni modo, con tutta la forza che hanno. Perché sono convinti che bisogna continuare a parlare, a confrontarci. A fare rumore, come chiedono le amiche di Giulia. […] Oggi si spegneranno le luci sull’ennesimo delitto orrendo. Ma c’è ancora molto da fare.

Elena Cecchettin, il discorso della sorella di Giulia: «Continuerai a essere il mio angelo custode». Elena Cecchettin, sorella di Giulia su Il Corriere della Sera martedì 5 dicembre 2023.

Elena Cecchettin in chiesa a Saonara al termine della cerimonia: «Prima o poi ci rivedremo ma fino a quel momento so che sarai con me»

Il discorso integrale di Elena Cecchettin in chiesa a Saonara al termine della cerimonia funebre della sorella Giulia, la ventiduenne uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta. 

«Ci sono tante parole che vorrei e potrei dirvi in questo momento, ma ho deciso di regalarvi un pezzo di Giulia, una parte di quella persona fantastica come la conoscevo io, sperando che vi lasci il segno, come ha fatto con me, perché me la porterò per sempre dentro. 

Giulia era quella ragazza a cui era semplice fare regali, perché qualsiasi cosa vagamente buffa e carina la faceva andare in visibilio. Giulia collezionava scatole di latta, solo per riempirle con altre scatole. Giulia aveva la scatola delle scatole. Una volta l’ho sorpresa a conservare la scatola del Finish, perché diceva che aveva del potenziale. Giulia non buttava via mai niente, nemmeno le cose rotte e rovinate. Giulia amava le passeggiate, amava passeggiare mentre ascoltava la musica. Giulia non amava decidere, per niente, tanto che faceva a metà con la mamma anche per la pallina del gelato o la pizza («Se tu prendi un gusto, io prendo l’altro e ce li scambiamo»). 

Giulia era una persona buona, la persona migliore che abbia mai conosciuto. Giulia amava la letteratura inglese e Jane Austen, e voleva andare a vedere la brughiera. Giulia aveva un impermeabile giallo preferito, aveva una paura irrazionale delle cimici, tanto che una notte è andata a dormire sul divano perché ce n'era una in camera di notte, io stavo dormendo e non potevo toglierlo. Giulia mi faceva sentire speciale perché la salvavo dalle cimici. 

Gino Cecchettin, il discorso del papà di Giulia al funerale: «Femminicidio risultato di una cultura che svaluta le donne. Addio amore mio»

Giulia si dimenticava sempre le chiavi e una volta, tentando di scavalcare il cancello si è strappata il cappotto e la felpa. Giulia era la mia sorellina, ma anche la mia sorella maggiore e mi diceva cosa dovevo fare quando non ero sicura e mi dava sempre ottimi consigli che molto spesso non mi piacevano perché non era quello che speravo di sentir dire ma era onesta e dava ottimi consigli. Giulia aveva tanti peluche e ognuno di loro aveva un nome stranissimo. Quando eravamo piccole avevamo una busta con una serie di nomi, i più assurdi possibili, e da quella busta estraeva a sorte il nome del suo prossimo pupazzo. 

A Giulia piacevano tanto le macchine vecchie. Con Giulia andavamo spesso al parco o nel nostro spiazzo di cemento preferito e disegnavamo. Giulia e io amavamo andare insieme a fare passeggiate lunghissime e non volevamo mai tornare a casa perché si stava troppo bene assieme e chiacchierare. Nelle notti d’estate ci stendevamo sulla cesta di corda e rimanevamo lì, a dondolarci piano, guardando le stelle e sentendoci infinite, con le viti che si conficcavano nella schiena perché forse eravamo un po’ troppo grandi per quella cesta ma a noi andava bene così. Ora, Giulia, in quella cesta ci sto comoda ma non è più bello senza di te perché guardo il cielo e ti vedo in mezzo alle stelle mentre fai a metà di un gelato con la mamma. Prima o poi ci rivedremo, te lo prometto, ma fino a quel momento so che sarai con me e che continuerai a essere il mio angelo custode, perché in fin dei conti lo sei sempre stato».

Gino Cecchettin, il discorso del papà di Giulia al funerale: «Femminicidio risultato di una cultura che svaluta le donne. Addio amore mio». Gino Cecchettin, padre di Giulia su Il Corriere della Sera martedì 5 dicembre 2023.

Il discorso integrale di Gino Cecchettin al termine della funzione religiosa in basilica di Santa Giustina a Padova

Il discorso integrale di Gino Cecchettin al termine dei funerali della figlia Giulia, 22enne uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta. 

«Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l'impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.

Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente,

un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà:

il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione.

Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.

Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.

A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale. 

È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.

La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.

Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.

Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.

Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.

Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.

«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.

Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…»

Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.

Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.

Addio Giulia, amore mio.

«Il femminicidio è il risultato di una cultura che svaluta le donne». La lezione del padre di Giulia Cecchettin al funerale. L'ultimo saluto a Padova alla ragazza uccisa dall'ex fidanzato. Chiesa e piazza gremite. E il discorso di Gino Cecchettin che commuove senza risparmiare una dura presa di posizione: «La responsabilità educativa ci coinvolge tutti, famiglie, informazione, scuola, società civile». Simone Alliva su L'Espresso il 5 dicembre 2023

Così, è davanti alla bara di Giulia Cecchettin che il potere svanisce. L'abbraccio del presidente del Veneto Luca Zaia, del sindaco di Padova, Sergio Giordani e del ministro alla Giustizia Carlo Nordio, visibilmente commosso, insieme a una quarantina di sindaci della zona. Tutti stretti intorno al padre di Giulia, Gino Cecchettin. Impallidiscono inutili i gradi del potere, dentro la Basilica di Santa Giustina a Padova, dove all'esterno appare una gigantografia della ventiduenne di Vigonovo uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta. Nella foto Giulia sorride, seduta su un'altalena verde con tulle e fiori, in basso la scritta "Giulia ti vogliamo bene". Nella processione di fronte alla bara bianca, circondata da una nuvola di rose candide, non ci sono ministri, presidenti, sindaci. Solo uomini e donne dentro i cappotti scuri, ciascuno la persona che è.  

Ma è il discorso del padre, mentre i figli Elena e Davide si abbracciano, a riempire gli occhi di lacrime a una platea attenta e silente. Una lezione a chi i questi giorni ha sbeffeggiato e sminuito la radice culturale dei femminicidi. Cecchettin nomina la causa (patriarcato), individua l'antidoto (educazione): «Mia figlia Giulia, era proprio come l'avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma», dice Gino Cecchettin, sul petto il nastro rosso simbolo della violenza contro le donne. «Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma - ha continuato - Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti» 

«Abbiamo vissuto un momento di profonda angoscia, siamo stati travolti da una tempesta terribile, da una pioggia di dolore che sembra non finire mai. Grazie a chi si è stretto attorno a noi per darci il calore di un abbraccio, grazie per il vostro sostegno, di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. Grazie a Zaia, Nordio e alle istituzioni che hanno aiutato la mia famiglia. Giulia era una giovane donna, straordinaria, allegra, vivace, mai sazia di imparare». La basilica è gremita, milleduecento persone, hanno trovato posto anche 360 tra conoscenti e amici della famiglia, tra cui i compagni di classe del fratello di Giulia. Ma è fuori dalla diocesi, sotto un tempo incerto, che assistono circa diecimila persone all'ultimo saluto, occhi puntati sui due maxi schermi: «Il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti - ha aggiunto il padre - Il femminicidio è il risultato di una cultura che svaluta la figura delle donne, vittime di chi avrebbe dovuto amarle. Come può accadere tutto questo, come può essere accaduto a Giulia? La responsabilità educativa ci coinvolge tutti, famiglie, informazione, scuola, società civile. Mi rivolgo agli uomini, noi per primi dovremmo essere agenti di cambiamento, parliamo agli altri maschi che conosciamo. Dovremmo essere attivamente coinvolti, ascoltando le donne e non girando la testa dinnanzi ai segnali di violenza, anche lievi. La nostra azione è cruciale - è la riflessione del papà di Giulia - Insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell'impegno, e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Chiamarci fuori, difendere il patriarcato, trasformando le vittime in bersagli, non aiuta ad abbattere le barriere. Da questa violenza si esce fuori sentendosi tutti coinvolti, anche quando ci si sente tutti assolti».  

Quindi un messaggio diretto alle istituzioni: «La politica metta da parte le divergenze e faccia leggi per prevenire la violenza e proteggere le vittime, garantendo che i colpevoli siano destinati a rispondere delle loro azioni. Occorre trasformare questa tragedia in cambiamento: la vita della mia Giulia è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte deve essere la spinta per fermare la violenza sulle donne». 

Gino fa una lunga pausa, poi legge una poesia di Kahlil Gibran, prima di rivolgersi per l'ultima volta alla figlia: «Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma, ti penso abbracciata a lei e penso che il vostro amore sia così forte da aiutare me, Elena e Davide a imparare a danzare sotto la pioggia. Noi tre rimasti vi promettiamo che impareremo a muovere i passi di danza sotto la pioggia. Cara Giulia, grazie per questi ventidue anni. Non so pregare, ma so sperare, voglio farlo insieme a tutti voi qui presenti, che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e un giorno possa germogliare. Addio Giulia, amore mio». 

Fuori l'applauso sempre più forte, le grida, i campanelli e le chiavi scosse verso il cielo. Gino Cecchettin si stringe in un abbraccio con i figli Elena e Davide, altrettanto commossi davanti alla manifestazione d'affetto che le persone accorse da tutta Italia. All'uscita del feretro dalla chiesa di Santa Giustina a Padova, la piazza risponde così alla richiesta dei familiari di Giulia di fare il minuto di rumore, per non restare indifferenti davanti al femminicidio

Il femminicidio non è un caso isolato ma il prodotto di un sistema di potere. Il corteo per la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. NON UNA DI MENO – PADOVA su Il Domani il 05 dicembre 2023

Pubblichiamo la nota integrale del gruppo di Padova del movimento transfemminista Non una di meno a seguito dei funerali pubblici di Giulia Cecchettin, la ragazza di 22 anni vittima di femminicidio  

Un rispettoso silenzio interrotto solo da un potente e roboante rumore di chiavi. Centinaia di chiavi agitate all’unisono, per esprimere riconoscenza verso le parole pronunciate dal padre di Giulia Cecchettin durante il funerale pubblico della ragazza vittima di femminicidio. Ma non solo, quel gesto, spontaneo e collettivo porta con sé un messaggio che è intrinsecamente politico: il femminicida non é un passante, uno sconosciuto, ma ha le chiavi di casa.

La grande partecipazione cittadina ai funerali pubblici di Giulia, le mobilitazioni fiorite ovunque nelle ultime settimane: dai presidi nelle province alla manifestazione oceanica di Non Una di Meno del 25 novembre, ci restituiscono con chiarezza come stia avvenendo una presa di consapevolezza collettiva rispetto alla violenza di genere.

Il femminicidio di Giulia ha infatti reso evidente una verità che ormai nessuno può più negare: i femminicidi, gli stupri, le molestie, le discriminazioni non sono un ammasso di casi isolati, ma esiste un sistema di potere ben preciso: il patriarcato, che produce violenza e che ci riguarda tutti e tutte.

Dire che i 110 femminicidi del 2023 sono un fatto politico significa riconoscere che la violenza di genere non è un problema solamente individuale da risolvere inasprendo le pene, buttando via la chiave, militarizzando le strade oppure con i piccoli gesti quotidiani di buonsenso e gentilezza.

Il problema è il patriarcato, cioè un sistema culturale, economico e sociale fondato sulla violenza, sull’oppressione e sullo sfruttamento della vita e dei corpi di noi donne e libere soggettività non binarie.

Violenza patriarcale sono le botte in casa, sono la vittimizzazione secondaria delle polizie e dei tribunali quando denunciamo, sono le narrazioni tossiche dei giornali che minimizzano i femminicidi come ‘raptus di gelosia’, sono i tagli alla spesa pubblica che rendono le nostre esistenze sempre più precarie, ricattabili e violentabili.

Quando una donna, una persona trans o non binaria vuole svincolarsi dalla dipendenza da un partner violento, spesso non riesce a farlo per via di uno stipendio troppo basso che nega la possibilità concreta a questi soggetti di andare via di casa e autodeterminarsi. Per questo nominiamo anche la violenza economica come parte di questo sistema di oppressione.

Questo è tutto quello che diciamo come movimento femminista e transfemminista Non Una di Meno da otto anni, al di là dell’eccezionalismo mediatico, perché il patriarcato non è lo scandalo del mese. Perché dietro all’ipervisibile femminicidio di Giulia Cecchettin, ci sono gli invisibili femminicidi di donne anziane, trans, lesbiche, migranti, sex workers, povere.

Da otto anni pretendiamo un’assunzione di responsabilità politica da quelle istituzioni che oggi siedono con il tricolore in prima fila nei banchi di Santa Giustina, piangendo il femminicidio n. 105: educazione all’affettività e alla sessualità consapevole in tutte le scuole per prevenire la violenza ed educare a relazioni basate sul rispetto e sul consenso; maggiori finanziamenti ai centri antiviolenza per sostenere i percorsi di fuoriuscita dalla violenza; un reddito di autodeterminazione per uscire da relazioni, dinamiche ed esistenze violente, perché non c’è libertà senza autonomia economica.

Vedremo che ne sarà del decantato impegno nel contrasto alla violenza di genere una volta che i riflettori si saranno spenti. Noi di sicuro continueremo a sognare, rivendicare e mettere in pratica una società basata sul consenso, sul rispetto delle diversità e sulla cura. Per Giulia, per le 110 vittime di femminicidio, per tutte perché non ne vogliamo una di meno! NON UNA DI MENO – PADOVA

Crepet sbotta con Ricci Sargentini: "Sinner è un potenziale assassino?" Il Tempo il 05 dicembre 2023

Paolo Crepet torna a commentare il funerale di Giulia Cecchettin a Padova, dove migliaia di persone hanno dato l’ultimo saluto alla giovane uccisa dall'ex fidanzato Filippo  Turetta. "È stato giusto dare uno spazio così grande perché i sentimenti erano così grandi, e anche dilaniati", ha detto lo psichiatra e sociologo a Stasera Italia, su Rete4. Abbiamo assistito a "un moto di anime, di ragazzi e di ragazze perché la piazza era piena di giovani, non solo persone adulte", afferma l'esperto. 

Il discorso verte su Turetta. L'Italia  in qualche modo è stata colpita da questo caso si perché Giulia era una ragazza come tante, così come il suo assassino: "Ma dietro un delitto efferato c'è spesso  qualcuno di buona famiglia, che  'salutava sempre', come se il saluto sia una sorta di stigma tradizionale di santità", afferma  Crepet. Lo psichiatra respinge l'equazione maschio uguale violenza, e su questo tema si scontra con Monica Ricci Sargentini, del Corriere della sera, anche lei ospite di Nicola Porro. La giornalista rimarca come l'educazione tradizionale favorisca in qualche modo la violenza maschile. "Ma come si fa a dire maschio? - sbotta Crepet - sono cose più complesse, dietro c'è un progetto culturale". Insomma, la genetica non c'entra, e non si può semplificare troppo. 

"Ma c'è una aggressività latente negli uomini", ribatte Ricci Sargentini. "Allora Sinner è un potenziale assassino", risponde Crepet con riferimento al tennista azzurro che ha la stessa età di Turetta. La giornalista allora si produce in un lunghissimo elenco sulla predominanza dei maschi come autori di reati. "È il costo della virilità"; afferma sorprendendo Crepet e Porro. Ricci Sargentini: "È la cultura patriarcale. Risolvetelo voi questo problema". "E lei si risolva i problemi delle kapò nei lager e i testi delle trapper. Io non capisco cosa vuol dire genere, so cosa vuol dire persone", ribatte Crepet. Le posizioni sono inconciliabili: "Nelle scuole ci sono quasi tutte insegnati donne", afferma Crepet. "Ma è la cultura a essere patriarcale", è la replica con lo psichiatra che ribatte: "Fa il gioco delle tre carte".

Vannacci nostri. Tommaso Cerno su L'Identità il 5 Dicembre 2023

Vannacci nostri. Diciamo che, alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, dopo il Mondo al contrario e il Mondo invece dritto, quello per cui le promozioni nella pubblica amministrazione avvengono al di là di ciò che si fa e al di qua di ogni logica privata che valga per la gente comune, era difficile mettere d’accordo i tre fronti in campo: la destra filo-Vannacci che lo vuole eroe e candidato alle Europee (Salvini in primis); il premier Meloni che lo vuole in divisa al suo posto, depotenziato come destabilizzatore del già precario ordinamento della destra di governo, la sinistra che lo vuole a parole fuori gioco, nei fatti in campo, secondo il principio rimasto in vigore silenziosamente per tutta l’era di Silvio Berlusconi che è meglio un conflitto non risolto su cui creare l’attacco al potere che un conflitto risolto che prima o poi lascia spazio alla norma.

Qualcosa insomma doveva pure succedere a questo signore, lucido e composto nei modi, estremo e piuttosto scaltro nei contenuti. Forse la soluzione sarebbe stata nominarlo Capo di Stato maggiore della difesa extraterrestre, invece che terrestre, per mettere d’accordo tutti, spedirlo su Marte. Ma si sa che le maglie del diritto pubblico non sono dotate di razzi interstellari né di soluzioni funamboliche, ma si appoggiano salde dal 1900 sulle carriere lineari, dove conta più una carta bollata che mille polemiche in televisione.

E così ci siamo impallati di nuovo. Il ministro Guido Crosetto aveva parlato di “farneticazioni” all’indomani dell’uscita del libro, ma il governo ha deciso di non fare distinzioni fra Vannacci generale e Vannacci scrittore. E di portare a zero il vulnus giuridico con la pubblica amministrazione, convinto che così facendo il generale sarà disarmato dall’arma più pericolosa, la politica, l’idea cioè di entrare nella battaglia pubblica forte di un’ipotetica discriminazione, lui che di quella parola ha fatto un libro che sta riempendo il suo conto corrente di euro fumanti. Discriminato non dalla società italiana, che nelle vicende delle carriere del pubblico impiego vale zero, bensì dal sistema militare, quello per cui un generale fa carriera al di là di ciò che dice o che scrive. Come avviene per i magistrati, per i dirigenti dei ministeri, per gli alti funzionari della pubblica amministrazione.

La morale in punta di diritto è banale: il generale Vannacci, a questo punto del suo iter militare, in assenza di elementi giuridici che pesino come criterio di scelta, ha diritto a un posto di quel rango, Capo di Stato maggiore. E, lascia intendere la Difesa, in quel mondo l’incarico che ha ottenuto è il cosiddetto minimo sindacale. Proprio perché non sarebbe la politica a decidere, né quella che Vannacci ha animato con le sue affermazioni, né quella che lo ha criticato. Una sorta di terzietà di Stato che tuttavia sbatte con un dato di fatto: il Paese parla di lui da mesi, si spacca e si divide sulle sue parole, per cui tutto può succedere tranne che passi l’idea di un “aiutino” al Vannacci medesimo. Ed ecco che in concomitanza con una nomina che può essere definita “naturale” arriva l’inchiesta che lo spinge al congedo, perché Vannacci deve decidere come comportarsi. Deve passà la nuttata.

E poi finalmente dirci se saranno Vannacci suoi, cioè si prenderà il suo incarico e tornerà a fare il militare silenzioso oppure, come pare, no, non farà nulla del genere. Ma finirà per usare anche la presunta promozione come una discriminazione e scegliere davvero quella politica che lui ha sfiorato, annusato, con il suo libro. E che oggi di fronte al posto nello Stato Maggiore non ha più spazio di espansione. Almeno non pubblico. Almeno non subito. Insomma, mettetela come volete, saranno come sempre Vannacci nostri.

Estratto dell’articolo di Simonetta Sciandivasci per “la Stampa” lunedì 4 dicembre 2023.

Roberto Vannacci, generale e bestsellerista, da ieri è capo di stato maggiore del Comfoter, il comando delle forze operative terrestri. Nell'esercito italiano è un ruolo importante. «Prestigiosissimo», dice lui […] "Il mondo al contrario" è stato per settimane in testa alle classifiche, tutte, non solo di Amazon, dove oggi è al 23esimo posto […] ha venduto 230 mila copie «ufficiali, perché poi c'è il Pdf piratato, e lì siamo intorno alle 800 mila copie», dice il generale a La Stampa, rispondendo da Viareggio, dove non manca di invitarci, cena inclusa: «Pago io, da vero uomo patriarcale». […] 

Generale, cosa pensa del minuto di rumore e non di silenzio per il femminicidio di Giulia Cecchettin?

«Prima di tutto non mi piace chiamarlo femminicidio». 

[…] Perché il femminicidio ha una matrice precisa.

«Quindi l'assassinio di un tabacchino lo chiameremo commercianticidio? La matrice di chi vuole punire chi fa commercio non la vede? C'è in qualsiasi omicidio una matrice precisa». 

Pacifico. Individuarla serve a combatterla.

«Si parla da anni di femminicidi, eppure le donne continuano a venire uccise». 

Le sembra una buona ragione per smettere di farlo?

«Non dico di smettere, dico che farlo non serve». […] «Se l'omicidio di una donna diventa più grave di quello di un uomo, si vìola il principio di applicazione universale della legge». 

Il femminicidio non è punito in maniera più grave di un omicidio.

«Sì che lo è». 

Su quali basi lo dice?

«Mi sembra che sia così». 

Le sembra male. Il femminicidio viene disciplinato come le altre forme di omicidio.

«Mi sono sbagliato. Non sono preparato, io faccio il militare, non l'esperto di diritto. Le dico la mia su questi incessanti omicidi di donne. Chiamiamoli pure femminicidi, va bene, non mi dà fastidio».

Grazie.

«Il paradosso è che pensare che la responsabilità di quella che chiamiamo cultura patriarcale sia di uomini forti e prevaricatori: è il contrario. Sono gli uomini deboli a fare del male alle donne. Noi educhiamo uomini deboli, non uomini forti». 

E come sono gli uomini forti?

«Come mio nonno, classe 1898, orfano a 11 anni, in marina a 16, caduto decine di volte e si è sempre rimesso in piedi. Non ha mai alzato un dito su mia nonna e l'ha sempre rispettata. Quelli che ammazzano le donne sono uomini che non sanno stare da soli, che sono dipendenti da loro e che, quando temono di venire abbandonati, perdono la testa.

Altro che maschi patriarcali: sono mollaccioni smidollati che abbiamo prodotto noi».

Come?

«Abolendo le punizioni. Se un ragazzo non studia, lo mandi a lavorare invece di fare ricorso al Tar contro i professori che gli mettono 4».

Mi dica qualcosa di meno qualunquista, la prego.

«Le dico che dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi, maschi e femmine, che la vita è una lotta e che per andare avanti bisogna avere fiducia nella possibilità di rialzarsi.

Molti uomini che ammazzano le compagne, dopo si suicidano: che significa secondo lei?». 

Che se perdono il possesso, perdono tutto.

«No. Uomini e donne si ammazzano perché perdono il lavoro; ragazze e ragazzi si suicidano perché vengono bocciati. Il punto non è che i maschi vogliono possedere una donna: è che dipendono da lei. Se perdi una compagna, non ne cerchi un'altra ma ti ammazzi. Se perdi un lavoro, non t'industri per cercarne uno: aspetti il reddito di cittadinanza».

[…] Le famiglie normali, come dice lei, non funzionano più.

«Abbiamo fatto di tutto per distruggerle. Abbiamo dato la priorità al lavoro senza elaborare politiche che ci permettessero di occuparci dei nostri figli. Invece del reddito di cittadinanza, diamo quello di maternità. Il primo responsabile dell'educazione è la famiglia, non la scuola: lo dice anche la Costituzione. Ecco perché dobbiamo aiutare chi ne ha una e smetterla di pensare che sostenere le madri sia retrogrado». 

È retrogrado pensare che vadano sostenute solo le madri: i figli sono dei genitori. E di una società intera.

«Chiedo il reddito di paternità: io sarei stato a casa con le mie figlie molto volentieri, e a lungo». 

Si sente genitore dei ragazzi in giro?

«Mi sento padre dei miei soldati». 

Scenderebbe in piazza con le sue figlie contro la violenza sulle donne?

«No, ma possono andarci da sole, se vogliono». 

Quanti anni hanno?

«9 e 11». 

[…] Le hanno detto cosa vogliono fare da grandi?

«Le youtuber. E io dico: ok, ma sappiate che dovrete essere le migliori, altrimenti fallirete». 

Poverine.

«Qualsiasi cosa facciano, le mie figlie devono emergere: meritocrazia e competitività mandano avanti una società. Guardi la Cina». 

[…] Lo ha seguito con attenzione il caso Cecchettin?

«Mi sono fermato ai titoli. Sono molto impegnato. Ma posso immaginare: sono storie tutte uguali, tutte morti annunciate».

Tutte violenze denunciate e sminuite da chi pensa che la violenza di genere non esista.

«Le borseggiatrici da quanto esistono? E però non le possiamo mettere in galera, giusto?». 

Non se sono incinte.

«E allora mandiamole sull'altopiano del Montasio a lavorare». 

[…] Qual è la cosa che la fa soffrire di più?

Il generale Vannacci e l’inchiesta per il suo libro: «La fuga di notizie la dice lunga sulla riservatezza ai vertici della Difesa». Marco Gasperetti Il Corriere della Sera il 5 dicembre 2023.

Il militare e la candidatura alle Europee: «Resto un soldato ma non escludo nulla»

Il generale la prende con filosofia. E giura di non essere sorpreso neppure dalla notifica dell’inchiesta formale arrivata lo stesso giorno della sua designazione a capo di stato maggiore delle forze operative terrestri. «Ormai non mi stupisco più di nulla — conferma Roberto Vannacci — ma sono tranquillo. I regolamenti sono chiari: l’avvio di un’inchiesta disciplinare non inficia designazioni e nomine e soprattutto sono convinto di aver operato nel rispetto di regolamenti e normative».

E allora come mai l’ex comandante degli incursori del Col Moschin e dei parà della Folgore ha chiesto immediatamente alcuni giorni di licenza? La risposta è secca: «Non l’ho decisa oggi (ieri, ndr) ma una settimana fa e tutti erano al corrente. Ho preso una ventina di giorni per motivi personali. Tornerò a Roma il 27 dicembre per iniziare l’avvicendamento con l’attuale capo di stato maggiore delle forze operative terrestri e, una volta terminato, sarò onorato di assumere l’incarico».

Però c’è una cosa che ha turbato non poco l’alto ufficiale finito nel gorgo delle polemiche per il suo libro «Il mondo al contrario». «La notizia dell’avvio dell’inchiesta formale, che non mi aspettavo, mi è stata comunicata ore dopo essere uscita sulle agenzie e sui quotidiani online. E questo episodio grave la dice lunga sulla dovuta riservatezza di chi maneggia queste informazioni». Ma chi è il maneggiatore? «Non lo so, arriva dall’alto — risponde il generale — come non so neppure per quale motivo sono stati fatti coincidere i tempi. Ci saranno state delle ragioni, dei fini. Comunque, sono già pronto a dimostrare l’assoluta limpidezza del mio comportamento».

Vannacci ha già letto gli addebiti che l’ufficiale inquirente, una sorta di pm in questo «processo disciplinare», gli muove e conosce le procedure. «Adesso dovrò nominare un ufficiale difensore — spiega — e presenterò le memorie difensive che in parte ho già preparato. Infine, aspetterò con fiducia l’esito del provvedimento. Se, ipotesi per me inesistente, sarò considerato responsabile di aver violato i regolamenti, sarà il ministro della Difesa a decidere i provvedimenti disciplinari, che vanno dalla sospensione sino alla rimozione del grado. Ma lo ripeto: io sono convinto di non aver violato nessuna norma disciplinare. E rivendico la libertà di poter esprimere le mie idee come stabiliscono la Costituzione e il codice dell’ordinamento militare».

E sull’opportunità di alcune esternazioni su omosessuali («non sono normali»), su femministe, maternità surrogata, femminicidio, animalisti? «Ho il dovere come soldato di essere imparziale nei riguardi delle istituzioni e della politica, ma posso andare allo stadio e tifare una squadra e avere le mie idee sulle problematiche sociali. Non esiste, in democrazia, la polizia dei pensieri. Se qualcuno si è sentito offeso mi quereli. Nessuno l’ha fatto e credo che non lo farà neppure in futuro». Già, il futuro del generale: sarà nella politica? Se FdI rimarca la distanza dalle discusse posizioni del generale, la Lega lo corteggia per Bruxelles e dopo Salvini ieri anche il vicesegretario Andrea Crippa, ha avuto parole di stima per Vannacci: «Le sue idee sono assolutamente compatibili con il nostro partito». Ma l’interessato non si sbilancia: «Resto un soldato ma nulla escludo».

Stasera Italia, Porro al fianco di Vannacci: “Solo lui non può scrivere i libri. I magistrati…” Il Tempo il 04 dicembre 2023

"Solo Vannacci non può scrivere libri". Nicola Porro, conduttore di Stasera Italia su Rete4, apre la sua trasmissione del 4 dicembre con un editoriale dedicato agli ultimi aggiornamenti riguardanti il generale Roberto Vannacci. E il tono del giornalista è critico per l’accerchiamento nei confronti del militare: “C’è questa storia un po’ kafkiana del generale Vannacci, tutti lo conoscete, il suo è stato il caso editoriale dell’anno, lo abbiamo invitato in tante trasmissioni televisive, però nel giorno in cui viene nominato capo di Stato Maggiore del comando delle forze operative terrestri, un nuovo incarico che pare non sia una promozione, parte un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Esattamente nello stesso giorno. Vannacci evidentemente ha scritto delle cose nel suo libro che non piacciono a molte persone, come invece piacciono a tante altre, tant’è che è diventato un caso editoriale. E’ un funzionario dello Stato e su questo il segretario del Pd Elly Schlein ha detto cose diverse da quelle che dice Vannacci, visto che in lui ha individuato un rischio. Di questo si indagherà nel procedimento disciplinare che lo riguarda”.

“La domanda che voglio fare a tutti voi che siete a casa è la seguente – si interroga Porro -. Se un generale dell’esercito si permette di scrivere un libro su qualcosa che peraltro non riguarda esattamente la sua funzione, perché Il mondo al contrario è una sua visione del mondo, dal green alla famiglia, cose che hanno poco a che vedere con le attività operative di un generale dell’Esercito italiano, per quale motivo la stessa prudenza, lo stesso obbligo, lo stesso atteggiamento dovrebbero averlo un grande numero di magistrati, che sono come Vannacci funzionari dello Stato, che come Vannacci vengono pagati dai contribuenti, che come Vannacci hanno un ruolo delicato, forse ancora più delicato nel decidere la vita di noi che possiamo essere sottoposti alle questioni della giustizia”.

"L'ho autorizzata io". Crosetto fa chiarezza su Vannaci e l'inchiesta. Il ministro chiarisce il caso, dissipando le strumentalizzazioni. "Al momento nessun provvedimento disciplinare su Vannacci", spiega. E lamenta: "Molto grave la fuga di notizie, amareggiato dalle illazioni". Marco Leardi il 4 Dicembre 2023 su Il Giornale.

È stato il ministro della difesa, Guido Crosetto, a dare il via libera all'inchiesta formale sul generale Roberto Vannacci. A spiegarlo è stato lo stesso esponente di governo in una nota diramata proprio per fornire precisazioni sul caso dell'ex comandante della Folgore, al quale nelle scorse ore era stato assegnato un nuovo incarico. L'inchiesta sommaria sul militare - ha ricostruito Crosetto - "era stata disposta dal capo di stato maggiore dell'Esercito Pietro Serino, il 18 agosto e si è conclusa il 16 ottobre". Al termine, visti gli esiti, il medesimo capo di Stato Maggiore aveva proposto al ministro della difesa l'apertura di un'inchiesta formale "per accertare eventuali infrazioni disciplinari". E così è avvenuto. "Anche sulla base della relazione della Direzione generale del personale militare, ho accolto la sua richiesta, lo scorso 1 dicembre, nominando contestualmente l'Ufficiale inquirente, il generale Mauro D'Ubaldi", ha scritto infatt il ministro.

"Con lo stesso atto dell'1 dicembre ho individuato l'eventuale ufficiale difensore d'ufficio, qualora il generale Vannacci non intenda avvalersi di un suo difensore di fiducia e/o di un avvocato del libero foro, come pure è sua facoltà", ha aggiunto l'esponente di governo. Nel proprio comunicato sul caso, Crosetto ha utilizzato un linguaggio tecnico perché "il polverone che ogni singola notizia sul tema che riguarda la posizione del generale Vannacci, solleva, richiede, purtroppo, espressioni e formulazioni formali, come si confà a una organizzazione complessa e regolata da regole e regolamenti specifici come è la Difesa". Già in riferimento alle polemiche sul discusso libro pubblicato dal militare, del resto, la priorità manifestata da Crosetto era stata quella di salvaguardare le istituzioni da qualsiasi tipo di strumentalizzazione. Anche in questo caso, il ministro ha fornito le adeguate puntualizzazioni.

Ad esempio, il titolare della Difesa ha sottolineato che Vannacci "era stato avvicendato, e non 'rimosso', come continuano a scrivere molti organi di stampa, nonostante le mille successive precisazioni, per una esplicita decisione del capo di Stato Maggiore dell'Esercito". A Vannacci, dirigente generale della pubblica amministrazione, è stato quindi assegnato "un incarico adeguato al suo ruolo, nella sede di Roma, non essendoci, al momento, alcun provvedimento disciplinare nei suoi confronti". E qui si arriva per l'appunto all recente cronaca, con l'assegnazione del nuovo ruolo. "Con l'incarico di capo dello Stato Maggiore del Comando delle Forze operative terrestri, il generale di divisione Roberto Vannacci sarà il capo dello Staff in supporto al Comandante e al Vicecomandante del suddetto Comando", ha continuato Crosetto.

Per l'esattezza, il ministro ha anche aggiunto che Vannacci, "già la settimana scorsa, il 28 novembre, aveva ricevuto l'ordine di trasferimento e ne era stato preavvisato il 22 novembre scorso". In quella stessa data, il generale aveva chiesto una licenza "per motivi familiari", e - ha precisato Crosetto - "non oggi, come hanno scritto alcuni organi di stampa". Poi l'ulteriore puntualizzazione di disappunto: "Questa fuga di notizie mi consente di ribadire la rigorosa necessità di riservatezza dell'inchiesta, prevista tra l'altro dall'art.1050 del Testo unico dell'Ordinamento Militare, necessità indispensabile in casi come questi. Ho trovato molto grave la fuga di notizie che ha anticipato anche il mio comunicato ufficiale e sono particolarmente amareggiato non soltanto di questo fatto, ma anche di tutte le illazioni che sono circolate da agosto ad oggi su questa vicenda".

Machismo di cattivo gusto. Il femminismo grillino che Conte non ricorda: volgarità e sessismo by Beppe Grillo. Le uscite di Grillo&Co. restituiscono l’immagine di un Movimento 5 Stelle ipocrita sulla causa femminista. Insulti, maschilismo e allusioni di cattivo gusto: Conte fa il paladino ma dimentica il passato del partito. Giulio Baffetti su Il Riformista il 29 Novembre 2023

Il M5S di Giuseppe Conte dice di essere in prima linea contro il sessismo e la violenza sulle donne. Ancora lunedì l’ex premier, reduce dal corteo femminista cui ha partecipato sabato a Perugia con Nicola Fratoianni, rifletteva pensoso e accigliato: “Bisogna lavorare per superare modelli culturali che assolutamente rischiano di rimanere intrinsecamente sopraffattori rispetto alla libertà delle donne, soprattutto rischiano di contenere il germe anche della violenza nei confronti delle donne”. Addirittura, mercoledì scorso, il leader pentastellato si è spinto a dire che “il tema della violenza sulle donne e delle misure di prevenzione il Movimento lo ha affrontato concretamente e da sempre”. Ed è qui che Conte si contraddice. La storia del M5S, a partire proprio dal fondatore Beppe Grillo, è stata contraddistinta da episodi di sessismo e maschilismo. Altro che patriarcato. Forse il caso che fece più notizia risale al 2014. Quando il Blog di Grillo, con un post, attacca violentemente l’allora presidente della Camera Laura Boldrini. “Cosa fareste da soli in auto con la Boldrini?”, scrive il sito del comico con un’allusione che definirla di cattivo gusto è un complimento. A corredo dell’articolo c’è un video su Boldrini. Ma la cosa più scandalosa sono i commenti degli attivisti sotto al post. Una vera e propria marea di insulti sessisti e violenti, non censurati da chi gestiva il Blog, ovvero la Casaleggio Associati. A metterci il carico, dopo la polemica, l’allora capo della comunicazione del M5s al Senato, Claudio Messora, fondatore della web tv ByoBlu, famosa per le sue posizioni complottiste, no vax e filo-Putin. Ecco il tweet di Messora in risposta alle accuse di Boldrini, che aveva sentenziato che “i commentatori sul Blog di Grillo sono potenziali stupratori”: “Cara Laura, volevo tranquillizzarti. Anche se noi del blog di Grillo fossimo tutti potenziali stupratori, … tu non corri nessun rischio!”. Non proprio la dimostrazione di un’attenzione particolare del M5s rispetto al tema della violenza sulle donne.

Ben prima del video del 2021 in cui il comico colpevolizzava la presunta vittima di stupro che accusa il figlio Ciro, il Garante dei Cinque Stelle dava sfoggio di machismo di cattivo gusto. Nel 2001 definisce “vecchia putt…” la premio Nobel Rita Levi Montalcini. Nel 2006, in un post sul Blog intitolato “Il nuovo femminismo”, Grillo sfodera un’altra prodezza: “Le donne non sono mai state così desiderate. Il desiderio maschile cede alla passione che poi cede allo stupro. È da animali, ma è così. La natura fa il suo corso”. E ancora il fondatore, che nel 2012 redarguisce così la consigliera comunale di Bologna Federica Salsi, colpevole di essere andata in tv, ospite di Giovanni Floris a Ballarò: “La tv è il vostro Punto G, quello che ti dà l’orgasmo nei salotti dei talk show”. Se Salsi fosse stata un uomo, sicuramente Grillo avrebbe usato un altro argomento per rimproverare un esponente del suo Movimento. Nel gennaio 2016 Grillo lancia sul web l’hashtag #boschidovesei per attaccare Maria Elena Boschi per la vicenda di Banca Etruria. Hashtag lanciato in rete dal comico con questo tweet allusivo e sessista: “#Boschidovesei in tangenziale con la Pina”. E poi gli attacchi misogini degli utenti del Blog, nel 2018, alla deputata di Forza Italia Matilde Siracusano, bersagliata dopo un video condiviso dal sito di Grillo in cui la parlamentare difendeva Silvio Berlusconi e smontava in Aula il decreto anticorruzione del primo governo Conte. Nel 2014 Matteo Renzi candida alle europee quattro capolista donne. “Quattro Veline”, le apostrofa Grillo. “La scelta è una presa per il culo ma tinta di rosa”, commenta ancora il fondatore dei Cinque Stelle.

Ma sarebbe sbagliato prendersela con il solo fondatore del M5s. Nel 2014 il deputato grillino Massimo De Rosa si rivolge così in commissione alle colleghe del Pd: “Siete qui solo perché avete fatto pomp…”. E l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che in alcuni tweet e post su Facebook risalenti al 2013 parlava così di Daniela Santanché: “Se fossi una donna le sputerei in faccia, con tutti quegli zigomi rifatti”. Tradito dal passato social anche Enrico Esposito, che nel 2018 era vicecapo dell’ufficio legislativo del Mise guidato dall’allora capo politico del M5s Luigi Di Maio. Ecco un tweet a proposito di Micaela Biancofiore, nominata sottosegretaria: “Non c’è modo migliore di onorare le donne mettendo una mignotta in quota rosa”. Hashtag #biancofiore. Esposito si dilettava anche a offendere gli omosessuali, anzi i “ricchioni”, come li chiamava lui. Non bisogna dimenticare la vicenda che coinvolge la deputata del M5s Giulia Sarti nel 2019.

Quando le Iene scoprono che sue foto private sono in giro da anni dopo un hackeraggio che, secondo diverse fonti pentastellate, era stato opera di personaggi interni al Movimento. Un presunto “inside job” che più sessista non si può. Ma il vero numero uno del sessismo in salsa pentastellata è sempre Grillo. Sempre nascosto dietro la scusa della battuta, in uno spettacolo, rivolto alle donne di Forza Italia, dice: “Ora lo psiconano (Berlusconi, ndr) vuole incontrarci: vorrà capire se nel Movimento c’è fica. Ma le nostre donne sono diverse dalle sue, forse non la danno nemmeno ai mariti”. Al netto della volgarità e della considerazione della donna come poco più di un oggetto, colpisce anche la scelta di usare aggettivi possessivi come “nostre” e “sue”, riferiti alle esponenti femminili dei Cinque Stelle e di Forza Italia. Conte parli con Grillo del sessismo del M5S. Giulio Baffetti

Il Bestiario, le Matriarchigne. Le Matriarchigne sono degli animali leggendari che manifestano contro i femminicidi usando violenza contro chi difende la vita. Giovanni Zola il 30 Novembre 2023 su Il Giornale.

Le Matriarchigne sono degli esseri mitologici con problemi collettivi di memoria a breve termine che non ricordano il motivo per il quale sono scese in piazza a manifestare. Escono dai loro rifugi decise a protestare pacificamente contro il femminicidio e quando arrivano in piazza, scordato il loro obiettivo, mettono a fuoco i luoghi di chi difende la vita, come se non avessero già il diritto di scegliere a riguardo della propria maternità. Se non fosse stato per le forze dell’ordine, oggi degli spazi attaccati rimarrebbero poche macerie peggio del PD. Non si tratta di un incidente di percorso, ma di un attacco premeditato di centinaia di leggendari animali mascherati e armati di ordigni incendiari e slogan propri del linguaggio pacifista delle Matriarchigne quali: “I Pro Vita si chiudono col fuoco, ma con i Pro Vita dentro, se no è troppo poco”. Un esempio di civiltà da parte di coloro che deplorano la guerra, i soprusi e l’abbattimento degli orsi problematici del Trentino.

Il movente è stato rivendicato dall’estremiste femministe Matriarchigne con un linguaggio proprio dei peggiori anni ‘70: abbiamo “sanzionato la sede ProVita&Famiglia, espressione del patriarcato becero e anti-scelta. Sui nostri corpi scegliamo noi! In Italia l’accesso all’aborto continua ad essere ostacolato e negato”. La colpa dei difensori della vita e della famiglia, oltre a quella di esistere, è di fare terrorismo psicologico nei confronti delle donne incerte sul da farsi delle loro creature ancora in grembo, per problemi economici e per situazioni sociali problematiche, con l’intento di aiutarle anche economicamente. Gravissimo!

Effettivamente in altri Paesi più civilizzati del nostro, chi si trova in gruppo a pregare davanti alle cliniche che praticano l’aborto con grandi profitti, viene arrestato se si ostina a pregare a voce alta, perché credere a voce alta in pubblico è offensivo e violento, peggio che lanciare bombe molotov, come sostiene la maggior parte dei prelati. Gli stessi che poi si lamentano di avere le chiese vuote.

Evidentemente l’ostilità rabbiosa delle Matriarchigne contro chi difende la vita, non si accontenta dei 40 milioni di aborti ogni anno nel mondo, di cui, se la matematica non ci tradisce, 20 milioni di femmine, e questa volta, concedetelo, non dal patriarcato. Ma da dove nasce tanta rabbia? Forse dall’evidenza scientifica, come dicono quelli bravi, che quella è vita, cioè il cuore inizia a battere dopo il primo mese e chi lo ricorda tocca le coscienze di ciascuno. Se le Matriarchigne fossero certe che ad essere eliminato fosse un grumo di cellule pari a una cisti, non avrebbero nulla da temere da chi sostiene il contrario.

Infine, nell’era del buonismo ad oltranza di cui le Matriarchigne sono solerti sostenitrici, che fino hanno fatto la tolleranza, il dialogo e il volemose bene? Forse ce lo possono spiegare i cugini delle Matriarchigne, quelli che “inaspetatamente” si sono scoperti essere antisemiti. Ma questo è un altro animale leggendario. Di una cosa siamo sicuri. Non si chiederà a tutte le donne, per colpa delle Matriarchigne, di chiedere scusa per essere donne.

Il Bestiario, la Patriarchigna. La Patriarchigna è un animale leggendario che attacca il patriarcato per distruggere la famiglia. Giovanni Zola il 23 Novembre 2023 su Il Giornale.

La Patriarchigna è un essere mitologico, che strumentalizza la violenza omicida sulle donne per imporre la propria ideologia. Per la Patriarchigna il femminicidio, e in generale il male del mondo è causato nel nostro Paese dal patriarcato, come se negli uomini bianchi e occidentali vi sia iscritto il Dna culturale che permette ai maschi di giustificare qualsiasi tipo di sopruso nei confronti del mondo femminile. Insomma è “la legge del padre, la legge dell’uomo che vuole stabilire le regole e chi non si adegua, cioè le donne che non si adeguano a quelle regole, possono essere anche maltrattate. Questo è il patriarcato", secondo la definizione della leggendaria Boldrigna.

La Patriarchigna ha ragione su un aspetto. Si tratta di un problema culturale. La stessa Patrirchigna infatti ha collaborato con tutte le sue armi a disposizione a distruggere culturalmente e non solo il concetto di famiglia. Ed è questa demolizione che ha indebolito al midollo la personalità psicologica dei nostri figli, quegli esseri semi sconosciuti che vagano in casa bombardati dalla cultura dominante del relativismo assoluto. La vera verità che ormai si può affermare a voce molto bassa è che dove non c’è la famiglia non c’è crescita emotiva sana. Il danno non è opera delle regole del patriarcato, ma delle non regole della famiglia.

La famiglia è stata stigmatizzata, tanto che per intendersi, occorre parlare di “famiglia tradizionale” per non offendere le altre tipologie di unioni civili. La famiglia è stata distrutta economicamente. Occorre lavorare in due, non per scelta, per necessità. Chi non ricorda le vacanze estive di tre mesi con la mamma, mentre il “patriarca” lavorava a giugno e luglio raggiungendoci nei weekend. Chi oggi si può permettere una casa di proprietà senza indebitarsi e cosa potremo dare ai nostri figli per costruire un futuro?

La famiglia è stata distrutta culturalmente. Tutto è possibile, per genitori e figli. Ogni desiderio è concesso. Avere una famiglia, avere due famiglie, avere figli con donne o uomini diversi, scoprire di non essere più attratti dal sesso opposto, comprare figli o sposarsi con un albero. Tutto questo è concesso, anzi sponsorizzato dalla Patriarchigna che ora lamenta l’instabilità affettiva dei figli. Il male moderno è nato dal far credere di poter essere e ottenere tutto ciò che si desidera creando una frustrazione che si trasforma in violenza quando l'istinto non trova soddisfazione. Gli argini a tale deriva erano eretti dalla famiglia che per quanto imperfetta, come tutte le famiglie, c’era, resisteva ed educava.

Ora l’aspetto educativo è appaltato alla scuola. Una volta, di fianco alla famiglia, c’era l’ora di religione cristiana cattolica nella quale s’insegnava il significato dei dieci comandamenti, del sacrificio dell’uomo in imitazione di Cristo e la sacralità della vita. Oggi, grazie alla Patriarchigna, alla stessa ora si discute del diritto di andare nei bagni del sesso opposto.

Estratto dell’articolo di Marcello Veneziani per “la Verità” martedì 28 novembre 2023.

[…] Il populismo torna a pulsare anche da noi in forme variabili, come si addice a una creatura polimorfa e mutante. […] A sinistra non vogliono vederlo ma i tratti essenziali del populismo si ritrovano non solo nel populismo grillino, e nella sua battaglia sul reddito di cittadinanza e nella logica aberrante dell’uno vale uno; ma anche nell’ecologismo e nell’ideologia di mobilitazione popolare nel nome del pianeta da salvare e del popolo verde di Greta. Il pianeta salvato dai ragazzini è un’utopia populista.

[…] Il 25 novembre scorso è stato consacrato un populismo nuovo, anche se ha quasi sessant’anni: è quello femminista, che assegna alle donne il ruolo di vittime, giustiziere e portatrici di diritti, affibbiando invece ai maschi il ruolo di potenziali colpevoli, da sorvegliare, punire e rieducare, portatori di doveri e mea culpa. Il nuovo femminismo sostiene che il cambiamento potrà avvenire solo con la militanza di massa e la mobilitazione popolare.

L’idea assurda che i crimini di alcuni squilibrati, frutto di una società nichilista ed individualista, fondata sui desideri illimitati e su una famiglia ormai disgregata, debbano ricadere sull’intera collettività e sull’intera storia dei rapporti tra uomo e donna e che si debba risolvere sul piano politico, generale, educativo quel che sorge invece sul piano individuale, patologico e ossessivo, è una forma di populismo.

Il Popolo delle donne contro il Potere dei Maschi. Le piazze e i cortei, le mobilitazioni generali, la marea fucsia del femminismo, fiancheggiate dai corpi speciali di omotrans e queer, più i maschi che si vergognano di essere tali e le avanguardie isteriche dell’oltranzismo, sono la nuova forma di populismo radicale, fanatico, manicheo. 

Il populismo femminista si fonda sulla manipolazione della realtà: da un fatto reale, un episodio di violenza o un femminicidio, e da una statistica, si passa a universalizzare il tema per demolire da un verso la famiglia naturale e tradizionale e dall’altro contrapporre il popolo delle donne all’etnia dei maschi che non rinnegano la loro natura e la storia da cui provengono, in una nuova lotta di classe che è lotta di genere.

Del tutto rimosso e silenziato è il contrasto tra il populismo femminista e la massiccia presenza di migranti che mantengono il predominio maschile e la sottomissione della donna. Anche in queste forme pseudoprogressiste emergono i tratti negativi del populismo: semplificazione, generalizzazione, radicalizzazione, più tanta retorica e demagogia. […]

Il vero femminismo non odiava i maschi. Non mi aspettavo che il femminismo ci avrebbe condotti a questo e penso che tale conflitto tra i sessi non sia che una deriva. Vittorio Feltri il 24 Novembre 2023 su Il Giornale.

Dott. Feltri,

sono un giovane uomo che sta assistendo con costernazione e sgomento alla quotidiana incriminazione dell'intero genere maschile. Non nego di essere anche preoccupato per questo clima di caccia alle streghe invertito. Non vorrei apparire esagerato e non vorrei neppure che queste mie parole suonassero come una provocazione, non lo vogliono essere, ma penso che in questa fase storica siano gli uomini ad essere discriminati. Basti considerare che nelle piazze e nelle strade, nei cortei e nelle manifestazioni, in questi giorni non sono stati urlati semplicemente slogan a sostegno delle donne bensì slogan contro i maschi, maschi violentatori, maschi assassini, maschi molestatori, maschi che controllano, che perseguitano, che stuprano. Però questa non è che una minoranza, la peggiore, del nostro genere. Fare credere che siamo tutti criminali è diffamatorio, insultante, doloroso, lesivo della nostra dignità e dei nostri diritti.

Abbiamo inaugurato la guerra al maschio. Eppure in questo caso non si parla di sessismo, di pregiudizio di genere o di violenza di genere. Lei cosa ne pensa? Luca Romano

Caro Luca,

sei uno dei tanti uomini che in questo periodo mi scrivono pensieri di questo tipo, uomini che si sentono ingiustamente etichettati come delinquenti, che vengono redarguiti dall'opinione pubblica, dai media, dalle donne, che avvertono di essere percepiti come sbagliati soltanto perché maschi. Non mi aspettavo che il femminismo ci avrebbe condotti a questo e penso che tale conflitto tra i sessi non sia che una deriva, una stortura, una deformazione del femminismo stesso, che da lotta per l'effettiva parità si è trasformato in una lotta al genere maschile. Il preconcetto si è già imposto. Se un ragazzo fa un complimento, è un molestatore; se dice alla sua donna «sei mia», è un potenziale assassino che considera la femmina una sua proprietà; se scrive un banale sms alla sua fidanzata chiedendole «dove sei?», ecco che viene ritenuto un pericoloso maniaco del controllo. Forse dell'educazione sentimentale e affettiva avremmo bisogno tutti, uomini e donne, adolescenti e adulti, dato che queste schizofrenie ormai sono insite nella società. Eppure il femminismo è stata la più grande rivoluzione del secolo scorso, le donne esprimevano forza, desiderio di affermazione, di emancipazione, di parità rispetto al maschio. Era un femminismo carico di valori e di dignità quello del Novecento. Ne sono venute fuori donne gigantesche, una di loro fu mia amica, Oriana Fallaci. Quando la chiamavo «uoma», per scherzare, lei se la prendeva, rivendicava il suo essere femmina, amava l'essere donna. E questo suo femminismo non l'ha mai spinta a scagliarsi contro il maschio, a vedere in ogni uomo un nemico, anzi, ella stringeva amicizia con i maschi, li riteneva complici, amici, fratelli. Non nego che alcuni abbiano provato invidia nei confronti di Oriana, come del resto le altre donne e colleghe. Quindi non ne farei una questione di genere.

E poi un giorno mi sono accorto che non dibattevamo più di grandi temi, che l'universo femminile era passato dalla lotta per i diritti alla lotta per le vocali. E ora dalla lotta per le vocali alla guerra fratricida al maschio. Comprendo il tuo terrore, la tua preoccupazione, il tuo sgomento. Cosa direbbero le donne se scendessimo in piazza ad urlare insulti che fanno di tutta un'erba un fascio, che pongono tutte sullo stesso livello, che bollano tutte le donne in una certa maniera. Sarebbe uno scandalo. Sarebbe uno scandalo se per le azioni di poche, fossero anche 200, o 1000 le colpevoli di qualcosa, noi discutessimo di «femminilità tossica».

Non amo le generalizzazioni in quanto conducono ad una lettura falsata della realtà e producono ingiustizia.

Non penso che viviamo in una società ostile alle donne, oppressa dal dominio del maschio, in cui le donne debbano vivere in quella paura che ci rimproverano di provare, come se fossimo orchi pronti ad aggredirle. Certo, ancora tanto c'è da compiere per raggiungere una eguaglianza che sia reale, ma tanti passi, enormi passi, sono stati compiuti, tanto è vero che all'interno delle istituzioni, anche quelle europee, non soltanto italiane, primeggiano le signore, come Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo. Le donne comandano, decidono, rivestono ruoli apicali. L'Ue è un organismo sovranazionale guidato dalle donne.

Dove sta questa misoginia? Dove?

Quei bravi ragazzi. La lezione di Montanelli su come combattere la violenza di genere senza fanatismi. Cataldo Intrieri su L'Inkiesta il 27 Novembre 2023

Nelll’Italia degli anni Sessanta, il grande giornalista descritto come «patriarcale» criticò il codice penale fascista vigente, sostenendo Franca Viola nel suo rifiuto di accettare un matrimonio riparatore dopo essere stata violentata, Un approccio non ideologico, ma finalizzato a ottenere risultati concreti per le donne

Migliaia di donne hanno manifestato a Roma Sfilano per protestare contro la violenza di genere, contro la prevaricazione degli uomini, contro una concezione proprietaria e sopraffatrice delle relazioni personali. Ottima iniziativa, cui si aggiungono molti uomini ansiosi di espiare la colpa di appartenere al loro sesso, che secondo alcune teorie femministe espresse anche in modi pittoreschi, porterebbe in sé i germi di una connaturata ferocia verso il genere femminile. Sembra che dalla meritoria iniziativa sia esclusa ogni menzione delle violenze subite il 7 ottobre dalle donne israeliane stuprate e ammazzate dai terroristi Hamas, rimosse da ogni memoria e che hanno indotto una studiosa israeliana, Tamar Herzig, a denunciare, sul silenzio intorno a questa violenza «la volontà delle attiviste e delle organizzazioni femministe di abbandonare quello che era considerato il sacrosanto motto del #MeToo, ovvero “Io ti credo”».

Herzig accusa la deliberata spietata rimozione della tragedia che ha colpito le donne vittime del pogrom del 7 ottobre e che è arrivata a negare addirittura l’esistenza di quegli stupri e omicidi, così come le immagini di arti spezzati, membra insanguinate, di donne trascinate per i capelli dai terroristi di Hamas a cui si è espressa poi solidarietà come vittime di genocidio.

Chissà se è lecito in questo clima, per un pover’uomo esprimere solidarietà anche ad Herzig e a tutte le donne israeliane vittime di una violenza maschile altrettanto bruta e ottusa che meriterebbe una altrettanto dura condanna che non si è sentita a Roma e prima ancora. Chissà se è consentito in mezzo a tanti maschi penitenti che si battono affranti il petto, scusandosi di esistere, ricordare Indro Montanelli, uomo conservatore messo all’indice dopo aver raccontato di essersi comprato una moglie quindicenne nell’Africa dell’impero fascista e un suo memorabile articolo, ripubblicato su Sette, in cui raccontava all’Italia del 1965 il caso di Franca Viola.

Era una ragazza di Alcamo, nel sud più profondo e arretrato, rapita e violentata dal rampollo di una famiglia rispettata del posto. Il codice penale dell’epoca prevedeva una discriminante in caso di matrimonio graziosamente offerto dallo stupratore a rimedio del suo torto. Un uso frequente nell’arretrata società meridionale (e non solo) dell’epoca. Era l’espressione di una consuetudine, di un costume, di quelle regole per cui la stragrande maggioranza dei matrimoni, venivano “combinati” dalle famiglie, quando andava di lusso alle donne, sennò ove avessero voluto scegliere, c’era pure il rischio di essere violentate e costrette comunque a subire un’unione indesiderata con lo stupratore, pena il disonore. Franca Viola disse di no e denunciò il mascalzone che l’aveva violentata: al suo fianco il padre, umile contadino capace di ribellarsi pure lui, trascinato dall’eroismo di Franca.

Ecco Montanelli, uomo certamente «patriarcale» come bene lo descrisse la sua compagna Colette Rosselli, una che come giornalista donna si occupava di posta del cuore con lo pseudonimo di Donna Letizia, si schierò senza esitazioni non solo contro il violento, ma contro il codice penale fascista che contemplava allora norme vergognose come il matrimonio riparatore, il delitto d’onore e l’adulterio femminile che puniva solo il tradimento di lei e strizzava l’occhio all’uomo “cacciatore”.

Scriveva Montanelli che «Franca Viola e suo padre non hanno detto di no solo a Filippo Melodia (il rapitore). Hanno detto no a tutto un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina. Hanno detto no a un onore confuso mussulmanescamente col sesso. Hanno detto no al diritto di strappare il consenso della donna con la violenza, hanno detto che lo stupro non è un surrogato dell’amore…hanno detto no a tutti i tabù e feticci che fanno da pilastro a queste arcaiche società». Egli incitò i giudici siciliani ad avere coraggio e condannare i violenti, come avvenne. Questo articolo lo scriveva all’Italia degli anni Sessanta che leggeva il Corriere della Sera, il paese benpensante e patriarcale che cercava ordine e morale. Ci voleva coraggio anche per scrivere queste cose e Montanelli lo ebbe.

Sia consentito a chi prova come uomo orrore per la violenza, a un uomo come tanti, coi suoi difetti e contraddizioni ribadire che se esiste la violenza di genere, la violenza sulle donne non è una colpa di genere, non è un marchio di infamia che discrimina milioni di maschi. E va ribadito che il fanatismo ideologico mascherato da intransigenza, qualunque siano i motivi che lo muovono, quello che condanna, isola e non distingue è solo puro veleno che non aiuta e non serve alla causa dei diritti.

Franca Viola e quel sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina. Indro Montanelli su Il Corriere della Sera martedì 28 novembre 2023.

La ragazza di Alcamo e suo padre non hanno detto di no soltanto all’ex fidanzato che l’ha rapita e violentata. Hanno detto di no a tutto un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina...

Gran parte delle firme storiche del Corriere della Sera hanno scritto articoli che fanno parte della storia di questo giornale e del Paese. Dal numero di «7» in edicola il 24 novembre, vi proponiamo questo di Indro Montanelli, che apparve sul quotidiano 14 dicembre 1966. Buona lettura

Una grande occasione si presenta ai magistrati del tribunale di Trapani, dove si svolge il processo contro Filippo Melodia e i suoi undici complici (che poi si rivelarono essere 12 ndr ), accusati di ratto e di violenza ai danni della diciottenne Franca Viola.

I lettori saranno certamente al corrente dei fatti. Franca aveva rifiutato le profferte matrimoniali di Filippo, perché innamorata di un altro giovane. Forse considerandosi leso nel suo «onore» di maschio, Filippo non si era rassegnato e aveva dato inizio a una serie di persecuzioni contro il padre della ragazza. Costui fu bersagliato da minacce di morte e, siccome non se ne lasciò intimidire, dovette subire l’incendio di una casa colonica, il taglio di un vigneto, il saccheggio di un orto: insomma la quasi totale distruzione del suo piccolo patrimonio terriero.

Tutti, naturalmente, lì ad Alcamo, sapevano chi era il responsabile di quei misfatti. Ma nessuno era disposto a fornirne testimonianza ai carabinieri che lo sapevano anch’essi ma che, senza elementi di prova, non potevano agire. Grazie a questa omertà, i Viola erano quindi alla mercè del malvivente. E tuttavia insisterono nel loro «no». L’unico a cedere fu il fidanzato, che si ritirò in buon ordine da quella contesa, non si sa se per risparmiare più gravi pericoli a Franca o per sottrarvisi lui stesso.

QUALCUNO HA DETTO CHE L’OMERTÀ È IMPOSTA DALLA MAFIA MA STAVOLTA NON È COSÌ

Visto tuttavia che anche dopo questa diserzione la ragazza e la sua famiglia si ostinavano nel rifiuto, Filippo passò ai metodi di don Rodrigo di cui, a distanza di tre secoli, si rivela coetaneo. Una sera si presentò alla casa dei Viola con undici compari che ne scardinarono la porta. La strada, fino a quel momento animatissima, si fece di colpo deserta, e nessuno naturalmente vide i dodici delinquenti che trascinavano Franca, la caricavano su una delle due automobili che sostavano all’angolo, e partivano a tutta velocità, invano inseguiti dalla madre e dal fratellino urlanti e in lacrime. Nascosta in un cascinale, per sei giorni la rapita bravamente resistette alle minacce e alle sevizie. Poi, stremata dalla stanchezza e dai digiuni, dovette rassegnarsi a ripagare col suo «onore» l’offesa recata a quello del Melodia. Il quale, avendolo in tal modo restaurato, volle darne una convincente prova, riportando a casa la sventurata e dichiarando al padre ch’era pronto a sposarla.

In certo entroterra siciliano, rimasto sin qui inaccessibile al mondo moderno, alla ragazza «disonorata» non resta che il matrimonio con chi l’ha ridotta in questa condizione. Tant’è vero che se costui vi si sottrae, quasi sempre paga con la vita. Perciò il Melodia, più che indignato, dovett’essere sbalordito e sbigottito nel sentirsi rispondere ancora una volta di no. E con lui lo fu di certo tutta Alcamo, compattamente schierata col Melodia e i suoi complici dacché costoro, denunziati ai carabinieri dalla vittima e da suo padre, sono finiti in prigione. Bersagliata di lettere anonime che annunziano prossima la vendetta, la famiglia Viola vive asserragliata in casa sotto la protezione della forza pubblica, che scorta l’uomo e la ragazza quando in treno devono recarsi a Trapani per le udienze del processo.

LA POSTA IN GIOCO E’ GROSSA E SPERIAMO CHE LA SENTENZA CONDANNI QUESTA MENTALITA’

Qualcuno ha detto che questa omertà è imposta dalla mafia, che in Alcamo ha una delle sue più munite roccheforti, e di cui il Melodia sarebbe un caperonzolo. Ma noi crediamo che stavolta la mafia non c’entri, o c’entri solo per marginale incidenza. Ciò che cementa tutta la popolazione di quella cittadina - non tanto «ma», perché conta circa cinquantamila abitanti - in un fronte unico di solidarietà coi delinquenti, è qualcosa di più profondo: la difesa di una mentalità, di una moralità, in una parola di un costume medioevalesco, che può sopravvivere solo sulla supina accettazione di tutti.

Franca Viola e suo padre non hanno detto di no soltanto a Filippo Melodia. Hanno detto di no a tutto un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina. Hanno detto di no a un «onore» confuso musulmanescamente col sesso. Hanno detto di no al diritto dell’uomo di strappare il consenso della donna con la violenza e di renderlo definitivo col matrimonio. Hanno detto che lo stupro non è un surrogato dell’amore, e insozza non chi lo subisce, ma chi l0 commette. Insomma hanno detto di no a tutti i tabù e feticci che fanno da pilastro a queste arcaiche società. Di qui la massiccia e corale, reazione, cui forse collaborerà anche la mafia, particolarmente interessata al mantenimento di certe strutture. Ma il pogrom contro i Viola attinge a motivi molto più lontani. Attinge allo stesso spirito di conservazione di un costume che dal gesto di dissidenza di Franca e di suo padre si vede mortalmente minacciato.

Ecco perché, dicevo, ai giudici del tribunale di Trapani si presenta una grande occasione, e speriamo che non la perdano. Noi non sappiamo quali castighi la legge predisponga per simili reati. Ma ci auguriamo di tutto cuore che, per quanto armata di eloquenza e di cavilli, la difesa non riesca a ottenere né il riconoscimento di un alibi, né la concessione di un’attenuante. La posta in giuoco è grossa, va al di là del «caso» e dei suoi protagonisti. Noi contiamo che da questo processo venga fuori una sentenza che non si limiti a punire il delinquente, ma che anche condanni in maniera esemplare tutti coloro che se ne sono fatti complici, materiali o morali, la mentalità ch’essi incarnano.

Sappiamo benissimo che l’opinione pubblica di Alcamo cercherà di esercitare il peso di un ricatto sui magistrati di Trapani. Ma anche costoro sappiano che una coscienza molto più vasta, quella di tutto il resto d’Italia, è al contrario schierata compattamente con Franca, e la considera un’autentica eroina, qual è.

Non abbiamo nessuna qualifica per lanciarne la proposta. Ma secondo noi sarebbe molto bello che a processo concluso - se si concluderà come tutti auspichiamo - questa ragazza e suo padre ricevessero un attestato del loro coraggio morale e civile. Sarebbe il giusto contrappeso a tutti i soprusi e le vessazioni ch’essi hanno subito e subiscono dai loro compaesani, e il pubblico riconoscimento che alla Sicilia dei Melodia si contrappone quella dei Viola: ammirevole questa, quanto quella è spregevole.

Se la violenza è femminista allora va bene. Matteo Carnieletto il 26 Novembre 2023 su Il Giornale. Da Non una di meno che attacca la sede di Pro Vita alle femministe che propongono esempi di rabbia per le donne

Le femministe di Non una di meno, durante la manifestazione contro la violenza sulle donne che si è tenuta ieri a Roma, hanno assaltato la sede di Pro Vita. Gli slogan “fucsia” erano quelli di sempre: fascisti, carogne, bastardi. Indirizzati tanto ai poliziotti quanto all’associazione pro life.

Il bambino dipinto all’ingresso della sede ha fatto impazzire le femministe. E non poteva essere diversamente. È proprio quell’esserino, che loro considerano un grumo di cellule, a ricordare alle femministe che non sono regine assolute, cioè senza legami. No, ne hanno uno, fatto di cellule e sangue, il cordone ombelicale, che le lega al figlio che possono accogliere o ammazzare. Sta a loro decidere. Se ferire e ferirsi, perché l’aborto lascia sempre un dolore indicibile in chi lo compie. Oppure accettare quel mistero che è la capacità di accogliere la vita che hanno in grembo. È, quello di Non una di meno, il nuovo femminismo, talvolta violento, non solo a parole ma anche nelle azioni, che viene esaltato dai giornali progressisti. Come se esistesse una violenza buona, quella femminista, e una cattiva, quella maschile. La prima è lecita, la seconda invece no.

Nelle scorse settimane, per esempio, Repubblica ha proposto alcuni modelli femminili per le donne di oggi. Modelli di rabbia, “un’emozione a lungo messa tacere”. Del resto, spiega l’autrice dell’articolo, Nadia Terranova, “la rabbia delle donne somiglia a un’esplosione, a un’eruzione vulcanica. Irrompe e squarcia, distrugge e terrorizza. (...) La rabbia delle donne non regna, anzi: distrugge”. È l'elogio della rabbia. Delle emozioni viste come un qualcosa che non si può governare. Non è così, ovviamente. Anche perché l’ira è una passione che, come tutte le altre, va dominata. Indipendemente dal sesso. È proprio l’“ira di Achille”, cantata nell’Iliade, che porta con sé morte e distruzione. Per Omero non è quello il modello maschile da seguire. È certamente un esempio tragico e affascinante. Ma l’uomo vero, quello completo, di questo poema epico è un altro: Ettore. Il “piè veloce” è colui che annienta tutto, che non ha rispetto per i morti e che, pur desiderando l’immortalità in battaglia, muore in modo sciocco: colpito dal pavido Paride. Il principe troiano, invece, combatte e muore da eroe. E tutti provano un senso di vergogna e ingiustizia di fronte allo scempio che Achille fa del corpo di Ettore. Lo odiano. Odiano la sua ira. La sua hybris, che sfida la pietà.

Gli esempi che cita Repubblica sono esempi di rabbia "buona". Come le Erinni, incredibili furie che possiedono Medea, la quale ucciderà il suo stesso figlio. Un infanticidio, considerata l’età del bambino. O un aborto, se proviamo a leggere la tragedia in senso allegorico. Le Erinni rappresentano la vendetta, che è cieca, e solo quando vengono placate diventano Eumenidi, portatrici di giustizia. E ancora. L’esempio di Scilla e Cariddi. Per la Terranova, sono “ninfe diventate mostri, punite per superbia e per gola, ovvero rispettivamente per aver rifiutato un pretendente sgradito e per aver mangiato per sbaglio i buoi di Gerione”. Quella del pretendente sgradito è solo una delle versioni. Un’altra, invece, quella di Servio, afferma che Scilla sarebbe stata tramutata in mostro a causa della gelosia di Anfitrite, sposa di Poseidone. Si tratterebbe quindi di una vendetta tra donne. Lo stesso scenario dell’altro esempio citato da Repubblica: Uma Thurman in Kill Bill. Anche lei, come le Erinni e Anfitrite, cerca vendetta. Ammazza tutti. Uomini e donne. Un esempio di violenza, dunque. Che però viene accettato senza problemi e, anzi, proposto ai lettori.

Scrive la Terranova: “La rabbia è uscita dalla mitologia ed è diventata organica, uno strumento di resistenza quotidiana attraverso la denuncia virale”. È vero, purtroppo. È la rabbia che si mette alla ricerca di modelli simili. Perché la rabbia delle femministe di Non una di meno è come quella delle Erinni. È una violenza che tutto annienta. È la stessa violenza di chi, di fronte a una donna ammazzata da un uomo, dice che siamo tutti colpevoli, puntando il dito contro il patriarcato. È la stessa violenza di chi predica odio nei confronti dell’altro sesso, visto (a torto) come prevaricatore. È la stessa violenza che prima era la lotta di classe e che ora è diventata lotta di genere. Una prospettiva che annienta ogni alleanza tra uomini e donne. E che fa male a tutti. Donne comprese.

Dirotta su Gaza. Se il femminismo in Italia è in questo stato non è solo colpa di “Non una di meno”. Carmelo Palma su L'Inkiesta il 29 Novembre 2023

Dov’erano i partiti quando nella piattaforma politica del corteo di sabato contro la violenza sulle donne è stato inserito il no al Ponte sullo Stretto invece delle israeliane che hanno subito sevizie nel pogrom del 7 ottobre?

C’è da credere che la gran parte delle donne e degli uomini, giovani e meno giovani, che hanno partecipato alla manifestazione di sabato scorso «per Giulia e le altre donne vittime di violenza» non solo non condividessero, ma neppure conoscessero la piattaforma politica delle organizzatrici di “Non una di meno“, che hanno programmaticamente dirottato la piazza su Gaza e sul «genocidio in corso del popolo palestinese».

C’è però anche da credere che la grandissima parte delle donne e degli uomini, che hanno voluto partecipare a quell’happening di festa e di rabbia, abbiano risposto a un bisogno di presenza e di (auto)riconoscimento, che sarebbe troppo severo considerare gregario, ma sarebbe al contempo troppo generoso considerare politicamente alternativo a quello della piazza ufficialmente antisionista.

Certo non si poteva pensare che, tra quelle centinaia di migliaia di persone, i manifestanti indifferenti e ignari dalla piega grottesca data a una manifestazione «per Giulia» fossero capaci di contendere la questione femminista al monopolio ideologico intersezionalista, che riduce ogni conflitto di potere, compreso quello tra i sessi, a una forma di lotta di classe multilevel e quindi non si accende né di indignazione né di interesse verso ogni patriarcato tribale o barbarico che non sia giunto alla compiuta maturità capitalistico-borghese del «conquista e distruggi», e non abbia dispiegato fino in fondo il suo potenziale spregevolmente coloniale.

Questo spiega perché “Non una di meno” abbia ritenuto di non sprecare parole per il pogrom del 7 novembre e per le sevizie subite dalle donne israeliane – violentate, assassinate, vilipese, smembrate ed esibite come reliquie della sacra mattanza di Hamas – ma abbia ritenuto di allargare la polemica alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, punto di fatale coincidenza tra (si cita testualmente) la «lotta transfemminista intersezionale» e la «lotta ecologista e per la difesa dei territori».

Se l’egemonia culturale è la capacità di dirigere il discorso pubblico pur senza rappresentare maggioranze sociali, quella di “Non una di meno” è stata un’operazione di indubbio successo, non solo per la partecipazione di massa alla manifestazione, ma per l’assenza in quella piazza di una vera alternativa culturale e politica alla proposta dalle organizzatrici.

Del resto, come lo si poteva pretendere dalle centinaia di migliaia di convocate e convocati, trascinati dall’emozione di un caso di cronaca, dal tam tam della sua mediatizzazione voyeuristica e da un bisogno di protagonismo facile, poco compromettente e rigorosamente apolitico, come hanno raccomandato le organizzatrici per rendere quella piazza ancora più grande e più anonima?

Una maggiore consapevolezza e un più doveroso coraggio si sarebbe però potuto pretendere da tutti i partiti che hanno aderito alla manifestazione (PD, Sinistra Italiana, Verdi, Più Europa, Movimento 5 Stelle) e vi si sono immersi in una sorta di protettiva invisibilità, guardandosi bene sia dal contestare che dal condividere la sua piattaforma. Una scelta parassitaria e rinunciataria che dice molto della debolezza di quel che rimane del pensiero femminista della sinistra, fuori da quel settarismo ideologico che domina negli apparati culturali e mediatici del deep state artistico-letterario e giornalistico.

Se pure può apparire più coerente, anche la scelta di chiamarsi fuori da quella piazza, per non farsene intendenza, rappresenta però un vuoto di alternativa, quando non, come nel caso dei partiti sovranisti, una scelta per così dire  contro-parassitaria per lucrare comodamente sulle contraddizioni, un po’ mostruose e un po’ ridicole, di un femminismo quarto-internazionalista di permanenti rivoluzioni immaginarie.

Peraltro, se si può accusare il femminismo woke di non essersi accorto, ad esempio, di “Donna, Vita e Libertà”, non si può certo assolvere chi si è limitato sul punto a muovere un’accusa agli altri, senza neppure immaginare una mobilitazione politico-culturale e senza darsi da fare in proprio per la bisogna. Troppo facile, anche questo.

Alle manifestazioni contro il regime degli ayatollah, nel pieno della repressione, c’erano solo qualche decina di militanti del Partito Radicale transnazionale e basta, come ammetteva onestamente e dolorosamente Concita Di Gregorio. Sono quelle piazze vuote dei mesi scorsi e quei silenzi nella piazza piena di sabato la fotografia dello stato della politica femminista in Italia.

Il femminismo sputa sulle donne israeliane: in piazza commedia pro-Hamas e ironia su ostaggi “usciti da casa di riposo”. Andrea Venanzoni su Il Riformista il 28 Novembre 2023

L’assente ha sempre ragione, scriveva Giuseppe Pontiggia.

E nel dipanarsi carnevalesco e arrabbiato, caotico, punteggiato di vetero-slogan e fumogeni, dei cortei femministi per le principali piazze d’Italia si è scorta la fisionomia di un fantasma, di una assenza celata nell’oscuro cattiverio della coscienza sporca e che pure ha ragione da vendere, nonostante le femministe intersezionali: le donne israeliane.

Figlie di un Dio minore, un po’ meno donne delle altre, le israeliane brutalizzate, violentate, ammazzate nei modi più crudeli o rapite e condotte a Gaza, esibite sulle jeep come trofei, fatte circolare a beneficio di una piazza con la bava alla bocca, sono semplicemente scomparse.

L’aria che sarebbe tirata la si era capita sin da subito.

Bastava leggere il pessimo comunicato, pessimo nella sostanza e nell’italiano sbilenco, con cui Non una di meno aveva riassunto e anticipato la piattaforma concettuale dei grandi cortei, a partire da quello romano: uno stortignaccolo e funambolico equilibrismo sulla corda che separa oscenità terzomondista da pregiudizio ideologico, assemblando patriarcato, violenza contro le donne, a partire dal caso della povera Giulia Cecchettin, per finire, attraverso qualche lovecraftiano gorgo-spazio temporale, col condannare Israele, Stato genocida per eccellenza secondo le filosofe crepuscolari di Non una di meno.

Hanno smesso di sputare su Hegel, come suggeriva la Lonzi, ed evidentemente hanno preferito iniziare a sputare su Israele e su quelle donne che Hamas ci ha tenuto a immortalare, in un delirio social da mostra delle atrocità, con pantaloni inzuppati del loro stesso sangue in corrispondenza degli organi genitali, coi tendini recisi per non farle scappare, come si sarebbe fatto in epoche passate con gli schiavi, stuprate una, cinque, dieci volte, prese per i capelli e trascinate in un moto di dominio primitivo.

A Roma, a Torino, a Milano, il movimento femminista si è spaccato, prevedibilmente, con una fetta di intellettuali e di femministe, anche storiche, che non hanno voluto assecondare questa deriva psicotica e rullante, nutrita a colpi di complessità e di fucile, quello di Hamas, coi suoi silenzi, le sue reticenze, e il suo oblio.

E mentre a Roma, il corteo finiva per cercare di smottare la sede di Pro Vita & Famiglia, le cui idee forse, la butto qui, sarebbe il caso di contrastare sul piano delle idee e non su quello della tentata devastazione fisica, lo spettacolo più indegno ma a modo suo coerente ci è giunto da Milano.

Qui, in piazza Castello, in un appuntamento pro-palestinese, pur scisso dal precedente corteo femminista, è andata in onda la peggiore retorica anti-israeliana, rimandata in tutto il suo fulgore dal video di una militante col volto travisato dalla kefiah e dalla bollente retorica sarcastica, alle cui spalle garrivano le bandiere palestinesi e annuivano i patriarchi della militanza pro-palestinese, a partire da Mohammed Hannoun, noto ai servizi di intelligence mondiali come finanziatore di Hamas e che noi in Italia facciamo scorrazzare come fosse il figlio di Foucault.

La stand-up comedian pro-Hamas ha pensato bene di irridere gli ostaggi israeliani appena rilasciati, definiti a monte ‘prigionieri di guerra’ e poi ‘usciti da una casa di riposo’.

Donna violentata, uccisa e fatta a pezzi da Hamas, l’orrore del 7 ottobre: “Terroristi si lanciavano corpo mutilato”

E giù di glorificazione in glorificazione dei guerriglieri di Hamas, sempre col volto celato, roba che se un pensionato durante un corteo in una giornata gelida si tira poco su lo scaldacollo i poliziotti lo fermano per violazione del TULPS e qui invece niente.

Nonostante oggi le femministe intersezionali si affrettino a far rilevare come quell’appuntamento non fosse inserito nella loro agenda di mobilitazione, verrebbe da chiedere loro perché prendano le distanze, visto che quella retorica è esattamente la stessa retorica che dimentica le donne israeliane e definisce Israele uno Stato genocida. D’altronde anche a Roma, alcune femministe, kefiah al collo, intervistate per via hanno sostenuto che non si hanno prove certe che siano avvenute violenze contro le donne israeliane.

Negare, negare sempre, come facevano durante i processi, negli anni settanta, quelli che le loro madri combattevano. Andrea Venanzoni

Le donne israeliane: «Stuprate, picchiate. E il mondo tace». Storia di Fiammetta Martegani, Tel Aviv su Avvenire il 28 novembre 2023

«Alla vigilia del 25 novembre ci siamo dette che non potevamo aspettare un giorno in più. Era necessario far sentire la nostra voce, la voce delle donne israeliane sopravvissute al massacro del 7 ottobre. E di tutte coloro che, purtroppo, non ce l’hanno fatta».

Sono le parole di Liron Kroll, direttrice creativa della campagna #MeToo_Unless Ur_A_Jew (“MeToo, a meno che tu sia ebrea), organizzata in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita nel 1999 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Proprio grazie alla sua professione di direttore artistico, Liron si è attivata fin dal 7 ottobre nell’aiutare chi è stato più colpito dal massacro di Hamas, a partire delle famiglie degli ostaggi.

«Molte di loro sono donne: madri, figlie, nonne – ci racconta –. E la loro pena è doppia. Non solo per quello che hanno subìto durante quel Sabato Nero, ma anche perché a questo dolore si aggiunge il silenzio del mondo: il fatto che quel dolore non venga riconosciuto all’estero. Che non venga addirittura riconosciuto dall’Onu e da quei gruppi femministi che il 25 novembre sfilavano per le strade delle capitali europee e americane».

Sono trascorsi ormai più di 50 giorni dal 7 ottobre, giorno in cui Hamas, nel commettere il più grande massacro nella storia di Israele, si è macchiato anche di gravissimi crimini e violenze sessuali nei confronti delle donne. Israeliane soprattutto. Ma non solo israeliane: sono, infatti, 28 le nazionalità tra i 239 ostaggi che sono stati rapiti nella Striscia.

Eppure, fuori da Israele, permane una riluttanza nel denunciare le atrocità commesse dal gruppo terrorista nei confronti delle donne. E questo anche se il gruppo Hamas abbia fornito prove fin troppo evidenti delle atrocità di cui si è reso protagonista pubblicando in tempo reale i filmati delle giovani rapite, fatte sfilare per Gaza picchiate, ferite, umiliate, violentate, molte con i pantaloni insanguinati.

Il silenzio caratterizza persino quelle attiviste dedite proprio alla difesa dei diritti delle donne. Nel denunciare tutto questo, Nicole Lampert, firma di Haaretz, mette in luce anche un aspetto che riguarda le donne a Gaza: «Ci si sarebbe aspettati una ferma condanna da parte dei gruppi femministi ben prima del 7 ottobre, quando le credenziali di Hamas in fatto di femminismo non erano certo brillanti visto che il gruppo impone l’uso dell’hijab, ha reso illegale viaggiare senza un tutore maschio e si è rifiutato di vietare gli abusi fisici o sessuali all’interno della famiglia».

Invece, la maggior parte dei movimenti femministi ha taciuto. Addirittura, il 30 ottobre, 140 eminenti studiose americane hanno firmato una petizione «per il cessate il fuoco» dichiarando, però, che essere solidali con le donne israeliane significa cedere al «femminismo coloniale». Come osservato dalla Lampert, nel Regno Unito l’unica organizzazione a denunciare la violenza sessuale del gruppo terrorista è stata “Jewish Women’s Aid”, sottolineando come «il silenzio pubblico di molte organizzazioni ha un ulteriore impatto sull’isolamento e sulla paura delle vittime israeliane».

«Non rimarremo in silenzio. La vita di ogni donna è ugualmente preziosa», sottolinea dunque la campagna #MeToo_Unless Ur_A_Jew. «Istituzioni come la Croce Rossa Internazionale e UN Women non hanno fatto nulla per supportare le nostre vittime», ha scritto – nella campagna Instagram – Keren Sharf Shem, la cui figlia Mia, 21 anni, è stata rapita durante il Festival Nova. Le madri degli ostaggi hanno lanciato anche la campagna #MomToo (“mamma anch’io”) in cui si possono ascoltare le voci delle donne i cui figli sono stati rapiti o uccisi da Hamas. Lo scopo è sensibilizzare le madri di tutto il mondo per creare consapevolezza su quanto è accaduto. E subito dimenticato dal mondo.

Questo femminismo cieco non riconosce la mattanza delle donne israeliane. Nessuna denuncia di violenza contro le donne ha senso se non misurata su quella del 7 di ottobre contro le donne israeliane. Oppure, si è antisemiti. Fiamma Nirenstein il 27 Novembre 2023 su Il Giornale.

Nessuna denuncia di violenza contro le donne ha senso se non misurata su quella del 7 di ottobre contro le donne israeliane. Oppure, si è antisemiti.

Non solo chi l'ha vista nei film girati dai terroristi stessi lo sa, come me, ma anche chiunque veda la tv o abbia un po' di buon senso. Oppure, si è antisemiti. I terroristi di Hamas si sono autofilmati mentre violentano, strappano le vesti, trascinano per i capelli, caricano sulle macchine vive e morte donne spogliate nella parte inferiore del corpo sanguinante. Alla morgue dove i resti delle donne uccise venivano ricomposti a centinaia spesso solo per parti recuperabili dalle mutilazioni e dal rogo, spesso le gambe erano fratturate e irrecuperabili a causa delle violenze. Bambine, vecchie e anche bambini piccolissimi sono stati violentati, hanno verificato i dottori: dopo tentativi difficili per raccogliere le prove dei fatti, anche i dna dei violentatori sono stati ricuperati. Una sopravvissuta dalla festa dove sono state uccise più di trecento giovani che ballavano, ha testimoniato di una sua amica brutalizzata da diversi, tenuta ferma per i capelli; l'ultimo le ha sparato in testa e dopo ha continuato,fino a che ha finito il suo atto sessuale. Una ragazza è stata mutilata dei seni coi quali i terroristi hanno giocato. Il footage che abbiamo visto mostra molte ragazze morte, svestite, sanguinante. Ma che razza di esseri umani sono le donne che non protestano?

Il femminismo ha sempre albergato una tarantola nel suo guscio, fin da quando negli anni settanta con un gruppo di amiche fondammo la rivista Rosa, sofisticata, intelligente, certo di sinistra. Io ero stata comunista, avevo perfino scritto un libretto sulla storia delle donne comuniste: il mio femminismo, molto primigenio, istintivo, di famiglia, pure non poteva fare a meno delle catena della rivoluzione, di Rosa Luxemburg, del diritto al lavoro. Poi venne il corpo, l'aborto, il divorzio, l'autocoscienza: eppure restava l' indispensabile intersezione con le grandi radunate internazionali, terzomondiste, sovietiche! che già sbattevano le donne israeliane fuori dai loro incontri. Donne meravigliose, che avevano affrontato come eroine la maternità e la guerra, la zappa, la scienza, la poesia. La libertà! Donne senza soggezione verso gli uomini nel loro valoroso ritorno a casa, Israele, un simbolo non certo di colonizzazione, ma di decolonizzazione dalle grandi potenze. Per saperlo, bisogno studiare un po' dio storia. Ma il femminismo già soffriva allora dell'enorme soggezione al movimento comunista, aveva bisogno della sua approvazione e delle sue bandiere. Quindi una volta che esso ha sanzionato lo Stato d'Israele, l'unico che garantisse l'uguaglianza dei sessi in tutto il Medio Oriente, il femminismo si è associato nella gran parte appiccicando etichette fasulle, coloniale, imperiale, capitalista, apartheidil femminismo si è allineato.

Adesso la femminista si è evoluta, è intersezionale, woke, pronta a sacrificarsi alla violenza di Hamas, perché gli oppressori sono bianchi, cristiani o ebrei: non importa se proprio loro salvano gli lgtbq dagli oppressi che li appendono ai lampioni; e non importa se Hamas, da loro difeso, impone alle bambine matrimoni con adulti pedofili, protegge e anzi ordina gli stupri, le botte, i rapimenti. È provato dalle loro stesse testimonianze dopo la strage.

Il divorzio fra il femminismo e i diritti umani si è concluso da tempo: dopo quello che hanno patito le donne in Iran all'Onu gli Ayatollah presiedono la commissione per i diritti umani e non risulta che il movimento abbia sussurrato. Adesso siamo all'antisemitismo: peggiore, disperante direi, è che non si sia levata dalle manifestazioni italiane una voce sullo stupro di massa unito al femminicidio seriale che il 7 di ottobre ha travolto donne, bambine, anziane, mentre i loro cari, 1400, venivano uno a uno trucidati. Perché avete rapito i bambini e le bambine, ha chiesto la polizia ai terroristi catturati. per violentarli hanno risposto. Maschilismo? Violenza? No, caccia alle ebree imperialiste e coloniali. Uccidiamole. 

Ritanna Armeni: "Giulia? Rabbia giusta ma il patriarcato non è di destra". Elisa Calessi su Libero Quotidiano il 27 novembre 2023

 «Noi avevamo il problema di affermare la nostra identità femminile, di dire che non era assimilabile al maschile. E volevamo distinguerci dai partiti, a cominciare da quelli di sinistra, più vicini a noi, perché la nostra ribellione ai maschi era ribellione innanzitutto ai maschi di sinistra. Se non altro perché li avevamo in casa...». Ritanna Armeni, per tanti anni giornalista, ora scrittrice affermata (il suo ultimo libro, Il secondo piano), è stata una protagonista del movimento femminista degli anni Settanta.

Cosa ne pensa del nuovo volto del movimento femminista che si definisce “transfemminista”, usa la schwa, si schiera con la Palestina? 

«Il movimento delle donne è come un fiume carsico. Sembra scomparso, poi invece esplode. Naturalmente ogni volta che riemerge, non è uguale a se stesso. Il movimento femminista degli anni ’70 non era uguale a #MeToo. E il movimento di oggi è diverso da quello in cui io sono nata. Questo non vuol dire non abbia motivi altrettanto validi».

In cosa è diverso? 

«Innanzitutto le donne, ai miei tempi, avevano molto forte il problema dell’identità femminile che si voleva distinguere dal maschile per potersi esprimere. La schwa è un modo di praticare immediatamente una parità dei sessi sul piano grammaticale e linguistico. Mentre a noi interessava esplicitare una differenza».

Altre diversità? 

«Questo movimento ha immediatamente una connotazione anche politica. Di schieramento. Mentre noi avevamo il problema di distinguerci da partiti».

Anche da quelli di sinistra? 

«Soprattutto da loro. La nostra ribellione agli uomini era innanzitutto ribellione agli uomini di sinistra. Se non altro perché li avevamo in casa, erano i maschi sotto mano».

Il movimento femminista di oggi no? 

«Mi pare sia più orientato a schierarsi direttamente a sinistra, anzi vicino all’ultra-sinistra».

Vede altri elementi diversi?

«Io, per esempio, non faccio risalire il patriarcato alla destra, al centrodestra e quindi alla presidente del Consiglio. Purtroppo, il patriarcato è un fenomeno più vasto. Che riguarda tutti. Anche le donne. Se no, non sarebbe stato così efficace. Mentre mi pare che queste ragazze siano convinte di poterlo superare rapidamente. Detto questo, io, oggi, sto con loro».

In che senso?

«Questo movimento è di grandissimo interesse. Fa riemergere una coscienza femminile che sembrava morta. Soprattutto, la rabbia è la stessa. Noi avevamo una rabbia enorme contro un mondo maschile che ci discriminava. Loro hanno altrettanta rabbia contro il patriarcato. In questo mi identifico. E in piazza sto con loro, pur non condividendo molte cose, a cominciare dalla non condanna degli stupri di Hamas».

Altro punto che ha fatto discutere. Cosa ne pensa?

«Per me le donne vengono prima. La lotta palestinese è importante, ma viene dopo il fatto che le donne ebree sono state stuprate. Mentre, da quanto leggo, in questo le organizzatrici della manifestazione sono state soverchiate dalla politica. Mentre io non vedo contraddizione: posso essere filo-palestinese, ma essere orripilata da quanto avvenuto il 7 ottobre in Israele. A loro giustificazione c’è la considerazione che il maschio occidentale non aspetta altro che dire i maschi pericolosi sono solo da una certa parte del mondo. Mentre non è così».

In queste settimane c’è stata una gara di uomini a chiedere scusa. La convince?

«Mi fa piacere che abbiano preso consapevolezza. A un certo punto, però, questa vicenda sta diventando una giustificazione: “Siccome c’è una crisi del patriarcato, aiutateci”. Eh, no. Ci sono i femminicidi! Se c’è questa crisi, è ora che voi maschi prendiate in mano la vostra crisi. Ho un suggerimento: fate dei gruppi di autocoscienza. Partite da domande facili-facili. Tipo: “Perché in un gruppo di lavoro se la donna viene promossa, soffro di più? Forse, se si fanno queste domande, arrivano al nucleo della faccenda». 

Stasera Italia, Rampini contro le femministe: "Colpito e indignato". Libero Quotidiano il 26 novembre 2023

Il tema della violenza sulle donne e delle manifestazioni che ieri si sono tenute in varie parti d'Italia ha tenuto banco nello studio di Stasera Italia su Rete 4. Tra gli ospiti Federico Rampini, in collegamento, che ha subito detto di non avere apprezzato la scelta di alcuni collettivi di tirare in ballo la questione palestinese. È il caso del movimento "Non una di meno", che nel manifesto di presentazione del corteo del 25 novembre a Roma ha inserito anche il tema Israele-Palestina. "Sono rimasto colpito e un po' indignato dalla presenza degli striscioni palestinesi nella manifestazione per le donne - ha detto l'editorialista del Corriere della Sera -. La Palestina di Hamas non è un modello di rispetto di diritti delle donne, anzi Hamas ha usato sistematicamente purtroppo gli stupri delle donne come strumento di guerra".

Rampini, poi, ha parlato di un fenomeno parecchio diffuso negli Stati Uniti, il Me Too, definendolo "un movimento che ha coinvolto soprattutto delle celebrity molto importanti nel mondo dello spettacolo. Sicuramente in certi casi ha colpito dei maschi prevaricatori, aggressivi, criminali, il più famoso di tutti è il produttore Weinstein, che è in galera giustamente per tutto il male che ha fatto  a tante donne. In altri casi ci sono state invece delle situazioni più ambigue, controverse, regolamenti di conti tra celebrity multimilionarie. Non sono sicuro che abbia avuto degli effetti diffusi nella società civile americana. Il tema che avete già sollevato, quello della rieducazione dei bambini maschi, inculcando rispetto e rifiuto di ogni forma di violenza, sono operazioni di lunga lena, probabilmente la società americana è un po' più avanti di quella italiana per ragioni culturali storiche, però abbiamo anche qui delle contraddizioni". 

GUERRA E IDEOLOGIA. Se Lgbt e femministe preferiscono la sharia, vadano pure. L’Occidente ormai si odia. A tal punto da generare folli paradossi: l’universo gay e quello femminista fanno il tifo per Hamas e l’islam. Salvatore Di Bartolo su Nicolaporro.it il 14 Novembre 2023.

In un Occidente sempre più bramoso di suicidio, l’ipocrisia e il conformismo imperano ormai sovrani. I feroci e ripetuti attacchi dall’interno ai capisaldi della cultura occidentale, unitamente alla sfrenata esigenza di perorare ad ogni costo cause spiccatamente antioccidentali, possono assumere un solo significato: l’Occidente, o perlomeno una parte di esso, si odia profondamente. Talmente tanto da far apparire spesso la civiltà occidentale la più antioccidentale fra tutte le civiltà del nostro tempo.

Tale profondo e ben radicato odio di sé di cui si alimenta l’ormai agonizzante Occidente è infatti sempre più facilmente riscontrabile, con una carica peraltro oltremodo accentuata, in alcune sue frange, soprattutto laddove si annida una mai paga bramosia di tutele e corsie preferenziali.

Accade così che quel mondo minoritario, sempre più rumoroso e ostile nei confronti delle silenziose e sempre più soggiogate maggioranze, dopo aver fatto incetta di diritti e libertà nel tollerante e libero mondo occidentale, abbia inscenato il più classico dei voltafaccia per sostenere la causa dei più acerrimi nemici dell’Occidente.

Si originano così degli autentici paradossi, delle prese di posizione perverse e irrazionali, totalmente incomprensibili almeno senza una cospicua dose di insulsa ignoranza e becero conformismo. Si stenta infatti a comprendere, ad esempio, come il variopinto universo Lgbt, in perenne lotta contro l’oscurantismo occidentale, possa ergersi a paladino dell’Islam più radicale che disconosce le libertà sessuali e perseguita barbaramente le diversità. Oppure, come le agguerritissime femministe, sempre così ostili verso il bigotto e fallocratico Occidente, possano scendere in piazza a difesa di quell’integralismo culturale e religioso che predica, e poi pratica, la sottomissione del genere femminile al volere maschile e la sistematica negazione dei più basilari diritti della donna.

Orbene, laddove femministe e omosessuali avessero lecitamente modificato il loro punto di vista sul tema dei diritti civili, e altrettanto lecitamente avessero scelto di abbandonarsi al fascino irresistibile di imam, burqa e scimitarre, che ben venga. Nessun problema. Se la Sharia li rappresenta più dei valori occidentali e della cristianità, che facciano pure. Che aprano anche le braccia all’indulgente e democratico Islam. Il cotanto odiato Occidente riuscirà, presto o tardi, a farsene una ragione.

Ma ci risparmiassero perlomeno le false invettive, i soliti fastidiosissimi piagnistei e le deliranti lezioncine politicamente corrette intrise di ideologismo, ipocrisia e antioccidentalismo. Non sono più credibili.

In piazza le femministe filo Hamas. La Giornata per le donne, oggi, diventa un delirio su Meloni e Israele. Sinistra spiazzata. Francesco Giubilei il 25 Novembre 2023 su Il Giornale.

L'iniziativa di organizzare per oggi, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una grande manifestazione dopo l'uccisione di Giulia Cecchettin, poteva essere una buona notizia. Eppure l'appuntamento, invece di restare apolitico e trasversale, si è trasformato in un evento con una connotazione ideologica estrema, a causa delle posizioni degli organizzatori dei cortei di Roma e Messina del movimento transfemminista «Non una di meno». Un evento nato per contrastare la violenza contro le donne si è trasformato in occasione per mettere sul banco degli imputati tutti gli uomini in quanto tali, il governo Meloni e Israele. Anche a sinistra qualcuno se n'è accorto. Carlo Calenda, di Azione, già ieri criticava la linea oltranzista: «Questa non è la piattaforma di una manifestazione contro la violenza sulle donne e per una società meno maschilista e più equa - ha sbottato - Questa è la piattaforma di un collettivo di estrema sinistra antisraeliano e filo Hamas (notoriamente sostenitore dei diritti delle donne). Sorvolo sui restanti deliri veteromarxisti». I leader dell'opposizione, salvo ripensamenti, non dovrebbero partecipare al corteo romano. Chi per impegni concomitanti, chi per una scelta politica. Fatto sta che il documento di «Non una di meno» ha politicizzato il tema: «Quelle di Roma e di Messina non saranno piazze neutre» hanno spiegato dal movimento, accusando il governo di procedere «a colpi di decretazione di urgenza razzista e classista». Come se non bastasse il comunicato infarcito di asterischi e schwa, è in particolare la posizione su Israele a lasciare sgomenti: «Lo stato italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo» perché «schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggi di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese». Lecito chiedersi cosa c'entri Israele con il tema dei femminicidi ma, se proprio si vuole citare la situazione in Medio Oriente, sarebbe opportuno spendere almeno una parola per le donne uccise, torturate, stuprate, rapite dai terroristi di Hamas. E le transfemministe, sempre in prima linea nel puntare il dito contro Israele («la guerra è la manifestazione più totalizzante della violenza patriarcale, per questo, e più che mai, siamo al fianco del popolo palestinese»), non dicono nulla sull'attacco terroristico di Hamas.

Indignata l'ex ministra Mariastella Gelmini (Azione): «Confondere la lotta contro la violenza di genere con quello che sta accadendo tra Israele e l'organizzazione terroristica Hamas - dice - è inaccettabile. Non dire una parola sugli stupri subiti dalle donne israeliane è un grave errore. Senza fare chiarezza su questo punto (si è ancora in tempo), la piazza rischia di essere un'occasione persa». E anche Maria Elena Boschi (Iv) considera «deliranti» le parole su Israele.

Le manifestazioni di oggi, insomma, sono una grande occasione mancata e testimoniano la spaccatura che si è creata nell'opinione pubblica dopo la morte di Giulia Cecchettin. Partendo dalla necessità di contrastare la violenza contro le donne, sembrano essersi delineate due anime: una che vuole trovare soluzioni di buon senso legate al problema, un'altra che usa questo tema per cercare di cambiare la società in ambiti che nulla hanno a che vedere con la violenza sulle donne. Facile dire a quale delle due categorie appartengono le transfemministe.

Anti tutto. Il demone dell’estremismo si è mangiato la sinistra, e anche il femminismo. Mario Lavia Linkiesta il 24 Novembre 2023

Per la Giornata mondiale sulla violenza contro le donne il Partito democratico va in piazza al fianco di “Non una di meno”, associazione che ha diramato frasi obsolete e dichiarazioni d’odio verso Israele. Elly Schlein non può far finta di niente

Ci deve essere un demone a sinistra che incendia gli animi, fa guizzare le fiammelle dell’ideologia bruciando la possibilità di costruire qualcosa su un terreno comune, e questo demone è segnato dal vecchio marchio di fabbrica estremista degli organizzatori/organizzatrici di tutte le manifestazioni su qualunque argomento.

Accade in Italia anche in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne: ed è singolare – eufemismo – che il Partito democratico oggi vada in piazza fischiettando, senza chiedere qualche chiarimento su una manifestazione connotata nei suoi documenti da violenti accenti filo-Hamas, che è la ragione per cui Italia Viva e Azione non ci saranno.

Sì, ci deve essere come una “centrale” di sessantenni o più che da sempre gode a scrivere piattaforme e documenti, mettere il cappello sulle iniziative più lodevoli, una “centrale” di personaggi che si conoscono tutti tra di loro da sempre, professionisti degli slogan, arruffapopolo anti-tutto, alcuni sbarcano il lunario altri stanno comodi magari pagati da quello Stato che detestano, sono loro da sempre a riapparire all’improvviso per appestare l’aria.

Il demone si è puntualmente risvegliato in vista delle manifestazioni di oggi a Roma e Messina in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne , occasione perfetta specie mentre ancora si piange per Giulia Cecchettin per cercare di unire, di allargare gli orizzonti del femminismo, di parlare un linguaggio non settario, senza peraltro ledere l’autonoma identità del movimento delle donne.

E invece ecco che “Non una di meno”, l’associazione che promuove le manifestazioni di oggi, tira fuori un documento che pare scritto trent’anni fa e che soprattutto, del tutto incongruamente, se ne esce con un attacco a Israele. Che poi se un nesso si può stabilire tra la violenza alle donne e la guerra caso mai sta esattamente nella ripulsa per gli stupri commessi da Hamas il 7 ottobre, per qui corpi di donne devastati e offerti al ludibrio, come hanno rilevato in Francia alcuni artisti e intellettuali francesi come gli scrittori Marc Levy e Marek Halter, l’attrice Charlotte Gainsbourg, la sindaca di Parigi Anne Hidalgo: «I loro nomi erano Sarah, Karine, Céline… Su iniziativa dell’associazione Paroles de femmes, lanciamo un appello alle femministe e ai sostenitori della nostra causa affinché il massacro delle donne in Israele del 7 ottobre sia riconosciuto come femminicidio».

E invece le femministe di “Non una di meno” in un documento del 7 novembre preparato per la manifestazione di oggi hanno pensato bene di scrivere tutt’altra cosa. Sembra un volantino di Autonomia operaia: «Il governo partecipa e finanzia in prima fila all’escalation bellica, con la produzione e invio massiccio di armi, tentativi di moltiplicare le basi militari, oltre quelle già esistenti (non ultimo sul territorio di Pisa, a Capo Frasca, Sigonella e Niscemi), nonché in pratiche di controllo varie; quali ricoprire le Città di Venezia e Messina di telecamere a riconoscimento facciale (prodotte in Israele) già in sperimentazione nel trasporto pubblico di Padova. Uno strumento spacciato come prevenzione di una violenza sistemica che lo Stato risolve in un solo modo: repressione. Le stesse utilizzate per la repressione e genocidio delle nostre sorelle Palestinesi». Toni Negri non avrebbe saputo fare meglio. Lui era un cattivo maestro, ma queste sono alunne penose.

E già che ci siamo ecco l’attacco diretto a Israele: «Lo stato Italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo e schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggia di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese».

All’Ansa qualcuna di “Non una di meno“ ha detto testualmente: «Porte aperte alle donne israeliane». Grazie tante. E poi: «Noi siamo contro il genocidio di uno stato colonialista nei confronti dei palestinesi, non contro le donne israeliane». Ma questo è diventato il femminismo? Possibile che le femministe vere, le donne di sinistra, le famose intellettuali scrittrici giornaliste registe attrici, non abbiano nulla da dire? Elly Schlein può far finta di niente su questa deriva estremista cui bellamente resta il fianco? Ascolti quello che dice la dem Pina Picierno: «Il 7 ottobre Hamas durante le azioni nei kibbutz ha ucciso e stuprato. Gli esiti delle autopsie e delle refertazioni mediche che ho letto in queste settimane sono terribili, i racconti dei terroristi arrestati fanno rabbrividire e i video che ho visionato dalle bodycam dei terroristi sono la rappresentazione dell’orrore. Queste donne israeliane, le loro storie, le violenze subite sono state escluse dal dibattito femminista così come accadde per gli stupri di guerra avvenuti in Ucraina. In questa giornata che precede il 25 novembre abbiamo il dovere di raccontare quello che avvenne il 7 ottobre, abbiamo il dovere di alzare la voce perché se toccano una toccano tutte, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione e dai conflitti».

La “centrale”, quella del pacifismo imbelle e senso unico che ha condizionato tante manifestazioni sull’Ucraina finendo per dar fiato alle trombe di Vladimir Putin, si è rimessa in moto e il demone rianima le sue lingue di fuoco contro l’Occidente, non contro il califfato, contro “la politica”, non contro i tagliagole di Hamas. E tutto fa brodo, per questa propaganda avvelenata, anche stendere un mantello di odio contro i “nemici”, anzi, le “nemiche” stuprate il Sabato nero. Per loro non c’è pietà, ha sentenziato il demone. Rovinando una giornata importante.

Estratto dell’articolo di Linda Varlese per huffingtonpost.it lunedì 16 ottobre 2023.

"Il fatto che sia stata la destra a portare la prima donna a diventare presidente del Consiglio in Italia, nonostante la sinistra abbia sempre appoggiato le battaglie femminili e femministe, è stata una delle ragioni che mi ha spinto a scrivere questo libro". Mirella Serri, storica, scrittrice e giornalista, racconta a HuffPost la genesi del suo ultimo libro "Uomini contro" (Longanesi), una ricostruzione delle traiettorie del contrattacco sferrato dalla seconda metà del Novecento agli anni Duemila, nella società italiana e non solo, contro il lungo viaggio dell'emancipazione femminile.  […] 

Mirella Serri, perché non è stata la Sinistra a portare la prima donna a diventare presidente del Consiglio in Italia?

Evidentemente ci sono stati una serie di pregiudizi o di volontà di potere da parte del mondo maschile di sinistra, le due cose non sono disgiunte, che non hanno permesso di dare alle donne quei ruoli istituzionali che a loro spettavano. La sinistra ha sostenuto le lotte delle donne, questo è indiscutibile. Pensi che mentre la destra ha portato la prima donna in parlamento nel 1963, le donne con la Resistenza già impugnavano le armi ed erano comandanti.

Eppure questo non è bastato. D'altronde, come racconta nel libro "Uomini contro", l'ostracismo all'emancipazione e all'affermazione femminile è di Destra quanto di Sinistra. Esempio ne è, appunto, Nilde Iotti.

Ho cercato di mettere in evidenza non solo quello che è passato alla storia come un atteggiamento se vogliamo bacchettone, condizionato da una volontà del Partito Comunista di essere in un certo senso simmetrico alla Chiesa Cattolica, per cui negli anni '50 c'è un ritorno alla famiglia, nonostante negli anni '30 il Partito Comunista non era così, anzi predicava l'amore libero. 

Oltre a questo, che è un tratto abbastanza noto, ho voluto mettere in evidenza ciò che non è mai stato raccontato. Se andiamo a vedere gli scritti di Nilde Iotti dal '45 fino alle metà degli anni '50, è una femminista molto schierata dalla parte dell'autonomia e dell'emancipazione femminile. Poi progressivamente abbandona queste sue posizioni, anzi dice che l'emancipazione e tante altre rivendicazioni appartengono al mondo borghese e non alle operaie che invece si riconoscono in tutto il movimento operaio e non fanno rivendicazioni a parte per le donne. […] 

Non solo. Come racconta, la considerano un'incapace.

Esattamente. Lo stesso Enrico Berlinguer dice che le donne devono essere come Santa Maria Goretti. Le dicono che lei non può camminare da sola, ma deve essere tutelata da loro per avere la presidenza della Commissione Femminile. Questo era il pregiudizio che c'era allora nei confronti di una donna da sola, con quelle caratteristiche: lei viveva fuori dalla famiglia, aveva avuto il coraggio di organizzare una sua relazione fuori dalle convenzioni, insomma era una donna con tante caratteristiche "anomale" che non coincidevano con l'immagine femminile di moglie, sposa e madre esemplare.

Il risultato era che secondo i compagni del suo stesso partito non aveva capacità direzionale. Pensi che Stalin attribuì la responsabilità degli attentati del '48 contro Palmiro Togliatti a Nilde Iotti, con cui il Migliore all'epoca aveva una relazione. Quindi non solo era una donna che non aveva la fermezza d'animo, le virtù, le capacità delle responsabilità politica. Ma quando succedeva qualcosa era colpa sua: era una personalità che quando si intrometteva negli affari governati dagli uomini, li intralciava. Togliatti si impegnò a difendere Nilde e la sua autonomia dai più accesi stalinisti del suo partito. […] 

Poi ci sono gli anni del movimento femminista e l'arrivo di Silvio Berlusconi.

Esatto. Le donne negli anni '80 e '90 cominciano ad avere ruoli importanti nella società grazie anche ai movimenti femministi, ma all'orizzonte si profilano le televisioni di Berlusconi che vendono un'immagine commerciale delle donne: le umiliano, le mercificano, trascurando le loro capacità imprenditoriali e offrendo un’immagine femminile alquanto diversa da quella scolarizzata e acculturata che pur stava crescendo nella Penisola.

Lei ha tratteggiato un percorso altalenante, con molti saliscendi, fatto di piccole conquiste e molti passi indietro. A che punto siamo?

La lunga marcia dell’antifemminismo ancora oggi non si è fermata, arriva ai nostri giorni e li orienta e li condiziona più prepotente che mai. Difficile capire dove siamo. Le barriere per ostacolare l'inserimento delle donne nella politica e nelle istituzioni, per non parlare delle forme di privazione delle libertà che si stanno manifestando nel mondo, oggi sono più che mai inconciliabili con l'idea di democrazia. 

Nel mondo siamo messi malissimo: quello che accade in Iran, in Afghanistan, in Turchia, ma anche in Polonia dove non c'è diritto d'aborto, o in l'Ungheria lo dimostra. In Italia siamo per il momento resistendo, anche se la nostra premier aveva un programma per limitare il diritto all’aborto, prima di diventare presidente del Consiglio.

È un controsenso, per quanto riguarda le lotte femministe, vedere una premier donna che è tuttavia espressione di una destra estrema?

Non c'è dubbio. Se lei va a leggere il programma di FdI o gli stessi libri di Giorgia Meloni, si renderà facilmente conto, ad esempio, che è contro le quote rosa, ma a favore della meritocrazia. Evidentemente, però, ci sono poche donne di merito nella destra, quelle che ci sono nel governo sono poche. 

Crede che con l'elezione di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio abbiamo in qualche modo scavallato l'ostacolo dell'inserimento delle donne nelle istituzioni?

Credo di no, anzi possiamo fare grandi passi indietro. 

La storia ci dice che nella maggior parte dei casi si è reso necessario l'avallo maschile affinché una donna raggiungesse un ruolo di prestigio sia a livello professionale che istituzionale. Pensa che oggi sia ancora così? Crede che per Giorgia Meloni ed Elly Schlein sia stato così?

Credo di no. Credo siano due donne meritevoli, in maniera molto diversa. Quello che hanno raggiunto, da due punti di vista diversi, se lo sono meritato, non possiamo dire che siano state messe lì dagli uomini, come fiore all'occhiello.

La causa giusta e la lezione alle femministe. Esiste un "machismo" in gonnella (e quello non è che sia molto più interessante dell'originale) ed esiste un "femminismo vero". Valeria Braghieri il 7 Ottobre 2023 su Il Giornale.

Esiste un «machismo» in gonnella (e quello non è che sia molto più interessante dell'originale) ed esiste un «femminismo vero» o, per ripulire il linguaggio da equivoci in agguato, diciamo che esiste una «causa femminile». Che ha meno a che fare con le parole che devono terminare in asterisco, con quanta porzione di corpo possiamo scoprire prima di essere etichettate come «oggetto» o con l'opportunità di essere chiamata assessora con la «a» piuttosto che con la «e», bensì ha più a che vedere con «feccenduole» tipo libertà imprescindibili, diritti umani e lotta contro la pena di morte. Il premio Nobel per la Pace è stato assegnato ieri a Narges Mohammadi per la sua lotta contro l'oppressione delle donne in Iran. Narges ha cinquantun'anni, è una delle attiviste più importanti del suo Paese, si batte per i diritti umani e in particolare per quelli negati delle donne. In questo momento si trova rinchiusa nel carcere di Evin a Teheran (praticamente la Guantanamo dell'Iran) dove deve scontare una condanna a dieci anni per «diffusione di propaganda antistatale». Ma di condanne ne ha accumulate cinque, è stata arrestata 13 volte, le sono stati inflitti 31 anni di galera, 154 frustate e un numero imprecisato di torture e umiliazioni. La crudeltà peggiore è stata però quella di separarla dai suoi due figli (che vivono in esilio in Francia e non vedono la mamma da 8 anni) e dal marito. É questa la cosa che, più delle cinghiate, avrebbe piegato chiunque. Tanto che viene da chiedersi come faccia una donna a darsi una determinazione così netta, a non spostarsi dalla propria missione anche quando, dall'altra parte della scelta, ci sono dei figli. «Perché lo fa per loro» è l'unica risposta frequentabile. Per consegnare un mondo più in ordine a loro. È importante che il Nobel per la Pace sia stato assegnato a Narges e un po', per estensione, alle coraggiosissime signore iraniane alle quali è impedito tutto ciò che riempie di dignità un individuo, ma devasta che per ottenere attenzioni, empatia sociale e riconoscimenti le donne debbano passare per il martirio: infibulazioni, segregazioni, massacri etnici... Il giorno in cui le nostre femministe scopriranno il femminismo sarà sempre troppo tardi.

 

Estratto dell’articolo di Valentina Iorio per il “Corriere della Sera” giovedì 24 agosto 2023

In Europa le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. Ma come si fa a contrastare questa disparità, se le lavoratrici non sanno quanto prendono i loro colleghi maschi per fare il loro stesso lavoro? Proprio per questo la direttiva Ue 2023/970 per la parità di retribuzione fra uomini e donne prevede il divieto del segreto salariale. Le lavoratrici e i lavoratori, quindi, potranno conoscere gli stipendi dei colleghi che svolgono lo stesso lavoro. La direttiva è entrata in vigore a maggio, l’Italia e gli altri Paesi membri avranno tre anni di tempo per recepirla: il termine è fissato il 7 giugno del 2026.

[...] L’obiettivo è superare il gender pay gap che in Europa continua a pesare, malgrado il principio della parità di retribuzione sia stato sancito nel 1957 dai trattati di Roma. Tra i fattori che alimentano il divario retributivo tra uomini e donne c’è l’insufficiente trasparenza dei salari, che impedisce di identificare i casi di discriminazione. [...] Il livello retributivo iniziale o la fascia di riferimento dovranno essere resi noti già negli annunci di lavoro o prima del colloquio.

L’idea è che chi si candida possa avere a disposizione tutte le informazioni necessarie per valutare l’offerta e negoziare la propria retribuzione.

[...]

Obblighi per le imprese Le imprese con più di 250 dipendenti dovranno riferire ogni anno all’autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione.

Le imprese più piccole lo dovranno fare ogni tre anni. In Italia l’obbligo di comunicazione esiste già: le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti devono pubblicare una relazione, ogni due anni, sull’occupazione e la remunerazione del personale maschile e femminile. Mentre quelle con meno di 50 dipendenti possono preparare un rapporto su base volontaria.

Estratto dell’articolo di Giulia Torlone per “la Repubblica” giovedì 24 agosto 2023.

«Papà che schifo, questo non è un Paese dove potersi realizzare». L’ultima lezione in tema di parità arriva dalla reazione a caldo di una quattordicenne, in vacanza in un hotel in Sardegna, quando ha visto che sul tavolo del buffet, in mezzo ai dolci, c’era una donna in bikini coperta di cioccolato. 

A raccontare su Linkedin l’episodio che infiamma il dibattito sui social è stato il padre della ragazzina, un manager delle risorse umane. È Ferragosto, siamo in un resort Alpitour a Golfo Aranci. «Dopo una bella giornata in cui tante persone hanno lavorato duramente per far passare un giorno spensierato ai tanti ospiti, rimango senza parole guardando questa scena. 

Dopo il primo momento di sgomento mi domando: Voi hotels sta per “Vera ospitalità italiana”, ma cosa significa? Cosa ne pensano i manager di Alpitour di questa rappresentazione del corpo femminile?». 

Mazzieri spiega di essersi lamentato con la struttura. E di aver scoperto che, su 700 persone presenti in hotel il giorno di Ferragosto, era stato l’unico ad aver qualcosa da ridire. L’unica a indignarsi, con lui, era stata proprio sua figlia, dall’alto dei suoi quattordici anni, a dispetto degli altri 698 vacanzieri a bordo piscina.

Gli organizzatori, ricostruisce il manager, hanno tentato una goffa spiegazione: «Per loro ammissione, la ragazza è stata lì per soli trenta minuti per fare le foto, poi era impegnata nelle attività di animazione confermando, di fatto, che fosse poco più di un bel vaso o di una stoviglia ». Secondo Mazzieri è la cultura aziendale ad essere sbagliata, «frutto di una gestione lasciata in mano a responsabili con una visione del mondo antiquata». […] 

Repubblica ha contattato la direzione dell’hotel, il Voi Colonna Village di Golfo Aranci, che però, dopo un «finalmente qualcuno vuole conoscere anche la nostra versione », ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Stessa reazione da parte dell’agenzia che offre all’albergo il servizio di animazione: nulla da dire sulla giovane che a bordo piscina viene servita a tavola insieme a dei pasticcini.

Intanto, sui motori di ricerca online per trovare e offrire lavoro, è comparso un annuncio in cui Voi hotel cerca un nuovo manager nella struttura incriminata, per la stagione 2024. Se l’episodio, sulle prime, aveva indignato solo una quattordicenne e il suo papà, ora gli utenti social promettono di boicottare la struttura e s’interrogano sulla mancanza di etica di chi organizza questo tipo di intrattenimento. […]

Estratto dell'articolo di Giulia Torlone per “la Repubblica” sabato 26 agosto 2023.

Se non fosse per il clamore suscitato nelle ultime ore, probabilmente la ragazza servita al buffet per dolci ricoperta di cioccolato la vedremmo ancora a tavola. A Golfo Aranci il direttore del resort al centro dello scandalo estivo è nella hall dalla mattina presto. 

[…] Un signore catanese, trolley ancora in mano, ride intercettando il capo della struttura: «Mi aspetto la ragazza di cioccolato, diretto’!». Tra una battuta e un sorriso stiracchiato, è inevitabile che gli ultimi giorni qui al Voi Colonna Village siano fuori dall’ordinario. 

«Siamo stati al centro di una tempesta mediatica che non mi ha fatto dormire per due notti», racconta il manager, protagonista dell’affaire che ha oltrepassato i confini nazionali. Pur dovendo nascondere il suo nome, l’azienda l’ha obbligato all’anonimato, ha voglia di raccontare la sua versione.

«Ho letto tante ricostruzioni in giro, ma la realtà è che l’idea è venuta il giorno prima della festa al nostro chef pasticcere. Ho acconsentito, perché regalare agli ospiti un tableau vivant, un’opera d’arte, mi è sembrata una buona trovata. Il nostro intento era quello di rappresentare la bellezza della donna senza sessualizzarla», spiega. […] 

Per il responsabile dell’hotel, bisogna contestualizzare: «Ciò che è stato pubblicato sui social sono solo tre centimetri rispetto ai sessanta metri di tavolo imbandito intorno alla piscina». Mostra la foto originale e quello che sembrava cioccolato, in realtà è spray alimentare dorato. «Ci hanno accusato di averle spalmato addosso il fondente, ma nessuno ha mai toccato il corpo della ragazza. Volevamo solamente ricreare una sirena che dorme, come fosse una statua d’oro». […]

Se la responsabilità di ogni decisione è del direttore, al centro però c’è la ragazza. Lei non vuole farsi riconoscere, ma probabilmente è tra Kekko, Arianna, Nicole e il gruppo di animatori che, prima di pranzo, è sulla spiaggia a intrattenere gli ospiti del resort con i balli di gruppo. 

La sua versione però l’ha consegnata al direttore: «Quando il capo animatore ha chiesto al nostro gruppo chi fosse disposta a farlo, ho alzato io la mano. L’idea mi piaceva, sono abituata a fare esibizioni, ed è su questa linea che ho inteso la performance. Certamente, però, dopo quello che è successo non lo rifarei», ammette l’animatrice. 

Della stessa idea è il direttore. Secondo lui su 700 ospiti il manager Federico Mazzieri e sua figlia sono i soli a non aver gradito. «Se una ragazzina di 14 anni viene ferita da qualcosa di cui io sono responsabile, non posso che sentirmi molto dispiaciuto, anche se tutti hanno preso l’iniziativa in maniera positiva» continua.

E poi attacca: «Non è vero, come scrive Mazzieri su Linkedin, che si è lamentato la sera stessa: ha aspettato la mattina dopo e soprattutto smentisco che io mi sia sottratto». Sotto gli ombrelloni, una coppia di nuovi ospiti dell’hotel ammette che «la trovata sia stata di cattivo gusto, da evitare». 

Una signora sulla cinquantina, invece, dice di non essersi sentita offesa dalla trovata di far sdraiare una ragazza in bikini sul tavolo dei dessert. «Ho sentito del clamore suscitato dalla festa di Ferragosto solo dalla stampa e dal tg, io che ero presente non mi ero neanche accorta della cosa», racconta un’ospite che sta per ripartire dopo due settimane nel resort. […]

Francobolli di storia. “Votes for women”. Il Penny sfregiato e la campagna delle suffragettes. Un gesto simbolico eppure rivoluzionario, risalente alla metà dell’Ottocento e che non escludeva il ricorso a Messi decisi, perfino violenti. Riccardo Nencini su Il Riformista il 24 Settembre 2023

È successo centoventi anni fa in Inghilterra, un gesto simbolico eppure rivoluzionario, all’epoca considerato immorale, criminale addirittura.

Incise in un penny, proprio sopra la testa del sovrano Edoardo VII, le parole: ‘Votes for women’, in maiuscolo, a caratteri diversi, scalpellate con decisione sulla moneta più maneggiata a Londra a dintorni.

La campagna per il voto alle donne iniziò attorno alla metà dell’Ottocento e non escludeva il ricorso a Messi decisi, perfino violenti. Si trattava soprattutto di donne di buona famiglia che tenevano riunioni, comizi, attaccavano l’autorità dello Stato, in questo caso sfregiavano il volto del re, un’azione blasfema senza precedenti se erano le donne a metterla in campo. Quel gesto, e in particolare la campagna reiterata delle suffragettes, ribaltava l’idea tradizionale della donna tutta casa e famiglia. Lord Gladstone, primo ministro, lo scrisse in chiaro: “Non ho paura che la donna usurpi il potere dell’uomo. La mia paura è istigarla ad accantonare delicatezza, purezza, intelligenza e nobiltà della sua natura, le vere fonti del suo potere”.

Insomma, stattene a casa!

Siccome il penny sfregiato non bastò a convincere il governo, allora si passò a mezzi più crudi e violenti: incatenarsi di fronte a Downing Street , spedire lettere esplosive, sciopero della fame. Metodi che si sono ben conosciuti in tempi recenti, presi a prestito dalle ragazze inglesi di oltre un secolo fa.

Fu la guerra a modificare le cose. Napoleone l’aveva detto più volte: ‘La guerra porta la civiltà’. Con la Grande Guerra le donne dimostrarono di non essere in nulla inferiori agli uomini: coltivarono il grano, lavorarono in fabbrica, crebbero i figli.

Nel 1918 le donne sopra i trent’anni ebbero il diritto di voto. Nel 1928 quel diritto venne esteso, come per gli uomini, a chi avesse compiuto i ventuno anni di età.

Una delle tante battaglie di civiltà vinte dalle donne con i maschi arrivati in preoccupante in ritardo, se non addirittura contrari.

Da noi nel 1946, con le elezioni amministrative e poi col voto per la costituente e il referendum istituzionale repubblica/monarchia. Se siete curiosi indagate su favorevoli e contrari alla concessione del diritto di voto in Italia. Rimarrete sorpresi. Riccardo Nencini

 Estratto dell'articolo di Alessandro Gendusa per serial.everyeye.it martedì 26 settembre 2023.

Kevin Sorbo ha di recente compiuto 65 anni, e l’attore interprete di Hercules ha pubblicato attraverso Fox News un editoriale dal titolo “Rendiamo Hollywood mascolina di nuovo”, in cui si scaglia contro il femminismo.

Sorbo ha scritto: “[…] se sei vittima dei tuoi desideri primari, la cultura femminista ha vinto. Sei esattamente il tipo di uomo smidollato che loro vogliono che tu sia. La società di oggi fraintende gravemente la mascolinità".

“Lasciare salvare il mondo agli uomini? Non credo proprio", diceva Elastigirl nel film Pixar "Gli Incredibili". Era il 2004. Da allora, la popolare massima femminista di Helen Parr è arrivata a definire l'endemica etica anti-uomo di Hollywood. Le sue parole sembrano essere alla base di ogni film più importante del cinema, dai recenti film di "girl-boss" ai film più maschili, che includono tutti un cenno obbligatorio alla forza superiore, all'intelligenza e all'indipendenza delle donne.”

L’attore accusa il mondo hollywoodiano di aver demonizzato eccessivamente la mascolinità, rendendo il femminismo il nuovo perno del sistema cinematografico americano. Sorbo ha preso Timothée Chalamet come esempio di sconfitta:

“Lui spesso indossa abiti che, beh, diciamo che vostro nonno non si sarebbe fatto trovare morto vestito come Chalamet. D'altra parte, i nostri film preferiti sono popolati da uomini macho e spavaldi.

Dovrei saperlo: mi sono fatto un nome nel settore interpretando un semidio greco. […] Per andare alla conquista del mondo, l'uomo deve prima conquistare sé stesso. Purtroppo, oggi gli uomini sono stati spesso conquistati. Siamo stati soggiogati da alcol, droghe, videogiochi, porno e altri divertimenti. La caricatura dell'uomo inutile nello scantinato dei genitori rappresenta sempre più spesso la vita reale.”

Un’invettiva fortissima quella di Sorbo, doppiatore di Hercules in God Of War 3, che qualcuno ha definito “mirata a creare polemica” a causa dell’ormai scarsa notorietà dell’attore. E voi cosa ne pensate di queste parole? Fatecelo sapere nei commenti.

"Dobbiamo femminilizzare tutto...": i danni dell'incubo politicamente corretto. Si moltiplicano i poliziotti del politicamente corretto: la nota casa editrice francese ha acceso i riflettori sulla paura di attacchi legali sulla questione dell’uguaglianza di genere e del colore della pelle. Massimo Balsamo il 27 Settembre 2023 su Il Giornale.

L'immarcescibile follia woke non conosce confini, questo è ormai lapalissiano. In nome di un linguaggio più inclusivo e meno offensivo per la sensibilità moderna, molti capolavori della letteratura sono stati ritoccati, mentre molti nuovi romanzi devono ottenere una sorta di via libera da parte dei sensitivity readers, ossia i poliziotti del politicamente corretto ingaggiati per rimuovere contenuti considerati oltraggiosi. Un fenomeno internazionale, denunciato con forza in Francia da Gallimard: la nota casa editrice ha parlato apertamente di un inaccettabile "clima di sorveglianza e autocensura".

Cautela estrema nel mondo dell'editoria francese, è il racconto de Le Figaro. Riflettori accesi sui già citati sensitivity readers, incaricati di spulciare un testo per disinnescare qualunque parola o frase che possa offendere il lettore: in particolare, le annotazioni relative al fisico, alla razza, all'orientamento sessuale o alla religione. Se alcuni editori e scrittori non battono ciglio, c'è chi pone l'accento sulla questione etica:"La loro competenza non è letteraria ma morale. È malafede far credere che monitorare il proprio testo sia naturale. Sono dei presunti poliziotti", la denuncia raccolta dal quotidiano transalpino

"Via quei termini offensivi". Riscritti pure i libri di Agatha Christie

In Francia sono pochi gli editori disposti a metterci la faccia. Questioni politiche, evidenzia una fonte:"Non appena ne discutiamo, siamo o di sinistra e woke oppure di destra e conservatori". Da Gallimard l'analisi è spietata: “Abbiamo paura che appena pubblichiamo un testo dobbiamo femminilizzare tutto, usare lo iel e il punto medio. I difensori della scrittura inclusiva avrebbero così trovato il contraltare con la nascita di una ‘letteratura inclusiva’”. Ma non è tutto. La casa editrice ha rimarcato che ormai da diversi anni circolano istruzioni da parte dell'ufficio legale per dribblare attacchi legali sulla questione dell’uguaglianza di genere e del colore della pelle: "I sensitivity readers non sono lì per dire se ci sono errori, ma per garantire che i testi corrispondano a un’ideologia in vigore".

Il cambiamento dei tempi è testimoniato dal romanzo "Pogrom", pubblicato da Flammarion nel 2005, in cui i personaggi vomitano il loro odio verso il mondo intero fino a cadere nell'antisemitismo. All'epoca l'editoria era contraria a qualsiasi forma di censura e riteneva necessaria la pubblicazione anche dei romanzi più scomodi, purchè di qualità. La forma come unica stella polare. Oggi invece gli editori sono costretti a contromisure come il trigger warning: "Siamo su un pericoloso pendio morale al quale contribuiscono gli scrittori che si sottomettono", il Gallimard pensiero. Una deriva preoccupante.

Estratto dell’articolo di Giulia Zonca per “La Stampa” sabato 26 agosto 2023.

Se l’orinatoio è una bocca di donna: com’è difficile distinguere arte e oscenità

Bocche spalancate davanti a uomini che fanno la pipì e il problema sta in partenza, nello sguardo che si porta dietro ogni condizionamento degno di questo nome, ogni visione di questo Paese, ogni maledetto pregiudizio. 

Chi ha detto che le maxi labbra rosse, con un accenno di denti da pubblicità del sorriso perfetto, sono dettagli di donna? Sì, c’è il rossetto, la linea a cuore, ma sono oggetti di fantasia, design creativo che non ha appartenenza di genere: nello specifico orinatoi che una catena di palestre ha appeso ai propri bagni nel tentativo di usare l’arte per fare scelte al ribasso. Ma se cambia il punto di vista, il gioco cade e siccome il gioco è sempre lo stesso è ora di smontarlo. Ed è pure facile farlo. 

L’ispirazione arriva dalla linguaccia di Mick Jagger, pensa un po’, un uomo. Una designer olandese ha trasformato il logo in caricatura da ceramica. Lei ha fatto arte, che può piacere o fare orrore però resta un’opera di creatività [...] Questo è un enorme cartone animato con una funzione pratica [...] Le bocche stanno lì, aperte, sono nei cessi maschili e quindi l’abbinamento classico è immediato: labbra, pene, sesso. [...] 

C’è arte migliore e idee molto più raffinate, ma davanti all’evidente ammiccamento al ribasso è meglio scattare in avanti e ridare un senso degno a un’operazione discutibile. Davanti a una bocca fumetto non è obbligatorio pensare a una donna sottomessa, a meno di avere pochissima fantasia e un’esistenza terribilmente triste. Quelle in cui si immagina sesso trasgressivo in palestra e si passano serate onanistiche a casa. Roba per chi ce l’ha piccolissimo. Il cervello.

Estratto dell’articolo di Cristina Insalaco per “La Stampa” sabato 26 agosto 2023.  

«Beh, mi sembra design post pop. Dico la verità? Mi piacciono questi orinatoi e non credo rappresentino necessariamente bocche femminili».

Questo è il commento di Carolyn Christov, direttrice del Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli, che aggiunge: «Possono essere di qualunque genere, trans, we / he / she / they, ecc. Ma non credo allo stesso tempo che i maschi eterosessuali in generale siano all'altezza di comprendere questa opera di design di Meike van Schijndel, che peraltro è una donna. [...]

Oggi - ahimé – l'ironia non si capisce. Che mondo triste in cui viviamo, senza più la capacità di comprendere che le cose non sono “o bianche o nere”, alte o basse, misogine o pro-donne. Mi fanno molto pena i maschi maschilisti, ma mi fanno anche pena i moralisti schierati. È l'era di Internet, dei social media e direi quindi della stupidità artificiale».

Il bacio di Rubiales e la sfida agli indignati: "È falso femminismo". Storia di Valeria Braghieri su Il Giornale sabato 26 agosto 2023.

«Contro di me c'è stato un falso femminismo». «Vittima del femminismo» è già un concetto abbastanza eversivo, ma «vittima del falso femminismo» è addirittura una dichiarazione illuminante. L'autodifesa (dopo l'autodafé) del presidente della Federcalcio spagnola, Luis Rubiales, passa dal genere, ma in maniera completamente inaspettata. La bufera contro di lui si era abbattuta dopo il fugace bacio sulla bocca alla centrocampista Jenni Hermoso durante la premiazione dei Mondiali di calcio femminile vinti dalla Spagna. Subito dopo, nei confronti del capo del calcio iberico si era sollevata un'indignazione così spessa e corale da persuaderlo ad abbandonare l'incarico. Ieri l'inversione di rotta: «Non mi dimetto, non mi dimetto, non mi dimetto» lo ha detto tre volte Rubiales in conferenza stampa continuando poi a spiegare «il piacere che potevo avere dando quel bacio era lo stesso che posso avere dando un bacio a mia figlia. È stato spontaneo, reciproco e consensuale. Stanno commettendo un omicidio sociale, il falso femminismo non cerca la verità». Ma a smentire il presidente è stata ieri, sui social, la stessa calciatrice spagnola che ha scritto: «Mi sono sentita vittima di un'aggressione; mi sono sentita vulnerabile e vittima di un atto impulsivo, maschilista e fuori luogo e senza il minimo consenso da parte mia. Semplicemente, non sono stata rispettata». A farle eco, lo sciopero di massa delle giocatrici spagnole della nazionale, che in un comunicato diffuso dal sindacato, hanno dichiarato che non accetteranno nessuna convocazione in nazionale «se non cambierà l'attuale leadership».

La Hermoso, in un primo tempo, aveva dichiarato che il gesto di Rubiales non l'aveva messa in difficoltà, salvo poi ritrattare. Lui ha spiegato che il bacio è stato «autorizzato» e che in ogni caso si trattava di un gesto completamente scevro da qualsiasi rapace pulsione. Un bacio tra sportivi insomma, per il quale Rubiales non pensa assolutamente di dover perdere il proprio posto. Quindi: «Non mi dimetto, non mi dimetto, non mi dimetto». Ma ecco che alla notizia della sua «resistenza» nemmeno tanto passiva, il governo spagnolo ha avviato tutte le procedure per portarlo davanti alla giustizia amministrativa e farlo sospendere dall'incarico. In ogni caso, nell'immediato, si va verso una sospensione cautelare dall'incarico da parte del Consiglio dello Sport. Dai politici agli sportivi, è un coro unico contro l'oltraggioso baciatore. Uno dei pochi a difendere Rubiales è il tecnico del Psg Luis Enrique che ha definito il lavoro del presidente, in questi anni «eccellente». Mentre sempre riferendosi al discorso tenuto ieri in Assemblea dall'«accusato», David De Gea, ex portiere del Manchester United, ha commentato su Twitter «Mi sanguinano le orecchie». Per tacere delle tante atlete solidali con la Hermoso e delle indignate politiche femministe.

Cervello, cosa succede alle donne oggetto di disuguaglianza di genere. Il cervello assume differenze strutturali nelle donne che subiscono disparità di genere. Ecco cosa dice lo studio e la differenza con quello degli uomini o di chi non vive determinate condizioni. Alessandro Ferro il 9 Giugno 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Cosa dice lo studio

 Qual è la spiegazione

 Cosa fare

Tutte le volte che le donne, nella società attuale, risultano svantaggiate nei diversi contesti e ambiti della vita da quella pubblica alla sociale, da quella economica alla politica ma anche e soprattutto nella sfera strettamente privata e quotidiana scatta qualcosa nel cervello che lo danneggia: è il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Pfas che mette in luce una problematica silente ma che danneggia l'organo.

Cosa dice lo studio

Nel caso specifico, ecco che appaiono maggiori disturbi d'umore e di ansia a causa dello stress che provoca uno stato di neuroinfiammazione. È questo il risultato della ricerca condotta dalla Washington University di St. Louis che ha inglobato persone di ben 29 Paesi di entrambi i sessi, al di sotto dei 25 anni e provenienti da nazoni dove la discriminazione femminile è minima o del tutto assente e da Paesi in cui è praticamente all'ordine del giorno. Per arrivare alle affermazioni di prima sono state fatte 7.876 risonanze magnetiche riuscendo a mettere a confronto il cervello di uomini e donne per scoprire le differenze.

Ebbene, negli stati dove non esiste la discriminazione di genere il cervello non presenta differenze. Viceversa, quando gli studiosi si sono trovati a fare i confronti tra uomini e donne in Paesi dove c'è un diverso trattamento del genere femminile ecco la scoperta: l'emisfero destro sarebbe più sottile, in particolare a livello del giro cingolato anteriore e del giro orbitofrontale.

Qual è la spiegazione

"Lo sviluppo del cervello, infatti, è estremamente sensibile agli stimoli esterni e alla ricompensa", ha dichiarato all'Ansa la prof. Arianna Di Stadio, neuroscienziata e docente all'Università di Catania ma anche ricercatrice onoraria al Laboratorio di Neuroinfiammazione del UCL Queen Square Neurology di Londra. Questo risultato spiega che "ogni volta che ci si complimenta per un'azione ben fatta questo aumenta sia la voglia di fare che di fare meglio per ottenere una nuova ricompensa. Questa azione sviluppa le funzioni cerebrali". Viceversa, lo stress crea "una condizione di neuroinfiammazione che potrebbe spiegare la riduzione dello sviluppo cerebrale". Ma cosa significa neuroinfiammazone? La scienziata spiega che vengono attivate in maniera eccessiva, o sbagliata, le risposte immunitarie del nostro cervello.

C'è un particolare tipo di cellula, chiamata microglia, che svolge una duplice funzione: può essere alleata del cervello quando si attiva positivamente "stimolando la crescita delle sinapsi (azione neuro-protettiva) e in maniera negativa determinando la distruzione di queste connessioni sinaptiche; la microglia cattiva può essere inattivata con farmaci così da limitare il suo effetto neuroinfiammatorio", sottolinea l'esperta.

Cosa fare

È chiaro che si tratta di meccanismi propri del cervello che non possiamo regolare se non provando ad avere abitudini e stili di vita sani così da favorire la crescita di quella positiva e mantenere il più possibile attivo il nostro organo. Se, invece, viviamo costantemente in preda ada ansia e stress eccessivo (causato anche dalla mancanza di sonno), ecco che la microglia non benevola va nell'altra direzione. "Per questo motivo si può supporre che la discriminazione di genere, che crea ansia, possa anche negativamente influenzare lo sviluppo del cervello a causa della neuro-infiammazione". Infatti, donne cresciute in ambienti sani e senza la differenza con gli uomini, dove sono state valorizzate e messe alla pari di tutti "sono più resistenti e resilienti, hanno ambizioni elevate e sono in grado di gestire le situazioni come gli uomini", conclude la neuroscienziata.

Marco Zonetti per Dagospia il 26 maggio 2023. 

Le lacrime amare della Sinistra sulle nomine "maschiliste" nei Tg Rai formalizzate ieri in Consiglio di Amministrazione a Viale Mazzini, riportano alla mente un episodio avvenuto nel gennaio 2020. 

All'epoca, Teresa De Santis, prima (e ultima) donna alla guida di Rai1, nominata dal Governo Lega-M5s, fu defenestrata due settimane prima del Festival di Sanremo che lei stessa aveva preparato (scegliendo in maniera lungimirante il conduttore Amadeus contro l'allora Ad Salini che gli avrebbe preferito Alessandro Cattelan...).

Due settimane prima della kermesse, per l'appunto, De Santis fu rimossa dall'incarico di direttrice di Rai1 per essere sostituita da un uomo, Stefano Coletta, in quota Centrosinistra. Uomo che, assieme ad altri due uomini, l'allora Ad Salini e l'allora presidente Foa, in prima fila all'Ariston durante lo stesso Festival - sulle note di Felicità di Al Bano e Romina Power - ballettavano gaiamente stile villaggio vacanze a Mykonos sul cadavere della povera De Santis lasciata a casa pochi giorni prima, all'ultimo momento.

Qualche femminista s'indignò pubblicamente? Qualcuno di Sinistra puntò il dito sulla defenestrazione "sessista" di una donna - per giunta la prima a raggiungere la direzione della Prima Rete Rai - per sostituirla anzitempo con un uomo? Spoiler: nessuno, zero zero carbonella. 

Peculiare poi che in quel periodo, durante il mandato della De Santis, quasi ogni santo giorno il quotidiano La Repubblica lamentasse per la Rai1 "leghista" ascolti in declino, share in picchiata, inusitati disastri e inesorabili calamità. All'arrivo di Coletta, malgrado gli ascolti fossero inferiori a quelli di chi l'aveva preceduto, tali articoli svanirono magicamente e Repubblica smise tout court di occuparsi degli ascolti Rai (o almeno non con la stessa assidua frequenza dei tempi di De Santis).

Divertente anche la presa di posizione della presidente Rai Marinella Soldi che ieri ha votato contro le nomine di Chiocci e Preziosi al Tg1 e al Tg2. La manager renziana ha votato invece a favore delle direzioni di genere – Prime Time, Day Time, Approfondimenti eccetera – secondo le indicazioni della “santa alleanza” composta da Giampaolo Rossi, Roberto Sergio e Mario Orfeo, di cui Dagospia ha parlato mercoledì. 

Curioso il fatto che, per motivare il suo rifiuto a Chiocci e Preziosi, l’ex direttrice di Discovery per il Sud Europa, abbia invocato la parità di genere, scandalizzandosi per la totale "assenza di donne". La presidente Soldi è infatti fautrice del protocollo "No Women No Panel", che si batte per la presenza equivalente di donne e uomini nei dibattiti televisivi.

Peccato però che ogni tanto la buona Soldi deroghi da tali princìpi. Ultima occasione in ordine di tempo, il dibattito di Bruno Vespa con Volodymyr Zelens'kyj al quale partecipavano sei uomini (Mentana, De Bellis, De Bortoli, Porro, Tamburini, Molinari), sette con il conduttore, e una sola donna, Monica Maggioni. 

Silenzio assoluto della Soldi anche nel febbraio di quest'anno quando, sempre a Porta a Porta, a commentare l'esito delle elezioni regionali Vespa chiamò ben otto uomini (con lui nove) e nessuna donna.

Rai, di tutto di più. E soprattutto due pesi due misure.

Estratto da repubblica.it il 27 maggio 2023.

[…] A Milano torna dal 25 al 28 maggio il "Festival de ciclo mestruale", con 45 eventi tra talk, workshop, concerti, spettacoli, film e dj set tutti o quasi concentrati nel quartiere Dergano, tra gli indirizzi di Rob de Matt e Nuovo Armenia. 

Il Festival è organizzato in particolare dall'associazione Eva in Rosso, ideatrice del primo podcast italiano dedicato al ciclo, oltre che da Promise e Errante, due associazioni che si occupano di pari opportunità e di empowerment femminile. E con il patrocinio del comune di Milano. 

Ma a cosa serve un festival che parla di mestruazioni? Non parliamo solo di tamponi e coppette, assicurano gli organizzatori. Leggiamo dalla presentazione: "Il Festival vuole cambiare la narrazione sul ciclo mestruale, e riconoscerlo come tema fondamentale per la salute e la parità di genere.

Vuole contrastare le forme di emarginazione che ancora colpiscono le persone che mestruano, e creare uno spazio di ascolto e di riflessione promuovendo una rete di supporto. Vuole aiutare a comprendere e a gestire i sintomi fisici ed emotivi legati alle mestruazioni, e informare sui dispositivi sanitari per fare scelte d'acquisto consapevoli e sostenibili". […] 

Uomini? Eccoli in "Se la bistecca è al sangue, girala! Incontri ravvicinati tra uomini e mestruazioni", un talk a cura della community Mica Macho (che si presenta come "stanca della narrazione maschilista della virilità") per capire quanto ne sanno gli uomini del ciclo mestruale e "come si è evoluto il loro rapporto con la metà del mondo che mestrua".

Perché - è chiaro da tutte le descrizioni dei talk - il Festival parla non solo di donne, da lì la formula "persone che mestruano" (e come non ricordare le polemiche che hanno investito J. K. Rowling), includendo anche i transgender che decidono di non prendere ormoni e quindi "endometriosi, vulvodinia e altre forme di dolore pelvico cronico non riguardano solo le donne cisgender": e di questo si tratterà nell'incontro "Dolore pelvico cronico: l’esperienza delle persone trans*" in collaborazione con MiX Festival, il Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer. […]

Estratto da “la Stampa” il 25 maggio 2023. 

Pubblichiamo parte dell'intervento che Lucetta Scaraffia, scrittrice ed editorialista de La Stampa, terrà domani al festival è Storia (dal 22 al 28 maggio a Gorizia), dalle 10.30 alle 11.30 presso il Teatro Comunale G. Verdi. Il titolo dell'incontro è Appunti per una storia del femminismo in Italia.  

[…]

Oggi le donne hanno raggiunto la parità con gli uomini in tutti i campi della vita sociale, hanno ottenuto il libero controllo sul loro corpo, hanno cambiato le leggi e il modo di considerare la violenza sessuale. Su questo non ci sono dubbi. Ma rimane aperta una domanda: quale è il femminismo che si è affermato, quale progetto politico di liberazione della donna ha vinto? 

Le prime femministe, quelle che chiedevano il voto e l'accesso all'istruzione, difendevano la specificità femminile, cioè la maternità. Sostenevano che le donne mai avrebbero rinunciato al dono prezioso di essere madri, e che proprio questo le rendeva portatrici e testimoni di una morale più alta di quella maschile, una morale altruista, che predicava il dono gratuito, la pace e la cura dei deboli.

Parallelamente, si è fatta avanti però un'altra linea politica femminista: quella delle donne che pensavano che ottenere la parità significasse diventare come gli uomini, e quindi rinnegare, o per lo meno mettere in secondo piano, lo specifico femminile, cioè la maternità. Questa è la corrente che ha preso il sopravvento nel secondo dopoguerra, quando, dopo avere ottenuto il voto, l'accesso alla cultura e alle professioni maschili come la medicina e l'avvocatura, le donne hanno spostato i loro obiettivi di lotta sulla libertà sessuale, a cominciare dalla libertà di non avere figli. In sostanza, liberarsi del fardello della maternità che impediva loro di essere come gli uomini.

[…] Per questo l'obiettivo primario delle lotte degli anni Settanta in Europa è stato il diritto di aborto. […]

Un diritto che nei movimenti femministi prende rapidamente il primo posto fra tutti i diritti, viene considerato cioè "l'Habeas corpus" della libertà femminile. Tanto che le Nazioni unite considerano la libertà di aborto l'indicatore principale del grado di libertà delle donne in ciascun paese, a scapito di altri indicatori più importanti come l'accesso alla cultura, al lavoro.

[…] Sarebbe stato certo più opportuno considerare diritto fondativo della parità femminile la legge contro lo stupro, che riconosce il diritto alla vittima di ottenere giustizia come persona. Grazie ai movimenti femministi, infatti, lo stupro – prima considerato in tutti i paesi come una trasgressione alla morale pubblica – è diventato delitto contro la persona, riconoscendo così la libertà di ognuno di disporre del proprio corpo, di rifiutare un rapporto sessuale imposto. Questo cambiamento legislativo ha ridato la parola e la dignità alle vittime, ed è servito a cambiare la mentalità corrente. 

Considerare l'aborto il principale diritto che testimonia la libertà delle donne, invece, non mi sembra sia stata una buona idea: subito dopo i movimenti femministi hanno iniziato una fase di declino, solo in parte attribuibile al fatto di avere raggiunto quasi in ogni Paese gli obiettivi che si erano proposti. Questo "quasi" del resto è molto pesante. Lo dimostra il fatto che ancora esiste un divario fra salario femminile e salario maschile a parità di posizione lavorativa, e soprattutto che sia molto difficile, per le lavoratrici, avere dei figli senza cadere in una spirale di fatica continua.

Il drammatico calo delle nascite che, più o meno, tocca tutti i Paesi occidentali avanzati, cioè quelli in cui si è affermata la rivoluzione delle donne, dimostra che la scelta di perseguire il modello maschile, invece di difendere la specificità femminile, in particolare la maternità, ha generato forti problemi sociali. E certo non ha reso più felici le donne che, in grande numero, hanno dovuto rimandare la possibilità di avere dei figli così tanto che troppo spesso l'hanno perduta del tutto. 

[…]

Nell'ultima fase femminista, infatti, si è cercato di rendere più evidente e sicura la parità proponendo una cancellazione dell'identità sessuale biologica. Con la teoria del gender, l'appartenenza biologica è stata sostituita da una semplice scelta individuale. In sostanza, in questo modo si cancella che esista la specificità femminile, come se per le donne fosse possibile ottenere la parità di diritti solo negando di essere donne.

Legata a questa svalutazione della maternità è la diffusione della pratica dell'utero in affitto, sanzionata da alcuni movimenti femministi che la denunciano come una nuova schiavitù del corpo femminile, ma considerata un esercizio di libertà da altri. Mentre la nuova libertà concessa ai giovani, anche adolescenti, di cambiare identità sessuale, per diventare quello che sentono di essere o che preferiscono essere, sta registrando in prevalenza passaggi dall'identità femminile a quella maschile.

Un segnale, quindi, che le giovani continuano a pensare che sia meglio essere uomini che donne. Una prova ulteriore che i movimenti femministi, da quando hanno dimenticato la difesa della specificità femminile, hanno impedito una trasformazione sociale veramente a misura delle donne. Abbiamo ancora molte battaglie da combattere e la teoria del gender non è una soluzione.  

 Grido di libertà. Care femministe, non dimenticatevi della protesta in Iran. Golshifteh Farahani su L'Inkiesta l'11 Maggio 2023

Le iraniane stanno combattendo per loro stesse, ma anche per tutte le altre donne. e hanno bisogno di molte più voci che si alzino in loro sostegno. rimanere silenziosi è essere complici

Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Turning Points 2023 in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia da oggi in edicola. E ordinabile qui.

Care femministe di tutto il mondo io sono un’attrice e artista iraniana. Vivo in esilio dal 2008 e cioè da quando ho recitato nel film Nessuna verità di Ridley Scott e le autorità iraniane mi hanno accusato di lavorare per la Cia. Scrivo a nome delle impavide ragazze e degli uomini che si stanno sollevando contro l’oppressione e la disuguaglianza in Iran. Da esiliata non ho l’autorevolezza per rappresentare queste rivolte coraggiose. Sto solo cercando di fare da cassa di risonanza dei sentimenti delle mie sorelle e dei miei fratelli per aiutare il mondo intero a comprendere che cosa sta succedendo. Voglio tradurre una lingua straniera – e non solo le parole ma il loro vero significato. Il fatto chi io sia stata in Iran fino a quando ho avuto venticinque anni e che poi abbia vissuto in esilio per i successivi quattordici, mi rende una sorta di ponte tra due culture molto diverse che hanno però più cose in comune di quanti molti in Occidente possano pensare. E questo è particolarmente vero per la Generazione X, il gruppo di giovani che sono nati tra il 1997 e il 2012 e che sono la forza trainante dell’attuale rivoluzione.

Lasciatemi iniziare dicendo che capisco che ci sia voluto tanto tempo perché molti in Occidente si accorgessero della rivoluzione storica che si sta svolgendo nel mio Paese. La mia casa, l’Iran, si trova in una delle zone del mondo più difficili da capire. Giusto e sbagliato spesso trascolorano confondendosi e il mio popolo vive una grave sofferenza. Benché l’Iran sia, per molti versi, la culla della moderna civiltà umana, il suo tessuto politico, culturale, sociale e religioso è il più complesso che si possa immaginare. E in Iran, forse più di quanto non accada in qualunque altro luogo del mondo, le contraddizioni attraversano in profondità le classi sociali, i gruppi di età e persino le stesse famiglie.

Le contraddizioni e la confusione che si trovano nella politica e nella cultura del Medio Oriente non sono altro che un riflesso ingigantito delle contraddizioni e della confusione che dominano ovunque il dibattito per quanto riguarda alcuni importanti temi globali. Invece che di cose giuste e cose sbagliate e di un bianco-e-nero facile da comprendere, il mondo sembra fatto di un infinito spettro di sfumature di grigio – o dei colori di un arcobaleno, come personalmente preferisco pensare. E allora perché questa rivolta è diversa? Perché questa volta non ci sono sfumature di grigio. Quello che la Generazione Z iraniana vuole è molto semplice: la libertà. Libertà di scelta. Libertà per le donne iraniane di comportarsi, di vestirsi, di comportarsi, di camminare e di parlare come vogliono e cioè come fanno gli uomini.

Non c’è il coinvolgimento di una qualche precisa ideologia né di alcun movimento politico formale, di sinistra o di destra. La semplicità della richiesta di libertà è ciò che la rende così potente. Non ci sono due punti di vista diversi. Non c’è nessuna discussione complessa. Non c’è spazio per la confusione. Credo che questa sia la ragione per la quale precedenti rivolte, soppresse con ancor maggiore violenza e brutalità, non hanno avuto successo e non hanno suscitato la stessa attenzione nel resto del mondo. Dal momento che ci sono molte opinioni infondate sulla parte del mondo da cui provengo, scommetto che sia difficile credere che essa possa diventare anche una fonte di ispirazione. Siamo abituati a sentire di terroristi che si fanno saltare per aria. Abbiamo letto delle pratiche medievali dello Stato islamico e dei talebani.

Abbiamo visto reportage in televisione che mostravano donne coperte dalla testa ai piedi, alle quali non era consentito andare in bicicletta o guidare automobili. Quello che in Occidente non vedete è che la nostra Generazione Z è molto simile alla vostra: i ragazzi che ne fanno parte postano video su TikTok, seguono i loro idoli su Instagram e amano cantare, ballare ed essere felici. Cercano un significato spirituale in un mondo che li confonde. E ora ne hanno abbastanza di vivere questa doppia vita – una vita in cui fanno esperienza della libertà soltanto nel mondo virtuale o dietro porte chiuse e in cui le ragazze sono costrette a coprire i loro capelli in pubblico come se vivessero nel Medioevo.

Fin dall’inizio di questa rivoluzione mi sono domandata perché molte importanti femministe occidentali che difendono i diritti delle donne siano rimaste silenziose, come se facessero fatica a esprimere pubblicamente il loro supporto per la nostra rivoluzione. Avendo vissuto in Occidente per così tanto tempo, capisco bene quanto debba essere difficile per queste femministe comprendere la profondità e l’importanza storica di ciò che sta avvenendo in Iran.

Vorrei dare il benvenuto a un vostro cambio di atteggiamento. E mi sento costretta a dirvi che nei primi giorni della loro durissima lotta le mie sorelle si sono sentite abbandonate dalle grandi femministe occidentali. Il silenzio da parte di quelle donne potenti è stato per loro incomprensibile. Si sono domandate come mai degli uomini come Trevor Noah, Justin Bieber o Chris Martin e i componenti dei Coldplay avessero subito manifestato ad alta voce il loro supporto e invece non troppe donne famose avessero fatto altrettanto. Com’e possibile che delle ragazze in Iran – e tra esse la sedicenne Nika Shakarami e la ventiduenne Mahsa Amini – siano state assassinate brutalmente e che molte donne americane, che sono state in prima fila nei più importanti movimenti femministi, siano rimaste in silenzio?

Ciò che sta avvenendo in Iran è una lotta per la libertà e l’uguaglianza. Non è una lotta contro l’hijab o contro gli uomini. È una lotta contro l’ignoranza. E questo è il motivo per il quale è condotta dagli uomini altrettanto che dalle donne. Per molti versi, le mie sorelle stanno combattendo la loro battaglia anche per tutte le altre donne – per i loro diritti e per l’uguaglianza. L’unica differenza è che loro rischiano ogni giorno le loro vite. E potete stare certi che le ripercussioni di questo movimento non si fermeranno ai confini dell’Iran, ma influenzeranno l’intera regione, dando speranza ad altre donne che non possono neppure sognarsi di alzare la loro voce contro tutti i diversi tipi di oppressione con i quali devono misurarsi ogni giorno della loro vita. Ma senza di voi questo movimento andrà in pezzi.

Non abbiamo bisogno di un intervento militare. E molti in Medio Oriente guardano con sospetto persino gli interventi politici. Il ricordo del coinvolgimento degli stranieri nel golpe del 1953 contro il primo ministro iraniano Muhammad Mossadeq è profondamente radicato nella psicologia degli iraniani. Un movimento come questo ha bisogno che si alzino voci in suo sostegno. Rimanere silenziosi è essere complici. Per come la vedo io, se ignorate le donne iraniane e la loro rivolta coraggiosa significa che state voltando la schiena a secoli di lotta delle donne per la libertà e l’uguaglianza.

"Avvocata e ingegnera". La lezione di Ambra Angiolini a Murgia & Co. Lasciando di stucco i radical chic del Concertone, l'attrice tira una bordata alle ultrà dello schwa che ogni giorno storpiano la lingua italiana. Giorgia Fenaroli il 2 Maggio 2023 su Il Giornale. 

Parole, parole, parole. Soltanto parole. Mina già lo cantava nel 1972, ma la lezione del brano sembra essere tornata utile sul palco del concertone del Primo Maggio. Ieri da piazza san Giovanni, a Roma, la conduttrice Ambra Angiolini si è scagliata contro quelle che in fin dei conti sono solo parole. "Avvocata, ingegnera, architetta: tutte queste vocali in fondo alle parole saranno armi di distrazione di massa?", ha detto l'attrice e cantante, lasciando forse di stucco la stuola di radical chic che gioivano nel vederla alla conduzione del carrozzone del Primo Maggio per la sesta volta. "Le parole ci fanno perdere di vista i fatti. E i fatti sono che una donna su cinque non lavora dopo un figlio, che guadagna un quinto in meno di un uomo che copre la stessa posizione", ha detto snocciolando i dati. 

Persino l'ex valletta di Non è la Rai sembra esserci accorta della contraddizione portata avanti da chi - Michela Murgia, Laura Boldrini e compagne in primis - vorrebbe farci credere che sia sufficiente non una parola, ma una sola vocale a cambiare tutto. Da chi non vede l'ora di storpiare la lingua italiana, facendola passare come una grande "conquista", convinti che tanto basti a risolvere finalmente la questione femminile e dare alle donne quello che meritano. Poco importa se poi, nella realtà, le donne continuino a essere pagate meno dei loro colleghi uomini o trovino più difficoltà a entrare nel mondo del lavoro: almeno potranno fregiarsi del gagliardetto di farsi chiamare avvocata, medica, sindaca. 

"Non lo diceva già la Costituzione nel 1948 che la donna doveva avere gli stessi diritti dell’uomo nell’art. 36? Che ce ne facciamo delle parole?", ha detto Ambra. Dal palco rosso per eccellenza, l'attrice ha tirato una bella bordata alle femministe "de sinistra" che pretendono di sapere cosa è meglio per tutte, impartendo una lezione ai fan della lingua di genere: le battaglie da combattere sono altre e ben più importanti di una vocale a fine parola. 

E se è vero che la lingua descrive la società, è anche vero che di certo non basta mettere una "a" alla fine della parola per cambiare il mondo. È solo un contentino che allontana il dibattito dalle cose serie. Oltre a creare una comprensibile irritazione nell'opinione pubblica, le femministe causano anche l'effetto opposto rispetto a quello che vorrebbero raggiungere: è di pochi giorni fa il sondaggio della Fondazione Bruno Kessler secondo cui farsi chiamare "avvocata" testimonia una minore affidabilità rispetto al maschile (e neutro) "avvocato". Ambra lo ha capito e non risparmia una frecciata finale ai cultori del politicamente corretto: "Voglio proporre uno scambio: riprendetevi le vocali in fondo alle parole al femminile, ma ridateci il 20% di retribuzione. Pagate e mettete le donne in condizione di lavorare. Uguale significare essere uguale. E finisce con la e".

Estratto dell'articolo di Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera” il 20 marzo 2023.

Bando ad asterischi e schwa, no all’articolo davanti al nome (la Meloni, la Schlein), e no alle reduplicazione retoriche (i cittadini e le cittadine, le figlie e i figli), sì invece al plurale maschile non marcato «inclusivo», e soprattutto ai nomi di professione declinati al femminile (avvocata, magistrata, questora): l’Accademia della Crusca risponde così al quesito postole dal comitato pari opportunità del consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari rispettosa della parità di genere.

[…]

Intanto, niente asterischi o schwa: «È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Va dunque escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (”Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…). Lo stesso vale per lo scevà o schwa».

Poi, in una lingua come l’italiano che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, «lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti» non è per l’Accademia della Crusca «la reduplicazione retorica, che implica il riferimento raddoppiato ai due generi» (come in «lavoratrici e lavoratori», «impiegati e impiegate»); ma é «l’utilizzo di forme neutre o generiche (per esempio sostituendo “persona” a “uomo”, “il personale” a “i dipendenti”), oppure (se ciò non é possibile) il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare».

E sempre il maschile non marcato si può usare quando ci si riferisce «in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta», ad esempio «il Presidente del Consiglio». Per il resto, l’Accademia suggerisce di «far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile»,

[…]

Estratto dell'articolo di Selvaggia Lucarelli per “il Fatto quotidiano” il 3 maggio 2023.

Era difficile condurre un Primo Maggio e riuscire a fare solo cose profondamente di destra, ma Ambra Angiolini – incredibile a dirsi – ce l’ha fatta. Probabilmente, se accanto a Biggio ci fosse stata Daniela Santanchè, avremmo avuto un Primo Maggio più spostato a sinistra, ma ormai è andata. La conduzione inizia subito in maniera un po’ stonata. 

La conduttrice che parla di alternanza scuola-lavoro e di come sia stato ingiusto rubare il futuro a un giovane di 18 anni (Lorenzo, morto in alternanza scuola lavoro) che doveva solo andare a scuola. Considerato che Ambra ha iniziato a lavorare a Non è la Rai a 14 anni dalle 11 del mattino fino alle sei del pomeriggio, sarebbe stato più interessante ascoltare la sua esperienza più che la sua predica, ma poi sono saliti sul palco i genitori di Lorenzo con la loro incrollabile dignità e il momento è stato toccante.

Tra una canzone e l’altra, sotto la pioggia battente, è poi il turno del fisico Carlo Rovelli, il quale sul palco dice quello che ribadisce da tempo, e cioè che è contrario alla guerra: “Lo sapete che in Italia il ministro della Difesa è stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi del mondo? Il ministero della Difesa deve servire per difenderci dalla guerra, non per fare i piazzisti di strumenti di morte”. 

(...)

Diamo a tutti la possibilità di parlare ma anche a tutti quella di rispondere e questa risposta è mancata. È un’opinione del professor Rovelli”. 

Ha fatto bene a chiarire questo ultimo passaggio perché pensavamo che sul palco Rovelli avesse portato un’opinione di Ornella Vanoni e invece era proprio sua, pensate che cosa bizzarra, ma detto ciò, la parte davvero anomala della precisazione è quel “ci dovrebbe essere un contraddittorio”. E certo, ogni volta che qualcuno esprime un’opinione su qualcun altro deve esserci anche l’altro. Un po’ macchinoso come metodo. 

Quindi ogni volta che in tv qualcuno cita Biden bisogna organizzare uno skype con la Casa Bianca. A questo punto se si cita Mussolini urge una seduta medianica in diretta per fargli dire anche la sua. Il ministro Crosetto poi fa molta fatica a trovare un pulpito da cui controbattere, pover’uomo.

E infatti, con immensa fatica, oggi su tutti i giornali del paese è stata riportata la sua risposta, della serie: “Rovelli faccia il fisico. Gli mando un abbraccio pacifico e lo invito a pranzo”. Tra parentesi, quando Fedez lanciò la sua invettiva da quel palco non ricordo la conduttrice Ambra pronta a cazziarlo perché mancava la controparte. Al Corriere della Sera che il giorno dopo le ha chiesto come mai avesse preso le difese di Crosetto, ha risposto: “È una questione di umanità”. 

Quindi esprimere un’opinione senza che l’oggetto dell’opinione sia presente è disumano. Io sto scrivendo questo articolo senza che Ambra sia seduta accanto a me, spero possa tollerare la mia dose di disumanità. 

E poi, siccome non era già abbastanza a destra, Ambra si sposta ancora un po’ più a destra. Per parlare di donne e lavoro le è parsa una buona idea leggere delle card con dei testi scritti sopra da qualcuno che poteva essere a) Giorgia Meloni b) Hoara Borselli c) Giorgia Meloni e Hoara Borselli a quattro mani. Il concetto sintetizzato era: inutile parlare di desinenze, accapigliarci per un avvocatO anziché avvocatA se tanto quando si parla di lavoro i nostri diritti sono ancora calpestati. Torniamo a occuparci della ciccia anziché parlare di vocali. Pagateci il giusto stipendio e tenetevi le vocali.

Insomma, secondo Ambra Angiolini le parole non sono importanti, basta il giusto stipendio. In effetti potremmo continuare a chiamare i lavoratori di colore “ne*ri”, l’importante è che ricevano il giusto salario. O ignorare la questione identità di genere e continuare a usare le desinenze maschili pure riferendoci a chi si sente donna e viceversa (e però Ambra non perde occasione per indossare il maglioncino o la spilletta arcobaleno). 

Nessuno le ha mai spiegato che l’inclusività passa prima di tutto attraverso il linguaggio, e che la prima forma di discriminazione e di rivendicazione del predominio maschile è proprio questa resistenza a consegnarci la nostra identità. Eppure fu proprio lei, anni fa, a raccontare quanto una parola di Aldo Grasso la ferì a morte, a spiegare alla sua generazione quanto le parole scrivano la realtà. Definiscano. Facciano vivere o sparire.

Insomma, davvero un brutto primo maggio quello di Ambra Angiolini, ma di sicuro IL presidente Meloni sarà contento. O contenta.

Decida Ambra.

 Apriti schwa. Concertone e Domenica In, la grande festa degli scandali scemi del Nuovo Asilo Italiano. Guia Soncini su L'Inkiesta il 3 Maggio 2023

Siamo arrivati a dare peso alle parole di chi non vive di parole proprie, fino al punto di far partire l’inquisizione digitale contro le attrici che dicono cose banali 

Comincerei dagli attori, e formerei due file ordinate. Da una parte chi non ha studiato niente, al massimo ha appreso da “Shakespeare in love” che una volta i ruoli femminili li interpretavano i maschi, e parla degli attori come fossero persone intellettualmente rilevanti. Dall’altra chi rimpiange i tempi in cui venivano sepolti in terra sconsacrata, e si chiede con sconforto come siamo diventati una società che domanda pareri a gente pagata per esprimersi con parole altrui.

Tra domenica e lunedì, grande festa alla corte degli scandale du jour, e tutta a base di attori, cioè appunto di gente che si è scelta un mestiere che le garantisca di non dover mai pensare a cosa dire. Ma questo non basta, nell’epoca in cui, pur di posizionarci dalla parte dei giusti, siamo disposti anche a prendercela con chi non vive di parole proprie.

Domenica In” ospita una coppia di attori. Sono marito e moglie, hanno fatto un film insieme, sono piuttosto bellocci. Non credo d’aver mai visto un film con lei, lui invece l’ho visto quando copulava con Rosy Abate in quel capolavoro kitsch che era “Squadra Antimafia”, serie di Canale 5 (parlando di Canale 5 da viva).

Mara Venier lo tratta come fosse Marlon Brando, ne loda la credibilità e il non essersi mai venduto (della signora invece lodano tutti in coro l’onestà intellettuale, qualunque cosa significhi). Del film che sono venuti a presentare lui fa la regia. Trascrivo le prime parole che ne dice: «Non è un film di caccia, “La caccia” è un titolo che rappresenta un po’ una sorta di metafora della vita, nel senso una caccia a volte anche contro sé stessi, contro le proprie anime».

A quel punto noialtre sul divano pensiamo «figlio mio, meno male che sei belloccio», sua moglie e la Venier invece si guardano e sospirano quant’è intelligente, un po’ tipo i Ferragni quando il figlio scarabocchia un foglio e volano i «bravissimo, amore!».

L’intervista prosegue con un lessico da non madrelingua. La coppia racconta d’un bisticcio perché al figlio un compagno di calcio aveva fatto fallo, lui dice «una cosa goliardica», non faccio in tempo a chiedermi cosa diavolo penserà voglia dire «goliardica», quando lei dice del marito «non mi aspettavo questo suo randagismo che a me piace molto perché io adoro essere gestita», e ci vuole fantasia a immaginare cosa intenderà mai con «randagismo» (autoritarismo? perentorietà? dogmatismo?).

È a quel punto che arriva lo scandale du jour, che mostra i due caratteri classici della dinamica degli scandale du jour: dici una cosa di cui nessuno si sarebbe scandalizzato dieci anni fa ma che può riempirci le giornate social oggi; nessuno di coloro che partecipano alla conversazione capisce come va il mondo (e infatti con la frase su RaiPlay ci fanno il titolo dell’intervista) e quindi l’inquisizione spagnola arriva, come sempre, inaspettata.

La frase dell’attrice riguarda la spartizione dei lavori domestici tra lei e il marito: «Io non tollero l’uomo che si mette a fare il letto, a dare l’aspirapolvere, non lo posso proprio vedere, sono antica in questo, rispetto i ruoli, non mi piace, mi abbassa l’eros, me lo uccide». Se fossimo una società di adulti, tratteremmo questa frase come ciò che è: l’affermazione di una che ha del personale di servizio in casa.

Siccome siamo un collettivo di dodicenni pronti a tutto per prendersi i cuoricini, ci costerniamo e ci indigniamo e americanizziamo la questione: non sei un’attrice che dice delle cose a caso in un programma della domenica pomeriggio, sei un modello comportamentale, e stai dicendo alle donne a casa che devono fare da serve ai loro mariti.

E le donne a casa ti ascolteranno, diamine, perché se c’è una cosa che accomuna le donne emancipate e quelle meno emancipate è che vivono come le attrici in tv dicono loro di vivere. (Il martedì, la poverina dovrà scusarsi. Scusarsi perché non le fa sangue che il marito passi l’aspirapolvere. Pensa se avesse detto che le piace farsi legare al letto, che espiazione le toccherebbe).

Il lunedì, per completare la ricreazione, il concerto del primo maggio viene condotto da un’altra attrice, che a un certo punto fa la sua brava tirata sul lavoro femminile e sul divario salariale. Che è un lamento propagandistico anche quello da cuoricini facili. Certo che ci saranno eccezioni, che sono appunto eccezioni; ma perlopiù esistono i contratti collettivi nazionali e non prevedono che io possa pagarti meno se hai le tette.

Perlopiù, i dati sul divario salariale che propagandisticamente vengono citati sono il risultato di comparazioni che non tengono conto dei ruoli: in generale le donne guadagnano meno degli uomini perché in generale le donne scelgono di fare le professoresse e lavorare diciotto ore a settimana e non di fare i cardiochirurghi e stare in sala operatoria dodici ore di fila.

La conduttrice sceglie – come chiunque stia su quel palco e non voglia farsi linciare – di dire che il divario salariale esiste, ma per farlo osa aggiungere un dettaglio, così la linceranno comunque ma per aver mancato di rispetto a un totem più piccino. La conduttrice dice che insomma, basta con questa scemenza delle vocali finali, paghiamo la donna che fa l’ingegnere quanto l’uomo, invece di preoccuparci che la chiamino «ingegnera». Apriti schwa.

Su Instagram una comica si mette le orecchie da persona seria e le fa la lezioncina: una volta, cara te, non c’era la parola «attrice» perché il tuo lavoro lo facevano gli uomini, se non ti suona «medica» è perché non sei abituata alle femmine con lavori di responsabilità. (Mistero misterioso perché in questi casi nessuna chieda la vocale giusta per la muratora che così spesso rischia la vita sulle impalcature).

Su Twitter, una tizia che in bio ha un ruolo nella segreteria Schlein e molti cancelletti le dice perentoria che non solo è molto grave non volersi occupare delle vocali, ma pure che «non si tratta col patriarcato». Signora, il patriarcato ci ha dato la pillola. Signora, il patriarcato per la mia liberazione – e pure per la sua – ha fatto parecchio più dei cancelletti.

Anzi, sa che le dico? Il patriarcato ci ha dato pure i cancelletti, cancelletti che oggi – in una società che ha risolto questioni quali i diritti dei lavoratori, l’acqua potabile, la sanità e la scuola gratuita, e altre bazzecole che nella vostra delirante abolizione delle gerarchie sono rilevanti quanto il 41 bis per gli uomini che non sparecchiano – ci permettono d’intrattenerci per interi pomeriggi posizionandoci dalla parte dei buoni e dei superiori.

Superiori a un’attrice che non vuole che il marito rifaccia i letti, e a un’altra che chiama «avvocato» gli avvocati con le tette. Avvocati con le tette nessuna delle quali vuol essere chiamata né col femminile italiano – avvocatessa – né con quello in neolingua (avvocata). Ma sono donne, e quindi non sanno ciò che vogliono: noi che siamo dalla parte dei buoni le costringeremo a non farsi chiamare avvocato e a non sparecchiare, e ancora una volta avremo salvato il mondo.

«Ambra Angiolini ha ragione: provocano noi donne sulle vocali, e poi ci ignorano sui numeri». Beatrice Dondi su L'Espresso il 3 maggio 2023. 

La distrazione di massa del monologo della conduttrice sul palco del Primo Maggio è l’arma impugnata da chi di quella desinenza (Avvocata, Architetta) non sa che farsene. E che alle donne nega senza fatica quel 20 per cento di retribuzione

Le parole sono importanti, ce l’ha insegnato Nanni Moretti, e lo abbiamo imparato sulla nostra pelle, giorno dopo giorno. Sì, le parole sono importanti. Ma alla fine le azioni lo sono almeno altrettanto. E purtroppo, accade spesso, l’attenzione riservata a quelle parole appunto importanti rischia di fagocitare tutte le altre attenzioni, come un aspirapolvere alla massima potenza che porta via tutto, dai riccioli di polvere di Stephen King al senso profondo delle battaglie di cui quelle parole dovrebbero essere il vestito.

Così è successo che incautamente Ambra, conduttrice del concertone del Primo Maggio, si sia lasciata andare a un monologo sul lavoro delle donne che anziché far sobbalzare gli astanti per il suo contenuto ha fatto indignare per la riflessione sul linguaggio.

Non è che stiamo sbagliando battaglia? Ha detto Ambra dal palco di San Giovanni «Negli ultimi tempi ci stiamo infatti accapigliando se una donna viene chiamata direttore d'orchestra o direttrice, avvocato o avvocata, come se il cambiamento (culturale e sociale) passasse solo da una qualifica. Tutte queste vocali in fondo alle parole sono, saranno armi di distrazione di massa?».

E qui la questione comincia a farsi seria. Perché ciascuna donna pretende a ragione la desinenza corretta, ci mancherebbe. E non è certo una concessione, si chiama molto semplicemente lingua italiana. Ma il problema su cui riflettere, scatenato dalla provocazione di Ambra è un altro. La distrazione di massa intravista da Ambra è l’arma impugnata da chi di quella desinenza non sa che farsene, è il punteruolo di chi i diritti delle donne li vede come una fase accessoria, un bigodino su una testa arruffata. E protesta contro queste “fissazioni al femminile” ben sapendo che la reazione (sacrosanta) arriverà puntuale. E a questo punto certo sì che ci si distrae. Se Meloni chiede di farsi chiamare Il Presidente è perché così è certa che per giorni si dibatterà su questa inezia, e non sul fatto che La presidente sino a oggi ai diritti delle donne non ha dedicato neppure una virgola. Si perdono di vista i fatti appunto e i fatti sono «che una donna su cinque non lavora dopo un figlio, che guadagna un quinto in meno di un uomo che copre la stessa posizione».

Certo, quando Ambra chiude il suo monologo proponendo lo scambio, « riprendetevi le vocali in fondo alle parole, ma ridateci il 20 per cento di retribuzione» fa un certo effetto. Nessuna donna vuole uno scambio perché non si cede un diritto in cambio di un altro. I diritti sono tali proprio perché sono per tutti. Ma fa ancora più strano che non si sia scatenato un putiferio su quel 20 per cento, che non è una parola, è un numero ma fa male da morire. Perché è vero che senza le parole non siamo, come ha scritto giustamente Loredana Lipperini su La Stampa. Ma la polemica è sempre portata avanti da chi pensa che uno stipendio ridotto solo a causa del nostro sesso non sia un tema. Tanto alla fine, meglio farci scaldare sulle vocali, così sulle consonanti in busta paga si può prendere tempo.

Dagospia il 29 Marzo 2023 “IL FEMMINISMO È DIVENTATO CARRIERISMO DA CLASSE ALTA” – LA SOCIOLOGA CAMILLE PAGLIA DEMOLISCE IL MOVIMENTO FEMMINISTA: “SI È TRASFORMATO IN UN ATTEGGIAMENTO DA TENERE SUL LAVORO. SONO POCHE QUELLE CHE PENSANO AGLI ENORMI PROBLEMI CHE DEVONO AFFRONTARE LE DONNE DEL TERZO MONDO” – “SE LA CIVILIZZAZIONE FOSSE STATA LASCIATA ALLE DONNE, VIVREMMO ANCORA IN CAPANNE COL TETTO D'ERBA” – E DICE LA SUA SULLA TEORIA DEL GENDER: “SONO UNA MUTANTE, MA LA NATURA ESISTE, PIACCIA O NO AGLI ACCADEMICI. IL SESSO È UNA CATEGORIA DELLA NATURA, È PROVA DEL FASCISMO DELLA NATURA…”

Estratto dell'articolo di S.S. per “La Stampa” il 29 Marzo 2023

Camille Paglia è una femminista inassimilabile. Per alcune e alcuni, inammissibile. Ha sempre detto di non aver mai aderito a nessun "gruppo", incarna e pratica il femminismo che si può chiamare al singolare senza sbagliare, senza premettere distinguo, e che è pensiero della differenza.

 «Il sesso è una categoria della natura, è il naturale dell'uomo e non c'è mutamento sociale che possa modificare la natura»: lo scriveva nel 1990 nel suo libro più famoso, Sexual Personae, che prima di uscire - per la Yale University Press - venne rifiutato da sette editori, poi diventò un successo mondiale, David Bowie disse che era uno dei suoi libri preferiti di sempre, e in Italia è stato ripubblicato da poco da Luiss University Press con la traduzione di Daniele Morante.

 Sul sesso e sul corpo che è prigione e «prova del fascismo della natura», Paglia non ha cambiato idea. [...]

Dall'insegnamento (alla University of the Arts di Filadelfia), alcuni suoi studenti qualche anno fa chiesero, senza successo, che venisse estromessa e poi definitivamente licenziata: aveva definito l'omosessualità «una sfida alla norma». Lei, la prima studentessa lesbica di Yale a fare coming out; allieva del grande critico Harold Bloom, che nel canone letterario occidentale aveva incluso una sola donna, Emily Dickinson; atea, di sinistra, amatissima dai conservatori, contestatissima da quasi tutti gli altri. «Sono una mutante, ma la natura esiste, piaccia o no agli accademici».

 Ha criticato le Femen e Derrida («Per me la D francese è Deneuve!»); Madonna e Beyoncé. L'hanno preoccupata sempre: l'odio o anche solo la diffidenza verso i maschi, che ha sempre denunciato come trasfigurazioni paternalistiche del femminismo; la mancanza di una educazione alle immagini nelle scuole; la sottovalutazione degli archeologi, per lei «più importanti di Foucault»; il #Metoo che, agli esordi, sulla rivista Quillette, definì «un nadir della politica», dicendosi preoccupata per il clima paranoico e di giustizia sommaria che andava addensandosi.

 […]

Lei una volta ha detto: «Se andate a casa di un uomo, significa che avete intenzione di fare sesso; in caso contrario portatevi un coltello». Lo pensa ancora?

«Sì. Credevo che la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta avrebbe messo fine al doppio standard paternalistico secondo cui le donne sarebbero più "pure" e meno audaci degli uomini. Ogni incontro che facciamo nella vita è una complessa transazione sociale, uno scambio di segnali verbali e non verbali. Gli uomini gay lo capiscono perché sono più aperti alle avventure sessuali. Molte donne etero, chiaramente, no».

Nel 1975, la scrittrice Giuliana Ferri scrisse che le donne volevano dare una misura più morale che fisica alla terra. È ancora un'ambizione valida?

«Le donne non hanno una maggiore moralità rispetto agli uomini. Semplicemente, commettono atti immorali in modo più discreto, meno visibile».

 […]

 Ha contribuito fornire nuovi modelli. La convince anche la Mattel che fa Barbie ispirate a donne esemplari, in carriera, e non più semplici bamboline magre ricche e bionde?

«Fornire alle ragazzine dei modelli di donne in carriera va benissimo. La Barbie però ha sempre le sue belle gambe, è una bambola, e non potrà mai non rappresentare un'immagine distorta e feticista di come dovrebbe essere il corpo di una donna: una cosa fuorviante per molte ragazze».

 Il femminismo si è fatto assorbire dal capitalismo?

«Sì. Il femminismo della seconda ondata si è trasformato in un atteggiamento da tenere sul lavoro: è diventato un carrierismo da classe medio-alta. Sono poche le femministe occidentali che pensano agli enormi problemi, anche mortali, che devono affrontare le donne nelle società rurali del terzo mondo».

 È però importante che ci si occupi delle discriminazioni in Occidente. Crede che aiuterebbe a superarle se guardassimo l'altro come persona slegata dal genere?

«Il genere è soltanto uno dei molti elementi che formano la personalità di un individuo. Perciò sono d'accordo con l'idea che si possa indicare un terzo genere sui documenti, una X. Lo Stato non ha alcun diritto di imporre ai cittadini di rientrare in due generi prestabiliti».

Che significato ha la differenza sessuale, ora, per lei?

«Lo stesso significato che le ho sempre dato: la vedo come un'espressione del fascismo della natura. Natura che, nella sua spinta fanatica verso la procreazione, non rispetta gli individui. Io non mi sono mai sentita femmina. E non mi sento neanche maschio, sebbene già da bambina mi piacesse vestirmi da uomo: ricordo i meravigliosi costumi di Halloween della mia infanzia, da Napoleone, da gladiatore, da torero della Carmen. Sexual Personae è la mia opera più importante e rappresenta una protesta nei confronti della scellerata tirannia della natura, che ci impone un genere, attaccando un frammento di Dna ad ogni cellula del nostro corpo. Lo scrittore americano Gor Vidal diceva che nella sua testa leggeva Sexual Personae con la voce di Myra Breckinridge, la sua eroina transessuale».

J.K. Rowling è accusata di essere transfobica perché ha ribadito che le donne non sono "persone con utero": sono donne. Perché è diventato discriminatorio quello che negli anni Settanta era un punto chiave del femminismo e cioè rivendicare la differenza femminile a partire dal corpo femminile?

«Nei corsi di "Studi di donne e di genere" nati negli anni Settanta non si studiava biologia, cosa con cui non mi sono mai trovata d'accordo. Poi, sul finire degli anni Ottanta, è spuntata la teoria queer postmoderna, a sostenere, stupidamente, che per definire la realtà sessuale basta il linguaggio. Di conseguenza, la seconda ondata femminista si è trovata impreparata a questa disputa».

 In Sexual Personae lei scrive che «costruire è la poesia sublime del maschio».

«Nella preistoria cercavamo riparo nelle caverne. Sono stati gli uomini a costruire le prime case di legno e poi i magnifici monumenti in pietra dell'antichità, per finire con i fantastici grattacieli di oggi. Le femministe però non riconoscono agli uomini la loro genialità, il loro duro lavoro. Come ho scritto, se la civilizzazione fosse stata lasciata alle donne, vivremmo ancora in capanne col tetto d'erba».

 […]

 Lei ha fatto più volte scandalo. Si è mai sentita censurata? Le succede, adesso, di subire ostracismo?

«Do scandalo fin dall'adolescenza! Sexual Personae è stato rifiutato da sette editori. Negli anni Novanta, se andavo a fare una lectio pubblica nei college, spesso c'erano proteste. Quel libro rimane escluso o bandito dal 99 per cento dei corsi di studi di genere in tutto il mondo».

 Cosa accadrebbe se perdessimo il mistero che secondo lei avvolge la sessualità femminile e che è «la ragione principale delle catene che l'uomo ha imposto alla donna»?

«Non sarebbe possibile, perché a essere avvolta nel mistero è l'origine stessa della vita, ovvero il mondo buio del grembo, delle ovaie. Quel mistero è stato la causa di crimini terribili, incluse le atrocità commesse da Jack lo Squartatore».

Perché facciamo sempre meno figli?

«Da sempre, nei periodi di sovrappopolamento e diminuzione delle risorse, la natura mette un freno silenzioso alla fertilità, ridimensionandola. Gli esseri umani sono semplici pedine sulla scacchiera della natura».

 Cosa di quello che chiamiamo "femminile" è naturale e cosa è costruzione sociale?

«La femminilità comincia dalle mani delle donne, più piccole; dalla pelle più liscia per un fatto ormonale. Da cose, cioè, che i neonati trovano più di loro gradimento. E poiché le donne più mascoline e aggressive, come me, si riproducevano meno di frequente, i loro geni si sono gradualmente diradati dall'avanzamento evolutivo, e il risultato è stato un aumento, un rafforzamento della polarità di genere. Invecchiando, gli uomini si ammorbidiscono, anche fisicamente, mentre le donne diventano più mascoline, come la Sibilla Cumana di Michelangelo».

 [...] 

È vero che l'Occidente è ammalato di vittimismo?

«Il vittimismo è un melodramma patologico simile a quello presente nell'estremismo religioso, con il martirio e la spettacolarizzazione del sangue. Troppe ragazze, oggi, sono ossessionate dalle proprie stigmate».

 Il sacro è scomparso?

«Il marxismo, che è ancora il credo dell'attuale borghesia accademica, è sprovvisto di metafisica. Bada solo all'economia e alla politica, ed è cieco verso il cosmo. Gli anglo- americani degli anni Settanta, una generazione ribelle, erano fieramente politicizzati, ma ricercavano anche il significato filosofico delle cose. Purtroppo quella grandiosa ricerca è stata distrutta dalle droghe».

 Cosa pensa di Papa Francesco?

«I papi moderni non mi interessano. Sono atea, mi definisco italiana, pagana e cattolica. Sono devota ai santi, alcuni dei quali all'inizio erano dèi pagani».

 [...]

Le femministe? Vogliono ottenere i diritti a furia di bestemmie. Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 10 marzo 2023

«Siamo la luna che muove le maree, cambieremo il mondo con le nostre idee». Chi ha pronunciato uno slogan così potente? Donne dei collettivi studenteschi e transfemministe che ieri sono scese in piazza a Milano in occasione della Giornata della Donna. Basta guardare i video che circolano in rete per capire come hanno voluto celebrare l’8 Marzo queste donne che intendono rivoluzionare il mondo. Mi imbatto subito in un’attivista che ci dice che la lotta femminile non è mai finita e c’è ancora molto da fare.

Tanta retorica e scarsa originalità verrebbe da dire, ma ero certa che andando avanti avrei potuto trovare di meglio. E così è stato. «Non ci sentiamo per niente rappresentate da questo governo, malgrado la premier sia donna. Non crediamo basti essere donna per cambiare le cose». Credo non servisse una giornata celebrativa per dirci che non basta nascere femmine per avere in tasca la patentedi genio. Ma il fondo è stato toccato con uno striscione sventolato con orgoglio. Un’immagine dipinta con dovizia di particolari con protagonista la Santa Vergine. O meglio, della Vergine c’è solo il Manto, perché al posto della sua immagine è stata rappresentata una vagina.

L’immagine sacra di Maria è una vagina accompagnata dalla scritta «Invoco Dio solo quando vengo». Queste donne che vogliono smuovere le maree utilizzano la blasfemia per apparire trasgressive. Il vergognoso manifesto è sorretto da donne che gridano «Giorgia Meloni non supporta la lotta femminista». Sarebbe questa la lotta femminista da supportare?

LA SVOLTA

Una bestemmia sventolata con orgoglio? E voi finte rivoluzionarie pensate che la premier potrebbe anche solo per sbaglio prendervi in considerazione? Io francamente mi sarei aspettata un 8 Marzo di trionfo, perché le donne, dopo tanti annidi lotte, hanno ottenuto il risultato più grande: una donna è il capo del governo italiano. E nessuno si aspettava che succedesse. E questo cambia in modo profondissimo il senso comune e fa compiere un salto in avanti clamoroso a ogni battaglia delle donne e anche a ogni battaglia femminista.

Ancora c’è tanta strada da fare, certo, ma quando una donna di poco più di quarant’anni si presenta ai giornalisti e proclama «io sono Giorgia Meloni e sono il presidente del Consiglio di questa nazione», chiunque capisce che l’Italia è uscita dal Novecento, dall’epoca dei maschi e basta. Fino ad un anno fa, l’8 Marzo ci scambiavamo sempre quel mazzetto di mimose, i maschi ci sorridevano, erano galanti, ma il potere era tutto loro. Come si fa a non capire che la conquista di Palazzo Chigi è stata la svolta vera? Che si è affermato il principio che una donna, se ne ha la forza e le doti, può arrivare dove le pare, senza farsi cooptare, senza quote, senza ricevere regali dagli uomini. Il tetto di cristallo è stato sfondato e quello di quest’anno doveva essere l’8 Marzo dell’apoteosi.

Le femministe avrebbero dovuto rivendicare questo successo. Come un successo loro. Potevano dire: anni e annidi battaglie, di sacrifici, di dolori, ma ecco qui che siamo arrivate al risultato più bello: una donna al vertice della nazione. E se poi volevano completare il discorso potevano anche citare Elly Schlein, che è arrivata a fare il capo dell’opposizione anche grazie alla spinta mostruosa che le donne hanno ricevuto dal successo di Giorgia. Lei dovrebbe essere grata al Presidente del Consiglio. P.S. I sindacati hanno voluto festeggiare l’8 Marzo con lo sciopero dei mezzi. Lasciando per strada migliaia di donne. Di donne del popolo, perché generalmente le marchese non prendono il 64. Bel gesto. Che dimostra che l’Italia va avanti. Ma che c’è sempre chi è rimasto indietro di un paio di anni luce. 

8 marzo, se lo sciopero femminista è una beffa per le ragazze: ma quale "parità"...Brunella Bolloli su Libero Quotidiano l’08 marzo 2023

Tu chiamale, se vuoi, contraddizioni. Lottare per i diritti, farsi sentire, uscire dalla logica dell’angolo. Esistere. L’onda rosa deve arrivare e, adesso, per fortuna, sta arrivando anche in Italia, ma sulle modalità della rivendicazione, sugli strumenti per metterla in atto, siamo tornate indietro. Per le femministe di “Non una di meno” l’unico modo è scioperare, bloccare le città e chi se ne importa delle donne che invece oggi devono andare a lavorare, delle pendolari che si fanno un’ora sui treni locali per raggiungere l’ufficio, delle mamme costrette a fare i salti mortali nel traffico per andare a recuperare i figli a scuola, delle badanti e delle caregiver a ore per le quali non esiste smartworking e un giorno senza paga a causa di uno sciopero significa tanto. 

Di chi è costretto, comunque, a recarsi al lavoro. A costoro le ragazze “in fucsia” non pensano, convinte che l’unico strumento per «portare avanti la lotta» sia la solita manifestazione che da sette anni organizzano per l’8 marzo, giornata internazionale dedicata alla donna. Stavolta, poi, lo slogan parla chiaro. Dice: “Sciopero transfemminista. Se ci fermiamo noi si ferma il mondo”. Che è pure vero, ma a metà settimana crea soltanto disagi e non risolve i problemi, casomai li aumenta.

Intendiamoci: la parità con i colleghi maschi, in molte professioni, è ancora un miraggio: secondo il Global Gender Gap Report bisogna attendere 132 anni per raggiungerla a livello mondiale, che diventano 60 per noi fortunatissime europee. Gli ostacoli ci sono ancora e tocca imporsi per rimuoverli puntando sulla tenacia e sullo studio come solo certe ragazze sanno fare. Ci sono i pregiudizi, le incompatibilità tra vita privata e lavorativa, la maternità che spesso costringe, in alcuni settori, ad abbandonare sogni di gloria (leggi leadership). Resistono certi pregiudizi e una disparità di trattamento economico che avvantaggia gli uomini a scapito delle colleghe pur in presenza di medesime mansioni e ruoli.

Però le femministe di “Non una di meno” (strette parenti delle compagne di “Se non ora quando”) non vanno in piazza sventolando i dossier sul gender gap, non chiedono di essere riconosciute al vertice di qualche board dopo avere conseguito tre lauree, phD e master internazionali. Non sono super manager con titoli snobbati dai capi che rivendicano, giustamente, la considerazione che meritano. Sono rappresentanti di varie realtà della galassia femminile e femminista, giovani amanti dell’asterisco che va bene per ogni genere e della schwa, che fa tanto intellettuale politically correct. E la manifestazione di oggi sarà senza dubbio vivace e affollata, almeno nelle principali città, ma come al solito, strumentalizzata. Con i sindacati contenti di fermare autobus, tram, treni.

È uno sciopero contro la guerra, il disastro ecologico, l’inflazione ma anche contro l’ideologia “Dio, patria e famiglia” del governo Meloni e contro ogni forma di disciminazione e di razzismo. È uno sciopero per reclamare un aborto libero e gratuito, un reddito di autodeterminazione, un welfare pubblico e universale, per la libera circolazione delle persone fatto insieme «alle donne curde, afghane e iraniane e alle donne che in tutto il mondo stanno lottando per una vita libera dall’oppressione».

A Roma il corteo arriverà a viale Trastevere, guarda caso sede del ministero dell’Istruzione di quel cattivone di Valditara. I cartelli esposti denunceranno, tra l’altro, programmi scolastici «patriarcali e bigotti» da cui è assente l’educazione sessuale e affettiva. Davanti al palazzo dell’Acea ci sarà un’azione «di lotta» in segno di solidarietà «con le dipendenti «vessate». Non mancherà «una performance collettiva di denuncia» per ricordare le vittime del naufragio di Cutro e infine un flashmob che avrà come tema «la sottrazione dallo sfruttamento del lavoro produttivo e riproduttivo». Nel capoluogo lombardo i cortei saranno ben due. Tradotto: centro bloccato. A Torino le attiviste saranno in piazza affinché l’8 marzo «non sia il giorno delle mimose e dei proclami istituzionali, ma sia una giornata di lotta». Una sfilata femminista che rischia di essere un po’ fuori tempo e anche fuori moda. Meloni, Schlein, Cartabia, Belloni, Cassano: il soffitto di cristallo ormai si è infranto. E senza bisogno di grandi parate.

Fine mimosa mai. L’8 marzo è quel giorno in cui dobbiamo ricordarci di essere come Miriam Mafai. Guia Soncini su L’Inkiesta il 9 Marzo 2023

La grande giornalista non pensava di dover mentire per conquistare i diritti, mentre oggi viene considerata femminista anche l’ultima scema che su Instagram dice che essere donne significa aver paura se torni a casa da sola la sera (ma non averne se nello spogliatoio della palestra c’è una donna coi baffi)

«Ti senti una donna o una persona?», chiede Patrizia Carrano. «Una persona», risponde Miriam Mafai. È il 1978, i libri sono di chi li legge e non della conversazione collettiva a mezzo foto di mezza paginetta per disinformati che pretendano d’avere opinioni. Oggi, sai quanti cancelletti indignati: che alternativa è, donna o persona, le donne cosa sono, piante?

Com’è possibile che non mi ricordi mai dell’8 marzo, mi chiedo quasi ogni anno, da quando i giornali hanno smesso di chiedermi articoli sull’8 marzo (a ogni donna, in quanto donna, chiedono articoli sull’8 marzo; a quelle molto maleducate dopo un po’ smettono di chiederli), l’8 marzo pomeriggio, circondata da opinioni su come sia avere la vagina (o anche solo percepire d’averla). Com’è possibile che mi scappi la data come neanche san Valentino.

Questa volta per la verità me l’ha ricordato il parrucchiere che il 7 pomeriggio mi stava asciugando i capelli, gli ho detto che la mattina dopo dovevo andare a fare una riunione e mi ha detto passa di qua quando esci, ti regaliamo le mimose. L’ho minacciato di chiamare l’avvocato.

Ricordo come fosse ieri la volta in cui mi sono resa conto che non avrei mai potuto fare politica. Era una sera d’8 marzo a Roma, e nel ristorante in cui stavo cenando c’era un pieno di tavolate di donne evidentemente sovreccitate, per le quali uscire senza marito era evidentemente un’eccezione, e che facevano sembrare Thelma e Louise due tizie la cui disperazione era perfettamente in media. Io quelle donne lì non le conosco, non le ho mai frequentate, una volta – per un breve periodo attorno ai venticinque anni – ho avuto un’amica che se le dicevi ci vediamo domani sera ti diceva che prima di prendere impegni doveva sentire cosa facesse il fidanzato, e ancora ne parlo come d’una marziana.

Io il paese reale fatto di donne che escono con le amiche l’8 marzo non lo conosco, e non so neanche se siano loro la risposta alla domanda «che cos’è una donna?». Sono loro, o sono quelle che ogni giorno ci ricordano che siamo discriminate vessate abusate, o sono quelle che ci spiegano che se hai il cazzo e ti percepisci donna è da fasciste dirti di tener su le mutande nello spogliatoio femminile, o sono quelle che ti parlano dei figli come potessero mai essere un tema interessante, o sono quelle che dicono che senza quote rosa non andremo mai da nessuna parte, o sono le Schlein e le Meloni che senza quote rosa vanno un po’ dove vogliono?

Alla mia veneranda età mi scopro mafaiana, giacché suppongo che tutte queste categorie rispondano alla definizione di «donna», e tutte queste categorie mi fanno una gran tristezza.

«Sei un inviato o una inviata?», chiede Carrano. «Inviato. Come quando ero a Noi Donne ed ero direttore. Sono un neutro. Occupo una certa funzione che non è maschile né femminile e che ognuno risolve secondo la propria natura», risponde Mafai, che poi prosegue a dire che Giampaolo Pansa era per cedere ai terroristi perché «in fondo ha quel che tu definiresti una sensibilità femminile».

Leggevo quest’intervista, una delle dieci che nel 1978 componevano il volume Le signorine «grandi firme» (sai oggi che cancelletti indignati, «signorine» serve per sminuirle, come qualcuno potesse sminuire le intervistate, gente come Oriana Fallaci e Natalia Aspesi), e pensavo a tutte quelle direttrici di giornale per cui ho lavorato negli ultimi venti e spicci anni, quelle che guai se le chiamavi direttrice perché direttrice è quella della scuola di mia figlia, e oggi fanno grandi editoriali su quanto sia fondamentale declinare le professioni al femminile, e pensavo: beh, sì, in effetti non m’eran mai parse delle Mafai.

Ma pensavo anche che è ingiusto pretendere coraggio intellettuale o anche solo personalità da queste povere inette che si trovano a cercare di non far affondare la barca in un tempo in cui l’ultima scema che instagramma un video dicendo che essere donne significa aver paura se torni a casa da sola la sera (ma assolutamente non averne se nello spogliatoio della palestra c’è una donna coi baffi), l’ultima improvvisata risulta più autorevole dei loro poveri giornali, è ingiusto pretendere dalle tizie di questo secolo carattere, fisarmonica, senso del brivido, o una qualsivoglia qualità che avevano le Mafai nate tra una guerra mondiale e l’altra, quelle che non pensavano di dover dire che le donne sono meno pagate e lavorano di più, non pensavano di dover mentire per conquistare i diritti.

«Non posso negare di aver trovato difficoltà a lavorare con delle donne e a dirigerle. Forse adesso dirò delle mostruosità, ma generalmente il senso del dovere professionale non è molto alto fra le donne. Di questo io mi sono accorta nel ’64, quando non era ancora arrivato il femminismo a dire che la professionalità a tutti i costi è sbagliata perché è alienante, competitiva e via dicendo. Al contrario io avevo sempre concepito la professione come fondamentale, e non capivo che si potesse rinunciare a un servizio perché il pupo aveva il raffreddore. Invece a Noi Donne mi sono trovata in un universo in cui esisteva il raffreddore, il parrucchiere, il compagno… tutte cose che non avevano per me alcun motivo serio di esistere, di fronte ai problemi di lavoro».

Chissà cos’avrebbe pensato d’un secolo che spaccia per femminismo il «mi dimetto perché voglio tempo per me» o l’«ho diritto a due giorni di congedo emorragico al mese». Se l’anno prossimo mi ricordo per tempo dell’8 marzo, mi appunto di chiedere non mimose, nuove cose, o una card di Instagram su quanto carico del lavoro di cura pesi sulle spalle di me donna che neanche lavo i bicchieri. Se l’anno prossimo me ne ricordo per tempo, chiedo per tutte voi un po’ di brutto carattere così non vi toccano gli articoletti celebrativi; e per tutte noi d’essere più Mafai, e meno quella versione di Quelo che sono le donne di questo secolo: ma tu lo sai a che ora mi sono svegliata stamattina, la bambina ha vomitato. 

Giornata della donna, nel lavoro e nel diritto al voto affondano le radici dell’emancipazione. Luca Casarotti il 7 Marzo 2023 su L’Espresso.

Rappresentanza politica, occupazione, uguaglianza. Sono i capisaldi su cui si sono basate e si basano le rivendicazioni femminili. Dal movimento operaio del primo ’900 alla Resistenza e alla Costituzione repubblicana. Fino a oggi, con gli scioperi dell’8 marzo

Nel 1977 Bianca Guidetti Serra pubblica “Compagne”, un libro che avrebbe fatto epoca, come l’anno in cui è uscito. Avvocata, partigiana (a lei Primo Levi ha indirizzato l’unico biglietto spedito dalla prigionia), militante della sinistra comunista, Guidetti Serra mette in pagina, con una cura speciale per la varietà del parlato, le interviste che da qualche tempo va raccogliendo tra le donne torinesi che hanno fatto la Resistenza. Donne diverse, ma tutte accomunate dall’aver variamente vissuto il partigianato e dalla consapevolezza che a determinarne la scelta antifascista siano state due fondamentali rivendicazioni: il lavoro e il diritto di voto.

Dignità della vita attraverso il lavoro, dunque, e rappresentanza politica: era questa l’impostazione della questione femminile in seno al movimento operaio primo-novecentesco, come la si legge negli atti dei congressi della seconda Internazionale e nella cui storia è la genesi stessa dell’8 marzo. L’8 marzo 1917, appunto, a Mosca un’imponente manifestazione per i diritti delle donne aveva anticipato la Rivoluzione d’ottobre.

La Costituzione italiana nomina la condizione della donna in tre punti. Rispetto al principio d’eguaglianza, che non ammette distinzioni di sesso: affermazione tanto importante da venire al primo posto, nel catalogo delle discriminazioni bandite dall’articolo 3. Rispetto ai diritti del lavoratore riconosciuti all’articolo 36, che il 37 precisa essere diritti anche della donna lavoratrice. Rispetto all’elettorato, attivo e passivo, e alla capacità di ricoprire gli uffici pubblici, da garantire in condizione di parità a donne e uomini (articoli 48, 51 e 117).

Ancora una volta: dignità della vita attraverso il lavoro e partecipazione alla cosa pubblica nel segno dell’uguaglianza sostanziale. Prova, da un lato, che la temperie raccontata nel libro di Guidetti Serra ha un corrispettivo nella Carta fondamentale, nel momento in cui l’antifascismo è chiamato a farsi esperienza costituente. E prova, dall’altro, che la società che esprime la Costituzione è innervata da quelle disuguaglianze: non ci sarebbe stato altrimenti bisogno di nominarle, di auspicarne il superamento fin dal patto fondativo dello Stato nuovo.

Settantacinque anni dopo, alcune organizzazioni del movimento operaio hanno cambiato pelle, non solo in Italia: talvolta hanno disconosciuto l’identità precedente. Un esempio: a rivendicare di aver sfondato il soffitto di cristallo è una presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che proviene da una tradizione opposta a quella del partigianato che ha scritto in Costituzione la parità di genere, anche in politica. Gli studi sul lavoro povero hanno accertato che l’occupazione non è sempre uno strumento sufficiente di emancipazione, una garanzia di salvezza dall’indigenza: specie per le donne, specie se sole e con figli. Contrariamente a quanto si dice, le politiche dell’impiego e quelle assistenziali non sono alternative, ma complementari.

Nonostante i mutamenti, però, l’origine della Giornata della donna nella storia delle lotte operaie non smette di esercitare la sua forza sul presente. La dimostrazione è nello strumento che i movimenti femministi hanno praticato negli ultimi anni per l’8 marzo: lo sciopero.

Quello di Luca Casarotti, presidente di Anpi Pavia Centro, è il quarto degli interventi sulle date fondanti della Repubblica affidati all’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Il primo sul 12 dicembre, strage di piazza Fontana, il secondo sul 27 gennaio, Giornata della Memoria, e il terzo sul 10 febbraio, Giorno del Ricordo, sono pubblicati qui. I prossimi saranno su 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 4 novembre.

Estratto dell’articolo di Sara Bennewitz per repubblica.it Il 6 marzo 2023.

Cresce il numero delle miliardarie nel mondo, e sale l'Italia nelle classifiche globali. Per la prima volta il Belpaese è in quarta posizione, con 16 donne imprenditrici con una fortuna superiore al miliardo di dollari, la metà di quelle che vivono in Germania (32), poco più di un terzo di quelle che abitano in Cina (46) e circa un sesto rispetto agli Stati Uniti, che con 92 donne oltre un miliardo di dollari si confermano in testa alla classifica. Questi dati, elaborati e aggiornati a fine febbraio, dall'International Women's Day Study, basandosi anche sulle classifiche di Forbes.

[…] Tra le italiane la prima in classifica è Massimiliana Landini Aleotti (56 posizione con 6,57 miliardi) delle industrie farmaceutiche Menarini, segue Miuccia Prada (5,24 miliardi di patrimonio) in settantesima posizione e Alessandria Garavoglia (108 posto con 3,4 miliardi) della famiglia che controlla Campari, poi Giuliana Benetton (113 posto con una ricchezza di 3,19 miliardi) dell'omonimo gruppo veneto. S subito dopo Isabella Seragnoli (114 posto con 318) con il packaging della Coesia, e Susan Carol Holland (2,81 in 131 posizione) azionista di controllo di Amplifon.

Spocchia e ipocrisia della sinistra rosa sulla Schlein. Dalla Murgia alla De Gregorio, teorizzano che non tutte le donne sono uguali e che non tutte le donne al potere sono un bene per l'Italia. È la solita spocchia di una sinistra fuori dalla realtà. Andrea Indini su Il Giornale il 28 Febbraio 2023

Elly Schlein donna come Giorgia Meloni? Macché! Se qualcuno si fosse mai posto il dubbio, Michela Murgia l'ha già fugato. Il succo è questo: non tutte le donne sono uguali. O, ancor peggio: non tutte le donne al potere sono un bene per il Paese. Solo quelle di sinistra, ovviamente. Niente di nuovo sotto il sole, per carità. Laura Boldrini lo aveva già teorizzato l'indomani della vittoria del centrodestra alle politiche: "Non tutte sono uguali. Alcune sono peggiori di altre". E così quelle stesse donne che lo scorso settembre si erano incupite (diciamo pure incazzate) nel vedere le destre portare il primo presidente del Consiglio donna a Palazzo Chigi, oggi fanno i salti di gioia per l'elezione del primo segretario donna del Partito democratico. Traguardo (se di traguardo si può parlare) che Fratelli d'Italia raggiunse quasi dieci anni fa.

Per carità non tutte sono brindano. Quelle dell'apparato, per esempio, sono meste, guardinghe. La maggior parte stava con Bonaccini. Adesso temono che la Schlein sfili loro la sedia da sotto il sedere. Ma fuori dal Nazareno, sulla stampa progressista e sui social sono tutte a brindare. Prendete Concita De Gregorio. "La rivoluzione senz'armi, senza testosterone, con la gentilezza del sorriso", scrive oggi su Repubblica. A suo dire l'elezione della Schlein non cambia solo la storia del Partito democratico e più in generale della sinistra, ma addirittura "ruota l'asse cartesiano della realtà". Che spettacolo pirotecnico di giornalismo. E il botto finale? Eccolo: "La 'donna nuova' Giorgia Meloni - teorizza - torna a essere quello che è: l’ultima erede di un partito del Novecento, una storia antica. Invecchia, Meloni, al cospetto di una donna ancora nei suoi trent’anni che non origina dal comunismo come lei dal fascismo". In confronto, l'esultanza notturna della Boldrini ("Meloni, arriviamo") si sbriciola in nulla.

La Schlein piace perché è donna. Non donna come la Meloni, però. Donna di sinistra. "Giorgia Meloni è la donna sbagliata per noi nel partito giusto per lei - pontifica la Murgia su Instagram - mentre Elly Schlein è la donna giusta per noi nel partito sbagliato per lei". Sul Domani Giorgia Serughetti (filosofa) ne teorizza addirittura il differente modello di leadership. "Femminista" e non "femminile. "La differenza - spiega - è quella che passa tra l’agire 'per le donne', per i loro diritti, e il semplice 'essere donna'. Tra il collettivo e l’individuale". In soldoni: come spiegato già ieri da Chiara Valerio su Repubblica, la Schlein "sta lì come rappresentante non di se stessa ma della maggior parte di noi". La Meloni, invece, non rappresenta le donne, rappresenta solo se stessa.

Cosa renda tanto speciale la Schlein da rappresentare tutte le donne (o, se non tutte, almeno la maggioranza), ce lo spiega ancora la De Gregorio: è "una giovane di questo tempo", e cioè "non figlia politica di, non madre, fino all'altro giorno non iscritta al partito che guida, non eterosessuale". Cosa c'entrino il fatto che non sia madre e non sia eterosessuale (se non per metterla in contrapposizione con la Meloni), però, lo sa solo lei. Resta il fatto che, a suo dire, tutto questo non rassicura i conservatori. Anzi, dice, li fa diventare pazzi. In realtà a uscire pazze sono solo loro, le donne progressiste, così in difficoltà a trovare i distinguo, a sentenziare chi è davvero donna e chi no, a decidere chi rappresenta chi. È la solita supponenza della sinistra radical chic. Dove con radical chic non intendiamo certo, come scrive la De Gregorio, "colta, beneducata, corretta", ma altezzosa, spocchiosa e completamente lontana dalla realtà.

Estratto dell'articolo di Paolo Bracalini per “il Giornale” l’1 marzo 2023. 

(...)

La stampa di area Pd ha accolto con la banda al completo di fanfare e tromboni l’arrivo della Schlein, la nuova eroina della sinistra chiamata a sconfiggere l’oscuro regno del centrodestra. L’entusiasmo trasuda dagli articoli in effusioni talora scomposte per la troppa infatuazione. Capita sempre con ogni nuovo premier o leader del Pd (ma si estende anche extra confine, da Zapatero a Tsipras, Hollande, e altri amori esotici finiti male), è colpa dell’emozione.

Tanto più che Elly ha tutte le carte in regola: donna, fluida sessualmente, femminista, giovane, inclusiva, ben introdotta nei vertici Pd ma con l’immagine della outsider che ce la fa da sola «grazie alla sua forza» (La Stampa), non grazie alle truppe cammellate di Franceschini, Boccia e Bettini. Sono arrivati persino a definirla una «underdog», cioè la «sfavorita» che si deve sudare ogni gradino, proprio lei che arriva da una agiata famiglia di professori universitari, nel difficile contesto sociale di Lugano, triplo passaporto, avi illustri, buone scuole, ottime relazioni, volontaria al seguito di Obama, una origine ultra privilegiata semmai. Ma nell’ubriacatura da Schlein si può vedere doppio.

Anche al Manifesto sono colpiti, finalmente una «femminista» e «una donna che ama un’altra donna» in un partito «storicamente maschilista» come il Pd. «È la donna giusta per noi», scrive invece la scrittrice femminista Michela Murgia, che aveva espresso dubbi persino sul fatto che la Meloni fosse una donna, politicamente parlando, in quanto di destra.

Ma la supera Concita De Gregorio, che inventa una nuova categoria di razzismo, quello anagrafico. La tesi è che, siccome la Schlein è più giovane, la Meloni automaticamente non lo è più, così di botto in un giorno. Dopo essersi commossa per la «rivoluzione senza testosterone, con la gentilezza ferma del sorriso» della neosegretaria italo-svizzera, spiega che la Meloni «invecchia al cospetto di una donna ancora nei suoi trent’anni che non origina dal comunismo come lei dal fascismo». Anche il fatto di non essere eterosessuale né madre, «niente di tutto quello che rassicura i conservatori», la ringiovanisce, mentre la Meloni «torna ad essere quello che è: l’ultima erede di un partito del Novecento, una storia antica». Una vecchia, superata. E neanche tanto donna, visto che non è femminista.

La Schlein invece è la festa di quel mondo. Per Linda Laura Sabbadini «ha ridato speranza a donne, giovani, anziani, a lavoratori, precari e non, disoccupati e pensionati», fuochisti, ferrovieri, facchini, uomini di fatica, aggiungerebbe Totò.

 Tutto d’un tratto ci si è accorti di avere a sinistra una grande leader, una «in grado di stimolare passioni politiche spente, di ridare fiducia a un esercito di scontenti, di spingere i più giovani a partecipare», tutto questo, «rovesciando la piramide del Pd, rompere con quella storia della sinistra», scrive Norma Rangeri sul Manifesto.

Vasto programma per l’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna, e certo non basterà chiamare la sardina Santori per realizzarlo. Il rischio abbaglio è forte, ma l’eccitazione per la novità è troppa. Improvvisamente la Schlein, fino a ieri nemmeno iscritta al Pd, è la leader del Pd che serviva per riorganizzare tutto il campo progressista e sconfiggere la destra. Vuoi mettere lei con Bonaccini, «un governatore di lungo corso, uomo, di mezza età», spiega l’ex finiana Flavia Perina. Tutti infatuati della nuova leader, che deve però conquistare ancora tutto. A parte la simpatia dei media, quella ce l’ha già.

La Dissacrazione del Mito.

Stregati dall’assegno. Le fattucchiere di Vannacci, la realtà femminista e l’infallibile senno di poi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 29 Agosto 2023

Il generale denuncia che le donne vogliano affrancarsi dal patriarcato attraverso il lavoro, ma al mondo questa cosa la pensano solo in tre: Hitchens, che è morto, la corte d’appello di Milano che ha ridotto il mantenimento a Veronica Lario, e Guia Soncini

Il vero grande problema di questo porco lavoro, il vero grande problema di questo porco lavoro che faccio io, il vero grande problema di questo porco lavoro che facciamo ormai tutti, il vero grande problema di questo lavoro che facciamo ormai tutti alcuni persino senza retribuzione ma solo per diletto (il che quando zappavamo tutti i campi accadeva meno), il vero grande problema del porco lavoro di dire la propria sulle cose che accadono è che le cose che accadono le capisci solo col senno di poi.

Il senno di poi è l’unico criterio con cui puoi valutare le foto segnaletiche: Jane Fonda va in tv a parlare della sua, scattata nel 1970, e tutti – Graham Norton, miglior conduttore di talk-show al mondo, e lei, e gli altri ospiti – ne parlano in termini epici ed eroici, e nessuno dubita che fosse un complotto di Nixon-il-mostro contro di lei che era una dei giusti. Che ne so, io, se tra cinquant’anni non si parlerà così della foto di Trump.

Il senno di poi è l’unico criterio con cui puoi valutare l’educazione all’affettività o alla parità di genere o alla sessualità o a cosa diavolo sarà quella che ora faranno nelle scuole perché l’estate 2023 sembra essere stata quella degli stupri minorili quasi quanto quella delle foto agli scontrini, e qualcosa bisogna pur far vedere che si prova a fare.

Il senno di poi ci dirà se quelle saranno le uniche ore scolastiche che impattino su studenti che in classe non imparano le addizioni né il ramo del lago di Como, non imparano in che secolo collocare Napoleone né il limitare di cosa salisse quella Silvia, però siamo certi certissimi che impareranno che le donne non si toccano neanche con un fiore.

Il senno di poi ci dirà, pure, se le fattucchiere di Vannacci esistono. Mentre tutti eravate concentrati sulla pelle dei neri e sui gay che mica saranno normali, io mi chiedo da giorni dove stiano, queste fattucchiere con cui vorrei tanto fare amicizia.

«Altra incredibile bordata proviene dal movimento femminista […] si oppone alla figura femminile intesa come madre. Le moderne fattucchiere sostengono che solo il lavoro ed il guadagno possono liberare le fanciulle dal padre padrone e dal marito che le schiavizza condannandole ad una sottomessa, antiquata, involuta ed esecrabile vita domestica».

Ora, generale. Sorvoliamo sulle eufoniche. Sulle concordanze. Sul mistero di cosa crede voglia dire «involuta». Parliamo delle fattucchiere.

Elenco esaustivo di persone che in questo secolo credono che la liberazione femminile stia nel lavoro. Guia Soncini: non credo la conosca, diciamo che è un tipo, ecco. Christopher Hitchens: era perfetto, ma è morto. La corte d’appello di Milano che ha ritenuto nell’assegno di mantenimento di Veronica Lario ci fossero sessanta milioni di troppo. Basta, elenco finito: una viva, uno morto, un tribunale.

L’intero femminismo di questo secolo, come d’altra parte qualunque movimento ideologico d’un secolo fondato sulla ricerca di consenso, si basa sul dire alle donne che la loro voglia di farsi mantenere è sacrosanta, la lagnosità del loro chiamare lo spingere il tasto della lavatrice «carico del lavoro di cura» è sacrosanta, la loro pigrizia è sacrosanta.

L’intero femminismo di questo secolo sostiene che nessuno deve permettersi di dirti (se sei donna) che devi trovarti un lavoro e procurarti un reddito, giacché avere una casa è un lavoro, avere un marito è un lavoro, avere dei figli è un lavoro. E qualcuno deve retribuirtelo (non hanno ancora ben capito chi, ma in questo secolo non si lascia che i dettagli pratici ostacolino vasti programmi quali «pagatemi per lavarmi le mie stesse mutande e per scaldare un surgelato a mio figlio»).

Le nostre nonne lavavano i panni al fiume e si occupavano di otto figli; noialtre per mettere il brillantante nella lavastoviglie abbiamo diritto al pagamento degli straordinari, per non parlare del bonus aziendale che ci spetta se andiamo a riprendere il figlio a scuola nel pomeriggio, e della tredicesima maturata inserendo i dati di consegna nella app di Glovo che ci consegna la cena già pronta.

Questo è il punto dell’articolo in cui i lettori più attenti – quelli, cioè, che commentano senza essersi limitati a leggere il titolo – mi obiettano che il mondo mica è fatto a forma della stronza borghesia che bazzico io, che c’è gente che Glovo non se lo può permettere, che ci sono donne che cucinano tutte le sere altrimenti il marito le mena. E alle quali il femminismo di questo secolo ha deciso di non dire mai che non è una buona idea mettersi con uno che ti mena: molto più utile dir loro che lo Stato dovrebbe pagarti per preparare la cena a quello che ti mena.

Ecco, generale, io e il mio senno di poi vorremmo, se possibile, un’anticipazione: questa sua sulle fattucchiere è una previsione per il futuro? Tra vent’anni potrò raccontare al fantasma di Christopher Hitchens che la sua idea che la povertà si sconfiggesse dando alle donne la possibilità di lavorare, che l’emancipazione dovesse essere innanzitutto economica, potrò dirgli che questa sua visione fantascientifica si è realizzata?

Oppure, quando tra vent’anni la rileggerò (come si fa con ogni classico, diamine: già pregusto la sua rilettura nell’estate 2043, e la mia cronaca del viaggio in cui io leggevo un classico e i lanzichenecchi Recalcati), dovrò dire sì, quel Vannacci, grande letterato, ma non ci ha preso su niente nientissimo.

Dovevamo avere le fattucchiere e siamo ancora qui con gli assegni di mantenimento, le pensioni di reversibilità, la legittima, nel 2043. Stiamo ancora qui col maschio di casa che funge da finanziamento per la vita della moglie, nel 2043.

Stiamo ancora qui con le donne che dicono che loro non possono lavorare perché hanno i bambini, e i bambini sono partiti al mondo come soldati e non ancora tornati, che non possono lavorare perché il carico del lavoro di cura, e senza la colf non sanno neanche separare i bianchi dai colorati, nel 2043.

Non posso sopportare d’immaginare un 2043 in cui il senno di poi mi deluda in questo modo. Generale, dietro la collina, mi rassicuri: almeno una fattucchiera c’è?

Da Medea a Nausicaa. Le donne del mito che parlano al presente. Circe e le «maledette» della letteratura antica tornano sempre. Perché sono veri archetipi. Matteo Sacchi il 18 Agosto 2023 su Il Giornale.

Una lunga scia di infelicità e di sangue. Una scia di amore e morte, dove la pulsione erotica parte da una bellezza solare per precipitare nel gorgo del dolore. È questa la caratteristica principale dei miti che raccontati in Maledette di Francesca Ghedini (Marsilio pagg. 302, euro 18). La professoressa emerita di Archeologia all'Università di Padova si muove con grande dottrina attraverso il complesso rapporto tra le fonti scritte e quelle iconografiche per raccontare la radice tragica di una serie di miti incrociati. Ovvero il tragico destino delle discendenti del dio Elios: Circe, Pasifae, Arianna, Medea, Fedra. Il destino di queste femmine divine lo abbiamo tutti già in qualche modo letto o sentito raccontare studiando mitologia o anche soltanto guardando qualche film, a partire dai vecchi peplum.

Ma Ghedini con grande maestria mostra come tutte queste storie siano incrociate e sedimentate nei secoli.

Tutto, mitologicamente parlando, parte da quella che potrebbe sembrare solo una salace burla e non il preludio di una tragedia. Amori e amorazzi degli dei non sono infatti temi da turbare le divinità olimpiche. Quando Helios, che tutto vede, informa Efesto che sua moglie Afrodite lo tradisce con Ares, il dio Zoppo inventa una vendetta salace. Non disponendo dei moderni mezzi una vendetta social (come ne capitano persino a Torino) Il fabbro divino costruisce una sottilissima rete che calata all'improvviso imprigiona i due amanti colti nel bel mezzo del fattaccio. E tutti gli abitanti dell'Olimpo vengono invitati a vedere.

Ovviamente, umiliata, è soprattutto Afrodite che non perdona. Ma non tanto Efesto, quanto piuttosto Helios, il celeste spione. Incarica Eros di perseguitare lui e la sua stirpe con passioni tremende e nefaste. Inizia uno stillicidio portato avanti a colpi di passione. Helios si innamora della mortale Leucotoe, Clizia che ama Helios denuncia il loro amore al padre di Leucotoe che finisce seppellita viva. Clizia rifiutata allora per sempre da Helios diventa una pianta per il dolore.

Ma è solo l'inizio di una strage la figlia di Helios, Circe, cresce ribelle e con oscuri poteri. Bella, seduttiva e capaci di arti magiche, finisce segregata in un isola, proprio per l'eccesso delle emozioni che è in grado di suscitare. La sua magia. Complessissimo il suo mito e la sua iconografia, che Ghedini analizza nel dettaglio. Ma quello che resta sempre uguale è il richiamo ad una passione che trasforma in animali a cui non si può resistere.

Peggiore ancora il destino di Pasifae, altra figlia di Helios, che pure era stata destinata al più regale dei matrimonii... Di nuovo una passione bestiale, quella per un toro sacro. Ed un risultato ancora più bestiale: il Minotauro. Ma se quello di Pasifae è un destino atroce non è migliore quello di sua figlia Arianna. Disposta a tutto per Teseo, traditrice della sua famiglia e causa della morte del fratellastro, verrà abbandonata. Sulla tragedia di Medea nipote del Sole e come Circe potente maga? Di nuovo l'amore per Giasone la costringe a tradire la famiglia e poi la porta ad uccidere i suoi figli.

Tra antichi vasi, varie versioni dei miti, mosaici... Francesca Ghedini fa rivivere queste figure complesse che negli ultimi anni anche grazie alla letteratura sono tornate a parlare al presente. Basti pensare al successo di un best seller come Circe scritto da Madelline Miller.

Ma c'è un altro idilio mancato della letteratura e del mito antico che è tornato ad essere protagonista quest'estate. Basta leggere Nausicaa e l'idilio mancato di Giorgio Ieranò, uscito per i tipi de Il Mulino (pagg. 162, euro 14).

Ad una lettura superficiale dell'Odissea la vicenda del naufrago Odisseo e della principessina dei Feaci può apparire solo un prologo al rientro ad Itaca, un buon espediente narrativo. Ma l'esperienza «Tra i Feaci simili agli dei...» in realtà si presta a letture più complesse. Dove di nuovo sotto traccia la passione amorosa gioca un ruolo molto più grande di quanto possa sembrare. E dove di nuovo fanno capolino miti più antiche che probabilmente l'Odissea rielabora.

Nausicaa è qualcosa di più della ragazza ingenua che sembra apparire è la porta tra un regno intermedio tra quello dei mortali e quello degli dei in cui Odisseo deve per forza entrare per riuscire a rompere la maledizione di Poseidone. E di poseidone i Feaci sono i discendenti, però colti e gentili. L'opposto dei ciclopi, che dal padre hanno ereditato solo la forza brutale. E alla fine i Feaci pagheranno cara la loro bontà verso Odisseo. Ma di nuovo i miti si incrociano. Saranno proprio di nuovo i Feaci a salvare Giasone e Medea inseguiti dai soldati del padre di Medea.

I miti guardati da vicino alla fine affascinano e fanno grande letteratura, anche nei saggi, perché alla fine non spiattellano i sentimenti e le emozioni. Ma velandole e rendendole iconiche ne svelano la tremenda potenza. Che nel tempo non è cambiata, viene solo raccontata in modo più volgare. Rendendocela così meno governabile e comprensibile.

 Streghe, eroine e sacerdotesse. La diversa rappresentazione del femminile nel mito. Francesca Ghedini su L'Inkiesta il 14 Agosto 2023.

In “Maledette”, edito da Marsilio, Francesca Ghedini ripercorre le storie di Circe, Pasifae, Arianna, Fedra e Medea, riflettendo sul ruolo delle donne nella società antica e sulle sfide e i pregiudizi che persistono ancora oggi

All’inizio fu la parola: la parola detta, nelle conversazioni quotidiane, raccontata dalle madri o dalle balie ai loro bambini, recitata da fini dicitori, cantata dagli aedi durante i simposi, e la parola scritta, dai poeti, dai mitografi, dai tragediografi, che dedicarono ai grandi personaggi dell’epos e del mito le loro opere. E la parola, detta e scritta, presto si tradusse in formule iconografiche, un mezzo di comunicazione che ha uno statuto e percorsi suoi propri, che si intrecciano e talvolta confliggono, ma sono fondamentali per ricostruire il tessuto culturale del passato.

[…] Evocative e sfuggenti a un tempo le immagini sono infatti un tassello importante per avvicinarci alla cultura classica. Popolavano il quotidiano degli antichi, si dispiegavano su oggetti d’uso e su doni votivi, sulle pareti e i pavimenti delle case, sulle stoffe da arredamento o da abbigliamento, sui gioielli e sulla suppellettile di lusso, sulle monete e sui grandi monumenti pubblici che esaltavano le glorie della città. Bastava uno sguardo anche distratto per riconoscere personaggi e situazioni e comprendere il senso di quella specifica rappresentazione in quel contesto.

In una società poco alfabetizzata qual era quella antica il repertorio figurato veicolava messaggi che arrivavano alla mente e al cuore dello spettatore in forza di una cultura condivisa che si era formata grazie anche, e forse soprattutto, alla tradizione orale e agli spettacoli, dove gli attori si esprimevano con i gesti e la postura del corpo, fissando in schemi iconografici i momenti salienti del racconto.

[…] La parola si fa immagine e l’immagine contribuisce a plasmare e diffondere una cultura comune, fissando in formule iconografiche facilmente riconoscibili gli episodi narrati nelle grandi saghe epico-mitiche, ma registrando anche situazioni differenti rispetto a quelle note e codificate dai testi classici. E questa realtà, giunta a noi attraverso i diramati canali della memoria dell’antico, presenta anche elementi di attualità, invitandoci e riflettere su fenomeni come quello che va sotto il nome di cancel culture, che vorrebbe eliminare la quasi totalità del mondo classico perché espressione di una cultura maschile, prevaricatrice e fortemente misogina, attraversata da valori per noi del tutto incomprensibili. Ben poche sono infatti nella mitologia classica le figure femminili capaci di abnegazione e sacrifici estremi, come Alcesti, disposta a morire pur di salvare il marito da morte certa, o Antigone, che contravviene alle rigide leggi del padre pur di dare onorata sepoltura all’amato fratello Polinice. Ma proprio per questo ricostruire e comprendere quei mondi lontani ed entrare nel cuore e nell’anima di quei personaggi è forse utile anche per evitare che certe realtà ritornino.

Si tratta tuttavia di un’impresa non facile, perché della vita quotidiana di coloro che popolavano i racconti degli antichi, dei loro pensieri, delle loro emozioni e dei loro sentimenti, al di fuori di quei pochi episodi su cui la tradizione classica si è concentrata, non sappiamo quasi nulla. Com’era Elena, la fatale Elena che ha scatenato la più grande guerra dell’antichità, da bambina? E che ne fu di lei dopo il ritorno a Sparta, al fianco di un marito che l’aveva faticosamente perdonata? E come passava le sue giornate in Tauride Ifigenia, condannata dal padre sull’altare di un ineludibile scontro di civiltà e salvata da Artemide che le aveva affidato l’ingrato compito di sacrificare gli stranieri? E cosa avvenne di lei dopo la sua rocambolesca fuga da quelle terre lontane con il fratello ritrovato? Si sposò? Ebbe figli?

Domande a cui chi decide di cimentarsi con l’impari compito di ricostruire biografie mitiche deve cercare di dare risposte, pur consapevole di doversi confrontare con un’altra, quasi insormontabile, difficoltà, che riguarda la contraddittorietà delle fonti e l’ambiguità delle testimonianze iconografiche. Infatti, se da un lato degli eventi narrati, spesso con dovizia di particolari, non vi è quasi mai una versione univoca, ma una serie di informazioni differenti, che rispondono alle esigenze dei tempi in cui la narrazione fu rielaborata per un nuovo pubblico, dall’altro l’immagine, che condensa in un solo fotogramma un intero racconto, è capace più del testo scritto di manipolare lo spettatore, perché di una storia sceglie solo il momento più adatto a mettere in luce qualità o difetti del protagonista, funzionali al messaggio che si intende trasmettere.

E poco giova per ricostruire il contesto in cui gli episodi mitici si svolgevano conoscere usi e costumi della società greca o romana, perché le abitudini di vita di questi personaggi affondano in un passato ben più lontano, che spesso non ha agganci con quello storicamente documentato.

[…] Ripercorrere con occhi disincantati gli accadimenti, talvolta drammatici, che coinvolgono [le donne del mito], offre chiavi di lettura anche per comprendere aspetti della società che con quei miti e di quei miti viveva: emergono, ad esempio, spunti sulla quotidianità femminile, confinata in un’inevitabile subalternità, e sul ruolo delle nutrici, presenze imprescindibili nella vita delle fanciulle alle quali dedicavano tutte se stesse, pronte a qualsiasi sacrificio ma anche a ogni nefandezza per vederle felici. Ma ciò che più importa è che le nostre cinque protagoniste, subdole ingannatrici, maghe malefiche, vittime di incontrollabili pulsioni erotiche, fredde assassine, illustrano con lucida oggettività la valutazione negativa e sprezzante che gli antichi davano delle donne: pericolose per la società, capaci di contravvenire a ogni legge morale, manipolatrici e traditrici. «Belle fuori, ma marce dentro», sentenzia Ippolito, disgustato dall’amore della matrigna Fedra. E poco importa se le loro colpe sono ineluttabili perché indotte dalla volontà divina: la condanna che le colpisce è senza appello.

Circe, Pasifae, Arianna, Fedra e Medea sono dunque archetipi e testimoni di una misoginia dura a morire che percorre tutta la classicità per transitare nella pubblicistica cristiana che in quei modelli vedeva concretizzarsi la presenza del maligno. In questa luce si comprende anche come l’inusuale nudità di Circe, attestata in alcune rappresentazioni, sia un sintomo della paura che l’uomo antico aveva della potenza numinosa del corpo femminile, quel corpo capace di dare la vita, ma anche la morte in mille modi differenti. Quel corpo che la mitica Onfale, regina di Lidia, aveva usato per soggiogare Eracle, il più forte fra gli eroi greci.

Dalla lettura delle vicende, più o meno romanzate, delle discendenti del Sole emergono spunti che gettano luce anche su eventi che hanno segnato la grande storia. Circe e Medea, ad esempio, sono simboli dell’eterna lotta tra Oriente e Occidente, iniziata con l’audace traversata della nave Argo, che con il suo carico di eroi solcò per prima mari sconosciuti per raggiungere la mitica terra dove sorge il sole e compiere un furto che non sarebbe stato perdonato e avrebbe portato morte e lutti alla grecità tutta.

Quell’impresa è all’origine di un conflitto mai sopito che vede snodarsi nei secoli capitoli drammatici, ora adombrati attraverso il mito, ora vidimati dal suggello della storia. È a Troia che si consuma il primo scontro fra due culture così distanti l’una dall’altra, uno scontro che costò la vita alla “meglio gioventù” del tempo e si concluse solo grazie all’inganno perpetrato dall’astuto Odisseo; un inganno che viola tutte le leggi della lealtà e sfata la vulgata dell’Oriente traditore.

Ma prima, o forse dopo, nel tempo indefinito degli dèi, che non coincide con quello degli eroi e degli uomini, lo scontro con l’Oriente aveva incrociato la vita di Arianna assumendo le gioiose sembianze di Dioniso, dio dell’estasi e della beatitudine che con il suo rumoroso corteggio aveva raggiunto l’India misteriosa per portare i suoi doni e conquistare al suo culto le popolazioni locali. Da lì era tornato carico di prede che sancivano la sua vittoria: oro, argento e avorio, il prezioso legno d’ebano, e incenso, mirra, zafferano e spezie rare. Lo accompagnavano animali mai visti: struzzi, cammelli, pappagalli e i maestosi elefanti che facevano tremare il terreno al loro passaggio.

La vendetta dell’Oriente si concretizzò dopo secoli con l’invasione della Grecia: l’Acropoli profanata fu un trauma indimenticato che segnò per sempre il cuore della classicità, e i templi e le statue, che erano stati toccati da mano sacrilega, furono sepolti, come in sacra favissa, nel suolo stesso della rocca di Atene.

La storia dello scontro fra civiltà continua con la gloriosa marcia di Alessandro fin nel cuore della potenza persiana e poi attraversa i secoli del dominio di Roma, che vede vittorie e sconfitte fino alla dissoluzione dell’Impero.

Questo, e molto altro, si può cogliere in filigrana leggendo le vite avventurose delle donne della stirpe del Sole, ricostruite attraverso l’intersecarsi, il sovrapporsi e l’integrarsi dei testi e delle diverse tipologie di fonti. Ma non solo. Mi piace pensare che questo approccio interdisciplinare possa aiutare a scorgere un orizzonte nel futuro incerto della materia di cui mi sono occupata per tutta la vita. Se la filologia dell’immagine da sola, infatti, poco può nel determinare la sorte accidentata della storia dell’arte antica, il rinnovato rapporto con il testo scritto contribuisce forse a dare una nuova prospettiva, cercando di correggere quella sorta di “consumismo culturale” che tenderebbe a trattare ogni reperto che l’antichità ci ha tramandato come un unicum, esaltandolo nella sua singolarità e trascurando il necessario approccio scientifico, che si fonda sulla ricostruzione del contesto attraverso l’attenta analisi di ciascun manufatto e la messa in serie della documentazione. Portare lo sguardo al centro di un fitto intreccio di competenze, non solo iconografiche ma letterarie e storiche, vuol dire rivalutare l’importanza di quel sostrato di sapere (un tempo condiviso) necessario per affrontare la tradizione al riparo da tentazioni pregiudiziali e pregiudizievoli. 

Da “Maledette. Le donne nel mito” di Francesca Ghedini, Marsilio, pp. 304, 18 euro.

Donne straordinarie.

Nonostante il Femminismo.

Rosa Scafa.

Katherine Johnson.

Rita Levi Montalcini.

Marie Curie.

Eleonora Duse.

Nicola Sturgeon.

Jacinda Ardern.

Margherita Cassano.

Lidia Poët.

Nonostante il Femminismo.

Estratto dell’articolo di ilfattoquotidiano.it sabato 9 dicembre 2023.  

Da Beyoncé a Olena Zelenska. Il Financial Times ha stilato un elenco delle 25 donne più influenti al mondo nel 2023. Non si tratta di una classifica, spiega lo stesso quotidiano, ma di un semplice elenco appunto diviso in tre categorie.

La prima è quelle delle creatrici, dove troviamo, fra le altre, anche Margot Robbie e Beyoncè. Poi la categoria leader, che annovera Ursula von der Leyen, Mary Barra (la numero uno di General Motors) e Mira Murati (la chief technology officer di OpenAI). Nella categoria delle eroine, invece, il giornale attenziona, tra le altre, l’attivista iraniana, Narges Mohammadi e la first lady ucraina Olena Zelenska. 

[…] Ecco chi sono, cosa fanno e da chi sono state scelte le 25 donne menzionate dal Financial Times.

Categoria “creatrici” 

Margot Robbie: tra le star del cinema più amate al livello internazionale, l’attrice ha raggiunto svariati successi non da ultimo il film Barbie […]. 

Beyoncé: […] Non più solo icona musicale, con il suo film-concerto, Rennaissance, ha lasciato a bocca aperta tutti, compresa la conduttrice statunitense più famosa al mondo.

Barbara Kingsolver: scrittrice e poetessa statunitense, quest’anno ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa, il Women’s Prize for Fiction e il James Tait Black Memorial Prize con Demon Copperhead. […] 

Phoebe Philo: stilista inglese, attraverso il suo lavoro, […] ha trasformato l’abbigliamento femminile. È stata scelta da Gabrielle Boucinha è una consulente creativa e la creatrice di Old Celine. 

Alia Bhatt Kapoor: attrice e cantante, è una delle stelle di Bollywood. […] 

La band di K-Pop Aespa: formata dalle cantanti Karina, Giselle, Winter e Ningning, […] con la loro strumentazione sperimentale hanno ampliato i confini del K-Pop, sfondando come band femminile.

Lola Shoneyin: scrittrice e poetessa nigeriana, vive a Lagos dove organizza l’Aké Arts & Book Festival […]. […] 

Categoria leader 

Mira Murati: chief technology officer di OpenAI, l’azienda di intelligenza artificiale che più ha inciso nell’immaginario collettivo mondiale […]. 

Fran Drescher: presidente del sindacato attori Sag-Aftra, ha portato avanti lo sciopero durato oltre 100 giorni assieme al sindacato degli sceneggiatori WAG contro le grandi major del settore. […]

Mary Barra: amministratrice delegata di General Motors […] 

Ursula von der Leyen: presidente della Commissione europea, è stata scelta per come ha affrontato “sfide globali senza precedenti” e per essere stata un “partner fedele per gli Stati Uniti”. […] 

Janet Truncale: presidente e CEO globale di Ernst & Young, è la prima donna a guidare una delle Big Four, le quattro società di consulenza globali. […]

Karin Keller-Sutter: ministra delle finanze svizzera, secondo il giornale incarna le qualità più importanti che un politico deve possedere, ovvero conoscenza, coraggio e determinazione. […] 

Lisa Dyson: scienziata, fisica e imprenditrice americana, è la fondatrice e CEO di Kiverdi, una società di biotecnologie che utilizza le tecnologie di trasformazione del carbonio per sviluppare prodotti sostenibili […]. 

Carol Tomé: dirigente d’azienda americana, attualmente è amministratrice delegata della United Parcel Service. […] 

Makiko Ono: è la prima amministratrice delegata donna di Suntory Beverage & Food, una delle più antiche aziende di distribuzione di bevande alcoliche del Giappone. […]

Marina Silva: politica, ambientalista e pedagogista brasiliana, è stata ministra dell’ambiente dal 2003 al 2008 e nuovamente a partire dal 2023 sotto il presidente Luiz Inácio Lula da Silva. […] 

Marie-Claire Daveu: capo dell’ufficio sostenibilità del gruppo Kering, gruppo internazionale che opera nel settore del lusso con sede a Parigi e che possiede marchi come Gucci, Yves Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron […]. 

Categoria eroine 

Narges Mohammadi: attivista iraniana e premio Nobel per la pace per il suo impegno a favore delle donne in lotta contro il regime. […]

Olena Zelenska: first-lady ucraina, rappresenta al pari di suo marito Volodomyr Zelensky “un vero e proprio simbolo globale di resilienza”, sottolinea il quotidiano. […] 

Coco Gauff: tennista. È considerata, per lo stile di gioco, oltre alle origini afroamericane, l’erede delle sorelle Williams. […] 

Elizabeth Maruma Mrema: è una leader e avvocato della biodiversità della Tanzania. È la prima donna africana a guidare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica. […]

Katalin Karikó: biochimica ungherese naturalizzata statunitense, specializzata in meccanismi mediati dall’RNA, nel 2023 ha vinto il premio Nobel per la medicina insieme a Drew Weissman […]. 

Chen Chien-Jou: membro dello staff del partito democratico progressista di Taiwan, ha dato vita al #metoo nella nazione […] 

Jenni Hermoso: calciatrice spagnola, è finita in prima pagina per il bacio datole dal presidente della Federcalcio spagnola, Luis Rubiales che ha scatenato un polverone mediatico. […]

Chi sono le poetesse? Da Aleramo a Merini il catalogo è questo ma niente quote rosa...La curatrice Leardini compila il canone delle donne, spesso ignorate dalla critica. Davide Brullo il 21 Agosto 2023 su Il Giornale.

L'idea di femminilizzare il canone Feminize Your Canon, secondo la formula propalata dalla Paris Review è agghiacciante. Si rischia, così, di parlare di temi più che di testi, di genere più che di generi (letterari), di autoritarismo sociale più che di autorevolezza poetica, con il coro di erinni vittime intorno. Eppure, la questione, riformulata la presenza del genio femminile nel canone ha un suo senso, alla luce dei nudi fatti. L'antologia più canonizzante del secolo, Poeti italiani del Novecento, firma Pier Vincenzo Mengaldo, è il 1978, allinea cinquanta autori: tra questi, soltanto uno, Amelia Rosselli, è donna. I vasti repertori lirici italiani, di norma, relegano le donne ai margini. Così, l'esuberante antologia del comunista Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento, era il 1969, riesce, su quarantacinque autori, alcuni dimenticabili, a non insediare alcuna donna. La poesia italiana è dominio dei maschi? Nell'ambito del romanzo usiamo come microscopio il Premio Strega alcune donne s'erano già imposte, a quell'altezza cronologica: Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano. Nel 1926 il Nobel per la letteratura incoronava Grazia Deledda. Non va meglio se sguazziamo nei decenni successivi. La (brutta) antologia ideata dal duo Cucchi-Giovanardi, Poeti italiani del secondo Novecento (Mondadori, 1996), imbarca settantuno poeti di cui otto donne; la (bella) antologia curata da Daniele Piccini su La poesia italiana dal 1960 a oggi (Bur, 2005) seleziona diciannove poeti esemplari: le donne sono soltanto due. Non credo, come scrive Isabella Leardini, che «spesso i giovani poeti si comportano come i loro illustri predecessori: le ragazze fanno parte del gioco ma alla fine giocano un'altra partita»; non conosco «giovani poeti» che abbiano il carisma poetico dei loro anche diretti, o dirimpettai «predecessori» e il gioco del fiocco azzurro o del fiocco rosa non mi appassiona. Mi piacerebbe poter rispondere che alcune tra le più importanti imprese letterarie del secolo scorso erano capitanate da donne Poetry, sotto l'egida di Harriet Monroe e Sur, dominata da Victoria Ocampo, ad esempio; la Hour Press fondata da Nancy Cunard e la Hogarth Press di Virginia Woolf; La Licorne, la rivista di Susana Soca e la Cuala Press di Elizabeth Yeats ma devo, nel contesto italiano, stare con la Leardini: «le donne in poesia sono state incontrovertibilmente una minoranza il canone è soltanto la conseguenza, il riflesso inevitabile di un vizio di sguardo e di una società». La raccolta di Poetesse italiane del Novecento allestita dalla Leardini, Costellazione parallela (Vallecchi Firenze, pagg. 290, euro 18,00) è, dunque, un lavoro necessario, furbo contrappasso di genere: le poetesse vendono molto di più dei poeti , fascinoso. La curatrice poetessa, guida del Centro di Poesia Contemporanea dell'Università di Bologna alterna nomi ovvi, imprescindibili (Ada Negri, Sibilla Aleramo, Antonia Pozzi, Lalla Romano, Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Alda Merini), a sgargianti riscoperte (Nella Nobili e Daria Menicanti, ad esempio). Al centro di questo canone inverso, spicca l'opera di Cristina Campo genio inarginabile, Vittoria Guerrini, questo il vero nome, progettò, già nel 1953, per Gherardo Casini editore, «una raccolta mai tentata finora delle più pure pagine vergate da mano femminile attraverso i tempi», alternando Saffo ad Anna Achmatova, Ildegarda di Bingen a Caterina da Siena e Simone Weil e quella di Fernanda Romagnoli. Scoperta da Attilio Bertolucci, la Romagnoli pubblicò, in vita, due raccolte di pregio, Confiteor (Guanda, 1973) e Il tredicesimo invitato (Garzanti, 1980), dai versi tesi, a tratti bellissimi, di tersa ferocia: «Lei non ha colpa se è bella,/ se la luce accorre al suo volto,/ se il suo passo è disciolto/ come una riva estiva/ Se tu l'ami, lei non ha colpa./ Ma io la vorrei morta». Da qualche tempo, la critica si è accorta della sua grandezza: vent'anni fa Donatella Bisutti ha curato un'edizione de Il tredicesimo invitato e altre poesie per Libri Scheiwiller, l'anno scorso Interno Poesia ha stampato, per merito di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, una scelta di testi come La folle tentazione dell'eterno.

Un'antologia, per sua natura, ha il carisma della suggestione e della provocazione. Il libro ideato dalla Leardini, per non restare velleitario, pretende di esplodere. È ora di lavorare, cioè di pubblicare per intero i libri delle poetesse del secolo scorso. Non esistono quote rosa in poesia eppure: negli ultimi vent'anni il Nobel per la letteratura è andato a otto donne: lo stesso numero di premiate dell'intero secolo precedente ma soltanto la spietata lotta dei testi. Così, a onor di verso, Sibilla Aleramo (di cui il Saggiatore ha da poco pubblicato Tutte le poesie, a cura di Silvio Raffo) non vale Dino Campana; i versi di Mariagloria Sears (una grata scoperta) non sono paragonabili a quelli dell'amico Vittorio Sereni; i testi di Nella Nobili (raccolti nel 2018 per Solferino da Maria Grazia Calandrone come Ho camminato nel mondo con l'anima aperta) sono interessanti ma non rivaleggiano con quelli, chessò, di Andrea Zanzotto; Maria Luisa Spaziani non è Eugenio Montale; Alda Merini è priva della vertigine linguistica del molto meno noto di lei Alessandro Ceni. Questa non è distorsione virile dei sensi estetici: sarebbe perverso affermare il contrario.

Dunque, ben venga il lavoro critico senza impostazioni pregiudiziali o prolegomeni politicamente corretti; io, per dire, amo le poesie di Egle Marini, certi versi di Nadia Campana e Claudia Ruggeri (nessuna inclusa nel canone Leardini). Lo stesso lavoro, d'altronde, va fatto per riscoprire decine di poeti maschi, dilaniati dall'oblio baccante, imprigionati nel limbo (prendo a prestito il titolo di un libro di Marco Merlin: Poeti nel limbo. Studio sulla generazione perduta, Interlinea, 2004). La poesia è un androgino boia: del poeta il sesso non conta resta la carcassa, il tenue bagliore di alcuni, rari versi.

La sorella di Mozart e le altre: donne scordate dalla musica. Storia di Laura Zangarini su Il Corriere della Sera martedì 22 agosto 2023.

Bisognerà aspettare il 2025 per vedere in scena sul palco del Teatro alla Scala la prima opera scritta da una donna, Silvia Colasanti. Del resto, lirica e musica classica offrono tradizionalmente un’immagine quasi esclusivamente maschile. Eppure, come ricorda la giornalista specializzata in musica classica Aliette de Laleu, autrice di Mozart era una donna. Storia della musica classica al femminile (Odoya), in ogni epoca le donne ci sono state. E non solo come muse.

Il saggio offre l’occasione per scoprire la carriera di Barbara Strozzi, nota compositrice dell’Italia barocca, nata nel 1619 a Venezia, che poté vivere della sua attività musicale pur essendo madre single di quattro figli. O quella di Clara Haskil, una delle più grandi musiciste del Novecento che dovrà però attendere la fine della Seconda guerra mondiale perché al suo talento venga riconosciuto il giusto valore.

Maria Anna Mozart, Nannerl per familiari e amici, maggiore di cinque anni del fratello Wolfgang, uno dei compositori più noti al grande pubblico, è stata un prodigio musicale. Dopo il matrimonio impostole dal padre sparì dalle scene – e di conseguenza dai libri e dalla storia. Risultato: nessuno si ricorda di lei.

Quanti possono dire di conoscere Cassia di Costantinopoli (IX secolo), celebre sia per le sue composizioni che per la sua prosa, unica donna a essere citata fino al XVI secolo tra i grandi innografi della Chiesa bizantina? O Ildegarda di Bingen, religiosa medievale tedesca autrice di più di sessanta opere sacre? O, ancora, Élisabeth Claude Jacquet de La Guerre, cresciuta alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, e geniale clavicembalista, autrice della prima opera, Céphale et Procris, scritta da una donna per l’Académie Royale? Rimanendo in Francia, non si può non ricordare Hélène de Montgeroult, tra le pianiste più famose del XVIII secolo: sfuggita alla ghigliottina grazie al suo virtuosismo, è l’autrice uno dei più importanti metodi di insegnamento pianistico della storia.

Ci sono poi compositrici riconosciute più per le relazioni amorose che per la loro musica. Come Clara Schumann, moglie di Robert: lui ne ammira il lavoro ma non vuole che quest’ultimo le porti via troppo tempo, né che lei occupi troppo spazio. Alla morte di Schumann, a 46 anni, l’ultima parte dei quali rinchiuso in manicomio, Clara si dedica a una vita da concertista e insegnante, nonché a mantenere in vita la musica del defunto marito.

Al talento delle compositrici Alma Mahler e Fanny Mendelssohn hanno fatto ombra rispettivamente il marito e il fratello. Prima di sposare Alma, Gustav scrive una lettera di venti pagine alla fidanzata in cui le chiede di smettere di comporre per evitare all’interno della coppia una rivalità che sarebbe stata «ridicola e degradante»; non è da meno Felix Mendelssohn: alla sorella pianista e compositrice, in potenza una delle figure più eminenti del Romanticismo tedesco, proibisce severamente di esercitare la sua arte.

Come mette in chiaro de Laleu, «per una donna, una vita da musicista è possibile solo se si rispettano alcune condizioni: un elevato status sociale, l’indipendenza economica, nessun marito che ostacoli la carriera». E conclude: «Se la storia dei capolavori e dei “geni”, quella degli uomini, può continuare a esistere, deve però ora includere anche le donne».

Sante, poetesse, navigatrici. Le donne vichinghe combattevano e guidavano flotte. Janina Ramirez su L'Inkiesta il 6 Maggio 2023

Un saggio per abbandonare la visione, manipolata, del Medioevo come un’epoca esclusivamente maschile: i «secoli bui» sono stati tutt’altro. Janina Ramirez ha scoperto innumerevoli nomi cancellati dai documenti storici con la parola «femina» annotata accanto

Ci sono vichinghe identificabili e menzionate per nome, le cui imprese sono celebrate e narrate nelle saghe e sui monumenti ru­nici. Ottennero grandi risultati, che le consacrarono alla memo­ria.

La Laxdæla Saga, un testo islandese del XIII secolo, descrive Unnur (il cui nome significa «di saggezza profonda), una colona islandese del IX secolo. Moglie del sedicente «re di Dublino» Olaf il Bianco, viaggiò molto con la sua famiglia, seguendo il figlio per vivere con lui nelle Ebridi. Alla morte di quest’ultimo commis­sionò in segreto un grande knarr, una nave che comandò fino alle Orcadi. Alla testa di un equipaggio di venti persone, Unnur svol­se il ruolo di comandante. Diede in moglie la giovane nipote a un forestiero e trasportò prigionieri e schiavi attraverso le acque.

Quando arrivò nell’Islanda occidentale, rivendicando la re­gione come sua, fondò una comunità e concesse agli schiavi libertà e terre. Sapeva che, dopo la morte del figlio, la sua posi­zione sociale sarebbe stata minacciata. La decisione di agire da leader, riunendo famiglia, schiavi e beni in cerca di un luogo dove trascorrere la vecchiaia, fu dettata da ragioni di soprav­vivenza. La sua vita è raccontata in molte saghe; una storia di fondazione incentrata su una donna di potere, celebrata e ricordata nel corso dei secoli. Recenti studi sul Dna in Islanda dimostrano che i primi coloni provenivano davvero dall’Irlan­da, dalla Scozia e dalla Scandinavia, perciò l’eredità di Unnur continua ancora oggi.

I resoconti delle vittime delle armate vichinghe suggerisco­no che le donne figuravano tra i guerrieri. Cogad Gaédhel re Gallaib («La guerra degli irlandesi contro i forestieri»), un testo del XII secolo, racconta come, durante un’aggressione al Mun­ster alla metà del X secolo, una delle sedici flottiglie fosse co­mandata dalla «flotta della Inghen Ruaidh», traducibile come «Ragazza Rossa». Questo fugace riferimento lascia intendere che una donna era in grado di comandare una flotta.

Perché, allora, restiamo ancora così sbalorditi quando tro­viamo prove archeologiche della presenza di guerriere? Pas­sando alla Norvegia, la nave più grande del paese fu scoperta a Gokstad nel 1880. Destinata a usi bellici e commerciali e al trasporto di persone e di merci, poteva ospitare trentadue re­matori e aveva un albero che si poteva alzare per sostenere una vela di centodieci metri quadrati. La progettazione è ingegno­sa, ma l’esecuzione è semplice, con pochi intagli e decorazioni. Sepolta sotto un enorme tumulo, la nave conteneva il corpo di un uomo di circa quarant’anni, alto un metro e ottanta e con un fisico possente: un vero «vichingo», insomma.

Poco più di vent’anni dopo, nel 1904, Gabriel Gustafson guidò un team alla scoperta di un’altra enorme nave, questa volta a Tønsberg, al confine tra Svezia e Norvegia. Conosciuta come nave di Oseberg, oggi è conservata accanto al reperto di Gokstad nel Museo delle navi vichinghe e le differenze sono notevoli. Leggermente più piccola della nave di Gokstad, quella di Tønsberg presenta elaborati intagli sulla prua e sulla poppa, e la varietà dei beni deposti al suo interno al momento della sepoltura è semplicemente incredibile. Dai secchi smaltati ai collari per cani, dai frammenti di arazzi all’unica sedia vichin­ga sopravvissuta, i reperti della nave di Oseberg rappresentano un microcosmo della vita del IX secolo nelle più ricche e poten­ti famiglie vichinghe.

C’è un’altra importante differenza tra le navi. Quella di Oseberg serviva a commemorare due individui, non uno. E la scoperta che le ossa di entrambi gli scheletri erano femmini­li provocò grande sconcerto. Mentre lo scheletro di Gokstad corrispondeva all’idea preconcetta di un guerriero vichingo, gli studiosi cercarono coraggiosamente di spiegare perché una donna anziana e una di mezza età fossero state ritenute de­gne di una sepoltura straordinaria come quella della nave di Oseberg.

Qualcuno ha persino ipotizzato che un terzo corpo, questa volta maschile, fosse stato inumato come fulcro di un monumento funerario così elaborato, con le donne sacrificate per accompagnare nell’aldilà un uomo molto più illustre. Ma non è mai stato scoperto nulla del genere. Piuttosto, la nave fu­neraria – contenente quattro slitte, una grande carrozza, mobi­li, suppellettili e tessuti – era riservata solo a queste due donne, di circa cinquanta e ottant’anni.

Gli studiosi hanno cercato di stabilire chi fossero, con la supposizione diffusa che una fosse la regina Åsa, nonna del primo re di Norvegia. Non so se ri­usciremo mai ad appurare la loro identità, ma lo sfarzo delle sepolture indica che erano di altissimo rango e che godevano del rispetto della comunità.

Inoltre le ossa della nave di Oseberg furono chiaramente spostate alcuni secoli dopo la sepoltura originale. Questa non è una caratteristica rara per i tumuli funerari vichinghi; pare che spesso, a un certo punto dopo l’inumazione, venissero scavati dei condotti nel terreno e che una parte dello scheletro venisse rimossa. È difficile immaginare lo scopo di questa operazione.

Secondo una teoria, le ossa venivano macinate e utilizzate per fabbricare armi che conservassero la memoria e la forza dei grandi antenati. La forgiatura richiedeva che il ferro brucias­se in presenza di carbonio e, siccome sono state trovate del­ le ossa nelle pentole rinvenute nei cimiteri, sembra che i resti umani venissero adoperati come carbone animale per il pro­cesso di tempra. «Nate» dalla fornace, le armi ricevevano poi nomi come Gram, Bastard e Tyrving. Forgiando il metallo con le ossa umane, si faceva sì che le esperienze di vita dei grandi predecessori venissero assorbite magicamente dagli oggetti.

Un’altra teoria sulla manomissione degli scheletri di Ose­berg riguarda la diffusione del cristianesimo in Scandinavia. I rus’ raccontano di sovrani che dissotterrano le ossa dei pa­renti per farli battezzare. A metà dell’XI secolo, Jaroslav il Saggio fece riesumare due zii pagani, Olaf e Jaropolk, che furono benedetti e deposti nella sua nuova chiesa. Aroldo Dente Az­zurro, il primo sovrano cristiano di Danimarca, ordinò che i suoi genitori pagani venissero sepolti in una camera sotto il pavimento della sua chiesa a Jelling.

Le chiese scandinave sor­gevano spesso vicino o sopra i siti di sepoltura precristiani, e la famosa Laxdæla Saga del XIII secolo narra come una strega pagana inumata sotto una delle prime chiese islandesi appaia in sogno e chieda di essere trasferita in un luogo lontano dalle lacrime e dalle preghiere dei cristiani.

Gli scheletri delle donne sepolte a Oseberg sono incompleti ed è chiaro che alcune ossa sono state rimosse attraverso con­dotti. È impossibile stabilire se i pezzi mancanti siano state riseppelliti o utilizzati per intridere le armi della protezione degli antichi antenati. Ma la manomissione della sepoltura suggeri­sce che la sua ubicazione fu ricordata per secoli e che i nomi, la reputazione e l’importanza delle defunte furono tramandati di generazione in generazione.

Ciò dimostra che le audaci e forti guerriere vichinghe potevano essere onorate anche molto tempo dopo la morte.

Da “Femina. Storia del Medioevo attraverso le donne che sono state cancellate”, di Janina Ramirez, Il Saggiatore, 552 pagine, trentacinque euro.

Contro il femminismo: ecco le donne (audaci) che hanno fatto l'Europa. Le audaci, un libro per scoprire e riscoprire la storia delle donne che hanno fatto la storia senza dover andare troppo distanti dalla nostra bella Europa. Davide Bartoccini l’8 Marzo 2023 su Il Giornale.

Tempo fa stavo sfogliando le prime pagine di un libro per bambine che, proprio in virtù della sentita necessità di scardinare i teoremi di genere, e "decostruire" il passato per un futuro ipoteticamente migliore, metteva subito in chiaro il suo messaggio, aprendo con un: "C'era una volta... una principessa? Macché! C'era una volta una bambina che voleva andare su Marte”.

Pensai subito che era un approccio molto à la page, un dono adeguato a figlie avvenenti di donne ribelli, forse avvenenti forse no, ma di certo donne che volevano spronare chi le seguiva recidendo in qualche modo il cordone ombelicale che ci lega alla nostra vecchia storia in virtù del nuovo spirito di sostituzione culturale. Per questo motivo, lo riposi sullo scaffale, traendo a me Le Audaci - Donne d'Europa di ieri per ragazze di oggi di Audrey Stéphanie con illustrazioni di Aude Benoit, edito in Italia da Ferrogallico. Un libro che tratteggia vita e leggenda di principesse, guerriere, sante e dee per essere controcorrente nella nostra attualità ancora una volta divisiva; cantando celebri imprese e ponendosi come ispirazione per quelle giovani ragazze che possono puntare alle stelle attraverso i più strabilianti traguardi raggiunti dalla scienza, senza doversi vergognare di aver sognato, tra le pagine di una fiaba, d’essere simili o uguali alle audaci donne del nostro passato. Passato glorioso di un continente che è stato - piaccia o meno - culla della civiltà e protagonista della storia con la S maiuscola.

Come scrive nell'introduzione alla lettura l'attivista Chiara del Fiacco, "la figura femminile in una società come la nostra ha perso qualsiasi punto di riferimento e rischia di annegare in un pantano sempre più vischioso" essendo privato della sua identità storica e culturale. Un'identità che si tende sempre a voler escludere a priori in questa nuova crociata dell'inclusione che caldeggia ogni genere di esotismo e diversità per seppellire miti, cantici, saghe e favole europee sotto una velo di multiculturalismo che trovare spazio per tutti, tranne che per le figure tradizionali che sembrano dover assumere - almeno agli occhi delle figlie del domani - l'aspetto di un nuovo fardello: il fardello della donna bianca.

Nel libro Le Audaci ritroviamo invece una cura molto francese nell'esposizione semplice di drammi e passioni, eroismi e atti di puro coraggio che hanno animato le nostre antenate - siano esistite veramente o solo frutto del mito che comunque trae ispirazione dalla realtà - quale oggetto d’ispirazione per le giovani donne del domani che intendono abbracciare il presente e il futuro, senza per questo accantonare, nascondere o ancora peggio demonizzare il loro nobile, glorioso e rispettabile passato. Mi tornano alla mente le foto recenti di Clotilde d'Arco, discendente diretta del fratello di Santa Giovanna d’Arco, Pierre, che indossa la corazza della sua antenata per le celebrazioni annuali dell'Assedio di Orleans del 1429, e sfila con sguardo lieto e fiero nella bellezza austera di una studentessa quindicenne.

Scoprire o ripassare la storia delle spartane Cinisca e Gorgo, delle matrone romane Cornelia e Livia, della condottiera Giovanna d’Arco, appunto, di Eleonora d'Aquitania e di Elisabetta I, per "scoprire o riscoprire" le radici culturali della nostra bella Europa, dunque. Entità che viene osannata solo nell'unione degli intenti, mai in quella delle origini. Per insegnare alle nuove generazioni il loro passato, ricco di storia e avventure, di nobili sentimenti ma anche di guerre, astuzie e diplomazie che hanno visto spesse le donne più audaci come protagoniste è un esercizio importante per le generazioni future, che devono arrivare lontano - anche su Marte - senza per questo dimenticare da dove arrivano.

POLITICA DONNE AL POTERE KAJA KALLAS di Veronique Viriglio il 27 gennaio 2021

AGI - Oggi Kaja Kallas ha prestato giuramento, diventando la prima donna a guidare un governo in Estonia, affiancando un'altra donna, Kersti Kaljulaid, presidente del Paese baltico dal 2016. L'Estonia è il primo e il solo Paese al mondo ad avere donne nelle due principali posizioni di capo dello Stato e capo del governo.

Ma qual è la situazione delle donne al vertice nel mondo? A guidare la classifica della leadership rosa in Europa, che ha eletto una donna, Ursula Von der Leyen, alla guida della Commissione Ue, ci sono sicuramente i Paesi del Nord, dalla vicina Lituania, a Norvegia, Finlandia, Islanda, Danimarca e Germania.

Secondo dati del 2019, al Parlamento europeo siede il 36% di donne. Considerando i 27 Paesi Ue e il Regno Unito, solo il 14,3% dei premier è donna e tra i presidenti la quota sale appena al 21,4%. L'Europa conta un 30% di ministri donne contro il 19% su scala mondiale. Su scala globale, su circa 200 Paesi, solo 20 sono guidati da capi di Stato donne.

La situazione in Europa

Danimarca: Mette Frederiksen è la premier dal 27 giugno 2019. Dal 2011 al 2014, Frederiksen è stata ministro del Lavoro nel Governo Thorning-Schmidt I e, dal 2014 al 2015, ha ricoperto l'incarico di ministro della Giustizia. Dal 28 giugno 2014 è la leader dei socialdemocratici. Viene spesso criticata per le sue posizioni molto dure contro l'immigrazione e la lotta alla prostituzione.

Estonia: Le neo premier Kaja Kallas è leader del Partito riformista (destra liberale), ex europarlamentare, europeista, 43 anni. è "figlia d'arte": suo padre è l'ex primo ministro Siim Kallas, in carica dal 2010 al 2014, che è stato anche commissario europeo ai Trasporti durante la presidenza Barroso.

Il lavoro della prima premier donna in Estonia andrà ad affiancarsi della presidente Kersti Kaljulaid, 51 anni, capo dello Stato dal 2016, quarta in carica dall'indipendenza dall'Unione sovietica nel 1991.

Laureata in genetica, ha poi conseguito un master in economia e scienza dell'amministrazione. Dal 1999 al 2002 è stata consigliera economica del premier estone Mart Laar, dal 2002 al 2004 CEO dell'impianto di Iru della compagnia di energia pubblica Eesti Energia, per poi diventare, fino al 2016, membro della Corte dei conti europea.

Finlandia: La premier finlandese Sanna Mirella Marin, in carica da dicembre 2019, ha un primato: quello di essere la più giovane leader di governo nel mondo. Classe 1985, a soli 34 anni ha preso la guida dell'esecutivo finlandese, già ministra dei Trasporti, astro nascente del partito socialdemocratico (SPD). Marin è cresciuta in una famiglia di due mamme.

Georgia: Nel novembre 2018 la Georgia ha eletto il suo primo capo di Stato donna, Salome Zurabishvili. Nata a Parigi 68 anni fa da genitori georgiani che avevano lasciato il Paese nel 1921, dopo l'annessione all'Unione Sovietica, ha fatto carriera nella diplomazia francese. Nel 2003 è stata inviata come ambasciatrice nella capitale Tbilisi e l'anno successivo ha ottenuto la cittadinanza su decisione del presidente georgiano.

Viene allora scelta come ministro degli Esteri, ruolo che ha ricoperto fino al 2005. Nel 2006 ha fondato il partito La via della Georgia e viene eletta in Parlamento. La sua candidatura alla presidenza è stata sostenuta da Sogno Georgiano, partito di governo, fondato nel 2012 dal miliardario Bidzina Ivanishvili.

Germania: Cancelliera della Germania dal 22 novembre 2005, Angela Merkel, 66 anni, è tra le più note donne leader al mondo. Dal 2006 al 2019 il magazine Forbes ha inserito Merkel tra le 100 donne più potenti del pianeta.

Gran Bretagna: Dal 6 febbraio 1952, quando è succeduta al padre, re Giorgio VI, Elisabetta II - nata Elizabeth Alexandra Mary, il 21 aprile 1926 a Londra - è la regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami dei 15 Paesi del Commonwealth. Quasi 95enne, il suo regno è il più longevo al mondo, oltre 68 anni.

Islanda: Katrìn Jakobsdòttir è il primo ministro dell'Islanda dal 30 novembre 2017. è la seconda donna a ricoprire questo incarico nel Paese dopo Jòhanna Sigurdardòttir, che era stata nominata nel 2009. Leader dei Verdi, Jakobsdottir, 44 anni, dichiaratamente femminista, è alla guida di una coalizione tripartitica composta da Partito dell'Indipendenza, Partito Progressista e i Verdi.

Lituania: Ingrida imonyt è primo ministro della Lituania dallo scorso 11 dicembre. Economista di formazione, 46 anni, dal 2009 al 2013 è stata ministro delle Finanze ed ha condotto una politica economica di austerità durante la crisi finanziaria globale.

Eletta alle parlamentari nel 2016, due anni dopo ha vinto le primarie del suo partito, l'Unione della Patria - Democratici Cristiani di Lituania, diventandone la candidata per le elezioni presidenziali del 2019. è stata sconfitta dal candidato rivale, Gitanas Nausdam.

Norvegia: Erna Solberg è primo ministro dal 16 ottobre 2013 e leader del partito conservatore norvegese. Ad affiancare Solberg, 59 anni, soprannominata la 'Angela Merkel della Norvegia', a due importanti dicasteri ci sono altre donne: Ine Eriksen Soreide, ministra degli Esteri e Marit Berger Rosland agli Affari Europei. Si occupa spesso di diritti femminili anche se vorrebbe leggi più restrittive per l'aborto.

Serbia: Ana Brnabi è primo ministro della Serbia dal 29 giugno 2017, eletta con il Partito progressista. L'economista 45enne è la prima donna, dichiaratamente omosessuale, a ricoprire tale carica nel Paese. Si definisce europeista e tecnocratica e il suo governo, per quanto conservatore, punta su educazione e digitalizzazione.

Slovacchia: Da marzo 2019 presidente della Slovacchia è Zuzana Caputova, 45 anni, giurista e avvocato, madre divorziata con due figlie, prima donna ad essere eletta capo di Stato nell'Europa centro-orientale.

A spingerla ad entrare in politica è stato l'assassinio del giornalista investigativo Jan Kuciak. Si è impegnata a lavorare per i diritti di tutti - anche di immigrati e persone LGBT - contro ogni forma di ingiustizia e abuso. Dopo una lotta decennale è riuscita a fermare un'enorme discarica abusiva, premiata con il Goldman prize, considerato il Nobel del movimento Verde e dell'ecologia.

La situazione nelle Americhe

Stati Uniti: Kamala Harris è la prima donna e per giunta con origini afroasiatiche a diventare vicepresidente degli Stati Uniti, accanto al 46mo capo di Stato, il democratico Joe Biden.

America centrale: Paula-Mae Weekes è presidente di Trinidad e Tobago, laureata in legge e in carica dal 2018. L'avvocatessa Mia Amor Mottley è la premier delle Barbados dal 2018. In Nicaragua, governato col pugno duro dal marito Daniel Ortega, la vicepresidente è Rosario Murillo, esponente di spicco del Fronte sandinista di liberazione nazionale, partito di governo dal 1979, salvo una parentesi di qualche anno.

La situazione in Asia e Oceania

Bangladesh: La guida del governo è in mano a Sheikh Hasina Wazed, in carica dal 2009, considerata una delle donne più potenti del mondo, inserita al 28mo posto nella classifica Forbes.

Myanmar: Nonostante crescenti critiche in patria e all'estero - tra cui le pesanti accuse di genocidio ai danni dei Rohingya - la storica leader birmana Aung San Suu Kyi, 75 anni, stata riconfermata al potere dopo la vittoria alle elezioni parlamentari dello scorso novembre della sua Lega nazionale per la democrazia (Lnd).

Molti nella maggioranza dei Bamar la venerano come madre della nazione, Nobel per la pace nel 1991, nel 2010 è tornata libera dopo anni di prigionia durante la dittatura militare cinquantenaria.

Nepal: Dal 2015 la presidentessa del Nepal è Bidhya Devi Bhandari, leader del partito comunista, 60 anni, nota per le sue battaglie per i diritti delle donne e per garantirli anche nel nuovo ordinamento statale.

Nuova Zelanda: Lo scorso novembre, Jacinda Arden, popolare prima ministra della Nuova Zelanda, è stata riconfermata per un secondo mandato. Capo del Partito laburista dal 2017, la 40enne Arden è ambientalista e lotta contro la discriminazione.

Il suo nome è diventato famoso nel mondo per la sua gestione esemplare della crisi della strage di Christchurch, compiuta il 15 marzo 2019 contro due moschee, dando prova di una leadership salda e profondamente umana. Un'altra crisi che Arden ha gestito con successo è quella della pandemia di Covid-19.

Singapore: Da settembre 2017 il presidente di Singapore è una donna, Halimah Yacob, la prima a ricoprire l'incarico. Di etnia malese, classe 1954, la sua elezione è stata accolta come la volontà di affermare l'identità multiculturale e multietnica della piccola ma influente repubblica asiatica.

La situazione in Africa

Etiopia: In Africa l'unica donna capo di Stato in carica è Sahle-Work Zewde, eletta in Etiopia nell'ottobre 2018, prima donna alla presidenza nel Paese del Corno d'Africa. Diplomatica di lungo corso, fino alla sua elezione ha ricoperto la carica di rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres presso l'Unione africana.

Togo: Lo scorso ottobre in Togo è stata nominata la prima premier donna, Victoire Tomegah Dogbè, 60 anni. Laureata in Scienze economiche e gestione d'impresa in Togo, con specializzazioni all'estero, ha maturato una lunga esperienza nella cooperazione, tra l'altro alle Nazioni Unite, prima di diventare ministro dello Sviluppo, dell'Artigianato, della Gioventù e dell'Occupazione dei giovani nel suo Paese.

Gabon: Anche il Gabon ha un primo ministro donna: Rose Christiane Ossouka Raponda, 56 anni, economista, esperta di finanza pubblica, in carica da agosto 2020. Alle spalle ha una lunga carriera da fedele alleata del presidente Ali Bongo Odimba, la cui famiglia è al potere da decenni.

Dal 2012 al 2014 è stata ministro del Bilancio, dal 2014 al 2019 sindaco della capitale Libreville, dove vive più del 70 per cento della popolazione del Gabon, e per finire ministro della Difesa da febbraio 2019.

In Africa il protagonismo politico femminile passa anche attraverso le rappresentanze nei Parlamenti. Il Parlamento del Ruanda è il primo al mondo per numero di donne, che sono il 56% di tutti i deputati. 

Rosa Scafa.

Addio a Rosa Scafa, la prima poliziotta d’Italia, in prima linea per la difesa delle donne. Storia di Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera lunedì 11 settembre 2023.

È morta all’età di 98 anni l’ex ispettore capo Rosa Scafa, la prima donna a indossare la divisa della Polizia di Stato. Scafa mosse i primi passi nel corpo assieme ad altre 22 colleghe, dopo un corso tenuto nel 1951. In 33 anni di servizio, dal 1952 al 1985, ha fatto parte della Polizia civile di Trieste, della polizia femminile e, dal 1981, della polizia di Stato. Nel corso della sua carriera, si è occupata soprattutto di reati commessi o subiti da donne e minori; successivamente ha lavorato al servizio speciale di assistenza ai dipendenti e ai loro familiari. Nel 2010, durante la festa per i 158 anni della Polizia, Rosa Scafa è stata premiata in occasione del 50esimo anniversario dell’ingresso delle donne in Polizia. La sua lunga carriera ha lasciato un segno indelebile nella storia della Polizia italiana e nella lotta per i diritti di tutte le donne.

Dalla Calabria a Trieste nel dopoguerra

In un’intervista al che nel 2020 le chiedeva perché negli anni Cinquanta avesse scelto di diventare la prima donna poliziotto italiana, lei rispondeva così: «Perché avevo bisogno di lavorare. Ero la maggiore di otto fratelli, la guerra ci aveva portato via tutto, il lavoro non c’era. Manco come operaia mi volevano. E avevo pure il diploma di maestra. In Polizia ci sono entrata per necessità, ma poi mi sono innamorata di quel lavoro». La guerra aveva diviso la sua famiglia: il papà lavorava a Trieste, la madre e la nonna erano rimaste a Vibo Valentia. «Quando riuscimmo a raggiungere Trieste trovammo un disastro: papà senza lavoro, la casa che non c’era più». Rosa divenne vigilatrice estiva delle colonie della Croce Rossa. Ma nel 1951 c’erano i corsi per entrare nella polizia femminile del governo militare alleato. «Presentai la domanda appena in tempo, mi assegnarono alla Buoncostume per assistere i minori».

Le esperienze difficili

Pesanti le esperienze vissute dalla poliziotta. «Un giorno mi portarono un bambino che avrà avuto due anni. Durante la notte il padre aveva ammazzato la madre. Lui era destinato ad un istituto d’accoglienza. C’è voluta tutta la mia forza per separarmi da quella creatura, quella notte», ha raccontato ancora al Corriere. Scafa impara una verità semplice che tutti sapevano ma che nessuno allora osava dire a voce alta: è dentro casa che si consumano le violenze più atroci. E per tutta la vita avrà sempre un’attenzione particolare per le donne fragili. Poi, nel 1960, un bivio: «Potevamo scegliere di essere assunte come impiegate civili oppure entrare nella Polizia Italiana». Lei non ebbe dubbi: «Per carità, non mi ci vedevo dietro a una scrivania. Volevo fare la poliziotta. I colleghi mi hanno sempre trattata come una di loro, mai una volta che il mio essere donna sia stato un problema». Divenne così la prima donna della Polizia tricolore.

Il rapporto con le prostitute

Filippo Furlan, il collega che Rosa ha sposato a 39 anni, è mancato tempo fa, ma «siamo stati marito e moglie per trent’anni, cinque mesi e sette giorni». Non hanno avuto figli, ma il legame è stato ugualmente fortissimo. Scafa è stata a lungo a contatto con le prostitute, che le ha sempre chiamate «signorine» e guai a chi si azzardava ad apostrofarle in altro modo in sua presenza. «Sono donne che hanno perso la strada, se sono arrivate fin lì è un po’ colpa di tutti». Il Questore di Trieste, Pietro Ostuni, la ricorda così: «Siamo più che addolorati, Rosa Scafa per noi era un’istituzione. L’avevo incontrata prima di Natale, ero andato a casa sua per farle gli auguri e ho trovato una donna forte, intelligente, motivata nonostante la sua età. Per noi è stata un punto di riferimento e un esempio, che dovremo seguire e conservare dentro di noi. La sua morte ci addolora particolarmente».

Katherine Johnson.

Katherine Johnson, la donna che mandò l'uomo sulla luna. Fuoriclasse della matematica già da adolescente, Katherine Johnson venne ingaggiata dalla Nasa: gli astronauti chiedevano solo di lei prima di andare in orbita. Paolo Lazzari il 9 Agosto 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Una bambina prodigiosa

 Nasa, la chance della vita

 Quel primo giretto nello spazio

 Spedire l'uomo sulla luna

 Il diritto di contare

Sbatte praticamente ogni porta, ribadendo che lui sul quel congegno non ci sale se prima lei non controlla ogni singolo calcolo. Lui è John Glenn, il primo americano pronto a essere spedito nello spazio per compiere un'orbita terrestre. D'altronde, da queste parti, quel giretto di Yuri Gagarin è rimasto simpatico come una spinta dalle scale. Bruciati dai russi. Serve una pomposa rivincita. Però adesso che è un freddo giorno di febbraio del 1962, Glenn punta i piedi. Ha percorso tutto quel gigantesco reticolo di uffici affollati da computer e calcolatrici per raggiungere qualcuno che i calcoli li sa fare ancora meglio. Finalmente si siede di fronte a Katherine Johnson: "Mi fido solo di te. Vado in orbita se mi assicuri che torna tutto quanto".

Una bambina prodigiosa

Classe 1918, Katherine cresce in Virginia da genitori afroamericani e subito capisce che le toccherà sgomitare più del dovuto, considerato che, tutt'intorno, i pregiudizi razziali sono una pianta infestante quasi impossibile da estirpare. Però ha un vantaggio. Flirta con i numeri al punto da lasciare basiti maestre e professoresse. In quella sua mente adolescenziale crepita la scintilla della matematica. Colate laviche di numeri decriptati. Equazioni a colazione. Studi di funzione che cedono il passo quando la riconoscono davanti al foglio.

Così a soli quattordici anni è già diplomata, mentre le compagnucce, quelle "normali" e provenienti dalla upper class a stelle e strisce, restano tutte al palo. A sedici si iscrive all'università, ma il suo talento è debordante. Pare che strapazzi gli accademici. E che quel che impara non gli basti. Stordito, l'ateneo dispone che vengano inseriti nuovi corsi avanzati per dissetare la sua volontà di conoscenza. Johnson trangugia tutto quanto: laurea cum laude a soli diciotto anni. Fuori scocca il 1937. Kate è già un dirompente prodigio.

Nasa, la chance della vita

A volte il destino ci mette un mucchio di tempo per organizzarsi. Katherine si sposa, mette su famiglia, inizia a insegnare matematica nelle scuole. Tutti passaggi emotivamente robusti, ma in fondo agli occhi, quando impila i registri nella sala professori, lo percepisce che quel suo grande talento si sta gradualmente dilapidando. Poi una sera il fato si ricorda di essere tempista. Johnson sta piluccando un antipasto con un gruppetto di amici, quando uno di loro se ne esce con una notizia che le fa andare il boccone di traverso. "Alla Naca (acronimo della futura Nasa, ndr) cercano donne capaci di fare calcoli veloci con la mente". Touché. Sembra proprio il suo profilo. E quando la grande chance bussa, serve il coraggio di andare alla maniglia. Tutti premuti in macchina allora, alla volta degli Hamptons. Quando arriva le comunicano subito la mansione: niente spazio, troppo presto. Dovrà lavorare sulle scatole nere degli aerei. Lei comunque sorride forte. Ora è il 1953. Ora lavora per il governo degli Stati Uniti.

Quel primo giretto nello spazio

Adesso torniamo dritti su John Glenn. Ha raggiunto la palazzina appartata dove si trovano tutti i dipendenti di colore. Accanto a Katherine lavorano altre due donne geniali, Dorothy Vaughan e Mary Jackson. Le chiamano "Colored Computers - computer di colore". Segno che l'uguaglianza è ancora un miraggio. Lui però non ha tempo per soffermarsi sulla questione dei diritti, che pure salirà potente alla ribalta per il lavoro compiuto da queste matematiche doppiamente discriminate, in quanto donne, in quanto afroamericane.

Lui vuole portare a casa la pelle. E anche se i calcoli sono già stati eseguiti al millesimo dall'attrezzatura elettronica in dotazione, anche se le equazioni orbitali risolte per mandare a fare un giretto intorno al globo il modulo Glenn's Friendship 7 tornano tutte, lui comunque non ci sta. Pretende che Katherine verifichi tutto quanto. A mano, con carta, penna e calcolatrice. I cervelloni della Nasa si stringono nelle spalle. Come fa a fidarsi più di questa donna che dei computer? Sta di fatto che Glenn non parte finché da Johnson non arriva la luce verde. La missione che ne segue è un autentico successo.

Spedire l'uomo sulla luna 

Poi arriva il momento di alzare la posta. Un giorno J.F. Kennedy alza la cornetta e la spiega semplice: "Ok ragazzi, grazie di tutto. Ora però voglio la luna". Alla Nasa non hanno dubbi: per capire come agganciare l'orbita del satellite, andare e tornare, meglio mettere Katherine in prima fila. Lei inforca di nuovo gli occhiali, batte sulla calcolatrice, sfrigola sul foglio con la sua biro. Poi le serve anche la gigantesca lavagna del centro Langley. Neil Armstrong la benedice a lungo. Prima di partire osservano tutti la solita prassi: "Ok, calcoli fatti, ma è meglio se li rivede Johnson". Missione impeccabile. Un'altra qualità di Kate è quella di riuscire a rimanere lucida sotto pressioni gigantesche. Come quando si tratta di far tornare sani e salvi a casa gli astronauti dell'Apollo 13, mozzicato da un modulo di servizio esploso.

Dai bit alle stelle: Margaret Hamilton, la donna che "portò" l'uomo sulla Luna

Il diritto di contare

“Nella mia vita ho contato di tutto. Dai gradini della chiesa, al numero di posate e piatti che ho lavato… Tutto ciò che si poteva contare, l’ho contato”. Sono le sue parole nel 2015 quando, visibilmente emozionata, riceve la National Medal of Freedom, la maggiore delle riconoscenze civili americane. Perché il suo impegno non ha concorso soltanto al buon esito di missioni che hanno stravolto la storia dell'umanità. Le sue doti, Kate, le ha sempre messe al servizio di un messaggio più alto: "Non esistono persone di categorie differenti e ve lo dimostro".

Johnson è scomparsa nel 2020. La sua storia, come quella delle sue colleghe, nel 2016 era diventata un film di culto: "Il diritto di contare". Nel frattempo, a Langley, dove aveva passato tutto quel tempo a calcolare con estremo profitto, le avevano anche dedicato il centro di ricerca. Lei era apparsa radiosa, seppur costretta in carrozzina. Probabilmente, quel giorno, a fianco della grossa targa che portava il suo nome, deve aver pensato che il risultato della sua vita è stato, in fondo, proprio quello esatto.

Rita Levi Montalcini.

"Lotto contro due pesi": così Rita Levi Montalcini vinse il premio Nobel. Ricercatrice, vincitrice di un premio Nobel e senatrice a vita, Rita Levi Montalcini ha rivoluzionato la medicina e la figura stessa della donna, sfidando gli schemi della società del tempo. Francesca Bernasconi il 10 maggio 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 I primi anni

 Le leggi razziali

 Il premio Nobel

 Una vita rivoluzionaria

Tenace, coraggiosa e dalle straordinarie capacità scientifiche e umane, Rita Levi Montalcini ha rivoluzionato la medicina, in un percorso tutto al femminile. Dalle prime ricerche, fino al premio Nobel per la Medicina, dalla sua personale lotta femminista, fino alla creazione della Fondazione in aiuto delle donne africane, la sua storia è costellata da rivoluzioni sociali e scientifiche.

I primi anni

Rita nacque a Torino nel 1909, insieme alla gemella Paola, le ultime dei quattro figli del matematico Adamo Levi e della pittrice Adele Montalcini. Prima di loro, infatti, erano nati Gino e Anna. La sua famiglia era ebrea, ma i genitori avevano insegnato ai figli anche l'importanza della cultura, della laicità e del pensiero critico, ripetendo loro quanto fosse importante diventare liberi pensatori.

Fu anche questo tipo di educazione che spinse Rita Levi-Montalcini a intraprendere gli studi e la ricerca scientifica, nonostante in quegli anni la figura della donna fosse subordinata a quella dell'uomo, soprattutto in ambito lavorativo. La donna infatti secondo il pensiero comune dell'epoca avrebbe dovuto concentrarsi suoi suoi doveri di moglie e madre, mentre nel panorama lavorativo in generale, e scientifico in particolare, dominava la figura maschile.

Nonostante questo, nel 1930 si iscrisse all'Università di Torino e, parallelamente, entrò nella scuola medica dell'istologo Giuseppe Levi, dove iniziò a studiare il sistema nervoso che, per tutta la sua vita, fu al centro delle sue ricerche. Nel 1936 le venne conferita la laurea in Medicina e Chirurgia, con una votazione di 110 e lode. Nello stesso anno, la donna si iscrisse alla specialità di Psichiatria e Neurologia e, nel 1938 divenne assistente volontaria nella clinica di malattie nervose e mentali.

Le leggi razziali

Nel 1938 però l'approvazione delle leggi razziali in Italia cambiò drasticamente la vita della Montalcini, che venne estromessa dalla clinica e costretta a emigrare all'estero. La donna infatti si trasferì in Belgio, dove viveva già la sorella Anna con il marito e dove si era spostato anche il suo maestro Giuseppe Levi. Lì iniziò gli studi sul differenziamento del sistema nervoso. Ma dopo l'invasione del Belgio da parte dei Tedeschi, Rita dovette fare ritorno a Torino. Né la guerra, né le persecuzioni riuscirono però a fermare l'impegno di Rita nella scienza: la ricercatrice, pur di non fermare il suo lavoro, allestì un laboratorio nella sua camera da letto.

Nel 1940 tornò a Torino anche Giuseppe Levi, che si unì alla Levi Montalcini, diventando il suo primo (e unico) assistente. In quel laboratorio improvvisato, i due ricercatori volevano cercare di comprendere il ruolo di fattori ambientali e genetici nella differenziazione dei centri nervosi, per perfezionare le conoscenze umane sul sistema nervoso. Fu così che, in una camera da letto trasformata in un centro di ricerca, Rita e Giuseppe scoprirono un fenomeno i cui meccanismi sarebbero stati spiegati solamente trent'anni dopo: la morte di intere popolazioni nervose all'inizio del loro sviluppo.

Ma, mentre in quella stanzetta i due ricercatori continuavano i loro studi rivoluzionari, fuori imperversava la Seconda Guerra Mondiale. E il pesante bombardamento di Torino costrinse la famiglia di Rita ad abbandonare la propria casa, per rifugiarsi nelle campagne circostanti. Successivamente, quando nel 1943 le forze armate tedesche invasero l'Italia, i Levi-Montalcini furono costretti a scappare nuovamente verso il Sud, fino a Firenze, dove vissero nascosti per anni, per sfuggire alle deportazioni e all'Olocausto. Fu in quel periodo che Rita entrò in contatto con le forze partigiane e, quando gli Alleati liberarono Firenze, divenne medico del Quartier Generale anglo-americano. 

Per anni, la vita di Rita Levi Montalcini fu caratterizzata dalla fuga, dalla clandestinità e dal costante rischio di essere deportata e uccisa. Ma, nonostante questo, anche durante la Seconda Guerra Mondiale, la donna non lasciò mai in secondo piano la ricerca e continuò gli studi iniziati negli anni Trenta: nulla avrebbe potuto distoglierla da questo. Una volta terminata la guerra, Rita tornò a Torino insieme alla famiglia e riprese gli studi accademici.

Il premio Nobel

Qualche tempo dopo, la Levi Montalcini venne invitata al Dipartimento di zoologia della Washington University di Saint Louis, per proseguire le ricerche che aveva avviato sul sistema nervoso. Convinta di restare negli Stati Uniti solamente per qualche mese, in realtà vi rimase per trent'anni, fino al 1977. Lì realizzò alcuni esperimenti fondamentali sui pulcini e sui polli, che la portarono a fare una scoperta sensazionale tra il 1951 e il 1952. La ricercatrice infatti scoprì la presenza di una proteina con un ruolo essenziale nella crescita e nel differenziamento delle cellule nervose. Più tardi, nel 1954, portò avanti lo studio, compiendo ulteriori analisi e sperimentazioni, insieme al biochimico Stanley Cohen, giungendo all'identificazione della proteina, che venne chiamata Nerve Growth Factor (Ngf). 

L'Ngf quindi si dimostrava essenziale per la crescita e il mantenimento dei neuroni e importante anche per il suo ruolo nel sistema immunitario. La ricerca dei due scienziati è risultata poi di fondamentale importanza, oltre che per la comprensione della crescita delle cellule, anche per la comprensione e lo studio di malattie come il cancro, l'Alzheimer e il Parkinson. Nel 1986, questa scoperta valse a Rita Levi Montalcini e a Stanley Cohen il Premio Nobel per la Medicina, che rese la Montalcini la prima donna nel Mondo e l'unica italiana a vincere il prestigioso premio in ambito medico.

"La scoperta dell'Ngf - si legge nella motivazione del premio - all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e nei tessuti dell'organismo".

Nonostante i trent'anni passati negli Stati Uniti, Rita non perse mai il legame con il suo paese natale. Negli anni Sessanta infatti diresse il Centro di Ricerche di neurobiologia, creato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) presso l'Istituto Superiore di Sanità e, successivamente, diresse il Laboratorio di Biologia cellulare del Cnr.

All'inizio degli anni Ottanta fu nominata presidente dell'Associazione Italia Sclerosi Multipla: la sclerosi multipla è una patologia che, con le sue ricerche, Levi Montalcini ha contribuito a comprendere. Nel 1999 la scienziata venne nominata ambasciatrice della Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. Nel 2001, il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, nominò Rita Levi Montalcini senatrice a vita, "per aver illustrato la patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale".

Rita Levi Montalcini fu la prima donna a essere ammessa alla Pontificia accademia delle scienze e fu membro delle principali accademie scientifiche internazionali, come la statunitense National Academy of Sciences e la Royal Society. La ricercatrice da Nobel morì il 30 dicembre del 2012, a 103 anni, ottenendo anche il primato come prima vincitrice del Premio Nobel a raggiungere il secolo di età.

Una vita rivoluzionaria 

Donna coraggiosa, determinata e brillante, Rita Levi Montalcini rappresenta una figura rivoluzionaria. In un'epoca in cui dominava la presenza maschile e la donna era spesso relegata all'attività di moglie e madre, la Montalcini agì in modo totalmente innovativo: non si sposò mai e non ebbe figli, dedicando la sua intera vita alla scienza. Non fu una decisione semplice per una donna che viveva, come dichiarò lei stessa, in una famiglia in cui era presente "quell'atmosfera patriarcale e restrittiva nei confronti della donna che caratterizzava quel periodo. In famiglia non c’erano tabù religiosi ma c’era una forte differenza di ruolo fra uomo e donna".

In quegli anni, in cui dominava ancora l'idea vittoriana della società, "essere donna voleva dire rinunciare a qualunque diritto", tanto da essere considerata"un oggetto di lusso, oppure un oggetto da distruggere". Ma la Montalcini rifiutò per tutta la vita questo schema, nonostante le reticenze del padre che "reputava difficile conciliare la vita di madre e di moglie, con una vita di lavoro. Era contrario, non lo accettava. Un giorno gli ho detto che non volevo diventare né moglie, né madre e gli chiesi il permesso di fare quello che volevo. Mi disse: 'Non ti approvo, ma non posso impedirtelo'".

Le mansioni a cui venivano relegate le donne ai tempi impedivano loro di accedere alla formazione, alla scienza e alla politica, rendendole certamente più svantaggiate rispetto agli uomini. Per questo, sottolineò Rita Levi Montalcini, "le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale". Ma proprio la forza e il coraggio derivate dalla necessità di combattere per i propri diritti rende le donne "la colonna vertebrale delle società".

L'attenzione della ricercatrice premio Nobel al ruolo della donna si mostrò anche nell'impegno sociale, che Rita Levi Montalcini portò avanti per tutta la sua vita. Nel 1991 istituì, insieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Rita Levi Montalcini, con l'obiettivo di sostenere le giovani donne dei Paesi africani, per permettere loro "di accedere a tutti i livelli di istruzione, da quella primaria fino a quella universitaria e post universitaria".

Dall'impegno scientifico, fino a quello sociale e politico, la vita di Rita Levi Montalcini ha lasciato il segno nella medicina, ma anche nella società moderna e contemporanea, rappresentando un esempio di emancipazione e intelligenza fuori dal comune.

Dieci anni senza Rita Levi-Montalcini, formidabile scienziata e pioniera della parità di genere. Giulia Mattioli su La Repubblica il 30 Dicembre 2022.

Le sue scoperte hanno cambiato per sempre il corso della medicina, ma anche le sue istanze di emancipazione ante-litteram hanno lasciato il segno, rendendola un modello per tutte le giovani donne innamorate della scienza. Nel decennale della scomparsa di Rita Levi-Montalcini ne ripercorriamo la straordinaria biografia

Lady and gentlemen”, ovvero “Signora e signori”: alle conferenze americane a cui partecipava ci si rivolgeva così alla platea, con quel lady al singolare che sottolineava l'unicità della sua presenza femminile tra le tante figure maschili. Se pensiamo che le donne nella scienza e in generale nelle materie STEM siano poche oggi, all’epoca di Rita Levi-Montalcini erano davvero un unicum, l’eccezione, la rarità. Oggi, 30 dicembre 2022, ricorre il decimo anniversario della morte della celebre neurologa, una donna che non solo ha rivoluzionato il corso della scienza, ma è stata una pioniera dell’emancipazione, capace di rifiutare il ruolo che la società dell’epoca le avrebbe voluto imporre per perseguire i suoi sogni. E un'anticipatrice delle istanze di parità di genere, che si è ritagliata un posto d'onore in un mondo interamente maschile.

Rita Levi-Montalcini ha raccontato spesso nelle interviste di essere cresciuta in un contesto “vittoriano”, riferendosi ai ruoli e alle dinamiche su cui si fondavano le relazioni familiari. La sua era una famiglia torinese colta e benestante, composta da Adamo Levi, matematico e ingegnere, e Adele Montalcini, pittrice. I due avevano già due figli, Gino e Anna, quando il 22 aprile 1909 accolsero Rita assieme alla gemella Paola (che seguirà le inclinazioni artistiche della mamma, diventando una nota pittrice). I genitori la incoraggiarono molto a coltivare la cultura e l’intelletto, ma senza superare un limite prestabilito: ad un certo punto della propria vita una giovane donna doveva pensare a cercarsi un marito e metter su famiglia.

La giovane Rita era invece completamente rapita dai suoi studi, dalle sue ricerche, e il padre temeva che questi interessi sarebbero stati difficili da conciliare con il ruolo di moglie e madre. Fino a che, presa di coscienza di sé, la futura scienziata si liberò del peso di queste aspettative: “Un giorno gli ho detto che io non avevo intenzione di diventare né madre né moglie”, ha raccontato Rita Levi-Montalcini, da sempre convinta che il ruolo femminile ‘classico’ non le appartenesse e certa di voler dedicare la sua vita alla ricerca in campo medico. “Non si contestava un padre così in quell’epoca vittoriana, ma io avevo già un carattere molto forte”: in effetti, non si sposò e non si innamorò mai (“Avevo un giovane compagno che voleva a tutti i costi sposarmi, ma ho rifiutato”). I genitori, e in particolare il padre, non approvavano questa scelta, ma furono abbastanza di ampie vedute da non metterle mai i bastoni tra le ruote: e per fortuna, dato quello che la figlia conseguì negli anni.

Rita Levi-Montalcini si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Torino nel 1930, dove si laureò con la lode, specializzandosi successivamente in neurologia. Ma l’Italia dell’epoca stava andando incontro ai suoi anni più bui, e la famiglia Levi-Montalcini, ebrea, fu costretta ad emigrare quando vennero promulgate le leggi razziali. Fuggirono in Belgio, dove Rita proseguì gli studi, ma fecero ritorno a Torino nel 1940. Negli anni a seguire e fino alla fine della guerra, la ragazza e i suoi familiari dovettero rimanere nascosti, trovando rifugio presso famiglie che si assumevano il rischio di ospitare ebrei perseguitati. La scienziata ha raccontato in diverse occasioni che quel periodo, paradossalmente, fu per lei molto ‘fortunato’: la necessità di rimanere chiusa in una stanza le permise di allestire il suo primo laboratorio, dove si dedicò notte e giorno agli esperimenti che la indirizzarono verso le scoperte che quasi trent’anni dopo le sarebbero valse il Premio Nobel.

Quando, sul finire della guerra, Firenze fu liberata (le varie peregrinazioni avevano portato lei e la famiglia a nascondersi nel capoluogo toscano), Levi-Montalcini si arruolò come medico di campo, ma quell’esperienza le fece capire che il contatto diretto con i pazienti non faceva per lei: le sue biografie raccontano di come non riuscisse a mettere il necessario distacco tra lei e le persone sofferenti. La sua vita sarebbe stata dedicata alla medicina, ma sul fronte della ricerca.

A conflitto terminato riprese gli studi, che la portarono negli Stati Uniti, ma quello che sembrava un viaggio a termine si rivelò un percorso accademico che durò oltre trent’anni: pur non recidendo mai completamente i rapporti con il mondo scientifico italiano, tornerà a lavorare stabilmente in patria solo sul finire degli anni Ottanta. Saint Louis, Washington, New York: proseguì la sua ricerca presso le più prestigiose istituzioni americane, divenne professoressa associata nelle università, ed ebbe modo di condurre quegli esperimenti che la porteranno a scoprire il GNF - fattore di crescita nervoso, una proteina responsabile della differenziazione e dello sviluppo delle cellule del sistema nervoso, a cui la studiosa dedicò decenni della sua carriera. Le implicazioni di questa scoperta furono importantissime, e si applicarono negli anni a venire allo studio delle malattie degenerative (come l’Alzheimer, la demenza, la sclerosi), e sono stati fondamentali nella comprensione del cancro. La scoperta valse a lei e al suo assistente Stanley Cohen il Premio Nobel per la medicina nel 1986.

Il Nobel è il premio più prestigioso, ma naturalmente non è stato l’unico riconoscimento ricevuto da Rita Levi-Montalcini per la sua lunga carriera: cinque lauree honoris causa, numerosi premi (che spesso fu la prima donna a ricevere), presidenze onorarie. Ma l’instancabile scienziata non si accontentò mai di portare avanti solo la sua ricerca, impegnandosi anche perché il mondo scientifico ricevesse adeguati finanziamenti, perché i giovani studiosi avessero la possibilità di condurre le loro ricerche, perché gli istituti in cui lavorava fossero adeguatamente equipaggiati. Avviò progetti e fondazioni con lo scopo di favorire la ricerca ovunque: per esempio, fondò l’European Brain Research Institute, o la Rita Levi Montalcini Foundation che aveva lo scopo di conferire borse di studio alle donne di diversi paesi africani. “Ho fatto il massimo in cui potevo sperare sin quando ero adolescente. Non ho rimpianti”, ha dichiarato in diverse occasioni.

Attiva anche su vari fronti politici e sociali (campagne contro le mine anti-uomo, a favore dell’aborto, per la fine del proibizionismo, per la risoluzione dei conflitti legati allo sfruttamento delle risorse ambientali) non si risparmiò mai per ciò in cui credeva. Lavorò fino alla fine, e arrivò a compiere 103 anni ancora perfettamente lucida. Nominata Senatrice a vita della Repubblica Italiana nel 2001, fu protagonista di alcuni episodi di grande clamore mediatico anche in quella veste. Celebre la lettera che consegnò a Repubblica nella quale rispondeva a Francesco Storace che insinuava le servissero delle ‘stampelle’, con riferimento alla sua età avanzata: “Io sottoscritta, in pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, continuo la mia attività scientifica e sociale del tutto indifferente agli ignobili attacchi rivoltimi da alcuni settori del Parlamento italiano… A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse ‘facoltà’, mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria”.

Lucida, perspicace, combattiva, energetica, eloquente e determinata fino all’ultimo, Rita Levi-Montalcini è un vero e proprio tesoro nazionale. Pioniera nella scienza, ma anche rivoluzionaria nella sua visione della donna, durante un’intervista del 2009, quando le venne chiesto cosa si aspettava dalle giovani contemporanee, la neurologa affermò decisa: “Che si rendano conto dell’enorme potenziale umano che è in loro, mai utilizzato perché sottomesse all’altro sesso, non per inferiore capacità ma per diritto della forza fisica. [La differenza tra i sessi] ha creato nelle componenti maschili l’idea che la forza fisica sia anche forza mentale, il che non è vero”.

Marie Curie.

Marie Curie: l'amore, i Nobel e lo scandalo. La celebre scienziata raccontata dalla nipote Hélène. Alessia Cruciani su Il Corriere della Sera il 29 Marzo 2023

Fisica nucleare, 96 anni, Hélène Langevin-Joliot Curie spiega alle donne come seguire l'esempio della famosa nonna. «Oggi siamo tutte Marie Curie»

«Oggi siamo tutte Marie Curie». A sostenerlo è la nipote della scienziata più famosa del mondo: si chiama Hélène Langevin-Joliot Curie ed è una lucida e appassionata fisica nucleare di 96 anni, impegnata nel sostenere le donne attratte dalle materie scientifiche. «Siamo tutte Marie Curie perché affrontiamo la vita come lei, con coraggio e determinazione». 

Direttrice onoraria del Centro nazionale di ricerca scientifica in Francia, Hélène Langevin-Joliot Curie ha incantato le studentesse milanesi che vorrebbero avvicinarsi alle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), durante un incontro organizzato da Fondazione Bracco e Comune di Milano. Non poteva fallire ricordando l’esempio di tre donne speciali: sua nonna Marie (due volte premio Nobel), sua mamma Irène (anche lei vincitrice con il marito Frédéric Joliot del Nobel per la chimica) e, infine, il suo. Perché, nonostante l’illustre cognome, Hélène ha dovuto superare quelle difficoltà che tuttora ostacolano le ricercatrici, a partire da un lungo precariato. Ma la vicenda delle donne di casa Curie non parla solo di scienza: c’è anche tanto amore e uno scandalo che, per uno scherzo del destino, ha portato Hélène a sposare proprio il nipote di quel Paul Langevin, scienziato talentuoso, affascinante e… sposato, che fece innamorare follemente Marie, vedova del marito Pierre. D’altronde solo donne capaci di passioni diventano poi straordinari esempi di emancipazione femminile. Oggi, infatti, sempre più spesso il nome e cognome francesi lasciano il posto a quello vero: Maria Sklodowska.

Nata nel 1867 a Varsavia, ultima di cinque figli, Maria rimane presto orfana di madre. Sia lei sia la sorella maggiore Bronislawa sono incoraggiate dal padre a proseguire gli studi. Ma in Francia, perché in Polonia le donne e l’università sono due pianeti troppo distanti. La sorella parte per prima, va a Parigi per studiare medicina. Nel 1891 la raggiunge Maria che si laurea in chimica e fisica alla Sorbona. A 26 anni vince un dottorato di ricerca.

«Così conosce Pierre, un giovane docente di 35 anni già affermato per i suoi studi sulla piezoelettricità — inizia a raccontare Hélène Langevin-Joliot Curie —. Anche lui è pieno di passioni, in un diario scrive: “Dobbiamo rendere la vita un sogno e trasformare i sogni in realtà”. Maria dirà di essere rimasta colpita “dal suo sguardo chiaro”. Finiti gli studi mia nonna pensa di tornare in Polonia per accudire il padre. Ma Pierre non vuole perderla.“Sarebbe bello poter condividere i nostri sogni scientifici”, le scrive. Si sposano nel 1895». Dall’unione nasceranno nel 1897 Irène, la madre di Hélène, e nel 1904 la zia Ève. Anche lei, seppur lontana dal mondo della fisica porterà a casa un premio Nobel, stavolta per la pace, assegnato all’Unicef e ritirato dal marito Henry Richardson Labouisse nel 1965.

«Pierre Curie riesce a ottenere un laboratorio per permettere alla moglie di fare i suoi esperimenti — prosegue Hélène —. Oltre a scoprire il polonio (chiamato così in onore della sua Polonia; ndr), i due coniugi individuano un secondo elemento che va separato: è il radio. Non sono soli in questa fase, con loro c’è anche Antoine Henri Becquerel e, per tre anni, condurranno esperimenti sulla radioattività». Hélène mostra la foto del laboratorio dei nonni, talmente spartano che non li riparava nemmeno dalla pioggia. Soprattutto, non li riparava dall’esposizione alle radiazioni, le cui gravi e letali conseguenze erano ignote. Sarà la radioattività a portare ai tre scienziati il Nobel per la fisica nel 1903. Ma l’Accademia svedese vuole lasciar fuori Marie, proponendo di assegnare il premio solo ai due uomini.

«Quando mio nonno lo viene a sapere, interviene duramente sostenuto da Becquerel», rivela Hélène. È così che Marie Curie diventa la prima donna della storia a ricevere un premio Nobel. «Nel ritirarlo, Pierre fa un discorso in cui avverte quanto possa essere pericoloso il radio in mano ai criminali. Anzi, la coppia ribadisce che i progressi della scienza devono favorire il progresso e migliorare le nostre vite». Quello però, aggiunge Hélène, è anche il periodo in cui si diffondono l’elettricità e i nuovi mezzi di trasporto: dal treno alla bici. Marie e Pierre Curie scoprono così la possibilità di fare vacanze al mare o in montagna. Se non fosse che Pierre soffre già per le conseguenze dell’esposizione alla radioattività, sarebbe un momento felice. Che viene interrotto di colpo quando, nel 1906, lo scienziato viene investito e ucciso da una carrozza a cavalli.

Tra i tanti amici che aiuteranno Marie a rilevare la cattedra alla Sorbona di suo marito e a continuare gli esperimenti in laboratorio, c’è anche un giovane e promettente scienziato. È Paul Langevin, il nonno di Michel, l’uomo che sposerà Hélène. Quello che non faranno mai Marie e Paul. Anzi, nel 1911 saranno protagonisti di uno scandalo che occuperà le pagine dei giornali per diversi mesi. Lui è sposato e ha quattro figli ma sta sempre in laboratorio con Marie. La moglie Jeanne trova delle lettere che la scienziata ha scritto a Paul e le fa arrivare alla stampa. La risonanza di questa vicenda va oltre i confini francesi, in un attimo Marie viene additata come una rovina famiglie, la reputazione distrutta. A farla uscire da questa umiliante vicenda saranno la determinazione e l’annuncio dell’assegnazione a dicembre 1911 del secondo premio Nobel, stavolta per la chimica (grazie alla scoperta del radio e del polonio). Diventa la prima persona al mondo a esserne insignita in due campi diversi.

Però deve dimenticare Paul. E lo farà grazie alla presenza della figlia Irène che la aiuta in laboratorio insieme al marito Frédéric Joliot. Nel 1927, inoltre, Marie diventa nonna: è nata Héléne. «Era una nonna come tante, non ancora l’icona di oggi. Ho pochi ricordi, perché è morta che avevo solo sette anni ma ho potuto vedere tante fotografie e dei filmati in cui facciamo una passeggiata mentre lei mi tiene per mano». Marie farà in tempo a vedere Irène e Frédéric scoprire la radioattività artificiale ma morirà nel 1934 per anemia aplastica, causata dalle radiazioni, l’anno prima che la figlia e il genero ricevano il premio Nobel per la chimica. Che ricordo ha Héléne di questo momento? «Arrivò un telegramma di notte, mio fratello e io eravamo lì con loro. Ne parlammo ma non ebbi la percezione di qualcosa di speciale: in famiglia si parlava sempre di scienza, sembrava normale». Eppure, durante la guerra, Hélène sentiva uomini e donne affermare che le mogli dovevano occuparsi solo di casa e figli. «Quando dissi a mamma che non mi sembrava giusto, rispose: “Credi che tutte le donne che lavorano abbiano un mestiere interessante come il mio?”».

Donne davvero emancipate, ricorda Héléne: «Se Marie aveva diretto cooperazioni internazionali, nel 1936 Irène era sottosegretario per la Ricerca scientifica in un’epoca in cui le donne non potevano nemmeno votare. Se Marie fu femminista, Irène si adoperò far accedere le donne a tutti i mestieri, soprattutto a quelli scientifici, fino alla morte a 59 anni per la leucemia provocata dalle radiazioni (due anni dopo, nel 1958, se ne andrà per la stessa malattia anche il marito, ndr)».

Con nonni e genitori simili, occuparsi di fisica è stato naturale per Héléne: «Mia nonna e i miei genitori mi lasciavano coltivare cristalli, usando prodotti chimici e lana. E ricordo una frase che mia madre e mio padre usavano spesso, perché gliela aveva trasmessa Pierre: “La scienza non è né buona né cattiva, sono le sue applicazioni che possono fare la differenza”». Ma sull’uguaglianza di genere Héléne non è ottimista: «Stiamo osservando una stagnazione delle donne nelle discipline scientifiche. I giovani ricercatori affrontano troppi vincoli, c’è tanta precarietà. Mancano i posti di lavoro e magari si lavora un anno in Giappone, uno in Canada e con una buona dose di fortuna si potrà trovare un lavoro fisso a 40 anni. Impossibile per una donna che vuole avere figli. È capitato anche a me: quando sono entrata nel mondo della ricerca, il Cnrs mi ha offerto una borsa di studio, non un lavoro. Bisogna gettare le basi per spingere ragazzi e ragazze nei laboratori. Non basta celebrare i Curie, bisogna ispirarsi al loro modo di fare scienza».

Eleonora Duse.

"Senza le donne non va niente": la rivoluzione in teatro di Eleonora Duse. Eleonora Duse ruppe le regole del teatro ottocentesco, portando i suoi personaggi sul palcoscenico in modo naturale e sincero. Una donna dai mille volti con un talento intramontabile. Francesca Bernasconi il 15 Marzo 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Tutte le donne della Duse

 La rivoluzione del teatro

 Dalla parte delle donne

 Il legame con d'Annunzio

Non era necessario comprendere le sue parole. Per riconoscere il grande talento di Eleonora Duse bastava guardarla mentre andava in scena, con le espressioni cariche di sentimenti e il tono di voce naturale e ricco di emozione. Era ormai alla fine della sua lunga carriera teatrale, quando l’attrice calcò il palcoscenico di Los Angeles, recitando in italiano. Era il 1924 e tra il pubblico sedeva anche Charlie Chaplin: “Non compresi una parola - scrisse Chaplin in quell’occasione - ma mi resi conto di essere alla presenza della più grande attrice che avessi mai visto”.

Tutte le donne della Duse

Eleonora Duse fu una donna dai mille volti, capace di esprimere i drammi, le sofferenze e le gioie dei personaggi che portava in scena. Lo fece, per la prima volta, all’età di soli quattro anni, interpretando la parte di Cosette in una versione teatrale de I Miserabili di Victor Hugo.

Nata a Vigevano da una famiglia di attori, trascorse la sua infanzia girando da una città all’altra per seguire la compagnia girovaga in cui lavoravano la madre e il padre. Dopo la sua prima esperienza come attrice, nel 1873, quando aveva quindici anni, divenne la Giulietta shakespeariana a Verona. Fu anche Desdemona e Ofelia, ma a renderla nota e apprezzata dal pubblico e dalla critica fu la drammatica interpretazione di Teresa Raquin di Émile Zola. A quel tempo, Eleonora Duse era una ragazza di appena vent’anni, ma già in grado di catturare gli spettatori, che restavano ammaliati dalla sua recitazione.

Nel corso della sua carriera, la Duse diede voce a decine di donne diverse, dalla Santuzza della Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, alla Cleopatra di Shakespeare, fino alla Nora di Casa di bambola di Henrik Ibsen. "Le donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre m’ingegno di farle capire a quelli che m’ascoltano, sono esse che hanno finito per confortare me", disse Eleonora Duse parlando dei ruoli che dovette interpretare.

Dopo gli anni passati nella compagnia itinerante, la Duse entrò nel 1879 in quella Semistabile di Torino di Cesare Rossi, dove diventò prima donna e maturò la sua poetica. Il repertorio della “Divina” era orientato inizialmente versò le opere francesi, tra cui scelse spesso i drammi di Alexandre Dumas figlio. Ma la Duse non si limitava a mettere in scena quelle opere, bensì a smontarle e a riempirle con il suo personalissimo messaggio, che toccava i temi più spinosi della società borghese, dal denaro, alla famiglia, al ruolo della donna, rappresentando una società ricca di ipocrisia.

Le sue donne videro la luce per l’ultima volta il 5 aprile del 1924 a Pittsburgh, pochi giorni dopo essersi esibita a Los Angeles davanti a Charlie Chaplin. Morì il 21 aprile 1924.

La rivoluzione del teatro

Con le sue interpretazioni Eleonora Duse ruppe totalmente gli schemi del tradizionale teatro ottocentesco, fatto di attori abituati a enfatizzare toni e gesti di scena, risultando innaturali. Inoltre solitamente chi recitava utilizzava parrucche e trucco pesante, che davano al tutto un aspetto artificiale.

La “Divina”, al contrario, scelse di rimanere il più naturale possibile, sia nelle modalità di recitazione, che nei costumi e nel trucco. Il suo metodo si basava sull’istinto e, a volte, anche sull’improvvisazione, con lo scopo di dare al pubblico l’impressione di essere un tutt’uno con il suo personaggio. La Duse era solita muovere molto le braccia mentre recitava, senza però esagerare nei gesti, così da rendere il suo corpo protagonista della scena, senza sacrificare la sua spontaneità a discapito di movenza plateali o innaturali. Per interpretare i vari personaggi, la Duse si affidava all’espressività del proprio volto e all’uso sapiente della propria voce, in una perfetta alternanza di silenzi e parole.

In scena inoltre la Duse era solita utilizzare pochissime decorazioni, non si truccava e lasciava il palco quasi sgombro, per dare spazio alla donna che interpretava di volta in volta. “La sua recitazione era ridotta alla più pura e limpida essenzialità - scrisse il regista e attore Sergio Tofano - assolutamente scevra dei tanti barocchismi e capricci vocali cari alle attrici sue contemporanee”. Così facendo, sul palco Eleonora Duse si trasformava nei suoi personaggi e faceva cadere quel velo che divide l’attore e il ruolo che interpreta, annullando la distanza tra la rappresentazione e la realtà e rendendo le sue donne vere, palpabili e naturali, in grado di scatenare nel pubblico i più diversi sentimenti.

Il teatro subì una vera e propria rivoluzione perché le modalità recitative della Duse ispirarono molte attrici del suo tempo e degli anni a venire. Eleonora Duse fu un'avanguardista di quel teatro moderno, che utilizza l'espressività sincera e la naturalezza.

Dalla parte delle donne

Mentre tutti diffidano delle donne, io me la intendo benissimo con loro! […] Io mi metto con loro”. Lo disse la "Divina", perché la sua bellezza e la sua fama, ottenute negli anni, non l'avevano portata a schierarsi contro le altre donne. Al contrario, lei decise di sostenerle. Quando nel 1909 abbandonò il teatro, si dedicò ad un progetto pensato interamente per le donne. A spingerla in questa impresa fu anche la sua amicizia nata con artiste, scrittrici e intellettuali di inizio Novecento, da Matilde Serao a Sibilla Aleramo, fino alla ballerina Isadora Duncan.

Nel 1914, prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, il progetto era compiuto: Eleonora Duse inaugurò a Roma una Casa delle Attrici, composta anche da una biblioteca, che divenne una sorta di casa-libreria in cui erano benvenute le giovani colleghe. Si trattava di un luogo di incontro e di rifugio in cui le donne che lo desideravano avrebbero potuto sviluppare la propria cultura e discutere dei più svariati argomenti.

Nonostante il successo del progetto, la Casa delle Attrici chiuse dopo un solo anno e i libri vennero donati alla biblioteca per insegnanti, gestita dal Comitato Nazionale delle Donne Italiane. Il suo progetto nato per le donne terminò, ma la “Divina” continuò a stare al loro fianco, seguendo da vicino i primi passi del femminismo italiano, mantenendosi però su una linea moderata.

La vita e il percorso artistico di Eleonora Duse mostrano l’importanza delle figure femminili, sia di quelle che l’hanno accompagnata come amiche, che di quelle che ha interpretato sui palcoscenici di tutto il mondo. La sua fu una vita itinerante, fatta di spostamenti e tournée in Europa e nel Mondo, ma la costante che non cambiò mai fu la sua stima per le donne che metteva in scena e per quelle che la affiancavano. "Senza le donne non va niente - disse - Questo lo ha dovuto riconoscere perfino Dio".

"Smarrimento senza nome", violenza, abbandono: e Rina diventò Sibilla

Il legame con d'Annunzio

Nel 1881 Eleonora Duse aveva sposato Tebaldo Marchetti, un attore della sua compagnia. Dal loro matrimonio era nata una bambina, Enrichetta. Ma presto l’unione tra i due risultò infelice e terminò nel 1885 con la separazione definitiva. Proprio in quel periodo, il destino della “Divina” si incrociò per la prima volta con quello dell’allora cronista, poi diventato poeta “Vate”, Gabriele D’Annunzio: era il 1882 e a Roma si incontrarono per la prima volta.

Negli anni successivi ci furono ancora un paio di scambi tra i due e, nel 1992, D’Annunzio fece pervenire all'attrice una copia delle sue Elegie romane, dedicata “alla divina Eleonora Duse”. Nacque da qui il soprannome che la accompagnò per il resto dei suoi giorni e anche tra i posteri.

Giorno dopo giorno tra l’attrice e il poeta si stabilì un legame sempre più forte che, tra passione, tradimenti, sofferenza e amore, li tenne uniti per circa dieci anni. Quello tra la “Divina” e il “Vate” fu sia un rapporto amoroso che un’alleanza artistica e lavorativa: D’Annunzio infatti avrebbe scritto opere che la Duse avrebbe portato in scena. Con questa idea, compose La città morta ma, al momento di affidare la parte della protagonista, il poeta scelse l’attrice francese Sarah Bernhardt.

Durante gli anni della loro relazione la Duse finanziò spesso la produzione delle opere di D’Annunzio e le assicurò al successo e all’attenzione della critica. La donna, inoltre, fu fonte di ispirazione per il poeta, che negli anni della loro unione compose diverse opere. Il legame tra la “Divina” e il “Vate” procedette tra momenti di vicinanza, passione e collaborazione e periodi di allontanamento, dovuto anche alle tournée della Duse, e di crisi, fino alla separazione definitiva nel 1904.

Eleonora Duse abbandonò il teatro nel 1909 ma, spinta da necessità economiche, vi fece ritorno nel 1921. Nel frattempo, qualche anno prima, aveva visto la luce il suo unico film, Cenere, tratto dal romanzo di Grazie Deledda. Nell’aprile del 1924, dopo essersi esibita a Pittsburgh, Eleonora Duse morì a causa di una malattia ai polmoni. La sua scomparsa però non fermò il suo talento e la “Divina” continuò a vivere nelle donne a cui aveva dato voce.

Nicola Sturgeon.

Estratto dell'articolo di Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera” il 16 febbraio 2023.

È la certificazione di un fallimento. Dopo aver condotto la causa dell’indipendenza in un vicolo cieco, la leader del governo scozzese abbandona il campo: Nicola Sturgeon ha annunciato ieri mattina le sue dimissioni da prima ministra di Edimburgo, dopo otto anni di «regno» pressoché incontrastato.

In una conferenza stampa, Sturgeon ha negato di aver preso la decisione a seguito di «pressioni di breve termine»: un riferimento alle polemiche che nelle scorse settimane hanno accompagnato la controversa legge, approvata dal Parlamento scozzese, che consente di cambiare legalmente sesso con una semplice autocertificazione.

[…] Ma il fiasco della legge pro trans ha avuto conseguenze dirette proprio sulla battaglia indipendentista: il sostegno alla secessione dal Regno Unito è crollato al 47% e il supporto al partito nazionalista di Sturgeon è sceso al 42%. Tanto che Alex Salmond, il padre dell’indipendentismo da tempo in rotta con Sturgeon, l’ha accusata di aver fatto retrocedere la causa di anni.

 La stessa premier ha […] citato una inevitabile stanchezza personale a fronte di quello che è un impegno gravoso e costante — «la politica è brutale», ha detto — ma ha ammesso di essere una figura polarizzante che rischia ormai di portare più danni che benefici. Soprattutto, la sua strategia per condurre la Scozia all’indipendenza si è arenata.

Alla fine dell’anno scorso la Corte suprema britannica ha bocciato la possibilità di far svolgere un nuovo referendum, che Sturgeon avrebbe voluto organizzare nell’autunno di quest’anno: allora la premier ha detto che avrebbe trasformato le elezioni del 2024 in un referendum di fatto sulla secessione. Ma questa strategia è stata contestata all’interno del suo stesso partito: e c’era la forte possibilità che venisse bocciata al congresso straordinario previsto per il mese prossimo. […]

Estratto dell'articolo di Antonello Guerrera per “la Repubblica”

Era la Lady di Ferro scozzese, o “Lady MacBeth” per i suoi critici. Camminava su tutti i suoi avversari politici e quando la incontravamo, la sua spietatezza politica era disarmante: anche di fronte a un errore che l’aveva costretta all’angolo, sapeva sempre uscirne a testa alta. […]

 Come la sua omologa neozelandese Jacinda Ardern, l’irriducibile prima ministra e leader indipendentista dell’ Snp (Scottish National Party) confessa al Paese e al mondo tutte le sue fragilità. E, clamorosamente, si dimette.

 Se Ardern aveva «finito la benzina », Sturgeon, che alle ultime elezioni locali ha sfiorato il 50%, racconta di aver «preso la decisione il weekend scorso, durante il funerale di un amico attivista dell’Snp. Non riuscivo più a sopportare le pressioni.

Fare il primo ministro è il lavoro più bello del mondo, ma è molto difficile. Non hai privacy, lavori 24 ore al giorno, non puoi prendere nemmeno un caffé con gli amici. Tutto ciò ha avuto un profondo impatto fisico e mentale su di me: di recente ogni mattina dovevo farmi forza per andare al lavoro. La politica è brutale. E anche io sono un essere umano».

[…]  Al di là dell’incertezza sull’ignoto successore, il movimento indipendentista in Scozia, nonostante la Brexit, pare in difficoltà, anche per il recente niet della Corte Costituzionale britannica. Che ha negato a Sturgeon l’approvazione di un secondo referendum sull’uscita dal Regno Unito, dopo quello perso nel 2014, senza l’approvazione di Downing Street.

 Inoltre, i sondaggi sono sempre più negativi, con gli indipendentisti scesi fino a 10 punti sotto gli unionisti. L’addio di Sturgeon potrebbe inoltre costituire un grosso regalo ai laburisti in vista delle elezioni generali del 2024. […]

Jacinda Ardern.

Estratto dell’articolo di Annalisa Cuzzocrea per “La Stampa” il 16 febbraio 2023.

Jacinda Ardern […] annuncia al mondo che non solo non si ricandiderà per un nuovo mandato, ma che intende dimettersi adesso, subito. La Nuova Zelanda avrà un nuovo premier entro il 7 febbraio.

 Lei, la giovane donna prodigio della politica mondiale, la più progressista tra i progressisti, la prima a guidare un Paese a soli 37 anni e ad avere, nel frattempo, anche una figlia (l'unico precedente era stata Benazir Bhutto in Pakistan) non ha paura a dire che le mancano le forze per andare avanti. «Per un mestiere come questo devi avere il serbatoio pieno e una riserva per i momenti difficili», spiega Ardern. E lei, di energia, non ne ha più.

 […]

A un certo punto del suo discorso Ardern dice: «Le decisioni che ho dovuto prendere sono state continue e pesanti». E quindi no, questi cinque anni e mezzo non sono stati facili nonostante il sorriso, il carisma, la capacità di rispondere secca a un giornalista misogino che chiede - durante una conferenza stampa con la premier finlandese Sanna Marin - se la ragione del loro incontro è il fatto di essere due giovani donne in politica: «Avrebbe fatto la stessa domanda a Obama e Key?». […]

 Dice Sam Neill, attore di origine neozelandese, che a Ardern non sono stati risparmiati negli ultimi mesi insulti sessisti e misogini. Mentre noi osservavamo la leader decisionista, ma col sorriso, rivendicare il potere della gentilezza in politica, parte del suo Paese la guardava con sospetto: soprattutto la galassia No vax e l'estrema destra favorevole alla liberalizzazione delle armi.

 […]

 E quindi c'è da crederle quando invita a non cercare dietrologie, ragioni oscure, dietro il suo passo indietro. «Non lascio perché è dura, altrimenti lo avrei fatto due mesi dopo aver accettato quest'incarico». Il punto non è la grandezza della sfida, ma chi si è nel momento in cui la si affronta. Avere il coraggio di guardarsi dentro e chiedersi: «Sono in grado di guidare il mio Paese ora? Ho le forze necessarie per farlo?». E dirsi no, non lo sono. E avere il coraggio di annunciarlo al mondo chiedendo contemporaneamente al proprio compagno: «Sposiamoci, finalmente». E promettendo a una bambina di quattro anni: «Quest'anno, quando comincerai la scuola, io ci sarò».

L'unica cosa da capire «dopo sei anni di sfide così enormi, è che sono umana. I politici sono umani. Diamo tutto quello che possiamo, finché possiamo, poi viene il tempo di lasciare. Questo è il mio tempo di lasciare».

 Solo, non ci era mai accaduto di vedere un premier che lo facesse prima che a sfiduciarlo fosse il Parlamento, il suo partito, uno scandalo qualunque. Prima di Jacinda Ardern non lo aveva fatto nessun premier, né uomo né donna. Non con la limpidezza delle sue ragioni: le forze che mancano, le priorità cui dedicarle. C'è una frase alla fine del discorso che è stata meno ripresa di tutte le altre, ma che è forse la più importante: «Spero di avervi fatto comprendere che si può essere gentili, ma forti. Empatici, ma decisi. Che puoi essere il tipo di leader che vuoi, un leader che sa quando è il momento di andar via».

[…] Ci sono femministe cui sembrerà una resa, altre che la vedranno come una conquista. Avere la capacità di guardarsi dentro e capire cos'è meglio per sé, per le persone che si amano e perfino per il proprio Paese. Liberarsi dall'ansia di dimostrare di essere all'altezza del mito che si è incarnato (la più giovane, la donna, la progressista).

 […]

«Questo ruolo - siega Jacinda - comporta una responsabilità», se non si è in grado di sostenerla si lascia il posto a qualcun altro. Anche per questo, oltre che per un'ovvia ragione di democrazia, le leadership non dovrebbero essere eterne. Nelle aziende come in politica. Perché si mangiano la vita e servono salti mortali per tenere insieme tutto. […]

Margherita Cassano.

La piramide della giustizia: maggioranza femminile, ma poche arrivano al vertice. GIULIA MERLO su Il Domani l’08 marzo 2023

Il 61 per cento delle laureate in materie giuridiche è donna. Tuttavia, sia in magistratura che nell’avvocatura, le donne che hanno raggiunto ruoli gestionali o di comando sono ancora poche. E un reddito uguale a quello maschile è ancora lontano

Il mondo della giustizia è tra quelli che ancora stentano a colmare la distanza tra uomini e donne nei ruoli di vertice.

In Italia, è uno dei settori che ha accolto in ritardo la sua componente femminile. Oggi, la tendenza è opposta: secondo i dati del Miur del 2021, sul totale di 277.871 laureati in materie giuridiche, le donne sono 171.322, pari al 61,6 per cento. Nelle posizioni di vertice, però, i numeri continuano a rimanere bassi.

LA MAGISTRATURA

Le prime otto magistrate sono entrate in ruolo nel 1965, dopo l’apertura del concorso anche a loro nel 1963, diciassette anni dopo la conquista del diritto di voto.

Secondo i dati 2022 del Csm, su un totale di 9576 magistrati, le donne sono circa il 55 per cento, con una età media di 49 anni, più bassa rispetto ai 52 anni degli uomini. Il flusso di donne che sceglie questa professione è in aumento, con il 71 per cento dei tirocinanti di sesso femminile.

La proporzione si inverte specularmente, però, quando si analizzano i dati sugli incarichi direttivi e semidirettivi. 

Dei 379 capi degli uffici giudiziari le donne sono meno di un terzo: 111 contro 268 uomini, che rappresentano il 71 per cento circa.

Tra i semidirettivi, invece, il rapporto inizia ad equivalersi, con le donne che arrivano al 46 per cento su 690 posti complessivi.

La piramide vale anche per gli uffici. Tra gli uffici giudicanti il numero di donne con incarichi direttivi è più alta rispetto alle procure. In Corte di Cassazione è di 13 su 31, pari al 29,5 per cento. Tra queste 13, oggi, c’è anche il primo presidente appena nominato, Margherita Cassano.

Gli incarichi direttivi a donne nelle procure generali e nelle procure della repubblica sono del 14 per cento e del 17 per cento. Una sola donna, invece, ha un incarico direttivo nella procura generale di Cassazione.

L’AVVOCATURA

Anche nell’avvocatura la piramide rimane ben salda. La crisi ha colpito soprattutto la componente femminile e, secondo il rapporto Censis 2022 sull’avvocatura, sono state 6000 le cancellazioni di avvocate dall’albo (il 69 per cento).

Su un totale di 241 mila iscritti a cassa forense, il 47,7 per cento è di donne. Il numero dei neo-iscritti è stato di 7.103, il 57,3 per cento dei quali donne.

Tra i valori che più evidentemente continuano a mostrare il divario di genere, però, c’è il reddito. Secondo i dati del 2020, il reddito medio di un uomo è di 50.933 euro, mentre una donna guadagna meno della metà, con una media di 23.576 euro.

Anche per quanto riguarda la rappresentanza istituzionale, le donne continuano ad essere una minoranza.

Attualmente guida il Consiglio nazionale forense - l’organo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura - l’avvocata Maria Masi e ha come vice un’altra donna, Patrizia Corona, e la segretaria Rosa Capria. Nella consiliatura uscente, le donne sono 9 su 32.

Anche a livello ordinistico, pur non esistendo dati aggiornati alle ultime elezioni, il numero delle presidenti donne rimane una minoranza e lo stesso vale anche per le associazioni più rappresentative.

CORTE COSTITUZIONALE

Un caso a parte è quello della Corte costituzionale. Istituita nel 1956, la Consulta è rimasta lungamente un organo a composizione esclusivamente maschile, sebbene non esistessero preclusioni formali. I titoli per accedervi – magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio – però hanno escluso per molto tempo le donne, visto il ritardo con cui le carriere femminili nella giustizia hanno intrapreso il loro corso.

La prima donna a mettervi piede è stata l’avvocata Fernanda Contri, per nomina presidenziale nel 1996. Dei 119 giudici che ne hanno fatto parte, nella storia della Consulta solo 7 sono state donne: Contri, Maria Rita Saulle, Marta Cartabia, Daria De Pretis, Silvana Sciarra, Emanuela Navarretta e Maria Rosaria San Giorgio.

Attualmente i membri donna sono quattro, con Silvana Sciarra presidente e Daria De Pretis vicepresidente. La prima presidente della Corte è stata Marta Cartabia, quarantaduesima presidente dopo un lungo elenco di uomini.

IL CSM

Anche il Consiglio superiore della magistratura è rimasto a lungo precluso alle donne. Insediatosi nel 1959, in attuazione della Costituzione, il Csm visto accedere le prime donne nel 1981 con Cecilia Assanti e Ombretta Fumagalli Carulli, entrambe laiche elette dal parlamento.

Per l’arrivo della prima consigliera togata donna, invece, bisognerà aspettare la consiliatura successiva, del 1986, con Elena Paciotti di Magistratura democratica.

Oggi al Csm siedono quattro consigliere laiche, tutte in quota centrodestra, e sei togate a cui si aggiunge Cassano, membro di diritto come primo presidente della Cassazione.

Ogni donna in più in cima alle gerarchie di avvocatura, magistratura e istituzioni è ancora una conquista e un segnale non scontato nel mondo della giustizia, che così tardi le ha accolte. Con il loro esempio, una nuova generazione di giovani giuriste, avvocate e magistrate avrà la certezza che nulla è più - esplicitamente o implicitamente - precluso.

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Corte serrata. La caparbia volontà delle prime otto giudici italiane in un mondo di maschi. Eliana Di Caro su L’Inkiesta il 7 Marzo 2023

Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Gabriella Luccioli sono le «temerarie» vincitrici del primo concorso che, nel 1963, aprì le porte della magistratura alle donne

Giulia De Marco nasce a Cosenza il 21 febbraio 1940 in una famiglia della buona borghesia calabrese: il papà è dirigente della Cassa di Risparmio di Calabria, la mamma è casalinga «ma per modo di dire, perché in realtà era molto interessata alla politica: diventò segretaria femminile della nostra sezione della Dc. Da bambina ho fatto con lei la campagna elettorale del ’48 cantando O biancofiore simbolo d’amore, l’inno dei democristiani di allora». Completano il quadro due fratelli e una sorella, lei è la più piccola. Dopo le elementari dalle suore canossiane, Giulia frequenta la scuola pubblica, incluso il liceo classico Bernardino Telesio, e poi sceglie la facoltà di Giurisprudenza, nonostante i professori insistano perché si iscriva a Matematica. «In famiglia mio fratello Nicola, di sedici anni più grande, era magistrato, due fratelli di mia madre erano avvocati… si respirava quest’aria.

Nel ’58 la facoltà di Legge mi offriva la possibilità di diventare avvocato, notaio, consulente d’azienda, eppure il mio sogno rimaneva quello di fare il magistrato per via di una sensazione che scaturiva dai rapporti con i miei amici: mi consideravano una persona in grado di mettere pace, di risolvere le cose, insomma mi vedevano come “un giudice”. Ma all’epoca non si pensava assolutamente che nel giro di quattro o cinque anni sarebbe successo quel che poi è accaduto», spiega, riferendosi alla legge del ’63.

Una volta laureata, Giulia De Marco non frequenta alcuna scuola di preparazione al concorso: «Ce n’erano una a Napoli e una a Roma. Mi sono preparata da sola, a Cosenza: al mattino insegnavo in un paesino vicino – un anno ad Acri, un anno a Bisignano – poi tornavo a casa e studiavo». I ricordi si riaffacciano: la grande aula a Roma in cui si svolgono le prove scritte e sono disposti da una parte gli uomini, dall’altra le donne; la sensazione spiacevole per l’approfondita perquisizione delle poliziotte; la tensione di giornate estremamente stancanti. «Conoscevo gli argomenti e non ho avuto difficoltà a scrivere quello che sapevo. Non avevo idea, però, se bastasse o meno. Ho saputo di essere stata ammessa agli orali perché mi è arrivata una copia di un giornale, credo “L’Osservatore giudiziario”, in cui si diceva “Questa copia è riservata agli ammessi del concorso”, dopodiché mi sono attivata e ho telefonato al ministero: può sembrare una boutade e invece è andata così, mi hanno detto: “Le arriverà la data in cui dovrà sostenere gli orali”… che poi andarono bene, in tutta tranquillità».

Sui comportamenti dei colleghi, e sul clima che si genera anche rispetto al suo essere donna, Giulia De Marco distingue tra i più anziani («ci trattavano un po’ come figlie ribelli, diciamo così») e i coetanei («erano preoccupati: loro sì che ci conoscevano bene, sapevano come eravamo determinate e studiose»). Per gli avvocati, aggiunge, «eravamo un’incognita. In quella fase i giornali avevano cominciato, apparentemente prendendo le distanze, a riportare brani dei discorsi dei Padri costituenti.

Non so se l’opinione pubblica, e quindi anche gli avvocati, potessero essere influenzati da esponenti come Giuseppe Codacci Pisanelli o Giovanni Leone. In quelle citazioni c’era chi faceva riferimento al ciclo mestruale, chi alle teorie di Charcot sull’isteria femminile, chi aveva dichiarato che manchiamo di forza, di equilibrio, che siamo soggette alle emozioni e quindi non avremmo potuto essere raziocinanti ed equilibrate. Gli avvocati si chiedevano “Chi sono, queste? Che faranno? Come lo faranno?”».

Qualche effetto le dichiarazioni dei Padri costituenti lo producono se Giulia De Marco viene esclusa da un collegio per un processo per stupro. O se, di fronte all’idea che sia lei a riassumere le deposizioni e a dettarle al cancelliere di udienza, un avvocato si rivolge al presidente chiedendogli di procedere in prima persona: «Mi sono sempre domandata se lo avesse fatto anche in altre occasioni con i miei colleghi giovani, o se il problema era che se ne occupasse una donna. Il presidente liquidò la cosa: “stia tranquillo, io controllo”. Ad ogni modo, ho sempre avuto l’abitudine di comprendere le ragioni dell’altro, noi donne eravamo una novità, io ero lì da un mese, capisco che potessero essere un po’ disorientati: l’avvocato in questione era anziano, lavorava da quarant’anni, noi avevamo 25 anni e l’aspetto di ragazzine. Alcuni atteggiamenti bisognava capirli senza viverli come una deminutio, questa è stata la mia regola. Parlare di discriminazione senza capire l’incultura che c’era stata fino a quel momento, è sbagliato: oggi si può parlare di discriminazione, allora non era insensibilità, era incultura».

L’occasione per dimostrare l’infondatezza del pensiero di alcuni Costituenti arriva presto, quando Giulia De Marco chiede al Csm, in vista del matrimonio, il trasferimento a Brindisi, una sede non facile, con un Tribunale senza presidente perché sospeso per un procedimento disciplinare.

La giovane magistrata, dopo pochi mesi, è in attesa del primo figlio e il giudice facente funzione di presidente preferisce ignorare la cosa non sapendo come gestirla. «Il periodo feriale [cioè quello della sospensione dei termini processuali, in cui gli uffici sono a ranghi ridotti, N.d.R.] andava dal 15 luglio al 15 settembre; i giudici più giovani per prassi lavoravano in quei mesi, i più faticosi. Avevo 27 anni e, pur essendo incinta, il presidente non ritenne di concedermi le ferie, in un’estate caldissima, viaggiando in treno tutti i giorni (vivevo a Bari) e contemporaneamente studiando per l’esame di aggiunto. Detti prova di resistenza e forza d’animo: tutto quello che alcuni dei nostri Padri costituenti pensavano non avessimo»

Da “Magistrate finalmente – Le prime giudici d’Italia”, di Eliana Di Caro, Il Mulino, 168 pagine, 15 euro

Margherita Cassano è stata nominata presidente della Corte di Cassazione: è la prima donna in Italia ad avere. questo incarico. Il Post il 15 Febbraio 2023.

Margherita Cassano, attuale presidente aggiunta della Corte di Cassazione, è stata nominata presidente dello stesso tribunale: è la prima donna ad avere questo incarico in Italia e sostituirà l’attuale presidente Pietro Curzio. La sua nomina è stata votata martedì, all’unanimità, dalla Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno della magistratura presieduto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Dovrà essere confermata mercoledì 1° marzo con una seconda votazione in cui sarà presente lo stesso Mattarella e che è considerata una formalità.

La Corte di Cassazione, che ha sede a Roma, è l’organo supremo della giustizia italiana e rappresenta il terzo e ultimo grado di giudizio in un processo. È divisa in sezioni, e a differenza del Tribunale di primo grado e della Corte d’appello, che si occupano sia della ricostruzione che della valutazione del fatto, la Corte di Cassazione valuta che le norme siano state interpretate e applicate correttamente.

Cassano, che ha 67 anni ed è toscana, era stata anche la prima donna nella storia italiana ad assumere la carica di presidente aggiunto della Corte di Cassazione. È entrata in magistratura nel 1980: nel tempo è stata Sostituto procuratore della Procura di Firenze e nella stessa città prima componente della Direzione distrettuale antimafia e poi presidente della Corte d’appello. Alla Corte di Cassazione, prima di diventarne presidente aggiunta nel 2020, era stata magistrata di appello, consigliera, componente delle Sezioni unite penali e vicedirettrice del CED, il Centro elettronico di documentazione, struttura che si occupa della gestione informatica dei processi e degli archivi della Corte.

Estratto da ansa.it l’1 marzo 2023.

 Per la prima volta il Csm ha nominato una donna presidente della Cassazione.

Si tratta di Margherita Cassano, in passato presidente della Corte d'appello di Firenze e attualmente "vice" del presidente uscente della Suprema Corte, Pietro Curzio, a cui subentra.

 "Il ruolo del magistrato non è solo fatto di abilità tecnica ma di umanità, capacità di ascolto, di rispetto profondo degli altri e di comprendere le tragedie umane che si nascondono dietro i singoli casi portati alla nostra attenzione", ha detto Cassano, collegandosi, subito dopo la nomina del Csm, con il Palazzo di Giustizia di Firenze dove si tiene la cerimonia del premio intitolato a Tindari Baglione, già procuratore generale nel capoluogo toscano per molti anni.

Cassano ha così ricordato Tindari Baglione e fatto "gli auguri ai cinque studenti che hanno ricevuto il premio".

 La nomina è stata decisa all'unanimità dal plenum del Csm, presieduto dal capo dello Stato Sergio Mattarella. Fiorentina, ma di origine lucane, figlia di un alto magistrato, Cassano ha 67 anni ed è entrata nell'ordine giudiziario nel 1980, a 25 anni. E' stata anche consigliera del Csm dal 1998 al 2002. [...]

Margherita Cassano, la prima donna nella storia candidata a guidare la Corte di Cassazione. Redazione CdG 1947 e Alessia Di Bella su Il Corriere del Giorno il 15 Febbraio 2023.

Oggi la quinta commissione (incarichi direttivi) del Csm ha votato all'unanimità la proposta della sua nomina a presidente della Suprema Corte al posto di Pietro Curzio, attuale presidente eletto due anni fa, che sta per andare in pensione

Nata a Firenze, famiglia di origine lucana, il padre di San Mauro Forte, la madre di Grassano due piccoli paesi in provincia di Matera. Suo padre Pietro Cassano, anche lui magistrato famoso a Firenze per aver presieduto tanti processi negli anni di piombo, tra cui la condanna a Renato Curcio il fondatore della Brigate Rosse , Margherita Cassano è entrata in magistratura nel 1980: dal 1981 al 1998 è stata pubblico ministero a Firenze, dove  ha seguito per la Dda, inchieste su associazioni di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti. Dal 1998 è stata togata di Magistratura Indipendente al Csm per quattro anni.

E’ stata componente delle Sezioni Unite della Cassazione, ma anche della prima sezione penale dove è stata relatrice della sentenza di condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex senatore Marcello Dell’Utri (Forza Italia) .  Dal gennaio 2016 fino al luglio 2020 ha presieduto la Corte d’appello di Firenze dove è rimasta , quando è stata nominata presidente aggiunto della Cassazione. 

Presidente della Corte d’Appello di Firenze dal 2015 ed allieva del Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna, la Cassano ha ricoperto anche il ruolo di presidenza della Prima sezione penale della Cassazione, che si occupa di omicidi e violenze gravi, ed è stata consigliere al Csm ed alla Direzione Distrettuale Antimafia.

Margherita Cassano commentò con queste parole la sua elezione all’unanimità due anni fa come presidente aggiunta della Corte di Cassazione: “Verrà il giorno in cui una nomina come la mia non sarà più una notizia, e allora sì, per davvero, quello sarà un gran giorno per tutte le donne“. Ed oggi la quinta commissione (incarichi direttivi) del Csm ha votato all’unanimità la proposta del relatore, il togato indipendente Andrea Mirenda, della sua nomina a presidente della Suprema Corte al posto di Pietro Curzio, attuale presidente eletto due anni fa, che sta per andare in pensione. I due concorrenti per la guida della Cassazione erano solo due: oltre a Cassano, infatti, aveva presentato domanda Giorgio Fidelbo, presidente di sezione in Cassazione.

Il voto finale avverrà con la seduta del plenum del Csm del prossimo primo marzo, presieduta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.  Dopo l’elezione nel 2019 di Marta Cartabia prima donna a diventare Presidente della Corte Costituzionale, diventata in seguito ministro Guardasigilli , e di Giorgia Meloni, prima donna Presidente del Consiglio nel 2022, questa volta è il turno del cosiddetto “Palazzaccio” di piazza Cavour. Dal prossimo primo marzo sarà la Cassano diventerà il giudice più alto in grado d’Italia. entrando di diritto a far parte dell’organo di autogoverno delle toghe, il Csm. E tutto questo, conquistato senza le “quote rosa”. Tutto a pieno merito. Redazione CdG 1947

Prima donna in Cassazione ma difende la casta in toga. Margherita Cassano nuova presidente della Corte. Ha una certezza: le carriere non vanno separate. Anna Maria Greco il 2 Marzo 2023 su Il Giornale.

Non è ancora venuto il momento in cui la nomina di una donna ai vertici non faccia notizia, come auspica la stessa Margherita Cassano e ora che lei ha infranto un tabù diventando Primo presidente della Cassazione, si ricorda che ne aveva collezionati altri di record, diventando nel 2020 la prima vicepresidente. «La Costituzione è il nostro faro - dice -. I valori che afferma, a partire dal rispetto di pari dignità delle persone, non dobbiamo darli per scontati». Si vede avanzare, in modo inarrestabile, l'onda rosa che vede ora Giorgia Meloni prima donna capo del governo, prima Maria Elisabetta Casellati che è stata seconda carica dello Stato come presidente del Senato e Marta Cartabia che è stata prima presidente della Corte costituzionale e poi Guardasigilli, fino a Elly Schlein che ha appena preso le redini del Pd. Quel «soffitto di cristallo» della parità di genere l'hanno sfondato tutte insieme. Lei, senza esaltazione ma con misura. «Continuo a fare il mio dovere, come ho cercato sempre di fare, con i piedi saldamente ancorati a terra, pensando che abbiamo di fronte dei cittadini a cui fornire risposte», diceva a chi le chiedeva come si preparava alla nomina. Ora la premier Meloni le fa le congratulazioni, con un tweet di «buon lavoro!». In serata anche il presidente Silvio Berlusconi si è congratulato, augurando alla Cassano buon lavoro. Il ministro per le Riforme Casellati spiega: «È un'altra tappa importantissima nel lungo e faticoso cammino dell'emancipazione femminile»

Il plenum del Csm sceglie all'unanimità la svolta femminile nella Suprema corte e il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che lo presiede, sottolinea che solo per merito Cassano è arrivata fin lì, con un «eccellente profilo professionale», niente quote rosa: «Sappiamo tutti che è la prima donna chiamata a ricoprire questo ruolo così importante ma questo aspetto non ha influito sulla sua nomina». La sua formidabile carriera è il punto d'arrivo, aggiunge, di un percorso iniziato 60 anni fa con la legge che ha aperto le porte alle donne in magistratura. Oggi sono 4.952, il 55% del totale. Fiorentina di origini lucane, 67 anni, figlia di un magistrato che ha combattuto il terrorismo, della corrente moderata Magistratura indipendente, Cassano è stata giudice e anche pm e della separazione delle carriere non vuol sentir parlare. Lo dice senza peli sulla lingua a Repubblica, proprio mentre le arrivano gli auguri del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha presieduto il comitato per il referendum per le carriere separate e ora l'ha nel programma. «La sensibilità sulla formazione della prova è fondamentale per impostare indagini complete anche con la ricerca di elementi favorevoli alla persona accusata», dice lei serafica. A proposito del calo di fiducia nelle toghe, aggiunge che la magistratura «non vive di applausi, ma della corretta applicazione delle regole proprie di uno stato di diritto». La toga l'indossa a 25 anni e alla procura di Firenze si fa subito notare, poi spazia nelle indagini da droga a omicidi, sequestri di persona, infortuni sul lavoro, reati finanziari, contro la Pa e contro la libertà sessuale. Negli anni 90 è alla Direzione distrettuale antimafia di Firenze con Pier Luigi Vigna; nel 98 tra i togati del Csm e per 4 anni nella Sezione disciplinare; nel 2003 approda in Cassazione, Prima sezione penale, che presiederà; nel 2016 ritorna a Firenze come presidente della Corte d'appello e dà impulso ad informatizzazione, recupero dell'arretrato e riduzione dei tempi dei processi. Nel 2020 è presidente aggiunto della Cassazione e in 3 anni eccola al primo posto, con il ritorno al Csm. Il vicepresidente di Palazzo de' Marescialli Fabio Pinelli vede nella nomina unanime un effetto di quella «linea di coesione» nel Csm auspicata da Mattarella e il suo predecessore Pietro Curzio si dice «onorato di passare il testimone a Margherita».

La nomina storica. Margherita Cassano presidente della Cassazione: sarà la prima donna a guidare la Corte. Antonio Lamorte su Il Riformista il 14 Febbraio 2023

Per la prima volta nella storia una donna arriva alla guida della Corte di Cassazione. È Margherita Cassano, al momento presidente aggiunto della Suprema Corte, indicata dal Consiglio Superiore della Magistratura appena insediato e guidato dal vicepresidente Fabio Pinelli. Superato l’altro concorrente Giorgio Fidelbo, presidente di sezione in Cassazione. Il voto previsto il prossimo mercoledì primo marzo, con il plenum presieduto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sarà in buona sostanza una formalità.

Dopo l’elezione nel 2019 della prima donna a Presidente della Corte Costituzionale, l’ex ministra Marta Cartabia, e nel 2022 della prima donna Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è il turno del cosiddetto “Palazzaccio”. Al momento inoltre a capo della Consulta c’è un’altra donna, Silvana Sciarra. A indicare Cassano come successore dell’attuale primo presidente Pietro Curzio, che andrà in pensione il prossimo 5 marzo, è stata la Commissione per gli incarichi direttivi, che ha votato all’unanimità la proposta del relatore, il togato indipendente Andrea Mirenda. A far pendere il piatto della bilancia, come riporta l’Ansa, al termine di un’approfondita audizione dei due candidati dalla parte di Cassano è stato il ruolo di “numero due” della Cassazione che ricopre dal 2020.

Cassano è fiorentina di origine lucana, 67 anni, in magistratura dal 1980, è esponente di Magistratura Indipendente. Poteva vantare già prima di oggi un altro primato: l’esser stata la prima donna ad accedere ai vertici della Suprema Corte. Ha iniziato alla procura della Repubblica di Firenze, dove si è occupata anche di questioni relative alle tossicodipendenze e al traffico di droga. A Firenze ha lavorato con assiduità con il procuratore Pier Luigi Vigna. Dal 1982 è stata componente del gruppo specializzato nelle indagini in materia di stupefacenti e di criminalità organizzata. Dal 1991 al 1998 è stata assegnata della Direzione distrettuale antimafia di Firenze.

Dal 2003 è approdata alla Corte di Cassazione, dove è stata anche presidente della prima sezione penale, ruolo in cui si è occupata di reati di omicidio e violenze. Dal 2016 ha presieduto la Corte d’appello di Firenze dove è rimasta circa quattro anni. Dal prossimo primo marzo sarà la giudice più alto in grado d’Italia. Entrerà di diritto a far parte dell’organo di autogoverno delle toghe, il Csm.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Eletta all'unanimità, subentra a Curzio, in pensione tra pochi giorni. Chi è Margherita Cassano, prima donna presidente della Corte di Cassazione: la carriera e lo scontro Csm-Consiglio di Stato. Redazione su Il Riformista l’1 Marzo 2023

E’ la prima donna a guidare la Corte di Cassazione. Margherita Cassano, come ampiamente previsto da diverse settimane, è stata eletta al vertice della giurisdizione ordinaria. La sua nomina è stata decisa all’unanimità dal plenum del Csm, presieduto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Già presidente aggiunto della Suprema Corte, Cassano ha avuto la meglio nelle scorse settimane sull’altro concorrente, Giorgio Fidelbo, presidente di sezione di Cassazione, e subentra al presidente uscente Pietro Curzio, che andrà in pensione il prossimo 5 marzo. Sia Cassano che Curzio vennero eletti oltre un anno fa al termine di uno scontro tra il Csm e il Consiglio di Stato.

Dopo l’elezione nel 2019 della prima donna a Presidente della Corte Costituzionale, l’ex ministra Marta Cartabia, e nel 2022 della prima donna Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è il turno della Corte di Cassazione.

Cassano. 67 anni, vive a Firenze ma è di origini lucane. Figlia d’arte, è entrata nell’ordine giudiziario nel 1980 all’età di 25 anni. “Passo il testimone ad una presidente come Margherita Cassano di cui sono testimone privilegiato delle sue qualità” ha fatto sapere il primo presidente uscente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio. Della stessa presidente Cassano “ho avuto cognizione piena della lealtà e della generosità sul piano umano, con un grandissimo senso dell’Istituzione e delle ricadute umane che il nostro lavoro comporta”, ha aggiunto il presidente Curzio. “Oggi è un giorno importante per la Corte di Cassazione, per la magistratura e per l’intero Paese: sono onorato di passare il testimone a Margherita”, ha concluso.

Congratulazioni, al termine della votazione, anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Sappiamo tutti che si tratta della prima donna chiamata a ricoprire questo ruolo, questo non ha influito, desidero, però sottolinearlo, ricordando che 5 giorni fa ricorrevano i 60 anni dalla legge che ha immesso le donne in magistratura”. Il Capo dello Stato auspica celerità nelle nomine dei dirigenti: “La tempestività oggi dimostrata dal Consiglio possa costantemente caratterizzare il mandato consiliare appena iniziato così da assicurare la dovuta celerità alle nomine dei dirigenti”.

Felicitazioni anche dal ministro della Giustizia Carlo Nordio: “Congratulazioni a Margherita Cassano, prima donna ai vertici della Corte di Cassazione. La sua nomina a primo presidente della Suprema Corte è il traguardo di un percorso iniziato 60 anni fa, con l’ingresso delle prime donne in magistratura e rappresenta un ulteriore fondamentale passo in avanti verso l’effettiva parità di genere”. Cassano “sarà un punto di riferimento per le giovani che sempre più numerose superano il concorso, per prestare un essenziale servizio alla Repubblica” aggiunge il Guardasigilli.

CHI E’ LA NUOVA PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE – Classe 1955, Margherita Cassano è entrata in magistratura nel 1980 e ha ricoperto le funzioni di sostituto procuratore presso la Procura di Firenze, componente della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, componente del Csm dal 1998 al 2002 eletta con Magistratura Indipendente, magistrato di appello destinato alla Corte di Cassazione, vice direttrice del CED – il Centro elettronico documentazione – della Corte di Cassazione, oltre che componente delle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione. Dal 2016 ha presieduto la Corte d’appello di Firenze fino al 2020 e infine Presidente aggiunto della Suprema Corte negli ultimi anni . È autrice di numerose pubblicazioni (monografie, saggi, trattati, commentari, articoli, rassegne), in materia di diritto penale e procedura penale, settori in cui ha tenuto numerose relazioni a convegni e seminari.”Ha un eccellente profilo professionale – ha sottolineato il Presidente della Repubblica – Alle sue doti e attitudini di elevato livello unisce l’attività di studio e ricerca”. “Sono certo – ha aggiunto Mattarella complimentandosi con il Csm per la celerità della decisione – che il suo contributo sarà prezioso anche per il Csm, di cui conosce bene i meccanismi, avendo fatto parte di questo Consiglio tra il 1998 e il 2022”.

Lidia Poët.

Camera Penale Trani: «Giustina Rocca, prima donna ad esercitare la professione forense, è simbolo di pari opportunità». La nota diffusa dagli avvocati penalisti dopo l’errore di Netflix che, con una serie tv, ha attribuito il primato a Lidia Poët. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Febbraio 2023.

Anche per la Camera Penale di Trani non c’è dubbio: l’avvocata Giustina Rocca è la prima donna ad aver esercitato la professione forense, agli albori del sedicesimo secolo. Dunque, quello di Netflix, che con una serie tv ha attribuito il primato a Lidia Poët, è un errore. E l’avvocato Giangregorio De Pascalis, presidente della Camera Penale di Trani, intitolata proprio a Giustina Rocca, lo rivendica con orgoglio ma senza polemica: «Rocca è un simbolo di pari opportunità e progresso, antesignano delle più moderne battaglie per i diritti alla parità di genere. È da considerarsi un faro primigenio per l’intera avvocatura tranese ed europea».

Tranese di nascita, intellettualmente e professionalmente Giustina Rocca può considerarsi progenitrice del foro di Trani: il suo nome è passato alla storia grazie ad un lodo arbitrale, reso l’8 aprile del 1500 nell’ambito di una controversia ereditaria sorta tra alcuni suoi nipoti che avevano interessato il governatore veneziano dell’epoca, il quale a sua volta l’aveva incaricata. Si tratta di una figura di straordinaria professionalità e scienza, tanto che si pensa che nell’opera “Il Mercante di Venezia”, William Shakespeare si sia ispirato proprio a lei per la caratterizzazione della sua Porzia.

«È documentato che Giustina chiese e ottenne la traduzione in lingua volgare dell'atto introduttivo e della sentenza di quel giudizio - chiarisce il professor Giuseppe Losappio, che, negli anni della sua presidenza, ha intitolato a Rocca la Camera Penale di Trani -. È stato un progresso notevole sulla strada di quello che oggi chiamiamo "giusto processo" perché la maggior parte del popolo non comprendeva la lingua latina nella quale erano scritti gli atti giudiziari dell'epoca».

«A Giustina Rocca - ricorda inoltre l’avvocato De Pascalis - la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dedicato la torre più alta, il Plesso C (tra le strutture di più recente costruzione del Palazzo di Lussemburgo), per ricordare le battaglie della donna a favore delle pari opportunità e, quindi, dell’accessibilità al diritto e alla giustizia da parte di tutti».

«Non possiamo, però, dimenticare l’importante contributo che Lidia Poët, prima avvocata dell’Italia Unita, ha dato alla nostra professione - conclude il presidente -: a lei e al lavoro del Collettivo Femminista di cui faceva parte si deve la legge del ‘19 che ha permesso anche alle donne di esercitare la libera professione».

Lidia Poët. Lidia Poët su Netflix, scoppia la polemica: «La prima avvocata d’Italia è di Trani». L’avvocata e assessora Cecilia Di Lernia ha scritto a Netflix Italia, dopo l’uscita della serie «La legge di Lidia Poët» per ricordare che il primato spetta a Giustina Rocca, professionista tranese vissuta alla fine del Quattrocento. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 20 febbraio 2023.

Il Comune di Trani contro Netflix per un primato tutto pugliese: «Lidia Poët non è stata la prima avvocata d'Italia, la medaglia va a Giustina Rocca». Ad accendere la miccia della polemica è Cecilia Di Lernia, avvocato ed ex assessora del Comune di Trani che ha lanciato una pesante critica alla serie Netflix «La legge di Lidia Poët», visibile sulla piattaforma dallo scorso 15 febbraio. Una serie che omaggia la prima donna in Italia ad essersi laureata in legge e ad essersi iscritta all’albo degli avvocati. Ma non per questo, secondo Di Lernia, può essere considerata la prima donna avvocato d’Italia. Il primato nazionale e mondiale, rivendica l’assessore di Trani, è di Giustina Rocca, donna avvocato di Trani.

Una polemica che ha fatto il giro dei social, tanto che la Di Lernia ha scritto dopo un post su Facebook, anche una lettera a Netflix Italia per fare chiarezza sulla storia forense italiana. «È Giustina Rocca di Trani il primo avvocato donna in Italia e nel mondo: a fine ‘400 esercitò la professione presso il Tribunale di Trani», ha evidenziato la professionista tranese. «Celebre è il lodo arbitrale reso l’8 aprile 1500 e da costei pronunciato in lingua volgare, anziché in latino secondo gli usi dell’epoca, per renderlo comprensibile al pubblico venuto per assistere alla pronuncia. Ed invero la Corte di Giustizia dell’Unione europea - ha ricordato Di Lernia - ha dedicato a Giustina Rocca nel dicembre 2022 una torre denominandola “Rocca” ... la sua torre più alta. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha ricordato così l’attaccamento della nostra illustre cittadina all’accessibilità al diritto e alla giustizia da parte di tutti e ribadendo, riprendendo la sua giurisprudenza, l’impegno a favore delle pari opportunità».

solo per chiarire che è Giustina Rocca di Trani il primo avvocato donna in Italia e nel mondo: a fine ‘400 esercitò la professione presso il Tribunale di Trani. Celebre è il lodo arbitrale reso l’8 aprile 1500 da costei pronunciato in lingua volgare, anziché in latino secondo gli usi dell’epoca, per renderlo comprensibile al pubblico venuto per assistere alla pronuncia.

Quella legge "vietata alle donne". Così Lidia Poët fece la storia. Quando legge impediva di esercitare la professione dell'avvocatura alle donne, Lidia Poët fece la sua parte per dimostrare il contrario, diventando la prima donna iscritta all'albo degli Avvocati in Italia. Davide Bartoccini il 15 Febbraio 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Le origini

 Una vita per la legge

 Il suo esempio

A qualcuno piace chiamarla avvocata, com'è di moda fare oggigiorno. Ad altri avvocatessa. Ma sarebbe meglio iniziare col dire semplicemente che Lidia Poët, nata in un piccolo comune piemontese nel 1855, è stata la prima donna a entrare nell'Ordine degli Avvocati in Italia. E ora è diventata anche la protagonista di una serie tv.

Le origini

Ma chi era Lidia Poët? Nata da una famiglia benestante originaria del Pinerolese, in un paese che contava poche anime e conosceva bene le fatiche e il freddo di montagna, era l'ultima di otto figli tra fratelli e sorelle. Iscrittasi al "Collegio delle Signorine di Bonneville", a Aubonne, in Svizzera, questa caparbia biondina piemontese conseguì nel 1871 la patente di Maestra Superiore Normale, e quella di Maestra di inglese, tedesco e francese tre anni dopo, nel 1877.

Torna Lidia Poët la prima avvocatessa. Ma diventa sexy e detective "per forza"

Il suo desiderio tuttavia, presto annunciato anche alla famiglia, non era quello di insegnare, bensì quello d'intraprendere lo studio della Legge. "Che faccia la calza e, se proprio ha fame di scienza, pigli il diploma da maestra, come fanno le altre", pare abbia commentato il padre che aveva concesso il plauso di tale scelta ai fratelli maggiori, ma non a lei in quanto femmina. Udire qualcosa del genere deve averle provocato una delle tante piccole scintille che accendono nella mente umana qualcosa di migliore della semplice ribellione che sfocia in rivoluzione: deve aver acceso la caparbietà adamantina che conduce alla padronanza di un'esistenza devota al raggiungimento dell'obiettivo che ci si è prefissi.

Una vita per la legge

Così, dopo la morte del padre, Lidia si iscrisse all'Università a Torino. E dopo un breve interludio alla facoltà di Medicina, accedette alla facoltà di Legge con il supporto del fratello Giovanni Enrico, il quale - evidentemente e a differenza del padre - aveva colto le qualità della sorella, che poteva tranquillamente diventare cultrice della materia. Lasciando fare la calza alle donne che si contentavano di spender a quel modo il tempo della loro vita.

Lidia conseguì difatti la laurea nei tempi stabiliti e a pieni voti, discutendo il 17 giugno del 1881 una tesi sulla "Condizione della donna rispetto al diritto costituzionale e al diritto amministrativo nelle elezioni". Nei due anni seguenti, spostatasi a Pinerolo, fece pratica legale nell'ufficio dell'avvocato e senatore Cesare Bertea. E terminato il praticantato con un voto di quarantacinque/cinquantesimi, si apprestò a concludere il percorso per la completa abilitazione alla professione forense ed essere iscritta all'albo degli Avvocati e Procuratori legali di Torino.

Non esistendo alcun tipo di norma che proibisse alle donne in quanto tali l'abilitazione alla professione di Avvocato, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino - a seguito di una votazione che vedrà 8 favorevoli e 4 contrati - accolse la domanda d'iscrizione della Poët rendendola la prima nel suo genere in Italia e precisando come “a norma delle leggi civili italiane le donne sono cittadini come gli uomini". Era il 9 di agosto del 1883.

Questa bella storia sarebbe terminata qui se solo la Corte d’Appello di Torino non avesse accettato il ricorso di Giuseppe Moggi, Procuratore Generale del Re, annullando l’iscrizione della giovane avvocatessa, secondo l'assunto che "la professione forense fosse un pubblico ufficio e come tale vietato alle donne". Questo indusse la stessa Cassazione a confermare l’esclusione delle donne dalla professione di avvocato. Nei pubblici uffici, sostenevano, capitava di "accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene osservare”. A queste tesi si accostavano poi giustificazioni di carattere medico e morale, tra la tutela delle "fanciulle oneste" e il timore del loro charme o della "cagionevolezza" della loro salute.

Alla Poët quindi, che tanto s'era battuta e tanto aveva fatto per ottenere ciò che le spettava - sebbene proprio in punta di diritto le fosse stato negato - non rimase altro se non esercitare la professione non a pieno titolo, appoggiandosi al fratello Giovanni Enrico, e occupandosi precipuamente della difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne. Sostenendo politicamente la causa del suffragio universale.

Il suo esempio

Secondo quanto riportato dai testi dedicati negli ultimi anni alla sua singolare storia - citiamo tra questi Lidia Poët, una donna moderna - Dalla toga negata al cammino femminile nelle professioni giuridiche di Clara Bounous e Lidia e le altre di Chiara Viale - la nostra protagonista passò lunghi anni "redigendo atti e pareri che non poteva firmare per cause che non poteva discutere", ma facendosi benvolere dai clienti dello studio che in un modo o nell'altro entrarono in contatto con la sua professionalità e il suo animo gentile e caparbio.

Lo stesso animo che la portò a prendere servizio come infermiera della Croce Rossa Italiana durante il primo conflitto mondiale, e che se confermato - attualmente gli archivi sono in fase di riordino - a essere insignita della Medaglia d’argento sul campo.

Ma non fu quello il vero riconoscimento che avrebbe ottenuto da quella guerra e dai suo cambiamenti. Il 17 luglio del 1919 venne abrogata la legge riguardante l’istituto dell’autorizzazione maritale e con esso ciò che prevedeva l'articolo 7, ammettendo le donne all'esercizio di tutte le professioni - al pari degli uomini -. Impieghi negli uffici pubblici compresi se non per poche ultime eccezioni.

All'età di 65 anni, Lidia poté finalmente iscriversi all’albo degli Avvocati e discutere le cause a lei affidate. Rimasta nubile, morì nel 1949 di fronte al mare, in Liguria. Ma venne sepolta sulle montagne che l'avevano vista crescere bella e bionda. Perché in tutto questo non avevamo detto che Lidia Poët veniva considerata una bellissima donna. Ragion per cui non c'è alcuna "incongruenza" del vederla interpretata da Matilda De Angelis in una serie tv che si apre con una celebre frase: "Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna".

E invece Dio la fece Lidia Poët. Che - considerato ciò che ci insegna questa storia - è anche qualcosa di meglio di un'avvocatessa. Ne ha fatto un esempio d'emancipazione per tutte coloro che hanno seguito le sue orme e difeso altrettante donne vessate dalla storia.

La legge di Lidia Poët”: la storia della prima avvocata d’Italia diventa una serie tv. “Se Dio ti voleva avvocato non ti faceva donna”. Dal 15 febbraio su Netflix la serie tv in 6 episodi con Matilda De Angelis. Il Dubbio il 14 febbraio, 2023.

«L’avvocheria è un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non devono punto immischiarsi le femmine». Novembre 1883, i giudici della Corte d’Appello di Torino sono chiari: Lidia Poët, prima avvocata del Regno d’Italia iscritta all’Albo in quello stesso anno, deve lasciare l’Ordine. Perché, spiega la Corte, «sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste». Un “rischio” paventato da uomini, con parole scritte da uomini, quali erano i componenti della Corte. Poco male. La tenace Lidia Poët non demorde. Privata del “titolo”, continua a svolgere la professione nello studio legale del fratello per i 37 anni successivi alla sua cancellazione dall’Albo degli avvocati di Torino. Per esservi infine riammessa nel 1920 dopo una lunga battaglia.

Quella di Poët è una storia di straordinaria determinazione, un esempio di dedizione per chiunque indossi la toga. Che ora balza anche all’attenzione del grande pubblico con la serie tv “La legge di Lidia Poët” disponibile su Netflix dal 15 febbraio. Diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire (produzione Groenlandia), la fiction si propone di rileggere in chiave “light procedural” la vicenda reale di Poët, interpretata dall’attrice Matilda De Angelis. Nella serie in 6 episodi il personaggio realmente esistito si cala nel giallo di finzione, nei panni di un abile avvocato-detective. “Non era nostra intenzione - spiega Rovere presentando la serie a Torino - fare una biografia. Noi la diamo un po' per scontata e lasciamo agli spettatori eventualmente di approfondire. Noi abbiamo cercato di immaginare come si sarebbe comportata Lidia se si fosse occupata di risolvere casi”. “Ho amato follemente questa storia - aggiunge Lamartire - ho empatizzato moltissimo con questo personaggio. Affronta tutto con un entusiasmo che smuove le coscienze. Sfida un mondo dove le donne non sono ammesse con ironia e intelligenza”. 

Groenlandia - aggiunge Rovere - cerca di fare un prodotto popolare ma che contenga temi anche attuali. Lidia rappresenta il contemporaneo che preme. Soffre ma riesce anche a trovare il lato ironico delle contraddizioni che vive. La sua è una battaglia drammatica che noi cerchiamo di veicolare con un tono anche leggero. Abbiamo trovato in Netflix un alleato fondamentale, garanzia di qualità e diffusione internazionale, un vero motore creativo che ha seguito il progetto fin dalla sua genesi. La speranza è che la nostra protagonista possa, parlando al mondo, essere di ispirazione per chi la saprà ascoltare”. Nel cast, accanto a Matilda De Angelis, c'è Eduardo Scarpetta nei panni del giornalista Jacopo Barberis. Pier Luigi Pasino è Enrico Poët, fratello di Lidia, mentre Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill sono rispettivamente Teresa Barberis, moglie di Enrico, e Marianna Poët, la loro figlia. Dario Aita è Andrea Caracciolo. Attraverso uno sguardo che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la verità dietro le apparenze e i pregiudizi.

Essere Lidia è stato molto bello. Solo potersi avvicinare alla vicenda umana e professionale e alla caratura di una donna che ha fatto la storia del femminismo e non solo è stata un’esperienza potente. Per l’evoluzione del concetto di parità di genere è molto importante che vengano scritte queste storie. Io ho cercato di dare a Lidia più sfumature possibili: determinata e leggera ma anche fallibile”, dice Matilda De Angelis. Che interrogata sull'attualità del tema anche nel mondo dello spettacolo, prosegue: “Sicuramente c'è ancora una grande disparità, anzitutto salariale. E all'estero, più che in Italia, viene denunciata. Ma le discriminazioni a volte possono essere anche più piccole e molto sottili ma altrettanto pericolose. Io sono privilegiata perché sono stata educata da mia mamma a rispondere. Io non le subisco le discriminazioni”, scandisce in maniera netta. Ad aiutare la battaglia professionale di Lidia c'è Jacopo (Scarpetta), un misterioso giornalista e cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti nella Torino di quegli anni (“non abbiamo dovuto fare grande sforzi perché la città è perfettamente conservata e ci ha offerto dei set naturali pronti all'uso”, dice Rovere).

La serie è stata scritta da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo. “La serie che abbiamo scritto - spiegano Guido Iuculano e Davide Orsini, creatori e sceneggiatori della serie - non è la storia della vita di Lidia, tutt'altro. Si potrebbe definire un procedural classico, con i suoi casi di puntata, gli omicidi, le indagini e i colpi di scena finali. Ma al di là dei singoli casi, al di là del mondo di fine Ottocento che ci siamo divertiti a ricostruire, al di là perfino dei guizzi e dei vezzi della nostra protagonista, l'essenziale per noi è il suo spirito: volendo usare una sola parola, la più giusta per definirlo ci sembra anticonformismo”. La serie è “un grande inno alla libertà di spirito - proseguono i due autori - un’ode ad una donna - Lidia Poët - che sa essere allo stesso tempo tutte queste cose: determinata, testarda, coraggiosa, ma anche goffa, strana, ostinata e buffa” ed è anche “un omaggio alla vera Lidia Poët, una celebrazione di quella virtù che risuona e risplende nella vita di chiunque voglia poter dire, un giorno, di non esser passato inutilmente su questo pianeta”. 

Le sue battaglie che cambiarono l’Italia. Chi era Lidia Poët, la storia della prima avvocata d’Italia: è Matilda De Angelis nella serie Netflix. Elena Del Mastro su Il Riformista il 14 Febbraio 2023

È entrata nella storia per essere la prima donna ad entrare nell’Ordine degli Avvocati in Italia. Sue le battaglie per la realizzazione dell’attuale diritto penitenziario e per i diritti delle donne. Lidia Poet ha cambiato davvero il volto della legge e dal 15 febbraio una serie Netflix, “La legge di Lidia Poet”, la celebrerà in sei puntate con Matilda De Angelis che interpreta la celebre avvocata. Ma chi era questa straordinaria donna italiana?

Nata a Perrero, provincia di Torino, il 26 agosto 1855, in un’agiata famiglia valdese, volle sempre studiare e approfondire il più possibile la sua conoscenza. Nel 1871, conseguì la patente di Maestra Superiore Normale, tre anni dopo, quella di Maestra di inglese, tedesco e francese. Tornata a Pinerolo, ormai orfana, chiese ed ottenne di poter proseguire gli studi. Nel 1877 conseguì la licenza liceale, presso il liceo Giovanni Battista Beccaria di Mondovì. L’anno successivo si iscrisse alla facoltà di legge dell’Università di Torino, dopo aver abbandonato la facoltà di Medicina, diretta da Cesare Lombroso.

Si laureò in giurisprudenza il 17 giugno 1881 dopo aver discusso una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Svolto il praticantato, superò brillantemente l’esame di abilitazione alla professione forense e chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino. La richiesta fu assai dibattuta e portò anche alle dimissioni di importanti membri dall’ordine perché contrari all’iscrizione di una donna. Alla fine Lidia Poet ebbe la meglio e fu la prima donna ammessa all’esercizio dell’avvocatura.

Ma la sua vittoria durò poco: il procuratore generale del Regno mise in dubbio la legittimità dell’iscrizione e impugnò la decisione ricorrendo alla Corte d’Appello di Torino. L’11 novembre 1883 la Corte di Appello accolse la richiesta del procuratore e ordinò la cancellazione dall’albo. Lei non si arrese e ricorse in Cassazione che però confermò la decisione della Corte d’Appello sostenendo che “La donna non può esercitare l’avvocatura”. Tra le motivazioni anche quelle di carattere lessicale tipo che la legge unitaria sull’avvocatura 8 giugno 1874, n. 1938 era da intendersi solo per il genere maschile utilizzando il termine avvocato e mai quello di avvocata o di avvocatessa.

La faccenda accese un intenso dibattito non solo in Italia, ma ebbe un lungo seguito con 25 quotidiani italiani sostenitori dei ruoli pubblici tenuti da donne e solo tre contrari. Nonostante l’ esclusione, Lidia Poet, continuò a operare collaborando con il fratello avvocato Giovanni Enrico e divenne attiva soprattutto nella difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne, sostenendo anche la causa del suffragio femminile. Prese parte attivamente ai Congressi Penitenziari Internazionali dove ricoprì ruoli di rilievo per ben trent’anni, come membro del Segretariato occupandosi dei diritti dei detenuti e dei minori, promuovendo l’istituzione dei tribunali dei minori e affrontando il tema della riabilitazione dei detenuti attraverso l’educazione e il lavoro.

Fu molto attiva anche nella lotta per i diritti delle donne. Pur non approvando i metodi delle suffragette inglesi, si adoperò per l’emancipazione femminile aderendo al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI) fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1903 e venne incaricata di dirigere i lavori della sezione giuridica nei primi congressi femminili italiani del 1908 e 1914 dove si dibattevano argomenti ancor oggi attualissimi.

Tra le sue battaglie quelle per “l’ammissione delle donne alle funzioni di tutori, la vigilanza del magistrato e il patrocinio scolastico per la protezione fisica e morale dei minori, il divieto di presenza dei minori nelle udienze penali di tribuni e corti di giustizia, la privazione della patria potestà per i genitori che si rendono indegni o che sono riconosciuti incapaci; assistenza immediata ai minori i cui genitori sono in carcere, in ospedale o abbandonati; il divieto di ammettere minori a spettacoli cinematografici offensivi della morale; il divieto di servire negli esercizi bevande alcoliche ai minori; la regolamentazione del lavoro dei minori aumentando i limiti di età e riducendo l’orario di lavoro che non può superare le otto ore giornaliere per i ragazzi al di sotto dei sedici anni e per le ragazze al di sotto dei ventuno anni; l’aumento del limite di età per i delitti contro la morale delle vittime a quattordici anni invece di dodici, e a diciotto anni invece di sedici, e la pena aumentata al massimo per le scritte e le immagini oscene esposte al pubblico”. Proposte che furono da apripista per leggi emanate nei decenni successivi.

Al termine del conflitto mondiale la Legge n. 1179 del 17 luglio 1919, nota come legge Sacchi, abolì l’autorizzazione maritale e autorizzò le donne a entrare nei pubblici uffici, tranne che nella magistratura, nella politica e in tutti i ruoli militari. All’art. 7 la legge apriva finalmente alle donne le porte del foro: “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gl’impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche che attengono alla difesa dello Stato”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Estratto dell'articolo di Teresa Ciabatti per corriere.it il 9 maggio 2023. 

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Barbie nasce nel 1959 in America da un’idea di Ruth Handler, moglie del fondatore della Mattel, la quale, osservando la figlia giocare con le bambole di carta, ritagliare accessori, abiti, e attribuire ruoli e professioni, intuisce che le bambine hanno bisogno di un’alternativa al bambolotto (al gioco mamma-figlio). Tecnicamente Barbie è una fashion doll con abiti e accessori da comprare a parte. Il nome Barbie è un omaggio di Ruth alla figlia Barbara.

Siamo agli albori della Mattel che produce giocattoli musicali come piccoli pianoforti e chitarre, scatole con pupazzi, e armi in miniatura quali fucili e pistole. Solo Ruth vuole produrre bambole, gli altri dell’azienda – progettisti e designer, tutti maschi – oppongono resistenza visti i buoni risultati commerciali in particolare delle armi. Il debutto ufficiale di Barbie è nel 1959, alla Fiera del giocattolo di New York: 29 centimetri, bionda (affiancata dalla versione bruna), costume in jersey a righe bianco e nero, occhiali da sole bianchi con lenti blu, sandali neri con tacco a spillo, orecchini dorati. Prezzo: tre dollari.

Davanti a quella donna in miniatura dalle gambe lunghe e il seno abbondante i compratori reagiscono male. Vedono un lato erotico, una minaccia per i piccoli. È storia che alla Fiera di New York Barbie non riscuota successo. I compratori però non fanno i conti con le bambine. Solo nel 1959 vengono vendute 351 mila Barbie. Negli anni Barbie cambia acconciatura, trucco. 

 Nel 1961 compare Ken, il fidanzato (nome deciso ancora da Ruth, ispirata stavolta dal figlio: Kenneth Robert – e qui si potrebbe aprire un’altra storia, di una madre e dei suoi figli, una femmina e un maschio – una storia di morbosa maternità). Sempre negli anni Barbie si adatta alle mode e reagisce alle polemiche, vedi quella degli Anni 90: l’accusa di spingere all’anoressia imponendo un modello di bellezza fasullo con misure fisiche non realistiche – conseguenza: nel 1997 viene allargato il bacino di Barbie.

[…] Sono in molti a interrogarsi sul successo della bambola, forse senza consultare bambine e bambini, nel frattempo difatti a desiderare Barbie sono arrivati anche i maschi: segno inconfutabile di confusione di genere – per alcuni – se non attestazione certa di omosessualità […] 

Psicologi, intellettuali, femministe, sociologi riflettono, addirittura sfilano in corteo contro Barbie. […]

Poco importa se intanto Barbie diventa molte cose: ballerina, astronauta, hostess, ginnasta, insegnante, pediatra, pilota di aereo, rock star, veterinario, cuoca, reporter, pompiere, pattinatrice, dentista, paleontologa. Tante cose e tante razze. Così, mentre rumoreggia un pensiero che l’accusa di corruzione dei costumi, Barbie propone innumerevoli modelli di donna. Innumerevoli possibilità di realizzazione e di differenza. È Barbie la bambola che assume più identità nella storia del giocattolo: solo negli ultimi anni, dopo Barbie col velo, Barbie curvy, Barbie con la vitiligine, e Barbie in sedia a rotelle, arriva Barbie gender fluid.

Dall’inizio a Barbie viene attribuita la colpa di fornire un modello estetico e morale diseducativo. Induzione a superficialità, mondanità, ambizioni sbagliate. Ma oggi che sta per arrivare in Italia il film Barbie di Greta Gerwig, la speranza è che questo film (a vedere il trailer, a leggere le notizie sulla trama) liberi Barbie dalla colpa. Non a caso la storia racconta di una Barbie allontanata da Barbie Land in quanto imperfetta. […]

Torniamo allora alla cameretta dell’inizio, alla bambina che trova il corpo brutalizzato della Barbie. Cosa c’è sui pavimenti delle nostre infanzie? Cosa vedono i bambini? Nella risposta risiede la verità di Barbie. Nello sguardo e nelle parole dei piccoli. Lecito il dubbio che la colpa di Barbie sia frutto dello sguardo adulto. Chiediamoci: la demonizzazione di questa bambola potrebbe essere la forzatura di una mente strutturata che necessita di semplificazione e categorie? […]

Il salto dalla cameretta ai set fotografici muta il gesto: non più mimare ma essere, non più impersonare ma significare. Ecco perché Barbie dovrebbe essere raccontata dai bambini: forse gli scettici (i semplificatori, gli schematici?) capirebbero che non c’è sessualizzazione, né imposizione di modello femminile. Nella cameretta, in quella cameretta, ci sono tutte le bambine che siamo state noi, e sul pavimento, decapitata, non una proiezione del sé, bensì un desiderio, una possibilità. Non è forse il gioco la prima forma di desiderio? E allora, nella dimensione del gioco, che i bambini – maschi e femmine – siano liberi di domandarsi: «Cosa devo indossare questa sera?», liberi di progettare: «Facciamo una festa in costume!».

Bellezza tossica: i pericoli per la salute nascosti dentro ai cosmetici. Marina Savarese su L'Indipendente il 6 aprile 2023.

Un tempo c’erano la saponetta e qualche crema, di solito una per il corpo e una per il viso. Poi l’industria cosmetica è esplosa, complice il mito della giovinezza perenne ed una lotta feroce (e persa in partenza) contro il passare del tempo, che va combattuto e ostacolato con tutti i mezzi e gli intrugli possibili (i famosi anti-age). Schiume, scrub, gel, sieri, contorno occhi-bocca-labbra, rimpolpante, schiarente, rassodante, tonico magico e acqua micellare per non perdere l’idratazione cutanea. Le guru della cura della pelle la chiamano “beauty routine”, un rituale di bellezza quotidiano indispensabile da ripetere almeno due volte al giorno, secondo loro, per prendersi cura di sé nella maniera giusta. Così, oltre al sapone, una donna in media utilizza 12 prodotti per la cura personale al giorno, esponendosi più o meno a 168 diversi ingredienti chimici (dati dell’Environmental Working Group – EWG). Sappiamo che la pelle è l’organo più esteso del nostro corpo, e che le sostanze chimiche presenti negli abiti, ma ancor di più nei cosmetici, possono essere assorbite attraverso i pori ed entrare nel flusso sanguigno, portando anche a una serie di problemi di salute.

Non sono poche le storie di aziende di bellezza che, negli ultimi anni, sono state costrette a ritirare i loro prodotti dal mercato a causa di alcuni ingredienti tossici presenti nei propri composti. Ha fatto scalpore il caso Johnson & Johnson: nel 2018 l’azienda è stata costretta a pagare oltre quattro miliardi di dollari di risarcimento danni, in seguito ad una querela fatta in merito al talco per bambini, che pare sia stato la causa del cancro alle ovaie riscontrato in seguito all’uso prolungato del prodotto. Anche l’Oreal è stata citata in giudizio per pubblicità ingannevole, dopo che è stato scoperto che i suoi prodotti “completamente naturali” contenevano sostanze chimiche tossiche. Il problema della chimica non buona estesa ai cosmetici si combatte da tempo; tanti sono stati i provvedimenti e le limitazioni imposte a livello legislativo, ma non sempre e non abbastanza stringenti. Ecco, perché il primo strumento che abbiamo a disposizione è la conoscenza; il secondo è la possibilità di scegliere in maniera consapevole. Trattandosi della nostra pelle, conviene pensarci cinque minuti in più.

Ingredienti tossici cui fare attenzione

Gli INCI, ovvero la lista degli ingredienti che compongono un certo prodotto, sono obiettivamente scritti con caratteri sempre più piccoli sulle confezioni. Eppure meritano lo stesso di essere letti e capiti, in modo tale da evitare quelli contenenti sostanze potenzialmente pericolose. Queste alcune di quelle che dovrebbero far drizzare le antenne (e lasciare la confezione dov’è).

I parabeni sono banalmente i conservanti dei prodotti cosmetici. Sono indicati con nomi esotici come propylparaben e butylparaben, e hanno la capacità di interferire con il normale funzionamento del sistema endocrino, alterandolo (sono stati collegati anche al cancro e alla tossicità riproduttiva). Anche la formaldeide è spesso usata come conservante in molti prodotti per la cura personale; oltre a causare irritazione alla pelle è stata spesso collegata a tumori del sangue, dei polmoni e del naso. 

I ftalati sono un derivato del petrolio, usati soprattutto negli smalti, per rendere più facile l’applicazione, e per far durare le fragranze più a lungo. Sono stati collegati a una serie di problemi di salute, tra cui danni riproduttivi, difetti alla nascita, danni al fegato e ai reni, oltre ad essere collegati all’insorgenza del diabete di tipo due.

I solfati sono emulsionanti, agenti che legano le parti liposolubili a quelle idrosolubili. Sono i responsabili di quella morbida schiuma che dà l’impressione di lavare meglio e di più, oltre che sgrassanti. In grande quantità possono privare la pelle dei suoi oli naturali, causando secchezza, sensibilità e irritazione. Si trovano indicati, tra gli altri, come: Monoethanolamine (MEA), Triethanolamine (TEA), Diethanolamine (DEA) (es. Cocamide Dea), SLS – Sodium Lauryl Sulfate o PEG – Polietilenglicole.

Siliconi: i siliconi sono quelle sostanze chimiche responsabili della “texture più liscia” di numerose creme e saponi; quelle che rendono i prodotti semplici da spalmare e capaci di donare a pelle e capelli quella sensazione di morbidezza e setosità…temporanea. Già, la percezione di una superfice vellutata al tatto dura poco (un effetto effimero e per nulla sostanziale o benefico), ma l’impatto sull’ambiente e la sua tossicità perdurano nel tempo. Ecco perché sono ritenuti un rischio (tutto quello che finisce nell’ambiente poi fa il giro e ci ritorna addosso sotto varie forme)!

Il talco è un composto di origine minerale utilizzato in molti cosmetici tra cui deodoranti, blush e pure nel borotalco per bambini. Spesso in natura è contaminato con l’amianto (noto agente cancerogeno), quindi se i siti di estrazione non sono selezionati con cura e se il talco non viene adeguatamente purificato, potrebbe essere contaminato con i sottili cristalli fibrosi di questo minerale mortale. Gli studi collegano l’uso di prodotti con talco contaminato alle cause del mesotelioma, del carcinoma polmonare e ovarico.

Anche gli Oli minerali (diversi da quelli essenziali) e i profumi artificiali sono da tenere sotto controllo. I primi sono, a tutti gli effetti, sottoprodotti della distillazione del petrolio: economici, non biodegradabili e di fatto pericolosi per l’ambiente e la fauna. Nonostante l’assorbimento cutaneo dell’olio minerale avvenga in piccole quantità (quindi idratano molto poco rispetto a quel che promettono) prove sostanziali hanno dimostrato l’accumulo d’idrocarburi di olio minerale nel grasso corporeo. Si tratta comunque di petrolio nell’organismo… I profumi artificiali non sono altro che un mix di centinaia di sostanze chimiche in grado di riprodurre l’odore desiderato. Certe combinazioni sono particolarmente fastidiose (possono causare reazioni allergiche o grandi mal di testa); altre sono anche dannose per l’ambiente e per questo già vietate. 

Fortunatamente l’industria della bellezza si sta adeguando alle crescenti preoccupazioni delle persone (non scordiamoci che il mercato, dopo tutto, siamo noi), rispondendo con prodotti più naturali o per lo meno privi di sostanze nocive. È importante essere consapevoli di quali ingredienti sono presenti nei prodotti che mettiamo addosso giornalmente; e provare, per quanto possibile, a rivolgersi a chi non cerca di venderci ideali e prodotti di bellezza… tossici. [di Marina Savarese]

Barbara Costa per Dagospia domenica 24 settembre 2023.

Le bocce, che guaio! Questa bella ragazza è inglese, si chiama Karla James e nella vita fa la web sex model, predilezione curvy, e con le sue curve si sbanda pericolosamente in alto: guarda che seni! Karla porta una 40N, una 38O, misure di petto inglesi, che è inutile raffrontare alle taglie italiane, ché le misure di Karla in commercio non esistono!

E qui sta la sua disperazione: Karla è fiera del suo corpo ma da un po’ te lo dice, anzi, lo grida, che non ne può più: trovare un reggiseno in cui le sue zinnone ci stiano, e che le stia bene, è complicatissimo! Se grazie all’e-commerce non è più come in era analogica, quando rimediare un reggiseno per tette grosse ma grosse davvero era un’impresa, e, se lo trovavi, ti dovevi accontentare di modelli miseri, brutti, dai colori smorti, le tettone di Karla hanno raggiunto una dimensione tale che vanno sostenute e contenute da ogni parte, altrimenti… straripano!

Il seno di Karla è tutto tutto naturale, non è il risultato di interventi chirurgici pazzi. A lei è cominciato a crescere in modo allarmante a 13 anni, già a 14 era più 90 cm, e le sue mammelle non si sono fermate. Da un po’ si sono abbastanza "posizionate", e pesano, e eccessivamente, quanto Karla non ce lo vuol dire. Lei lamenta che i costi per lingerie e top e magliette e camicette e, in sostanza, per tutto quel che quotidianamente di sopra si indossa, tocca cifre spropositate.

Karla James è una persona affetta da gigantomastia, o ipertrofia mammaria, la sua genetica, i suoi ormoni, le accrescono le tette come cocomeri dopati, e lei ci ha pensato, a farsele ridurre, ma teme tre cose: l’operazione in sé, le cicatrici che, nel suo caso, rimarrebbero fin troppo evidenti, ma più di tutto… di pentirsene! Se ti fai sgonfiare le bocce certo puoi sempre fartele rigonfiare, ma non ti torneranno mai più genuine e morbidose come te le ha fatte mamma!

Karla James ha una cosa in comune con la nostra Moana Pozzi: come l’eccezionale pornostar, è costretta a comperare completini intimi "scombinati": la taglia del lato b non può corrispondere a quella del davanzale! Oggi non è più così, ma nei cari vecchi '80 Moana non lo taceva, che le commesse le facevano storie, perché a lei occorrevano completini intimi con slip di taglia seconda, ma abbinato a reggiseno di taglia quinta!

Se io non ho dubbi che le commesse reagissero storto a Moana per insopprimibile invidia, Karla ci svela che chi ha il seno anche non grosso come il suo ma di suo "importante", è scocciata da particolari rogne. Io metto le tette avanti – sono una seconda abbondante – e lo ammetto: mica ci pensavo che chi ha le tette voluminose ha il problema del sudore che ristagna sotto le mammellone, soffre di male al collo e peggio alla schiena, non può dormire a pancia sotto, le tettone le ballonzolano pure se corre piano, se fa sport deve indossare due reggiseni sportivi (nel caso di Karla, a trovarli!) uno su l’altro, se mangia cibo sbriciolante dei pezzetti le possono finire in mezzo ai seni e tirarli fuori, in pubblico, è seccante, e a letto fai un po’ te, io penso meglio lei sotto e tu sopra, o tu da dietro, meglio ancora. Ma sarà vero che alle tettone sta antipatica la borsa a tracolla?

Sapore di male. L’infantile emancipazione delle smutandate e la mia imperdibile teoria sul bikini. Guia Soncini su L'Inkiesta il 21 Luglio 2023

Il sindaco di Monfalcone ce l’ha con le musulmane che vanno in spiaggia col burqa, ma in realtà è raccapricciante vedere gente mezza nuda che parla con estranei come fosse perfettamente vestita e presentabile e rispettabile

In un film abbastanza assurdo che Dino Risi girò dopo “Il sorpasso”, “L’ombrellone”, ci sono le vere immagini d’un agosto a metà anni Sessanta. Le immagini d’un mondo che ora sembra ricostruito con gli effetti speciali, se non si è abbastanza vecchi da averlo visto.

La Roma deserta che attraversava Enrico Maria Salerno andando a raggiungere la moglie al mare non esiste più: le città hanno smesso di svuotarsi con Ryan Air, col turismo di massa, con gli agosti di questo secolo in cui gli unici a restare inderogabilmente chiusi per almeno sei settimane sono i lavasecco.

La spiaggia di Rimini, le cui immagini mi fanno venire un attacco di panico, forse è invece ancora così, con una distesa di carne invece che di acqua. L’umanità fa un sacco di cose per me inconcepibili, ho smesso da decenni di farmi domande in merito (non posso passare la vita a chiedermi come sia possibile che v’interessi guardare il calcio), e tra queste c’è anche: andare in spiagge in cui c’è altra gente.

Certo, c’entra il fatto che andare nei posti che piacciono a me (che siano barche o spiagge private) costa molto, e o sei molto ricco o t’accontenti di fare tre giorni di vacanza ogni tre anni; se sei uno che pretende di farsi le sue brave due settimane ogni agosto, è plausibile che Rimini sia alla tua portata e la Polinesia no. Ma c’è anche il fatto che alla gente piace l’altra gente, le piace vedere la carne degli sconosciuti, uno spettacolo che io reputo raccapricciante.

Quand’ero abbastanza giovane da avere amiche che si preoccupavano di come stessero loro i vestiti, ogni anno c’era il dramma della prova costume. Un anno mi scocciai di assecondare le paturnie della compratrice di bikini di turno e sbuffai: ma come ti deve stare, ti sta come stai in mutande, come stai nuda. Ella passò gli anni successivi a ripetere questa frase come qualcuno le avesse decodificato la teoria della relatività, e io mi chiedo da allora come mai, una volta compreso che in bikini sei nuda, ella abbia continuato a mettercisi.

Guardate che non è normale. Non è normale che ciò che ci parrebbe inaccettabile per dieci mesi – entrare al bar e trovarci gente in mutande – poi sia considerato potabile in estate. Tu vai in spiaggia, un luogo pubblico, e la gente è mezza nuda. È mezza nuda nonostante non sia un’orgia. È mezza nuda nonostante non sia a casa propria. È mezza nuda e parla con estranei come fosse perfettamente vestita e presentabile e rispettabile, con lo stesso modo con cui in inverno da vestita parla coi professori dei figli o con l’idraulico.

Non è una questione estetica. Cioè, certo che lo è, ma non nel modo gerarchico in cui la state pensando voialtri (vi vedo) che siete lì che dite beh, se si denuda Guaia Sorcioni no, ma io Gwyneth Paltrow in mutande la guardo volentieri. Certo che le mie trippe sballonzolanti sono persino più raccapriccianti delle carni di chi si è applicata acciocché le sue carni fossero esteticamente piacevoli. Ma il punto è che comunque coperti è meglio. Il punto è che i vestiti sono un linguaggio.

È bislacco che questo linguaggio venga sospeso e poi riattivato, che conveniamo come società che non valga l’idea che essere nudi significhi qualcosa solo in alcuni mesi e luoghi (i luoghi contano: certi ristoranti al mare, che vogliono darsi un tono, vietano di pranzare in costume – ah!, allora siete d’accordo che è un modo di conciarsi impresentabile).

Alfred Hitchcock diceva che Grace Kelly era sexy perché apparentemente gelida, mentre «la povera Marilyn» aveva il sesso scritto in fronte. Hitchcock era uno stronzo, ma come frequentemente accade agli stronzi aveva ragione: se sei già in mutande, dov’è la seduzione, dov’è il mistero, dov’è il desiderio?

Non sono più (da decenni) abbastanza giovane da rimorchiare in spiaggia, e quando lo ero probabilmente non ci riflettevo, ma mi fa molto ridere l’idea di due che si conoscano al mare, in costume da bagno, organizzino un’uscita, e passino la cena a desiderare di strapparsi i vestiti, cioè non di approdare a una condizione che d’inverno sarebbe un obiettivo chissà se conseguibile, ma di ritrovarsi daccapo nella modalità nella quale già si trovavano quando si sono detti come si chiamavano. Riuscirò a vedere in mutande quella che ho già visto in bikini? Invero una grande sfida.

Il sindaco di Monfalcone, Anna Maria Cisint, ha scritto che «La pratica di accedere sull’arenile e in acqua con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno deve cessare». A parte che si accede a, e non su. A parte che non riesco a prendere sul serio questa notizia perché ripenso a quella battuta di Paolo Rossi («Dici “com’è triste Venezia”? Non hai mai visto Monfalcone»).

Il sindaco ce l’ha con le musulmane che vanno in spiaggia col burqa, dice che «comportamenti lesivi della rispettabilità e della dignità necessaria nella frequentazione di questi luoghi pubblici incidono negativamente nell’attrattività e nelle ricadute per i gestori dei servizi» (sindaco, era qui che ci andava «su», si incide su, non si incide in, sindaco, perché l’istruzione obbligatoria l’ha lasciata indietro?).

Implica, immagino, che io veda una tizia coperta (non so, Afef, che nelle foto al mare ho sempre visto in canotta e pantaloncini, il che ne fa la mia unica compagna di spiaggia possibile) e dica ah no, allora a prendere il cremino al bar di questo stabilimento non ci vado.

E io ci posso pure credere. Posso credere che ci sia un tipo di clientela che la bagnante in burqa non la vuole vedere. Solo che il divieto di coprirsi include anche me (che sono grandemente atea con l’eccezione delle magliette di James Perse cui sono devota per la spiaggia) e Afef e Nigella Lawson e tutte quelle che in mutande ci si fanno vedere solo da quelli dai quali hanno scelto di farsi vedere in mutande.

Nel Novecento, mia madre prendeva il sole senza reggiseno. Aveva delle bellissime tette, ma era uno spettacolo straziante, perché in quello spogliarsi più del necessario vedevi sempre il bisogno di épater, di rimarcare che era empancipata, di far dimenticare che veniva dal profondo sud.

Era Assunta Patanè (la Vitti della “Ragazza con la pistola”, lo specifico perché so che avete Google rotto), e io che ero nata tra il Dams e l’eroina e il punk e l’Aids la guardavo con compatimento indossando il mio accollato costume intero. È passata una vita, è il 2023: veramente dobbiamo ancora dimostrarci emancipate smutandandoci?

Che succede a stare senza reggiseno? Le risposte (mediche ed estetiche) degli esperti. Vera Martinella su Il Corriere della Sera il 06 Febbraio 2023

Se lo chiedono migliaia di mamme, preoccupate dalla moda che ha ormai preso piede fra le giovanissime, ma non solo: non farà male stare giornate intere senza reggiseno? Quali conseguenze, di salute o estetiche potrebbero esserci per il seno? Fare a meno del «sostegno» è diventata un’abitudine sempre più diffusa anche fra le donne adulte che, complici smart working e lunghi periodi casalinghi per pandemia, hanno deciso di rinunciare a un indumento da molte ritenuto scomodo e fastidioso. Ecco cosa dicono gli specialisti sulle domande più diffuse

Stare abitualmente senza reggiseno è nocivo?

Con o senza, non fa differenza. È questa, in estrema sintesi, l'indicazione per quanto riguarda la salute. Un reggiseno della taglia e del modello giusto, che non stringe e non irrita, fa bene se piace e fa sentire a proprio agio. Se, invece, è vissuto con antipatia e fastidio, può essere tranquillamente eliminato, senza rischi per la salute. «Per quanto riguarda la “tenuta” del seno, cioè il suo conservare nel tempo la forma e posizione della giovane età, il discorso è più sfumato — dice Francesco Stagno d'Alcontres, presidente della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica (SICPRE) —. Quando il seno è di piccola dimensione le opzioni sono sostanzialmente indifferenti. Quando invece, il decolleté è molto abbondante, contrastare l'effetto della forza di gravità (e quindi sostenere il peso del seno con un indumento) permette di ridurre e rallentare la ptosi, cioè la naturale caduta a cui vanno incontro tutti i nostri tessuti, compresi quelle delle guance e della parte interna delle cosce».

Ci sono pericoli per le donne che si sono rifatte il seno?

«No, esattamente come per tutte le altre — spiega Barbara Banzatti, dirigente medico dell’Unità Chirurgia plastica e Centro grandi ustionati all’Ospedale Niguarda di Milano —. Sia una paziente che ha scelto la ricostruzione mammaria dopo l’asportazione di un tumore, sia una donna che ha optato per protesi a fini estetici possono scegliere liberamente se utilizzare o meno il reggiseno».

È vero che stare senza fa cadere più velocemente il seno?

Il seno è prevalentemente formato dalla ghiandola mammaria, concentrata in particolare nella regione che si trova dietro all'areola-capezzolo, e dal tessuto adiposo, presente soprattutto nelle regioni esterne. «Tutto l'insieme è attraversato da una serie di piccoli legamenti (i legamenti di Cooper) che contribuiscono, insieme alla tonicità dei tessuti di rivestimento, alla forma e compattezza del seno — chiarisce Stagno d'Alcontres, che è anche professore di Chirurgia plastica all'Università degli Studi di Messina e direttore della Scuola di specializzazione di Chirurgia plastica presso lo stesso ateneo —. Sono elementi che si modificano con il passare del tempo e che sono determinati in modo massiccio dalla genetica. Come sempre, però, anche le abitudini e lo stile di vita contano. Se è vero che i pettorali non sono in grado di “tenere su” un seno cadente, è anche vero che i pettorali sono “bretelle” che, quando sono toniche e ben rappresentate, contribuiscono in positivo alla forma complessiva del cono mammario. Come dire, aiutano».

Non indossarlo fa aumentare il pericolo di cancro o altre malattie?

«No, non c’è alcuna evidenza scientifica che portare o meno il reggiseno possa favorire la formazione di un tumore, così come non c’è alcuna prova che avere il seno grande comporti maggiore pericolo — risponde Barbara Banzatti —. I fattori di rischio noti per il cancro al seno sono altri: sovrappeso o obesità, fumo, eccessivo consumo di alcolici, sedentarietà (chi fa attività fisica regolare ha molte meno probabilità di ammalarsi). E poi c’è la familiarità: chi ha familiari di primo grado (madri, nonne, zie, sorelle) che hanno sviluppato un carcinoma mammario più rischi. Infine la genetica: esistono varianti genetiche, per esempio i geni BRCA1 E BRCA2, che aumentano notevolmente il pericolo».

Cosa succede durante l'attività sportiva?

Correre, saltare, giocare a tennis, pallavolo o padel... in moltissimi casi l'attività sportiva comporta una sollecitazione dei piccoli legamenti che attraversano e sorreggono il tessuto mammario: ecco perché durante gli allenamenti è consigliato indossare il reggiseno. «Non sono pericoli per la salute — sottolinea il presidente SICPRE —, ma un sostegno può contribuire alla lunga a conservare una forma mammaria più gradevole e giovane. In particolare far rimbalzare il seno rappresenta una sollecitazione eccessiva». Quale reggiseno scegliere per gli allenamenti? Sicuramente quelli appositi, sportivi. Con o senza coppe preformate, con o senza incrocio sulla schiena, sono pensati per garantire stabilità e contenimento, fondamentali soprattutto per le taglie L e XL.

Un trauma al seno può causare un tumore?

«No — risponde Banzatti —. Una botta al seno può provocare un ematoma, gonfiore, dolore, al limite la formazione di un nodulo benigno. Nel caso comunque si abbiano dubbi per sintomi che non passano dopo lungo tempo basta rivolgersi al proprio medico. In particolare non vanno trascurati noduli che non causano dolore e hanno contorni irregolari. Altri segnali frequenti sono il rigonfiamento di una parte o di tutto il seno, la trasformazione della pelle che tende a diventare a buccia d’arancia, cambiamenti nella forma della mammella come la presenza di avvallamenti, alterazioni del capezzolo (all’infuori o in dentro), perdite di liquido o sangue dal capezzolo».

Per chi ha fastidio o dolore e non vede l'ora di toglierselo a fine giornata: come scegliere il reggiseno?

«Il principio di base è quello di evitare compressioni e costrizioni eccessive — conclude Stagno d'Alcontres —. Si tratta di un indumento che può accrescere il confort e far sentire più a proprio agio. No quindi ai ferretti, se risultano fastidiosi e no alle fibre sintetiche. Nella scelta del modello bisogna inoltre pensare che l'80% del sostegno dovrebbe venire dalla fascia sotto il seno, lasciando alle spalline solo il 20%, per evitare, soprattutto quando il seno è molto pensate, di sovraccaricare le spalle. Sempre validi i reggiseni sportivi e senza cuciture, che aumentano la vestibilità e diminuiscono i fastidi».

Estratto dell'articolo di Giulia Torlone per “la Repubblica” il 30 gennaio 2023.

Due giorni di congedo se si ha un ciclo mestruale doloroso: è la linea adottata a fine 2022 dal liceo artistico di Ravenna “Nervi-Severini” che, nel giro di poche settimane, ha spinto decine di istituti in tutta Italia a seguirne le orme. A Torino se ne discute all’enogastronomico Beccari, a La Spezia le studentesse dell’artistico- musicale Cardarelli hanno promosso una mobilitazione, a Genova la consigliera regionale Selena Candia ha proposto una mozione per inserire il congedo mestruale nei Regolamenti d’istituto delle superiori e avviare un iter legislativo che lo preveda anche per le lavoratrici.

[…] per consentire di restare a casa due giorni al mese — esclusi dal calcolo delle assenze annuali — a chi presenti un certificato medico che attesta dismenorrea (dolori mestruali) o patologie specifiche come endometriosi, ovaio policistico o vulvodinia.

[…]

Nonostante la grande mobilitazione degli studenti, non sono pochi i medici che manifestano qualche perplessità. Come Valeria Dubini, ginecologa ed endocrinologa che guida il dipartimento per la Salute e la medicina di Genere della Asl Centro di Firenze: «Da un punto di vista sanitario — spiega — non mi entusiasma: il dolore mestruale è una patologia e ha bisogno di una diagnosi e di un trattamento, più che dello stare a casa. Piuttosto darei un permesso per far andare le giovani al consultorio e impostare una terapia, perché il dolore mestruale può essere il campanello di allarme di varie cose, come un primo segno di endometriosi che, se trattata subito, non andrà a complicare la fertilità futura».

Il timore, benché il congedo mestruale venga ottenuto solo dietro presentazione di un certificato, è la banalizzazione del dolore.

 […]

Sindrome premestruale, i rimedi naturali per combatterla. Talvolta i sintomi di questo disturbo possono essere così intensi da impedire lo svolgimento delle normali attività quotidiane. La natura può rivelarsi un valido aiuto. Maria Girardi il 13 Gennaio 2023 su Il Giornale.

Nota anche con la sigla PMS (Pre Mestrual Sindrome), la sindrome premestruale è un insieme, complesso ed eterogeneo, di alterazioni biologiche e psicologiche variabili da soggetto a soggetto, ma comunque localizzate sette-dieci giorni prima dell'arrivo delle mestruazioni. Circa l'80% delle donne lamenta sintomi più o meno fastidiosi in prossimità del flusso mestruale. Nel 10-40% delle stesse questi disturbi possono avere una ripercussione sull'attività lavorativa e sullo stile di vita in genere. Solo il 5% delle esponenti del sesso femminile manifesta una sintomatologia così significativa da rendere difficoltoso lo svolgimento di ogni aspetto della quotidianità.

Per poter parlare di sindrome premestruale si devono valutare due parametri. Innanzitutto la ricorrenza dei segni clinici che devono manifestarsi nella stessa fase del ciclo per almeno tre cicli consecutivi. E infine la presenza durante la fase follicolare, ovvero nella prima metà del ciclo, di un periodo libero da sintomi della durata di minimo sette giorni. Soffrire di sindrome premestruale non è semplice. Quali sono le sue cause? Esistono rimedi naturali efficaci? Cerchiamo insieme di fare chiarezza.

Cos'è il ciclo mestruale

Il ciclo mestruale è una sequenza di cambiamenti fisiologici che hanno luogo nell'utero e nelle ovaie e che sono finalizzati a rendere possibile una gravidanza. Ad orchestrarlo sono ormoni molto importanti per la salute femminile, tra cui gli estrogeni e il progesterone. A partire dalla pubertà fino alla menopausa, il ciclo mestruale ha una durata media di 28 giorni e si suddivide in diverse fasi:

fase mestruale (giorni 1-5). L'endometrio si sfalda e viene espulso attraverso le mestruazioni. Contemporaneamente aumenta la produzione dell'ormone follicolo-stimolante che, a sua volta, stimola la produzione degli estrogeni;

fase proliferativa (giorni 6-14). Aumentano gli estrogeni, il progesterone e l'ormone lutenizzante che determina la formazione del corpo luteo dopo l'ovulazione;

fase ovulatoria (giorni 14-15). L'endometrio è spesso, gli estrogeni diminuiscono e il progesterone aumenta. Questo è il periodo di massima fertilità e dunque il più indicato per il concepimento;

fase secretiva iniziale (giorni 16-23). Nell'ovaio si forma il corpo luteo. Estrogeni e progesterone aumentano;

fase secretiva tardiva (giorni 24-28). Nell'ovaio il corpo luteo regredisce. La riduzione dei livelli di progesterone porta allo sfaldamento dell'endometrio e quindi alle mestruazioni.

Perché si soffre di sindrome premestruale

Nonostante numerose ricerche in merito, la causa della sindrome premestruale non è ancora conosciuta. Esistono, tuttavia, una serie di fattori di rischio che contribuiscono alla sua comparsa. Si ritiene, dunque, che il disturbo sia espressione di:

alterazioni ormonali. Consistono in un rapporto sfasato tra progesterone ed estrogeni, esito di un deficit di progesterone in fase luteinica;

cambiamenti nel ricambio idro-salino. Sono determinati dall'eccesso o dal difetto di vari ormoni (estrogeni, progesterone, vasopressina, aldosterone, prolattina) che svolgono un ruolo chiave nel bilancio idroelettrolitico;

ipoglicemia. Sembrerebbero esserci analogie tra il quadro clinico della sindrome premestruale e quello dell'ipoglicemia. Dunque gli ormoni sessuali sarebbero in grado di influenzare il metabolismo del glucosio;

deficit di vitamina B6 e di prostaglandine E1. Queste ultime sono sostanze coinvolte nella percezione del dolore;

espressione psicosomatica. Esiste una correlazione tra il disturbo e alcune patologie psichiatriche.

Non bisogna, poi, dimenticare le disfunzioni della tiroide. Infatti molte donne che stanno male prima dell'arrivo delle mestruazioni soffrono di ipotiroidismo e di tiroidite di Hashimoto.

Tiroidite di Hashimoto, cos'è e come si manifesta

Di recente sono state avanzate delle ipotesi sulla relazione tra gli ormoni sessuali prodotti dalle ovaie e la risposta allo stress. Si pensa, dunque, che nell'insorgenza della sindrome premestruale si verifichi una riduzione della concentrazione di "oppioidi endogeni", ovvero dei cosiddetti ormoni del benessere (serotonina, endorfine).

I sintomi della sindrome premestruale

La sindrome premestruale può manifestarsi in un qualunque momento riproduttivo della vita, tuttavia è maggiormente frequente negli anni tardivi e nelle donne con una storia di lunghi periodi di cicli mestruali naturali, cioè senza l'uso di contraccettivi orali. I sintomi, che peggiorano con il passare del tempo, includono: sbalzi d'umore, stanchezza, irritabilità, mal di testa, acne, dolori muscolari e articolari, aumento di peso.

Ancora gambe gonfie, ansia, ritenzione idrica, aumento di peso, depressione, tensione mammaria, voglie alimentari. Talvolta la sintomatologia è talmente intensa da avere ripercussioni negative sulla vita sociale e affettiva: scarso rendimento nel lavoro, assenteismo, isolamento sociale, alterazioni del desiderio sessuale. Per fortuna sono rari i casi in cui donne affette dalla sindrome premestruale si rendono responsabili di comportamenti psicotici o di atti criminali.

Trattare la sindrome premestruale con i rimedi naturali

A seconda della tipologia e dell'intensità della sintomatologia, per contrastare la sindrome premestruale si possono utilizzare con successo alcuni rimedi naturali. La scelta degli stessi deve essere sempre ponderata da un esperto. Vediamo insieme quali sono gli antidoti più indicati:

magnesio. Numerose sono le proprietà di questo minerale. Contribuisce al rilassamento muscolare e aiuta a spegnere la fame nervosa. Per questi motivi si rivela utile contro i fastidi che precedono le mestruazioni e, pertanto, può essere assunto sotto forma di integratori per un periodo di tempo più o meno lungo;

iperico. Questa pianta è particolarmente indicata per trattare depressione e sbalzi d'umore;

calendula. Dall'azione sfiammante e decongestionante, si può assumere altresì (come tisana o come tintura madre) per sbloccare il flusso del sangue;

achillea. È in grado di ridurre il senso di gonfiore e di togliere l'infiammazione. Va assunta a partire dall'ovulazione fino all'arrivo delle mestruazioni per un periodo variabile dai tre ai sei mesi;

agnocasto. Arbusto tipicamente legato alla sfera femminile, aiuta ad alleviare i dolori addominali.

Pasquale Quaranta per lastampa.it il 27 dicembre 2022.

Il liceo artistico di Ravenna ha istituito il congedo mestruale per le studentesse che lo richiedano. «Probabilmente per una scuola – ha spiegato il preside, Gianluca Dradi – si tratta della prima iniziativa di questo genere in Italia». Un’iniziativa analoga, per il mondo del lavoro, fu adottata dall’azienda veneta Ormesani lo scorso settembre, che ha introdotto un giorno di permesso retribuito per le proprie dipendenti. 

La delibera con la quale il consiglio di istituto del liceo artistico Nervi-Severini ha dato avvio all'iniziativa è stata pubblicata nei giorni scorsi sull'albo online della scuola. In particolare riconosce alle studentesse che soffrano di dismenorrea, la possibilità di assentarsi per un massimo di due giorni al mese senza che tale assenza sia calcolata tra quelle che devono essere considerate per la validità dell'anno scolastico.

La legge prevede infatti che gli studenti debbano frequentare almeno i tre quarti dell'orario annuale per potere essere ammessi agli scrutini: conseguentemente un quarto dell'orario annuale è la quota massima di assenze possibili per la validità dell'anno scolastico. La legge consente però alle scuole di potere individuare delle deroghe, per assenze motivate e documentate. Di norma in tutte le scuole ad esempio è prevista come deroga l'assenza dovuta a malattie certificate.

Le rappresentanti della componente studentesca nel consiglio di istituto del Nervi-Severini hanno fatto presente come molte ragazze soffrano di crampi mestruali tanto forti da interferire con lo svolgimento delle normali attività, raccogliendo in proposito 16 testimonianze di loro compagne. Hanno quindi richiesto di applicare nella scuola, in analogia con l'istituto del congedo mestruale oggi disciplinato in Spagna, una forma di agevolazione per le assenze che tale condizione può determinare.

Michela Marzano per “La Stampa” il 28 dicembre 2022.

Ci sta che, per alcune ragazze e alcune donne, il ciclo mestruale sia particolarmente doloroso, e impedisca quindi di andare a scuola o di lavorare serenamente. Ci sta pure, purtroppo, che siano ancora tante coloro che, sebbene affette da endometriosi, non lo sappiano, e la cui dismenorrea sia (ingiustamente) presa sottogamba. 

Nella stragrande maggioranza dei casi, però, le mestruazioni non sono affatto una malattia; sono solo una delle tante (e non necessariamente una delle principali) caratteristiche femminili per le quali bisognerebbe evitare di essere discriminate o trattate in maniera diversa rispetto ai propri coetanei maschi. È per questo che, forse, sono rimasta leggermente perplessa quando ho saputo che Gianluca Dradi, il dirigente del liceo artistico "Nervi Severini" di Ravenna, ha deciso di istituire un congedo mestruale per le studentesse del proprio istituto. Faccio d'altronde fatica a immaginare che ci sia bisogno di prevedere un congedo specifico, ogni mese, per le ragazze indisposte, a meno che non esistano (e talvolta esistono!) motivi medici particolari.

Anche se la decisione di Gianluca Dradi è stata senz' altro presa con le migliori intenzioni. Anzi, le migliori intenzioni ci sono tutte, visto che il dirigente, spiegando il motivo della propria scelta, ha detto che è nata ascoltando le rappresentanti di istituto: «Attraverso questa norma, comunichiamo alle studentesse e agli studenti che la scuola riconosce i loro problemi e i loro bisogni e che intende, nei limiti del possibile, affrontarli per creare un clima accogliente e inclusivo».

Parole belle, quelle del preside, soprattutto in un'epoca in cui la nozione di inclusione scolastica sembra essere passata di moda, soppiantata dal ben più anacronistico concetto di merito. Parole belle, dicevo. E che, però, continuano a non convincermi del tutto. Anche semplicemente perché, noi donne, ci abbiamo messo secoli a uscire dalla patologizzazione della nostra fecondità. 

Quand'ero adolescente, c'erano ancora tante ragazze che, d'estate, quando avevano le mestruazioni non andavano al mare, oppure ci andavano ma non si mettevano in costume, oppure si mettevano in costume, ma era fuori discussione che facessero il bagno. E io, ancora oggi, sono riconoscente a mia madre che, nonostante la stretta educazione (tipicamente meridionale) che aveva ricevuto, non mi ha mai impedito di fare tutto quello che volevo, nonostante il ciclo.

Che pure, almeno nel mio caso, non era affatto indolore. Ma come tanti altri dolori, poteva facilmente essere superato con una banalissima compressa di paracetamolo. Attenzione. Non sto dicendo che il dolore sia banale, né pretendo di aver ragione su questa storia del congedo mestruale. Sto solo dicendo che trattare le mestruazioni come un problema rischia di trasformarsi in un boomerang.

E che sarebbe molto triste, dopo tutte le battaglie che hanno fatto le donne per fare a pezzi gli stereotipi sessisti, tornare indietro nel tempo, quando, in ragione dei flussi mensili, si pensava che la femmina fosse impura, e si dovesse evitare persino di toccarla. So bene che, in Spagna, è stata da poco approvata una legge che istituisce, per le donne che hanno mestruazioni dolorose, un concedo di tre giorni e che, pure nel nostro Paese, sono state depositate proposte di legge (spesso firmate da parlamentari del Pd) che vanno nella stessa direzione. Forse è anche per questo che il sindaco Pd di Ravenna, Michele De Pascale, ha commentato la notizia parlando di «scelta di grande civiltà». Cosa che a me fa sorridere, sia perché non credo ci sia bisogno, ogniqualvolta si è d'accordo con una decisione, di scomodare la «civiltà», sia perché De Pascale è un uomo, e che ne sa, quindi, del ciclo, dei dolori mestruali, e di tutto ciò che le donne non hanno potuto fare (e in certi Paesi continuano a non avere il diritto di fare) quando hanno le mestruazioni? Lo sa che c'è ancora chi pensa che sia meglio evitare qualsiasi contatto con una donna col ciclo per evitare di corrompersi?

Filippo Fiorini per “La Stampa” il 28 dicembre 2022. 

Il segreto sta tutto in una certa idea di scuola e nel valore che si dà alla democrazia. «Non solo preparare al mondo del lavoro, ma insegnare a vivere, essere cittadini, partecipare e trasformare la società, quando in essa c'è qualcosa che non va, perché le regole esistono e lo permettono».

È così che Gianluca Darbi, un avvocato penalista di Ravenna che dieci anni fa ha risolto la propria crisi di mezza età abbandonando la professione del foro («poiché troppo solitaria») e ha partecipato a un concorso per dirigenti scolastici, è diventato oggi, insieme ai suoi alunni, il preside dell'istituto superiore più progressista d'Italia. Nello specifico, si tratta di un liceo artistico e si chiama Nervi-Severini.

È la scuola che per prima nel nostro Paese ha introdotto la possibilità per gli studenti di identificarsi con un nome e un genere sessuale diverso da quello di nascita. Sulle pareti esterne dell'edificio è stata mantenuta per mesi una scritta omofoba (incidentalmente contro lo stesso preside), come promemoria contro l'ignoranza alla base di questi atteggiamenti e, quando a gennaio riprenderanno le lezioni, qui prima che in qualsiasi altra scuola nazionale sarà permesso alle studentesse di stare a casa, nel caso abbiano dolori mestruali troppo forti.

«La proposta è arrivata in consiglio scolastico da quattro ragazze, rappresentanti di un istituto in cui le femmine sono il 70%», spiega Darbi, che scansa l'etichetta di preside del liceo più progressista («Non sta a me dirlo», dice), ma accetta quella di «scuola particolarmente attenta ai diritti». 

Quando la relazione è arrivata sul suo tavolo, gli è sembrata subito ben argomentata: «Le rappresentanti avevano raccolto le testimonianze di 16 compagne particolarmente afflitte in quei giorni, nonché portato l'esempio spagnolo, dove per legge le donne posso stare a casa dal lavoro, se i dolori sono insostenibili».

Così, c'è stato solo da trovare il modo. «In Italia è stata presentata una proposta in parlamento, ma non è mai stata approvata». Tuttavia, le regole per gli istituti scolastici ci davano margine per intervenire: di norma, le assenze non possono superare il quarto del monte ore totale, perché l'alunno possa essere promosso, ma sono previste anche delle deroghe per casi speciali e questi lo sono assolutamente».

All'atto pratico, le alunne che soffrono di dismenorrea (forti dolori mestruali), possono restare assenti due giorni al mese nel corso dell'anno, presentando una giustificazione firmata e un unico certificato medico generale. Se poi dichiarare questo malessere sul libretto delle assenze dovesse creare loro qualche imbarazzo, il preside chiarisce che «non sono obbligate a farlo».

A livello statistico, questo disturbo colpisce l'80% delle donne, manifestandosi in modo grave per il 10-15% di loro. Tuttavia, è particolarmente diffuso tra le adolescenti, dove crampi, coliche, nausea, vertigini, sudorazione ed altri sintomi intensi arrivano a toccare il 70% del campione in questa fascia d'età.

Uno studio pubblicato dal British Medical Journal tre anni fa, riportava che su ventimila ragazze intervistate, il 20% aveva saltato giorni di scuola durante le mestruazioni e il 41% dichiarava fatica a restare concentrata. È ancora presto per raccogliere le reazioni di alunni, genitori e pubblica opinione su questo provvedimento.

La sua firma è recente e le vacanze sono in corso. Però si può parlare di quelli che sono stati presi da questo preside e in questa scuola negli anni scorsi: la cosiddetta carriera alias, cioè la libera scelta di nome e genere d'identificazione, ha subito un'interrogazione consiliare in Comune a Ravenna, che non è mai andata in porto. Sei degli 850 studenti circa che frequentano il Nervi-Severini, invece, hanno deciso di usufruirne. D'altra parte, per quanto riguarda la scritta «il preside è gay», dopo il suo anno da monito sul muro, è stata sostituita dal graffiti di una matita coi colori dell'arcobaleno a opera di uno street artist locale. Da allora, non ne sono più apparse di analoghe.

Menopausa, quali sono gli 8 sintomi più comuni e perché è importante individuarli. La menopausa è una fase fondamentale nella vita di ogni donna, è importante affrontarla nel modo giusto intercettando per tempo i sintomi. Ecco gli 8 più usuali. Monica Cresci il 21 Marzo 2023 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Menopausa, di cosa si tratta

 Menopausa, gli 8 sintomi da non sottovalutare

 Tutti i rimedi più utili

La menopausa è un momento importante di passaggio nella vita di ogni donna che segna la conclusione della fase fertile. È un periodo di cambiamento fisiologico che si manifesta attraverso una serie di sintomi legati agli equilibri ormonali, e che coincide con l'interruzione graduale e poi definitiva del flusso mestruale.

Per comprendere la menopausa è importante riconoscere le tre fasi principali ma, in particolare, tutti i sintomi che la caratterizzano. Una necessità fondamentale per poter intervenire in modo corretto, supportando questo momento con gli strumenti e le cure più adatte per il benessere personale. Scopriamo cos'è la menopausa e quali i sintomi.

Menopausa, di cosa si tratta

Quando si parla di menopausa si fa riferimento a una fase specifica nella vita di ogni donna, che coincide con il passaggio dalla fase fertile legata alla presenza delle mestruazioni alla conclusione della stessa. È un momento fondamentale di transito che determina anche un numero importante di cambiamenti di tipo fisiologico oltre che mentale, con sintomi che è importante riconoscere. Non è una malattia ma un periodo che si manifesta attraverso una serie di alterazioni del ciclo mestruale, con la cessazione dell'attività delle ovaie e della produzione di estrogeno e progesterone.

È un percorso che si sviluppa in modo graduale ma caratterizzato da tre fasi fondamentali. Scopriamole insieme.

Perimenopausa: è il periodo che anticipa la menopausa stessa e può durare anni, ed è caratterizzato da un'oscillazione costante degli estrogenici e progestinici e con irregolarità legata alle mestruazioni. Queste ultime possono risultare maggiormente ravvicinate o più distanziate nel tempo, maggiormente abbondanti oppure più scarse.

Menopausa o transizione: coincide con il periodo di passaggio verso la menopausa, ovvero verso l'ultimo ciclo mestruale. Una fase di transizione e che può durare anche anni, con sintomi più presenti e maggiormente fastidiosi.

Post menopausa: avviene dodici mesi dopo l'ultimo ciclo mestruale, con i relativi assestamenti fisiologici e ormonali del corpo.

Le tempistiche spesso sono soggettive e condizionate da molti fattori, come ad esempio le abitudini legate al fumo, all'alimentazione, allo stile di vita solo per citarne alcune. In generale la menopausa si verifica tra i 45 e 55 anni di età, con episodi di menopausa precoce intorno ai 40 anni, meglio indicata come insufficienza ovarica prematura o insufficienza ovarica primaria. O al contrario può manifestarsi anche dopo i 55 anni ed è nota come menopausa tardiva.

Menopausa, gli 8 sintomi da non sottovalutare

La sintomatologia legata alla menopausa può palesarsi con intensità differente, sia leggera che modesta o fortemente fastidiosa. Anche la tempista può variare, passando dai 6 massimo 12 mesi fino ai 10 anni, per questo è importante intercettare per tempo i sintomi. Ecco gli 8 più importanti.

Irregolarità mestruale: il segnale più evidente legato alla produzione ovarica di ormoni che favorisce un ciclo mestruale con tempistiche differenti, troppo ravvicinate oppure più dilatate nel tempo, con dolori al seno, flussi abbondanti oppure scarsi, con pause tra un ciclo e l'altro fino alla definitiva scomparsa.

Vampate di calore con sudorazione notturna: gli sbalzi ormonali hanno ricadute sulle temperature corporee interne che producono un aumento del calore noto come vampata. Una condizione che si manifesta anche con sudorazione eccessiva, in particolare durante il riposo notturno.

Sbalzi d'umore e disturbi del sonno: gli sbalzi ormonali condizionano anche l'umore favorendo un aumento dell'irritabilità, dell'inquietudine personale, del nervosismo ma anche del malumore, della depressione e della voglia di piangere. In contemporanea il sonno diventa più irregolare e disturbato, spesso alterato dalle vampate notturne e da un riposo più nervoso e leggero.

Peso: gli squilibri ormonali incidono anche sul lavoro del metabolismo, che risulta più lento tanto da favorire un aumento di peso che agevola un accumulo localizzato del grasso, come ad esempio nella zona del girovita.

Dolori articolari: i cicli ormonali curano anche il benessere delle ossa e, venendo meno, si ha un aumento della loro fragilità e anche dei dolori articolari.

Secchezza intima, della cute e capelli più fragili: gli squilibri ormonali ricadono anche sul benessere dei capelli, sulla tonicità della cute e delle mucose come occhi, bocca e zona intima. La riduzione della lubrificazione naturale rende le pareti vaginali più fagil, delicate e asciutte con un aumento del fastidio, del prurito e anche del dolore durante i rapporti (dispaurenia).

Vie urinarie: il rivestimento dell'uretra si assottiglia con relativo accorciamento dell'organo, una condizione che può favorire infezioni. Con la menopausa aumenta l'urgenza legata alla minzione e, a volte, anche di piccole perdite.

Calo del desiderio: può presentarsi con l'avvento della menopausa, come conseguenza degli stravolgimenti ormonali. In particolare è avvertita come fase di cambiamento più dal punto di vista psicologico che fisico.

Tutti i rimedi più utili

Per gestire la menopausa in modo corretto è importante effettuare controlli di routine dal ginecologo di fiducia che potrà consigliare le terapie più adatte, introducendo la donna in modo graduale all'interno di questo momento così delicato. Inoltre il medico potrà consigliare esami specifici per monitorare il benessere delle ossa e del sistema cardiocircolatorio. In supporto a questa fase occorre seguire un regime dietetico sano e benefico, preferendo cibi integrali, pochi grassi e zuccheri, accompagnando il tutto con una maggiore idratazione. È consigliato del sano movimento anche all'aria aperta, per un migliore assorbimento della vitamina D. Il medico potrà suggerire l'assunzione di prodotti naturali utili a ridurre gli effetti fastidiosi dati dalle vampate di calore, a partire dalle tisane fino agli integratori e consigliare una terapia ormonale sostitutiva, creata in base alle singole necessità anche con prodotti di origine naturale. Utili anche le creme, i lavaggi e i lubrificanti per migliorare il benessere intimo. Fondamentali inoltre i controlli periodici con mammografie ed ecografie del seno.

Irma D'Aria per repubblica.it l’11 dicembre 2023.

La menopausa non è più quella di trent'anni fa, vissuta come l'inizio di una fase calante della femminilità e, quindi, anche della sessualità. Oggi le donne tra i 48 e i 55 anni sono ancora in piena forma fisica, spesso all'apice della loro carriera o pienamente realizzate sia sul piano professionale che familiare e di rinunciare a qualcosa non ne vogliono sapere.

Neppure alla sessualità […] Ma come far sì che la sessualità in menopausa resti un'esperienza piacevole? La risposta, arrivata dagli esperti che hanno partecipato all'evento Magari Sex Passion è semplice e diretta: allenandosi al piacere anche a 50 anni ed oltre.

 La menopausa è il periodo nel quale le ovaie cessano la loro attività e, di conseguenza, la produzione di ormoni estrogeni e progestinici. La carenza estrogenica può causare dolore e secchezza vaginale, […] Eppure, smettere di fare sesso è un errore. […]

Anche se razionalmente le donne in menopausa sanno bene che non è ancora tempo di rinunciare alla sessualità, devono però fare i conti con l'inevitabile calo del desiderio sessuale. […] spiega Roberta Rossi, psicoterapeuta, sessuologa e presidente dell'Istituto di Sessuologia Clinica. "Il calo del desiderio sessuale è dovuto ai diversi cambiamenti che si verificano - ormonali, fisici, individuali e di coppia […]".

 In effetti, ci si può lavorare senza rassegnarsi come spiega la sessuologa: "Si può intervenire con farmaci o integratori, si può lavorare sui cambiamenti del corpo per renderli maggiormente accettabili, si può lavorare sulla coppia per far comprendere che la menopausa non è la fine della sessualità, che possono essere scoperti anche modi nuovi per vivere l'intimità e permettersi di godere della sessualità anche in questa fase, scevra tra l'altro della preoccupazione contraccettiva, e buttando un occhio anche alla salute sessuale del partner".

[…]  D'altra parte, il sesso in menopausa non è solo possibile, ma addirittura raccomandabile. "In medicina spesso diciamo che la funzione fa l'organo e questo vale anche per l'apparato genitale femminile. Mantenere un'attività sessuale di tipo penetrativo può contribuire a mantenere l'elasticità dei tessuti vaginali", spiega Roberto Bernorio, ginecologo, sessuologo e vicepresidente della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica che aggiunge: "[…] Mantenersi sessualmente attive in menopausa può quindi svolgere un ruolo preventivo nei confronti di molte problematiche e disfunzioni della sessualità".

[…] Per allenarsi al piacere dopo la menopausa può essere d'aiuto anche la Sex Gym, ginnastica per il sesso che trae ispirazione dai celebri esercizi di Kegel, ideati dal ginecologo statunitense Arnold Kegel con l'obiettivo di esercitare la muscolatura del pavimento pelvico (che sostiene utero, uretra, vescica e retto). […] Rendere più elastica la muscolatura vaginale servirà a contrastare il cedimento dei tessuti, che a partire dai trent'anni può verificarsi per fattori vari (gravidanza, obesità, menopausa) e a migliorare pertanto la percezione del piacere femminile, incluso per riflesso quello maschile.

A volte l'anorgasmia può derivare anche da condizioni di eccessivo aumento di tono nella muscolatura della donna. È, quindi, importante avere consapevolezza della propria muscolatura ed esercitarla in modo appropriato a seconda che si sia ipertoniche o al contrario ipotoniche. […]

Propaganda Live, l'Inno nazionale "drag" è un autogol: "Agevolate la destra". Il Tempo il 02 giugno 2023

Nel giorno della Festa della Repubblica l'apertura di Propaganda Live, il programma condotto da Diego Bianchi in arte Zoro su La7, è affidata all'Inno nazionale, Il canto degli Italiani, altrimenti chiamato Fratelli d'Italia come il primo verso del testo. L'esecuzione è stata affidata alle Karma B, duo di drag queen, che si sono esibite in abito tricolore su un arrangiamento partito in modo soft, e poi sfociato in una marcetta ritmata. 

"Quello che potrebbe sembrare una provocazione allo stato attuale delle cose – ovvero vedere due drag queen che cantano l’inno d’Italia –, in realtà non lo è. Perché per noi questa è una 'dichiarazione' d’amore per il nostro Paese. E sottolineiamo 'nostro' in quanto, secondo noi, tutti i cittadini e le cittadine – di qualsiasi genere ed etnia –, hanno il diritto di trovare il loro posto in questo Paese", hanno dichiarato le due drag queen  prima della performance. 

Un 2 giugno celebrato in modo particolare dalla trasmissione di intrattenimento più amata dalla sinistra, e che è suonato a molti utenti dei social come una nota stonata. "Vi amo però ci sono dei limiti che non possono essere superati. Inno e Tricolore in un giorno come questo non dovrebbero essere trattati così. Non è una questione di interpreti perché l'inizio era tollerabile, magari non da tutti, poteva 'starci', il seguito no. Con affetto", scrive un telespettatore su Twitter. "Satira o cattivo gusto?", chiede un altro, mentre un utente sottolinea l'autogol in cui sarebbe incorso il programma: "Il peggior inizio che propaganda live potesse fare… avanspettacolo da ventennio. La destra non si batte così, si agevola".

Mattia Pagliarulo per Dagospia il 14 gennaio 2023.

L’irriverente Madame Sisì. Al secolo Carlo Tessari, classe 1961, imprenditore di successo di giorno e drag queen di notte. Madame Sisì è non solo una delle drag queen più note d’Italia che vanta numerose collaborazioni con vip e programmi tv, ma è anche, e soprattutto, la “madre superiora” (come ama definirsi lei) dell’Art Club Disco di Desenzano del Garda, una delle più rinomate discoteche del Belpaese. In questa intervista si rivela e ci parla di alcuni degli aspetti spinosi della politica, della sessualità e dell’attualità di oggi.

D: Madame Sisì, qual è la differenza tra una travestita e una drag queen?

R: La travestita va a caccia di un’erezione, l’ho detto molte volte anche in tv; drag queen invece si diventa per la passione del palco, il grande amore di sorprendere, di attirare l’attenzione. La cosa più bella, come diceva Andrea Occhipinti, è avere la forza enorme del pubblico, che sta fermo e ti guarda, è questo il premio della vita.

D: Come spieghi il fatto che l’uomo è così attratto da altri uomini agghindati da donna?

R: Il giardino “bottanico” del sesso - ride - è una grande fantasia e noi dobbiamo rispettare questo circo della vita. Esistono emozioni, giochi, sperimentazioni. Abbiamo bisogno di realizzare tutte quelle grandi piccole perversioni che ci fanno bene. È solo un fattore erotizzante.

 D: Cosa pensi dei Gay Pride, e in particolare di questa spettacolarizzazione delle figure religiose, come la Madonna a seno nudo o Gesù con tacchi e minigonna?

R: Il Gay Pride, da un punto di vista di insegnamento, ha un suo grande valore e potenziale, peccato che venga gestito male. Si va a ridicolizzare l’essere liberi, come se fosse un carnevale continuo, e non è così. L’uso delle immagini sacre in questo modo non è provocazione, è mancanza di rispetto, stupidità. A me, credente, dà fastidio perché va a toccare una parte importante della mia vita, la fede. Non so cosa possa insegnare questo, non è il modo di educare alla diversità.

D: Le nuove generazioni vivono la sessualità in maniera disinvolta e spesso bisessuale, cosa ne pensi?

R: I giovani di oggi hanno bisogno non di amare, ma di capire l’attrazione verso questo gioco di libertà. Dopo il Covid ho incontrato, e continuo a incontrare, tantissimi ragazzi con la volontà di fare esperienza. Bisogna fare le cose che ci fanno stare bene e provare nuove esperienze con consapevolezza.

 D: Qualche giorno fa una deputata di Fratelli d’Italia si è scagliata contro il cantante Rosa Chemical, che ha portato al Festival di Sanremo una canzone in cui si parla, a suo dire, di sesso, amore poligamo e porno ai tempi di Onlyfans. Pensi che sia giusta la censura in questo caso?

R: La censura è bella se serve a preservare la bellezza di qualcosa, la critica sotto l’onda politica talvolta è dettata dalla volontà di emergere. È più facile parlar male, vietare e fare casino per essere capiti e avere un gettone in più di visibilità, sparando spesso solo stronzate. Secondo me un artista ha la qualità di esprimersi nella sua grande libertà, ma ha anche l’obbligo di rispettare tutti, lì si deve colpire caso mai.

D: Cosa nascondono gli italiani nelle mutande, secondo Madame Sisì?

R: Gli italiani, alla fine, nascondono un’altra mutanda. Dopo 36 anni di attività e tante storie ascoltate… la paura… fa stringere le mutande. Dobbiamo ascoltarci senza giudicarci.

Il Numero.

La Perversione.

Le esperienze personali.

La Cura.

La Legge.

Le ritorsioni.

La denuncia.

Lo Sport.

L’ideologia.

Il Riconoscimento e la nominazione.

I porno.

Il Numero.

(ANSA il 22 marzo 2023) - E' morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l'unica transessuale italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti. Ne dà notizia il fondatore dei Sentinelli e consigliere regionale lombardo Luca Paladini. Nata come Luciano Salani a Fossano, nel 1924, era cresciuta a Bologna come uomo omosessuale. Antifascista, dopo aver disertato sia l'esercito fascista italiano che quello nazista, è stata deportata a Dachau nel 1944.

Ovunque sui giornali. Ma le persone transgender sono solo lo 0,5%. Storia di Roberto Vivaldelli su Il Giornale il 4 febbraio 2023.

Il dibattito sul "gender" e sulle rivendicazioni delle minoranze di genere ha assunto sempre più importanza negli ultimi anni, soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Ciò che non sappiamo è quante persone si identificano effettivamente come "transgender", "queer", o "non binarie": a giudicare dall'attenzione mediatica su questo tema, saranno sicuramente tantissime, no?

La risposta a questa domanda potrebbe essere sorprendente per qualcuno. In Inghilterra e Galles, agli intervistati del censimento del 2021 è stato chiesto del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere e ora l'Office for National Statistics (Ons) ha pubblicato i primi risultati.

Agli interpellati è stato chiesto: "Il genere con cui ti identifichi è lo stesso del tuo sesso registrato alla nascita?"; e "quale delle seguenti definizioni descrive meglio il tuo orientamento sessuale?", con la possibilità di scegliere fra quattro risposte, "Etero/eterosessuale", "Gay o lesbica", "Bisessuale", e "Altro".

I dati del censimento

Il 92,5% degli intervistati di età pari o superiore a 16 anni ha risposto alla domanda sull'orientamento sessuale, mentre il restante 7,5% ha scelto di non farlo. L'89,4% si è identificato come etero o eterosessuale. Circa 1,5 milioni di persone (3,2%) si dichiarano come gay, lesbiche, bisessuali o con un altro orientamento sessuale (Lgbtq). L'1,5% si è identificato come gay o lesbica (circa 748 mila) mentre l'1,3% (628 mila) come bisessuale.

Un ulteriore 0,3% (165 mila) si identifica con un diverso orientamento sessuale, mentre "altri" orientamenti più comuni sono pansessuale (112 mila persone), asessuale (28 mila persone) e "queer" (15 mila persone). Rispetto alla domanda sull'identità di genere, il 93,5% degli interpellati ha affermato che la propria identità di genere e il sesso registrato alla nascita erano gli stessi, mentre 262 mila persone (0,5%) hanno invece affermato che erano diversi. Ma attenzione: non tutte le 262 mila persone si identificano esplicitamente come transgender. Circa 48 mila persone (0,1%) si dichiarano "uomini trans" e altrettante (48 mila) come "donna trans". Parliamo dunque di una fetta di popolazione davvero esigua che, a quanto pare, riesce ad attirare un'attenzione mediatica spropositata.

Lo scontro nel Regno Unito, Londra contro Edimburgo

I dati del censimento vengono pubblicati mentre nel Regno Unito è in corso un durissimo confronto tra il governo del Partito Nazionale Scozzese (Snp) di Edimburgo e il governo conservatore di Westminster su un disegno di legge votato di recente in Scozia, grazie alla quale è decisamente più facile cambiare "genere" rispetto al passato. Il parlamento di Edimburgo ha infatti approvato un sistema di "autoidentificazione" per le persone che desiderano cambiare il proprio genere dal punto di vista legale.

Le nuove regole abbassano a 16 anni l'età in cui le persone possono richiedere un certificato di riconoscimento di genere (Grc). Viene inoltre eliminata la necessità di una diagnosi medica di disforia di genere: è la prima e unica nazione del Regno Unito ad approvare una legge di questo tipo. Allo stato attuale le persone in Scozia sono già in grado di cambiare il proprio "genere" sin dal 2005. Tuttavia, il governo scozzese ritiene che il processo esistente possa essere "invadente" e "scoraggiare" le persone a richiedere il certificato.

La legge ha fatto molto discutere, soprattutto quando si è diffusa la notizia dello stupratore che, dopo aver completato la transizione a donna transgender, è stato inizialmente assegnato a un carcere femminile. Ci è voluto l'intervento della First Minister scozzese Nicola Sturgeon per assicurarlo a un penitenziario maschile.

Le preoccupazioni circa il probabile impatto del disegno di legge sui diritti delle donne ha spinto il governo del Regno Unito a bloccare il disegno di legge: decisione che provocato la dura reazione sia degli attivisti per i diritti dei transgender che dei nazionalisti scozzesi. Circa 15 mila ragazzi nati in Scozia, nota Al Jazeera, di età superiore ai 16 anni, attualmente frequentano la scuola in Inghilterra e Galles. In base alla nuova legge, ognuno di questi bambini potrebbe utilizzare il sistema scozzese per cambiare sesso legale mentre frequenta la scuola. Un'ipotesi intollerabile per Londra, che ha bloccato il disegno innescando una crisi diplomatica tra Inghilterra e Scozia.

La Perversione.

La forza perversa del gender: sentirsi cane e trasformarsi in Lassie. Due casi di auto-percezione: l’uomo che gira vestito da donna e il giapponese a quattro zampe. Max Del Papa su Nicolaporro.it il 2 Agosto 2023.

Il globalismo di rapina che gioca sulle suggestioni degli inganni ha convinto la gente che deve essere “quello che si sente”. Non quello che è, nietzschianamente: quello che si sente, fosse un supereroe o un animale o un mostro. Questo globalismo di rapina è il capolinea di una tendenza gender partita in anticipo, diciamo da una ventina d’anni, più razzista che elitaria, ma razzista nel censo, nei soldi fatti non importa come ma basta siano fatti: anche il crimine va bene, anche la totale perdita di dignità, per cui se sei dentro ci sei e se non riesci a entrarci non esisti.

Se poi per entrare devi vestirti da cane o da donna, essendo uomo maschio e etero, va benissimo perché provvede la televisione a dettare i modelli, come il prototipo Drusilla, maschio, etero, dice lui, senz’arte né parte fino a che non lo lanciano nel Sanremo fluido vestito da donna, e a completare l’infingimento provvedono i teppisti lessicali, quelli degli asterischi e delle vocali rovesciate, a teorizzare che anche nello scrivere e nel parlare non deve esserci una identità definitiva e quindi responsabile.

Il caso Stefano Ferri

Ecco allora l’emulo di Drusilla, tale Stefano Ferri che a 56 anni suonati gira per metropolitane e strade en travesti, tentando di epater le bourgeois come nel ‘68; e siccome c’è sempre qualche piccoloborghese rimasto all’epoca dei pruriti e degli ingenui stupori, basta trovarlo e poi montarci su il can can. Così arrivano i dieci minuti di notorietà che però non portano più a nessun affare apprezzabile perché così fan tutti. Chi è questo Stefano Ferri che finge di sdegnarsi se gli ridono in faccia? È uno che non vuole capire l’ovvio e cioè che dopo il culto di Priapo e delle baccanti, dopo tremila anni di travestimenti e almeno cinquanta o forse cento di società invertita, glam, travona o queer, all’inglese disinvolto, il ridicolo non sta nel travestito ma nel travestimento, per dire qualcosa di talmente malfatto, di talmente imbarazzante da indurre a compatimento e a divertimento. Non è la maschera ma il mascherone, l’andar girando come un fenomeno da fiera che fa scuotere la testa nella totale assenza di moralismi ormai morti come il Dio di Nietzsche e quello di Bergoglio.

Che cosa vuole, che cosa cerca questo esercito di laccati, di smaltati, di incerti per vocazione o per ambizione? Vuole emergere, vuole fare i soldi, tanti o pochi che siano, sapendo di non avere altre capacità; e l’affarismo globalista, che è di suo un travestimento, la mascherata orrenda del capitalismo delle cose e delle intraprese, lo blandisce, lo asseconda. L’ideologia woke, o gender, per cui uno “è quello che si sente” è roba da manicomio, induce a credere o fingere di credere allo scemo con lo scolapasta in testa che si sente Napoleone, ma lo fa più per calcolo che per ideologia; c’è tutto un mercato, in potenza colossale, che prescinde dai beni, dagli oggetti di consumo o meglio li usa come accessori alla vanità strampalata e pretenziosa.

La moda gender

Il vecchio Stefano Ferri che cerca vittime da scioccare non crede di essere una donna, si atteggia a donna perché vuole l’effetto influencer che è la chiusura del cerchio, sono i Ferragnez senza arte né parte che si fanno la villa dirimpetto ai Clooney, sul lago di Como, perché sono dentro, sono nel giro del soldo facile e come tali accolti dalla politica, dalla sinistra piddina che difende il reddito di cittadinanza e dal presidente della Repubblica che non tollera dissenso quanto a vaccini, a clima. Ma come mai sull’individuo, sulla sua sessualità, vige la autopercezione e sul clima vale solo la scienza infusa del presidente e di chi gli da ragione? Per dire la percezione a senso unico di chi dice è così e basta e se non sei d’accordo ti scarico all’ospedale o in galera.

Già, la dittatura della percezione funziona in una direzione: io sono libero di percepirmi Uomo Ragno, strega o unicorno ma tu non sei libero di percepirmi come credi, tu devi solo adeguarti. Devi credermi. Mentre io posso non credere a te. Che la società su simili basi sia destinata a implodere nel pandemonio, nel regno degli inferi l’abbiamo detto, che nessuno ci creda veramente è un altro paio di maniche. Non ci crede davvero il malato mentale giapponese che ha speso una fortuna per “diventare” un collie e si fa portare al guinzaglio, ma la merda degli altri cani non la mangia e presto o tardi si stuferà di crocchette che lo ammazzano lentamente; e non ci crede la malata di mente norvegese che si identifica in un gatto. Hanno semplicemente trovato chi ci casca, come la guitta Giorgia col ministro Pichetto, una che ha l’ecoansia ma sul profilo social scrive, alludendo alla Meloni: meglio maiali che fascisti.

Questo postcapitalismo dei miraggi si regge sulla menzogna sapendola tale, postula l’assenza, se non il divieto, di una sessualità certa, convince i giovani e i giovanissimi che si fanno drogare, si fanno stravolgere gli ormoni e magari evirare o amputare da chirurghi delinquenti, Stranamore senza scrupoli e subito dopo si pentono, danno la colpa al sistema mediatico con le sue suggestioni malate. Ma il sistema mediatico è intrecciato con la politica ideologica che dipende dal mercato dei desideri e del laido. Prova ne sia che nessuno si identifica mai nelle figure del filantropo o del martire, del generoso, di quello che si sacrifica per la collettività, l’autopercezione è sempre, inesorabilmente egocentrica, sul narcisista patologico.

Il mercato dei sogni e degli incubi è a suo modo geniale: prima distrugge la moda, riducendola a baraccone di luna park, azzerando le differenze nei generi, criminalizzando l’idea stessa di una moda con la scusa che sarebbe antiecologica, che anche quella riscalda il pianeta; poi risolve dirottando fogge e accessori da umano a bestia, ad alieno, a mutante. Geniale ma miserabile perché proiettato sul tempo breve e brevissimo della percezione che non dura, che cambia come e più del clima. Mentre, come faceva dire Giovannino Guareschi a don Camillo, rivolto a Peppone: “Sotto il comunismo le donne hanno raggiunto la parità con gli uomini, non le distingui più, adesso si tratterebbe di lasciarle vestire da donna”. Oggi, la libertà è opposta ed è imperativa, vestirsi, atteggiarsi da ciò che non si è e non si può essere. Ma alla fine il desiderio di ritrovarsi, di abbellirsi torna sempre fuori perché è naturale e la natura seppellisce gli uomini con le sue brutture e dura, spacca il cemento della follia, la spunta lei. Max Del Papa, 2 agosto 2023

Le esperienze personali.

Protesi fuori norma e silicone di troppo: le violenze sul mio corpo di donna nata maschio. Storia di Lilith Primavera su Il Corriere della Sera lunedì 4 dicembre 2023.

La sovradeterminazione sui corpi delle donne, la violenza con cui è perpetuata a livello medico, lascia spazio a mille storie. Una di queste è la mia. Nel 2001 mi sono sottoposta a un intervento di mastoplastica additiva e il chirurgo al quale mi affidai scelse per me delle protesi per lui molto economiche, e che lo erano perché «fuori norma europea», oltre a del resistentissimo silicone per le labbra (invece di filler riassorbibili) che con gli anni ho imparato a temere e odiare.

Ci andai in giro per dieci anni senza essere minimamente avvisata e intanto le protesi scivolavano subdolamente via dal loro posto mentre io maturavo il desiderio di liberarmene per tornare alla mia prima “naturale”, frutto di anni di ormoni per la terapia sostitutiva che da donna nata maschio, ho deciso di intraprendere dal 1999 per affermare la mia identità di genere al femminile.

Nel 2010 ebbi la possibilità di investire del denaro per togliermi finalmente le protesi e il silicone dalla bocca: avevo avuto il contatto di un famoso e rinomato chirurgo che mi avrebbe liberata da quei pesi sintetici che mi facevano apparire come la donna immaginata da qualcun altro. Questo famoso e affidabile chirurgo, però, mi fece pressione per sostituire le protesi fuori norma europea con altre di ultima generazione che mi avrebbero regalato un «corpo armonico». Cedetti e mi ritrovai con due bellissime tette, il silicone dalle labbra venne tolto solo in parte, perché per lui la bocca necessitava comunque di un po’ di turgore.

E mi risvegliai dall’anestesia con un corpo che non mi apparteneva del tutto, sovradeterminata anche in quell’occasione, nonostante non fossi più una ragazzina, ma una giovane donna single. E trans, naturalmente, perché quando sei trans per alcuni chirurghi a quanto pare devi essere fatta in un certo modo e rappresentare determinati canoni estetici.

Sono passati altri dieci anni, le protesi tanto decantate di ultima generazione si sono incapsulate (significa che improvvisamente il mio organismo ha deciso di trattarle come un corpo estraneo) e adesso che sono quarantenne, sempre single ma più decisa e consapevole, anche grazie al mio quotidiano femminista di lotte condivise e intersezionali con quella che considero la mia comunità fluida di riferimento, finalmente ho trovato la dottoressa Giulia Lo Russo che asseconderà la mia esigenza di autodeterminazione e leggerezza, liberandomi dalle protesi e dai rimasugli di silicone dalle labbra.

I miei zigomi, già predisposti geneticamente a essere importanti, pare che pure abbiano dei residui di silicone, che si sono irrimediabilmente integrati ai miei tessuti muscolari, impedendone la rimozione, purtroppo. Quando si dice “cyborg”… Donna Haraway insegna.

Eppure la mia è solo una storia tra tante, purtroppo. Mentre scrivo queste righe una amica viene a trovarmi riportandomi la storia di una conoscente che un due mesi fa, qui a Roma, si è affidata a un chirurgo per una femminilizzazione del volto e ora non riesce a chiudere la bocca, perché il lifting al labbro superiore le ha accorciato troppo il lembo di pelle tra bocca e naso. Quando mastica il cibo le esce. E il chirurgo le dice di avere pazienza e minimizza per tutelarsi da una denuncia.

Nei tardi anni ’90 un’amica si affidò a un ospedale pubblico per togliere una cisti al seno e il chirurgo, non solo le menomò irrimediabilmente il capezzolo, ma la tenne in ospedale tre giorni più del necessario perché si era punto durante l’operazione e temeva per pregiudizio che lei, siccome trans, gli avesse passato l’Hiv. L’assistente di un primario che l’aveva operata ai genitali quindici anni fa le disse «ma pensa che tempo fa a quelli come voi facevano l’elettroshock e ora vi facciamo le operazioni, dovresti ringraziare e accontentarti», quando aveva provato a chiedere se fosse possibile risolvere il problema della minzione e dei peli che le crescevano dentro la vagina.

Quando raccontai a un amico, ragazzo nato femmina, di cosa era riuscito a dire quello schifo di uomo, mi raccontò che proprio da lui era stato operato la prima volta per mascolinizzare il suo torace, e che lo aveva umiliato bullizzandolo e facendo un lavoro pessimo e doloroso, che ringraziando il cielo proprio la dottoressa Giulia Lo Russo gli aveva sistemato. E come dimenticare quello scandalo, uscito su molti giornali, di un altro ospedale romano dove un gruppo di ragazze trans è stato sottoposto a interventi sperimentali che le hanno lasciate deturpate?

Queste cose succedono quando la società in cui si vive ti considera un cittadino di serie C, a cui bisogna insegnare come deve essere, come nella migliore tradizione del mansplaining. E nel peggiore dei casi, si diventa cavie e polli da spennare. Un’altra cosa che ho imparato è che a volte per rendersi conto di aver subito una violenza ci vuole del tempo: io ci ho messo anni per accettare di aver subito violenze chirurgiche sul mio corpo. Mi vergognavo di averle subite. Negavo e mentivo a me stessa.

Ho spesso esitato a raccontare la mia storia, devo fare attenzione a mostrare il fianco, perché lì fuori è pieno di hater che non vedono l’ora di affossarci, ma anche parlare di endometriosi, o dei tagli orizzontali alla vagina durante il parto, o delle mutilazioni ai neonati intersex, un tempo era impossibile, e proprio parlandone le cose hanno cominciato a cambiare. Il personale è politico.

Chissà quante altre, non in vista, si sono sottomesse alla prepotenza di quei chirurghi ritrovandosi assemblate come bambole di pezza secondo i dettami dell’aspettativa sociale sul corpo delle donne. Lo stigma sulle donne trans porta anche a questo tipo di violenza. Lo stigma sulle donne, porta a questo tipo di violenza. Lo stigma, porta alla violenza. Non devono esistere cittadini di serie A e cittadini di serie Z. Ci sono tanti tipi di violenza, non abituiamoci a subirli. (testo raccolto da Eva Cabras) Lilith Primavera è attrice, performer, attivista

Estratto dell’articolo di Natalia Aspesi per “il Venerdì di Repubblica” il 25 Aprile 2023.

[…] una segreta curiosità, quella di incontrare finalmente una donna per me speciale, una signora che era stata un uomo fatto e finito e padre di quattro figli, e che nella nuova veste di ex giovanotto si ritrovava benissimo. 

Ma allora di non binary, i transessuali, l’incongruenza di genere, la riassegnazione del sesso, tutto fuorché i modesti binari, se ne parlava come di luciferi, di stranezze della vita, e se ne contavano pochi, anzi pochissimi […] Jan Morris […] era una grande giornalista inglese e avrei potuto incontrarla [...] E sapere finalmente dove era finito ciò che aveva fatto di lei un maschio. La fortunata signora che era riuscita ad ottenere ciò che pareva una magia, è poi morta il 20 novembre 2020, a 94 anni, con una valanga di obituary […] 

I premi e le imprese

È appena uscita la biografia di una precisione forse troppo accurata (597 pagine!) di Paul Clements, tanto da andare molto oltre i dettagli della sua mutazione, raccontandoci pagine e pagine del suo lavoro come giornalista, dei tanti premi prestigiosi compreso anche l’aristocratico CBE, il  Commander of the Order of the British Empire, datole personalmente dalla regina Elisabetta II […]  contiene una parte di fotografie, divise secondo il lui e il lei […]

Settant’anni d’amore

C’era stato il periodo breve della giovinezza poi rifiutata, in cui con grande gioia, a guerra finita, aveva seguito le lusinghe della confusa passione, sposando Elizabeth Tuckniss: lui aveva 22 anni, lei 24, e un lungo invincibile amore che, a parte il tempo del loro divorzio,  sarebbe durato settant’anni, tutta la loro vita. 

La passione per il suo lavoro era iniziata con la sua straordinaria ascesa per il Times […]  Ma anche la sua vita di famiglia era piena di promesse accanto alla sposa: Mark nasceva il 12 gennaio ’52,  Henry un anno dopo, Virginia nel ’60 muore dopo un solo mese di vita, poi Tom detto Twm nel 1961 e nel ’64 la piccola Suki.

Sono anni drammatici per James, anni di tentativi di suicidio, di emicranie forsennate, alla ricerca di qualcuno che lo segua e lo capisca. […] 

Nel 1972 anche James è pronto:  lui è già lontano, in un mondo che sta per dargli il vero posto nella vita, e si prepara fisicamente e psicologicamente ad affrontare il grande ed epocale passaggio di genere. La mattina del  1972 entra a ”Villa Frankenstein”, come gli imprudenti chiamano la clinica di Casablanca, che alla fine ha scelto per non dover divorziare dalla moglie come previsto dalla legge, cosa che poi farà poco dopo. Il medico, celebre per questo tipo di interventi, è Georges Burou, che ha già operato la modella April  Ashley, Coccinelle.

[…] A 47 anni ricomincia sentendosi felicemente donna, e avrà davanti a sé altrettanti anni di vita. Una vita piena, ricominciando a vivere con Elizabeth dopo dieci anni di separazione e una cerimonia civile. […]

La storia dell’ex partecipante del grande fratello. Rebecca De Pasquale, storia dell’ex Gf: “Ero don Mauro, ora sono me stessa anche sui documenti: finalmente felice grazie all’aiuto di un’amica”. Rossella Grasso su Il Riformista il 6 Marzo 2023

Purtroppo in Italia siamo ancora abituati a dover dare troppe spiegazioni alla gente”. È Questo che Rebecca De Pasquale, 43 anni, si è sentita dire dalla giudice che aveva appena dato il via libera al cambio nome sui suoi documenti. È nata uomo con il nome di Sabato, è stato un monaco e anche Don Mauro ma dentro di se ha sempre saputo di essere Rebecca. Con coraggio e a testa alta ha affrontato tutte le difficoltà di chi affronta un simile drastico cambiamento e ha coronato il suo sogno di essere donna, nel corpo e anche sui documenti. Un percorso non semplice ma che ci tiene a raccontare per lanciare un messaggio ben preciso: “Non arrendetevi mai, non siete soli”. E lei sola non è stata: ha incontrato sulla sua strada Loredana Rossi, storica fondatrice dell’ATN, Associazione Trans Napoli che l’ha accompagnata e supportata nelle fasi più delicate della sua transizione, e anche in quella legale.

La storia di Rebecca

Posso dire che la mia vita è strutturata in tre situazioni: c’è la forza del corpo da uomo, Sabatino. Poi c’è la pazienza, la sopportazione e la voglia di vivere e della Provvidenza di Don Mauro. E c’è la dolcezza della donna accogliente che fa parte della femminilità, Rebecca”. E probabilmente tutto questo è la grande forza di Rebecca. È nata in una famiglia numerosa di sei figli nel 1979 a Eboli. “Mi hanno chiamata Sabato come mio nonno – racconta Rebecca – Ho vissuto la mia infanzia in modo spensierato ma alle medie iniziava a formarsi dentro di me la delicatezza della bambina. Ho sempre coltivato la fede e, da giovanissimo, mi tuffai nelle letture sacre. Decisi di fare un’esperienza in un convento di frati. I miei genitori non erano d’accordo ma mi lasciarono fare”.

Così il 23 giugno 1997 entrò nel convento dei Frati Cappuccini a Eboli. Il 4 marzo dell’anno seguente conobbe i Benedettini di Cava De’ Tirreni. “Appena entrai, le luci soffuse, il canto gregoriano e l’atmosfera, riempirono letteralmente la mia anima. Ero felice. Ho fatto il noviziato a Montecassino: lì ho potuto studiare tanto e fare mio un bagaglio di informazioni che ancora oggi mi porto dentro. Mi diedero il nome di Don Mauro. Ma dentro di me iniziavano a muoversi dei ‘fumetti’ che ricordavano il Sabatino mondano, quello dei primi baci coni ragazzi. Era una tentazione diabolica per Don Mauro? No, era la mia natura vera e propria che veniva fuori. Io iniziavo a soffrire. Mi chiedevo: come posso restare qui? Mi uscì anche la voce più potente da tenore”.

Come se quella consapevolezza fosse finalmente venuta fuori, sotto forma di una voce diversa e una gioia nel cuore incontenibile. Scappò dal convento e riuscì ad entrare nel Conservatorio di Salerno: la sua voce era l’espressione della sua grandissima gioia di vivere. “Mi conoscevano ancora tutti come Don Mauro ma io volevo essere libera perché il Padreterno non si può prendere in giro”. E così prese il coraggio a quattro mani e disse ai suoi genitori di essere gay. “Mia mamma rispose che lo sapeva già – continua il racconto – Mio padre rimase pietrificato. Ma era giusto così: una notizia simile non è sempre semplice da accettare per un genitore. Ci vuole pazienza e sopportazione anche da parte di noi figli, non possiamo pretendere tutto e subito dai nostri genitori. Bisogna dialogare e camminare insieme. Però tutto il resto della mia numerosa famiglia comprese. Sono stata molto supportata dalla mia famiglia, penso anche grazie al mio carattere”.

La transizione e il cambio nome sui documenti

Voleva essere donna in tutto e per tutto. Lo disse a sua madre che le rispose: “Sarai ancora più femmina forte quando avrai il coraggio di affrontare tuo padre”. Capì in quel momento che non avrebbe mai dovuto chiudersi in se stessa perché sennò sarebbe rimasta soffocata. Così affrontò il padre che non la prese bene e disse che a casa non la voleva più. “Ci pensò Dio a sistemare tutto: fui chiamata al Grande Fratello, dopo 3 mesi ho conosciuto il mio compagno di vita,…questa non è una Grazia ricevuta?”. Le porte si sono spalancate ancora di più quando ha conosciuto Loredana Rossi, storica attivista napoletana per i diritti delle persone trans e fondatrice dell’Associazione Trans Napoli. “Grazie a lei ho potuto avere la rettifica del nome sui documenti e coronare il sogno a livello estetico – racconta Rebecca – Erano cose in cui non speravo perché pensavo fossero troppo costose e che non potessi permettermelo. Invece Loredana mi disse che era un mio diritto e che potevo farlo gratuitamente. Non mi ha mai lasciata sola e questo mi ha cambiato la vita: ora sono come volevo essere”. Rebecca ha partecipato all’edizione del Grande Fratello 14. “Quando gli autori mi chiesero quale valore aggiunto io portassi nella casa, risposi loro: la quotidianità, l’essere casalinga e una transessualità al bacio, ossia naturale, senza troppi fronzoli, né barocca né roccocò, così splendida nella sua quotidianità”.

Il supporto dell’Associazione Trans Napoli e di Loredana Rossi

Loredana Rossi racconta che l’associazione Atn è nata nel 2007 con 40 persone che capirono che anche loro erano persone e come tali avevano diritti come tutti i cittadini italiani. “La transessualità in quegli anni non era accettata e quindi venivi esclusa ed emarginata da tutti prevalentemente dalle istituzioni – racconta la storica attivista – Dal 2007 abbiamo fondato l’associazione Atn proprio per difendere i diritti e la dignità umana delle persone transessuali. A Via Palmieri abbiamo uno sportello dove accogliamo le persone trans per il cambio del nome e supportarle nell’affrontare le numerose difficoltà che una persona trans incontra nel suo percorso”.

Loredana spiega che molte persone non sanno che l’intervento di chirurgia al seno può essere svolto gratuitamente grazie all’Asl, che il nome si può cambiare all’anagrafe anche gratuitamente con il patrocinio. “Noi cerchiamo di fare informazione per far capire a molte persone che non hanno la possibilità di farlo che possono avere tutto questo perché è un loro diritto”. Loredana con orgoglio ci mostra la medaglia che le ha conferito il Comune di Napoli alle 20 donne che maggiormente si erano distinte durante la pandemia per aiutare il prossimo. “Per me è stato particolarmente bello perché in mezzo a queste donne c’era anche la donna Loredana Rossi. Finalmente sto avendo i miei riscatti della vita così martoriata nel passato. Mi hanno fatto sentire umana”.

Secondo la grande esperienza di Loredana, in Italia la strada da fare per il riconoscimento dei diritti è ancora molto lunga. “Pensate alla Spagna: lì a 14 anni puoi andare con i genitori e dire chi sei, a 16 fare il cambio nome sui documenti senza dover aspettare un anno di processo come in Italia. L’affermazione lì è fine a se stessa, non è un lungo percorso doloroso. Spero che finalmente la gente capisca che ci sono persone che soffrono solo per il loro orientamento sessuale e per il loro genere e questa non è civiltà, non è più umanità”.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

La transizione e la reazione incoraggiante degli alunni. “Ero professore, ora sono professoressa ma i miei alunni hanno capito”, la storia di Simona docente trans. Rossella Grasso su Il Riformista il 14 Febbraio 2023

I miei studenti mi hanno supportata, fatta sentire parte di loro. Non ho mai subito atti di violenza verbale per la mia identità. E quando mi sono presentata vestita da donna mi hanno mandato messaggi WhatsApp per incoraggiarmi. La stessa cosa è successa con la dirigente scolastica”. A raccontare il delicato momento della sua transizione è la professoressa Simona Fatima Cira Aiello, che fino a poco tempo fa era il professore Salvatore. La prof insegna Italiano e Storia all’Istituto Polispecialistico “Marconi Galilei” di Torre Annunziata. Ha iniziato la sua transizione e in classe è stata accolta, compresa ma soprattutto sostenuta: “è stato del tutto naturale, anche per i miei alunni”, ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera.

La prof Aiello, 51 anni, racconta cosa sia significata per lei la transizione: “Un atto di responsabilità verso se stessi. Ci sono arrivata tardi, a 48 anni, e non è stata una scelta, ma soltanto un riadeguamento del mio corpo a ciò che conteneva l’anima”. E forse è proprio con il suo esempio che la prof ha dato una importante lezione ai suoi alunni: “Essere donne non significa mettersi tacchi a spillo o la gonna: puoi uscire anche coi pantaloni e sentirti dire ‘buongiorno signora’. Sta tutto in come ti poni”, ha raccontato.

Parla di se come una persona che è sempre stata molto discreta. “Da donna mi sono presentata vestita senza eccessi. E gradualmente, per fare abituare i miei allievi all’idea che il loro professore fosse diventata una prof”. E loro lo hanno compreso sin da subito. “Loro ovviamente percepivano che la mia natura non era quella maschile ma mi hanno sempre rispettato. Certo i commenti stupidi non mancano mai, però sono stati davvero pochi. Nella fase della transizione, ho iniziato con piccole cose: un giorno indossavo gli orecchini, un altro mettevo lo smalto. Si sono subito abituati e anche senza domande dirette, hanno compreso la mia situazione”.

Il dramma di Cloe, prof transgender messa ai margini: “Hanno tentato di annientarmi, oggi la mia libera morte”

La prof racconta che anche gli altri colleghi le hanno dimostrato grande affetto, ha sentito poche risate intorno a se. E tutto questo non è affatto scontato, anzi, la cronaca ci induce a credere che sia molto più frequente il contrario. “Mi ritengo fortunata, soprattutto dello scambio che ho con i miei allievi. Mi hanno accolta come io accolgo le loro storie difficili”, continua Aiello che racconta la sua storia: “Avevo 12 anni e mi dicevo: dentro sono donna e voglio diventarlo. Giocavo coi ragazzi ma desideravo le Barbie. Purtroppo però erano gli anni ‘80, non era concepibile nemmeno un figlio gay, figuriamoci transessuale. Mio padre mi costrinse persino ad andare all’istituto tecnico mentre io volevo fare il magistrale”.

Leggendo la sua storia non può che tornare alla mente la vicenda di un’altra professoressa trans, Cloe Bianco. Per lei la sorte fu un’altra, crudele: decise di togliersi la vita dopo anni passati ed essere bullizzata e non compresa, non accettata. “Cloe era la mia professoressa, uccisa da una comunità retrograda”, scrisse pochi giorni dopo una sua alunna in una lettera aperta. La storia della professoressa Cloe ricorda che c’è ancora tanto da fare per accettare e comprendere realtà che esistono da tempo. Ma la storia della professoressa Aiello è un faro nella notte, una luce di speranza che indica che tutto questo è possibile. E che tanto dolore può essere evitato semplicemente con il rispetto.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

Estratto dell'articolo di Lia Celi per “La Stampa” il 5 febbraio 2023.

 La vita da genitori di ragazzi e ragazze trans inizia con una raffica di domande angosciose, da «dove abbiamo sbagliato?» a «gli farà male?», passando da «come lo spieghiamo alla nonna?». Soprattutto se la disforia di genere si presenta in un figlio o una figlia ancora adolescenti, quando la loro salute e il loro benessere sono ancora in carico a noi – ma la loro felicità no, non più. […]

Ma forse lo spettro più destabilizzante di tutti è un figlio o una figlia che non si sente più a suo agio nel corpo col quale l'abbiamo fatto o fatta, non si riconosce più nel nome che gli o le abbiamo dato. […]

 E il figlio o la figlia adolescente trans non ha né la maturità né la pazienza per rendersi conto che, quando fa «coming out» con babbo e mamma, non gli sta chiedendo solo di accettarlo e accompagnarlo nel suo percorso di transizione, ma di affrontarne una loro stessi, rispetto alla quale sono meno pronti e spesso meno informati di lui o di lei. […] Deve mettere d'accordo testa, cuore e viscere nell'elaborazione di un complessissimo evento che per un padre e per una madre è nello stesso tempo una perdita e un'acquisizione, un lutto e una nascita.

Non è cosa né breve né facile, nemmeno per genitori aperti e disponibili. Anzi, più crediamo di essere aperti e disponibili, più rischiamo di fare figure patetiche – e qui parlo per me, madre di un ragazzo trans, Roman, che quando mi fece «il discorso» tutto si sarebbe aspettato tranne il mio sguardo sbigottito, le mani che si aggrappavano al tavolo e l'espressione di chi già immagina chirurghi-Frankenstein che tagliano qualcosa lì e aggiungono qualcos'altro là.

[…]Non capiva, e forse non può capirlo nemmeno ora, che per me lo choc non è stato tanto quel che intendeva fare del suo corpo (era maggiorenne e responsabile delle sue scelte), quanto il dover cambiare di colpo me stessa, il mio sguardo, la mia narrazione e il mio discorso riguardo a lui. […]

 E non posso essere stata la buona madre che credevo, perché non ho capito, non ho intuito, anzi, con ingenuo autocompiacimento materno, interpretavo quel disagio per eccentricità, anticonformismo, allergia agli stereotipi di genere: tutte mie proiezioni. […]

Attraverso il Mit di Bologna sta completando la sua transizione e a marzo potrà cambiare i documenti d'identità. Ed era già Roman per il professore con cui in novembre si è laureato. Vedere finalmente un figlio sereno è una soddisfazione per qualunque genitore. Ancora di più se è studioso, bello come il sole e fidanzato. Però io ho una soddisfazione supplementare: finalmente non sbaglio più pronomi e desinenze. Segno che anche la mia transizione sta procedendo bene.

GUARDAMI. Arianna Zampini il 3 Febbraio 2023 su Inside Over.

Il seguente reportage è tra i vincitori del corso di fotogiornalismo della Newsroom Academy tenuto da Marco Gualazzini

Ore di registrazioni audio e centinaia di fotografie scattate. Entrare a contatto con la storia di qualcuno è un atto di fusione con l’altro. Un dono. Così come fotografare e posare per una fotografia. L’immagine dell’altro diventa un insieme di gesti e di micro espressioni che fremono dalla voglia di venir colti quando le parole non bastano. 

La necessità d’esprimersi liberamente e d’esistere per se stessi è il filo conduttore che unisce le persone ritratte. Venire ritratti, qui, perde la sua passività e diventa scelta, decisione, gesto attivo.

L’esperienza trans è esperienza umana, è oggetto e soggetto. L’esperienza trans è indignazione; è resistenza.

Quest’anno compio 50 anni. Sono 28 anni che sono in transizione. Sono arrivata a Milano nel ‘94 e da quel momento ho iniziato la mia transizione verso il femminile. Dal ’94 ad oggi Milano è cambiata, è più accogliente. Nel ’94 la prostituzione era una scelta obbligata, anche per me lo è stata; non c’era informazione, non c’era l’internet di adesso, c’era solo il passaparola. Oggi come oggi per fortuna noi persone trans abbiamo molte altre opportunità, non esiste solo la prostituzione. La società italiana è un po’ cambiata. Non avrei mai pensato di arrivare a 50 anni. Ho passato una vita davvero travagliata, ma ho affrontato come potevo le varie situazioni. Nel ’94 quando ho ‘scelto’ la prostituzione, non c’era una prospettiva di vita a lungo termine, era come vivere alla giornata. La prostituzione, la strada, ti cambiano, ti induriscono, io ho cercato di mantenere il più possibile la mia genuinità, il mio essere. Quando mi guardo indietro e penso a quanta strada ho fatto, penso anche a quanta ancora ne devo fare: sono convinta che io sia ancora qui per aiutare, per dar voce, per provare a cambiare, con la mia esperienza, le vite altrui, la società. Sono felice degli obbiettivi che ho raggiunto, sono felice dei miei 50 anni, voglio vivere tutto, le mie rughe, perché parlano di me, sono saggezza”.

Antonia

So di essere trans fin da quando ero bambino. Non sapevo esattamente cosa fosse, non sapevo dargli un nome, ma provavo delle cose. Ho capito cosa stessi vivendo e finalmente dargli un nome, all’età di 16 anni… grazie ai social, a Internet. Nonostante ne avessi preso coscienza, c’è voluto tempo prima di ammetterlo a me stesso. La parte più difficile è stata accettare me stesso come persona. Fino a quando non ho deciso di fare quel passo fondamentale, ovvero l’accettazione di me come ragazzo trans, è stato difficile relazionarmi agli altri, creare rapporti. Questo perché non mi sentivo parte di niente. Di nessun gruppo. Alle superiori è stata dura, sentivo di voler stare con i ragazzi perché mi sentivo più simile a loro, ma il mio corpo era quella di una ragazza e quindi venivo escluso. Stessa cosa valeva per le ragazze, non mi trovavo in linea con i loro interessi”.

Andrea

Avevo paura di non venire accettata. Vivevo la mia vita doppia: ero maschio esternamente ma quando ero sola mi riconciliavo con me tessa, con il mio essere donna, con i miei piccoli momenti in bagno in cui usavo i trucchi di mia mamma. Ricordo ancora l’emozione forte di provare per la prima volta i vestiti di mia madre, avevo 9 anni, non lo scorderò mai. Io ci ho provato a vivere nel mio genere di nascita, e ci sono riuscita per 40 anni ma ad un certo punto non ce l’ho più fatta. Sentivo che dentro me stessa vivere con questa incompletezza mi rendeva infelice ed era giunto il momento che io potessi vivere per quella che sono, Valentina. Io non ho scelto di essere trans, ma ho scelto fino a quando soffrire. Nel 2017 ho quindi iniziato il mio percorso di transizione. Io sono sportiva e non ho mai voluto lasciare lo sport, ma non ce la facevo più a condividere gli spazi maschili, gli spogliatoi maschili, era una violenza per me. Ho svolto molteplici ricerche e mi sono battuta finché sono riuscita a gareggiare in competizioni sportive femminili, diventando la prima donna trans nella storia a gareggiare in competizioni femminili con i documenti ancora maschili. Ormai sono 5 anni dall’inizio del mio percorso. Il mio corpo è cambiato e finalmente riesco a guardarmi allo specchio, nonostante io sia ipovedente [risata], riesco a sentire il mio corpo, un corpo che è cambiato e che ora mi rende felice. Oggi sono felice. Guardo il passato con molto rispetto e il futuro con ottimismo. Il mio sogno è partecipare alle para olimpiadi.”

Valentina

Mia sorella e mia nonna sono sempre state le mie sostenitrici numero uno. Quando sono andato da mia nonna in lacrime, a dirle di voler cominciare il percorso di transizione, ha tirato un sospiro di sollievo perché pensava le stessi dando una notizia tragica. Dal primo giorno, fino ancora ad oggi, è lei a farmi le iniezioni di testosterone, ci tiene. A livello di famiglia sono stato veramente fortunato. Ho sentito storie orribili di ragazzini giovanissimi che sono stati buttati fuori di casa dopo aver fatto coming-out. Non posso concepire come qualcuno possa avere figli e non accettarli così come sono. […] Credo che l’aver passato certe cose nella vita, mi abbia portato a voler prendermi cura delle persone che ne hanno bisogno. Se qualcuno ha bisogno di me io ci sono ed ascolto. Mi è successo molte volte, al lavoro, che qualche studente mi chieda di rimanere dopo scuola a parlare ed io rimango lì, ad ascoltare. Non voglio vederli come mi sono visto io. I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati, e basta. Era quello che avrei voluto io, che ho ricercato per un sacco di tempo”.

Kay

Mi appassionano le storie, perché penso che le storie delle persone, dei popoli, ci dicano tanto di noi. Credo che nelle storie ci sia la potenza della rappresentazione. Sono cresciuta in un periodo, in un posto in cui non sapevo che esistessero persone come me e non lo sapevo a tal punto da non sapere chi io fossi. Finché non ho avuto le parole per descrivere ciò che sono non so se lo sono stata per davvero. Fino a che non ho saputo di poter essere transgender non ho cominciato a rivolgermi a me stessa come se lo fossi, quindi non potevo essere onesta con me stessa, non potevo cominciare quel viaggio che le persone fanno per conoscersi. Trovo interessante questa cosa delle storie, come parlando di altre persone, delle storie degli altri, che apparentemente non ci appartengono, possiamo imparare tantissimo su noi stessi, creando nuove storie e ispirando nuove persone. […] Portare avanti il discorso trans nella società ha il senso di una rivoluzione culturale: la nostra esistenza esce dal modo in cui le persone dovrebbero essere, e questo vuol dire che per un sacco di tempo noi non siamo state persone e tutt’oggi in molti posti e per molti esseri umani noi non siamo delle persone. La nostra esistenza sfida concetti, norme, stereotipi e allora le nostre storie diventano fondamentali anche per la liberazione dell’esperienza cisgender [il termine cisgender indica le persone la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico alla nascita], perché soltanto se si può accettare che i ruoli di genere sono una burla, che l’espressione di genere è relativa a spazio e tempo allora possiamo accettare mille altre cose: che una donna cis giochi a calcio o che una persona bianca sia musulmana, ad esempio, però è necessario rompere qualcosa”.

Luna

L’importante è sapere. Sapere che ci sono altre opzioni. Quando ho iniziato il mio percorso di transizione, trovare qualcuno su Youtube che spiegasse cos’è la disforia [di genere], mi ha salvato. Inizialmente, ai miei 19 anni, pensavo che fosse solo una cosa mia, che riguardasse i miei traumi infantili, che mi sarei trascinato dietro questo dolore per sempre. Invece no! La disforia esiste e la vivono tantissime persone! Quindi ti salva sapere che esista una categoria dove potersi ritrovare. Siamo branco, abbiamo bisogno di simili, di poterci rapportare con persone come noi, creare empatia. Ti salva. Trovare qualcuno che sta vivendo quello che vivi tu, o che può consigliarti, ti fa sentire meno solo. Io lavoro con i bambini e rapportarmi con loro, con i giovani in generale, mi ha aperto un mondo, è molto più facile perché ti accettano per quello che sei, non hai bisogno di dimostrare niente. Io credo fermamente nelle nuove generazioni. Non hanno paura delle esperienze. L’unica speranza è credere nei nuovi, in quelli che arriveranno. Ormai ci siamo talmente aperti che non sarà facile tornare indietro. Le persone non dimenticano, e soprattutto si sentono libere.  L ‘uomo nasce libero, perché mai dovrebbe rimanere incatenato?”.

Tancredi

Ho capito di essere trans all’età di sette anni, mi sentivo una femmina, mi mettevo i vestiti di mia sorella, mi piaceva! All’età di 11 anni ho fatto coming out. Mio padre non mi parlò per tre mesi. Da adolescente ho passato un brutto periodo, la mia famiglia non lo ha saputo gestire e così mi hanno fatta andare in una struttura educativa, non mi volevano più a casa. Mi sono sentita rifiutata, non capivo, ero solo un’adolescente. Sono stata veramente male. Oggi sono grata a mia mamma, grazie a lei oggi sono Marika. In questa comunità ho imparato tanto, ho fatto un percorso, di 3 anni, stavo meglio e nel contempo mi sono diplomata e sono diventata parrucchiera. Mentre facevo il praticantato prendevo lezioni di danza e ho preso un diploma anche come ballerina.[…] Ho vissuto momenti brutti a causa dell’ignoranza delle persone: se sei trans vieni etichettata come una poco di buono. Le persone mi hanno svuotata, trattata male, non ricordavo più chi fossi. Non è stato facile, ma oggi sono rinata. Oggi non mi manca niente. Ho una bella famiglia, una casetta che mi sono costruita da sola, sono direttrice di un salone di parrucchiere in una zona molto bella di Napoli ed i miei colleghi sono sempre stati squisiti e mi hanno aiutato nel mio cambiamento. Piano piano sto raggiungendo tutti i miei obbiettivi e spero che un domani potrò aprire un salone tutto mio”.

Marika

Mi ricordo che alle elementari, in oratorio, una bambina mi disse “ma tu da grande vuoi essere un maschio?” Lei aveva visto qualcosa in me, ma io non pensavo, ai tempi, fosse possibile. Sono sempre stato, anche quando ero una ragazza, molto poco ragazza, fuori dagli stereotipi, anche se ci ho provato, ci ho provato a rientrare nel canone di donna cisgender, ma era evidente che il mio cammino non fosse quello. Il 27 gennaio 2020 sono andato a Torino per la mia prima visita psicologica: Non è stato semplice perché la psicologa va per forza di cose a scavare in certe cose in cui tu non vuoi più tornare, perché le hai già affrontate. Ogni visita era un trauma, mi chiedevo perché dovessi raccontare tutte le mie cose personali ad una terza persona. Sono passati più di due anni, il tempo si è dilatato molto ma finalmente il 16 dicembre 2021 mi hanno fatto la prima iniezione di testosterone all’ospedale, non ho mai avuto ripensamenti. Da lì è iniziato tutto il resto”.

Leo

Sono un’attivista dal 1982, ho cominciato al MIT di Torino. Ero giovane, non ce l’ho fatta, era troppo per me, ai tempi e la società non mi aiutava quindi ho dovuto mollare. Mi sono ritrovata a prostituirmi ma non mi piaceva. Ci è voluto poco perché diventassi una tossicodipendente. L’eroina in quel periodo mi ha salvata, grazie all’eroina ho sopportato quella vita, perché altrimenti credo che avrei ricorso al suicidio. Dopo 5 anni, attraverso un percorso in comunità, ne sono uscita e nel ’91 avevo una vita nuova, ma la società era sempre la stessa. Per sei mesi l’anno, per 16 anni, ho cominciato a viaggiare in India a cercare me stessa, la mia identità, e quando tornavo in Italia, mi prostituivo per mantenermi, non c’erano molte altre possibilità, in quegli anni. Nel 1995 ho collaborato alla creazione dello sportello trans, al MIT di Torino, il primo in Italia, con l’aiuto della Cgil, con la quale tutelavamo le persone trans sul lavoro. [..] Nel 99’, dopo un viaggio sull’Himalaya durato più di un mese ho smesso definitivamente con la prostituzione, cercando nuovi impieghi per fare denaro. Durante quel viaggio ho trovato, finalmente, la mia identità, la mia vera natura: ho scoperto che la mia è un’identità equilibrata tra il maschile ed il femminile, un’identità binaria. Ho una sensibilità femminile ed è per questo che mi presento al femminile, parlo di me al femminile, ma non dico che sono una donna, perché non mi riconosco totalmente in una donna: riconosco la mia sensibilità femminile ma c’è la consapevolezza che ci sia una parte maschile, che ho accettato e accolto dentro di me. In me ci sono due esseri che si confrontano, si amano, si rispettano e hanno la capacità di stare in equilibrio fra loro. “Non ho mai capito perché ci si soffermi così tanto sull’apparenza fisica, nonostante io comprenda che la chirurgia estetica aiuti tantissimo. Ma soffermarsi solo sulla ricerca ossessiva di somigliare al modello esteriore femminile o maschile proposto dalla società è riduttivo, c’è una paura di fondo, di guardarsi dentro. Secondo me le persone trans devono essere orgogliose di essere trans perché SONO trans, non perché sono donne o uomini. Essere trans è essere sé stessi attraverso l’accettazione di sé, comprendere la nostra unicità che sta nella nostra dualità. Dobbiamo rispettare ed accettare la nostra dualità. Gestirla con fierezza, semplicità, ecco da dove, secondo me, dovrebbe nascere il nostro orgoglio”.

Veet Sandeh

Il mio nome è Ethan perché, poco tempo fa, ho trovato una lettera che scrissi quando ero piccolino, in cui mi rivolgevo a me stesso al maschile, con quel nome. Io lo so da sempre di essere trans, dovevo solo realizzarlo. Non è una cosa sempre bella accorgersene da così piccoli. Credo che forse avrei affrontato tutto con più tranquillità se l’avessi capito più tardi. Invece ero un bambino e mi tartassavo con questi dubbi, con mille domande. Avevo troppi pochi mezzi per capire quello che mi stava succedendo dentro. Ho dovuto nascondere tanto e questo tanto mi ha cambiato. Mi accorgo di quanto mi sentivo solo da piccolo, di quanto avrei avuto bisogno di sapere che, invece, non ero solo, e quindi sono qui a parlarne. Ci sono tante persone esterne, che non stanno vivendo la nostra situazione che si sentono in diritto di parlarne senza dar voce veramente al mondo trans. Invece, da persona trans, è importante sentire e vedere testimonianze di persone che stanno passando quello che stai passando tu, o che l’hanno già vissuto, per non sentirci più soli al mondo, per non sentirci “strani”, “alieni”.

Ethan

Ho fatto coming out con il responsabile del magazzino in cui lavoro, e per fortuna non c’è stato nessun problema, ma gli ho chiesto di non dire niente ai colleghi. Immagino quali commenti dietro alle spalle potrebbero fare. Ho sentito più volte commenti omofobi, transfobici, sessisti sul posto di lavoro. Penso sia una realtà comune a certi ambienti di lavoro. Quando sono in magazzino mi devo estraniare da me stessa, mi sono creata uno scudo che metto quando vado a lavororare, di modo che ogni volta che mi sento chiamare con il mio deadname, la cosa non mi ferisca. Non ho creato legami, dico lo stretto necessario. Ci ho pensato spesso di andarmene. Ma non saprei da dove cominciare. Nel 2018 ho fatto coming out in famiglia ed inizialmente è andata malissimo. Avevano paura avrei perso il lavoro, che sarei dovuta andare a prostituirmi. Purtroppo è ancora molto forte il binomio transessualità e prostituzione. Prima della transizione venivo lasciata in pace, ora che invece sto portando avanti questo cambiamento anche a livello ormonale, sto provando sulla mia pelle cosa voglia dire essere donna nella società, sperimento il sessismo. A volte mi sento oggettificata, per strada. Ma nonostante questo e tutti i problemi avuti negli altri campi della mia vita, sono felice e non tornerei mai indietro.”

Betty

Sento che la mia vita sia in pausa. Voglio fare tantissime cose, tra cui l’università, ma voglio farle con i nuovi documenti. Sto guardando la posta tutti i giorni ma non so quando e come arriveranno, è molto frustrante. Ho iniziato il percorso due anni e mezzo fa, sto decisamente aspettando da troppo e penso di essere uno tra i fortunati. Per me è stato umiliante dover assumere un avvocato e trovarmi in tribunale a dover dare spiegazioni davanti ad un giudice che sceglierà per la mia vita: io non ho mai fatto nulla di male. Fa tanta rabbia. Quando ci sei dentro non vedi l’ora che finisca. Il mio sogno più grande è girare il mondo per dare aiuti umanitari. Mi piace entrare in contatto con le persone. Ascoltare le storie delle persone nei differenti contesti culturali, qui diamo troppe cose per scontate e la cosa mi fa male. Qui a Milano sto cercando di aprire una casa-rifugio per persone trans, sarà una bella occasione per fare qualcosa di concreto, ci vorrà tempo ma ci credo. Ho aperto una raccolta fondi e ho anche già trovato il posto perfetto per aprirlo!”

Noah

Nel 2000 ho conosciuto un uomo, che oggi, nel 2022 è ancora con me. Dopo due anni che stavamo assieme ho cominciato a farmi delle domande, la mia situazione era favorevole, avevo fatto coming out come omosessuale e la mia famiglia e amici avevano accettato la cosa, tanto che il mio compagno era venuto a vivere con me i miei genitori. Nonostante stessi bene con il mio compagno, non ero felice, c’era qualcosa in me che non andava bene. Tra i vari pensieri e parlando con i ragazzi del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, per cui lavoro da 10 anni, ho notato che c’erano delle grandi differenze fra me e l’esperienza delle persone omosessuali con cui parlavo. Da lì sono sorti dubbi che sono diventate riflessioni che alla fine si sono tramutate in certezze e quindi, un giorno, io e Markus, mio attuale marito, ne abbiamo parlato e ho deciso di intraprendere un percorso di transizione, di modo che tutto il mio corpo si allineasse con quella che sono dentro, la mia essenza.  Ed eccoci qua. Nel 2008 ho concluso il mio percorso chirurgico e dopo aver cambiato i documenti io e Markus ci siamo sposati, all’epoca non c’erano le unioni civili, quindi abbiamo dovuto aspettare il cambio dei documenti.”

Tania

Non è mai stato semplice, né nell’ambito personale, né nell’ambito sentimentale, ho avuto problemi a trovare il mio spazio nella società, il mio posto. Ci ho messo tanto a guardarmi allo specchio, a vedere chi ero davvero. Non ne potevo più di nascondermi, ma avevo tantissima paura. Paura del percorso perché non sapevo nulla a riguardo, non conoscevo il mondo trans in generale. Ci sono andata con cautela, mi sono informata tanto, sentivo che non sarebbe stato semplice, ma non capivo a pieno cosa volesse dire quella voglia frenetica di cambiare, di vedermi donna. Non capivo. Ero confusa. Questo percorso non lo capisci fino a quando non lo vivi. E’ una cosa enorme, che ti cambia la vita. Io mi sento me stessa, mi sento libera: sono qui! Sono forte! Esisto! Sono come gli altri! Io so chi sono e non lo cambierò mai. Tanti mi dicono “tu hai scelto di essere così”, ma no, io non ho scelto di essere così, io ho scelto di seguire la mia natura, questa è la scelta che ho fatto nella mia vita, e penso di aver fatto la scelta più bella che si possa fare. Fate quello che vi pare, sentitevi forti, potenti, liberi di amare e di essere chi vi pare”.

Simona

A febbraio 2021 ho iniziato a prendere il testosterone. I miei amici e famiglia mi hanno accolto davvero bene, ero pronto a fare guerra ed invece mi sono stupito. Sento tante storie di persone che sono in terapia da anni e vengono ancora misgenderate [dall’inglese misgendering; è un termine che si riferisce all’atto di utilizzare – intenzionalmente o meno- pronomi o nomi che si riferiscono al sesso biologico della persona e non al genere nel quale la persona si identifica] dai propri familiari! Quindi non mi lamento della mia situazione. Bisogna fare attenzione con i pronomi, perché ferisce quando ti chiamano con il tuo dead name [neologismo che indica il nome di nascita di una persona transgender ed allude a qualcosa che non esiste più, che è “morto” nel momento in cui la persona ha scelto il nome che rappresenta la sua vera identità] o ti danno del “lei” nonostante tu abbia fatto coming out come ragazzo trans e chiesto esplicitamente di chiamarti con i pronomi maschili. Chiaramente a volte non è intenzionale, non tutti lo fanno per ferirti. Infatti, ci tengo a focalizzarmi su questo: ci sono persone ignoranti ma non cattive, al quale io spiego la mia situazione perché so che da lì potrei creare consapevolezza”.

André 

Ho cominciato la mia transizione a 23 anni, è stata dura, ho passato gli 8 anni più brutti della mia vita poiché la mia famiglia non ha voluto accettare la mia situazione. Ho dormito per strada, in macchina… ma grazie al mio istinto combattente sono riuscita ad andare avanti senza tradire me stessa. Le mie amiche mi hanno aiutato tantissimo. Oggi con la mia famiglia va meglio, stiamo bene e mi amano per quella che sono. Mia mamma in passato aveva paura che io finissi sulla strada a prostituirmi, perché purtroppo qui a Napoli tantissime ragazze trans finiscono sulla strada. Non sono ragazze che vanno condannate, perché è facile cadere in quella trappola, la maggior parte sono giovani che non hanno avuto una famiglia alle spalle che le supportasse. In questa società è difficile, da ragazza trans, trovare un lavoro e di conseguenza la prostituzione sembra l’unica scelta possibile. Io sono stata fortunata e non giudico chi ha preso strade diverse. Oggi ho un’impresa di pulizie tutta mia e la sera lavoro in una pizzeria. Ho lavorato tantissimo per crearmi quello che ho oggi“.

Claudia

Mi è venuto un crollo nervoso e non sono riuscita a camminare per due mesi. Avevo 12 anni. Mi è successo di nuovo, poi, quando ero al liceo, a 16 anni. Avevo represso troppo. Ho represso per troppo a lungo il fatto di essere trans. Ho perso l’utilizzo delle gambe per 4 o 5 mesi, non lo ricordo. Ho dovuto imparare di nuovo a camminare. Capire come muovermi, come bilanciare il mio peso. Non vedevo l’ora di tornare a scuola, dai miei compagni di classe. Per tanto tempo non ho saputo cosa fare, come esprimermi, se chiudermi o aprirmi. Non sapevo a chi dar retta. Ho dato retta alle persone sbagliate, perché comunque mi davano una sicurezza, dicendomi cosa fare. Quando ho imparato ad ascoltare me stessa ho imparato a fidarmi di chi mi dimostra che mi vuole bene. E non significa necessariamente che si tratti di chi ti ha cresciuto. Forse può sembrare banale, ma ho la certezza che il male non possa vincere sempre. Un animo puro, nelle circostanze in cui vive, sopravvivrà sempre. Nonostante abbiamo perso tante battaglie e troppe persone per colpa di tutto questo male, sento che questa purezza continuerà ad esistere. Ho letto una bellissima frase in un libro, che ricordo sempre e porto con me: ‘In un mondo spesso governato da corruzione e arroganza è difficile rimanere fedele ai propri principi, ma bisogna cercare in tutti i modi di farlo'”.

Sofia

È possibile una società in cui l’identità e l’espressione di genere non siano più motivo di discriminazione?  In cui, la disforia di genere, non sia più motivo di disagio? È possibile una società in cui ogni essere umano abbia la medesima libertà? È possibile una società in cui le categorie del patriarcato vengano definitivamente soppresse? È vitale. È la meta ultima.

Connessione. Manifestazione. Unione. Informazione. Lotta. Resistenza. Dialogo. Divulgazione. Arte. Ascolto. Empatia. Scambio. Aiuto. Libertà. E ancora sovversione, giustizia, pace. Uguaglianza. Parole che evocano i mezzi con cui raggiungere l’obbiettivo. 

La possibilità, la scelta, l’autodeterminazione, secondo Judith Butler, non possono essere un lusso, ma sono cruciali come il pane. 

La Cura.

Stanze singole ai trans e toilette "asessuate", sono le nuove regole della Sanità Lgbt. Polemiche per l'iniziativa dell'Iss rivolta agli operatori che devono usare linguaggi neutri I pazienti minori con dubbi sulla sessualità "dirottati" verso le associazioni arcobaleno. Massimo Balsamo il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.

Un manuale Lgbt in salsa gender ma anche un omaggio alla nuova religione woke. L'Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un vademecum per gli operatori sanitari dal titolo «Linee di indirizzo per la comunicazione del personale sanitario con i/le pazienti lgbt+», destinato a fare discutere.

Approvato dall'Osservatorio medicina di genere, il documento è stato redatto dal gruppo di lavoro «Diseguaglianze di salute legate al genere»: 35 pagine con le linee guida per consentire ai medici di avere gli strumenti per comunicare con i pazienti della comunità arcobaleno. Stranamente privo di schwa, dati i contenuti, il bignamino accende i riflettori su temi come il benessere delle persone Lgbt, gli ostacoli nell'accesso e nell'utilizzo dei servizi sanitari o ancora le pratiche inclusive. A tal proposito, per gli esperti presumere che i pazienti siano cisgender e eterosessuali può rappresentare un'inconsapevole micro-aggressione. Ma il peggio deve ancora venire.

Per non urtare il mondo arcobaleno, il personale sanitario dovrebbe creare un ambiente accogliente a partire dall'utilizzo da cartelli, e brochure accoglienti negli studi e nelle sale d'aspetto. Un altro suggerimento è quello di «affiggere, in modo visibile, una dichiarazione di non discriminazione in cui si affermi che le prestazioni sanitarie erogate presso il Servizio sono uguali per tutti i pazienti a prescindere dall'età, dall'etnia, dalla religione, dall'abilità, dall'orientamento sessuale e dall'identità/espressione di genere».

Chiamati ad assumere un «atteggiamento affermativo» e ad utilizzare un «linguaggio neutro», medici e operatori dovrebbero inoltre «prevedere almeno un servizio igienico non specificatamente destinato ad un singolo genere. Nel caso di ricovero in una struttura sanitaria di una persona TGD (transgender e gender diverse, ndr), ove possibile, verificare la disponibilità d'uso di una camera singola, a garanzia della privacy della persona interessata». La toilette gender neutral, la vittoria di Zan.

Dalle domande iper-inclusive all'invito a non utilizzare termini come madre/padre, il documento è la fiera dell'ideologia dei risvegliati. Basti pensare al passaggio dedicato alle differenze sulle questioni legate alla salute sessuale: «Lo screening del cancro della cervice uterina è raccomandato per tutte le persone assegnate femmine alla nascita». Wokeismo allo stato puro. Capitolo a parte per i minori e la comunicazione da adottare. Vietato dire ai giovani pazienti che stanno attraversando una fase: «L'orientamento sessuale lesbico/gay/bisessuale/asessuale come quello eterosessuale è una variante naturale della sessualità umana. Se hai dubbi che vuoi risolvere e desideri avere più chiarezza potrebbe essere utile che tu ti rivolga ad associazioni LGBT+ sul territorio». In altri termini, i medici si chiamano fuori e spingono bambine e bambini minorenni tra le braccia del mondo arcobaleno. In chiusura, una decina pagine con un glossario che comprende termini come trigender (chi si identifica non con due ma con tre identità di genere), pangender e eterosessismo.

 Estratto dell'articolo Gianluca Nicoletti per “la Stampa” il 30 gennaio 2023.

Ho incontrato le madri di Gener AzioneD, un'associazione "quasi segreta" appena fondata da genitori di figli minori, adolescenti o giovani adulti con disforia di genere. Mi […]sono trovato invece davanti persone che, alle certezze dogmatiche di ogni segno sul tema, contrappongono il bisogno di approfondire, tanto consapevoli di essere strumentalizzabili da sentirsi più libere operando in clandestinità. […]

 «È vero, ci sentiamo delle carbonare, non è però possibile fare altrimenti- mi dice una di loro -, il rapporto con i nostri figli è molto delicato, alcuni di loro hanno anche disturbi psicologici importanti e la loro privacy è fondamentale. In questo ognuno di noi ogni giorno è preso dal dilemma di quanto assecondare e di quanto coltivare il dubbio, vorremmo si capisse che avere un figlio o una figlia che desidera farsi amputare delle parti sane del proprio corpo, essere medicalizzati a vita non è certo una festa, come spesso viene fatto credere. […]sappiamo che saremo subito attaccate come transfobiche, retrograde, bigotte e quanto altro. Vogliamo solo assicurarci di aver fatto tutto ciò che è possibile per il benessere dei nostri figli».

[…] il loro movimento è assolutamente apolitico, aconfessionale e non vuole essere strumentalizzato, intanto le loro storie cominciano a intrecciarsi, si sovrappongono e lo schema è quasi sempre lo stesso. […]

Tutte le madri ci tengono a farmi capire che non esiste in loro nemmeno la minima volontà di reprimere la natura dei figli, né tantomeno di «normalizzarli». Obietto ancora che le stesse loro argomentazioni sono il cavallo di battaglia del pensiero più reazionario, sui temi che riguardano il genere. La differenza prova a spiegarmela un'altra madre: «Nessuna di noi ha considerato "anormale" che un proprio figlio o figlia si esprimesse in modalità differenti da quelle tipiche del suo genere di nascita; mia figlia ha 13 anni, sin da piccola ha sempre amato e praticato gli sport che per pregiudizio sarebbero solo per uomini, non le piacevano i trucchi, gli abiti "carini", le civetterie tipiche delle ragazze.

Per me non è stato mai motivo di rammarico. […] A me va bene se questo le dà felicità ma ora si pone il tema dei trattamenti ormonali, degli interventi chirurgici. Vorrei che le decisioni irreversibili le prendesse in una fase di maggiore maturità e consapevolezza, ora la vedo comunque confusa. […] Come possiamo decidere con serenità se assecondare anche i passi successivi? In Italia non esistono nemmeno i dati di quanti minori siano in trattamento con "puberty blockers", non sappiamo su quali evidenze si fondino i protocolli che ne regolano la somministrazione».

[…] Mi dicono che come loro cominciano a essercene davvero tanti, il Covid pare abbia rappresentato per molti ragazzi uno spartiacque, mi citano solo come dato indicativo il fatto che in Italia, tra il 2018 e il 2021, il "Servizio per l'adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica" (SAIFIP) di Roma, ha registrato un aumento del 315 per cento di accessi tra gli adolescenti.

[…] dice un'altra madre ancora - […]  Mi sento sola e il rapporto con lei è ogni giorno più difficile, perché alla fine sarei considerata una retrograda se non l'assecondo in tutto.  La mia paura è che questo percorso non è reversibile, se poi crescendo si accorgesse che non era questo esattamente quello che la rende felice? Ho scoperto che esistono i "detransitioners", quelli che vorrebbero tornare indietro. Mi consuma la paura che la sua possa essere solamente un'ossessione transitoria, magari alimentata e indotta da un contagio sociale. Credo che scelte tanto radicali dovrebbero essere rimandate alla maggiore età, però non sembra possibile, tutto sembra debba essere fatto ora e in fretta".

Estratto dell'articolo di Mara Accettura per “la Repubblica” il 19 gennaio 2023.

 La pubertà? Meno si tocca e meglio è. Questa, in estrema sintesi, la posizione assunta dalla Società psicanalitica italiana sull'uso dei bloccanti della pubertà che si somministrano a un numero imprecisato di minorenni disforici che non si riconoscono nel sesso di nascita e vogliono transizionare. In una lettera alla premier Giorgia Meloni il presidente Sarantis Thanopoulos ha espresso preoccupazione sulla sperimentazione in atto in Italia e ha chiesto un'attenta valutazione scientifica.

[…] Secondo la Società di pediatria italiana, però, i bloccanti sono assolutamente sicuri e reversibili. […] Ma Thanopoulos non è d'accordo. «Come fa una ragazzina che non ha vissuto il momento fondamentale della nostra vita, che è lo sviluppo sessuale, a definirsi? È un ossimoro», dice.

La linea della Società di Pediatria sembrerebbe contraddire anche quello che sta succedendo in parte dell'Europa. Nel Regno unito si stanno rivedendo le linee guida dopo che la clinica Tavistock, che ha accompagnato nella transizione migliaia di adolescenti, è stata sottoposta a inchiesta. Anche Svezia e Finlandia hanno fatto marcia indietro sull'uso di bloccanti e ormoni sessuali incrociati.

[…] Secondo alcuni, infatti, oggi non conosciamo l'effetto a lungo termine dei bloccanti su soggetti molto giovani, anche se dai primi studi emergono problemi di sviluppo osseo. E preoccupazioni per gli effetti sullo sviluppo del cervello e sulla fertilità.

Estratto dell'articolo di Maria Novella De Luca per “la Repubblica” il 19 gennaio 2023.

 «Tutti i farmaci hanno effetti collaterali. Sapete però quale sarebbe stato l'effetto collaterale su mia figlia Greta, se a 12 anni non avesse iniziato la terapia con i bloccanti della pubertà? Il suicidio. […]». Cinzia Messina non nasconde quanto è stata dura. Capire, accettare e poi aiutare una figlia transgender[…] «è una sofferenza immensa, chi attacca le terapie che hanno salvato le nostre figlie e figli, dovrebbe ascoltare le nostre voci». Si chiamano Greta Berardi, Ludovica Gentilini, Alessio B.

Hanno 16, 17, 21 anni. Greta e Ludovica erano maschi, oggi sono due ragazze. Dall'inizio della pubertà, seguite da più équipe mediche, ma in particolare dal centro per la "disforia di genere" nell'età evolutiva del policlinico fiorentino di Careggi, dopo un lungo iter psicologico, psichiatrico e medico, sono state ammesse alla terapia con la "triptorelina", ormone che "congela" i cambiamenti della pubertà.

Un percorso reversibile, in attesa che poi scelgano se continuare la transizione. […] Storie complesse, certo. Non prive di rischi. Che suscitano interrogativi. Ma le voci di Ludovica, di Greta e di sua madre Cinzia, della mamma di Alessio, Denise Daffi, sono testimonianze vive, al di là di ogni ideologia. Ludovica Gentilini è come un treno in corsa, determinatissima, penultimo anno di liceo delle Scienze Umane a Roma, un amore dichiarato per la moda.

«Pentimento? Mai. Grazie ai farmaci oggi sono la donna che ho sempre sentito di essere, mi permettono di vivere la vita che volevo, sono stati una scialuppa di salvataggio. […] Fin dall'asilo se dovevo rappresentare me stessa mi disegnavo femmina, le maestre si arrabbiavano. Una psicologa disse a mio padre di distruggere i giocattoli da bambina che mi avevano regalato[…]».

[…] «I bulli? Incontrati e affrontati. Per poter prendere i bloccanti a 14 anni, ho fatto un lungo percorso psicologico. Oggi mi guardo e sono felice di me. Cosa c'è di sbagliato allora in queste terapie date con tanto rigore? Cosa vuol dire lasciamoli crescere e poi vediamo se passa? Io sono transgender dalla nascita. E il mio prossimo obiettivo è l'operazione di cambio di sesso».

Greta ha 16 anni, fa il liceo artistico a Ravenna, ha la forza, oggi, di parlare della sua sofferenza, di quando si faceva la doccia al buio per non vedere il suo corpo di maschio, di quella tristezza che non l'abbandonava mai, come un'ombra scura. «Io non volevo più vivere in quella gabbia in cui non mi riconoscevo, mi vedevo femmina e mi chiamavano maschio, i miei pensavano che fossi depressa, avevano paura di lasciarmi da sola, soltanto a 12 anni ho avuto il coraggio di fare coming out e gridare il mio dolore. I farmaci mi hanno salvato, a scuola sono stata bullizzata per il mio aspetto, mi vestivo da donna, mi truccavo, mi vietarono di andare al bagno delle femmine».

[…] Denise Maffi è la mamma di Alessio B. «[…] Me lo ricordo a 12 anni, quando era ancora Alessia, che piangeva disperato perché gli era venuto il ciclo. Odiava il suo seno, si copriva, un dramma comprargli i reggiseni. La notte bagnava il cuscino di lacrime. Ma io non avevo ancora capito. Fu lui, mentre guardavano in tv la storia di una ragazza trans, a dirmi: "Mamma, io sono così". Il resto è una decisione dopo l'altra, gli ormoni, la mastectomia […]».

La Legge.

In Italia.

In Spagna.

In Scozia.

In Italia.

(ANSA il 19 aprile 2023) - "È stato approvato ieri nella seduta del Senato Accademico della Sapienza il nuovo regolamento per l'attivazione dei profili alias di studenti e studentesse. Garantirà a tutte le persone che lo vorranno di poter utilizzare il proprio nome all'interno dell'ateneo. Le novità principali riguardano l'assenza della certificazione medica tra i requisiti per accedere al nuovo nome e una procedura più snella in generale".

Lo fanno sapere, in una nota, gli studenti di Sinistra Universitaria che "da mesi chiedevano una riforma del regolamento". A ottobre durante un flash mob in una quarantina avevano richiesto a gran voce un cambiamento alla governance dell'ateneo. "L'idea di dover chiedere a un medico l'autorizzazione per poter cambiare nome era sbagliata e rappresentava un ostacolo anche economico per molti studenti. E' un primo passo importante a cui dovrà seguire un lavoro di consapevolizzazione da parte dell'ateneo" dice Leone Piva, coordinatore di Sinistra universitaria Sapienza.

In Spagna.

Estratto dell'articolo di Mauro Evangelisti per “il Messaggero” il 17 febbraio 2023.

Il cambiamento di sesso all'anagrafe in Spagna sarà consentito anche ai minorenni, dai 16 anni in su. Chi ha tra 14 e i 16 potrà conseguirlo ma con l'autorizzazione dei genitori o dei tutori legali. Tra i 12 e i 14 anni, per avere una indicazione differente del proprio sesso sulla carta di identità, sarà necessaria un'autorizzazione giudiziaria. I bambini - chi ha meno di 12 anni - non rientrano nelle casistiche del cambiamento di genere, ma le scuole dovranno garantire una accoglienza «conforme alla loro identità».

Attenzione, non si sta parlando del trattamento medico vero e proprio relativo al cambio di sesso, ma dell'identità sessuale indicata nei documenti. Questa legge approvata ieri ha diviso il Paese, il Parlamento e anche la maggioranza di sinistra che governa la Spagna (socialisti, Podemos e un'altra serie di partiti).

 Non solo: ha trovato voci discordanti ad esempio anche tra le femministe[…] oltre che il no dell'opposizione, in particolare Partito Popolare, Vox e Ciudadanos. […] Di fatto «l'autodeterminazione di genere» diventa un diritto senza la necessità di presentare certificati medici. Dice la ministra Montero: «Stiamo facendo un passo da gigante affinché ci siano molti bambini trans che si sentono più compresi nelle loro scuole, dalle loro famiglie».

Per quanto riguarda i trattamenti medici veri e propri, sintetizza il quotidiano Abc: «Per le pratiche chirurgiche di modificazione genitale, la norma vieta quelle destinate ai bambini di età inferiore ai 12 anni "salvo i casi in cui le indicazioni mediche richiedano diversamente al fine di tutelare la salute della persona". Per chi ha una età compresa tra i 12 e i 16 anni, saranno consentite quando le persone in questione le richiedano in base alla loro maturità».

«Siamo sinceramente e onestamente convinti che questa legge sarà molto dannosa: non porterà più diritti, ma piuttosto più sofferenza, distruggerà per sempre la vita di tanti bambini e adolescenti di tante famiglie» è la tesi della deputata di Vox (partito di destra) Maria Ruiz. Anche Pp e Ciudadanos hanno criticato con molta durezza questa riforma. María Jesús Moro del Partido popular osserva: «Non siamo qui per fare esperimenti sulla pelle delle persone». E ricorda che altri Paesi come Svezia, Regno Unito e Finlandia stanno facendo marcia indietro su questo tema.

Anche in Italia la legge spagnola ha causato reazioni preoccupate. «Nonostante qualcuno a sinistra provi goffamente a negarlo, l'ideologia gender esiste ed è sempre più pervasiva. Lo dimostra quanto avvenuto in Spagna. […]» spiega il vicepresidente vicario di Fratelli d'Italia, Raffaele Speranzon. La nuova legge spagnola prevede che la persona venga riconvocata dopo tre mesi per confermare la scelta. Dopo sei mesi potrà chiedere di mutare nuovamente l'indicazione tornando al sesso precedente. Mauro Evangelisti

In Scozia.

Scozia, svolta pro-gender: cambiare "genere" sarà più facile. Storia di Roberto Vivaldelli su Il Giornale il 22 Dicembre 2022.

In Scozia ora sarà più facile cambiare "genere" rispetto al passato. Il parlamento di Edimburgo ha infatti approvato un sistema di "autoidentificazione" per le persone che desiderano cambiare il proprio genere dal punto di vista legale, riporta la Bbc. Le nuove regole abbassano a 16 anni l'età in cui le persone possono richiedere un certificato di riconoscimento di genere (Grc): viene inoltre eliminata la necessità di una diagnosi medica di disforia di genere: è la prima e unica nazione del Regno Unito ad approvare una legge di questo tipo. Il governo della Gran Bretagna, tuttavia, afferma di essere "preoccupato" e ha annunciato che potrebbe cercare di impedire che questa proposta del Parlamento scozzese diventi legge. Edimburgo è già sul piede di guerra: un portavoce del governo scozzese ha sottolineato che "qualsiasi tentativo da parte del governo britannico di minare la volontà democratica del parlamento scozzese sarà vigorosamente contestato".

Scozia, polemica per la legge gender free

Allo stato attuale le persone in Scozia sono già in grado di cambiare il proprio "genere" sin dal 2005. Tuttavia, il governo scozzese ritiene che il processo esistente possa essere "invadente" e "scoraggiare" le persone a richiedere il certificato. Le nuove regole, che dovrebbero entrare in vigore il prossimo anno, facilitano - e non di poco - la procedura: ora basterà aver vissuto per soli tre mesi nel "genere" acquisito - a partire dai 16 anni di età - per ottenere il riconoscimento, anziché due anni. Gli attivisti pro-transgender affermano che una prospettiva di questo faciliterebbe la vita alle persone transgender ed è attesa da molto tempo. ll manager di Scottish Trans Vic Valentine sottolinea che un cambiamento di questo consentirebbe alle persone trans di avere un certificato "che riflette chi sono". Parlando prima del voto, il segretario per la giustizia sociale Shona Robison ha dichiarato: "I diritti trans non sono in competizione con i diritti delle donne e, come spesso accade, possiamo migliorare le cose per tutti quando coloro che sono discriminati e agiscono come alleati, non come oppositori".

Critiche dalla scrittrice Jk Rowling

La celebre scrittrice Jk Rwoling ha contestato la legge "gender free" del Parlamento scozzese. Secondo l'ideatrice di Harry Potter e una parte del mondo femminista, infatti, non ci sono garanzie sufficienti per proteggere le donne e le ragazze da uomini "predatori" che potrebbero cercare di cambiare il loro genere per ottenere l'accesso a strutture frequentate perlopiù da donne. Di fatto, è una legge che potrebbe seriamente mettere in pericolo le donne in vari contesti, mandando in fumo decenni di conquiste femministe e di tutele che questa legge andrebbe a scardinare nel nome del politicamente corretto.

Da quando ha criticato gli eccessi dell'ideologia transgender, la celebre scrittrice è finita nel mirino dei progressisti e delle associazioni pro-trans. Come lei, altre donne sono state vittime di un'ideologia sempre più oltranzista e violenta. Su tutte Kathleen Stock, la docente di filosofia, femminista e lesbica, che ha dovuto dimettersi dal suo lavoro di docente a seguito delle minacce e degli insulti ricevuti per le medesime posizioni espresse sul "genere". Donne che non hanno paura di schierarsi contro il pensiero unico.

Luigi Ippolito per il "Corriere della Sera" il 23 Dicembre 2022. 

Si profila uno scontro costituzionale fra il governo britannico e la Scozia, dopo che il Parlamento di Edimburgo ha approvato ieri pomeriggio una controversa legge che autorizza a cambiare genere fin dai 16 anni con una semplice autocertificazione, senza bisogno di un parere medico. La votazione è stata accolta nella tribuna del pubblico da grida di «vergogna» da parte di attiviste femministe, che temono che la nuova norma possa compromettere i diritti delle donne, i loro spazi e la loro sicurezza.

Ma è soprattutto il governo di Londra che è pronto ad alzare le barricate. Il ministro per la Scozia, Alistair Jack, ha detto che l'esecutivo centrale «condivide le preoccupazioni di molte persone riguardo certi aspetti di questa legge, in particolare le questioni di sicurezza per donne e bambini». Il timore è che uomini con intenti predatori possano accedere agli spazi femminili semplicemente dichiarandosi donne: per questo il governo di Londra ha ventilato la possibilità di bloccare la legge - una prerogativa mai usata prima - perché in contrasto con le norme sull'uguaglianza fra i sessi.

In questo caso, è probabile che la Scozia porti in giudizio l'esecutivo centrale, andando a uno showdown senza precedenti. La nuova legge prevede che si possa legalmente cambiare sesso dopo tre mesi che si è vissuti nel nuovo genere (sei mesi nel caso di minori), mentre finora era necessaria una diagnosi medica di disforia di genere. 

La prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon, prima promotrice del provvedimento, ha affermato che «non mi scuserò mai per cercare di diffondere l'uguaglianza nel nostro Paese»: ma la legge ha causato notevole disagio nello stesso partito nazionalista al governo a Edimburgo, fino alle polemiche dimissioni di una delle ministre, Ash Regan, che ha detto di «vergognarsi» per ciò che il Parlamento ha fatto.

Anche nove deputati del partito nazionalista hanno votato contro; ma in questi mesi l'opposizione più decisa è venuta dalla scrittrice J. K. Rowling, la creatrice di Harry Potter, che ha bollato Nicola Sturgeon come «distruttrice dei diritti delle donne». Una legislazione simile è stata approvata anche dalla Camera bassa spagnola e andrà ora al vaglio del Senato.

Cosa dice la legge sul diritto all'identità di genere approvata in Scozia. Simone Alliva su L’Espresso il 23 Dicembre 2022.

Adesso ogni persona può liberamente determinare il proprio genere senza dover passare da tribunali e psichiatri. Ecco cosa cambia, perché è stata così discussa e come funziona invece il riconoscimento in Italia

Il disegno di legge più discusso della storia del Parlamento scozzese è da ieri la legge più libera d’Europa sulla riaffermazione di genere. Il Gender Recognition Reform Bill sancisce il principio di libertà di genere, intesa come diritto all'identità di genere.

Gli obbiettivi sono molteplici: bloccare la spirale di violenza ai danni delle persone transgender. Permettere il cambio di nome e di genere sui documenti a prescindere da vari interventi burocratici e medici. Informare, dissipare la spessa cortina di ignoranza che vede delle persone trans solo «il corpo muto» negando il valore alto del concetto di identità. La discussione è andata avanti per due giorni fino alla tarda serata di mercoledì ed è stata approvata con 86 voti favorevoli e 39 contrari.

In Scozia dal 2005 i cittadini hanno il diritto di cambiare il proprio genere legale da maschile a femminile, per il Governo una procedura nata vecchia, costosa, medicalmente invadente e angosciante, in grado di scoraggiare le persone dal fare richiesta di un certificato di riconoscimento di genere (GRC).

Cosa prevede la legge?

Le persone sopra i 16 anni (e non più 18) potranno presentare richiesta per un certificato ufficiale che attesti il genere in cui si riconoscono senza bisogno di una diagnosi di incongruenza genere (cioè quando per una serie di fattori biologici, psicologici e sociali il genere percepito non corrisponde al sesso biologico), presentando solo un’autocertificazione. La legge riduce inoltre le tempistiche della pratica: prima era obbligatorio aver vissuto almeno 2 anni come donne (nel caso di donne trans) o come uomini (nel caso di uomini trans) per poter fare la richiesta, mentre ora saranno sufficienti tre mesi, o sei per le persone di 16 e 17 anni. Previsto anche un "periodo di riflessione" di tre mesi durante il quale potranno cambiare idea e sarà un reato rendere una dichiarazione falsa o una domanda falsa, chiunque lo faccia a rischio fino a due anni in carcere. La legge si muove sulla scia di altri paesi europei come Irlanda, Danimarca, Norvegia, Portogallo e Svizzera. Dovrebbe entrare in vigore all’inizio del prossimo anno, ma il governo britannico guidato da Rishi Sunak valuta l’opposizione, opzione possibile nel Regno Unito nel caso in cui le leggi di uno Stato entrino in conflitto con quelle del governo centrale.

Una legge che divide

Trattandosi di un argomento classicamente divisivo (sì/no), ne seguono discussioni a volte appassionate, a volte meno, comunque vivaci. Dalle quali si ricava che anche tra progressisti non vi è, sulla questione, un'opinione univoca. Molti sono perplessi. Molti rigidamente contrari. Questa divisione riguarda un passaggio abbastanza straordinario per la legge approvata, ma ampiamente ordinario all'interno della comunità scientifica che negli anni ha molto discusso sul tema: l’autodeterminazione del proprio genere. La ministra della Giustizia sociale Shona Robison ha presentato la versione definitiva del disegno di legge in parlamento definendola «un passo importante per una Scozia più equa».

Passata con una larga maggioranza, nel più importante partito al governo, l’SNP, sono stati nove i voti contrari, tra cui quello della ex ministra della Sicurezza Ash Regan, che si era dimessa a ottobre proprio in segno di protesta per questa riforma. La più grande rottura interna al partito da quando l’SNP è andato al potere nel 2007.

Gli attivisti contrari alla riforma, sostenuti tra gli altri dall’autrice di “Harry Potter” J.K. Rowling, sostengono che facilitare il cambio dei documenti alle persone trans possa dare libero accesso a uomini malintenzionati in luoghi e servizi destinati alle donne. Un pregiudizio, ribattono dalla comunità Lgbt, che vede le donne trans come predatrici sessuali o uomini travestiti. Argomento contestato anche da Victor Madrigal-Borloz – avvocato delle Nazioni Unite esperto sulla protezione contro la violenza e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere: «Le donne trans sono donne e gli ostacoli arbitrari al riconoscimento legale dell'identità di genere violano gli obblighi dello Stato in materia di diritti umani. Oltre 350 milioni di persone vivono in sistemi di auto-identificazione e non ci sono riscontri giudiziari o amministrativi di abusi da parte di maschi predatori».

A queste parole si aggiungono quelle di Amnesty International e di sei delle più importanti associazioni scozzesi per i diritti delle donne: «I percorsi verso la realizzazione dei diritti umani per le donne e le persone trans dipendono dagli sforzi condivisi per smantellare i sistemi di discriminazione».

Come funziona in Italia?

Il dibattito resta aperto e la questione scozzese ha messo nei motori della discussione italiana tutta la benzina di cui aveva bisogno per esplodere, ma come funziona oggi nel nostro Paese il riconoscimento di genere? Da più di dieci anni in Italia non è più necessario sottoporsi agli interventi chirurgici di riattribuzione del sesso per chiedere il cambio del nome e del genere anagrafico. La giurisprudenza maggioritaria di tutti i Tribunali italiani si attiene ai principi di diritto enunciati dalla sentenza della Corte di Cassazione (n. 15138/2015) e dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 221/2015). Una possibilità per tutte le persone che restano comunque costrette a rivolgersi ai Tribunali per avere documenti coerenti con la propria identità e che (non sempre) vogliono modificare chirurgicamente il proprio corpo ed essere dunque costrette ad una sterilizzazione forzata.

In particolare la sentenza della Corte Costituzionale ha espressamente dichiarato “irragionevole” subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, personalissimo e costituzionalmente tutelato quale il diritto all’identità di genere, all’esposizione della persona a trattamenti sanitari – chirurgici o ormonali – non voluti ed eventualmente anche pericolosi per la salute. Tuttavia, il percorso giuridico appare tortuoso. Fra tutte, la nomina di CTU (un “esperto”) da parte del Giudice, che accerti la condizione di “Disforia di Genere” e l’irreversibilità del percorso. Questo nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia da tempo riconosciuto che la transessualità non è una malattia, si parla infatti di incongruenza di genere e di identità transgender. Tali condizioni, considerate un tempo patologiche (come del resto anche l’omosessualità), oggi, dopo anni di ricerche, sono riconosciute come normali varianti identitarie, che non vanno interpretate come disturbi mentali. Tuttavia in Italia, rimane necessario consultarsi con legali esperti in queste tematiche. L’esito rimane strettamente legato ad una documentazione endocrinologica e psicologica che sia completa ed esaustiva.

Estratto dell’articolo di Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera” il 17 gennaio 2022.

«Opzione nucleare» per bloccare la legge scozzese sui transessuali: il governo britannico di Rishi Sunak si appresta a ricorrere a una prerogativa mai usata prima da Londra, che consente all'esecutivo centrale di mettere il veto su un provvedimento approvato dal Parlamento di Edimburgo.

 È l'extrema ratio cui Sunak si appella per bocciare una legge assai controversa, in virtù della quale in Scozia da ora in avanti si potrà cambiare legalmente sesso sulla base di una semplice autocertificazione, senza bisogno di un parere medico, e per di più anche se minorenni (sopra i 16 anni).

La norma è passata in Scozia il mese scorso fra mille polemiche: i gruppi femministi hanno accusato la premier Nicola Sturgeon di minare i diritti delle donne e la scrittrice J.K. Rowling, la creatrice di Harry Potter, si è fatta portavoce di una campagna contro il provvedimento, che alla fine è stato approvato nonostante il dissenso di diverse deputate del partito nazionalista al potere e le dimissioni di una ministra.

 […] la premier di Edimburgo, Sturgeon, ha definito «oltraggioso» l'atteggiamento di Londra e ha accusato Sunak di usare la questione dei transessuali come «arma politica».

 […] Sunak intende bloccare la legge scozzese proprio sulla base del fatto che violerebbe la legislazione britannica sull'uguaglianza fra i sessi, che è di stretta competenza del governo centrale. Ma da Edimburgo faranno sicuramente ricorso in sede legale e lo scontro potrebbe finire davanti alla Corte suprema, prefigurando così un conflitto costituzionale senza precedenti. […]

Le ritorsioni.

Follia Usa: via i figli ai genitori che negano il cambio di sesso. Storia di Pier Luigi del Viscovo su Il Giornale domenica 10 settembre 2023.

L’identità di genere è una caratteristica, non una scelta. Tema tornato d’attualità dopo che la California ha approvato quattro giorni fa la legge AB-957 che consente al giudice di decidere nell’interesse del minore, nelle dispute sul collocamento, tenendo conto anche dell’eventuale rifiuto di un genitore a riconoscere l’identità di genere del figlio, perché questo ne pregiudicherebbe la salute e il benessere. In altre parole, se un bambino vuole dichiararsi una bambina e il padre (o la madre) non l’accetta è colpevole di abuso. Le conseguenze, sebbene non di rilevanza penale, arrivano all’allontanamento. Mettiamo prima sul tavolo i fatti, che poi come gestirli è scivolosissimo. Ognuno nasce con un patrimonio genetico femminile (cariotipo 46XX) oppure maschile (46XY). Semplice. Poi, quando durante la pubertà si determina l’orientamento, può capitare in alcuni casi rari che esso non corrisponda al patrimonio genetico.

In Occidente siamo giunti, non oggi ma già negli anni ’70, a una posizione di civiltà ben condivisa. Chi ha un orientamento omosessuale non deve essere in alcun modo discriminato, deve godere del rispetto della comunità e deve poter sviluppare la sua vita e la sua sessualità compiutamente. Certo, con i limiti che la sua genetica pone. Ad esempio, se maschio non può procreare né partecipare a competizioni sportive femminili. Né i genitori né nessun altro possono pretendere che il ragazzo o la ragazza omosessuale viva una vita da eterosessuale.

Non possono perché sarebbe ingiusto, certo, ma soprattutto perché non è nelle facoltà del ragazzo o della ragazza. Possono fingere, ma non essere ciò che non sono.

La materia è delicatissima. Secondo Valentina Ruggiero, noto avvocato con lunghissima esperienza minorile, «è corretto che nell’adolescenza i genitori non impongano l’orientamento sessuale, perché ciò effettivamente sarebbe un pregiudizio alla sua crescita equilibrata.

Invece nell’età pre-puberale nessuno deve intralciare la formazione del minore, ponendolo di fronte a valutazioni e scelte sulla propria identità di genere».

È questo il punto. Il bambino deve vivere la sua infanzia libero da questioni che solo in adolescenza sentirà come proprie. Invece questa legge deriva da un movimento che ha già portato all’attenzione dei bambini della scuola primaria il tema dell’identità di genere, come scelta che potranno liberamente compiere. È una palese esagerazione e criticarla non equivale a negare a chi è omosessuale quei diritti sacrosanti della nostra civiltà. Purtroppo ancora oggi assistiamo a episodi drammatici, da parte di persone vili, spregevoli e spesso emarginate che sfogano il loro livore sui gay, anche in modo violento. Queste persone e le loro azioni vanno combattute e condannate, anche educando i ragazzi al rispetto dell’altro, quale che sia la sua diversità. Questa educazione però non può arrivare a negare che ci siano differenze o, peggio, che ci sia una natura, maschile o femminile chissenefrega, e poi una scelta da compiere, etero o omo.

Quello è il liceo: classico o scientifico?

Perché sennò poi viene il sospetto che, stufi di sentirsi una minoranza discriminata, abbiano accarezzato l’idea di far saltare la maggioranza, stimolando dalla fanciullezza a valutare e scegliere l’omosessualità, così da essere meno minoranza. Ma quanto è giusto rispondere alla violenza con la violenza, psicologica sui bambini poi? No, civiltà è rispettare le differenze, non annullarle.

Estratto dell’articolo di Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano” giovedì 10 agosto 2023.

[…] non stupisce che, anche tra i gruppi più impegnati nella lotta al patriarcato (e in primo luogo la sempre più influente comunità omosessuale, transessuale, non binaria, che viene indicata con l’acronimo LGBTQ o, per assicurare il massimo dell’inclusività, LGBTQQIA+), si accendano conflitti interni piuttosto accesi, ben oltre il dissenso o la critica, con il ricorso a parole ed azioni alquanto battagliere.

Due episodi recenti: domenica scorsa, a Rimini, è sfilato il Summer Pride, sotto il patrocinio del comune della città romagnola e organizzato dal circolo Arcigay “Alan Turing”. Il corteo ha percorso il lungomare radunandosi infine in piazzale Fellini. Due giorni dopo, le attiviste “transfemministe” che hanno organizzato una contromanifestazione, Pride Off, hanno denunciato proprio l’Arcigay di averle discriminate, delegittimate e aggredite verbalmente e fisicamente, con alcuni esponenti degli organizzatori ufficiali che avrebbero tentato di rovesciare il risciò con cui le attiviste partecipavano alla manifestazione, o meglio, volevano contromanifestare durante il Summer Pride.

[…]

Arcigay si difende dalle accuse dicendo che non c’è stata alcuna aggressione […] D’altronde, le attiviste del Pride Off accusano gli organizzatori del Pride ufficiale di averle voluto relegare alla coda del corteo […] In parole semplici, l’accusa di parte dei movimenti LGBTQ all’Arcigay e ai suoi storici Pride è di essere diventati istituzionali, normali, innocui; un tempo si sarebbe detto: borghesi.

Un secondo episodio che ha messo in subbuglio il fronte anti-patriarcale è stata l’uscita della leggenda del tennis, Martina Navratilova, che si è scagliata senza mezzi termini contro le tenniste trans, definendole «maschi falliti» che secondo lei non dovrebbero essere ammesse ai tornei femminili, e ha dichiarato: «È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire?

È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nella categoria femminile nello sport». Il presidente di Arcigay, Marco Tonti, sottolinea che le voci «dissonanti e critiche sono una ricchezza», ma ci sembra una valutazione un po’ riduttiva, e anche lievemente paternalistica (se non patriarcale) di quanto sta accadendo. Sembrerebbe che il conflitto, l’aggressività, le lacerazioni aspre e bellicose, non siano prerogative degli eterosessuali.

Faida tra gay e trans, dai "maschi falliti" della Navratilova alle denunce. Giordano Tedoldi Libero Quotidiano l'11 agosto 2023

Nel nostro tempo, la parola “patriarcato” è il segno del diavolo. Non c’è male al mondo, oggi, che non possa, direttamente o indirettamente, ricondursi all’oppressione patriarcale. E viceversa, qualsiasi cosa venga definita patriarcale, è male. Sembrerebbe tutto molto semplice, chiaro, pacifico. Ma non stupisce che, anche tra i gruppi più impegnati nella lotta al patriarcato (e in primo luogo la sempre più influente comunità omosessuale, transessuale, non binaria, che viene indicata con l’acronimo LGBTQ o, per assicurare il massimo dell’inclusività, LGBTQQIA+), si accendano conflitti interni piuttosto accesi, ben oltre il dissenso o la critica, con il ricorso a parole ed azioni alquanto battagliere.

LA CRONACA

Due episodi recenti: domenica scorsa, a Rimini, è sfilato il Summer Pride, sotto il patrocinio del comune della città romagnola e organizzato dal circolo Arcigay “Alan Turing”. Il corteo ha percorso il lungomare radunandosi infine in piazzale Fellini. Due giorni dopo, le attiviste “transfemministe” che hanno organizzato una contromanifestazione, Pride Off, hanno denunciato proprio l’Arcigay di averle discriminate, delegittimate e aggredite verbalmente e fisicamente, con alcuni esponenti degli organizzatori ufficiali che avrebbero tentato di rovesciare il risciò con cui le attiviste partecipavano alla manifestazione, o meglio, volevano contromanifestare durante il Summer Pride. In un video sul sito del Corriere di Bologna si vedono momenti di tensione, con un uomo – presumibilmente un esponente di Arcigay - che cerca di fermare il mezzo delle attiviste e di spostarlo (forse non proprio rovesciarlo). 

Arcigay si difende dalle accuse dicendo che non c’è stata alcuna aggressione, non è stata presentata alcuna denuncia, e che eventi come il Summer Pride sono molto complessi da gestire, vengono organizzati in accordo con la questura e ci sono precisi protocolli di sicurezza da rispettare e sottoscrivere, cosa che le contromanifestanti non avrebbero fatto, anzi, avrebbero deliberatamente cercato lo scontro per poi fare baccano sui social. D’altronde, le attiviste del Pride Off accusano gli organizzatori del Pride ufficiale di averle voluto relegare alla coda del corteo, tra gli sponsor, con i quali non vogliono essere confuse, rivendicando il loro attivismo politico e la loro militanza di lungo corso.

Del resto il dissenso non è di pochi giorni fa, sul sito di “Casa Madiba Network”, movimento che, con quello di “Non una di meno” ha organizzato il Pride Off, si leggono critiche nette ai “Pride istituzionali dove la gerarchia del potere capitalista tende a schiacciare ed emarginare soprattutto le persone queer e tutte quelle che non si riconoscono nel sistema ciseteropatriarcale”. E, cercando in rete, si trovano altre voci di dissenso che scrivono di gestione “blindata” del Summer Pride, e che “la sede riminese di Arcigay ha dimostrato di non avere rispetto e riconoscimento della politica in sé, scavalcata dalla volontà di creare eventi neutri, innocui per il diletto del turismo eteronormato”.

L’ACCUSA

In parole semplici, l’accusa di parte dei movimenti LGBTQ all’Arcigay e ai suoi storici Pride è di essere diventati istituzionali, normali, innocui; un tempo si sarebbe detto: borghesi. Un secondo episodio che ha messo in subbuglio il fronte anti-patriarcale è stata l’uscita della leggenda del tennis, Martina Navratilova, che si è scagliata senza mezzi termini contro le tenniste trans, definendole «maschi falliti» che secondo lei non dovrebbero essere ammesse ai tornei femminili, e ha dichiarato: «È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire? È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nella categoria femminile nello sport». Il presidente di Arcigay, Marco Tonti, sottolinea che le voci «dissonanti e critiche sono una ricchezza», ma ci sembra una valutazione un po’ riduttiva, e anche lievemente paternalistica (se non patriarcale) di quanto sta accadendo. Sembrerebbe che il conflitto, l’aggressività, le lacerazioni aspre e bellicose, non siano prerogative degli eterosessuali.

Estratto dell'articolo di Lorena Loiacono per “il Messaggero” il 16 gennaio 2023.

Non c'era alcun valido motivo per licenziarla. Così i giudici del Tribunale di Roma hanno dato ragione alla professoressa Giovanna Cristina Vivinetto che, nel 2019, è stata allontanata dalla scuola privata in cui era stata appena assunta solo perché qualcuno si era lamentato della sua condizione di transessuale. La docente, […] ha fatto ricorso e ora l'istituto[…] dovrà risarcirla per undicimila euro.

 Professoressa, in questi anni di battaglia legale si è sentita sola?

«No, la solidarietà che mi è stata dimostrata ha superato l'ingiustizia subita. Le maggiori dimostrazioni di affetto sono arrivate dai miei studenti. Hanno dimostrato di essere maturi e di essersi immedesimati nella mia storia».

 […]

Si erano affezionati?

«In realtà mi hanno visto poco[…]. Praticamente sono stata in classe una decina di giorni in tutto. Dopo tre giorni di malattia, la preside mi ha convocata e mi ha detto che dovevo andar via perché mancavo di professionalità».

Come ha reagito?

«Sono tornata a casa, ho iniziato a pensare e ripensare a quello che mi avevano detto. Ho capito che non era così ma che ero stata discriminata per la mia transessualità».

 Sapevano della sua situazione?

«Sì, anche perché nel curriculum era riportato il premio letterario per il mio libro in cui parlo proprio di questo. Non è certo un segreto da nascondere, il mio. Sapevano tutto anche prima di assumermi. Qualcuno deve essersi lamentato e mi hanno licenziata».

Il processo come è andato?

«È stato lungo, ci sono stati tentativi di accordi ma la scuola non ha mai voluto trovare un punto di incontro. Chiedevo un risarcimento, anche simbolico: anche solo 5 euro, per una pura questione di principio. Lo dovevo a tutte quelle persone che, come me, si sentono discriminate sul lavoro. E i giudici nella sentenza hanno scritto che la motivazione del licenziamento è ascrivibile alla mia condizione di transessuale».

[…]

Aveva paura a tornare in classe?  

«Dopo il licenziamento nella scuola paritaria ho insegnato in due scuole pubbliche, una media e una superiore di Roma, dove sono stata accolta senza alcun problema e con la massima discrezione. […]».

 […]

La sua famiglia?

«È sempre stata molto aperta. Ho un fratello gemello e siamo stati liberi di esprimerci. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta permettendomi di realizzarmi. La prima vera discriminazione l'ho subita in una scuola, ma quando ero già una professoressa».

Elena Tebano per corriere.it il 16 gennaio 2023.

«In queste settimane hanno portato a esempio per gli altri docenti il mio approccio con gli studenti, poi ieri all’improvviso mi hanno licenziata, sostenendo che il mio metodo di insegnamento non va bene. Io temo che a non andargli più bene, invece, sia la mia transessualità: forse qualcuno si è lamentato con i dirigenti e hanno cercato il primo pretesto per mandarmi via».

Giovanna Cristina Vivinetto, 25 anni, è una poetessa, vincitrice con il suo «Dolore Minimo» del Premio Viareggio opera prima per la poesia. Fino a ieri insegnava letteratura italiana al triennio del liceo linguistico dell’istituto paritario Kennedy di Roma, dove era stata assunta — fresca di laurea — il 23 settembre scorso. Ieri il licenziamento, denunciato in un lungo sfogo su facebook: «Temo che il problema sia che sono transessuale — spiega al telefono Vivinetto —. Mi hanno dato altre motivazioni ufficiali: che sono indietro con il programma, che spiego troppo velocemente (ma allora come faccio a essere indietro con il programma?), che quando parlo sono confusa e insicura, che non mi faccio rispettare dai ragazzi, che sono “troppo poeta” per fare l’insegnante. Però finora nessuno mi aveva chiesto di cambiare il mio modo di far lezione, a differenza di quanto è successo ad altri insegnanti della stessa scuola, e i ragazzi mi hanno sempre mostrato apprezzamento ed entusiasmo».

 «Prima di essere assunta, c’era già stato un serrato confronto tra la preside (che non mi voleva e che mi ha licenziata) e la proprietaria della scuola (che invece puntava sulla mia assunzione e fino a ieri è stata indecisa se tenermi ancora)», aggiunge Vivinetto. Secondo il racconto di Vivinetto, infatti, in un’iniziale colloquio la proprietaria della scuola Daniela Cozzolino le aveva detto di volerla assumere.

Ma poco dopo aveva ricevuto una chiamata dalla dirigente Vincenzina Piccolino che le spiegava di dover assumere un altro docente «abilitato» e inviato il pomeriggio precedente dal Provveditorato agli studi. Poi poco dopo una nuova telefonata della proprietaria: «Mi disse che voleva il mio libro e avrebbe parlato con tutti i docenti per discutere dell’opportunità di assumermi — cosa che poi non è avvenuta — e che potevo tranquillamente dire ai ragazzi che sono transessuale». Contattata al telefono l’amministrazione della scuola ha rivendicato la correttezza del licenziamento ma si è rifiutata di commentare la vicenda.

La denuncia.

Panico tra i pacifisti. La Russia considera la comunità Lgbt movimento estremista internazionale. Francesco Lepore su L'Inkiesta l'1 Dicembre 2023

La Corte Suprema della Federazione ha preso una decisione liberticida, con termini che potenzialmente colpiscono di opposizione e di attivismo per i diritti. Un altro tentativo criminale di dare una copertura ideologica alla guerra imperialista contro l’Occidente. Se ne accorgeranno, adesso, quelli che invocano la trattativa con Putin?

Riconosciuta la natura estremista del “movimento internazionale Lgbt+ (sic!) e delle sue filiali”. Vietate le relative attività sul territorio della Federazione Russa e le stesse perseguite con pene carcerarie e pecuniarie. Immediata, infine, entrata in vigore della norma. È quanto, in sintesi, ha deciso ieri la Corte Suprema russa al termine di un’udienza, che, durata cinque ore, si è tenuta a porte chiuse e alla sola presenza di un rappresentante del ministero della Giustizia.

Era stato d’altra parte proprio il guardasigilli Konstantin Čujčenko a chiedere, il 17 novembre scorso, che l’alta magistratura federale classificasse il non meglio specificato movimento internazionale Lgbt – in Russia, infatti, non esiste ente alcuno sotto tale denominazione – come organizzazione estremista e ne confermasse il divieto di attività.

A leggere la sentenza è il giudice Oleg Nefedov, che aveva poco prima ammesso la stampa ad ascoltarne il testo. Tutto da copione, verrebbe da dire, se non fosse per il tenore e la portata di una decisione, che è a dir poco preoccupante. Finora persone e associazioni Lgbt+ avevano dovuto subire il calvario di procedimenti giudiziari con condanne a multe pesanti grazie alla legge contro la cosiddetta propaganda omosessuale, fortemente voluta dal Cremlino, promulgata da Vladimir Putin il 30 giugno 2013 e ulteriormente inasprita nel novembre dello scorso anno. Ma non, di fatto, la reclusione. E poi quell’accusa di estremismo, così vaga e così pericolosa, che potrebbe essere appioppata ad libitum a chiunque e che è stata finora utilizzata per ridurre al silenzio oppositori politici e a movimenti loro legati. Aleksej Navalny docet.

«La definizione di estremismo – osserva Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, a Linkiesta – è così ampia e generica che colpisce potenzialmente ogni forma non solo di opposizione ma anche di attivismo per i diritti. È questo il caso della sentenza della Corte suprema. Potrebbe essere l’ultimo atto persecutorio estremo nei confronti della comunità Lgbt+ in Russia, che svolge, così come in ogni altro Paese importante, sia un ruolo di promozione e sensibilizzazione sia un lavoro per i diritti, che non ha nulla di estremista e di estremo». È questa «una persecuzione che viene da lontano».

Ma Noury è ben consapevole che «con la guerra di aggressione russa in Ucraina ogni forma di dissenso e di attivismo per i diritti umani è stata perseguitata ancor più. È evidente che dopo il 24 febbraio 2022 la narrazione russa si è estremizzata con l’accentuazione del tema della decadenza dell’Occidente declinato in riferimento all’orientamento omosessuale e all’identità di genere».

Gli fa eco Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, che ricorda al nostro giornale come «il concetto dell’omosessualità quale vizio borghese e occidentale trionfasse nell’ex impero (omofobo) zarista con l’avvento dello stalinismo: ne è una riprova il famigerato articolo, scritto nel 1934 da Maxim Gorkij per la Pravda». Dopo aver osservato che «dobbiamo a Eltsin la cancellazione dell’articolo 121 del Codice penale (che condannava gli omosessuali ma che veniva utilizzato, come in tutti i regimi autoritari, per colpire i dissidenti)», lo storico leader del movimento Lgbt+ italiano afferma senza giri di parole: «Con l’inizio della guerra in Ucraina, la Russia ha sposato l’ultra-conservatorismo con il tentativo di dare una copertura ideologica del conflitto dell’Oriente contro l’Occidente, della tradizione contro la decadenza. Ovviamente a farne le spese sono le persone Lgbt+, che sono state colpite, in quest’ultimo anno e mezzo, da una grandinata di leggi omotransfobiche. La criminalizzazione del movimento quale organizzazione estremista è un po’ la goccia che fa traboccare il vaso: oramai non c’è più alcuna differenza tra Russia e Paesi islamici, tranne forse per il carcere e, in alcuni casi, la pena di morte per i rapporti tra persone dello stesso sesso».

Che il conflitto russo-ucraino abbia aggravato la situazione delle persone Lgbt+ in Russia ne è convinto anche Luca Trentini. Per il componente dell’Assemblea nazionale di Sinistra italiana, nonché attivista per i diritti civili, la sentenza della Corte Suprema è «l’ennesima tappa della corsa folle di Putin verso un estremismo, questo sì reale e pericoloso, che, agitando la bandiera ideologico-identitaria di Dio, patria, famiglia, contrappone sempre di più Oriente a Occidente. Il tutto, ovviamente, a discapito di ha costruito sulla laicità e sulla libertà le proprie condizioni di vita a partire dalle persone Lgbt+».

È a loro che va la sua solidarietà al pari di quella di Natascia Maesi, presidente nazionale di Arcigay, che parla a Linkiesta di «ossessione dai tratti di persecuzione senza precedenti». Considerando la sentenza «un’ulteriore stretta per mettere al bando e criminalizzare l’attività delle associazioni Lgbt+ russe» ed esprimendo a loro «pieno sostegno», l’attivista transfemminista si chiede: «Quale sarà il prossimo passo di questo piano repressivo? Cosa dobbiamo aspettarci? Che venga introdotto il reato di omosessualità e transgenderismo? Chiediamo che l’Europa e il Governo Meloni intervengano subito contro questa deriva con una presa di distanza netta. Noi continueremo a fare la nostra parte sostenendo il lavoro delle persone attiviste russe e supportando le tante persone che stanno fuggendo dalla Russia. Un problema questo a cui è necessario dare risposte subito».

Non sono mancate, per quanto esigue, le prese di posizione da parte di esponenti della classe politica. Se per il segretario di +Europa, Riccardo Magi, «di estremista, fascista, neocolonialista, omofobo, razzista e invasore di paesi liberi abbiamo conosciuto finora solo Putin», tanto che la sentenza della Corte suprema è l’ennesima conferma della necessità di un sostegno all’Ucraina «ancora più forte, deciso e determinato», per il senatore di Italia Viva, Ivan Scalfarotto, la Russia di Putin è ormai «sempre più preda del delirio del dittatore e della sua cricca. Decisioni di questo genere, prese sfidando drammaticamente il ridicolo davanti agli occhi del mondo, dimostrano che si tratta di un Paese gestito da gente pericolosa e priva di qualsiasi forma di normale equilibrio». Si è detta invece sconvolta al nostro giornale Alessandra Maiorino, senatrice e coordinatrice del Comitato politiche di genere e diritti civili del Movimento 5 Stelle, che parla di una Russia – per quanto «grande e influente sul piano economico e politico a livello mondiale» – dal «sistema oppressivo e discriminatorio», dove le persone Lgbt+, a seguito della sentenza di ieri, saranno di fatto «esposte a ogni tipo di compressione della propria libertà, senza possibilità di difesa. Ma soprattutto lascia sgomenti l’equiparazione del movimento a gruppi estremisti. Questo apre a scenari agghiaccianti di possibili persecuzioni a norma di legge. D’altra parte, tutte le più grandi persecuzioni sono sempre avvenute a norma di legge».

A fare con noi il punto della situazione su questi scenari agghiaccianti è Yuri Guaiana, senior campaign manager di All Out, che parla di nuovi «gravi rischi» per la comunità arcobaleno in Russia, «tra cui procedimenti penali, multe e il divieto di svolgere qualsiasi attività legata al movimento, come organizzare eventi, esporre simboli o accedere a risorse informative. Gli individui indicati come estremisti dovranno affrontare notevoli difficoltà finanziarie, tra cui il congelamento dei conti bancari e le difficoltà nelle transazioni finanziarie di routine. Inoltre, il coinvolgimento in attività di organizzazioni estremiste impedirà agli individui di essere eletti a cariche pubbliche per un massimo di cinque anni. La sentenza proibisce anche le donazioni alle cause Lgbt+, intensificando le difficoltà della comunità. Ma gli effetti di questa decisione vano anche oltre i cittadini russi Lgbt+ e ha l’effetto di rafforzare l’atmosfera di paura per tutti i cittadini russi e mettere la museruola ai critici del regime». Per il celebre attivista è perciò «fondamentale, in questo difficile momento, il sostegno internazionale. Per questo invito tutti i lettori e le lettrici de Linkiesta di firmare la petizione avviata dall’associazione Lgbt+ russa Fondazione Sphere per chiedere agli Stati firmatari delle convenzioni internazionali sui diritti umani, sia in Europa che nel mondo, di garantire alle persone Lgbt+ russe e ai difensori dei diritti Lgbt+ una più ampia possibilità di ottenere visti o altri documenti di viaggio per lasciare la Russia».

La Russia dichiara il movimento internazionale Lgbt "un'organizzazione estremista". Ma nessuno sa cosa vuol dire. La Corte suprema di Mosca usa questa formula generica per bandire dal Paese chi si occupa di diritti. Aprendo alla totale discrezione delle forze di sicurezza su chi va perseguito. «È uno stratagemma per mettere ancora più all'angolo la comunità arcobaleno.» Simone Alliva su L'Espresso il 30 novembre 2023

Vietare qualcosa che concretamente non esiste, non è strutturato giuridicamente, impalpabile e ineffabile. È possibile nella Russia di Putin dove la Corte Suprema russa ha dichiarato il "movimento internazionale Lgbt" come "organizzazione estremista", bandendolo dal Paese con effetto immediato. La decisione è stata presa in una udienza a porte chiuse e i giornalisti sono stati fatti entrare solo quando il giudice Oleg Nefedov ha letto il dispositivo. È stato lo stesso ministero della Giustizia a intentare una causa contro il movimento Lgbt. Come riferito in passato dal Ministero, nelle attività del movimento Lgbt sul territorio della Federazione Russa: «Sono stati identificati vari segnali e manifestazioni di un orientamento estremista, compreso l'incitamento all'odio sociale e religioso», era la motivazione. Per l'incitazione all'odio sociale e religioso la legge russa prevede severe sanzioni e la reclusione. 

«La Corte», spiegano a L'Espresso gli attivisti lgbt di Crisis Group “Nc Sos”, organizzazione per i diritti umani inserita nel registro degli “agenti stranieri”: «non pubblicherà le motivazioni. Ciò significa che le persone minacciate da un procedimento penale non saranno in grado di proteggersi. Potrebbe colpire le organizzazioni o il singolo, non esistono criteri pubblicamente disponibili che classificano il "movimento LGBT", la valutazione di ogni caso sarà effettuata a discrezione delle forze di sicurezza». Ed è proprio la discrezione delle forze di sicurezza che fa crollare sulla comunità russa Lgbt qualsiasi incubo. «Un danno per la comunità. Le persone gay in Russia hanno bisogno di avvocati, sostegno sanitario, spesso hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a lasciare le zone a rischio (pensiamo alla Cecenia), per salvarsi possono rivolgersi solo alle organizzazioni Lgbt. Rendere il nostro lavoro illegale vuol dire rendere le persone Lgbt ancora più indifese. Le parole non bastano a spiegare il danno di questa decisione sulla vita delle persone Lgbt». 

«La Russia è il paese dove tutto è già successo contro la comunità Lgbt. Possono farlo perché lo hanno già fatto in passato ed è uno stratagemma per mettere ancora più all'angolo la comunità arcobaleno. Con questa decisione sarà possibile chiamare separatamente organizzazioni, attivisti e cittadini». Non è una novità. In passato l'accusa di estremismo è stata rivolta a molte organizzazioni, attivisti e oppositori in Russia per bloccarne il lavoro, specie dall'inizio del conflitto in Ucraina. Tra i personaggi colpiti Alexei Navalny, in carcere fin dal 2021. Lo scontro fra l'Occidente e la Russia (che tra l'altro durante l'Unione Sovietica introdusse l'uso del 'fraterno bacio socialista' sulle labbra tra leader comunisti di sesso maschile) non si disputa solo sui campi di battaglia dell'Ucraina.  

Per chiamare a raccolta il popolo russo nella sfida con gli Stati Uniti e l'Europa, Vladimir Putin sottolinea regolarmente la necessità di difendersi da quelli che vede anche come gli attacchi culturali dell'Occidente alle tradizioni. In particolare la famiglia, ma anche il patriottismo e la religione, come dimostra la partecipazione del presidente alle principali cerimonie liturgiche, le cui immagini sono regolarmente diffuse dalla televisione di Stato. Su questa linea tradizionalista, capace di far presa anche su un pubblico occidentale più ostile alle trasformazioni in campo sessuale, si erano inserite in passato altre iniziative che avevano preso di mira le comunità Lgbt. In particolare una legge varata un anno fa contro la cosiddetta «propaganda delle relazioni non tradizionali». 

Una normativa che non contempla sanzioni penali ma amministrative contro i trasgressori, prevedendo pesanti multe per chi, attraverso siti, media, libri o film, è giudicato colpevole di volere diffondere la "cultura gay". Poche settimane prima, durante un discorso al Cremlino per la cerimonia di annessione alla Federazione di quattro regioni ucraine, Putin aveva battuto anche su questo tasto. «Vogliamo che in Russia ci siano il genitore 1 e il genitore 2 invece di mamma e papà? - si era chiesto -. Siamo completamente impazziti?». «Qui seguiamo un altro cammino», aveva detto da parte sua il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, uno dei promotori del disegno di legge insieme a centinaia di deputati: «Dobbiamo pensare ai nostri bambini, alle nostre famiglie e al nostro Paese per preservare e proteggere i valori che i nostri genitori ci hanno trasmesso». 

Estratto dell'articolo di Giuliano Guzzo per “La Verità” il 10 maggio 2023.

«Stare in prigione con maschi che “si sentono” femmine è, per noi detenute, un calvario». A firmare questa forte denuncia è Kokila Hiatt, detenuta presso l’Edna Mahan correctional facility for women, una struttura penitenziaria del New Jersey dove la convivenza tra carcerati di sesso biologico differente è una realtà. Insieme a 800 donne, infatti, ci sono una trentina uomini che tali non «si sentono»; fra questi, pure detenuti che è eufemistico definire pericolosi.

[…] un lungo appello, pubblicato dal sito Reduxx, in cui urla tutto il disagio suo e delle altre nella sua condizione.  «In tutta l’America, vengono progettate e implementate politiche carcerarie per persone transgender detenute», esordisce la Hiatt, che ricorda come tali politiche mirino «a garantire la sicurezza e la dignità degli uomini che si identificano appartenenti al sesso opposto, alloggiandoli in prigione insieme alle donne». […], «sebbene tali politiche siano relativamente nuove, si sono rapidamente dimostrate pericolose per le detenute. […]».

Una novità che Hiatt, come altre, ha trovato sconvolgente: «Sono rimasta scioccata dalla miriade di modi in cui il dipartimento penitenziario del New Jersey ha facilitato ai detenuti trans l’accesso allo spazio tradizionalmente riservato ai noi donne». […] «È interessante notare che, benché queste politiche siano in vigore in più Stati», prosegue infatti la Hiatt, «nessuna donna che si identifica come transgender sia stata rinchiusa in una prigione maschile».

«Questo», si legge sempre nell’appello riportato su Reduxx, «dimostra una verità ineludibile: che i corpi maschili sono pericolosi per quelli femminili indipendentemente dall’identità di genere di una persona[…] «Le donne in carcere sono spesso vittime di abusi sessuali durante la detenzione», racconta Hiatt che, non bastasse il buon senso a far capire la fondatezza di quanto afferma, richiama dei numeri inequivocabili: «Dal 2009 al 2011, i dati nazionali sulla vittimizzazione sessuale in carcere hanno mostrato che le detenute, pur essendo solo il 7% della popolazione carceraria complessiva, hanno rappresentato il 33% delle aggressioni sessuali denunciate dal personale penitenziario». […]

Nel Canada di Justin Trudeau è stato, per esempio, realizzato uno studio, intitolato Gender diverse offenders with a history of sexual offending, da cui si evince come quasi un detenuto transgender su due - il 44%, per l’esattezza - si trovi in carcere per reati sessuali e, oltre l’80% di essi, siano uomini che «si sentono» donne. Degno di nota, inoltre, è che il 94% dei criminali transgender abbia commesso i propri crimini, che spesso sono a sfondo sessuale, identificandosi col proprio sesso biologico. Che ciò rappresenti un rischio concreto è provato dal varo, ufficializzato a fine febbraio dal segretario alla Giustizia inglese, Dominic Raab, di nuove regole per i penitenziari: i trans condannati per crimini violenti e ancora in possesso dei genitali maschili saranno esclusi dalle carceri femminili in Inghilterra e Galles.

Una decisione, aveva affermato Raab ripreso dal DailyMail, «basata sul buon senso e che migliorerà la sicurezza dei detenuti». Il buon senso, però, sembra non esser di casa nell’America di Joe Biden, dove carcerate come Kokila Hiatt rischiano ogni giorno la loro incolumità; probabilmente più di quanto non la rischierebbero passeggiando libere per strada. «Vivere il calvario di essere in prigione con maschi affetti da disforia di genere», ha affermato sempre la detenuta dell’Edna Mahan, «mi ha fatto apprezzare il lavoro delle donne che, nel corso della storia, hanno lottato per il nostro diritto alla sicurezza».

[…]

Dal “Venerdì di Repubblica” il 9 gennaio 2023.

Sono nato nel '59, da ragazzo ero iscritto al Partito Radicale, poi al Pds di Occhetto, infine al Pd. Ho abbandonato quest'ultimo quando il "fuoco amico" ha contribuito a bocciare la Riforma di Renzi (che ha dato all'Italia le unioni civili). Alle ultime elezioni ho votato Terzo polo e ho comunque gran simpatia per la Meloni (proprio perché ha gridato "Sì all'identità sessuale, no alla lobby Lgbt+!").

 Conosco bene fin dalla fine degli anni 70 il mondo Lgbt+. Ne faccio parte fin da quando non si usava questo patetico acronimo, sebbene da giovane lo frequentavo poco perché non mi piaceva. E d'altra parte oggi riesco solo a litigare con queste nuove "fluide" generazioni guidate da sigle improvvisate che suggeriscono solo vittimismo, antagonismo, chiasso mediatico (e odio, bollando chiunque di omofobia).

 Vorrei che queste sigle anziché predicare visibilità e coraggio ammettessero i loro danni al popolo arcobaleno. Magari chiedendo scusa per aver intimidito i virologi (quando quelli spiegavano che l'epidemia di monkeypox era scoppiata al Pride di Maspalomas e sembrava colpire quasi esclusivamente i giovani gay).

 L'Aids non ha insegnato nulla, d'altra parte quando le discoteche etero rimanevano chiuse per il Covid erano invece in piena funzione le darkroom dei club rainbow. Questo ha dimostrato Radio 24 della Confindustria ma io già ne ero consapevole. E dunque anche il coronavirus come l'Aids non ha insegnato nulla.

 Sono scomparse le vecchie raccomandazioni di usare sempre e comunque le "precauzioni". Addirittura ora i Pride chiedono PrEP per tutti. Oggi quel pillolone viene sfruttato proprio nell'illusione che permetta, di nuovo, gangbang al buio. Natale Pellizzer

Risposta di Natalia Aspesi: Inesperta di PrEP e pure di PEP ho chiesto lumi a un paio di miei giovani amici e ho appreso che si tratta di una pillola distribuita da centri speciali e sotto l'attenzione di un virologo, che nei rapporti omosessuali preserva dall'Aids, mentre il PEP viene prescritto dopo un incontro a rischio.

Perché il signor Pellizzer, conosciuto nella comunità gay perché lo si trova dappertutto sui social, pare contrario a un farmaco salvavita? Apprendo e riferisco a chi fosse interessato, che il mondo Lgbt+ è diviso, non solo dalle sigle, ma anche dal modo "sociale" di vivere la propria sessualità.

 Pellizzer è un combattente gay che proviene dalle drammatiche esperienze degli anni del silenzio, i giovani di oggi possono apertamente vivere la propria identità sessuale in una società che in gran parte li sostiene: tanto che, non si offenda nessuno, se sei goffamente binario, come si dice oggi, non sei degno di nota.

 Se avesse un senso legare l'anima politica al corpo, potremmo dire che questa lettera esprime una specie di "conformismo" di destra: l'aver ottenuto le unioni civili e il rispetto della maggior parte della gente ti ha liberato dallo stigma della diversità, mentre le nuove generazioni definite di sinistra vogliono la libertà di accedere ad ogni diversità.

Mi spiegano che i gay contrari alla pillola salvavita provano lo stesso senso di colpa che ancora oggi provano le donne che rifiutano quella anticoncezionale. Se ti perdi nel peccato, devi rischiare la punizione. Che pasticcio però; il nuovo governo è retto da maschi omofobi che già si sono mossi per ricostruire la diversità: sui documenti di identità via genitore 1 e genitore 2, obbligatorio madre e padre. Quanto alle darkroom non ne vogliamo saper niente, sono cose vostre, di voi peccatori.

Lo Sport.

Estratto dell’articolo di repubblica.it l'8 agosto 2023.

Un’entrata a gamba tesissima. Inaspettata, decisamente, da parte di un’icona della lotta per i diritti e l’inclusione. Intervenendo in una discussione su Twitter, Martina Navratilova ha preso una posizione nettissima contro l’inserimento di atlete trans nelle gare di tennis femminile. 

“Non è giusto e non è corretto”. Così, Navratilova ha risposto a una discussione in cui si parlava di inclusione e della vittoria di una tennista nata uomo, Alicia Rowley, di alcuni tornei femminili over 55 organizzati dall’Usta, la United States tennis association. 

“Hey, Usta – ha scritto Navratilova – il tennis femminile non è per atleti maschi falliti, qualunque sia l'età. Questo sarebbe consentito agli US Open di questo mese? Solo con un documento d'identità? Non credo...”.

Poi, rispondendo a vari commenti di altri utenti, ha rincarato la dose, come non fosse già sufficiente: “È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire? È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nella categoria femminile nello sport”. 

La sua posizione, così netta e ostentata pubblicamente con questi post e messaggi, […] con la figura della tennista che nel 1981 divenne la prima atleta professionista a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità, con un titolo del Daily News che alludeva alla sua bisessualità. 

[…] da anni le sue esternazioni sulle atlete trans fanno profondamente discutere, al punto da provocare la sua espulsione da Athlete Ally, associazione che combatte battaglie in sostegno di atleti omosessuali. Con una accusa durissima: “Transfobia”. La nuova posizione assunta da Navratilova – sposata dal 2014 con l’ex miss Urss Julia Lemigova – non contribuirà ad addolcire queste accuse.

Da ilnapolista.it il 29 Dicembre 2022. 

Il Consiglio Mondiale della Boxe apre agli atleti transgender: «creeremo una categoria»

La Boxe ha intenzione di creare una categoria apposita per gli atleti transgender e ha lanciato un appello affinché gli atleti si facciano avanti nel 2023.

 Come riporta il Telegraph, il World Boxing Council sta cercando di introdurre questa nuova categoria e attraverso le parole del suo presidente, Mauricio Sulaiman, ha fatto sapere che si tratta di una questione di sicurezza oltre che di inclusione. 

Nell’intervista al quotidiano inglese Sulaiman ha dichiarato: 

«Il prossimo anno il WBC lancerà un “appello globale” affinché gli atleti trans si facciano avanti se vogliono competere, con l’obiettivo di creare una propria lega o un torneo separato. Gli atleti trans non potranno combattere contro pugili non trans. Lo sport cercherebbe di adottare la regola “alla nascita”, il che significa che un combattente trans nato uomo sarebbe in grado di competere solo contro un altro combattente trans nato uomo». 

E ha continuato precisando che «un uomo che combatte una donna non deve mai essere accettato indipendentemente dal cambio di genere». 

Questa innovazione si inserisce nel solco di diverse polemiche maturate all’interno di altre discipline e portate avanti da atleti come Lia Thomas, nata Will Thomas, nel nuoto o il sollevatore di pesi Laurel Hubbard, anche lei transgender, in gara alle Olimpiadi di Tokyo. 

Sulaiman ha concluso la sua intervista con l’appello a farsi avanti:

«Lanceremo un appello globale per coloro che sono interessati al 2023 e stabiliremo i protocolli, avvieremo la consultazione e molto probabilmente creeremo un campionato e un torneo. È il momento di farlo, siamo stati i leader nelle regole per la boxe femminile, quindi i pericoli di un uomo che combatte una donna non si verificheranno mai a causa di ciò che metteremo in atto. Non ci dovrebbero essere zone grigie attorno a questo, e vogliamo affrontarlo con trasparenza e con le giuste decisioni. Non sarà mai permesso combattere contro un genere diverso dalla nascita. Stiamo creando una serie di regole e strutture in modo che la boxe transgender possa aver luogo, come meritano gli atleti che vogliono boxare. Non conosciamo ancora i numeri che ci sono là fuori, ma stiamo aprendo una registrazione universale nel 2023, in modo da poter capire i pugili che ci sono là fuori e partiremo da lì».

Anche il British Boxing Board of Control ha fatto sapere che sta rivedendo la sua politica nei confronti degli atleti transgender e il segretario generale Robert Smith ha dichiarato:

«Al momento si tratta di un’ipotesi, ma possiamo vederla concreta e stiamo esaminando la nostra politica sui transgender. Quando accadrà, intendiamo essere pienamente preparati. Dovranno essere prese in considerazione i consulti medici e, forse ancora più importanti, legali. La boxe ha avuto casi di combattenti transgender che hanno avuto successo negli ultimi anni». 

Gli esempi nella box di atleti transgender sono diversi, come scrive il Telegraph:

Patricio Manuel è stata cinque volte campionessa amatoriale statunitense femminile prima di riuscire a qualificarsi per la squadra americana per i Giochi Olimpici del 2012. Manuel ha iniziato il trattamento ormonale nel 2014 prima di sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione di genere l’anno successivo e ha fatto il suo debutto professionale come pugile maschio nel 2018, sconfiggendo Hugo Aguilar ai punti a Indio, in California. Da allora il 37enne non ha più praticato boxe. Il primo pugile transgender della Gran Bretagna, Danny Baker, di Enfield, Londra, è nato femmina ma ha cambiato sesso a 20 anni e da allora ha combattuto in eventi semi-professionali. Il Boxing Board of Control ha confermato a Telegraph Sport che Baker non è autorizzato a boxare”.

L’ideologia.

Il caso Concia, l’attivista Lgbt e l’ansia di destra di soddisfare la sinistra. L’ex deputata Pd è stata scelta da Valditara per il progetto “Educare alle relazioni”. E perché non Zan, a questo punto? Massimo Balsamo su nicolaporro.it il 9 Dicembre 2023, 8:42

Non ce ne voglia Anna Paola Concia, persona seria e di polso, basti pensare al coraggioso posizionamento contro il ddl Zan che l’ha vista vittima di attacchi di ogni tipo dalla galassia arcobaleno. Ma la scelta del ministro Giuseppe Valditara di coinvolgere l’ex deputata del Partito Democratico per il progetto “Educare alle relazioni”. Una decisione che ha provocato sorpresa e resistenze anche nella maggioranza di centrodestra e fra le organizzazioni che promuovono una visione tradizionale della famiglia, ma che soprattutto rischia di portare il governo a confermare il vizio avere la strana necessità di appagare la sinistra.

Concia, l’attivista Lgbt a scuola

Il ministro cercava unità di fronte alla violenza di genere? Possibile. Ma la sensazione di molti è quella di una destra alle prese con il bisogno di piacere alla sinistra, quasi alla ricerca di una sorta di legittimazione. Anziché tenere la barra dritta e salvaguardare i valori che hanno spinto milioni di italiani a votarla, la compagine guidata dal premier Meloni a volte sembra voler scendere a compromessi per non urtare il mondo rosso. Insomma, risulta quasi strano che la scelta sia ricaduta sull’attivista Lgbt e non su Alessandro Zan. Il ragionamento non sarebbe stato tanto diverso.

Il vizio di appagare la sinistra

Non c’erano profili più vicini alle idee della destra per un compito simile? Evidentemente sì. Ma forse ha prevalso il timore di subire attacchi dalla stampa e dall’opposizione. A parti inverse – con la sinistra al governo e la destra all’opposizione – non avremmo assistito a qualcosa di simile: Schlein & Co. avrebbero pescato esclusivamente dal mondo arcobaleno, senza allargare il perimetro a figure conservatrici. Ma la scelta della Concia rischia di avere un ulteriore aspetto negativo, ossia incrinare i rapporti all’interno della maggioranza. Da Fratelli d’Italia a Forza Italia, molti hanno preso le distanze. Ma anche all’interno della Lega – partito che ha espresso il ministro – non sono mancate le stoccate: “Non c’è bisogno di nomi o soluzioni divisive per educare alle relazioni, soprattutto se rischiano di alimentare polemiche”, ha detto Simona Baldassarre, responsabile del dipartimento famiglia. Ne valeva la pena?

Massimo Balsamo, 9 dicembre 2023

La stiratura del seno e l’ennesimo tentativo di cancellare il genere. Il maschile e il femminile sono profondamente radicati nei corpi, ma non basta: la campagna per una civiltà di mutanti sta prendendo il sopravvento. Massimo Balsamo il 7 Settembre 2023 su Il Giornale.

Oggigiorno chi utilizza termini come “uomo” e “donna” è un rivoluzionario, figurarsi chi osa spingersi sul terreno di “madre” e “padre”. Gli integralisti a tinte arcobaleno vogliono – o meglio pretendono – follie collettive, come i bagni no gender o la possibilità di identificarsi con una autocertificazione. O ancora, c’è chi pensa che sia normale parlare di uomini con le mestruazioni. L’ideologia woke sta prendendo il sopravvento e la comunità Lgbt vuole dettare le regole del gioco, pena piogge di accuse di transfobia, omofobia e stupidaggini simili. Il disegno è chiaro: cancellare il genere.

Il maschile e il femminile sono profondamente radicati nei nostri corpi, eppure nel nome dell’inclusione prosegue la battaglia per eliminare le differenze. Un’idea di libertà alquanto buffa, che rischia di rendere il pianeta come un semplice assembramento di mutanti. I cromosomi parlano chiaro, ma c’è chi guarda oltre. L’ennesimo tentativo di mettere un segno “x” sul genere è legato alla stiratura del seno, brutale fenomeno di determinate regioni africane ma anche primo step della rimozione chirurgica delle tette.

Da Elliot (ex Ellen) Page in avanti, un trionfo di cancellazione del seno. Come rimarcato dal Foglio, la maggior parte delle “top surgery” viene praticata negli Stati Uniti, con un giro d’affari esorbitante. Le mastectomie sono praticate già negli ospedali pediatrici a partire dall’età di 12 anni – non è necessaria un’età minima – i dati sono impressionanti: lo studio pubblicato dal Journal of the American Medical Association rivela che dal 2016 al 2019 sono stati eseguiti oltre 48 mila interventi chirurgici di “affermazione del genere” (GAS, Gender Affirmation Surgery). Il 52,3% delle operazioni ha riguardato persone di età compresa tra 19 e 30 anni, mentre il 7,7% ha tra i 12 e i 18 anni.

“È chiaro che i corpi dei bambini vengono alterati chirurgicamente”, l’analisi del The National Review, che ha acceso i riflettori sulla crescita esponenziale dell’isteria transgender: “Un numero spaventoso di bambini viene sottoposto a transizione chirurgica (…) quando gli studi mostrano che la confusione di genere nei bambini e negli adolescenti è spesso transitoria e la detransizione è in crescita”. Il giornale statunitense ha anche citato i dati dello studio della Vanderbilt University, secondo cui 489 minori – di età compresa tra 12 e 17 anni – hanno subito mastectomie nel 2019. Numeri che dovrebbero portare a una riflessione anche tra i talebani del settore, pronti a tutto per archiviare il genere in nome di una libertà che rischia di costare parecchio in termini di salute ma non solo.

Estratto dell'articolo di Massimo Balsamo per ilgiornale.it sabato 26 agosto 2023.

“Una donna è una donna e un uomo è un uomo”: queste le parole di Carlos Santana che hanno scatenato un rovente dibattito nelle ultime ore. Il celebre chitarrista è stato immediatamente accusato di transfobia e il video del suo intervento durante un concerto ad Atlantic City, in New Jersey, è diventato virale. [...] il settantaseienne si è lanciato in un discorso sulla transizione di genere e ha ribadito il suo sostegno al comico Dave Chappelle, una delle vittime più celebri del politicamente corretto.

“Quando Dio ha creato me e te, prima che uscissimo dal grembo materno, sapevamo chi e cosa eravamo. Poi, quando cresci, vedi le cose del mondo e inizi a credere che potresti essere qualcosa di diverso che ti suona bene”, le considerazioni di Santana sul palco di Atlantic City: "Ma sai che non è giusto, perché una donna è una donna e un uomo è un uomo. Ed è tutto. Poi qualunque cosa tu voglia fare a casa tua, sono affari tuoi, a me sta bene”. Come anticipato, il chitarrista – unendo le mani – ha affermato di“essere così con il mio fratello Dave Chappelle”.

[...] Non sono mancati insulti e minacce nei confronti dell’artista, che ha voluto prendere posizione con un post su Facebook: “Mi dispiace per essere stato insensibile […] Voglio onorare e rispettare tutti gli ideali e tutte le credenze, che siano LGBTQ o meno. Questo è il pianeta del libero arbitrio, un dono che è stato fatto a tutti noi. Perseguirò l’obiettivo di essere felice e di divertirmi, affinché tutti credano in ciò che vogliono e lo facciano nel profondo e senza paura alcuna”.

Per ribadire il suo dispiacere per il fraintendimento, Santana ha inviato una nota a Billboard per rinnovare le sue scuse alla comunità transgender e a chiunque si sia sentito offeso:“Sono dispiaciuto per l’insensibilità delle mie parole. Non riflettono il fatto che intendono onorare e rispettare tutti gli ideali e tutte le convinzioni. Capisco che ciò che ho detto ha offeso alcune persone, ma non era mia intenzione farlo” [...]

«I veri Stati Generali della Natalità sono qui». 300 sindaci a Torino in difesa delle Famiglie Arcobaleno. Al Teatro Carignano la convention dopo il pressing del governo Meloni per cancellare i figli delle coppie omogenitoriali. I sindaci a una voce sola: «Questo è il momento del matrimonio egualitario». Simone Alliva su L'Espresso il 12 maggio 2023.

È nelle città che si capiscono con grande nitore ed esattezza le dinamiche che muovono la politica. Quello che agita la gente, abita le loro vite. Un interesse spesso reso opaco dai grandi scenari romani dove tra predellini e papi tutto può diventare uno show, anche gli Stati Generali della Natalità.

Così, in purezza, si possono vedere a Torino oltre 300 sindaci da tutta Italia riempire Teatro Carignano per chiedere più diritti per le famiglie omogenitoriali. A rispondere all'appello del sindaco Stefano Lo Russo fra gli altri i primi cittadini di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Firenze e Bari: gli stessi che recentemente hanno scritto al governo chiedendo un intervento per cancellare la disparità di trattamento in materia di diritti civili. A far partire la mobilitazione, è stato lo stop - per Torino arrivato nel giugno scorso e per Milano nel marzo di quest'anno come raccontato da L’Espresso - alle trascrizioni all'anagrafe dei figli delle coppie dello stesso sesso. Divieto che ha spinto i sindaci alla mobilitazione.

Sul palco della convention “La Città per i diritti” con Lo Russo c’è il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, in collegamento video da Milano Giuseppe Sala, da Bologna Matteo Lepore, da Firenze Dario Nardella, da Napoli Gaetano Manfredi, e da Bari Antonio Decaro. È l’opposizione dei sindaci al governo Meloni che tra provvedimenti e pressioni soffia sull’omotransfobia del paese e nega diritti e doveri alle coppie omogenitoriali.

La distanza tra Roma e Torino è insieme millimetrica e abissale ed è Vladimir Luxuria, attivista Lgbt e direttrice del Lovers Film Festival a misurarla in apertura: «Benvenuti alla festa della natalità. Essere a favore della natalità significa non mettere dei paletti a persone che sono famiglia e che desiderano essere genitori. Significa consentire la possibilità di avere dei bambini che altrimenti non ci sarebbero».

Ma è l’unità dei sindaci sui diritti delle famiglie arcobaleno a mandare messaggi precisi e inequivocabili alla politica romana. «Chiediamo al Parlamento di colmare un vuoto, così come ha fatto presente anche la Consulta: serve un quadro normativo per i figli delle coppie omogenitoriali». Dice Stefano Lo Russo, sindaco di Torino e racconta le difficoltà di chi, da primo cittadino, esercita in prima persona la responsabilità: «Come sindaci ci siamo ritrovati in molti casi a dare una risposta alle famiglie che si rivolgevano a noi per ottenere una cosa che in Europa è scontata, e cioè il riconoscimento della doppia genitorialità, quella biologica e quella intenzionale. I tribunali del nostro Paese dicevano una cosa e il suo esatto contrario», ha sottolineato.

Interviene in collegamento anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala che ci tiene a precisare: «Non vogliamo disobbedire bensì ottenere leggi giuste» e sembra rispondere così, con pacatezza, all'invito alla disubbidienza civile fatto dallo stesso palco dal giurista Gustavo Zabrelsky. «Purtroppo - ha continuato Sala - la Corte costituzionale si è già espressa, non è quella la strada. E non mettiamola sulla mancanza di coraggio: ci sono sindaci che si stanno battendo. Ma non so se trasgredire alla legge sia il percorso giusto: vogliamo che sia il Parlamento a esprimersi. Alcune coppie ci stanno chiedendo la registrazione del padre biologico. Bisogna capire sulla base di quale documento poterlo fare, poiché non figura sull'atto di nascita del bambino, ma sarebbe già un piccolo passo».

Come fare? Proprio questo è il punto intorno cui gira l’intera convention. «Il Parlamento si deve assumere le sue responsabilità, non si possono decidere i diritti dei bambini nei tribunali. I sindaci hanno sempre avuto coraggio e continueranno ad averlo, ma non vogliamo portare i bambini nei tribunali, vogliamo tutelarli con la legge. Il matrimonio egualitario può essere la soluzione», suggerisce il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi.

A queste parole sembra fargli eco il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, «C'è una maggioranza di italiani e italiane - ha sottolineato Gualtieri - che è matura per fare ciò che in Europa è normale. Ma c'è anche purtroppo una parte fosca - ha aggiunto - che punta a rimestare su sentimenti che nel Paese stanno scomparendo. Tali figli, senza le trascrizioni, si trovano in una situazione di oggettivo svantaggio e discriminazione. Speriamo di essere ascoltati sia dal Parlamento che dal Governo».

Fuori dal teatro pochi attivisti di Pro-Vita agitano dei bambolotti in un carro della spesa. "I bambini non sono prodotti” urlano, ma la mobilitazione è fiacca mentre il Teatro Carignano esplode in un applauso alle parole del sindaco di Bari, Antonio Decaro. «C'è una certa classe politica che dimostra un pregiudizio, quello verso l'omosessualità» e quasi a rispondere ai contestatori fuori ricorda: «l’80 percento della maternità surrogata è fatta da coppie eterosessuali all'estero, a cui nessuno chiede niente al momento della trascrizione dei figli. C'è un pregiudizio rispetto al quale non possiamo stare fermi».

Il punto è proprio questo: fermi non si può stare. Non più. Questa volta a dirlo sono i sindaci: volto della politica nelle città e nei paesi. Quelli che la gente ferma per strada per chiedere soluzioni e aiuto: «Noi sindaci - osserva Decaro - siamo stati chiamati a guardare oltre lo stretto contenuto di una norma e abbiamo sentito forte la necessità di tutela i diritti dei più deboli, l'abbiamo già fatta per tanti anni la disobbedienza, e sempre tenuto al primo posto i diritti dei bambini. Ora è tempo di legiferare».

"Destino oscurantista". Torna la carica dei sindaci arcobaleno. Marco Leardi il 12 Maggio 2023 su Il Giornale.

A Torino la manifestazione dei sindaci progressisti per chiedere il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali. Parte il solito attacco al governo "oscurantista". Ma la replica non si fa attendere

Si sono presentati in fascia tricolore. Ma l'obiettivo era arcobaleno. Da tutta Italia, oltre 300 sindaci si sono riversati a Torino per perorare la causa delle famiglie omogenitoriali. Il tema è quello controverso e ormai noto ai più: i primi cittadini in questione, in ampia maggioranza d'estrazione progressista, chiedono infatti che il Parlamento legiferi al più presto sulle coppie gay e sui loro figli, lamentando un grave vulnus in materia. L'inghippo, tuttavia, lo avevano creato proprio quelle amministrazioni che, con una fuga in avanti di natura ideologica, avevano effettuato registrazioni all'anagrafe pur in assenza di una normativa che lo consentisse. Poste di fronte all'illegittimità dei suddetti provvedimenti, ora quei politici buttano la patata bollente contro il governo accusandolo - con uno scaricabarile strumentale - di essere retrogrado e di non volere i diritti civili.

L'adunata de sindaci arcobaleno

A far partire la mobilitazione torinese era stato lo stop - avvenuto proprio nella città sabauda, ma anche a Milano - alle trascrizioni all'anagrafe dei figli delle coppie dello stesso sesso. Il sindaco del capoluogo piemontese, Stefano Lo Russo, aveva fatto scattare l'appello arcobaleno e i suoi colleghi favorevoli a quelle istanze sono tornati così alla carica. A rispondere al suo invito sono stati, tra gli altri, i primi cittadini di Roma, Milano, Napoli, Bologna Firenze e Bari: gli stessi che recentemente hanno scritto al governo chiedendo un intervento per cancellare la disparità di trattamento in materia di diritti civili. Facile dunque intuire il carattere politico della manifestazione e degli interventi pronunciati sul palco.

"Disobbedienza civile". Ma Zabrelsky non convince Sala

"Non vogliamo disobbedire bensì ottenere leggi giuste", ha rilanciato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, intervenuto in videocollegamento. E dal palco è arrivato anche l'invito alla disobbidienza civile del giurista Gustavo Zabrelsky. La discutibile proposta di quest'ultimo, però, non ha convinto il primo cittadino del capoluogo lombardo. "Purtroppo la Corte costituzionale si è già espressa, non è quella la strada. E non mettiamola sulla mancanza di coraggio: ci sono sindaci che si stanno battendo. Ma non so se trasgredire alla legge sia il percorso giusto: vogliamo che sia il Parlamento a esprimersi", ha affermato Sala. "Alcune coppie - ha poi aggiunto - ci stanno chiedendo la registrazione del padre biologico. Bisogna capire sulla base di quale documento poterlo fare, poiché non figura sull'atto di nascita del bambino, ma sarebbe già un piccolo passo".

"Destino oscuro". L'attacco di Lepore al governo

Certo, che le insistenze della sinistra arrivino proprio ora - quando a guidate il Paese c'è un governo prudente sulla tematica - è quasi surreale. La maggioranza di centrodestra, infatti, ha sempre sostenuto la propria contrarietà a riconoscimenti che (più o meno direttamente) rischiassero di legittimare pratiche controverse come quella dell'utero in affitto. Ma il messaggio non è stato recepito dai progressisti. "Serve il coraggio della politica in Parlamento, ma noi ci siamo e ci saremo sempre: continueremo a combattere questa battaglia contro il destino oscuro e oscurantista verso il quale ci vuole spingere il governo di Giorgia Meloni", ha tuonato il sindaco Pd di Bologna, Matteo Lepore, sferrando uno schiaffo politico all'esecutivo. Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, sostenuto dal centrosinistra, ha parlato di matrimonio egualitario come soluzione e da Firenze Dario Nardella ha ribadito la propria convinzione che vada colmato il "vuoto normativo sulle garanzie dei diritti dei figli di coppie omogenitoriali".

Fdi replica ai sindaci arcobaleno

La risposta alle rivendicazioni politiche della kermesse progressista non si è fatta attendere dalla maggioranza. "Torino purtroppo, prima con il sindaco Appendino poi con Lo Russo, è stata trasformata nella città dei diritti negati: ha negato il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà con il registro e poi al governo il ministro Lamorgese, dovendo interrompere quell'abuso politico li ha gettati in un limbo senza precedenti che adesso non sanno come risolvere", ha ricordato la parlamentare Augusta Montaruli, vicecapogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, circostanziando l'argomento al di là delle strumentalizzazioni di parte.

"Utero in affitto sia reato universale"

"Nell'imbarazzo di questa situazione si stanno strumentalizzando le aspettative, che provavano a soddisfare, con un escamotage amministrativo sapendo benissimo che non ne avevano alcuna competenza. Sono stati al governo 10 anni, se avessero voluto avrebbero coinvolto il Parlamento su quelle che oggi chiamano famiglie arcobaleno. Potevano ma evidentemente non volevano farlo neanche loro", ha aggiunto Montaruli, spiegando come "la migliore risposta a quei sindaci" progressisti sia arrivata da Giorgia Meloni - oggi agli Stati Generali alla presenza del Papa - e da Fratelli d'Italia in Parlamento con la proposta che trasforma l'utero in affitto reato universale. "Questa pratica non può essere mai legittimata. In troppi, a prescindere dalle questioni di genere, aggirano le leggi facendo prevalere il sentimento di maternità e paternità sul diritto dei minori e sul diritto della donna che non può mai essere sfruttata", ha concluso l'onorevole del partito meloniano.

"Dai sei anni...". Così il Pd promuove l'ideologia gender per i bimbi a Verona. William Zanellato il 23 Aprile 2023 su Il Giornale.

Il Partito democratico veronese promuove l'ideologia gender tramite un volantino "fluido" rivolto ai bambini di sei anni. Fratelli d'Italia insorge: "Storpia la lingua e annienta l'identità" 

Asterischi, schwa e forzature grammaticali. La neo lingua gender fluid, associata alla difesa dell’ambiente, è la nuova trovata del Partito democratico veronese. L’ossessione per la lingua “anti-discriminazione”, estranea a qualsiasi dizionario d’italiano, ha colpito l’amministrazione di sinistra della nuova Verona in salsa Pd.

Il volantino "fluido"

Questa volta, ad essere coinvolta nella nuova propaganda gender-Lgbt, è la difesa sacrosanta dell’ambiente. Nella Verona dem dell’ex calciatore e ora sindaco, Damiano Tommasi, l’amministrazione ha deciso di pubblicizzare la “Festa dei Fiori”. Fino a qui, nulla di eccezionale: un semplice volantino dedicato alla sensibilizzazione per l’ambiente e alla promozione dell’evento. A far discutere, e non poco, sono le modalità d’invito e i rispettivi destinatari L’invito, ripreso da Libero, è rivolto ai “bambin* a partire dai 6 anni”, con l’asterisco e “a tutt*”, sempre con l’asterisco. La neo lingua gender fluid rivolta ai bambini piccoli, direttamente promossa dall’amministrazione dem.

Carriere alias in 200 scuole italiane: la follia dell'ideologia gender

L’elemento di novità non è da sottovalutare. Se ormai il pensiero fluido, tipico del progressismo a tutti i costi del Pd, si sta espandendo a macchia d’olio, fino ad ora l’ideologia gender non aveva ancora colpito “i bambini di 6 anni”. Soggetti, non è difficile intuirlo, facilmente influenzabili e privi di strumenti critici adeguati.

Il silenzio del sindaco dem

Il sindaco dem di Verona, Damiano Tommasi, fa orecchie da mercante. La sua giunta, che va dall’estrema sinistra al Pd, non vuole chiarire la propria posizione sulle modalità d’invito ad una festa che, tra l’altro, ha deciso autonomamente di promuovere. La “Festa dei Fiori” sponsorizzata dal Comune era in programma ieri, in concordanza con la Giornata della Terra e in concomitanza con gli eventi organizzati dall’associazione “Climact!” e dalla sezione locale del WWF. La descrizione dell’evento è un tripudio di asterischi: “Laboratori di giardinaggio per tutt*, interventi sulla biodiversità per tutt*, momenti sui cambiamenti climatici per bambin*, giochi e svaghi sempre per tutt*”.

La risposta di Fratelli d'Italia

Fratelli d’Italia insorge e critica la scelta del sindaco dem. Maddalena Morgante, deputata veronese del partito di Giorgia Meloni prende la palla al balzo per criticare le nuove follie dell’ideologia gender. “Chi ha autorizzato queste pubblicità?”, si chiede la responsabile veneta del dipartimento Famiglia e aggiunge: “Declinare tutti i sostantivi con un asterisco finale invece che seguire le regole della grammatica italiana è sia inutile che dannoso”. “L’asterisco – spiega Morgante – equivale a un annientamento di qualunque tipo di identità, storpia la lingua e non favorisce alcun passo avanti rispetto ai principi di non discriminazione, anzi. Apre la porta all’ideologia gender confondendo i bambini sin dalla tenera età”.

Retorica anti-Lgbt”. Perché la censura Ue sull’Italia è una follia. Il Parlamento Europeo ha condannato l’Italia per la propria “retorica anti-Lgbtiq”. Perché l’emendamento è una falla. Matteo Milanesi su NicolaPorro.it 21 Aprile 2023

“Retorica anti-lgbt, anti-diritti, anti-gender”. Si fonda su questa motivazione la nuova condanna che l’Italia, insieme a Polonia e Ungheria, ha riportato dal Parlamento Europeo. Strasburgo ha approvato un emendamento (282 voti a favore, 235 contrari e 10 astenuti), presentato dalla delegazione dei Verdi, concernente una relazione sulla depenalizzazione universale dell’omosessualità. Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, ovviamente, hanno dato via libera all’emendamento, affiancati da Sinistra Italiana.

Nel documento, si legge la preoccupazione “per gli attuali movimenti retorici anti-diritti a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell’Ue”. Secondo la maggioranza dei membri del Parlamento Europeo, “tali movimenti ostacolano notevolmente gli sforzi volti a conseguire la depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender, in quanto legittimano la retorica secondo cui le persone Lgbt sono un’ideologia, anziché esseri umani”.

Il punto centrale, però, è comprendere su quali basi dovrebbe fondarsi questa condanna. Molti siti online l’hanno già definita una “condanna per la retorica anti-gender”, che di per sé rappresenta già un paradosso: che cosa si intende per retorica? Quali atti del governo italiano andrebbero a discriminare la popolazione Lgbt? Quali movimenti risulterebbero essere omofobi? Insomma, entriamo in un campo puramente soggettivo, in cui l’ala più estrema della sinistra ci annoierebbe con discorsi politically correct e radical chic, così come avviene per l’eterno “allarme fascismo” paventato dai salotti del progressismo.

O ancora, l’Italia sarebbe un Paese contro la comunità Lgbt perché il Ddl Zan è naufragato? Se sì, allora dovremmo ricordare che, ai tempi, non c’era Giorgia Meloni al governo. Al contrario, il Bel Paese era trainato da Mario Draghi e la maggioranza parlamentare era in mano al centrosinistra. Insomma, se l’approvazione della legge Zan avrebbe escluso l’Italia dalla condanna del Parlamento Europeo, allora è proprio la sinistra a dover fare mea colpa, non essendo riuscita a far passare un disegno di legge con le aule di Camera e Senato sotto il proprio controllo.

Un altro elemento da analizzare è l’origine di questo emendamento, che nasce dal “caso Uganda”. Lo Stato africano è stato oggetto di una recente proposta di legge volta a condannare l’omosessualità con la pena di morte o fino a 20 anni di carcere. L’Eurocamera ha fermamente ribadito che tale disegno “viola la Costituzione ugandese, gli obblighi dell’Uganda nei confronti della Carta africana dei diritti umani e dei popoli e il diritto internazionale”, esprimendo “preoccupazione per il possibile impatto del disegno di legge nella regione africana, data la crescente tendenza a criminalizzare le persone Lgbt in alcune parti dell’Africa, come Ghana, Niger e Kenya”.

Il punto è il seguente: com’è possibile che un Paese come l’Italia possa essere condannata e associata ad uno Stato come l’Uganda, dove si può arrivare alla pena di morte per la sola “promozione dell’omosessualità”? Si può essere anti-meloniani quanto si vuole, ma affermare che vi sia un rischio di questo tipo nel Bel Paese rappresenta pura follia. Eppure, il Parlamento Europeo ha optato per il cumulo: Africa, Europa, Polonia, Uganda, Ungheria ed infine Italia. Tutto insieme, senza distinzioni. Rimane solo “l’agguato” della sinistra, pronta ad infangare il nome dell’Italia in Ue  solo per un’operazione di scaricabarile contro Giorgia Meloni.

Matteo Milanesi, 21 aprile 2023

Estratto dell’articolo di Fabrizio Cannone per “la Verità” l’8 aprile 2023.

Dal 2009 esiste un’imperdibile Giornata internazionale della visibilità transgender che ricorre il 31 marzo di ogni anno. […] Le cose che contano, spesso, ci vengono dagli Stati Uniti, dove il nostro futuro è già presente e dove la giornata è ben più nota e partecipata che da noi. E, tra le ultime fans dell’imperdibile evento, […] alcuni gruppi di suore cattoliche, con un argomentato manifesto[…]. 

 In particolare le Sisters of Providence, che hanno pubblicato sul proprio sito il documento, assicurano che le comunità che lo hanno sottoscritto rappresenterebbero «più di 6.000 religiose cattoliche», operanti in almeno 18 Stati della Confederazione. Il titolo del testo è In solidarity. […] Sono solidali con il Trans day of visibility del 31 marzo.

 «Come religiose cattoliche», dichiarano le pie sisters, «affermiamo con tutto il cuore che gli individui transgender, non binari e con dubbi di genere sono amati e prediletti da Dio». […] Le religiose progressiste avrebbero detto lo stesso, e con uguale enfasi, per i membri del Kkk o i suprematisti del Texas?

 

[…] Il problema in America non sarebbe quindi, come dicono i numeri, il calo demografico o la tenuta della famiglia e neppure le continue minacce alle religioni, viste in modo sempre più ostile dal laicismo dei democratici e dai gruppi atei e satanisti. Per le suore, malgrado la tirannnia woke, «negli Stati Uniti, le persone transgender stanno subendo danni e cancellazioni». E in che modo, di grazia? Attraverso l’approvazione di legislazioni «anti Lgbtq in diversi Stati», attraverso un’imprecisata «discriminazione e violenza quotidiana» e anche a causa, udite udite, della «retorica dannosa da parte di alcune istituzioni cristiane e dei loro leader, compresa la Chiesa cattolica».

La Chiesa cattolica avrebbe una «retorica anti trans»? […] Questa ipotetica retorica, la Chiesa, né l’aveva in passato, perché il problema, per fortuna dei nostri avi, non si poneva, né l’ha certamente ora con papa Francesco, il quale, più di una volta, ha ricevuto con affetto dei/delle trans portati a San Pietro dal parroco di Torvajanica, don Andrea Conocchia. 

[…] Tra le misure proposte dalle consacrate c’è quella di valutare «la capacità della propria comunità religiosa di accogliere pienamente le persone trans», senza escludere «gli atteggiamenti, i comportamenti, le politiche interne e i servizi igienici neutri». Abbiamo contato almeno 15 comunità cattoliche tra i firmatari del manifesto (domenicane, francescane, giuseppine, suore della carità, missionarie...). Ma in Vaticano non dicono niente di questa posizione proveniente da Oltreoceano? […]

Vaticano arcobaleno. Una fronda di ultraconservatori frena le aperture di Papa Francesco al mondo Lgbt+. Luciano Tirinnanzi su L’Inkiesta l’8 aprile 2023.

Un’indagine giornalistica sul velo di omertà e ipocrisia sul tema dell’omosessualità nella Chiesa. La breccia nella dottrina di Bergoglio, le cui riforme sono osteggiate da chi vorrebbero vederlo rinunciare al Soglio di Pietro, specie dopo la scomparsa di Ratzinger

Perché proprio oggi un libro su Papa Francesco e i gay? O meglio sull’atteggiamento della Chiesa cattolica oggi nei confronti delle persone Lgbt+? E il tentativo, non semplice, di fare il punto sullo «stato dell’arte» in un’epoca in cui i costumi sessuali sono in apparente subbuglio, non meno della Chiesa stessa. Con la morte di Benedetto XVI, infatti, si ha ragione di credere che qualcosa sia cambiato, ancora una volta, all’interno della Chiesa cattolica.

Un equilibrio che l’età dei «due papi» aveva paradossalmente garantito, con un teologo in sonno e un attivista in opera, che garantivano alle anime conservatrice e progressista di convivere sotto al Cupola di San Pietro, tenendo a freno le forze centrifughe del mondo cattolico. Oggi, però, il rischio è un altro.

Quello che, almeno secondo un accorto osservatore di cose vaticane come Luigi Nuzzi, vede l’esistenza di un piano segreto dentro e fuori le mura vaticane, che «coltiva un unico obiettivo: stressare il pontificato per arrivare alla rinuncia di Francesco, contando su un progressivo indebolimento del santo padre e su scelte dottrinali che creano sacche di malcontento da enfatizzare e raccogliere». Rinuncia che lo stesso Bergoglio non ha mai peraltro escluso.

Ma su quali scelte dottrinali contano di fare più leva le forze avverse a Francesco oggi, se non quelle legate ai costumi e alla sessualità? Proprio per tali ragioni, questo testo cerca di comprendere cosa c’è di nuovo e cosa invece rimane legato alla tradizione e al passato nella dottrina e nei comportamenti della Chiesa (il magistero e la pastorale, in termini «tecnici») rispetto a questo mondo così articolato, complesso, ricco di sfaccettature, dialogante e contestatore insieme, sofferente per le discriminazioni e orgoglioso della propria identità.

La diversità ci interroga e giustamente ci provoca, soprattutto se è una diversità emarginata, offesa, non compresa, non accettata. Un fatto è certo pur nelle sue contraddizioni, ambiguità e prudenze: la Chiesa di Francesco non si volta più dall’altra parte di fronte all’omosessualità, la transessualità, la bisessualità. È questo ciò che vuole testimoniare li presente libro, che è anzitutto un’inchiesta giornalistica e non un volume di morale o che pretende di «fare la morale».

Ma non basta raccontare gesti e avvenimenti. Occorre anche cercare di offrire delle chiavi di lettura. Operazione ancora più difficile oggi, quando le parole, i gesti, le decisioni o le mancate decisioni di Francesco su questo tema si prestano a letture e interpretazioni contrastanti.

È lo stesso Papa che un giorno accoglie in Vaticano un transessuale e un altro vieta la benedizione alle coppie gay? Lo stesso che proclama una Chiesa dalle porte aperte ma si pronuncia duramente contro la teoria del gender? Un modo per orientarsi è anzitutto mettere a fuoco il fatto che atti, dichiarazioni, decisioni del Papa si muovono su piani diversi a seconda della circostanza, del contesto, degli interlocutori. Questo è un primo elemento.

Il secondo elemento è più di prospettiva, e guarda lontano: Bergoglio modifica lo stile dell’approccio della Chiesa riguardo al mondo Lgbt+. La Chiesa «ospedale da campo», come la chiama spesso il pontefice, accoglie tutti, non vuole lasciare fuori nessuno. «Non è una dogana», ripete ancora Francesco. Però dopo aver accolto tutti e riconosciuto l’identità e la dignità di ciascuno, la Chiesa del Papa argentino proclama la sua verità e rimane fedele ai suoi principi.

Questo può bastare alle persone Lgbt+? Certamente no. Lascia con l’amaro in bocca chi, soprattutto nel mondo laico e progressista, si aspettava riforme radicali di Francesco sul fronte del magistero e della teologia morale (aborto, contraccezione, eutanasia) che invece non sono mai arrivate? Forse.

Quello di Bergoglio allora è solo un «progressismo di facciata»? No, perché nella Chiesa le categorie progressista e conservatore non hanno molto senso, e anzi sviano da una corretta comprensione dei fenomeni (il «conservatore» Ratzinger, ad esempio, ha compiuto il gesto più rivoluzionario della Chiesa in epoca moderna: la rinuncia al soglio pontificio!).

Probabilmente, Papa Francesco ha aperto una strada dalla quale non si potrà più tornare indietro: basta solo considerare che oggi si parla di questo argomento, mentre fino a pochi anni fa il tema Lgbt+ non era neppure preso in considerazione nell’agenda della Chiesa, tranne che da qualche prete di frontiera. Non era mai accaduto prima che un pontefice accogliesse un transessuale a casa propria, e Bergoglio lo ha fatto.

Molto adesso dipenderà da chi, in futuro dopo il pontefice argentino, ne raccoglierà il testimone. Sul fronte pastorale, Francesco ha aperto degli spiragli e fatto circolare aria nuova per omosessuali, bisessuali, transessuali e così via. La Chiesa non è un monolite, tante sono le sensibilità e le attitudini presenti. Tuttavia, la sensazione prevalente è che oggi ci sia meno spazio nella realtà ecclesiale per l’omofobia e la transfobia di un tempo.

Ma c’è ancora tanto cammino da fare. Soprattutto sul fronte dottrinale e magisteriale. Lo richiede non una motivazione ideologica, piuttosto la sofferenza di tante persone Lgbt+ che sono discriminate e non comprese o non accettate. Anche loro sono i «poveri» che Papa Francesco vuol mettere in prima fila, ispirandosi al santo di Assisi di cui ha scelto il nome. Non è difficile immaginare che anche San Francesco nel XIII secolo avrebbe aperto la porta delle sue comunità alle persone Lgbt+ discriminate.

Un aspetto su tutti sembra, però, frenare il cammino della Chiesa verso un’apertura su temi così delicati: quella fronda di ultra conservatori che non si rassegnano a vedere Bergoglio rinunciare al suo magistero. Ma a cui Francesco sembra intenzionato a rispondere colpo su colpo. Come dimostra la riapertura del caso Orlandi in Vaticano: un esempio di come la Chiesa di Roma possa dare a se stessa la possibilità, finalmente, di chiudere alcuni capitoli che ne hanno offerto un’immagine negativa. E aprirsi a una nuova fase, benedetta dal Papa argentino.

Da “Lasciate che i gay (non) vengano a me”, di Luciano Tirinnanzi, Paesi edizioni, 160 pagine, 15 euro

Münchhausen per procura. Il protagonismo narcisista dei genitori convinti di avere figli trans. Assia Neumann Dayan su L’Inchiesta il 25 febbraio 2023.

È impossibile che ci siano così tanti bambini con la disforia di genere. E non sappiamo se da adulti questi bambini continueranno il percorso di transizione o meno

Una mattina mi son svegliata, e mi sono scoperta fascista. Me lo dicevano un po’ tutti: articoli di giornale, programmi televisivi, discussioni su Twitter, chat di WhatsApp, colleghi, amici, familiari. Mi sono ritrovata dalla parte del torto, e non era nemmeno troppo scomoda. C’è questo account Twitter che si chiama Libs of TikTok: in americano si direbbe un profilo far-right, in italiano fascista, o Gabibbo; insomma, qua sopra vengono ogni giorno postati video di genitori che discutono dei loro bambini trans di due anni, di insegnanti che fanno monologhi isterici guardando in camera su quanto sia frustrante che i ragazzini gli sbaglino i pronomi, video di uomini adulti con gonna a pieghe e ombretto che suggeriscono ai bambini di confidarsi con loro perché sanno mantenere i segreti.

C’era questa moda qualche anno fa di mettere sulla macchina un adesivo con i disegni dei componenti della famiglia con i rispettivi nomi, lo avevo fatto anche io. Ad un certo punto esce un video su internet che dice che non è proprio intelligentissimo: un estraneo potrebbe andare dal bambino e iniziare a parlarci chiamandolo per nome, dire che è un amico di mamma e papà se no come farebbe a sapere come si chiama, stabilire una confidenza e portarselo via in un momento di distrazione.

Adesso di adesivi se ne vedono pochi, però la gente ritiene accettabile che uomini adulti dicano a voce alta che i ragazzini possono contattarli senza dir niente ai genitori. Non è solo ritenuto accettabile: è ritenuta la cosa giusta da fare, perché l’internet è pieno di Madre Teresa e nessun Hitchens.

Sono inciampata nel profilo TikTok di un certo Jonathan Saccone Joly, 3 milioni e fischia di follower. Lui racconta la transizione di sua figlia di 7 anni, nata Eduardo e adesso femmina, si chiama Edie. C’è il video dove fanno il gender reveal party quando il bambino ha deciso che sarebbe stata una femmina, i commenti dicono che si vedeva proprio che quando a un anno si metteva il cerchietto da unicorno era più a suo agio. C’è la bambina che si trucca, che si veste, una bambina che guardando in camera parla di diritti dei bambini trans, e le persone scrivono che è proprio una ragazzina fortunata ad avere un papà così.

Io credo che ad un certo punto bisognerà pur dire che non tutti questi bambini hanno la disforia di genere, ma che sono i genitori ad essere narcisisti patologici. È tutto una Münchhausen per procura dove il danno è positivo, con l’aggravante della messa in onda e del tirarci su due spicci. Guardate mio figlio com’è coraggioso, ma pure io non scherzo.

La mia è una generazione di genitori che si spaventa a morte quando deve dare ai figli l’antibiotico, ma che di fronte ai puberty blockers non si tira certo indietro. Tutti ci tengono a dire che gli effetti dei bloccanti sono reversibili: non è così. Semplicemente, non lo sappiamo, così come non sappiamo se i bambini con disforia di genere da adulti continueranno il percorso di transizione o meno. Non ci sono abbastanza dati, né studi, perché questo che io considero un contagio sociale è troppo recente.

Sono piuttosto certa che ne sapremo di più quando tra qualche anno scoppierà il più grande scandalo sanitario e morale che gli Stati Uniti abbiano mai conosciuto. A quel punto finirà il mondo che conosciamo e scopriremo che i buoni non erano poi così buoni e che i cattivi non erano poi così cattivi. Nei documenti del GIDS (The Gender Identity Development Service dell’NHS) c’è scritto: «Although hormone blockers and cross-sex hormone treatment are recommended in young people with GD and widely used across the board, it should be noted that the research evidence for the effectiveness of any particular treatment offered is still limited». Ai genitori viene detto che se i loro figli non si curano sicuramente si ammazzeranno, e quale genitore preferirebbe un figlio morto a uno che cambia sesso? Nei documenti del WPATH (The World Professional Association for Transgender Health) viene spiegato che: «Né il blocco della pubertà, né il suo sviluppo è un atto neutrale. Da un lato, il funzionamento del corpo più avanti nella vita può essere compromesso dallo sviluppo irreversibile di caratteristiche sessuali secondarie durante la pubertà e da anni di esperienza intensa di disforia di genere. D’altra parte, vi sono preoccupazioni circa gli effetti collaterali negativi dei GnRH-analoghi (ad es., sullo sviluppo delle ossa e dell’altezza). Sebbene i primissimi risultati di questo approccio (valutato su adolescenti seguiti per 10 anni) siano promettenti (Cohen-Kettenis et al, 2011; Delemarre-van de Waal e Cohen-Kettenis, 2006), gli effetti a lungo termine potranno solo essere determinati quando i primi pazienti trattati raggiungeranno l’età appropriata».

Eppure, tutti sembrano così sicuri che l’utilizzo di ormoni sia reversibile, così sicuri che ti viene da credergli. Attivisti, politici, celebrità, giornalisti, tutti sono sicurissimi che chiunque avanzi mezzo dubbio su quello che sta succedendo sia transfobico, terf, fascista. La chiudono sempre così: sei transfobico, sei fascista. Poi, quando avranno davanti un transfobico vero, o un fascista vero, chissà come faranno a riconoscerlo.

Qualche settimana fa The Free Press di Bari Weiss ha pubblicato un editoriale scritto da Jamie Reed, una donna che ha lavorato per anni al The Washington University Transgender Center al St. Louis Children’s Hospital, e qualcosa si è mosso. A un certo punto Reed scrive: «Frequently, our patients declared they had disorders that no one believed they had. We had patients who said they had Tourette syndrome (but they didn’t); that they had tic disorders (but they didn’t); that they had multiple personalities (but they didn’t). The doctors privately recognized these false self-diagnoses as a manifestation of social contagion. They even acknowledged that suicide has an element of social contagion. But when I said the clusters of girls streaming into our service looked as if their gender issues might be a manifestation of social contagion, the doctors said gender identity reflected something innate». L’unica cosa che sappiamo è che la storia prima o poi giudicherà tutti. Meglio mettersi comodi.

Estratto da open.online l’1 marzo 2023.

 «La rivendicazione del diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo andrà a discapito delle donne». Sono le parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in un’intervista con la direttrice di Grazia, Silvia Grilli – in edicola domani – affronta temi che vanno dall’identità di genere, all’aborto, fino alla maternità surrogata.

 Per la premier – secondo cui esiste un «dato incontrovertibile» e cioè che «maschile e femminile sono radicati nei corpi» – le donne sono le «prime vittime dell’ideologia gender: la pensano così anche molte femministe», dice. «Oggi, continua, per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale, nel frattempo si lavora a cancellarne il corpo, l’essenza, la differenza».

 Durante l’intervista rilasciata in occasione della giornata internazionale della donna, la premier esprime la sua opinione sull’utero in affitto, definito dalla stessa «la schiavitù del terzo millennio». «È la legge italiana a dire che questa pratica non è lecita, non io», continua Meloni che aggiunge, inoltre, come «commercializzare il corpo femminile e trasformare la maternità in un business» non possano essere «considerate delle conquiste di civiltà».

(...)

L’ho capito pienamente quando lui è morto, e mi sono resa conto della profondità della sofferenza che il suo vuoto aveva creato in me», dice. E poi: «Non conosco nessuno che rinuncerebbe a uno dei propri genitori o che sceglierebbe di essere cresciuto solo dal padre o dalla madre. I bambini hanno il diritto di avere il massimo: una mamma e un papà», conclude la presidente del Consiglio.

 «A una donna che sta per abortire dico di darsi una possibilità: non è sola»

Nel corso della stessa intervista, Meloni parla anche di aborto: «A una donna che sta per abortire direi di provare a darsi una possibilità, che non è sola, che lo Stato le darà gli strumenti necessari per non negare a se stessa la gioia di crescere suo figlio, di metterlo al mondo nelle migliori condizioni possibili», afferma la premier, intervistata dalla direttrice del magazine.

Giorgia Meloni: «Donne vittime dell’ideologia gender». Protesta la comunità Lgbt: «Parole che rovinano la vita». La presidente del Consiglio in un’intervista attacca l’identità di genere e la comunità trans e le famiglie omogenitoriali. Si sollevano le più importanti sigle arcobaleno: «Non sa quello di cui parla. Dalla destra solo fake news». Simone Alliva su L’Espresso l’1 marzo 2023.

"Parole che rovinano la vita", così vengono accolte le dichiarazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pronunciate durante un'intervista al settimanale Grazia in occasione della Festa della donna colpiscono la comunità Lgbt che reagisce con sdegno.

La Presidente del Consiglio attacca in una sola intervista l'identità di genere (“ Le donne sono le prime vittime dell'ideologia gender. La pensano così anche molte femministe”) e la comunità trans ("No al diritto unilaterale di proclamarsi donna"), il diritto all'aborto ( "direi di darsi una possibilità di essere madre, lo Stato l'aiuterà") e la genitorialità ("I bambini hanno il diritto di avere il massimo: una mamma e un papà. L'utero in affitto è la schiavitù del terzo millennio").

A rispondere duramente a queste parole è Porpora Marcasciano attivista storica del Movimento Lgbt italiano e presidente onoraria del Mit – Movimento Identità Trans di Bologna di cui è stata fondatrice: «Le sue parole fanno capire che viaggia su un binario diverso da quelli che sono le posizioni scientifiche e soprattutto la realtà di milioni di persone nel mondo. In opposizione alla scienza e alla vita delle persone. Loro sono culturalmente e politicamente contrari a queste esperienze di vite significative e non ci sorprende». E sul concetto di ideologia gender Marcasciano spiega a L'Espresso: «Invito la Presidente a declinare genere in italiano, forse le farà meno paura. Usarlo in inglese è una furberia che richiama l'ignoto, regala quell'effetto messa in latino e spaventa. Si chiama identità di genere, è un concetto scientifico. Il “gender”, “ideologia gender” o “la teoria del genere” sono categorie polemiche create dal Vaticano, uno spauracchio che minacciava la famiglia. Sappiamo che loro, come tutti coloro che erano presenti al Congresso di Verona nel 2019 sono contrari a tutto questo e sappiamo che stanno lavorando sottotraccia. Ci aspettiamo delle sorprese non piacevoli sulla nostra pelle. Ma poiché siamo abituate a conquistarcele le cose, resisteremo e risponderemo colpo su colpo».

Sulla stessa linea la presidente nazionale dell'Arcigay Natascia Maesi: «Quella che Meloni definisce sommariamente "proclamazione” non è un atto arbitrario, un'alzata d'ingegno, un vezzo o un capriccio. È l'affermazione della propria identità di genere. L'identità di genere è la percezione stabile che ogni persona ha di sé. Tutte le persone hanno una identità di genere che è indipendente dal sesso che ci è stato assegnato alla nascita. Gli studi di genere - che non sono un'ideologia ma un ambito di studi che tiene assieme punti di vista anche dissimili - non negano i corpi in cui nasciamo, né la differenza tra essi, ma mettono in discussione i ruoli di genere costruiti socialmente in base a questa differenza e i rapporti di potere che ne derivano».

«Rivendichiamo - aggiunge - il diritto all'autodeterminazione di ogni persona, il riconoscimento di tutti i percorsi di affermazione di genere sia quelli che prevedono il ricorso a terapie ormonali ed interventi chirurgici, sia quelli non medicalizzati, perché chi ha una l'identità di genere non conforme alle aspettative sociali non ha una patologia da curare e non è una minaccia per la società, tanto meno per le donne, che sanno benissimo cosa vuol dire pagare il prezzo della propria differenza».

«Parole che rovinano la vita delle persone Lgbt». Non usa mezzi termini Mario Colamarino, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. «Ancora una volta la Presidente Meloni parla senza sapere quello che dice. Già nel 2021 durante una conferenza stampa nella sede di Fratelli d’Italia, dichiarò di non aver mai capito bene cosa vuol dire il termine gender a cui lei stessa fa opposizione. Infatti è una grande fake news. Sulla pelle della comunità trans si continua a fare propaganda non curante degli effetti negativi di disumanizzazione e percezione. Grave che questa operazione di disinformazione venga dalla Presidente del Consiglio».

«Non capisco l’insistenza della Presidente Meloni nel paragonare le famiglie omogenitoriali alla sua condizione familiare. Suo padre l’ha abbandonata ed è una storia molto triste ma non è la nostra - commenta a L’Espresso Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori omosessuali - i nostri figli non sono abbandonati da nessuno. Parla di diritti dei minori eppure nega ai nostri figli i diritti di tutti gli altri bambini. I bambini hanno diritto al massimo, con noi hanno il massimo. Li abbiamo fortemente voluti, abbiamo girato il mondo per farli nascere, abbiamo lottato e continuiamo a lottare per farli riconoscere legalmente. Suo padre legalmente e biologicamente non l’ha tutelata e mi dispiace ma io tutelo mio figlio da quando è nato anche se lo Stato non mi ha riconosciuto come madre. Meloni dovrebbe adoperarsi per cancellare le discriminazioni dei cittadini, questo è il suo ruolo». Unica stecca nel coro Arcilesbica, associazione che negli ultimi anni si è sempre distinta per le sue posizioni trans-escludenti, che ha applaudito le parole di Meloni.

Meloni smonta l'ideologia gender: "Maschile e femminile radicati nei corpi, dato incontrovertibile". Il premier demolisce l'ideologia gender e avverte: "Andrà a discapito delle donne. Ne sono le prime vittime". Francesca Galici lì1 Marzo 2023 su Il Giornale.

Giorgia Meloni è tornata a esprimersi sull'ideologia gender tanto cara a una certa sinistra, sottolineando quali sono i rischi concreti di una pressione così forte in quella direzione in un'intervista rilasciata al settimanale Grazia, in edicola da domani. "Oggi si rivendica il diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo. Maschile e femminile sono radicati nei corpi ed è un dato incontrovertibile", ha spiegato il presidente del Consiglio, che in queste ore è in viaggio per l'India.

L'ideologia gender, il disconoscimento dell'esistenza di due generi distinti, secondo Meloni, andrà a discapito delle donne. Ma non lo dice solo il premier perché, come riportano le cronache, ci sono numerosi gruppi femministi non idealizzati e politicizzati all'interno di una certa corrente, che sollevano i medesimi dubbi: "Oggi per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale, nel frattempo si lavora a cancellarne il corpo, l'essenza, la differenza. Le donne sono le prime vittime dell'ideologia gender. La pensano così anche molte femministe". Le parole del presidente del Consiglio trovano conferme in numerosi casi che vengono riportati, fattispecie estreme che, però, delineano con chiarezza quale può essere la deriva di questa ideologia. Solo poche settimane fa, la Scozia che si fa portabandiera del sistema gender, è stata costretta a fare marcia indietro davanti al caso di un detenuto in carcere per stupro che, dopo essersi dichiarato transgender, è stato assegnato a una sezione femminile, prima di un repentino cambio di idea, visti i pericoli concreti.

Questo è solo uno degli esempi che possono essere portati per spiegare i rischi di un progetto portato avanti senza criterio, per pura ideologia, senza considerarne conseguenze sul mondo reale. Nella sua intervista, Giorgia Meloni si dimostra in tal senso più femminista di molte che sbandierano il woman-power senza concretezza: "Ritengo da sempre che le donne abbiano una grande forza autonoma che vada liberata dai mille ostacoli che la ingabbiano ma anche dai tabù di cui spesso le stesse donne rimangono vittime. Non credono di potercela fare a competere con gli uomini e finiscono per competere tra loro stesse, convinte che ci sia un livello più basso nel quale relegare le proprie competenze".

Da Arcilesbica è stato apprezzato l'intervento di Giorgia Meloni. La presidente Cristina Gramolini ha dichiarato: "Sono d'accordo con la Meloni sul fatto che dare la possibilità ad un uomo di dichiararsi donna, al di là di qualsiasi percorso chirurgico, farmacologico e amministrativo, danneggi le donne. Concordo con il fatto che non si può saltare il corpo sessuato, cioè non si è donna essendo di sesso maschile per la sola autodichiarazione, questo nuocerebbe alla realtà e alle donne , ad esempio negli sport femminili o nelle politiche di pari opportunità". Sull'ideologia gender, Gramolisi spiega di concordare ma nella misura in cui si "dice che si è uomini e donne nel tempo in modi diversi, che non è naturale la maschilità e la femminilità, mentre è naturale il corpo femminile e maschile. I ruoli sessuali sono storici, i corpi sono naturali".

La presidente di Arcilesbica sta con Meloni: “L'ideologia gender danneggerà le donne”. Il Tempo l’01 marzo 2023

Giorgia Meloni interviene a gamba tesa sulla discussione sull’ideologia gender. La presidente del Consiglio ha rilasciato un’intervista a Grazia nella quale commenta i possibili rischi di tale deriva: “Oggi si rivendica il diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo. Maschile e femminile sono radicati nei corpi ed è un dato incontrovertibile. Tutto questo andrà a discapito delle donne? Credo proprio di sì - la certezza della leader di Fratelli d’Italia -. Oggi per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale, nel frattempo si lavora a cancellarne il corpo, l'essenza, la differenza. Le donne sono le prime vittime dell'ideologia gender. La pensano così anche molte femministe”.

A concordare con Meloni c’è la presidente di Arcilesbica, Cristina Gramolini, intervistata dal sito dell’Ansa: “Sono d'accordo con Meloni sul fatto che dare la possibilità ad un uomo di dichiararsi donna, al di là di qualsiasi percorso chirurgico, farmacologico e amministrativo, danneggi le donne. Concordo con il fatto che non si può saltare il corpo sessuato, cioè non si è donna essendo di sesso maschile per la sola autodichiarazione, questo - l’avviso - nuocerebbe alla realtà e alle donne , ad esempio negli sport femminili o nelle politiche di pari opportunità”.

Estratto dell’articolo di Lucetta Scaraffia per “la Stampa” il 3 marzo 2023.

Giorgia Meloni ha giustamente definito l'utero in affitto una nuova forma di sfruttamento del corpo femminile. E dunque apriti cielo! […] non viene in mente ai molti che sostengono queste teorie […] che la gente l'ha votata forse anche perché sa che le femmine sono diverse dai maschi, sa che nessuna donna ricca ha mai offerto né tanto meno venduto il suo utero per "aiutare" una coppia sterile, ed è convinta che è meglio avere una mamma e un papà piuttosto che un solo genitore o due dello stesso sesso?

[…] Forse sostenere che sono battaglie femministe le ideologie gender e l'incoraggiamento al cambiamento di sesso nei giovanissimi non trova conferma nella realtà. Se si prendono in esame le statistiche sui cambiamenti di sesso avvenute fra i giovani negli ultimi anni nei Paesi dove a questo passaggio è assicurata l'assistenza statale, infatti un dato balza subito all'attenzione: sono molto superiori i passaggi da femmina a maschio che il contrario. Una evidente sconfitta del femminismo, bisogna ammettere.

[…] ci sono ancora molte battaglie da combattere che tuttavia sono scomparse dai radar dei partiti, anche da quelli di sinistra che si fanno un punto d'onore nell'autoproclamarsi femministi: […] l'estensione dell'apertura di asili nido e le scuole nei mesi estivi – quando le mamme lavorano – o per cancellare le differenze di salario fra donne e uomini nel privato, a parità di competenze e mansioni.

 E sono quelle più evidenti: se il servizio sanitario a una donna incinta di quattro mesi offre di fare l'ecografia otto mesi dopo, se una donna sola e povera che si ritrova incinta non può che abortire per mancanza di aiuto, se non si fa nulla per arginare una pornografia indirizzata ai maschi in cui le donne sono rappresentate sottomesse e perfino malmenate, si può ben capire come una ragazza sogni ancora di essere un maschio.

Forse però, prima di pensare a darle una cura ormonale – che ne danneggerà la salute – o addirittura di sottoporla a una operazione per cancellare i seni, bisognerebbe indurre quella ragazza a riflettere su quale è il destino che le sta davanti. […]

 […] potranno […] vedere confermata la potenza maschile dalla quotidiana visione di uomini – cioè di coppie di maschi omosessuali – che possono aspirare ad avere un figlio con i gameti di uno di loro affittando l'utero di una donna povera, che poi sparirà dalla loro vita. Molte femministe se ne sono accorte, molte donne di sinistra – specie fuori del nostro paese – combattono perché questa nuova forma di sfruttamento del corpo femminile anziché ammessa venga invece sanzionata dalla legge. Se ne sono accorte ma a loro rischio e pericolo, dal momento che corrono il rischio dell'accusa infamante di omofobia. È per l'appunto ciò che sta accadendo a Giorgia Meloni.

Il complesso di Edipo king. Il delirio postmodernista di credere ai bambini che vogliono essere trans (o Batman). Sturgeon, Rowling e la consapevolezza che la cosa più antiscientifica e dannosa che si possa fare alla scienza è rifiutarsi di metterla in discussione. Guia Soncini su l’Inkiesta il 18 Febbraio 2023

Spero che gli avvocati di Baricco non mi chiedano le royalties se saccheggio per la milionesima volta quelle sue due righe per dire che accadono cose che sono come domande, passa un minuto oppure anni e la vita risponde.

In questo caso, un giorno: ragionevole via di mezzo tra minuto e anni. Un giorno tra la lettera degli editorialisti del New York Times, e l’editoriale di Pamela Paul. Un giorno tra la resa di Nicola Sturgeon e un altro editoriale, sul Washington Post. Ma, prima di parlarne, bisogna chiarire il contesto.

Il contesto delle opportunità sanitarie rispetto alla disforia di genere in America è, innanzitutto, un contesto americano. Cioè relativo a quel paese in cui ogni giorno si leggono storie dell’orrore su donne che sono dovute andare in un altro stato a liberarsi d’un feto morto contenuto nel loro utero e per il quale stavano andando in setticemia.

Riformulo, casomai non fosse chiaro: un paese che, quando la sua Corte suprema ha stabilito che un cavillo relativo alla privacy non bastava a permetterti d’abortire, non è riuscito a elaborare leggi locali sensate per cui, anche se l’interruzione volontaria di gravidanza non è consentita, una tizia che ha avuto un aborto spontaneo possa farsi fare un raschiamento senza che l’alternativa sia il suo morire d’infezione come se fossimo nel ’500, o l’andare i suoi medici in galera come se fossimo in un romanzo della Atwood.

A un paese il cui buonsenso sta messo così, l’americanizzazione dell’occidente ha affidato il ruolo di guida morale sul tema «se mio figlio gioca con le bambole e si declina al femminile, mio figlio che ha due anni e non sa la grammatica e non sa la biologia e non sa allacciarsi le scarpe, sarà il caso di fargli cominciare un percorso medicalmente assistito verso la transizione di genere?».

Farebbe ridere, se non ci fosse da preoccuparsi. In paesi meno smaniosi del nostro di sembrare americani, e quindi meno pieni di articoli deliranti sul tema dei bambini trans (sì, La Stampa, sto proprio alludendo a te), ogni tanto qualcuno osa dire «mi sembra che stiate sbarellando» (comunque si dica, in inglese, sbarellare).

C’è la prima ministra scozzese che infine è costretta a dimettersi perché le femministe inglesi, diversamente da quelle italiane, non temono la riprovazione sociale se dicono che l’identità di genere, della quale Nicola Sturgeon è stata sacerdotessa, è un oggetto di fantasia.

C’è la Rowling – Joanne, divenuta famosa con le iniziali J.K. perché l’editore diceva che i bambini maschi non avrebbero voluto una fiaba scritta da una femmina – che potrebbe contare i miliardi tutto il giorno (io al suo posto farei gran nuotate nei dobloni) e invece si mette di traverso alla questione più immorale di questo secolo, e non molla (dove trovi la pazienza e la voglia d’insistere è un mistero: meno male che ci sono quelle con la tigna).

E c’è il New York Times che, com’è abbastanza normale faccia un grande giornale, su questo tema pubblica articoli in diverse direzioni. Una settimana fa, un articolo stigmatizzava le leggi antitrans negli stati repubblicani. I trans hanno problemi a farsi curare? Immagino di sì, in un paese in cui le donne hanno problemi a farsi fare un raschiamento.

Ma ovviamente il dibattito non è sullo specifico sanitario ma sulla percezione sociale del tema, e immagino che la direzione del giornale abbia guardato i commenti dei lettori, che sul New York Times sono molto controllati, e si possono vedere in ordine di preferenza degli altri lettori. Quello con più approvazioni, 1269 nel momento in cui scrivo, dice: «Sono un uomo gay, ma credo si debba fare un passo indietro, o anche due, da quella che è diventata la politicizzazione dei trattamenti medici per i bambini che potrebbero essere trans. Anni fa, una famiglia del mio quartiere ha annunciato con una bandiera trans sulla porta che il loro fino ad allora figlio di otto anni era trans. Da allora, una simile epifania è accaduta ad altre tre famiglie nel nostro isolato. Quattro bambini trans in un solo isolato a Pittsburgh? Non credo proprio».

È interessante che Michael di Pittsburgh debba premettere «sono gay», per non venire accusato d’essere repubblicano, transfobico, e orrendamente normale (significa: medio; lo preciso perché ho grandissima fiducia nella capacità dei lettori di non strapparsi i capelli strillando «ci ha dato degli anormali»). È interessante che per dire l’indicibile, cioè che trattasi di contagio sociale e che i bambini d’oggi vogliono essere trans come noialtri volevamo le Timberland, e non venire accusati di essere propagandisti di destra, si debba dire: ehi, però sono un po’ strano anch’io.

Poiché ogni tanto, negli ultimi mesi, il NYT ha scritto che imbottire i bambini di ormoni forse non è un’ottimissima idea (diventerà il più gran scandalo sanitario della storia: bambini che dicevano «sono femmina» come avrebbero detto «sono Batman» che, divenuti adulti con l’osteoporosi, faranno causa a Biden per aver favorito il brodo di coltura di questo delirio), l’altro giorno i suoi editorialisti più smaniosi di posizionarsi come prescrittività sociale vuole hanno scritto una lettera aperta contro l’ardire di mettere in dubbio la giustezza del culto trans.

Passa un giorno, e la vita risponde. Ha risposto pure la direzione, dicendo che non è consentito firmare lettere aperte in cui si parla male del giornale che ti paga (ma tu pensa), ma soprattutto è stato pubblicato sul NYT un editoriale di Pamela Paul in difesa di J.K. Rowling – quella che è riuscita a farsi prendere sul serio restando donna, benché abbia delle iniziali ambigue per vincere la diffidenza del mercato nei confronti delle donne. (Va altresì detto che le iniziali ambigue, diversamente dai medicinali per la transizione, non ti fanno venire l’osteoporosi).

L’editoriale principale su questo delirio postmodernista era però già uscito sul Washington Post, e non conteneva mai la parola “trans”. Precedendo la lettera degli editorialisti del NYT, e non citandone mai l’argomento, Megan McArdle è riuscita a scrivere l’articolo definitivo sul dibattito intorno alla transizione di genere. Parlando del complesso di Edipo, e di Walter Freeman.

Walter Jackson Freeman era un medico, nato alla fine dell’Ottocento e morto cinquant’anni fa, che nella sua carriera aveva eseguito quattromila lobotomie. Negli ultimi anni della sua vita girò gli Stati Uniti per andare a trovare le persone che aveva operato, cercando indizi che gli dicessero che le lobotomie erano state una buona idea e lo assolvessero moralmente.

Dice McArdle che c’entra quel complesso lì: se Edipo non avesse saputo di chi era figlio, non si sarebbe cavato gli occhi; se Giocasta non avesse saputo di chi era madre, non si sarebbe impiccata. A volte è meglio non sapere. A volte siamo pronti a tutto pur di non ammettere neanche con noi stessi d’aver perorato procedure e ideologie che fanno danni irreversibili.

Per mentire a te stesso, devi spararla sempre più grossa: non è che ho fatto cambiare sesso a una bambina non in grado di capire cosa significasse restare sterili, è che se non l’avessi fatto si sarebbe ammazzata. Poi il tempo sclerotizza le scelte, e dopo un po’ puoi cominciare a dire che sono le Rowling cattive che vogliono morti i bambini trans, mica tu che prendi sul serio le idee sull’identità di gente abbastanza giovane da non avere il permesso di bere alcolici perché vuoi sentirti moderno.

Quello che la McArdle non dice lo aggiungo io, per completare con un ultimo tassello la questione del «ma anche la medicina è d’accordo, il manuale delle malattie psichiatriche non considera più una patologia il percepirsi d’un altro sesso, e io mi fido della scienza»: il tizio che inventò la lobotomia vinse il Nobel per la medicina. La cosa più antiscientifica e dannosa che si possa fare alla scienza è rifiutarsi di metterla in discussione.

(ANSA il 16 febbraio 2023) - Bufera sul New York Times per un op-ed schierato con J.K. Rowling e le sue prese di posizione sui trans. Il quotidiano ha pubblicato la difesa dell'opinionista Pamela Paul 24 ore dopo una lettera aperta, firmata da 170 dipendenti del giornale, che aveva accusato la 'Vecchia Signora in Grigio' di "pregiudizi" anti-trans.

 Il Times ha difeso la sua copertura così come la decisione di pubblicare l'op-ed con la volontà di presentare l'intera gamma di posizioni sull'argomento in questione. Negli ultimi anni tuttavia, secondo i firmatari della lettera, il giornale ha trattato i temi della diversità di genere "con un mix di pseudoscienza e eufemismi, pubblicando allo stesso tempo articoli sui ragazzi trans che omettono importanti informazioni sulle fonti".

 Sono anni d'altra parte che la Rowling è al centro di polemiche per le sue affermazioni sui trans. Tutto è cominciato nel giugno 2020, quando l'autrice dei libri di Harry Potter usò il suo account Twitter per criticare un articolo sulla "gente che ha le mestruazioni".

La scrittrice aveva deriso l'articolo per non aver usato la parola "donne" e il tweet aveva provocato una valanga di commenti negativi, spingendo la scrittrice a ripeterlo ed elaborarlo in un mini-saggio sull'identità di genere che aveva alimentato ulteriormente la controversia.

 La prossima settimana la scrittrice tornerà alla carica in un podcast - I processi alle streghe contro J.K. Rowling - in cui condividerà "le minacce di morte e di violenza" ricevute da lei e dalla sua famiglia "che la polizia ha giudicato credibili": questo lo spunto che ha indotto la Paul a scrivere l'op-ed.

Nell'articolo pubblicato oggi sulla pagina dei commenti, l'opinionista ha definito "assurdi" gli attacchi contro la Rowling: nulla di quanto la 'mamma' di Harry Potter ha detto "si qualifica come transfobico". Secondo la Paul, "se più persone avessero difeso la Rowling, non solo le avrebbero reso giustizia, ma avrebbero preso posizione in difesa dei diritti umani, specialmente dei diritti delle donne, dei gay e anche dei trans. Avrebbero difeso la verità".

Marx e Freud "i padri dell'ideologia trans": il libro che cambia la Storia. Spartaco Pupo su Libero Quotidiano il 25 dicembre 2022

Un senso di disorientamento ci assale quasi ogni giorno, e non è sintomo di pazzia. Molte cose stanno cambiando veramente, in modo radicale, per effetto di una rivoluzione che è in atto e che abbiamo il dovere morale di comprendere. Accade spesso di trovarsi di fronte a un donna che afferma di essere "intrappolata nel corpo di un uomo" o a un uomo che dice di "sentirsi" donna. Capita di tutto, ormai: un uomo che vince il campionato di nuoto femminile o una candidata alla Corte Suprema americana che si rifiuta di definire la parola donna e molte altre cose simile.

Viviamo, in uno strano nuovo mondo, come recita il titolo di un libro uscito di recente negli Stati Uniti (Strange New World: How Thinkers and Activists Ridefined Identity and Sparked the Sexual Revolution, Crossway, 2022) e scritto da Carl R. Trueman, professore al Grove City College, in Pennsylvania. È una efficace sintesi storica della rivoluzione sessuale e del trionfo dell'ideologia LGBTQ, che non è più un'eccezione ma la norma nella vita morale e pubblica occidentale. Trueman spiega perché la cultura secolare sia diventata talmente sensibile al transgenderismo da arrivare a ritenere che opporsi al comportamento di chi agisce in accordo con i propri sentimenti interiori significa negargli il diritto di essere «autentico». L'autenticità del sé moderno, come la chiama Trueman, si ottiene agendo in accordo con i propri sentimenti interiori, e qualsiasi tentativo di esprimere disapprovazione è da ritenersi un assalto al diritto di chiunque e di ciò che desidera essere. Gli atti sessuali hanno perso il significato morale intrinseco che hanno sempre avuto e l'attuale "coalizione" di persone lesbiche, gay, bisessuali, trans e queer si rivela come il più grande successo politico dell'ultimo mezzo secolo. Sono "vittime virtuose" tutti quelli che non riescono ad esprimere ciò che sentono interiormente e che non possono fare del corpo ciò esso è: la materia prima per realizzare la propria identità emotiva. In questa prospettiva, il "sesso" con cui nasciamo non coincide con il "genere" con cui stiamo al mondo.

DIVORZI E ANTICONCEZIONALI Un uomo può nascere nel corpo di una donna e viceversa. Tale visione si estende dal concepimento all'aborto fino al suicidio assistito - tutti "diritti" inalienabili, rispetto ai quali anche la libertà di parola e di critica diventa mezzo di oppressione nei confronti degli "altri". Siamo giunti fino a questo punto, osserva Trueman, per il successo che hanno avuto alcune pratiche ormai consolidate, come l'aumento dei divorzi, con cui il matrimonio è stato ridotto a mero legame sentimentale e contrattuale, l'abuso di anticoncezionali che ha facilitato la separazione del sesso dalla procreazione, l'avvento di Internet che ha ampliato enormemente la portata della pornografia, rendendo attraente la promiscuità, e la cultura popolare che ha fatto del sesso un passatempo gratuito. Ma l'individualismo espressivo del sé moderno che ispira questa rivoluzione ha una precisa "genealogia intellettuale". Il primo ad avere cercato l'autorità morale nella sfera psicologica interiore fu Rousseau, con cui il sé moderno è divenuto persona autentica che agisce coerentemente con quanto "sente" dentro di sé.

Dopo il ginevrino fu Marx ad attribuire alle relazioni economiche la capacità di modellare la vita reale delle persone: al mutare di queste relazioni, muta anche il concetto che esse hanno della realtà. E grazie alla cultura marxista la moralità religiosa è divenuta un segno di debolezza intellettuale, oltre che un mezzo di oppressione sociale. Poi venne Freud ad insegnarci che nel sesso sta l'identità di ognuno di noi, che la morale e la religione rendono possibile la vita sociale limitando i nostri naturali impulsi sessuali e che il sesso stesso è politicizzato poiché la società crea regole che governano il comportamento sessuale. Reich, allievo di Freud, ne completò l'opera smantellando i codici sessuali su cui era costruita la famiglia tradizionale e raccomandando che ai bambini dovesse essere insegnato ad esprimersi sessualmente secondo il loro desiderio.

LA VOCE INTERIORE

È così, spiega Trueman, che siamo arrivati a considerare come "persona autentica" l'essere sessuale guidato dalla voce interiore della natura sessualizzata, e come "educazione" non più la "repressione" ai fini della "formazione", mala "liberazione" ai fini dell'"autodeterminazione". Da qui le battaglie della sinistra in favore dell'insegnamento dell'educazione sessuale nelle scuole. Oggi i cambiamenti drammatici che si esprimono attraverso gli idiomi della rivoluzione sessuale investono tutti gli ambiti dell'immaginario sociale. Ad esempio, il disfacimento del patriottismo occidentale è spiegabile attraverso la "liquefazione" delle narrazioni tradizionali, nazionali, religiose, geografiche, psicologiche e persino biologiche. Assai rovinoso, in particolare, è stato il crollo delle fonti di autorità e identità della chiesa, della famiglia e della nazione.

Le sfide a queste strutture tradizionali proliferano sempre più e gli ideologi dello "strano mondo" rifiutano il passato in tutte le sue forme, smascherandone l'ipocrisia e le disuguaglianze per perseguire un'astratta "giustizia sociale". I leader politici e gli attori educativi, culturali e imprenditoriali sono in gran parte dediti a ripudiare il passato e a sposare acriticamente il paradigma del sé moderno, espressivo e sessuale con tutto il potere che esso esprime.

E la comunità che in passato si formava intorno alla nazione, alla religione e alla famiglia, oggi si forma intorno all'orientamento sessuale e all'identità di genere, all'antirazzismo e agli altri programmi della sinistra radicale. Le soluzioni strategiche offerte da Trueman prevedono la non più rinviabile comprensione dei rischi della nostra "complicità" rispetto all'individualismo espressivo; l'abbandono definitivo di immaginari sociali del passato non più proponibili; il ritorno alla verità di Dio sul mondo; la formazione di comunità "controculturali" che non siano chiese dedite all'utilizzo dei fedeli come semplici consumatori, ma contraltari al narcisismo del sé moderno. Le "intuizioni" che rendono sostenibile la nostra vita spirituale, infine, dovranno essere coltivate in accoglienti comunità cristiane, dove ci si riconosce a vicenda amando sì il prossimo, ma senza odiare se stessi. 

Il Riconoscimento e la nominazione.

Trapani, il giudice dà l’ok, Emanuela è donna: «Mi sento così da sempre. Che umiliazione il ricovero nel reparto degli uomini». Storia di Titti Beneduce il 17 luglio 2023 su Il Corriere della Sera. 

Fin dall’infanzia si è sentita una donna. Da qualche settimana lo è anche per l’anagrafe: non più Emanuele ma Emanuela, anche se non ha fatto né farà un intervento chirurgico per cambiare sesso né ha seguito una terapia ormonale. A 53 anni, dopo 20 di battaglie, processi, sofferenze e umiliazioni, il tribunale di Trapani, la sua città, le ha infatti riconosciuto il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe. Dal 2015 in Italia, grazie a una sentenza della Cassazione, è possibile cambiare sesso . Questo è diventato una prassi. La novità è nella terapia ormonale: avendo deciso di non seguirla, Emanuela è una donna pur conservando l’aspetto mascolino.

«Sono felicissima, addirittura euforica. Questa sentenza è importante non solo per me, ma per molte altre persone. Ringrazio questo giudice che ha dimostrato di essere sensibile e al passo coi tempi, sono orgogliosa di essere italiana». È palpabile la gioia di Emanuela. La vittoria è stata possibile grazie alle intuizioni e alla tenacia del suo avvocato, il civilista Marcello Mione.

Come mai la decisione di non sottoporsi a terapie né interventi? Le sentiva come una violenza? «Credo che questa debba essere una libera scelta. In tante la fanno, io non ho voluto: mi sono sempre sentita una donna e non do importanza al mio aspetto e a quello che pensano gli altri. Non devo dimostrare nulla. Del resto ci sono persone che grazie alle terapie ormonali diventano donne bellissime, ma che alcuni continuano a considerare uomini».

La sua famiglia l’ha appoggiata o l’ha osteggiata? «I genitori ormai non ci sono più. Con la mia sorella minore siamo cresciute insieme, mi ha sempre capito e sostenuto: quando eravamo ragazzi mi diceva che ero la sua sorellona. Con i fratelli più grandi invece non ho più rapporti. C’è troppa differenza di età, hanno una mentalità arretrata e non mi hanno mai capito».

Nella vita di tutti i giorni ha difficoltà, percepisce intolleranza? «I pregiudizi ci sono sempre, ma non ho mai avuto grandi problemi. Sarà anche grazie al mio carattere gioviale, ho rapporti ottimi con tutti».

Sul lavoro come va? «Eh, questo è un punto dolente. Un lavoro non ce l’ho. Magari ne trovassi uno».

Un problema pratico: quando è al ristorante e deve andare in bagno che fa? «Vado in quello degli uomini: la carta di identità non è stata aggiornata e dunque il cambio di genere non risulta ancora, per cui se andassi nel bagno delle donne e qualcuno avesse da obiettare non potrei ribattere».

Un disagio che presto scomparirà, ma intanto... «Le racconto un episodio emblematico. Un po’ di tempo fa mi sono fratturata un dito e sono stata ricoverata in ospedale. Ero in un reparto maschile, ancora stordita dall’anestesia e dunque non potevo andare in bagno per fare pipì. Ma proprio non riuscivo a farla davanti agli altri pazienti: mi sono sentita umiliata, frustrata. Quando ho detto agli infermieri che sono transgender si sono messi a ridere, nemmeno sapevano il significato della parola. Per fortuna un dottore mi ha confortato, ha detto: siamo ancora un Paese incivile».

L’avvocato Mione, che ha accettato il difficile incarico di assistere Emanuela, ha ricevuto i complimenti di molti colleghi, alcuni dei quali gli hanno confessato che al suo posto non lo avrebbero fatto. La sua giovane età (ha 34 anni) invece lo ha indotto ad accettare la sfida: «L’esito di un processo — spiega — non è mai scontato e le pronunce sono altalenanti. Ma secondo me i margini per una sentenza positiva c’erano: infatti è andata bene. Ad offuscare la gioia di Emanuela c’è la disoccupazione: chissà che in seguito a questo tsunami mediatico non le arrivi anche un’offerta di lavoro».

Estratto dell'articolo di Eugenia Nicolosi per “la Repubblica” il 17 luglio 2023.

Non è la forma di un corpo a determinare l’identità di genere. Ed Emanuela è una donna, anche se ha l’organo sessuale maschile. […] Dopo vent’anni di carte, perizie e umiliazioni il tribunale di Trapani le ha riconosciuto il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza intervento chirurgico effettuato o programmato né terapia ormonale. 

Un diritto che non pensava di avere e che infatti, tecnicamente, in Italia non c’è. E questo fa di lei un caso unico, reso possibile da un principio estrapolato dalla sentenza della Corte di Cassazione che, nel 2015, ha consentito a un’altra donna transgender di legittimarsi come tale prima dell’operazione, che però era pianificata. 

Di fatto è stato stabilito che in linea di principio l’organo sessuale maschile non è di impedimento alla percezione di sé come donne. […] Circa vent’anni fa ha iniziato il percorso per la riassegnazione sessuale per via ormonale e chirurgica, per la legge un passaggio obbligatorio per richiedere la rettifica all’anagrafe.

Ma subire l’operazione per cambiare il proprio sesso significa ridurre la sensibilità dei genitali in modo determinante. Significa, in poche parole, sacrificare la propria sfera sessuale. E quando «i medici mi spiegarono le conseguenze ho scelto di non farlo e di convivere in armonia con il mio corpo. Non avere l’organo sessuale femminile non compromette il modo in cui mi percepisco: donna». […] 

Come da prassi, le è stata fatta una perizia d’ufficio. «Mi sono sentita umiliata: come se una persona che si definisce eterosessuale venisse sottoposta a una perizia psichiatrica per verificare che lo è”. Ma alla luce del risultato oggi è felice, anzi: «Spero che la mia esperienza possa essere di aiuto per altre persone che, nelle mie stesse condizioni, temono di rivolgersi alla legge affinché venga loro riconosciuto il diritto di essere sé stesse».

Estratto dell'articolo di Corrado Zunino per “la Repubblica” il 23 marzo 2023.

[…] Oggi quasi duecento istituti scolastici — 198, esattamente — hanno approvato nel silenzio un nuovo regolamento interno: ogni studente che ne faccia richiesta può cambiare nome e identità sessuale. Il regolamento alias, ecco. […]

Fu pioniere, nel Paese, il Liceo delle arti di Trento e Rovereto (tre plessi), che il 25 giugno 2020 con una delibera di Consiglio istituì l’adozione della procedura «atta a garantire la tutela degli studenti e delle studentesse che abbiano intrapreso il percorso di riattribuzione di genere, prevedendo la possibile attivazione — su istanza del soggetto interessato — di una carriera alias». Il regolamento, all’articolo 1, prevedeva di «garantire ai ragazzi in transizione la possibilità di vivere in un ambiente di studio sereno, attento alla privacy e alla dignità dell’individuo».

 […] Da allora, uno studente può chiedere, e ottenere, un appellativo diverso da quello registrato all’anagrafe, un nuovo nome di battesimo che apparirà sul registro elettronico e in calce a un compito in classe. Il “nome alias”, non avendo una legge nazionale che lo accompagna, non può essere usato — per esempio — per l’esame di Maturità, «ma consente di vivere gli anni della scuola sentendosi riconosciuto per quello che sei», spiega Ilaria Ruzza, responsabile di Sat-Pink, sportello di accoglienza trans del Veneto.

[…] L’unica regione priva di regolamenti alias per studenti, oggi, è la Valle d’Aosta. Nel Lazio, leader con 36 scuole coinvolte, la provincia di Roma conta 28 sedi attive.  […] La carriera scolastica alias è figlia delle rivendicazioni degli universitari italiani, che negli ultimi dieci anni hanno portato il percorso all’interno di 39 atenei, ma passa sui corpi e i conflitti aperti da otto studenti e studentesse di scuola.

Ethan, Elias, Gabriella e gli altri hanno scelto di scontrarsi, quasi sempre aiutati dai compagni, con un professore o una preside per veder riconosciuta l’identità reale, per poter andare, per esempio, nel bagno dei maschi. Andrea, due anni fa studente del Liceo Cavour di Roma, a proposito del nome sul registro ricorda: «Ogni volta che facevano l’appello e mi chiamavano Anna era una coltellata».

Cambio di sesso “anche senza operazione”. Cosa dice veramente la sentenza di Trapani. In Italia è possibile da più di 8 anni. Il principio all’identità di genere è infatti consolidato: l’intervento chirurgico non è obbligatorio ma serve una perizia medico-psicologica. Eppure la Destra si indigna. Simone Alliva su L'Espresso il 19 Luglio 2023

Non è una notizia. Per quanto agiti i quotidiani di destra, sconvolga i parlamentari di Fratelli d’Italia, innervosisca i gruppi anti-Lgbt. La decisione del tribunale di Trapani che ha riconosciuto a una persona transgender il diritto di cambiare nome e identità di genere all'anagrafe senza alcun intervento chirurgico effettuato o programmato e senza alcuna terapia ormonale, non rompe nessun equilibrio giuridico. Già 12 anni fa il tribunale di Roma riconosceva il diritto a rettificare il genere di una persona trans senza intervento chirurgico. Poi la sentenza n. 221 del 2015 della Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto all'identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante nell'ambito dei diritti fondamentali della persona garantiti dall'art. 2 della Costituzione e dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani.

Insomma, il diritto all’identità di genere oggi è giurisprudenza: a spiegarlo a L’Espresso l’avvocato Lele Russo, del foro di competenza di Catania e membro di Rete Lenford, l’Associazione dell’Avvocatura per i Diritti LGBTI+, una rete di legali e giuristi che garantisce tutela contro ogni forma di discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere. 

Avvocato, può spiegarci le novità di questa sentenza se ce ne sono?

«Quanto riconosciuto a Emanuela con la pronuncia resa dal Tribunale di Trapani posso, senza timore di smentita, affermare che non costituisce nessuna grande novità. Trattando del riconoscimento all’identità di genere di una persona trans, la quale sceglie di non sottoporsi all’intervento chirurgico, non c’è da stupirsi se anche nel caso di Emanuela, il Tribunale di Trapani abbia accolto la sua domanda di rettifica. È, infatti, un principio consolidato e pienamente riconosciuto da diversi anni, quello per il quale l’intervento chirurgico non sia obbligatorio, ai fini della domanda di rettificazione anagrafica. Questo principio, trova accoglimento a partire dalle due più note sentenze della Corte Costituzionale, del 2015 e del 2017 , la quali hanno sancito il principio - oggi “guida” delle Corti di Merito Italiane - per cui “la prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”. Il Tribunale di Trapani, in effetti, non ha fatto altro che seguire il superiore principio, lasciando ad Emanuela la libertà di scegliere il miglior modo di raggiungere il suo benessere psicosessuale. Ma torno a ribadire, sono più di 8 anni che ciò è possibile e riconosciuto in Italia, senza che per questo la sentenza di Trapani rappresenti un traguardo mai prima d’ora raggiunto».

Critiche arrivano dal mondo Pro Vita. Per gli antiscelta questa sentenza va contro la legge e serve a legittimare l'autoidentificazione e il cosiddetto ''Self-ID''

«Anche qui, nessuno stupore. Il movimento Pro Vita, è noto per strumentalizzare con scopi, in questa sede, transfobici, valori e principi di uguaglianza e libertà all’autodeterminazione dell’individuo. Nel caso della pronuncia di Trapani, è il caso di osservare come, invero, Emanuela, non si sia “alzata una mattina” stabilendo di riconoscersi nell’identità di genere femminile, ma si sia dovuta sottoporre a incontri di natura medico-psicologica con un professionista, nominato dal Tribunale stesso (un CTU, Consulente Tecnico d’Ufficio), al fine di confermare la sua incongruenza di genere. Sul punto, tengo a chiarire che, nel percorso di transizione di genere, per lo meno in Italia, tanto nel caso di Emanuela a Trapani, tanto in qualsiasi altro procedimento con la medesima domanda di rettifica del genere, condizione imprescindibile a fondare la domanda, è quella di avere una diagnosi psicologica di Incongruenza di genere/ Variante di genere secondo il DSM V, Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali). È per questo che la critica di pro- vita non coglie nel segno. Nessuna persona transgender, gioca per puro gusto con la sua identità, ma è spesso il frutto di gravosi percorsi di autocoscienza, di percorsi personali e sociali autodeterminazione, che tutto sono fuorché una “passeggiata”. Pro vita, come per molti altri temi che riguardano la comunità lgbtiq+ e non solo, è portatrice di ideali, tutt’altro che meramente conservatori, ma direi, piuttosto, che hanno come fine quello di incentivare l’odio e la cultura bigotta del nostro Paese».

A scorrere le carte della sentenza, leggiamo che Emanuela non ha fatto nessuna terapia ormonale, potrebbe essere questa la novità?

«Come già spiegato, il percorso medicalizzante, e quindi, anche l’assunzione della terapia farmacologica ormonale, non trova prescrizione in nessun passaggio della legge 164/82, sulla rettificazione del sesso. Generalmente, è un aspetto della transizione medicalizzante che le persone transgender, richiedono e desiderano intraprendere al più presto, al fine di modificare il proprio aspetto verso la direzione dell’identità che percepiscono propria. La pronuncia di Trapani, come molti altri Tribunali Italiani, ha giudicato non sulla base dell’estetica di Emanuela, se avesse connotati più o meno femminili, ma secondo il parametro della propria percezione all’identità di genere femminile, da anni anche socialmente riconosciuta e, infine, soprattutto, sulla scorta delle risultanze della diagnosi del professionista della salute mentale. È con questo assunto finale che mi permetto di affermare che, nella pronuncia di Trapani, non v’è alcuna novità di grande rilievo, sia pur ammettendo che essa costituisce una buona – ulteriore- pronuncia che scardina l’idea che essere di genere maschile o femminile sia confermato dalla misura del seno o dalla barba.

C’è un retaggio che bisogna cambiare nella società, non solo nei Tribunali. In molti Tribunali Italiani, con procedimenti di questo tipo, si ottengono pronunce anche in 8/9 mesi. Nel caso di Emanuela, arriva dopo ben due anni». 

Insomma tanto rumore per una non notizia 

«Il tentativo di innovatività non è riscontrabile, nemmeno nella scelta del procedimento tecnico. La scelta di intraprendere incardinare il procedimento di rettifica del sesso, non in applicazione della legge n. 164/82, ma con un ricorso di modifica dell’atto di nascita, non trova accoglimento; difatti, la pronuncia di Trapani, sia per la forma (sentenza) sia per le ragioni spiegate, come, infine, per la CTU nomita dal Giudice in corso di causa, risponde al procedimento di rettifica del sesso secondo la legge del 1982. Ciò posto, dunque, anche la scelta del rito, non pare aver giovato alla rapidità del procedimento».

Chiamami col mio nuovo nome. La lotta per garantire alle persone trans di scegliere la “carriera alias” a scuola. Francesco Lepore su L’Inkiesta il 24 Dicembre 2022

In almeno 186 istituti superiori italiani, studenti e studentesse possono adottare in classe un nome d’elezione, conforme al genere in cui s’identificano e non a quello di nascita. Un dirigente scolastico del “Primo Levi” di Badia Polesine ha diffidato la associazione Pro Vita & Famiglia che vuole impedire di esercitare questo diritto

Mentre l’altroieri il Parlamento scozzese e la Camera bassa delle Cortes Generales spagnole approvavano pressoché in contemporanea il Gender Recognition Bill e la cosiddetta Ley Trans, abbassando così rispettivamente a 16 e 14 anni l’età minima richiesta per la rettificazione anagrafica, facilitandone l’accesso; da noi Pro Vita & Famiglia continuava a gridare la croce addosso alle persone transgender. E così ora, sia pur tra polemiche, minacce di barricate o, come nel caso del premier britannico Rishi Sunak, annunciati blocchi preventivi, Edimburgo aspetta solo il definitivo assenso reale al proprio testo e Madrid il via libera del Senato al suo.

A Roma i fautori della miserabile guerra delle diffide contro i circa 150 istituti sui complessivi 186, che, nel pieno rispetto della normativa vigente a partire da quella in tema d’autonomia scolastica, hanno attivato la “carriera alias” per studenti trans – l’adozione cioè d’un nome d’elezione, conforme al genere in cui ci s’identifica e non corrispondente a quello assegnato alla nascita –, sono anche loro in attesa. Ma la risposta arrivata ieri è ben diversa da quella immaginata.

Anziché recedere dalla decisione presa e annullare il Regolamento per la carriera alias, come – stando al comunicato diramato il 6 dicembre da Pro Vita & Famiglia – si sarebbe già fatto in alcuni istituti, Amos Golinelli, dirigente del “Primo Levi” di Badia Polesine nel Rovigotto, ha infatti diffidato a sua volta l’associazione presieduta da Toni Brandi «dal proseguire nell’azione intrapresa dovendo, in difetto, rivolgerci ai nostri legali di fiducia affinché intraprendano in ogni opportuna sede le azioni che riterranno necessarie» per la migliore tutela della scuola.

Di questo atto, notificato ieri tramite pec anche a Generazione Famiglia, diretta da quel Jacopo Coghe che di Pro Vita & Famiglia è portavoce senza contare il passato ruolo di vicepresidente Congresso mondiale delle Famiglie di Verona, Linkiesta è venuta in possesso. A inoltrarlo su mandato di Golinelli è stata l’Aps Gender X, fondata nel 2019 per tutelare soprattutto i diritti delle persone trans, non binarie, gender diverse, intersessuali e presieduta dall’attivista FtM Gioele Lavalle. Ad affiancarlo in qualità di vicepresidenti la psicologa Cristina Leo, prima persona trans a rivestire il ruolo di assessora in Italia, e l’avvocato Gianmarco Negri, prima persona trans a essere stato eletto sindaco nel nostro Paese.

Nella diffida «si contesta recisamente il contenuto dell’intimazione» fatta pervenire al “Primo Levi”, sottolineando come «lo scritto in questione, censurabile sotto ogni profilo, tenta di distorcere gli obiettivi che l’Istituto scolastico si prefigge di raggiungere con l’accesso alla carriera “alias” da parte delle ragazze e dei ragazzi trans che ne fanno richiesta (personalmente, se maggiorenni, o dei genitori di coloro che non hanno ancora raggiunto la piena capacità giuridica) e che si trovano ad affrontare un percorso di affermazione di genere». 

Si ricorda poi come «i riferimenti normativi citati» non colgano nel segno, «in quanto il Regolamento adottato non prevede in alcun modo una modifica del dato anagrafico nelle certificazioni o nella documentazione ufficiale detenuta dall’Istituto scolastico, permettendo unicamente, a chi ne fa richiesta, di adottare il nome di elezione. Ne deriva che alcun reato viene commesso dalla scuola, che decide di adottare il Regolamento della carriera “alias”, né dalle/dagli studenti transgender o dai genitori di minori che ne fanno richiesta, neanche nella forma putativa e/o del tentativo».

Importante soprattutto il passaggio, in cui si rileva come il «dare la possibilità alle persone transgender di adottare la carriera “alias”» non incoraggi affatto «a vivere un’identità che contrasta con il genere di appartenenza», permettendo invece alle stesse «d’integrarsi appieno nel tessuto scolastico garantendo loro che non vi sia la violazione della propria privacy, in ordine ai dati sensibili che li riguardano, con l’ulteriore effetto di permettergli di dedicarsi completamente allo studio senza inutili dispendi di sofferenze ed energie». 

Non manca infine una difesa delle «associazioni impegnate nella tutela dei diritti civili, dei diritti dello studente e della libertà educativa», accusate da Pro Vita & Famiglia di restare «insensibili alle richieste di aiuto e alle questioni che coinvolgono quotidianamente le ragazze e i ragazzi transgender e si adoperino, addirittura, per ostacolare quanto l’Istituzione scolastica ha messo in campo per contribuire all’esercizio del diritto allo studio delle/degli studenti trans».

Ne è ben consapevole il presidente di Gender X Gioele Lavalle, che, nell’osservare come del direttivo faccia anche parte l’avvocato Giovanni Guercio, «figura storica delle battaglie per i diritti delle persone trans, il cui impegno civico ha loro permesso di raggiungere traguardi importantissimi in materia di riassegnazione di genere», ricorda a Linkiesta il recente tempo in cui, «prima della possibilità di utilizzare la carriera alias, vi erano molti casi di bullismo transfobico che spingeva i ragazzi e le ragazze a decidere di abbandonare il percorso di studio». Ecco perché, soggiunge amaramente, «nel momento in cui abbiamo appreso della diffida da parte di Pro Vita & Famiglia agli istituiti scolastici che adottano la “carriera alias”, abbiamo deciso di muoverci per difendere i diritti delle/degli studenti transgender come anche di supportare il “Primo Levi” di Badia Polesine. Non permetteremo che i nostri ragazzi e le nostre ragazze siano vittima di bullismo nelle scuole, come è successo in gran numero a noi nell’età della fanciullezza e dell’adolescenza». 

Già il 14 dicembre proprio Gender X aveva indicato in sintesi le ricadute positive della carriera alias nel comunicato redatto insieme con Libellula e poi sottoscritto da tantissime sigle associative Lgbt+, con cui si chiedeva al ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara di garantire, «in tutti gli istituti scolastici del territorio nazionale, la possibilità di attivare la carriera alias e di prendere provvedimenti di fronte ad episodi di discriminazione a sfondo transfobico compiuti all’interno dell’ambiente scolastico». 

Anche Jacopo Coghe, nel comunicare la notifica delle diffide di massa, aveva precedentemente invocato «un intervento risolutore» del titolare del dicastero di viale Trastevere, ma «per mettere fine una volta per tutte al proliferare incontrollato di questo ideologico abuso giuridico». Cosa, questa, che non meraviglia affatto, se si pensa che il portavoce di Pro Vita & Famiglia, nell’esprimere soddisfazione il 21 ottobre per il neo-governo Meloni, aveva riservato particolare attenzione proprio alla nomina di Valditara con l’auspicio di «potergli presto rappresentare le preoccupazioni delle famiglie italiane rispetto alle gravi lesioni della loro libertà educativa operata da quella che Papa Francesco ha più volte denunciato come la “colonizzazione ideologica” del gender». D’altra parte Coghe, in qualità di presidente di Generazione Famiglia, presentata sul sito dell’ex Miur (oggi Mim) nei termini di «braccio operativo iper specializzato nella scuola di Pro Vita e Famiglia Onlus», siede nel Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola (Fonags), che, come noto, ha sede presso la Direzione generale per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico del ministero.

È necessario però riferirsi a un più ampio quadro transnazionale, fatto d’interconnessioni con partiti d’estrema destra e associazioni ultraconservatrici, quando si parla di Pro Vita & Famiglia. Ma anche di Generazione Famiglia, che, parte della prima, è dal 2015 la nuova identità de La Manif pour tous Italia, fondata nel 2013 da Coghe, dalla moglie Giuditta, da Maria Rachele Ruiu e da Filippo Savarese. Quest’ultimo, attuale direttore operativo dell’associazione a guida Brandi – che è stato fra l’altro presidente del World Congress of Families di Verona e ha fra i suoi più fedeli collaboratori Alessandro Fiore, figlio del leader di Forza Nuova Roberto – ha ricoperto fino al 2019 l’incarico di direttore delle campagne italiane della CitizenGO. Vale a dire, la fondazione d’origine spagnola, nel cui consiglio d’amministrazione siede, fra gli altri, Alexey Komov, putiniano di ferro e braccio destro del multimilionario russo Konstantin Malofeev, più noto come l’Oligarca di Dio, di cui sono stati svelati i legami con Gianluca Savoini, Roberto Fiore e Toni Brandi.

All’accennato quadro transnazionale si riferisce con chiarezza Cristina Leo, che a Linkiesta ricorda come all’edizione veronese del World Congress of Families, espressione di quel «movimento globale antiabortista, antifemminista, anti-Lgbt+ classificato come “gruppo d’odio” dal Southern Poverty Law Center», avessero partecipato dal 29 al 31 marzo 2019 «associazioni, capi di Stato, esponenti politici della destra radicale e cristiano-integralista di tutto il mondo. Ma anche tre ministri dell’allora Governo Conte I: Matteo Salvini, Lorenzo Fontana, Marco Bussetti, rispettivamente all’Interno, alla Famiglia e alla Disabilità, all’Istruzione. Il primo, all’epoca anche vicepresidente del Consiglio dei ministri, ha oggi, come noto, lo stesso incarico nel Governo Meloni nonché quello di titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre il secondo è attualmente la terza carica dello Stato in qualità di presidente della Camera. Non bisogna infine dimenticare la presenza a Verona della stessa Giorgia Meloni come leader di Fratelli d’Italia».

Per la psicologa e vicepresidente di Gender X è interessante inoltre notare come persone vicine a Pro Vita & Famiglia e, più in generale, appartenenti alla variegata galassia dei pro life e pro family, «usino nel loro linguaggio sempre gli stessi mantra: “il pensiero unico”, “le lobby Lgbt+”, “la teoria del gender”. Ci sarebbe veramente tanto da dire. Ma la verità è che tali associazioni vogliono solo imporre, con tutti gli strumenti a disposizione, la loro visione della realtà: poco importa se poi a essere calpestati sono i diritti di una persona transgender o di una donna impossibilitata ad accedere all’aborto libero, sicuro, garantito o di una coppia omogenitoriale privata del pieno esercizio dei propri diritti a differenza di genitori eterosessuali o ancora di una persona che, pur essendo in condizioni critiche di salute, non può decidere della propria vita». Da qui il quesito di Cristina Leo, che riguarda tutte e tutti: «Essere pro life, significa questo? Arrogarsi il diritto di decidere per le vite altrui? Io non mi sognerei mai di imporre la mia visione del mondo a chicchessia. Senza accoglienza dell’altro, non c’è rispetto. E io non sono né accolta né rispettata da chi disconosce la complessità e l’unicità degli esseri umani. Quindi anche la mia di donna transgender». 

Biagio Chiariello per fanpage.it il 23 Dicembre 2022. 

Da oggi in Spagna le persone transgender a partire dai 14 anni (e dai 16 senza consenso dei genitori) potranno cambiare il proprio genere all’anagrafe con una semplice dichiarazione e senza che nessuno possa richiedere relazioni mediche o psicologiche o due anni di trattamento ormonale, condizioni attualmente richieste. 

Il Congresso, cioè la Camera bassa del Parlamento spagnolo, ha approvata la cosiddetta ‘Ley Trans', cioè una legge sui diritti delle persone transgender, che di fatto smette di considerare la transessualità una patologia e riconosce la cosiddetta autodeterminazione di genere. Ora il provvedimento dovrà passare l'esame del Senato.

La norma è passata con 188 voti favorevoli su 350 votanti, 7 gli astenuti. "Finalmente questa legge depatologizza la vita dei trans e ne garantisce i diritti", ha esultato la ministra dell'Uguaglianza, Irene Montero, sostenendo che "le donne trans sono donne".

Al di là della ferma opposizione delle forze di destra come Vox e il Partito Popolare, la legge ha sollevato anche critiche da più fronti sul tema dei diritti riconosciuti ad altre minoranze. In tal senso alcune attiviste femministe considerano l’autodeterminazione di genere una minaccia che offusca il concetto di sesso biologico. Mentre Isabel Pozueta, di Eh Bildu, ha sottolineato come non sia previsto nulla “sulle persone non binarie, sui minori di età inferiore ai 12 anni o sugli immigrati che arrivano perché in fuga dalla discriminazione nei loro Paesi d'origine”.

Ad ogni modo Ley Trans prevede la possibilità di cambiare il sesso all’anagrafe senza autorizzazione giudiziaria o referti medici a partire dai 14 anni (dai 16 non è necessario neanche il consenso dei genitori). Tra i 14 e i 16 anni, qualora genitori (o chi ne fa le veci) e figli fossero in disaccordo è possibile procedere con un difensore giudiziale. Tra i 12 e i 14 anni, ogni richiesta deve passare per l'okay di un giudice. Il cambio di sesso è, inoltre, del tutto gratuito dai 16 anni. 

Al di sotto dei 12, i bambini transgender possono cambiare nome ed essere trattati secondo la propria identità nelle scuole, ma non cambiare sesso legalmente.

I porno.

Estratto dell’articolo di Melissa Panarello per “La Stampa - Specchio” domenica 27 agosto 2023.

[...] Pretendere dalla pornografia una qualche funzione educativa è come chiedere ai quiz televisivi di sostituirsi alla scuola. Il problema non è la pornografia e l'uso che ne fanno i ragazzi e le ragazze, ma non spiegargli che quello che vedono è semplice e puro spettacolo, confezionato apposta per eccitare, e dunque ogni azione, ogni situazione, ogni corpo, sono esibiti al meglio delle loro possibilità, perché il porno deve incarnare i sogni irrealizzabili di tutti, oppure proporre scene di ordinaria normalità sbarazzandosi, nel montaggio, del momento in cui il piede si è incastrato fra le sbarre del letto o lei ha starnutito in faccia a lui mentre stava a cavalcioni.

Il porno non è la vita e la vita non è porno, anche se il confine fra i due è sempre più labile: coppie molto giovani girano video caserecci senza rivelare il volto, ma scoprendo tutto. Giacché il porno non vuole pensieri, le coppie amatoriali (che guadagnano non pochi soldi fra Onlyfans e altre piattaforme) hanno corpi normali, ma perfetti. Per conoscere la vita segreta di una persona non si deve far altro che spulciare nella sua cronologia di navigazione e se in quella cronologia trovi anche i porno che ha visto allora non solo conosci la vita segreta, ma pulsioni e desideri più nascosti e inconfessabili. [...]

E che dire della differenza fra il porno maschile e il porno femminile? Sostanzialmente non esiste, ma le artiste del porno donne stanno sempre più prendendo potere all'interno di un mercato da sempre appannaggio dei maschi. E non si tratta solo di attrici, di performer, ma di registe, di produttrici, di donne che investono sul porno, non è un caso per esempio che ex attrici porno come Anna Lee e Ela Darling abbiano investito sulla realtà virtuale facendoci soldi a palate. Il futuro del porno è dunque femminile, una cosa che non può non avere un impatto anche sulla vita sessuale di tutti e tutte noi.

Riccardo Canaletti per mowmag.com il 17 dicembre 2022. 

Agli italiani piacciono i trans? Secondo le statistiche di Pornhub sembrerebbe di sì. Ecco qualche dato: in Italia è la terza categoria più visitata dopo “lesbian” e “mature”; la categoria transgender si cerca il 138% di più rispetto a quanto si faccia nel resto del mondo (con la Russia che buca la classifica, sorprendentemente). È la settima categoria in assoluto più vista nel 2022 ed è cresciuta del 75% rispetto allo scorso anno. Inoltre il termine “transgender” è il sesto più cercato.  

Ma perché non ammettiamo una volta per tutte che lo “stallone italiano” è interessato anche alle donne trans? Lo abbiamo chiesto a Clizia De Rossi, attivista per i diritti LGBTQ+ e donna trans seguitissima sui social. Lei ci spiega cosa avviene in Italia e ci racconta di qualche sua passata esperienza, anche con politici e calciatori. La notizia non la stupisce: «Paradossalmente, più è proibito più lo cercano» e lancia un appello a Rocco Siffredi, a Malena e all’amico Franco Trentalance.

La categoria transgender su Pornhub è cresciuta moltissimo, soprattutto in Italia, anche se è una categoria molto seguita anche in Russia per esempio.

Guarda caso nei Paesi più omofobi. Anzi, forse non è neanche troppo un caso. Ma manca l’Ungheria di Orbán per fare l’en plein. Vanno tutti a votare la Meloni e poi sono i primi viziosi. Votano contro il ddl Zan e poi di nascosto sono i primi che vanno a cercare questa categoria. 

Però gli uomini italiani negano di vedere video di donne trans, perché?

È un tabù. Tutto ciò che riguarda il trasgressivo deve rimanere nascosto. Forse ha tanto successo proprio perché non se ne parla, paradossalmente. Italia e Spagna, tra l’altro, dovrebbero essere i Paesi con il maggior arrivo di prostitute trans, nonostante siano i più cattolici e machisti all’apparenza. La verità è che ne sono attratti. È inutile negare che abbiamo qualcosa in più. Anche ieri quando sono stata a La Zanzara, ho ricevuto molti messaggi di apprezzamento e di voglia di incontrarmi i cui autori avevano pubblicato dei commenti sotto ai post in cui invece sostenevano che non mi avrebbero mai contattato. 

Perché mentire?

Perché in Italia c’è ancora questa idea per cui se vai con le trans sei gay. 

Hai detto che avete un di più? Quale?

Lo vedo anche con le mie amiche. Spesso sono la più curata e quella che rimorchia di più. Spesso siamo più femminile delle femmine biologicamente tali. C’è ancora questa vergogna per quanto riguarda il discorso pubblico, ma sono i primi, gli uomini, a ricercare qualcosa di trasgressivo.  

Ma penso che sia una cosa positiva. L’uomo italiano è molto passionale e attratto dalla femminilità e lo sa anche lui che spesso siamo anche più brave a letto, perché abbiamo cose in comune e sappiamo cosa fare durante il sesso. In più il catalogo è più variegato. Con noi possono dare più libero sfogo alla fantasia, anche perché le femmine biologiche possono solo riceverlo.

La categoria più cercata su Pornhub in Italia è “Lesbian”. Che ne pensi?

Possono usare solo oggetti esterni. Invece credo che il sogno per eccellenza sia vedere o una cosa a tre con una trans o un rapporto tra una femmina biologica e una donna trans. Il sogno della donna trans c’è, ed è diffuso. Io stessa ricevo spessissimo richieste anche da persone famose con fidanzate bellissime. Ultimo in ordine, senza fare nomi, un calciatore molto importante, con una ragazza altrettanto importante. Soprattutto questi, che hanno tanta disponibilità di belle ragazze, poi arrivano a un punto in cui non gli basta più e vogliono altro. 

Dai, facci qualche nome.

Posso solo dirti che spesso, ma si sa, i più interessi sul fronte trasngender sono i politici di destra. Tornando sugli sportivi. Più sono fisicati, virili e insospettabili, più sono loro a cercare il lato passivo. 

Hai buttato la bomba, i politici di destra. Ma anche qualcuno di questo governo?

Ho avuto una liaison con uno del governo, sì. Ma in tempi passati, ora sono fidanzata. 

Tra le tue relazioni hai avuto partner che poi si sono vergognati di ammettere di voi in pubblico?

Ho avuto tre relazioni serie e in questi casi no. Ma tutte quelle avute nel mezzo, soprattutto per quanto riguardano i vip, erano tutte vissute sicuramente non alla luce del sole. Spesso si celavano dietro al discorso dei paparazzi, della carriera, delle immagini, e una accetta anche perché da un lato posso capire questo discorso. In Italia c’è ancora molto bigottismo. Purtroppo in alcune carriere, sicuramente, avrebbe costituito un danno di immagine. Questo la dice lunga sul fatto che bisogna lavorare molto sul discorso dell’accettazione, dell’uguaglianza e dell’informazione. Ho lottato e fatto attivismo nel mio piccolo proprio per il ddl Zan perché credo sia necessario ora più che mai, andare a istruire i ragazzi già nelle scuole per insegnare loro la normalità della diversità, della pluralità di amore che non lede quella classica che poi è purtroppo frutto, come sappiamo, di una strenua campagna primitiva e medievale della Chiesa, che è andata a indottrinare la nostra civiltà con dei canoni standardizzati.

A proposito di queste battaglie, credi che il porno potrebbe essere uno strumento di integrazione e normalizzazione?

Assolutamente sì. Io la incentiverei la pratica dei porno transgender. Anzi, lancio un appello a Rocco Siffredi. Non mi risulta che nella sua Accademy ci siano attrici porno trans, soprattutto non operate. Lo dico anche a Malena, Franco Trentalance, e altri famosi. Dovrebbero iniziare a collaborare con donne trans, proprio per normalizzarne la presenza. Anche se potrebbe esserci un rischio, sai? 

Quale?

Il rischio che si associ la donna trasngender solo al proibito, al desiderio, alla trasgressione, a qualcosa che andrebbe nascosto. Ci vorrebbero dei personaggi famosi e conosciuti che iniziassero ad aprirsi sui loro rapporti e le loro relazioni, come ha fatto il calciatore Mbappé, che ha reso pubblica la sua relazione con la fidanzata transgender Ines Rau. Ecco, questo aiuterebbe tanto. Se gli idoli dei ragazzi e i vip cominciassero ad ammettere di essere i primi a essere attratti dal mondo trans, le cose potrebbero davvero cambiare.

Valerio Berra per fanpage.it il 17 dicembre 2022.

9 minuti e 52 secondi. È questo il tempo medio che nel 2022 Pornhub ha registrato per ogni sessione di accesso sul suo sito da un utente localizzato in Italia. Nove secondi in più della media dello scorso anno e due secondi in meno della media europea. Restano invariati i dati sul pubblico, la maggior parte degli utenti in Italia sono uomini (68%), le donne sono circa un terzo (32%). 

Lanciato nel 2007 (due anni dopo YouTube) Pornhub è uno dei portali di punta di MindGeek, la società canadese che domina il mercato del porno online con progetti come YouPorn, XTube e SexTube. Negli ultimi anni la società è stata spesso sotto attacco per il tipo di contenuti ammessi sulle sue piattaforme. Solo nel dicembre 2020 milioni di video sono stati cancellati perché contenevano materiale violento o diffuso senza consenso. 

Le cinque categorie più apprezzate dagli utenti italiani sono: Lesbian, Mature, Transgender, Popular With Women e Threesome. Lo staff di Pornhub Italia segnala in particolare il caso della categoria Transgender: “Questa categoria è stata guardata in Italia il 138% in più rispetto al resto del mondo”. 

Non solo. Il termine trans compare al sesto posto tra le parole più cercate in Italia. È preceduto da: italiano, milf, amatoriale italiano, hentai e lesbian. Curioso l’aumento nelle ricerche della parola “dentista”: sono salite del 173% rispetto allo scorso anno. Per fruire dei contenuti pornografici gli italiani preferiscono lo smartphone: gli accessi da mobile sono l’85% del traffico totale. 

Sempre secondo Pornhub nel mondo le tre categorie più cercate sulla piattaforma sono Lesbian, Ebony e Japanese. La cateogoria che è cresciuta di più rispetto al 2021 è Reality, con un aumento delle ricerche in tutto il mondo che è arrivato al 169%. 

Nella sezione pornostar più cercate troviamo parecchie conferme. Ai primi tre posti ci sono Martina Smeraldi, Malena La Pugliese e Rocco Siffredi. A livello globale invece il podio è stato conquistato da Abella Danger, Lana Rhoades e Angela White.

DAGONEWS venerdì 8 dicembre 2023.

Siete eterosessuali e volete migliorare le vostre prestazioni in camera da letto? Chiedete ai vostri amici gay e lesbiche. Parola di Tracey Cox che prende spunto da una serie di studi che rivelano come gli omosessuali abbiano orgasmi migliori e un sesso più soddisfacente

Sappiamo tutti del "divario dell'orgasmo": durante il rapporto sessuale tra partner, le donne hanno sostanzialmente meno orgasmi degli uomini. Metti una donna con una donna e quel problema scompare. Le donne comprendono l'importanza del clitoride negli orgasmi femminili. Molti uomini no.

Gli uomini viaggiano rapidamente da zero a 100 sulla scala dell'eccitazione, le donne impiegano più tempo a riscaldarsi. Un'altra donna lo sa, è più paziente.

Il sesso è più equo e gentile

È probabile che le donne cambino ruoli sessuali con partner femminili molto più di quanto non facciano le coppie etero. Spesso c'è una turnazione: una persona raggiunge l'orgasmo, quindi tutta l'attenzione si concentra sul piacere dell'altra. Ciò si traduce in orgasmi più soddisfacenti a tutto tondo. Inoltre molte donne lamentano il martello pneumatico durante il sesso con gli uomini e il dolore successivo. Tra donne non capita 

Puoi avere orgasmi multipli...

Quando un uomo eiacula, di solito significa che il sesso è finito. Poiché le donne possono avere orgasmi multipli, l'orgasmo di un partner non significa che le cose debbano finire.

…e non c’è bisogno di fingere

Non c'è bisogno di fingere tra femmine perché le donne sanno che molte cose influenzano l'eccitazione, il desiderio e l'orgasmo. Le donne tendono ad essere meno orientate agli obiettivi: il loro ego non è così legato all'intera faccenda del "le ho fatto raggiungere l'orgasmo". 

Il sesso non è così strutturato

Poiché il rapporto non è l'evento principale, non c'è inizio, metà e fine. Questo può aiutare a impedire alla coppia di cadere in un formato prevedibile, che viene poi seguito ogni volta.

I preliminari sono sesso

Le lesbiche sanno che tutti gli orgasmi hanno origine dal clitoride. C'è una generosa attenzione e concentrazione sui baci, un sacco di giochi con il seno e tonnellate di sesso orale. Tutte cose che stimolano il clitoride. Cosa che purtroppo il pene e il rapporto completo non fanno.

Sono fantasiose e creative

Molti uomini usano solo la tecnica della sega: spingono le dita dentro e fuori dalla vagina, trascurando del tutto il clitoride. È più probabile che le lesbiche utilizzino una varietà di tecniche, si concentrino sul clitoride, inclusa la forbice, strofinando l'area inguinale l'una contro l'altra.

Non sono minacciati dai vibratori

Le lesbiche non si affidano a un vibratore perché non ce n'è bisogno: sono più brave a darsi l'orgasmo a vicenda. Ma se un partner decide che ha voglia o ha bisogno di vibrazioni per arrivare all’orgasmo, spesso non c'è alcun problema.

Tra gay ci sono diverse posizioni, luoghi, oggetti di scena, sesso tenero, sesso selvaggio, uso delle mani, i peni, le lingue…. Mediamente la vita sessuale dei gay batte quella di una coppia etero.

Prendono ciò che vogliono dal sesso

Il concetto di sdraiarsi e aspettare, incrociando le dita, che la lingua del tuo amante colpisca il punto giusto, è un concetto estraneo agli uomini gay. Se il loro amante non è nella posizione giusta, è probabile che lo spostino o gli dicano di muoversi. Se la tecnica non funziona, probabilmente diranno: “Non funziona". Fai questo invece”. Perché dovresti sdraiarti e sperare di raggiungere l'orgasmo quando puoi assicurarti di farlo dando suggerimenti, modifiche, aggiungendo oggetti? 

Sono meno attaccati all'eiaculazione precoce

Alcune donne trovano deludente se il loro partner raggiunge l'orgasmo troppo presto. Gli uomini gay sono meno "giudicanti". L'intero scopo di fare sesso è venire - se ciò accade rapidamente, bene! Hanno raggiunto il loro scopo. Non significa che le loro bocche o le loro mani abbiano smesso di funzionare - e c'è sempre una seconda volta.

E parlane se va avanti da troppo tempo

Le donne hanno il gene della cortesia. È improbabile che dicano "Sbrigati!". Gli uomini fanno tutto il possibile per far raggiungere l'orgasmo al loro partner e chiedono di cosa ha bisogno o cosa vuole. Ma, se dura un po' troppo a lungo, gli suggeriscono il fai-da-te mentre guardano.

Usano il lubrificante

Vuoi migliorare la tua vita sessuale in modo istantaneo? Usa il lubrificante più spesso. Gli uomini gay lo usano per seghe, giochi anali, durante lunghe sessioni, con giocattoli sessuali - per tutto!

Non sono schizzinosi

Le donne possono diventare schizzinose riguardo allo sperma. I ragazzi gay lo vedono sexy. A chi importa se finisce su di loro o sulle lenzuola appena lavate se il sesso è stato fantastico? 

Ha anche i capezzoli!

Le donne eterosessuali tendono a ignorare il seno maschile. Gli uomini sanno che i capezzoli possono essere una zona hot. Alcuni uomini adorano che i loro capezzoli vengano pizzicati o addirittura morsi abbastanza forte appena prima dell'orgasmo; altri lo odiano. Sperimenta ma non offenderti se ti allontana la mano.

Delicatamente non si fa

Le donne toccano gli uomini troppo piano. La pelle dell'uomo è più spessa e meno sensibile: un tocco più deciso e una presa si sentono meglio.

Ovunque tranne che in camera da letto

Le donne spesso aspettano di essere a letto per iniziare il sesso. Gli uomini lo faranno ovunque perché il loro desiderio sessuale è più urgente. Il bagno, il letto, il lavello della cucina, un luogo appartato. Al bando il letto!

Bis, bis!

Molte donne sono troppo imbarazzate per lasciare che il loro partner le guardi mentre si masturbano. Agli uomini piace mettersi in mostra e guardare il proprio partner che si eccita. Non solo, osservano attentamente per capire quale tecnica utilizza il loro partner, quindi replicano quando è il loro turno di dare piacere.

Estratto dell’articolo di Francesco Rigatelli per lastampa.it l'1 ottobre 2023.

«Che ci fossero diverse mentalità e pratiche rispetto ad oggi è poco ma sicuro». Lo storico dell’antichità Luciano Canfora, 81 anni, spiega l’amore ai tempi dei romani. 

È vero che non distinguevano tra etero, omo e bisessuali?

«Sì e d’altra parte gli esempi si sprecano. Rispetto all’omosessualità maschile in particolare c’era già una plaudente accettazione nel mondo greco e quando i romani lo conquistarono con le armi si invaghirono di quelle usanze.

Furono soprattutto i ceti dirigenti a importare quel modo di vivere, di pensare e di poetare. Lessero Platone e ci trovarono Alcibiade rivelare che Socrate si è innamorato di lui. D’altra parte il tirannicidio di Atene, da cui nasce la democrazia, viene dalla rivalità tra Ipparco e Aristogitone per l’amante conteso Armodio». 

Alla base della democrazia c’è l’omosessualità?

«La democrazia è altra cosa, ma la retorica - che non dice sempre la verità - la rappresenta così. […] Nelle classi popolari, di cui abbiamo solo un vago sentore, l’atteggiamento era diverso. Nelle commedie di Plauto l’omosessualità viene vista con scherno, che del resto c’era pure nel mondo ateniese con Aristofane».

Questione di classe?

«Sarà passatista dirlo, ma sì. Diciamo di ceto, così salviamo il politicamente corretto». 

[…]  Quando cambia l’atteggiamento dei romani verso l’omosessualità?

«Nel IV secolo l’imperatore Costantino si fece battezzare, Teodosio impose il cristianesimo e iniziò un atteggiamento diverso anche nei ceti dominanti. L’organizzazione della vita come concepita dalla pratica cristiana e dalle interpretazioni successive ha lentamente imposto l’idea che l’omosessualità sia una devianza […]». 

[…] I romani non erano più avanti di noi dunque?

«Erano diversi, e le iniziative sessuali erano a disposizione delle élite e non del popolo». 

[…] Il libro di Aldo Cazzullo, Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito ricostruisce il mito della capitale. È tornata di moda?

«Non ho colpa in tal senso, ma più volte l’utilizzo del passato ha prodotto lavori interessanti come la voce “Roma” della Treccani di Arnaldo Momigliano. Però non eravamo padroni del mondo: Augusto scese a patti coi Parti, l’Eufrate fu il confine e in Germania ci andò male». 

Qual è la vera lezione degli antichi romani?

«Hanno salvato la cultura greca e ce l’hanno trasmessa, hanno costruito il diritto e incluso i popoli conquistati senza neppure il blando razzismo dei greci verso i barbari, che poi erano i persiani».

Estratto dell'articolo di Camillo Langone per “Il Foglio” sabato 26 agosto 2023.

[…] pure il generale per definire gli omosessuali usa la parola americana di tre lettere. La parola che io mi vanto di non avere mai pronunciato né scritto sia perché straniera sia perché contenente un giudizio anzi un pregiudizio positivo: gaio, allegro in quanto omosessuale. Parola ideologica, militante, generalizzante, e penalizzante gli eterosessuali che dunque sarebbero i tristi. 

E così perfino il generale è un omosessualista. Più moderato di Crosetto che è più moderato di Zan, certo: ma accomunati dal vocabolario. E il conservatore che usa le medesime parole del progressista è solo un progressista in ritardo.

[…] ho fatto bene a rispondere in questo modo ai tanti che mi hanno esortato a leggere “Il mondo al contrario”: spero che venda tantissimo, settanta volte più della Murgia, ma io non lo leggerò […]

Alberto Angela sull'amore omosessuale nell'Antica Roma è disservizio pubblico. CAMILLO LANGONE su Il Foglio il 30 settembre 2023.  

Nell’ultima puntata di “Ulisse” si racconta che nell'antichità “l’amore era vissuto in modo libero, in modo naturale, bello”. Sottolineando: “Cosa giustissima! Pensate che l’uomo romano culturalmente era bisessuale!”. Ma sono balle pagane.

Nell’ultima puntata di “Ulisse” Alberto Angela ha fatto disservizio pubblico raccontando, con voce ispirata, che nell’Antica Roma “l’amore era vissuto in modo libero, in modo naturale, bello”. Sottolineando: “Cosa giustissima!”. E insistendo sempre più eccitato: “Pensate che l’uomo romano culturalmente era bisessuale!”. Balle pagane. A parte che l’Antica Roma durò dodici secoli durante i quali cambiarono costumi e religioni, e parlare di questa lunghissima parabola come di un blocco unico non è divulgare, è rafforzare pregiudizi, l’omosessualità fu sempre normata, mai davvero libera e anzi sordidamente legata alla schiavitù (per Seneca il ruolo passivo era “un crimine per chi è nato libero e una necessità per chi è schiavo”). Libero allora l’amore eterosessuale? Nemmanco. Andasse il grossolano Angela a raccontare di amore libero alle mogli della Roma Repubblicana uccise legalmente dai mariti perché colte in flagrante adulterio. Oppure andasse, il pressapochista, dalle vestali che quando violavano il voto di castità venivano frustate e poi sepolte vive (Plutarco vide un’esecuzione e ne rimase scosso). Anziché “Ulisse”, Angela prossimamente conduca “Polifemo”, titolo più coerente con la sua divulgazione ottenebrante.

Leggere Marziale per scoprire l'amore libero nell'Antica Roma è una pessima idea. CAMILLO LANGONE su Il Foglio il 4 ottobre 2023.  

Secondo Alberto Angela il poeta racconterebbe la libertà sessuale, ma è una notizia falsa e tendenziosa: a leggere i suoi versi la libertà che emerge è quella dei ricchi di comprare schiavi ragazzini

I plauditores di Alberto Angela mi hanno intimato di leggere Marziale: il poeta proverebbe l’affermazione del loro idolo secondo il quale presso gli antichi romani vigeva l’amore libero. In particolare omosessuale. Una notizia falsa e tendenziosa, diffusa non ho capito se in chiave anticristiana o antivannacciana o antimeloniana (mistero) in un programma pagato dal contribuente. Angela iunior, se conosce la storia di Roma (a questo punto ho dei dubbi), avrà puntato sull’ignoranza del gregge dei telespettatori circa l’esistenza di una Roma monarchica, di una Roma repubblicana e di una Roma cristiana in cui l’omosessualità, specie passiva, oscillava tra l’inconcepibile e il severamente punibile. Senz’altro è esistita una Roma imperial-pagana in cui la sodomia allignava, ma con dettagli un po’ difficili da difendere. I plauditores di Angela mi hanno intimato di leggere Marziale e io l’ho letto, anzi riletto, ed ecco l’epigramma 58 del libro I: “Un mercante di schiavi mi chiese centomila sesterzi / per un fanciullo: io risi, ma Febo glieli diede subito. / Di ciò si dispiace il mio cazzo...”. Ecco dunque l’amore libero presso i romani precristiani: la libertà dei ricchi di comprare schiavi ragazzini, quasi bambini (Marziale scrive “puer”), e poi stuprarli.

Camillo Langone

Vive a Parma. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "Eccellenti pittori. Gli artisti italiani di oggi da conoscere, ammirare e collezionare" (Marsilio).

La famiglia queer è il fenomeno sociale più antico del mondo. MARIANO CROCE su Il Domani il 06 luglio 2023

Negli studi sulla parentela – uno degli assi portanti dell’antropologia sociale – già all’inizio del Novecento studiose e studiosi occidentali dovettero constatare che la coppia monogamica era merce assai rara sul mercato della socialità umana

Se è vero che “queer” oggi è termine sempre meno esotico, il problema è che lo si associa ancora all’acronimo Lgbt. Beninteso: lo si fa a ragione, perché quando nel 1990 la scrittrice e critica letteraria Teresa de Lauretis ne promosse l’uso intendeva includere nella stessa regione semantica tutte quelle forme di sessualità “sghembe” (“queer”, appunto) che mal s’adattavano all’imperativo sociale dell’eterosessualità. Oggi però torna a inguainarsi di mistero quando lo si associa a “famiglia” – e di lì una ridda d’interventi a perorare le ragioni del nuovo fenomeno e a dissiparne i misteri, specie quelli più indicibili.

Essì, perché, rispetto alla famiglia monogamica, costituita da un genitore, una genitrice e la loro prole, nella famiglia queer le persone adulte sono più di due. E non stupisce così che, nell’indomabile compulsione al voyeurismo, l’interesse del pubblico s’accentri perlopiù sull’organizzazione della vita sessuale.

Fa bene quindi Michela Murgia a insistere sull’aspetto dell’organizzazione più che su quello sessuale. Come in tutte le collettività umane, piccole e grandi, non rileva tanto chi fa sesso con chi, ma chi fa cosa e quando. Come ogni famiglia, la famiglia queer è fondata su uno speciale rapporto d’interdipendenza tra persone che condividono una parte rilevante della loro vita e si accordano sulla gestione orchestrata delle incombenze. Non si vuole con ciò negare che il sesso sia tra queste, ma per certo esso conta quanto chi fa la spesa e chi va a portare a spasso il cane. Non solo: queer può ben essere una famiglia in cui di sesso non ce n’è, perché le persone coinvolte decidono di convivere per sostenere spese, aiutarsi vicendevolmente nelle faccende domestiche, o più semplicemente farsi compagnia. Il mistero si dissipa e si capisce presto che di lascivo c’è molto poco.

Ma deluderà ancor più sapere che la famiglia queer è tutt’altro che un fenomeno nuovo. Negli studi sulla parentela – uno degli assi portanti dell’antropologia sociale – già all’inizio del Novecento studiose e studiosi occidentali dovettero constatare che la coppia monogamica era merce assai rara sul mercato della socialità umana. Quando costoro si recavano a studiare popolazioni non occidentali per passarne in rassegna il pensiero e i modi di vita, dovettero presto constatare che le idee su cosa fosse la procreazione e come si dovesse organizzare la vita famigliare erano molto diverse dalle loro.

Tra le popolazioni umane, poche credevano che la procreazione fosse un affare a due, perché molte altre entità vi partecipavano. Poche credevano che bambine e bambini dovessero essere educatə da due persone solamente – e piuttosto questa era ritenuta pratica esecrabile e sediziosa. Poche credevano che bambine e bambini acquisissero i beni di genitrici e genitori per diritto di sangue, perché si ereditava piuttosto in base alla buona condotta nei confronti di chi quei beni possedeva. I modi di fare famiglia che studiose e studiosi documentavano erano molti: dalla condivisione del cibo all’allattamento, dalla lavorazione della terra all’esecuzione di specifiche ritualità. Insomma, passata alla lente dell’etnografia, la famiglia monogamica pareva un’inspiegabile eccezione del modernissimo occidente.

ILLUMINISIMO

Alcunə tra quelle antropologhe e quegli antropologi si convinsero così che questa eccezione non era davvero tale. A ben guardare, anche nelle nostre latitudini la famiglia monogamica è tutt’altro che risalente, figlia com’è delle riforme illuministiche di fine Settecento e dei codici civili di inizio e pieno Ottocento. In passato, specie nella Roma antica e nel primo medioevo, i modi di fare famiglia erano molti, e non tutti erano legati al fatto biologico della procreazione.

Del pari, la famiglia ristretta era imbricata in nuclei sociali meno angusti, che incidevano sulla vita domestica e sulla sua regolazione, cioè, ad esempio, su chi e come si educava la prole o chi e come avrebbe ereditato i beni. È in ragione di ciò che alcunə storicə, come ad esempio Hans Hummer, sconsigliano di utilizzare termini quali “parentela” e “famiglia” quando si guarda a periodi che precedono l’evo moderno, dato che in essi l’organizzazione della vita intima e di quella domestica non si fondava certo su quella unità ai nostri occhi naturale (ma tutt’altro che tale) che è la coppia monogamica.

Questa spinta allo smascheramento di una tradizione “inventata”, come appunto la famiglia monogamica, sta alla radice degli studi sulle famiglie queer, cioè quelle compagini non fondate sull’amore romantico tra due e non incentrate su un contratto concernente l’uso esclusivo degli apparati genitali. Già negli anni Novanta del secolo scorso, l’antropologa Kath Weston parlava di famiglie fondate sulla “scelta”, in cui cioè il sangue – elemento sacrale della parentela occidentale – gioca un ruolo residuale e il rapporto con figlie e figli non presuppone, almeno non sempre, la trasmissione di materiale biologico.

Niente di nuovo in questo mondo povero d’idee, quindi, neppure sul fronte queer. La famiglia queer è un fenomeno molto diffuso nel tempo e nello spazio, concernente il tema di chi, come e quando ci si deve prendere cura di chi e cosa. Il che, ad avviso di chi scrive, dovrebbe aiutare a capire come produrre leggi che legittimino e regolino il fenomeno non comporti alcuno sconquasso nella veneranda cultura occidentale. Ma al di là della questione dei diritti, che pur rimane centrale, il tema della famiglia queer è oggi particolarmente utile per comprendere davvero e meglio cosa sia una famiglia.

Quando le studiose e gli studiosi summenzionatə si trovavano a descrivere una parentela diversa nelle forme e nelle regole da quella occidentale, dovevano comunque risolvere un problema preliminare: in assetti meno convenzionali, o presunti tali, quali sono i tratti che permettono di distinguere le relazioni tra persone di una famiglia dagli altri tipi di relazione? Se la parentela non è assimilabile all’amicizia, alla solidarietà, alla lealtà politica, cosa ne caratterizza la specifica natura?

Le risposte, com’è inevitabile in un campo carico di dissensi come lo studio sulla parentela, sono molte. Tra queste, vorrei qui richiamare la proposta della filosofa Judith Butler, che nella famiglia, comunque essa sia organizzata, vede un particolare rapporto di interdipendenza, come scrivevo sopra. Non importa se fondata o meno sul sesso, sulla genetica, sul sangue, sulla coppia monogamica, una relazione famigliare è determinata da un’«inquietante partecipazione all’essere dell’altrə», che genera uno speciale tipo di dipendenza reciproca, assieme ai notissimi annessi e connessi all’impronta di un’atavica ambivalenza: amore, odio, oblazione, desiderio di fuga.

DIPENDENZA RECIPROCA

Varrà la pena, nell’accostarci a questo fenomeno vecchio come il mondo chiamato oggi “famiglia queer”, tornare a chiedersi cosa sia questo speciale tipo di dipendenza reciproca e come lo si possa organizzare al meglio, nella vita privata e in quella pubblica – al di là delle inveterate tendenze a pensare che la natura prescriva l’amore a due. Rispetto alla vita più o meno ordinata e più o meno angusta degli altri animali, l’animale umano rimane un disadattato cronico che sempre necessita di poter contare su altrə in momenti critici dell’esistenza, felici o tristi che siano.

La famiglia è quella protesi emotiva e tecnica con cui tentiamo di porre riparo alle nostre connaturate carenze: una rete di relazioni costituite da pratiche di obbligo, sostegno e cura con altrə che riteniamo particolarmente significativə e che amiamo (e odiamo). Sarà bene che intensi quanto inutili dibattiti sulla purezza delle nostre tradizioni lascino spazio a una nuova riflessione su come far sì che la legge dello Stato prenda atto di regimi d’interdipendenza che vanno emergendo – regimi né più né meno virtuosi, né più né meno problematici della famiglia monogamica.

Mariano Croce è professore di filosofia politica preso l'Università Sapienza di Roma. Oltre lo stato di eccezione, Nottetempo 2022, L'indecisionista. Carl Smith oltre l' eccezione, Quodilibet 2021, o suoi ultimi libri entrambi firmati con Andrea Salvatore

Luigi Ferrarella per corriere.it il 26 giugno 2023.

Utilizzare il termine «froci» diffama chi ne sia destinatario: il pm Mauro Clerici lo contesta all’internauta che due mesi fa sulla piattaforma social Twitter aveva scritto che «i froci sono così, bisogna rassegnarsi, stanno riuscendo a sessualizzare pure il club dello Sci.G Milano, non si riesce ad andare oltre». Lo Sci.G Club Gay Milano Lgbtqia+ aveva sporto querela, e ora la Procura si inserisce in un filone di Cassazione consolidato.

In un recente caso, in cui ad esempio un transessuale, che aveva dato del «frocio» a un politico con il quale affermava di avere avuto una relazione, si era difeso asserendo che la parola «avesse ormai perso, per l’evoluzione della coscienza sociale, il suo carattere dispregiativo», la Cassazione ha invece argomentato che il termine costituisca, «oltre che chiara lesione dell’identità personale», anche «veicolo di avvilimento dell’altrui personalità», e che «tale sia percepito dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana».

Estratto dell’articolo di Silvia M.C. Senette per corriere.it il 26 giugno 2023.

La nascita a Padova, la laurea e l'attivismo

Avrebbe compiuto 88 anni Mariasilvia Spolato, la prima prima donna in Italia a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. Nata a Padova il 26 giugno 1935, attivista italiana per i diritti Lgbt, fu discriminata, licenziata e perseguitata. Le sue spoglie riposano a Bolzano: la sua lapide è stata finanziata da un anonimo. Mariasilvia Spolato si laurea a Padova in scienze matematiche. 

La data che fa da spartiacque nella sua vita è l’8 marzo 1972: a 37 anni, durante una manifestazione femminista a Roma dichiara pubblicamente la propria omosessualità diventando la prima donna italiana ad aver mai fatto coming out. In mano, al corteo, stringeva un cartello del Movimento di Liberazione Omosessuale: pubblicate dal settimanale Panorama, le foto di quell'iniziativa considerata provocatoria la resero nota in tutta Italia e furono l'inizio dei suoi problemi. Tra le donne scese in piazza a Campo de' Fiori c'era anche l'attrice americana Jane Fonda. 

(...) 

La perdita del lavoro come insegnante

La visibilità come lesbica e attivista LGBT e la pubblicazione di libri sul tema le costarono il posto di lavoro come insegnante di matematica in un istituto tecnico di Frascati: per iniziativa dell’allora ministro Riccardo Misasi e del suo successore, l'ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il Ministero dell'Istruzione la licenziò in quanto "indegna" all'insegnamento. «Un giorno, con una scusa, mi hanno messo alla porta - racconterà alla rivista "Jesus" -. Il mio schierarmi politicamente dava fastidio. Ho perso il posto, pian piano ho finito i soldi e da lì sono cominciate le mie storie» 

(...) 

Il vagabondaggio

Mariasilvia Spolato fu allontanata dalla sua famiglia e venne lasciata dalla donna che amava. Senza fissa dimora, vagabondò per varie città italiane. «Dormivo da amici perché non ero più in grado di pagarmi l’affitto - rivelerà anni dopo -. Vagavo di qua e di là, di città in città. La mia casa erano diventati i treni: ormai mi conoscevano controllori e macchinisti di mezza Europa. Posavo il capo dove capitava e mangiavo quello che riuscivo a procurarmi». Giunta a Bolzano come clochard, viene tutt'ora ricordata da molti in città, con indosso una giacca a vento rossa e blu, intenta a leggere, ascoltare musica o fotografare. 

In seguito a una grave infezione a una gamba venne ricoverata in ospedale e, successivamente, fu accolta nella casa di riposo Villa Armonia dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Spolato si è spenta il 31 ottobre 2018 a Bolzano, a 83 anni. Sulla sua tomba al cimitero di Oltrisarco, donata da un anonimo finanziatore tre anni dopo la sua scomparsa, una foto che la ritrae anziana con un berretto di lana blu e la bandiera arcobaleno. Accanto, la scritta "Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro"». Una frase di Simone Weil, la “santa degli esclusi”.

Bad Gays. Quanto l’identità sessuale influenza le nostre scelte, nel bene e nel male. Huw Lemmey e Ben Miller su L'Inkiesta il 21 Giugno 2023

Nel loro libro, edito da il Saggiatore, Huw Lemmey e Ben Miller ricostruiscono le vite di quattordici tra le figure omosessuali più controverse della storia queer, tentando di smontare i luoghi comuni

Se riconosciamo il fatto che alcuni dei più grandi artisti, attiviste e poeti della storia sono stati guidati e motivati dalla loro sessualità, perché lo stesso non vale per le criminali, i despoti, i bigotti? Anche in questi ultimi casi possiamo trovare, guardando alle loro vite, tante lezioni importanti su come siamo arrivati a considerarci come ci consideriamo, sulle difficoltà con cui le persone lgbtq si sono dovute scontrare – non sempre con onore – nel corso della storia, e su come il sesso, l’amore e il desiderio hanno portato alcuni a prendere decisioni che hanno cambiato il corso del mondo. Non si tratta solo del fatto che queste vite sono affascinanti, complesse, e che ci fanno capire meglio l’omosessualità. In effetti, ci obbligano anche a farci la domanda fondamentale sulla nozione stessa di “eroi gay”: perché decidiamo di ricordare, perché decidiamo di dimenticare?

Quando un uomo gay, diventato fascista, venera lo stato come se questo fosse un go‑go boy in piedi su un cubo, il suo desiderio omosessuale e la sua attrazione verso questo tipo di politica sono legati? Quando dei giovani uomini che sono stati amanti di un re lo ricattano, e ciò viene visto come un oltraggio morale contro il re, ed equiparato alle rivolte dei contadini cacciati dalle loro terre, che tipo di operazioni di potere e di propaganda è in gioco? Quando un’antropologa bisessuale si basa su delle sue proiezioni primitiviste applicate a popoli colonizzati per trovare risposte a come lei stessa potrebbe vivere nel presente, in una società che vede la sua “perversione sessuale” come terrificante, come un segno d’arretratezza e minaccia alla modernità, è lecito pensare che i suoi desideri, portando a quella nostalgia mitica che caratterizza il suo lavoro, abbiano influenzato le vicende del pensiero antropologico del xx secolo? Perché alcune articolazioni di desiderio e identità che pensavamo avessero fatto il loro corso continuano a esercitare un ascendente così potente su tante persone, inclusi noi che scriviamo? Perché non riusciamo a liberarci dell’omosessualità, a ucciderla, abbandonarla? Perché non riusciamo a fare altro, forse, fare di meglio?

[…] “Gay is good” diceva un vecchio slogan, ma non è vero, “gay” soltanto non va bene, non va bene per niente. Come vedremo, molti fra i gay e le lesbiche che hanno perseguito i peggiori obiettivi politici lo hanno fatto immaginandosi come eredi di un regno magico, o segreto, come discendenti da una catena di eroi. Costruire un movimento, costruire un’identità ha spesso significato reificare, riprodurre e venerare il potere, nelle sue forme più malvagie e brutali. Forse è giunta l’ora che l’omosessualità muoia per lasciare spazio a nuove articolazioni, più utili e adeguate alla nostra pratica politica e ai nostri desideri. E forse anche il queer è qualcosa di transitorio, di insufficiente, come tutto il resto. Non siamo, in realtà, tutti spaventati, soggetti a forze che sono al di là del nostro controllo, tutti ugualmente persi nel tentativo disperato di capire come dare ai nostri desideri disordinati e alle nostre visioni politiche incoerenti una forma che ci aiuti a stare al mondo in maniera etica?

Se qualcosa si salva della nostra “perversità”, della nostra queerness, è il modo in cui permette di ricostruire, dopo averlo distrutto, il concetto di famiglia. Siamo parte di una parentela che non è predeterminata, che possiamo creare come più ci piace. Questo è un processo di socializzazione, ma anche di politicizzazione, che ci porta a comprendere a quale tipo di collettività politica, a quale “noi” vogliamo appartenere. Capire, in primo luogo, come siamo diventati un “noi”, e poi interrogare questo “noi” e chiederci se abbia senso – dal momento che siamo e siamo stati così diversi gli uni dagli altri, e che siamo spesso stati trattati in maniera terribile da altri “come noi” – può aiutare alcuni, forse molti, a fare scelte migliori. Il lavoro vero, però, inizia dopo. 

Da “Bad Gays. Crudeli e spietati: una storia omosessuale”, di Huw Lemmey e Ben Miller, pp. 496, 26.00€.

Estratto dell’articolo di Marco Respinti per liberoquotidiano.it il 16 giugno 2023.

Salto mortale con doppio avvitamento nella prestigiosa Johns Hopkins University di Baltimora, e inevitabile spanciata finale. Siccome tutto il mondo è paese, anche la solenne Johns Hopkins contempla un «Centro per la diversità e l’inclusione». Nella sezione del Centro sul sito web di ateneo ci si può iscrivere alla newsletter o localizzare una toilette all-gender. 

Ci si può anche unire a uno dei gruppi d’incontro «identitari»: gli asessuali, gli omosessuali religiosi, quelli di colore, quelli internazionali, i dubbiosi alla ricerca del gender perfetto, nonché trans e non-binari di ogni tipo. E poi ci sono una pletora di documenti e di scritti. Uno però è indispensabile: il Glossario. La ridda delle sigle (FLI, LGBTQIA+, etc.) disorienta infatti anche i meglio disposti.

[…]Tra le definizioni annoverate dal Glossario c’è, ovvio, anche quella di «lesbica»: «Una donna emotivamente, sentimentalmente, sessualmente, affettivamente o relazionalmente attratta da altre donne». Quello, cioè, che intendiamo tutti quando diciamo «lesbica» e quello che con «lesbica» intendono pure l’irreprensibile Johns Hopkins e il suo apposito «Centro per la diversità e l’inclusione».

Almeno fino a poco tempo fa. Perché poi, in data che nessuno è stato in grado di accertare, la definizione di «lesbica» contenuta nel Glossario è stata emendata così: «Un non-uomo attratto da non-uomini» (siccome però in inglese gli articoli e gli aggettivi hanno genere invariabile, si potrebbe tradurre pure: «Una non-uomo attratta da non-uomini»). Spiegando: «Laddove in passato si definiva “lesbica” una donna emotivamente, sentimentalmente e/o sessualmente attratta da altre donne, questa definizione aggiornata comprende anche le persone non-binarie che possano identificarsi con quella designazione». 

È il primo dei due avvitamenti menzionati d’esordio: metti il caso, cioè, di lesbiche che non siano donne. Epperò l’analogo non vale nella definizione di «Gay».

Ora, le donne si sono infuriate […] Fra loro Nikki Haley, candidata conservatrice alla Casa Bianca, J.K. Rowling, la mamma di Harry Potter amica dei trans e odiata da loro perché dice che, comunque uno si senta, i maschi restano maschi e le femmine restano femmine, e Martina Navratilova. 

Notoriamente lesbica, la campionessa di tennis ha tuonato il suo «ecchecca**o» femminista via Twitter: «“Lesbica” era letteralmente l’unica parola che in inglese non è legata a “uomo” e a “maschio”», visto che in inglese «femmina» si dice «female» e quindi contiene «male», cioè «maschio», così come donna si dice «woman» e contiene «man», cioè «uomo». […] uno scippo trans che azzera le donne a prescindere […]

[…] All’austera Johns Hopkins gira la testa. Tant’è che si è affrettata a ritirare il Glossario riveduto dal web, sostituendolo con il secondo dei due avvitamenti: «Pur essendo il glossario una risorsa messa a disposizione dall’Ufficio per la diversità e l’inclusione della Johns Hopkins University, le definizioni in esso contenute non sono state revisionate o approvate dai dirigenti dall’Ufficio per la diversità e l’inclusione della Johns Hopkins University e quindi il linguaggio in esso adoperato è stato rimosso per essere sottoposto a revisione». […]

Estratto dell'articolo di ansa.it il 12 giugno 2023

La Capitale si tinge dei colori dell'arcobaleno dei diritti. Sabato in migliaia dal primo pomeriggio in piazza della Repubblica da dove è partita la parata dell'orgoglio Lgbt con i carri dell'edizione 2023 intitolata Queeresistenza. 

Un Pride preceduto da alcune polemiche dopo la revoca del patrocinio da parte del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e le registrazioni di figli di due coppie di mamme fatte ieri dal sindaco Roberto Gualtieri criticato da Fdi. Gualtieri ha sfilato in testa al corteo.

 "Le trascrizioni si fanno in tutta Italia, chi ha chiesto al prefetto di intervenire sbaglia è stata fatta una cosa normalissima". Lo dice il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, in testa al Corteo del Roma Pride. 

"Sono qua oggi perché è importante, perché il Pd sarà sempre nei luoghi della tutela e della promozione dei diritti Lgbtq+. A partire dal matrimonio egualitario, le adozioni e riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali. Siamo qui perché è importante e giusto esserci. Ed è invece sbagliato che non ci sia la regione Lazio. Ci siamo con i nostri corpi e siamo qui in mezzo alle associazioni a supportare il Pride, come siamo a supporto e abbiamo aderito come PD a tutta l'onda Pride". Lo ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein arrivando al corteo del Roma Pride. "Non dimentichiamo che chi oggi governa l'Italia sono gli stessi che hanno affossato con un applauso, difficile da dimenticare, una legge di civiltà come la legge Zan - ha ricordato - . Una legge che c'è in tutto il resto d'Europa, una legge contro l'odio e le discriminazioni anche sull'orientamento sessuale che c'è in tutti i paesi d'Europa".

Gli organizzatori del Pride:'Siamo un milione, mai così tanti'. Fonti della questura parlano di 40mila. "Siamo un milione, ma vista tanta gente al Pride". Così gli organizzatori dal carro che apre il Roma Pride sulle note di di Paola e Chiara, madrine della parata 2023. Assieme alle due cantante, icone gay friendly, anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Tanti gli slogan ritmati nel lungo e colorato corteo contrappuntato da arcobaleni e il fuxia, colore queer. "Viva l'amore", "Viva il Pride. Ora è sempre resistenza", qualche motto irriverente contro il presidente della Regione Lazio Rocca (- Rocca + Rocco) e contro il ministro Roccella, tante bandiere arcobaleno oltre a paillettes, lustrini e piume.

Qualche momento di tensione all'inizio del corteo tra alcuni attivisti e il Movimento 5 Stelle, quando all'arrivo del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, alcuni hanno alzato le bandiere pentastellate volgendole verso le telecamere. Così è partito l'urlo contro i grillini: "abbassatele. Al Pride non si portano le bandiere di partito". Sono invece circa 40 mila le persone che stanno prendendo parte al Roma Pride 2023 secondo i dati forniti dalla Questura.

 +Europa al Roma Pride 2023 con un suo carro: a bordo la leader Emma Bonino, il segretario Riccardo Magi, il deputato Benedetto Della Vedova, la tesoriera Carla Taibi, il vicesegretario Piercamillo Falasca, dirigenti e militanti del partito. Sul carro anche il giornalista e divulgatore scientifico, Alessandro Cecchi Paone con il compagno Simone Antolini, l'attrice hard Roberta Gemma, esponenti della comunità iraniana e bielorussa che sfilano in solidarietà con i propri popoli oppressi da dittature. C'è anche una Venere di Botticelli usata dal governo nella campagna "Open to meraviglia" in versione LGBTI+: la Venere indossa una t-shirt di +Europa con la scritta "Open to love". […]

(ANSA il 9 giugno 2023) "Queste relazioni sessuali sono un peccato, e un peccato non si può benedire". Lo ha detto il card. Gerhard Mueller, ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, parlando delle benedizioni delle coppie gay da parte di alcuni sacerdoti. 

"Dobbiamo rispettare la Parola di Dio: Gesù ha creato l'uomo e la donna e la Chiesa come tale non può dire questo è buono - ha aggiunto parlando sempre delle coppie omosessuali - nel nome di Dio. La benedizione non è un gesto della Chiesa ma la rappresentazione visibile della benedizione di Dio". Alla domanda sul perché invece alcuni benedicono le armi, Mueller, nel corso della presentazione del libro-intervista con Franca Giansoldati, "In buona fede", ha replicato: "Se uno benedice le armi per fare un danno ad altre persone non è un argomento per fare un altro errore".

Il caso insoluto. Il documentario sul delitto dei due fidanzati di Giarre. Linkiesta il 28 Giugno 2023

Lo scrittore e giornalista de Linkiesta Francesco Lepore è la voce narrante del documentario che ricostruisce la misteriosa morte di Giorgio e Toni nel 1980. In onda mercoledì 28 giugno alle 22.00 in contemporanea su Crime+Investigation e HISTORY Channel 

Il 17 ottobre 1980 a Giarre, in Sicilia, Giorgio Agatino Giammona e Toni Galatola, rispettivamente venticinque e quindici anni, scompaiono nel nulla. I due sono già conosciuti da tutti in paese con il soprannome di «ziti», fidanzati, o di «puppi», termine dispregiativo corrispondente all’italiano froci. Il 31, dopo due settimane di ricerche, vengono ritrovati senza vita sotto un pino marittimo: sono distesi uno accanto all’altro, quasi abbracciati. Le forze dell’ordine pensano subito a un caso di doppio suicidio, quindi di omicidio-suicidio, anche perché la mano destra di quello che viene identificato come il cadavere di Giorgio stringe una busta inzaccherata. All’interno una lettera, di cui si riesce a malapena a leggere le parole: «Io e Toni abbiamo trovato la pace… Mamma perdonaci». All’improvviso, la misteriosa confessione di un tredicenne, che si autodenuncia come diretto responsabile, per poi ritrattare immediatamente. Ma non è così che sono andate realmente le cose.

Grazie a una meticolosa ricerca e particolari inediti sulla storia di Giorgio e Toni, la nuova produzione originale Il delitto di Giarre racconta la verità su un caso rimasto a lungo irrisolto e tra i più controversi della recente storia italiana, in prima visione assoluta mercoledì 28 giugno alle 22.00 in contemporanea su Crime+Investigation (Sky, 119) e HISTORY Channel (Sky, 411).

Nel docufilm, della durata di novanta minuti, il giornalista e scrittore Francesco Lepore (la seconda edizione aggiornata del libro “Il delitto di Giarre. 1980: un “caso insoluto” e le battaglie del movimento LGBT+ in Italia” di BUR Rizzoli è disponibile dal 30 maggio) ci accompagna in un’accurata ricostruzione dei fatti, attraverso interviste esclusive, nuovi elementi e dettagli, facendo finalmente luce per la prima volta sul caso che accese la protesta dei/delle militanti del FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), contribuì a cambiare sensibilmente l’opinione pubblica, messa per la prima volta di fronte alla tragica realtà di due ragazzi uccisi per il solo fatto di amarsi, e accelerò la nascita a Palermo di una storica associazione, l’Arcigay, con la quale inizia la seconda e nuova fase dell’attuale movimento LGBT+: tappa fondamentale di un lungo cammino che nel nostro Paese deve ancora essere completato, per una piena accettazione e tutela dei diritti civili.

Tra gli intervistati: Enza e Rosita Galatola, rispettivamente sorella e cugina di Toni; Padre Diego Sorbello, il sacerdote cappuccino che celebrò i funerali dei due ragazzi; Attilio Bolzoni, giornalista antimafia, col quale il presunto assassino tredicenne ritrattò la sua confessione; Paolo Patanè, ex presidente di Arcigay nazionale e conoscente di Giorgio e Toni; Lia D’Urso, attivista lesbica e cofondatrice del FUORI! di Catania; Vincenzo Scimonelli, cofondatore del primo nucleo di Arcigay; Franco Grillini, leader storico del movimento LGBT+, primo presidente di Arcigay nazionale ed ex parlamentare; Pina Bonanno, attivista trans e cofondatrice del MIT – Movimento Italiano Transessuali (oggi Movimento Identità Transgender).

Un caso insoluto. Il docufilm sul delitto di Giarre e l’edizione aggiornata del saggio-inchiesta di Francesco Lepore. Linkiesta il 9 Giugno 2023

Oggi alle 11, all’Auditorium del MAXXI di Roma, viene presentata l’opera prodotta da HISTORY Channel e Crime+Investigation, realizzata da B&B Film di Raffaele Brunetti per A+E Networks Italia con la regia di Simone Manetti e la supervisione del columnist de Linkiesta, già autore del libro tornato in libreria con la seconda edizione arricchita di un nuovo capitolo

A poco meno di due anni dalla pubblicazione il saggio-inchiesta del nostro giornalista Francesco Lepore “Il delitto di Giarre. 1980: un caso insoluto e le battaglie del movimento LGBT+ in Italia” è già all’edizione aggiornata per i tipi BUR Rizzoli. Nelle librerie dal 30 maggio, è stata non solo emendata di alcuni refusi ma arricchita di un ottavo capitolo che, intitolato “La riconciliazione della memoria”, ripercorre i passaggi delle celebrazioni giarresi in memoria di Giorgio e Toni (9 maggio 2022) con la partecipazione di due componenti dell’allora Governo Draghi: Elena Bonetti e Ivan Scalfarotto, rispettivamente, all’epoca, ministra per le Pari Opportunità e sottosegretario all’Interno.

Di Giorgio Agatino Giammona, venticinque anni, e Toni Galatola, quindici anni, conosciuti a Giarre (CT) con il soprannome di ziti, fidanzati, o, peggio ancora, di puppi, froci, e scomparsi nel nulla il 17 ottobre 1980 oggi conosciamo pressoché tutto proprio grazie al libro di Francesco Lepore. I due, come oramai noto, sarebbero stati ritrovati senza vita, dopo due settimane di ricerche, sotto un pino marittimo: distesi uno accanto all’altro, quasi abbracciati. Le forze dell’ordine pensarono subito a un caso di doppio suicidio, quindi di omicidio-suicidio, anche perché la mano destra di quello che fu identificato come il cadavere di Giorgio stringeva una busta inzaccherata. All’interno una lettera, di cui si riusciva a malapena a leggere le parole: «Io e Toni abbiamo trovato la pace… Mamma perdonaci».

All’improvviso, la misteriosa confessione di un tredicenne, Ciccio Messina, che si autodenunciò come diretto responsabile, per poi ritrattare immediatamente. Ma non fu così che andarono realmente le cose. A spiegarlo nero su bianco, dopo oltre quarant’anni, Francesco Lepore, che, grazie all’analisi delle fonti coeve e alle testimonianze di parenti, amici, conoscenti delle vittime, fa luce finalmente su un caso rimasto a lungo irrisolto e tra i più controversi della recente storia italiana: la tragica fine di Giorgio e Toni fu un vero e proprio delitto d’onore, maturato in ambito familiare per lavare nel sangue l’onta inaccettabile dell’omosessualità.

Ma c’è un’altra importante novità oltre a quella della nuova edizione. Dal saggio-inchiesta “Il delitto di Giarre” è stato infatti tratto l’omonimo docufilm con materiale fotografico coevo e, soprattutto, con importanti interviste. A intervenire Enza e Rosita Galatola, rispettivamente sorella e cugina di Toni; padre Diego Sorbello, il sacerdote cappuccino che celebrò i funerali dei due ragazzi; Attilio Bolzoni, all’epoca giornalista de L’Ora, col quale il presunto assassino tredicenne ritrattò la sua confessione; Paolo Patanè, ex presidente di Arcigay nazionale e conoscente di Giorgio e Toni; Lia D’Urso, attivista lesbica e cofondatrice del FUORI! di Catania; Vincenzo Scimonelli, cofondatore del primo nucleo di Arci-Gay; Franco Grillini, primo presidente nazionale di Arcigay ed ex parlamentare; Pina Bonanno, attivista trans e cofondatrice del MIT – Movimento Italiano Transessuali (oggi Movimento Identità Transgender).

Produzione originale HISTORY Channel e Crime+Investigation, realizzata da B&B Film di Raffaele Brunetti per A+E Networks Italia con la regia di Simone Manetti, la sceneggiatura di Gino Clemente e Lorenzo Avola, la supervisione proprio di Francesco Lepore, che è anche voce narrante, “Il delitto di Giarre” sarà presentato oggi, ore 11, in anteprima stampa a Roma presso l’Auditorium del MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

L’evento, che cade alla vigilia del Roma Pride e di cui sono media partner Rizzoli, Radio24, Linkiesta.it, gode del riconoscimento di UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali e del sostegno di Arcigay, Circolo di Cultura omosessuale “Mario Mieli”, MIT – Movimento Identità Trans. Tra i presenti all’anteprima il deputato Paolo Emilio Russo (Forza Italia), la deputata Laura Boldrini (Partito democratico), la senatrice Alessandra Maiorino (Movimento 5 stelle), il senatore Ivan Scalfarotto (Italia Viva), la vicepresidente di Azione Emma Fattorini, l’ex ministro per le Politiche giovanili e lo Sport Vincenzo Spadafora, l’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, gli ex deputati Pietro Folena e Angela Bottari, il portavoce del Roma Pride Mario Colamarino.

In prima visione assoluta il 28 giugno alle 22.00, cinquantaquattresimo anniversario dei Moti di Stonewall, “Il delitto di Giarre” andrà in onda in contemporanea su HISTORY Channel (Sky 411) e su Crime+Investigation (Sky 119). 

Bari pride: «Patrocinati da Regione, Comune e Garante minori». Il 17 giugno la parata per diritti lgbt, domani l’annuncio della madrina. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 7 Giugno 2023

«Ieri la revoca del patrocinio della Regione Lazio al Roma pride. Qualche settimana fa, la Regione Lombardia ha negato il patrocinio al Milano pride. Noi, dopo lo strappo consumatosi nel 2019, quest’anno, in questo clima politico a livello nazionale, abbiamo deciso di chiedere il patrocinio gratuito della Regione Puglia. E lo abbiamo ottenuto». Lo dichiarano in una nota gli organizzatori del Bari pride che il 17 giugno sfilerà per le strade del capoluogo pugliese per il ventesimo anno consecutivo.

Domani mattina verrà presentato l’evento e annunciata la madrina dell’edizione 2023.

Quattro anni fa, precisano gli organizzatori, il Bari pride rifiutò il patrocinio della Regione come atto di protesta contro lo stallo sul ddl regionale contro l’omolesbobitransfobia, da allora mai più approvato.

Al patrocinato della Regione Puglia si aggiungono quello del Comune di Bari, dell’ordine degli assistenti sociali della Puglia e del Garante per i minori. Quest’ultimo, tra le motivazioni, spiega che «da tempo ci battiamo per la strutturazione di momenti di formazione e informazione rivolti non solo a ragazzi ma anche al corpo docenti, con particolare attenzione all’educazione al benessere, alla salute psicologica, all’affettività e alla sessualità, un percorso di alfabetizzazione emotiva che richiede uno sforzo radicale».

Estratto dell’articolo di Stefania Chiale e Maria Egizia Fiaschetti per “il Corriere della Sera” il 7 giugno 2023.

Si radicalizza lo scontro sul Roma Pride, il corteo lgbtqia+ che sfilerà sabato nelle strade della Capitale, dopo l’aut aut lanciato dal governatore del Lazio, Francesco Rocca, agli organizzatori: la sua condizione per concedere di nuovo il patrocinio, revocato in polemica con la «pratica degradante» dell’utero in affitto, è che il portavoce, Nicola Colamarino, «chieda scusa per la strumentalizzazione e la provocazione inaccettabile».

L’attivista, però, tiene il punto: «La versione moderna della vendita delle indulgenze... Chiaramente non ci sarà nessuna scusa, nessuno ha manipolato nessuno». E punge con una sottolineatura: «Avrebbero dovuto conoscere quali erano le istanze». 

Nel frattempo, altre amministrazioni guidate dal centrodestra si allineano: ieri il Consiglio regionale della Lombardia ha bocciato la mozione per indicare un proprio delegato al Pride di Milano e il Comune di Gorizia ha negato il patrocinio alla manifestazione. […] 

Se il mancato patrocinio della Regione alla parata arcobaleno era già cosa certa in Lombardia, ieri è stato deciso che quest’anno non ci sarà neanche un rappresentante ufficiale del Consiglio regionale al Milano Pride del 24 giugno.

Il Pirellone ha bocciato una mozione che chiedeva, come avvenuto l’anno scorso, che un rappresentante della Regione partecipasse al corteo indossando la fascia verde. Un passo indietro deciso dalla maggioranza con 43 no e 23 sì […]

Bambini che sfilano con uomini con le fruste”. Che orrore il manifesto Roma Pride. Invettive contro il governo Meloni e strumentalizzazione dei bambini: l’orrore del manifesto di Roma Pride 2023. Redazione su Nicolaporro.it il 7 Giugno 2023.

Rimane ancora al centro la polemica sulla revoca (e poi il dietrofront) del patrocinio al Roma Pride 2023 da parte della giunta regionale del centrodestra laziale. Il presidente Francesco Rocca ha infatti deciso di fare un passo indietro nella giornata di ieri, quando ha ribadito la volontà di ripristinare il patrocinio, ma solo in presenza delle scuse degli organizzatori del Pride.

Il documento di Roma Pride

Le freddure si sono incentrate sulla pratica dell’utero in affitto. La revoca del centrodestra sarebbe giustificata dalla continua promozione di “comportamenti illegali” da parte delle associazioni Lgbtq, fino ad arrivare al (delirante) documento che nei fatti aprirà le porte della manifestazione di questo sabato.

Si tratta di una vera e propria invettiva nei confronti del governo Meloni, prima descritto come colpevole di “aver dichiarato guerra alle famiglie arcobaleno, a spese delle nostre figlie e dei nostri figli”, poi sostenitore di “una politica oscurantista e di negazione nei confronti di temi correlati a esigenze concrete della vita di milioni di persone”. Ma ovviamente non finisce qui: non poteva mancare la solita retorica sul pericolo di una “onda nera conservatrice” che aleggia nelle stanze di Palazzo Chigi. Un’onda che è descritta come “reazionaria, clericale e bigotta, che ha investito altri Paesi europei, come l’Ungheria e la Polonia”.

La strumentalizzazione dei bambini

Eppure, non è questo a presentare il carattere più preoccupante del manifesto di Roma Pride 2023. Piuttosto, la voce “i liberi desideri sono rivoluzionari”, dove si alimenta l’idea di creazione di “un processo di rivoluzione sessuale e sentimentale per tutti e tutte”. Ma colpisce soprattutto la strumentalizzazione dei bambini, che fin dai primi Pride – come ammette espressamente il documento – “sfilavano accanto a dyke in pelle e motocicletta e a leather men con maschere antigas e fruste“. Uno scenario a dir poco sconcertante, dove appare lampante il tentativo di vincolare i più giovani all’ideologia, piuttosto che ad un libero riconoscimento della propria identità sessuale.

Un passaggio che ha fatto scatenare l’ira del presidente regionale Francesco Rocca, seguito da quello sulla pratica dell’utero in affitto: “Il movimento LGBTQIAK+ ritiene che i diritti delle donne in tema di autodeterminazione dei propri corpi (aborto, gestazione per altri, sex work) e desideri e per la totale parità in tema di diritti lavorativi e salariali siano alla base di qualunque altra rivendicazione identitaria e di orientamento”. Una posizione ulteriormente sottolineata in queste ultime ore dal Roma Pride, che ha già specificato di non essere intenzionato a offrire scuse alla giunta regionale. Il che renderà (quasi) impossibile la restituzione del patrocinio.

Aromanticismo, fruste e la solita sfilza di schwa. Le follie del gay pride. Il manifesto è una miscela di stramberie. E pure i bambini sono citati più volte. Francesco Giubilei il 7 Giugno 2023 su Il Giornale.

La decisione della Regione Lazio di ritirare il patrocinio al Roma Pride ha suscitato, come prevedibile, numerose polemiche con forti accuse degli organizzatori e della sinistra nei confronti del governatore Francesco Rocca, della giunta regionale e di tutto il centrodestra. Eppure, la scelta di non concedere più il patrocinio al pride, non solo è stata giusta ma doverosa alla luce di quanto emerso sulla manifestazione che si terrà sabato nella Capitale come denunciato dall'organizzazione Pro Vita e Famiglia e dal suo portavoce Jacopo Coghe.

Oltre alle parole del promotore Mario Colamarino, colpisce il contenuto del documento politico «Queeresistenza» pubblicato sul sito della manifestazione. Non siamo solo di fronte a un evento che la comunità Lgbt organizza dal proprio punto di vista legittimamente per chiedere più diritti ma al cospetto di rivendicazioni radicali ed estreme.

«Queeresistenza» è a tutti gli effetti un manifesto di come gli organizzatori del pride vorrebbero trasformare la società a partire dal linguaggio in cui abbonda l'utilizzo della schwa definendo la comunità Lgbt LGBTQIAK+ e rivendicando il diritto «all'autodeterminazione».

Gli appartenenti alla comunità «impossibile da elencare per intero» vengono così descritti in un elenco a tratti grottesco: «Siamo donne, padri, migranti, froci*, travestit*, disoccupat*, precari*, antifascist*, student*, operai*, insegnant*, artist*, transgender, lesbiche, anzian*, drag queen, queer, persone al primo coming out, persone per la prima volta al Pride, persone nere, asiatiche e latine, omosessuali, fratelli, sorelle, sex worker, femminist, disabili, uomini, professionist*, genitori di figli* omosessuali, asessuali, lavorator*, drag king, giovani, intersex, sportiv*, bisessuali, rom, sinti e camminanti, gender-fluid, attivist*, intellettuali, madri, persone che praticano sessualità non convenzionali, kinky e BDSM, genitori omosessuali, persone povere, sierocoinvolte, aromantiche, non binarie».

A finire sul banco degli imputati è, ça va sans dire, la famiglia, si parla infatti di «famiglie al plurale» affermando che «le configurazioni familiari sono infinite» e proponendo un nuovo modello di famiglia per «dare voce anche a chi non si riconosce nel modello di coppia monogama».

Da qui la rivendicazione di «una riforma del diritto di famiglia che preveda matrimonio egualitario, riconoscimento dell figli alla nascita da parte di entrambi i genitori e la trascrizione degli atti di nascita formati all'estero» fino alla richiesta della maternità surrogata: «vogliamo una legge che introduca e disciplini anche in Italia una gestazione per altri (GPA)».

Nel documento è dedicata un'attenzione particolare ai bambini che sono citati in numerosi passaggi: «fin dai primi Pride quando bambin* arcobaleno ante litteram sfilavano accanto a dyke in pelle e motocicletta e a leather men con maschere antigas e fruste». Non è solo la famiglia a finire nel mirino degli organizzatori del Roma Pride ma l'intero modello di società «unicamente occidentale e bianca» auspicando una comunità «afrodiscendente, asiatica, latina, migrante».

Concedere il patrocinio al Roma Pride significherebbe perciò avallare le idee e le proposte contenute nel documento politico che non solo rappresentano una visione della società eticamente inaccettabile per ogni conservatore ma propongono istanze radicali da cui è necessario prendere le distanze e non certo patrocinarle.

Estratto dell'articolo di Paolo Russo per “la Stampa” il 6 giugno 2023. 

«Ma quale omofobia e ordini dall'alto, la revoca del patrocinio al Gay Pride dipende solo dal fatto che hanno voluto strumentalizzare la nostra adesione facendola passare per un sostegno alla pratica dell'utero in affitto, che oltre ad essere illegale è basata sullo sfruttamento delle donne povere». 

Francesco Rocca, presidente della Regione Lazio, è arrabbiato con gli organizzatori ma non vuole nemmeno che lo si arruoli nelle schiere di chi ostacola i diritti Lgtb.

Presidente, perché questo ripensamento repentino sul patrocinio al Gay Pride? La Regione Lazio lo ha sempre sostenuto.

«Ho ricevuto una lettera con richiesta di patrocinio molto cortese da parte degli organizzatori. Ho deciso sul principio di accordarlo perché trovo che il Gay Pride sia una giornata di tutti, non una manifestazione politica. Ma nella lettera di risposta c'era scritto chiaramente di evitare di associare il logo della Regione ad aspetti che potessero ledere la sensibilità morale di altri cittadini». 

Quali sarebbero questi aspetti che avrebbero potuto urtare i cittadini laziali?

«Mi riferisco alla pratica dell'utero in affitto. Ogni altra motivazione che mi viene attribuita è strumentale e fa parte della ideologizzazione di questi temi che non mi appartiene.

Ma l'utero in affitto è una pratica illegale in Italia perché basata sullo sfruttamento delle donne più povere. E lo dico per esperienza diretta». 

(...)

Ma perché un dietrofront a 5 giorni dal Pride? Si vocifera di un ordine giunto dai piani alti del suo partito, Fdl…

«Ma quali ordini. È stata la dichiarazione di Mario Colamarino, portavoce del Roma Pride, a farmi imbestialire. Avevamo concesso in buona fede il patrocinio e lui ne fa una strumentalizzazione vergognosa, affermando di apprezzare il fatto che la regione avrebbe, leggo testuale, "deciso di sottrarsi alla trappola dei pregiudizi ideologici, prendendo le distanze politiche da quanti in Parlamento vorrebbero rendere la nascita delle nostre figlie e dei nostri figli reato universale, perseguendo la gestazione per altri". Questo quando avevamo chiesto proprio il contrario, ossia di non associare la regione a pratiche illegali che non rientrano nelle finalità del Pride».

Come fa a dirlo?

«Perché parliamo di una manifestazione che dovrebbe essere a favore dell'inclusione e del rispetto dei diritti Lgtb mentre la maternità surrogata riguarda tutti: in 7 casi su 10 a farvi ricorso sono coppie eterosessuali. Mi arrabbio perché è una manipolazione alle spalle di chi per primo ha aperto a Roma una casa per ragazzi Lgtb cacciati di casa dai genitori». 

Nel manifesto per la "queeresistenza" però si fa riferimento al diritto di iscrivere i bambini nati da maternità surrogata nei registri comunali. Una cosa che va a loro difesa, non a sostegno della Gpa.

«Quei bimbi nascono per partenogenesi? Non prendiamoci in giro per favore». 

Qualche altro sindaco di destra però ha assunto posizione omofobe nel passato recente.

Non teme così di accodarsi anche lei?

«Ma quale omofobo. C'è la massima volontà di includere. Ma il confronto per farci fare progressi sul piano dei diritti va de-ideologizzato. Il manifesto dice: "Vogliamo una legge che regolamenti la gestazione per altri". Rivendicano l'utero in affitto. E questo non a che vedere con i temi del Gay Pride». 

Ma del diritto dei giovani transg a essere iscritti nei registri scolastici con i nomi che si sono scelti cosa ne pensa? C'è chi ancora lo nega.

«C'è un ordinamento giuridico che non lo vieta e un dibattito aperto che deve portare al rispetto dell'identità di genere. E ritengo giusto non ci siano discriminazioni. Ma l'utero in affitto è una forma di sfruttamento al pari della prostituzione. Negli Stati Uniti la Gpa costa 140 mila dollari, in Ucraina 50 mila. È una pratica per ricconi a danno delle donne povere. La revoca del patrocinio dipende solo da questo».

Estratto da corriere.it il 7 giugno 2023. 

«Il Gay Pride è diventata una rassegna di volgarità e blasfemie che offende la fede di milioni di italiani ed europei. Provino a farlo con l’Islam e con Maometto, poi vediamo come finisce». 

Queste le parole di Mauro Mazza, ex direttore di Rai 1, a diMartedì su La7. 

Il giornalista stava commentando la decisione del governatore del Lazio, Francesco Rocca, di revocare il patrocinio della Regione al Pride di Roma .

Estratto dell’articolo di Massimo Balsamo per ilgiornale.it il 7 giugno 2023.

La decisione del governatore del Lazio Francesco Rocca di togliere il patrocinio al Gay Pride di Roma ha scatenato la bufera. Una scelta necessaria perché il patrocinio regionale "non può, né potrà mai, essere utilizzato a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto". […] Ma a smascherare il ricatto dell'universo gay ci ha pensato Giuseppe Cruciani con la sua solita causticità. 

L'appuntamento di martedì con "La Zanzara" ha acceso i riflettori proprio sul polverone legato al Gay Pride capitolino e il giornalista ha tenuto a precisare: "Io sono a favore del Gay Pride, del matrimonio gay, dell'adozione gay e dell'utero in affitto anche per coppie dello stesso sesso. Non ho problemi a dirlo o a ribadirlo". 

Ma non solo, qui arriva la bordata a tutti gli integralisti del mondo Lgbt: "Io non sopporto la nuova religione gay: le associazioni omosessuali dicono una cosa e se tu non sposi le stesse tesi Lgbt diventi immediatamente omofobo e illiberale".

"Questo è insopportabile, è totalmente insopportabile", ha proseguito Cruciani, stigmatizzando senza mezzi termini il ricatto arcobaleno. Non è possibile contraddire la comunità Lgbt perché il rischio è quello di essere additati come "intolleranti", "illiberali" o "omofobi". 

Molti politici sono stati subissati di insulti per aver espresso una posizione diversa da quella del regime arcobaleno: "Si può anche essere contro l'adozione gay o contro il matrimonio gay, si possono dire tante cose ma non necessariamente tu sei omofobo.

Io ammetto che ci sia una opinione diversa e invece no, la nuova religione omosessuale non consente a nessuno di derapare, di pensarla in modo diverso: o sei a favore del Gay Pride oppure sei un pericoloso omofobo". […]

Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per corriere.it il 7 giugno 2023.

Da quando, il primo aprile, l’influencer transgender Dylan Mulvaney ha iniziato a promuovere tra i suoi quasi 2 milioni di follower la Bud Light, le vendite di questa popolarissima birra americana sono calate di un quarto mentre in Borsa il titolo del gruppo che la possiede – Anheuser-Busch Inbev – ha perso il 19 per cento. 

Anche Target, una delle maggiori catene di grandi magazzini degli Stati Uniti, è finita nel mirino delle culture wars che infiammano gli Usa: dal lancio, il 24 maggio, della sua linea di prodotti per il Pride month (giugno, mese dell’orgoglio omosessuale) il valore del titolo è calato del 10 per cento mentre molti negozi sono stati vandalizzati da attivisti di estrema destra: commessi minacciati e merce gettata a terra o resa inservibile (soprattutto abbigliamento e libri per bambini in tema gender fluid).

Casi estremi ma non isolati: iniziata mesi fa con la guerra tra il governatore della Florida (e, ora, candidato alla Casa Bianca) Ron DeSantis e la Disney sulla legge di quello Stato che vieta di parlare di omosessualità nelle scuole elementari e medie e impone una severa censura per i libri scolastici su sesso e razzismo, la controffensiva della destra integralista contro le corporation accusate di abbracciare la cultura woke della sinistra ha colpito altre catene commerciali che celebrano coi loro prodotti l’orgoglio gay, da Walmart a Kohl’s.

Per ora Disney, che da 30 anni ospita nel parco Disney World di Orlando i Gay Days e Walmart, con la sua linea di prodotti Pride & Joy, resistono, mentre molte altre aziende che da anni interpretano il Gay pride anche in chiave commerciale – da Google e Microsoft alla cioccolata Mars e all’abbigliamento sportivo di Nike e Under Armour – per ora non hanno avuto grandi contraccolpi: hanno clienti mediamente più giovani e progressisti. 

Ma sociologi e politologi che studiano il fenomeno ritengono che il pendolo che per anni ha spinto i grandi gruppi a sfruttare anche commercialmente cause progressiste o, comunque, di difesa dei diritti civili, stia tornando indietro: in futuro le aziende saranno più caute (Bud Light sta già cambiando rotta e i suoi capi del marketing sono stati messi in aspettativa).

I responsabili di queste aziende ricordano che quando, oltre un decennio fa, iniziarono a commercializzare prodotti per il Gay pride, crearono anche war room per monitorare la situazione, temendo reazioni indignate dei conservatori più accesi. Ci fu qualche tentativo di boicottaggio ma ben presto la situazione si normalizzò. 

Le tensioni sono tornate dallo scorso anno col diffondersi dell’incendio delle guerre culturali tra destra e sinistra e l’emergere, tra i conservatori, di leader radicali come DeSantis o Marjorie Taylor Greene. A scuotere il pendolo sembra essere stata soprattutto la battaglia per i diritti dei transgender. 

 I sondaggi dicono che se la cultura gay è ormai accettata dalla maggioranza degli americani (l’area dell’ostilità è scesa al 29 per cento), sui transgender il 43 per cento degli americani ritiene che si sia andati troppo lontano rispetto a un 33 per cento per il quale si dovrebbe, invece, fare di più. 

Così la destra, costretta sulla difensiva da quando Black Lives Matter reclutò i grandi gruppi per le campagne contro il razzismo dopo l’uccisione di George Floyd, soffocato da un poliziotto a Minneapolis, oggi approfitta di questa occasione per prendersi una rivincita accusando le imprese: «La corporate America — dice DeSantis — vuole cambiare la nostra cultura, la nostra politica, la nostra società» per fare più profitti. […]

Il Bestiario, l'Uterigno. Giovanni Zola l'8 Giugno 2023 su Il Giornale.

L’Uterigno è un animale leggendario che si batte perché i cuccioli dell’orsa non vengano separati dalla madre, ma poi difende l’utero in affitto

L’Uterigno è un animale leggendario che si batte perché i cuccioli dell’orsa non vengano separati dalla madre, ma poi difende l’utero in affitto.

L’Uterigno è un essere mitologico con una spiccata sensibilità nei confronti dei diritti dei più deboli, degli emarginati, dei migranti, dei “diversi” e, coma già detto, degli animali. L’Uterigno s’indigna quando i poveri migranti sono costretti, per guerre e povertà, ad allontanarsi dalla propria terra e non vengono accolti, perché essere strappati dalle origini di appartenenza è una cosa ingiusta e disumana. L’Uterigno difende i poveri costretti ad umiliarsi per sopravvivere obbligati ad accettare lavori sottopagati e con turni e orari disumani a cui è stato tolto il “reddito di cittadinanza” perché strappare all’uomo la dignità del lavoro è una cosa ingiusta e disumana. L’Uterigno si batte per i diritti delle minoranze, soprattutto per la comunità LGBTQ, perché non vengano stigmatizzati, odiati e discriminati sul lavoro – sebbene ci siano più omossessuali nel mondo del cinema, della televisione e della moda che parlamentari ex Movimento 5 Stelle nel Gruppo Misto, perché essere strappati dalla propria indole sessuale è una cosa ingiusta e disumana.

L’Uterigno scende in piazza a favore degli animali, soprattutto quelli a rischio d’estinzione, costretti a convivere con l’uomo, più bestia delle bestie, che li sfrutta e li uccide come fossero animali, perché essere strappati dal proprio habitat naturale è una cosa ingiusta e disumana anche se si tratta di animali. L’Uterigno combatte per la natura contro il “cambiamento climatico” per salvare la terra dalla apocalisse provocata dall’uomo – fine del mondo che sarebbe dovuta avvenire proprio quest’anno, ma che è stata posticipata al 2025 – e per salvaguardare l’esistenza dei nostri figli a cui è stata strappata l’adolescenza in modo ingiusto e disumano.

L’Uterigno grida vendetta quando non si rispetta il “diritto al desiderio” di coppie eterosessuali e omosessuali che non potendo avere figli propri, i primi per questioni di salute, i secondi per questioni tecniche, si affidano alla GPA o gestazione per altri o più volgarmente all’utero in affitto, pagando donne in grave difficoltà economiche che ospitano embrioni scelti dal catalogo dei desideri per ottenere il figlio con le caratteristiche preferite. Perché strappare il figlio alla madre non è considerata una pratica ingiusta e disumana.

Il 15% è minorenne. Omofobia, il coming out fa ancora paura: il 31,6% dei giovani (11-26 anni) viene picchiato, segregato o abbandonato dalla famiglia. Redazione su Il Riformista il 17 Maggio 2023 

Il 2023 è l’anno in cui Ilga Europe, associazione internazionale per i diritti Lgbt presente all’Onu, classifica l’Italia al 34esimo posto su 49 tra i Paesi europei per le politiche a tutela dei diritti umani e dell’uguaglianza delle persone Lgbt+

Una rilevazione confermata dai dati allarmanti di Gay Help Line relativi all’anno 2022. Ne emerge infatti che l’omobistransfobia non si arresta e cresce in maniera sostanziale l’impatto sociale negativo della violenza e delle discriminazioni sulle persone Lgbt+: le più colpite sono le persone trans, le cui segnalazioni aumentano arrivando al 14,7% dei contatti, in particolare i giovani e gli adolescenti.

In occasione della 33esima Giornata Internazionale contro l’omobitransfobia  si è tenuta a Roma, nella sala della Protomoteca del Campidoglio, la presentazione dei dati del contact center Gay Help Line (800 713 713) e della chat Speakly: oltre 21mila i contatti solo nell’ultimo anno.

Sul totale dei contatti gestiti il 41,6% subisce violenza omotransfobica in famiglia in seguito al coming out: le vittime sono per il 31,6% giovani tra gli 11 e i 26 anni. Per il 15% sono i minori LGBT+ ad essere vittima di maltrattamenti familiari protratti nel tempo e caratterizzati da un’escalation di violenza: la reclusione in casa anche ai danni della frequenza scolastica, i tentativi di ‘conversione’, il controllo che sfocia nella violenza verbale e fisica.

Nel 5,7% dei casi il bullismo omotransfobico ha favorito l’abbandono scolastico e solo uno studente transgender su 5 ha ottenuto l’applicazione a scuola della ‘carriera alias’, che prevede l’autorizzazione ad utilizzare nei documenti scolastici pronomi e un nome alias congruente con il genere dello studente. Per il 17% i giovani che hanno contattato Gay Help Line raccontano di aver subito la perdita del sostegno economico da parte dei familiari: la maggior parte di questi sono stati abbandonati e questo ha compromesso i loro percorsi di studio e formazione. Su circa 400 casi di giovani Lgbt+ cacciati di casa solo il 10% riesce e trovare ospitalità nelle case famiglia protette come Refuge Lgbt+ e A casa di Ornella, le nostre strutture, che accolgono le persone Lgbt+ e le supportano perché riescano a superare il trauma subito e a raggiungere la propria autonomia attraverso la formazione e la ricerca del lavoro.

Nel 12,6% dei casi violenza e discriminazione omotransfobiche sono state causa di marginalità sociale e disagio abitativo anche nelle fasce di età adute (fino a 70 anni): le risposte del sistema dell’accoglienza alle conseguenze sociali dell’omotransfobia risultano ad oggi insufficienti, in particolare per le persone trans. Dell’11,4% di segnalazioni di discriminazione lavorativa, 3 casi su 4 riguardano persone trans per cui la barriera nell’accesso al mondo del lavoro è elevatissima. Il 12% delle segnalazioni riguarda aggressioni, molestie e atti di odio omotransfobico in luoghi pubblici o sul posto di lavoro, scatenati dalla visibilità delle vittime. Solo il 38% delle vittime di aggressione si è recato in pronto soccorso dopo aver riportato lesioni e nella maggior parte dei casi non ha dichiarato di aver subito violenza perchè Lgbt+.

Un dato che risulta costante nel tempo è la difficoltà delle vittime a denunciare: il fenomeno dell’underreporting (mancata denuncia) incide in maniera preoccupante sul riconoscimento dell’entità delle discriminazioni e delle violenze. In questo periodo di forte pressione sociale, sono ancora più urgenti misure legislative a supporto delle persone Lgbt+, ancora prive di tutele contro la discriminazione, l’odio e la violenza. I servizi di Gay Help Line, Refuge Lgbt+ e A Casa di Ornella hanno avuto il sostegno di Unar – Presidenza del Consiglio, Regione Lazio, Roma Capitale, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e Chiesa Valdese.

L’omotransfobia in Italia non la vedi nei numeri. Ma nelle storie di chi subisce le violenze. Arcigay ha stimato nell’ultimo anno 133 crimini di odio contro persone Lgbt, 1.563 dal 2013. Ma ridurre il problema a un dato (sottostimato) significa chiudere gli occhi. Perché le botte, le aggressioni, gli insulti, i silenzi della politica fanno parte del quotidiano di tanti italiani. Simone Alliva su L'Espresso il 17 maggio 2023.

L’omotransfobia è una nebbia fitta. Nasconde i volti e libera le mani. Dal 2013 ad oggi si registrano 1.563 vittime. Ma i numeri non dicono nulla. Nella liturgia della giornata mondiale contro l’omotransfobia sono sempre le cifre ad accompagnarci. Nelle inchieste giornalistiche (che questo giornale per primo ha portato avanti in Italia) sulla violenza omotransfobica sono sempre i dati a dare l’autorevolezza. Come è giusto che sia. Ma il dato sull’odio omotransfobico in Italia non ha senso e non racconta.

Le storie ci parlano

Siamo assuefatti dai dati, ogni 17 maggio. Non li tratteniamo neppure il tempo necessario perché si traducano in un pensiero. Arcigay quest’anno racconta 133 crimini d’odio. «Un numero per nulla fedele alla realtà- specifica Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay- che sappiamo essere ben più grave, filtrata da under reporting strutturale in questo fenomeno. Ma descrivono tutte assieme l’aria irrespirabile di questo Paese, la paura in cui molte persone lgbtqi+ vivono immerse». Sono le storie che parlano. Quelle sì, quelle somigliano tutte a qualcosa che sappiamo. Quello che ci dicono le storie è un’Italia unità nell’odio verso il diverso: un fratello che pugnala un altro in quanto omosessuale, un padre che butta di casa un figlio perché uomo trans, lo "stupro correttivo" di una ragazza perché lesbica.

«Non vogliamo un ricchione in famiglia» ha urlato lo zio al nipote nel cosentino il 20 maggio 2022, e giù calci, pugni. Poi, insieme ad altri due amici, ancora ancora botte fino a spaccargli le costole. «Adesso muori in casa». Non è morto. Così come non è morto un ragazzo portato in mezzo a un campo di barbatelle di Morsano al Tagliamento e aggredito con coltello a serramanico: una, due, otto coltellate. Al capo e all'addome. «Frocio crepa». L’omotransfobia non è solo una coltellata o un insulto, ma l’assenza di attese nell’immaginario sociale. Nota è la vicenda di Chloe presa di mira anche dall’assessora veneta di Fratelli d’Italia, Alessandra Donazzan. Chloe donna trans, professoressa demansionata per la propria identità di genere si è data fuoco dentro un camper. Prima l’addio sul web e poi il corpo carbonizzato trovato l’11 giugno scorso in provincia di Belluno. E ancora Camilla, sex worker, è stata uccisa, con due colpi di pistola di piccolo calibro sparati nella parte sinistra della testa. Sasha, invece, si è ammazzato gettandosi dal balcone di casa, era un ragazzo trans. Aveva 15 anni. Il vuoto era l’opzione migliore rispetto a una vita fatta di vuote aspettative familiari. A ottobre, la stessa tragedia si è ripetuta con Chiara, una ragazza trans di appena 19 anni. Sempre nel 2022 un’altra ragazza trans di 27 anni si è tolta la vita dopo aver subito uno stupro dopo aver accettato un passaggio verso casa.

Il branco e la preda

Dentro questa galassia nera, aggressioni e ricatti sono il lessico di un’omofobia che sembrava dimenticata: quella che serpeggia negli incontri al buio, nelle dating app. Qui si cercano gli omosessuali nei per incontrarle, pestarle, ricattarle, stuprarle, perfino ucciderle. Dentro queste storie non c’è un punto di contatto che degenera, non è una rissa, non è rabbia che sale. Lo schema è lucido, preciso: i bracconieri trovano la preda e non la lasciano andare.

A giugno 2022 l’omicidio in Sicilia, di Massimo, adescato per un rapporto sessuale e poi ucciso barbaramente. Vicenda analoga a quella in cui ha perso la vita, nel marzo 2023 a Modena, Alessandro. Ad agosto 2022 a Desio un cadavere senza nome, ritrovato semisepolto in un luogo di cruising per omosessuali. Ricorrenti sono i crimini d’odio intercettati delle scuole: manifesti, scritte, ma anche pestaggi e minacce di morte. E poi le aggressioni nelle case dove la retorica della famiglia come luogo di cura e tutela a priori e a prescindere è buona per certa politica, non sempre sta nella vita di tutte le persone Lgbt. “Sei tutta sbagliata”, “Fai cose da maschio” (e poi lo obbliga a baciare una ragazza). Un padre condannato per i pestaggi al figlio gay 15enne e un altro padre che accoltella gravemente la figlia lesbica e la sua fidanzata con l’auspicio che muoiano insieme.

Dati evanescenti

Se il Segretario di Arcigay Nazionale specificava la distanza tra la realtà e i dati che fanno da contorno a queste storie orrende è perché, semplicemente, il dato non esiste. Per capirlo servono due minuti di attenzione. Le aggressioni omotransfobiche sono poco denunciate, perché le vittime hanno consapevolezza della mancanza di una legge che le protegga e vi è la convinzione diffusa che “tanto non succede nulla”. Le forze di polizia o gli altri soggetti della giustizia penale non registrano le finalità di odio omotransfobico perché non le riconoscono o perché il dato non rientra tra quelli da registrare sulla base della legislazione vigente. Non c’è legge, non c’è reato.

Possiamo avere una panoramica dei casi sommando le denunce delle associazioni, dei servizi che supportano le vittime, dei media e del Rapporto annuale sui crimini d’odio dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).

I dati italiani pubblicati da OSCE sono forniti combinando quelli del “Sistema di Indagine – SDI” (estratti dal CED interforze delle forze di polizia) e le segnalazioni che provengono all’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD).

I dati SDI attengono ai reati con finalità discriminatorie che hanno “copertura normativa” e quindi l'omotransfobia è esclusa. Le segnalazioni Oscad riguardano gli ambiti discriminatori privi di specifica copertura normativa relativi, per esempio, omotransfobia.

L’Oscad non raccoglie notizie di reato, ma segnalazioni ulteriori che la vittima può decidere di inviare, oltre e separatamente alla presentazione della denuncia presso l’autorità di prossimità (polizia o carabinieri), prima o dopo avere sporto regolare denuncia o querela per il reato subìto. Ecco il punto di caduta, quello che ci dice: “l’omotransfobia è invisibile in Italia”. Non è una suggestione, questo, sì, è un fatto riconosciuto, lo si legge su tutti i documenti del dipartimento. Sulla pagina web del ministero dell’Interno dedicata al monitoraggio dei crimini d’odio ad esempio: «I dati relativi alle segnalazioni Oscad non consentono di valutare il fenomeno dei crimini d’odio da un punto di vista statistico». O ancora: «I dati comunicati non forniscono un quadro avente valore statistico sul fenomeno in Italia: incrementi e diminuzioni dei dati comunicati non sono correlabili con certezza a una proporzionale variazione dei crimini d’odio nel Paese».

L’Italia si presenta come un paese diviso in normali e deviati. Dove i giustizieri guardano con rabbiosa confusione ai mali del mondo. Ci sono vari livelli di omofobia. Si pratica aggredendo con le parole, con i pugni, con i calci. Ostacolando il percorso delle leggi. Chi aggredisce non ha più paura né vergogna, si specchia in chi ci governa, nella maggioranza di «normali», della continuità “dell’etnia” che va protetta, del mondo che precipita e va fermato. Intanto l’Europa ci condanna. L'Italia scivola al 34esimo posto per tutela della comunità arcobaleno tra la Repubblica Ceca e la Georgia. Siamo nel punto in cui o si va avanti o si precipita indietro. Contemporanei di questa guerra, ne saremo considerati responsabili. La scusa: «Io non ho mai discriminato, io non ho mai preso parte di questa guerra», stavolta non funzionerà. I numeri non servono, le storie invece mettono chi è al Governo e in Parlamento di fronte a una coscienza: la propria. Chi applaudiva per la morte del Ddl Zan, di fronte a questi morti, di fronte a queste aggressioni, potrà sempre optare per il cinismo e per l'omotransfobia che sta divorando il paese, ma prendere una posizione è importante. Tirare una riga e dire chi sta con chi nel conflitto tra due mondi. Aggressori e aggrediti. Chi leva la mano per colpire e chi per proteggere. Ognuno si posizioni, ce ne ricorderemo nel mondo dopo.

Coronato il sogno d'amore. Carabiniere sposa il compagno, cerimonia in alta uniforme e picchetto d’onore per Angelo e Giuseppe. Redazione su Il Riformista 10 Maggio 2023 

Hanno coronato il loro sogno d’amore, dopo quattro anni di fidanzamento, sposandosi nella loro Puglia con tanto di picchetto d’onore dell’Arma dei carabinieri. E’ la storia di Giuseppe Pezzuto, 29enne originario di Ceglie Messapia (Brindisi) ma parrucchiere in un salone a Campo de’ Fiori a Roma, e di Angelo Orlando, appuntato scelto dei carabinieri in servizio a palazzo Chigi (sede del presidente del Consiglio), originario di San Pietro Vernotico, sempre in provincia di Brindisi.

Un matrimonio civile andato in scena lunedì 8 maggio nella suggestiva masseria Caselli, in contrada Specchiolla a Carovigno, dove poi si sono svolti festa e ricevimento. Una data non casuale per Giuseppe e Angelo, che convivono a Roma da quattro anni: 60 anni fa, infatti, si sposarono lo stesso giorno i genitori del carabiniere, oggi scomparsi.

Non è la prima unione civile tra persone dello stesso sesso nell’Arma. Nel 2018, a Paestum, si sono detti sì Paolo e Nunzio mentre nel luglio del 2022, a Cefalù, si sono sposate la vicebrigadiere dei Carabinieri Elena Mangialardo e la sua compagna Claudia De Dilectis.

Le foto e i video dei neosposini sono diventate virali sui social, ricevendo migliaia di condivisioni e commenti di auguri per il matrimonio

Il dito e la luna. L’indigeribile contraddittorietà dei gay paladini delle crociate anti-Lgbt. Francesco Lepore su L'Inkiesta il 27 Aprile 2023

Non tutti gli outing sono uguali: c’è una lunga tradizione politica che giustifica chi critica la conciliabilità tra l’essere omosessuale e dire certe cose

La rivelazione dell’omosessualità di Francesco Borgonovo da parte di Massimiliano Parente ha sollevato soprattutto a destra un coro d’indignazione contro l’atto «squallido» (La Russa dixit) e il suo autore. Lo scrittore, che collabora con Il Giornale, è stato così investito da una tempesta d’improperi e aprioristicamente accusato di mera denigrazione per un non meglio precisato regolamento di conti. Il vicedirettore de La Verità, che collabora, fra l’altro, anche con la testata di CasaPound Il Primato nazionale, ha incassato numerosi attestati di vicinanza a partire da quelli del già menzionato presidente del Senato e dei vari Daniele Capezzone, Mario Giordano, Alessandro Orsini. 

Negli scorsi giorni gli stessi quotidiani sono stati pressoché unanimi nel solidarizzare con Borgonovo e attaccare Parente. Riprova, invero, d’una di una diffusa quanto distorta mentalità che, ben dura a morire, confonde orientamento sessuale con vita sessuale e inveisce non già contro chi predica in un modo e razzola in un altro, ma contro chi tale ipocrisia mette in luce. Perché, alla fin dei conti, Massimiliano Parente, facendo outing – rendendone cioè pubblico l’orientamento sessuale – a Francesco Borgonovo, ha semplicemente portato alla pubblica attenzione l’indigeribile contraddittorietà di chi è omosessuale e, al contempo, paladino di crociate anti-Lgbt+. Null’altro. E ha ben ragione lo scrittore quando osserva su Twitter come «la solidarietà a Borgonovo» dimostri «l’omofobia di chi, oltre a togliere i diritti alle famiglie gay, ritiene che dire di qualcuno che è omosessuale sia infamante. Come se avessi detto che è pedofilo». 

A Linkiesta il giurista e avvocato Antonio Rotelli rileva come «non tutti gli outing siano uguali. Dal punto di vista giuridico non c’è d’altra parte offensività in sé nel dire di qualcuno che è omosessuale: si sta infatti parlando di una caratteristica personale, non già della sua vita sessuale. Se la rivelazione fosse stata invece fatta con un intento diffamatorio od offensivo, allora lì si potrebbero individuare alcune fattispecie di reato». È in questo caso che essa sarebbe diffamazione. 

«Dalla lettura del tweet di Parente – continua lo studioso –  si evince che la finalità di quello che scrive non è far sapere al mondo che Borgonovo è omosessuale. Quest’aspetto è presente ma secondario rispetto al ragionamento che viene sviluppato: la sua è una critica alla conciliabilità tra l’essere omosessuale e il dire determinate cose». Rotelli ricorda inoltre come in più sentenze la Suprema Corte si sia occupata dell’utilizzo della parola omosessuale o lesbica, l’una e l’altra dalla valenza neutra e non già direttamente offensiva come, ad esempio, frocio: «Quello che la Cassazione fa sempre è valutare il contesto. Ad, esempio nella sentenza 30545 del 2021 a una donna viene dato della lesbica e della puttana. Il procedimento  non è per diffamazione ma per atti persecutori: nel confermare la relativa condanna viene fatta un’enumerazione di tali atti, tra i quali l’aver voluto i rei volutamente e sprezzantemente fatto riferimento a una persona come lesbica e puttana». 

A contare dunque è il quadro complessivo che le menzionate parole neutre disegnano: «È necessario sottolineare come nella sentenza 50659 del 2016, che è la più citata al riguardo, la Cassazione dica che la parola omosessuale non è atta a ledere la reputazione di una persona».

D’altra parte, il giornalista statunitense Michelangelo Signorile, che è considerato l’ideatore dell’outing come capillare strategia politica di difesa contro gli attacchi alle persone Lgbt+, rilevava già nel ’97 che un tale atto «non ha nulla a che fare con la privacy bensì con l’omofobia» e, più in generale, con «il rifiuto di presentare l’omosessuale in una luce favorevole (come nel caso di un personaggio celebre)». E nel caso di Borgonovo un tale rigetto non si limita unicamente a ciò che attiene alle famiglie omogenitoriali, ma s’estende, ad esempio, alla negazione di un effettivo problema di discriminazione e violenza verso le persone Lgbt+ e all’ossessive affermazioni su un disegno omosessualista mondiale per imporre in maniera autoritaria «il regime del gender» (titolo, questo, d’un libro scritto a quattro mani con Maurizio Belpietro ed edito nel 2021).

Franco Grillini, che ha conosciuto negli anni ’90 al Cassero di Bologna Michelangelo Signorile, ricorda a Linkiesta come il giornalista e attivista d’Oltreoceano avesse precisato il significato dell’outing quale «metodo di lotta politica» e determinatone i criteri ben determinati, in «quanto si fa verso persone omosessuali omofobe in posizione di potere. Le quali fanno carriera proprio grazie all’omofobia: succede nelle gerarchie ecclesiastiche, in politica e anche nel giornalismo». 

Aecondo l’ex parlamentare e leader storico del movimento Lgbt+ italiano,  «nel caso di Borgonovo siamo di fronte a una totale sproporzione tra la sua ossessione sulla presunta ideologia gender e la possibilità di replica della nostra collettività, presa di mira soprattutto per ciò che riguarda i diritti in campo legislativo». Un’ossessione che oggi, dopo le dichiarazioni di Massimiliano Parente, possiamo però comprendere un po’ di più e meglio valutare.

DAGONEWS il 24 aprile 2023.

Siete eterosessuali e volete migliorare le vostre prestazioni in camera da letto? Chiedete ai vostri amici gay e lesbiche. Parola di Tracey Cox che prende spunto da una serie di studi che rivelano come gli omosessuali abbiano orgasmi migliori e un sesso più soddisfacente

Sappiamo tutti del "divario dell'orgasmo": durante il rapporto sessuale tra partner, le donne hanno sostanzialmente meno orgasmi degli uomini. Metti una donna con una donna e quel problema scompare. Le donne comprendono l'importanza del clitoride negli orgasmi femminili. Molti uomini no.

Gli uomini viaggiano rapidamente da zero a 100 sulla scala dell'eccitazione, le donne impiegano più tempo a riscaldarsi. Un'altra donna lo sa, è più paziente.

Il sesso è più equo e gentile

È probabile che le donne cambino ruoli sessuali con partner femminili molto più di quanto non facciano le coppie etero. Spesso c'è una turnazione: una persona raggiunge l'orgasmo, quindi tutta l'attenzione si concentra sul piacere dell'altra. Ciò si traduce in orgasmi più soddisfacenti a tutto tondo. Inoltre molte donne lamentano il martello pneumatico durante il sesso con gli uomini e il dolore successivo. Tra donne non capita

Puoi avere orgasmi multipli...

Quando un uomo eiacula, di solito significa che il sesso è finito. Poiché le donne possono avere orgasmi multipli, l'orgasmo di un partner non significa che le cose debbano finire.

…e non c’è bisogno di fingere

Non c'è bisogno di fingere tra femmine perché le donne sanno che molte cose influenzano l'eccitazione, il desiderio e l'orgasmo. Le donne tendono ad essere meno orientate agli obiettivi: il loro ego non è così legato all'intera faccenda del "le ho fatto raggiungere l'orgasmo". 

Il sesso non è così strutturato

Poiché il rapporto non è l'evento principale, non c'è inizio, metà e fine. Questo può aiutare a impedire alla coppia di cadere in un formato prevedibile, che viene poi seguito ogni volta.

I preliminari sono sesso

Le lesbiche sanno che tutti gli orgasmi hanno origine dal clitoride. C'è una generosa attenzione e concentrazione sui baci, un sacco di giochi con il seno e tonnellate di sesso orale. Tutte cose che stimolano il clitoride. Cosa che purtroppo il pene e il rapporto completo non fanno.

Sono fantasiose e creative

Molti uomini usano solo la tecnica della sega: spingono le dita dentro e fuori dalla vagina, trascurando del tutto il clitoride. È più probabile che le lesbiche utilizzino una varietà di tecniche, si concentrino sul clitoride, inclusa la forbice, strofinando l'area inguinale l'una contro l'altra.

Non sono minacciati dai vibratori

Le lesbiche non si affidano a un vibratore perché non ce n'è bisogno: sono più brave a darsi l'orgasmo a vicenda. Ma se un partner decide che ha voglia o ha bisogno di vibrazioni per arrivare all’orgasmo, spesso non c'è alcun problema. 

Tra gay ci sono diverse posizioni, luoghi, oggetti di scena, sesso tenero, sesso selvaggio, uso delle mani, i peni, le lingue…. Mediamente la vita sessuale dei gay batte quella di una coppia etero.

Prendono ciò che vogliono dal sesso

Il concetto di sdraiarsi e aspettare, incrociando le dita, che la lingua del tuo amante colpisca il punto giusto, è un concetto estraneo agli uomini gay. Se il loro amante non è nella posizione giusta, è probabile che lo spostino o gli dicano di muoversi. Se la tecnica non funziona, probabilmente diranno: “Non funziona". Fai questo invece”. Perché dovresti sdraiarti e sperare di raggiungere l'orgasmo quando puoi assicurarti di farlo dando suggerimenti, modifiche, aggiungendo oggetti? 

Sono meno attaccati all'eiaculazione precoce

Alcune donne trovano deludente se il loro partner raggiunge l'orgasmo troppo presto. Gli uomini gay sono meno "giudicanti". L'intero scopo di fare sesso è venire - se ciò accade rapidamente, bene! Hanno raggiunto il loro scopo. Non significa che le loro bocche o le loro mani abbiano smesso di funzionare - e c'è sempre una seconda volta.

E parlane se va avanti da troppo tempo

Le donne hanno il gene della cortesia. È improbabile che dicano "Sbrigati!". Gli uomini fanno tutto il possibile per far raggiungere l'orgasmo al loro partner e chiedono di cosa ha bisogno o cosa vuole. Ma, se dura un po' troppo a lungo, gli suggeriscono il fai-da-te mentre guardano.

Usano il lubrificante

Vuoi migliorare la tua vita sessuale in modo istantaneo? Usa il lubrificante più spesso. Gli uomini gay lo usano per seghe, giochi anali, durante lunghe sessioni, con giocattoli sessuali - per tutto!

Non sono schizzinosi

Le donne possono diventare schizzinose riguardo allo sperma. I ragazzi gay lo vedono sexy. A chi importa se finisce su di loro o sulle lenzuola appena lavate se il sesso è stato fantastico? 

Ha anche i capezzoli!

Le donne eterosessuali tendono a ignorare il seno maschile. Gli uomini sanno che i capezzoli possono essere una zona hot. Alcuni uomini adorano che i loro capezzoli vengano pizzicati o addirittura morsi abbastanza forte appena prima dell'orgasmo; altri lo odiano. Sperimenta ma non offenderti se ti allontana la mano.

Delicatamente non si fa

Le donne toccano gli uomini troppo piano. La pelle dell'uomo è più spessa e meno sensibile: un tocco più deciso e una presa si sentono meglio.

Ovunque tranne che in camera da letto

Le donne spesso aspettano di essere a letto per iniziare il sesso. Gli uomini lo faranno ovunque perché il loro desiderio sessuale è più urgente. Il bagno, il letto, il lavello della cucina, un luogo appartato. Al bando il letto!

Bis, bis!

Molte donne sono troppo imbarazzate per lasciare che il loro partner le guardi mentre si masturbano. Agli uomini piace mettersi in mostra e guardare il proprio partner che si eccita. Non solo, osservano attentamente per capire quale tecnica utilizza il loro partner, quindi replicano quando è il loro turno di dare piacere.

Da “Vanity Fair” il 16 aprile 2023. 

Il “sesso tra compagni” indica i rapporti tra uomini che si definiscono omosessuali. Si tratta di una pratica indagata dallo studio “Constructing normative masculinity among rural straight men that have sex with men” condotto dal sociologo Tony Silva della Northwest University dell’Oregon. Nelle popolazioni rurali si tratta di qualcosa di assolutamente lontano dall’omosessualità, privo di sentimento e di romanticismo, votato alla pura soddisfazione di istinti.

Estratto dell'articolo di Mario Manca per “Vanity Fair” il 16 aprile 2023.

Gli uomini che praticano Bud Sex non sono omosessuali ma, pur andando a letto con altri uomini, rivendicano la propria eterosessualità e la conseguente attrazione per le donne. 

Entrare all'interno di questa nuova componente sessuale praticata in molti casi da partner sposati, accoppiati e con figli può non essere facile, ed è per questo che ci viene in soccorso uno studio dal nome Constructing Normative Masculinity among rural straight men that have sex with men condotto dal sociologo Tony Silva della Northwest University dell’Oregon. 

Il fenomeno [...] riguarda [...] uomini eterosessuali di popolazioni rurali che vivono la pratica come qualcosa di assolutamente lontano dall’omosessualità. [...] chi partecipa a questa pratica sessuale seleziona il partner sulla base della mascolinità, dell’etnia e dell’identità sessuale. Gli uomini intervistati hanno scelto [...] uomini della stessa etnia [...] eterosessuali o, in privato, bisessuali. In base a questi presupposti i loro comportamenti sono stati considerati come eterosessuali perché vissuti con persone simili in tutto a loro [...]

Quali sono, però, i sentimenti che preparano la strada alla pratica del Bud Sex? Sono tre: complicità e amicizia, condivisione di interessi e argomenti comuni di dialogo. Il parlare delle donne e della politica, per esempio, alimenta quel senso di gruppo che potrebbe, in questo caso, sfociare in un'attrazione sessuale [...] 

Sebbene resti una pratica priva di sentimento e di romanticismo e nasca piuttosto come una soddisfazione di istinti, il presupposto del Bud Sex sembra restare l'amicizia insieme alla riservatezza.[...] una delle prerogative fondamentali è la segretezza [...] 

Il profilo tracciato dallo studioso nella sua ricerca corrisponde a quello di un maschio eterosessuale, bianco, di solito sposato e con prole, over 50. Un uomo che ha vissuto la giovinezza in un’epoca in cui era difficile esprimere qualsiasi altro tipo di desiderio sessuale e che ora cerca la mascolinità nell’altro. [...] il Bud Sex resta [...] un semplice espediente per rafforzare la loro virilità.

Dal “Corriere della Sera” 10 marzo 2023.

È un atto di «discriminazione» che deve essere punito con il licenziamento dire «lesbica» a una collega. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che ha confermato la «giusta causa» con cui la Tper, società del trasporto pubblico bolognese aveva mandato via un’autista che si era rivolto a una collega affermando: «Come sei incinta tu? non sei lesbica?».

 Secondo i giudici «l’intrusione nella sfera intima e assolutamente riservata della persona con modalità di scherno» non può essere considerata solo «una condotta inurbana». La Corte di Appello di Bologna, nel 2020, aveva ritenuto eccessivo il licenziamento trasformandolo in recesso unilaterale da parte del datore condannato a versare all’autista venti mensilità. La suprema Corte ha invece stabilito che si tratta di un comportamento «non conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento».

Anche perché il codice di Pari opportunità tra uomo e donna considera come «discriminazioni» anche le «molestie», ovvero «quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo» soprattutto «se subiti nell’ambito del rapporto di lavoro».

Dice “lesbica” a una collega. La Cassazione: giusto licenziare il dipendente. Per la Suprema corte il comportamento del lavoratore è da considerarsi “discriminatorio” e in contrasto con “i valori presenti nella realtà sociale”. Il Dubbio il 10 marzo 2023

Dire “lesbica” a una collega con tono di scherno è un atto “discriminatorio” punibile con il licenziamento. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che ribaltando il giudizio della Corte d’Appello di Bologna ha confermo la decisione di Tper Spa, la società del trasporto pubblico emiliano che aveva interrotto il rapporto lavorativo di un autista per “giusta causa” senza riconoscergli diritto all’indennità. L’uomo si era rivolto alla una collega che aveva appena avuto un figlio, dicendole: “Ma perché sei incinta pure tu? Ma non sei lesbica?”.

La donna aveva quindi segnalato l’episodio all’azienda, che a sua volta aveva mandato via il dipendente ritenendo il suo comportamento “gravemente lesivo dei principi del Codice etico aziendale e delle regole di civile convivenza”. Nel 2020 però i giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto licenziamento in tronco “sproporzionato” rispetto alla “obiettiva entità” degli “addebiti” e condannato la società a versare venti mensilità all’autista. Il cui comportamento, per la Corte, era da considerarsi solamente “inurbano”.

Diverso il giudizio della Cassazione. Che con il verdetto 7029 della Sezione lavoro ha ordinato alla Corte di appello di rivedere la sua decisione verificando “la sussistenza della giusta causa di licenziamento alla luce della corretta scala valoriale di riferimento”. Per la Suprema Corte, infatti, “l’intrusione nella sfera intima e assolutamente riservata della persona con modalità di scherno”, non può considerarsi semplicemente un comportamento “inurbano”. Perché la condotta del dipendente “non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento”, e appare “in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione di principi generali dell'ordinamento”. Ciò anche alla luce del codice di Pari opportunità tra uomo e donna, che considera come “discriminazioni” anche le “molestie”, ovvero “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Soprattutto se subite “nell'ambito del rapporto di lavoro”.

«Se cerchi “finocchio” ti mostra foto di omosessuali»: polemiche sul motore di ricerca di Adobe. Il servizio Adobe Stock per trovare illustrazioni e immagini per usi commerciali restituisce risultati relativi alla comunità lgbt quando interrogato con parole offensive. «Un segnale preoccupante» denuncia Michele Albiani, consigliere comunale Pd che ha segnalato il caso. Simone Alliva su L’Espresso il 23 Febbraio 2023.

Per la libreria di immagini Adobe Stock “finocchio” è sinonimo di omosessuale. Da sempre un insulto sferrato in faccia alle persone gay o chi si discosta dalle norme di genere, l’offesa affonda così tanto le radici nella cultura italiana che basta digitarla sul sito (usato da progettisti e aziende per accedere a milioni di foto ndr), per osservare tra i primi risultati per ordine: due foto degli ortaggi, una coppia dello stesso sesso, un ragazzo truccato, dei semi di finocchio. Non tutti sanno che l’insulto deriva dai semi di finocchio che venivano messi insieme alla paglia per arrostire gli omosessuali: l’odore del finocchio bruciato serviva a far capire agli abitanti la natura della condanna.

La segnalazione al L’Espresso arriva da Michele Albiani, consigliere comunale Pd a Milano e attivista Lgbt: «L’ha scoperto per caso mia madre, Art Director per una casa editrice, mentre cercava delle immagini, appunto, di finocchi. La sua prima reazione è stata quella di fare uno screenshot e inoltrarmelo con un lapidario “siamo dei trogloditi”. Sul momento l’ho presa sul ridere, ma facendo io stesso una prova, sono usciti migliaia di risultati tra foto e video con persone Lgbt, singole, coppie e famiglie».

Associati alla comunità Lgbt, il servizio Adobe Stock presenta una serie di epiteti che da sempre alimentano il rifiuto e lo scherno. Basta digitare “Culattoni”: primo risultato una coppia di ragazzi, due donne che si tengono per mano, la bandiera del movimento trans “Trans Rights are Human Rights” (“i diritti trans sono diritti umano”). Stesso risultato per la parola “froci”. Digitando la parola “checca” appare un ragazzo circondato da un arcobaleno su una sedia a rotelle. Insieme a questi una carrellata di immagini viene visualizzata se si cercano altri termini spregiativi: “Zoccola”, “Troia”, “Negro”, “Mignotta”.

Estratto dell’articolo di Pierfrancesco Carcassi per corrieredelveneto.corriere.it l’8 marzo 2023.

Stefano Balloch, è da poco sposato con il giornalista Tommaso Cerno. Lei è stato sindaco di Cividale del Friuli con Forza Italia e con il Popolo della Libertà, lui è stato senatore del Pd, direttore dell'Espresso ed attivista per i diritti omossessuali. E ora lei è in corsa alle elezioni regionali con Fratelli d'Italia. La vostra è una coppia un po' inconsueta, no?

«Tommaso ha sempre avuto rispetto per le posizioni diverse dalle sue. È stato lui che mi ha spinto ad accettare la proposta di Fratelli d'Italia».

(...)

Anni fa non ne voleva sapere di un incarico in Regione, diceva. E alla fine suo marito l'ha convinta. 

«Volevo fare la mia parte nel grande cantiere di Fratelli d'Italia in Italia e in Europa. Mio marito mi conosce e mi ha spinto: sa che per me hanno un grande valore il rispetto del denaro pubblico e l'impegno con gli elettori. Forse anche il modo in cui mi è stato proposta la candidatura, alla luce della mia famiglia che rappresenta una normalità che altre famiglie vivono ogni giorno sulla loro pelle. La sinistra parla parla, ma la prima donna leader l'ha fatta la destra. Ma prima di tutto penso e spero che la mia candidatura sia stata fatta per il mio lavoro da amministratore, io sono uomo di dialogo, penso di averlo dimostrato sul campo».

Ci sono stati momenti particolari in cui le vostre divergenze politiche hanno influenzato il rapporto con suo marito? 

«Abbiamo vissuto con divertimento questi richiami alle copertine dell'Espresso (diretto da Cerno tra 2016 e 2017, ndr) contro Silvio Berlusconi in occasione del suo ottantesimo compleanno nel 2016. Berlusconi è quello che a 18 anni mi ha spinto a iniziare la mia avventura politica con Forza Italia. Erano una sorta di lettere al carissimo nemico: adesso ne ridiamo assieme. Ma non è sempre stato così».

Altre volte vi siete scontrati su questo?

«Abbiamo avuto anche momenti in cui ho detto in maniera forte che non condividevo una parola di quelle copertine».

 (...)

Siete stati assieme otto anni prima di sposarvi, durante i quali avete assistito a tanti dibattiti: unioni civili, ddl Zan, adozioni e procreazione assistita per le coppie omosessuali. Su questi temi litigate?

«Sulle unioni civili abbiamo solo aderito a ciò che la legge ci ha offerto. Il ddl Zan? La sinistra ha fatto l'errore di esasperare i toni, rifiutando il dialogo. È naufragato tutto quando si poteva portare a casa qualcosa, si tratta di piccoli passi che si conquistano nelle istituzioni. Bisogna parlare con tutti. Di adozione e procreazione non abbiamo mai parlato».

Fratelli d'Italia, e la destra in generale, viene associata all'omofobia. Per la giornata mondiale contro l'omofobia  l'anno scorso una buona fetta del partito si scagliò contro una circolare sul tema, gridando alla propaganda gender.

«Lo dico sempre con un sorriso. In Italia si pensa che la cultura appartenga alla sinistra e non alla destra, così come i diritti. Ma il fatto stesso che io sia candidato dimostra che sono retaggi che ci portiamo dietro».

Giorgia Meloni lottò contro le unioni civili. Ora le accetta e lotta contro le adozioni. Non sente una dissonanza tra la sua storia personale e quella del partito con cui corre?

«Guardo alla campagna del Friuli e ai passi in avanti fatti in queste tematiche. Lascio al dibattito parlamentare questi temi».

 Lei e Tommaso Cerno vi siete sposati il 28 dicembre scorso a Cividale del Friuli. A celebrare l'unione c'era Franco Grillini, uno storico attivista dei diritti omosessuali, presidente onorario di Arcigay. 

«Officiavano Daniela Bernardi, sindaco della Lega, e Franco Grillini, a testimoniare che siamo persone libere e abbiamo fatto del dialogo la nostra bandiera. Franco Grillini è una persona straordinaria che ha dedicato la sua vita a battaglie civili in tempi estremamente difficili rispetto ai nostri. Come ho sempre detto, per sposarsi non bisogna prendere la tessera del Pd. È un'ulteriore dimostrazione dei passi avanti. Siamo persone un po' più note di altre, forse pionieri ma nel superare le contrapposizioni, ma ormai l'Italia è un Paese europeo».

 Suo marito è stato ai vertici dell'arcigay e ha organizzato gay pride. Lei è mai andato a un gay pride?

«No, non ci sono mai andato e credo che il mondo si cambi con il dialogo e la testimonianza del lavoro serio delle istituzioni. Le lotte di piazza, lo riconosco, possono avere un valore se fatte con intelligenza».

Riguardo all'omofobia, suo marito in passato aveva dichiarato in tv di esserne stato oggetto in passato. A lei è mai capitato?

«Vent'anni in politica e non ho mai avuto da elettori e colleghi nessun tipo di atteggiamento discriminatorio».

"Come tutti gli altri, voglio anche vivere la mia vita in libertà". “Sono gay, non voglio più nascondermi”: il coming out di Jankto segna la storia del Calcio. Antonio Lamorte su Il Riformista il 13 febbraio 2023.

Jacub Jankto rompe un tabù: erano anni, decenni, che un calciatore professionista del suo livello in Europa non faceva coming out, che non dichiarava la sua omosessualità. Ha scelto di farlo con un video, pubblicato sulla sua pagina social, in cui racconta la sua frustrazione e il suo senso di liberazione. Era dai tempi di Justin Fashanu, attaccante inglese che all’inizio degli anni Novanta dichiarò pubblicamente di essere gay, che non succedeva ai massimi livelli del mondo del pallone. È la prima volta che a questi livelli non succede con un calciatore in attività. Jankto ha 27 anni, centrocampista di nazionalità ceca, al momento in forza allo Sparta Praga, il suo cartellino appartiene al club spagnolo del Getafe.

“Ciao, sono Jakub Jankto – il messaggio del calciatore sui social – Come tutti gli altri, ho i miei punti di forza, i miei punti deboli, una famiglia, i miei amici, un lavoro che svolgo al meglio da anni, con serietà, professionalità e passione. Come tutti gli altri, voglio anche vivere la mia vita in libertà. Senza paure. Senza pregiudizio. Senza violenza. Ma con amore. Sono gay e non voglio più nascondermi”. Jankto ha giocato in Italia con le maglie di Ascoli, Udinese e Sampdoria. Ha collezionato 45 presenze con la Nazionale della Repubblica Ceca.

Le sue dichiarazioni rivestono un significativo emblematico. A dichiarare la propria omosessualità, oltre Fashanu, erano stati in passato professionisti già ritirati, come Thomas Hitzlsperger, ex centrocampista di Stoccarda, Lazio e Nazionale tedesca. L’anno scorso a fare outing era stato il centrocampista australiano e 22enne Josh Cavallo, dell’Adelaide United, seguito dal 17enne attaccante inglese del Blackpool Jake Daniels. “Ci ho pensato a lungo e credo che questo sia il momento giusto, mi sento pronto a raccontare la mia storia. Voglio che la gente conosca chi sono veramente, aver mentito per tutto questo tempo non è qualcosa che avrei voluto fare. È stato difficile ma ora ho fiducia in me stesso”, aveva dichiarato a SkyNews Daniels.

La sua dichiarazione era arrivata alla vigilia della Giornata Internazionale contro l’Omotransfobia che si celebra ogni anno il 17 maggio. Argomento ancora tabù, quello degli omosessuali nel calcio maschile – un ambiente ancora spesso caratterizzato da machismo e omofobia – , a differenza di quello che succede nel calcio femminile. Quello di Jankto è un passo ulteriormente importante in questo senso perché riguarda un calciatore riconoscibile, che ha giocato in due campionati al massimo livello come Serie A e Liga spagnola e che milita con regolarità in una Nazionale di buon livello.

Jankto è arrivato in Italia nel 2015, a Udine. Per un anno ha giocato in prestito all’Ascoli in Serie B. Ha esordito in Serie A nella stagione 2016-2017 con la maglia bianconera dei friulani. Due anni dopo il trasferimento a Genova: gli anni in blucerchiato impreziositi anche da un gol nel derby con il Genoa e dalla fascia di capitano portata al braccio. Dopo tre stagioni alla Samp il trasferimento in Spagna, al Getafe, con 17 gol in 155 partite, prima di arrivare a Praga, la città dov’è nato nel 1996.

 Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Da corrieredellosport.it il 14 gennaio 2023.

Dopo il coming out di Jakub Jankto, che ha rivelato la sua omosessualità, a parlare è l'ex compagna Marketa Ottomanska, che con il giocatore dello Sparta Praga, ex di Ascoli, Udinese e Samp, ha avuto un figlio, che oggi a 3 anni.

"Fiera di lui, ora sarà più sereno"

Intervistata dal sito ceco Idnes.cz, la Ottomanska non mostra alcun astio nei confronti dell'ex e anzi si dice sollevata dalla decisione di uscire allo scoperto: "E' uno dei primi calciatori a farlo, solitamente trovano il coraggio a fine carriera. Noi ci siamo lasciati nel 2021 ma oggi sono davvero fiera di lui. Aveva paura che la gente non lo avrebbe accettato e ha subito insulti e minacce, ora fortunatamente si è liberato e sono sicura che sarà a suo agio e felice e che chi gli vuole bene capirà che è la stessa persona di prima",

La veneziana in forza alla Juventus Women racconta sui social la storia d'amore con la "collega" Linda Sembrant.

Corriere della Sera il 14 gennaio 2023.

«La nostra relazione è iniziata grazie alla Juventus, è grazia al calcio che ci siamo incontrate». Lisa Boattin, calciatrice veneziana di Portogruaro in forza alla Juventus Women e alla Nazionale, classe 1997, ha raccontato pubblicamente l'amore che la lega alla compagna di squadra Linda Sembrant, 35 anni, parte della difesa bianconera e della nazionale svedese. Una storia nata sul campo da calcio uscita allo scoperto attraverso un video pubblicato sui canali ufficiali della Juventus: «L'amore ti fa sentire viva. Penso che ognuno debba sentirsi libero di essere quello che è. Io devo sentirmi bene con me stessa, essere felice», ha detto Boattin assieme alla compagna.

Estratto dell'articolo di Cristiano Sanna Martini per spettacoli.tiscali.it il 14 febbraio 2023.

Non si parla d'altro da mesi, […] una serie tv horror-survival considerata un capolavoro. Pedro Pascal è al centro di tutto questo, lo avevamo già visto in Narcos, nel Trono di Spade e in The Mandalorian. […] viene da una famiglia cilena di sinistra, apertamente attivista in politica a favore del presidente Salvador Allende deposto e morto nel golpe del 1973, e quindi apertamente contro la dittatura di Pinochet. Sua madre è cugina di Andrés Pascal Allende, a sua volta nipote del presidente finito suicida.

A causa di questa opposizione alla dittatura, quando Pedro aveva nove mesi, la famiglia dovette scappare dal Cile per sfuggire dalla persecuzione politica nascondendosi nell'ambasciata venezuelana e poi riparando in Danimarca. Solo in seguito riuscirono a trasferirsi negli Stati Uniti. Pedro aveva otto anni. Da lì comincia la sua nuova vita, prima come giovane atleta del nuoto, poi come studente di recitazione. Nel mezzo, il nuovo dramma: uno scandalo sanitario in cui è stato coinvolto suo padre, e il suicidio di sua madre.

[…] Oggi è un attivista per i diritti Lgbtq+, e principale sostenitore e amico di Lux Pascal, sua sorella transgender che un tempo si chiamava Lucas Balmaceda. Del fratello Pedro, Lux dice: "Nella mia transizione lui è stato un supporto fondamentale. Mi ha aiutata a trovare la mia vera identità". Oggi Lux studia recitazione alla Julliard School, una delle più selettive scuole artistiche degli Usa, e sogna di conquistare il suo spazio nello spettacolo.

Estratto dall’articolo di Vladimir Luxuria per “Specchio - la Stampa” il 13 febbraio 2023.

È finito il tempo in cui a San Valentino ci sentivamo esclusi. La scusa di non essere riconosciuti come coppie non esiste più. I tempi sono cambiati: una volta il movimento di liberazione omosessuale e transessuale rivendicava il diritto di fare sesso – “faccio sesso dunque sono” - e chi avesse proposto di fare coppia fissa, o peggio, di creare una famiglia, sarebbe stato guardato con occhi truci. Eravamo tutti rigorosamente antifamilisti: perché proporre quel sistema di famiglia da cui ci eravamo sentiti esclusi? Volevamo vivere sessualmente liberi e promiscui, volevamo i locali, divertirci, figuriamoci se a qualcuno poteva venire in mente di mettere su famiglia.

Una volta nelle riunioni dei movimenti gay si parlava, ci si facevano le canne, al massimo si finiva in un’orgia collettiva. Adesso sembrano riunioni di condominio, piene di coppie, con i bambini delle famiglie arcobaleno, persino con zie e nonne al seguito. Ci siamo normalizzati: ovunque ci si può sposare (vabbè, tranne in Italia dove ci si può unire solo civilmente, e se gli altri divorziano che si fa? Ci si disunisce?). Ma insomma, dettagli a parte, non abbiamo più la scusa di non essere riconosciuti come coppie.

E quindi la festa di San Valentino, che è soprattutto la festa dei ristoratori, dei cioccolatieri e dei fiorai, è diventata un po’ la nostra festa. Tutti contenti? Tutti tranne i single, gli unici che la sera di San Valentino non hanno santi in paradiso.

 Noi che siamo scoppiati senza coppia, che se troviamo qualcuno per il famoso e sempre più raro sesso occasionale – nel senso che trovarlo è una grande occasione – siamo ormai una specie minacciata non solo dalle coppie etero e gay, ma dalle troppie – quelle dove sono in tre – e dal poliamore – dove sono in tanti. Spesso sfruttati da coppie aperte gay che magari per una sola notte usano il povero single e poi lo abbandonano al proprio destino, come un oggetto usato, e senza neanche diritto a una raccolta differenziata.

La mia proposta dunque è questa: visto che l’acronimo LGBTQ sta diventando peggio di un codice fiscale, perché non aggiungerci anche la lettera S, per single, e rivendicare così il nuovo diritto a poter dare uno spazio anche a chi resiste senza un fidanzato o una fidanzata? Siamo noi la vera categoria a essere discriminata […]

 San Valentino ci irride, si prende gioco di noi, si fa beffa dei bei tempi della rivoluzione sessuale, quando nei nostri movimenti di liberazione rifiutavamo l’idea di fidanzarci, di sposarci, figuriamoci di fare figli. Tutti fidanzati e sposati adesso, anzi i gay e le lesbiche si vogliono sposare più degli altri. Il rischio, per molti di noi, è finire ad amare dei surrogati. […]

Estratto dell’articolo di Sara Poma per “la Stampa” il 30 gennaio 2023.

C'è un episodio che Mariasilvia Spolato racconta in un articolo apparso sulla rivista del FuoriI! (il Fronte Unitario Omosessuale Italiano) e che sintetizza bene la sua trasformazione da ragazza cresciuta nell'agio borghese di Padova ad attivista che non ha paura di nulla. Perché è così che immagino chi compie la scelta dell'attivismo: eliminare ogni idea di paura; non temere le conseguenze, immediate o di lungo periodo, sulla propria vita.

 Nel 1971, Spolato vive a Frascati. Insegna matematica e informatica in un istituto tecnico cittadino. A Frascati non c'è nulla da fare, è poco più di un paese. Esiste un unico bar nella piazza principale. Lei lo frequenta ogni giorno dopo la scuola. Ordina latte e cognac e si mette a giocare a flipper. In poco tempo su Mariasilvia si sono sparse voci. Tutti sanno che è lesbica.

Lei non ha fatto mai nulla per nasconderlo, del resto, e il suo attivismo si traduce anche nel vivere senza nascondersi pur trovandosi in un ambiente presumibilmente ostile. Il racconto di Mariasilvia sulla rivista indugia su un certo alterco avvenuto nel bar con il flipper, ingaggiato con Peppo, il bullo del paese. Racconta che dopo essere stata insultata, esce dal bar e trova i parafanghi del suo Maggiolone presi a martellate. Ma ormai ci ha fatto il callo.

 Qualche mese prima, scrive, una donna l'aveva presa a bastonate accusandola di aver messo in giro la voce che il figlio fosse gay. E poi scrive che dopo quella discussione ha capito di essere su una strada pericolosa ma giusta.

 Spolato è stata la prima persona a portare in piazza la parola «omosessuale» in Italia. Letteralmente. L'8 marzo del 1972, infatti, centinaia di femministe si ritrovarono a Campo de' fiori per la loro prima grande manifestazione organizzata. E lei, che all'epoca aveva 38 anni, aveva guadagnato una piccola porzione di quella piazza munita di un cartello con scritto «Fronte di Liberazione Omosessuale». Quelle parole formavano una sigla, Flo, che era il nome di un gruppo da lei formato l'estate precedente.

[…] Quel giorno, per una serie di coincidenze della Storia, in piazza c'era anche Jane Fonda. Era volata da Parigi, dove stava girando con Godard, per mostrare il suo sostegno alle femministe italiane.

 La sua presenza aveva attirato decine di fotografi e, nel tripudio di flash, l'obiettivo si era rivolto anche su Mariasilvia e il suo cartello. La macchina fotografica l'aveva incastonata per sempre nel suo sguardo serio e vagamente sorpreso dietro i grandi occhiali da pentapartito. Quell'immagine era stata pubblicata su Panorama nella pagina di un'intervista a Simone De Beauvoir. Nella didascalia non veniva riportato il suo nome, ma il suo volto era perfettamente riconoscibile. Così, Mariasilvia Spolato perse il lavoro. Non le fu rinnovato il contratto: alla presidenza non andava giù il suo attivismo dichiarato. [...]

Estratto dell'articolo di Marco Leardi per ilgiornale.it il 25 Gennaio 2023.

L'assolo rock di Giuseppe Cruciani ha surclassato quello di Victoria dei Maneskin. E pensare che la bassista della popolare band ce l'aveva messa tutta per far risuonare la propria polemica contro il nostro Paese. "L'Italia è un Paese molto conservatore e sono intimiditi dal fatto che qualcuno possa truccarsi o indossare tacchi alti o apparire seminudo o non essere etero. Ma fanculo loro", aveva dichiarato la ragazza in un'intervista al Guardian. […]

 "[…] Non è vero, è tutto falso! L'Italia non è un Paese conservatore, l'Italia non è intimidita dal fatto che qualcuno possa truccarsi. È pieno di fr*ci dappertutto, dalla mattina alla sera in tutte le televisioni, ma lo dico con gioia e partecipazione! È pieno di omosessuali, transessuali, gente che si trucca...", ha commentato Cruciani, smentendo la bassista con la sua abituale vena provocatoria. E ancora, alzando i toni dell'invettiva, il giornalista ha ribadito: "L'Italia non è un Paese bigotto, conservatore. Nessuno è intimidito dal fatto che c'è gente che appare nuda, nessuno!". […] “

Se poi, da quel che leggo, lei pensa che l'Italia debba andare a fanculo, la porta è quella! Prenda la cittadinanza della Guyana, del Belize. Ci sono mille possibilità, lei è una persona ricca. Si tolga la cittadinanza italiana" […]

Estratto da today.it il 24 gennaio 2023.

"Libero e sereno": così ha detto di sentirsi Federico Lauri in arte Federico Fashion Style dopo aver dicharato pubblicamente per la prima volta di essere omosessuale. La sua intervista a Verissimo [...] ha suscitato svariati messaggi da parte degli utenti. Consensi e critiche hanno riempito gli account del programma e dello stesso hairstylist che così, a qualche ora dalla messa in onda della puntata, è tornato sui social per precisare alcune questioni.

"Sono stato costretto a dirlo"

In diverse storie Instagram, Federico ha ribadito di aver deciso di dichiarare apertamente il suo orientamento sessuale solo adesso per tutelare la figlia, considerando anche che la ex compagna Letizia ne era al corrente da tre anni: "Ho preso tempo per rispettare mia figlia e ne avevo parlato anche con la madre di mia figlia. Con la mia coscienza sono a posto" ha affermato.

 "Mi sono trovato nella condizione di doverlo dire pubblicamente (di essere omosessuale, ndr) perché terze persone hanno rivelato, senza il mio consenso, delle dichiarazioni molto riservate" ha aggiunto ancora. "Tengo a sottolineare che queste persone stavano con me, mi conoscevano e sapevano. Ma la vita va avanti. Nulla da dire a parassiti inutili che continuano a parlare di me in maniera stupida per avere qualche like in più", ha poi proseguito. [...]

Da leggo.it il 24 gennaio 2023.

Il coming out di Federico fashion Style continua a far discutere. Tanti sono stati gli utenti che hanno espresso la loro opinione a riguardo dopo l'intervista esclusiva rilasciata dall'hair stylist a Silvia Toffanin. A svelare ulteriori retroscena, legati al cachet ottenuto da Verissimo, ci ha pensato Selvaggia Lucarelli durante l'ultima puntata del suo podcast "Il Sottosopra".

 Federico Lauri, in arte Federico Fashion Style, è stato accusato sui social media di aver rivelato di essere omosessuale pubblicamente solo per ottenere più visibilità e soprattutto, più soldi. La giornalista ha svelato che il coming out in realtà era nell'aria da molto tempo e che Federico Fashion Style aveva deciso di organizzarlo al meglio. Puro interesse economico?

«Ci sentivamo st****i e pure retrogradi nel fare quella semplice equazione a causa di paillettes e interventi chirurgici. Invece è finita che è stato proprio Federico Lauri a fare coming out a Verissimo e a confermare, a sorpresa, che il nostro sensore era corretto», ha esordito la giornalista spiegando il tam tam degli ultimi giorni.

 Poi, a grande sorpresa, rivela: «Nell’ambiente televisivo sapevamo tutti che da qualche mese Federico stava organizzando il suo coming out mediatico. C’era in corso una trattativa, ovviamente anche economica, con programmi e conduttori, a un certo punto ricordo che stava per andare al Grande Fratello a fare la sua rivelazione. Poi è saltato tutto e ha deciso di affidare lo scoop a Silvia Toffanin».

Ma c'è un'operazione commerciale dietro al coming out di Federico Fashion Style? Selvaggia prova a fare chiarezza: «Abbiamo deciso che va bene monetizzare su tutto, per cui direte voi perché dovrebbe essere strano che Federico si faccia pagare per il suo personale coming out? In realtà di strano non c’è nulla, di discutibile dal mio punto di vista molto.

 Se penso che un anno fa lo stesso Lauri si era fatto pagare da Ballando con le Stelle per portare in scena l’immagine dell’eterosessuale che si difendeva da ogni sospetto, anche irritandosi, e che ci presentava la famiglia tradizionale per fugare ogni dubbio. L’idea che la verità e la bugia sullo stesso tema abbia lo stesso prezzo non mi scandalizza, però mi avvilisce», continua la giurata di Ballando con le Stelle.

 In conclusione Selvaggia Lucarelli evidenzia l'ipocrisia dell'hair stylist verso l'ex compagna Letizia Porcu: «Lui si è liberato del peso del giudizio in tv, davanti a qualche milione di spettatori, ma la moglie dovrebbe tenere riservata la vita privata perché il paese è piccolo e la gente mormora. Insomma la mamma dovrebbe proteggere la figlia dalle brutte voci, perché evidentemente la figlia è pronta a leggere sui giornali che il papà è gay e noi ne siamo felicissimi. Ma sapere che la mamma ha una vita sentimentale potrebbe causarle dei traumi», chiosa la giornalista.

DAGONEWS il 3 settembre 2023.

Molte persone probabilmente non hanno mai sentito parlare della parola digisessualità. Ma non è escluso che la maggior parte di noi lo sia in qualche misura. Il termine coniato nel 2017 dagli studiosi nordamericani Neil McArthur e Markie Twist si riferisce a persone la cui "identità sessuale primaria deriva dall'uso della tecnologia", che si tratti di appuntamenti casuali, relazioni a lungo termine o pratiche sessuali.

La digisessualità potrebbe sembrare comune per le persone che sono cresciute immerse nella tecnologia e utilizzano app e dispositivi per facilitare l'interazione da uomo a uomo. Pensate al sexting, ai collegamenti di Tinder, alle chiamate Skype a lunga distanza o al flirt su Instagram. Nel mezzo, c'è l'emergere di teledildonics, giocattoli sessuali ad alta tecnologia, che potrebbero essere collegati a Internet come qualsiasi altro dispositivo intelligente e utilizzati anche come parte di esperienze sessuali con un partner lontano. Poi ci sono i casi un po’ più estremi di coloro che hanno relazioni o fanno sesso con robot.

Per alcuni, la digisessualità è uno spazio in cui trovare nuovi tipi di divertimento e intrattenimento e spingersi al di là nell’esplorazione. Ma se per molti si tratta di esperienza al limite e un po’ folle non è detto che debba essere sempre da condannare. È il caso di Akihiko Kondo, un giapponese che ha "sposato" l’ologramma di Hatsune Miki: la sua relazione lo ha salvato dalla depressione, dalle ansie legate al lavoro e dalla paura del rifiuto. Non tutti, infatti, riescono a essere disinibiti allo stesso modo o hanno le stesse opportunità di incontrare persone come nel caso dei queer o delle persone non binarie.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 3 giugno 2023.

Immagina di avere un disturbo simile al sonnambulismo, in cui esegui atti sessuali senza avere il controllo o la consapevolezza di ciò che stai facendo, e in seguito ne ricordi molto poco. Si chiama sexsomnia, ed è una condizione che induce le persone a impegnarsi in attività sessuali nel sonno, senza che ne siano consapevoli. 

Non sorprende che causi imbarazzo e angoscia a coloro che lo sperimentano e ai loro partner. Non è difficile immaginare il tipo di difficoltà che può creare quando si tratta di questioni relative al consenso. «Sei sicuro che questo sia reale e non solo un'ottima scusa per violentare qualcuno senza essere biasimato?» è stata una delle risposte alla mia domanda sui social media in cui chiedevo a tutti i malati di raccontarmi le loro esperienze.

È diventato subito chiaro quanto le persone siano sospettose della condizione e nessuno discute la possibilità di sfruttamento. Una diagnosi medica di sexsomnia è stata utilizzata come difesa penale in tribunale per presunti casi di aggressione sessuale e stupro. Anche se raramente. Ma studi e ricerche dimostrano che la condizione esiste e potrebbe essere più diffusa di quanto suggeriscano le statistiche perché le persone sono troppo imbarazzate per ammetterlo. 

Qui, un uomo che è un sexsomniac e il suo partner mi dicono com'è convivere con questa condizione.

Sono una sexsomniac dai miei 20 anni 

Dave*, 39 anni, sta con la sua attuale partner da 13 anni 

«Il mio primo ricordo è stato masturbarmi nel sonno e svegliarmi rendendomi conto di cosa stavo facendo. Poi è successo con un partner e sono stato spinto via nel cuore della notte. La mattina dopo, mi ha raccontato cosa era successo e non avevo idea di quello che avevo fatto. Non è stata una scelta consapevole, sembrava che qualcos'altro avesse il controllo di me». 

«Succede più frequentemente con il mio partner di lunga data, probabilmente perché non mi ferma o non mi respinge. Gli altri miei ex dicevano tipo "Vattene via, sto dormendo!" ma a lei piace il sesso ed è pronta. Sa quando succede: dice che sono molto diverso in modalità sexsomnia. Come un animale. Che non ho alcun pensiero del tipo “cosa sto facendo oppure a lei andrebbe bene questo?" Il resto del tempo sono molto rispettoso quando faccio sesso con lei». 

«Apparentemente, faccio di tutto, da baci e toccate profonde ed estremamente appassionate a diteggiature molto rigorose, sia vaginali che anali. Il più delle volte, mi sono svegliato durante o ho avuto qualche ricordo dell'episodio. Ma altre volte non c'è affatto memoria. Mi sveglio e vado avanti per la mia giornata e poi il mio partner mi invia un messaggio e dice: "Ti ricordi della scorsa notte?". E io no».

«Quando ero un bambino, dormivo passeggiando e parlavo un po', penso sia un po’ la stessa cosa. Il mio fattore scatenante sembra essere l'ansia. È successo quando mi sono trasferito per la prima volta a Londra e non avevo un lavoro. È successo quando stavo per diventare un genitore ed ero preoccupato per i soldi. Raggiunge il picco quando mi sento stressato e ansioso. Non mi sento così da un po', quindi sto bene». 

«So che alcune persone non pensano che sia reale, ma è reale al 100%. Non è una scusa per fare qualsiasi cosa nel sonno: non si crea solo questa condizione.

«Non mi sento in colpa perché il mio partner lo accetta. Ma a volte sembra strano e spaventoso. Mio padre e mia mamma a volte stanno con noi a Londra e non abbiamo spazio libero, quindi mio padre a volte dorme con me. Ha detto che una notte si è svegliato e io ero chino su di lui. I miei genitori lo sanno, ma questo non mi ha impedito di sentirmi mortificato: sporgermi in avanti e non rendermi conto che c'erano mia madre o mio padre nel letto, questo mi spaventa. Non mi rendo conto in quel momento chi c'è e questa è la parte che fa paura. Devo stare così attento a chi mi sto mentendo accanto». 

Mi piace il 'sesso nel sonno': è intenso ed eccitante

Susannah*, 47 anni, è la compagna di Dave. Hanno un figlio insieme. 

«La prima volta che è successo, mi ha afferrato la mano e me lo ha fatto masturbare così forte e velocemente che ho pensato che la mia mano sarebbe caduta. Poi si è fermato bruscamente, non ha raggiunto l'orgasmo e si è girato. I suoi occhi erano chiusi. Ho pensato: "Cos'è successo qui?". Era strano. Il giorno dopo ho detto: "Di cosa si trattava? Mi hai quasi rotto il polso!". Mi ha detto: "Per fare cosa?". Non ricordava».

«È successo un paio di volte e ho iniziato a vedere uno schema. Di solito erano circa le 2 del mattino. In un certo senso mi è piaciuto ed ero incuriosita ed è stato all'inizio della relazione che le cose erano piuttosto difficili. Non gli ho mai detto di fermarsi quando è successo, anche quando una volta mi ha ferito spingendomi troppo forte in bocca. Non so perché non sono rimasto ferma. Penso che mi sia piaciuta la crudezza. Ho anche letto che non dovevi svegliare le persone se erano sonnambule e mi chiedevo se lo stesso valesse qui». 

«Ricordo il momento in cui ho capito cosa stava succedendo. Stavamo guardando House, il programma televisivo sul medico che risolve i problemi. Il medico ha diagnosticato un paziente come sessuomane. Ricordo di averlo guardato e di aver detto: "Ecco cosa sta succedendo!"».

«Il sesso è così intenso quando ha un episodio. È come avere due uomini in uno. Di solito non fa mai l'amore così. In realtà, non è fare l'amore, non è niente del genere. È selvaggio ed è anche così forte. È come se fosse sotto una specie di droga. È eccitante: l'intensità, l'adrenalina. Tenevo il lubrificante a portata di mano, non l'avrei mai allontanato. Ora lo farei se ne avessi bisogno, ma allora non volevo. Ero incuriosita. Aprivo le gambe, ci mettevo un po' di lubrificante e mi divertivo». 

«Non c'è dubbio che questa sia una condizione reale. Una volta eravamo in vacanza e lui ha dovuto dividere il letto con sua mamma. Ha detto che ha cercato di arrampicarsi su di lei nel cuore della notte. I suoi genitori sanno della sua sexsomnia - ci scherziamo tutti un po' - quindi lei l'ha gestita bene e l'ha respinto ed è stata molto comprensiva su tutto.

«Un'altra volta, ha dovuto condividere un letto con suo padre e ha fatto la stessa cosa. Suo padre era completamente spaventato ed è uscito immediatamente dalla stanza e ha dormito sul divano. Cose del genere lo hanno sconvolto, ma ci ha convissuto per tutto questo tempo, quindi immagino che ci sia abituato». 

«Penso che sia una cosa calmante per lui. Penso che si masturbi quando è stressato durante il giorno per scaricare la tensione. Forse il suo cervello decide che è una buona cosa da fare anche mentre dorme, se si sente ansioso».

«C'è un'altra ragione per cui non mi dispiace la sua sexsomnia. Entrambe le volte che sono rimasta incinta, è stato dopo un episodio. Ora abbiamo un bambino di sette anni per questo. Avevamo provato di tutto per avere un figlio ed solo il sesso notturno funzionava. Da allora, è successo molto meno. Penso che ora sia molto più calmo».

Nomi modificati per l'anonimato

Da cracked.com sabato 4 novembre 2023.

Ci piace pensare che la storia, per lo più, sia stata popolata da puritani che si nascondevano a letto per fare sesso. Non è così, anzi ci sono stati momenti in cui la dissolutezza avrebbe fatto vergognare i pornografi moderni. 

Il controllo delle nascite è un’invenzione moderna? Macché, risale all’antico Egitto, e anche gli antichi romani usavano un’erba per evitare il concepimento. La ceramica peruviana invece ci mostra un intero Kama Sutra: vulve, erezioni, rapporti anali e orali, bestialità e necrofilia. Nelle case romane penzolava il “fascinus”, fallo portafortuna appeso sulle porte o sui camini. 

Nel 1501 Papa Alessandro VI fece un banchetto a base di castagne. Le castagne erano in terra e venivano raccolte con la bocca da cinquanta prostitute nude, che danzavano e strisciavano. Inoltre, alcuni osservatori avevano il compito di elencare il numero e la qualità delle eiaculazioni dei partecipanti al festino.

Nel 1732 fu fondato il circolo scozzese “The Beggar's Benison”, club per soli uomini, altolocati e devoti alla conviviale celebrazione della sessualità maschile. I membri cenavano e bevevano insieme, discutevano di sesso, avevano a disposizione una biblioteca erotica, seguivano lezioni di anatomia (con modelle nude che posavano per istruirli meglio), e si dedicavano a masturbazioni collettive, parte integrante della cerimonia di iniziazione. 

L’era vittoriana è considerata puritana, ma è quella in cui gli scrittori hanno prodotto tonnellate di porno, romanzi a base di sadomaso, orge, incesti e stupri. La stessa Regina Vittoria era fanatica del sesso. Circa un terzo delle puritane, si presentava incinta il giorno delle nozze. La soddisfazione sessuale era un dovere matrimoniale e, se un uomo non si fosse occupato del piacere della moglie, la consorte avrebbe potuto chiedere il divorzio.

I sintomi dell’isteria erano nervosismo e irritabilità, una tendenza generale a creare problemi. La cura? Necessaria, prima con il ditalino, poi, quando le mani dei dottori si stancarono, nacquero i vibratori. Nel Settecento le donne indossavano abiti che coprivano le modestie, ma le parigine chiamate “marveilleuse” erano solite portare vestiti così velati da apparire nude, spesso li bagnavano per farli aderire di più al corpo. Le inglesi emularono la tendenza. 

Il vero Lawrence d’Arabia era uno stimato scrittore. Nella sua autobiografia “I sette pilastri della saggezza” raccontò di quando pagò un uomo per farsi picchiare e prese nota delle sensazioni. C’è anche descritta la scena esplicita di quando fu catturato dai turchi e violentato. Nel 1904 Inghilterra e Francia siglarono la fine di mille anni di guerra. Perché? Perché Edoardo VII adorava le prostitute francesi, tanto che un bordello parigino costruì una apposita sedia per ospitare la sua mole mentre faceva sesso con più donne contemporaneamente.

Per quattro secoli, chiunque volesse entrare a Milano, doveva passare sotto Porta Tosa, bassorilievo di una donna a gambe divaricate e con un rasoio nella mano destra nell’atto di radersi il pube. Questa era una pena inflitta alle adultere e alle prostitute, ma non è chiaro il suo significato: nel 1162 Milano era assediata dalle truppe di Federico Barbarossa e una fanciulla, per distrarre i soldati nemici, si mostrò sul balcone mentre si depilava, oppure è l’imperatrice di Costantinopoli ritratta come una prostituta, perché aveva negato aiuto ai milanesi dopo che Barbarossa aveva raso al suolo la città. 

Se l’Ulisse di James Joyce è ritenuto il primo libro di letteratura modernista, le lettere a sua moglie sono l’esempio del feticismo del peto. Il congresso di Vienna si tenne da novembre  1814 a giugno 1815, vi parteciparono tutti i leader europei per ridisegnare i confini e procedere con la restaurazione. In realtà nel castello di Schönbrunn si fecero moltissimo sesso e scambi culturali, le taverne dei dintorni vennero soprannominate “i negozi della scopata”.

William Kennedy Laurie Dickson è l'inventore della cinepresa, ma ha anche inventato il “peep show” attraverso al mutoscopio, una macchina a manovella che mostrava sequenze di donne che si spogliavano. La chiamò “What The Butler Saw”, ciò che vide il maggiordomo. 

DAGONEWS il 4 ottobre 2023.

Una svalvolata ha raccontato di aver avuto incontri intimi con un fantasma per oltre due decenni, ma di aver interrotto la relazione a causa del suo aspetto. Paula Flórez, originaria della Colombia, ha affermato di aver avuto rapporti sessuali con un fantasma per più di vent'anni: secondo il racconto della donna al programma televisivo “Sin Carreta”, le apparizioni avvenivano ogni notte ed erano iniziate quando era giovane.

La donna ha detto che il fantasma aveva fatto la prima mossa e lei alla fine era finita per innamorarsi. «Un giorno, ero sdraiata quando ho sentito una mano spostarsi dai miei piedi al mio petto. Era strano, avevo paura. Da quel momento in poi, ha iniziato a venire da me per fare sesso».

Ma tutto è cambiato il giorno in cui Paola ha finalmente visto il volto del suo amante, cosa che l’ha spinta a prendere una decisione definitiva sulla loro relazione: «Era un uomo molto grande. Ma il giorno in cui l’ho intravisto, ho notato che aveva le zanne e la faccia di un gargoyle. Da quel momento non ho più voluto continuare la relazione».  

Il parapsicologo Jairo Urbex ha detto: «Il caso di Paula non è affatto comune. Un incubo è un’entità demoniaca, è un’entità astrale inferiore e li descriviamo come vermi come a bassa vibrazione. Sono specializzati nel prendere l’energia delle persone».

DAGONEWS domenica 27 agosto 2023.

Dimenticate ogni tabù. Quelli che fino a qualche anno fa erano dei confini invalicabili oggi sono diventati terreno di esplorazione per molte coppie che amano sperimentare mettendo un po’ di pepe alla loro relazione. 

Per chi ancora non lo ha fatto la sexperta Annabelle Knight ha fatto luce su come bondage, letture erotiche, sex toys, il sesso anale e lo scambio di ruoli possano avere un posto prezioso in una relazione sana.

1. Bondage

Il BDSM un tempo era roba da club o amanti del fetish ed era considerato fuori dall’ambito tradizionale. Oggi in molti lo hanno sperimentato integrandolo nella loro sessualità e riuscendo ad ampliare il loro orizzonte di piacere. Qualunque sia il livello di esperienza, c'è sempre un modo per dilettarsi nel BDSM.

Usare una cravatta o una sciarpa per bendare la vista del partner può fare miracoli, in quanto sviluppa gli altri sensi e rende più sensibili al tocco. Ciò si traduce in un'esperienza sessuale più intensa e più spesso soddisfacente.

2. Letture erotiche

In passato la letteratura erotica incontrava degli ostacoli. Ma ora, grazie ad autori come Jilly Cooper, Sylvia Day e E.L James, la narrativa erotica è diventata così mainstream che si trova in tutte le librerie.

La narrativa erotica consente alle persone di vivere le proprie fantasie attraverso la finzione, oltre a raccogliere nuove idee per la camera da letto. In coppia, leggere insieme può essere un'enorme svolta e, in un certo senso, può fungere da preliminare. 

3. Sex toys per coppie

SESSO 2

Secondo il sondaggio sulla felicità sessuale di Lovehoney, oltre i due terzi di noi credono che il sesso abbia un ruolo importante nella nostra felicità generale, motivo per cui sempre più persone stanno espandendo il loro orizzonte con i sex toys. 

Per molti, i sex toys sono confinati alla masturbazione, ma molte coppie hanno trovato il modo di integrarli nella loro vita sessuale. Gli anelli  vibranti sono i sex toys per coppie più raccomandati in quanto migliorano l'erezione e stimolano il clitoride esterno.

4. Sesso anale

In alcuni ambienti il sesso anale è ancora un tabù, tuttavia sta diventando una pratica sessuale più ampiamente accettata. Negli anni Novanta circa il 25% delle persone aveva provato l'anale, ma quella cifra è salita a circa il 40% nel 2009. 

I benefici del sesso anale sono enormi, non solo puoi raggiungere un tipo di orgasmo completamente diverso, ma il sesso anale è privo di rischi di gravidanza e, per coloro che soffrono di vaginismo, consente una penetrazione, senza disagio o dolore. 

5. Scambio di ruoli

Oggi accettiamo molto di più di allontanarci dai ruoli tradizionali in camera da letto. Il pegging, la penetrazione dell’uomo tramite una cintura usata dalla compagna, sta ottenendo sempre più popolarità. Un paio d'anni fa quasi la metà delle coppie non aveva idea di cosa fosse il pegging, da allora le vendite di strap on e set sono aumentate di quasi il 200%.

DAGONEWS il 23 aprile 2023.

Se hai meno di 30 anni, è normale come fare sesso orale. I feed dei social media, i forum, le riviste femminili parlano solo di questo ed è una pratica sessuale che piace ai millenial: si tratta di soffocare o strangolare il partner per aumentare l’intensità del sesso. 

Come sottolinea la sexperta Tracey Cox, ovviamente la sua popolarità può essere collegata al porno che raffigura atti violenti e aggressivi, tra cui il soffocamento, gli schiaffi, gli sputi e imbavagliare il partner.

I giovani usano il porno come educazione sessuale e crescono convinti che il soffocamento faccia parte di una vita sessuale "normale". Ma se ad alcune donne piace essere soffocate (di solito in maniera leggera), la maggior parte lo fa per dare piacere ai propri partner. Che è, ammettiamolo, allarmante.

Peggio ancora se viene fatto senza consenso. Del settantuno per cento degli uomini che avevano soffocato, imbavagliato o sputato addosso a una partner durante il sesso, un terzo non le aveva chiesto se le sarebbe piaciuto. La cosa più spaventosa di tutte: la maggior parte delle donne pensa che sia sicuro. Sono qui per dirti che non lo è. 

Il fascino di essere leggermente soffocato

C'è un'enorme differenza tra un leggero soffocamento o andare oltre.

Soffocamento leggero: il tuo partner ti mette una o due mani sulla gola e semplicemente le tiene lì o applica una leggera pressione, è ragionevolmente sicuro. Si tratta più di una fantasia. Avere le mani di un uomo intorno alla tua gola gioca con le fantasie sulla sottomissione. Questa persona ti vuole così tanto che farebbe di tutto per averti. Tu senti di avere potere su loro, non viceversa.

Togliere il respiro è diverso

Quando l'ossigeno è limitato al cervello, ti senti stordito. Quando la pressione viene rilasciata, l'afflusso di respiro che segue rilascia endorfine che creano una sensazione di accresciuta euforia. 

Il corpo rilascia questi ormoni come reazione. Può essere piacevole e provocare orgasmi intensi. Sembra attraente? Questo piacere ha un costo. Sbagliare il soffocamento - ed è facile - può portare a lesioni gravi e persino alla morte.

Nessun medico lo consiglia

Pochi, se non nessuno, operatori sanitari giustificano il soffocamento. Il confine tra gioco sicuro e pericoloso è troppo sottile.

Dai un'occhiata al tuo partner quando è alle prese con l'orgasmo. La maggior parte degli uomini (e delle donne) scompare in un mondo interiore: ignari di ciò che sta accadendo nel mondo esterno, consapevoli solo del piacere che stanno provando. 

Premere troppo forte sulla laringe, può uccidere qualcuno in meno di un minuto.

Lasciatemelo ripetere: meno di un minuto.

Il soffocamento può causare attacchi di cuore, danni cerebrali, danni alla laringe, vomito che può causare problemi respiratori a lungo termine e morte. 

Anche se prendi tutte le dovute precauzioni, gli effetti collaterali possono comunque includere tosse, sensazione di disorientamento, sonnolenza, debolezza muscolare e perdita di coordinazione. Potrebbero non sembrare conseguenze pericolose, ma non è così. 

Cosa fare se un partner vuole farlo

Date le conseguenze, non sorprende che molte donne non vogliono farlo. Ma nemmeno tutti gli uomini amano farlo. Il soffocamento va contro tutto ciò che è stato detto agli uomini: mai fare del male a una donna. 

Alcuni sono scioccati se una donna chiede loro di farlo. Quindi come gestire se il tuo partner suggerisce di essere soffocata e non sei interessato? 

Dì semplicemente: «Posso capire perché vuoi farlo, ma non è qualcosa che mi interessa. È troppo pericoloso». Potreste dirottare su altro come stringere leggermente intorno al collo, tirare i capelli, mordersi, baciarsi. Al contrario, un uomo che rispetta la propria partner non si azzarderà a farlo se tu non vuoi.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 21 gennaio 2023.

Hai mai provato una strana eccitazione sessuale per qualcosa di insolito? Potresti avere un feticcio. Succede a molti di noi: gli studi mostrano che un'alta maggioranza delle persone a cui piace il sesso ne ha almeno uno!

 Un feticcio significa che hai un fascino accresciuto per un oggetto specifico o una parte del corpo non genitale e lo usi per la gratificazione sessuale.

 Menziona "feticcio" e la maggior parte delle persone pensa a qualcosa di "sexy": volere che un amante indossi un corsetto, calze, tacchi alti o un collare per cani.

 Ma secondo lo psicologo sociale Dr Justin Lehmiller le persone possono sviluppare feticci sessuali praticamente per qualsiasi cosa. «Non è un'esagerazione dire che qualsiasi cosa potrebbe essere un feticcio per qualcuno». Macchine, insetti, statue, gatti, sono tutti nella lista dei feticci.

 Due persone possono avere lo stesso feticcio – un feticismo del piede, per esempio – e viverlo in modi completamente diversi. A una persona potrebbe piacere annusare o leccare i piedi; un altro toccare e sentire mentre un terzo potrebbe semplicemente divertirsi a guardarli.

Come si sviluppano i feticci?

 La maggior parte degli esperti del settore pensa che il feticcio si sviluppi per via di un'esperienza sessuale precoce con un'eccitazione elevata (con o senza orgasmo) in cui era presente un particolare oggetto o esperienza.

 Se la tua maestra a scuola ti ha sculacciato per aver fatto qualcosa di sbagliato quando avevi sei anni, e la cosa ti ha eccitato, potresti sviluppare un feticcio per i vestiti che indossava.

 Fondamentalmente, si tratta di "accoppiare" e "condizionare", due atteggiamenti illustrati nel famoso studio sul cane di Pavlov.

 Il fisiologo Ivan Pavlov ha condizionato i cani a produrre saliva non solo come risposta al cibo, ma anche al suono di una campana. Suonava il campanello, quindi dava loro da mangiare una polvere di carne che gli induceva la salivazione. Ripetendo l'esperimento più e più volte, i cani hanno iniziato a sbavare al suono del campanello, prima di ricevere la polvere di carne, perché l’associavano al cibo.

Se abbini qualcosa a una ricompensa sessuale, la persona ne sarà eccitata.

 Il dottor Jim Pfaus, un ricercatore in neuroscienze comportamentali, ha utilizzato gli stessi metodi per collegare l'eccitazione sessuale nei ratti agli odori e ai vestiti.

 Ha permesso a ratti maschi vergini di fare sesso con femmine di ratto che indossavano piccole "giacche". Più tardi, quando gli scienziati hanno dato ai maschi la possibilità di accoppiarsi di nuovo, i topi hanno preferito fare sesso con le femmine che indossavano la giacca piuttosto che con quelle "nude".

Studi precedenti hanno addestrato i ratti ad associare un certo odore al sesso (mandorla), e i ratti maschi hanno preferito accoppiarsi con le femmine che avevano quel profumo.

 Va tutto bene, posso sentirti dire, ma i risultati sono gli stessi per gli esseri umani? Puoi rendere un centesimo "sexy"? Negli anni '60, i ricercatori decisero di testare la teoria della risposta pavloviana e vedere se si applicava al sesso.

 Hanno chiesto agli studenti universitari maschi di visualizzare immagini di donne nude e immagini di stivali. Inizialmente, gli uomini non erano eccitati dall'immagine degli stivali da soli. Ma quando l'esperimento è stato ripetuto più e più volte, lo sono diventati.

 L'abbinamento di stivali e nudità ha funzionato: gli stivali li hanno fatti sentire vicini al sesso.

Chiedendosi se il legame stivali-sesso stesse distorcendo i risultati (dato che molti uomini trovano gli stivali sulle donne sexy), i ricercatori negli anni '90 hanno deciso che avrebbero cercato di far eccitare gli uomini con qualcosa di completamente e assolutamente non eccitante.

 Hanno optato per l'immagine di un barattolo di monete – niente di sessuale lì! - e hanno ottenuto lo stesso risultato. Una volta che i penny sono stati collegati con immagini di sesso, le immagini dei penny da sole hanno eccitato i partecipanti maschi.

Ecco come si formano i feticci. Ma in quali persone si sviluppano? Alcune persone hanno maggiori probabilità di sviluppare un feticcio rispetto ad altre?

 Sì: gli uomini hanno maggiori probabilità di sviluppare feticci rispetto alle donne. Ci sono vari motivi sociali che spiegano questo fenomeno (le donne non sono così incoraggiate a esplorare il 'kink' e hanno maggiori probabilità di essere giudicate se lo fanno).

 I feticci potrebbero anche essere collegati al nostro livello di "eccitabilità" personale. Alcune persone si eccitano facilmente, altre hanno bisogno di una stimolazione fisica più intensa. Non sorprende che le persone che hanno un'elevata eccitabilità apprezzino il sesso più di quelle che non la hanno.

Se il tuo livello di eccitazione è basso, ci vuole una grande quantità di stimoli per interessarti anche solo lontanamente al sesso. È molto in basso nella tua lista di "Cose che mi piacciono"... a meno che non succeda qualcosa che ti faccia finalmente eccitare.

 Cerca un amante più avventuroso. Che voglia provare qualcosa che tu non fai - un gioco con le manette, sculacciate, strapparsi i capelli - e improvvisamente sentirai che le tue terminazioni nervose prendono vita. «Quindi ECCO come dovrebbe essere il sesso!», penserai, euforico.

 Qualunque cosa tu abbia appena provato diventerà rapidamente il modo preferito per goderti il sesso - e perché non dovrebbe! Più "combatti" un feticcio, più lo desideri.

 I feticci diventano potenti perché sono etichettati come "perversi" e "sbagliati" dalla società, il che li rende ancora più attraenti. Più hai voglia di goderti qualcosa, più forte diventa il desiderio per esso.

Il sesso che la maggior parte delle altre coppie vive non può essere paragonato al brivido cattivo che provi indulgendo nella tua "cosa". Ma è brutto. Non dovresti volerlo ma lo vuoi ancora di più. In effetti, preferiresti non fare sesso, piuttosto che fare sesso senza di esso.

 Guardare il porno può creare un feticcio?

 Il porno può avere un ruolo nello sviluppo di un feticcio.

 Sei eccitato sessualmente mentre guardi il porno, quindi è abbastanza facile "abbinare" quell'eccitazione a qualcosa. Potresti iniziare a notare che il tuo video porno preferito include donne che hanno un tipo specifico di tatuaggio. Improvvisamente Marnie, un'amica da cui non sei mai stata attratto prima, prende dell'inchiostro e senti un'emozione che prima non c'era.

Entra in gioco anche l''assuefazione': se fai qualcosa più e più volte, ti ci abitui e il brivido svanisce. È quindi necessario spingersi a un nuovo livello per ottenere la stessa spinta.

 Questa è spesso la teoria che viene propagata per spiegare l'attrazione dell'asfissia autoerotica: soffocarsi per ottenere lo "sballo" euforico che secondo alcuni si innesca quando il cervello ha fame di ossigeno. Alla ricerca di quel livello successivo, alcuni si spingono così lontano da morirne.

 Il dottor Pfaus, l'uomo che ha messo le giacche ai topi, trova interessante che il porno vecchio stile – il porno che guardavamo all'inizio – non abbia effetto su questa generazione.

 Il porno di oggi è molto più grafico. Ed è disponibile in grande quantità, il che ci rende necessario immagini sempre più esplicite.

Riesci a sbarazzarti di un feticcio?

 Non proprio. Siccome si sviluppano durante l'infanzia e di solito si formano durante le nostre prime e più intense esperienze sessuali, diventano parte della nostra sessualità.

 La maggior parte dei feticci non fa male alle persone (a meno che il feticcio non riguardi il dolore e di solito viene fatto con un adulto consenziente). La maggior parte è abbastanza innocua, anche se gli amanti tradizionali e conservatori possono trovare difficile capirle e relazionarsi.

Invece di cercare di sradicare un feticcio che ti sta causando angoscia, è meglio imparare ad accettarlo e conviverci.

 Questo di solito significa trovare una comunità di persone che condividono lo stesso feticcio e imparare a goderselo, piuttosto che esserne traumatizzato.

CUNNILINGUS. Vanessa Marin per lifehacker.com.au sabato 25 novembre 2023.

Il cunnilingus è una delle pratiche sessuali più difficili da eseguire, almeno per chi considera gli organi genitali femminili “complicati” da interpretare. Ecco una guida per mettere da parte queste antiche credenze e regalare alla vostra partner un sesso orale da sballo

Per questa guida mi sono avvalsa dell’aiuto di Ian Kerner, autore di “She Comes First: The Thinking Man’s Guide To Pleasuring A Woman”. Come terapista sessuale ho letto tantissimi libri sul tema e “She Come First”, a mio parere, contiene una serie di dettagli indispensabili per eseguire un buon cannilingus. 

Primo: mettetela a proprio agio 

A molte non piace ricevere sesso orale, alcune pensano di non avere un odore o un sapore piacevoli, altre credono che i loro genitali siano brutti, altre ancora pensano al proprio partner non piaccia, o si vergognano di essere al centro dell’attenzione. Le donne sono famose per essere ipercritiche sui loro corpi e l’idea di avere i vostri occhi, la vostra bocca e il naso a contatto con la parte più sensibile del loro corpo può creare qualche resistenza.

“Per metterla a suo agio – dice Kerner – dovete rivalutare in toto l’esperienza del sesso orale”. Uno dei pregiudizi più sbagliati sul cunnilingus è che “dentro” sia meglio che “fuori”. Per molte donne il sesso orale è l’atto sessuale più piacevole che esista, ancor più che quello tradizionale. 

Per questo è sbagliato considerarlo una specie di antipasto prima di passare alle cose serie. Quando decidete di farlo prendetelo come una cosa seria, e sentitevi eccitati tanto quanto lei. Nel libro di Kerner c’è un capitolo (The Cunnilingus Manifesto) che spiega i tre presupposti fondamentali per aiutare voi e la vostra partner a vivere un’esperienza migliore:

“Primo, ‘andare giù’ vi eccita e vi piace tanto quanto piace a lei.

Secondo, non abbiate fretta, assaporate ogni istante.

Terzo, il suo profumo vi accende, il suo sapore vi scatena”. 

Se siete d’accordo con i tre punti precedenti sappiate che siete già anni luce avanti rispetto a moltissimi altri uomini. 

Mettetevi comodi e fatela eccitare

Fare le cose con calma è un segreto per aiutarla a rilassarsi e a godere di quello che tenete in serbo. Il clitoride è molto sensibile, per cui non puntate subito a quello. Kerner raccomanda di passare molto tempo baciando la vostra partner, abbracciarla, parlarle nell’orecchio, prima di scendere tra le sue gambe. 

Una volta che siete lì, ancora una volta, non abbiate fretta. Kerner suggerisce di iniziare con movimenti morbidi della lingua dal basso verso l’alto. Le donne hanno bisogno in media di 20 minuti per raggiungere l’orgasmo, quindi è necessario che vi mettiate comodi:

“Assicuratevi che il vostro corpo sia appoggiato bene. Tenete le vostre labbra e la lingua ad un angolo di 45 gradi per un maggior comfort, lasciate che lei prema il suo corpo sulla vostra bocca, le sue cosce dovranno essere chiuse abbastanza da consentirvi di appoggiare la testa per stare più rilassati”. 

Se non vi piace la posizione prona potete inginocchiarvi per terra, ai piedi del letto, con la testa tra le sue gambe. In ogni caso assicuratevi di essere in una posizione comoda per affrontare il “viaggio” verso il piacere. 

Concentratevi sulla ripetizione, siate delicati

Nel libro di Kerner ci sono tanti buffi esempi di uomini che provano a cimentarsi nel sesso orale. Una donna si lamentava del suo uomo, che le assaliva il clitoride come un torero in una corrida spagnola, un’altra dice di essersi sentita “come un cobra che si difende da una mangusta”. Il trucco, spiega Kerner, è quello di immaginare la lingua come una farfalla che sbatte le ali, come un pennello magico che dipinge su una tela. Tradotto: è meglio essere delicati e metodici piuttosto che “acrobatici”. 

Dovete trovare un metodo che funziona e continuare imperterriti con quello. Ho chiesto ha Kerner qualche dritta per iniziare e lui mi ha risposto:

“Aprile le grandi labbra e leccale l’area appena sopra il clitoride, usa l’indice per alternare il movimento verticale della lingua con uno orizzontale. Quando vedi che si sta bagnando bene puoi inserire un dito all’interno, anzi meglio due. All’inizio usa solo la lingua aggiungi le dita per passare ad una nuova fase del piacere. Non cercare di fotterla sia con la lingua che con le dita, usa le mani per toccarle la parete superiore della vagina, dove si trova il punto G, mentre continui a leccare con insistenza”. 

Questa tecnica è molto utile per iniziare, ma ogni donna ha i suoi gusti. Ad alcune piace essere toccate e leccate allo stesso tempo, ad altre no. Perciò la cosa migliore che potete fare è stare attenti alle sue reazioni, o ancora meglio: parlatele! Se una donna sa cosa vuole ve lo dirà molto volentieri. 

Concentratevi sulla commessura labiale anteriore

L’approccio di Kerner al cunnilingus si concentra sulla stimolazione della commessura anteriore, l’area immediatamente sopra al clitoride. È una parte morbida della vagina spesso trascurata, ma in realtà toccandola si stimolano alcune terminazioni interne del clitoride. Ecco i consigli di Kerner per farlo bene: 

“Mettete le labbra in fuori come se doveste dare un bacio, leggermente aperte, e poi premetele contro la commessura di lei. Provate a fare delicatamente il vuoto tra la vostra bocca e la sua vagina, un po’ sopra il clitoride, mentre continuate a leccare”.

Se fate fatica a immaginare come si fa, pensate alle vostre labbra mentre date un morso ad una mela (senza i denti, ovvio). 

Preparatevi all’orgasmo 

Quando lei si avvicina al culmine del piacere, Kerner consiglia di chiuderle ulteriormente le gambe per aumentare la stimolazione. Ma la cosa più importante che dovete ricordare è di non cambiare mai il ritmo e la cadenza delle pennellate con la lingua. Non lasciatevi prendere dalla smania di accelerare. Continuate come stavate facendo, precisi e metodici. La continuità è la chiave del piacere per molte donne, quindi se avete trovato qualcosa che funziona, continuate a farlo. Se vi allontanerete dal sentiero, avrete a che fare con donne molto frustrate.

Il clitoride è estremamente sensibile dopo l’orgasmo, quindi lasciatelo “raffreddare” prima di iniziare con qualcos’altro. Ditele quanto vi è piaciuto stare in contatto con il suo corpo perfetto, e congratulatevi con voi stessi per il lavoro ben fatto!

Estratto dell'articolo di today.it giovedì 23 novembre 2023.

La risposta alla domanda “Perché facciamo sesso orale?” sembra scontata: perché genera piacere sia negli uomini che nelle donne. Tuttavia, dietro questa pratica si nascondono anche altre ragioni inconsce. Fu Freud per primo a demolire il preconcetto secondo cui la sessualità appartiene solo all'età adulta. Il bambino è definito dal padre della psicanalisi come un "essere perverso polimorfo": "perverso" perché ricerca il piacere senza alcun fine riproduttivo, "polimorfo" perché ricerca il piacere con varie parti del suo corpo.

"Sin da piccoli utilizziamo la bocca per nutrirci ma anche per sentirci gratificati - spiega a Today il prof. Fabrizio Quattrini, psicoterapeuta, sessuologo e Presidente dell’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica di Roma -. Nel corso dello sviluppo, l’utilizzo della cavità orale per generare piacere rimane, come un copione, interiorizzato nella persona, e permane anche nell'età adulta. Questo aspetto inconscio spiegherebbe il perché sperimentiamo il contatto della nostra bocca (e lingua) coi genitali del nostro partner". 

"Nel caso in cui - continua Quattrini - è la persona a ricevere la fellatio, questo atto acquisisce più che un significato gratificante: l’organo genitale subisce una stimolazione che genera un’estrema sensazione di piacere. Quindi esiste una doppio punto di vista sul sesso orale: uno strettamente evolutivo (dimensione inconscia), e l’altro legato alla sviluppo dell’essere umano (dimensione conscia), e quindi al fatto che l'organo genitale (una zona estremamente erogena e sensibile), se stimolato, può generare piacere". 

Fabrizio, esistono differenze di genere nel rapporto orale?

"Probabilmente ci sono differenze legate esclusivamente al piano socio-culturale. Mentre l’uomo ha sempre avuto un rapporto stretto con la sessualità poichè il suo organo genitale è esterno, ben visibile, e considerato da sempre fonte piacere, per la donna il discorso è diverso. La donna ha scoperto la dimensione sessuale insieme alla scoperta del suo organo genitale. E solo nei tempi più recenti ha scoperto che la stimolazione diretta della clitoride con la lingua, o con la bocca del partner, può essere estremamente gradevole. […] Il rapporto orale (come quello masturbatorio) non è un preliminare del rapporto penetrativo, ma un rapporto sessuale vero e proprio che comprende desiderio, eccitazione, orgasmo e risoluzione".

[…] 

Per un certo numero di persone sempre più esiguo (in particolare donne) è ancora un tabù. Come mai?

"[…] Oggi sono sempre meno le donne che vivono questa esperienza come tabù, ciononostante potrebbe essere importante non solo parlarne ma garantire alla donna una migliore educazione alla sessualità per farle comprendere tutti gli aspetti che possono procurarle piacere […]".

Il sesso orale può migliorare il rapporto e la relazione, e sostituire un rapporto completo?

"Sicuramente il sesso orale può migliorare una relazione, ma non va a sostituire il rapporto completo perché quest’ultimo, inteso come atto penetrativo, ha caratteristiche completamente diverse. […]". 

Quali sono i rischi del sesso orale?

"I rapporti orali si definiscono "quasi sicuri", nel senso che non sono sicuri al 100%, ma sono un pò più sicuri dei rapporti penetrativi. Questo perché se ci sono delle infezioni trasmissibili sessualmente anche il passaggio a livello orale potrebbe essere rischioso. Però va anche chiarito che la bocca è un apparato molto sporco, e questo potrebbe impedire, grazie a una serie di protezioni naturali, la trasmissione di alcuni batteri. Tuttavia è sempre importante proteggerci ancor di più se il partner non si conosce, o si hanno delle modalità di relazione un po’ più promiscue. […]".

DAGONEWS domenica 12 novembre 2023.

Occhio alle pompe: la dottoressa Daria Sadovskaya mette in guardia sul sesso orale avvertendo che è uno dei fattori di rischio del cancro alla gola, più del fumo.

Nonostante l’American Cancer Society sostenga che l’uso del tabacco sia il primo fattore di rischio del cancro orofaringeo, Daria Sadovskaya ha postato un video su Tik Tok per mettere in guardia dai danni del sesso orale.

L'American Cancer Society cita il sesso orale come una potenziale causa di cancro alla gola, dato che il papillomavirus umano, comunemente noto come HPV, può essere trasmesso durante l'atto. L’HPV è l’infezione a trasmissione sessuale più comune, con circa 13 milioni di nuovi casi ogni anno negli Stati Uniti.

È così diffuso che, secondo  i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie , “quasi tutti gli uomini e le donne sessualmente attivi contraggono il virus ad un certo punto della loro vita”. 

Sebbene l'HPV di solito scompaia da solo entro due anni, la maggior parte delle persone non si rende conto di averlo, il che significa che può diffondere involontariamente la malattia.  «Gli uomini hanno maggiori probabilità di sviluppare il cancro alla gola facendo sesso orale poiché le donne hanno maggiori probabilità di avere il virus». In effetti, gli uomini sono stati colpiti in modo più significativo dal cancro orofaringeo legato all’HPV, con tassi di diagnosi in aumento del 2,8% ogni anno negli uomini dal 2015 al 2019 .

Tuttavia, i tassi sono aumentati dell'1,3% anche tra le donne, tanto che Sadovskya consiglia agli uomini di indossare il preservativo se vogliono del sesso orale.

Nel 2013 l’attore Michael Douglas aveva dichiarato al Guardian che il sesso orale era la causa del suo cancro alla gola: «Senza voler entrare troppo nello specifico, questo particolare cancro è causato dall'HPV, che in realtà deriva dal cunnilingus».

Rachel Hills per cosmopolitan.com sabato 28 ottobre 2023. 

Quando è stata la prima volta che hai praticato la "deep throat"?

Donna A: Non saprei dire quando è stata la prima volta. Quanto in fondo bisogna arrivare per considerarsi "gola profonda"? Volevo solo mettermi alla prova. È successo in modo naturale – ho provato ad andare più in fondo e lui ha attivamente provato a facilitarmi. 

Donna B: È stata una mia idea. All'inizio l'ho fatto perché pensavo che fosse ciò che "ci si aspetta" da una ragazza quando pratica del buon sesso orale. Volevo essere brava e compiacere il mio partner, così ho provato. Ho fatto prima pratica su una banana. Per fortuna il mio partner ce l'aveva più piccolo di una banana. 

Cosa ti ha spinto a provare?

Donna A: Ci sono arrivata tramite una dinamica SM, perché mi sentivo sicura nei confronti del mio partner e avevo questo forte desiderio di compiacerlo e spingermi oltre i miei limiti. Il sesso orale è sesso a tutti gli effetti, la sensazione è quella di fare all'amore con lui con la mia bocca. Significa condividere una parte profonda di me con lui, e lui l'adora e sa che è speciale.

Donna B: Mi piaceva l'idea di impressionare il mio compagno con le mie abilità nel sesso orale. Ora, mi piace praticare il "deep throat" per molte altre ragioni. So che al mio partner piace sentire la punta del suo pene contro la parete della mia gola. Dice che quella parte del mio corpo è super morbida e trasmette una splendida sensazione alla punta del suo pene. 

Quale pensi sia l'attrattiva di questa pratica? Sia per gli uomini che per le donne.

Donna A: Lo stessa del sesso orale in generale, l'intimità e la profondità. È una magnifica espressione della dicotomia forza/vulnerabilità del sesso in generale, il condividere e scambiarsi il potere. È una sfida.

Donna B: Alla maggior parte degli uomini piace guardare; la maggior parte degli uomini è infatuata del proprio pene. Quando una donna pratica la "gola profonda", questo dà al partner un senso di controllo, di potere e di mascolinità. Alla maggior parte degli uomini questo piace. Credo che le donne per lo più pratichino il "deep throat" per compiacere il partner. È capitato che lo facessi perché mi trovavo in una posizione di sottomissione nei confronti del mio partner, mentre giocavamo di ruolo. La cosa mi ha eccitato un po' perché mi eccita compiacerlo. In più, in quella situazione, il deep throat faceva un po' parte del gioco dei ruoli. 

È qualcosa che gli uomini chiedono spesso?

Donna A: Non così tanto. Parleranno della mia abilità nel farlo, come quando si condividono le rispettive esperienze sessuali. Spingeranno un po' mentre pratico sesso orale su di loro, ma se continuassero a spingere, probabilmente mi fermerei. L'incoraggiamento è una buona cosa ma mirare a tutti i costi a quello, come se alla fine del buon sesso orale si riducesse solo a quello è solamente noioso. So quello che faccio; non ho bisogno di un tipo convinto di dover spuntare a tutti i costi quest'esperienza dalla lista.

Donna B: Non mi è mai capitato un tipo che lo abbia chiesto espressamente. Tuttavia mi sono capitati uomini che hanno detto di gradire quella parte del sesso orale. Personalmente penso che se un uomo percepisce il "deep throat" come un obbligatorio, allora in ballo ci sia questione di predominio. In quel caso consiglio di procedere con attenzione. Non fare mai niente di sessuale con il tuo partner che non ti va di fare. 

Quanto è importante il "deep throat" ai fini di una buona prestazione orale?

Donna A: Non è essenziale, ma dipende davvero dal livello di intimità con quella persona o dall'umore del momento. Trovo che in alcuni giorni sia più difficile che in altri, in quel caso non lo faccio, ma il sesso orale che pratico resta comunque della miglior qualità, naturalmente.

Donna B: Secondo la mia esperienza, la maggior parte degli uomini apprezzano la "gola profonda" ma non è in nessun modo essenziale ai fini di un buon sesso orale. La maggior parte della sensibilità per gli uomini è sulla punta del pene. Mulinare un po' la lingua sulla punta del pene con un bel po' di saliva e la tua mano sono tutto quello che ti serve per farlo al meglio.

Hai qualche consiglio su come farlo bene?

Donna A: Familiarizza con calma. Non fare pratica con nessuno che non ti lascia fare le cose secondo il tuo ritmo. Poi utilizzare un sex toy per fare pratica da sola, ma una persona vera ovviamente non se ne sta ferma e la sensazione è diversa – i peni veri possono arrivare molto più giù. Concentrati sulla posizione della lingua– si tende a posizionarla istintivamente e a volte quello che fai potrebbe incoraggiare il riflesso del vomito – per cui concentrati sul tenerla in una posizione che non lo permetta. 

Donna B: Non permettere mai a un uomo di soffocarti se non ti piace questa sensazione mentre fai il "deep throat", e non assecondare questo comportamento. Sei tu quella là sotto che gli sta dando piacere. Dovrebbe apprezzare anche solamente il fatto che sei lì. 

Come previeni il senso di soffocamento?

Donna A: Onestamente, non lo so. A volte non riesco a impedirmi di provarlo. Non ho idea di come prevenirlo.

Donna B: Spalanca la gola come se stessi sbadigliando o ingoiando una pillola molto grande. 

Mettiamo che una donna non voglia eseguire questa pratica. C'è qualcos'altro che può fare in sostituzione che possa ricreare la stessa sensazione?

Donna A: No. È una cosa decisamente unica.

Donna B: Si può utilizzare la mano o le mani e tantissima saliva oppure del lubrificante aromatizzato. Stringi la base del suo pene con una mano e fai scivolare l'altra su e giù lungo la sua asta vicino alle tue labbra come l'estensione della tua bocca. Fai mulinare la lingua sulla punta sensibile nel suo pene o appiattiscila su di esso in modo che la sensazione sia simile a quella del retro della tua gola. 

Quali sono i pregiudizi nei confronti del "deep throat", secondo te?

Donna A: Le stesse che riguardano il sesso orale in generale, direi – che si è sempre l'uomo a spinga per ottenerlo mentre le donne preferirebbero di no, che sia automaticamente "brutto" perché è sgradevole farlo bene, e che sicuramente vomiterai... Principalmente penso che il pregiudizio più grande sia che è una cosa davvero degradante e umiliante da fare. Il sesso orale provoca vulnerabilità ancora più negli uomini che a noi. È per questo che fanno gli spacconi e i misogini e si danno delle arie quando se ne parla, per distogliere l'attenzione dal fatto che potremmo letteralmente menomarli nel processo. Voglio dire, in ogni caso, che nessun atto sessuale è intrinsecamente degradante o umiliante. Se qualcosa ti fa sentire così allora questo riguarda la persona con cui lo stai facendo non l'atto in sé.

Donna B: Il più grande pregiudizio è che sia assolutamente necessario ai fini di un buon sesso orale, ma ci sono così tanti modi per utilizzare le mani e la bocca. La "gola profonda" è solamente una di tante mosse possibili.Dagospia. Comunicato Stampa il 17 Settembre 2023

«Il sesso orale ha un ruolo fondamentale non solo come fonte di piacere ma anche come strumento per trovare una maggiore empatia con il partner» sostiene il fondatore di CougarItalia.com, il primo portale in Italia a specializzarsi nel promuovere incontri tra donne più grandi e uomini più giovani, che ad agosto di quest'anno ha curato una ricerca proprio su questo tema.

Per quanto riguarda la fellatio, poi, un'altra ricerca condotta dalla State University di New York dimostra che lo scambio dei liquidi può essere un ottimo antidepressivo naturale. Dopo aver esaminato la vita sessuale di 293 donne e confrontato il loro stato di benessere mentale, i ricercatori hanno dimostrato l'esistenza di un elevato grado di correlazione tra benessere psichico ed assunzione di liquidi seminali, che contengono serotonina, melatonina, cortisolo ed ossitocina, ormoni capaci di migliorare l'umore e di combattere l'insonnia.

«Certo è che, a prescindere dalla chimica, il sesso orale ha un ruolo sempre più centrale in una relazione, può addirittura sostituire un rapporto completo e perfino evitare di essere traditi» conclude il fondatore di CougarItalia.com.

La conferma arriva dalle ricercatrici Sarah Vannier e Lucia O'Sullivan del dipartimento di psicologia della University of New Brunswick, la più antica università di lingua inglese in Canada, nel loro lavoro "Who gives and who gets: why, when and with whom young people engage in oral sex"

Comunicato stampa “Incontri-ExtraConiugali.com” sabato 16 settembre 2023.

È boom del sesso orale, ma al di fuori della coppia. Un sondaggio condotto dal 27 al 31 marzo 2023 da Incontri-ExtraConiugali.com, il portale più affidabile dove cercare un’avventura in totale discrezione e anonimato rileva che tra le coppie ufficiali i rapporti orali hanno una ricorrenza che sono in media la metà rispetto a quella che si registra tra le coppie clandestine, sia per gli uomini che per le donne. 

«Sia il sesso orale che il BDSMsono pratiche che ormai non sono più un tabù, ma al tempo stesso all’interno di una coppia già strutturata non si ha l’ardire e il desiderio di concretizzare queste esperienze. Molti non trovano neanche il “coraggio” di parlarne con il partner, altri riferiscono di averci provato ma che poi l’esperienza è stata disastrosa» sottolinea Alex Fantini, ideatore di Incontri-ExtraConiugali.com. 

Non è così per chi cerca una relazione extraconiugale. «In questo caso entrambi hanno già a priori il desiderio di trasgredire e quasi sempre si stabilisce già prima di un incontro cosa si vuole sperimentare. Insomma i desideri coincidono a priori ed il risultato è sempre più appagante rispetto ad una trasgressione all’interno di una coppia già consolidata» spiega Alex Fantini. 

Dal sondaggio emerge anche che le parti tendono ad invertire i ruoli, passando dal cunnilingus alla fellatio, dalla dominazione alla sottomissione, e che entrambe le forme di trasgressione —sesso orale e sadomasochismo— sono vissute come una forma di “altruismo”, come dimostrato da uno studio pubblicato sul Journal of Sex Research (bit.ly/3zzdKJu), condotto congiuntamente dai dipartimenti di Sociologia dell’Università dell’Indiana (Laura Backstrom e Jennifer Puentes) e dell’Università del Michigan (Elizabeth Armstrong), che ha potuto dimostrare che le donne gradiscono il cunnilingus tanto quanto gli uomini gradiscono la fellatio.

«Sempre più emancipate ed aperte, le donne perseguono il loro diritto a provare piacere —quindi a richiederlo— ed a trasgredire, nel duplice ruolo di dare-avere. E sono proprio loro, le donne a fare da traino a questo fenomeno: gli uomini seguono ben volentieri questa tendenza» commenta il fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com. 

La ricerca «Who gives and who gets: why, when and with whom young people engage in oral sex» del dipartimento di Psicologia dell’Università del Nuovo Brunswick in Canada (Sarah Vannier e Lucia O’Sullivan) ha poi confermato ulteriormente i motivi fisici alla base dell’aumento del desiderio di sesso orale. 

Ed ancora un’altra ricerca, condotta dalla Università Statale di New York, ha dimostrato che lo scambio di liquidi è un efficace antidepressivo naturale. «I ricercatori hanno riscontrato una correlazione importante tra benessere psichico e l’assunzione di liquidi seminali: contengono serotonina, melatonina, cortisolo ed ossitocina, ormoni capaci di migliorare l’umore e combattere l’insonnia» sintetizza il fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com.

Da leggo.it - articolo del 2017

Il sesso orale, ciliegina sulla torta degli incontri più hot, non sempre sarebbe gradito dai maschietti, se non "praticato" nel modo corretto. 

Il sito Elite Daily riporta i 20 consigli degli uomini alle donne, per un sesso orale indimenticabile. 

1) I maschietti vi ricompenseranno... 

2) La lingua è un'arma molto potente, meglio senza piercing. 

3) Non usate i denti. 

4) Ricordarsi di lubrificare, anche con l'aiuto di alcuni cibi (panna montata, cioccolata...) 

5) Rispettate il corpo del vostro lui 

6) Non fate espressioni di disgusto 

7) Guardate l'organo sessuale della dolce metà 

8) Meglio non deglutire durante l'atto 

9) Prendetevi cura dell' "intero pacchetto" 

10) Siate creative, ma con moderazione 

11) Se non amate le "sorprese", dite al partner di avvisarvi nel momento della "gioia" 

12) In questo caso, una massima dei maschietti è "meglio dentro, che fuori" 

13) Cibi come l'ananas addolciscono il sapore... 

14) Anche le mani vanno utilizzate 

15) Finita la performance, meglio evitare i baci 

16) Un'altra richiesta dei maschietti è "siate profonde..." 

17) Siate comunicative... 

18) ...ma senza fare troppe domande 

19) Siate gentili e poco aggressive 

20) Evitate i morsi

Estratto dell’articolo di Stella Pulpo per donnamoderna.com domenica 10 settembre 2023.

«Non mi fa mai sesso orale, mentre io a lui lo faccio sempre. Perché?». Queste le parole del messaggio che ho ricevuto qualche giorno fa, da una lettrice che mi spiegava come il ragazzo che frequenta manifesti una certa riluttanza a dedicarsi a quella piacevole attività erotica che consiste nella degustazione appassionata della vulva, cioè del clitoride, delle piccole labbra, dell’ingresso vaginale, e del perineo. 

La cosa non mi ha stupita, […] perché storicamente il piacere procurato dal sesso orale è stato considerato una prerogativa maschile, al punto tale che per riferirci alla stimolazione destinata agli uomini abbiamo molte alternative semantiche, all’occorrenza volgari, mentre per quello destinato alle donne, non ce n’è una che sia più abbordabile e confidenziale di “cunnilingus”, dal latino “cunus”, vulva, e “lingere”, leccare.

[…] le donne ricevono molto meno sesso orale di quanto ne pratichino e, spesso, pur desiderandolo, non riescono a ottenere la giusta reciprocità. Le ragioni sono molteplici: possono dipendere da un atavico egoismo maschile […]. Oppure da un retaggio culturale per il quale […] le donne stesse faticano a chiedere e a esprimere il proprio desiderio.

Oppure ancora, dal fatto che il partner con cui ci intratteniamo non apprezza l’attività per una questione di puro gusto, […] esattamente come esistono le donne che non amano praticare le fellatio. Il mio suggerimento […] è semplice: prova a chiedere ciò di cui hai voglia, senza sentirti in colpa […], spiega che il sesso orale ti piace tanto, che è una stimolazione piacevole e intensa, capace di approfondire e moltiplicare l’intimità. A lui potrebbe non andare comunque […]. Ma c’è anche la possibilità che provi a cimentarsi un po’ e, si sa, spesso l’appetito vien mangiando…

Da "ilfattoquotidiano.it" il 25 dicembre 2018

Nell’affascinante libro di Isabel Allende Afrodita (ed. Feltrinelli) si legge che in alcune zone rurali della Gran Bretagna si usa fare incantesimi per intrappolare l’amante sfuggente: “La donna impasta farina, acqua e burro, spruzza l’amalgama di saliva, poi lo mette tra le gambe per dargli la forma e il sapore delle sue parti intime, lo cuoce in forno, e offre questo pane all’oggetto dei desideri”. 

L’ho trovato un gioco intrigante anche per la movimentazione della lingua quando questo calco alimentare viene leccato, morsicato, sbriciolato per essere mangiato. 

Anche Giacomo Casanova, per inebriare giovani pulzelle, utilizzava le ostriche che dalla sua bocca scivolavano tra le labbra della novizia di turno. Quindi mettetevi comode e comodi perché oggi vi parlo di cunnilingus, termine che deriva dal latino cunnus(vulva) e lingere (leccare). 

A tal proposito Ian Kerner, rinomato sessuologo e scrittore americano, ha scritto un librone dal titolo She Comes First: The Thinking Man’s Guide To Pleasuring A Woman, dedicato soprattutto agli uomini per imparare o migliorare proprio l’arte di questa pratica sessuale che piace molto alle donne.

Nel capitolo intitolato The Cunnilingus Manifesto, include tre linee guida per aiutare gli amanti ad avere esperienze strabilianti e consiglia di pensare alla lingua come un delicato sfarfallio di ali – appunto – di farfalla o come un grosso pennarello bagnato che disegna una natura morta. Pare che mediamente una donna raggiunga l’orgasmo dopo venti minuti (una lungaggine, eh) e che la lentezza piaccia assai.

Secondo uno studio dell’università del Michigan “il senso di mascolinità di un uomo si accresce quando è in grado di fare godere fino all’orgasmo la sua partner”. E qui ci arrivavano anche le carpe. “Gli autori dello studio sostengono che questi risultati potrebbero implicare, almeno dal punto di vista maschile, che l’orgasmo femminile è meno legato al piacere della donna e più al potenziamento dell’ego maschile”.

Allora chiediamoci perché ad alcuni uomini non piaccia e che ci siano donne che ricorrano ai nuovi vibratori, definiti orrendamente dalle sex blogger o leggibili nelle descrizioni di sex shops on line “ciuccia-clitoride”, che sa di salasso. Siamo popolo di poeti e almeno potremmo usare grazia e classe quando si parla della nostra mandorla zuccherina.

Sarebbe più idoneo dire “titillanti”, “a pressione”, “con effetto ventosa”, “piacevolmente aspiranti”. Questi sex toys di ultima generazione sono la nuova versione di quello che all’inizio era lo Sqweel, lanciato nel 2010 dall’artista Trevor Murphy: una sorta di ruota multilingue che funge da stimolatore orale, che ha fatto guadagnare al suo inventore più di 300mila dollari in royalties.

Nel 2017 i geniali youtuber The Kloons si fecero conoscere al mondo intero per via dell’app – farlocca – Lickster, in cui veniva spiegato come imparare il cunnilingus facendo training sullo schermo del telefonino. Non fatelo, soprattutto per via dei batteri. Piuttosto prendete una zucca cotta, fate un taglio verticale e piluccate così. Non sono poetica in questo momento ma vogliate perdonarmi. 

L’odore della vulva piace e non piace. Alle donne, oltre all’igiene, consiglio acque profumate dall’ombelico in giù: ai fiori di tiarè, alla gardenia, ylang ylang. Perché no, qualche goccia anche nell’inguine, che è un piccolo ponte tra la coscia e il delta di Venere.

Tornando ai racconti di Isabel Allende, si narra che Cleopatra si facesse leccare le parti intime cospargendole per gioco di una morbida pasta a base di miele e mandorle tritate. E che i suoi amanti perdessero il senno. Provare per credere.

Da "agi.it" sabato 26 agosto 2023.

Il papillomavirus umano, o HPV, può infettare anche bocca e gola e provocare neoplasie del cavo orofaringeo, e il contagio può avvenire anche in caso di rapporti sessuali orali frequenti con diversi partner. A evidenziarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Cancer, a cura dell’American Cancer Society, condotto dagli esperti della Johns Hopkins University, che hanno scoperto che un numero di partner di rapporti orali maggiore di dieci sembra associato a una probabilità 4,3 volte maggiore di sviluppare un cancro orofaringeo correlato all'HPV.  

“Praticare rapporti orali in giovane età – afferma Virginia Drake della Johns Hopkins University – e con un’intensità elevata, quindi con diversi partner in brevi periodi di tempo, potrebbe essere associato a un rischio maggiore di neoplasie del cavo orofaringeo”. Il team ha condotto un sondaggio su 508 partecipanti, 163 dei quali affetti da cancro della bocca e della gola correlato all'HPV, chiedendo loro informazioni sull’intensità, la tempistica e la frequenza con cui avevano praticato rapporti orali. 

“Dai risultati – riporta l’esperta – emerge che gli individui che avevano avuto partner più anziani da giovani e quelli che avevano avuto rapporti extraconiugali avevano maggiori probabilità di sviluppare un cancro orofaringeo correlato all'HPV. Il nostro studio si basa su ricerche precedenti per dimostrare che il solo numero di partner non è sufficiente a determinare l’incidenza di neoplasie, ma che esiste una serie di fattori precedentemente poco considerati che influenzano queste eventualità”. 

“Dato che l'incidenza del cancro orofaringeo correlato all'HPV continua ad aumentare negli Stati Uniti – conclude Drake – il nostro studio offre una valutazione contemporanea dei fattori di rischio per questa malattia. Abbiamo scoperto ulteriori sfumature di come e perché alcune persone possono sviluppare questa problematica, il che può aiutare a identificare i soggetti potenzialmente più vulnerabili”.

Dagotraduzione da Le Monde sabato 19 agosto 2023.

Non tutti praticano con riluttanza il sesso orale, oppure al contrario lo considerano un must. Alcuni ne traggono il piacere più intenso, egoista e/o altruista. Eppure ... Internet è piena di utenti che cercano disperatamente di sfuggirgli, lamentando odori, mancanza di desiderio, crampi alla mascella o partner troppo «lenti» (secondo quale standard? Non lo sapremo mai). 

Il discorso sessuale non rassicura i refrattari. Non solo la relegazione del sesso orale al campo dei preliminari diminuisce la sua importanza (queste pratiche non farebbero parte del «sesso reale»), ma il sesso orale è strettamente codificato: un partner dà, un partner riceve.

Il sesso orale non è intrinsecamente noioso, né ripetitivo. Se alcuni di noi raggiungono stati euforici mentre praticano il lavoro a maglia o la falegnameria, se ad altri piace affettare le carote quanto vogliono mangiarle, dovremmo riuscire a cavarcela. 

Il modo più semplice consiste nell'aggirare l'aspetto meccanico di questa pratica, invertendo la nostra concezione su di essa. Il preconcetto di base (sesso + bocca = eccitazione + forse orgasmo) costituisce una meraviglia della razionalità, ovviamente. Ma l'equazione troppo spesso suona come un pigro minimalismo: come investire la quantità minima di tempo ed energia per ottenere un risultato accettabile.

La questione del risultato è il più grande ostacolo alla soddisfazione del donatore poiché la motivazione riguarda la fine del processo. Un po' come se il cinema consistesse nel «trattenere» gli spettatori per 90 minuti prima di arrivare ai titoli di coda, e peccato per il contesto, i personaggi e lo scenario. 

Spesso chi pratica sesso orale solleva la questione della comodità. Ma non bisogna confondere "dare piacere" con il "dimenticare se stessi". Il problema si può risolvere con un minimo di praticità: prendersi cura del collo, delle mascelle e delle ginocchia (aiutandosi con i cuscini, il divano, un tutore per il collo, un tappetino d'angora). Non esitate a cambiare posizione al primo segno di stanchezza. Fate delle pause, subentrate con le mani o con degli oggetti.

In secondo luogo, cercate di rinunciare alla rigida divisione dei ruoli tra donatore e ricevente. Non è perché ci inginocchiamo che ci sottomettiamo, non è perché allarghiamo le gambe che perdiamo il controllo. In una logica di collaborazione, bisogna poter chiedere al proprio partner di «farsi carico» di alcune cose in determinati momenti (se devi trovare il lubrificante, o per rispondere alla tua prozia su Messenger), così come è lecito chiedere di essere accarezzati. Puoi masturbarti mentre onori il tuo partner: non è barare.

Poi, e qui arriviamo a un punto cruciale: la noia si nutre della nostra confusione - la noia non cade dal cielo. È più facile essere soddisfatti quando sappiamo cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo, perché lo stiamo facendo. Per dirla senza mezzi termini: se sei annoiato, non stai facendo abbastanza. Non avresti tempo di annoiarti se usassi la bocca in combinazione con una o due mani, fornendo una stimolazione ambidestra o aritmica aggiuntiva, monitorando la cottura del tofu.

Per raggiungere un livello ragionevole di competenza è importante prendere in mano le conoscenze esistenti, ma anche darsi il permesso di definirsi competente. Altrimenti, la mancanza di fiducia impedisce di prendersi delle libertà. Peggio ancora, l'altro si riduce a un corpo inerte, con reazioni arbitrarie. Senza arrivare a proclamare il tuo status di «miglior fornitore di cunnilingus nella categoria dei pesi medi» o «miglior succhiatore dell'Alto Reno», concentrati sull'esperienza più immediatamente gratificante che è essere un esperto del tuo partner. Per fare questo, combina una buona comunicazione (per sapere cosa piace all'altro) e una buona iniziativa (per offrire sfide e sorprese).

Quindi mettiti egoisticamente al centro della pratica. Anche se sembra paradossale, perché non cercare tutte le opportunità per aumentare il tuo piacere fisico e intellettuale? Alcuni usano il culto del pene o della vagina, altri si proiettano in fantasie di dominio o sottomissione («Controllo completamente il tuo pene / Sono in balia del tuo pene»). Altri potrebbero preferire concentrare la loro attenzione su sensazioni piacevoli, come il gusto, il tatto o l'olfatto. 

Il sesso orale può essere utilizzato anche come un gioco: parlando con il proprio partner, mettendosi nei suoi panni, avendo intenzioni che non si limitano necessariamente a questioni di pura efficienza. La situazione della donazione permette di esercitare il controllo: cosa fare di questo grande potere, di questa grande responsabilità? Possiamo ritardare o accelerare il piacere, aumentare o ridurre la pressione, fingere di lasciare la stanza nel momento peggiore, praticare la bordatura. Possiamo ridere. Possiamo anche procedere con assoluta regolarità, come se fossimo una macchina, cercando stati di trance.

Se riuscite a praticare del sesso orale per il vostro piacere, utilizzando un ricco ventaglio di tecniche, emozioni e interazioni, e senza spaccarvi la schiena, uscirete dalla logica del dono per entrare in una logica di scambio.

Dagonews il 28 aprile 2023.

Negli Stati Uniti e in Inghilterra le diagnosi di cancro alla gola stanno aumentando vertiginosamente. Il motivo? Secondo gli esperti la colpa è del sesso orale.  Il dottor Hisham Mehanna, dell'Università di Birmingham, afferma che il 70% dei casi di cancro alla gola è causato dal papillomavirus umano (HPV). 

Questo è un virus normalmente innocuo che si diffonde per via sessuale. Secondo il dottor Mehanna “le persone che praticano sesso orale con più partner hanno un rischio nove volte maggiore di essere colpiti dal cancro alla gola”. 

Questo perché, fellatio e cunnilingus, possono portare a un'infezione da HPV nella parte posteriore della gola, vicino alle tonsille. Nella maggior parte dei casi la malattia scompare da sola ma, se si è sfortunati, possono persistere e causare il cancro. Nel 70% dei casi di diagnosi di un tumore alla gola l’origine deriva da un’infezione da papillomavirus.

Esiste un vaccino per l'HPV, ma è stato somministrato solo al 54% degli americani - molto al di sotto della soglia dell'80% che si ritiene essere di sicurezza per la popolazione. Ogni anno negli Stati Uniti vengono diagnosticati più di 50.000 casi di cancro orale o orofaringeo, che causano più di 10.000 decessi annui.

Dagotraduzione da Le Monde il 19 marzo 2023.

Non tutti praticano con riluttanza il sesso orale, oppure al contrario lo considerano un must. Alcuni ne traggono il piacere più intenso, egoista e/o altruista. Eppure ... Internet è piena di utenti che cercano disperatamente di sfuggirgli, lamentando odori, mancanza di desiderio, crampi alla mascella o partner troppo «lenti» (secondo quale standard? Non lo sapremo mai).

 Il discorso sessuale non rassicura i refrattari. Non solo la relegazione del sesso orale al campo dei preliminari diminuisce la sua importanza (queste pratiche non farebbero parte del «sesso reale»), ma il sesso orale è strettamente codificato: un partner dà, un partner riceve.

 Il sesso orale non è intrinsecamente noioso, né ripetitivo. Se alcuni di noi raggiungono stati euforici mentre praticano il lavoro a maglia o la falegnameria, se ad altri piace affettare le carote quanto vogliono mangiarle, dovremmo riuscire a cavarcela.

 Il modo più semplice consiste nell'aggirare l'aspetto meccanico di questa pratica, invertendo la nostra concezione su di essa. Il preconcetto di base (sesso + bocca = eccitazione + forse orgasmo) costituisce una meraviglia della razionalità, ovviamente. Ma l'equazione troppo spesso suona come un pigro minimalismo: come investire la quantità minima di tempo ed energia per ottenere un risultato accettabile.

La questione del risultato è il più grande ostacolo alla soddisfazione del donatore poiché la motivazione riguarda la fine del processo. Un po' come se il cinema consistesse nel «trattenere» gli spettatori per 90 minuti prima di arrivare ai titoli di coda, e peccato per il contesto, i personaggi e lo scenario.

 Spesso chi pratica sesso orale solleva la questione della comodità. Ma non bisogna confondere "dare piacere" con il "dimenticare se stessi". Il problema si può risolvere con un minimo di praticità: prendersi cura del collo, delle mascelle e delle ginocchia (aiutandosi con i cuscini, il divano, un tutore per il collo, un tappetino d'angora). Non esitate a cambiare posizione al primo segno di stanchezza. Fate delle pause, subentrate con le mani o con degli oggetti.

In secondo luogo, cercate di rinunciare alla rigida divisione dei ruoli tra donatore e ricevente. Non è perché ci inginocchiamo che ci sottomettiamo, non è perché allarghiamo le gambe che perdiamo il controllo. In una logica di collaborazione, bisogna poter chiedere al proprio partner di «farsi carico» di alcune cose in determinati momenti (se devi trovare il lubrificante, o per rispondere alla tua prozia su Messenger), così come è lecito chiedere di essere accarezzati. Puoi masturbarti mentre onori il tuo partner: non è barare.

Poi, e qui arriviamo a un punto cruciale: la noia si nutre della nostra confusione - la noia non cade dal cielo. È più facile essere soddisfatti quando sappiamo cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo, perché lo stiamo facendo. Per dirla senza mezzi termini: se sei annoiato, non stai facendo abbastanza. Non avresti tempo di annoiarti se usassi la bocca in combinazione con una o due mani, fornendo una stimolazione ambidestra o aritmica aggiuntiva, monitorando la cottura del tofu.

Per raggiungere un livello ragionevole di competenza è importante prendere in mano le conoscenze esistenti, ma anche darsi il permesso di definirsi competente. Altrimenti, la mancanza di fiducia impedisce di prendersi delle libertà. Peggio ancora, l'altro si riduce a un corpo inerte, con reazioni arbitrarie. Senza arrivare a proclamare il tuo status di «miglior fornitore di cunnilingus nella categoria dei pesi medi» o «miglior succhiatore dell'Alto Reno», concentrati sull'esperienza più immediatamente gratificante che è essere un esperto del tuo partner. Per fare questo, combina una buona comunicazione (per sapere cosa piace all'altro) e una buona iniziativa (per offrire sfide e sorprese).

Quindi mettiti egoisticamente al centro della pratica. Anche se sembra paradossale, perché non cercare tutte le opportunità per aumentare il tuo piacere fisico e intellettuale? Alcuni usano il culto del pene o della vagina, altri si proiettano in fantasie di dominio o sottomissione («Controllo completamente il tuo pene / Sono in balia del tuo pene»). Altri potrebbero preferire concentrare la loro attenzione su sensazioni piacevoli, come il gusto, il tatto o l'olfatto.

 Il sesso orale può essere utilizzato anche come un gioco: parlando con il proprio partner, mettendosi nei suoi panni, avendo intenzioni che non si limitano necessariamente a questioni di pura efficienza. La situazione della donazione permette di esercitare il controllo: cosa fare di questo grande potere, di questa grande responsabilità? Possiamo ritardare o accelerare il piacere, aumentare o ridurre la pressione, fingere di lasciare la stanza nel momento peggiore, praticare la bordatura. Possiamo ridere. Possiamo anche procedere con assoluta regolarità, come se fossimo una macchina, cercando stati di trance.

Se riuscite a praticare del sesso orale per il vostro piacere, utilizzando un ricco ventaglio di tecniche, emozioni e interazioni, e senza spaccarvi la schiena, uscirete dalla logica del dono per entrare in una logica di scambio.

Da alfemminile.com/sesso/falsi-miti-sul-sesso-anale-s2333647.html sabato 9 dicembre 2023.

Ci sono almeno 7 credenze false sul sesso anale, poiché quest'ultimo risulta essere la più sfortunata delle pratiche sessuali, ovvero quella con il maggior carico di stereotipi e miti negativi. Eppure la passione per il lato B non è mai scomparsa nel corso del tempo, evidentemente qualcosa di interessante ci sarà! Forse è il caso di chiederci cosa, e di approfondire la questione. 

1. IL SESSO ANALE È SPORCO

Sporco? Come in tutte le pratiche della vita l'igiene è una scelta. Bacereste qualcuno che non si lava i denti? L'idea è quella della pulizia in generale, detto ciò: se proprio siete maniache della pulizia, esiste il clistere. 

2. IL SESSO ANALE È DOLOROSO

Senza lentezza, un lubrificante e il giusto relax potrebbe essere difficile. Ma è semplice facilitare l'accesso a questo vulcano. Piano piano ci si arriva, con calma, pratica e le giuste stimolazioni. E sì, ne vale la pena.

3. IL SESSO ANALE È DANNOSO PER LA SALUTE

Infezioni, malesseri, malattie. Ma a cosa allora servirebbero l'igiene personale e il preservativo? Seppur la credenza popolare associa tante malattie alla pratica anale, in generale, salde precauzioni aprono le porte del paradiso... 

4. TROPPO SESSO ANALE RENDE INCONTINENTI

Questo tipo di pratica sessuale può causare una diminuzione del tono muscolare dello sfintere e, dunque, causare incontinenza: ma la relazione tra il rapporto anale e l'incremento dell'incontinenza non è ancora mai stata dimostrata scientificamente. Cosa è importante? Ascoltare il proprio corpo, e capire quando è il caso di fermarsi senza esagerare.

5. IL SESSO ANALE È CONTRO NATURA

Eppure praticato dalla notte dei tempi. Se piace, si fa. Tante nostre abitudini quotidiane potrebbero apparire uno sforzo contro natura a cui sottoponiamo il nostro corpo, eppure per piacere scegliamo di praticarle. Perché per questa specifica pratica dovremmo scandalizzarci? Se ci provoca e provoca al nostro partner piacere, chi dovrebbe dire che non è "naturale"? 

6. IL SESSO ANALE È SOLO UNA GIOIA PER GLI UOMINI

In realtà il rapporto anale è una variante sessuale. Un'esperienza, che può piacere o meno, come lafellatio, o come una delle tante posizioni sperimentabili e ben illustrate nel kamasutra. A goderne può essere l'uomo ma, alla stessa identica maniera, la donna. Il piacere non è solo, per fortuna, una pratica fisica ma anche, e soprattutto, una pratica mentale.

7. IL SESSO ANALE È UN ATTO DI SOTTOMISSIONE DELLA DONNA

Il sesso anale è una scelta. Di chi? Lo decidi tu, il corpo è tuo. La scelta può essere della donna di sperimentare qualcosa per se stessa, per la propria coppia, magari per intraprendere nuove esperienze hot con il proprio partner. E poi, senza un pizzico di gioco di potere, che gusto ci sarebbe nel rapporto sessuale? Quindi no, non è un atto di sottomissione amiche!

Donny Meacham per “Elite Daily” martedì 15 agosto 2023.

E quindi, il sesso anale è una cosa che la gente fa. Spesso. Ho sperimentato parecchi buchi, nella mia vita sessuale, dallo stile “la spada nella roccia” in poi. Può essere tanto divertente quanto stressante. Ecco le domande che in genere si pone chi fa sesso anale, la prima volta, che si tratti di donne o uomini.

La serata va bene, ti spogli, partono i baci, volano le mutande e lo vedi: quella cosa lì deve entrarmi dentro? Farà male? Come faccio a rilassarmi e a provare piacere? La verità è che sì, la prima volta fa male. Poi, rilassandosi, diventa un’esperienza gradevole. Evitate di puntare dritti alla penetrazione, iniziate con una massaggio esterno, i preliminari sono importanti più che mai in questa situazione delicata. 

L’altro pensiero fisso durante il sesso anale è: oddio, sono pulito? Questo terrore accompagna soprattutto chi riceve, in particolar modo se ha problemi di intestino. Con il condom almeno i “regalini” non restano attaccati alla pelle. Il consiglio è di usare le lenzuola scure, per evitare ogni imbarazzo.

La domanda che si pongono tutti, ma non solo nel sesso anale, è: «Come sono a letto?», perché il sesso ti deforma, ti mette in strane posizioni ed espressioni. Ma tu vuoi apparire sempre al meglio, e allora devi cercarti un partner che ti rassicuri, e ti faccia sentire comunque al massimo della bellezza.

Nella mia esperienza, si deve fare sesso, non una maratona. Più la seduta è lunga, meno si gode. Non c’è un tempo specifico, ma in due si capisce quando è abbastanza. Dopo il sesso anale, uno si domanda: perché l’ho fatto? E’ ancora un po’ fonte di vergogna, e soprattutto, non scendiamo in particolari, ma implica del tempo passato al bagno, e non sempre quando te lo aspetti.  

Marzia Nicolini per vanityfair.it il 23 aprile 2023.

Secondo un nuovo studio apparso su «The Journal of Sexuality», il 94% delle donne che hanno fatto sesso anale l’ultima volta che hanno avuto un rapporto sessuale hanno riferito di avere avuto un orgasmo durante il coito. Una percentuale straordinariamente alta, non c’è che dire. Ma perché le donne provano più piacere in questo modo? Parola all’esperta, senza tabù.

Molto spesso richiesta dagli uomini impegnati in relazioni eterosessuali, la pratica del sesso anale tende a dividere: chi la ama e chi la teme. Per alcune donne è fuori discussione l’idea di farsi penetrare in una zona considerata a tutti gli effetti tabù, e lo stesso ci sono uomini che si sentono imbarazzatti all’idea di fare sesso anale.

Per altre donne, invece, è una tale fonte di piacere da essere diventata parte integrante della propria routine tra le lenzuola. Secondo la psicologa Elena Benvenuti, «è importante fare una premessa. Il sesso è una delle poche fonte di piacere corporeo, dove la mente entra meno in campo. 

Questo nella teoria. Il fatto è che, con l’evoluzione culturale, le donne sono diventate via via meno inclini a provare l’orgasmo, perché sono entrate in campo componenti emotive e mentali, che spesso inibiscono il piacere corporeo, rendendolo meno fisico e più “di testa”. 

Se a ciò si aggiunge un’educazione bacchettona, con genitori che hanno colpevolizzato il concetto di piacere al femminile, le cose si complicano. In questo senso, il sesso anale – con la sua implicita richiesta di fortissima intimità e fiducia nell’altro – riesce a riportare la donna a un livello più carnale e “diretto”.

Entra poi in campo la componente psicologica di trasgressione ed esplorazione di qualcosa di nuovo, che – specie quando è vissuta con la persona amata – diventa un elemento scatenante del piacere, oltre che un potente collante erotico. 

Da un punto di vista prettamente anatomico, infine, l’alta concentrazione di terminazioni nervose localizzate in prossimità dell’apertura anale e nell’area circostante l’ano spiegano l’alta probabilità di raggiungere l’orgasmo. 

Ciò detto, ci tengo a ricordare che qualsiasi donna dovrebbe sentirsi nella posizione di scegliere se assecondare o meno la richiesta del partner di fare sesso anale: il fare sesso in un certo modo per compiacere il proprio lui non fa mai rima con piacere».

B. Fiorillo per today.it il 18 marzo 2023.

L'ano è un organo che, se stimolato adeguatamente, può massimizzare il piacere sessuale di una donna. Contiene, infatti, una fitta rete di nervi sensoriali che partecipano con i genitali alla tensione muscolare e alle contrazioni dell'eccitazione sessuale e dell’orgasmo.

 Ma nonostante il potenziale (in termini di piacere) della ragione anatomica (nota come perineo posteriore) in cui risiede l'ano, gran parte della ricerca scientifica sul sesso anale si è concentrata soprattutto su “quale” parte del corpo – tipicamente il pene, raramente la bocca/lingua o il dito – stimola o penetra l'ano, piuttosto che su "come" le donne e i loro partner possono individuare tecniche di stimolazione e penetrazione anale per procurarsi piacere.

 La gran parte degli studi esistenti si riferiscono, infatti, al "sesso anale" in termini di penetrazione dell’ano della donna da parte del pene di un partner maschile. A tal proposito diverse indagini rappresentative condotte nell'ultimo decennio suggeriscono che circa un terzo delle donne fa regolarmente sesso anale penieno.

Tra l'11,8% e il 13,2%, invece, ha fatto sesso anale penieno nell'ultimo anno, e circa il 10% lo ha fatto negli ultimi 90 giorni. Meno del 5% delle donne ha riferito di aver fatto sesso anale durante la sua esperienza sessuale più recente.

 Un corpus di letteratura meno ampio che utilizza dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti e in Australia, suggerisce che le donne hanno anche testato altre tecniche di stimolazione e penetrazione anale, come la penetrazione digitale, la stimolazione manuale e/o il contatto orale-anale. Ma nessuno di questi studi ha considerato mai le tecniche utilizzate dalle donne e dai loro partner per stimolare l'ano internamente o esternamente, o in che misura queste tecniche fossero piacevoli.

Ora un nuovo studio, condotto su larga scala negli USA, ha indagato, per la prima volta in assoluto, quali sono le tecniche di tocco e stimolazione anale, poco convenzionali, che possono generare piacere nelle donne.

 I ricercatori hanno condotto l’indagine utilizzato i dati del Secondo OMGYES Pleasure Report, individuato e descritto in maniera dettagliata tre diverse tecniche di stimolazione e penetrazione anale (Anal Shallowing, Anal Surfacing e Anal Pairing), mai definite precedentemente, che le donne preferisco per massimizzare il piacere sessuale, sia durante l’autoerotismo che il sesso in coppia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE.

 Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato i dati del Secondo OMGYES Women's Pleasure Report (uno studio statunitense rappresentativo a livello nazionale che esamina le preferenze del mondo femminile per quanto riguarda le tecniche di tocco vaginale interno), sulle esperienze sessuali di 3017 donne americane (di età compresa tra 18 e 93 anni). Lo scopo era descrivere ed etichettare nuove tecniche di stimolazione e penetrazione anale che le donne trovano più piacevoli.

 Attraverso una ricerca qualitativa, hanno così identificato e descritto in maniera dettagliate tre tecniche di tocco anale che le donne trovano particolarmente piacevoli, e che espandono il repertorio sessuale anale.

Un contributo importante offerto da questo lavoro - hanno dichiarato i ricercatori - è la denominazione data a queste tecniche di tocco e stimolazione utilizzate dalle donne e dai loro partner. Come già abbiamo suggerito nel nostro lavoro precedente incentrato sulla stimolazione e penetrazione vaginale, affinché le donne si sentano a proprio agio nel comunicare quali tecniche vogliono provare e/o quali tecniche esistenti vogliono provare in modo diverso, le parole e le descrizioni che usano per fare ciò devono essere  semplici ed immediate.

 Per la stragrande maggioranza delle pratiche sessuali anali, tuttavia, con alcune eccezioni relative al tocco sessuale orale-anale (denominato analingus) e alla penetrazione anale con una mano (indicata come fisting anale), c'è stata sino ad oggi una mancanza di terminologia chiara”.

 Tre nuove tecniche di stimolazione anale

I ricercatori hanno così individuato e coniato tre tecniche: "Emersione anale" (Anal Surfacing), "Penetrazione anale o superficiale" (Anal Shallowing) e "Accoppiamento anale" (Anal Pairing).

Il termine Anal Surfacing si riferisce al tocco della parte esterna, sopra o intorno, dell'ano, che 4 donne su 10 hanno scoperto essere particolarmente piacevole. La tecnica Anal Shallowing si riferisce, invece, al tocco penetrante appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca, che è stato trovato piacevole dal 38,2% delle donne che apprezzano qualsiasi forma di penetrazione anale.

 Il “tocco anale accoppiato” - denominato “accoppiamento anale” -, infine, è un tocco vaginale e/o clitorideo simultaneo, che può lavorare in sinergia con altre forme di tocco sessuale come miglioramento del piacere e dell'orgasmo delle donne, apprezzato dal 40% del campione.

Il saper riferire con un termine chiaro quale tipo di tocco anale richiedere al partner può essere particolarmente importante per una donna. “Le diverse età in cui le donne hanno scoperto che il tocco anale esterno e/o penetrante era per loro piacevole - hanno dichiarato gli autori - dimostra che nuove tecniche di tocco possono essere scoperte a qualsiasi età, e possono incoraggiare le donne a continuare a esplorare la sfera del loro piacere per tutta la vita”. 

 Strumenti utilizzati per la stimolazione anale

I ricercatori hanno anche esplorato la dimensionalità di queste tecniche, identificando ciò che viene utilizzato per il tocco o la stimolazione (es. dito, pene o sex toy propri o del partner), il modo in cui viene utilizzato (es. in superficie vs. dentro, o appena dentro vs. una nocca dentro vs. più profonda di un dito dentro), perché le donne lo trovano piacevole (es. aumento dell'intensità dell'orgasmo vs. brivido vs. intimità) e come l'hanno scoperto (ad es. presentazione del partner vs. autoesplorazione).

 “Questo studio - hanno sottolineato gli autori - supporta un modello di sessualità anale incentrato sulla donna in cui le donne e/o i loro partner hanno il potere di scegliere il tocco anale e le tecniche di stimolazione che soddisfano maggiormente i propri bisogni sessuali”.

Quali sono le tecniche preferite dalle donne

In sintesi, i risultati dello studio suggeriscono che il 40% delle donne ha trovato piacevole l'"Anal Surfacing" (tocco sessuale con un dito, un pene o un giocattolo sessuale sopra e intorno all’ano), circa il 35% delle ha provato piacere usando l"Anal Shallowing” (tocco penetrante con un dito, un pene o un sex toy appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca).

 Infine, il 40% delle donne ritiene più piacevoli altre forme di tocco sessuale utilizzando l'"accoppiamento anale” (tocco all'interno dell'ano che avviene contemporaneamente ad altri tipi di tocco come la penetrazione vaginale o quello clitorideo).

Questi dati forniscono la descrizione chiara di tecniche che le donne utilizzano per esplorare il piacere generato dalla stimolazione dell'ano, e che possono aiutare le donne ad identificare meglio le proprie preferenze sessuali, comunicarle chiaramente ai loro partner e massimizzare il loro piacere sessuale. 

Perfezionare il linguaggio del sesso per abbattere i tabù

Come suggerito prima in questo articolo, la maggior parte di ciò che è "noto" - sia attraverso la letteratura scientifica che attraverso la cultura popolare - si riferisce al sesso anale penino o enfatizza gli esiti avversi di questo (ad es. malattie sessualmente trasmissibili, dolore o coercizione).

Il nostro studio - hanno concluso gli autori - amplia la letteratura scientifica con nuove tecniche di stimolazione anale per il piacere femminile, perfezionando il linguaggio del sesso, e sottolinea come la donna oggi non ricopre più un ruolo passivo ma attivo nel rapporto sessuale, contribuendo all'abbattimento dei tabù”.

Donny Meacham per “Elite Daily” il 9 dicembre 2022.

E quindi, il sesso anale è una cosa che la gente fa. Spesso. Ho sperimentato parecchi buchi, nella mia vita sessuale, dallo stile “la spada nella roccia” in poi. Può essere tanto divertente quanto stressante. Ecco le domande che in genere si pone chi fa sesso anale, la prima volta, che si tratti di donne o uomini.

La serata va bene, ti spogli, partono i baci, volano le mutande e lo vedi: quella cosa lì deve entrarmi dentro? Farà male? Come faccio a rilassarmi e a provare piacere? La verità è che sì, la prima volta fa male. Poi, rilassandosi, diventa un’esperienza gradevole. Evitate di puntare dritti alla penetrazione, iniziate con un massaggio esterno, i preliminari sono importanti più che mai in questa situazione delicata. 

L’altro pensiero fisso durante il sesso anale è: oddio, sono pulito? Questo terrore accompagna soprattutto chi riceve, in particolar modo se ha problemi di intestino. Con il condom almeno i “regalini” non restano attaccati alla pelle. Il consiglio è di usare le lenzuola scure, per evitare ogni imbarazzo.

La domanda che si pongono tutti, ma non solo nel sesso anale, è: «Come sono a letto?», perché il sesso ti deforma, ti mette in strane posizioni ed espressioni. Ma tu vuoi apparire sempre al meglio, e allora devi cercarti un partner che ti rassicuri, e ti faccia sentire comunque al massimo della bellezza.

Nella mia esperienza, si deve fare sesso, non una maratona. Più la seduta è lunga, meno si gode. Non c’è un tempo specifico, ma in due si capisce quando è abbastanza. Dopo il sesso anale, uno si domanda: perché l’ho fatto? E’ ancora un po’ fonte di vergogna, e soprattutto, non scendiamo in particolari, ma implica del tempo passato al bagno, e non sempre quando te lo aspetti. 

B. Fiorillo per today.it il 4 settembre 2022.  

L'ano è un organo che, se stimolato adeguatamente, può massimizzare il piacere sessuale di una donna. Contiene, infatti, una fitta rete di nervi sensoriali che partecipano con i genitali alla tensione muscolare e alle contrazioni dell'eccitazione sessuale e dell’orgasmo. 

Ma nonostante il potenziale (in termini di piacere) della ragione anatomica (nota come perineo posteriore) in cui risiede l'ano, gran parte della ricerca scientifica sul sesso anale si è concentrata soprattutto su “quale” parte del corpo – tipicamente il pene, raramente la bocca/lingua o il dito – stimola o penetra l'ano, piuttosto che su "come" le donne e i loro partner possono individuare tecniche di stimolazione e penetrazione anale per procurarsi piacere. 

La gran parte degli studi esistenti si riferiscono, infatti, al "sesso anale" in termini di penetrazione dell’ano della donna da parte del pene di un partner maschile. A tal proposito diverse indagini rappresentative condotte nell'ultimo decennio suggeriscono che circa un terzo delle donne fa regolarmente sesso anale penieno.

Tra l'11,8% e il 13,2%, invece, ha fatto sesso anale penieno nell'ultimo anno, e circa il 10% lo ha fatto negli ultimi 90 giorni. Meno del 5% delle donne ha riferito di aver fatto sesso anale durante la sua esperienza sessuale più recente. 

Un corpus di letteratura meno ampio che utilizza dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti e in Australia, suggerisce che le donne hanno anche testato altre tecniche di stimolazione e penetrazione anale, come la penetrazione digitale, la stimolazione manuale e/o il contatto orale-anale. Ma nessuno di questi studi ha considerato mai le tecniche utilizzate dalle donne e dai loro partner per stimolare l'ano internamente o esternamente, o in che misura queste tecniche fossero piacevoli.

Ora un nuovo studio, condotto su larga scala negli USA, ha indagato, per la prima volta in assoluto, quali sono le tecniche di tocco e stimolazione anale, poco convenzionali, che possono generare piacere nelle donne. 

I ricercatori hanno condotto l’indagine utilizzato i dati del Secondo OMGYES Pleasure Report, individuato e descritto in maniera dettagliata tre diverse tecniche di stimolazione e penetrazione anale (Anal Shallowing, Anal Surfacing e Anal Pairing), mai definite precedentemente, che le donne preferisco per massimizzare il piacere sessuale, sia durante l’autoerotismo che il sesso in coppia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato i dati del Secondo OMGYES Women's Pleasure Report (uno studio statunitense rappresentativo a livello nazionale che esamina le preferenze del mondo femminile per quanto riguarda le tecniche di tocco vaginale interno), sulle esperienze sessuali di 3017 donne americane (di età compresa tra 18 e 93 anni). Lo scopo era descrivere ed etichettare nuove tecniche di stimolazione e penetrazione anale che le donne trovano più piacevoli. 

Attraverso una ricerca qualitativa, hanno così identificato e descritto in maniera dettagliate tre tecniche di tocco anale che le donne trovano particolarmente piacevoli, e che espandono il repertorio sessuale anale.

“Un contributo importante offerto da questo lavoro - hanno dichiarato i ricercatori - è la denominazione data a queste tecniche di tocco e stimolazione utilizzate dalle donne e dai loro partner. Come già abbiamo suggerito nel nostro lavoro precedente incentrato sulla stimolazione e penetrazione vaginale, affinché le donne si sentano a proprio agio nel comunicare quali tecniche vogliono provare e/o quali tecniche esistenti vogliono provare in modo diverso, le parole e le descrizioni che usano per fare ciò devono essere  semplici ed immediate. 

Per la stragrande maggioranza delle pratiche sessuali anali, tuttavia, con alcune eccezioni relative al tocco sessuale orale-anale (denominato analingus) e alla penetrazione anale con una mano (indicata come fisting anale), c'è stata sino ad oggi una mancanza di terminologia chiara”. 

Tre nuove tecniche di stimolazione anale

I ricercatori hanno così individuato e coniato tre tecniche: "Emersione anale" (Anal Surfacing), "Penetrazione anale o superficiale" (Anal Shallowing) e "Accoppiamento anale" (Anal Pairing).

Il termine Anal Surfacing si riferisce al tocco della parte esterna, sopra o intorno, dell'ano, che 4 donne su 10 hanno scoperto essere particolarmente piacevole. La tecnica Anal Shallowing si riferisce, invece, al tocco penetrante appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca, che è stato trovato piacevole dal 38,2% delle donne che apprezzano qualsiasi forma di penetrazione anale. 

Il “tocco anale accoppiato” - denominato “accoppiamento anale” -, infine, è un tocco vaginale e/o clitorideo simultaneo, che può lavorare in sinergia con altre forme di tocco sessuale come miglioramento del piacere e dell'orgasmo delle donne, apprezzato dal 40% del campione.

Il saper riferire con un termine chiaro quale tipo di tocco anale richiedere al partner può essere particolarmente importante per una donna. “Le diverse età in cui le donne hanno scoperto che il tocco anale esterno e/o penetrante era per loro piacevole - hanno dichiarato gli autori - dimostra che nuove tecniche di tocco possono essere scoperte a qualsiasi età, e possono incoraggiare le donne a continuare a esplorare la sfera del loro piacere per tutta la vita”.  

Strumenti utilizzati per la stimolazione anale

I ricercatori hanno anche esplorato la dimensionalità di queste tecniche, identificando ciò che viene utilizzato per il tocco o la stimolazione (es. dito, pene o sex toy propri o del partner), il modo in cui viene utilizzato (es. in superficie vs. dentro, o appena dentro vs. una nocca dentro vs. più profonda di un dito dentro), perché le donne lo trovano piacevole (es. aumento dell'intensità dell'orgasmo vs. brivido vs. intimità) e come l'hanno scoperto (ad es. presentazione del partner vs. autoesplorazione). 

“Questo studio - hanno sottolineato gli autori - supporta un modello di sessualità anale incentrato sulla donna in cui le donne e/o i loro partner hanno il potere di scegliere il tocco anale e le tecniche di stimolazione che soddisfano maggiormente i propri bisogni sessuali”. 

Quali sono le tecniche preferite dalle donne

In sintesi, i risultati dello studio suggeriscono che il 40% delle donne ha trovato piacevole l'"Anal Surfacing" (tocco sessuale con un dito, un pene o un giocattolo sessuale sopra e intorno all’ano), circa il 35% delle ha provato piacere usando l"Anal Shallowing” (tocco penetrante con un dito, un pene o un sex toy appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca). 

Infine, il 40% delle donne ritiene più piacevoli altre forme di tocco sessuale utilizzando l'"accoppiamento anale” (tocco all'interno dell'ano che avviene contemporaneamente ad altri tipi di tocco come la penetrazione vaginale o quello clitorideo).

Questi dati forniscono la descrizione chiara di tecniche che le donne utilizzano per esplorare il piacere generato dalla stimolazione dell'ano, e che possono aiutare le donne ad identificare meglio le proprie preferenze sessuali, comunicarle chiaramente ai loro partner e massimizzare il loro piacere sessuale. 

Perfezionare il linguaggio del sesso per abbattere i tabù

Come suggerito prima in questo articolo, la maggior parte di ciò che è "noto" - sia attraverso la letteratura scientifica che attraverso la cultura popolare - si riferisce al sesso anale penino o enfatizza gli esiti avversi di questo (ad es. malattie sessualmente trasmissibili, dolore o coercizione). 

“Il nostro studio - hanno concluso gli autori - amplia la letteratura scientifica con nuove tecniche di stimolazione anale per il piacere femminile, perfezionando il linguaggio del sesso, e sottolinea come la donna oggi non ricopre più un ruolo passivo ma attivo nel rapporto sessuale, contribuendo all'abbattimento dei tabù”.

DAGONEWS il 13 agosto 2022.

Le donne nel Regno Unito stanno sperimentato lesioni causate dalla crescente popolarità del sesso anale tra le coppie eterosessuali: tra le conseguenze ci sono incontinenza e infezioni sessualmente trasmesse, nonché dolore e sanguinamento dovuti al trauma fisico durante la pratica. 

In un articolo del  "British medical journal", a firma di Tabitha Gana e Lesley Hunt, i due chirurghi hanno spiegato come la riluttanza dei medici a discutere dei rischi associati al sesso anale sta portando diverse donne ad avere problemi.

«Il rapporto anale è considerato un comportamento sessuale a rischio a causa della sua associazione con alcol, uso di droghe e partner sessuali multipli. Tuttavia grazie anche a serie tv come “Sex and the City” e “Fleabag” sono entrate nelle relazioni».

Ma occhio. Perché oltre all’aspetto piacevole si può andare incontro ad altri problemi, soprattutto per le donne: «E’ stato segnalato un aumento dei casi di incontinenza fecale e lesioni dello sfintere anale nelle donne che hanno rapporti anali. Le donne sono più a rischio di incontinenza rispetto agli uomini a causa della loro diversa anatomia e degli effetti degli ormoni, della gravidanza e del parto sul pavimento pelvico. Le donne hanno sfinteri anali meno robusti e il danno causato dalla penetrazione anale è quindi più consistente. Il dolore e il sanguinamento dopo che il sesso anale è indicativo di un trauma e i rischi possono aumentare se il sesso anale viene forzato».

La ricerca del “National Survey of Sexual Attitudes”, condotta in Gran Bretagna, ha rilevato che la proporzione di persone di età compresa tra i 16 ei 24 anni che hanno rapporti anali eterosessuali è aumentata dal 12,5% al 28,5% negli ultimi decenni. Allo stesso modo, negli Stati Uniti dal 30% al 45%. «Non è più considerato un comportamento estremo, ma sempre più come un'esperienza apprezzata e piacevole».

B. Fiorillo per today.it il 16 luglio 2022.  

L'ano è un organo che, se stimolato adeguatamente, può massimizzare il piacere sessuale di una donna. Contiene, infatti, una fitta rete di nervi sensoriali che partecipano con i genitali alla tensione muscolare e alle contrazioni dell'eccitazione sessuale e dell’orgasmo. 

Ma nonostante il potenziale (in termini di piacere) della ragione anatomica (nota come perineo posteriore) in cui risiede l'ano, gran parte della ricerca scientifica sul sesso anale si è concentrata soprattutto su “quale” parte del corpo – tipicamente il pene, raramente la bocca/lingua o il dito – stimola o penetra l'ano, piuttosto che su "come" le donne e i loro partner possono individuare tecniche di stimolazione e penetrazione anale per procurarsi piacere. 

La gran parte degli studi esistenti si riferiscono, infatti, al "sesso anale" in termini di penetrazione dell’ano della donna da parte del pene di un partner maschile. A tal proposito diverse indagini rappresentative condotte nell'ultimo decennio suggeriscono che circa un terzo delle donne fa regolarmente sesso anale penieno.

Tra l'11,8% e il 13,2%, invece, ha fatto sesso anale penieno nell'ultimo anno, e circa il 10% lo ha fatto negli ultimi 90 giorni. Meno del 5% delle donne ha riferito di aver fatto sesso anale durante la sua esperienza sessuale più recente. 

Un corpus di letteratura meno ampio che utilizza dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti e in Australia, suggerisce che le donne hanno anche testato altre tecniche di stimolazione e penetrazione anale, come la penetrazione digitale, la stimolazione manuale e/o il contatto orale-anale. Ma nessuno di questi studi ha considerato mai le tecniche utilizzate dalle donne e dai loro partner per stimolare l'ano internamente o esternamente, o in che misura queste tecniche fossero piacevoli.

Ora un nuovo studio, condotto su larga scala negli USA, ha indagato, per la prima volta in assoluto, quali sono le tecniche di tocco e stimolazione anale, poco convenzionali, che possono generare piacere nelle donne. 

I ricercatori hanno condotto l’indagine utilizzato i dati del Secondo OMGYES Pleasure Report, individuato e descritto in maniera dettagliata tre diverse tecniche di stimolazione e penetrazione anale (Anal Shallowing, Anal Surfacing e Anal Pairing), mai definite precedentemente, che le donne preferisco per massimizzare il piacere sessuale, sia durante l’autoerotismo che il sesso in coppia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato i dati del Secondo OMGYES Women's Pleasure Report (uno studio statunitense rappresentativo a livello nazionale che esamina le preferenze del mondo femminile per quanto riguarda le tecniche di tocco vaginale interno), sulle esperienze sessuali di 3017 donne americane (di età compresa tra 18 e 93 anni). Lo scopo era descrivere ed etichettare nuove tecniche di stimolazione e penetrazione anale che le donne trovano più piacevoli. 

Attraverso una ricerca qualitativa, hanno così identificato e descritto in maniera dettagliate tre tecniche di tocco anale che le donne trovano particolarmente piacevoli, e che espandono il repertorio sessuale anale.

“Un contributo importante offerto da questo lavoro - hanno dichiarato i ricercatori - è la denominazione data a queste tecniche di tocco e stimolazione utilizzate dalle donne e dai loro partner. Come già abbiamo suggerito nel nostro lavoro precedente incentrato sulla stimolazione e penetrazione vaginale, affinché le donne si sentano a proprio agio nel comunicare quali tecniche vogliono provare e/o quali tecniche esistenti vogliono provare in modo diverso, le parole e le descrizioni che usano per fare ciò devono essere  semplici ed immediate. 

Per la stragrande maggioranza delle pratiche sessuali anali, tuttavia, con alcune eccezioni relative al tocco sessuale orale-anale (denominato analingus) e alla penetrazione anale con una mano (indicata come fisting anale), c'è stata sino ad oggi una mancanza di terminologia chiara”. 

Tre nuove tecniche di stimolazione anale

I ricercatori hanno così individuato e coniato tre tecniche: "Emersione anale" (Anal Surfacing), "Penetrazione anale o superficiale" (Anal Shallowing) e "Accoppiamento anale" (Anal Pairing).

Il termine Anal Surfacing si riferisce al tocco della parte esterna, sopra o intorno, dell'ano, che 4 donne su 10 hanno scoperto essere particolarmente piacevole. La tecnica Anal Shallowing si riferisce, invece, al tocco penetrante appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca, che è stato trovato piacevole dal 38,2% delle donne che apprezzano qualsiasi forma di penetrazione anale. 

Il “tocco anale accoppiato” - denominato “accoppiamento anale” -, infine, è un tocco vaginale e/o clitorideo simultaneo, che può lavorare in sinergia con altre forme di tocco sessuale come miglioramento del piacere e dell'orgasmo delle donne, apprezzato dal 40% del campione.

Il saper riferire con un termine chiaro quale tipo di tocco anale richiedere al partner può essere particolarmente importante per una donna. “Le diverse età in cui le donne hanno scoperto che il tocco anale esterno e/o penetrante era per loro piacevole - hanno dichiarato gli autori - dimostra che nuove tecniche di tocco possono essere scoperte a qualsiasi età, e possono incoraggiare le donne a continuare a esplorare la sfera del loro piacere per tutta la vita”.  

Strumenti utilizzati per la stimolazione anale

I ricercatori hanno anche esplorato la dimensionalità di queste tecniche, identificando ciò che viene utilizzato per il tocco o la stimolazione (es. dito, pene o sex toy propri o del partner), il modo in cui viene utilizzato (es. in superficie vs. dentro, o appena dentro vs. una nocca dentro vs. più profonda di un dito dentro), perché le donne lo trovano piacevole (es. aumento dell'intensità dell'orgasmo vs. brivido vs. intimità) e come l'hanno scoperto (ad es. presentazione del partner vs. autoesplorazione). 

“Questo studio - hanno sottolineato gli autori - supporta un modello di sessualità anale incentrato sulla donna in cui le donne e/o i loro partner hanno il potere di scegliere il tocco anale e le tecniche di stimolazione che soddisfano maggiormente i propri bisogni sessuali”. 

Quali sono le tecniche preferite dalle donne

In sintesi, i risultati dello studio suggeriscono che il 40% delle donne ha trovato piacevole l'"Anal Surfacing" (tocco sessuale con un dito, un pene o un giocattolo sessuale sopra e intorno all’ano), circa il 35% delle ha provato piacere usando l"Anal Shallowing” (tocco penetrante con un dito, un pene o un sex toy appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca). 

Infine, il 40% delle donne ritiene più piacevoli altre forme di tocco sessuale utilizzando l'"accoppiamento anale” (tocco all'interno dell'ano che avviene contemporaneamente ad altri tipi di tocco come la penetrazione vaginale o quello clitorideo).

Questi dati forniscono la descrizione chiara di tecniche che le donne utilizzano per esplorare il piacere generato dalla stimolazione dell'ano, e che possono aiutare le donne ad identificare meglio le proprie preferenze sessuali, comunicarle chiaramente ai loro partner e massimizzare il loro piacere sessuale. 

Perfezionare il linguaggio del sesso per abbattere i tabù

Come suggerito prima in questo articolo, la maggior parte di ciò che è "noto" - sia attraverso la letteratura scientifica che attraverso la cultura popolare - si riferisce al sesso anale penino o enfatizza gli esiti avversi di questo (ad es. malattie sessualmente trasmissibili, dolore o coercizione).

“Il nostro studio - hanno concluso gli autori - amplia la letteratura scientifica con nuove tecniche di stimolazione anale per il piacere femminile, perfezionando il linguaggio del sesso, e sottolinea come la donna oggi non ricopre più un ruolo passivo ma attivo nel rapporto sessuale, contribuendo all'abbattimento dei tabù”.

Andrea Centini per fanpage.it il 25 febbraio 2022.

Il primo preservativo espressamente progettato per il sesso anale è stato autorizzato dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense, l'agenzia federale che si occupa di regolamentare farmaci, prodotti alimentari, nuove terapie e dispositivi medici. Secondo la FDA rendere disponibile un preservativo specifico per questo tipo di rapporti spingerà sia gli omosessuali che gli eterosessuali a utilizzarlo. 

Benché i comuni preservativi fossero ampiamente raccomandati da tutte le principali autorità sanitarie anche per i rapporti anali, che rappresentano la principale fonte di rischio per la trasmissione del virus dell'HIV, in realtà il loro utilizzo era considerato “off label”, cioè fuori etichetta, perché comunque non erano progettati per quella tipologia di rapporto. Ma da oggi, grazie al “One Male Condom”, ci sarà anche un preservativo ad hoc.

La decisione di autorizzare il primo preservativo per sesso anale è seguita alla pubblicazione dei risultati di uno studio guidato da scienziati della Scuola di Salute Pubblica “Rollins” dell'Università Emory di Atlanta, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Medicina e delle società TheyFit.  

I ricercatori, coordinati dal professor Aaron J. Siegler, docente presso il Dipartimento di Scienze Comportamentali e Salute dell'ateneo americano, sono giunti alla loro conclusione dopo aver testato il preservativo One Male Condom in un esperimento che ha coinvolto oltre 500 uomini tra i 18 e i 54 anni. In 252 dei partecipanti hanno avuto rapporti con altri uomini, gli altri 252 con donne. 

Nello studio gli scienziati hanno valutato il tasso di fallimento del preservativo, definito come "scivolamento" e "rottura". Dalle analisi è emerso che il preservativo ha presentato un tasso di fallimento dello 0,68 percento per i rapporti anali e dell'1,89 percento per quelli vaginali, dimostrandosi ampiamente efficace per il suo ruolo, cioè quello di ridurre il rischio di trasmettere le malattie sessualmente trasmissibili o IST. Il preservativo è comunque approvato anche per la prevenzione delle gravidanze.

“Il rischio di trasmissione di IST durante il rapporto anale è significativamente più alto che durante il rapporto vaginale. L'autorizzazione della FDA di un preservativo che è specificamente indicato, valutato ed etichettato per il rapporto anale può aumentare la probabilità di utilizzo del preservativo durante il rapporto anale”, ha dichiarato in un comunicato stampa dell'FDA la professoressa Courtney Lias, direttrice dell'Office of GastroRenal dell'agenzia. 

 Il One Male Condom, spiega l'FDA, è guaina in lattice di gomma naturale disponibile in tre versioni differenti: standard, sottile e aderente. Per quanto concerne quest'ultima versione, sono disponibili ben 54 misure differenti: un modello in carta aiuta chi li acquista a scegliere quello più adatto. I dettagli della ricerca “Levels of clinical condom failure for anal sex: A randomized cross-over trial” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Eclinical Medicine. 

Donny Meacham per “Elite Daily” il 30 gennaio 2022.

E quindi, il sesso anale è una cosa che la gente fa. Spesso. Ho sperimentato parecchi buchi, nella mia vita sessuale, dallo stile “la spada nella roccia” in poi. Può essere tanto divertente quanto stressante. Ecco le domande che in genere si pone chi fa sesso anale, la prima volta, che si tratti di donne o uomini.

La serata va bene, ti spogli, partono i baci, volano le mutande e lo vedi: quella cosa lì deve entrarmi dentro? Farà male? Come faccio a rilassarmi e a provare piacere? La verità è che sì, la prima volta fa male. Poi, rilassandosi, diventa un’esperienza gradevole. Evitate di puntare dritti alla penetrazione, iniziate con una massaggio esterno, i preliminari sono importanti più che mai in questa situazione delicata. 

L’altro pensiero fisso durante il sesso anale è: oddio, sono pulito? Questo terrore accompagna soprattutto chi riceve, in particolar modo se ha problemi di intestino. Con il condom almeno i “regalini” non restano attaccati alla pelle. Il consiglio è di usare le lenzuola scure, per evitare ogni imbarazzo.

La domanda che si pongono tutti, ma non solo nel sesso anale, è: «Come sono a letto?», perché il sesso ti deforma, ti mette in strane posizioni ed espressioni. Ma tu vuoi apparire sempre al meglio, e allora devi cercarti un partner che ti rassicuri, e ti faccia sentire comunque al massimo della bellezza.

Nella mia esperienza, si deve fare sesso, non una maratona. Più la seduta è lunga, meno si gode. Non c’è un tempo specifico, ma in due si capisce quando è abbastanza. Dopo il sesso anale, uno si domanda: perché l’ho fatto? E’ ancora un po’ fonte di vergogna, e soprattutto, non scendiamo in particolari, ma implica del tempo passato al bagno, e non sempre quando te lo aspetti. 

Da donnaglamour.it il 13 febbraio 2022.

L’uso di lubrificanti rende i rapporti molto più piacevoli, soprattutto quando si tratta di sesso anale. Questo lo sapevano bene anche i nostri antenati, che per lubrificare gli organi sessuali usavano le sostanze più disparate.

Oggi grazie all’industria del sesso troviamo in commercio sex toys di ogni genere, per non parlare dei lubrificanti, che vanno da quelli aromatizzati a quelli con effetto caldo o freddo. Nei secoli scorsi, invece, bisognava arrangiarsi. Il sito web AlterNet ha raccolto in un recente articolo tutti i lubrificanti più strani che venivano usati nell’antichità. Vediamo quali sono!

Gli antichi usavano spesso come lubrificante prodotti naturali, come gel d’aloe, olio vegetale e grasso animale. A farne largo uso erano soprattutto i Greci, che praticavano molto sesso, in quanto credevano che aiutasse a combattere depressione, indigestione, itterizia e mal di schiena. 

Essendo il sesso anale molto praticato nella civiltà greca, era ovvio che si sentisse la necessità di usare un lubrificante. Secondo alcune fonti, le prime testimonianze di utilizzo dell’olio d’oliva come lubrificante risalgono al 350 a.C., quando hanno cominciato ad essere prodotti anche i primi dildo in legno. 

Anche Aristotele parla nei suoi scritti dell’uso di olio di oliva durante il sesso, spiegando come fosse considerato un contraccettivo. Anticamente l’olio d’oliva era un prodotto molto ricercato e veniva prodotto nelle case dei nobili e nei bordelli.

B. Fiorillo per today.it il 23 Dicembre 2022.

L'ano è un organo che, se stimolato adeguatamente, può massimizzare il piacere sessuale di una donna. Contiene, infatti, una fitta rete di nervi sensoriali che partecipano con i genitali alla tensione muscolare e alle contrazioni dell'eccitazione sessuale e dell’orgasmo. 

Ma nonostante il potenziale (in termini di piacere) della ragione anatomica (nota come perineo posteriore) in cui risiede l'ano, gran parte della ricerca scientifica sul sesso anale si è concentrata soprattutto su “quale” parte del corpo – tipicamente il pene, raramente la bocca/lingua o il dito – stimola o penetra l'ano, piuttosto che su "come" le donne e i loro partner possono individuare tecniche di stimolazione e penetrazione anale per procurarsi piacere. 

La gran parte degli studi esistenti si riferiscono, infatti, al "sesso anale" in termini di penetrazione dell’ano della donna da parte del pene di un partner maschile. A tal proposito diverse indagini rappresentative condotte nell'ultimo decennio suggeriscono che circa un terzo delle donne fa regolarmente sesso anale penieno.

Tra l'11,8% e il 13,2%, invece, ha fatto sesso anale penieno nell'ultimo anno, e circa il 10% lo ha fatto negli ultimi 90 giorni. Meno del 5% delle donne ha riferito di aver fatto sesso anale durante la sua esperienza sessuale più recente. 

Un corpus di letteratura meno ampio che utilizza dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti e in Australia, suggerisce che le donne hanno anche testato altre tecniche di stimolazione e penetrazione anale, come la penetrazione digitale, la stimolazione manuale e/o il contatto orale-anale. Ma nessuno di questi studi ha considerato mai le tecniche utilizzate dalle donne e dai loro partner per stimolare l'ano internamente o esternamente, o in che misura queste tecniche fossero piacevoli.

Ora un nuovo studio, condotto su larga scala negli USA, ha indagato, per la prima volta in assoluto, quali sono le tecniche di tocco e stimolazione anale, poco convenzionali, che possono generare piacere nelle donne. 

I ricercatori hanno condotto l’indagine utilizzato i dati del Secondo OMGYES Pleasure Report, individuato e descritto in maniera dettagliata tre diverse tecniche di stimolazione e penetrazione anale (Anal Shallowing, Anal Surfacing e Anal Pairing), mai definite precedentemente, che le donne preferisco per massimizzare il piacere sessuale, sia durante l’autoerotismo che il sesso in coppia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE. 

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato i dati del Secondo OMGYES Women's Pleasure Report (uno studio statunitense rappresentativo a livello nazionale che esamina le preferenze del mondo femminile per quanto riguarda le tecniche di tocco vaginale interno), sulle esperienze sessuali di 3017 donne americane (di età compresa tra 18 e 93 anni). Lo scopo era descrivere ed etichettare nuove tecniche di stimolazione e penetrazione anale che le donne trovano più piacevoli. 

Attraverso una ricerca qualitativa, hanno così identificato e descritto in maniera dettagliate tre tecniche di tocco anale che le donne trovano particolarmente piacevoli, e che espandono il repertorio sessuale anale.

Un contributo importante offerto da questo lavoro - hanno dichiarato i ricercatori - è la denominazione data a queste tecniche di tocco e stimolazione utilizzate dalle donne e dai loro partner. Come già abbiamo suggerito nel nostro lavoro precedente incentrato sulla stimolazione e penetrazione vaginale, affinché le donne si sentano a proprio agio nel comunicare quali tecniche vogliono provare e/o quali tecniche esistenti vogliono provare in modo diverso, le parole e le descrizioni che usano per fare ciò devono essere  semplici ed immediate. 

Per la stragrande maggioranza delle pratiche sessuali anali, tuttavia, con alcune eccezioni relative al tocco sessuale orale-anale (denominato analingus) e alla penetrazione anale con una mano (indicata come fisting anale), c'è stata sino ad oggi una mancanza di terminologia chiara”.

 Tre nuove tecniche di stimolazione anale

I ricercatori hanno così individuato e coniato tre tecniche: "Emersione anale" (Anal Surfacing), "Penetrazione anale o superficiale" (Anal Shallowing) e "Accoppiamento anale" (Anal Pairing).

Il termine Anal Surfacing si riferisce al tocco della parte esterna, sopra o intorno, dell'ano, che 4 donne su 10 hanno scoperto essere particolarmente piacevole. La tecnica Anal Shallowing si riferisce, invece, al tocco penetrante appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca, che è stato trovato piacevole dal 38,2% delle donne che apprezzano qualsiasi forma di penetrazione anale. 

Il “tocco anale accoppiato” - denominato “accoppiamento anale” -, infine, è un tocco vaginale e/o clitorideo simultaneo, che può lavorare in sinergia con altre forme di tocco sessuale come miglioramento del piacere e dell'orgasmo delle donne, apprezzato dal 40% del campione.

Il saper riferire con un termine chiaro quale tipo di tocco anale richiedere al partner può essere particolarmente importante per una donna. “Le diverse età in cui le donne hanno scoperto che il tocco anale esterno e/o penetrante era per loro piacevole - hanno dichiarato gli autori - dimostra che nuove tecniche di tocco possono essere scoperte a qualsiasi età, e possono incoraggiare le donne a continuare a esplorare la sfera del loro piacere per tutta la vita”.  

Strumenti utilizzati per la stimolazione anale

I ricercatori hanno anche esplorato la dimensionalità di queste tecniche, identificando ciò che viene utilizzato per il tocco o la stimolazione (es. dito, pene o sex toy propri o del partner), il modo in cui viene utilizzato (es. in superficie vs. dentro, o appena dentro vs. una nocca dentro vs. più profonda di un dito dentro), perché le donne lo trovano piacevole (es. aumento dell'intensità dell'orgasmo vs. brivido vs. intimità) e come l'hanno scoperto (ad es. presentazione del partner vs. autoesplorazione). 

Questo studio - hanno sottolineato gli autori - supporta un modello di sessualità anale incentrato sulla donna in cui le donne e/o i loro partner hanno il potere di scegliere il tocco anale e le tecniche di stimolazione che soddisfano maggiormente i propri bisogni sessuali”. 

Quali sono le tecniche preferite dalle donne

In sintesi, i risultati dello studio suggeriscono che il 40% delle donne ha trovato piacevole l'"Anal Surfacing" (tocco sessuale con un dito, un pene o un giocattolo sessuale sopra e intorno all’ano), circa il 35% delle ha provato piacere usando l"Anal Shallowing” (tocco penetrante con un dito, un pene o un sex toy appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca). 

Infine, il 40% delle donne ritiene più piacevoli altre forme di tocco sessuale utilizzando l'"accoppiamento anale” (tocco all'interno dell'ano che avviene contemporaneamente ad altri tipi di tocco come la penetrazione vaginale o quello clitorideo).

Questi dati forniscono la descrizione chiara di tecniche che le donne utilizzano per esplorare il piacere generato dalla stimolazione dell'ano, e che possono aiutare le donne ad identificare meglio le proprie preferenze sessuali, comunicarle chiaramente ai loro partner e massimizzare il loro piacere sessuale. 

Perfezionare il linguaggio del sesso per abbattere i tabù

Come suggerito prima in questo articolo, la maggior parte di ciò che è "noto" - sia attraverso la letteratura scientifica che attraverso la cultura popolare - si riferisce al sesso anale penino o enfatizza gli esiti avversi di questo (ad es. malattie sessualmente trasmissibili, dolore o coercizione).

Il nostro studio - hanno concluso gli autori - amplia la letteratura scientifica con nuove tecniche di stimolazione anale per il piacere femminile, perfezionando il linguaggio del sesso, e sottolinea come la donna oggi non ricopre più un ruolo passivo ma attivo nel rapporto sessuale, contribuendo all'abbattimento dei tabù”.

Fa Bene, fa Male.

Il crollo.

La Burocrazia.

Attività fisica e Consumi di Calorie.

La camera da letto.

Viso da goduria.

Sesso Gay.

Sexsomnia.

La masturbazione.

I Preliminari.

Le Posizioni.

Lo squirting.

Il sesso tantrico.

L’Orgasmo.

L’evoluzione.

Finzioni e segreti.

L’emulazione.

Fa Bene, fa Male.

Simone Cosimi per "vanityfair.it" sabato 14 ottobre 2023.

Un mix di effetti, mentali e psicologici, coinvolge la dimensione del sesso. Sia durante l’atto in se che nelle situazioni seguenti. Salute e benessere si avvantaggiano di un sesso rispettoso e coinvolgente: ricercatori e terapisti in effetti non si risparmiano, infatti, quando si tratta di decantare le lodi del sesso fatto con regolarità. Lo fanno perché, appunto, c’è una ragione. Anzi, più di una: fa bene alla testa e al corpo.

Gli aspetti coinvolti sono davvero molti. Ad esempio, fare sesso con una certa regolarità può aiutarci ad allungare l’aspettativa di vita grazie agli effetti ormonali, come quelli del Dhea (deidroepiandrosterone), un ormone prodotto dalla corticale del surrene in risposta all’ormone ipofisario Acth che oltre a regolare e stimolare appunto funzioni sessuali e libido gestisce per esempio la produzione di mielina, una sostanza importante per la protezione e il funzionamento del sistema nervoso.

Quanto alla salute mentale, il sesso ha la capacità di lenire ansie e paure e aumentare il rilassamento e il benessere. In questo caso parte dei meriti si devono alle endorfine, ormoni proteici che agiscono come neurotrasmettitori e influenzano in buonumore e la felicità, aiutando a contrastare la depressione. 

Non solo: il sesso può ovviamente migliorare l’intimità col proprio o con la propria partner in modo chimico e profondo grazie all’ossitocina, il cosiddetto ormone dell’amore. Secondo un’indagine dell’anno scorso questo effetto di unione dura per circa 48 ore dopo il rapporto e chiaramente influenza la qualità della relazione sul lungo periodo.

Sono numerose le ricadute più generali sulla salute. Per esempio, secondo un’indagine della School of Public Health dell’Università di Boston l’eiaculazione abbatte il rischio di cancro alla prostata. 

Ma gli orgasmi stimolano anche l’ossitocina, come si diceva, che lavora come un antidolorifico naturale e puoi aiutarci a combattere mal di testa e dolori muscolari. I rapporti sessuali, lo abbiamo verificato più volte, fanno inoltre bruciare calorie – anche se il dibattito su quante e come è ancora aperto, forse non così tante – qualcuno parla di un centinaio per ogni rapporto. Ponendo tre rapporti sessuali a settimana significa 15mila calorie bruciate ogni anno senza muoversi da casa. 

Il sesso è inoltre un ottimo antistress – lo ha dimostrato uno studio pubblicato su Plos One secondo il quale fare sesso ogni giorno per due settimane può condurre alla stimolazione delle cellule dell’ippocampo, la zona del cervello che regola l’umore. Senza contare, ovviamente, la vicinanza al proprio o alla propria partner. 

Infine, oltre a rafforzare i muscoli dell’area pelvica, vantaggio che a sua volta condurrà a rapporti più soddisfacenti, il sesso estende i propri benefici per quanto riguarda il sollievo anche ai sintomi premestruali come i crampi. Ma i benefici del sesso, e delle diverse componenti intime di cui si compone un rapporto, dai baci al tatto, sono davvero infiniti.

Traduzione dell’articolo di Katie-Ann Gupwell per dailystar.co.uk sabato 30 settembre 2023.

Dimenticatevi di contare le pecore: fare sesso potrebbe essere il segreto per una buona notte di sonno. Infatti, se si raggiunge l'orgasmo, si hanno buone probabilità di riposare bene, sia se questo avviene il partner, sia che giochiate in solitaria. In passato si è detto che fare sesso spinto può aiutare ad addormentarsi, e noi possiamo confermare ufficialmente che la teoria è vera. 

Fino al 75% delle persone riferisce di aver dormito meglio dopo aver fatto sesso prima di andare a letto. Ora è stato confermato che potrebbe anche aiutare a mantenere un aspetto più giovane. 

Dopo aver pubblicato uno studio su come massimizzare la bellezza con il nostro sonno, gli esperti di LOOKFANTASTIC hanno rivelato che il sesso può farci addormentare, ma solo se è fatto bene. Questo include il raggiungimento dell'orgasmo prima di poterne beneficiare.

Secondo Aruj Javid di LOOKFANTASTIC: "Fare sesso prima di andare a letto non solo aiuta l'intimità fisica ed emotiva con il partner, ma c'è anche una componente benefica tra sesso e sonno di cui le persone non si rendono conto. Durante un rapporto sessuale appassionato, il corpo rilascia ossitocina, un ormone che aiuta a rilassarsi e che, a sua volta, può far sentire la sonnolenza e aiutare ad addormentarsi meglio, soprattutto dopo aver provato un orgasmo o due. 

"Anche gli abbracci, i preliminari, i baci e le coccole o persino un bel massaggio da parte del partner prima di andare a letto possono aiutare a rilasciare gli ormoni dell'amore e contribuire al benessere generale".

A volte affidarsi al sesso per raggiungere l'orgasmo può essere una battaglia persa per molte ragioni, perché lo stress quotidiano del lavoro e della vita può occupare la mente e rendere più difficile raggiungere l'orgasmo. A volte si può anche scoprire che i partner sessuali non sono previsti. 

Per questo motivo, a volte è necessario ricorrere all'autopiacere per massimizzare il sonno ed è importante anche per il proprio benessere. Masturbarsi prima di andare a letto per raggiungere l'orgasmo può aiutare il corpo a rilasciare gli ormoni necessari per dormire, è un ottimo modo per massimizzare le ore di sonno ed è anche un modo garantito per assicurarsi che il lavoro sia fatto bene.

Il benessere sessuale e una vita sessuale positiva possono avere un impatto significativo sulla nostra vita, soprattutto sul sonno, e affidarsi al rilascio di ormoni naturali per migliorare il sonno è importante. Per saperne di più è possibile consultare il rapporto completo sul sonno di bellezza, che approfondisce anche l'impatto del sonno sulla salute e le migliori routine di bellezza a letto.

 Da dailymail.co.uk sabato 30 settembre 2023.

“Femail” ha lavorato con la nutrizionista Elouise Bauskis per identificare i 15 alimenti che si dovrebbero assolutamente evitare prima di una serata romantica sotto le coperte.

1. La liquirizia

L’assunzione di liquirizia è stata collegata ad un abbassamento dei livelli di testosterone. Più alto è il testosterone, più forte è il desiderio sessuale, sia per gli uomini e le donne. Concludete voi il sillogismo.

2. I formaggi

O anche chiamati i killer della libido. Molti latticini sono difficili da digerire e aumentano la produzione di muco. Non è il modo ideale di sentirsi prima del sesso! 

3. Fagioli

Secondo la dottoressa Bauskis, tutto dipende per quanto riguarda i fagioli:

“Alcuni si sentiranno pieni di energia, altri gonfi e lenti. Nel peggiore dei casi, possono portare all’aumento della flatulenza. Meglio evitare”, ha spiegato. 

4. Cioccolato

Scegli con attenzione il cioccolato perché non tutto fa male. Anzi, quello fondente (con un minimo di 70 per cento di cacao) è antiossidante, ricco di L-triptofano (che come la serotonina ci fa sentire più felici) e la feniletilammina, che è la stessa sostanza chimica che produce il corpo durante i primi momenti dell’innamoramento. 

5. Hot dog

Possono ostruire le arterie del pene e della vagina, da evitare assolutamente se desideri sentirti sensuale.

6. La menta peperita

È stato dimostrato che la menta riduce i livelli di testosterone: “Una delle erbe migliori per il sistema digestivo, ma ha ripercussioni negative sulla libido.” 

7. Acqua tonica

Spesso contiene chinina (come agente aromatizzante) collegata a una diminuzione della funzione sessuale. 

8. Patatine fritte

Questo alimento rilascia la sua energia molto rapidamente nel nostro sistema.

Inizialmente, potrai sentirti bene, ma poco dopo ti potresti sentire fiacco e senza forza. “Inoltre, se sono state cotte in olio di cattiva qualità, possono provocarti sonnolenza e indigestione”. 

9. Carne rossa

Secondo alcuni è un elemento energizzante, grazie al ferro che aumenta l'ossigenazione in tutto il corpo. Secondo altri, può farti sentire più “animale”. Per altri ancora può generare pesantezza e sonno. 

10. Tofu

Il tofu e la soia contengono fitoestrogeni e mangiati in eccesso possono diminuire i livelli di testosterone. 

11. Conservanti

Gli alimenti a lunga conservazione hanno un basso valore nutritivo, equivalgono energicamente a un cibo “morto”. Non aumenteranno la vostra vitalità, né renderanno meglio il sesso! 

12. Vino rosso

Con moderazione il vino rosso può aumentare il flusso del sangue, aiutandoti a rilassare e abbassare le inibizioni. Ma, in quantità esagerate, può portare all’impotenza. 

13. Farina d'avena

Presenta un alto contenuto di fibre che possono farti sentire “gassoso”. 

14. Bevande energetiche

Sono piene di zuccheri e coloranti. Possono darti una sensazione di benessere immediato, ma dura poco. 

15. Broccoli

Il pericolo è che può produrre gas nel vostro corpo, ma allo stesso tempo è un ortaggio che aiuta a disintossicarsi.

Il crollo.

Estratto dell'articolo di Maria Giovanna Faiella per corriere.it sabato 23 settembre 2023.  

[…]

Sono molti i fattori che possono influenzare la libido, ma come affrontare e gestire - insieme - il calo di desiderio in una coppia? Ecco alcuni consigli con l’aiuto dell’esperto. 

Calo fisiologico della libido

Innanzitutto, premette Claudio Mencacci, direttore emerito «Neuroscienze e Salute mentale» all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia: «L’intimità, come l’amore, non è sempre uguale, così il desiderio sessuale nella coppia cambia non solo col passare del tempo ma anche nei partner […] ».

Come e perché cambia il desiderio nelle coppia di lunga durata? Spiega Mencacci: «Da un lato è abbastanza comune il fatto che uno dei partner abbia un maggior desiderio rispetto all’altro; dall’altro, è abbastanza raro che nelle relazioni di lunga durata i due partner mantengano i medesimi livelli di desiderio nel corso degli anni, come pure cala anche la frequenza dei rapporti sessuali man mano che passa il tempo». 

La regola delle 3 «C»

Cosa fare se, a distanza di anni, nonostante ci sia un forte legame affettivo ed emotivo, sopraggiunge un calo della libido in uno dei partner, causando problemi alla coppia? Innanzitutto, va migliorata la comunicazione che è il fondamento della salute sessuale, suggeriscono gli esperti interpellati dal New York Times. Concorda il professor Mencacci, che aggiunge: «Va applicata la regola delle “3 C”, ovvero comunicare, condividere, concordare. Domandarsi sempre come poterne parlare, anche affrontando tabù a volte di carattere emotivo a volte di carattere sessuale. 

Per esempio, — prosegue l’esperto — si può condividere e concordare il fatto che si può fantasticare di avere relazioni con altri: fantasticherie che possono essere messe al servizio della coppia, senza generare sentimenti di tradimento. Inoltre, si possono condividere e concordare anche le modalità con cui si attiva il desiderio. Per esempio, si sa che ci sono due diversi tipi di desiderio sessuale: quello che si manifesta in modo spontaneo, quasi selvaggio, che vediamo anche nei film, e che sembrerebbe più comune tra gli uomini e, invece, il desiderio reattivo che si attiva attraverso uno dei cinque sensi, per esempio un tocco piacevole, un segnale visivo, la funzione dell’olfatto». 

[…]

Possono subentrare, poi, altri fattori che fanno diminuire la libido, quali condizioni di grande stress fisico e psichico, oppure alcuni trattamenti farmacologici, o disfunzioni sessuali. In questi casi occorre parlarne col medico. 

Ancora, ricorda il professor Mencacci: «È ovvio che nelle coppie di lunghissima durata il cambiamento ormonale ha il suo peso nel calo della libido. Inoltre, col passare del tempo si può avere anche una percezione ( in genere più diffusa tra le donne) del proprio corpo che si fa fatica ad accettare, quindi un sentimento di insicurezza fisica, che può compromettere la libido».

[…]

«Per affrontare le differenze di libido all’interno della coppia, occorre innanzitutto individuare i fattori che le determinano, quindi non basta dire che è diminuito il desiderio, o che un partner ce l’ha di più la mattina, l’altro la sera.  

La relazione va curata sempre e, per renderla soddisfacente, va data particolare attenzione all’emotività di coppia, cioè bisogna comunicare anche emotivamente - al di là delle consuetudini -, mai smettere di parlare del proprio legame, delle proprie difficoltà a vivere l’intimità o anche delle proprie insoddisfazioni, poiché la sessualità fa parte del nutrimento della coppia; altrimenti, se si nascondono i problemi sotto il tappeto e si arriva al conflitto» avverte il professor Mencacci.

Se lo squilibrio del desiderio causa litigi o allontanamento nella relazione, si può prendere in considerazione la consulenza di coppia.

[…]

DAGONEWS domenica 20 agosto 2023.

“Riuscite a ricordare l'ultima volta che avete fatto sesso?” È la domanda che si pone il tabloid britannico “Daily Star” in un articolo che analizza il sesso e il matrimonio. A essere interpellata è la famosa “Sex-perta” Tracey Cox, che a “Femail”, la sezione femminile del Daily Mail, ha elencato sei “red flag”, gli allarmi rossi da tenere d’occhio per non avere un matrimonio a zero carbonella sotto le lenzuola. Eccoli. 

Primo segnale di allarme

Una volta terminato il periodo di luna di miele, è probabile che smettiate di volervi strappare i vestiti di dosso. Le passeggiate possono sembrare meno appassionate e spontanee, il che può farvi sentire come se vi steste limitando a fare le cose per bene.

Ecco cosa dice Tracey Cox: "Si passa dal non vedere l'ora di fare sesso a pensare: 'Potrei farne a meno in questo momento'. "Meno inventiva ed esplorazione, si passa a un formato di routine ripetitiva che funziona per entrambi. Uno dei due inizia a dire di no più spesso dell'altro". 

Secondo segnale di allarme

Quando fare sesso sembra meno intenso, la frequenza diminuisce naturalmente. Molte coppie danno la colpa a fattori come l'avere figli, il sentirsi stressati o il non avere tempo per fare l'amore. 

In questo caso, Tracey consiglia di affrontare il problema con il proprio partner: "Quando si smette di fare sesso per più di un anno, la situazione rimane quasi sempre tale, a meno che uno o entrambi non affrontino il problema di petto". 

Terzo segnale di allarme

Può sembrare imbarazzante parlare di sesso, ma assicuratevi che la comunicazione non si interrompa. Questo può portare alla frustrazione, soprattutto se una persona desidera l'intimità più dell'altra. 

Anche le coppie che fanno il "discorsetto" per negoziare la frequenza con cui darci dentro possono avere problemi se una delle due parti si sente sotto accusa.  Tracey ha detto: "Le discussioni sul sesso iniziano a diventare spiacevoli e continuano ad aggravarsi quando non si trovano soluzioni". 

Quarto segnale d'allarme

Se iniziate a chiedervi "faremo mai più sesso?", potreste essere in crisi. Ma non è ancora detto che sia la fine della vostra relazione: dipende dalla libido, dall'età e della fase della vita in cui vi trovate. 

Aggiunge Tracey Cox: "I problemi relazionali, la noia della monogamia, il fatto di non trovare più attraente l'altro, l'educazione dei genitori, la sospetta o reale, i sostituti del sesso (come i porno), lo stress, l'ansia e la stanchezza – tutto ciò fa la sua parte nel ridurre il nostro desiderio di sesso a lungo termine". 

Quinto segnale di allarme

L'esperta di sesso descrive questa fase come la fase di "picco di rabbia". Spesso si tratta di un'azione di cecchinaggio, anche dopo aver parlato di intimità e magari anche con amici o terapeuti. Se si viene rifiutati, ci si può sentire non amabili e frustrati. D'altro canto, se si è costantemente oggetto di proposte, ci si può sentire usati ed esauriti. 

Sesto segnale di allarme

Quando smettete di arrabbiarvi, potrebbe essere un segno che il sesso non vi interessa più. In questi casi, Tracey Cox dice che dovreste "accettare" la vostra situazione, ristabilire i confini della vostra relazione o andare avanti. Questo potrebbe significare masturbarsi, guardare un porno o esplorare la poligamia. 

Ma se nessuno dei due riesce a trovare un accordo, potrebbe essere il momento di separarsi e trovare una relazione più soddisfacente.

Da elle.com domenica 20 agosto 2023.

Arriva un momento in ogni relazione, indipendentemente da quanto la coppia sia felice, in cui la componente sessuale soffre un momento di ristagno, diventando monotona, ripetitiva e , in definitiva, noiosa. 

Questo può essere legato a un momento particolare della vita, ad esempio una gravidanza, o un periodo difficile nella propria vita personale, sia semplicemente dovuto al fatto che dopo tanti anni con lo stesso partner, l’effetto sorpresa, soprattutto tra le lenzuola, sembra ormai un ricordo.

Si tratta di una situazione perfettamente normale, ma se protratta a lungo, può causare qualche malcontento: non bisogna infatti dimenticare che la componente sessuale può essere un collante straordinario per la coppia, perché permette di cementare il rapporto, la complicità e l'intimità. 

Come fare quindi per risvegliare la passione sopita e ravvivare le ceneri dell’amore? Ecco qualche suggerimento per tornare a fare faville in camera da letto ( ma anche le altre stanze vanno benissimo) e ridare slancio al rapporto amoroso quando l’abitudine diventa un inquilino scomodo.

Come risvegliare l’intesa sessuale quando arriva l’abitudine: essere onesti

Prima di tutto bisogna affrontare il problema da un altro punto di vista, ovvero la comunicazione, altro elemento fondamentale per far funzionare una relazione. Magari solo uno dei due sta soffrendo la mancanza di intimità, oppure vorrebbe provare qualcosa di spicy per ravvivare il rapporto.

In generale, se si ritiene che manchi qualcosa, o se si pensa che la propria vita sessuale sia carente di qualità, l’onestà è il primo ingrediente per identificare e correggere qualsiasi problema. È importante comunicare non solo se c’è qualcosa di sbagliato, ma anche se si vuole provare qualcosa di nuovo: saper ascoltare e comprendere i desideri del partner, è fondamentale, non solo in termini di esperienze sessuali, ma anche per rafforzare l'intesa di coppia. 

Esplorare territori sconosciuti

Diceva Thomas Jefferson: "Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi fare qualcosa che non hai mai fatto". Ripetere ogni volta le stesse dinamiche ( fare l’amore sempre lo stesso giorno o allo stesso orario, ripetere sempre le stesse posizioni) potrebbe non portare da nessuna parte. Perché invece non sfidare se stessi esplorando qualcosa che non è familiare? 

I risultati potrebbero rivelarsi sorprendenti, e abbracciare le novità potrebbe svelare qualcosa di nuovo sui noi stessi, sul partner e sulla coppia. Il segreto è perdere l’inibizione, dimenticare ciò che si crede di sapere e divertirsi. Si può iniziare sperimentando nuove posizioni, approcciare il bondage ( si può iniziare anche con una semplice benda sugli occhi), scegliere nuovi luoghi dove fare l’amore o semplicemente esplorare nuove tecniche di preliminari.

Se si ha una fantasia sessuale o una voglia particolare, non bisogna avere paura di rivelarla: un gioco interessante potrebbe essere stilare insieme una lista di attività che entrambi vorreste sperimentare: anche semplicemente parlare delle proprie fantasie ( senza necessariamente passare alla pratica) può riaccendere la passione. 

Essere spontanei

Quando si sta assieme da tanti anni, se da un lato la complicità si è cementificata, dall’altro può capitare di finire per recitare sempre lo stesso ruolo, per abitudine o comodità. In questo caso, la parola magica è buttarsi: non avere paura di sorprendere sessualmente il partner ( o se stessi). Il brivido dell'imprevisto e del non provato può essere davvero divertente, a patto che avvenga in un contesto sereno. Certo, non è sempre facile lasciarsi guidare dalla propria passione quando si ha una vita piena di problemi di lavoro, figli, famiglia e altro di cui preoccuparsi. Ma la prossima volta che si presenta un momento inaspettato per fare l’amore, perché non cogliere la palla al balzo, invece che lasciarlo passare perché fuori dalla routine? 

Fare un programma

Quando la vita diventa frenetica e gli orari sembrano impossibili da incastrare, la pianificazione degli incontri sessuali può diventare importante. Molte persone potrebbero trovarsi non d’accordo, sostenendo che decidere preventivamente quando fare l’amore può uccidere il desiderio. Ma tutto dipende da come si organizza l’incontro. 

Un consiglio è ad esempio quello di preparare con anticipo l’atmosfera. Se si è deciso di fare l’amore la sera, perché non iniziare già al mattino con un post it o un messaggio piccante, per aumentare l’aspettativa? Invece che trovarsi a casa, si potrebbe prima combinare un aperitivo e iniziare a flirtare come due perfetti sconosciuti: l’importante è divertirsi e lasciarsi andare. 

Puntare sull’intimità

Non è necessario che il sesso sia sempre il fine ultimo di tutto: concentrarsi su altri tipi di intimità fisica può aiutare enormemente una coppia bloccata da vecchie abitudini.

Perché invece non concentrarsi sul contatto fisico, ad esempio fare una doccia o un bagno assieme, regalarsi una serata di massaggi, o semplicemente esplorare diversi tipi di preliminari. Questo può essere un’ottimo modo per riprendere i contatti con il corpo dell’altro ed esplorare un diverso livello di intimità. Una volta che si sarà creata un’atmosfera eccitante si avranno meno problemi a dedicarsi ad attività fisiche più intense.

Estratto dell’articolo di Andrea Minuz per “il Foglio” giovedì 17 agosto 2023.

La fine del sesso”, “Dopo il sesso”, “Addio sesso”, “C’era una volta il sesso”. Un diluvio di libri, studi, ricerche, editoriali e inchieste ne danno il triste annuncio: il sesso è morto, il sesso non ci interessa più. [...] Rapporti sessuali in calo ovunque, cifre sconcertanti sulla perdita di libido e paesi che primeggiano negli indicatori (il Giappone, per esempio). 

E poi un arcipelago di nuove figure sociali: “asexy”, “sexless”, “squish”, “queerplatonic”, “repulsed”, gli “antisex” che sono proprio arrabbiati con chi lo fa, o gli “incel”, che vorrebbero tanto farlo ma non se li fila nessuno (categoria sempre esistita, ma con internet diventa “comunità”, condivide il lamento, una teoria cospiratoria, è tutta colpa delle donne che si sono fatte troppo esigenti). Cala, insomma, il sipario sul sesso, grande ossessione del Novecento.

[...] questa sparizione del sesso sarà però segno di decadenza o salto di specie? Non si capisce. I medici lanciano allarmi. La cancellazione di un bisogno primario spaventa. L’aggressività, l’odio, la rabbia diffusa potrebbero venire anche da lì [...] 

Gli ultimi scampoli di rivoluzione sessuale si trovano quindi nella rinuncia. Niente scandali e provocazioni, si gode in silenzio e raccoglimento. Il sesso è visto ormai come ennesimo ricatto del capitalismo e del “neolibberismo” che ci obbligano a scopare. La recessione sessuale è arma tattica della decrescita felice: “Nella società consumista e capitalista”, scrive Emmanuelle Richard in un volumetto programmatico (“I corpi astinenti”), “il vero ribelle è l’astinente, quello che mi eccita è semmai il rispetto, la gentilezza, la dolcezza, la parità”. Tutti discorsi che, avendo tempo e energie, mettono una gran voglia di scopare, se non altro per dispetto. Giovani e adolescenti sembrano comunque infischiarsene.

Gli ultrasettantenni, invece, lo riscoprono [...] Sempre più genitori sconcertati per il disinteresse dei figli adolescenti in fatto di sesso. [...] 

li sballottiamo tra messaggi contraddittori: da un lato, l’ipersessualizzazione e tutto il porno del mondo sui loro telefoni, dall’altro il bigottismo, il nuovo moralismo, la paura del contatto umano. [...] Nel dubbio, spinti da forze opposte, gli adolescenti stanno fermi, immobili. E poi il sesso entra nello spazio pubblico in modi ormai sempre tremendi. Non c’è campagna elettorale e crisi politica in cui non circoli il video, la denuncia di uno stupro, il dibattito intorno a uno stupro.

E anche Hollywood che per noi era sinonimo di glamour e sogno americano è più che altro sinonimo di “abusi”. [...] Nell’epoca del narcisismo e dell’egolatria la masturbazione, “sesso con qualcuno che ami”, prende giustamente il largo. Il sesso è risucchiato dal porno, dal sexting, dall’intelligenza artificiale, dalle varie Alexa del sesso.

Come con altre cose, il Covid ha solo dato una spallata, ma tutto l’impianto era in crisi da tempo. Il problema naturalmente non è il piacere sessuale, ma il corpo, la pelle, gli odori di qualcun altro appiccicati addosso. Il sesso come il cinema: i film li vediamo ancora, ma l’idea di uscire di casa, cercare parcheggio, stare insieme a degli sconosciuti in una sala buia, col vicino che tossisce o s’ingozza di popcorn, non è più eccitante come una volta.

Estratto dell'articolo di Eleonora Gionchi per iodonna.it il 27 febbraio 2023.

Succede che col tempo il sesso esca dalla vita di coppia. Dopo anni e anni di relazione, c’è un calo del desiderio, in molti casi naturale e in altri psicologico, che può incidere sulla vita di coppia: «Il tutto dipende dall’importanza che la coppia dà ai rapporti sessuali: spetta intatti a ciascuno stabilire il livello di rilevanza dello stesso.

 Alcune persone pensano che il sesso sia sopravvalutato in una relazione, mentre per altre è essenziale. Ma quanto è importante il sesso nella relazione di coppia?» spiega Elena Isola, Psicoterapeuta-Sessuologa Clinica-Terapeuta e Supervisore EMDR.

[…]

Perché le coppie smettono di avere rapporti sessuali?

Alla base della mancanza di sesso, ci sono differenti motivazioni. La prima è il naturale processo fisiologico: «La prima fase della conoscenza e dell’innamoramento è sicuramente caratterizzata da una maggiore ricerca del contatto con l’altro e da un’attività sessuale più ricca, rispetto ad una fase più matura del rapporto. Ciò non significa che il sesso debba scomparire dalla vita della coppia, ma cambia».

 Come spiega l’esperta, capita che le coppie non sappiano il reale motivo: è infatti durante la terapia che emergono sentimenti negativi e contrastanti come ansie e paure, rabbia e vergogna che, a lungo andare, hanno influenzato negativamente sulla relazione: «Spesso nella coppia si ha paura di non piacere più all’altro, entra il gioco il timore di essere sostituiti e abbandonati. Queste paure mentali frenano la possibilità di accedere liberamente al desiderio sessuale».

[…] Inoltre si corre il rischio di non gestire al meglio alcuni cambiamenti ormonali e corporei che sopraggiungono con l’arrivo della menopausa e dell’andropausa. […]

 Quando l’allontanamento accade anche alle coppie giovani

Altri fattori che influenzano negativamente la vita sessuale sono i cambiamenti che la coppia subisce: il caso più diffuso è il passare da semplice coppia a genitori. Non è quindi solo questione di età ma anche di cambiamenti della vita […]

Non solo, ma anche aspetti come stress lavorativo, problematiche come perdita del lavoro o lutti sono fattori che non aiutano l’intimità perché pongono la persona, e quindi la coppia, davanti a un mutamento cambiando quindi le personali priorità.

Estratto dell’articolo di Benedetta Perilli per repubblica.it il 19 febbraio 2023.

Un appello lanciato […] dalle colonne del New York Times, nelle pagine Opinion, e più di 1600 commenti dei lettori nella sua versione online. L'intervento sul quotidiano statunitense di Magdalene J. Taylor, scrittrice americana esperta di sessualità e cultura, non è passato inosservato. "Have more sex, please", "fate più sesso, per piacere", si intitola così l'articolo che affronta il tema della vita sessuale degli americani con particolare riferimento al crollo nella frequenza dei rapporti negli ultimi anni. "Fatelo di più, non solo come consiglio personale - il vostro medico sarà d'accordo - ma come dichiarazione politica", scrive.

 Tutto parte da un dato emerso dall'ultimo sondaggio del General Social Survey, lo storico istituto di ricerca che dal 1972 raccoglie le abitudini dei residenti negli Stati Uniti. "Più di un quarto degli americani non ha fatto sesso neanche una volta nell'anno precedente a quello del sondaggio", scrive Taylor. L'anno in questione è l'anno nero dei rapporti ravvicinati, ovvero il 2020. Anno segnato dalla pandemia da Covid e dalle misure di contenimento che hanno portato alla quasi definitiva sospensione delle relazioni.

[…] "Negli anni Novanta - scrive Taylor - quasi la metà degli americani faceva sesso una volta o più a settimana. Ora non arriva al 40%. E non è soltanto il sesso a essere diminuito, calano anche i rapporti sentimentali e le convivenze. E si trascorre meno tempo con amici e partner".

 Impossibile però comparare il quadro emerso statisticamente negli Stati Uniti con la situazione italiana. L'Istat, l'istituto nazionale di statistica, non copre questa sfera dei comportamenti degli italiani, e l'unico dato attendibile sul tema è quello fornito da un rapporto del Censis commissionato dalla Bayer nel 2019.

Che però fotografa soltanto gli italiani tra i 18 e i 40 anni e lo fa precisamente un attimo prima che tutto cambiasse, ovvero prima dell'avvento della pandemia. "Fanno abbastanza sesso nel quotidiano, ne sono soddisfatti e sperimentano una molteplicità di pratiche che affiancano o sostituiscono i rapporti completi", era lo spaccato emerso allora. Sarebbe interessante capire come e se è cambiato oggi.

 Tornando alla situazione negli Stati Uniti, è sempre Magdalene J. Taylor nel suo commento ad azzardare una diagnosi: parla di una epidemia di solitudine. Creata da vari fattori, tra i quali annovera anche i social, sarebbe la causa dietro la rarefazione dell'attività sessuale. "La società americana è meno connessa, fatta da individui che sembrano desiderare sempre di più l'isolamento. Fare più sesso potrebbe essere un gesto di solidarietà sociale", scrive Taylor.

"I dati di una diminuzione della sessualità arrivano da tempo dagli Stati Uniti, ma questo tipo di dati statistici prendono in considerazione soltanto la sessualità penetrativa senza tenere conto di tutta un'altra sfera della sessualità, meno tradizionale e prediletta dalle nuove generazioni che è fatta di baci, abbracci, stimolazioni reciproche, contatto fisico", spiega Roberta Rossi, psicoterapeuta e sessuologa, direttrice dell'Istituto di sessuologia clinica di Roma. […]

Dagotraduzione dal Daily Mail il 25 giugno 2023. 

Di Tracey Cox 

Hai mai inviato una tua foto sexy senza che ti fosse richiesta? O ignorato il suggerimento di andartene dopo un’avventura di una notte? Interrompi il sesso quando raggiungi l’orgasmo? Rifiuti di ricambiare il tuo amante con sesso orale? 

Se rispondi sì a una delle domande precedenti, le tue maniere a letto potrebbero avere bisogno di una revisione! Ci sono regole universali che tutti dovrebbero seguire se vuoi mostrare rispetto e far sapere ai tuoi amanti che sei di classe. 

Cosa è corretto e cosa no? Ecco la mia guida al galateo del buon sesso: le cose che separano lo sciatto e lo squallido dall’elegante e le educate. 

Rispondere alla domanda: Quanti amori hai avuto?.

Di classe: una persona che ha avuto un amante solo ma non ha usato protezioni è molto più rischiosa di una che ha dormito con 30 diversi partner proteggendosi. Meglio comunque rifiutare di piegarsi alle pressioni per rivelare qualcosa difficile da accettare: «Non mi interessa il passato e un numero non significa nulla. Tutto ciò che mi interessa è quello che accadrà in futuro, ora che ci siamo incontrati». Evitare di fare questa domanda è l’ideale.

Pacchiano: offendersi e dire: «Stai insinuando che sono promiscua/o?», oppure fare pressioni per ottenere una risposta, o ancora dire che sei pronto ad accettare qualcune risposta, e poi scappare e/o esprimere giudizi. 

Sexting.

Di classe: chiedere prima di inviare qualcosa anche di lontamente sessuale. Inviare una foto erotica o artistica piuttosto che un’immagine in piano piano delle tue parti intime. Mantenere le foto che il tuo amante ti manda al sicuro da sguardi indiscreti. Non mostrare mai il tuo viso o qualsiasi caratteristica rivelatrice nelle foto che invii. Eliminare subito foto quando richiesto.

Pacchiano: inviare immagini scottanti non richieste, o foto sexy di qualcuno che non vuole. Mostrare foto e testi sexy di altre persone ai tuoi amici. Minacciare o ricattare le persone. 

Gestire un’avventura di una notte.

Di classe: un no significa “no”. Non essere egoista: potrebbe essere una tantum, ma non è solo una questione di piacere. Non dire niente se non ricordi il suo nome. Aspetta 15 minuti dopo il sesso, poi inventa una scusa per tornare a casa. Lascia il tuo numero di telefono, ma senza pretendere di essere richiamato.

Pacchiano: arrabbiarsi o infastidirsi se alla fine non fate sesso; non preoccuparti di chiedere cosa piace o non piace all’altra persona; rifiutarsi di accettare il suggerimento di andarsene, quando è ovvio che la richiesta è questa; farsi dare il numero di telefono ma non avere intenzione di chiamare. 

Igiene sessuale e ambiente.

Di classe: essere ben curati, con unghie lisce e pulite, una doccia recente, peli pubici sotto controllo. Lenzuola fresche di bucato, una camera da letto ordinata e un’illuminazione lusinghiera. Punti extra a chi tiene champagne in frigo e qualche bottiglia di vino decente.

Pacchiano: vestiti gettati sul pavimento, contenitori da asporto svuotati e posacenere traboccante sul tavolino. In frigo solo latte, pile di vestiti da stirare nell’angolo della camera da letto, e un letto sfatto e disordinato. Punti in meno per unghie sporche, alito e genitali maleodoranti e un’illuminazione troppo intensa. 

Trattare con i preservativi.

Di classe: supponendo che i preservatici siano la norma per tutti gli incontri casuali o nuovi, è bene avere sempre un preservativo di buona qualità con sé. Indossarlo senza che venga richiesto. Ricordarsi di tenerlo alla base prima di ritirarsi. Smaltirlo con discrezione.

Pacchiano: rifiutarsi di indossarne uno, non averne nessuno con sé; tirare fuori una confezione da 20 in cui ne p rimasto uno solo. 

Sesso orale.

Di classe: se ci mette troppo tempo, dire: “sei così grande, ho bisogno di riposarmi» oppure: «lascia che ti guardi mentre fai da te. Fa caldo». Togliere discretamente la bocca e continuare usando la mano nel momento cruciale, se non si vuole deglutire.

Pacchiano: uomini che non si lavano; uomini che ti mettono le mani sulla nuca e ti spingono verso il basso; uomini che danno per scontato che sia giusto eiaculare in bocca, senza prima chiedere; uomini che non ricambiano. 

I suoi orgasmi

Di classe: lei viene prima, ma non arrabbiarti se non ha un orgasmo. Invita il suo vibratore a letto con voi, chiedi feedback e indicazioni. 

Pacchiano: tralasciare i preliminari, andare dritto al rapporto e penetrale in pochi minuti; spingere come un martello pneumatico; chiedere ogni tre minuti: «ne hai già avuto uno?».

Problemi al pene.

Di classe: afferrare un pene che è piccolo, guardarlo negli occhi e dire: «Sei così sexy». Non prenderla sul personale se ha difficoltà di erezione. 

Pacchiano: fissare il suo pene e dire: «lo sentirò anche io?»; fare un commento tagliente se lui raggiunge l’orgasmo e tu no; ridere o ridicolizzarlo se le cose non vanno secondo i piani; fare storie se un’erezione vacilla. 

Durante il sesso.

Di classe: fare molti complimenti. Mettere la loro mano dove vuoi e guidarli dove è meglio. Essere attenti al linguaggio del corpo. Mai dare per scontato che ci sia una regalo per tutti. 

Pacchiano: sdraiarsi e aspettare che l’altra persona faccia tutto. Leggere un messaggio sul telefono durante il rapporto; interrompere tutte le attività sessuali appena raggiunto l’orgasmo.

Dopo il sesso.

Di classe: scivolare discretamente via e riapparire con i fazzoletti. Dire quanto ti è piaciuto con motivi specifici; coccole; non arrabbiarsi se il partner si addormenta. 

Pacchiano: non appena finito andarsi a fare una doccia. Diventare irritabile se non ti dicono quanto sei bravo. Andarsene non appena finito senza alcuna spiegazione. 

Trattare con i coinquilini.

Di classe: rimanere tranquilli ed essere discreti. Spiegare chi sei se incontri qualcuno dentro casa. Essere educato e amichevole.

Pacchiano: fare molto rumore dopo che ti è stato detto che le pareti sono sottilissime. Mettersi a chiacchierare con un coinquilino sexy; ignorare altre persone che vivono lì, andare in giro mezzo nudo, servirsi dal frigo senza contegno, fare una doccia nell’unico bagno, lasciare gli asciugamani bagnati sul pavimento.   

La Burocrazia.

DAGONEWS il 26 febbraio 2023.

L’infanzia, le relazioni passate e i desideri sessuali sono tra le sette cose di cui tutte le coppie dovrebbero discutere per conoscersi. Todd Baratz, un terapista sessuale degli Stati Uniti, ha rivelato cosa dovresti sapere sulla tua dolce metà se vuoi una relazione di successo.

 1. Storia dell'infanzia

Parlare delle tue esperienze d'infanzia può aiutare il tuo partner a capirti meglio. Poiché le relazioni familiari e le amicizie possono influire su chi sei, è importante discutere degli anni dello sviluppo.

2. Storia relazionale

Se la maggior parte preferisce non chiedere informazioni sulle storie passate del proprio partner, può essere una buona conversazione da avere in quanto puoi imparare cosa è andato storto prima. Questo non gioverà solo al tuo partner ma anche a te stesso per aiutarti a capire meglio cosa non ha funzionato bene in passato.

3. Preferenze d'amore

Oltre al tuo linguaggio d'amore, parla delle tue preferenze d'amore, che si concentrano sulle azioni che il tuo partner può fare per farti sentire amato. C’è chi predilige i cosiddetti "atti di servizio", come portare al partner una tazza di tè o preparare la cena. E c’è chi preferisce ricevere complimenti.

 4. Sfide relazionali

Le coppie dovrebbero anche sapere come si connettono meglio e come poter affrontare le sfide che si possono presentare. Aiuta a capire come si può riuscire a essere più uniti nei momenti di difficoltà e aggirare il conflitto.

5. Desideri sessuali ed erotismo

Le coppie dovrebbero anche conoscere i reciproci desideri e per migliorare la loro vita amorosa e legarsi l'un l'altro. È fondamentale tenere a mente ciò che accende e ciò che spegne a vicenda

 6. Mondo interiore

Anche far sapere al tuo partner cosa ti passa per la mente è importante in qualsiasi relazione. Sia che tu stia elaborando qualcosa che è successo al lavoro o che pensi a qualcosa del passato, parlane con il tuo partner.

7. Sogni e progetti futuri

Le coppie dovrebbero anche discutere i loro piani futuri ed è qualcosa che dovrebbe essere fatto dal primo giorno. Condividere sogni, fare piani insieme è fondamentale per conoscersi.

Estratto dell'articolo di Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 20 febbraio 2023.

L’argomento che sto per affrontare un po’ mi imbarazza, ma mi ci devo cimentare per fare chiarezza: il sesso. Ieri ho letto sul Foglio, un giornale sul quale mi onoro di aver tenuto, anni fa, una rubrica, un articolo raffinato di Berta Isla, il cui titolo terminava con questa affermazione che mi ha indotto a riflettere, il che costringe a sforzare la mente: “Non si scopa più”.

[…]  Il problema ormai è che il coito è praticato soltanto dai marocchini e generi affini che non esitano a violentare le donne. Sono rari gli uomini italiani che non frenano il desiderio di compiere un amplesso. Davanti a una signora avvenente, i maschi si trattengono anche soltanto dal corteggiarla. Temono di essere denunciati per stupro e di andare sui giornali quali mascalzoni. Piuttosto che finire nei guai, in molti casi, preferiscono frenarsi, scacciare il pensiero e il desiderio che è considerato un delitto soddisfare.

 Quando ero un ragazzo non avevo alcun timore, se una mi piaceva glielo dicevo e il più delle volte facevo gol. Oggi c’è ancora qualche giovanotto che sfonda, almeno spero, ma siamo di fronte ad eccezioni. La più parte dei virgulti si astiene non solo dal richiedere prestazioni sessuali, ma pure dal parlare a riguardo di argomenti pruriginosi, ha paura di essere accusata di sessismo, che è equiparato a un reato.

La società attuale ha demonizzato i rapporti intimi tra maschio e femmina, ma anche le parole che li definiscono. In sostanza siamo liberi di essere omosessuali, transessuali e lesbiche, ma ci è vietato avere un rapporto tradizionale. Troppo rischioso. Non so se ci avete fatto caso.

 […]  Ormai per accoppiarsi bisogna almeno convivere o sposarsi, pur sapendo che dopo due anni la signora che hai nel letto ti attira quanto una tartaruga. Ovvio che alla morte del sesso e del piacere hanno contribuito le femministe e i progressisti in generale, che hanno trasformato il politicamente corretto in una prigione senza sbarre ma piena di divieti, come il 41 bis. Meno male che sono vecchio e non esercito più, altrimenti sarei detenuto, ergastolo ostativo.

Estratto dell’articolo di Berta Isla per “Il Foglio” il 20 febbraio 2023.

Se questa sera avessi cenato con dieci donne della mia età a Londra – e non in una calda trattoria di Roma, dove ancora vivo a parziale riparo dalla modernità – sarei quasi certamente stata l’unica a non usare, e non aver mai utilizzato, una app di dating.

 […] Al netto di possibili deficit di aggiornamento, l’app più adeguata, nel nostro caso, sarebbe stata Inner Circle – la versione high end del più comune Tinder, che mette al riparo gli utenti dalla sòla dello spiantato, del cafone, del disoccupato. Una sorta di app per gli incontri con il filtro anti poveracci, che, a quanto pare, sono la cosa meno desiderabile di tutte, meno desiderabile dei cretini, per dire. O dei maniaci, per dire.

[…] Le ragioni per cui in certe parti del mondo la diffusione di questi strumenti è capillare, e quasi la regola, rispetto al nostro paese in cui ancora la faccenda è per certi versi stigmatizzata, sono a mio avviso almeno due.

 La prima, la più seria […] è che in società fondate sulla finalizzazione e il risultato, conoscersi inutilmente resta tutto sommato una gran perdita di tempo. In altri termini: investire tre serate per poi scoprire che quello è allergico al gatto, o non ama viaggiare, o detesta il sushi, o a quarant’anni ancora suona il bongo.

Ebbene, le app di dating dispongono di appositi spazi in cui volendo si possono leggere e fornire tutta una serie di informazioni per garantire un livello minimo di return on investment. […]

 La seconda ragione, molto più prosaica – di cui quindi ci occuperemo volentieri – è che in certe parti del mondo, senza consenso informato, praticamente non se scopa più. In queste parti del mondo […] è infatti in atto già da tempo una lotta senza quartiere. A cosa esattamente, è difficile dirlo: in estrema sintesi una lotta del tutto legittima a qualsiasi forma di costrizione della sfera relazionale, la cui radicalizzazione porta però con sé come danno collaterale una lotta all’erotismo, alla seduzione, alla casualità, all’improvvisazione, all’accettazione del rifiuto come elemento naturale della dinamica tra uomo e donna.

[…]  In molti uffici, ad esempio, alle persone vengono sottoposti dei questionari piuttosto precisi che servono a mappare il grado di offensività di determinati comportamenti. […] Nei questionari, per intenderci, non si domanda (o non solo): “ti senti offesa se uno sconosciuto per strada ti mette inopinatamente una mano sul culo? […].

 No, in questi questionari viene invece domandato: “ti senti offesa se un tuo collega si offre di pagare la colazione?”. O anche: “ti senti offesa se un collega ti aiuta a indossare il cappotto? Ti senti offesa se un uomo ti cede il passo per entrare in ascensore?”. […]

E in effetti quando mi è capitato di doverlo compilare davvero, uno di questi questionari, forse sarò sembrata strana, magari retrograda, o forse solo una trentacinquenne italiana, ma insomma io ho risposto sempre no […]. Ma conosco invece donne, anche tra le mie amiche, che avrebbero risposto tre volte sì. […]

 Eppure è così che è andata, in questo nuovo mondo sanificato e igienizzato, è andata che nello spazio dell’eros in senso lato le regole e i divieti hanno sostituito manu militari la libertà che, va detto, era peraltro stata conquistata con una certa fatica. […]

 […] A questa fantomatica cena londinese, per esempio, le mie commensali […] mi avrebbero spiegato che certamente se lo scrollato di turno non fosse saltato fuori, o non si fosse presentato all’appuntamento, non sarebbe cambiato molto.

Gli uomini non sono più indispensabili certamente per il sostentamento (le mie commensali londinesi sono professioniste di successo, a volte con stipendi da capogiro), e neppure per colmare vuoti (le mie commensali londinesi mi spiegano che ci sono moltissime esperienze per sentirsi complete anche senza un uomo accanto), e a dirla tutta neppure per il mero piacere sessuale (le mie commensali londinesi spendono alcuni commenti divertiti sui succedanei, per così dire).

 Neppure per la procreazione sono più indispensabili questi maschi: per la prima volta in miliardi di anni le donne sono in grado di procreare da sole – solo le donne ricche, va da sé – attingendo al bacino indistinto della categoria in anodine banche del seme.

[…] Ed è d’altra parte successo che, anche per le donne, provare a rompere questo schema, o anche solo non essere d’accordo, è diventato un po’ come negli anni Cinquanta indossare una minigonna. Una forma di ribellione, una bella mattata, considerando che trovare superflua tutta quest’attenzione per chi paga il conto a tavola produce in pochi casi risposte sulle quali è sensato riflettere, ma anche risposte più violente della violenza che si vuole combattere. […]

 Lo stesso movimento #metoo, […] ha fallito miseramente […] nel compito di dotarsi di contenuti positivi. In altri termini, il cosiddetto movimento si risolve in un brand, che se da un lato reclama un diritto che è quello di denunciare gli abusi […], dall’altro crea uno strano e indesiderabile clima di presunzione di colpevolezza maschile.

Ingabbiando le donne stesse in una prigione concettuale, dalla quale uscire significa non prendere sul serio la lotta per la liberazione femminile, il dramma delle donne che hanno subito molestie: non stare dentro quel filone di pensiero significa insomma stare sostanzialmente dall’altra parte della barricata, non comprendere che solo da questa violenza e radicalizzazione del pensiero può arrivare il cambiamento – anche se non è ben chiaro quale, né perché questo cambiamento debba andare bene per tutte.

[…] E allora uno si domanda, una si domanda, una dice, ma allora che senso ha tutto questo casino e tutti questi sforzi, se l’unico risultato è riempire il vuoto con questo unico pensiero dominante da cui è impossibile discostarsi. Ma come facciamo a chiamarla libertà questa maniera monolitica e ottusa di concepire la libertà. E allora […] le donne stesse accettano con fare quieto questa nuova ineluttabile èra, in cui il rapporto tra i sessi è disciplinato come una partita di burraco.

Tutto è quieto, quello che non è consentito è proibito, non si corrono rischi e i treni arrivano in orario. Gli uomini non osano e le donne accettano la loro perdita di audacia e che la loro immagine si sfochi, ché altrimenti non sta bene. Tutto si disperde e fluttua in questo magma di noia. Gli ambiti in cui è lecito lasciarsi andare sono un numero sempre più ridotto, neanche le feste sono rimaste più, l’abbiamo detto, neanche le discoteche sono rimaste, neanche i peggiori bar di Caracas.

 Solo in un posto, a ben vedere, ci si sente al sicuro in questo nuovo mondo così freddo, così glaciale e noioso, così burocratico e fascista: lo spazio felice del web, in cui esiste un luogo in cui si incontrano domanda e offerta come in una piattaforma di brokeraggio finanziario.

In cui, da un lato, quando ci si mette a disposizione si assolve al proprio dovere informativo fornendo le caratteristiche principali dell’investimento in maniera precisa, o a volte precisissima. Dall’altro, quando si investe, si va alla ricerca, per quanto possibile, del prodotto più adeguato alla propria profilatura di rischio, tra l’amore della vita e il just for fun .

 Ma soprattutto, in entrambi i casi, le parti rilasciano un consenso informato, e cioè una conferma di adesione consapevole alle regole del gioco e ai rischi che a questo gioco sono connaturati. E’ la sola presenza sulla piattaforma, infatti, a rappresentare una forma di accettazione che il rapporto venga portato sul piano della seduzione reciproca, ed eventualmente dell’erotismo. Che non vuol dire, evidentemente, che qualsiasi cosa sia consentita, o che l’essersi incontrati su una app di dating rappresenti un consenso al rapporto fisico di per sé, o a qualsiasi piega e conseguenza, ma certo rappresenta una timida ma inequivocabile apertura al mondo dell’attrazione, e un accordo reciproco di fuga dalle regole e dalle relative sanzioni.

Le persone si scrollano, si scambiano un cuore telematico – una via libera al contatto nel luogo virtuale dell’app, e questo parlarsi nel luogo virtuale dell’app, una volta saltati fuori e sbucati nel mondo reale, è una base solida sostanzialmente impossibile da negare. Come dire: la ditta non accetterà reclami se ti aiuto a indossare il cappotto, o addirittura mi avvicino per darti un bacio. Come dire: firmami il tuo consenso informato, e io ti guarderò dritta negli occhi.

[…] Sono abbastanza certa che tra qualche anno le quarantenni sedute a cena nella stessa calda e rumorosa trattoria dell’Esquilino, a Roma, dove oggi si combatte eroicamente contro il gelo della contemporaneità, avranno anche loro tutte sul cellulare delle app di incontri, su cui dare e raccogliere proposte con consensi informati.

A me, un po’, dispiace per loro.

Attività fisica e Consumi di Calorie.

Paola Scaccabarozzi per iodonna.it domenica 26 novembre 2023. 

Complici i ritmi frenetici quotidiani, il lavoro, i figli da gestire, problemi vari ed eventuali che talvolta diventano talmente pressanti da risultare imprescindibili e soverchianti, durante la stagione fredda la voglia di fare sesso diminuisce. Accade già dopo il rientro dalle ferie, tende ad acuirsi sempre di più verso la fine dell’autunno e crolla durante l’inverno.

La mancanza delle ore di luce ha un impatto significativo sull’umore perché in primavera ed estate il sole e la vita all’aria aperta stimolano la produzione di serotonina, una sorta di anti depressivo naturale. Ma non solo. Anche i livelli di testosterone, un ormone legato al desiderio sessuale, tendono a diminuire durante la stagione fredda. Quindi, in inverno, si è biologicamente meno predisposti al sesso. A questo si aggiungono strati di vestiti che, se in alcuni casi possono anche rendere più allettante il gioco della seduzione, in coppie già collaudate possono costituire un ulteriore deterrente al risveglio del desiderio sessuale.

Un gran peccato, perché a farne le spese è sia la vita di coppia sia il benessere individuale. Bisogna imparare ad accettare il proprio corpo. In questo modo ci si rende automaticamente più attraenti. «Piacersi è un ottimo afrodisiaco. E se ci si piace davvero lo si comunica a chi ci sta accanto. Bisogna, inoltre partire dal presupposto che,  per chi ci ha scelti, ammirare il nostro corpo nudo è fonte di enorme godimento. E non noterà certo il chilo di troppo o la smagliatura», ricorda Chiara Simonelli, sessuologa dell’Università La Sapienza di Roma. Bisogna anche imparare ad assecondare i sensi. Un rapporto sessuale soddisfacente deve appagare le parti sensoriali di ognuno di noi. 

«Tendenzialmente, uomini e donne hanno preferenze diverse. Gli uomini sono molto appagati dalla vista: per mantenere forte l’eccitazione hanno, infatti, bisogno di vedere. Le donne, invece, hanno molto sviluppata la parte uditiva. Quindi sentire la voce del proprio uomo è sempre molto eccitante», conclude Simonelli. 

Fare sesso fa bene per mantenere viva una relazione, non ci sono dubbi. Ma molti sono i vantaggi per la salute in genere, soprattutto nei mesi invernali. Fare sesso è:

1. È UN TOCCASANA CONTRO RAFFREDDORI E INFLUENZE. Secondo uno studio dei ricercatori dalla Wilkes University in Pennsylvania, la saliva delle persone che fanno spesso l’amore contiene maggiori quantità di immunoglobuline A, ossia gli anticorpi che proteggono dai virus. Anche l’immunologo svizzero Manfred Schedlovski, pochi anni fa è giunto alla medesima conclusione. Grazie a un curioso studio eseguito nel 2012 ha rilevato, infatti, durante i rapporti sessuali, un aumento del 30% nel numero di fagociti (le cellule in grado di eliminare gli elementi patogeni presenti nel nostro organismo), con picchi del 150% durante l’orgasmo.

2. TIENE A BADA IL COLESTEROLO. Se d’inverno si tende a mangiare di più, consumando più grassi e cibi elaborati, il sesso ti dà una mano. Durante un recente Congresso della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (Siams) è emerso, infatti, che una vita sessuale appagante ha un impatto significativo sui livelli di colesterolo “cattivo”, soprattutto nell’uomo. Notizia di non poco conto, se pensiamo che proprio in questi giorni è stato ulteriormente abbassato dai cardiologi  il livello di colesterolo LDL consigliabile, che deve essere preferibilmente sotto i 100 mg/dl per metterci al riparo dal rischio cardiovascolare. 

3. AIUTA A BRUCIARE LE CALORIE. Durante un rapporto sessuale si bruciano minimo 200 calorie, l’equivalente di una ventina di minuti sulla cyclette.

4. MANTIENE GIOVANI. Secondo David Weeks, neuropsicologo del Royal Hospital di Edimburgo, alle coppie che avevano rapporti almeno 3 volte la settimana venivano attribuiti in media 10 anni in meno rispetto alla loro vera età. È quanto emerso da uno studio condotto su 3500 persone tra 21 e 101 anni. Secondo il ricercatore questo varrebbe soprattutto per le donne, poichè gli estrogeni prodotti durante il sesso favorirebbero la brillantezza dei capelli e contribuirebbero a mantenere la pelle tonica ed elastica.

5. FA DORMIRE MEGLIO. In inverno l’aria in casa è secca e può essere più difficile addormentarsi. Ma il sesso rilascia sostanze chimiche, come le dopamine, che aiutano a rilassarsi e a riposare meglio. E dormire bene ha un sacco di vantaggi, anche sull’umore del giorno successivo e, di conseguenza, sul rapporto con il proprio partner. Insomma, si innesca una specie di circolo virtuoso.

SESSO

Che fare allora per movimentare un po’ la vita di coppia?

Estratto da italiaoggi.it il 12 marzo 2023.

Sesso, cibo, acqua? Uno studio pubblicato su Cell Metabolism, e ripreso da Nature, ha scoperto che i topi con una fame moderata preferiscono accoppiarsi che mangiare. La ricerca sui topi, sull'interazione fra la leptina, l'ormone che regola l'assunzione del cibo e dà senso di sazietà, e il loro comportamento sociale è importante anche perché permette di ricavare alcuni indizi sui comportamenti legati a sesso e cibo nelle persone affette da autismo e bulimia.

[…] Nonostante non sia possibile traslare immediatamente il comportamento dei topi a quello degli umani, la ricerca in questione offre spunti per comprendere il disordine alimentare in persone affette da autismo, ad esempio, o la fobia sociale osservata in pazienti bulimici. […]

DAGONEWS il 24 giugno 2023.

Volete perdere calorie? c’è un modo facile e divertente per farlo, che non prevede diete particolari ma solo un po’ di esercizio fisico: fate sesso, e spesso! Ma attenzione, c’è posizione e posizione, come spiega la sexperta Tracey Cox sul tabloid britannico Daily Mail. 

Non pensate che stendersi e aspettare annoiati l’orgasmo vi faccia dimagrire: serve costanza, esercizio e tanto sudore. Secondo Tracey Cox una scopata di almeno mezz’ora potenzialmente vi fa perdere tra le 70 e le 200 calorie. Ma non pensate di poter fare a meno delle vostre sessioni di palestra o di corsette, perché, come spiega la Cox, “essere più attivi a letto è sempre una buona idea – ma allo stesso tempo esserlo fuori può migliorare la vostra vita sessuale. 

L’aumento di esercizio aumenta il flusso di sangue, che quando si parla di sesso è un’ottima cosa. Un’attività fisica regolare funziona come un Viagra naturale per gli uomini: quelli di mezza età che si allenano spesso hanno prestazioni sessuali migliori e più soddisfacenti dei sedentari. E anno meno problemi di erezione. Di contro le donne fisicamente attive riportano un desiderio sessuale più forte, sono più eccitate e godono di più”.

Senza considerare che l’allenamento fisico aumenta la flessibilità, accresce i livelli di energia e resistenza: tutti fattori piuttosto utili quando c’è da contorcersi in camera da letto. Ci rende anche più attraenti e desiderati. Morale della favola? Combinate le due cose - sport e sesso – e avrete risultati eccezionali. 

IN PIEDI: LA PIÙ FATICOSA, E QUINDI LA MIGLIORE

Fare sesso in piedi – spiega Tracey Cox – è fantastico ed eccitante, ma è molto faticoso per entrambi i partner. Se riuscite ad avere un servizio completo – con le gambe di lei avvolte sui suoi fianchi e lui che sostiene il peso magari contro un muro – è mejo di una sessione core di palestra. L’uomo lavora su praticamente tutti i muscoli: il petto, le braccia, le cosce e i fianchi. Il godimento è assicurato e anche la perdita di calorie. Se le donne si sentono particolarmente atletiche e in forze possono provare a girarsi e a poggiare le mani a terra, con il sedere sospeso. Così si ottiene il miglior risultato: i glutei, la parte alta del corpo si tonifica, tutti sono felici e si bruciano almeno 200 calorie 

PECORINA CON VARIANTE

Il doggy stile già di suo è un buon sistema per perdere calorie. Ma ci sono alcune varianti che potete provare per aumentarne l’efficacia: la prima è abbastanza semplice e prevede una contro-spinta attiva della donna. La seconda invece è più complicata: fare perno su un ginocchio e stendere l’altra gamba indietro. L’equilibrio e la tensione muscolare saranno meglio di una lunga serie di squat: fino a 70 calorie bruciate

GIRL-ON-TOP SQUAT

A proposito di squat: un’altra posizione ottima per consumare calorie è una specie di variante dell’amazzone. La donna sta sopra ma invece che poggiare le ginocchia a terra ci pianta i piedi. A quel punto inizia a fare degli squat veri e propri muovendosi su e giù. Se ce la fate, questa posizione è un toccasana ad altissimo tasso erotico: dopo mezz’ora avrete perso almeno 170 calorie. 

MISSIONARIO SOLLEVATO

Il missionario è noioso e – spiega Tracey Cox – fa bruciare alla donna soltnto 44 calorie. L’uomo  - che fa tutto il lavoro – può arrivare a 143, ma è una posizione troppo prevedibile. A meno che non usiate la variante che suggerisce la sexperta. Fate inginocchiare l’uomo sopra di voi e iniziate ad alzare e abbassare voi i fianchi con la schiena ben salda al suolo: è come se faceste un ponte, mantenendo il bacino vicinissimo al suo. Lui di contro vi può tenere alto il sedere: è una posizione eccitante e che può farvi perdere almeno 150 calorie. 

LA CARRIOLA-PLANK

La carriola tradizionale già di per sé è un’ottima posizione per bruciare grassi: lui in piedi, la donna con le mani a terra e le gambe sollevate, come appunto una carriola. Nella versione canonica l’uomo lavora le braccia e il sedere, la donna invece le braccia e le spalle, che sostengono l’intero corpo. Ma se volete uno step superiore, basta fare la stessa cosa facendo contemporaneamente un plank. Più tenete le gambe dritte, più faticoso sarà il workout, ma maggiore sarà la quantità di calorie bruciate, all’incirca un centinaio.

PEGGING 

Per le donne: c’è un’ultima cosa che potete fare per massimizzare il consumo di grassi e calorie, una soluzione estrema che presuppone un’intimità enorme con il partner. Questa soluzione si chiama il pegging, cioè penetrare analmente il vostro fidanzato con un dildo strap-on. Mettetelo a pecorina e spingete. Se lo fate sdraiare nel letto e per penetrarlo fate degli scuot, avrete ottimi risultati non solo in termini di calorie, ma anche di tonicità dei glutei. Sempre che lui sia d’accordo, brucerete almeno 100 calorie

Il sesso conta come esercizio fisico? Silvia Turin su Il Corriere della Sera il 22 Febbraio 2023.

Quante calorie si consumano con l’attività sessuale e a quale tipo di sport può essere paragonato in termini di frequenza cardiaca: alcuni numeri e risposte, anche per chi vuole sapere quanto di frequente il sesso possa dare origine a un infarto

Quante calorie si «spendono» nell’attività sessuale? L’atto si può considerare come esercizio fisico, ma è più simile a una corsa veloce o a una camminata? Se è come l’attività fisica, potrebbe far male al cuore in qualche caso? A queste ed altre domande curiose hanno risposto alcuni studi scientifici, anche se numericamente non sono molti. In particolare, una revisione di quelli migliori per dare risposta alle domande più comuni ne ha selezionati 18.

I numeri del sesso

L’esame, condotto dall’Università di Almería e di Murcia in Spagna e pubblicato sulla rivista Archives of Sexual Behavior , mostra alcuni numeri più specifici. Naturalmente l’atto sessuale accelera il cuore e fa bruciare calorie.

Negli studi in cui le persone indossavano un sistema di monitoraggio, la frequenza cardiaca era in media tra 90 e 130 battiti al minuto e raggiungeva un picco tra 145 e 170 bpm. La frequenza cardiaca delle donne tendeva ad essere inferiore a quella degli uomini.

Rispetto al dispendio energetico totale, durante un singolo rapporto si sono raggiunte le 130 calorie spese, mentre in un altro esperimento si sono totalizzate 101 calorie circa per gli uomini e 69 calorie per le donne. Il consumo calorico medio durante il rapporto variava ampiamente, a seconda della durata e delle posizioni dei soggetti.

Proprio rispetto alla durata dei rapporti, nelle coppie giovani e sane il sesso è durato in media 32-38 minuti, mentre è continuato per circa 19 minuti in uno studio che aveva preso in esame coppie con problemi di salute che comprendevano anche malattie cardiache.

Una corsa leggera, ma dura di meno

Queste misurazioni indicano che «l’attività sessuale può causare richieste fisiche di intensità moderata o addirittura vigorosa», ha affermato José M. Muyor, professore presso il Centro di ricerca sulla salute dell’Università di Almería, che ha guidato la ricerca. Per l’unità di tempo presa in considerazione, si può dire che i numeri sono simili a quelli di una corsa leggera, fatta eccezione per i picchi della frequenza cardiaca che avvengono in concomitanza con l’orgasmo.

Nessuna preoccupazione per quanto riguarda la salute del cuore, su cui ci sono più studi. Nel 2022 su JAMA Cardiology è uscita una ricerca che ha mappato 6.847 arresti cardiaci improvvisi fatali di un centro di patologia cardiaca di Londra tra il 1994 e il 2020: solo 17 si sono verificati durante o quasi immediatamente dopo un rapporto sessuale, ma di quei 17, 6 erano donne e la maggior parte erano relativamente giovani, perché l’età media era di 38 anni. Un altro studio risalente al 2018 a Parigi su persone sopravvissute ad arresti cardiaci improvvisi tra il 2011 e il 2016 ha rilevato che circa lo 0,6 percento, 17 in totale (tutti uomini e la maggior parte sulla cinquantina) sono andati in arresto cardiaco durante o subito dopo il sesso. In confronto, 229 degli altri casi si sono verificati durante sport o altri esercizi fisici e 2.782 in altre situazioni.

La camera da letto.

Barbara Costa per Dagospia il 12 febbraio 2023.

 Perché a letto nel Medioevo uomini e donne dormivano nudi? E non necessariamente per agevolare il sesso, visto che a letto nudi ci si mettevano tutti, ma proprio tutti, e pure se erano malati, o moribondi, ma pure se pudichi e freddolosi. Si mettevano a letto nudi per evitare le pulci! Altro rimedio non c’era, come dovevano riporre gli abiti smessi appesi ben in alto, e per scongiurare che? Che venissero morsi dai topi! Ogni curiosità su come i medievali se la (s)passavano tra le lenzuola sta in "A Letto nel Medioevo. Come e con Chi", l’ultimo libro della gran storica Chiara Frugoni, e ultimo sul serio, la prof. mesi fa è andata nell’aldilà.

E però che i medievali dormissero nudi non è esatto, c’è un indumento che indossavano e senza eccezione, e sapete quale? Non le mutande bensì il berretto, e per questa ragione: per riparare la testa dal freddo, perché nelle case medievali faceva un freddo boia, erano piene di spifferi e l’unico riscaldamento, oltre coperte e trapunte molto simili alle nostre, era il camino. Camino che si trovava in camera da letto, nei pressi del letto, ma che prima di coricarsi bisognava spegnere per scampare a incendi e non finire arrostiti.

E nel Medioevo la camera da letto serviva per dormire, per fare l’amore, ma pure per cucinare e per mangiare (spesso camera e cucina erano tutt’uno) e persino per ricevere. E questo nelle case del ceto medio, ma sovente anche in quelle dei ricconi: Carlo VI di Francia era un precursore di Hugh Hefner, come lui lavorava a letto, tuttavia vestito e non in pigiama come Hef: perché nel Medioevo a letto sì si riceveva ma come oggi davanti agli ospiti mica si stava nudi, e sul letto gli ospiti si usava farli accomodare, e Carlo VI sdraiato sul suo vi dava udienza, e ordini di governo.

Passiamo a cose ben più serie: dove facevano sesso i medievali? Come oggi il posto preferito era il letto, tra le braccia del coniuge, ma ci si portava pure l’amante. Nel Medioevo si sc*pava secondo le istruzioni della Chiesa, quindi in missionario e "soltanto" per procreare.

 L’orgasmo maschile e assolutamente quello femminile eran deplorati: non lo faccio per piacer mio ma per dare un figlio a Dio, e la Chiesa – che proprio nel Medioevo impone ai preti il celibato e l’astinenza, e allora i preti diventano infami e acidi e godono nel sancire i peccatori a pane e acqua se fornicanti contro legge – bandisce di prendere la donna da dietro ma di più vieta la sodomia, e tra uomo e donna, e tra uomo e uomo. La sodomia era il Male, Male era il sesso orale, il Male era la masturbazione.

I medievali credevano che la sodomia fosse contagiosa, epidemica se andavi nei paesi islamici. La Chiesa comandava moderazione nel sesso e nel missionario: chiunque lo faceva e troppo spesso e con troppo gusto, viveva di meno, diveniva scemo, di sicuro cieco. Era immorale farlo con la donna sopra l’uomo, e però i medievali lo facevano, per godimento, e per decoro se l’uomo era grasso.

 Ed era innominabile l’omosessualità femminile, ma c’era, come c’era la bisessualità, e i rapporti a tre, in scambismo e fluidità. Perché ovviamente uomini e donne del Medioevo mica davano retta alla Chiesa, e come oggi nel sesso facevano come volevano, e di più di sesso ne facevano quanto volevano finanche i preti. Lo conferma Boccaccio, e non dimentichiamo che nel Medioevo erano tollerati i bordelli, pubblici e privati, questi ultimi tanto frequentati dagli ecclesiastici poiché garanti discrezione.

I medievali erano affatto stupidi: se stavi appresso alla Chiesa, ma quando sc*pavi??? Nel Medioevo c’era un calendario stabilito per farlo: mai a Natale e a Avvento, mai a Quaresima e a Pasqua, mai la domenica, mai le Vigilie, mai nelle feste laiche, mai con una moglie incinta o che allatta. A osservarli tutti, erano 250 giorni di castità! E un uomo con moglie puerpera o mestruata non doveva dormirle accanto, ma ai piedi del letto.

 E non poteva andare sul divano perché i divani non erano ancora stati inventati, c’erano le cassapanche, come non erano ancora stati inventati gli armadi verticali e ci si organizzava coi bauli. E comunque per me la roba più sozza del Medioevo era l’assenza di igiene nei correnti modi e nozioni occidentali. Le camere da letto medievali puzzavano, puzzavano i corpi, di sudore e afrori e intimi (le donne più accorte usavano oli e erbe per profumare abiti e ambiente).

Il letto in cui una donna col marito dormiva era pure quello in cui partoriva, e allattava, e faceva i suoi bisogni nel pitale quando stava male ma pure nei 40 giorni post parto, dove dal letto non si alzava né per mangiare né niente (alla casa e al neonato pensavano le parenti). Ma se una medievale dormiva nuda, quando era mestruata, come faceva?!?? L’autrice di "A Letto nel Medioevo" non lo dice, e io non voglio pensarci, ma forse tali patemi, i medievali, non ce li avevano.

DAGONEWS il 16 aprile 2023.

Volete fare colpo e far capire al vostro amante che lo aspetta una vita di sesso fantastico? Ecco un elenco di ciò che la maggior parte delle persone vuole da un partner, la prima volta che va a letto. 

1. Tenere le luci accese

Un po' d'atmosfera è ottimo ma il buio totale no. È già abbastanza difficile per lui capire se quello che sta facendo vi piace guardandovi in faccia e leggendo il vostro linguaggio del corpo. Cercare di capirlo quando non può vedere nulla è praticamente impossibile.  

2. Non stressatevi per il vostro corpo

Insistere sul buio, nascondersi sotto le coperte, tenere il reggiseno perché non vi piace il vostro seno, indossare una maglietta a letto: molte donne sono inutilmente autocritiche nei confronti del proprio corpo.

Il fatto è che la maggior parte degli uomini non vi giudica. Sono così felici di fare sesso che sono eccitati e non ti guardano con occhio critico.

3. Non reagire in modo eccessivo se non va tutto secondo i piani

È davvero utile ricordare che non siete gli unici a voler fare colpo la prima volta. L'ansia da prestazione è reale.

È normale che la prima volta abbia problemi di erezione. Non significa che non gli piaci o che il tuo corpo non sia all'altezza. Significa solo che è nervoso quanto te. Idem se raggiunge l'orgasmo troppo presto o ci mette troppo tempo. 

4. Siate attivi

Per favore non lasciate che sia lui a fare tutte le mosse.

Il sesso è faticoso e non è giusto lasciare che sia lui a fare tutto lo sforzo. È anche paternalistico, insinuando che il semplice fatto di permettergli di fare sesso con voi dovrebbe essere sufficiente a eccitarlo.

Non siate una "stella marina morta": attivatevi! Mettiti sopra di lui e cavalcalo. Afferrate quello che volete e non siate timide; mettete le sue mani dove volete, date indicazioni e feedback. Ditegli cosa fare e cosa vi piace. Ditelo in questo modo: 'Puoi spostarti leggermente a sinistra? Oh mio Dio, proprio lì, è una sensazione fantastica. Continua e non fermarti". 

5. Praticare un ottimo sesso orale

Prima di tutto, vorrete che questo favore venga restituito. In secondo luogo, non solo è una delle sue cose preferite, ma farlo senza che vi venga richiesto dimostra che siete interessate a dare e ricevere piacere. Fategli vedere che vi eccitate allo stesso modo, guardando lui che si eccita.

6. Fagli sapere che stai godendo

Gemere ad alta voce e fingere che vi piaccia tutto quello che fa è imbarazzante per entrambi. Ma è necessario dare un feedback, e molte donne non lo fanno. 

7. Parcheggiare l'ansia post-sesso

Più siete rilassati, più lui sarà entusiasta. Siate affettuose e lanciategli qualche sguardo significativo per fargli capire che ha significato qualcosa. 

1. Fare molti complimenti all'inizio

Anche se pensate che siamo una donna da 10 e non avete bisogno di dircelo, ditecelo comunque. Non c'è niente di più sexy di un amante che ti guarda dritto negli occhi, dicendoti: "O Mio Dio!" con voce strozzata e sopraffatta. È scoraggiante essere nudi davanti a qualcuno per la prima volta. Sapere che pensa che siamo bellissime, aiuta a rilassarci. 

2. Mostraci quanto ci vuoi

Essere un po' "cavernicoli" è una buona cosa. Questo non significa spingerci sul letto, aprirci la cerniera e darci dentro. Non è questo che vogliamo, ma essere troppo esitanti è scoraggiante.

3. Una volta ottenuto il nostro consenso, dateci dentro!

Spogliateci come se fossimo il regalo più ambito che abbiate mai desiderato. Lasciate che i vostri occhi e le vostre dita percorrano ogni parte del nostro corpo. 

4. Baciateci tanto

Baci morbidi sulle labbra. Baci profondi con una lingua che di tanto in tanto entra ed esce. Mordicchiamenti e morsi sul collo. Le donne amano i baci, quindi non affrettatevi per arrivare al momento della penetrazione.

Più lentamente prendete tutto, meglio è. Prestate attenzione ai nostri seni, accarezzate le nostre cosce.  

5. Fate dell'ottimo sesso orale

Per molte donne, la tecnica del sesso orale è il banco di prova. Dato che è il modo in cui la maggior parte delle donne raggiunge l'orgasmo, dimostrare che vi piace farlo e che lo sapete fare bene. Vi porterà lontano. 

6. Prima l'orgasmo..

Lei viene prima: questo mantra dovrebbe essere insegnato nelle scuole. Il modo più funzionale per garantire un orgasmo a entrambi è che lei raggiunga l'orgasmo prima con la lingua, le dita o con un sex toy e che lui lo raggiunga poi con la penetrazione.

7. Dite qualcosa di carino dopo

Se c'è stato un problema, parlarne aiuta. Se è stato fantastico, parlarne lo rende ancora migliore. 

Viso da goduria.

DAGONEWS il 29 gennaio 2023.

Le nostre espressioni facciali durante l'orgasmo forniscono indizi significativi sulla nostra personalità sessuale, su quanto ci piace e su quanto è facile entrare in contatto con i nostri partner.

 Ecco le quattro facce più comuni che le persone fanno durante l'orgasmo.

 L'AVVENTURIERO LUSSURIOSO

FACCIA DA SESSO: testa all'indietro, mascella abbassata, occhi chiusi, gemiti o mugolii, viso o collo arrossati.

 Il 92% di noi chiude gli occhi durante l'orgasmo.

La chiusura di un senso accresce la sensazione degli altri;

La chiusura degli occhi riduce istantaneamente le inibizioni, perché il modo più rapido per eliminare l'imbarazzo è togliere il contatto visivo.

 Tra tutte le facce da sesso, questa è quella che più si allinea alle versioni attraenti che vediamo ritratte dai media.

 COSA DICE DI VOI:

Le persone che sfoggiano questo tipo di faccia da sesso tendono a essere disinibite. Siete pronti a tutto, vi piace parlare sporco, guardare porno, provare giocattoli sessuali, fare sesso all'aperto. Il sesso è una fonte di piacere e divertimento e vi piace immensamente.

IL TRANQUILLO REALIZZATORE

 FACCIA DA SESSO: completamente immobile, completamente silenziosa, occhi chiusi e sguardo di intensa concentrazione, bocca leggermente divaricata, pugni chiusi.

 Pensiamo che un partner silenzioso significhi che non gode del sesso, ma è vero il contrario.

 Uno studio britannico ha chiesto alle donne se fare rumore durante il sesso fosse un segno di piacere e la maggioranza ha risposto di no.

I gemiti o i mugolii forti venivano fatti per far credere al partner di aver raggiunto l'orgasmo, in modo che il sesso finisse, o per aumentargli l'autostima. Fare molto rumore durante l'orgasmo può significare che si sta fingendo.

 Quando raggiungiamo l'orgasmo, respiriamo più velocemente e meno profondamente. È difficile urlare o gridare mentre si respira in questo modo.

 Se a questo si aggiungono gesti esagerati come stringere drammaticamente le lenzuola o agitarsi come una pornostar è quasi certo che si tratta di una finta.

 COSA DICE DI VOI:

Durante il sesso siete assorbiti da voi stessi. A letto, potersi sdraiare e godere del piacere è un vantaggio tanto quanto darlo con entusiasmo. Avete imparato a raggiungere l'orgasmo da soli mentre vi masturbate e, sebbene vi piaccia il sesso con il partner, avete bisogno di ritirarvi in quel luogo privato per spingervi oltre l'orlo del baratro.

 IL CERCATORE DI INTIMITÀ

 FACCIA DA SESSO: occhi spalancati, contatto visivo mantenuto per tutta la durata dell'orgasmo, intenso face-searching (leggere inconsciamente il volto del partner per verificare cosa sta provando), sorridente.

 Il terapeuta sessuale statunitense David Schnarch suggerisce che tutti noi dovremmo puntare ad avere orgasmi "ad occhi aperti" per incoraggiare una connessione emotiva più profonda durante il sesso.

 Credetemi, è più difficile di quanto sembri.

 All'inizio, la maggior parte delle persone ridono e si sentono più imbarazzate che eccitate.

Tuttavia, se si mantengono i nervi saldi, guardarsi l'un l'altro intensifica l'esperienza dell'orgasmo.

 COSA DICE DI VOI:

Il sesso non è solo sesso per voi: il vostro obiettivo è l'intimità, non l'orgasmo. Il rilascio fisico passa in secondo piano rispetto al desiderio di stare vicino al partner. Poiché il sesso è anche espressione di amore e sentimenti, siete meno interessati alle prestazioni sessuali e più concentrati sui benefici emotivi del sesso.

 IL PREOCCUPATO TESO

 FACCIA DA SESSO: lineamenti corrucciati, sguardo di cupa determinazione, accigliato, occhi ben chiusi e labbra serrate.

 Il sesso è più un lavoro che un piacere.

 Questo potrebbe significare che i problemi di rabbia all'interno della relazione stanno influenzando la vostra vita sessuale al punto da avvelenare la capacità di provare piacere.

 COSA DICE DI VOI:

 Molte persone si preoccupano del sesso: tutti soffriamo di un po' di ansia da prestazione ogni tanto. Ma sentirsi ansiosi e tesi quasi ogni volta che si entra in intimità con un partner non è normale.

Sesso Gay.

DAGONEWS il 18 marzo 2023.

Siete eterosessuali e volete migliorare le vostre prestazioni in camera da letto? Chiedete ai vostri amici gay e lesbiche. Parola di Tracey Cox che prende spunto da una serie di studi che rivelano come gli omosessuali abbiano orgasmi migliori e un sesso più soddisfacente

Sappiamo tutti del "divario dell'orgasmo": durante il rapporto sessuale tra partner, le donne hanno sostanzialmente meno orgasmi degli uomini. Metti una donna con una donna e quel problema scompare. Le donne comprendono l'importanza del clitoride negli orgasmi femminili. Molti uomini no.

Gli uomini viaggiano rapidamente da zero a 100 sulla scala dell'eccitazione, le donne impiegano più tempo a riscaldarsi. Un'altra donna lo sa, è più paziente.

Il sesso è più equo e gentile

È probabile che le donne cambino ruoli sessuali con partner femminili molto più di quanto non facciano le coppie etero. Spesso c'è una turnazione: una persona raggiunge l'orgasmo, quindi tutta l'attenzione si concentra sul piacere dell'altra. Ciò si traduce in orgasmi più soddisfacenti a tutto tondo. Inoltre molte donne lamentano il martello pneumatico durante il sesso con gli uomini e il dolore successivo. Tra donne non capita

 Puoi avere orgasmi multipli...

Quando un uomo eiacula, di solito significa che il sesso è finito. Poiché le donne possono avere orgasmi multipli, l'orgasmo di un partner non significa che le cose debbano finire.

e non c’è bisogno di fingere

Non c'è bisogno di fingere tra femmine perché le donne sanno che molte cose influenzano l'eccitazione, il desiderio e l'orgasmo. Le donne tendono ad essere meno orientate agli obiettivi: il loro ego non è così legato all'intera faccenda del "le ho fatto raggiungere l'orgasmo".

Il sesso non è così strutturato

Poiché il rapporto non è l'evento principale, non c'è inizio, metà e fine. Questo può aiutare a impedire alla coppia di cadere in un formato prevedibile, che viene poi seguito ogni volta.

I preliminari sono sesso

Le lesbiche sanno che tutti gli orgasmi hanno origine dal clitoride. C'è una generosa attenzione e concentrazione sui baci, un sacco di giochi con il seno e tonnellate di sesso orale. Tutte cose che stimolano il clitoride. Cosa che purtroppo il pene e il rapporto completo non fanno.

Sono fantasiose e creative

Molti uomini usano solo la tecnica della sega: spingono le dita dentro e fuori dalla vagina, trascurando del tutto il clitoride. È più probabile che le lesbiche utilizzino una varietà di tecniche, si concentrino sul clitoride, inclusa la forbice, strofinando l'area inguinale l'una contro l'altra.

Non sono minacciati dai vibratori

Le lesbiche non si affidano a un vibratore perché non ce n'è bisogno: sono più brave a darsi l'orgasmo a vicenda. Ma se un partner decide che ha voglia o ha bisogno di vibrazioni per arrivare all’orgasmo, spesso non c'è alcun problema.

Tra gay ci sono diverse posizioni, luoghi, oggetti di scena, sesso tenero, sesso selvaggio, uso delle mani, i peni, le lingue…. Mediamente la vita sessuale dei gay batte quella di una coppia etero.

Prendono ciò che vogliono dal sesso

Il concetto di sdraiarsi e aspettare, incrociando le dita, che la lingua del tuo amante colpisca il punto giusto, è un concetto estraneo agli uomini gay. Se il loro amante non è nella posizione giusta, è probabile che lo spostino o gli dicano di muoversi. Se la tecnica non funziona, probabilmente diranno: “Non funziona". Fai questo invece”. Perché dovresti sdraiarti e sperare di raggiungere l'orgasmo quando puoi assicurarti di farlo dando suggerimenti, modifiche, aggiungendo oggetti?

 Sono meno attaccati all'eiaculazione precoce

Alcune donne trovano deludente se il loro partner raggiunge l'orgasmo troppo presto. Gli uomini gay sono meno "giudicanti". L'intero scopo di fare sesso è venire - se ciò accade rapidamente, bene! Hanno raggiunto il loro scopo. Non significa che le loro bocche o le loro mani abbiano smesso di funzionare - e c'è sempre una seconda volta.

E parlane se va avanti da troppo tempo

Le donne hanno il gene della cortesia. È improbabile che dicano "Sbrigati!". Gli uomini fanno tutto il possibile per far raggiungere l'orgasmo al loro partner e chiedono di cosa ha bisogno o cosa vuole. Ma, se dura un po' troppo a lungo, gli suggeriscono il fai-da-te mentre guardano.

Usano il lubrificante

Vuoi migliorare la tua vita sessuale in modo istantaneo? Usa il lubrificante più spesso. Gli uomini gay lo usano per seghe, giochi anali, durante lunghe sessioni, con giocattoli sessuali - per tutto!

Non sono schizzinosi

Le donne possono diventare schizzinose riguardo allo sperma. I ragazzi gay lo vedono sexy. A chi importa se finisce su di loro o sulle lenzuola appena lavate se il sesso è stato fantastico?

 Ha anche i capezzoli!

Le donne eterosessuali tendono a ignorare il seno maschile. Gli uomini sanno che i capezzoli possono essere una zona hot. Alcuni uomini adorano che i loro capezzoli vengano pizzicati o addirittura morsi abbastanza forte appena prima dell'orgasmo; altri lo odiano. Sperimenta ma non offenderti se ti allontana la mano.

Delicatamente non si fa

Le donne toccano gli uomini troppo piano. La pelle dell'uomo è più spessa e meno sensibile: un tocco più deciso e una presa si sentono meglio.

Ovunque tranne che in camera da letto

Le donne spesso aspettano di essere a letto per iniziare il sesso. Gli uomini lo faranno ovunque perché il loro desiderio sessuale è più urgente. Il bagno, il letto, il lavello della cucina, un luogo appartato. Al bando il letto!

Bis, bis!

Molte donne sono troppo imbarazzate per lasciare che il loro partner le guardi mentre si masturbano. Agli uomini piace mettersi in mostra e guardare il proprio partner che si eccita. Non solo, osservano attentamente per capire quale tecnica utilizza il loro partner, quindi replicano quando è il loro turno di dare piacere.

Sexsomnia.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 28 gennaio 2023.

Immagina di avere un disturbo simile al sonnambulismo, in cui esegui atti sessuali senza avere il controllo o la consapevolezza di ciò che stai facendo, e in seguito ne ricordi molto poco. Si chiama sexsomnia, ed è una condizione che induce le persone a impegnarsi in attività sessuali nel sonno, senza che ne siano consapevoli.

 Non sorprende che causi imbarazzo e angoscia a coloro che lo sperimentano e ai loro partner. Non è difficile immaginare il tipo di difficoltà che può creare quando si tratta di questioni relative al consenso. «Sei sicuro che questo sia reale e non solo un'ottima scusa per violentare qualcuno senza essere biasimato?» è stata una delle risposte alla mia domanda sui social media in cui chiedevo a tutti i malati di raccontarmi le loro esperienze.

È diventato subito chiaro quanto le persone siano sospettose della condizione e nessuno discute la possibilità di sfruttamento. Una diagnosi medica di sexsomnia è stata utilizzata come difesa penale in tribunale per presunti casi di aggressione sessuale e stupro. Anche se raramente. Ma studi e ricerche dimostrano che la condizione esiste e potrebbe essere più diffusa di quanto suggeriscano le statistiche perché le persone sono troppo imbarazzate per ammetterlo.

 Qui, un uomo che è un sexsomniac e il suo partner mi dicono com'è convivere con questa condizione.

Sono una sexsomniac dai miei 20 anni

 Dave*, 39 anni, sta con la sua attuale partner da 13 anni

 «Il mio primo ricordo è stato masturbarmi nel sonno e svegliarmi rendendomi conto di cosa stavo facendo. Poi è successo con un partner e sono stato spinto via nel cuore della notte. La mattina dopo, mi ha raccontato cosa era successo e non avevo idea di quello che avevo fatto. Non è stata una scelta consapevole, sembrava che qualcos'altro avesse il controllo di me».

 «Succede più frequentemente con il mio partner di lunga data, probabilmente perché non mi ferma o non mi respinge. Gli altri miei ex dicevano tipo "Vattene via, sto dormendo!" ma a lei piace il sesso ed è pronta. Sa quando succede: dice che sono molto diverso in modalità sexsomnia. Come un animale. Che non ho alcun pensiero del tipo “cosa sto facendo oppure a lei andrebbe bene questo?" Il resto del tempo sono molto rispettoso quando faccio sesso con lei».

 «Apparentemente, faccio di tutto, da baci e toccate profonde ed estremamente appassionate a diteggiature molto rigorose, sia vaginali che anali. Il più delle volte, mi sono svegliato durante o ho avuto qualche ricordo dell'episodio. Ma altre volte non c'è affatto memoria. Mi sveglio e vado avanti per la mia giornata e poi il mio partner mi invia un messaggio e dice: "Ti ricordi della scorsa notte?". E io no».

«Quando ero un bambino, dormivo passeggiando e parlavo un po', penso sia un po’ la stessa cosa. Il mio fattore scatenante sembra essere l'ansia. È successo quando mi sono trasferito per la prima volta a Londra e non avevo un lavoro. È successo quando stavo per diventare un genitore ed ero preoccupato per i soldi. Raggiunge il picco quando mi sento stressato e ansioso. Non mi sento così da un po', quindi sto bene».

 «So che alcune persone non pensano che sia reale, ma è reale al 100%. Non è una scusa per fare qualsiasi cosa nel sonno: non si crea solo questa condizione.

«Non mi sento in colpa perché il mio partner lo accetta. Ma a volte sembra strano e spaventoso. Mio padre e mia mamma a volte stanno con noi a Londra e non abbiamo spazio libero, quindi mio padre a volte dorme con me. Ha detto che una notte si è svegliato e io ero chino su di lui. I miei genitori lo sanno, ma questo non mi ha impedito di sentirmi mortificato: sporgermi in avanti e non rendermi conto che c'erano mia madre o mio padre nel letto, questo mi spaventa. Non mi rendo conto in quel momento chi c'è e questa è la parte che fa paura. Devo stare così attento a chi mi sto mentendo accanto».

 Mi piace il 'sesso nel sonno': è intenso ed eccitante

Susannah*, 47 anni, è la compagna di Dave. Hanno un figlio insieme.

 «La prima volta che è successo, mi ha afferrato la mano e me lo ha fatto masturbare così forte e velocemente che ho pensato che la mia mano sarebbe caduta. Poi si è fermato bruscamente, non ha raggiunto l'orgasmo e si è girato. I suoi occhi erano chiusi. Ho pensato: "Cos'è successo qui?". Era strano. Il giorno dopo ho detto: "Di cosa si trattava? Mi hai quasi rotto il polso!". Mi ha detto: "Per fare cosa?". Non ricordava».

«È successo un paio di volte e ho iniziato a vedere uno schema. Di solito erano circa le 2 del mattino. In un certo senso mi è piaciuto ed ero incuriosita ed è stato all'inizio della relazione che le cose erano piuttosto difficili. Non gli ho mai detto di fermarsi quando è successo, anche quando una volta mi ha ferito spingendomi troppo forte in bocca. Non so perché non sono rimasto ferma. Penso che mi sia piaciuta la crudezza. Ho anche letto che non dovevi svegliare le persone se erano sonnambule e mi chiedevo se lo stesso valesse qui».

 «Ricordo il momento in cui ho capito cosa stava succedendo. Stavamo guardando House, il programma televisivo sul medico che risolve i problemi. Il medico ha diagnosticato un paziente come sessuomane. Ricordo di averlo guardato e di aver detto: "Ecco cosa sta succedendo!"».

«Il sesso è così intenso quando ha un episodio. È come avere due uomini in uno. Di solito non fa mai l'amore così. In realtà, non è fare l'amore, non è niente del genere. È selvaggio ed è anche così forte. È come se fosse sotto una specie di droga. È eccitante: l'intensità, l'adrenalina. Tenevo il lubrificante a portata di mano, non l'avrei mai allontanato. Ora lo farei se ne avessi bisogno, ma allora non volevo. Ero incuriosita. Aprivo le gambe, ci mettevo un po' di lubrificante e mi divertivo».

 «Non c'è dubbio che questa sia una condizione reale. Una volta eravamo in vacanza e lui ha dovuto dividere il letto con sua mamma. Ha detto che ha cercato di arrampicarsi su di lei nel cuore della notte. I suoi genitori sanno della sua sexsomnia - ci scherziamo tutti un po' - quindi lei l'ha gestita bene e l'ha respinto ed è stata molto comprensiva su tutto.

 «Un'altra volta, ha dovuto condividere un letto con suo padre e ha fatto la stessa cosa. Suo padre era completamente spaventato ed è uscito immediatamente dalla stanza e ha dormito sul divano. Cose del genere lo hanno sconvolto, ma ci ha convissuto per tutto questo tempo, quindi immagino che ci sia abituato».

 «Penso che sia una cosa calmante per lui. Penso che si masturbi quando è stressato durante il giorno per scaricare la tensione. Forse il suo cervello decide che è una buona cosa da fare anche mentre dorme, se si sente ansioso».

«C'è un'altra ragione per cui non mi dispiace la sua sexsomnia. Entrambe le volte che sono rimasta incinta, è stato dopo un episodio. Ora abbiamo un bambino di sette anni per questo. Avevamo provato di tutto per avere un figlio ed solo il sesso notturno funzionava. Da allora, è successo molto meno. Penso che ora sia molto più calmo».

 *Nomi modificati per l'anonimato

La masturbazione.

Estratto dell'articolo da tg24.sky.it il 18 giugno 2023.

I primati di 40 milioni di anni fa si masturbavano. A sostenerlo è una nuova ricerca pubblicata su The Royal Society e citata oggi da The Guardian. I risultati dello studio sono emersi da quello che gli scienziati ritengono sia il più grande set di dati mai compilato sull’argomento.

“Quello che ora possiamo confermare è che questo comportamento era già presente circa 40 milioni di anni fa, nell’antenato comune di tutte le scimmie”, ha detto Matilda Brindle, la ricercatrice dell’University College di Londra a capo dello studio. “Non è che alcune specie si sono svegliate e da un giorno all’altro hanno iniziato a farlo. Questo è un tratto antico ed evoluto”, ha aggiunto. 

[…]. È emerso come storicamente gli studi biologici abbiano trascurato la masturbazione del sesso femminile a dispetto di quella maschile. Le analisi degli scienziati hanno trovato supporto all'idea che la masturbazione maschile aumentasse le possibilità di mettere incinta la compagna. L’atto avrebbe anche potuto aiutare i maschi a liberarsi del vecchio sperma, lasciandoli con uno sperma più fresco e più competitivo. “[…]

 Estratto dell'articolo di Matteo Liberti per focus.it il 18 giugno 2023. 

Il celebre faraone bambino Tutankhamon che salì al trono a soli dieci anni e dominò l'Antico Egitto tra il 1333 al 1323 a.C. circa, fu imbalsamato con il pene in (finta) erezione per motivi di natura politico-religiosa […] La scelta […] mirava a contrastare la rivoluzione religiosa messa in atto da suo padre, Akhenaton. 

Sul trono prima di lui, questi aveva introdotto in Egitto una forma di monoteismo legata al culto di Aton, dio raffigurato dal disco solare, e nel far ciò aveva mandato in pensione le varie altre divinità del cosmo egizio, anche togliendo importanza alle figure sacerdotali che le rappresentavano. Un po' troppo, per i tempi. 

Così, dopo la morte del padre, Tutankhamon promosse un ritorno al politeismo, additando Akhenaton come eretico. In nome di questa contro-rivoluzione, dispose di essere imbalsamato con il pene eretto in omaggio a Osiride, dio della fertilità, tra le divinità che erano state messe in ombra dalla riforma del padre. 

DAGONEWS il 12 marzo 2023.

La masturbazione è ancora un argomento tabù, quindi può essere difficile capire se lo si sta facendo troppo o troppo poco.

Negli ultimi anni, c'è stata l'idea che l'accesso alla pornografia abbia portato a un'eccessiva masturbazione, causando un'ondata di problemi sessuali e visioni distorte del sesso.

 Ma secondo uno studio recente astenersi dalla masturbazione è un male e potrebbe aumentare il rischio di ansia, depressione e disfunzione erettile.  Ma allora quante volte è da considerarsi “sano”? Il numero varia e, nemmeno di poco, tra uomini e donne.

Donne - almeno una volta alla settimana

Il dottor Peter Kanaris, sessuologo di Long Island, raccomanda alle donne di masturbarsi o fare sesso almeno una volta alla settimana. Per la dottoressa Yvonne Fulbright, le donne dovrebbero cercare di masturbarsi frequentemente durante il ciclo mestruale per alleviare il dolore.

 La masturbazione aumenta il flusso sanguigno nell'area pelvica, il che aiuta ad alleviare il dolore. Il metodo può essere utilizzato anche per alleviare altri disturbi come il mal di schiena.

Uno studio del 2020 dell'University College di Londra ha suggerito che masturbarsi una volta alla settimana a 40 anni può aiutare a ritardare la menopausa.

Uomini - 21 volte al mese

Secondo il dottor Kanaris, gli uomini dovrebbero puntare a masturbarsi circa 21 volte al mese, o cinque volte a settimana. In ogni caso non bisognerebbe scendere sotto le sette volte in un mese. Secondo uno studio di Kanaris, la masturbazione frequente riduce il rischio di cancro alla prostata.

 Si pensa che l'atto aiuti a eliminare le sostanze potenzialmente cancerogene dalla prostata.

Ha incoraggiato gli uomini più anziani a masturbarsi di più poiché i dati mostrano che tendono a darsi piacere molto meno frequentemente rispetto a quelli tra i 20, i 30 ei 40 anni. Tuttavia non bisogna essere compulsivi e inseguire il numeretto a tutti i costi: alla fine è un piacere da concedersi quando se ne sente il bisogno. 

I Preliminari.

Estratto da focus.it sabato 2 settembre 2023.

Un consiglio per gli innamorati che arriva direttamente dalla scienza: sussurrate parole d'amore nell'orecchio sinistro del vostro partner. Secondo uno studio, infatti, le voci che suscitano emozioni piacevoli innescano una maggiore attività neurale quando vengono ascoltate da quel lato. 

I ricercatori dell'Università di Losanna, in Svizzera, hanno sottoposto a scansione cerebrale 13 adulti, a cui sono state fatte ascoltare vocalizzazioni positive provenienti da tre differenti direzioni: sinistra, centro e destra.

Durante l'ascolto entrambi i lati della corteccia uditiva si attivavano, indipendentemente dalla posizione della fonte del suono. Tuttavia, le registrazioni percepite solo dal lato sinistro provocavano una risposta neurologica molto più intensa nel sistema uditivo cerebrale. 

Anche l'ascolto di voci emotivamente neutre, negative o limitate a vocali senza significato, oppure di rumori differenti dalla voce umana, non ha fatto rilevare questa particolare associazione con il lato mancino. […]

DAGONEWS il 2 luglio 2023.

Volete avere una vita sessuale scoppiettante? Date un’occhiata ai consigli della sexperta Tracey Cox che rivela come dormire e mangiare bene, vivere in modo sano e ridurre lo stress sono elementi fondamentali per mantenersi sessualmente attivo. Ma basterà? Se si vuole andare oltre si deve fare di più

Iniziamo con il consiglio di fitness sessuale più semplice ma più efficace di tutti. 

Contrazioni per un sesso migliore

Gli esercizi per il pavimento pelvico non solo stringono la vagina stretta (che, tra l'altro, non è solo per il suo piacere, ma aumenta anche la tua sensibilità), ma aumentano il desiderio sessuale, intensificano l'orgasmo e possono aiutarti a diventare multi-orgasmica.

Ecco come iniziare. 

Trova il muscolo interessato smettendo di fare pipì. L'obiettivo è contrarre quel muscolo senza usare gli addominali. Metti un dito nella tua vagina per verificare di fare la cosa giusta. Dovresti essere in grado di sentire i muscoli che si irrigidiscono attorno al dito, anche se debolmente. Per impedire al tuo addome di entrare letteralmente a forza nell'azione, fai un respiro profondo ed espira completamente, quindi stringi.

Gli esercizi per il pavimento pelvico dovrebbero includere contrazioni lunghe e trattenute e contrazioni brevi e veloci. Ricordati di rilassare completamente o di "lasciare andare" i muscoli dopo ogni compressione. 

Inizia con 10 contrazioni lunghe, tenendo ciascuna contrazione per 10 secondi, seguite da 10 contrazioni brevi.

Ripetere almeno tre volte al giorno . Ci vuole un po' per vedere un miglioramento - tra tre e cinque mesi; dopodiché, mantieni i risultati facendo gli esercizi una volta al giorno.

Questo è il tuo esercizio di base, ma se vuoi davvero sentire la differenza velocemente, con questa routine ottieni risultati brillanti.

· Sdraiati o siediti sul bordo del letto o della sedia e inserisci due dita all'interno della vagina, fino alla seconda nocca. Stringi il muscolo intorno alle dita.

· Allarga le dita per fare un segno di "pace", ma tienile rilassate. Ora contrai i muscoli e cerca di unire le dita, usando solo il muscolo. 

Push-up del pene

Le donne non sono le uniche a trarre beneficio dagli esercizi per il pavimento pelvico. Gli uomini trovano il loro muscolo nello stesso modo in cui lo fanno le donne: fermando l'urina a metà del flusso. Quindi, di nuovo, si tratta di contrarre e trattenere il muscolo regolarmente.

Vuoi vedere i risultati velocemente? Fagli fare le “flessioni del pene” usando un asciugamano.

Metti un asciugamano sul suo pene eretto e fallo stringere e rilasciare il muscolo. Idealmente, vedrà il suo pene muoversi su e giù ogni volta che contrae il muscolo. 

Inizia con dieci ripetizioni e lavora fino a circa 40 al giorno, tre volte al giorno.

Più grande e pesante è l'asciugamano che solleva con il suo pene, più otterrà risultati. La ricompensa per tutto questo duro lavoro? Erezioni più forti e forse anche un pene più grande. Il pene ha un tessuto muscolare liscio che cresce quando è stressato, come fanno i muscoli in altre parti del corpo dopo un allenamento. Il suo muscolo è anche responsabile delle contrazioni che sente nel bacino e nell'ano durante l'orgasmo, quindi sentirà anche gli orgasmi più intensamente. 

Test per il testosterone

Se hai più di 40 anni, vale la pena controllare anche i livelli di testosterone. Una volta raggiunti i 30 anni, c’è un calo dell'1% ogni anno. L'ormone è responsabile del desiderio sessuale, della salute del cuore, delle ossa più forti, del tono muscolare e del miglioramento dell'umore. Se il valore è basso, usare un gel al testosterone o un cerotto per la pelle può fare miracoli per aumentare il desiderio. Anche se, attenzione, può anche aumentare altri comportamenti maschili come la competitività e l'aggressività.

Un integratore sessuale

Per l'eccitazione femminile vanno bene l’olio di enotera (per la sindrome premestruale e per mantenere un desiderio sessuale elevato), polline d'api e pappa reale (aumenta anche il desiderio sessuale); corteccia di catuaba (aumenta l'eccitazione sessuale), agnocasto (regola gli ormoni). 

Buono per la libido maschile e il flusso sanguigno: Ginseng siberiano, Yerbe Mate (tisana), salsapariglia aiutano a mantenere il flusso sanguigno del pene e la libido alta. 

Cosa mangiare

Migliore è la tua dieta, più energia hai per il sesso. Alcuni nutrienti sono legati alla salute sessuale più di altri. 

Il minerale più importante per il comportamento sessuale e la fertilità, lo zinco aiuta a creare enzimi che regolano il gusto e l'olfatto, entrambi cruciali per l'eccitazione sessuale. Mangia crostacei, frutti di mare, uova, formaggio, agnello, pollo, tacchino, lenticchie, riso integrale.

Magnesio

Mantiene i tuoi ormoni sessuali ben bilanciati, aiuta la resistenza sessuale, l'eccitazione, l'eiaculazione e l'orgasmo. Tuffati in verdure a foglia verde, noci, formaggio, banane e cereali a basso contenuto di zucchero. 

Calcio

Ne abbiamo bisogno per la trasmissione nervosa e la contrazione muscolare associata all'erezione maschile e all'orgasmo femminile. I latticini, le verdure a foglia verde, i fagioli, le prugne, le noci e la frutta secca sono tutti ricchi di calcio.

Arginina

Questo è un amminoacido derivato da alimenti proteici ed è necessario per tutta la crescita e lo sviluppo sessuale. Mangia tutti i cibi animali, latticini e popcorn (non sto scherzando).

Vitamina C

Non solo per proteggersi dal comune raffreddore, aumenta il desiderio sessuale e rafforza gli organi sessuali. Aumenta i tuoi livelli mangiando bacche, agrumi, mango, patate, broccoli.

DAGONEWS il 22 gennaio 2023.

Hai solo tempo per una sveltina? Leggi i segreti della sexperta Tracey Cox per trasformare una serata fredda in una notte bollente.

 Crea tensione sessuale durante il giorno

Inizia con una promessa: un bacio che indugia più a lungo del solito o una strizzatina veloce del pene e aggiungi "Ci vediamo più tardi", prima che esca di casa.

 Quindi continua a prenderlo in giro durante il giorno. «Pensare a quello che ho programmato per stasera e mi fa eccitare». Inviagli una foto con un dettaglio del tuo corpo. Ricorda solo che non bisogna mostrare troppo. È più eccitante.

Guarda, leggi o ascolta qualcosa di erotico

È un modo garantito per eccitarti. Se il porno ti infastidisce, si può sempre optare per qualcosa di erotico. “Make Love Not Porn” e “Joy Bear” sono due siti garantiti per eccitarsi. Oppure guarda vecchi classici come "Basic Instinct", "Henry and June" o "Eyes Wide Shut" per il voyeurismo. Prova anche a leggere dei romanzi erotici.

 Un bacio allo champagne

Tutto ciò di cui hai bisogno è una bottiglia di qualcosa di frizzante, il tuo partner sdraiato sulla schiena e tu a cavalcioni.

Prendi una sorsata di champagne ghiacciato in bocca, resisti all'impulso di deglutire e bacialo lasciando che parte del liquido vada nella sua bocca. Non preoccuparti se esce dai lati della bocca: avrai una scusa per leccarlo e farti leccare.

 Tecniche per “tirarlo su”

Se non è molto eccitato, prendi saldamente il pene alla base e lavora muovendoti dal basso verso l’altro. Quando raggiungi la cappella, ripeti lo stesso movimento usando l'altra mano e continua alternando le mani. L’eccitazione è garantita.

I “cerchi” che la fanno impazzire

Un modo semplice per migliorare le abilità sessuali orali del tuo partner è fargli capire quanto sia importante il modo in cui gira la lingua sul tuo clitoride. Più il cerchio disegnato con la lingua è piccolo, più intensa è la stimolazione; più grande è il cerchio, meno è intenso. Fallo iniziare con cerchi grandi che diventano sempre più piccoli. Occhio perché una lingua secca ha l’effetto della carta vetrata. Se necessario, fallo bere.

Aggiungi un elemento “ignoto”

Il trucco per passare velocemente dalla notte fredda a quella rovente è la sorpresa: introduci un elemento dell'ignoto senza sottovalutare i cliché. Se sono tali è perché funzionano.

Gli occhi bendati possono sembrare superati, ma aggiungono immediatamente tensione sessuale e vulnerabilità che inietta una sana dose di lussuria nelle relazioni a lungo termine.

Riducono anche qualsiasi imbarazzo e amplificano le sensazioni fisiche. I giochi di coppia rimangono l'unica fantasia che funziona davvero bene quando le coppie li traducono nella  realtà.

Cambiare la dinamica del potere, ad esempio legare la persona che di solito è dominante fa ottenere dei risultati brillanti. Anche la sculacciata sul sedere è un modo per accendere la passione.

DAGONEWS il 14 gennaio 2023.

Se solo il sesso fosse come nei film. L'illuminazione è perfetta, la svestizione è elegante, le parti del nostro corpo fanno quello che devono fare e tutto va esattamente secondo i piani. Ma il sesso nella vita reale è così lontano da questo, che è difficile immaginare che si tratti della stessa attività.

 Disordinato, sudato, imprevedibile e spesso poco lusinghiero, c'è molto che può andare storto durante il sesso. Fortunatamente, la maggior parte dei casi si risolve facilmente con l'educazione, la calma e la comunicazione. Ecco come mantenere la calma quando si verifica un disastro.

Le donne sono timide quando il pene non è molto duro. Lo afferriamo con gusto quando è solido e rigido, ma passiamo a un tocco nervoso e incerto non appena si ammoscia.

In realtà, dovrebbe accadere il contrario. Se è solo semi-eretto, apprezzerà una presa salda e un massaggio deciso. 

Non è necessario che sia completamente eretto per farvi penetrare: usate le dita per infilarlo dentro e tenete la mano per assicurarvi che non cada. All'inizio massaggiategli i testicoli mentre spinge in modo lento e costante e, se riuscite a raggiungerlo, massaggiate con decisione il perineo con i cuscinetti delle dita.

 Soprattutto, non fatevi prendere dalla pressione (mentale) e fategli capire che siete del tutto tranquille. Se la relazione è nuova e lui ha avuto problemi di erezione in passato, è possibile che abbia bisogno di tempo per sentirsi a proprio agio con voi.

Tutte le donne si bagnano quando sono eccitate, giusto? È un mito a cui credono sia gli uomini che le donne, ma è falso. Sono così tante le cose che influiscono sulla lubrificazione vaginale che è incredibile che avvenga. Farmaci prescritti, bere troppo alcol, essere disidratati, il momento del ciclo mestruale, sentirsi stressati, stanchi o ansiosi, preliminari insufficienti, tecnica inefficace: tutti questi fattori influiscono sulla lubrificazione.

Un altro fattore è la genetica. È improbabile che vostra nonna o vostra madre vi abbiano parlato della loro vagina secca, ma avrebbero dovuto farlo. Se siete ansiose che ciò accada, potete inserire un po' di lubrificante nella vagina prima di iniziare a fare sesso.

 Altrimenti, se succede con un partner di lunga data, basta dirgli il motivo per cui si pensa di non lubrificare ("Ieri sera è stata una nottataccia. Sono disidratata, quindi dovremo usare il lubrificante"). Se avete bisogno di spiegare al vostro partner le molte ragioni per cui la lubrificazione non avviene di punto in bianco, fatelo dopo che il sesso è finito.

Se si tratta di un nuovo rapporto, fermatevi e dite: "Oggi sono un po' asciutta. Hai del lubrificante?". Se non ce l'hanno, la saliva (la loro o la vostra) è un buon sostituto. Anche in questo caso, a meno che il vostro partner non sembri offeso da ciò che sta accadendo, potete riservare la chiacchierata sul perché di ciò che sta accadendo per quando avrete finito.

Ciò si verifica quando l'aria viene spinta nella vagina dal pene di lui, soprattutto se lui si tira indietro troppo prima di rientrare, per poi essere espulsa in modo indecoroso.

Indipendentemente da dove o come accade, è utile riconoscere che siamo esseri umani. Il nostro corpo fa strani rumori quando fa le sue cose.

C'è solo un modo per reagire se uno di voi rutta, scoreggia o vomita: ridere! Perché no? È divertente. Ridere elimina immediatamente l'imbarazzo e vi fa sentire più vicini. Potete rilassarvi e godervi completamente il sesso quando sapete che un rumore indesiderato non è un problema.

 Essere colti "in flagrante" con l'amante da vostro marito è uno scenario diverso da quello in cui entra il vostro coinquilino durante una notte di sesso. Supponendo che non stiate tradendo, la prima cosa da capire è che la persona che entra è probabilmente più imbarazzata di voi. L'umorismo (come sempre) aiuta, ma anche fargli capire che non è colpa loro se vi hanno beccato.

In questo caso, prevenire è meglio che curare. Chiudete a chiave la porta, se c'è una serratura. Fate un cartello o un segnale che indichi alle altre persone che condividono la casa di non disturbarvi. Fate attenzione ai parenti/amici che si aggirano in cerca di un cuscino di riserva durante le vacanze di gruppo.

 Se c'è la possibilità che qualcuno entri, scegliete posizioni sessuali da cui possiate districarvi facilmente. Se è ora di andare a letto e siete sotto le coperte, fate un rapporto sessuale "a cucchiaio". Sembra che vi stiate abbracciando e nessuno se ne accorge. Tenete addosso il maggior numero possibile di vestiti, evitate il sesso orale (avete mai provato a trovare un motivo sensato per cui la vostra testa si trova in quel punto, oltre a quello che sta accadendo?) e usate invece la stimolazione manuale.

Potrebbe essere perché avete usato troppo lubrificante o siete molto bagnati, entrambi facilmente risolvibili usando un fazzoletto o un piccolo asciugamano per eliminare l'eccesso.

 Anche la posizione, le dimensioni del pene e lo stile di spinta sono fattori determinanti. Se il suo pene è piuttosto corto e lui spinge a lungo, tirando indietro ad ogni colpo piuttosto che rimanendo in profondità , è inevitabile che ciò accada. Più è grosso e più vi tiene vicine, meno è probabile che scivoli fuori. Tenetelo vicino afferrandogli le natiche o stringendo le gambe intorno a lui. Oppure allungate la mano e afferrate la base del pene per tenerlo dentro.

Per prima cosa, abbandoniamo l'idea che tutti gli uomini riescano a raggiungere l'orgasmo senza sforzo, sempre e comunque, a prescindere da ciò che gli si proponga. Così come alcune donne possono raggiungere l'orgasmo solo in un determinato modo (più comunemente attraverso il sesso orale o con un vibratore), alcuni uomini lo stesso.

I suoi orgasmi più affidabili e frequenti sono quasi sempre fai-da-te, con la mano, la sua mano. Se non riesce a raggiungere l'orgasmo facilmente attraverso il rapporto sessuale, spesso è perché ha bisogno di un colpo specifico che usa abitualmente e che solo una mano può fornire. La vagina non è in grado di riprodurre uno strattone deciso e ritmico.

Potrebbe anche essere perché lui si masturba usando una presa dura: anche la vagina più stretta non può competere con un pugno deciso. Aggiungete la stimolazione extra di cui ha bisogno tenendolo saldamente intorno alla base la prossima volta che vi penetra e usate la vostra mano per scivolare su e giù sul suo pene mentre lui scivola su e giù dentro di voi.

Le Posizioni.

Tracy Clark-Flory per “Cosmopolitan” mercoledì 23 agosto 2023.

A volte il sesso è noioso e ci sono ostacoli all’orgasmo che sembrano insuperabili. Emily, 35 anni, stava per avere un rapporto con un nuovo ragazzo che ha sfoggiato un preservativo Magnum. Lei ha riso per la spavalderia ma poi lui ha sciolto il drago ed effettivamente era il più grosso che avesse mai visto. Il rapporto è stato doloroso per lei, disagevole per lui. Cosa fare in questi casi?

Se il pene è troppo grosso, meglio che la donna stia sopra e che si usi lubrificante. Se è troppo lungo, fategli mettere la mano alla base prima di infilarlo, in modo che non entri tutto. Evitate la posizione a pecorina, che porta ad una penetrazione profonda.

Esiste anche il caso contrario, cioè che l’uomo ha il pene troppo piccolo. Sara, 28 anni, si è trovata davanti il più piccolo che avesse mai visto, ma la misura conta poco se si sa come usare le risorse. Ad esempio può aiutare chiedergli di fare un moto circolare con i fianchi, così si sente di più che facendo dentro e fuori.

Il suo pene è un martello pneumatico? Karen, 23 anni, si è trovata in una simile condizione. Il suo partner spingeva troppo forte e troppo velocemente, trattava la sua vagina come se dovesse rompere il pavimento in un cantiere. La soluzione è rallentare, mettendo la donna sopra. Se lei fa lentamente un moto circolare con i fianchi, gli mostra come procedere.

Se il martellamento inizia solo verso fine rapporto, significa che lui ha bisogno di stimolazione extra. A volte per raggiungere l’orgasmo, l’uomo ha bisogno di una combinazione di frizione e pressione sul pene, perciò provate a dare colpi veloci o a succhiare il Black and Decker per il suo gran finale. 

Il problema di Kelsie, 28 anni, è che il suo partner eiacula troppo presto. Il consiglio è dedicarsi molto ai preliminari per allontanare qualsiasi pressione sulla prestazione di lui e per preparare meglio la strada all’orgasmo di lei. Ancora meglio sarebbe se lui praticasse prima il cunnilingus, lo calmerebbe sul resto. 

Kylie, 27 anni, ritiene noioso il sesso con il fidanzato. La routine e la solita posizione del missionario possono spegnere la scintilla. Il consiglio è rompere gli schemi: se in genere fate sesso la sera, provate di giorno. Date al vostro partner appuntamento altrove, fuori casa, e godetevi una sveltina. Concedetevi un po’ di ‘dirty talk’: far sapere al vostro uomo quanto siete eccitate, renderà le cose più eccitanti.

Infine, aldilà delle misure del partner, alcune donne soffrono durante il rapporto sessuale. Può dipendere da squilibri ormonali, ansia, infezioni, mancanza di lubrificazione, o dagli effetti collaterali di certi farmaci (tipo antidepressivi e pillole). Se sanguinate può dipendere da polipi o comunque altre infezioni, perciò è consigliabile andare da un ginecologo.

Eugenio Spagnuolo per focus.it venerdì 1 settembre 2023. 

 CHE COS'È IL KAMA SUTRA? Tutti ne hanno sentito parlare, ma pochi ne conoscono il significato. Confuso spesso con un manualetto erotico, il Kama sutra (letteralmente, “Massime sull’amore”) è considerato di solito un compendio di posizioni per fare sesso. In realtà è uno dei testi più importanti della poesia sanscrita, anche se non l’unico (Per saperne di più. Nell'immagine, sculture erotiche tratte dal Kama Sutra scolpite sulle pareti del tempo Khajuraho, a Madhya Pradesh in India.

 LA REGOLA DELL'8 Scritto tra il I e il VI secolo da un certo Vatsyayana, elabora e riunisce opere diverse, tramandate oralmente. Contiene le descrizioni di 64 posizioni sessuali, conosciute come le 64 arti. Vatsyayana, credeva che ci fossero 8 modi di fare l'amore, moltiplicati per 8 posizioni per ciascuno di questi, per un totale di 64. Il testo descrivere il fare l'amore come una “unione divina”. Ma come detto, soltanto il 20% del libro parla di posizioni, anche se è divenuto famoso proprio per questo.

KAMASUTRA CATALANO. Cercare nuove posizioni sessuali non è una mania recente e neppure orientale. Anche nel Medioevo c’era curiosità a proposito. Speculum al foder è un testo catalano del XV secolo dedicato proprio alle posizioni sessuali. A volte tradotto come “Lo specchio di Coitus” è più un manuale di corteggiamento e di igiene, ma descrive (a parole, niente disegni, come si vede nell'immagine) l'arte delle posizioni sessuali come farà poi nel Rinascimento De omnibus Veneris noto anche come "I modi" o “Le 16 posizioni” dell’incisore Marcantonio Raimondi, che a sua volta si era ispirato a una serie di dipinti erotici di Giulio Romano.

 POSIZIONI ANTICHE. Ancora prima le posizioni sessuali erano state materia del trattato della greca Elefantide nel V secolo: Varias Concubitis Genera, che illustrava nove posizioni del coito e che era una delle letture preferite dell’imperatore Tiberio, che secondo Svetonio apprezzava l’arte erotica al punto da avere esposto in camera da letto un dipinto che rappresentava Atalanta e Meneagro impegnati in un… rapporto orale.

SHAKESPEARE E LA BESTIA A DUE SCHIENE. La posizione del missionario (lui sopra, lei sotto nella variante eterosessuale) ha molti nomi tra cui la “matrimoniale” e la “english-american”. Shakespeare nell’Otello la indica metaforicamente come “la bestia con due schiene”.

È la posizione più praticata nel mondo, sebbene gli Zulu la giudichino volgare e sconveniente, mentre per i Santal e gli abitanti di Bali sia goffa e poco pratica.

 MA POI PERCHÉ LA POSIZIONE DEL MISSIONARIO SI CHIAMA COSÌ Secondo l’antropologo Bronislaw Malinowski (1884- 1942), questa posizione sessuale fu chiamata così nel 1700 dagli aborigeni dell’isola Trobriand, nella Melanesia occidentale, a est nella Nuova Guinea. Era infatti la posizione praticata dai missionari che, sbarcati nell’arcipelago per convertire gli indigeni, si prendevano... qualche libertà con le loro fanciulle. I locali guardavano questo modo di accoppiarsi con curiosità e stupore perché originale e diverso da quello in uso (donna accovacciata davanti, uomo dietro), ispirato agli animali. Secondo un’altra versione, questa posizione fu imposta dai missionari (i quali non “praticavano”) agli indigeni per motivi di ordine religioso: la posizione “faccia a faccia” sarebbe stata ritenuta l’unica adatta ai rapporti tra membri del genere umano, in grado di rafforzare la monogamia, e anche la migliore per la fecondazione.

VADE RETRO. La posizione da dietro (alla “pecorina” o doggy style per gli anglosassoni) ha anche un nome latino: coitus more ferarum, coito come le fiere. Nel Kama sutra invece è nota come: “l’unione della mucca”. Secondo una ricerca dell’Università di Waterloo (Canada) è la migliore per chi soffre di mal di schiena, a patto di fare forza sulle anche.

 QUANTE CE NE SONO? Secondo lo scienziato inglese Alex Comfort (1920-2000), autore di La gioia del sesso, libro che ebbe un ruolo importante nella rivoluzione sessuale, le posizioni sessuali possibili sono più di 600. Anche se, come ammise in seguito: «spesso le coppie cominciano col provarle tutte, ma quasi inevitabilmente finiscono con l'usarne sempre una o due, ricorrendo ai manuali solo in occasioni speciali».

SPERIMENTARE FA BENE. E invece una coppia dovrebbe sempre sperimentare nuove posizioni. Secondo gli psicologi della Chapman University saerebbe segno di vitalità e soddisfazione. In particolare, hanno scoperto che gli uomini e le donne sessualmente soddisfatti si impegnano in comportamenti più intimi, come coccole e baci profondi e ridono insieme durante l'attività sessuale; incorporano più atti di varietà sessuale come provare nuove posizioni sessuali o fantasie; e apprezzano atmosfere romantiche o sensuali, a base di candele e musica. E non hanno paura di dire “ti amo” durante il rapporto sessuale.

 QUALI POSIZIONI ERANO CONSIDERATE LECITE NEL MEDIOEVO? L’unica realmente tollerata era quella del missionario (termine di origine incerta che allude alla classica posizione uomo sopra, donna sotto), mentre tutte le altre venivano a vario titolo bollate come immorali e illecite dalla Chiesa. Altre posizioni sconsigliate erano quelle che prevedevano la donna in posizione dominante, ovvero sopra all’uomo, oppure quelle in cui veniva presa da tergo, senza che potesse scambiare sguardi amorevoli con il partner. Questi modi di fare l’amore erano considerati animaleschi.

ESISTE UN KAMA SUTRA DELLE SCIMMIE? In un certo senso sì. Diversi studi sul comportamento sessuale dei primati (tra cui quello condotto dallo zoologo J. P. Hanby) rivelano infatti che alcuni praticano una sorta di Kama sutra. In pratica, durante l’accoppiamento non ricorrono esclusivamente alla posizione più “classica”, quella in cui la femmina resta ferma, in segnale di invito, ed il maschio la monta “da tergo”. In particolare, gibboni siamango e gorilla in cattività praticano anche la posizione “del missionario”, come anche i bonobo (vedi foto). E dei macachi giapponesi sono state documentate ben otto diverse modalità di accoppiamento: quella in cui il maschio, in piedi, monta la femmina da dietro; oppure si aggrappa alle sue gambe; la morde; si accovaccia sul dorso; si sdraia sul dorso; o, in alternativa, di lato; alla “missionaria”; seduti di fronte.

PAPIRI EROTICI. Non sono noti manuali sessuali dell'antico Egitto. Ma esistono vari papiri dedicati al sesso. Il più noto è il Papiro Erotico databile attorno al 1150 a.C. (XX dinastia) e oggi conservato nel Museo Egizio di Torino. In esso sono raffigurati un uomo e una donna che, aggrovigliati in posizioni sessuali al limite dell’acrobatico, svelano dettagli piccanti sulle abitudini dell’antico popolo egizio in camera da letto.

Lo squirting.

Barbara Costa per Dagospia il 18 febbraio 2023.

Ogni fiera portatrice di f*ga può essere fieramente p*rca, sporca, sessualmente senza limiti, strillona nel godere e… pisciarsi sotto mentre fa sesso. Prima, durante, dopo un orgasmo. Più orgasmi. Pure in loro assenza. In autoerotismo o con un uomo. Più uomini. Una o più donne. Ma non è vero che si piscia sotto: lei squirta!!!!!

 E lo squirto non è pipì, noooooooo, “non è pipì! non è pipì! non è pipì!”, ed è ora di crederci, se a giurarcelo è una spagnola a cui le f*ghe piacciono più di ogni altra roba e le f*ghe se lo sc*pa nel privato, e in pubblico le studia, e ci lavora. Il suo nome è Diana J. Torres, e quel campanello che nel cervello ti trilla ti segnala che questo nome tu lo conosci, sì sì, tu l’hai già sentito, ma dove?

Diana J. Torres è quella di "F*ca Potens", il manuale (in nuova edizione, D. Editore) che ha sdoganato lo squirting, la capacità che ogni f*ga ha di spruzzare, di schizzare, di irrigare il letto di pozzanghere che non sono pipì, nooooooo, non possono esserlo, ed ecco perché: lo squirto che una f*ga espelle non è urina perché lo squirto non è giallo ma bianco, non ha lo stesso sapore né odore della pipì ma soprattutto non è generato nello stesso posto della pipì. Esce da lì ma non è urina, aridaje, nooo!!!, è squirto, liquido fabbricato dalla prostata delle femmine, le ghiandole di Skene, ampie da 2 a 5 cm, gonfie se piene, e che prendono nome da chi le scoprì e che questo fluido che cavolo fosse non lo capì.  

Tutte possiamo squirtare. Tutte. Tutte abbiamo questa prostata femminile, e chi non squirta non si deprima né si agiti, ma legga qua: solo una miserrima percentuale di f*ghe non squirta perché è nata con la prostata sana ma atrofizzata, che sta lì, ma non fa squirta. Tutte le altre lo fanno, sì, ma non nella stessa quantità. Gran parte delle prostate femminili produce poco squirto, anche soltanto qualche goccia, cosicché ci sono donne che colano squirto e non se ne accorgono. Anche perché uno squirto non origina un orgasmo mitico e superiore a uno senza squirto – assolutamente no!!!, si squirta pure senza godimento, il quale magari viene dopo – perché lo squirto è una forma di liberazione. Non è pipì perché non esce in modo continuo, ma a fiotti. Ci sono anche squirti che si fermano in vescica, e che vengono sprizzati dopo l’amplesso.

Chi ancora non crede che non è pipì faccia i suoi test: faccia come Diana J. Torres, lo assaggi (“è dolciastro, non odora”), eiaculi su lenzuola non bianche ma scure: noterà che lo squirto lascia sulle coltri una pozza bianca – non gialla come quella della pipì – e appunto leccandolo si ha la dimostrazione che non "sa" di pipì. Altra prova, quella definitiva: prima di sc*pare con qualcuno/a o da sole, andate in bagno e liberate la vescica. Se poi mentre vi o vi fate sc*pare, ravanando prostata e clitoride, tra le gambe esce una fontanella… che cos’è se non squirto? C’è l’orgasmo anale ed è quello provocato dalla stimolazione delle terminazioni nervose della clitoride che arrivano fino all’ano: così si può squirtare se abilmente prese da dietro. Il sapore dello squirto dipende da cosa mangiamo ma pure dalla fase mestruale in cui siamo.

È indubbio che una f*ga squirti se sta sopra il/la partner, con 2 dita che la frugano – curve, in movimento circolare, da dentro a fuori – ma è più sicuro che si squirti da sole, accovacciate con la schiena contro la parete, o che si squirti in piedi. Ci sono donne che partoriscono e che mentre mettono al mondo la loro creatura, al momento in cui esce la testolina… squirtano! E ci sono donne che squirtano dal settimo mese di gravidanza, col bebè in pancia che si muove e gli solletica la prostata. E ci son donne fortunate, donne indios Mohave, e tribù Batoro in Uganda, che in pubertà sono dalle più anziane istruite a squirtare.

Che lo squirto puzzi, sia inferiore allo sperma, e che le f*ghe squirtanti siano malate, sbagliate, guaste, è falso occidentale portato avanti dai Cristiani per negargli potere squirtatorio. Infatti ogni f*ga della Storia ha squirtato, e senza tabù parlano di squirting Ippocrate, Pitagora, Galeno, e c’è “acqua d’amore” tra le gambe delle donne in antichi testi indiani, persiani, pure nei nostri Vangeli, nell’Apocalisse di Giovanni (“meretrice seduta su molte acque”). È il Cristianesimo che ha tolto alle donne libertà e piacere di squirtare, bollando lo squirto lascivo, difetto congenito, e fino a pochi anni fa c’erano sventurate che per i loro geyser sessuali erano diagnosticate dai medici incontinenti, matte, o deformi e spedite in sala operatoria a eliminargli la prostata col bisturi.  

Tutt’oggi chi non squirta può essere preda di paure causate da educazioni rigide, fobiche, da timidezze sessuali, e ansie, traumi dati da partner che, innaffiati di squirto, sono scappati schifati, e le hanno insultate, umiliate. Infine, rimanga tra noi: c’è un posto dove lo squirto è pipì, ed è… nel porno!!!!!!! Sono comuni i porno squirting con attrici che eruttano enormi pisciate fatte passare per squirting. Si fa nelle scene più disturbanti.

E ci sono scene dove lo squirting è se non finto, aiutato, nel senso che è aggiunto a altro liquido per apparire più straripante. Prima di Pornhub, il porno squirting aveva difficoltà distributiva perché, creduto pipì, era dai caproni censori timbrato scatologia, sicché commerciarlo, seppur a +18, era complicato. I primi porno squirto a inondare il mercato squirtando approvazioni, son stati girati e diretti da una f*ga potente, l’ex pornostar Belladonna. Oggi sono prelibatezze i porno squirtati da attori trans (nati e godenti con f*ga e prostata di Skene). Una vulva tsunami era l’incubo tra gl’incubi di Freud.

Il sesso tantrico.

Da "donnaglamour.it" il 6 gennaio 2023.

Vuoi dare al tuo uomo un super orgasmo? Allora devi imparare a fare il pompoir, una particolare tecnica del sesso tantrico, che consiste nella “mungitura” del pene.

 Detto anche “milking”, dal fatto che ricorda la mungitura, il pompoir è una tecnica che le donne asiatiche praticano fin da tempi antichissimi. Se ne trovano infatti alcune testimonianze in testi indiani del XVI secolo, che lo descrivendo come la capacità di contrarre la vagina “imprigionando” il pene in una stretta morsa, capace di dare un piacere grandissimo.

Altri studi orientali lo chiamano “Singapore Kiss”, in quanto le concubine di Singapore più esperte sarebbero in grado di praticarlo. Ma come si fa questo pompoir? Per dirlo in parole semplici, bisogna imparare a contrarre e rilassare i muscoli vaginali ritmicamente. Per riuscirci è necessario allenarsi a lungo con gli esercizi di Kegel, che tonificano i muscoli pelvici femminili.

Secondo l’esperta di sesso Denise Costa, autrice di un libro per imparare l’arte del pompoir, basta un’ora di pratica al giorno per imparare a padroneggiare questa tecnica. Ovviamente, l’ideale è allenarsi con il proprio partner maschile, ma in sua assenza è possibile usare vibratori e palline da geisha.

 Una volta imparata la tecnica base, si possono sperimentare altri interessanti giochini, come l’effetto risucchio o la “riverginazione”, che consiste nel contrarre i muscoli vaginali così tanto da rendere difficoltosa la penetrazione, come con le donne vergini.

Ci sono poi la mungitura, ovvero la contrazione ritmica e progressiva, la ghigliottina, contrazione forte e decisa, e l’espulsione, che consiste nel riuscire a far uscire il pene dalla vagina senza usare le mani. I benefici, secondo gli esperti, sono innumerevoli sia per gli uomini che per le donne. Provare per credere! 

L’Orgasmo.

Sesso? Non è vero che le donne ne hanno meno voglia. Rita Galimberti su Panorama il 5 Novembre 2023

La cosiddetta "insaziabilità maschile" è solo un luogo comune associato, spesso, all'autoerotismo. Perché il "gentil sesso" - in realtà - non è così tanto gentile e soprattutto ha gli stessi istinti della controparte L'abbiamo scritto su Panorama in edicola questa settimana. «Per sfatare il mito, si è scomodato il quotidiano più famoso del mondo, il New York Times. Detto in modo molto sintetico, ma non semplicistico: non è vero che le donne hanno meno voglia di fare sesso rispetto agli uomini. Il tema è al centro di un articolo pubblicato a metà ottobre, che cita uno studio della rivista scientifica Archives of Sexual Behavior, secondo il quale la variabilità del desiderio è pressoché sovrapponibile per lui e per lei e muta in base a fattori come l'umore, il livello di stanchezza, l'intensità del legame con il partner. E allora, come si spiega il luogo comune dell'insaziabilità maschile? Viene associato a un'altra abitudine, quella della masturbazione, che in effetti - lo rileva l'articolo - è più assidua negli uomini. Ma quando si tratta di passare dall'immaginazione alla pratica, la differenza tra i sessi scompare»

C'è una netta distinzione tra l'"insaziabilità" maschile e quella femminile. Innanzitutto, quella maschile, sembra all'apparenza più libera. Dogmi e spesso paura del giudizio altrui, rendono le donne più caute nell'evidenziare le proprie voglie e propri bisogni. Questo però non significa che, le stesse, si lascino sfuggire l'occasione o dicano di no al sesso. Tutt'altro. Studi provano che, mediamente, le donne hanno più partner rispetto agli uomini. I dati raccolti smentiscono tanti luoghi comuni: la maggior parte delle donne pensa al sesso, ha fantasie sessuali, spesso le realizza, senza porsi il problema di essere donna. Sfatato anche il mito per cui le donne sarebbero più monogame degli uomini. Come sottolineato in precedenza, in media una donna ha più partner di un uomo. E proprio questo numero crea una differenza sostanziale: la monogamia esiste, certo, ma non è un'esclusiva femminile. Secondo l'analisi effettuata dalla rivista sopracitata, poi, se il 70% degli uomini non riesce a dire di no alla classica sveltina, la stessa cosa succede per le donne. Con la stessa identica percentuale. E spesso, la totalità di questo 70% intrattiene rapporti che sono occasionali. Per rispondere a tre delle domande più frequenti sull'argomento, abbiamo chiesto aiuto a Gabriella Scaduto, psicologa psicoterapeuta practitioner EMDR. Dottoressa, è reale il fenomeno dell'insaziabilità sessuale maschile? Esiste anche quella femminile?

Al desiderio sessuale concorrono non solo processi biologici e neuroendocrini, ma anche fattori motivazionali, affettivi e cognitivi. Rispetto al desiderio femminile, questo ha a che fare con le dinamiche relazionali, il rapporto, il momento e gli stati d’animo, ed è fisiologicamente discontinuo. Nell’uomo invece si presenta relativamente costante e continuo con un declino dall’adolescenza fino alla tarda maturità. Bisogna fare una distinzione importante tra la sessualità con un elevato desiderio sessuale e con alta frequenza di rapporti, che non deve essere patologizzata se questa non provoca sofferenza, rispetto ad esempio alla satiriasi, una forma di ipersessualità nell’uomo, dove possiamo osservare un’accentuazione morbosa degli impulsi sessuali, e si manifesta con un desiderio insaziabile e sfrenato di avere rapporti sessuali, dove il rapporto serve a placare l’ansia o altre emozioni negative, per l’equivalente femminile invece parliamo di ninfomania. Le attuali ricerche mostrano una prevalenza rispetto al sesso maschile e sembra avere espressioni almeno in parte diverse negli uomini e nelle donne anche se risulta ancora un territorio da esplorare. Il Disturbo del comportamento sessuale compulsivo è caratterizzato da un modello persistente di incapacità a controllare impulsi sessuali intensi e ripetitivi o impulsi che portano a comportamenti sessuali ripetitivi. L’attività sessuale diviene il fulcro della vita della persona, al punto da trascurare la salute e la cura personale o altri interessi, attività e responsabilità, causando una significativa compromissione della vita familiare, sociale, e lavorativa. Il comportamento sessuale diviene parte di un ciclo di pensieri, sentimenti ed azioni che la persona non è più in grado di controllare. Insaziabilità sessuale è un mito. Ma a livello scientifico come viene giustificata? Rispetto alle cause, ancora oggi bisogna indagare, ma vi sono vi sono varie ipotesi che avvalorano cause multifattoriali, come vissuti di situazioni traumatiche precoci, stile dell’attaccamento insicuro, così’ come alterazioni fisiologiche e ormonali.

Covid, lockdown, ma anche le nuove generazioni: come è cambiato l'approccio sessuale negli ultimi anni? I risultati di uno studio condotto da un consorzio di ricercatori dell’Istituto

I risultati di uno studio condotto da un consorzio di ricercatori dell Istituto Superiore di Sanità, dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, dell’Università di Genova e dell’Università di Pavia, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Epidemiology, hanno riportato un calo dell’attività sessuale durante il lockdown, nonché l’aumento dell’uso della rete come supporto per le relazioni, sia per gli adulti che per i ragazzi. Sicuramente vi è stata una sovraesposizione a stimoli sessuali disponibili online, come ad esempio l’aumento del consumo di pornografia, anche tra i più giovani, rimandando ad un tipo di sessualità stereotipata non aderente alla vita reale. A ciò va anche sommato l’aumento del disagio psicologico tra gli adolescenti che sicuramente ha influito sulla sessualità. ©Riproduzione Riservata

Valentina Arcovio per "ilfattoquotidiano.it" domenica 29 ottobre 2023.

Superficiale, in abbinamento, dondolante e a pesca. Queste sono le 4 vie del piacere femminile. Più precisamente sono le strategie che le donne utilizzano per aumentare il piacere sessuale durante la penetrazione vaginale, sia con un uomo che con un sex toy. 

A individuarle sono stati Devon J. Hensel, professore associato dell’Indiana University School of Medicine, e Christiana von Hippel, ricercatrice di OMGYES in uno studio pubblicato sulla rivista Plos One.(…)

Dai risultati è emerso che l’87,5 per cento di esse utilizza la tecnica della “angling” (pesca) che prevede rotazione, sollevamento o abbassamento del bacino durante la penetrazione per stimolare il punto in cui si sfrega il pene o il sex toy all’interno della vagina. Circa il 76 per cento utilizza invece la tecnica “rocking” (dondolante), in cui la base del pene o di un sex toy sfrega costantemente il clitoride durante la penetrazione, rimanendo completamente all’interno della vagina senza spingere dentro e fuori.

Circa l’84 per cento ha usato la tecnica “shallowing” (superficiale) che si concentra sul punto d’ingresso della vagina. Infine, il 69,7 per cento ha utilizzato il “pairing” (abbinamento), cioè quando la donna o il partner stimola il clitoride con un dito o con un sex toy mentre c’è la penetrazione.

DAGONEWS sabato 21 ottobre 2023.

Si tratta di una zona misteriosa che, si suppone, possa regalare alle donne orgasmi incredibili quando viene stimolata. Tuttavia, per molti anni, sia gli scienziati che gli uomini, causando frustrazione nelle loro partner, non sono stati in grado di dimostrare l'esistenza del punto G. 

Ora, tuttavia, dei ricercatori in Turchia affermano di avere prove concrete che questa zona erogena esista davvero. Questa convinzione è nata dopo che è stato notato che le donne sperimentavano orgasmi meno frequenti e meno intensi dopo un intervento chirurgico effettuato in questa delicata area.

Gli operatori sanitari hanno seguito attentamente decine di donne per un periodo di sei mesi dopo un intervento chirurgico volto a trattare il prolasso vaginale, che mira a rafforzare i muscoli nella parete anteriore della vagina. Si crede che sia proprio in questa zona che risiede il punto G, situato qualche centimetro all'interno delle pareti superiori della vagina.

Sebbene i livelli di eccitazione delle donne siano rimasti invariati dopo l'intervento, i risultati hanno mostrato una riduzione del piacere sessuale. Gli autori dello studio hanno avanzato l'ipotesi che il punto G potrebbe essere stato danneggiato durante l'intervento chirurgico, pur riconoscendo che la sua esistenza è ancora oggetto di dibattito. 

In ogni caso, gli operatori sanitari dovrebbero considerare alternative per il trattamento del prolasso della parete anteriore della vagina, come la terapia laser, che potrebbe preservare il piacere sessuale. Il termine "punto G" prende il nome dal ginecologo tedesco Ernst Gräfenberg, il primo a descrivere scientificamente questa zona produttrice di orgasmo negli anni '50. Tuttavia, è stato il dottor Frank Addiego e i suoi colleghi, negli anni '80, a coniare il termine in onore del dottor Gräfenberg, mentre scrivevano sull'eiaculazione femminile.

Barbara Costa per Dagospia sabato 21 ottobre 2023.

Come scopro se la mia donna ha avuto un orgasmo? Glielo posso chiedere, "dopo" ? Ci sono prove, segni evidenti e indiscutibili che me lo possono provare? E quali sono? Voglio essere sicuro! Sono questi i dilemmi che a letto, e sul sesso, angustiano gli uomini! Come capire se si è riusciti a far godere "davvero" una donna? Ci si può fidare di ciò che dice? Se siete tra quelli che prendono per oro colato i 4 gemitucci che la vostra lei vi fa, e pure, se siete tra coloro che sc*pano e se ne imp*pano se lei è venuta o no, ché il solo godimento che conta è il proprio… saltate le prossime righe.

Se invece siete curiosi di sapere come sapere se si è stati capaci di far godere, vi dico che la vagina più arrossata, il respiro che si fa più intenso, se strilla di più, di meno, o uguale a quando avete iniziato i giochi, se i muscoli sono più tesi, se chiude gli occhi o li apre di più, o li strabuzza, o le splendono le pupille, o un mix tra questi, e ancora, più sudore, più battito cardiaco, e bocca aperta, e seni più duri, capezzoli più duri, glutei più duri, o maggiore o minore lubrificazione tra le gambe, con annesso schizzo e no, o vero e proprio gettito di squirting… ecco, tutti questi elementi NON SONO segno né prova che una donna ha raggiunto l’estasi.

E questo per una unica e incontrovertibile verità: ogni donna è a sé, è fatta a modo suo, sicché gode a modo suo. Per questo, cari uomini, mettetevelo in testa: con ogni conquista si ricomincia da capo, e cioè: ogni vostra amatoria abilità e seduttiva maestria, che ne sono convinta ha fatto morire di piacere una tipa (o più), con la successiva possono valere meno, valere zero, o viceversa. 

Attenti qui: se è vero che, durante un cunnilingus, il clitoride si fa più rigido e gonfio man mano che leccato e stimolato guadagna l’orgasmo, non è vero che, mentre state facendo sesso, se ponete una mano sul ventre di lei, e percepite spasmi muscolari, state facendo giusto. Le contrazioni avvisanti orgasmo sono vaginali, e non sempre percepibili dal partner. E non è detto che una donna in procinto di un orgasmo parla di più, o di meno, o grida di più, e soltanto specifiche parole.

E non è detto che una donna che orgasma inarca i piedi in dentro, le si arrossa il viso, si morde le labbra, aggrappa le mani a voi, alla vostra schiena, le artiglia al cuscino, o alle coltri. Tutti questi indizi di orgasmo in arrivo possono, e singoli, e no, valere per una donna, mai per tutte, e non si esplicitano per ognuna allo stesso modo o misura. Cantate vittoria: una donna a cui escono lacrime, e per un cunnilingus, è (quasi) di sicuro "venuta". Una donna che, in vagina, specie con gioco di dita e lingua, e meno frequente di pene, ha contrazioni associate a fuoriuscite e zampilli, è sintomo che si sta divertendo non che sta di sicuro venendo.

Ci sono pure donne che producono squirting, pur abbondante, e non vengono. Se una donna rimane asciutta mentre la state ravanando e da ogni parte e da un po’, mutate ravanatura, tempi, velocità, o marca di lubrificante. Una donna che orgasma non rimane col viso immobile, bensì assume espressioni sgraziate "di liberazione", e però tali espressioni sono personalissime. Ma do ragione a un mio amico, che dice che una donna che viene ha “uno sguardo che sembra sciogliersi”. Già. 

Signori, la prova provata di un orgasmo femminile riuscito non la avrete mai, se non in due casi: siete a letto con una donna la più sincera e leale del mondo, che vi dice se è venuta, quando sì e quando no, e come, e soprattutto come dovete fare voi per farla venire. Secondo caso, più dimostrato del primo: se una donna a letto con voi ha goduto, si stampa il vostro numero di telefono e i contatti in inchiostro indelebile nel cervello del suo clitoride.

È sicuro come la morte: una donna che si trova un uomo capace di farla godere, tanto, bene, come vuole lei, magari in pluriorgasmo, e uomo che la fa godere sia col pene che con la lingua, state certi che questo portento non se lo lascia scappare. Tale fenomeno si ritroverà subissato di messaggi, chiamate, richieste di incontri e sc*pate. A meno che quest’uomo super ricercato e sc*pato non sia un uomo di potere, pieno di soldi, perché, in questo caso… si sa, l’orgasmo femminile ha e sopraggiunge con altre mire.

Barbara Costa per Dagospia domenica 6 agosto 2023.

È un orgasmo vero! Si gode sul serio! Succede davvero, succede a me! Io mica lo sapevo, che gira la fake che l’orgasmo femminile nel sonno non esiste. È una bugia messa in giro dagli invidiosi, o dalle invidiose, perché la verità è questa: per una donna, provare un orgasmo, mentre dorme, non dico che è regola, ma succede, le può accadere, seppur la frequenza e l’intensità vari da femmina a femmina. Attenzione. Non sto parlando di donne che magari in dormiveglia si toccano, e "vengono", qui la masturbazione c’entra niente.

Sto parlando di quell’orgasmo reale che, mentre te ne stai tranquilla a ronfare, raggiungi. E lo raggiungi appunto perché stai dormendo, ma stai sognando, roba p*rca, certo, e che ti piace assai, e che ti sveglia perché il climax non è onirico ma è reale, è concreto, è tra le gambe. Ti svegli che stai godendo. Io mi sogno roba sozza, e mi sveglio che il mio sesso si sta contraendo dal piacere. Un orgasmo a tutti gli effetti. Eccellente.

Purtroppo tale sorpresa non mi allieta di frequente, come invece tocca ad altre. Ci sono donne che vengono non ogni notte ma più volte in una notte, altre che vengono rarissimamente, altre mai, e ci sono pure quelle che nel sonno orgasmano ma non si destano e per questo non se lo ricordano. Rientrano tutte nella normalità. L’orgasmo nel sonno è dono esclusivo del nostro cervello. Parte da lì, si svolge in immagini che la nostra mente crea o ricrea, nei sogni, e è nel sogno, in questa attività cerebrale, che ci eccitiamo, e il nostro cervello dà al nostro sesso tutti gli impulsi necessari per con maxi soddisfazione orgasmare.

Ve l’ho detto: contrazioni e gonfio e denso godimento. Vieni, è fuor di dubbio.

Godere nel sonno non è vincolato a nulla se non a ciò che di sua incontrastabile volontà il nostro cervello forma e decide di farci sognare, e stimolare, e godere. Ma non è vero che hai un orgasmo nel sonno se dormi a pancia sotto, a gambe larghe, o se, prima di dormire, vedi porno, o ti impegni a pensare sozzerie. Ma nooooo! Se fosse vincolato al porno, allora io ad esempio avrei orgasmi nel sonno multipli e ogni notte! Invece no, perché un orgasmo nel sonno non puoi provocarlo in nessun modo.

È il tuo cervello che decide, e soltanto lui. Non è vero che una donna che ha una vita sessuale intensa è più soggetta a orgasmo nel sonno, nemmeno è vero il contrario, che ce l’hai perché nella vita reale stai a sesso digiuna. Neppure è legato a più o meno attività masturbatoria. L’orgasmo nel sonno è autonomo e indipendente dal nostro quotidiano, e dal momento e situazione sessuale che viviamo. E nemmeno è vero che ce l’hai se dormi da sola, e non ce l’hai se dormi in compagnia, né è legato a una sessualità monogama o a una promiscua. Niente.

È un regalo che il nostro cervello ci fa. Quando vuole lui. Non possiamo farci nulla! È vero però che ci sono donne che raggiungono l’orgasmo nel sonno in fase REM, e che dopo esser venute si riaddormentano (non tutte, ma alcune, la mattina, al risveglio, sono nel dubbio se essere venute o no), come ci sono femmine – come la sottoscritta – che lo raggiungono solo se sozzo sognano ma di mattina, poco prima della sveglia. E, al contrario degli altri sogni, se lo ricordano benissimo.

DAGONEWS il 26 marzo 2023.

Le donne sono sia perfezioniste che ansiose: non la migliore combinazione per un sesso esplosivo.

Se non si preoccupano perché pensano di avere un corpo perfetto, allora sono in ansia per gli orgasmi che hanno (o non hanno) o perché non hanno strappato avidamente i vestiti da dosso al partner. Niente di più sbagliato. E i motivi li spiega la sexperta Tracey Cox che insegna come riuscire a superare questi ostacoli e godersi una sana scopata.

IL CORPO

Sentirsi desiderabili è estremamente importante perché questo, da solo, può determinare quanto sei felice sessualmente. Studio dopo studio si ottiene lo stesso risultato, anno dopo anno: sentirsi sessualmente attraenti significa che è molto più probabile che tu ti diverta a fare sesso.

È facile: se ti vergogni del tuo corpo e pensi che sia brutto, perché vorresti che qualcuno lo guardasse o lo toccasse?

Questa repulsione per la nostra stessa carne e il nostro sangue è una cosa molto femminile.

PASSA OLTRE:

La distrazione è un ottimo punto di partenza. Concentrati su come ti senti durante il sesso. Il sesso riguarda ciò che accade all'interno, non all'esterno. Concentrati verso l'interno, non verso l'esterno. Guarda il tuo partner, non il tuo corpo. Guarda nei loro occhi, guarda il loro corpo, non il tuo.

Parlare. Non devi dire zozzerie se non ne hai voglia. Dì solo "Mi piace", "È fantastico", "Dio, sei sexy". Gemiti e complimenti. Parlare ti aiuta a fare sesso consapevole: sei nel momento in cui parli e non pensi al tuo aspetto.

Diventa attiva. Muoviti. Prendi il controllo. Fai qualcosa, non sdraiarti e lasciare che facciano loro tutto. Più sei attivo e coinvolto nel sesso, meno tempo ha il tuo cervello per diventare paranoico.

Fantasticare. Se guardare il tuo partner non funziona, chiudi gli occhi e fuggi in una fantasia che ti proietta in un ruolo positivo. Perditi in essa.

Fai sesso più spesso. Fare sesso migliora l'immagine corporea. Piacevoli esperienze sessuali ci fanno sentire meglio con il nostro corpo. Se il nostro partner si diverte chiaramente a fare l'amore, non siamo così male, no? È uno scenario vantaggioso per tutti. Meglio ti senti con il tuo corpo, migliore è il sesso. Il che ci fa desiderare di più il sesso, il che a sua volta aiuta a nutrire una migliore immagine del corpo.

GLI ORGASMI

Le donne si preoccupano molto degli orgasmi: non averne uno, impiegare troppo tempo per averne uno o avere orgasmi non soddisfacenti. Tutta ansia inutile, dicono i terapisti del sesso.

Nel sesso davvero fatto bene, dice il noto terapista del sesso statunitense Stephen Snyder, l'orgasmo dovrebbe essere come il dessert alla fine di un buon pasto. Memorabile forse. Ma non è il motivo per cui hai iniziato a fare sesso. Le coppie che fanno sesso migliore sono quelle che non si pongono l'orgasmo come obiettivo. Si divertono e basta, quando e se arriva.

L'angoscia per l'orgasmo è la seconda ragione più comune per cui le persone cercano un trattamento per problemi sessuali (la perdita del desiderio è la prima). Dobbiamo cambiare il modo in cui pensiamo al sesso: l'orgasmo non è l'obiettivo, il piacere lo è.

Ti ci vuole più tempo per raggiungere l'orgasmo rispetto a prima? E allora? Goditi il viaggio più lungo. L'orgasmo che hai appena avuto non è stato la metà intenso di quello che hai provato la scorsa settimana? Che importa! Sei un essere umano, non una macchina che sforna repliche esatte.

Gli orgasmi si verificano quando siamo felici, rilassati, nello spazio giusto e non ci sentiamo sotto pressione. Queste circostanze perfette non accadono così spesso, eppure continuiamo a fustigarci perché non abbiamo orgasmi esplosivi al momento giusto.

PASSA OLTRE:

Perdi l'ossessione dell'orgasmo adottando i seguenti mantra.

Conoscere i fatti. Tra il 17 e il 25 per cento delle donne raggiunge l'orgasmo attraverso la sola penetrazione vaginale. Se sei una delle tante donne che si sono sempre sentite come se ci fosse qualcosa di sbagliato in te per non essere in grado di raggiungere l'orgasmo durante il rapporto, questo dovrebbe farti sentire molto meglio. Sei la maggioranza, non l'eccezione! Concentrati sulla stimolazione del clitoride (interno ed esterno).

il sesso penetrativo non per forza fa raggiungere orgasmi

Pensa praticamente, non emotivamente. Ci sono molte ragioni per cui potresti trovare più difficile e/o più lungo raggiungere l'orgasmo. Il nostro stato mentale, il momento del mese, quanto ci sentiamo vicini al nostro partner, quanto siamo eccitati, i cambiamenti ormonali: tutte queste cose influenzano la facilità con cui raggiungiamo l'orgasmo. Quasi tutte le donne raggiungono l'orgasmo facilmente e rapidamente con un vibratore. Se ci metti troppo tempo, prendine uno.

Cambia la prospettiva. Se fai dell'orgasmo l'obiettivo del sesso, perdi totalmente il focus. L'orgasmo dura tra 20 secondi e due minuti. È l'accumulo di tensione erotica che è la parte intima e piacevole del sesso. Puoi comunque avere del sesso piacevole senza che nessuno dei due abbia un orgasmo vero e proprio.

NON VOLERE FARE SESSO CON QUALCUNO CHE AMIAMO

Un'alta percentuale di persone in relazioni a lungo termine ama disperatamente i propri partner, ma non vuole farci sesso. E non hanno idea del perché. Ci sono molte ragioni per cui l'amore prospera e il sesso muore nel tempo. Abbiamo tutti bisogno di adattare le nostre aspettative sul sesso monogamo.

La triste realtà è che non siamo programmati per il sesso appassionato a lungo termine. La lussuria e l'amore sono inquieti compagni di letto, non migliori amici. Gli ormoni del sesso e dell'amore combattono nel nostro cervello, piuttosto che condividere felicemente lo spazio perché ciò che piace a uno uccide l'altro. L'amore ama la prevedibilità e la sicurezza; la lussuria vuole il proibito e il nuovo.

Perdere il desiderio verso i nostri partner è più "naturale" nelle relazioni a lungo termine che continuare a desiderare il sesso.

PASSA OLTRE:

Ignora ciò che ti è stato rifilato nelle commedie romantiche: l'amore e il sesso nella vita reale non hanno alcuna somiglianza.

Il desiderio non è l’unica motivazione che spinge a fare sesso. Rendere felice il tuo partner, sentirsi connessi, raccogliere i numerosi benefici per la salute, dare piacere: questi sono solo alcuni dei buoni motivi per fare sesso. Dobbiamo allontanarci dal pensare che il desiderio sia l'unica motivazione.

Avere una conversazione onesta su cosa funziona ancora e cosa no. I nostri corpi cambiano con l’età e con le fasi che attraversiamo. Le tecniche che prima funzionavano, a volte non funzionano più dopo. Dì: "So che prima amavo la penetrazione, ma ora preferisco il sesso orale".

il rapporto non finisce quando lui raggiunge l orgasmo

Non scendere a compromessi. Se entrambi preferite diversi stili di sesso (lussurioso, amorevole, selvaggio, consapevole), fare sesso "a modo tuo" una volta e quello a modo suo la volta successiva, è una buona soluzione. Oppure alternateli durante lo stesso rapporto. O meglio ancora: inventate qualcosa che piaccia a entrambi.

Sviluppa fantasie e smetti di preoccuparti. Non ti piace il tuo partner, ma di sicuro ti piace il tuo capo? Il tuo partner non può leggere nel pensiero. Lascia correre la tua immaginazione quanto vuole e con chi vuole. Sì, anche quella persona. Alla fine funziona e chi ne trae beneficio è il tuo partner. Se quella fantasia ti fa godere, il tuo cervello la assocerà al buon sesso con il partner.

Aggiungi stimoli esterni. Guarda un film sexy, ascolta audio porno, prova alcuni giocattoli sessuali. Sono tutti modi estremamente efficaci e senza sforzo per iniettare il desiderio in relazioni a lungo termine.

L’evoluzione.

Dagotraduzione da un articolo di Tracey Cox per il Daily Mail il 26 Dicembre 2022.

Non è solo la nostra età a farci perdere il contatto con il mondo in rapida evoluzione di oggi. Anche gli atteggiamenti antiquati, soprattutto nel sesso, posso rendere un incontro poco attraente. Aggrapparsi a convinzioni che non sono più vere (e forse non lo sono mai state) non ti aiuterà a conquistare qualcuno. 

Ecco quali sono i pensieri vecchia scuola secondo Tracey Cox, sia per lui che per lei.

 LUI 

Pensiero vecchia scuola: il clitoride è la parte che posso vedere.

Prendi nota: quella che vedi è solo la punta, perché la maggior parte del clitoride si estende sotto la superficie. 

Per anni, la maggior parte delle persone ha pensato che il clitoride fosse solo la punta che si annida sotto il cappuccio protettivo nella parte superiore della vulva. Ma il 90% del clitoride si trova sotto la pelle. Rafforza le dimensioni reali del suo clitoride, e di sicuro saprai stupirla!

La punta o il glande misurano da 1 a 2,5 cm; i bulbi simmetrici sotto la superficie della pelle si estendono per più di 7,5 cm lungo entrambi i lati delle labbra interne. L'asta, che collega il glande ai bulbi, è lunga circa 12 cm. Come diagramma, il clitoride assomiglia un po' a un'aquila in volo. 

Proprio come il pene, il clitoride è fatto di tessuto erettile e si riempie di sangue quando lei è eccitata. È l’unico organo del corpo umano che non ha altri scopi oltre quello di dare piacere.

Mossa killer: Tutti gli orgasmi hanno origine da una stimolazione del clitoride, ma può avvenire in qualsiasi punto. Non usare solo la lingua o la punta delle dita, stimola anche la parte interna attraverso la parete vaginale anteriore. Scegli una posizione in cui riesci a penetrarla fino a sotto la pancia (posizione del cane, per esempio) o usa un vibratore punto G su quella zona. 

Farai ancora meglio se allungherai le dita, appoggiandole sulle sue labbra esterne e premendo con decisione, usando un ritmo regolare. Questo stimola i bulbi del clitoride sotto le labbra esterne. 

LEI

Pensiero vecchia scuola: ti insospettisce un uomo a cui piace la stimolazione anale. Non vuol dire che è gay?

Prendi nota: sei tu a suggerirlo. Sapevi che il “Punto G” maschile è trascurato? 

Desiderare una ragazza che ti metta un dito su per il sedere prima dell’orgasmo non significa essere gay. È vero, gli uomini gay sono i primi a scoprire quanto possa essere piacevole il massaggio prostatico. 

Ma gli eterosessuali ci hanno preso gusto: i giocattoli che stimolano la prostata alimentano uno dei mercati più in rapide crescita dei giocattoli sessuali. Non solo è una cosa nuova da provare, ma la stimolazione può migliorare la fermezza e la qualità delle sue erezioni.

L’ano è pieno di terminazioni nervose e la stimolazione piace a tutte le sessualità. È una svolta particolare per gli uomini perché è anche sede della ghiandola prostatica (nota anche come Punto G maschile). 

Come per tutto quello che riguarda l’ano, prima chiedi il permesso. Ma incoraggia il tuo partner a provarlo. Come mi ha detto una volta un uomo: «Se gli uomini sapessero quanto potrebbero essere esplosivi i loro orgasmi con l'aggiunta di anale al mix, lo farebbero tutti!». 

Mossa killer: proponogli di provare il "pegging". Il pegging (di solito) si riferisce a una donna etero che penetra analmente il suo partner maschio con un dildo strap-on. È estremamente popolare tra le coppie – ed è qualcosa su cui posso garantire. Vendo un kit di pegging in una delle mie gamme di giocattoli sessuali ed è costantemente il più venduto dei miei 60 prodotti. La maggior parte delle coppie ottiene un’emozione perché inverte i ruoli di genere, oltre ad essere un modo efficace per stimolare una delle sue zone erogene più sensibili.

Un po' troppo avventuroso? Un dito ben lubrificato inserito appena prima dell'orgasmo farà lo stesso la differenza. Gli è piaciuto? Prova un simulatore di prostata vibrante: ha ravvivato il debole interesse per il sesso di molti uomini. 

LUI 

Pensiero vecchia scuola: non mi verrebbe mai in mente di guardare un porno con una donna, loro lo odiano!

Prendi nota: sai che le donne si eccitano con l’erotismo tanto quanto gli uomini? Solo in un modo diverso. 

Forse non lo guardiamo tanto quanto gli uomini (le donne costituiscono poco più di un quarto di tutti gli spettatori di Pornuhb), ma non vuol dire che sia una cosa solo per uomini.

Molte donne amano il porno e molte adorano tenerlo di sottofondo mentre fanno sesso. Aggiunge varietà ed eccitazione senza dover invitare qualcun altro nel letto, ed è eccitante. 

Ricerche recenti suggeriscono che il desiderio femminile è completamente diverso da quello che pensavamo una volta. Grande errore presumere che gli uomini siano gli unici a cui piace guardare le persone sexy fare cose sexy! Le donne non sono poi così conservatrici. Ci piace il rischio, vogliamo la lussuria, siamo primordiali: molto, molto più primordiali di quanto la società creda. 

Il trucco è scegliere il porno che piace alle donne. Meno primi piani dei genitali, riprese più eleganti e (oserei dire) un accenno di trama. 

Se vuoi davvero stupire...

Mossa killer: prova l'audio porno. Distribuisci gli auricolari, collegali a un dispositivo che ha preselezionato il porno racconto pronto per il play. Mentre ascolta, continua a stimolarla con le mani, la lingua, il pene o un sex toy. 

Ascoltare l'erotismo è completamente diverso dal guardarlo, specialmente se è l'unica che può sentire cosa sta succedendo. Le donne rispondono bene ai racconti erotici perché ci piace una storia dietro la seduzione. Lascia che si conceda in una fantasia uditiva guidata, mentre la porti all'orgasmo con alcune abili tecniche della lingua. 

LEI

Pensiero vecchia scuola: Ti senti in imbarazzo quando non riesci a raggiungere l’orgasmo durante il rapporto, come se non fossi una «vera donna».

Prendi nota: è colpa di Dio se il clitoride è fuori dalla vagina, non tua. 

Di tutti i miti sul sesso, questo è quello che mi fa arrabbiare di più. Nonostante decenni di educatori sessuali abbiano detto alle donne che tutti gli orgasmi richiedono la stimolazione del clitoride, nonostante le informazioni sul sesso facilmente accessibili lo supportino, molte donne credono ancora che ci sia qualcosa di sbagliato in loro se non raggiungono l'orgasmo attraverso la sola penetrazione.

Ancora più straordinario: ci sono donne che SONO consapevoli di questo fatto (e credetemi, è un fatto) e si rifiutano ANCORA di accettarlo. «Ma non è quello che è successo con le altre sue amiche», mi dicono. «C'è qualcosa che non va in me». 

Puoi capire perché (alcuni) uomini non si divertono a venirlo a sapere: questa consapevolezza rovina la parte preferita che preferiscono del sesso, il rapporto sessuale. Molte donne vogliono che il rapporto sessuale le porti all’orgasmo perché è, dopo tutto, l'atto sessuale in cui ti senti più legato all’altro.

Un orgasmo sessuale orale può sembrare meraviglioso, ma non c'è contatto visivo: lui è giù da una parte, la tua faccia è dall'altra. 

Ma gli ultimi dati sull'orgasmo mostrano che il 95% degli uomini ha solitamente o sempre l'orgasmo durante il sesso in coppia rispetto al 65% delle donne. 

Mossa killer: rifiuta di mantenere vivo il mito. Parla di come non riesci a raggiungere l'orgasmo durante il rapporto con le tue amiche, tua sorella, tua madre. Sfida attivamente tutti i partner che insistono sul fatto che sei l'unica che non è stata in grado di raggiungere l'orgasmo in questo modo. L'ottantacinque per cento delle donne che non raggiungono l'orgasmo attraverso la sola penetrazione ne sono una testimonianza. Come faceva a sapere con certezza che le suoe ex avevano raggiunto l'orgasmo se non c'è un modo di scoprirlo? 

LUI

Pensiero vecchia scuola: se non ho un pene grande, resterà delusa.

Prendi nota: avere abilità di sesso orale esemplari vince a mani basse. Ogni volta.

 Indovina come raggiunge l’orgasmo più della metà delle donne (il 53%)? Non attraverso il rapporto. 

Indovina quante donne si divertono a ricevere sesso orale ben eseguito, secondo uno studio del 2021? Un enorme 90,9 per cento. 

Sai già che solo il 25 percento delle donne raggiunge l'orgasmo attraverso la penetrazione, quindi perché gli uomini sono ancora ossessionati dai loro peni?

E perché il fallo grande è ancora considerato il migliore quando innumerevoli sondaggi e ricerche riportano costantemente che un pene di dimensioni "medie" viene preferito? 

Fatto: gli uomini potrebbero desiderare di appartenere al club dei "10 pollici", ma le fan donne sono un numero trascurabile. I peni grandi spesso fanno male: tendono a urtare la nostra cervice, il che è doloroso. 

Un uomo che ha fiducia nel suo corpo, indipendentemente da quanto sia grande o largo il suo pene, è senza dubbio un amante migliore. Pensare che un pene grande sia tutto ciò di cui hai bisogno per soddisfare una donna è tristemente, tragicamente obsoleto. 

Mossa killer: dato che il sesso orale è ciò che impressiona davvero, assicurati di conoscere le basi per farlo bene. Mantieni tutto super bagnato. Pensa alla direzione in cui accarezzare il clitoride: + abbastanza diverso se il senso è orario o antiorario. Prova ad alternare un po': alcuni giri in un senso, alcuni nell'altro. Non ti concentrare sullo stesso punto. Raggiungi nuovi punti scrivendo il suo nome sul clitoride con la lingua. Infine, fai rumore: gemiti per farle sapere che sei eccitato quanto lei. 

LEI

Pensiero vecchia scuola: se non ha un’erezione, non è eccitato.

Prendi nota: è un uomo, non una macchina. 

Il vecchio pensiero la misura assoluta di un uomo e una donna eccitati siano che lui sia "duro" e lei "bagnata" sono stati smentiti anni fa. 

Per entrambi i sessi, l'eccitazione è influenzata da tanti altri fattori oltre alla semplice attrazione. Stress, sensazione di stanchezza, troppo alcol, alcuni farmaci, ansia da prestazione, livelli ormonali, problemi di relazione: la mente potrebbe essere molto disponibile, ma tutto questo può indebolire la carne.

Spesso, non avere un'erezione può essere un segno che è un po' troppo attratto da te, si sente sopraffatto e preoccupato che non sarà all'altezza delle aspettative. 

È probabile che la sua erezione vada e venga anche durante una normale sessione di sesso. 

Se il suo pene viene stimolato direttamente, è probabile che rimanga duro. Se ti fa sesso orale per un lungo periodo e non riceve alcuna attenzione, potrebbe sgonfiarsi. Non significa che non gli piaccia farlo, solo che ai peni piace l'attenzione costante. Il mito che gli uomini diventano duri e rimangano duri fino a quando non eiaculano è falso e dannoso.

Mossa killer: non sembrare turbato se non è all'altezza della situazione. Piuttosto che rinunciare, ignora il suo pene e guida le sue mani verso il tuo seno e in altri luoghi. La distrazione funziona e più diventi eccitata, più lui si sentirà sicuro. Una sana autostima sessuale è una delle soluzioni più efficaci per l'ansia da prestazione.

DAGONEWS il 25 dicembre 2022. 

Finzioni e segreti.

Estratto da dailymail.co.uk sabato 7 ottobre 2023.

Ogni volta che Karen Jones fa sesso con suo marito immagina di fare l'amore con qualcun altro. «Non lo trovo più sessualmente attraente – ammette - Andiamo molto d'accordo, ma semplicemente non mi piace da dieci anni».

Karen, 55 anni, dice che se non immaginasse di essere a letto con qualcuno più giovane e più sexy, non vorrebbe affatto fare sesso con suo marito. Si potrebbe pensare che è tutto molto deprimente e che solo questione di tempo prima che il loro matrimonio finisca.

Ma Karen, sposata da 30 anni con il 62enne John, ha una visione più pragmatica: «Cosa dovrei fare? Divorziare dall'uomo con cui ho cresciuto due figli fino all'età adulta, con cui ho condiviso gran parte della mia vita e che è diventato, nel corso degli anni, il mio più caro amico, tutto perché non mi piace più? Mi sembra incredibilmente superficiale e non avrebbe senso per me. Non trovare più attraente il proprio partner non sembra un buon motivo per divorziare». E in effetti non è l’unica persona a pensarla allo stesso modo.

Sebbene siamo incoraggiati a credere che una vita sessuale appagante sia vitale per un matrimonio felice, sembra che molti di noi vivano volentieri con coniugi da cui non sono più attratti sessualmente, senza alcuna intenzione di cambiare la situazione. 

In un innovativo sondaggio sui matrimoni condotto da Femail, sul Daily Mail, uno sconcertante 78% delle persone sposate ha affermato che non porrebbe fine al proprio matrimonio se non desiderasse più il proprio partner sessualmente. 

Si potrebbe supporre che siano solo le coppie anziane che hanno superato da tempo la prima ondata di romanticismo. Ma questo è tutt’altro che vero.

Infatti, il 67% delle persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni concorda con questo sentimento; il 63% di quelli tra i 35 ei 44 anni; e il 66% tra i 45 e i 54 anni. 

Anche tra quelli di età compresa tra i 18 e i 24 anni, il 38% ha riferito che la mancanza di attrazione sessuale non li spingerebbe a porre fine al matrimonio. 

E dimentica gli stereotipi di genere su chi attribuisce più importanza ai propri impulsi sessuali; più uomini sono d'accordo rispetto alle donne(l'84% dei maschi rispetto al 73% delle donne).

[…] I nostri risultati suggeriscono che il sesso non è così importante per le coppie come la società vorrebbe farci credere – e che nella nostra epoca, apparentemente ossessionata dal porno, resistono soprattutto principi antiquati di rispetto ed empatia. 

Dagotraduzione dal Daily Mail Di Tracey Cox sabato 7 ottobre 2023.

Hai mai inviato una tua foto sexy senza che ti fosse richiesta? O ignorato il suggerimento di andartene dopo un’avventura di una notte? Interrompi il sesso quando raggiungi l’orgasmo? Rifiuti di ricambiare il tuo amante con sesso orale? 

Se rispondi sì a una delle domande precedenti, le tue maniere a letto potrebbero avere bisogno di una revisione! Ci sono regole universali che tutti dovrebbero seguire se vuoi mostrare rispetto e far sapere ai tuoi amanti che sei di classe. 

Cosa è corretto e cosa no? Ecco la mia guida al galateo del buon sesso: le cose che separano lo sciatto e lo squallido dall’elegante e le educate. 

Rispondere alla domanda: Quanti amori hai avuto?.

Di classe: una persona che ha avuto un amante solo ma non ha usato protezioni è molto più rischiosa di una che ha dormito con 30 diversi partner proteggendosi. Meglio comunque rifiutare di piegarsi alle pressioni per rivelare qualcosa difficile da accettare: «Non mi interessa il passato e un numero non significa nulla. Tutto ciò che mi interessa è quello che accadrà in futuro, ora che ci siamo incontrati». Evitare di fare questa domanda è l’ideale.

Pacchiano: offendersi e dire: «Stai insinuando che sono promiscua/o?», oppure fare pressioni per ottenere una risposta, o ancora dire che sei pronto ad accettare qualcune risposta, e poi scappare e/o esprimere giudizi. 

Sexting.

Di classe: chiedere prima di inviare qualcosa anche di lontamente sessuale. Inviare una foto erotica o artistica piuttosto che un’immagine in piano piano delle tue parti intime. Mantenere le foto che il tuo amante ti manda al sicuro da sguardi indiscreti. Non mostrare mai il tuo viso o qualsiasi caratteristica rivelatrice nelle foto che invii. Eliminare subito foto quando richiesto.

Pacchiano: inviare immagini scottanti non richieste, o foto sexy di qualcuno che non vuole. Mostrare foto e testi sexy di altre persone ai tuoi amici. Minacciare o ricattare le persone. 

Gestire un’avventura di una notte.

Di classe: un no significa “no”. Non essere egoista: potrebbe essere una tantum, ma non è solo una questione di piacere. Non dire niente se non ricordi il suo nome. Aspetta 15 minuti dopo il sesso, poi inventa una scusa per tornare a casa. Lascia il tuo numero di telefono, ma senza pretendere di essere richiamato.

Pacchiano: arrabbiarsi o infastidirsi se alla fine non fate sesso; non preoccuparti di chiedere cosa piace o non piace all’altra persona; rifiutarsi di accettare il suggerimento di andarsene, quando è ovvio che la richiesta è questa; farsi dare il numero di telefono ma non avere intenzione di chiamare. 

Igiene sessuale e ambiente.

Di classe: essere ben curati, con unghie lisce e pulite, una doccia recente, peli pubici sotto controllo. Lenzuola fresche di bucato, una camera da letto ordinata e un’illuminazione lusinghiera. Punti extra a chi tiene champagne in frigo e qualche bottiglia di vino decente.

Pacchiano: vestiti gettati sul pavimento, contenitori da asporto svuotati e posacenere traboccante sul tavolino. In frigo solo latte, pile di vestiti da stirare nell’angolo della camera da letto, e un letto sfatto e disordinato. Punti in meno per unghie sporche, alito e genitali maleodoranti e un’illuminazione troppo intensa. 

Trattare con i preservativi.

Di classe: supponendo che i preservatici siano la norma per tutti gli incontri casuali o nuovi, è bene avere sempre un preservativo di buona qualità con sé. Indossarlo senza che venga richiesto. Ricordarsi di tenerlo alla base prima di ritirarsi. Smaltirlo con discrezione.

Pacchiano: rifiutarsi di indossarne uno, non averne nessuno con sé; tirare fuori una confezione da 20 in cui ne p rimasto uno solo. 

Sesso orale.

Di classe: se ci mette troppo tempo, dire: “sei così grande, ho bisogno di riposarmi» oppure: «lascia che ti guardi mentre fai da te. Fa caldo». Togliere discretamente la bocca e continuare usando la mano nel momento cruciale, se non si vuole deglutire.

Pacchiano: uomini che non si lavano; uomini che ti mettono le mani sulla nuca e ti spingono verso il basso; uomini che danno per scontato che sia giusto eiaculare in bocca, senza prima chiedere; uomini che non ricambiano. 

I suoi orgasmi

Di classe: lei viene prima, ma non arrabbiarti se non ha un orgasmo. Invita il suo vibratore a letto con voi, chiedi feedback e indicazioni. 

Pacchiano: tralasciare i preliminari, andare dritto al rapporto e penetrale in pochi minuti; spingere come un martello pneumatico; chiedere ogni tre minuti: «ne hai già avuto uno?».

Problemi al pene.

Di classe: afferrare un pene che è piccolo, guardarlo negli occhi e dire: «Sei così sexy». Non prenderla sul personale se ha difficoltà di erezione. 

Pacchiano: fissare il suo pene e dire: «lo sentirò anche io?»; fare un commento tagliente se lui raggiunge l’orgasmo e tu no; ridere o ridicolizzarlo se le cose non vanno secondo i piani; fare storie se un’erezione vacilla. 

Durante il sesso.

Di classe: fare molti complimenti. Mettere la loro mano dove vuoi e guidarli dove è meglio. Essere attenti al linguaggio del corpo. Mai dare per scontato che ci sia una regalo per tutti. 

Pacchiano: sdraiarsi e aspettare che l’altra persona faccia tutto. Leggere un messaggio sul telefono durante il rapporto; interrompere tutte le attività sessuali appena raggiunto l’orgasmo.

Dopo il sesso.

Di classe: scivolare discretamente via e riapparire con i fazzoletti. Dire quanto ti è piaciuto con motivi specifici; coccole; non arrabbiarsi se il partner si addormenta. 

Pacchiano: non appena finito andarsi a fare una doccia. Diventare irritabile se non ti dicono quanto sei bravo. Andarsene non appena finito senza alcuna spiegazione. 

Trattare con i coinquilini.

Di classe: rimanere tranquilli ed essere discreti. Spiegare chi sei se incontri qualcuno dentro casa. Essere educato e amichevole.

Pacchiano: fare molto rumore dopo che ti è stato detto che le pareti sono sottilissime. Mettersi a chiacchierare con un coinquilino sexy; ignorare altre persone che vivono lì, andare in giro mezzo nudo, servirsi dal frigo senza contegno, fare una doccia nell’unico bagno, lasciare gli asciugamani bagnati sul pavimento.  

DAGONEWS il 29 aprile 2023.

La maggior parte delle persone sa istintivamente quali segreti è accettabile nascondere al proprio partner e quali no. Fingere di aver fatto tardi al lavoro per prenderti un po’ di tempo per te non farà male alla relazione. Anzi, ne gioverà perché sarai più contento. Ma cosa è bene dire e quali cose poter omettere al proprio partner? Ecco la risposta della sexperta Tracey Cox.

Non dire al tuo partner di un acquisto "banale".

Uno studio recente ha rilevato che il 90% dei partecipanti non aveva detto al proprio partner del loro ultimo acquisto, anche se pensavano che non gli sarebbe dispiaciuto. Questo ha creato un effetto collaterale piuttosto piacevole: sentirsi un po' in colpa li ha resi molto più gentili con il loro partner in seguito.

Che hai flirtato con qualcuno

Un flirt di poco conto con qualcuno che non sia il tuo partner può avere un effetto positivo sulla tua relazione. Il flirt innocente ti fa sentire più attraente e inietta un po' di divertimento in quella che spesso è una giornata banale. Significa che sei di ottimo umore quando vedi il tuo partner e forse abbastanza vivace da fare sesso. 

Avere una cotta

Meglio che sia per una celebrità piuttosto che per il tuo collega. Ma anche se è qualcuno che vedi nella vita reale, fintanto che la cotta è una cosa che fa solo volare l’immaginazione, non c’è nulla di compromettente.

Con cosa ti masturbi

Molte coppie (sane) ammettono che si masturbano e/o guardano porno. Ma pochi dicono la verità su cosa esattamente fantasticano o cosa guardano. Se ammetti che ti piace il porno lesbo, le richieste per un treesome diventeranno più insistenti. 

Con quante persone sei andata a letto

Quello che è successo prima che vi incontraste sono affari vostri. Non sentirti mai sotto pressione nel dover condividere il tuo "numero". Tanto per cominciare, non sarà mai vero. (Quasi tutti sopra i 30 anni dicono 10.) Gli uomini sovrastimano, le donne fanno il contrario.

Un numero non ha senso senza che le circostanze siano spiegate. Le informazioni su amanti e partner importanti emergono man mano che la tua relazione progredisce. Il resto non conta.

Fingere che ti piaccia qualcosa che non ti piace

La quantità di bugie bianche che diciamo al nostro partner è più alta quando ci vediamo per la prima volta e vogliamo essere apprezzati. Più avanti nella relazione, fare qualcosa che non ti piace per compiacere il tuo partner può essere un atto di gentilezza. Ma non bisogna piegarsi troppo per non snaturarsi. 

Fingere di non aver tradito

Fingere di non aver mai tradito quando l'hai fatto con tutti i partner che hai avuto, non va bene. Le corna ripetute ti rendono ad alto rischio e i futuri partner meritano di sapere in cosa si stanno cacciando.

Ma non devi ammettere ogni errore che hai commesso in passato. Se te lo chiedono apertamente, non mentire. Altrimenti, non vedo nulla di male nel tacere su questo. 

Non gli piace la sua famiglia

Tutti conoscono questa regola: va bene che il tuo partner critichi la sua famiglia, non va bene che tu ti unisca.

Cercare di andare d'accordo con la famiglia del tuo partner è uno dei doni più grandi che puoi fare: rende la vita molto più facile per tutti. Hanno davvero bisogno di sapere che pensi segretamente che sua sorella sia un'idiota se la famiglia la idolatra? Penso di no.

Questo elenco non è affatto esaustivo: ci sono molte, molte cose che non dovresti nascondere a qualcuno che ami. Ma ti darà un'idea del tipo di segreto che probabilmente manderà in frantumi la tua relazione una volta che verrà alla luce. 

Volere o non volere figli

Fingere che ti stia bene non avere figli perché sei convinto che il tuo partner sarà elettrizzato quando annuncerai che sei incinta, è da pazzi. Idem fingere di voler davvero una famiglia perché il tuo partner la desidera e tu non vuoi perderlo.

Non dare mai per scontato che il tuo partner cambierà idea se è irremovibile in un modo o nell'altro. Anche se sembrano aperti alla persuasione, non dare per scontato che accadrà o saranno pronti quando lo sarai tu. 

Grandi problemi con i soldi

Mentire al tuo coniuge sulla tua situazione finanziaria in generale, affermando di avere più soldi di quanto tu non ne abbia, non è mai una buona idea. Soprattutto se sei sposato e hai preso un prestito a nome di entrambi. Queste, e molte altre, sono abitudini distruttive che rovineranno la tua relazione. L'unica speranza che hai di sopravvivere è ammettere quello che sta succedendo.

Rompere un patto per smettere di fare qualcosa di "cattivo"

Sembra innocente, ma può avere un inaspettato risvolto. Un esempio personale: io e il mio primo marito abbiamo deciso di smettere di fumare. Ha mantenuto la sua parte dell'accordo, io ho fallito miseramente (all'epoca). Piuttosto che confessarglielo, ho mantenuto il segreto di essere un non fumatore, fumando sigarette ogni volta che potevo. Ciò significava uscire con altri fumatori il più spesso possibile, preferibilmente senza di lui. 

Il messaggio che questo invia in modo subliminale al tuo cervello: la vita è più divertente senza questa persona. Non è stato responsabile della nostra rottura, ma di certo non ha aiutato.

Quando rompi un patto per smettere di fare qualcosa che in precedenza pensavi fosse divertente, è molto meglio ammetterlo. Sì, rimarranno delusi. Sì, potrebbe significare che anche loro finiranno per arrendersi. Ma alla fine sarà meglio per la tua relazione. 

Ambizioni che avranno un impatto su entrambe le vostre vite

Alcune persone lavorano per vivere, altre vivono per lavorare. Dove vi sedete entrambi su quello spettro è importante. Se ti trasferisci allegramente dall'altra parte del mondo per il lavoro giusto, il tuo partner deve saperlo. 

Problemi di lavoro che ti stanno stressando

Non ti piace il tuo lavoro, non ti senti molto bravo nel tuo lavoro, sei preoccupato di essere licenziato o retrocesso o di non ottenere quella promozione tanto necessaria. Essere vittima di bullismo da parte dei colleghi di lavoro, odiare il proprio capo: tutte queste cose hanno un forte impatto sulla nostra salute mentale.

Affrontarli da soli, raddoppia il livello di stress se devi fingere che tutto vada bene quando esci dal lavoro. Sfogarsi con un partner è una delle cose più belle dell'essere in una buona relazione. Un problema dimezzato è un problema risolto e i partner possono offrire una visione unica delle situazioni.

Problemi di dipendenza

Chiunque abbia mai avuto a che fare con un tossicodipendente sa che questo è uno dei peggiori segreti da nascondere. Soprattutto all'inizio. Conosco tre amici intimi che sono finiti con alcolisti e tossicodipendenti, scoprendolo quando erano già coinvolti emotivamente nella relazione.

Le donne sono gentili: rimaniamo per vedere se riusciamo a sistemare le cose. Ma la verità è che la maggior parte delle dipendenze sono con te per tutta la vita. Alcune persone rimarranno comunque e correranno un rischio, ma tutti meritano il diritto di prendere quella decisione da soli.

Problemi legali

Un caso giudiziario che trascuri di menzionare perché ti vergogni per ammettere quello che hai fatto. Una battaglia legale con un ex per la proprietà comune. La tua casa o la tua auto stanno per essere pignorate.

Queste cose sono impossibili da nascondere a lungo termine. Se sei coinvolto in qualsiasi tipo di controversia, essere onesto è l'unico modo in cui la tua relazione sopravvivrà. 

Problemi di salute

Spesso le persone lo fanno per "proteggere" il proprio partner: non vogliono che si preoccupi inutilmente. Ha l'effetto opposto.

Le coppie sanno quando il loro partner sta nascondendo qualcosa e sono ancora più preoccupate se ti rifiuti di svelare loro il segreto. Raccontatevi l'un l'altro quando iniziano i primi sintomi, non quando avete avuto una diagnosi definitiva. Se sei in viaggio insieme dall'inizio alla fine, è infinitamente più sopportabile, qualunque cosa sia.

L’emulazione.

Riuscite a immaginare di dormire con qualcuno che avete appena incontrato e che ti colpisce in faccia durante il sesso? O che ti schiaffeggia così forte da non potersi sedere l’indomani? E che ne dici di essere soffocata durante il sesso? 

Se non appartenete al genere di donne alle quali queste pratiche è bene lanciare un messaggio chiaro al partner e agli uomini in generale. Come spiega la sexperta Tracey Cox ci sono delle partiche che sono comuni nel porno, ma non fanno parte dell’educazione sessuale o di come normalmente le cose funzionano in una coppia. 

Oggi i ragazzini guardano tanto porno e per loro, quello che accade in quei film, diventa l’unico modo di agire e di comportarsi durante un rapporto sessuale. Ovviamente le cose non funzionano così: le attrici che vedete godere sono pagate per fingere. Quello che piace (per finta) a loro non è detto che faccia piacere a una partner. 

Il dolore non piace a tutti. Se ti piacciono le pratiche sadomaso non c’è nulla di male. Basta parlarne con il partner. In qualunque coppia che lo pratica si stabiliscono le regole, ma non si può pretendere che qualcuno che non ama farsi frustare accetti con benevolenza i lividi sul sedere.

Ecco le otto pratiche comuni che le donne nella vita reale odiano.

Sculacciate dolorose

Il BDSM è uscito dalla sua dimensione di nicchia quando “Cinquanta sfumature di grigio” è diventato popolare. Gli strumenti per il bondage hanno visto impennare le loro vendite. Ma attenzione. Se uno schiaffo leggero può eccitare non si può dire lo stesso per uno schiaffo che provoca una ferita.

Soffocamento

Tenere una donna per il collo non è una pratica gradita a meno che lei non acconsenta. Tra i ragazzini è molto diffusa perché lo vedono fare nel porno, ma bisognerebbe indirizzare i giovani su un altro tipo di educazione sessuale. 

Nessun preliminare

Nel porno, la donna è pronta solo guardando il pene del partner. In realtà, le donne hanno bisogno di tempo per eccitarsi, per consentire alla vagina di “bagnarsi” e rendere più confortevole la penetrazione. Saltare il "riscaldamento" e andare dritto alla penetrazione - con le dita o con un pene - sposta il sesso da piacevole a doloroso.

I preliminari non sono un lusso. È raro che una donna li salti e un bacio non la rende pronta.

Schiaffeggiare il clitoride

Un’altra pratica favorita nei porno: schiaffeggiare il clitoride con una mano, un pene, le dita o un oggetto.

Il clitoride è pieno di terminazioni nervose ed è estremamente sensibile. Dato che molte donne trovano troppo intensa la stimolazione diretta del clitoride, immagina come si sente se viene colpito. 

Schiaffi in viso

Gli uomini credono che essere schiaffeggiate in viso ecciti le donne. Ma nessuna in media giudicherà uno schiaffo come qualcosa di eccitante. Idem se si infilano vigorosamente le dita nella bocca di qualcuno. 

Pene in gola

Il “deep-throating”, ovvero prendere in bocca il pene fino in fondo, è un luogo comune nel porno.

In realtà, la maggior parte delle donne si concentra sul prepuzio che è dove si trova la maggior parte delle terminazioni nervose. Prendere un pene fino in gola è un’abilità. Se lo fa una persona non esperta si innesca il riflesso del vomito.

Fare sesso anale senza prepararsi

Per farlo bisogna allenare il retto e nessuna coppia dovrebbe simulare quello che accade nei porno. Una cosa pericolosa è passare dall’ano alla vagina consentendo un pericoloso passaggio di batteri. Stessa cosa vale per la bocca. 

Eiaculare in faccia

Nel porno si chiama "The Money Shot": quando un uomo eiacula sul viso del partner.

Le pornostar fingono di adorarlo. Se una donna non lo vuole è assolutamente irrispettoso.

Chi diavolo vuole sperma nei loro occhi o nei loro capelli? 

Ogni atto sessuale che si allontana anche leggermente dalla norma deve essere accettato dal partner. Dunque bisogna semplicemente parlarne.

Barbara Costa per Dagospia sabato 11 novembre 2023.

Ci sono? Non ci sono? Lo fanno? Non lo fanno? Ci stanno, sì o no? A tutti coloro che tutt’oggi si interrogano, curiosi, sulla presenza delle "fluffers" su un set porno, la risposta è no! E a chi si chiede chi mai sia e faccia una "fluffer", rispondo che è, tra i miti porno, la leggendaria ragazza presente sui set per tenere vivo, e acceso, e duro e pronto, il pene dell’attore tra una ripresa e l’altra. Che glielo tocca, glielo accarezza e lecca e succhia tra le pause sui set. Ebbene, tale ragazza gloriosa, a pagamento asservita ai bisogni dell’attore protagonista… non c’è, non esiste!!!

Però: c’è stata, è esistita nel porno del passato? Chi lo sa. Qui entriamo nel campo delle porno supposizioni, delle credenze, ben poco supportate da fatti e prove. Racconti che affondano nella notte dei porno tempi – negli anni '70, '80 e '90 del '900 – mitizzano la presenza di sexy fanciulle sui set prese a film, pagate a film, in ginocchio pronte a soddisfare le necessità erettili dei peni del porno, "precipitosi" di riprendere la scena.

Il mito fluffer del passato si ammanta di più e vari eccitanti particolari: per alcuni la fluffer altro non era che la reale fidanzata o moglie del pornostar, sentimentalmente a tal punto prona al suo uomo da seguirlo sui set e da pensarci lei, con la sua bocca innamorata, a tenergli sveglio il pene in attesa di ripigliare a entrare e a uscire in tutte le attrici su copione, e in ogni posizione.

Altre versioni del mito dicono che la fluffer fosse, al posto o in mancanza di coniuge, la parrucchiera o truccatrice o tuttofare o in ogni caso altra donna lì sul set in altre legittime e onorevoli funzioni, raccattata alla bisogna del pornoattore, o dei comprimari. La favola della fluffer si ammanta di toni da povera pifferaia se andiamo a vederne i guadagni: una miseria! Il suo nome non appariva nei crediti, il suo onorario non era fisso bensì mutava a seconda del valore della produzione che la "assumeva", e dell’attore a cui era "assegnata", di più da quanti peni doveva prendersi cura.

E infatti se le fluffers nel porno ci sono state, fooooooorse vi sono state nei porno di gruppo, nei bukkake, nelle orge, e nelle gang-bang numerose: gli era affidata la mansione di rizzar peni uno dopo l’altro in azione. Da sfatare la storiella che la fluffer sia stato lo "stage" di porno dive passate: chi era fluffer restava fluffer, eri una fluffer perché non eri riuscita a sfondare. Non eri in grado, non avevi i numeri, il talento necessario.

Ogni attore porno odierno ti dirà di non aver mai visto su un set una fluffer, e non mente. Le fluffer – vere o presunte – sono state nel porno fatte fuori dal Viagra, dalle punturine al pene, e dal progressivo aumento del potere femminile nel porno. Sebbene il calendario segni la definitiva scomparsa delle fluffer dal 2008 in poi, ovvero dalla crisi economica che ha portato il porno a una riorganizzazione del settore, con taglio di rami secchi e riduzione delle uscite, sono state le attrici porno a reclamare l’eliminazione delle fluffers dai set. Sissignori. 

Se in qualche set i servizi di una fluffers erano autorizzati, la presa di potere delle pornostar ha portato (e non in nome del femminismo, e neppure della parità di genere, bensì per la superiorità di fama e ben di più economica delle attrici porno rispetto ai loro colleghi maschi) alla cacciata delle fluffers, neo di mancanza della più alta professionalità che regna nel porno di oggi.

Ma dove ci sono state, se ci sono state… in che consisteva, in concreto, il lavoro fluffers? Dovevano tenere "caldo" il pene, non sempre col sesso orale. Si narra che v’erano pornoattori a cui bastava vedere una fluffer a 90 gradi, per duro conservarselo. O che chiedevano di mostrare loro solo il sedere desnudo. 

Una fluffer, nell’attività orale, doveva rispettare delle regole, era a lei vietato lasciare segni sul pene, farlo venire, ma poteva concordare col pornostar tempi e modi della prestazione. Tipo aggiungere alla fellatio il dito nel sedere dell’attore, si dice il rimedio più richiesto dai pornostar antichi per non ammosciare il loro amico. Chi ora vuole le fluffers le trova sui siti porno: è il ruolo recitato da tante attrici in porno scene stimolantissime.

Estratto dell’articolo di Camilla Tagliabue per “Il Fatto Quotidiano” martedì 24 ottobre 2023.

L’arte moderna è la musa del porno: colori appetitosi, pudenda rasate, seni sodi, glutei marmorei, falli eretti… Sono i Paradisi proibiti di Claudio Pescio (in libreria da domani con Giunti), un racconto per immagini di “sesso, alcol e droga nelle opere d’arte” tra il 500 e la modernità. 

I canoni dell’estetica erotica di ieri sono gli stessi dell’hard-core di oggi, estremizzato e kitsch: è ancora lo sguardo maschile a dettare la visione […] Tre secoli prima, però, anche le poche pittrici si adeguano al canone macho dei colleghi: Artemisia Gentileschi, ad esempio, dipinge una civettuola Betsabea, incolpevolmente spiata e violata da re David. 

L’arte più della letteratura, e l’immagine più del testo, eccita la lussuria: Leonardo da Vinci conosce bene la concupiscentia oculorum, benché il processo di erotizzazione della pittura acceleri dopo di lui – e il Rinascimento toscano – in area veneta e nelle Fiandre. L’artista si scopre guardone, così come lo spettatore, in una giostra di voyeurismo spinto, un gioco di specchi demoniaci e altamente sessualizzati, come nella Venere di Paolo Veronese o nel burlesque di Charles Eisen, in cui una fanciulla mostra i genitali al demonio, e lo spaventa.

Maliziosa è la Susanna di Tintoretto, mentre Rembrandt la ritrae bruttina e impaurita. Eccentrica è Lavinia Fontana che firma Marte e Venere lussuriosi, pacifisti e ironici: lui posa una manaccia sulle terga della dea, che guarda fuori dal quadro donando un narciso, simbolo di stupidità e lazzo; forse uno sberleffo della pittrice nei confronti del committente, innamorato tipo baccalà. Spada ed elmo del dio guerriero puntano verso il fondoschiena femminile: la sodomia è testimoniata dal filo di perle (alias la rotondità dell’ano). 

Tiziano si spinge oltre: le dita del suo Marte si fanno spazio tra le natiche di Venere e nel Baccanale immortala una ninfa nuda e svenuta e una donna che si offre a molti: guarda la sua compagna ma intanto si fa versare da bere da un uomo lubrico e un altro le accarezza la caviglia. Amor sacro e amor profano; Dioniso e le Menadi; banchetti e baccanali; feste divine e terrene: Giulio Romano si dà ai preliminari tra Due amanti e firma i disegni di un Kamasutra cinquecentesco, I modi, assieme all’incisore Marcantonio Raimondi con testi di Pietro Aretino: “Quest’è un libro d’altro che di sonetti/... Ma ci son cazzi senza discretion…”. Osè sono Hayez e Carracci con Bacco che penetra Arianna da dietro e dall’alto.

E c’è chi sessualizza un’eroina biblica: Giuditta di Jan Massijs, ignuda e fiera mentre esibisce la testa di Oloferne. Cornelis van Haarlem azzarda poi un blasfemo Battesimo di Cristo con primo piano di signori discinti, mentre nelle Nozze di Peleo e Teti lo sposo vanta una vistosa erezione nascosta da un drappo – uno scherzetto, così come il velo trasparente delle Tre Grazie di Cranach il Vecchio.

[…]

Barbara Costa per Dagospia domenica 22 ottobre 2023.

Qual è il sogno il più (s)pooorco di ogni bravo pornomane? Il più arrapante? Il più madido? E però il più proibito? Semplice, quello di sc*parsi la sua pornostar preferita! Ma farsela e per davvero, pelle su pelle, toccarle e finalmente, quelle bocce, spagnoleggiarci e su e giù, e quel c*lo, sììììì, afferrarlo e penetrarlo in doggy-style come nessuno mai! 

Vengono i brividi solo a pensarci, di sentirla gemere, e strillare, perché siamo noi, per una volta, questa volta, a possederla… ehi… ma… chi lo dice che una tale paradisiaca cavalcata debba restare un sogno? Sul serio è possibile sc*parsi una pornostar? Scherzi? 

Pure se non si è attori, non si è del ramo e, aspetta un attimo… pure se non si ha una verga mastodontica, un affare come quelli che si issano nel porno? E, visto che siamo in argomento, pure se si è poco pratici, e nel sesso non è che si ha chissà che ricco curriculum, anzi, a dire il vero, si ha esperienza di poche donzelle, bene o male non è il caso di questionarci, dato che è da anni che si fa sesso con la stessa donna, a cui si vuole bene, per carità, ma con cui i fuochi d’artificio si sono spenti?

Se ti ritrovi e no in una di queste casistiche, allegro, che c’è un modo per sc*pare con la tua pornostar del "cuore". Però: lo devi rendere pubblico, ok? E questo modo è il seguente: mai sostato sui video "f*ck a fan"? Sono i video porno in cui le o i pornostar si "concedono" a un fan selezionato, come ha fatto e fa la pornostar Brandi Love. La diva del porno Brandi, 50 anni, che sul suo Only Fans ha pubblicato "f*ck a fan", e ci "premia" il suo nip fan Smit. 

Ma come si fa a contattare, e a essere presi dalle pornostar com’è capitato a Smit? Ragazzi: è la pornostar che sceglie, decide lei, e potete solo candidarvi nel più smagliante dei modi. Gli annunci li posta lei sui suoi social (e qui potete educati chiederglielo, se un "f*ck a fan" è nelle sue corde, non tutte lo fanno) e è raro, ma annunci "f*ck a fan" sbucano sui siti – e relativi social – di alcuni studios. 

Non è detto che la pornostar scelga il più palestrato. No. Magari ha intenzione di girare con uno dall’aspetto, come dire, dimesso, modesto (lo Smit con Brandi Love è forse un adone?) e che però ha un qualcosa – che non è la dimensione del membro – che la colpisce e convince.

Ci sono poi pornostar (e/o studios) che organizzano "f*ck a fan" multipli, "f*ck a fan" coi fan chiamati a partecipare a orge, o a più "intimi" 3some, 4some, o penetrazioni in fila, e prima e dopo altri fan. Non è richiesta una performance erculea, no, no, no, tranquilli, tutto il contrario! Un fan è un fan, non un attore porno, e un fan sc*pa normale, è per questo che è stato opzionato. Sc*pare con goffaggine, va bene. Farlo naturale, è quel che ci vuole. Venire nei pantaloni, ecco, questo proprio no. Guardate Smit con Brandi Love: gli tremano voce, e mani. 

Non vi aspettate che questi porno pur girati con professioniste vi vengano pagati. Non succede, in un "f*ck a fan" si sc*pa per la gloria, tuttavia le spese di viaggio solitamente sono rimborsate. Tassativo è presentarsi alla vostra attrice strapuliti e sistemati, belli in tiro e, obbligo degli obblighi, con analisi recentissime e tutte negative, compresi tamponi orali e anali.

È la pornostar che vi indica il posto dove farvi testare (a spese vostre, s’intende) qualche giorno prima del rendez-vous. La timidezza, l’imbarazzo, sono concessi. Non sono un problema. Se siete un "fan to f*ck" sposato/fidanzato/convivente, e con una dolce metà non propensa ad accettarvi attori porno per una volta, potete usare un alias. Non so come farete a celare il viso, e i tatuaggi se li avete… uhm, potete girare un porno mascherati. Vi piace? I tatuaggi possono essere coperti da fondotinta appositi che però, in un incontro di sesso particolarmente focoso, non garantiscono la tenuta. 

I video porno "f*ck a fan" che si trovano in rete, sui siti porno, non tutti sono girati con i fan reali! Spesso i fan sono attori che fanno i fan. È una fregatura, lo so, lo so, ma una fregatura che, a constatare le views, attizza, fa indurire, e efficace sognare.

Barbara Costa per Dagospia il 3 settembre 2023.

Si potrebbe parlare del 40ennale porno del Maestro del Porno Mario Salieri, poiché è nel 1983 che il futuro Maestro di pellicole porno d’autore che dall’Italia hanno conquistato mezzo mondo, ha messo su la sua primissima casa di produzione e è partito con due soci per Amsterdam, a girare il suo primo porno.

 Peccato che una volta a Amsterdam, scordatosi la telecamera a Napoli, e così sp*ttanatosi quasi l’intero budget per acquistarne un’altra, e per giunta ritrovatosi con un cast locale spacciato per professionale ma in realtà composto da fattoni papponi e fattone m*gnotte di quart’ordine, il futuro Maestro Salieri li abbia in ogni modo fatti accoppiare per filmarli in filmacci hard fatti passare per grezzi amatoriali italiani, finiti chissà dove. I primi autentici porno del Maestro in fasce Mario Salieri sono girati l’anno seguente, e uno con sua imponenza il pornodivo Gabriel Pontello, col suo protetto scugnizzo al seguito, uno sbarbatello Rocco Siffredi.

Ma non è di questo Salieri che vi vorrei parlare, e nemmeno dell’…"incidente" occorso su quel set a Pontello, il quale, per ottimizzare l’erezione, si è fatto mettere un dito nel deretano da una attrice, attrice che in cotanto ano ha perso un’unghia finta, e ci si sono messi in tre a ritrovarla, no, no, no, io vorrei porre la porno attenzione sul rapporto tra il Maestro Salieri e le donne che hanno pornato per lui, e tra lui e le Salieri-girls, le porno ragazze poste sotto suo contratto esclusivo. 

È risaputo che il Maestro Salieri sul set sia severissimo, pure puntigliosissimo, e che sfianchi attori e attrici nell’illustrare come ogni scena vada girata, e nel poi fargli girare la sc*pata nel concreto (non esagero, ma una sc*pata in Salieri di pochi minuti richiede duro impegno di ore).

E allora: chi è il vero Salieri? Perché, lo potete comprovare in rete: in interviste le più diverse il Maestro al solito è limato ed equanime nel giudicare i suoi attori, ma io ne ho scovata una, in un sito piccolo ben fatto, "Hard-Me", dove Salieri parla delle sue pornostar… senza freni! Come scrivono i giornalisti quelli precisi, cogliamo fior da fiore. 

Moana Pozzi? “Con me ha girato la serie "Inside Napoli" e Moana io l’ho pagata 100 milioni di vecchie lire. E Moana era l’antitesi della sensualità, e pure piuttosto antipatica. Una diva. Però mai investimento fu più indovinato”. 

Angelica Bella? “Una porno star famosissima nei '90, in video appariva sinuosa e elegante ma in realtà era una contadina rozza, e ignorante, e volgare, che non si faceva problemi sul set a scoreggiare e a ruttare davanti a tutta la troupe! Con me ha girato "Tutta Una Vita", e pure lei l’antitesi della sensualità”.

Selen? “È stata per 5 anni una Salieri-girl, con me sotto contratto esclusivo mondiale, e sottopagata. Il successo l’ha ottenuto con me. I soldi girando porno con altri. Selen è una scommessa vinta, per me e per lei. Se non fosse stata influenzata da fidanzati deficienti e da crisi d’identità avrebbe raggiunto una fama superiore a quella di Moana. Selen è tra le poche pornostar che sa recitare. La sua passione per il sesso era autentica”. 

Che è successo con Zara Whites? “Ha abbandonato il set di "Divina", e all’ultimo giorno: avevamo litigato, ma per una stupidaggine”. 

Manuela Falorni, detta la Venere Bianca? “Con me nei miei cast principeschi, il suo debutto anal in "Erotic Stories 2". Il problema con Manuela non era certo lei, ma suo marito e manager, Franco Ciani, ex marito di Anna Oxa. Un vero rompiscatole, capriccioso e presuntuoso”. E Roberta Gemma? “Roberta ha una bellezza e un erotismo che si moltiplicano davanti alla telecamera. Ma ha limiti recitativi evidenti”. Roberta Gemma “è la mia "Ciociara", è giunonica e burina, e nel senso buono del termine”. 

Vittoria Risi? “Ottima interprete, sa recitare, però nelle scene hard è scontata, accademica e anche un po’ ridicola, a volte, data l’età avanzata e la considerevole stazza fisica. Ho dovuto lavorare moltissimo per renderla credibile”. Silvia Bianco? “Limiti recitativi, ma non nel girare le scene porno. Il contrario della Risi”. In "La Ciociara", il Maestro Mario Salieri riconosce di aver girato la scena porno di cui finora è più fiero, quella tra Roberta Gemma e Steve Holmes.

E qui sta il punto: il Maestro Salieri è talmente Maestro che nei suoi porno ha diretto attori internazionali tra i più affermati. È a loro che riconosce la più alta professionalità. Su tutte, la franco-vietnamita in pensione Katsumi: “Straordinaria”, dice il Maestro e, per quanto riguarda gli uomini, a differenza degli attuali, che, lasciamo stare carenze di recitazione e di dizione “oltre due frasi diventerebbero ridicoli”, e che “per merito delle siringhe riescono ad avere un’erezione e ad essere da me diretti con tranquillità”, non possono affatto competere con pornoattori del passato. 

Come Ron Jeremy. Con lui Salieri ha realizzato il campione di vendite (e premi) "Arabika": “Ron Jeremy, simpaticissimo, attore capace di scene uniche, di emozione intensa. Unico difetto: la tirchieria!” (per chi vuole saperne le ultime, Ron Jeremy è sempre ricoverato al Patton State Hospital, di San Bernardino, e la demenza se lo sta mangiando. Nuove sul destino suo, e sul processo per stupri che lo riguarda, le avremo a novembre). Il porno di cui il Maestro Mario Salieri è più orgoglioso? "La Lunga Notte di Abby Taylor". E l’attore il più "resistente" ? “Rocco, e pure Roberto Malone, Ron Jeremy, Francesco Malcom, e Jean Pierre Armand”. Tutti signori pornoattori ante Viagra e ante punturine al pene. Mi prostro. 

Barbara Costa per Dagospia martedì 15 agosto 2023.

Prega duro che ti si alza! Che nel porno vi siano tanti attori che per garantirselo duro e bello in tiro ricorrono a ogni "trucco", ago, pillola, chimica, è un dato di fatto, ma non lo fanno tutti, non si fa sempre, e non in ogni scena. Lo fanno talvolta nelle scene di gruppo, nelle orge, dove mantenere il compagno di lavoro acceso è più arduo che in un porno a due o a tre. Se ogni attore ha i suoi personalissimi metodi per rizzarselo, anche cerebrali, io non ne avevo mai sentito uno più curioso: pregare! È quanto ci rivela Hollywood Cash, 32enne attore agli esordi, il quale pio e schietto dice che lui, sul set, prima di girare… prega!

Prega il suo dio che lo assista nella prestazione sessuale, nel penetrare e di botto e di gusto la partner che gli assegnano, più partner che gli destinano, e a quanto pare ora et porna gli funziona: i risultati sono sotto gli occhi di chiunque voglia prelibarsi i suoi video. Lo guardi e lo so, ti capisco, non è facile rimanere indifferenti davanti a una verga così esorbitante: va bene che Hollywood Cash è molto magro – lui è un ex modello, di griffe celebri – e però, niente da fare.

Se nel porno di serie A vuoi entrare, sotto i +20 centimetri è difficile che ti ci fanno stare. Il porno necessita di peni fuori la media, ma te, caro maschio spettatore, non hai senso né ragione nel mettertici in competizione. Tu non sei inadeguato, né manchi di potenza da prestazione. I peni porno non sono la realtà del sesso reale, del sesso che si fa nella vita vera, con le donne vere. Né è vero che una donna, per godere di più, urga di sproporzionate dimensioni.

Questo è un falso mito, e mito scemo, e creato dagli uomini. Nel porno lavorano peni grooosssi perché in quanto tali servono, e a fare scena, e a fornire la più perfetta inquadratura di un pene in azione e attivo e dentro e fuori in vagina o nell’ano in posizioni porno distanti anni luce da quelle che si scelgono e si adoperano e si amano fare nel sesso reale. Non è la prima volta che ve lo scrivo, sicché basta paragonare il vostro amico ai peni pornostar!

Altrimenti come reggere il confronto con Jason Luv – vero nome Jason Thomas – 37 anni, una "belva" porno di cui le donne che guardano porno vanno matte. Jason Luv è fitness model, e body builder, e uno che il porno se lo fa da sé su OnlyFans, e però non disdegna di farlo sui set, sui quali è tornato nome e corpo e pene di punta. Jason Luv ha 2,7 milioni di follower solo su Tik Tok, e su OnlyFans, sapete con quale affare porno guadagna di più? Nel feticismo cuckold ma non quello praticato, bensì quello mentale, nelle foto che i mariti cuckold gli chiedono… del suo pene!!!

Pare assurdo ma ci sono cuckold a cui tanto piace mandare foto della loro moglie, a Jason, che lui deve rimandare con uno scatto del suo pene accanto! O sopra la foto! Se lo paghi bene Jason te lo fa, e Jason solo una cosa non fa: sesso con gli uomini. Larga parte del suo pubblico è composto da maschi non etero, che "vengono" davanti ai video in cui Jason si allena, nudo o vestito, e i suoi indumenti sportivi sudati, puzzolenti, mutande incluse, hanno fluente mercato tra i maschi feticisti del genere.

Uno che il Viagra a volte lo prende, e te lo dice, ed è nel porno da 11 anni, sebbene per un periodo abbia smesso (problemi di cuore sì, la sua ex gelosa non voleva…) è Maximo Garcia – nome vero Jorge – spagnolo ex pugile di professione, vincente trofei, e che pur se da boxeur prima di un incontro “mi astenevo dal sesso per giorni”, nel porno a sc*pare con più donne pare esserci nato, ed è inutile che i fan insistano: lui è etero, con gli uomini non ci gira, toglietevelo dalla testa! Il pene che gli ha fatto mamma è tra i più massicci in circolazione.

Maximo Garcia è un manzo "Vixen", nel senso che ha firmato un contratto in esclusiva per questo brand porno importante, brand in cui svetta il randello di Anton Harden, 28 anni, ex informatico e ex sviluppatore app, e uno che di "aiutini" manco a parlarne. Il suo è un corpo appositamente per il porno costruito: nel settore Anton Harden è famoso per il suo rigore, la sua serietà e il puntiglio e come e in che modo lui permette al suo bastone di andare al massimo senza strafare.

È tutta questione di testa. E palestra, proteine, una vita ferrea, da atleta e, una volta sul set, zero distrazioni: Anton Harden aliena, separa, astrae la mente da ciò che non è la scena che deve fare. E Anton definisce i suoi primi porno “grezzi”. Se li rivede, si vede “sbagliato, storto, scarso”. Non è vero, è il suo occhio – e corpo e pene – oggi con maggiore esperienza, che lo rendono così critico. Anton girava due o tre scene a settimana, ora ha rallentato per concentrarsi sul porno recitato sul serio. Che è il filone porno che in questo momento più si realizza, e che più cerca attori dal pene generoso, che sappiano ben punzonare ma pure davvero recitare.

Storia di moralismo, di pornostar e di via della Camilluccia. Fulvio Abbate su L'Unità l'11 Agosto 2023 

Questa vicenda di abissale moralismo affittuario, sebbene ambientata nella Roma della commedia all’italiana in bianco e nero, segnatamente via della Camilluccia, come già “Il sorpasso” di Dino Risi e “La bugiarda” di Luigi Comencini, avrebbe comunque molto appassionato Dino Buzzati, che in nome delle sue proprie dichiarate umanissime frequentazioni sessuali, anche cosiddette mercenarie, addirittura feticistiche, si è letterariamente addentrato in ogni garçonnière misteriosa spalancata sul quotidiano borghese da colletto bianco. Traendone forse un esemplare racconto riferibile, appunto, alle mura perimetrali, anzi, alla topografia moralistica cittadina.

I fatti da cui nasce la vicenda sono comunque bassamente prosaici, hanno sapore d’agenzia immobiliare timorata con sentore di sagrestia: la pornostar Franca Kodi, già editore di una eccelsa rivista in quadricromia, “Il feticista”, si ritrova temporaneamente costretta a lasciare il proprio appartamento nel quartiere Prati, rispettabile residenza di avvocati, funzionari Rai e perfino di trapassati trasvolatori del Polo come Umberto Nobile, al suo posto devono giungere infatti muratori e idraulici per lavori di ristrutturazione, poco importa se umidità o condensa. La signora Kodi cerca così un affitto, le occorre il tempo necessario di riprendere possesso delle sue stanze, due mesi appena; ritiene di averlo presto trovato, grazie ai buoni auspici di alcuni amici non meno adeguati nel bon ton, sull’altura di Monte Mario, in fondo alla cordigliera residenziale altrettanto “borghese” della già citata Camilluccia, luogo caro al “generone” capitolino: un residence, che si direbbe perfetto per ogni necessità. A un passo dalla stipula accade però che i proprietari dell’immobile, mossi da catastale curiosità giansenistica, dopo una breve occhiuta ricerca in rete, scoprono che la professione dell’imminente affittuaria. C’è quindi da immaginarli tramortiti davanti ai video che mostrano Franca Kodi protagonista regale di molte scene esplicite di sesso; i suoi piedi doverosamente in primo piano, strumenti di piacere, destinati all’altrui godimento. Qui, probabilmente, Dino Buzzati, se fosse davvero lui a raccontare la nostra storia angustamente circoscrizionale, mostrerebbe, in sezione, come ha fatto altrove con l’incubo delle formiche mentali, il cervello allarmato di chi possiede le sacre chiavi del residence, la loro convinzione che la semplice presenza di un’affittuaria “indegna” possa profanare la dignità delle mura, dei servizi sanitari, perfino dello spioncino della porta stesso. Ne abbiamo contezza poiché nelle conversazioni tra la signora Kodi e i proprietari infine irremovibili, saltata ogni possibilità di stipula contrattuale, il rifiuto appare motivato con prosa da Malleus Maleficarum,ossia il “martello delle streghe”, libro già in uso presso l’Inquisizione, primo esempio di tomo tascabile, da segreta consultazione sotto la cattedra da parte del Giudice.

L’irricevibilità della richiesta d’affitto giunge alla luce della sua professione pubblicamente svolta, se non rivendicata perfino politicamente. Forse, occorre aggiungere, che per l’esito della porta d’accesso rimasta infine per lei sbarrata, negata, possano aver contribuito anche le parole, programmaticamente libertarie, pronunciate da Franca Kodi tempo addietro in una conversazione televisiva: “Appare quasi un gesto rivoluzionario citare il sesso, nominarlo, ovvero la libertà di vivere le nostre pulsioni”. Parole cui l’intervistatore rispondeva che solo avessimo scostato le facciate dei palazzi lì accanto chissà quante innocenti creature rispettabili avremmo visto alle prese con l’attività onanistica supportata dallo stesso inesauribile catasto filmico della pornografia, compresi i video che vedono protagonista Franca Kodi. E dire che i signori della Camilluccia poco prima di scoprirne l’imperdonabile “macchia” professionale l’avevano perfino invitata a prendere un gelato, così in attesa di accoglierla al tavolo verde per una partita a burraco.

Fulvio Abbate 11 Agosto 2023

Barbara Costa per Dagospia l'1 luglio 2023.

Mio marito guarda il porno, è un gran p*rco, un menefreghista, un egoista, non mi ama più! Incredibile ma vero: se c’è qualcosa che fa imbestialire le mogli, non è che lui non sia nelle faccende domestiche collaborativo, non è che lui russi come un trattore, e nemmeno che righi le mutande, macché, questo viene dopo: è che lui si faccia una porno s*ga che le fa incaz*are! Mie care, ma sul serio siete gelose di questo? E non ne avete motivo! Non ci credo che siete la maggioranza, eppure le voci nelle chat non mentono. Le donne irritate dalla porno passione dei compagni mica glielo dicono, che non gli sta bene. No. E in pubblico fanno le "evolute".

Però sotto nickname (e mi immagino nei gruppi social tra amiche del cuore) invadono le chat al femminile di lamentele coniugali dove l’intruso è il porno. Le proteste non riguardano le mogli in generale, ma a quanto pare quelle contrarie a vedersi e a godersi di loro sponte i porno (quelli che piacciono a loro, al clitoride loro) e sono donne a cui piacerebbe che al marito venga duro soltanto a letto con loro. Ma, mie signore, non è così. Non può essere così. Davvero può essere solo così?

Sì, ci sono uomini per cui il sesso è unicamente coniugale, ma non sono la norma. Di questa fanno parte uomini sanissimi che hanno tutto il diritto di… "scaricarsi" davanti a un porno! Pensate la stia facendo troppo facile? Credo di star delineando la realtà quotidiana senza fronzoli. Per quella che è. Diventare delle erinni per un marito che si guarda porno, se non peggio, rodersi l’anima per questo, è inutile. A che serve? 

Ve lo assicuro: un marito che guarda porno non vi sta tradendo col porno, assolutamente voi non siete in competizione coi porno, men che mai con le attrici porno con le quali a livello onanistico vostro marito si sollazza. Per lui è un divertimento. Innocente. Genuino. Un anti-stress. Che c’è di male? Alcune di voi associano il porno alla sporcizia. Ma se il solo sesso sporco è quello fatto bene, non vi è alcuna immoralità in una porno s*ga se non quella che ci mettete voi. E, tra voi, ci sono pure quelle che mettono in correlazione un marito che vede i porno e che, per questo, non le ama più.

Ma amore e porno non hanno nessunissima relazione, come non ha rapporto il genere porno scelto dal vostro compagno con quello che gli piace fare in intimità con voi, e che a lui tanto piace che voi gli fate. Se il vostro dolce maritino si guarda una gang-bang anale, vi ama uguale, e non vi chiederà di soddisfarlo sedere all’aria in penetrazione continuata e molteplice. Né vi è diventato gay se vede un porno con uno che si fa sodomizzare da un pauroso strap on, né vi è diventato feticista sadomaso perché avete sbirciato e scoperto che, nella cronologia di navigazione, è solito sostare sui siti di porno bondage.

Sicché, a meno che, lieti, non lo abbiate concordato prima, non vi presentate a letto bordate di lattice e con le fruste: il porno è la rappresentazione d’oniriche personalissime p*rcate, segretissime e inconfessate perché inconfessabili. Non ha niente a che vedere con ciò che si ama fare a letto col partner scelto.

Il porno è altra cosa che col sesso matrimoniale proprio niente c’entra. Certo, se avete un marito che non vi tocca e da mesi, e questo non è nei vostri patti, se avete un marito che guarda porno e poi a letto si gira dall’altra parte e buonanotte, e da tempo, e non siete sposati da 30 anni, e, ripeto, non è nei patti, e vi fa star male, allora sì, in questo caso avete un problema.

Di sesso e desiderio coniugale. Problema di cui però il porno non è causa né sintomo né rimedio. Magari… se volete ritornare a far sesso con vostro marito non dico come i primi tempi, ma in modo soddisfacente e cadenzato, è ora che ne parliate. Sinceramente. Tra voi due. E che correte ai ripari. 

Ma non buttandogli il tablet nel secchio!!! Magari, che so, togliendovi il pigiamone sformato con cui girate per casa. O forse depilandovi. Signore, sto scherzando, ma qui no: contattate un/a terapista di coppia qualora vi ritroviate con un marito afflitto da porno maratone, con le occhiaie alle ginocchia, e a tutti gli effetti, un porno addicted. Ecco, questi sì, che sono caz*i. Veri e seri.

Estratto dell’articolo di Jaime D'Alessandro per repubblica.it il 25 giugno 2023.

Gli effetti sarebbero gravi e trasversali, ma almeno sulle ragazze l'accesso precoce alla pornografia online non sembra porti a sposare modelli sessisti stereotipati e svilenti. A sostenerlo una nuova indagine italiana condotta da ricercatori del Cnr pubblicata sulla rivista Societies. Si intitola The (Un)Equal Effect of Binary Socialisation on Adolescents' Exposure to Pornography: Girls' Empowerment and Boys' Sexism from a New Representative National Survey, che potremmo tradurre con L'effetto (dis)eguale della socializzazione binaria sull'esposizione degli adolescenti alla pornografia: empowerment delle ragazze e sessismo dei ragazzi da un nuovo sondaggio nazionale rappresentativo. 

(...)

Secondo la ricerca la pornografia mediamente proporrebbe un immaginario sessuale e di bellezza distorto, impattando negativamente a 360 gradi in entrambi i sessi su emozioni primarie, autostima e soddisfazione per il proprio corpo. 

Dall'altra, a causa della socializzazione "binaria" che riproduce stereotipi di generazione in generazione inducendo a una adesione passiva a ruoli sociali maschili e femminili predefiniti, l'esposizione precoce a questi contenuti avrebbe effetti dissimili su ragazzi e ragazze: nei primi rafforzerebbe i cliché e aumenterebbe la tolleranza verso comportamenti discriminatori, violenti e devianti; nelle seconde invece rappresenterebbe un'esperienza di emancipazione sessuale. Qui però è possibile che si ricorra a generi di pornografia meno tradizionali rispetto a quelli fruiti dai maschi.

Tornando al quadro generale, verrebbe da dire che il problema sta negli stereotipi della nostra società e nell'assenza di educazione sessuale, o se si vuole di educazione tout court, più che nella pornografia in quanto tale che alla fine ne è uno specchio. Specchio divisivo, per usare un termine di moda, trattando di desiderio e quindi tirando in ballo i tabù sociali che lo circondano. Tocca quel doppio codice genetico che ci definisce, fisico e culturale, tocca dunque anche la sfera della scuola e della famiglia, due ambiti che se deteriorati riescono a fare poco davanti a modelli discutibili. Con buona pace dei filtri, i vari "parental control", che sono non solo aggirabili ma anche semplici palliativi.

"I risultati suggeriscono l'importanza e l'urgenza di un'educazione sessuale in ambiente scolastico mediante professionisti", suggerisce Tintori. "Serve un approccio critico e non solo passivo, in grado di superare il tabù del sesso e di andare oltre la pornografia tradizionale, eterosessuale e mascolinizzata, che fornisce un'immagine omologata e irrealistica di corpi, prestazioni e relazioni". 

(...)  "Penso che il porno sia una disgrazia", aveva affermato la cantante Billie Eilish a fine 2021, allora ventenne. "Ne guardavo un sacco, ad essere onesti. Ho iniziato quando avevo 11 anni. Credo che abbia davvero distrutto il mio cervello", ha aggiunto, raccontando che soffriva di incubi perché alcuni dei contenuti che vedeva erano violenti oltre che offensivi. 

Al di là dell’esperienza di Eilish, la sensazione dei ricercatori italiani è che l’uso del digitale stia aumentando a dismisura nei teenager di anno in anno. Ormai quattro adolescenti su dieci possono esser definiti “iperconnessi”, ovvero passando più di tre ore al giorno sulle piattaforme Web, e circa il 10 per cento è a rischio di essere un ritirato sociale, o hikikomori come vengono chiamati in Giappone, quei teenager che non escono più di casa trascorrendo il loro tempo davanti allo schermo del computer. “L’adolescenza è sempre stata un’età critica”, conclude Tintori. “Ma ora lo è in misura ben maggiore e ciò non è addebitabile agli adolescenti, ma alle carenze educative e formative”.

Un ultimo accenno all'industria del porno online, mercato da circa 34 miliardi di euro all'anno. Vi consigliamo di guardare il documentario Money Shot su Netflix. Racconta il funzionamento, l'ascesa, i protagonisti e le cause legali della piattaforma Pornhub, una delle più note, che nell'anno record del 2020 è stata visitata 42 miliardi di volte. Spaccato piuttosto interessante sulle dinamiche di questo mondo che ormai è bene conoscere.

Barbara Costa per Dagospia il 28 maggio 2023.

Sapete, io ho deciso di scrivere di porno perché stufa di leggere chi di porno scrive e vi immette la sua superiore insopportabile morale. E no!!! Il porno, della morale, di qualsiasi morale, se ne f*tte. Vola alto, passa oltre, che volete che se ne faccia? Il porno, o dà fastidio, o non è. Eccita, sì, è nato per questo, ma deve ogni volta lasciare un po’ di amaro, in bocca, e un po’ di inquietudine, in mezzo alle gambe. Gli serve. È la sua esca. Per farsi desiderare. E farsi tornare a cercare.

Io non so se quanto di porno scrivo – e come – possa interessare, certo, farlo su Dagospia, è una figata, ma non lancio messaggi. Non ne ho. Che me ne frega? Io penso, vivo, respiro pornograficamente. Sono fatta così. Però… quando Gianni Passavini mi ha telefonato a chiedermi di prefargli questo suo libro, l’ho subito intuito, che mi avrebbero scoperto. Che sarei stata nuda. Tra le mie parole. Più del solito. E che non avrei potuto velarla, né comprimerla, la mia debolezza. Verso un uomo. Una immagine di uomo. Su foto. Miriadi di foto. Con nuvole di dialogo. Inondate di sperma magico. 

È da stupide negarlo: ci sono uomini che ti stregano ad aprirgli le gambe. Magnetici. Non serve che ti tocchino. Basta la loro presenza. E ci sono uomini che non sono reali, sono inventati, ma assurdamente più reali di persone in carne e ossa, uomini per cui il tuo clitoride pulsa impazzito, al solo pensarne il nome. E il nome completo della mia perdizione è Gabriel Pontello.

Il pornodivo massimo, di cui mi son sempre sottratta a scrivere. Adducendo sì astratta conoscenza dei suoi tempi, sì distanza anagrafica, sì che il suo porno era un altro porno, in un altro contesto, avente zero in comune con il porno odierno. Tutto vero, già, ma, in parallelo, tutte frescacce. 

La verità, la sa Gianni, e me l’ha sadicamente sbattuta addosso pagina dopo pagina: Gabriel Pontello è l’uomo che mai potrò assaporare. È il suo sapore che cerco, negli altri, e non trovo. Non dico il Pontello completo, ma almeno un pezzetto, un’oncia. E va da sé che di str*nzi figli di buona donna me ne sono capitati. Cercati da me, voluti da me. Di due, me ne sono innamorata. Fino a perderci dignità. Come Pontello comanda.

Nel porno non ci sono scuse. Non reggono. Non date retta a chi vi racconta che è caduto a fare porno perché disagiato, disadattato, nato disgraziato e caso umano diventato. È una narrazione antica, superata, oggi buona a cullare coscienze infotainment. Sappiate che le cosiddette pornostar sono persone finanche più normali, e sane, di altre coi loro impieghi 9-17. Se non altro perché felici di fare – e farsi pagare – per ciò che hanno le p*lle di realizzare. 

Si sceglie il porno per lo stesso onesto motivo: si vuole una vita diversa. Da cosa? Dal perbenismo dominante. E non si vuole essere la replica dei propri genitori, amici, parenti, e si ha dentro un narcisismo, e un esibizionismo, e fame e amore per il sesso, che non ci si soddisfa con un partner, in monogamia, lasciandosi vivere da una scontata routine. Per questo "l’italiano" Gabriel Pontello ha preferito il porno: per nutrire il suo egocentrismo. Il suo maledettismo.

E però non esiste un suo porno collega, fuori e dentro questo informatissimo libro, che di Pontello parli bene. Forse uno, ce n’è, Rocco Siffredi, ma insomma. Gabriel Pontello non è sulla Terra per farsi voler bene. Né lui, né il suo alter ego venuto dal pianeta Eros e atterrato nove anni sulle pagine di "Supersex". Pontello è l’uomo da cui fuggire. L’uomo dai ripetuti peccati. Folle. Prepotente, collerico, manesco, spregevole, esaltato. Un maudit borioso. Odioso. Insopportabile. Ma bellissimo. E irresistibile.

Se pensate che la vostra donna (ma pure il vostro uomo) non abbia mai sognato di lui, state sereni: avete accanto una che di Pontello non sa. Le altre si sono sbrodolate nelle mutandine, per la voglia insana, di lui, si sono a morte sd*talinate, per lui, e non ve lo dicono. Non ve lo possono dire. Si può anelare l’errore? Rovinoso e lercio. Da ogni punto di vista. 

Difficile separare Pontello dal suo personaggio su "Supersex". Le voci si rincorrono: Gabriel Pontello, quello reale, le donne non le ha vilipese solo su copione. Gli uomini non li ha stesi a pugni solo per sceneggiatura. E nella realtà, le donne non hanno avuto bisogno dei suoi incanti per morirgli dietro. In questo libro, alcune denunciano la feroce perfidia di Pontello. Guarda un po’, un po’ tutte si sono ripresentate, sui set, a farsi ancora sessualmente toccare, da lui.

Per starci ancora, con lui. Tra le sue pericolose braccia. Gianni Passavini non censura nulla. Di Gabriel Pontello vi offre il mito, e conferme, e dicerie smontate, e pornosità finora ignorate. Ma il mistero permane. Di Pontello parecchio non si sa, non si deve sapere, e per suo volere. Lui è l’autentico rivoluzionario di questo social presente dove tutti vogliono essere presenti a tutti. 

A un certo punto, Gabriel se n’è andato. Sparito, coi suoi demoni. Seppur qui Gianni lo abbia rintracciato – e non vi spoilero dove – Pontello resta una sfinge in ciò che pensa, è, ed è stato. C’è niente da fare: la mia pontelliana ingordigia, del suo sesso ben dotato ma (e meno male) non superdotato, di cui abbuffarmi, mentre Gabriel mi strapazza coi suoi “tr*ia, il ca*zo è pronto, sfamati!”, “allarga le cosce, z*ccola!”, “volevi i gioielli, m*gnotta?

Eccoti 100 carati di un lingotto purissimo!”, rimane inalterata. 

Un’ultima cosa: ma quanto era volgare il linguaggio di "Supersex"?!? Fetente, sbracato e cattivo. Che liberazione! A chi non piace non lo legga. E… femministe, vecchie e nuove, e paladini di ciò che è bene e conviene, col vostro eloquio educatino e precisino che tanto vi fa sentire migliori, andate a starnazzare altrove. Non seccateci su "Supersex", e lasciateci divertire. Noi che lo sappiamo fare!!! La vita non ci deve il lieto fine che ci hanno fatto credere, e forse lo scopo ultimo, l’unica salvezza, di Gabriel Pontello, e mia, è “renderci infrequentabili”.

Bambole cosplay e cybermodelle: la nuova frontiera del porno è digitale. Arrivano on line, addestrate dall’IA a un nuovo romanticismo. Una rivoluzione per il mercato dell’eros. Ma anche per l’immaginario della seduzione. Ivo Stefano Germano su L'Esprresso il 23 maggio 2023.

Lo sguardo dice poco o niente. I corpi, invece, dicono tanto sul simulacro, la ripetizione, la reiterazione ossessiva dello sguardo artificiale, a misura di display, di trasgressione sociale, molto spesso, retorico.

“Sai che novità”. Più che legittima l’obiezione sull’intelligenza artificiale che ha invaso l’immaginario sessuale e pornografico. A dirla tutta, non si tratta dell’ennesimo settore o segmento sociale che vede imporsi l’intelligenza artificiale. A cambiare drasticamente è l’essenza stessa del porno, come forma d’intrattenimento predominante, passatempo, bric-à-brac visivo.

Le modelle create con i dispositivi dell’IA su OnlyFans questo e non altro promettono. In piena discontinuità con i prototipi classici di bambole gonfiabili, automi replicanti. Di fatto, trasmutando l’idea stessa di una piattaforma proprio come OnlyFans, imperniata sulla disintermediazione del principio di prestazione e fatturazione del proprio corpo. Dal 2016, basta pagare e vedi tutto e di tutto: archetipo tipico del corpo postmoderno, come proprietà privata. Un database d’immagini infinito che, già ora, suscita accesi dibattiti sulla gestione della privacy e dei dati. Soprattutto, sulle logiche e prassi nella distribuzione dei contenuti, diretta conseguenza della radicale trasformazione del fenomeno OnlyFans.

Claudia e le altre

Non esistono, ma ci sono. Presentissime. Non definitissime, basta dare un’occhiata alle mani, ma, pienamente in grado di annunciare un nuovo evo del porno, non più legato a realtà, meglio ancora, fisicità. È il caso di “Claudia”, creata dall’intelligenza artificiale, fra le prime ad aver messo in vendita contenuti. Il 29 marzo 2023, su Reddit affiora una foto dall’account Cl4ud14. Frangetta, slavatina, nessun cipiglio trasgressivo. Lo sfondo non è quello di un set, il tono, né epico, né eroico. Sulle app di messaggistica, anche adesso, circolano foto e clip ben più incandescenti, tuttavia, non prodotti dall’intelligenza artificiale. Il guadagno è stimato in circa 100 dollari.

Sono bambole che promettono conferme di sessualità organizzata, pianificata, quelle di OnlyFans. A presidio di una certa rappresentazione e autorappresentazione dei punti di fuga del lurkare diuturno performance e prestazioni smisurate e iperreali nella vita artificiale dell’estetica dei corpi contemporanei.

Per ora, da quel che si evince, c’è il fake, anzi, il deep-fake, cioè tutti i materiali audio-visivi creati dai software di AI e OnlyFans, Bengodi di ogni feticista e voyeur. La somma o la summa, al benevolo lettore la scelta, di corpi digitali, automi erotici, bambole nuovissime.

Sì, ma le emozioni? La scaturigine? Il vissuto pornografico, dai pornazzi al cinema sino alle gif e ai meme? Skin trade. Un cambiamento di pelle, anzi, dei connotati stessi del porno contemporaneo. Ad adoprarsi, va da sé, digitalmente è l’intelligenza artificiale. Come? Creando profili di modelle su OnlyFans, aprendo di fatto l’era del deep fake alla distribuzione di contenuti hard. 

Archeologia dell’amplesso

Oltre il dato della fredda cronaca si ha la conferma di una possibilità concreta dell’oltrepassamento della cifra attuale della pornografia, cioè di quel registro proprio dell’hard amatoriale, inizialmente inviso al “pornostarsystem”, successivamente, inseguito, replicato, talvolta, parodiato. L’arredamento implausibile, l’incedere tipico dei debuttanti con i fantasmini ai piedi e slip a basso costo, neanche un centimetro di pelle intonsa da tatuaggi, in prospettiva, potrebbero essere relegati a tardo forma di “archeologia dell’amplesso e dell’orgasmo”, ad uso di frissons casalinghi e domestici, a causa, della vertigine digitale e del nuovo canone d’invenzione e rappresentazione dei corpi. Enfasi massima del diuturno processo di rapppresentazione e autorappresentazione pubblica dell’eros, più o meno dalle Baccanti in poi.

Ad essere tematizzato, dalle modelle-bambole di OnlyFans è, ancora una volta, il côté della politica economica del piano simbolico e sessuale. Non a caso, il traffico di notizie e i titoli ricorrenti su OnlyFans riguardano guadagni e profitti, quasi che il punto di vista principale fosse quello da commercialisti della prestazione. L’estasi della comunicazione, il fascino dell’innaturale renderanno sperdute e tenere le videoprodezze di Rocco Siffredi con Malena, Bene Green, Marika Milani?

Il porno-amatoriale, fra arredamenti impassibili e fantastici in primopiano cederà di colpo, di fronte all’ingresso imperioso dei corpi digitali di OnlyFans (notorio social per feticisti)? Ogni risposta rischia il deperimento seduta stante. Più facile una stesa di tarocchi o un “gratta e vinci” acquistato per noia. A meno che non ci si renda conto che, per l’ennesima volta, l’immaginario pornografico/pornocratico rivendica la propria centralità, quasi che fossimo tornati all’effervescenza delle prime videocassette. Intelligenza artificiale più OnlyFans significa trasmutazione tecnologia della pelle del porno globale di YouPorn, PornHub, XXN.

Sembra una pagina di “Aidoru” di William Gibson, aedo della cyberia anni Novanta, ove si parlava di una cantante bellissima e digitale. Prova provata della preveggenza del sociologo francese Jean Baudrillard, in tema di virtuale che avrebbe assorbito il reale. La seduzione, interattiva, simultanea, circolare trarrà linfa da un nuovo “diorama bambolifico” che nulla ha che fare con le precedenti tipologie: bambole gonfiabili, avatar, cartoon. Al maschile sempre più trasparente e smaterializzato non parrà vero di avere a portata di mano (senza risatine e darsi di gomito, please) la moltiplicazione d’istanti, di repliche, profili, sembianze. Non seduzione, ma verosimiglianza fascinosa della superficie liscia, rettile, meglio, erettile di qualsiasi display. 

Più che porno, porn-romance

Alla lista infinita di criticità e perplessità, tuttavia, sfugge una declinazione ulteriore, per certi versi, romantica, nel senso dell’invenzione di un genere e di una predisposizione che prese avvio dalla riscoperta romantica della drammaturgia di William Shakespeare e che, in Italia, abbiamo conosciuto nello scartare quotidianamente cioccolatini alla nocciola con bigliettini di frasi d’amore. E se tutto questo, alla fine dei conti, fosse o diventasse amore? Non smottamento pelvico, ma, “imbambolamento”. “A porn-romance”.

Le bambole di OnlyFans promettono questo ed altro, oltrepassando la cosmogonia ideale e idealizzata dello “sdoganamento del porno” in ogni ambito e rivolo del sociale. Il porno può tornare ad essere porno. Anzi, l’intelligenza artificiale si rende protagonista assoluta di una “Porn-romance”: languida, romantica, iperconnessa, sensualmente disponibile alla reverie, non solo al puro e semplice react del voyeur. Idolatria da professore Immanuel Rath, nei confronti di Lola, Lola, cioè Marlene Dietrich ne L’angelo azzurro, film tedesco degli anni Trenta. Anzi, riormeggio in pratiche e usi effimeri, ludici, sensuali, sganciati dalla dittatura della performance, da “TikToker” viagrati di ogni hard impossibile e inimmaginabile.

A ben vedere, nel corso di queste settemila battute, ad emergere, ancora una volta, è l’ordo amoris al tempo dei follower, parafrasando il magistero sociologico degli studi di Eva Illouz, dedicati alla vulgata pop delle pratiche sadomaso in Cinquanta sfumature di grigio. Il deep-fake non è il post, nemmeno il post del post. Lo sguardo, il calco digitale, il superamento stesso della bambola gonfiabile non appare effimero, tantomeno ludico.

Replicanti e influencer

Disponibilissimo, d’accordo, tuttavia, scarsamente tarato sulle reali esigenze del circuito desiderante di qualsivoglia immaginario erotico, dove dice più un profumo, un colore sconosciuti, una frase sozzissima sussurrata nel culmine di una riunione condominiale. Latita la porn-romance, come estasi, segno, ipersessuato, alieno, androide, androgino, galattico. Francamente, i primi corpi nudi creati voluti più che creati da AI non sono da ammucchiata, penetrazione multipla, gangbang, gloryhole. Metà “conigliette di Playboy”, metà cheerleader da NBA, variazione, l’ennesima, sul mondo del porno digitale. Più precisamente sulla gestione, organizzazione, distribuzione di contenuti espliciti per adulti. Si dice così, in realtà, il pensiero e non solo vola alla proliferazione delle categorie e tipologie di fruizione e consumo di materiale porno.

Il traffico dati di onanisti, voyeur digitali, semplici curiosi e curiose è sempre più disciplinato da quella forma di potere pervasiva e incessante, rappresentata dall’ “algocrazia” che si sovrappone alla “pornocrazia”, fra accenni di una nuova puntata della rivoluzione sessuale e l’imminente messa in crisi del “porno amatoriale”, cioè, foursome, pizza boy et similia, ripresi in monolocali mestissimi e anonimi, dall’arredamento implausibile. Immagino abbiate compreso benissimo di cosa sto parlando. Sennò basta fare una capatina su Xxn, PornHub, YouPorn per farsene un’idea a scorrimento veloce. All’opposto, la scelta di OnlyFans ha più a che fare con una precisa ideologia della rete, laddove il fantasmagorico, il verosimile, se non proprio il totalmente falso compartecipano alla genesi di nuovi corpi, in un tempo che ha nella vertigine il proprio modus operandi.

Non c’è spazio, almeno nella codificazione culturale del sistema pornografico, per tipologie ormai usurate come i brand ambassador, coi loro selfie, reel, meme, gif, contornati, filtrati, sublimati digitalmente. In poche parole, le regole base del “capitalismo emozionale”, da un lato la riproposizione delle “casalingue”, pellicola che tempestava l’idea stessa del desiderio del neo-pensionato ragionier Ugo Fantozzi, dall’altro, la bambola, come influencer, senza bisogno di ore e ore per lo scatto perfetto, tantomeno per la scelta del filtro più adatto. Come tante già presenti a più livelli di marketing, in continua interazione coi follower. Slegate dalla dialettica pubblico-privato, ribalta e retroscena.

È di nuovo tempo di bambole, come annunciato da un film su Barbie e deepfake, a portata di mano e di sguardo. Né false, né vere. Iperreali, incredibili, cosplay del porno. Ah, le “bambole cosplay”, come quelle di TheRRRealist. Quando il porno la butta sull’editing di forme e pretesti, variazioni sul tema, costrutti temporanei, calchi dell’andazzo generale, in tema di trasgressione che coinvolge, nel medesimo istante, centro e periferia, alto e basso, colto e inclita. Estasi digitale o ennesima emozione da visualizzare? Forse nuovi mestieri, inediti spazi occupazionali. Chissà.

Barbara Costa per Dagospia il 21 maggio 2023.

“Wooowww!”, “che c*li deliziosi!”, “sbalorditive!”. Ma quale pizza e mandolino, ma quali Måneskin, se c’è una cosa per cui l’Italia è all’estero osannata è il porno! E per le attrici italiane nel porno! Vi siete mai chiesti che pensano e come valutano fuori dall’Italia le nostre dee datesi al porno, in particolare le tre al top, Malena, Martina Smeraldi e Valentina Nappi? I porno-mani e europei e americani "acchiappano" le pornoattrici italiane dal loro esordio, e fin dal loro primo orgasmo porno. 

Difatti e Malena e Martina Smeraldi appaiono nelle porno chat dei porno-fan i più sfegatati subitissimo, appena i loro porno di debutto sono in rete, e c’è il trailer, le foto promozionali. E agganciate sui loro profili social. I video di Pc e tablet e smartphone fuori penisola pesantemente si appannano per le grazie di Malena e Martina, per i loro sederi innanzitutto!

Se la Smeraldi è stata chissà perché scambiata per algerina (?), è della sua natia Sardegna che sono impiccioni, della sua giovane età, e c’è chi giura di star imparando l’italiano solo “per venire in vacanza in Sardegna per vederti!”. Non c’è dubbio: di Martina seduce la sua impudenza, la sua sicurezza, “Martina mi arrapa perché è lei arrapata, è affamata di caz*i, o almeno è abbastanza furba da fingere, fa lo stesso!”.

Martina è irresistibile “in reggicalze e tacchi alti”, “io deliro a vedere il suo c*lo”, e però ha un difetto, “Martina deve migliorare nei p*mpini”. Il porno di Martina più strabiliante? La sua gangbang a 69 con Malena! Se tra i porno italiani più visti e sbavati c’è quello Malena, Martina e Valentina in threesome poi orgia by Rocco Siffredi, di Malena è applaudito il suo corpo, “teen a 40 anni”, ma ben di più la sua personalità: di Malena strega la sua storia, che abbia iniziato col porno 33enne mollando vita e lavoro stabili. E incuriosisce che il suo fare porno sia spaziato da sue "pulite" presenze in TV.

Ai fan stranieri nieeeeente sfugge: lo sanno che Malena ha partecipato all’Isola dei Famosi, lo sanno che va in TV, e sono impressionati da ciò che afferma e dalla sua verve. Le "penetrazioni" di Malena non porno sono cercate su YouTube e i fan si dannano se manca la traduzione! 

Ma se c’è un aspetto estraneo al porno che della nostra Malena intriga è il suo passato in politica! Credete che i fan non italiani non ne sappiano? Lo sanno, ne sanno, ma alcuni hanno nozioni alterate della sua ex militanza PD: la reputano ex politico di rilievo, con incarichi di rilievo nell’esecutivo nazionale, quando in realtà Malena è stata semplice delegata regionale, per pochissimo tempo.

“Malena, tu sei un sogno assoluto”, e “Mallena (c’è chi la chiama così!) sono innamorato di te, quando vieni negli USA per anal gang-bang?”. Le italiane sono "esotiche" agli occhi degli americani. È questo che li sballa, gli americani perdono la testa “per l’accento” delle nostre ragazze nei video (ma ecco a che servono i porno dialogati, a farlo venir duro!!!). 

Un discorso tutto a parte lo stramerita Valentina Nappi, vera e grossa pornostar internazionale, negli Stati Uniti amatissima: lo attesta e lo prova la trepidazione con cui s’è atteso il suo ritorno in porno terra americana. Social tampinata in ogni spostamento, i fan sono in pieno trip onanistico per le scene che dei suoi ultimi lavori Valentina rilascia. Ci sono quelle con Isiah Maxwell, i duri facial, la "GangBang di Emergenza" girata per Brazzers, il porno dove Valentina fa l’insegnante di italiano, e ai fan non è sfuggito che se l’è depilata! Valentina può contare su eserciti di fan a lei fedeli, fan che la seguono da 11 anni, cioè da sempre, da quando nei suoi iniziali video (ma credo solo due) usava l’alias "Naomi".

L’irruzione di Vale Nappi nel porno è stata pari a uno tsunami. Ha sconvolto la platea del porno, le ha “tolto il fiato” per la sua “naturale bellezza, i suoi seni inebrianti”, la sua mediterraneità, “le sue forme ispirano soggezione”, “il suo viso, le sue espressioni urlano ‘sc*pami, io adoro sc*pare’…”, “lo prende dietro come una campionessa!” (qui rimarco che Valentina, a differenza del 90 per cento delle sue colleghe, si è rivelata disinvolta nell’anale seduta stante, e ciò nel porno è rarissimo, sicché stupente), “è più calda dell’inferno!”.

Questi i commenti sui preludi di Valentina Nappi nel porno, e i fan non hanno perso tempo nel rintracciare ogni ragguaglio privato che la riguardasse, dove è nata e vive, che è diplomata al liceo artistico, ha frequentato design all’università e che, novizia porno, era già fidanzata con chi oggi è suo marito. 

E le incursioni di Valentina nel mainstream accendono interesse: sono cercate, sono seguite, sono equanimemente giudicate: “A me non frega un caz*o di quello che pensa”, “filosofa alternativa!!!”, “che p*lle…”, “più porno, meno chiacchiere!”. I fan apprezzano la presenza attiva di Valentina sui social, dove ha smentito la fake che non farà più scene porno di gruppo. Lei lo ha scritto, decisa: vuole riprendersi tutto tutto tutto il sesso nel porno che lo stop pandemico le ha negato. “I’m horny!”. Allegri, pornonappomani!

Barbara Costa per Dagospia il 13 maggio 2023.

Nel porno, le pornostar provano dolore? Come resistono? Come mai se lo fanno fare? Perché strillano in quel modo? E piangono! Si fanno insultare! Non ci rimangono male? Ma che rispetto è? Però a me piace vederle… sono malato? Perverso, depravato? Eh, lo so, sono queste domande sul porno che ai miei Dago-lettori più scafati possono apparire puerili, e che però in tanti si fanno e mi fanno. Sarò diretta e chiara: non c’è alcuna malata perversione a cercarsi e nell’eccitarsi con i porno che prevedono donne umiliate e sottomesse e ingiuriate e proprio perché sono dei porno.

Sicché non sono la realtà, il porno - nessun porno - è mai la realtà ma la rappresentazione cinematografica di fantasie, vizi, alterazioni di una sana sessualità e che tale si esprime onanisticamente con la scelta consapevole di mettersi davanti a questi video. Che sono video - anche gli amatorial - recitati e realizzati con le regole del porno che in gergo si chiamano codici e che prevedono assoluta attenzione al benessere fisico e mentale di chi li fa.

Tutti/e le performer nei porno i più violenti e sadomaso non provano dolore se non il dolore previamente concordato e calibrato e che il loro corpo allenato è capace di tollerare. Le attrici in video urlano non di dolore reale ma di dolore recitato come copione comanda. Da esse accettato e messo in scena secondo la professionalità la più severa.

Così e solo così funziona il porno professionale, tutto il resto sono chiacchiere a vanvera. In ogni scena, sadomaso e no, ogni più piccolo gesto e mossa e urlo e parola sono concordati tra attori e regista e non c’è gesto e mossa e urlo e parola che non sia recitata e pattuita, compresa la password - vocale o gestuale nel caso che la bocca in scena sia chiusa da mano, bavaglio, sex-toy bdsm - che stoppa ogni porno copula appena il dominato sente un disagio, un dolore, e stavolta vero. E il dolore quello vero in una scena porno è sempre e solo provocato da un motivo: un errore di scena.

È uno dei due o più in scena che, se il partner sente dolore e blocca l’azione, ha commesso un errore. Il girato è interrotto, e chi ha sbagliato si scusa, e la scena riprende soltanto se chi l’ha fermata si è ripreso, sta bene, e se la sente di continuare (ma può andare anche in modo diverso: è di pochi mesi fa il licenziamento di capo di produzione e la messa alla porta di una regista alla sua prima regia da parte di "Kink.com", brand del porno bdsm. E questo perché in una scena in cui l’attrice Alexis Tae era appesa e legata a una fune, avendo Alexis pronunciato la password per bloccare l’azione, la regista ha ritardato lo stop di 45 secondi).

Ma allora, mi obiettano i titubanti d’inizio pezzo, le attrici porno non provano niente? Non ho scritto che non provano niente, ho scritto che non provano il volume di dolore che recitano. L’unico piacere che conta, nel porno, è quello di chi il porno se lo compra. Non quello di chi lo mette in scena. Ovvio che un/una performer, in un anale o vaginale con un pene che è sempre maxi, lo "sente" dentro, eccome.

Ma non equivale a squagliarsi di orgasmi come si vede. Può succedere, ma è raro e non nell’ordine delle scene montate e rimontate nel risultato finale. Nel porno il concreto piacere delle donne è un bonus. Rimarco di nuovo che non è vero che in un anale attori e attrici porno hanno l’ano anestetizzato: no, no, no e no! È proprio con un ano anestetizzato che un o una performer si può fare male nel porno, perché l’anestetico, gel o puntura, sedando la zona, non permette al proprietario dell’ano di avere il corretto controllo della posizione da tenere, rischiando lesioni, e peggio. 

Né si deve credere che attrici magroline siano più in difficoltà a girare una scena porno strong rispetto a attrici dalle forme burrose. Prendo 4 pornocorpi a esempio, quelli sottili di Maria Kazi e di Alexia Anders "contro" le curve accentuate di Savannah Bond e Azul Hermosa. Bene: queste attrici nel girare non attuano accorgimenti se non quello di approntare i loro fisici a ciò che devono porno-rappresentare. Tra i loro strumenti v’è la palestra, perché non v’è attrice/attore che nel porno professionale può affrontare scene pur le meno complicate senza equa tempra e resistenza.

E infatti, fateci caso: non v’è corpo pornografico che, dopo i primi tempi, mantenga stessa struttura. I maschi mettono su massa. E questo perché affrontare i set non tutti i giorni ma secondo tabelle di marcia rigide non sarebbe possibile senza un sostegno ginnico. Ma non allenano il pene, e no! Tutti gli esercizi ginnici che sul web pubblicizzano per aumentare dimensioni del pene, sono frescacce, e mooolto pericolosi! Ancora: le attrici porno nel porno sono mortificate, e alcune piangono.

Non è vero niente: i porno dove le attrici sono insultate sono porno che quest’attrici hanno accettato di fare, pertanto hanno accettato gli insulti nel copione, e sono girati perché c’è vasto pubblico feticista che tale tipo di porno ama e compra. Libera scelta professionale e libera scelta tra offerta e compratore, e non ci sono offese per nessuno. Medesimo discorso per i porno dove le attrici piangono: per finta, piangono, per il plot che hanno approvato e firmato di girare e per cui vengono pagate.

I porno con più litri di lacrime sono sud coreani e giapponesi. Lì lacrime e porno vanno a braccetto, sono aspetti tipici delle loro culture. La pornografia è un ramo della cultura insita in ogni società, poiché ogni società figlia cultura ed è a sua volta figlia della sua cultura, e della sua pornografia.

Si è - e si rimane!!! - sanissimi nel vedere questi porno pure se si fa parte di una cultura diversa. Solo un male può colpire chi guarda porno ed è il male che prende chi le sue voglie onanistiche se le reprime, che possono prorompere a nevrosi, e come pure prende chi guarda porno in modo compulsivo, annullando ogni altro lato del suo vivere personale e sociale. In questo caso siamo di fronte a un tossico porno, che va curato come ogni altro tossicomane.

Barbara Costa per Dagospia il 7 maggio 2023.

Traci Lords, ce la dici la verità? Ora che sei arrivata alla matura età di 55 anni (auguri!), ce lo sveli, come sono andate davvero le cose? Sei stata tu? Tuo patrigno? Con tua mamma complice? O è stato il tuo ragazzo? E la spia, chi l’ha fatta, tu, una tua collega invidiosa, tutte le tue colleghe invidiose, oppure… l’FBI sapeva, dall’inizio, e ha agito sottotraccia con lo scopo finale di incastrare il porno, demolirlo, contando sulla passività della maggior parte dei media, dei politici, della maggioranza silenziosa ninnata dal reazionario e moralista conservatorismo di Reagan?

Pure chi ha zero rapporti col porno conosce Traci Lords, almeno di nome: Traci Lords è forse la pornostar più famosa al mondo, pure se pornostar lo è stata per pochi anni e pure se non lo è più dal 1987. E Traci Lords è tutt’oggi avvinta a una storiaccia che è tale da qualsiasi parte la si guardi: lei ha fatto porno dai 15 ai 18 anni. Traci rimane la pornostar minorenne, quella dei documenti falsi, e quella che, smascherata, ha portato l’industria del porno a un passo dall’annientamento.

Però è stata proprio la "storiaccia Traci Lords" a spronare il porno a darsi test antipedopornografia efficaci (oggi, coi social, è aumentato esponenzialmente il numero delle lolite avventate a entrare nel porno), e a strappare le attrici dal dominio di agenti e producer e studios. Sì, ma… Traci Lords, 15enne debuttante porno, ha fatto ogni cosa da sola, lo ha deciso lei, lo ha voluto lei, o è stata manovrata?

È questo il dilemma irrisolto del porno, parallelo a quello di chi le ha fatto la spia. È certo: quando Traci Lords gira "What Gets Me Hot!", il suo primo porno, è il 1984 e ha 15 anni. Ma il suo ingresso nel proibito è di mesi prima, in shooting no porno ma nudi, persino su Penthouse. In che modo ci arriva, su quei set? Chi ce la porta? È un fatto che la ragazzina vada in giro con carta di identità e patente di guida false, dove il suo vero nome, Nora Louise Kuzma, è sostituito da Kristie Elizabeth Nussman, nome vero della 22enne amica delle sorelle di Traci.

E Traci Lords adotta da subito Traci Lords come nome d’arte. Spinta da che? Dalla sua ambizione o dalle mire… di chi? Del patrigno? Ha credito e quanto la biografia di Traci figlia di Louis Kuzma, immigrato ucraino dell’Ohio, un violento, sposato a Pat con cui fa 4 figlie, la Pat che con le 4 figlie da lui scappa in California? La Pat che qui si mette con Roger, pusher, che travia la 14enne futura Traci Lords, la mette incinta, e la fa abortire, e del suo minorenne corpo divino diventa il magnaccia? Con il sottinteso assenso della madre di Traci, che se ne sta zitta per soldi?

O invece no, è tutto falso, colei che diverrà Traci Lords a 14 anni lascia la scuola perché di studiare non le va, si impiega in un fast food, non subisce nessuna violenza né gravidanza né aborto ma si innamora di Tom Byron, 25enne attore porno italo americano che nel porno la fa entrare, e con l’aiuto di lui ma forse no, Traci si procura quei documenti falsi che le consentono l’accesso al porno, e in breve tempo assurgere a pornodiva, "the sex goddess", la prima ad ottenere 1000 dollari e più a scena, la prima a strabordare fuori dal porno e conquistare il mainstream per cui Traci, la minorenne Traci, rilascia interviste, televisive, e sui giornali, da superstarporno che suda film su film, e mette su, e sempre da minorenne, una casa di produzione, a suo nome!!!

E servendosi dei documenti falsi, e lo fa per emanciparsi dal potere degli studios, perché capisce – le fanno capire? – che deve essere padrona delle scene che gira, guadagnarci lei, e lei, Traci, che è sempre minorenne, sempre con quei suoi documenti falsi, ottiene pure il passaporto, per andare a Parigi, e qui girare "Traci I Love You", il suo primo porno da produttrice (che è con Marilyn Jess e non con Gabriel Pontello, i due mai si sono porno "incrociati"!). 

Avete ripreso fiato? Bene, perché eccoci all’acme della storiaccia: appena Traci torna a L.A., la arrestano. Accusa: ha girato porno da minore. Chi ha fatto la spia? S’alternano le testimonianze più varie e contrastanti. Traci compie 18 anni esattamente il giorno prima di girare "Traci I Love You". Sicché questo rimane l’unico porno da lei prodotto ma soprattutto da lei fatto da maggiorenne. 

Tutti gli altri, un centinaio (ma Traci precisa che sono 20, il resto sono rimontaggi e collage) sono stati realizzati con lei minorenne e perciò finiscono bruciati, eliminati, trafugati. Quando la notizia della minore età di Traci esplode sui media, negli USA è un si salvi chi può. Chiunque ha avuto a che fare coi film incriminati – attori, attrici, registi, produttori, distributori, padroni di cinema, edicole, videoteche... – può esser perseguito per pedopornografia. Jim South, l’agente di Traci, finisce in galera. Presto il porno è in ginocchio. Chi ha lavorato con Traci può beccarsi l’ergastolo. 

Alla fine però il porno si salva: oltre ogni ragionevole dubbio dimostra di essere stato ingannato, da Traci, e cogli stessi falsi documenti usati da Traci per ottenere il rilascio del passaporto. Se Traci con quei documenti ha ingannato te, Stato della California, perché tu, Stato della California, sostiene il porno, non credi che anche noi siamo stati ingannati come sei stato ingannato tu?

A processo non ci va nessuno. Il porno se l’è fatta sotto e, per non rifarsela, si dota di leggi severe. Se oggi le attrici sono padrone di ciò che girano e autonome nel loro lavoro, è perché l’autonomia di produzione di Traci Lords ha fatto scuola. E Traci Lords fuori dal porno è rimasta Traci Lords e ha iniziato una carriera di serie B nel cinema non hard, meglio nella musica. Ma mai ci ha spiegato la verità effettiva della sua "prima vita". Ha fatto tutto lei?

O era diretta da qualcuno? In tutti questi anni, Traci ha detto tutto e il contrario di tutto, compreso che sui set la drogavano, no, che si drogava lei, no, che era sobrissima in ogni penetrazione, fellatio, posizione, orgia, lesbicità, e che magari i suoi strilletti orgasmici non erano veri, non tutti, e che lo squirting era fake, tutto, e che del porno non è pentita, sì, boh, dipende. Ma chi è che ha fatto la spiata? Lei stessa?

E per quale ragione? C’è chi azzarda questa: essendo "Traci I Love You" l’unico porno legale, da Traci girato 18enne e da lei posseduto per intero (alcuni valutano che l’abbia addirittura diretto), Traci, svelando la sua minore età, si sarebbe garantita la magnanimità della giustizia – che infatti non l’ha perseguita – e la distruzione di ogni suo altro porno illegale e in commercio, materiale del cui smercio lei non intascava nulla.

O è stata denunciata da una delle sue colleghe porno, a cui ha rubato la gloria, perché, finché Traci Lords è stata nel porno, non c’era spazio se non all’angolo per le altre. E tra queste, chi può esser stata? Ginger Lynn, indiscutibile numero 1 prima di Traci? O Stacey Donovan, da più parti tacciata informatrice dell’FBI? No, no e no, sono state un gruppo che, saputo il segreto di Traci (e come?) hanno fatto la spia per togliersela di mezzo.

Oppure… niente di tutto questo: è l’FBI che ha aperto un fascicolo su Traci e fin dal principio, standole addosso, con l’obiettivo di inguaiarlo, il porno, e mandarlo in malora. Perché così voleva il presidente Reagan, tramite la sua Commissione Meese (che il porno voleva cancellarlo e fa un buco nell’acqua, bei soldi delle tasse sprecati). Come mai non ci sono riusciti? Il porno che volevano annientare è straripato in soldi e potenza. Tra i misteri USA, l’enigma Traci Lords è superato solo dai complotti sugli omicidi Kennedy!

Aida Yespica sbarca su OF per scommessa: “Eccitata di condividere la mia vita personale”. Redazione su Il Riformista il 12 Aprile 2023

A 40 anni suonati la bellissima Aida Yespica decide di fare il grande salto e sbarcare sul social Onlyfans: chi vuole vedere il suo canale dovrà sborsare 25 dollari al mese. Nelle sue storie di Instagram parla di una scommessa persa: “Eccoci qua, sicuramente un’app comoda per condividere con voi la mia vita privata”, scrive per annunciare il debutto.

Onlyfans ha già reso ricche molte modelle, influencer, pornostar, ma anche più anonime studentesse o normali lavoratrici. L’unico limite imposto per caricare i contenuti è aver compiuto 18 anni, candeline che Yespica ha spento da un pezzo.

Per vedere il suo canale bisogna sborsare 25 dollari al mese. Secondo le stime degli esperti che hanno studiato il fenomeno, il guadagno medio mensile di chi pubblica è 150 euro, ma il 10 per cento degli account arriva a mettersi in tasca più di mille euro, l’1 per cento tocca i 20-50 mila euro al mese.

Gli abbonati vedranno le foto di Aida, quelle messe sul profilo, ma gli sarà anche possibile richiedere foto o video ad personam. Sarà l’ex soubrette a decidere se mandarli o meno. Per una foto personalizzata c’è chi arriva a pagare cifre da capogiro. Sui guadagni Yespica – come tutti gli altri ‘content creator’ – pagano le tasse e una commissione del 20 per cento alla piattaforma stessa.

Le previsioni vedono per l’ex naufraga ed ex gieffina vip – nonostante l’ardua concorrenza – guadagni notevoli. Onlyfans è diventato estremamente popolare durante la pandemia. Dal 2019 al 2021, i creatori di contenuti sono passati da 100 mila a 1.5 milioni, e gli utenti hanno superato i 170 milioni. Il fatturato della piattaforma, nello stesso periodo, è passato da 400 milioni di dollari a 2,5 miliardi.

Sul suo nuovo profilo, creato appena ieri, Yespica scrive: “100% venezuelana Living in Milan” e poi in inglese aggiunge: “Così tanto di me che con condivido da nessuna altra parte. Chattiamo! Sono eccitata di condividere la mia vita privata con te”.

Sex positive. La pornografia online ha aiutato a sfatare i tabù sessuali, ma aliena sempre più. Emma Besseghini Linkiesta il 12 Aprile 2023

Un lungo approfondimento dell’Atlantic racconta il lavoro della sociologa statunitense Kelsy Burke sugli effetti di contenuti espliciti per molte generazioni di utenti

Ogni mese circa nove miliardi di persone visitano siti o canali pornografici, dove professionisti e utenti amatoriali caricano video erotici da mandare in streaming, disponibili a qualsiasi ora e spesso a costo zero. Nel 2022 gli italiani si posizionano al sesto posto nella lista degli utenti che visitano più assiduamente Pornhub, il sito di condivisione libera di materiale video pornografico gratuito più grande al mondo, registrando anche un aumento del tempo medio di visita di nove secondi, raggiungendo i nove minuti e cinquantadue secondi, leggermente inferiore rispetto a quello della media mondiale. Ma cosa dice di noi questo fenomeno? La pornografia gratuita ci sta liberando dal bigottismo o ci sta rendendo sempre meno umani?

Come riporta un lungo approfondimento uscito su The Atlantic a firma di Laura Kipnis, a questo dilemma ha provato a rispondere la sociologa statunitense Kelsy Burke, autrice del libro “The Pornography Wars: The Past, Present and Future of America’s Obscene Obsession”. Burke analizza come Pornhub vanti di più visualizzazioni mensili rispetto alla maggior parte delle piattaforme video e social, tra cui per esempio Netflix e TikTok.

Nella porn economy i guadagni arrivano principalmente attraverso le pubblicità e i banner che compaiono su queste piattaforme, di cui beneficiano principalmente i proprietari dei siti e non i performer e nemmeno i creatori dei contenuti digitali. Discorso diverso per OnlyFans, il sito di contenuti pornografici per adulti fondato nel 2016 dall’imprenditore britannico Timothy Stokely, insieme al fratello Thomas e al padre Guy. Nella piattaforma gli utenti si possono abbonare a un canale pagando una somma che oscilla tra i 4,99 e i 49,99 dollari al mese. Ai performer è destinato l’ottanta per cento di tale somma.

OnlyFans, tuttavia, sembra essere l’eccezione che conferma la regola: il destino della maggior parte dei performer di video pornografici raramente prevede una retribuzione.

Spinta dalla curiosità e dalla volontà di capire il fenomeno più a fondo, Burke ha intervistato i content creator, utenti, attivisti ed esperti del settore. Dalla sua ricerca è emerso che la maggior parte degli intervistati (cinquantadue persone) si schierava contro i porno, mentre una minoranza (trentotto persone) si sarebbe definita “porn positive”, cioè favorevole alla produzione e alla fruizione di tali prodotti digitali.

La categoria di persone che si sono definite scettiche nei confronti dei contenuti online è composta in gran parte da uomini credenti o inseriti in programmi di recupero dalla dipendenza dai porno, sia in quanto pazienti, sia in quanto medici. Questi, sostengono che «il porno infligge del male fisico ed emotivo a chi ne usufruisce».

Tuttavia, sembra che non ci siano sufficienti evidenze scientifiche per avvalorare questa tesi: l’effettiva relazione causa–effetto tra il consumo di questo tipo di contenuti e le conseguenze neurobiologiche sugli individui rimane tutt’oggi un mistero, soprattutto considerando la difficoltà nel rimanere oggettivi quando si fa ricerca su fenomeni che coinvolgono gli aspetti morali del comportamento umano.

Altre persone ancora condannano la pornografia digitale servendosi di argomentazioni principalmente legate a concetti quali la misoginia e la mercificazione del sesso, secondo cui il piacere femminile viene messo in secondo piano, riducendo il contenuto pornografico a una sponsorizzazione di una «mera performance volta a soddisfare lo sguardo maschile»,, si legge sull’Atlantic.

Le disuguaglianze di genere, infatti, permeano anche in queste piattaforme, non solo per quanto riguarda il ruolo ricoperto dalla donna in quanto performer, ma anche in quanto fruitrice di contenuti, scoperchiando le aspettative riguardanti la sessualità femminile e i relativi tabù. Secondo il Report di Pornhub del 2022 il sessantotto per cento dei fruitori italiani è maschile, mentre solo il trentadue per cento è femminile. Nonostante sia stato registrato un aumento di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente, il divario tra i due dati rimane significativo.

Come anche la sociologa statunitense Burke sottolinea nel suo libro «una donna che fruisce e che apprezza questo tipo di contenuti viene più facilmente patologizzata rispetto a un uomo, interpretando questo comportamento come un problema legato all’esperienza di un trauma passato». Per la controparte maschile, invece, il fenomeno non viene problematizzato così velocemente, ma bensì interpretato e fatto passare come un bisogno naturale e primordiale.

Nonostante la presenza di posizioni contrastanti riguardo alla fruizione dei contenuti porno, sembra si raggiunga un’unanimità per quanto riguarda l’impatto negativo che questo tipo di esposizione mediatica ha sull’educazione sessuale. «Parlare di contenuti pornografici è ancora un tabù», scrive Kipnis. Anche Andre Shakti, professionista ed educatore sessuale, sottolinea l’importanza di non affidare, né relegare un compito e un ruolo educativo a un contenuto che ha il mero scopo di intrattenere l’utente.

In questo senso, l’approccio sex positive si discosta da quello moralista, incoraggiando le persone a dialogare e confrontarsi, spronando soprattutto gli adulti a parlarne con i propri figli, comunicando l’importanza di fornire delle linee guida ai più giovani. È necessario, infatti, dare strumenti che li rendano in grado di comprendere la differenza tra un rapporto sessuale reale o realistico e uno più edulcorato, promosso dal porno mainstream.

Il problema, infatti, non risiederebbe nella vastità di contenuti sessualmente espliciti disponibili online, bensì nella mancanza di una preventiva formazione sessuale, che educhi al consenso e che orienti le persone nella navigazione online.

Produrre contenuti pornografici può essere, in ultimo, interpretato anche come una pratica femminista attraverso cui riappropriarsi della propria immagine, della propria sessualità, sensualità e del proprio desiderio, liberandosi dai tabù e dai ruoli di genere imposti dalla società.

Una pornografia più etica e femminista, tuttavia, rappresenta oggigiorno solamente una parte residuale della proposta dei contenuti online, diventando una categoria di nicchia, riservata a un pubblico più ricercato.

Il tentativo di promuovere una fruizione di materiale pornografico più etico incontra infatti delle resistenze a più livelli, soprattutto se si pensa che il desiderio sessuale non sempre rispecchia i valori individuali e non sempre è compatibile con la propria coscienza politica.

«Il piacere sessuale è anche immaginazione – scrive Kipnis -, tutto può accendere il desiderio, anche quando questo non corrisponde all’identità sessuale della persona. Nel 2017 Pornhub registra che il trentasette per cento dei fruitori di contenuti porno omosessuali con protagonisti maschili è rappresentato da donne».

Questo dato porta alla ribalta un altro grande tema, che, secondo l’autrice dell’Atlantic, non viene sollevato da Burke: il legame tra porno e religione. «Per certi versi, questi due aspetti sono simili – afferma Kipnis – perché simili nello scopo: quello di straniarsi dal mondo, offrendo un rifugio temporaneo in una dimensione che non ha a che fare con quella di cui facciamo esperienza nella vita quotidiana».

Da questo punto di vista, sia la religione, sia il porno offrono un’esperienza che non ha pretesa di autenticità, ma che esternalizza il bisogno di liberarsi dalla concretezza e banalità della vita di tutti i giorni, rintanandosi in un mondo noncurante del peso delle aspettative, dove le dinamiche sociali non possono arrivare e dove tutto è come vorremmo: libero, incontrollato e sempre disponibile. Insomma, un mondo che non esiste.

Barbara Costa per Dagospia l’8 aprile 2023.

Rocco Siffredi che porna… con la moglie! Roberto Malone contro tutti! Traci Lords, ed era minorenne! E il caz*one +30 di John Holmes! Ogni sito porno che si rispetti ha la sua sezione di porno classico, ma attenzione, perché le pornerie di una volta ma quelle migliori, stanno nei siti porno completamente votati al porno che fu. Evviva il porno "antico", e lo trovate pure gratis, pure filmoni interi, e però dovete eiaculare dazio: gratis sì, ma non sempre in HD, e la visione è quella che è, e non sempre in lingua italiana.

A me piace passare il tempo su "Tubepornclassic.com", non male il catalogo, è pure un sito che mi pare abbia meno secondi di spot pre start nei video, e senza spot tra un frame e l’altro (o almeno, nei porno che scelgo io). E sapete qual è il porno il più visto qui? "Tarzan X", porno anni '90 con Roccone nostro cha fa Tarzan e la sua Jane è Rosa Caracciolo non ancora sua moglie o stava per diventarlo.

 Ehi, ma quanto era sexosa – e lo è tuttora, di più – la signora Siffredi? E col porno ci sapeva di suo fare, è uno spreco che ai tempi si sia consacrata esclusivamente a pene e lingua di Siffredi, e che abbia smesso dopo poche prove. Un altro video con Rocco e Rosa assai visto è "Bodyguard", la loro porno versione del sentimentalone con Kevin Kostner e Whitney Houston.

Nei siti di porno vintage, Rocco è gettonatissimo: ci trovi senza problemi anche i suoi primi porno anni '80, e anche quelli girati con Ilona Staller (questi però non li ho reperiti integrali). Il tocco di Rocco era (ed è) il medesimo: fermo, intemperante, sadico, le donne per lui s’infradiciavano all’epoca com’oggi. È una certezza: Rocco porno stallone ci è nato. Sui siti di porno âgée ci sta pure il maestro di Rocco, Gabriel Pontello, e qui le donne si decidano!

O scappano oppure come io sono convinta si fiondino sugli impeti di codesto dittatore: se volete porno smodato, con femmine domate, frustate, legate, senza tregua sodomizzate, affidatevi a Pontello: scorderete ogni anorgasmia (soprattutto se in coppia con Marilyn Jess).

 Se avete fegato e curiosità, puntate sul demodé "Valentina Ragazza in Calore", debutto porno di Moana Pozzi, e prendete le giuste contromisure: ecco a voi una Moana giovanissima e senza i ritocchi chirurgici che l’hanno resa immortale. E cauti su dove cliccate: svariati video che spacciano per intero questo porno in realtà contengono montaggi e aggiunte con bionde fatte passare per Moana ma che non sono Moana, e l’inganno è palese. Come ti avvedi della sua poca domestichezza coi p*mpini… era agli inizi.

Tra i finti amatoriali del passato, sono apprezzatissimi quelli che prevedono la (finta) violenza contro donne che fanno le mogli che sono straziate e in ogni buco spermate da altri, davanti ai mariti impotenti. È pornografia di nicchia segretamente amata da i più insospettabili, e specie se girata in bianco e nero, molto di più se seppiata: produce godimento singolare e niente male, ve lo posso assicurare: frequentavo un uomo pazzo del genere, la passione sua è sc*pare con preliminari costituiti dalla vista di porno con donne incarnanti mogli sessualmente ghermite da uomini aventi immobilizzati i mariti così impossibilitati a frenare un tale (finto, ok?) scempio.

E se pensate che quest’uomo poi tra le mie gambe di suo efficiente fosse malato, preda di turbe sue, esaltato… state nell’errore più totale. Il guaio dei siti di porno classico è che, se sono forniti di porno d’autore anni '70, sono scarsissimi di porno d’autore anni '90: questioni di copyright, vai a sapere, fatto sta che di Andrew Blake e Anthony Ninn ho rinvenuto pochissimo.

Al contrario, di Selen si trova parecchio pur se spezzettato e però i suoi 3some sono da podio e la potete ammirare pure doppiata in più lingue, cari estimatori di porno sceneggiati e dialogati (ma è tanto necessario ascoltarli parlare??? Il mio clitoride si ammoscia a sentir certe "dizioni"… mah, a ognuno il suo piacere). Sui siti di classic porn si scovano particolarità come i porno con Baby Pozzi, la sorella minore di Moana, ma pure i porno con Eva Henger!

E meno male che la signora Henger in più interviste asserisce che lei il porno hard non l’ha fatto, no, e se l’ha fatto l’ha fatto soft, sì… ma se le cose stanno come dice lei, chi è quella Eva Henger che, su Tubepornclassic, se la porno spassa in ogni posizione in "Eva e il Mar(r)occhino"?

Era o no, tra le pornostar, quello di Eva Henger un corpo tra i più imponenti? Di Traci Lords c’è alquanto e dio santo se era mille spanne sopra le altre, e dio santo se era minorenne… e padrona della scena e del suo corpo e di ogni suo orgasmo. Indomabile per qualsiasi uomo, sia partner che regista. Mai vista una tal tiranna, una pari soverchiatrice di maschi. Ne hanno, da imparare, certe ninfette o pseudo tali di OnlyFans!!!

Barbara Costa per Dagospia il 5 marzo 2023.

Gli anni '80 sono stati l’età d’oro del porno”. P*ttanate! P*uttanate! P*ttanate! Non c’è menzogna più grande che del porno possano dire, e a farlo sono le ex dive, leggende viventi che oggi, intorpidite 60enni, si arrampicano sulle loro illusioni per evidenziarsi alle giovani migliori. 60 anni li ha compiuti Ginger Lynn, pornostar simbolo di quegli anni '80 dorati perché lo crede lei, lo racconta lei, a sé stessa e a noi, e si guarda bene da dircela tutta!!! Ginger Lynn ha rilasciato l’ennesima intervista dove loda il porno che fu e la pornostar che è stata, trionfi e denaro, e però mica lo dice, che era alcolizzata e cocata fin alla cima dei capelli!

Un’età d’oro del porno non è mai esistita. Se per oro si intende i soldi che girano e il lusso e la libertà di corpi che esibiscono sesso davanti a una telecamera… allora l’età d’oro è quella odierna, e nessun’altra. Sicuro: mai come adesso nel porno – e in quello di serie maggiore – gira tanto denaro, e non solo: mai come ora si è liberi di fare porno, padroni del proprio corpo e del nome e del materiale hard realizzato e messo in commercio.

Gli anni '80 di Ginger Lynn e colleghe giungono a noi mitizzati e per bocca loro: offrivano un porno la cui realtà dei fatti non era d’oro e neanche rosea. Non è vero che mulinavano più soldi, che le attrici erano pagate di più, che il porno era solo a grosso budget!!! Questo dice Ginger Lynn, ma questo vale per sé e per pochissime altre elette. Il porno degli '80 era un mondo chiuso, ristretto, dov’accedevano in pochi e ancora meno erano coloro che assurgevano a star.

Solo questa élite si arricchiva e, come rivela Ginger Lynn, “incassavo 1000 dollari al giorno, doppi per le scene anali, avevo una mega villa, a Beverly Hills, con 7 camere da letto, e 7 bagni, la mia vicina di casa era Madonna, in garage avevo le Porsche, e facevo vacanze da sogno, e spendevo e spandevo”. Era un paradiso per prescelti. Il presente è completamente diverso, è più accessibile e più svincolato, e se tu vuoi fare porno lo fai anche da sola/o, in autonomia, senza pappa e senza intermediari, e puoi fare soldi, e soldi che rimangono ingenti per una élite, certo, e che però sono pure guadagno non male largamente democratico.

Nessuno dice – tantomeno Ginger Lynn – che nei "favolosi '80" le pornostar non avevano diritti: prese da agenzie porno, divenivano una loro proprietà. Erano gli agenti che ne stabilivano nome, favella, look, peso, trucco, capelli, interventi chirurgici secondo loro essenziali. Solo chi ascendeva a diva poteva avere voce in capitolo sugli atti sessuali fatti sui set. Una pornodiva '80 guadagnava ma firmava per avere zero diritti su di sé e su ciò che girava.

Da un suo film ne ricavavano 10, 100, e lei poteva farci nulla, né nulla in più vi otteneva. Se voleva lasciare l’agenzia… perdeva tutto. Era "cosa" loro, di un porno capeggiato da uomini gran parte non limpidi e "legati" alla mafia, perché era la mafia che prima dell’avvento del web comandava su buona parte del porno, immettendoci soldi freschi – e sporchi, per riciclarli, e così finanziarli, i porno – ma soprattutto spadroneggiando sulla distribuzione di cui deteneva delinquente monopolio. Tutto 'sto schifo è morto soltanto col web.

E poi, le droghe. Il porno '80 accettava star drogate, non diceva loro niente. Ginger Lynn, mentre sfrenava il suo corpo magnifico sui set, era – lo ha ammesso lei, in altre conversazioni – fatta di alcool e droghe, vieppiù cocaina. Ginger Lynn se n’è andata dal porno lei sostiene perché voleva diventare la “nuova Meg Ryan”, e cioè sfondare a Hollywood (lasciato il porno ha fatto vari film di serie B, indovinate in che ruolo? m*gnotta, o spogliarellista), ma anche perché alcool e droghe avevano gonfiato e sformato le sue preziose curve.

Ginger Lynn proviene da una famiglia disastrata e con la sua storia pietosa di botte aborti e povertà ha alimentato il mito delle pornostar che fanno porno perché disagiate, piene di problemi irrisolti e carenze affettive. Realtà che in verità toccava una misera percentuale di attrici anni '80, e comunque, di questo il porno che c’entra? Che ognuna si prenda totale responsabilità delle proprie scelte e di conseguenza allarghi gambe, ano e bocca con consapevolezza e cognizione.

Le pornostar attuali sanno ciò che fanno e lo fanno perché lo vogliono e non stanno a frignare di “non trovare l’amore perché faccio porno!”. Altra tipica lagnanza delle pornostar anni '80, e di Ginger Lynn, che ha avuto 2 amori celebri, Charlie Sheen e George Clooney. Con Clooney è durata 6 mesi e, quando lui era in procinto di sposarsi con Amal, Ginger è magicamente rispuntata sui media per informarci di quanto ce l’ha grosso Clooney, e di quanto è stallone Clooney…

Ginger Lynn conserva notorietà tra i pornofan di ieri e oggi. Tra i boomer che non dimenticano i suoi porno strong (Ginger è stata tra le prime a aprirsi a doppie e triple penetrazioni, anche anali) né i suoi porno conditi di turpiloquio. E tra chi l’ha scoperta da porno-milf (dopo 13 anni di flop a Hollywood Ginger, per soldi, è tornata al porno ultra40enne, girando clip di successo). Ormai è fuori dal porno da 10 anni. Sul web la si trova però in porno-posa e da porno-nonna, come se non riuscisse a staccarsi da ciò che è stato, e che sì, è stato bello, folle, esagerato…

Per i suoi stravizi Ginger ha pagato prezzi altissimi, e fisici e giudiziari (dentro per evasione fiscale, fuori in libertà vigilata che non ha rispettato, come non ha mantenuto la promessa al giudice di disintossicarsi da droghe e alcool). C’è qualcuna nel porno corrente che vorrebbe barattare ciò che nel porno fa ed è con quello che il porno è stato?

 Non credo. Davvero ambirebbe un ambiente dove non c’era alcun controllo medico, e gli attori non erano tassativamente testati? E la stessa Ginger Lynn è una autentica miracolata, avendo girato porno non protetto, negli '80! col flagello dell’hiv!, non essendosi presa alcunché… Niente è mai ciò che sembra. Si sa. Sarebbe ora di finirla di propagar storie edulcorate su eden passati mai stati.

Barbara Costa per Dagospia il 28 gennaio 2023.

Dove va il porno nel 2023? Alla guerra! Contro i poteri, statali e federali, contro il Congresso americano, contro le leggi bancarie inique, contro ogni tipo di censura! E sapete con quali armi? Le lobby e i grandi studi di avvocati. Ovvero con le stesse armi con cui per tutto il 2022 - ma non solo nel 2022 e però tanto nel 2022 - hanno provato ad affossarlo, per un ritorno alla censura quale, quella degli anni '50 del secolo scorso???!?

Illusi, indietro non si torna e il porno procede a testa alta, deciso, zeppo di soldi com’è, e se c’è un altro avversario che se la deve far sotto è il cinema mainstream: il porno ha questo obiettivo, e punta a ottenerlo ad ogni costo: il porno vuole essere riconosciuto cinema di genere - +18, certamente - ma di pari diritti e livello di chi recita horror, commedie, drammi, fantascienza.

 Il porno non vuole smettere di dar fastidio, non vuole snaturarsi, ma vuol fare concorrenza a chi gli spettatori allieta e coi soldi di questi allietati si fa ricco. Vuole "quegli" spettatori, vuole "quei" soldi. Forte di risorse ingenti e in crescita, il porno (quello che comanda, cioè quello USA) mina il mainstream iniziando dalla pubblicità: ehi, gente, da quanto non fate un giro per le strade di Hollywood? O sul Sunset Strip?

Dove prima svettavano maxi cartelloni pubblicitari di Gigi Hadid e di Pete Davidson, ora vi sono al loro posto le pornostar (vestite) che fanno réclame di sé stesse, e del porno che fanno e vendono, dei brand del porno, o di merce che col porno nulla c’entra ma che ha scelto le star del porno come testimonial. E chi negli ultimi mesi è stato a Times Square, NYC, sarà certo passato sotto e accanto ai maxi cartelloni di Kiki Klout, sex model e creator. Una mossa pubblicitaria antica però perspicace a proporre innovativi lavori che tale mossa costosa permettono. A Kiki altre seguiranno.

OnlyFans ha rivoluzionato il porno: durerà? Nel 2022 l’offerta di creator OF ha superato la domanda. OF si sta sovraffollando e il porno sul set non ne risulta toccato ma si è fatto mille volte più selettivo. È una realtà che dalla galassia OF è arduo scoprire chi davvero sappia cavarsela su un set. Set porno che aprono, nuovi investimenti sono all’attivo, e il Colorado s’avvia mecca del porno con California e Nevada e Florida.

Set come "TRTMedia", dove si gira porno gonzo (solo sesso, zero plot) ma pure porno come una volta, con sceneggiatura, elaborata, e trucco e parrucco e costumi rifiniti. E ci sono studios che ampliano formula e che, mie care, ci hanno sgamato: "Corbinfisher.com", porno studios gay, si apre al porno bisex e assume donne perché ha capito che sono le donne una ampia fetta di pubblico scaricante porno di maschi gay, e di maschi bisex che sc*pano e con donne e con uomini (e ci ha ben stanato pure Pornhub, il quale registra che il 46,7 del porno gay maschile che offre, è guardato da… donne!).

Nuovo porno sui set che coi più rinomati studios scommette sull’interattività (se vai su "Sexselector.com", lo trovi impostato a tuo comando: sei tu che stabilisci con un clic o un tap cosa la pornostar deve fare) e sul ritorno che sui social si può avere. Ma il porno può durare e stare (vestito) sui social? Instagram ha bannato Pornhub, seguitando a contenere pagine di pornostar "caste": e però il porno ambisce a liberarsi da IG, Twitter, TikTok, per mettersi in proprio su social più piccoli però più liberi.

 Nel 2022 "Playboy" per la prima volta ha messo in copertina un sesso femminile. Sul serio: su "Playboy Germania", una vagina, aperta, in primo piano, ricoperta di fiori. Immagine subito rimossa su IG. Se occulti un capezzolo con un fiore per Meta è ok, se copri una vagina con 30 mila fiori, no?

Se il porno fa perno su Maitland Ward, attrice di Hollywood ora pornostar e neoautrice di "Rated X", memoir che svela Hollywood nelle sue ipocrisie e pone il porno sul suo più giusto - sicché non sporco - piano (e che aspettate, editori, a tradurlo in italiano?), e se il porno fa perno su Chloe Cherry, stellina hard e star di serie tv non hard, su Charly Summer che da OF e dai set porno passa a HBO, impavido il porno più non ci sta a farsi raccontare da chi del porno non è e non sa. Avete lodato il film "Pleasure"? Bravi, e avete sbagliato, perché se del porno volete sapere è "Stars" che dovete guardare.

"Stars" che non è agiografia del porno ma porno che inchioda sé stesso al suo lato buio, dove vi sono magnaccia tuttora lesti, che illudono neodiplomate/i che col porno vogliono provarci. Sebbene l’icona disgustosa del sudaticcio agente porno infame e col sigaro sia affidata alla Storia (oggi il porno è guidato da boss e da agenti puliti la cui gran parte sono donne, e agenti che eseguono il primo talent scouting in rete - chi da sola riesce a salire nella classifica amatorial di Pornhub o consegue uno score straordinario su OF non passa inosservata - scouting a cui segue ogni volta un colloquio vis à vis), più di un mascalzone in giro rimane, ed è in rete che adesca e poi abusa e di sesso delinque.

Le lobby e i poteri sparsi ma attivi che muovono guerra al porno in nome di una decenza e di un’etica che è la loro stiano pronti: il porno va a Washington! I capi porno non giocano più di rimessa, anticipano gli avversari, contro i cui lobbisti assumono pro porno lobbisti che come funziona in Campidoglio tutto sanno: lobbisti atti a sventare i progetti di legge anti porno (sotto Trump, sotto Biden) e a limitare i danni di leggi in vigore che imputano alle porno piattaforme le male azioni che un performer di sua sponte su una piattaforma fa.

E sono le banche che vanno fermate, nelle loro normative anti porno per niente eque: un lavoratore porno è identico a un lavoratore non porno, e non deve esser discriminato né sottoposto a più tasse. E sono i regolamenti statali che vanno combattuti: in nome del Primo Emendamento. E non si creda che sia esclusivo problema americano: la censura, e le azioni di lobby anti porno, toccano chiunque inserito nel settore, americano e no.

E quando si metteranno in essere regole sovranazionali a difesa dei minori prede del porno sul web, che ne fa spietato smercio??? V’è bisogno di una alleanza pro porno USA e Europa come quella creatasi per la lotta alle malattie veneree. Il Covid ha portato al collegamento fattivo tra i database USA e europei (database che registrano e monitorano in continuo la salute di ogni pornostar), per cui i test tassativi ai quali ogni performer ogni 14 giorni deve sottoporsi sono ora connessi tra gli studios USA e quelli di Praga e Budapest. E i nuovi test adesso rilevano ceppi di clamidia rari.

Piangete miseria e per una buona causa? Guardate il porno da tempo cosa fa, e che nessuno sottolinea: il pornodivo James Deen ogni anno dona buona parte del suo non misero guadagno alla lotta contro il cancro, e i suoi siti ospitano brand che di tale lotta sono occhiello. James Deen non è il solo, è solo il più famoso.

 E se il porno s’è avviato verso le criptopay, chissà se le manterrà: numerose pornostar hanno dato e volto e corpo e pagamento in criptovalute a siti che ne gestiscono vendita e traffico, e specie su app. Chiaro che le ultime notizie in merito, e di tonfi economici e di cronaca giudiziaria, non promettono bene…

Micol Ronchi per mowmag.com il 26 Dicembre 2022.

Nel mulino che vorrei manca solo Sacha Grey”. Non ricordo quale delle mie brillanti amiche se ne sia uscita con questa perla, ma ricordo ancora che quando sentii questa frase per la prima volta, risi più del necessario e pensai: “Maestra”. Si, perché io personalmente l’industria del porno mainstream l’ho sempre apprezzata e al suo interno ho trovato grandi modelli didattici, come la Sacha internazionale, nostra Signora dei Blow job e ginnasta di livello sublime. Nonostante abbia passato più tempo su Yuoporn che sul sito ufficiale di Super quark, non mi sono mai soffermata a chiedermi se quello che stavo guardando fosse giusto, equo o se il punto di vista che stava venendo registrato fosse fatto anche per risultare eccitante a me, una donna.

In realtà no, al centro dei pensieri di chi confeziona questo tipo di film non ci siamo noi altre utero-dotate, ma i “falloadolescenti” che devono imparare a giostrasti tra le sottane di qualcuno senza risultare un emerito imbranato, cosa che poi ovviamente sembra, visto che il porno “tradizionale “ è fatto soprattutto di performance atletiche noiose e ripetitive, dove l’attore non ha una faccia e manco deve averla, visto che è messo lì perché chi sta guardando possa immedesimarsi nella sua “maschianza “.

Ma accanto al “porno facile e per uomini” esiste il porno etico. Ammetto che ignoravo cosa fosse fino a pochissimo tempo fa, ma se può interessare a qualcuno è molto eccitante e spiego perché: il maschio è sempre presente (dal mio punto di vista di donna banalmente etero è un elemento fondamentale per arrivare a concludere qualcosa) ma sollevato dal peso di essere il Superman del coito, il cacciatore del clito, il martello di Dio delle ovaie; le attrici più varie, meno patinate e finte, libere di poter esprimere la loro perversione come vogliono perché, udite udite, il gentil sesso oltre ad andare al cesso e ruttare come (a volte) un uomo apprezza anche il sesso in tutte le sue più svariate forme, incluse quelle dominanti, violente e sporche . Va bene essere emotive, ma non credo esistano molte donne che vogliano davvero essere prese e ribaltate con la stessa cura con cui si gira una frittata al tartufo in padella.

Il punto di vista di questa pornografia abbraccia un po’ tutti: lui, lei, l’altro. Il viso nel momento dell’orgasmo ha un valore e spesso è protagonista in quell’istante. Insomma, viaggia tra fantasia, desiderio, erotismo e va ad arpionare le voglie del bassoventre di tutti. Ma il discorso non è solo il seguente. Per questa corrente di pensiero al centro del dibattito ci sono anche le condizioni di lavoro degli attori, per i quali si chiede un’attenzione maggiore ai contratti, la possibilità di leggere prima le scene ed eventualmente rifiutarne alcune o poter manifestare delle perplessità senza rischiare di venire escluso dal progetto. 

Etico sotto tutto i punti di vista, insomma. Tra le varie cose per cui si differenzia questa tipologia di prodotto, in generale parliamo di film esteticamente più curati, con una trama (si, pare che i porno abbiano una trama), di una qualità fotografica più alta e in generale non sono visibili gratuitamente, ma non lontani dai costi delle versioni premium delle piattaforme che siamo abituati a usare. Le più famose alternative a Pornhub sono: Four chambers (un progetto a metà tra il porno e l’artistico ), Pink Label, Bellessa (una sorta, a detta loro, di Netflix del porno).

A veder bene io questo tipo di racconto porno lo approvo: non perché non ami le bambolone patinate dei film di Rocco Siffredi, anzi (se devo sognare tanto vale farlo in grande, in ogni senso) ma perché, forse, grazie a questo tipo di film gli uomini potrebbero prendere in seria considerazione un’ipotesi durante il momento della fornicazione: “Ah già! C’è anche lei”. E si pensa: “Ce sto’ anch’io. E non mi chiamo Federica...”.

Natasha Pearl Hansen per “Men’s Health” il 26 Dicembre 2022.

Quanto fa male lo stress da vacanza? Così tanto che, come abbiamo già scritto, in molti durante Natale smettono di fare sesso. E se invece riuscissimo a ridurre le preoccupazioni per lasciare intatta la nostra vita intima? Be’, è più facile di quando si pensi, basta mettersi nudi. 

Mia nonna diceva che i vestiti implicano prendere decisioni, e le decisioni sono fonte di stress, quindi liberarsi dei vestiti significa liberarsi dallo stress. Le nonne hanno sempre ragione. Più ci liberiamo di elementi della routine, più ci liberiamo emotivamente.

Natasha Turner, dottoressa in naturopatia, è convinta che stare nudi elimini lo stress. I migliori risultati si ottengono condividendo la nudità con un’altra persona. I bambini appena nati non sono gli unici a godere del contatto pelle a pelle, ne godiamo tutti perché riduce il cortisolo, l’ormone dello stress. Inoltre stare nudi aiuta la circolazione e ad eliminare le tossine, previene infezione fungine, riduce i rischi di irritazione 

Come affrontare un Natale “nature”? Con il vostro partner decorate l’albero, uno dei due dovrà mettere quell’angelo in cima e finirete come già sapete, rotolati a terra, ma pieni di brillantini e con qualche ornamento distrutto. Invece di andare in giro a fare i cori natalizi, restate in casa, nudi, versatevi un buon bicchiere di whiskey e ballate in intimità. Cucinate nudi, sarà un incontro particolarmente piccante. Niente è meglio che sdraiarsi nudi sul divano e godersi un po’ di televisione, il lieto fine è assicurato.

Barbara Costa per Dagospia il 26 Dicembre 2022.

Da quando esiste Babbo Natale? Di sicuro non da poco. Ed è da quando esiste la pornografia, specie cinematografica, che Babbo Natale è stanato nelle più lerce pose! Che sesso e Babbo Natale stessero d’incanto insieme, chi fa porno lo ha capito all’istante, e infatti si giura che, tra i primissimi girati cinematografici, vi sia Babbo Natale che sc*pa e si fa sc*pare.

Un filmato degli anni '20 del Novecento, giusto un secolo fa, è fruibile sui siti porno free: se sia autentico o no è questione dibattuta, quel che è certo è che Santa Claus le donne non vedono l’ora di averlo tra le gambe, per scartare altri doni, per ricevere ben altro "pacco"! È quello porno un Babbo Natale senza candore, che reclama potenza virile, e se oggi, Babbi Natale e più Mamme, ci tentano in natalizia offerta speciale sulle app hot, pronte/i previo pagamento a offrirci focosi virtuali sollazzi, in tempi pre app il cinema porno sotto le Feste si scatenava a sfornare Babbi Natali e i più arrapati, sfoderanti sacche di sperma letizia. 

Non c’è pornoattore acclamato (passato, ma pure del presente) che una volta l’anno non abbia indossato – e subito dismesso – divisa rossa e barba bianca per omaggiare la più cedevole fanciulla o – ma solo all’inizio – la più ritrosa.

Fin troppo ovvio oggi tacciarli di maschilismo, ma sono stati gli anni '70, se non di più gli '80, a regalarci i Babbi Natali pornografici migliori, e mi si permetta l’onta di mettere sotto le natalizie luci della ribalta il divenuto innominabile Ron Jeremy (e a proposito: magari col nuovo anno ci daranno sue nuove, lo faranno uscire di galera o sanciranno di farlo marcire tra le sbarre perché è come dice l’accusa, Jeremy è un vecchiaccio stupratore, e di minorenni, e merita di finire la sua vita in prigione), Ron Jeremy, sottolineo, che, col suo panzone, era un Babbo Natale credibilissimo, e porno primeggiante su colleghi stalloni a pene messi pure meglio di lui. I porno di Natale con Jeremy si trovano in rete, e alcuni sono serial. 

Le cosce e i seni vieppiù se pompati e il fisico tutto delle attrici porno sono stati sotto Natale chiamati agli straordinari, fin dalla notte dei porno tempi. Non c’è pin-up che a Natale non abbia "dato" il meglio di sé e colmato le Sante Feste di urli e ansimi i più deliranti. È "Hustler" che come al solito frantuma ogni tabù e il vischio l’infila dritto nella f*ga (vischio masturbatore!), come sì che infila un Babbo Natale alticcio, reduce da gozzovigli ma per niente stanco a letto, con l’ennesima femmina atta a prendergli il pene in bocca a compiacerlo compiaciuta di un Babbo Natale che sa in acrobazie soddisfarla, e a ripetizione.

Sarà per la patina glamour che fu, o per il vello femminile non depilato e nemmeno piallato e assolutamente non minato da fotoritocchi, ma le f*ghe dei '70 sono per me irresistibili e irripetibili. Fresca, vergine del volgare barocco degli 80s e della grandeur dei 90s, la Seventies Pussy a Natale si prende licenza di e su ogni cosa, dalla stecca di pan di zenzero spinta al clitoride, alla mano che in primo piano spinge e affonda nei peli bagnati. 

Perdendo niente in grazia. Il Natale porno vintage libera gli ardori di lotte LGBT+ nascenti, e culturisti affogati di anabolizzanti – e non tutti gay – gaiamente folleggiano su riviste omoerotiche camuffate da stampa trattante salute e benessere. Vi sono poche esitazioni: a Natale i porno più aizzanti rimangono quelli a orgia. Di femmine!!! Tolgo qualcosa alle f*ghette le più a Natale glabre e luccicanti sui social, e con i video e le foto a richiesta sonanti, se dico che Bettie Page, nuda, anche sotto Natale, e massimamente sotto Natale, ti annega la bocca di saliva, e ti allaga tra le cosce, pari a nessuna?

Estratto dell’articolo di Valeria Di Corrado per “Il Messaggero – Edizione Roma” giovedì 9 novembre 2023.

«L’ho fatto un po’ per soldi, un po’ come sfida. Avevo solo 15 anni, ero ingenua». Baby squillo per gioco e, come ha spiegato ieri ai giudici a distanza di 7 anni, per incoscienza. Nell’estate del 2016 Marilù (il nome è di fantasia, ndr) si era prestata ad avere rapporti sessuali a pagamento indotta da un fotografo romano di 33 anni più grande di lei, Massimiliano B., ora imputato per prostituzione minorile davanti alla prima sezione penale del Tribunale della Capitale.

I fatti si sarebbero svolti nello “Studio 10” di Torre Angela, dove alcune adolescenti con il sogno di diventare modelle finivano per vendere il proprio corpo e girare video hot. L’uomo, che ora ha 55 anni, insieme al suo amico Stefano Grimaldi, l’ex militare con l’hobby delle foto già condannato con il rito abbreviato in primo grado a 7 anni di reclusione per prostituzione e pornografia minorile, avrebbe anche utilizzato Marilù e l’amica del cuore Rossella (pure lei 15enne) per «realizzare un’esibizione pornografica, inducendo le vittime a compiere atti sessuali tra loro». I due uomini le incentivavano a proseguire lanciando in aria e addosso alle ragazzine le banconote con le quali le pagavano, filmando il tutto.

Ieri nel corso del processo a carico di Massimiliano B. sono state sentite le due vittime. Rossella, la prima a sedersi sul banco dei testimoni, ha avuto serie difficoltà emotive a ripercorrere quel periodo della sua vita. Tant’è vero che più volte il collegio ha dovuto interrompere l’udienza perché la ragazza ha avuto dei conati di vomito. «Avevo appena 15 anni, l’ho fatto per guadagnare qualche soldo, ma poi con il tempo mi sono schifata di quello che mi avevano convinta a fare», ha raccontato Rossella tra le lacrime.

[...] Invece era finita per prostituirsi con Grimaldi e altri uomini, in cambio di denaro, sigarette e trucchi. La sua drammatica vicenda è venuta alla luce grazie alla denuncia sporta dal titolare di una palestra in zona Ardeatina, con il quale Rossella si era confidata, dopo avergli chiesto di insegnarle una mossa di arti marziali «idonea a uccidere un uomo». 

«Anche lei l’ha fatto per soldi?», ha chiesto il presidente Alfonso Sabella a Marilù, la seconda vittima sentita come testimone. «Si, con l’ingenuità di una quindicenne, ho seguito la mia migliore amica, con la quale avevo una relazione simbiotica, come è tipico di quell’età - ha spiegato la ragazza, che oggi ha 22 anni [...]

Poi ha confermato che Massimiliano B. sapeva che era minorenne, «perché nel tragitto mentre mi accompagnava in macchina ha fatto riferimento all’età mia e della mia amica, in relazione alla pericolosità della situazione. Non mi ha detto esplicitamente di non dirlo a nessuno, ma ha mi invitato a prestare attenzione a questa vicenda, proprio perché eravamo minorenni». […]

Da ilmessaggero.it del 29 giugno 2017

Aveva detto alla moglie di non aspettarlo per cena, perché avrebbe incontrato degli amici. In realtà, aveva deciso di andare a prostitute in una zona diversa dalla solita, dove oltre alle nigeriane da qualche tempo hanno fatto la loro comparsa anche donne italiane. Per un 51enne napoletano, però, il 'tour del sesso' ha riservato una sgradita sorpresa. 

L'uomo, residente nella periferia orientale del capoluogo campano, nella serata di domenica scorsa aveva deciso di fermarsi davanti a una prostituta scovata sul ciglio della strada. Quando si è avvicinato, però, ha fatto una tremenda scoperta: quella donna in minigonna e tacchi vertiginosi era sua moglie, una 37enne che a quanto pare si prostituiva da qualche tempo a causa dei problemi economici della famiglia e approfittando delle continue e prolungate assenze del marito.

«Amò, che fai mmiez e putt***?», avrebbe esclamato l'uomo secondo il portale locale InterNapoli.it. Inevitabile, a questo punto, la lite tra i due, prima verbale e poi sfociata in un'aggressione fisica da parte dell'uomo, bloccato poi da una volante allertata da alcuni passanti che avevano assistito alla scena ma senza intervenire. Una vicenda dai contorni tutt'altro che definiti che non sta trovando conferme ufficiali.

Il mestiere più antico. Il «modello nordico» sulla prostituzione non è proprio un modello. Enrico Varrecchione su L'Inkiesta il 30 Settembre 2023

Il Parlamento europeo ha elogiato la strategia di Paesi come Svezia e Norvegia. Questo approccio, però, criminalizza la clientela, non ha eliminato il fenomeno e trova contrarie le stesse organizzazioni di lavoratori e lavoratrici del sesso 

Lo scorso 14 settembre, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione proposta dalla parlamentare socialdemocratica tedesca Maria Noichl che ha come obiettivo quello di promuovere il Modello Nordico nell’approccio alla prostituzione.

Si è trattato di un voto che ha diviso trasversalmente le famiglie politiche europee, proprio in virtù della particolarità della proposta, che consiste, sostanzialmente, nella criminalizzazione della clientela. Fra i Paesi che hanno deciso di adottare questa strategia o alcune sue varianti, vi sono la Svezia, che per prima l’ha introdotta nel 1999, la Norvegia, l’Irlanda e la Francia.

La faglia politica

A Strasburgo è emersa così una maggioranza favorevole composta da Popolari, Socialdemocratici e una parte di Liberali, Verdi e Sinistra, e al contempo un’ala contraria in cui si ritrovano la maggioranza dei Conservatori (escluso l’italiano Nicola Procaccini, di Fratelli d’Italia), dei Liberali, dei Verdi e l’intero gruppo euroscettico di Identità e Democrazia, di cui fa parte la Lega di Matteo Salvini.

L’obiettivo del Modello nordico è quello di ridurre la domanda e di conseguenza diminuire gli episodi sfruttamento e traffico di esseri umani. Ciò ha comportato una spaccatura a sinistra fra sostiene la legalizzazione della prostituzione in virtù dell’autodeterminazione, in particolare quella femminile, e chi, invece, la ritiene un retaggio della società patriarcale; a destra, la divisione è fra chi condanna la prostituzione per ragioni morali e chi la difende, magari ricordando l’epoca d’oro delle case chiuse.

La firmataria della risoluzione, Maria Noichl, ha commentato così la sua approvazione: «Oggi il Parlamento dà voce a persone, specialmente donne, che sono state tradizionalmente trascurate, marginalizzate e stigmatizzate dalle nostre società. Siamo al fianco di chi a lungo ha messo in guardia dalla realtà della prostituzione. Questa risoluzione indica le cause che caratterizzano la maggior parte delle persone che si prostituiscono e sottolinea le azioni da intraprendere: creare programmi di uscita e alternative, eradicare la povertà e l’esclusione sociale, smantellare stereotipi e diseguaglianze e ridurre la domanda colpendo la clientela».

Nonostante il voto favorevole della stragrande maggioranza del gruppo dei Socialisti e democratici (S&D) e dell’estrema sinistra, si sono espressi in maniera contraria i danesi Fuglsang e Schaldemose e la finlandese Modig. Entrambi i Paesi mantengono un approccio diverso, attraverso il quale è legale l’esercizio della prostituzione e la clientela non è punita, ma non sono previste forme di regolamentazione come ad esempio in Germania e nei Paesi Bassi.

I dati: una questione di decoro

In che modo ha funzionato il provvedimento, dove è stato applicato per la prima volta? L’impatto è stato studiato dal governo svedese, che nel 2010 ha pubblicato un report legato al fenomeno nelle grandi città. I valori dimostrano come, con l’eccezione della terza città del paese Malmö (che però è a due passi da Copenhagen), non si siano registrate drastiche riduzioni nella prostituzione in strada.

Con l’introduzione della legge nel 1999, esattamente in corrispondenza con l’emergere di internet, si sono al contempo sviluppati gli annunci online. Secondo un articolo del 2012 del quotidiano Aftenposten e una ricerca dell’istituto Pro Senteret, gli effetti della legge norvegese del 2009 sarebbero stati limitati ad una diminuzione della prostituzione visibile, ovvero in strada. Insomma, più una questione di decoro che di sostanza.

Lontano dagli occhi

E le persone direttamente interessate, cosa ne pensano? In Svezia, l’organizzazione di riferimento è Red Umbrella Sweden. La portavoce, nota con il nome d’arte di Kira Stellar, è anche il trait d’union fra la sede principale di Red Umbrella (ad Amsterdam) e il gruppo di lavoro svedese.

«I clienti temono di essere arrestati, per questo fanno di tutto per nascondere la propria identità e sono le prostitute stesse a dover accettare queste condizioni per poter esercitare», racconta spiegando le difficoltà che normalmente si riscontrano in Svezia. «Poiché negli alberghi il personale è preparato e allertato per contrastare prostituzione, gli incontri possono avvenire in luoghi anonimi e lontani dal pubblico, ad esempio boschi o aree isolate, con tutti i rischi del caso. Sarebbe molto meglio se questi incontri avvenissero in luoghi sicuri».

Più insicurezza

In Norvegia, ne parla Astrid Renland, criminologa e coordinatrice amministrativa dell’organizzazione Pion, che dal 1990 lavora a stretto contatto con la prostituzione.

«Dall’introduzione della legge sono sorti molti problemi. Il principale è la repressione delle autorità: con la scusa di contrastare lo sfruttamento e il traffico di esseri umani, la polizia ha finito per allontanare chi lavora dalle proprie abitazioni anche di fronte a proprietari ignari, o dalla propria cerchia sociale, perquisendo appartamenti e alberghi o imponendo l’analisi dei contatti telefonici, anche queli privati dedicati alle famiglie. Il tutto nonostante l’esercizio volontario sia una pratica legale».

L’impatto è devastante dal punto di vista della sicurezza: «C’è una mancanza tale di fiducia verso le forze dell’ordine, che non si denunciano episodi di violenza e furto ai quali le persone che lavorano in ambito sessuale sono particolarmente esposte, soprattutto ora che si ritrovano isolate fra loro non potendo esercitare in luoghi condivisi», spiega Renland.

Criminali e criminalizzati

Cos’è cambiato nell’approccio dei clienti? «Non sono un gruppo monolitico. Si diceva che sarebbero spariti i clienti pericolosi, ma non è così. Il divieto ha creato diverse aree di contatto e i clienti più benestanti possono utilizzarle senza essere intercettati dalla polizia. Invece, chi esercita in strada, riporta una maggiore rilevanza di clienti stranieri, ad esempio dall’Est Europa, e le attitudini nei loro confronti sono diverse, anche per fattori culturali».

«Ad ogni modo, la criminalizzazione influenza il comportamento dei clienti e alcuni pensano di potersi comportare come vogliono». E ciò comporta altri rischi. In un’indagine dell’organizzazione Pion del 2019 fra cinquanta persone iscritte, è stata individuata una prevalenza di sopraffazione e violenza. I più tipici sono gli abusi sessuali, ma sono comuni anche richieste di sesso non protetto o clienti che filmano i rapporti senza il consenso.

I «modelli» degli altri

I modelli di riferimento non mancano, indica Renland. «In Olanda e Germania sono in vigore licenze per aprire le case di tolleranza, ma esiste ancora un coinvolgimento da parte delle forze dell’ordine per il controllo del fenomeno. La legge in vigore in Nuova Zelanda, in Belgio e in alcuni stati dell’Australia, invece, ha rimosso la prostituzione dal codice penale indicando i diritti e i doveri delle prostitute, salvaguardandone la salute»

La legge neozelandese del 2003 è effettivamente una delle meno stringenti nell’ambito: le limitazioni sono legate all’età (è vietata fino ai diciotto anni) e all’eventuale costrizione. Per il resto, è garantita sia l’esistenza delle case di tolleranza che la possibilità per chi si prostituisce di associarsi commercialmente.

Una piaga molto grave, rimane il traffico di esseri umani: «C’è molta attenzione su questo e se riceviamo una segnalazione, non lavorando direttamente in questo ambito, indirizziamo le vittime verso le autorità. La nostra esperienza è che chi esercita sia maggiormente esposto dalla criminalizzazione rispetto a prima, perché maggiormente dipendente da chi organizza il mercato».

«Si è creato un mercato illegale per i criminali e altri profittatori, per questo è molto importante stabilire reti sociali per chi lavora, in particolare chi arriva da altri Paesi e non ha la protezione sociale che le reti di contatto possono garantire attraverso il contatto con la comunità. La polizia è più preoccupata a controllare la regolarità della permanenza nel paese: il problema è quando le vittime straniere vengono espulse dal paese perché irregolari, esponendole allo stesso rischio nello Stato dal quale arrivano», chiude l’amministratrice di Pion.

Barbara Costa per Dagospia sabato 2 settembre 2023.

Quali sono i clienti peggiori per una escort? Li volete sapere? Pronti per la classifica? Tra i meno peggio troviamo gli indecisi, ovvero quelli che prendono appuntamento, arrivano sul posto, e, al dunque… si fanno prendere dai rimorsi. 

Se ne vanno pure a avvenuta erezione, completa o parziale, la coscienza gli impone il passo indietro, la rinuncia al coito cornesco e proibito. Poco male, per l’escort, tanto il pagamento è anticipato. E non rimborsabile. Seguono i clienti che hanno pattuito una specifica prestazione, ma poi ne vogliono un’altra, ne vogliono diverse, e la escort si scoccia, primo perché è gran villania aver prenotato una cosa, e poi richiederne un’altra, e ricercata, e sofisticata, secondo perché la escort non si è preparata. Raro che soddisfi feticismi senza previa contrattazione, ancor più raro che faccia roba a tre e con una tizia terza portata "a sorpresa" dal cliente.

E poi, un cliente tale, chi crede di fregare? La sc*pata non duale costa di più. Più in alto a insopportabilità sta il cliente che dice che non fa uso di droga, ma che con la escort la porta, la prende, la offre. Dove è detto che una escort ne abbia voglia, o ne sia consumatrice, certi vizi meglio saperli prima, una escort ha ogni diritto di rifiutare un cliente cocainato o fatto di altro. 

Per non parlare del cliente drogato a cui si rifiuta la tirata in compagnia, e ti parte con la manfrina “non sai cosa ti perdi…”. Bellimbusti da sbattere alla porta! Però il problema più grande coi clienti che fanno uso di droghe prima di sc*pare, o per sc*pare, è che ti possono diventar intrattabili, e ingestibili. Sotto droghe la reazione non è scontata e non ogni volta positiva, ci sono quelli che partono a sc*pare a martello, opposti a quelli a cui non gli alza nemmeno per divina grazia. E questi possono essere tosti da calmare, e da appagare.

Peggio sono i clienti che ti arrivano e non vogliono sc*pare. Può sembrare un controsenso, oddio, lo è, ma quasi meglio un cliente pippato di uno che vuole mettersi a letto per intimità e coccole. Per gran parte delle escort è più sfiancante di una orgia. Lui è e rimane un estraneo, e la escort non è una psicanalista, men che mai amica sua.

Salgono nella classifica dei peggiori i clienti che ti arrivano, ti pagano, ti sc*pano, in innominate p*rcaggini, e al momento dei saluti ti attaccano la p*ppa “ma perché fai questa vita”, “sei una bella ragazza, potresti farti una famiglia, dei figli, avere un lavoro normale”, il quale il più consigliato è, 9 volte su 10, quello di agente immobiliare! Ma perché? Non ci pensano 'sti habitué che, a parte l’abissale divario di guadagno, se una escort volesse fare altro, e qualsiasi altro, lo farebbe, e di sua sponte??? 

Siamo al podio. Al terzo posto tra i clienti peggiori per una escort ci sono quelli che, prima della sc*pata, ti fanno vedere le foto della loro famiglia, dei bambini, e ti iniziano la lagna di cosa non va con la loro compagna, di quanto è str*nza e insc*pabile, e che loro ci stanno insieme solo per la prole!

Si aspettano compassione da una escort che pure gliela dà (però, che p*lle!) tanto il tempo in accordo lo paghi: vuoi lo sfogo di rogne matrimoniali invece dei preliminari? Ok. Dalla moglie acida e insc*pata ci torni tu, e ci vivi tu. Al secondo posto vanno incastrati i clienti che puzzano, e al primo… i taccagni! 

Sono questi i clienti che, dal compenso stabilito, vogliono la riduzione, e specie se sono "venuti" prima! Ma una escort non fa sconti. Mai. Neppure per orgasmo precoce. Mica è colpa sua. Paga bello! E i clienti braccino corto vengono subito depennati. Non sono accettati per un secondo incontro, e la loro cattiva fama corre veloce nelle chat tra escort.

«Avrebbe potuto fare la shampista». I giudici e le frasi choc sulla prostituta. Storia di Lara Sirignano su Il Corriere della Sera venerdì 1 settembre 2023.

Prostituta per scelta. Così i giudici della Corte d’assise di Palermo definiscono Precious, una ragazza nigeriana di 27 anni che ha denunciato il suo protettore dopo mesi di violenze. La vittima, secondo i magistrati, avrebbe volontariamente scelto di fare sesso a pagamento, ritenendo la prostituzione un mestiere più redditizio di altri.

La donna, che ha raccontato di essere scappata dal suo Paese per sfuggire alla vendetta di un clan mafioso locale e di essere arrivata in Italia nel 2016 sognando una nuova vita, viene definita dal collegio una «prostituta volontaria». Un soggetto, insomma, «da inquadrare, più correttamente, nella nota diffusa categoria delle cosiddette sex-workers, ossia nella categoria di quelle donne che preferiscono dedicarsi alla prostituzione, piuttosto che lavorare o svolgere lavori poco remunerativi, come potrebbero esser quello della “shampista” o di far capelli o di far treccine o di lavorare presso qualcuno come domestico (etc etc)».

Il giudizio è contenuto nelle motivazioni della sentenza con la quale il collegio ha comunque condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione, il protettore denunciato dalla ragazza, Silver Egos Enogieru. La Procura contestava all’imputato anche il reato di tratta di esseri umani e per questo ne aveva chiesto la condanna a 16 anni e sei mesi. «Questa “classificazione” della prostituta, naturalmente — spiega poi la Corte per motivare il verdetto di colpevolezza — non contrasta con la presenza di uno sfruttatore e favoreggiatore, che a sua volta si giovi delle prestazioni della lavoratrice e le agevoli, per rimpinguare anche le proprie casse».

Alla conclusione, che contrasta decisamente con quanto ricostruito dalla Procura di Palermo, la Corte giunge analizzando le dichiarazioni della vittima, ritenuta dai magistrati poco credibile quando racconta perché abbia deciso di trasferirsi in Italia. Precious ha detto di essere fuggita per paura di ritorsioni da parte della spietata mafia nigeriana, la black axe, e di aver vissuto l’odissea di tanti profughi: la tappa in Libia, la prigionia nei lager, la tortura e poi il viaggio in mare su un barcone con altri 150 disperati. In Italia alcuni connazionali l’avrebbero messa in contatto con Silver che l’avrebbe, poi, avviata alla prostituzione, chiedendole 1500 euro al mese.

Il nigeriano, sempre nel racconto di Precious, — almeno in questo i giudici hanno creduto alla ragazza —, l’avrebbe picchiata sistematicamente per ottenere da lei più soldi. Ma nella versione della 27enne, per la Corte d’assise, ci sarebbero molte lacune e le cose potrebbero essere andate diversamente. «È ben possibile — si legge nella sentenza — che a concordare l’operazione di trasferimento della ragazza sia stato l’intervento di una madame… e che solo dopo Silver abbia svolto un ruolo attivo durante l’attività di meretricio». Una ipotesi che «assolve» il nigeriano dalla accusa di aver costretto la vittima a vendersi, ma certo non autorizza la conclusione che una giovane, fuggita dal suo Paese, abbia avuto la possibilità di scegliere cosa fare per sopravvivere e, anzi, abbia preferito la strada a un negozio di parrucchiere.

La Corte europea accoglie il ricorso di una minorenne del Ghana e condanna l’Italia: lasciata sola nonostante le violenze. Storia di Paolo Foschini su Il Corriere della Sera venerdì 1 settembre 2023.

La brutta notizia per l’Italia è che il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per non avere accolto adeguatamente una ragazza del Ghana, minorenne, già vittima di accertate violenze in Libia, lasciandola per mesi in centri di accoglienza tra persone adulte, senza alcuna protezione, in violazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, complice anche una «prolungata inerzia delle autorità nazionali riguardo alla sua situazione e ai suoi bisogni di minore». La buona notizia, se non altro, è appunto quella per cui la Corte ha riconosciuto da una parte i fatti dall’altra il diritto della ragazza a ottenere un risarcimento: come è stato segnalato dalla Associazione studi giuridici italiani (Asgi) e dall’organizzazione umanitaria Intersos, che hanno supportato il ricorso della ragazza.

La giovane, M.A., era giunta sulle coste italiane nell’ottobre 2016. Pur essendo stata fin da subito identificata come minore straniera non accompagnata, venne ospitata inizialmente presso il Centro «Capitaneria» a Reggio Calabria priva della necessaria assistenza e tutela e in condizioni materiali degradate, in una struttura definita dalla Procura come un luogo non idoneo al suo sviluppo psicofisico, per il sovraffollamento e le pessime condizioni sanitarie. In questo centro di accoglienza i minori ospitati non beneficiavano di alcun servizio, non percepivano alcun tipo di aiuto né economico né materiale ed erano lasciati privi di tutore. Trasferita successivamente presso un altro centro per minori, ma visto il permanere della sua condizione di incertezza sia suol fronte giuridico sia su tutto il resto, la ragazza se ne anò e raggiunse il Nord. Giunta a Como, fu accolta per otto mesi nel centro di accoglienza prefettizio di Via Teodolinda vivendo in un container in una situazione di promiscuità con persone adulte di nazionalità diversa senza nessuna effettiva presenza di educatori né operatori durante la notte.

Fin da subito la ragazza dichiarò di essere stata vittima di violenze sessuali. Una psicologa di Medici senza Frontiere certificò che la ragazza «era stata esposta a molteplici esperienze traumatiche nel corso della sua vita quali abusi, molestie e violenze sessuali» e che «la permanenza nel Centro, dove i minori non accompagnati venivano accolti insieme agli adulti e dove non esistevano servizi adeguati ai bisogni delle vittime di violenza sessuale, rischiava di aggravare la sua fragile condizione psicologica». Tanto la procedura di protezione internazionale quanto la richiesta di collocamento in strutture idonee alle vulnerabilità subirono numerosi ritardi a causa della sostanziale inazione dei tutori nominati dai giudici su richiesta di Asgi e Intersos. Per tre volte Asgi sollecitò anche in seguito un trasferimento in una struttura più idonea. Senza risultato. A quel punto, supportata dalle due organizzazioni, M.A. si rivolgeva alla Corte europea. Ventiquattr’ore dopo il ricevimento dell’istanza la Corte stessa ordinò il trasferimento immediato della ragazza.

Ora è ancora Asgi a ricordare che «nel periodo 2016-2017 la situazione a Como si caratterizzava per un’alta presenza di migranti che tentavano di attraversare il confine italo-svizzero subendo molteplici riammissioni e, per un breve periodo, trasferimenti all’hotspot di Taranto», aggiungendo che «dal settembre 2016 al dicembre 2018 i migranti vennero ospitati presso il centro di istituzione prefettizia di Via Teodolinda», dove «minori, donne e persone vulnerabili convivevano, in condizioni di promiscuità, in uno spazio caratterizzato dall’inadeguatezza dei servizi, in condizioni di disagio alleviate dall’intervento delle organizzazioni umanitarie».

La sentenza ora pubblicata dalla Corte europea conclude: «La permanenza della ricorrente nel centro Osvaldo Cappelletti, che apparentemente non era attrezzato per fornirle un’adeguata assistenza psicologica, insieme alla prolungata inerzia delle autorità nazionali riguardo alla sua situazione e ai suoi bisogni di minore particolarmente vulnerabile, ha costituito una violazione del suo diritto a non essere sottoposta a trattamenti inumani, come tutelato dall’articolo 3 della Convenzione». I giudici di Strasburgo hanno così condannato l’Italia a un risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla giovane in violazione dell’art. 3 della Corte europea (divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti).

«Questa sentenza che riguarda un caso del 2017 – sottolinea Asgi in una nota - evidenzia come la situazione dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti da tempo serie criticità che impediscono di affrontare adeguatamente la tutela di chi arriva in Italia già vittima di abusi e sofferenze causate anche da pericolosi percorsi migratori dove sono stati costretti a vivere in situazioni di vulnerabilità per la mancanza di vie legali. Risulta inaccettabile che minori e persone vulnerabili debbano subire ulteriori sofferenze in un sistema di accoglienza che non mette al centro la protezione della dignità umana e il superiore interesse dei minori, nonostante vi siano delle normative che da tempo l’Italia ha adottato ed è tenuta ad applicare».

Antonio Giangrande: LE DONNE IMMIGRATE PER I GIORNALISTI? MEGLIO SCHIAVE CHE PUTTANE.

Processo alla stampa. Un nuovo capitolo riempie il saggio “MEDIOPOLI. DISINFORMAZIONE. CENSURA ED OMERTA’”. Il libro di Antonio Giangrande.

La cronaca è fatta di paradossi. Noi avulsi dalla realtà, manipolati dalla tv e dai giornali, non ce ne accorgiamo. I paradossi sono la mia fonte di ispirazione e di questo voglio rendere conto.

In Italia dove tutto è meretricio, qualche ipocrita fa finta di scandalizzarsi sull’esercizio della professione più antica del mondo. L’unica dove non si ha bisogno di abilitazione con esame di Stato per render tutti uniformi. In quell’ambito la differenza paga.

Si parla di sfruttamento della prostituzione per chi, spesso, anziché favorire, aiuta le prostitute a dare quel che dagli albori del tempo le donne danno: amore. Si tace invece della riduzione in schiavitù delle badanti immigrate rinchiuse in molte case italiane. Case che, più che focolare domestico, sono un vero e proprio inferno ad uso e consumo di familiari indegni che abbandonano all’ingrato destino degli immigrati i loro cari incapaci di intendere, volere od agire.

Di questo come di tante altre manchevolezze dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica.

Un esempio. Una domenica mattina di luglio, dopo una gara podistica a Galatone in provincia di Lecce, nel ritorno in auto lungo la strada Avetrana-Nardò insieme a mio figlio ed un altro amico intravediamo sedute sotto il solleone su quelle sedie in plastica sul ciglio della strada due figure familiari: le nostre vicine di casa. Non ci abbiamo mai parlato, se non quando alla consuetudinaria passeggiata serale di uno dei miei cani una di loro disse: che bello è un chow chow! Ciò me li rese simpatiche, perché chi ama gli animali sono miei amici.

Poi poverette sono diventate oggetto di cronaca. I loro nomi non c’erano. Ma sapevo trattarsi di loro.

“I carabinieri di Avetrana hanno denunciato un 31enne incensurato poiché sorpreso mentre prelevava due giovani rumene dal loro domicilio di Avetrana per condurle a bordo della sua autovettura, nella vicina località balneare di Torre Lapillo del comune di Porto Cesareo (Le), dove le donne esercitavano la prostituzione - scrivevano il 22 agosto 2014 “La Voce di Manduria” e “Manduria Oggi” - I militari, che da diversi giorni monitoravano gli spostamenti dell’uomo, ieri mattina, dopo aver pedinato a bordo di auto civetta, lungo tutto l’itinerario che dal comune di Avetrana conduce alla località balneare salentina, decidevano di intervenire bloccando l’autovettura con a bordo le due giovani ragazze ed il loro presunto protettore, proprio nel punto in cui le donne quotidianamente esercitavano il meretricio. Accompagnati in caserma, le rumene di 22 anni sono state solo identificare mentre l’uomo è stato denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Taranto, con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. Lo stesso è stato inoltre destinatario del foglio di via obbligatorio dal comune di Avetrana per la durata di tre anni.”

Tutto a caratteri cubitali, come se fosse scoppiato il mondo. E’ normale che succeda questo in una Italia bigotta e ipocrita, se addirittura i tassisti sono condannati per aver accompagnato le lucciole sul loro posto di lavoro e ciò diventa notizia da pubblicare. Le stesse ragazze erano state oggetto di cronaca anche precedentemente con un altro accompagnatore.

“Ai domiciliari un 50enne di Gallipoli per favoreggiamento della prostituzione. Le prostitute, che vivono ad Avetrana, venivano accompagnati lungo la strada per Nardò,” scriveva ancora il 18 luglio 2014 “Manduria Oggi”.

“Accompagnava le prostitute sulla Nardò-Avetrana in cambio di denaro. Ai domiciliari 50enne gallipolino”, scriveva il 17 luglio 2014 il “Paese Nuovo”.

“I militari della Stazione di Nardò hanno oggi tratto in arresto, in flagranza di reato, MEGA Giuseppe, 50enne di Gallipoli, per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Nell’ambito dei controlli alle ragazze che prestano attività di meretricio lungo la provinciale che collega Nardò ad Avetrana, i Carabinieri di Nardò, alcune settimane orsono, avevano notato degli strani movimenti di una Opel Corsa di colore grigio. Pensando potesse trattarsi non di un cliente ma di uno sfruttatore o comunque di un soggetto che favorisse la prostituzione, i militari hanno iniziato una serie di servizi di osservazione che hanno permesso di appurare che il MEGA, con la propria autovettura, accompagnava sul luogo del meretricio diverse ragazze, perlopiù di etnia bulgara e rumena. I servizi svolti dai militari di Nardò hanno permesso di appurare che quotidianamente il MEGA, partendo da Gallipoli, si recava in Avetrana, dove le prostitute vivevano e ne accompagnava alcune presso la provinciale Nardò – Avetrana, lasciandole lì a svolgere il loro “lavoro” non prima però di aver offerto loro la colazione in un bar situato lungo la strada. Per cui, avendo cristallizzato questa situazione di palese favoreggiamento dell’attività di prostituzione, nella mattinata odierna i militari di Nardò, dopo aver seguito il MEGA dalla sua abitazione e averlo visto prendere le due prostitute, lo hanno fermato nell’atto di lasciarle lungo la strada e lo hanno portato in caserma assieme alle due ragazze risultate essere di nazionalità rumena. Queste ultime hanno confermato di svolgere l’attività di prostituzione e di pagare il MEGA per i “passaggi” che offre loro. Viste le risultanze investigative, il MEGA è stato tratto in arresto per favoreggiamento della prostituzione e, su disposizione del P.M. di turno, dott. Massimiliano CARDUCCI, è stato posto ai domiciliari presso la sua abitazione”.

Come si evince dal tono e dalla esposizione dei fatti, trattasi palesemente di una velina dei carabinieri, riportata pari pari e ristampata dai giornali. Non ci meravigliamo del fatto che in Italia i giornalisti scodinzolino ai magistrati ed alle forze dell’ordine. E’ un do ut des, sennò come fanno i cronisti ad avere le veline o le notizie riservate e segrete.

Fatto sta che le povere ragazze appiedate, (senza auto e/o patente) proprio affianco al dr Antonio Giangrande dovevano abitare? Parafrasi prestata da “Zio Michele” in relazione al ritrovamento del telefonino: (proprio lo zio lo doveva trovare….). Antonio Giangrande personaggio noto ai naviganti web perché non si fa mai “i cazzi suoi”. E proprio a me medesimo chiedo con domanda retorica: perché in Italia i solerti informatori delegati non fanno menzione dei proprietari delle abitazioni affittate alle meretrici? Anche lì si trae vantaggio. I soldi dell’affitto non sono frutto delle marchette? Silenzio anche sui vegliardi, beati fruitori delle grazie delle fanciulle, così come il coinvolgimento degli autisti degli autobus di linea usati dalle ragazze quando i gentili accompagnatori non sono disponibili.

Un fatto è certo: le ragazze all’istante sono state sbattute fuori di casa dal padrone intimorito.

Che fossero prostitute non si poteva intuire, tenuto conto che il disinibito abbigliamento era identico a quello portato dalle loro italiche coetanee. Lo stesso disinibito uso del sesso è identico a quello delle loro italiche coetanee. Forse anche più riservato rispetto all’uso che molte italiane ne fanno. Le cronache spesso parlano di spudorate kermesse sessuali in spiaggia o nelle piazze o vie di paesi o città. Ma questo non fa scandalo. Come non fa scandalo il meretricio esercitato dalle nostre casalinghe in tempo di crisi. Si sa, lo fanno in casa loro e nessuno li può cacciare, nè si fanno accompagnare. Oltre tutto il loro mestiere era usato dalle ragazze rumene per mangiare, a differenza di altre angeliche creature che quel mestiere lo usano per far carriere nelle più disparate professioni. In modo innocente è la giustifica per gli ipocriti. Giusto per saltar la fila dei meritevoli, come si fa alla posta. E magari le furbe arrampicatrici sociali sono poi quelle che decidono chi è puttana e chi no!

Questa mia dissertazione non è l’apologia del reato della prostituzione, ma è l’intento di dimostrare sociologicamente come la stampa tratta alcuni atteggiamenti illegali in modo diseguale, ignorandoli, e di fatto facendoli passare per regolari.

Quando il diavolo ci mette la coda. Fatto sta che dirimpettai a casa non ne ho. C’è la scuola elementare. Ma dall’altro lato della mia abitazione c’è un vecchio che non ci sta più con la testa. Lo dimostrano le aggressioni gratuite a me ed alla mia famiglia ogni volta che metto fuori il naso dalla mia porta e le querele senza esito che ne sono conseguite. Però ad Avetrana il TSO è riservato solo per “Zio Michele Misseri”, sia mai che venga creduto sulla innocenza di Cosima e Sabrina. Dicevo. Queste aggressioni sono situazione che hanno generato una forte situazione di stalking che limita i nostri movimenti. Bene. Il signore in questione (dico quello, ma intendo la maggior parte dei nostri genitori ormai inutili alla bisogna tanto da non meritare più la nostra amorevole assistenza) ha da sempre delle badanti rumene, che bontà loro cercano quanto prima di scappare. Delle badanti immigrate nessuno mai ne parla, né tanto meno le forze dell’ordine hanno operato le opportune verifiche, nonostante siano intervenuti per le mie chiamate ed abbiano verificato che quel vecchietto le poverette le menava, così come spesso tentava degli approcci sessuali.

Rumene anche loro, come le meretrici. Ma poverette non sono puttane e di loro nessuno ne parla. In tutta Italia queste schiave del terzo millennio sono pagate 500 o 600 euro al mese a nero e per 24 ore continuative, tenuto conto del fatto che sono badanti di gente incapace di intendere, volere od agire. Sono 17 euro al giorno. 70 centesimi di euro all’ora. Altro che caporalato. A queste condizioni non mi meraviglio nel vedere loro rovistare nei bidoni dell’immondizia. A dormire, poi, non se ne parla, in quanto il signore, di giorno dorme e di notte si lamenta ad alta voce, per mantenere sveglia la badante e tutto il vicinato. Il paradosso è che il signore e la sua famiglia sono comunisti sfegatati da sempre, pronti, a loro dire, nel difendere i diritti del proletariato ed ad espropriare la proprietà altrui. Inoltre non amano gli animali. Ed è tutto dire.

Le badanti, purtroppo non sono puttane, ma semplici schiave del terzo millennio, e quindi non meritevoli di attenzione mediatica.

Delle schiave nelle italiche case nessuno ne parla. Perché gli ipocriti italiani son fatti così. Invece dalle alle meretrici. Zoccole sì, ma persone libere e dispensatrici di benessere. Se poi puttane non lo sono affatto, le donne lo diventano con l’attacco mediatico e gossipparo.

«Marita Bossetti massacrata con il gossip. Accusata gratuitamente di avere due amanti. Ma cosa c’entra questo con l’omicidio di Yara? - si chiede Vittorio Feltri su “Il Giornale” il 21 agosto 2014 - Siamo basiti. Ieri apriamo il Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: «Due uomini dai pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti». Chi è costei? La moglie di Massimo Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio, l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza. Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto - che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne, avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che non ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non accertate) relazioni avute dalla donna in questione con il delitto di Yara commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o infondato che sia - ai fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato negli atti processuali che due linguacciuti asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio, nonché detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando ufficialmente (zero prove) per puttana. A voi, cari lettori, questa sembra un'operazione legittima? Comprendiamo la necessità degli investigatori di non trascurare alcun dettaglio nel tentativo di arrivare a capo dell'orrenda matassa, siamo altresì consapevoli che dal quadro familiare di Bossetti sia facile ricavare qualche indicazione utile all'inchiesta, ma prendere per buone le vanterie di un paio di tizi onde avvalorare l'ipotesi che la famiglia Bossetti fosse una specie di bordello, in cui ogni crimine poteva maturare, incluso un omicidio, è troppo. Trattasi di scorrettezza e di crudeltà. Un conto è sondare la vita di un imputato nella speranza di trovare una chiave per aprire la sua scatola nera, un altro è ricorrere a mezzucci degni di un giornaletto scandalistico e indegni, viceversa, di una giustizia decente. I giudici non devono guardare dal buco della serratura e raccogliere materiale da portineria, ma costruire un impianto accusatorio credibile, basato su indizi concreti e non su chiacchiericci volgari che distruggono l'immagine di gente innocente, comunque non direttamente implicata in un fatto di sangue. Alla signora Marita Bossetti e ai suo poveri figli, esposti al pubblico ludibrio a causa di una sciatteria istituzionale imperdonabile, va la nostra solidarietà. Siamo con loro in questo momento tormentato. Un'ultima osservazione. Noi del Giornale spesso siamo stati additati quali manovratori della macchina del fango. Faceva comodo a molti liquidarci così. Ora, davanti alla macchina produttrice di letame gossiparo, che massacra e lorda tante persone, tutti zitti. Zitti e complici».

«Yara, un caso nel caso: gossip estremo o strategia mediatica? Seguendo il corso delle indagini, la cronaca passa ora ai "raggi X" la vita della moglie di Bossetti: per soddisfare la curiosità dei lettori o per qualcos'altro? –Si chiede invece Marco Ventura su “Panorama” - “Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara”. Questa didascalia sul sito del Corriere della Sera, cronaca di Bergamo, dice tutto. Dice più di qualsiasi gossip allungato a giornalisti compiacenti che si prestano a fare da megafono dell’accusa pur di continuare a beneficiare di “presunti” scoop (dico “presunti” perché il giornalismo d’inchiesta all’americana, quello vero, non si affida a una sola fonte, non sposa acriticamente una sola parte, soprattutto si sviluppa anticipando le indagini, non si riduce a diffondere le veline degli inquirenti). Quella didascalia è un insulto alla Costituzione (e ai diritti di tutti noi in quanto potenziali Bossetti), perché “il carpentiere di Mapello”, come viene sbrigativamente inquadrato dai media, agli occhi della legge e a tutti gli effetti è l’opposto del “presunto assassino”. È, invece, un “presunto innocente”, sospettato di aver ucciso l’adolescente Yara Gambirasio. La didascalia accompagna le foto tratte dalla pagina Facebook dell’uomo (che non è neppure imputato ma solo indagato). Altri scatti inquadrano la moglie Marita in macchina che un po’ si vede, un po’ si copre la faccia per evitare i fotografi il giorno in cui va a farsi interrogare. Sono una, due, tre, quattro, cinque istantanee pressoché identiche, per soddisfare il “presunto” voyeurismo compulsivo del lettore. Dico “presunto”, perché a scorrere i commenti alla notizia delle “presunte” relazioni extraconiugali di Marita sul sito dell’Huffington Post che riprende il Corriere (un bell’esempio di complicità mediatica tra il gruppo L’Espresso e il “Corsera”), la gran parte dei lettori si dice più o meno schifata e indignata, e se la prende con un certo giornalismo gossiparo che massacra le persone per fare cassetta. Ma la foto peggiore è quella che campeggia più grande di tutte: Marita a viso aperto, al mare, circondata dai tre figli avuti con Massimo (già, ci sono pure dei figli minori, i volti sono graficamente irriconoscibili, ma basta?). In realtà, dietro quel giornalismo c’è forse qualcosa di più: una strategia mediatica da parte di chi lavora sulle indagini. È singolare che nei giorni scorsi sia apparsa la notizia del rifiuto di Marita a farsi interrogare senza il difensore, Marita che continua a difendere il marito e a proclamare anche pubblicamente la sua fiducia (ricambiata da Massimo di cui sappiamo, dalle indiscrezioni dei suoi già cinque interrogatori nessuno conclusivo, che ai magistrati che lo incalzavano sulle “presunte” avventure della consorte avrebbe replicato: “Impossibile. Sento il suo amore, ho piena fiducia e rispetto di lei”). È mai possibile che di fronte a quella che viene presentata come prova regina, definita dalla stessa difesa di Bossetti come indizio grave, cioè la “presunta” corrispondenza del Dna del “carpentiere di Mapello” con quello ritrovato sugli indumenti intimi di Yara (dico “presunta” perché non c’è al momento una controperizia, una perizia di parte, una ripetizione del test, né un contraddittorio o dibattimento e tante volte abbiamo visto le prove regine perdere la corona nei processi), è mai possibile dicevo che vi sia un simile accanimento sulla famiglia Bossetti, tale da far sospettare (o presumere?) una disperazione dell’accusa, un’angoscia di non riuscire, nonostante tutto, a trovare la verità cioè incastrare il “presunto colpevole”? E mi chiedo: se la moglie (e la madre) di Massimo Bossetti lo avessero “scaricato”, dicendo ai Pm quello che i Pm vorrebbero tanto sentirsi dire, avremmo ugualmente letto notizie così orribilmente intrusive della vita privata di persone che non sono neppure indagate e la cui vita intima non serve probabilmente a far luce sull’ipotizzato crimine del “carpentiere di Mapello”? Massimo Bossetti ha saputo dai magistrati di essere figlio illegittimo, ora sa che forse la moglie gli ha messo le corna (e tutto questo lo sappiamo anche noi). È costretto in carcere a un isolamento totale, anche nell’ora d’aria, perché gli altri detenuti gliel’hanno giurata (per loro è il “presunto assassino” di Yara, anzi per dirla con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è “l’assassino” e basta). La moglie si trova a dover fronteggiare non solo i magistrati, ma anche i giornalisti che sanno e partecipano allo scandaglio impietoso della sua privacy (grazie a chi?) e se si azzarda a dire la sua al settimanale Gente, c’è subito pronto il solerte cronista di giudiziaria, nello specifico Paolo Colonnello de La Stampa, che si dedica a sottolineare sotto il titolo “Yara, le contraddizioni della signora Bossetti”, le “presunte” (il virgolettato è mio) discrepanze tra le parole della “bella moglie che rilascia interviste ai settimanali popolari” (stavolta il virgolettato è di Colonnello) e quelle che Marita ha pronunciato davanti ai Pm. A Paolo vorrei ricordare quanto lui stesso ha scritto su Facebook tempo fa, in quello che appariva come un post di encomiabile ma evidentemente “presunta” autocritica, dopo aver premesso che dubitava dell’innocenza di Bossetti: “Ciononostante mi piacerebbe che i giornali avessero il coraggio di distinguersi dal trash delle trasmissioni televisive smettendo di occuparsi di questo caso day by day, proprio per rispetto dei protagonisti e della loro sofferenza. Piccoli dettagli, elucubrazioni, fughe di notizie cui io stesso ho partecipato (con assoluta controvoglia, credetemi) non aggiungono nulla di più a questo punto alla tragedia che si è ormai consumata. La solita tragedia, verrebbe da dire. Perché purtroppo, anche grazie alla nostra morbosità, statene certi che si ripeterà”».

«Dai lettore, prova a metterti nei panni del mostro. Massimo Bossetti non è soltanto accusato di essere l'assassino di Yara. Contro di lui si muove uno tsunami distruttivo, massacrante, implacabile. Domandina: e se poi, invece, fosse innocente? – Si chiede, invece Maurizio Tortorella su “Panorama” - Caro lettore, stavolta ti propongo un gioco: ma fa' attenzione, perché è un brutto gioco. Facciamo finta che due anni fa un bruto, un maniaco sessuale, abbia ucciso una povera ragazzina a una decina di chilometri da casa tua. E facciamo finta che una mattina arrivi da te la polizia, che ti ammanetta e ti accusa di quell'orribile delitto. Dai magistrati inquirenti, che t'interrogano, scopri che sul cadavere della poveretta è stato trovato materiale organico che i periti sostengono sia compatibile con il tuo Dna. Tu non sai proprio spiegartene il motivo, perché sai perfettamente che sei innocente e in realtà non hai mai nemmeno visto la ragazzina. Ma gli inquirenti non vogliono sentire ragione: il colpevole sei sicuramente tu. Così finisci in prigione. I giornali, contemporaneamente, vengono inondati di carte dell'accusa. Il tuo nome esplode su tutti i mass media, la tua vita viene passata al setaccio. Il tuo avvocato è in difficoltà: non riesce a fare passare nemmeno il minimo dubbio. Poi gli inquirenti ti dicono che sono arrivati a te per vie d'indagine complicatissime. E ti spiegano che grazie a quelle indagini hanno scoperto, anche, che tuo padre non è quello che tu hai avuto accanto per decenni, perché in realtà tua madre ti ha concepito con un altro. Aggiungono che tutto questo è provato con certezza dallo stesso Dna. A questa rivelazione, ovvio, resti senza fiato. Sui giornali che ti arrivano in cella leggi che tua madre nega disperatamente, giura che sei figlio di tuo padre, quello che hai sempre creduto che lo fosse. Ma chissà se dice la verità... La vita, che già ti è stata sconvolta dall'arresto e dalle terribili accuse che ti vengono rivolte, ti viene così letteralmente sradicata dall'anima: anche per via sentimentale. Intanto passi i giorni in cella, dove ti disperi leggendo i giornali che parlano del caso e cercando di sfuggire alle violenze degli altri reclusi, tradizionalmente molto ostili a chi viene accusato di aver fatto del male a donne e a bambini. Pensi e ripensi alla tua vita distrutta, ai tuoi figli che inevitabilmente in paese vengono additati come «figli del mostro», a quella poveretta di tua moglie che inutilmente grida alla tua innocenza. I giorni trascorrono, diventano settimane e mesi. Non sai che fare. Dentro sei come morto. Ti aggrappi ai tuoi poveri affetti, in questo momento fragili come e più di te. Pensi solo a tua moglie e ai tuoi figli: sono l'unica cosa che ti resta. Poi una mattina ti svegli, sempre in cella e sempre terrorizzato, e sul primo quotidiano italiano leggi un titolo che ti tramortisce. Perché rivela che due uomini sono stati appena ascoltati dai pm e hanno raccontato loro di essere stati entrambi amanti di tua moglie (che hai sposato nel 1999): uno nel 2009 e uno anche più di recente. Ti domandi se sia vero. Come sia possibile. Ti interroghi anche sul perché gli inquirenti abbiano deciso di ascoltare i due uomini, che cosa c'entrino le loro relazioni con l'accusa che ti viene rivolta. L'articolo ti spiega che i pm vogliono indagare nella tua vita sessuale, per capire se tutto era «normale». La tua disperazione a questo punto è totale: non hai più nulla cui aggrapparti. Che ti resta, al mondo? Pensi alla tua vita, annichilita, e forse vuoi soltanto morire. Ecco, caro lettore. Io non so se Massimo Bossetti sia colpevole o innocente dell'orribile delitto di cui è accusato da oltre due mesi. Ti domando, però, di porre mente a un'ipotesi: e se non fosse colpevole? A quest'uomo la giustizia italiana ha distrutto tutto: vita, famiglia, affetti. Gli è accaduto tutto quello che hai appena finito di leggere, e anche molto di più. È stata una devastazione implacabile, assoluta, senza scampo alcuno. Certo: è possibile che Bossetti sia colpevole. E tu allora mi dirai, in un impeto di violenza: si merita tutto quel che sta soffrendo. Ma che cosa accadrà se invece, in un regolare processo condotto stavolta non sui giornali ma in un'aula di tribunale, davanti a una corte puntigliosa e con tutti i crismi di legge, si dovesse appurare che Bossetti è innocente, magari perché l'analisi del Dna condotta sul corpo della povera Yara è stata sbagliata? In questi casi ho sempre pensato che sia pratica onesta provare a mettersi nei panni dell'accusato, ovviamente ipotizzandosi innocenti. Io l'ho fatto, e confesso la mia debolezza: non so se saprei sopravvivere allo tsunami, alla gogna mediatica e al disastro esistenziale che mi è stato gettato addosso. Proverei forse a impiccarmi in cella. Però l'idea mi sconvolge e mi disgusta profondamente. Perché non è questo il finale giusto, nemmeno nella peggiore vicenda giudiziaria; non può e non deve esserlo: equivale a dichiarare che la giustizia non esiste. È una soluzione abietta, vergognosa, indecente, indegna di uno Stato di diritto. Prova a fare altrettanto. Non ci vuole molto, soltanto un po' di fantasia. Mettersi nei panni dell'accusato è sempre un esercizio utile: solletica sensibilità intorpidite dalla voglia di sangue. E magari fa pensare... ».

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia

Dagospia lunedì 28 agosto 2023. Riceviamo e pubblichiamo

Carissimi lettori, carissime lettrici, 

mi è capitato di leggere un post de Il Fatto Quotidiano che riportava una dichiarazione della ministra cattolica oltranzista della famiglia Eugenia Roccella. In essa affermava, tra le altre cose, che gli stupri avvengono per colpa della pornografia, facilmente accessibile ai ragazzi “specie minorenni”. 

Ora, cara ministra Roccella non so se Lei ha mai visto un film porno “specie d’autore”, assolutamente e completamente diverso dai filmati su internet. Indubbiamente la visione di un porno, “specie come lo si produce oggigiorno”, che fa anche rima, ovvero con solo ed esclusivamente scene di sesso meccanico, con genitali maschili e femminili conditi da bocche che si muovono a destra e a manca senza né capo né coda, influisce sulla forma mentis dei ragazzi e delle ragazze, da un sondaggio risulta che li guardano anche loro, ma non può di certo essere la causa principale di uno stupro. 

Un semplice film hard non credo possa provocare tanta euforia alla maniera di Genny Savastano o di Annalisa Sangue Blu di Gomorra, quello sì provoca euforia e adulazione tanto da emularne i personaggi. 

Le ricordo che chi fa porno lo fa in scienza e coscienza, “ed eventuali scene di stupro, vengono precedute da avvisi sulla loro pericolosità in modo da sconsigliarne la messa in pratica”, ergo senza alcuna costrizione. 

Prendersela con il porno è semplicemente un atto propagandistico e strumentale di chiaro stampo ipocrita, “Leo La Russa docet”. Piuttosto, si pensi a come introdurre la disciplina dell’educazione al buon sesso nelle scuole, ribadisco, dall’ultimo anno della scuola dell’obbligo, coronato dalla riapertura delle case di tolleranza, legge Merlin, e a come far recuperare ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze un anno di servizio di leva. La cosa non dispiacerebbe, perché no. 

Infine, sarebbe cosa buona e giusta, oltre che doverosa, introdurre pene certe per chi commette atti di stupro e violenze sessuali varie, ivi compreso il femminicidio: la “castrazione chimica sarebbe un’ottima soluzione” a mio a personale avviso. 

Concludo questo mio post con un aneddoto. Quando, negli anni ‘80 e ‘90, noi ragazzi frequentavamo i cine-porno ci divertivamo a suon di solenni gesta autoerotiche, e mai ci saremmo sognati di afferrare una ragazza per strada e violentarla. Quando avevamo bisogno di donne ci recavamo dalla prostituta di turno. 

Mimmo Lastella, scrittore hard 

P.S. Gomorra uccide, il porno no. 

Caro Rocco Siffredi, visto che sei d’accordo con la ministra affinché si chiudano i siti porno gratis, proponile di finanziare la produzione di film hard d’autore con trama da vendere su piattaforme televisive e siti dedicati. Alla fine, potrebbe essere una buona, ulteriore soluzione

 Barbara Costa per Dagospia domenica 30 luglio 2023.

Ma una che invitante ti dice che “fare amicizia è la mia passione” e che “ti farò rilassare e sentire a tuo agio”, e che “insieme a me puoi esplorare le tue voglie più intime” perché lei è bravissima a “saziare i tuoi impulsi, e i desideri più osceni”… che lavoro fa? La m*gnotta, bravo/a, hai indovinato, e però, chi vedi nelle foto fa sì la m*gnotta, ma è una m*gnotta tutta particolare, perché è una m*gnotta legale! Si prostituisce per e nel rispetto della legge. 

Tale seducente bionda si chiama Ariel Ganja, è nata in Missouri, ha 37 anni, e lavora nei bordelli del Nevada. Secondo la legge. Il Nevada ha totalmente legalizzato la prostituzione a inizio degli anni '70 (più di mezzo secolo fa!) e da allora sia chi dietro legale pagamento la vuole dare sia chi dietro legale pagamento ne vuol godere, sc*pano regolari e contenti.

Sebbene la legalizzazione di prostitute e clienti non tocchi il Nevada in generale, ma cambi da contea a contea, dove prostituirsi è legale, sono stati "resi onesti" vari "bordelli ranch" in cui prostitute maggiorenni e clienti pure fanno quello che gli va di fare, e nella sicurezza più totale. Paghi con carta di credito (sc*pi tracciato, amico!), quelle accettate sono in bella vista segnalate al cancello, sicché prima di suonare, stai già informato su come vanno le cose. 

Ariel Ganja è una ex contabile che ha scelto di fare la prostituta legale esclusivamente per soldi. Lei si prostituisce 2 settimane al mese, e non fissa in un bordello: ora si trova allo Sheri’s Ranch di Pahrump, ma fino a poco tempo fa stava al Chicken Ranch, a 100 km da Las Vegas. Ariel ha lo scopo di pensionarsi dopo i 40 anni, ma solo da m*gnotta. Con i risparmi vuole aprirsi una spa. Ariel ha deciso così perché fare la prostituta seppur legale è un lavoro usurante.

Lei fa i clienti per appuntamento, può esser prenotata per più giorni (max 3), ma se arriva un cliente bello danaroso, lei per ingozzarlo di sesso sacrifica sonno e pasti. La concorrenza tra legali colleghe m*gnotte è spietata, meglio accaparrarsi i clienti i più generosi, ognuna nel suo boudoir personale e personalizzato, e, a proposito di denaro: se non è possibile valutare quanto un cliente possa spendere per il tempo legale passato a m*gnotte (il prezzo varia per ore, tipo di prestazione, quante m*gnotte sono coinvolte nell’amplesso, se vuoi Ariel fa pure sesso a tre con te e un’altra donna, e poi Ariel accetta vergini, non solo peni che mai hanno fatto sesso, ma vergini in sadomaso, in ogni sua forma, e qui il costo lievita, e sii bravo: se vuoi fa' roba "strana", va bene, ma devi avvertirla in anticipo, ché lei si prepara e prepara i suoi strumenti sado), e allora, se non è possibile quantificare quanto un cliente spende con lei, tramite le confessioni di Ariel possiamo scoprire quanto lei guadagna: 300 mila dollari l’anno!

Sarà vero? E comunque da tale cifra vanno tolti più di 100 mila dollari di spese fisse e no: nello specifico, Ariel deve spendere 140 dollari a settimana per analisi complete e tamponi intimi e di gola (ogni prostituta legale deve pagarsi gli esami medici che ogni bordello obbligatoriamente e tassativamente le fa, le deve fare, è la legge, e le prostitute in attesa dei risultati non possono prostituirsi né usare servizi igienici o piscina presenti nel bordello), 915 dollari per affitto al bordello, 220 ogni 3 mesi per la licenza di prostituta legale, 580 al mese per le unghie, 440 al mese per le extension, 730 per il botox (ma questo solo ogni 4 mesi), 800 ogni 6 mesi per il riempimento labbra.

Aggiungici il costo di vestiti, di scarpe, e di lingerie (tutta roba di marca) e abbonamento palestra, e cibo e sostentamento e non trascurabili e fastosi vari e eventuali. Se fai la prostituta, legale e no, spendi un botto per mantenerti in tiro e splendida. Non puoi fare altrimenti, specie dagli enta in poi. 

In Nevada ci sono e da 50 anni bordelli con donne anche gestiti da cape donne e che, essendo legali, sono sotto sorveglianza, non ci pensino i clienti a dare di matto, perché ci passano bei guai, e maitresse e prostitute pagano le loro tasse. Hanno ricevuto aiuti federali quando sotto lockdown hanno dovuto chiudere. Se non hai la fedina strapulita, non puoi fare la prostituta legale.

E c’è pure un sindacato delle prostitute legali, guidato da una donna, Bella Cummins, maitresse in pensione, che si batte affinché in tutta l’America, e fuori, si legalizzi la prostituzione femminile, e maschile, e transex, di tutti!!!, con leggi tipo quella del Nevada, e non con leggi che legalizzano il sesso a pagamento a metà, e cioè legalizzando chi maggiorenne la dà ma incriminando chi, felice e maggiorenne e convinto, la cerca e la vuole e la vuole pagare. Quasi scordavo la cosa fondamentale: se vuoi passare pura estasi con Ariel, chiama 800-506-3565. Poi parti, destinazione Nevada.

Barbara Costa per Dagospia domenica 9 luglio 2023.

Che facciamo? Andiamo a tr*ie? Mica male come idea! Tu a rose come stai? Lo sai, sì, che quando si parla di "rose", con le tr*ie, non devi andare da un fioraio, bensì a un bancomat! Rose sta per soldi, 1 rosa uguale 1 euro, i prezzi sono variabili, e se becchiamo una "onesta", magari ci fa lo sconto! I clienti delle escort sono furbi, prima di contattare la prescelta, sai che fanno? Leggono per benino le recensioni che gli altri fanno delle escort con cui sono stati, e da lì basano con quale tr*mbare, e quale depennare perché fregatura totale!

E oltre a tipo e qualità delle prestazioni, sapete qual è l’informazione che i clienti si scambiano sempre tra di loro? È questa: si trova parcheggio? Con quanta difficoltà? Può sembrare paradossale, ma è invece un dilemma affatto banale se si inquadra la situazione nella più giusta prospettiva: un cliente escort tipo è di solito un professionista a cui piace andare a tr*ie tanto se è in trasferta di lavoro, abbina il dovere col piacere, e le trasferte le fai nelle grandi città. Le grandi città sono luoghi in cui trovi più varietà di escort, stai libero e tranquillo, lontano da casa, con la scusa perfetta, e tua moglie non può romperti, puoi pure mettere muto il telefono per ore, sei in riunione!

L’appuntamento con la escort è preso in anticipo via WhatsApp, e un cliente è già a suo agio se la escort gli indica chiaro dove sta l’appartamento. Dati sul citofono compresi. È questa altra info tra clienti più scambiata. Un cliente non vuole perder tempo, sta arrapato e a rota (in astinenza), non vede l’ora di farsi una bella sc*pata in santa pace, non innervosirsi vieppiù imprecare perché il parcheggio è un miraggio! Le escort che esercitano a Roma si devono sorbire questo genere di lamentele, da clienti di rado in trasferta, ma che vengono da fuori città. E non solo.

Un cliente che ha pattuito un’ora ma arriva in ritardo non sc*pa un’ora ma il tempo rimasto: dopo di lui ci sono altri clienti come lui. Capito perché la questione parcheggio c’ha la sua importanza? Il cliente apprezza che la escort lo riceva in casa da sola, e al pianterreno, massimo primo piano. Non vuole sguardi curiosi. I clienti tra loro chiedono se a casa della escort opzionata si può fumare, se con lei ci sono cani, e quindi, la domanda delle domande: la foto della escort, quanto corrisponde a verità?

È questa la tipica fregatura che investe i clienti delle escort cinesi. Le cinesi mettono sempre foto false, e non solo, non ricevono mai sole, nell’appartamento ti accoglie “la madre badessa”, cioè la mamasan, signora cinese su con l’età, che ti accompagna nella stanza della ragazza. Con le cinesi è un appuntamento al buio per altri due motivi: con loro è difficile comunicare via social (parlano poco italiano, lo scrivono zero), e peggio ancora sono oggetto di turn over continuo.

Per questo le recensioni poste sotto gli stessi numero di telefono e indirizzo divergono: i clienti hanno fruito di ragazze diverse e ad alcuni è andata di lusso, ma ad altri… un bidone! La cinese si promoveva “giovanissima ma dimostra 40 anni, e c’ha la pancia grossa da birra”, un altro si è accordato per sesso a tre ma “una mi ha fatto solo bocca, eh, e si è fatta pagare completo!”, un altro ancora l’ha trovata diversa dalla foto tuttavia gli è piaciuta, “non piatta ma formosetta”, se ne è infatuato e ora è disperato, non la ritrova più, e uno si lamenta che “la mamasan stava cucinando, cosa non si sa ma di una puzza incredibile, ci ha ammorbato l’intero stabile, camera in cui sc*pavo inclusa! Non si fa così!”.

Altra categoria di tr*ie ricercatissima sono le trans. Cosa chiede uno che vuole andare con una trans a chi con quella trans già c’è stato? Quanto ce l’ha lungo!!! Ma non il cliente, la tr*ia trans!!! Vogliono sapere se sono attive, passive o tutti e due, quanto sono femminili e specie la voce, se sono strette di ano e quanto, e se se lo fanno succhiare! Chi pensa che un uomo vada a trans solo per metterglielo, vive nel mondo dei sogni! Prenderlo in bocca, farsi venire in bocca, per giunta per la prima volta, è pratica comune ma inconfessabile per chi è cliente trans. 

Altra categoria escort graditissima sono le BBW, le giunoniche, tette enormi e sedere espanso, ed è proprio il volume di tette e di c*lo di cui ci si informa per tempo in chat. G., escort bbw di base a Roma ma spesso in tour su e giù per l’Italia, a parere di chi ci va, “crea dipendenza”.

È una escort “fenomenale, G. ti riceve in abitino succinto, non contiene le sue tettone”, “è dolce ma p*rca”, “non guarda l’orologio e non ti mette fretta”, “ti fa usare il bagno, prima e dopo, l’ambiente è pulitissimo”, “è giocosa e fantasiosa nelle posizioni”, “fa l’orale anche senza gomma” (significa senza preservativo) e, cosa importantissima, “ambiente climatizzato a dovere”. Tornano e ritornano da lei. Uno da Bassano del Grappa ci informa che l’estate scorsa, ha mollato moglie e figli e preso un treno per correre da lei “perché non resistevo più”. Questa escort matrona sta appunto a Roma, zona Prati, parcheggi in seconda, terza fila, e se c’hai fortuna, e i vigili stanno al bar. 

Prostitute? Grandi muse: il segreto nascosto da questo quadro. Luca Beatrice su Libero Quotidiano il 02 maggio 2023

Sembra di sentire la vecchia storia di Bocca di rosa, cacciata dal paese perché faceva paura, soprattutto alle donne. È proprio così, in effetti, cambiano i tempi eppure la figura della prostituta, mestiere vecchio come il mondo, continua a infastidire i benpensanti di ogni genere, anche se non è escluso ne facciano ricorso alla bisogna. E in questi tempi così bacchettoni e moralisti, dove l’arte viene presa costantemente di mira quando non sia stucchevole espressione di correttezza politica e anestesia sessuale, vien proprio a proposito l’urticante quanto documentato saggio La bellezza del peccato. Le prostitute muse dell’arte per NFC Edizioni di Rimini (pp 200, € 22,50).

Gli autori sono due critici, la giovane Federica Vennitti e l’esperto Valerio Dehò, che tracciano la storia della puttana nell’arte dalle prime civiltà conosciute all’epoca contemporanea, avvalendosi di un esauriente repertorio iconografico attraverso i secoli. Non so se sia il caso di parlare di disparità tra i sessi fin dalla preistoria, con la bilancia a pendere sempre dalla parte del maschio; stadi fatto che già nel Codice di Hammurabi (era Mesopotamica) si offre la possibilità di relazioni aperte e se la donna non si sposava poteva pur sempre diventare concubina o darsi alla prostituzione, che non risulta una strada così disonorevole. Nell’antico Egitto viene istituzionalizzato l’harem che poteva ospitare anche centinaia di ragazze, tra cui le mogli secondarie del faraone, che non erano intese come prostitute a differenza delle danzatrici, in una società piuttosto libera dove si poteva divorziare e godere della libertà sessuale.

ATENE E ROMA

Colpa della Grecia il cambio di mentalità? Forse si, perché in un mondo dove le donne sono dedite totalmente alla casa e ai figli, non hanno vita pubblica, la prostituzione si diffonde ed è curiosa l’etimologia del termine pornoi a indicare le merterici nelle classi più basse: come non pensare ai porno dell’era contemporanea? Tra Atene e Roma la richiesta di sesso a pagamento aumenta, guadagnarsi da vivere con il proprio corpo un mestiere come un altro senza camuffare il gesto con chissà quale significato, però intanto le prostitute nell’antica Roma dovevano distinguersi dalle donne perbene portando la tunica corta e talora ossigenandosi i capelli per apparire più appariscenti. La storia potrebbe continuare a lungo, ma ciò che diventa interessante è proprio il rapporto tra la donna che dà il suo corpo e lo sguardo dell’artista.

Quando si parla di musa, il pittore preferisce lavorare con ragazze capaci di mostrarsi senza timore alcuno: persino iconografie in apparenza castigate vibrano di sensualità, soprattutto se ci avviciniamo all’età moderna e in particolare dal ‘600, quando nelle collezioni reali campeggiavano i ritratti di amanti e favorite, ad esempio Eleanor Nell Gwyn, puttana del re Carlo II e attrice di teatro, ritratta da Simon Verlest a seno nudo. In Francia Boucher riporta in pittura il rosa Pompadour dall’incarnato della celebre marchesa che amava la porcellana e si offriva a Luigi XV mentre il marito era in viaggio. Tra ‘700 e ‘800 assistiamo al definitivo sdoganamento della musa-prostituta che anima le scene de La carriera di un libertino di Hogarth. Da considerare anche la moda dell’orientalismo e dell’importazione di donne meravigliose ed esotiche che lavoravano nei bordelli. Olympia è il caso più clamoroso, lo scandalo al Salone del 1865, con la posa della ragazza che riprende le stampe pornografiche circolanti all’epoca più alcuni particolari “scabrosi”, l’orchidea tra i capelli, il nastrino nero al collo, gli zoccoli calzati anche a letto.

COURBET

È lo stesso anno in cui Gustave Courbet dipinge L’origine du monde che resta ancora la visione più esplicita del sesso in pittura, anche se è incerta la proprietaria dell’organo sessuale, tra l’amante del pittore, una foto erotica o (ipotesi ultima) una concubina del collezionista Khalil Bay. Nel XIX secolo ballerine e attrici portavano avanti una doppia carriera, animando la vita dei locali parigini come documentato nelle illustrazioni di Toulose-Lautrec. Sulle Demoiselles picassiane le narrazioni sono tante e ora c’è persino chi le ha prese di mira per accusare il grande pittore di misoginia e crudeltà. Però chi ha vissuto quei tempi, nonostante le guerre e le dittature, attraversava una condizione sessuale assai più libera e meno ipocrita della nostra; lo testimonia la figura chiave di Kiki de Montparnasse, che comincia a posare nuda a 12 anni, ha un rapido feeling con il sesso, è una donna libera, le capitano avventure di ogni genere a Montparnasse dove mostra il seno per dieci soldi o per una cena, sfidando le ingiurie e le malignità, fino a diventare modella di Man Ray e musa delle avanguardie. Che modernità priva di ipocrisia.

(ANSA l’11 aprile 2023) - Nel Medioevo finanziarono la costruzione dei moli di Genova con il loro lavoro di prostitute. Oggi, secoli dopo, la città è pronta a rendere omaggio con una targa commemorativa a tutte quelle donne che tra il 1300 e 1400 consentirono alla Superba di diventare una potenza mondiale.

 A darne notizia è Il Secolo XIX. "Dovevano pagare cinque soldi al giorno alla Repubblica di Genova, tra il Tre e il Quattrocento - ha spiegato il presidente del municipio Centro Est Andrea Carratù - e quel loro contributo era stato essenziale per realizzare le opere portuali".

L'idea di omaggiare le prostitute genovesi dell'epoca nacque dall'idea di una associazione della città vecchia, la Fondazione Amon, che era stata sostenuta nella sua battaglia da Comunità San Benedetto e Princesa, concordi nel voler dare un riconoscimento alle donne di strada nel 2017 e dopo cinque anni sembrerebbe arrivata alla conclusione. Una iniziativa culturale per rimediare ad una vera e propria ingiustizia: anche se i moli cittadini erano stati costruiti con il lavoro delle lucciole, proprio a loro era vietato persino avvicinarsi all'area portuale per non distogliere dal lavoro i camalli e i marinai.

 "Il luogo per collocare la targa è già stato individuato, sulla parte esterna di Sottoripa dietro a Palazzo San Giorgio", spiega Daniela Marziano, avvocata e assessore del municipio Centro Est. "La Sovrintendenza deve ancora pronunciarsi su alcuni dettagli del testo e sul materiale della targa - riprende Marziano - ma il senso è ormai definito, c'è una delibera municipale e l'operazione si farà».

Il testo (provvisorio) suona così: "Tra il XIV e il XV secolo le lavoratrici dell'antica 'arte del meretricio' potevano esercitare, protette e curate, versando 5 soldi al giorno alla Repubblica di Genova. Con i proventi di tale gabella la Repubblica finanziò importanti opere monumentali, tra queste la costruzione e l'ampliamento della fabbrica, zona che era vietata alle nostre lavoratrici".

Il rampollo milanese terrore delle escort e gli agguati alla ex compagna: «Te la farò pagare». Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 28 marzo 2023

Il cinquantenne, facoltoso imprenditore, è già a processo per stalking e dal casellario giudiziario risultano molti precedenti. Le prostitute brasiliane non denunciano ma si avvisano tra loro in chat

Le escort sue vittime, il cui numero è in aumento (ne daremo conto nelle prossime puntate) non l’hanno ancora denunciato. Ma l’ex compagna sì: per stalking. Accuse circostanziate che hanno originato un processo contro il rampollo cinquantenne narrato dal Corriere come terrore seriale delle prostitute, soprattutto quelle di nazionalità brasiliana, in particolare appena arrivate a Milano e con ancora i documenti irregolari, dunque più minacciabili (e più restie a confidarsi con poliziotti e carabinieri). 

Grazie, in aggiunta, a fonti giudiziarie, il Corriere è in grado di fornire ulteriori elementi su quest’uomo, italiano, che secondo le escort farebbe uso di crack prima degli incontri, ambientati sia in hotel di lusso non lontano dalla Scala, sia nei suoi appartamenti, di solito all’interno di una geografia che parte dalle zone di piazza Cavour, Brera e San Marco.

«Io te la faccio pagare, prima o poi riceverai un regalo»: questa è una delle frasi urlate dal rampollo verso l’ex compagna, dunque presagendo pericolose degenerazioni, a seguito della decisione della donna d’interrompere la relazione. Una prima denuncia, una seconda denuncia a integrazione, un’annotazione e un intervento della polizia, le deposizioni raccolte dagli agenti e rese da tre persone compresa una parente dell’uomo, costituiscono la base del processo in corso. La nostra piena visione del casellario giudiziario del rampollo, impegnato come imprenditore anche con attività fuori Milano, narra di un passato assai problematico con la giustizia includendo reati non differenti da quelli che abbiamo raccontato.

Le escort hanno parlato di improvvisi scoppi di violenza, quando per esempio si rifiutano di consumare insieme il crack, e di intimidazioni dell’imprenditore affinché nulla svelino in giro, iniziando egli ad elencare le potenti e influenti amicizie, le pedine a disposizione nei luoghi che contano, le capacità di farla pagare a chi mai proverà a dargli addosso. L’ex compagna aveva elencato alla polizia comportamenti quali appostamenti non annunciati sotto la sua abitazione, con tutta evidenza generando «perdurante ansia, paura, e timori per la propria incolumità» e per quella della figlia.

Un’azione frequente del rampollo nella fase di ricerca delle prostitute è l’invio alle donne, attraverso la messaggistica Whatsapp, di fotografie di banconote, a garanzia dell’ingente disponibilità economica. Il denaro non ha mai rappresentato un ostacolo e risulta un’arma per incrociare da subito l’adesione delle future prede, poiché, come dice una prostituta, con un’ammissione legata ai fatti della vita, «quando vedi la garanzia che riceverai tanto denaro, allora prendi il taxi e raggiungi il cliente spostando appuntamenti già programmati».  

Estratto dell’articolo di Andrea Galli per corriere.it l’11 marzo 2023

«... Nato il ... 1966, Cittadinanza italiana, Professione pensionato, Statura 171, Segni particolari nessuno». Ammessa l’autenticità della carta d’identità, fotografata molto tempo fa di nascosto da un’escort e diffusa nelle chat comuni di centinaia d’altre prostitute di Milano, il Corriere ha provveduto a consegnare il documento a polizia e carabinieri: la scorsa settimana il presunto balordo ha aggredito l’ennesima escort, ma loro, le vittime, quasi mai denunciano anche per timori legati a irregolarità nel permesso di soggiorno. […]

 I soldi non nascosti

In realtà l’uomo della carta d’identità un segno particolare lo ha: una profonda cicatrice dal torace all’addome, conseguenza di un intervento chirurgico per problemi cardiaci. Nonostante sia conosciuto tra le donne proprio in virtù dei costanti allarmi via chat, a causa dell’intensa alternanza logistica delle escort — solo alcune diventano stanziali  — quest’uomo ha per appunto aggredito ancora pochi giorni fa.

Il suo modus operandi: prenota un incontro di due oppure tre ore, mostra un fascio di banconote a garanzia che pagherà, e anche tanto, si dimostra rilassato e pacifico, chiede un massaggio, d’improvviso colpisce la prostituta con enorme violenza fino a ottenere i soldi presenti nell’appartamento […] Una tecnica suggerita dalle più anziane: occultare il grosso dei contanti in un punto e posizionare in un cassetto, dunque in un luogo che il rapinatore può facilmente esplorare, banconote per un totale di 500 euro, sperando che il malvivente caschi nella trappola e creda di aver trovato il bottino […]

A volte, l’arma segreta utilizzata dai predatori è la «droga dello stupro». Un comandamento fra le escort è quello di non bere mai nulla per evitare il rischio di sostanze disciolte nei bicchieri; eppure succede ugualmente, e ci viene detto con un’enorme frequenza; […], la banda procede al sopralluogo in cerca di denaro e gioielli, prendendosi tutto il tempo necessario; qualcuno arraffa anche i documenti d’identità per avere la certezza che la vittima non racconterà in giro a nessuno quanto avvenuto […]

[…] bisogna registrare le azioni di giovani tunisini pure loro in gruppo e concentrati sulle rapine e i furti, nonché quelle di albanesi che cercano alleanze con le prostitute, le quali lasciano socchiuse le porte d’ingresso e consentono agli albanesi di arraffare le chiavi di casa dell’uomo salito nell’appartamento, fare una copia e riposizionare le chiavi (l’escort ha nel mentre invitato l’uomo a lasciare gli effetti personali a distanza dal letto dell’incontro).

 La fase successiva prevede una sorta di studio dell’uomo previo un pedinamento fino alla sua salita in macchina per acquisire elementi di partenza (appunto la targa), individuare l’abitazione, inquadrare al meglio il soggetto e decidere se girare la dritta a complici per organizzare un furto […] è previsto […] un premio economico per la prostituta che ha collaborato. […]

Una delle embrionali forme di difesa delle prostitute è la comunicazione al telefonino di un civico sbagliato per osservare dalla finestra chi ha contrattato la prestazione e domanda davanti a quali portone mettersi per poi salire nell’abitazione dell’escort. Una mossa che però non esclude affatto il rischio di sodali pronti a entrare in azione. A Milano viene usata un’app del telefonino: inserendo un numero di cellulare — quello dell’uomo che ha appena chiamato la prostituta —, il sistema ricerca i commenti abbinati a quel numero e in precedenza depositati nelle bacheche online dei siti specializzati in annunci. Si tratta di una piccola arma, ci spiega una prostituta, per richiamare alla memoria soggetti già considerati pericolosi.

 […] i portinai: le donne ci riferiscono di una maggioranza che pretende una tangente, fisica oppure liquida, per «governare» i condòmini evitando proteste, segnalazioni all’amministratore dell’edificio e alle forze dell’ordine. Vale comunque l’abitudine di scegliere alloggi nei piani bassi […]

Le ultime lucciole tra ricordi e paure: «Ci restano solo i vecchi clienti e chi teme il web». Andrea Pasqualetto su Il Corriere della Sera il 25 Febbraio 2023

La prostituzione per strada è scesa del 60% in cinque anni, Pochissime le italiane rimaste. Siamo andate a trovarle. La «decana» Rossella, le lacrime di Stella

Quando scende il sole su Porto Marghera, Stella mette il rimmel, prende la borsetta e si avvia verso le ultime ciminiere del Petrolchimico. Va sempre lì, ora come vent’anni fa. Stesso marciapiede, stesse fabbriche, stesse polveri. Qualcosa è però cambiato: c’è solo lei, ultima lucciola di un mondo che un tempo, all’imbrunire, si popolava di giovani donne, di camion e di fuochi. Stella non traballa più sui tacchi a spillo, non passeggia, non ammicca. Ha i capelli raccolti, indossa un paio di jeans, un maglione girocollo e un paio di stivali e se ne sta ferma appoggiata al lampione. Osserva e aspetta.

«Buonasera», la avviciniamo.

«Venti euro».

«Vorrei solo parlare».

«In che senso!?».

«Se sale le spiego».

«Sei della polizia?».

«No».

«Mh…».

Perplessa, Stella si sistema la borsetta, sale in macchina e indica la direzione. Finiamo in un piazzale grigio e sgarrupato chiuso da un muro che da una parte si fa colorato con una grande scritta: «Non dobbiamo chiedere il permesso di essere liberi». E’ l’urlo del centro sociale Rivolta, culla di mille battaglie antagoniste che hanno a che fare con la libertà e qui, fra questi fumi, la libertà è spesso mancata. Oltre il muro spuntano i vecchi capannoni industriali e, sullo sfondo, il profilo velato della Venezia d’inverno. Spieghiamo a Stella che siamo giornalisti e vorremmo capire com’è cambiato il suo lavoro rispetto a qualche anno fa, com’è andata durante la pandemia e com’è ora. Sospira, riflette, scuote la testa ma decide di parlare. Un po’ per volta racconta la sua vita difficile e sfortunata. Alla fine diventa un fiume in piena, di storie e di ricordi che le stringono il cuore. «Penso di essere l’ultima italiana rimasta – sussurra - c’è qualche straniera ma poca roba… Vedi lì, fino a qualche anno fa era pieno di bulgare che lavoravano per niente, 10 euro. Erano controllate dai magnaccia che le riempivano di droga. L’eroina dava alle ragazze energia e coraggio e portava clienti. Le italiane si mettevano invece più avanti di via Fratelli Bandiera, non ce ne sono più. Molte adesso lavorano in casa, fanno i siti che a me non piacciono». Stella ha una voce tremula che di tanto in tanto vola dalle parti di Chioggia, dove la cantilena è inconfondibile. Mentre parliamo inizia una lenta girandola di luci dietro di noi. Sono i fari di una vecchia Panda e di un camion. «Quello è un mio cliente, ha una macchina così ma è pulito… ho anche gente con la Golf e l’Audi». Il camion? «Non c’entra, dovrà scaricare da qualche parte». Porto Marghera è ancora terra di bisonti e di treni merci che sferragliano per entrare e uscire dalle industrie sopravvissute ai tempi. «Ho il mio giro fisso. I clienti sono quelli, anche loro preferiscono così. Hanno una certa età, non usano la tecnologia, si fidano solo del vecchio sistema e a me va bene perché non voglio portarli a casa. Molti venivano anche durante la pandemia, non tutti, qualcuno è sparito, qualcuno sarà anche morto, non lo so».

La scomparsa

La statistica parla chiaro: prostituzione notturna quasi dimezzata dopo il Covid. Secondo la mappatura del Numero Verde nazionale Antitratta del Ministero dell’Interno, che da cinque anni sta raccogliendo i dati sul 75% del territorio nazionale (dove vive il 90% della popolazione italiana) attraverso 70 tra enti e organizzazioni, si è passati dalle 2608 presenze dell’ottobre 2019 alle 1449 dello scorso ottobre. Se si prende come dato di partenza il 2017, quando ne erano state rilevate 3709, il calo in cinque anni è del 62%. «Ma le italiane sono praticamente scomparse, noi ne abbiamo contate, escludendo le trans, una decina in tutto, un numero che può scontare un errore ma sono comunque pochissime», puntualizza Gianfranco Dalla Valle che del Numero Verde è l’anima. Per strada ci sono praticamente solo donne straniere, per il 70% europee, delle quali la maggioranza è rumena (55%) e albanese (23%), che hanno così superato le africane, fino al 2018 in testa alla classifica. Stiamo parlando di vittime di tratta, racket, sfruttamento sessuale. Le rare italiane sono invece donne mature fuori dal controllo delle organizzazioni criminali. Un tempo le chiamavano lucciole perché erano illuminate dai bagliori intermittenti dei fuochi un po’ come l’affascinante animaletto che d’estate vola sui campi lampeggiando. «Sono sparite anche quelle… accendi che ti faccio vedere un posto». Ci porta in un vicolo laterale, verso via dell’Elettricità che corre parallela alle banchine dove attraccano le navi del canale industriale. Qui passeggia una donna, questa sì in minigonna e tacchi a spillo. «E’ una rom, lei ne ha passate di tutti i colori. Qualche anno fa viveva in un… come si chiama quello dove si abita?». Roulotte? Camper? «Sì, ecco, scusami, sono agitata… quel camper era sempre fermo su questa strada. Viveva lì con il suo compagno, un bulgaro. Non potevano muoversi perché non avevano la… come si chiama?... era scaduta insomma». Carta di circolazione? «Sì, quella… Una notte, all’una, qualcuno ha dato fuoco al camper e loro erano dentro, sono riusciti a scappare per miracolo. Era una questione di soldi… Terribili i bulgari, derubavano i clienti e qualche volta finiva male. Ma quegli anni sono passati».

L’effetto pandemia

Storica sentinella dell’Italia a luci rosse è Pia Covre, ex lucciola, attivista e fondatrice con Carla Corso del Comitato per i diritti civili delle prostitute. Covre è oggi impegnata anche con le Unità di strada ad aiutare chi è rimasta sui marciapiedi e non solo. «In pochi anni è cambiato il mondo, i numeri sono crollati. Sui motivi bisogna fare un passo indietro. La pandemia e il lockdown in particolare è stato un periodo di grande sofferenza per queste donne, non sapevano più dove andare, non avevano da mangiare, si sono ritrovate in 7 per monolocale». In Piemonte e in Puglia le Unità di strada hanno fatto trattative con i padroni di casa: «Dicevamo di non preoccuparsi che presto sarebbero tornate a lavorare; in Versilia andavamo a prendere i pasti alla Protezione civile… a Firenze hanno trovato le trans a dormire sotto un ponte… in Friuli abbiamo ottenuto l’ospitalità nei dormitori comunali… a Ostia un prete ha aperto la parrocchia per aiutare una comunità di trans in difficoltà seguita da un’associazione antitratta, hanno avuto dei denari dal segretario del Papa… Finita la pandemia alcune sono andate via, altre sono tornate a lavorare ma indoor per evitare tanti problemi, pensando che la strada fosse diventata meno sicura: con la pandemia il livello di frustrazione e aggressività della gente è aumentato, i luoghi si sono fatti più pericolosi, ma io dico che è così un po’ ovunque, per strada e in casa e le tre donne uccise a Roma lo dimostrano”. Le italiane? «Per strada trovi sex workers, vittime più di un certo sistema sociale che del racket e ormai rassegnate a non avere tutele. Io ne conosco poche: c’è Regina Satariano in Versilia (guida dell’Associazione Consultorio Transgenere, ndr), la scrittrice Rossella Bianchi a Genova... Sono trans».

La solitudine di Stella

E, fra i capannoni di Marghera, c’è Stella. Che ora si abbandona ai rimpianti e alla nostalgia: «Non dovevo fare questa vita, mi è andata malissimo. Tutto è iniziato quando è morto mio papà, avevo tredici anni e io ero la sua stella. Ero l’amata di mio papà, gli assomigliavo molto, lui era il mio eroe e mi sorrideva sempre e... Scusami se non mi escono le parole, sono un po’ emozionata perché non parlo mai di queste cose, non interessano a nessuno… ». Prende fiato. «Quando penso a lui mi viene una cosa qui… In casa non avevamo molto ma con lui ero felice. Diceva che ero brava a cantare e io avrei voluto fare la cantante… Mio papà era uno sportivo, allenava il calcio, ha fatto però un infarto a 48 anni. Io ho avuto un crollo e anche mia mamma che poi è morta e per noi sorelle è diventato tutto molto difficile … Non riuscivo a trovare un lavoro, non ero brava con le parole, non avevo studiato, avevo paura… Mi sono sposata giovanissima e ho avuto subito un figlio… mio marito mi picchiava e a un certo punto me ne sono andata. Non sapevo come mantenermi, ho fatto la badante per un periodo ma è andata male, sono finita qui perché nessuno mi voleva...». Lotta contro la commozione, guarda dall’altra parte e prende qualcosa dalla borsetta: è un fazzolettino che porta agli occhi. Dietro di noi ci sono un paio di macchine ferme a fari accesi. «Solo questi mi cercano». Storia triste, la sua.

 Rossella e quelle dei bassi

Altra storia è quella di Rossella Bianchi, memoria storica della Genova a luci rosse. Transessuale, prostituta, scrittrice, spirito libero, Rossella ha compiuto 80 anni il 14 novembre. Eccola, bionda, alta, stretta in un ampio piumino bordeaux e seduta sullo sgabello di Vico Untoria ad aspettare qualcuno. «Nel ghetto siamo rimaste in sei - dice con voce pacata senza tanti preamboli —. Tutte over 50, trans, italiane. Fammi contare: Sara, Sandra, Mela, Lucrezia, Ulla, Laiza e io: sei. Abbiamo i nostri clienti affezionati che sono sempre meno. Alcuni sono spariti per un anno e mezzo, altri sono spariti del tutto». Siamo nei carrugi umidi e bui a un passo da piazza don Gallo e dalla via del Campo di De Andrè e Rossella. Lei, che un tempo era Mario, è schietta, confidenziale e spiazzante. «Eravamo un centinaio fino agli anni Ottanta, la metà è morta di Aids, altre si sono operate e se ne sono andate perché ai clienti non piacevano più, alcune sono morte di overdose, ci sono stati dei suicidi e anche dei delitti. Ricordo le quattro ragazzine siciliane, una è rimasta secca per una dose tagliata male, la seconda perché andava a dire in giro che sapeva chi le aveva dato la dose mortale, la terza perché diceva che sapeva chi era l’assassino della seconda. Solo una si è salvata e c’è ancora». Si chiama Sandra e il suo sgabello è poco più in là. “Cosa vuoi? Io non parlo…”. Parla Rossella: «Lei è così, siamo diventate tutte vecchie». Chi sono i clienti? «L’ultimo che ho fatto viene da quando aveva 30 anni ed era single, ora ne ha 71 ed è nonno, per dire. Una volta venivano i vip, calciatori del Genoa, della Samp, molti professionisti, ricordo uno che si faceva legare e frustare. Un giorno vado in ospedale e me lo ritrovo in camice bianco: era spaventato. Oggi non viene più questa gente anche per un discorso di privacy, ma una volta se volevi una trans dovevi venire qui o niente». Che vita è stata la sua? «Piena di difficoltà e di sfortune che sono state la mia fortuna. Per chi è come me e non vuole fingere le alternative erano poche, o facevi questo o spacciavi o rapinavi perché lavori non te ne davano. Guarda, io sono uscita da ragioneria col massimo dei voti, le banche mi chiamavano per i colloqui ma quando mi vedevano capivano e lasciavano perdere. Meglio così, se facevo la bancaria sarei stata un gay frustrato. Almeno ho fatto una vita libera».

Silvia e i clienti facoltosi

Da Genova a Milano, dai carrugi del ghetto ai marciapiedi metropolitani. «Le persone che si prostituiscono sono circa quinto rispetto al 2019, una quarantina in città, quasi tutte albanesi, rumene protette da albanesi o da rom, e trans. Italiane? Negli ultimi anni ne ho vista una sola», informano gli agenti della sezione Criminalità straniera e prostituzione della Squadra Mobile, la vecchia buoncostume. Non esistono più il viale Cassala delle rumene, la via Piccinni delle cinesi, il viale Porpora delle sudamericane, la «Fossa dei leoni» di parco Sempione dei trans.

Abbiamo fatto un giro intorno a mezzanotte: deserto. Due tre prostituite per zona. C’è giusto Maria, rumena di 31 anni tornata a farsi vedere in viale Cassala: «Mi ero fermata per paura del contagio». Fino a qualche anno fa pagava 500 euro a settimana la sua striscia d’asfalto. E Lara, un’albanese sulla quarantina a Lotto: «Io preferisco la strada perché così mi scelgono, online ci sono molti fake e i clienti sono diffidenti». Altra rumena in via Terzaghi, dalle parti di San Siro, da lei c’è una coda di macchine in attesa: «Ho 28 anni, vengo da Bucarest, sto qui qualche mese fino a che non metto da parte la somma che mi serve, se vuoi andiamo a piedi lì dietro».

Un’italiana c’è, si chiama Silvia, ha una sessantina d’anni e passeggia in un angolo di via Washington. Ha la cadenza e l’erre alla francese ed è molto sospettosa. Dopo un po’ qualcosa dice: «Io l’ho fatto per trent’anni e oramai lavoro solo con chi dico io: ne aggancio raramente qualcuno di nuovo. I miei clienti sono di due tipi: gli anziani che non sanno usare il web e tutti quelli che hanno paura di lasciare tracce online dell’appuntamento: uomini sposati, gente importante».

Il viaggio fra le ultime lucciole finisce qui. Stella, Rossella, Silvia. Donne diverse, storie di strada, spesso faticose. La più fragile sembra Stella che non riesce a parlare. Lei voleva fare la cantante e quando lo dice sorride. Ora cosa sogna? «Ho un compagno che vive distante e sa quello che faccio… - sospira ancora una volta - E’ la mia sicurezza, senza di lui sarei persa. Mi ha promesso che un giorno mi presenterà la sua famiglia. Il mio sogno è quello». Guarda al di là del muro e le scende una lacrima.

Estratto dell’articolo di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni per “Panorama” sabato 19 agosto 2023.

Una stanza buia. Venti uomini nudi. E, su una croce orizzontale, io. Il resto potete immaginarlo. Parla così Sara S., 42enne romana, appassionata frequentatrice di serate di Gang Bang, espressione coniata negli anni Cinquanta per identificare una specifica modalità di sesso di gruppo: quella di molti uomini con una donna, o viceversa. 

Il suo racconto - allegro e compiaciuto, che imbarazzerebbe più di un ascoltatore - è il battesimo a quel mondo del sesso, parallelo e sottotraccia, che coinvolge tutt'Italia a cominciare da Milano, Brescia e Torino.

Un mondo cui prendono parte professionisti e operai, personaggi del mondo dello spettacolo e impiegati e che sempre di più si diffonde grazie al web, strumento per organizzare appuntamenti e coinvolgere nuovi adepti. 

Una delle realtà più note nel circuito è GangWhite. A raccontarla è il suo fondatore, L., che chiede l'anonimato: Tutto è nato casualmente 13 anni fa attraverso una Gang Bang (GB) amatoriale consumatasi in un motel in compagnia di due amici. Da allora sono migliaia gli eventi organizzati. La tana […] è il Club Europa a Casarile (Milano), la nostra seconda casa dice L. Nelle serate di chiusura al pubblico realizziamo le richieste di Gang calendarizzate durante i mesi, a volte si sfiora l'annualità in base alla lista d'attesa.

Sono eventi organizzati, oggi, in tutta Italia. Come le GB Private, dove una donna è al centro delle attenzioni di più uomini, che siano 4-5 o più, o come i GBParty, che raggiungono centinaia di persone, anche 500 alle volte. Palcoscenico […] sono locali, solitamente i cosiddetti club swinger, che mettono a disposizione le proprie sale nel giorno di chiusura. Fra questi il frequentatissimo Infinito Club di Melzo. Ospitiamo i colleghi di GangWhite con il loro format diversi lunedì sera l'anno. 

Tutti i sabati, invece, lo spazio è per il mondo scambista, con persone che si possono sentire libere di esprimere la propria sensualità, trasgressione e voglia di fare festa dicono i proprietari a Panorama.

A sorpresa, però, il fine non è economico. Nelle GB Private, all'interno dei club, tutti i partecipanti versano una quota associativa. Diversa, invece, è l'organizzazione dei party. Parola ancora a Sara S. 

In questo caso le coppie che partecipano molto spesso neanche pagano, così come le donne che si presentano da sole. A versare un contributo per lo svolgimento della serata (solitamente intorno ai 100 - 120 euro, ndr) sono soltanto i singoli. 

Ma di fatto […] soldi che servono a coprire i costi di organizzazione, considerando che tutte le serate sono contraddistinte dalla presenza di dj, camerieri in divisa, servizio d'accoglienza, buffet. L'ingresso non è aperto a chiunque. La logica prevede una numerica che segua 1:1, ovvero un singolo per ogni coppia aggiunge L. Per questo si accede solo mostrando il QR code della prenotazione all'evento sul nostro sito: gangwhite.com. Tutte le telecamere degli smartphone vengono oscurate per dissuadere chiunque a farne uso, se non in precise aree "sterili".

[…]  I giochi erotici variano così come il tipo di esperienza offerto. Oltre alle canoniche GB, si può capitare in dark room tappezzate di fori dove gli utenti possono inserire solo alcune parti del corpo, o in stanze vetrate fatte per chi vuole solo osservare. Ad abbondare sono soprattutto i giochi di ruolo. Uno degli eventi che più mi ha divertito è stato quando i partecipanti dovevano ricordare nel vestiario personaggi religiosi, e non aggiungo altro per non diventare blasfemo dice Riccardo, 34 anni, habitué. 

Parola, ancora, a L.: Di aneddoti ce ne sono parecchi. Dalla richiesta di una colossale ammucchiata con la partecipazione di nani alla serata con numeri da record, a quella con solo uomini over 60, a quella con finto rapimento... Si passa da situazioni total black a quelle con uomini in divisa. Accontentiamo ogni richiesta, è uno dei motivi per cui non ci si annoia mai. La sperimentazione è alla base di tutto. Un altro esempio? Un film porno con una star mondiale, che coronò il sogno del cassetto di molti singoli e coppie. 

Esatto, coppie. Perché spesso agli eventi accorrono anche fidanzati o sposi. È il caso di Roby, 35enne esperto di logistica: Abbiamo iniziato da ragazzi, dieci anni fa sorride. Sua moglie è Lady_swingy, di professione segretaria. Siamo complici in tutto e questo mondo ci ha unito ancora di più. All'interno della nostra relazione ci piace fare le cose senza mai nasconderci. Siamo una coppia qualsiasi. Con la differenza che sappiamo scindere il sesso dall'amore e dal sentimento. 

Tanto che, come prosegue Roby: In dieci anni di partecipazione a serate hot non sono mai stato geloso. Mi piace vedere quello che fa, sentirla godere. Nella quotidianità, però, guai a chi me la tocca. 

[…]  Di pulsioni nei racconti degli insider ce ne sono molte. Ancora Roby: A volte voglio solo guardare, altre mi piace inserirmi durante il gioco. È il desiderio che hai dentro in quel preciso istante che ti guida anche perché ogni situazione è diversa e inaspettata.

[…] Lady_swingy […] puntualizza: Non mi sento un oggetto e penso che le donne che frequentano questi eventi la pensino come me. Siamo protagoniste e al centro dell'attenzione. Gli uomini, oltre a rispettare i nostri desideri, sono molto attenti alle nostre esigenze e fantasie. Così capita che l'aneddoto che Roby ricorda con più affetto è la prima DP (doppia penetrazione, ndr) di mia moglie, perché in quel momento è stato realizzato uno dei suoi più grandi desideri. 

[…]  Alle nostre serate hanno partecipato cantanti, politici, personaggi noti della tv. Ma tutti hanno goduto della medesima riservatezza. Chi pensa che questo mondo sia poco decoroso, sbaglia. Lo si deve conoscere da dentro per capire che può essere sintetizzato in tre parole: sano, sicuro, consensuale aggiunge L.  […]

Estratto da leggo.it il 4 giugno 2023.

Il sesso a tre è una delle fantasie più comuni negli uomini come nelle donne, ma per certi aspetti è ancora un tabù e una pratica inesplorata. 

Come tutte le esperienze sessuali, ha lati positivi ma anche negativi [...]. Le parti in gioco, in questo caso, sono tre, quindi le esigenze da rispettare aumentano rispetto al sesso 'tradizionale' di coppia. Per questo ci sono dei consigli da seguire,[...]. 

Ecco le regole [...]:

1) Essere sicuri: prima di iniziare, tutti i partecipanti devono essere certi al 100% di voler provare questo tipo di esperienza.

2) Evitare l'egoismo: non si è più in due, le attenzioni vengono condivise e non si può esserne 'gelosi'. Occorre accettare di essere una parte in gioco, ma non l'unica. 

3) Moderare l'uso di alcol: bere alcolici può aiutare a superare le inibizioni, ma quantità esagerate possono influire negativamente sulla vostra prestazione sessuale. 

4) Concordare le precauzioni: prima di iniziare, i tre partecipanti devono trovare un accordo preciso sulle precauzioni da prendere durante il rapporto.

5) Prestare attenzione ai sentimenti: dal sesso selvaggio, duro e puro, possono nascere anche sentimenti. [...]. 

6) Rilassarsi e divertirsi: una pratica così particolare può causare anche profondi imbarazzi, per evitarli è bene scherzarci su ed essere ironici. 

7) Verificare la compatibilità: prima di iniziare, è bene cercare di capire se i gusti sessuali di tutti i partecipanti sono compatibili. [...].

8) Utilizzare sex toys: per rendere il sesso a tre più piacevole, dinamico e inclusivo non esitate a ricorrere a questi 'strumenti'. Non c'è niente di peggio nel vedere uno dei tre partecipanti con le mani in mano per troppo tempo. 

9) Essere rispettosi: ognuno ha i propri gusti e in ogni momento può rifiutarsi di fare qualcosa che non desidera. Fondamentale [...] rispettare le esigenze di ognuno, senza costrizioni o forzature.   

Estratto da ilfattoquotidiano.it il 16 aprile 2023.

È sempre un giorno buono per leggere una storia raccontata dagli utenti di Reddit e meticolosamente ripresa dal Daily Mail. […]

 Siamo alle prese con una moglie 40enne, mamma di due figli che su Reddit ha scatenato moltissimi commenti: suo marito le ha chiesto di “aprire il matrimonio” a relazioni solo di tipo sessuale con altre persone. 

Lei si è chiesta: “Non sono alla sua altezza? Forse dovrei indossare lingerie sexy più spesso di quanto non faccio, dovrei passare meno tempo con i miei figli, dovrei evitare di addormentarmi a metà del film che guardiamo il venerdì sera”.

La 40enne ha poi spiegato che [...] lei ha subito sentito il “matrimonio come se fosse morto”. “È stato scioccante, credevo che il nostro fosse un amore solido, fatto di fiducia e rispetto e che tutti e due avessimo un forte desiderio sessuale. Secondo lui questa idea di fare sesso con altre persone non può fare che bene a entrambi”. 

La donna ha atteso nove mesi prima di sfogarsi, anonimamente, sulla nota piattaforma ma ammette: “I miei sentimenti non sono cambiati, credo ancora che il nostro matrimonio sia finito anche se lui si è accorto di un mio allontanamento e cerca di farmi riavvicinare. [...]”.

Il suo pensiero adesso è quello di chiedere il divorzio ma ha ovviamente paura che i figli ne soffriranno”. Tantissimi i commenti al post: “Conosco alcune coppie che hanno scelto questa via e tutte sono scoppiate“, “È la fine della fiducia nel rapporto“, “Dovresti parlarne con uno psicoterapeuta”. 

[...] La donna ha deciso di parlarne di nuovo con il marito e lui le ha spiegato che, a suo parere, “la monogamia funzionava quando la gente moriva a 40 anni, oggi che l’età media si è spostata verso gli 80, 90 anni non è pensabile”. [...]

Giancarlo Dimaggio per corriere.it l’1 aprile 2023.

Nel mio micromondo coppie che pensavo stabili si sono spezzate. Amici mi hanno svelano le loro infedeltà. Mi hanno colto impreparato, avrei voluto esercitare assenza di giudizio e non sono stato capace. Lo hanno notato, con sofferenza. Persistendo in una prospettiva moralistica sarei stato un buon amico? I pazienti mi raccontano di stabili matrimoni miserabili e di infedeltà calcolate o tormentose. In seduta sono capace di un ascolto privo di giudizio ma ne esco con delle domande.

 Ho bisogno di parlare con Lawrence Josephs e di chiedergli: cosa rimane della coppia oggi? La monogamia stabile è il modello normativo che dovremmo seguire? O è solo un ideale arcaico, irrealistico? L’infedeltà è giustificabile, inevitabile addirittura? Ancora, è il tempo di accogliere forme alternative di relazione, le non-monogamie consensuali?

 L’argomento lo affronta anche Alessandro Cattelan nella quarta puntata di Una semplice domanda : racconta di un corso prematrimatrionale cattolico e di una coppia di porno-attori che tenta di avere una relazione a quattro. Devo parlare con Lawrence Josephs, psicoanalista, autore di Infedeltà.

 Dal suo osservatorio cosa vede: le coppie sono più stabili, meno stabili, hanno più problemi, meno problemi?

«Abbastanza costanti, i tassi d’infedeltà sono relativamente alti, così come i conflitti. Quello che cambia è l’innalzamento dell’età a cui ci si sposa e si fanno figli, il tasso di divorzi ondeggia sempre attorno al 50%. La società diventa più permissiva, le persone che rimangono insieme per scelta e stando bene sono poche».

Quanto poche?

«Attorno al 25% considerando la specie umana nel complesso, forse meno».

 Solo?

«Le società patriarcali conservatrici forzano le persone a stare insieme. Lì gli uomini sono più infedeli delle donne a causa del doppio standard. Ma in Europa e in America le donne stanno arrivando agli stessi livelli perché le conseguenze del tradimento sono meno severe. Circa il 50% di coppie divorzia in America e molti di quelli che rimangono sposati sono infelici, ma non ho una statistica per questo. Naturalmente da terapeuti è probabile che vediamo soprattutto le persone che hanno più problemi».

E quando osserva il mondo fuori dalla stanza terapeutica, cosa nota?

«Vedo che solo una minoranza di persone rimane insieme in una vita serena, sicura, con una sessualità soddisfacente. Gli altri hanno vite di coppia che mantengono perché non hanno alternative, magari non li vuole nessuno (sorridiamo, ndr ), hanno paura di essere scoperti, hanno istinti sessuali meno intensi».

 Nel libro sembra sostenere che l’evoluzione non è a favore della fedeltà.

«Gli studiosi Buss e Schmitt parlano di strategie sessuali a breve e lungo termine. Alcuni tipi di personalità si orientano verso scelte a lungo termine: chi ha un attaccamento sicuro, basso narcisismo e buone capacità di riflettere sugli stati mentali. È una minoranza. Dipende anche dalle condizioni ecologiche».

Infatti ha notato che ambienti ricchi di risorse favoriscono quelle che Marco Del Giudice (psicologo italiano, University del New Mexico) chiama strategie di vita lente, mentre povertà, fame, deprivazione favoriscono l’adozione di strategie definite veloci.

«Le persone a strategia lenta investono nella stabilità e nella crescita dei figli, mentre i veloci investono più sulla riproduzione e meno sulla genitorialità. La disponibilità di risorse sì, favorisce le strategie lente, quindi maggiore fedeltà. Però a livelli estremi di disponibilità di risorse le cose cambiano, immagina i maschi alpha ricchi: non badano alla monogamia. In un certo senso la monogamia sembra la strada per chi non è ricco né povero».

 Quindi: se hai abbastanza risorse, né troppe né troppo poche, allora probabilmente avrai una coppia stabile?

«Per chi sta nel mezzo la migliore scommessa è adottare strategie stabili a lungo termine».

Secondo Josephs due dimensioni sottostanno alla stabilità/instabilità delle relazioni: stile di attaccamento e narcisismo. Col primo si intende il modo in cui le persone predicono che gli altri risponderanno quando chiedono aiuto. Chi ha uno stile di attaccamento sicuro immagina che entro certi limiti gli altri saranno disponibili, chi ha stili insicuri si aspetta che gli altri saranno disinteressati, preoccupati a loro volta o abusanti. Sulla seconda dimensione, in parte, discordo.

 Riguardo al narcisismo sono convinto solo in parte. Credo che molti altri disturbi di personalità dispongano le persone all’infedeltà. Per esempio, penso alle personalità evitanti, che hanno difficoltà con l’intimità e l’apertura emozionale. Quando stanno male non riescono ad aprirsi col partner e cercano conforto altrove.

«In realtà non intendevo che l’infedeltà fosse una prerogativa del narcisismo, ho più che altro studiato quelle due dimensioni. In generale un po’ tutte le forme di psicopatologia sembrano associate all’infedeltà. E magari altre psicopatologie sono associate alla fedeltà. Per esempio i paranoidi rifuggono da sesso casuale e tradimenti per paura di essere ricattati o contrarre malattie».

 Che destino attende le relazioni a lungo termine? Soprattutto, qual è la sua motivazione personale a esplorare un territorio così spinoso?

«Mi sento fortunato (dice con un filo di autoironia, ndr ), sono vicino alla pensione, ho tre figli e credo di appartenere alla minoranza di persone con una relazione stabile, felice. Quando ero un giovane professore di 30 anni le studentesse flirtavano coi professori, ora è cambiato. Forse è per la mia età, non sono più un bersaglio attraente. Ma non le vedo flirtare neanche coi miei colleghi giovani, la cultura è cambiata. Da giovane non avevo la tendenza a rubare le donne degli altri, ma sono sicuro che alcune donne sposate si sarebbero rese disponibili. In pratica so che tutti potrebbero tradire, io avrei potuto farlo».

 Ha ma sperimentato gelosia intensa, disturbante, o affrontato la gelosia di sua moglie?

«Mia moglie è psicologa, è troppo impegnata a vedere pazienti e fare soldi per flirtare (neanche provo a trattenere la risata!, ndr ). Siamo un team, mi trovo bene nella stabilità, soffrirei la mobilità verso il basso se ci separassimo. Vogliamo passare le nostre risorse ai figli. Se sei un team che funziona, perché mandarlo all’aria?».

Come terapeuta ha avuto difficoltà a fronte di coppie in cui un membro era infedele, oppure coppie poliamorose?

«Non ho reazioni moralistiche, sono pronto ad accogliere tutto: molte persone non riescono a mettere insieme amore e piacere nella monogamia. Negli States poliamore, coppia aperta, scambismo sono sempre più diffusi. Una coppia inizia monogama e a un certo punto uno dice: voglio un matrimonio aperto. L’altro non è d’accordo e vengono da me: Dr. Josephs, sistemi tutto. Io non prendo parte, ma sono situazioni difficili da risolvere, spesso le divergenze sono inconciliabili».

Ripenso alla coppia di porno-attori mostrata da Cattelan: hanno battuto la strada del poliamore e non ha funzionato. Ho studiato la letteratura sulle non-monogamie consensuali. Esistono due schieramenti opposti: chi sostiene che segnalino una disfunzione, chi le considera una forma di relazione soddisfacente e stabile quanto la monogamia, se non di più. La realtà è che lo stato della ricerca scientifica nel campo è pari a zero. Esistono pochi studi e condotti male, niente che ci aiuti a capire se la monogamia sia da preferire alle non-monogamie o viceversa, se le seconde siano alternative valide e magari più vitali. Cercando scienza, ho trovato solo zeloti contro zeloti.

 Nel caso di poliamori, coppie aperte, scambismo, ha storie da raccontare? Sono iniziate in questo modo e poi? Si amano ancora, si sono trasformate in monogamie, è subentrato l’odio?

«Mi vengono in mente due coppie. La prima è un matrimonio gay andato bene. Il mio paziente voleva avere rapporti con altri uomini e lo disse al partner. Concordarono che era ok, entrambi fecero sesso casuale con altri, ma senza intimità. Sembrava funzionare e chiuse la terapia. Tornò dopo due anni, arrabbiato: il partner faceva sesso con altri, ma con intimità! E lui era geloso. Poi ha realizzato: “Lui non va da nessuna parte, si infatua ma non dura più di qualche mese, alla fine torna da me, lo posso accettare”. Invece nella seconda coppia lui è stato scoperto infedele e ha detto: non voglio interrompere questa storia, voglio un matrimonio aperto».

Come è intervenuto?

«Ho spiegato che se volevano rimanere insieme o la moglie doveva accettare la relazione del marito, anche se era risentita, o il marito doveva lasciare passare le opportunità sessuali senza coglierle. In entrambi i casi ci sarebbe stato un sacrificio. Dopo un mese il marito ha detto: ho 65 anni, posso rinunciare».

 Siamo cresciuti con un mandato: formerai una coppia stabile, avrai figli. Non tradire. Ci hanno promesso: il mandato si realizzerà, non sarai tradito. Mi rimbomba in mente: 25%. La promessa di sicurezza, di un legame caloroso e avvolgente che, iniziato quel giorno, ci terrà compagnia per il resto della vita è, alla luce dei dati e forse delle teorie, falsa. La monogamia stabile finché morte non vi separi non è più, statisticamente parlando, normale. Un brano mi accompagna, Strangelove dei Depeche Mode, colonna sonora di un interrogativo senza risposta: per la maggioranza, tre quarti di umani, quale forma di Stranamore avrà la meglio?

Barbara Costa per Dagospia l’1 aprile 2023.

Z*ccola non si nasce. Z*ccola si diventa. Tutto sta a volerlo. E sarebbe ora di volerla, 'sta z*ccolaggine, secondo Janet e Dossie, due signore che z*ccole lo sono e lo sono state tutta la vita e che, nel lontano 1997, hanno scritto un manuale che sullo z*ccolare ogni segreto svela e spiega, manuale ora riedito (Odoya ed.) e che si intitola "La Z*ccola Etica".

E z*ccola per una volta non sta a insulto, bensì a femminile di stallone dongiovanni: la z*ccola qui è una donna che ha gioia di accogliere quanti più partner vuole tra le sue gambe, e non solo. Le due autrici vi hanno appiccicato Etica perché "La Z*ccola Etica" è il manuale del poliamore, cioè la forma di amore leale dove ci si ama tra più persone insieme.

 Chi pensa che il poliamore equivalga a sesso sregolatissimo, al 'ndo cojo cojo, allegramente dove riesco a infilarlo e a farmelo infilare, sbaglia! Il poliamore è tale SOLAMENTE se unito a un sentimento, un rispetto e un impegno tra le persone coinvolte in ciò che non è un harem, né un porto di mare. I gruppi sessuali poliamoristi si chiamano in gergo poliamoroso “costellazioni” e chiunque ne fa parte è una stella non fissa. Procedo a esempio pratico: prendiamo un gruppo poliamoroso formato da 6 persone.

Secondo patti minuziosi (ma pure ad evenienza modificabili) in precedenza stipulati tra tutti e 6, e con il totale CONSENSO di tutti e 6, questi 6 poliamoristi possono se vogliono – e lo vogliono spessissimo – vivere insieme, nella stessa casa o nella stessa palazzina. E, secondo le regole che si sono dati, sc*pano a 6 e se vogliono tutti e 6 in ammucchio, ma più di sovente divisi in una coppia primaria di cui gli altri 4 sono partner secondari reciproci. Scusate se suona un po’ confuso, ma il poliamore è l’apoteosi di trattative e compromessi.

Diversamente è stile di vita sessuale di chi, promiscuo, va con chi vuole senza legami, o di una coppia che si fa a vicenda gli affari propri fuori di casa. È questo che i poliamoristi detestano: per loro è sbagliato che due che stanno insieme, passati o attenuati gli iniziali ardori, reprimano le loro voglie. Secondo i poliamoristi le coppie devono “aprirsi”, ma non con lo scambismo, che nel poliamore non vale, perché ci si apre al sesso, ma non all’amore condiviso. I poliamoristi non credono nella coppia monogama, ma in un amore che si sviluppa a tribù legate a diritti e doveri che sono una riproduzione esponenziale di quelli su cui una coppia classica ripiega se vuole convivere in equilibrio.

Il sesso poliamorista esige però intese sconosciute ai monogami. Tra i poliamoristi non c’è mossa, decisione, desiderio che non vada concordato. Sempre. Tra i poliamoristi non devono esistere bugie. Pena il decadimento all’amore duale e monogamo con ogni forza avversato. Ma come si fa con la gelosia??? Secondo la mentalità poli la gelosia “è una emozione che va disimparata”.

 Mediante un lavorone psicologico che ogni poliamorista deve fare in sé, da sé, e per sé. Chi segue la scelta poli deve disapprendere ciò che dell’amore di coppia la società occidentale ha normato. Un poliamoroso può essere etero, gay, bisex, ciò che è e vuole, tranne esser un farfallone. Il rispetto nel sesso poli è sostanziale. E tutto va contrattato. Pure ogni pratica, ogni gioco di letto. Col consenso poli. Vado al sodo: se il poliamorista A pratica fellatio ai partner B e C, gliele fa, ma col "consenso informato" degli altri del suo gruppo-poli, sennò scatena rivalità e drammi. Il guaio è che i poliamoristi non occupano nella tribù il medesimo posto e grado.

Perché se per loro è normale amare insieme più persone, non è possibile amarle nella stessa intensità. Ecco che allora all’interno di una tribù poli si differenzia tra coppie primarie e coppie secondarie, e ci sono secondarie che non convivono h24 con le primarie. Alcune coppie primarie a loro volta stabiliscono accordi per cui non si fa con i secondari sesso non protetto, non li si bacia in bocca, non sempre si fa con i secondari sesso orale e/o anale, dopo il sesso con i secondari non si rimane a dormire, i sex toys dei poli-primari non si passano ai secondari, ecc.

Le coppie primarie sono spesso coniugi che si sono “aperti” e che secondo i comandamenti poli devono dirsi tutto ma proprio tutto quello che combinano con altre stelle poli. E ci sono mariti e mogli di coppie primarie che non hanno amanti poli condivisi, bensì ognuno una personale tribù. Questo accade nelle coppie primarie che tra loro non riescono a esprimere sessualità BDSM, o sono prede di tosti feticismi (come quelli di dominazione cane-padrone, zio-nipotina, ecc.) di cui godono nelle loro tribù poli. Attenzione: conoscenza e frequentazione tra rispettivi amori polisex va fatta.

È (quasi) un obbligo. Perché non il non sapere ma la concordia alla luce del sole è il solo rimedio al caos e al prendersi per i poli-capelli. Per ogni poliamorista tutto vale poli, feste comandate, anniversari, compleanni, ferie estive. Tutto in poli-comunione! Aumentano le tribù poli che tendono a stanziarsi e che per questo sono entrate nella galassia LGBT+ esigendo unioni poliamoriste riconosciute dallo Stato.

Non hanno torto: loro vogliono che lo Stato le veda “famiglie” come le altre, alla stregua di quelle agricole attive in Occidente prima della rivoluzione industriale (le quali però mica sc*pavano tra loro!). Seppure senza avallo giuridico, le famiglie poliamoriste vivono accanto a noi, hanno figli (naturali ma di più figli di primo letto monogamico), pagano le tasse, aprono mutui, vedono il festival di Sanremo.

 Tranne che sessualmente fanno azioni sì multiple ma pari a ogni unione a due lodata in società e dallo Stato unico stanziamento sentimentale buono e giusto. Un amore poli finisce come ogni altro. Non è più o meno felice, e può finire per corna se una stella sc*pa fuori dalla sua costellazione, così ingannando le altre. Qualora in futuro si giungerà al legale riconoscimento delle tribù poli, sarà pacchia per gli avvocati, per ogni non consensuale divorzio tra rancorosi ex poliamorosi.

Giacomo Galeazzi per lastampa.it il 26 Dicembre 2022.

Fedeltà bye bye. Esplosione negli Stati Uniti e in Europa delle app di incontri per nuovi partner sessuali  “integrativi”. Free pass e scambismo: boom post-pandemia di relazioni libere (4%). Tra i giovani la monogamia non è più un valore. Inchiesta della Bbc: «Poliamore in crescita, favorevole 1 millenial su 5». Un lascito insospettabile della pandemia sembra essere la crisi della monogamia che, soprattutto tra i giovani, non pare più un valore. Il senso di precarietà esistenziale diffuso dall’emergenza Covid si è tradotto nei costumi in uno slancio di trasgressione, secondo un’indagine della Bbc sulla «crescente curiosità dietro le relazioni aperte».

L'aggiunta di altri partner sessuali durante una relazione stabile è stata a lungo un tabù. E anche se ora non è esattamente “mainstream”, l'interesse per le relazioni aperte è in aumento. Dedeker Winston ha avuto relazioni non monogame per più di dieci anni, ma non ha mai visto un interesse così vivo per le relazioni aperte. L'argomento è tradizionalmente molto tabù in molti luoghi, compresi gli Stati Uniti, dove la Winston risiede. Nel 2014, quando ha avviato il podcast Multiamory, lei e i suoi co-produttori hanno dovuto decidere se usare i loro veri nomi nel programma sulla non-monogamia etnica.

"A quel punto, c'erano praticamente solo uno o due altri podcast che affrontavano questo argomento", dice alla Bbc la dating coach. "E le persone che producevano e ospitavano quei podcast usavano degli pseudonimi". Ma le cose sono cambiate. Intorno al 2016, Winston ha notato una vera e propria "esplosione di interesse per la non-monogamia", circa un anno dopo aver iniziato a lavorare come dating coach specializzata in questo tipo di relazioni. "È stato allora che mi sembra di aver assistito alla più grande svolta, con l'improvvisa disponibilità di tante persone online a parlare di non-monogamia", dice, "e a esprimere il loro interesse per questo tipo di cose".

Interesse in crescita

Anche Sarah Levinson, consulente presso la Creative Relating Psychology Psychotherapy di New York, specializzata in sessualità e dinamiche relazionali, ha notato un crescente interesse per le relazioni aperte negli ultimi dieci anni. "Dieci anni fa era molto più oscuro, mentre ora è incredibilmente comune", afferma. Queste testimonianze e alcuni dati mostrano un crescente interesse per le relazioni consensuali non monogame, comprese quelle aperte. Secondo gli esperti, sono molti i fattori sociali e culturali che hanno portato a una più ampia diffusione di stili di relazione non tradizionali, e la pandemia potrebbe anche avere un ruolo.

Ma mentre l'interesse per le relazioni aperte potrebbe essere in aumento, gli esperti non sono concordi sul loro effettivo grado di diffusione, almeno per il momento. Ci sono molti modi per impegnarsi nella non-monogamia, dice Levinson alla Bbc. "Può essere qualsiasi cosa, dal vivere con più partner e condividere le finanze, o può essere sostenere il proprio partner nel concedersi una volta all'anno un pass gratuito a una conferenza di lavoro fuori dallo stato per avere un'avventura". Le relazioni aperte rientrano nell'ambito della non-monogamia, ma molti tendono a distinguere tra questi tipi di accordi e altri tipi di non-monogamia, come il poliamore.

Il poliamore spesso implica la partecipazione a più relazioni intime, mentre le relazioni aperte sono più spesso associate a persone che si impegnano in relazioni principalmente sessuali al di fuori della loro partnership prioritaria di due persone. In altre parole, le relazioni aperte sono meno incentrate sui legami emotivi con persone al di fuori della relazione primaria e più su quelli sessuali.

Lasciapassare

Le relazioni aperte sono generalmente associate a persone che si impegnano in relazioni prevalentemente sessuali al di fuori del loro rapporto prioritario a due. Per alcuni, questo significa avere appuntamenti occasionali e relazioni del tipo "amici con benefici" con persone diverse dal partner principale. Per altri, una relazione aperta significa solo un "lasciapassare" occasionale per un'avventura di una notte o una breve avventura sessuale. E per altri ancora, l'accordo potrebbe assomigliare più allo scambismo, ad esempio fare sesso con altre coppie come coppia, ma non andare agli appuntamenti separatamente. Winston parla anche di relazioni aperte del tipo "don't ask, don't tell", in cui entrambi i membri di una coppia permettono all'altro di avere rapporti sessuali con altre persone, ma non vogliono parlare di queste esperienze insieme.

Altri termini, come "monogamo", che l'editorialista statunitense Dan Savage ha reso popolare diversi anni fa, possono sovrapporsi ad alcune di queste relazioni aperte. Savage ha parlato della sua relazione monogama nel suo podcast, in cui lui e il suo partner si impegnano l'uno con l'altro, ma fanno sesso senza impegno con altri uomini. Persone di ogni tipo si impegnano in relazioni aperte. Negli ultimi anni, Levinson afferma di aver riscontrato "una certa diversità" tra coloro che partecipano alle relazioni aperte nelle sue sessioni, in termini di "risorse economiche" ed "etnia". (Tuttavia, riconosce che, come consulente che lavora a New York, vede un campione diverso da quello che si potrebbe incontrare in altre zone più conservatrici degli Stati Uniti).

Tra i clienti, gli ascoltatori del podcast e i visitatori del sito web della Winston, ha scoperto che molti di coloro che sono interessati o partecipano a relazioni aperte tendono a essere relativamente giovani, tra i 25 e i 45 anni. E molti si identificano come queer, bisessuali e/o pansessuali. Tuttavia, nella sua pratica, ha lavorato con clienti interessati o praticanti di relazioni aperte di età compresa tra i 19 e i 70 anni. "Le persone che si rivolgono a me abbracciano tutto lo spettro", afferma alla Bcc. 

App

Le tendenze delle app di incontri contribuiscono a evidenziare l'aumento dell'interesse per le relazioni aperte. Ad esempio, sono nate piattaforme particolarmente incentrate sulla non-monogamia, comprese le relazioni aperte, per soddisfare la crescente curiosità. Ma anche le app di incontri più tradizionali, come OkCupid, hanno registrato un aumento dell'interesse per le relazioni aperte. "Mentre la maggior parte degli utenti di OkCupid cerca relazioni monogame, nel 2021 gli utenti che cercano relazioni non monogame sono aumentati del 7%", ha dichiarato un rappresentante di OkCupid alla BBC Worklife.

Tra gli oltre 1 milione di utenti di OkCupid con sede nel Regno Unito che hanno rispostoalla domanda "Prenderesti in considerazione l'idea di avere una relazione aperta?" nell'app, il 31% ha risposto di sì nel 2022, rispetto al 29% del 2021 e al 26% del 2020. “Quando si continua a scegliere la monogamia e non funziona, si inizia a essere curiosi di sapere[se c'è un altro modo”, evidenzia Sarah Levinson.Inoltre, i dati del 2022 dell'app di incontri Hinge hanno mostrato che un utente di Hinge su cinque "prenderebbe in considerazione" di provare una relazione aperta, mentre uno su 10 si è già impegnato in una relazione. Il direttore della scienza delle relazioni di Hinge, Logan Ury, sostiene che potrebbe esserci un effetto pandemia, in quanto ritiene che sia stata "l'occasione perfetta per fare una pausa e pensare di più a ciò che vogliamo".

Millennial

Anche consulenti e professionisti, come Levinson e Winston, hanno osservato un aumento. La Winston afferma che gran parte del recente interesse per le relazioni aperte proviene dai millennial che stanno semplicemente "mettendo in discussione il modo in cui sono stati educati" - nella maggior parte dei casi, a credere che la monogamia matrimoniale a lungo termine sia l'obiettivo finale delle relazioni intime. Questo potrebbe derivare da una tendenza generale all'apertura mentale, secondo Levinson. "Socialmente, siamo tutti più aperti a tutti i tipi di identità meno convenzionali... le persone sono più disposte a sfidare i costrutti sociali in generale".

Questo ha aperto la porta a mettere in discussione anche i propri desideri. Quando "si continua a scegliere la monogamia e non funziona... si inizia a essere curiosi di sapere [se] c'è un altro modo". E per chi è curioso, ci sono più risorse che mai. Oltre all'"esplosione di interesse" per le relazioni aperte, aggiunge Winston, c'è "un'esplosione di creatori di contenuti e di persone che ne scrivono nei media... nelle app, negli incontri della comunità". Ciò significa che le informazioni sulla non-monogamia sono ampiamente accessibili, non in "vecchi e polverosi LiveJournals (diari personali online) negli angoli di Internet", dove Winston dice di aver dovuto cercare informazioni più di dieci anni fa.

Virtuale

Nonostante il numero di persone che abbracciano accordi non monogami e la crescente visibilità delle relazioni aperte, la percezione generale è ancora negativa. "Le ricerche e i sondaggi suggeriscono che l'atteggiamento nei confronti della non-monogamia consensuale è per lo più negativo, anche se negli ultimi anni sembra essere diventato più positivo", afferma il dottor Justin Lehmiller, ricercatore del Kinsey Institute e conduttore del Sex and Psychology Podcast. Sebbene questi atteggiamenti negativi non impediscano alle persone di pensare alle relazioni aperte, possono scoraggiarle dall'intraprenderle. Nelle sue ricerche sulle fantasie sessuali, ad esempio, Lehmiller ha scoperto che "la maggior parte delle persone ha già fantasticato di essere non monogama in qualche modo, ad esempio partecipando allo scambismo, aprendo la propria relazione o essendo poliamorosa". 

Tuttavia, aggiunge, "sono relativamente pochi quelli che lo praticano nella vita reale". Sebbene non esistano dati post-pandemia sul numero di persone che praticano questi accordi, una ricerca canadese del 2019 indica una percentuale di circa il 4%, mentre una cifra simile è emersa in uno studio statunitense del 2018. Anche se un numero crescente di persone ha relazioni aperte, secondo alcuni esperti l'argomento può rimanere tabù. Levinson ritiene che ciò possa in parte derivare dalla percezione radicata che le relazioni aperte siano generalmente considerate "malsane". Tra i suoi colleghi terapeuti, Levinson ha osservato che molti vedono ancora la "diade" o la "bolla di coppia" come "l'unico modo praticabile di avere un attaccamento sicuro". Ritiene che questi atteggiamenti possano "ridurre la sensazione che questa sia un'opzione praticabile per le persone". 

Valori

Anche le credenze religiose possono scoraggiare le persone dall'impegnarsi in relazioni sessuali e/o di coppia con più di una persona alla volta, così come le norme culturali di alcune comunità. Tuttavia, Winston vede che le persone, in particolare i millennial e la generazione Z, continuano ad allontanarsi dall'idea che un solo partner possa soddisfare tutti i loro bisogni (cosa che il concetto di matrimonio tradizionalmente monogamo incoraggia). L'autrice sottolinea il numero crescente di amici platonici che decidono di vivere insieme e di fare da genitori, nonché il calo dei tassi di matrimonio, per suggerire un possibile cambiamento futuro della società nel modo in cui le persone si impegnano nelle relazioni.

"Le persone si stanno espandendo e stanno creando le relazioni che hanno più senso per la loro vita", afferma. Anche se Levinson concorda sul fatto che ci sarà un continuo aumento delle "strutture di relazione creative" per ragioni simili, non crede che diventerà un fenomeno globale. Troppe culture in tutto il mondo pongono delle sfide alle persone che sperano di aprire le loro relazioni, e il tabù rimane prevalente a livello globale. Michael Kaye, responsabile della comunicazione globale di OkCupid, ha un'opinione diversa. "I comportamenti che vediamo oggi tra i daters esistono da sempre. Ma le persone stanno diventando più aperte e trasparenti su come si identificano e cosa vogliono in una relazione. Penso che ogni anno che passa stiamo diventando un po' meno critici nei confronti degli altri", spiega alla Bbc.

Dagotraduzione da dailymail.co.uk mercoledì 30 agosto 2023.

Il sesso dovrebbe essere una cosa spontanea, giusto?  «Non c’è niente di peggio che pianificare il sesso, ogni volta che lo suggerisco, la prima reazione è sempre la stessa: “Bleah” - dice la sexperta Tracey Cox -Ma ci sono un sacco di cose che dovete pianificare a letto».

 E in effetti invitare un estraneo a letto senza che non vi si ritorca contro necessita di una lunga (e sobria) conversazione per stabilire i termini ed evitare situazioni spiacevoli. Chiamare da ubriachi il vostro ex per una sveltina non va mai a finire bene, nemmeno decidere di fare sesso all’aperto senza prima controllare di non avere un parco giochi appena dietro l’angolo.

«Non sto dicendo di fermarsi e pensare prima di cedere ai vostri impulsi sexy, però sto dicendo di fermarsi a riflettere prima di fare qualcosa che potrebbe portare a conseguenze disastrose. Non pensate solo a “Ma è legale?”, ma “Potrebbe distruggere la fiducia nella mia relazione?” oppure “Potrebbe farsi male qualcuno, fisicamente o emotivamente?”».  

Pochi di noi attraversano la vita senza qualche rimpianto sul sesso, ma potrete evitare  complicazioni se resterete alla larga dal fare, presi dalla foga, le seguenti azioni.  

Decidere spontaneamente di fare un ménage-à-trois

“È tutta colpa mia. Erano anni che assillavo mia moglie per fare una cosa a tre e lei ha sempre detto di non essere interessata” 

“Una delle sue amiche è single e non si fa molti scrupoli a farmi notare che le piaccio – scherziamo spesso sul fatto che flirta con me davanti a mia moglie. Una sera stavamo chiacchierando e la sua amica stava parlando di quanto moriva dalla voglia di fare del sesso ma non aveva nessuno con cui farlo, allora mia moglie rispose scherzando: “puoi prendere lui in prestito se ti va.” Lei rispose immediatamente che le sarebbe piaciuto e che ci avrebbe pensato su. Da lì in poi sono stato io a spingere per farlo.”

“Sapevo che non serviva molto per convincere la sua amica e così è stato. Mia moglie non era contenta ma ha deciso di provare, penso perché non voleva sembrare troppo pudica. Appena ho cominciato a baciare l’amica e tastarle il seno, mia moglie ha alzato i tacchi e se n’è andata. A quel punto ci siamo fermati e siamo andati a recuperare mia moglie. 

Era incazzata nera! Sia con me che con la sua amica. Ormai loro non si frequentano più e mia moglie non si fida più di me. Questo è successo 8 mesi fa e non so quanto questa relazione possa ancora durare.” – Ben, 42 anni. 

Perché pianificare il sesso di gruppo

Ci sono tanti, tantissimi motivi per cui fare un ménage-à-trois non pianificato sia una delle peggiori idee che possiate mai avere. Quella più ovvia è che molto spesso le coppie che si amano fanno fatica a vedere il proprio partner con qualcun altro. Non importa quanto sembri funzionare nelle vostre immaginazioni, non vi potete mai realmente prepararvi per la sensazione di vedere qualcuno che bacia, tocca o fa sesso con la vostra dolce metà. 

Di solito c’è sempre qualcuno che si prende tutte le colpe nel caso l’esperienza non dovesse andare bene e spesso vi lascia con delle sensazioni di gelosia che potrebbero diventare molto problematiche in futuro (“Non ti ho mai visto così eccitato con me”) 

Se siete convinti di provarci, potete minimizzare il rischio stabilendo delle regole, specificando accuratamente cos’è ammesso e cosa no e avere una parola d’ordine per fermare tutto. Stop significa stop, non importa quanto vi stia piacendo l’esperienza, le vostre relazioni sono molto più importanti del sesso. 

Provare qualche atto sessuale senza essere preparati

“Il mio ragazzo ha sempre voluto provare il sesso anale e io gli ho sempre risposto di no, non mi attirava l’idea. Una sera, quando ero fin troppo ubriaca, mi sono arresa e ho accettato di fare un tentativo. Il mio ragazzo è tornato con del lubrificante e dopo due minuti era dentro di me” 

“È stato agonizzante! Non ho mai provato tanto dolore come quello. A lui stava piacendo molto e ci ha messo un paio di minuti prima di fermarsi, dicendo che mi sarei abituata. Abbiamo avuto un’enorme discussione e non ci siamo parlati per giorni. Non sapevo che bisognava prepararsi per il sesso anale. È stata la peggiore esperienza sessuale della mia vita.” Lexie, 29 anni. 

Perché dovete pianificare

Ci sta un modo giusto per fare il sesso anale e un modo sbagliato. MAI tentare la penetrazione senza prima metterci un dito o un sex-toy, il retto ha bisogno di tempo prima di abituarsi a tenere cose dentro! 

Il primo step che occorre fare è di mettere tanto lubrificante, massaggiando gentilmente l’entrata con i polpastrelli delle dita 

Aspettate che i muscoli si rilassino, poi inserite piano una parte del dito. Una volta che avete fatto questo nell’arco di un paio di sessioni, iniziate con un dito e poi passate a due. La prossima fase è di usare un butt-plug: un piccolo giocattolo che inserite e poi lasciate mentre continuate a fare sesso normalmente. 

I butt-plug aiutano il retto a rilassarsi e ad abituarsi a un corpo estraneo. Solo allora potete provare a fare del sesso anale. 

Decidere improvvisamente di fare le corna

“Sono un giornalista e una volta stavo viaggiando con altri giornalisti, mi ero appena sposata e mi sentivo soffocare. Stavo flirtando con un altro giornalista tutto il tempo che eravamo in viaggio, fino a quando una sera siamo rimasti a bere fino a tardi e siamo andati a letto insieme.” 

“La mattina seguente mi sono svegliata, inorridita da quello che avevo appena fatto. Ma poi quando sono andata allo specchio sono rimasta paralizzata dallo shock: avevo un succhiotto enorme sul collo che era impossibile da nascondere e mio marito doveva passare a prendermi in aeroporto soltanto qualche ora più tardi.”

“Ho cercato di coprirlo graffiandomi il collo con il retro di un orecchino, sperando che sembrasse che fossi cascata in un cespuglio o qualcosa del genere. Il momento in cui mio marito ha visto il mio collo è stata la fine del mio matrimonio” Marianne, 38 anni. 

Perché dovete fermarvi a riflettere

Ci sono tantissime ragioni per cui qualcuno decide di tradire il proprio partner e non sempre c’entra il sesso. Alcuni lo fanno per “mettere alla prova” il loro amore, altri per vendicarsi o per punire il compagno per qualcosa che ha fatto. 

Molti altri lo fanno per attenzione, una botta d’ego, o per dimostrare che ci sanno ancora fare. Ma non è solo una voglia incontrollabile di sesso che potrebbe portarvi a farlo, prima di essere tentati di fare le corna al vostro partner fermatevi a rifletterci su, andate al bagno per qualche minuto, una volta lì, cercate di pensare alla faccia del vostro partner quando verrà a scoprirlo.

Potrete pensare che sia impossibile, ma è molto facile scoprire l’infedeltà (Con la tecnologia si fanno tanti errori!) Come gli spieghereste quello che state per fare? Quanto è probabile che il vostro partner voglia lasciarvi dopo averlo scoperto? Si fideranno mai più di te? Ora immaginatevi i volti dei vostri migliori amici: cosa ne penserebbero loro? 

A volte essere sull’orlo del tradimento può aiutarvi a interrompere un rapporto che volevate troncare da tempo, soltanto non prendetevi in giro pensando che facendo sesso con qualcun altro non stiate mettendo a serio repentaglio le vostre relazioni. 

Provarci con un amico/a che vi piace 

“È da circa un anno che sono parecchio infatuata del mio migliore amico, un sacco di persone ci chiedevano spesso perché non stavamo insieme visto che andavamo così tanto d’accordo. Nella mia testa, era solo una questione di tempo prima che accadesse qualcosa e saremmo stati insieme.

“Una sera eravamo appena tornati da una cena fuori e ci siamo seduti sul divano a guardare un film, ci stavamo facendo le coccole e mi sentivo molto eccitata. A un certo punto ho pensato: uno di noi deve fare la prima mossa. Quindi mi sono avvicinata per baciarlo e gli ho messo la mano sul pacco, massaggiandolo attraverso i jeans. A quel punto è saltato dal divano guardandomi scioccato.” 

“A quanto pare non mi trovava attraente dal punto di vista sessuale e che mi “amava come una sorella.” Mi sono sentita ferita e mortificata e da quel punto in poi tutto è diventato imbarazzante. Abbiamo smesso di essere amici.” Nicole, 26 anni. 

Perché è importante fare un passo per volta

“Come faccio a far capire al mio amico che voglio qualcosa di più?” è forse la domanda che mi chiedono più frequentemente. 

Tutto quello che non bisogna fare è proprio quello che ha fatto la nostra Nicole: Anche se una mossa spontanea potrebbe funzionare nei film, nella vita vera non funziona così. Invece, cercate di trovare gli indizi che potrebbero indicare che provate le stesse cose l’uno per l’altro: vi incoraggiano o rimangono zitti se mostrate interesse verso qualcun altro? Vi è mai capitato di sorprenderli a guardarti quando pensano che tu non stia guardando? Dicono cose del tipo “se fossi la mia ragazza…”? Tutti questi sono segnali che dovreste provarci. 

Un modo molto semplice per tastare il terreno è di estendere il bacio mentre vi salutate o di spostare leggermente il posto dove vi baciate. Se sulla guancia, spostatevi verso il bordo delle labbra; dategli un bacio, allontanatevi e guardatelo negli occhi, poi baciatelo di nuovo. 

Guardate la loro reazione. Potrebbero rimanere confusi, ma se sorridono e vi guardano incuriositi è un gran bel segnale. Un segnale non troppo buono sarebbe pulirsi involontariamente la bocca o uno sguardo infastidito.

Barbara Costa per Dagospia il 12 febbraio 2023.

Vedere – e soprattutto sentire – la propria donna dar voce al suo piacere – e a gemiti alti, eloquenti – mentre un altro uomo è su e dentro di lei. E pure più uomini, che su di lei si avvicendano, che di lei prendono ciò che vogliono. Ovvero, ciò che lei vuole. Perché lei è lì per godere.

 E non con il suo uomo, ma con altri, al posto di lui. Che lo si tenga a mente: nessun io maschile è più quello di prima, dopo avere udito l’uguale grido orgasmico della sua donna donato a un pene nuovo, o a più peni insieme, e in alternanza, e specie se quei peni sono diversi dal pene del legittimo consorte, e diversi nell’unico senso che per un uomo conta e pesa: diversi perché più grossi, più lunghi, più larghi, più (si crede lui) del suo efficienti.

E lo stesso vale per una donna che vede – e soprattutto sente… – il suo uomo godere tuffato dentro altre donne, e il suo uomo allettato e allettante altre f*ghe, a lei più disinibite, di lei più propense, abili, a prendere in bocca quel pene maritale. Dal marito infilato in altri anfratti, per farlo succhiare e leccare da altre lingue di femmine. Sperma che invade sesso e epidermide altrui. Ci sono compagne che a siffatte scene emettono lamenti e metà d’agonia e metà di schietto orgasmo, dacché, sia chiaro: nel sesso scambiarsi non è la scampagnata che raccontano. La favola con cui si ninnano gli istinti per non farli impazzire.

La panacea di ogni routine coniugale, la sconfitta di ogni noia a due, lo scambismo è narrazione ogni volta positiva, ma è davvero così? No, che non lo è. Ce ne vuole, di pelo sullo stomaco e di auto ed eccezionale educazione all’alfabeto di coppia per resistere alle viscere che ti si contorcono alla vista di tua moglie sc*pata a te davanti da, che so… 5 stalloni o uno soltanto, ma capace di farla venire più volte e consecutive. Un traguardo da te, marito, mai lambito neppur nelle tue performance migliori.

Tante coppie che si scambiano il loro scambismo te la riportano felice e risolutivo per mettere a tacere quel gran rodimento che le dilania poiché è indubbio: superare la cultura monogamica e la gelosia presente in noi a istinto, è gradino scalato da pochissime persone che, se hanno raggiunto un inedito equilibrio nel condividere il partner con altri vicendevolmente, non te lo vengono certo a consigliare, e per questo motivo: scambiarsi e in tal modo procurarsi piacere nel farlo uno davanti all’altra è zenit talmente personale che non può essere suggerito. È esperienza che si sceglie per sé, e in due, e nel massimo – composito – rispetto del proprio partner.

V’è la legge delle leggi: per quanto si possa essere d’accordo e in armonia e decisi nello scambiarsi, dopo la "prima volta" e cioè dopo il fatidico primo scambio, il rapporto di una coppia ora non più monogama, non torna come prima. Mai più e per sempre. E questo rapporto può migliorare e acquistare un legame più netto, differente da prima ma più profondo, e conquistare ben più brio a letto nel sesso a due (che mai deve venir meno, nemmeno nelle coppie promiscue), se sul serio la coppia in questione ha scelto lo scambismo essendo totalmente sincera l’uno con l’altro: solo in questo caso, una volta superato lo "swing" (nello scambismo solo la pratica prova e timbra, non la teoria) la loro unione acquista marce in più.

 Unione che si scopre migliore. Ma mai vi capiterà, se non a eccezione massima, la coppia che vi dirà questa verità inconfessabile: che tante volte si va a scambiarsi come extrema – e sbagliatissima – ratio per un rapporto logoro, e per ragioni che col sesso c’entrano ma anche no. E che tante volte la coppia che si scambia lo fa su un piano tutt’altro che paritario perché è lei o è lui (vi rientra ogni tipologia di coppia, etero e no) che accetta di scambiarsi ma controvoglia, e lo fa col proposito il più insano di non perdere il partner. Di salvare una relazione che non si può salvare.

E però ci sono coppie – di numero chissà se esiguo – che scelgono, provano, pensano lo scambismo come risoluzione di un rapporto. Decisione particolarmente importuna. Ma è una realtà che lo scambismo il più perfetto sicché in simmetria di corpi ma più di testa sia stile di vita a due raro e prezioso: lo scambismo mina il caposaldo di ogni sentimento e affinità a due per come ce li hanno insegnati e mostrati nei secoli: va a colpire la fedeltà, e dei corpi, ma di più il mito del "per sempre", in un idillio a due che, siamo sinceri, e quando mai c’è stato?

Possono due persone rimanere soddisfacentemente unite anni, ogni volta rinnovando un amore che per rimanere in vita ha bisogno di compromessi via via più grandi, i quali però gravano in modo sbilanciato sui partner. In una coppia v’è chi fa più rinunce, si sacrifica e paga di più. Sempre.

 E anche nel sesso, e anche nel sesso scambista. Il quale non assicura la felicità: lo scambiamo porta due persone che se lo vivono nel modo il più rispettoso a una complicità senza eguali. A abbeverarsi a rinnovata linfa. Ma le coppie in partenza cigolanti, in disequilibrio, si illudono di trovare nello scambismo possibile soluzione. Un tal baratto di pelli e fluidi e sensazioni gli procurerà orgasmi deludenti, disperanti, sfocianti in frustrazioni opposte all’appagamento che è la promessa che uno scambismo onesto e leale mantiene.

Estratto dell’articolo di Valerio Morabito per corriere.it il 24 giugno 2023.

Lo scambio di coppia non avviene soltanto in alcuni locali ben precisi tra Brescia e provincia. I cultori di questa trasgressione — che hanno resistito ad oltre due anni di pandemia e restrizioni — continuano a darsi appuntamenti regolari in diverse zone tra la città e i territori della provincia bresciana. Un fenomeno sempre più diffuso. 

Le modalità per incontrarsi cambiano con il trascorrere del tempo. Ad esempio alcune coppie, sempre con maggior frequenza, si conoscono su alcuni siti internet e poi continuano la discussione sui canali Telegram. Ed è in questi luoghi virtuali che concordano cosa fare e dove farlo. La maggior parte di loro si cimenta in questi rapporti per «piacere», per «trasgredire», ma ci sono anche le coppie che praticano scambismo per interessi economici.

In città le coppie si incontrano, quasi sempre nelle ore notturne, nel parcheggio del casello autostradale di Brescia Ovest. Un luogo, dal punto di vista logistico, facile da raggiungere per le persone che arrivano da altre zone della provincia o da altre città lombarde. 

A Brescia una delle zone maggiormente frequentate per lo scambio di coppia è l’area industriale di via del Serpente dove, spesso e volentieri, una coppia nel cuore della notte cerca di attirare altre persone nel bel mezzo della strada. 

A Brescia gli altri luoghi in cui si pratica lo scambio di coppia per strada sono la zona del Castello, in un parcheggio vicino; la zona industriale di via Girelli; zona Breda; via Achille Grandi vicino la Motorizzazione; via Orzinuovi e via Triumplina in un parcheggio di un supermercato.

Già, i market. È anche qui che le coppie si danno appuntamento. A volte alla luce del sole e utilizzano, incuranti di poter incontrare altre persone, nei parcheggi sotterranei di qualche supermercato. Accade in città, ma anche in provincia. 

Una zona movimentata, per ovvi motivi nel periodo estivo, è quella del Garda. Così Desenzano diventa punto di riferimento per le coppie bresciane, ma anche per i turisti e per le persone che arrivano dalle province di Verona, Mantova e Cremona. I luoghi in cui si consuma lo scambio di coppia, all’interno delle automobili o addirittura fuori dalle macchine, è quello intorno alla Cameo di Desenzano.

Ma gli incontri notturni avvengono anche nel cuore della Bassa bresciana. Come nel parcheggio del centro commerciale Le Robinie di Verolanuova. Oppure, sempre a Verolanuova, lungo la strada che conduce al cimitero.[…]

 Poi c’è l’Hinterland. Qui le coppiette si incontrano a Castelmella, nella zona industriale e per essere precisi in un boschetto. Altro punto strategico per gli scambi di coppia, e non solo, è la zona industriale di Castenedolo e il parco di Ciliverghe a Mazzano. […]

Non tutti gli scambisti si «conoscono» su qualche sito internet. Nell’ultimo periodo sono in crescita le persone che si danno appuntamento per gli scambi di coppia sui gruppi Telegram e poi ci sono quelli che usano i metodi di una volta.

Ovvero raggiungono in auto una delle zone tra Brescia e provincia, si affiancano ad altre macchine e poi le superano per qualche metro. Se uno dei due mezzi segnala, per circa tre volte, con i fanali posteriori dello stop vuol dire che c’è «interesse». 

Spesso e volentieri molte coppie cercano il brivido del proibito: ovvero lo fanno per piacere. In altre circostanze, invece, è il fattore economico a spingere molte coppie a cimentarsi nello scambio di coppia e in rapporti sessuali. In quest’ultimo caso sono in crescita, soprattutto tra i giovani, le coppie in cerca di single.

In sostanza offrono prestazioni sessuali in cambio di un compenso economico che oscilla dai 100 fino ai 250 euro. Cifre accessibili quasi per tutti. Altro che Onlyfans. Anche questo è un mercato in crescita che si espande lontano dalle luci della ribalta. 

[…]  A Desenzano, ad esempio, si danno appuntamento nel parcheggio vicino al McDonald’s. Poi la donna sale sull’automobile del single e il fidanzato, o presunto tale, della ragazza si allontana. Nel frattempo la «nuova coppia» raggiunge, di giorno, un parcheggio sotterraneo di un supermercato e consumano in auto il rapporto sessuale. Infine avviene il pagamento e la coppia si dilegua imboccando l’autostrada.

Massimo Recalcati: «Fare l’amore con la stessa persona per tutta la vita? Si può: ecco come». Roberta Scorranese su Il Corriere della Sera il 14 Aprile 2023.

Lo psicoanalista a tutto campo tra sesso e amore. «Dopo vent’anni amo ancora mia moglie perché lei, ai miei occhi, continua a essere un mistero»

Le decine di migliaia di follower sui social e i «numeri da stadio» che raggiunge ogni suo evento in pubblico, non scalfiscono la precisione con cui Massimo Recalcati misura le parole e i concetti («Non è che posso rivedere i virgolettati prima della pubblicazione? No, eh? Va bene»). Specie quando si parla di eros, uno dei temi che ha sviscerato più in profondità nei libri, nelle trasmissioni televisive e nelle conferenze. E adesso anche in un podcast — appena uscito per Storielibere.fm dal titolo «La vita erotica», puntate nelle quali lo psicoanalista più famoso d’Italia parla di fedeltà, di amore da «manutenere», di scelta del sesso e di questioni delicate eppure affascinanti. Ma l’eros raccontato di Recalcati è anche quello più bersagliato dal suo principale imitatore, Maurizio Crozza, e dunque non è senza ironia che il professore spazia con leggerezza e profondità in questi territori dove, lo precisa subito, «il mistero è e deve rimanere essenziale».

Professore, deve rimanere essenziale anche nel tempo in cui l’amore lo scegliamo sulle app di incontri come sceglieremmo una lavatrice?

«Ma in quel caso non stiamo cercando l’amore, attenzione. Quando navighiamo in una di queste app o su certi social network, noi guardiamo un’esposizione di prodotti che nulla ha a che fare con la complessità dell’amore o anche dell’eros. Ecco perché queste relazioni hanno una durata minima».

L’amore «a consumo», insomma. Eppure per molti è l’unica forma di relazione possibile.

«Purtroppo è così. Vede, ci sono due elementi che oggi ostacolano la pienezza dell’amore: da una parte c’è la tendenza scientista a considerare i corpi come se fossero delle macchine lubrificate dalla dopamina. Dall’altra parte c’è l’idea di consumare i rapporti come consumiamo le merci di ogni genere. C’è la ricerca compulsiva del nuovo. Siamo stati abituati a pensare che cambiare un vecchio oggetto con un nuovo oggetto porti la soddisfazione, mentre noi psicoanalisti sappiamo bene che una cosa nuova porta semplicemente la stessa insoddisfazione. Nella società dei consumi tutto viene consumato in tempi accelerati, amori e sesso compresi… ».

C’è chi sostiene che non sappiamo più nemmeno baciare.

«Pensi che per alcuni antropologi il bacio è ridotto a un meccanismo che verifica l’attendibilità igienica del partner».

Poi c’è una forma di scientismo diffuso che riduce tutto a una questione di dopamina.

«Le ricerche scientifiche sono importanti, ma noi non siamo macchine da “normalizzare”. La grande lezione dell’amore è proprio la sua imprevedibilità, il suo essere irriducibile ad ogni ideale di normalizzazione. Lacan diceva che la vita erotica ha una sorta di collage surrealista. Non c’è eros nelle macchine come non c’è nemmeno negli animali. L’erotismo non può essere ridotto ad una legge dell’istinto o ad un effetto della dopamina su alcune zone del cervello».

Perché anche negli uomini più culturalmente evoluti permane una sorta di «ansia da prestazione» durante il rapporto sessuale?

«Esiste una differenza fondamentale tra l’orgasmo maschile e quello femminile. Quello degli uomini ha come modello la scarica che implica il raggiungimento di un picco. Dopo l’orgasmo c’è la detumescenza che definisce il compimento visibile del rapporto. Quello femminile è invece invisibile e orizzontale, perché ha, sì, un culmine, ma può ripetersi e non è centrato fallicamente ma diffuso orizzontalmente. L’ideologia patriarcale ha da sempre temuto l’anarchia del godimento femminile. Ha provato a dominarla anche con la violenza».

Quand’è che questa ansia da prestazione si attenua?

«Quando l’uomo si innamora. Allora in qualche modo si femminilizza e il principio di prestazione che condiziona la sua vita erotica si allenta».

E poi un eventuale tradimento da parte di lei brucerà parecchio?

«Nel tradimento in generale può crollare il mondo intero. D’altra parte, innamorarsi comporta sempre un rischio. Forse è per questo che gli uomini sono più frenati nell’amore…Temono di perdere la loro identità fallica».

Lei ha spesso parlato di una radicale diversità tra sessualità maschile e femminile.

«Penso a quella maschile come ad una monarchia, in cui il sovrano è il fallo. Quella femminile si struttura sul modello di una democrazia. Accade anche nel godimento: è vero che la zona genitale resta importante, ma la sessualità femminile non è monopolizzata dalla genitalità. È più labirintica, più plurale, più sfaccettata, più complessa».

Professore, è possibile fare l’amore con la stessa persona per tutta la vita?

«Sì, ma non deve diventare una prigione. C’è un tempo, specie quello della giovinezza, che deve essere dedicato giustamente all’esplorazione e alla conoscenza. Certi legami che nascono sui banchi di scuola e che continuano per decenni assomigliano di più a legami famigliari che non a legami erotici. La libertà erotica può essere anche la libertà di scegliere sempre lo stesso corpo a condizione che in questo corpo io sia in grado di trovare sempre qualcosa di nuovo».

Vent’anni d’amore con sua moglie Valentina Grimaldi. Come si fa?

«Lei ancora oggi mi stupisce, mi sorprende. Le coppie che stanno male sono quelle che vorrebbero condividere tutto. Io penso invece che un legame di coppia possa durare nel tempo se è in grado di condividere l’incondivisibile…È quello che un po’ miracolosamente ci accade... Continuo ad amarla perché lei ancora oggi è per me impenetrabile, una incognita, un mistero». rscorranese@corriere.it

La storia degli innamorati dalla Magna Grecia fino al Nuovo Millennio. Francesco Alberoni e Cristina Cattaneo il 14 Febbraio 2023 su cultutraidentita.it

Se dovessimo definire cosa è l’amore nella nostra tradizione potremmo partire dalla distinzione di Empedocle di Agrigento fra eros e discordia. Tanto in natura come fra le società come nell’animo umano operano due forze, eros che collega unisce, fonde, pacifica e discordia che divide separa, contrappone. Partendo da questa distinzione possiamo affermare che vi sono tre tipi di società: pacifica, unita, solidale.

Una è quella della famiglia consanguinea che inizia con genitori figli e porta al clan, alla tribù.

Un’altra forza che crea una società armonica e ordinata porta alla formazione di un culto, di una chiesa, di un partito politico dove i singoli si affratellano. Prima erano estranei e ora diventano fratelli nella fede politica o religiosa. Nella tradizione occidentale vi sono sempre stati numerosi movimenti che sognano di creare di creare istituzioni perfette..

Il terzo modo infine è quello descritto da Hobbes, dove l’unica strada possibile per avere la concordia è cedere il potere a un sovrano, che impone la pace e l’ordine dove regnava la discordia.

Un’altra categoria che ci aiuta a caratterizzare la tradizione occidentale riguarda il rapporto di potere tra maschio e femmina ed è la distinzione tra poligamia e monogamia. La società occidentale ed in particolare quella italica è tendenzialmente monogama. Quella orientale, poligama. L’imperatore della Cina, il Sultano di Costantinopoli o il faraone avevano harem di migliaia di mogli. Cesare ufficialmente una sola. In parallelo c’è il monoteismo divino assoluto contrapposto al politeismo indù. Il Dio di Israele dice: “io sono un dio geloso. Non avrai altro dio all’infuori di me”.

Questi principi li ritroviamo esaminando le grandi tappe dello sviluppo della società occidentale, ma in modo diverso. Cioè in Grecia, a Roma e nel Cristianesimo.

In Grecia troviamo un amore erotico tra i maschi colti. Un tipo di famiglia, invece, monogama, dove le donne sono confinate in casa, ma in compenso le divinità olimpiche, maschi e femmine, hanno una suprema libertà sul piano erotico amoroso e, infine, un culto orgiastico sfrenato, con Dioniso. Una struttura complessa e contraddittoria, ma che trova un equilibrio.

Passando a Roma o meglio alla civiltà italica, troviamo una società contadina guerriera, dove è molto importante il pater familias ma che col diventare impero universale, Roma, si differenzia dal mondo greco, crea enormi spazi di libertà per la donna, l’avventura, la passione, l’ordine urbano.

A questo punto, su questo sistema complesso ed eterogeneo, piomba il cristianesimo che ha, come primo effetto, di togliere di mezzo la schiavitù, l’arbitrio e stabilisce una fratellanza che all’inizio coinvolge anche la donna. Perché il cristianesimo è anche movimento, quindi amore, fratellanza, amore per dio; e a sua volta quello cristiano è un dio di amore, che ama gli uomini. Il tema di dio come amore e come dio da amare (amor che move il sole e l’altre stelle) percorrerà tutta la storia del cristianesimo generando delle comunità monastiche totalmente dedite a Dio e quindi meno agli amori terreni ed erotici.

Dopo la riforma di Gregorio VII il clero cristiano è composto da maschi celibi. Però col crescere del benessere la società lascia spazi alle donne sul piano religioso (sante, veggenti, monache ecc…) ma anche erotico, nella poesia, nel mito. E l’amore come scelta personale, l’amore ribelle, l’amore passione, nel nostro paese appare con la nascita della lingua. Basta ricordare Dante, Cielo D’Alcamo, Lapo Gianni, Petrarca….

La lingua italiana nasce parlando d’amore. E in tutta Europa si diffonde il romanzo d’amore, con Le Roman de la Rose e poi le vicende dei cavalieri: re Artù, Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta. Tragiche, perché l’amore passionale genera adulterio e questo è proibito, va contro il re e conduce a morte gli amanti. Ma ormai la breccia è aperta e, arrivato il Rinascimento, con l’amore individuale passionale, la scelta libera si diffonde sempre di più. Sarà semmai la riforma protestante a fermarla. Mentre il prete cattolico sposa i due giovani che sono scappati di casa perché si amano, Lutero vuole il consenso del padre perché questi matrimoni disperdono i patrimoni familiari.

L’illuminismo torna a chiedere la libertà e si presenta come rovesciamento delle istituzioni. Durante la rivoluzione francese viene affermato il libero amore e nasceranno molte correnti ideologiche che chiedono la libertà e l’uguaglianza sessuale, come Fourier e poi i marxisti.

Dalle ideologie legate alla rivoluzione francese nasce lo stato moderno, con un’attenzione nuova per l’individuo, la gestione della sua salute, tutto ciò che riguarda il corpo balza in primo piano: l’igiene pubblica si interessa al mondo erotico in un’ottica di gestione sociale. Ciò che prima era amore, eros, incantamento, persino lussuria, peccato, diventa parte di una sfera a sé espressa dalla parola tecnica “sessualità” che porterà ai grandi studi di psicopatologia sessuale e confluirà nella psicoanalisi.

L’afflato sentimentale, le grandi passioni però riesplodono, in totale contrasto nella letteratura romantica, dove l’amore è sentimento irrazionale, che sfugge a qualsiasi ragionevolezza e apre agli abissi dell’estasi, della sofferenza, ma anche dell’abiezione e persino della morte. Il Werther diventa un modello, ma il Don Giovanni affascinerà per due secoli e persino Sade, per cui il desiderio è crudele, la sessualità è desiderio di godere dell’annientamento dell’altro. Le relazioni sono pericolose perché nella cecità amorosa ti offri inerme a un seduttore freddo e cinico. Il romanticismo letterario lascia dunque un’impronta ambigua sull’immaginario amoroso.

L’innamoramento che nasce come un atto rivoluzionario volto a spezzare realmente l’ordine costituito, lo stesso amore di Tristano e Isotta, trova un limite nella formazione stessa della coppia che affonda in abissi insondabili. Uno dei due tradisce, è ambiguo o è un freddo seduttore o la tua povertà ti impedisce l’amore. Sull’amore passione continuano a pesare le ingiunzioni sociali ed economiche, che i protagonisti (Bovary o Anna Karenina) spesso non vedono. Nella letteratura ottocentesca non troviamo la coppia innamorata che vive un amore sano e felice che si fa strada nel mondo. Lo troviamo semmai nelle coppie comuni e in quelle reali del movimento risorgimentale, come Garibaldi e Anita e nel movimento socialista.

Si dovrà attendere il xx secolo, per rivedere l’amore sano, per ritrovare la coppia innamorata che si piace, che fonde piacere erotico e affetto amoroso. Non sarà però il romanzo a proseguire per questa strada, ma il mondo del cinema. Soprattutto nel primo trentennio Hollywood ripopolerà l’ immaginario di figure di amore positivo e di saghe familiari. Walt Disney ridà nuova vita al mondo delle fiabe, dei principi e delle principesse che si amano. Ma anche alle famiglie coi bambini (Mary Poppins). Ed è questo cinema che col suo lieto fine che da una impronta ottimista alla cinematografia hollywoodiana.

Dopo la rivoluzione sessuale del sessantotto è emersa una generazione del baby boom più sola, più libera sessualmente ma meno capace di amare e stare in coppia. Tale periodo è caratterizzato da tre temi.

Il primo è il narcisismo (Lasch), è l’esaltazione dell’individuo singolo, il cui eroismo si esprime nella lotta individuale per l’affermazione personale e la conseguente diminuzione di importanza, se non rifiuto dei legami.

Il secondo è un senso di fastidio per i “legami di sangue” per un oscuro significato in cui si percepisce l’ombra del familismo e delle culture retrograde. Se in passato l’individuo apparteneva sempre a una rete di riferimento, oggi deve trovare la centralità in se stesso: i suoi amori, i suoi legami, i suoi amici, passano. Si allentano i legami amorosi, ma anche quelli intergenerazionali. Il neonato viene subito inserito al nido e l’anziano in casa di riposo. Non vi è spazio per chi non è autonomo nella vita pratica della famiglia. Il legame costituisce un vincolo scomodo o insostenibile.

Il terzo tema è il tipo di società tardocapitalistica in cui l’individuo si inserisce che ha come orizzonte il mercato mondiale e finalità suprema il vivere bene. È un tipo di società non solidaristica, che non è fondata su presupposti religiosi, sull’affratellamento tipico dei movimenti. Una società utilitaristica dove conta la convenienza, il mercato, l’edonismo. E dove la legge cerca di porre un limite, una norma morale all’arbitrio assoluto con il continuo legiferare.

Per la cultura occidentale l’amore passionale può nascere solo dalla scelta elettiva individuale di due persone, cioè dall’innamoramento. Ma non c’è uno spazio pronto per accoglierlo.

Il mondo anglosassone ricorre all’espressione romantic love in cui si mescolano significati che pescano ora dalla letteratura romantica, per cui un tipo di amore romantico è anche quello sadomasochistico controllato di 50 sfumature di grigio e la commedia cinematografica sentimentale a lieto fine. La colonizzazione lessicale sta riportando il termine traducendolo amore romantico in Italia – con significati nuovi che non hanno nulla a che vedere con l’origine biblica (il cantico dei cantici), quella classica (eros), cristiana (agape) e neppure con quella cavalleresca (l’amore eroico, di una coppia di innamorati che si oppone al mondo vecchio per costruirne uno nuovo anche a costo della vita).

Anche nell’immaginario cinematografico, dopo aver perso il significato religioso e spirituale, non si è più capaci di descrivere l’innamoramento che porta alla formazione di un amore sano, si perde il significato dell’amore come forza positiva che accompagna la vita umana, che dà senso ai rapporti tra gli esseri umani, non fondato sulla competizione e sull’utilitarismo ma sull’amore esclusivo. Un amore che nasce nell’altro nel cui sguardo io posso riconoscermi ed esistere.

Perché San Valentino è la festa degli innamorati. Chiara Barison su Il Corriere della Sera il 14 Febbraio 2023.

Le origini della festa sono riconducibili al rito pagano dei Lupercali, il primo «biglietto d'amore» è invece a firma del Duca di Orléans e risale al 1415. L'invenzione del passato più bizzarra? Il Tribunale dell'Amore

Amore, fiori, cioccolato, cuori e ancora amore. Anche nel 2023 è arrivato il momento di celebrare San Valentino, la festa degli innamorati (anche se le coppie più affiatate dicono che la loro festa è tutto l'anno). Ma, tra cene a lume di candela e frasi allo zucchero filato, ci si dimentica che il 14 febbraio è il giorno in cui la Chiesa cattolica ricorda il beato martire Valentino. Secondo una prima leggenda si narra che, in qualità di vescovo di Terni, intorno al IV secolo d.C. celebrò la prima unione tra un legionario pagano e una giovane cristiana. Secondo un'altra versione, invece, San Valentino vide una coppia di giovani litigare nei pressi del suo giardino e per farli riappacificare decise di regalare loro una rosa pregando il Signore affinché mantenesse vivo il loro amore per l'eternità. Dopo che si sparse la voce, Valentino venne invaso dai pellegrinaggi di giovani coppie desiderose di essere benedette da lui. In seguito, la festa venne circoscritta al solo 14 febbraio, giorno della morte di San Valentino.

Le origini: i Lupercali romani

La festa da cui deve le sue origini San Valentino sono i Lupercali romani, antichi riti pagani dedicati al dio della fertilità Luperco e interrotti per volere di papa Gelasio I nel 496 d.C. Si celebravano il 15 febbraio e consistevano in festeggiamenti sfrenati, in aperto contrasto con l'idea di amore cristiana, in cui le matrone romane si offrivano alle frustate di gruppi di giovani maschi che si aggiravano completamente nudi per le strade. Addirittura le giovani donne in dolce attesa si prestavano alla dolorosa pratica, convinte che avrebbe fatto bene al nascituro. Papa Gelasio, dopo aver messo fine ai festeggiamenti che considerava scandalosamente blasfemi, decise si spostare la ricorrenza al 14 febbraio consacrando San Valentino a protettore degli innamorati.

Le valentine e l'Alto Tribunale dell'Amore

Nel mondo anglosassone ancora oggi si parla di «valentine» per fare riferimento ai biglietti d'amore che si scambiano le coppie di amanti. Il merito sarebbe della poesia scritta da Carlo duca di Orleans nel 1415 - mentre era prigioniero nella torre di Londra dopo la sconfitta dei francesi nella battaglia di Azincurt – la cui destinataria era la moglie Valentine. Inoltre, in Francia, il 14 febbraio 1400 era stato fondato l'Alto Tribunale dell'Amore. Ispirato ai principi dell'amore cortese, il suo scopo era quello di dirimere le controversie nate nei matrimoni a causa di tradimenti o episodi di violenza contro le donne. Il criterio di selezione dei giudici seguiva regole peculiari: per assumere il ruolo di togato all'interno del Tribunale dell'Amore era necessario conoscere molto bene le poesie della tradizione letteraria dell'amor cortese.

Domani è San Valentino, la festa ai consumatori più che degli innamorati. Nel solo 2020 (Codacons) 12 milioni di innamorati italiani si sono scambiati promesse d’amore (eterno, ormai, manco davanti all’altare!) a suon di cene, viaggi, gioielli che, aveva ragione Marilyn, restano sempre i ricordi migliori quando l’amore finisce. Rossana Gismondi su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 Febbraio 2023

Parafrasando Totò: «Siamo uomini o consumatori?». Alla domanda possono sfuggire, ormai, i caporali ma non i consumatori. Sostituiti ai cittadini che, tasse a parte, non si possono spremere più di tanto: per i consumatori, invece, la festa (fatta a loro) non finisce mai. Domani è San Valentino: lo sanno tutti, anche quelli che sono innamorati solo di se stessi, tante sono la grancassa e la ridondanza in ogni dove.

Tv, giornali, social. Tutto un fiorire di frasi sdolcinate, cioccolatini a forma di cuore, regali per ogni tasca: perché «ti amo» lo devi dire, non ogni giorno o quando ti pare, ma proprio domani, «qui ed ora». Perché non conta il pensiero, ma che cosa regali al partner.

Perché, come pure i bimbi sanno - in un mondo dove si dipinge quasi ovunque un affresco quotidiano difforme dalla realtà - l’Amore è capace di muovere le montagne. Specie quelle di denaro.

Si pensi che negli Stati Uniti, dove il portafoglio si tiene sul cuore, per i festeggiamenti di San Valentino si spendono circa 20 miliardi di dollari (NRFederation). Che le transazioni di denaro, persino in Italia - dove il nero non è solo un colore che sta bene a tutti - aumentano notevolmente nel periodo che precede il 14 febbraio. Sappiano, gli ostinati del «ti voglio bene» da dirsi tutti i giorni che, ogni anno (Coldiretti), il 14 febbraio nel nostro Paese vengono spesi circa 100 milioni in fiori, un gran dispendio di rose rosse per te.

Nel solo 2020 (Codacons) 12 milioni di innamorati italiani si sono scambiati promesse d’amore (eterno, ormai, manco davanti all’altare!) a suon di cene, viaggi, gioielli che, aveva ragione Marilyn, restano sempre i ricordi migliori quando l’amore finisce.

Pazienza poi se, a fronte di cotanto spiegamento di denaro, nella realtà il modus vivendi del rapporto di coppia sia ben altro. Il 56% delle coppie italiane (Ipsoa) in qualche modo festeggia, fosse pure con una semplice pizza. Ma c’è anche un 38% sicuro di non festeggiare verosimilmente anche un po’ infastidito dalla cagnara del 14 febbraio. E infine un 8% (destinato ad aumentare, dati i tempi grami) che di festeggiare non ha alcuna voglia.

Che San Valentino sia, dunque: nell’attesa che questa macchina infernale - è il consumismo, bellezza - si inventi ancora una festa per spremerci come limoni.

Il Tradimento.

Il Tradimento.

Il caso Segre-Seymandi.

Altri Casi.

Il Tradimento.

Famosi e cornuti. Belén, De Martino, Vannacci e gli smidollati per cui la coppia è il feticcio irrinunciabile. Guia Soncini su L'Inkiesta il 5 Dicembre 2023

La showgirl argentina va in tv cercando di sembrare una di noi nel raccontarci il tradimento del suo ex, lui in risposta va da Fazio a dire la sua. La battaglia della comunicazione la vince lei, ma la verità, come dice il generale autopubblicato, è che produciamo solo umani ambosessi con la forza caratteriale di un quindicenne

E quindi Belén Rodriguez, una di quelle donne così belle che possono persino permettersi di vestirsi male, compare in tv una domenica pomeriggio e tenta disperatamente di sembrare una di noi. Una di noi cornute, una di noi umiliate, una di noi la cui taglia dipende dal mal d’amore.

Non ce la fa, naturalmente: continuavo a dimagrire, dice, peso 57 chili ed ero arrivata a pesarne 49, e quindi in un momento di lucidità mi sono ricoverata. Noialtre normali, che se ci cornificano mangiamo, se ci lasciano mangiamo, se ci innervosiamo ingrassiamo anche se non mangiamo, noialtre normali non è che ci siamo immedesimate moltissimo, ecco.

Però apprezziamo lo sforzo, e siamo disposte a credere ciecamente a lei come già la settimana prima a Ilary Blasi. Ilary dice che Francesco le ha nascosto le borse e le ha ingiunto di smettere di lavorare? È sicuramente verità rivelata. Belén dice che Stefano se le ripassava tutte e lei a dodici di queste ha pure telefonato? Vale come verità verbalizzata in tribunale.

Qualche ora dopo Stefano De Martino compare in tv, da Fabio Fazio. Non starò certo qui a farvi le distinzioni tra highbrow e lowbrow: Totti che parla con Cazzullo e Blasi con Netflix; Rodriguez che parla con la Venier e De Martino con Fazio. In questi casi mi viene sempre in mente quell’imitazione di Minoli che faceva Corrado Guzzanti: le scelte sono tante, ognuno fa le sue, il mostro di Milwaukee e il mostro di Rai Due.

Quel che fa la differenza è che a voi serve che vi spieghi chi è Stefano De Martino, il più interessante esempio di dissociazione tra addetti ai lavori e grande pubblico. Chi lavora in tv tratta De Martino come fosse il futuro, la speranza, il piccolo Buddha. C’è un affollamento di gente che lo blandisce e lo esalta, convinta che gli sarà affidato il Sanremo 2025.

E poi c’è il pubblico, che ti guarda come mucca guarda treno se dici De Martino, quello di “Bar Stella” (chi?), De Martino, quello che cominciò ad “Amici” (niente, troppi hanno cominciato lì), De Martino, quello dello spettacolo teatrale in cui fa De Martino (eh?). S’illumina la contezza negli occhi solo a: De Martino, quello di Belén.

Insomma De Martino, che questa cosa non può non saperla perché è un ragazzo sveglio e la scala della fama è persino più evidente di quella della bellezza, va da Fazio e sa che non può fare quel che di solito si fa da Fazio, il ceto medio riflessivo che non spettegola in pubblico, la gente di mondo che sorvola se la ex quattr’ore prima ha detto all’Italia che sei un fedifrago. Non vale dire che sei superiore, se lei è la ragione della tua fama e della tua noitiziabilità.

E quindi fa una cosa così insensata da risultare tenera, così folle da essere quasi razionale, così disperata che vorresti gli riuscisse: De Martino dice, a un mondo determinato a credere sempre e solo alle vittime, specie se donne, specie se vittime di cose tutto sommato irrilevanti come le corna, che non è mica detto che sia andata come dice lei. Quando finisce una storia ci sono sempre due verità, dice, e la sua istanza non potrebbe attecchire meno neppure se citasse “Rashomon”.

De Martino sa che la sua ex ha vinto la guerra della comunicazione non solo perché lei è quella cui non serve il cognome e lui è quello cui serve il nome dell’ex; ha vinto perché viviamo in un mondo überpsicologizzato, e le corna non sono solo corna.

Nessuna osa dire – ma neanche pensare – ahò ma sei Belén, hai l’aspetto di Belén, le possibilità di Belén, da quel letto di mestizia ti alzi e, come insegnava la Carrà, trovi un altro più bello che problemi non ha (come peraltro ha poi precisamente fatto Belén, che nel resto dell’intervista ha raccontato il viaggio alle Maldive durante il quale il nuovo manzo le ha dato l’anello di fidanzamento: e noi qui determinate a considerarla vittima e sfortunata rimastona proprio come noi).

Nessuno ti dice di lavarti la faccia e smetterla d’essere triste, perché siamo tutti terrorizzati di non essere in sintonia con lo spirito del tempo, di essere accusati di perpetuare lo stigma sulla psicologia (esiste un tempo più stupido di quello in cui, dopo decenni in cui non c’è un film o uno sceneggiato televisivo in cui non ci sia un analista, le persone ti dicono tutte serie «eh ma c’è lo stigma e infatti il mio ex non è voluto venire in terapia di coppia con me»? Esiste una risposta più sensata di «presentami l’ex, mi sembra l’unica persona lucida rimasta»?).

Ieri sulla Stampa c’era un’intervista a Roberto Vannacci realizzata, dichiarava l’intervistatrice, il 22 novembre, a caso Cecchettin ancora più caldo di oggi, e quindi con molte domande sul tema. Ovviamente dare ragione a Vannacci fa subito di te un’impresentabile, e nessuna vuol essere impresentabile. Mi sacrificherò io, Giovanna d’Arco della rispettabilità sociale.

Vannacci diceva che il punto non è il patriarcato, ma gli uomini deboli, che – questo lo aggiungo io – sono quelli che uccidono le donne che osano voler stare senza di loro, approfittando dell’unica forza che hanno, quella fisica. Sappiamo tutte che è la verità, ma una verità che richieda un paio di tempi verbali e magari persino una subordinata non ha speranze, contro uno slogan telegenico come «patriarcato».

Simonetta Sciandivasci, che lo intervistava, chiedeva come fossero gli uomini forti, e Vannacci citava il nonno, nato nel 1898. «Orfano a 11 anni, in Marina a 16, caduto decine di volte e si è sempre rimesso in piedi. Non ha mai alzato un dito su mia nonna e l’ha sempre rispettata. Quelli che ammazzano le donne sono uomini che non sanno stare da soli, che sono dipendenti da loro e che, quando temono di venire abbandonati, perdono la testa. Altro che maschi patriarcali: sono mollaccioni smidollati che abbiamo prodotto noi».

Produciamo smidollati ambosessi, ma per fortuna la metà fisicamente meno forzuta non ammazza nessuno. Produciamo esseri umani per cui la coppia è il feticcio irrinunciabile, e lasciarsi a quarant’anni con figli e carriere e soprattutto quella che ti guarda dallo specchio che somiglia a Belén è lo stesso dramma che scoprire a quindici anni che il ragazzino che ti piace ha baciato la tua compagna di banco: lo affrontiamo con lo stesso livello di forza caratteriale e consapevolezza intellettuale.

Certo, mica siamo sceme, per cui ne abbiamo fatto format. Se sei bellissima e cornuta, famosa e cornuta, puoi andare alla tele a raccontarlo ed emettere fattura, una volta al massimo ti lamentavi con le amiche. Va bene così, con le difficoltà che ci sono per l’impiego femminile ci facciamo andar bene anche l’aumento di posti di lavoro nel settore cronaca autobiografica delle corna. Solo, però, poi non meravigliamoci se, nell’universo in cui cornificarsi è evento di gravità insuperabile, ogni tanto ci scappa la morta.

DAGONEWS giovedì 28 settembre 2023.

Andare in uno strip club, guardare le spogliarelliste dimenarsi e spogliarsi, è classificabile come tradimento? E pagare una lap dance? Sono le domande poste dai lettori alla rubrica “Dear Deidre”, del tabloid britannico “The Sun”. La risposta della giornalista Michelle Harris è lunga e dettagliata.  

1. Andare in uno strip club è tradimento?

“La questione si riduce ai confini di ogni singola relazione. Quindi, se due partner hanno discusso e concordato di essere a proprio agio con la visita a uno strip bar, si può dire che questo non costituisce un tradimento. Ma naturalmente se uno dei due si sente a disagio o è contrario agli strip club, allora se l'altro partner vi si reca a prescindere, si tratterebbe di tradimento. La zona grigia si presenta se nessuno dei due ha discusso il proprio atteggiamento nei confronti della passione per le spogliarelliste.  Ma è bene ricordare che il tradimento è un atto di disonestà che viola i confini della fiducia all'interno di una relazione impegnata.

Quindi, se il pensiero di raccontare al vostro partner di una visita a un "club per gentiluomini" vi fa rabbrividire, è molto probabile che stiate infrangendo la fiducia. Qualunque sia la vostra opinione sul tradimento, è probabile che il vostro partner si senta ferito e tradito se scopre che siete stati in uno strip club senza dirglielo. Anche se voi non lo considerate un tradimento, loro potrebbero pensarla diversamente. È quindi importante essere onesti con il partner e parlarne prima di decidere di andarci. 

Anche se avete deciso di andare comunque in uno strip club, è comunque una buona idea stabilire in anticipo dei limiti chiari su ciò che è accettabile o meno. Questo aiuterà a mantenere la fiducia e il rispetto nella coppia.  Se non siete mai stati in uno strip club, può essere difficile sapere cosa aspettarsi e facile immaginare il peggio. Ma all'interno degli strip club del Regno Unito vigono regole severe, tra cui: 

Vietato toccare le ballerine

Vietato fotografare o registrare video

Vietato chiedere sesso alle ballerine.

Non sono tollerati abusi sessuali e verbali nei confronti delle ballerine. 

2. E farsi fare una lap dance?

La lap dance è un tipo di ballo erotico in cui la ballerina ha tipicamente un contatto corporeo con qualcuno seduto. La ballerina può essere nuda, in topless, vestita in modo erotico o spogliarsi durante il ballo, a seconda delle politiche dello strip club. Esiste la regola del "non toccare" e la penetrazione sessuale è vietata. 

Se è stato violato un accordo e il vostro partner è andato oltre i limiti di ciò che vi sentivate a vostro agio, allora sì, questo potrebbe essere classificato come tradimento perché viola la fiducia nella relazione.  

È importante considerare che le persone si sentono comunemente pressate e persino costrette dai loro amici ad esplorare una lap dance privata, in particolare se sono all'addio al celibato/nubilato. 

3) Cosa devo fare se il mio partner è stato in uno strip club?

Se scoprite che il vostro partner è andato in uno strip club e non ne siete entusiasti, la prima cosa da fare è parlare con il vostro partner prima di fare qualsiasi ipotesi. Potreste essere sorpresi di scoprire che in realtà non c'è nulla di cui preoccuparsi e che forse si è sentito a disagio quanto voi.

Se non volete più che il vostro partner frequenti gli strip club, fatelo presente. Se il vostro partner vi rispetta, onorerà la fiducia nella relazione e smetterà di andarci. Se il vostro partner era già a conoscenza del fatto che andare in uno strip club non è negoziabile per voi e sentite che il vostro accordo è stato violato, potrebbe essere il momento di rivalutare la relazione.

Dagospia il 3 settembre 2023. Comunicato stampa “Incontri-Extraconiugali.com”

Le italiane se la tirano con gli uomini? Tutt’altro. Secondo un sondaggio condotto questo mese da Incontri-ExtraConiugali.com, il portale più affidabile dove cercare un’avventura in totale discrezione e anonimato, il 48% delle donne vorrebbe avere più rapporti sessuali ed il 54% di esse preferisce prendere l’iniziativa piuttosto che lasciarla all’uomo. 

«Insomma le italiane sono insoddisfatte e “cacciatrici”» sintetizza Alex Fantini, ideatore di Incontri-ExtraConiugali.com. Le domande sono state poste dal portale dedicato ai tradimenti ad un campione di 2.000 donne di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in tutta Italia.

Si scopre così che le abitudini sessuali cambiano tra Nord e Sud del Belpaese. Il 45% delle milanesi, per esempio, ama fare sesso in luoghi insoliti: in treno, in aereo e anche in spiaggia. E se le settentrionali sono più fantasiose, le meridionali si dimostrano più focose. 

A Roma, il 54% delle donne vorrebbe fare l’amore più spesso. E così anche a Napoli (52%) e a Palermo (49%). Preferiscono “abbordare” e poi portare a letto il partner il 62% delle napoletane, il 55% dalle palermitane ed il 51% dalle romane.

A livello nazionale oltre una donna su tre (34%) confessa di avere una propensione alle posizioni strane ed ai luoghi non convenzionali. Ma questa propensione sale a Milano (45%) ed a Bologna (44%). 

Per tutte, però, il tradimento è una delle maggiori fantasie sessuali. Tant’è che secondo Incontri-ExtraConiugali.com  il 59% degli uomini e il 52% delle donne hanno tradito almeno una volta il loro partner. 

«In merito poi alle tendenze per le vacanze estive, per chi vuole trasgredire va per la maggiore l’overtourism, mentre le coppie più tradizionali optano per l’undertourism, privilegiando le mete poco frequentate» sintetizza l’ideatore di Incontri-ExtraConiugali.com, che questo mese ha promosso anche uno specifico sondaggio.

La survey è stata realizzata nel mese di giugno 2023 in modalità Computer Assisted Telephone Interviewing su un campione di 4 mila persone maggiorenni di cui il 50% uomini ed il 50% donne, rappresentativo della popolazione italiana nelle diverse regioni ad un livello di confidenza del 99,9% con un margine di errore del 2,58%. 

Per la definizione del campione sono state considerate 3 quote, incrociate al loro interno (cross-correlated quotas): includendo sesso, area geografica e fedeltà/infedeltà di coppia, operando la chiusura delle celle-quota nel momento in cui ciascuna di esse risultava completa.

«I dati raccolti evidenziano la fotografia di un nuovo turismo in cui vi è la tendenza a privilegiare mete molto frequentate (overtourism) da parte di chi cerca una scappatella o una fugace storia trasgressiva e mete poco frequentate (undertourism) da parte delle coppie più tradizionali» spiega il fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com. 

L’aumento della propensione a tradire che contraddistingue i nostri tempi sta infatti determinando una crescita della propensione a programmare un viaggio che consenta di “mischiarsi tra la folla” ed aumentare anche le possibilità di tradire nell’ambito della vacanza. Ma non si tratta necessariamente di un viaggio a lungo raggio, anzi molti fedifraghi (71%) opteranno per un turismo di prossimità.

Dove andranno in vacanza? La maggior parte dei fedifraghi che preferiscono rimanere in Italia opterà per Sardegna, Puglia e Sicilia, dove sarà più facile organizzare i loro incontri con nuovi partner, facilmente reperibili in tutt’Italia sul portale Incontri-ExtraConiugali.com e sull’app «Incontri Extraconiugali». 

Un 29% dei traditori preferisce invece partire per un viaggio all’estero. Tra loro il 69% predilige le città più trasgressive mentre il 24% ha già deciso di partire con l’amante per almeno un fine settimana, adducendo un pretesto quale può essere quello di un viaggio di lavoro o di una vacanza con i vecchi amici dei tempi della scuola. Tra le loro mete ideali spiccano Spagna, Francia, Malta e le crociere.

Ma la tendenza è quella di non allontanarsi troppo da casa anche nella generalità dei casi (fedifraghi e non fedifraghi) per coloro che vivono nel Centro (66%), nel Sud Italia (72%) e nelle Isole (73%) e per gli uomini (54%). 

Mete lontane invece per gli abitanti del Nord Italia (68%), per i partner fedeli (65%) e tendenzialmente anche per le donne (56%). 

Escludendo poi il cluster dei fedifraghi dal campione, Incontri-ExtraConiugali.com ha scoperto che a volere evadere con una relazione al di fuori del matrimonio o della coppia è il 17% dei “fedeli”. «E per loro è la città l’ambiente ideale per tradire, sia per gli uomini (85%) che per le donne (88)» puntualizza Alex Fantini.

Ma non necessariamente si tradirà nella propria città. Molti degli incontri extraconiugali si concretizzeranno in luoghi diversi da quelli di residenza (57,5%), simulando trasferte di lavoro per organizzare incontri in altre città ed avvalendosi dell’aiuto di Incontri-ExtraConiugali.com per cercare nuove avventure in totale discrezione, anonimato e sicurezza.

Estratto dell’articolo di Vittorio Sabadin per “il Messaggero” giovedì 10 agosto 2023.

Il numero dei divorzi in quasi tutto il mondo è in crescita, ma sono stabili le separazioni tra le giovani coppie e aumentano quelle tra i sessantenni. […] Gli anziani imparano invece con l'età il valore del tempo e non vogliono sprecare gli ultimi anni che restano da vivere continuando a litigare[…]

L'ultimo censimento negli Stati Uniti ha rivelato che ci sono 38 milioni di adulti che vivono da soli e di questi quasi la metà, 16 milioni, hanno un'età pari o superiore ai 65 anni. È un livello record mai raggiunto prima, che sarà presto superato con l'arrivo nella terza età dei baby boomers, milioni di persone nate nei primi anni 60 che stanno arrivando alla pensione. […]

Susan Brown, esperta di famiglia e matrimonio alla Bowling Green State University dell'Ohio, ha coniato il termine «gray divorce», divorzio grigio, quando ha scoperto quanto fosse alto il numero di persone sopra i 50 anni che si separava. Ha cominciato a studiare il fenomeno dal 2010, con la separazione tra l'ex vicepresidente Al Gore e sua moglie Tipper dopo 40 anni di matrimonio, seguiti più recentemente da Bill e Melinda Gates che hanno divorziato dopo 27 anni e dal primo ministro canadese Justin Trudeau, 51 anni, che il 3 agosto scorso si è separato dalla moglie Sophie.

[…] Per divorziare in tarda età bisogna però poterselo permettere, e le coppie che lo fanno in Italia, secondo tutte le ricerche, hanno ricevuto un'istruzione superiore e hanno guadagnato bene negli anni di lavoro. L'aspettativa di vita è aumentata e chi ha 60 anni può oggi viverne altri 20 o 25 guardando al tempo che resta come una nuova occasione da sfruttare, e non come alla stanca ripetizione della litigiosa routine di tutti i giorni.

Sono spesso le donne a trarre i maggiori benefici dalla separazione: in età matura vivono meglio la socialità, si trovano spesso un hobby, rintracciano vecchie amiche, partecipano a viaggi organizzati. Accettano anche nuovi appuntamenti, magari solo per farsi due risate con uno sconosciuto simpatico. […]

Inferno - Canto trentaduesimo. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Dante incontra Bocca degli Abati (Canto XXXII). Illustrazione di Paul Gustave Doré. 

Il canto trentaduesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella prima e nella seconda zona del nono cerchio, nella ghiaccia del Cocito, dove sono puniti rispettivamente i traditori dei parenti (Caina) e quelli della patria e del partito (Antenora); siamo nel pomeriggio del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.

Incipit.

«Canto XXXIII, ove tratta di quelli che tradirono coloro che in loro tutto si fidavano, e coloro da cui erano stati promossi a dignità e grande stato; e riprende qui i Pisani e i Genovesi.»

(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

Analisi del canto.

Invocazione di Dante - versi 1-15

Il canto inizia con le celebri terzine nelle quali Dante invoca le Muse per trovare rime aspre e chiocce, cioè abbastanza dure e rauche, da adattarsi alla triste degradazione della zona più bassa dell'Inferno, il cerchio nono dedicato ai traditori, coloro che, secondo quanto si legge nel canto XI, sono coloro che hanno violato il patto di che la fede spezïal si cria, cioè quello tra persone propense a fidarsi per i vincoli speciali di parentela, di dovere civico, di ospitalità o di benevolenza. Dante quindi cercava un effetto retorico-linguistico che fosse estremamente opposto alla dolcezza (come il dolce stil novo).

Dante è quindi nel triste buco, il pozzo, sul quale pontan, cioè si appoggiano con la base, tutte le altre rocce dell'Inferno. Qui non trova parole adatte per descrivere (Dante usa il verbo "spremere") pienamente il "succo" del suo pensiero, e nel Dante-scrittore si affaccia il timore di non essere all'altezza: dopotutto narrare il fondo dell'universo (il punto più basso del cosmo secondo la concezione tolemaica geocentrica, inteso come il più lontano da Dio) non è impresa da pigliare a gabbo (da prendere sottogamba) né è cosa adatta per la lingua che chiami mamma o babbo.

Su cosa intendesse Dante con la lingua di "mamma o babbo" non è chiaro ed è oggetto di controversia: la spiegazione più semplice è che indichi la lingua infantile, ma perché Dante avrebbe avuto bisogno di usare una lingua da bambini adesso? Altrimenti essa viene intesa come l'italiano in generale, anche se l'espressione apparirebbe un po' svilente verso quel volgare che Dante proprio con la sua Comedìa si proponeva di nobilitare; mediando le due ipotesi si può intendere l'espressione come indicante una lingua istintiva, al contrario della lingua controllata e ricercata del linguaggio dell'arte letteraria. Può essere utile la citazione del De Vulgari Eloquentia dove Dante condannava "mamma" e "babbo" come termini puerili inadatti per lo stile elevato, forse da intendere in questo caso come stile adeguato a ciò che il poeta si apprestava a descrivere.

Segue quindi un'invocazione a quelle donne [...] ch'aiutarono Anfione a chiudere Tebe (vv. 10-11), cioè le Muse che diedero la capacità al poeta greco di richiamare addirittura le pietre con la bellezza del suo canto che spontaneamente scesero dal monte Citerone e formarono le mura di Tebe (in questo senso chiudere è usato nel senso di recintare). Questo affinché l'esperienza vissuta (il fatto) e quella narrata (il dir) non siano divergenti.

Infine un'invettiva di una terzina contro i dannati di questo loco onde parlare è duro (che è difficile da descrivere), che meglio sarebbe stato se fossero nati pecore o capre (zebe).

La Caina: i traditori dei congiunti - vv. 16-51 

La narrazione poetica riprende quindi dal lago ghiacciato del Cocito, dove i due pellegrini sono stati appoggiati da Anteo, e Dante specifica come, guardando all'alta parete rocciosa appena sorpassata, essi si trovino ora più in basso dei piedi dei giganti. Improvvisa si leva una voce quasi di fantasma, da parte di un non precisato peccatore: (parafrasi vv. 19-21) "Guarda dove cammini: procedi in modo da non pestare con le piante dei piedi le teste dei fratelli miseri e stanchi nel fisico e nel morale (lassi)".

Dante si gira, ma la sua attenzione viene subito catturata non dal parlatore (forse le due anime appiccicate descritte poco dopo), ma dal lago ghiacciato che si accorge di avere sotto i piedi, più simile al vetro che all'acqua: non era così "velato" da crosta di ghiaccio il Danubio in Austria (da notare i germanicismi di Danoia e Osterlicchi), né il Tanai (il nome latineggiante del Don) sotto il freddo cielo del Nord; inoltre su questa crosta infernale sarebbe potuto cadere il "Monte Tambernicchi" (oggi noto con il nome di Monte Tambura) o il "Monte Pietrapana" (oggi noto con il nome di Monte Pania), due montagne delle Alpi Apuane, ma avrebbero fatto nemmeno scricchiolare il bordo del lago (dove la crosta è generalmente più sottile).

Analogamente alle rane che stanno affacciate col muso a gracidare d'estate (quando la villana sogna di mietere molto), così stavano i dannati, lividi fino al volto (indicato con perifrasi come il luogo dove appare il rossore della vergogna) e con i denti che battevano come fanno le cicogne col becco nella stagione amorosa. Questi dannati hanno tutti la faccia rivolta verso il basso e il loro dolore per questo freddo è testimoniato dalla bocca che batte, appunto, e dagli occhi che lacrimano (simbolo di cor tristo).

Dopo un'occhiata esplorativa, Dante guarda i due peccatori che sono vicini ai suoi piedi, così appiccicati da avere i capelli impiastricciati assieme. Dante gli chiede chi siano, ma essi, macabre carcasse umane, riescono solo a piegare in su il collo e far scorrere giù dagli occhi molli qualche lacrima fino alla bocca, prima che il flusso si congeli "riserrando" loro gli occhi; poi come assi di legno legate da dura spranga di ferro (forse si deve pensare a una botte), le loro teste sbatterono insieme dall'ira che li prese: l'immagine non è chiarissima, non si capisce se sbattano perché si erano allontanati per odio reciproco (si scoprirà tra pochi versi come siano due fratelli che si tradirono a vicenda) o per effetto della disperazione delle lacrime congelate, o per volere divino causato dall'aver alzato della testa infrangendo la propria pena. In ogni caso questa azione brutale, la prima del lago del Cocito, rende bene il clima di silenziosa desolazione e degradazione estrema del luogo.

Comunque, come verrà chiarito anche nella Tolomea, il fatto di avere il capo abbassato è un vantaggio per questi dannati, che almeno possono far scorrere via il pianto, mentre per i dannati a testa in su esso si congela negli occhi facendo rifluire il dolore all'interno di loro.

Camicione de' Pazzi - vv. 52-69

Un dannato allora prende la parola, sebbene stia rivolto in basso. Egli, notazione macabra, ha gli orecchi staccati dal gelo e probabilmente sta osservando Dante riflesso nel ghiaccio: (parafrasi vv. 54-69) "Perché ti specchi fissandoci così a lungo? Se vuoi sapere chi siano codesti due, essi sono figli di Alberto, possidente della valle dove scorre il Bisenzio. Uscirono dallo stesso corpo (cioè in parole meno aride nacquero dalla stessa madre) e per quanto tu possa cercare nella Caina non troverai ombra più degna d'esser fitta in gelatina (nel gelo, con intonazione ironica): non colui che ebbe il petto e l'ombra trafitti da un colpo di spada di re Artù (Mordred), né il Focaccia (Vanni de' Cancellieri); né questo che col suo capo mi copre la vista e si chiama Sassol Mascheroni, dopotutto se sei toscano saprai bene chi fu. E poi, perché tu non stia a tormentarmi con altre domande (notare il tono irritato) sappi che io sono Camicione de' Pazzi e che aspetto solo Carlino che mi scagioni, con la sua colpa ben più grave della mia."

In questo lungo monologo Camicione, esponente della famiglia dei Pazzi di Valdarno, che uccise a tradimento il suo congiunto Ubertino de' Pazzi, indica innanzitutto che questa zona del lago ghiacciato si chiama "Caina". Il nome deriva da Caino, biblico esempio primario di tradimento dei parenti o dei congiunti in generale.

Prima aveva descritto i due dannati avvinghiati ai piedi di Dante come figli del conte Alberto degli Alberti, Conti di Vernio e di Mangona, proprietari della rocca di Cerbaia nella Val Bisenzio: essi sono Napoleone e Alessandro Alberti, uccisi tra di loro tra il 1282 e il 1286 per questioni politiche e di interesse. A differenza dei mitologici Eteocle e Polinice, la cui fiamma si biforcava per l'odio anche durante la pira che bruciava i loro cadaveri (citata da Dante in Inf. XXVI, 54), essi sono invece condannati ad essere per l'eternità uniti l'uno all'altro.

In questo girone popolato in larga maggioranza da figure contemporanee, Camicione cita solo l'esempio praticamente didascalico di Mordred, il traditore di re Artù che nel ciclo bretone viene trafitto a morte dal re con tale furia che si ricorda nel Lancillotto del Lago come la ferita fosse talmente profonda da passarci un raggio di sole che bucò quindi anche la sua ombra.

Focaccia è invece Vanni de' Cancellieri, della rissosa famiglia pistoiese che per prima creò le fazioni dei guelfi bianchi e neri, il quale uccise un suo consorte a tradimento (secondo alcuni commentatori un parente stretto o un familiare, ma mancano elementi d'archivio per una vera documentazione). Pure Sassol Mascheroni, citato con cinica irritazione per come la sua testa copra la visuale a Camicione, è un traditore del quale non si hanno notizie storiche fondate.

Scopriremo presto come in questo girone i dannati non desiderano essere ricordati, anzi ci terrebbero a tenere ben nascosto il fatto di essere colpevoli di peccati così turpi. Ugolino della Gherardesca racconterà la sua storia solo per denunciare l'efferatezza del suo nemico, l'Arcivescovo Ruggieri, mentre in questo caso Camicione si nomina solo per evitare di essere tormentato da domande di Dante, in un'insofferente irritazione: egli però non manca di cogliere l'occasione per nominare con infamia anche un'altra persona, Carlino de' Pazzi (in realtà non era un parente ma apparteneva ai guelfi Pazzi di Firenze), che quando morirà verrà punito in una zona ancora più bassa dell'Inferno, tra i traditori della patria per il crimine di aver venduto il castello di Pietravigne ai guelfi neri, ottenendo un salvacondotto per rientrare a Firenze sebbene guelfo bianco; perciò anche la colpa di Camicione, al confronto gli sembrerà meno grave, stabilendo così una maligna graduatoria di reità.

L'Antenora: Bocca degli Abati - vv. 70-123

Dante prosegue senza commentare la scena precedente e si trova attorno a più di mille visi "cagnazzi" per il freddo: paonazzi? lividi? In ogni caso il pensiero di quella visione dà ribrezzo al Dante-scrittore (cioè il personaggio del narratore) e sempre gliene darà a ripensare a quei guadi gelati; e mentre procedono verso il centro, verso il quale ogni peso tende (il centro della terra), Dante trema nel gelido vento eterno. Tra le diverse zone del nono cerchio non vi sono barriere, ma solo una densa nebbia che svela i luoghi gradualmente.

In questa terzina egli usa la rima in ezzo e in azzi, le peggiori combinazioni di suono che egli aveva indicato nel De Vulgari eloquentia, da evitare assolutamente nella poesia di stile elevato. È questo un esempio di rime aspre e chiocce richiamate a inizio del canto, unite alle numerose rime con suoni cupi (uso della u) e forti come le rime con doppia consonante (-accia, -etti, -olli, -inse, -ecchi, -onta...), e la rima tronca in "u" (Artù, più, fu).

A un certo punto egli percuote forte col piede una testa, forse per volontà sua, forse per destino (ovvero per la Provvidenza) o forse un caso della fortuna: come se la sua persona in quel caso fosse stato strumento di punizione divina. Quell'anima lo sgrida piangendo chiedendo perché lo pesta e perché gli faccia male, non fosse mai che egli sia venuto per accrescere la punizione di Montaperti...

Dante coglie al volo il riferimento e chiede a Virgilio di aspettarlo, perché deve togliersi un importante dubbio circa questo dannato, e che poi semmai riprenderà con tutta la fretta necessaria. Dante non lo dice, ma il dubbio in questione circa la Battaglia di Montaperti è relativo al sospetto di un tradimento nelle file guelfe, unanimemente sospettato ma mai appurato con certezza: qualcuno nella cavalleria guelfa, durante un duro attacco delle truppe tedesche di Manfredi aveva infatti mozzato di netto la mano del portainsegna Jacopo de' Pazzi, facendo così perdere il punto di riferimento per l'armata fiorentina che dovette poi procedere allo sbando.

Dante ha quindi un forte sospetto, visto il luogo dove si trova, di poter dare finalmente una soluzione alla questione. Torna dall'anima dannata, che bestemmiava ancora, e inizia un litigioso battibecco (il terzo all'Inferno dopo quello con Filippo Argenti e quello tra Maestro Adamo e Sinone) con un rapido scambio di battute: (parafrasi vv. 87-102)

Dante: "Chi sei tu lanci questi insulti così?"

Dannato: "E tu chi sei, che vai per l'Antenora picchiando le gote degli altri, che se (io? tu?) fossi stato vivo sarebbe stato troppo?" (verso dal significato ambiguo, forse può essere inteso come: "se io fossi vivo, non sopportando quest'ingiuria, mi sarei già vendicato")

Dante: "Vivo sono io, e questo potrebbe giovarti se chiedi fama, perché potrei scrivere il tuo nome nel mio racconto"

Dannato: "Io voglio il contrario, levati quindi di torno e non mi infastidire più, che non sai davvero come si lusinga da queste parti!"

Dante, afferrando il dannato per i capelli della collottola: "Ti converrà dire il tuo nome, se vuoi che ti rimangano capelli in testa"

Dannato: "Per quanto tu mi strappi i capelli non ti dirò chi sono io, nemmeno se per mille volte mi piombi (tomi) sul capo con tutto il tuo peso!"

Allora Dante nel pieno del suo sdegno questa volta violento gli strappa più d'una ciocca di capelli mentre il dannato urlava come un cane (latrando) con la faccia rivolta in basso.

Allora un altro traditore parla chiedendo che avesse Bocca da strillare tanto: (parafrasi vv. 107-108) "Che non ti basta il solito batter dei denti? Chi diavolo hai?". Dante allora ha avuto conferma del suo sospetto e lascia il traditore intimandogli di tacere ora, perché il ricordo della sua onta sarà rivelato. Bocca degli Abati, questo è il nome completo del dannato, non tace, anzi, adesso che è stato tradito da un traditore come lui, si affretta a nominare quanti più altri possibili, in modo che anch'essi subiscano la vergogna del loro riprovevole peccato: (parafrasi vv. 112-123) "Vattene pure e racconta quello che ti pare; ma se davvero uscirai di qui non tacere anche di quello che ebbe la lingua così pronta: lui è Buoso da Duera, che piange per il denaro ottenuto dai francesi, e potrai ben dire che l'hai visto là dove i peccator stanno freschi. E se ti domandassero 'poi chi altri c'era?' tu sei accanto a Tesauro Beccaria, al quale Firenze segò il collo. Più in là credo ci sia Gianni de' Soldanieri con Ganellone e Tebaldello, che aprì le porte di Faenza quando tutti dormivano."

Bocca degli Abati quindi, una volta visto scoperto il suo segreto si affanna per svergognare più compagni possibili, elencando vari traditori della patria (solo Ganellone non è contemporaneo, ma è il personaggio della Chanson de Roland che tradendo rese possibile il massacro di Roncisvalle). Essi sono puniti nell'Antenora, che prende il nome da Antenore, personaggio già omerico (ma Dante non lo sapeva perché non aveva letto l'Iliade) citato anche da Servio quale traditore di Troia.

In nessun altro luogo dell'Inferno si era assistito a una mancanza di solidarietà tra i dannati così totale e sistematica come in questo cerchio dei traditori.

Il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggieri - vv. 124-139

Di nuovo Dante si allontana in silenzio e più avanti nota, nella stessa zona, due traditori affiancati, uno dei quali fa da cappello al capo dell'altro: e come si mangia il pane per fame, così egli addentava alla nuca, non meno di come fece Tideo (Re di Tebe citato da Stazio) con le tempie di Melanippo per lo sdegno.

Dante chiede allora solennemente chi sia, rivolgendosi a quello che bestialmente mangiava l'altro, e perché: se infatti fa questa ritorsione a ragione Dante potrà, conoscendo loro e il loro peccato, parlare di loro su nel mondo, compensandoli, anche se gli si dovesse seccare la gola (dunque si tratta di una promessa).

Si tratta del Conte Ugolino della Gherardesca e dell'Arcivescovo Ruggieri, la cui storia sarà magistralmente illustrata nel canto successivo e qui viene solo introdotta dalla richiesta di Dante.

Il contrappasso

Il contrappasso dei traditori è generico e simile per tutte le quattro zone del cerchio con qualche particolarità secondaria tra zona e zona e in alcuni casi tra dannato e dannato. Innanzitutto il gelo che avvolge i traditori può essere messo in relazione con il freddo e la durezza "del cuore" necessario a chi compia con lucidità un tradimento, magari nella freddezza della premeditazione, in contrapposizione con il calore umano (o il fuoco della carità, come Dante la ritrarrà personificata nel Paradiso terrestre, sulla sommità del Purgatorio). Inoltre essi rappresentano il massimo della degradazione umana, essendo il loro peccato il più grave dell'Inferno e sono retrocessi nella loro immobilità a "pietre-umane" (si pensi al già grave degradamento dei ladri trasformati in serpenti o dei suicidi in sterpi, tutto sommato creature ben superiori alle pietre inanimate).

Viaggio nell’Inferno di Dante, il principio dei traditori tra cambiamento e innovazione. Lucrezia Ercoli su Il Riformista l'11 Giugno 2021 

Si intravedono i vessilli, Vexilla regis prodeunt. Stiamo per toccare il punto più basso dell’aberrazione umana. Aspettiamo questo momento dall’inizio del viaggio. I Vexilla Inferni, i segni del re degli inferi, procedono verso di noi. Non sono quelli della vera Croce come negli inni del Venerdì Santo, ma del suo oppositore. Siamo al centro dell’inferno. Siamo lungo uno dei cinque fiumi mitologici degli Inferi: il Cocito, il “fiume di ghiaccio”. L’ultimo canto, il trentaquattresimo. Dante e Virgilio vengono al cospetto del principio di ogni male, Lucifero.

Spira un vento freddo da rabbrividire e le ombre dei dannati sono tutte affondate nel ghiaccio, e si intravedono come pagliuzze sottovetro. Il luogo più freddo e desolato dell’universo. È la “Giudecca”. Il termine indica il quartiere ebraico (dal latino judaeus). Nella Giudecca gli ebrei venivano anticamente confinati. Omen est nomen. Cosa c’è di più inospitale di un quartiere ebraico? Con buona pace del politicamente corretto. Nella ghiaccia della “Judaica” le anime sono sdraiate, a testa in su o in giù, diritte o rovesciate, ma tutte cristallizzate e silenziose. Tutte anonime. Nessun dannato viene individuato da Dante, né tantomeno da Virgilio. Non vengono date spiegazioni. Si presume che insieme al popolo ebraico vi siano congelati i peccatori verso la Chiesa e verso l’Impero. Probabilmente tutti quelli che hanno agito contro i loro benefattori. A capirne di più ci può aiutare “la creatura ch’ebbe il bel sembiante”. Virgilio lo introduce da par suo: “Ecco il luogo dove conviene armarsi di coraggio”. Aumenta la suspence. Dante diviene “gelato e fioco”, che è meglio non chiedere spiegazioni, “ch’ogne parlar sarebbe poco”; le parole non sono sufficienti.

Una visione mozzafiato, che “non morì e non rimasi vivo”. L’apparizione ti lascia senza vita e senza morte. “Lo ‘mperador del doloroso regno da mezzo ‘l petto uscia fuor de la ghiaccia”. L’imperatore del male conficcato nel ghiaccio fino al petto, con la sua regalità infernale.

Ma come è fatto Lucifero? La domanda è pertinente, se ancora oggi usiamo l’aggettivo luciferino a sproposito. La sua rappresentazione non è una questione di poco conto nella costruzione dell’immaginario contemporaneo. Il diavolo e l’inferno hanno tormentato l’uomo medievale. Per Jacques Le Goff, il maggiore intellettuale della Nouvelle Histoire, il diavolo è stato “la grande creazione del cristianesimo durante il Medioevo”. L’iconografia del demonio è molto significativa. Innanzitutto, Lucifero è brutto. È un angelo abbattuto, distrutto e fiaccato da Dio. Uno sconfitto portato all’impotenza. Come tutti i potenti decaduti può essere finalmente beffeggiato. Ieri come oggi niente è più liberatorio che ridicolizzare e rendere grottesca la figura della persona un tempo importante.

Capace di trasformarsi e di camuffarsi, mostra essenzialmente due volti, quello del seduttore e quello del torturatore infernale. Il diavolo ammaliatore prende sembianze umane, soprattutto femminili e stringe patti con i peccatori. Il patto con il demonio ha essenzialmente prodotto la caccia alle streghe. Mentre il diavolo infernale del XIII e XIV secolo diventa un mostro, un incrocio tra l’uomo e la bestia, sempre dotato di corna, di coda e di ali. Il suo aspetto addirittura peggiorerà con la crisi del quattordicesimo secolo. Dopo le famigerate pestilenze del Trecento prevarrà l’esagerazione grottesca alla Bosch. La figura del diavolo alimenta l’angoscia di ricchi e poveri. Non mancano santi uomini di Chiesa che, dopo averlo incontrato, ne hanno tracciato l’identikit in prediche e libri. Una figura, diremmo oggi, “pervasiva” a tutto campo, dalla mentalità popolare alle forme più ricercate dell’arte. Il suo aspetto è terrificante. Lo troviamo nelle sculture, negli affreschi, nelle facciate delle chiese o al loro interno nei capitelli e nelle pitture. I fedeli hanno paura del diavolo: sanno che può portare via l’anima e con essa la vita eterna.

Poi arriva la grande paura della morte, non solo perché la peste nera l’avrebbe resa sempre presente, ma perché dal Trecento si incomincia a vivere in condizioni migliori. Più ci si lega alla vita e più si teme la morte. Il diavolo, incarnazione di tutte le inquietudini legate al senso di colpa e alla paura della morte, impone la sua presenza perturbante nel quotidiano. In Dante, però, Lucifero interpreta solo la parte del torturatore. L’inferno della Divina Commedia si appiattisce sulla crudeltà del supplizio e tutti i tormenti sono illustrati con truculento realismo.

Oggi sappiamo quanto le immagini siano state utili come veicolo di diffusione dei contenuti religiosi. La pittura ha sfamato la morbosità dei viziosi. Proprio con le immagini dei demoni e dei peccatori nasce la prima concretezza artistica italiana. Dentro al filone realistico si colloca il Giudizio finale del Battistero di Firenze, iniziato probabilmente nel 1225 e osservato minuziosamente da Dante.

A onor del vero ci viene risparmiata gran parte degli elementi grotteschi (corna, artigli, serpenti) propri dell’iconografia dell’epoca. Rimangono le tre facce mostruose di Lucifero. Il vultus trifrons: il volto centrale rosso, quello chiaro a destra e quello scuro a sinistra. Le tre caratteristiche divine (podestà, sapienza e amore) sono in Lucifero all’opposto: impotenza, ignoranza e odio. L’antitesi perfetta. Si conclude così l’impianto caricaturale dell’Inferno. In questo canto tutto risulta au contraire: i vessilli non sono quelli della croce, la “ghiaccia” ha preso il posto delle fiamme, Lucifero è tanto brutto quanto è stato bello un tempo e, infine, le tre facce sono quelle rovesciate della divina Trinità. Artifici magistrali degni della cinematografia gotica contemporanea.

L’impianto parodico consente di affrontare meglio la complessità della situazione. La parodia, più di tante parole, facilita la descrizione e la spiegazione di una condizione difficile. L’espediente scenico si impone da allora nelle dinamiche descrittive e ancora oggi il parossismo è una costante della cultura moderna. L’arte e la letteratura, che in nessuna epoca sono state mai innocenti, hanno diffuso una visione precisa dell’aldilà, dei dannati, delle torture e dei demoni disgustosi. A fin di bene? Per suscitare quel sincero sgomento da indurre l’uomo medioevale a pentirsi e a salvarsi? Sta di fatto che si è radicato potente il pregiudizio che il brutto sia il male. Il diavolo è sporco e deforme. Gli sporchi e deformi sono cattivi e i “segnati da Dio” hanno qualcosa di demoniaco. È l’eredità avvelenata dell’uomo “timorato”.

Il Lucifero dantesco soddisfa le odierne curiosità di conoscere le sembianze del più cattivo dei cattivi. Dalla narrazione parodica abbiamo ricavato anche un utilissimo passe-partout. Vogliamo sapere come è fatto il male? Il contrario esatto del bene. E come è fatto il bene? Il contrario esatto del male. Ci rimane una curiosità ancora da soddisfare. Ora che abbiamo conosciuto il peggiore dei torturatori, chi sarà mai il peggiore dei peccatori? Il colpevole imperdonabile? Lucifero lo sbrana. Con tre facce, con tre bocche, ne sbrana tre. Tre sommi peccatori, gli unici nominati al centro dell’inferno, al centro della colpa, al centro del peccato. Quello davanti ce lo indica Virgilio. È Giuda Iscariota. C’era da scommetterci per un demonio conficcato al centro della Giudecca. Chi più di Giuda è un giuda? Gli altri due rappresentano la vera conclusione del viaggio all’inferno. Sono i nemici dell’Impero. Marco Giunio Bruto e Cassio Longino. Due politici e senatori della tarda Repubblica romana, figure preminenti della congiura delle Idi di Marzo e assassini di Giulio Cesare.

Giuda ha tradito Gesù e Bruto e Cassio hanno tradito Cesare, “il primo principe sommo”, fondatore dell’autorità imperiale voluta dalla Provvidenza e opera della Redenzione. Apparizioni funeste collocate nel centro geometrico dell’Universo. Nella terna Dante vuole bastonare chi insidia il potere. Sono questi i veri nemici di Dio, che affida proprio al potere la sopravvivenza degli uomini. Il castigo più severo va al peccato più grave: attentare al governo spirituale e al governo temporale. Ben più pesante dei sette vizi capitali è il venir meno a un impegno di fedeltà e di lealtà: tradire. Dal latino tradere, dare oltre, trasmettere. L’immagine sostanziale del tradimento ci riporta alla mente un tradire molto fisico: dare al nemico, aiutare il nemico, consegnare al nemico. Giuda consegna Cristo. Proprio nel canto finale dell’inferno il tradimento si enfatizza. L’esagerazione lo esaspera. Per secoli le immagini di Giuda, Bruto e Cassio hanno rappresentato lo stereotipo del tradimento e della sua punizione. Da allora l’infedeltà è una presenza costante e ingombrante. Qualunque venir meno a un obbligo, a una fiducia, a una dedizione è tradimento. Tutto tradisce: lo sguardo tradisce un desiderio; la memoria ci tradisce; ci tradiamo da soli… Il moralismo non rinuncia mai al tradimento. Più il tradimento è condannato, più aumenta la schiera dei traditori. Ci si tratta vicendevolmente come dei Giuda, pronti a svendere famiglia, principi e partito per trenta denari. Le categorie dantesche godono di ottima salute nella retorica istituzionale. Chi tratterebbe oggi Bruto e Cassio da peccatori? Solo un fanatico. La condanna del tradimento è il principio fondante del fanatismo.

Attenzione! “Il tradimento non trionfa mai: qual è il motivo? Perché se trionfa, nessuno osa chiamarlo tradimento” ha sentenziato il poeta John Harington. Questa è la verità che sappiamo e che non diciamo. Bruto e Cassio non sono peccatori, sono perdenti. In un momento storico in cui l’impegno solenne si è ridimensionato, dovremmo attenuare la nostra faziosità. Difficile! La storia la scrivono i vincitori. Sempre! E gli sconfitti sono spregevoli, sempre! Ben prima di Dante. Ad Atene, dopo i Trenta Tiranni si regolarono i conti. Addirittura misero a morte Socrate per collaborazionismo. Promulgarono una legge che vietava di rievocare il passato, e tantomeno di reinterpretarlo. Da allora – dalla Roma imperiale alla Roma fascista, dall’inquisizione ai partiti comunisti, da Giuda a Trockij – i conti con la storia vengono fatti secondo lo stereotipo del tradimento e della sua punizione. Anche se, come ha scritto Curzio Malaparte, l’umanità si misura innanzitutto sul sacro rispetto dei vinti e degli sconfitti: «Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori».

Il modello dantesco resiste perché la libertà ci impaurisce, ci consegna al buio e all’incertezza. Solo Giulio Giorello ha provato a rovesciare il tavolo: «Il tradimento è motore di cambiamenti necessari, può rivelarsi l’elemento portante dell’innovazione, se non addirittura il nucleo di un nuovo eroismo». A noi non rimane che applicare a Dante il suo stesso approccio parodico. E dire con Aldo Carotenuto: «Il tradimento è una rivolta: ogni rivoluzione s’iscrive nell’orbita del tradimento, è tradimento ogni opera d’arte che rompa un circuito obsoleto della conoscenza, è tradimento ogni nuova scoperta, è tradimento ogni originale movimento intellettuale». Lunga vita ai traditori! Lucrezia Ercoli

Chi sono i 10 peggiori traditori della Storia? Da Focus.

I dieci traditori più odiati e famosi di tutti i tempi, a partire da quelli della storia antica fino alle spie della Guerra fredda.

Assurti agli onori delle cronache per aver cospirato contro la Patria, rinnegato la propria comunità o voltato le spalle alla famiglia, i traditori riempiono da sempre le pagine dei libri di storia. Ecco una selezione di dieci tra i più odiati di tutti i tempi, il cui nome è diventato anche sinonimo di tradimento.

EFIALTE DI TRACHIS (V SECOLO A.C.). Di Efialte, sappiamo pochissimo, ma si crede che fosse un pastore originario di Trachis, in Grecia. La sua colpa? Aver aiutato i Persiani ad aggirare il passo delle Termopili nel 480 a.C., condannando così al massacro i celebri 300 guerrieri Spartani di Leonida I durante la battaglia. Lo storico Erodoto racconta che Efialte, dopo il tradimento, fuggì, venendo poi ucciso da un suo concittadino.

UGOLINO DELLA GHERARDESCA (1220 CIRCA – 1289). Nobile Ghibellino pisano, il conte Ugolino passò alla fazione avversa dei Guelfi e venne in seguito accusato di favorire le città rivali di Pisa. Fu quindi imprigionato e condannato a morte. Nella Divina Commedia, Dante Alighieri lo pone nel girone infernale dell'Antenora (riservato ai traditori della Patria), suggerendo che durante la prigionia arrivò a cibarsi dei propri figli.

LA MALINCHE (XVI SECOLO). Figlia di un capo nativo dell'attuale Messico, Malinche, venne venduta come schiava dopo la morte del padre e divenne poi un'interprete al servizio degli spagnoli, nonché l'amante del loro leader Hernán Cortés, approdato in Messico nel 1519. La Malinche aiutò gli invasori a sottomettere la civiltà azteca, tanto che in America Latina la parola malinchista significa "venduto" allo straniero.

BRUTO E CASSIO (I SECOLO A.C.) Malgrado Giulio Cesare li avesse perdonati entrambi nel corso delle guerre civili, Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino furono tra i principali animatori della congiura che portò nel 44 a.c. alla sua uccisione. Sconfitti in seguito da Ottaviano e Marco Antonio nella battaglia di Filippi, entrambi i "cesaricidi" si suicidarono nel 42 a.c.

GIUDA ISCARIOTA (I SECOLO D.C.). Probabilmente originario di Kerioth (una città della Giudea), dopo essere entrato a far parte dei discepoli scelti da Gesù, "vendette" il suo maestro al sinedrio per 30 denari d'argento, segnalandone l'identità alle guardie con il celebre bacio. Pentito, poco dopo si impiccò a un albero (della specie Cerci siliquastrum, l'Albero di Giuda, che ancora oggi porta il suo nome). 

MIR JAFAR (1691 - 1765). Mir Jafar Ali Khan Bahadur, dopo aver fatto strada alla corte del Bengala (attuale Bangladesh), passò dalla parte degli inglesi e durante la battaglia di Plassey, nel 1757, ricevette da questi il titolo di nababbo, facilitando la loro conquista dell'India.

Dopo alterne vicende, morì di vecchiaia, odiatissimo dai suoi compatrioti.

BENEDICT ARNOLD (1741-1801). Carismatico generale durante la guerra d'Indipendenza americana (1775-1783), fu uno dei principali responsabili della vittoria dei coloni contro i britannici a Saratoga (nel 1777), ma negli anni seguenti indossò la "giubba rossa" voltando le spalle alla causa indipendentista. Protetto ma disprezzato dai nuovi padroni, riuscì a salvarsi fuggendo in Inghilterra.

CHARLES MAURICE DE TALLEYRAND (1754-1838). Aristocratico francese, assunse incarichi politici di primo piano durante la Rivoluzione e il Regime napoleonico, tradendo continuamente perfino lo stesso Napoleone. Rimasto in sella anche dopo la caduta di quest'ultimo, divenne protagonista del successivo congresso di Vienna (1815), rappresentando la monarchia borbonica.

VIDKUN QUISLING (1887-1945). Divenuto emblema del collaborazionista nazista, Vidkun Quisling, già leader di una formazione di estrema destra norvegese, nel 1940 appoggiò l'invasione tedesca del proprio Paese e divenne capo del regime fantoccio installato da Hitler in Norvegia. Processato per alto tradimento, fu condannato a morte nel 1945.

I CINQUE DI CAMBRIDGE (XX SECOLO). Brillanti accademici dell'università inglese di Cambridge ma traditori della Patria, a partire dagli anni '30 e per buona parte della Guerra fredda, Anthony Blunt, Donald Maclean, Kim Philby, Guy Burgess e John Cairncross furono spie e fornirono informazioni top secret ai sovietici, e riuscirono anche tutti a salvarsi. Le loro "soffiate" furono tra le operazioni più riuscite di sempre dello spionaggio russo. Tratto da I grandi traditori 

Rassegniamoci: siamo tutti cornuti. E non vogliamo la Cassazione nel letto. Simonetta Sciandivasci su L'Inkiesta il 18 Aprile 2018

I giudici hanno stabilito che flirtare online è come tradire. Una sentenza che non cambierà il destino degli esseri umani: le corna. Ma soprattutto una ridicola identificazione di peccato e reato 

Tenere la Cassazione fuori dalle nostre lenzuola non ci è riuscito e quindi quella ha avanzato, quatta quatta, come le amiche nemiche, come Al Pacino in certi film, come la Germania negli anni Trenta, e s’è infilata dappertutto, nella vita reale, e quando ha finito di occuparla tutta, è passata a quella virtuale. Flirtare online è come tradire, hanno stabilito ieri i giudici della prima sezione civile della Suprema Corte, confermando il diritto di una ex moglie a ricevere un mantenimento di seicento euro mensili dall’ex marito, dal quale si era separata dopo averlo sorpreso a fare il fesso in chat con chissà chi, magari un’adolescente che si fingeva una femmina adulta con due enormi tette. Nella sentenza è scritto che il comportamento del povero diavolo – che pena ci fa – è stato “oggettivamente idoneo a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale all’origine della separazione”.

Quindi pensateci bene, d’ora in avanti, prima di mandare messaggini più o meno indecenti a qualcuno che non sia la persona che avete sposato: un giorno, quei messaggini potrebbero costarvi un’esosa causa di divorzio, più mantenimento, più trasloco, più sprezzo degli eventuali figli e/o amici, affiliati, parenti, vicini, colleghi. Un’occhiata extraconiugale è peccato, disse Gesù Cristo – “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” – e una chat extraconiugale è reato, dice la Cassazione. E lo dice nel tempo massimamente secolarizzato (o, almeno, così ci illudiamo che sia) e massimamente intraprendente, delle famiglie allargate, le coppie apertissime, i matrimoni politici, il patriarcato e i suoi ruoli a processo, l’egomania, la selfness, niente moglie meglio un impianto stereo, niente marito meglio un gatto, niente indeterminato, niente mutuo, niente macchina.

Quindi pensateci bene, d’ora in avanti, prima di mandare messaggini più o meno indecenti a qualcuno che non sia la persona che avete sposato: un giorno, quei messaggini potrebbero costarvi un’esosa causa di divorzio, più mantenimento, più trasloco, più sprezzo degli eventuali figli e/o amici, affiliati, parenti, vicini, colleghi

Un tempo dove nessuno sembra intenzionato a tollerare un vincolo appena più impegnativo della fidelity card di un supermercato (meglio se Esselunga, che notoriamente si prende cura dei single) e nel quale, quindi, il tradimento dovrebbe godere di un’indulgenza diversa. Invece, esattamente come nell’Italia del delitto d’onore, il tradimento è ancora il crimine d’amore peggiore, la ferita più inguaribile, la macchia più inestinguibile. Solo che, mentre allora si temeva il disonore, ora si temono la sostituibilità e l’abbandono fino alla paranoia, tanto che siamo disposti ad accettare che un flirt su Twitter sia come avere un’amante e che un giudice indaghi e sentenzi sulle nostre intenzioni, sulle scappatoie virtuali, sulla vita che c’inventiamo su un social network ed è questo, assai più della – ennesima – confusione tra vita reale e internet, tra conversazione e chat, tra maschera e timidezza, tra streaming e disponibilità, a rendere grottesca e preoccupante una sentenza che starà facendo tossire mezza Italia e sfrigolare le mani all’altra metà. Una sentenza che – sia chiaro – non cambierà il solo destino comune di tutti gli esseri umani, fintanto che sono in vita: le corna (e tanto basterebbe a non drammatizzarle, come si diceva in quel titolo infedele di un vecchio film di Truffaut e che gli italiani partorirono in anni di liberazione sessuale. Poiché di tradimenti vive l’uomo, una trafficata attività di tutti è da sempre la ricerca della deroga.

Ci siamo chiesti, per anni, se per tradire si dovesse dire, fare, baciare o bastasse solo baciare; se un bacio da ubriachi o da depressi o in discoteca o a un funerale o in ospedale valesse come tradimento; se il sesso senza cuore o a malincuore o per ripicca o per nostalgia o per la paura dei cinquanta valesse e persino se un’occhiata a un’altra/altro fosse adulterio. Abbiamo risposto in mille modi diversi, spesso contraddittori. Poi è arrivata la rete, abbiamo smesso di fare il poco sesso che ancora facevamo e ci siamo chiesti se flirtarci sopra fosse sufficiente ad annullare un amore. Certo che lo è, ci siamo fatti dire dai giudici: la vita pensata è la sola che conta, desiderare è agire, agire è controllare e controllare è prevenire. Per questo ci sono migliaia di profili Facebook che le coppie gestiscono insieme (chi di voi non ha un Gabriella&Mirko tra i contatti?): è un modo per illudersi che si può essere coppia dove tutti sono uno, nessuno, centomila e pure di inibire il crimine prima ancora che venga commesso. L’uomo è ciò che fa, si diceva un tempo. Ora, invece, non solo vogliamo che l’uomo sia ciò che fantastica di fare, ma intendiamo sanzionare ogni sua fantasia, terrorizzati come siamo che quelle fantasie lo esortino a essere libero.

Sessualità. Perché il marito tradito è chiamato cornuto? Da Focus.

Non è chiaro il motivo per cui le corna sono simbolo dell’infedeltà coniugale. Ecco alcune possibili spiegazioni.

Marito cornuto? 

Non è chiaro il motivo per cui le corna sono simbolo dell’infedeltà coniugale. Qualcuno suggerisce che l’aggettivo cornuto, nel senso di tradito, derivi dal maschio della capra (detto anche becco: da qui le espressioni “far becco”, “essere becco”) la cui compagna è nota per la disinvoltura con cui cambia partner. 

Però nell’antichità le corna erano simbolo di virilità, coraggio, audacia: gli dei venivano rappresentati con le corna sul capo e per imitazione i regnanti le inserivano nei loro diademi. Anche i guerrieri ornavano con le corna di capro i loro cimieri. Non è chiaro perché le sorti di questa parola siano così fortemente mutate coi secoli.

DIFFICILE ETIMOLOGIA. Molti studiosi hanno cercato di capire dove e quando l'espressione "avere le corna" e l'aggettivo cornuto hanno cominciato ad avere il significato ingiurioso attuale.

Secondo alcuni, fu a Costantinopoli al tempo dell'imperatore Andronico Comneno (1120 circa -1185).  Si narra che il terribile imperatore bizantino fosse spietato con i suoi sudditi, imprigionasse chiunque lo avversava e rapisse le mogli per tenerle come concubine, facendo poi appendere sulle case dei poveri mariti, per scherno, delle teste di cervo, come simbolo della preda cacciata.

Quando nel 1185 i soldati del re Guglielmo II di Normandia, diretti a Costantinopoli, arrivarono a Salonicco (allora Tessalonica) chiesero spiegazioni su quelle teste cornute appese sui muri della città, venendo a conoscenza della storia di Andronico. Portarono così l'espressione "mettere le corna" in Sicilia e da lì il modo di dire si è poi diffuso in tutta la penisola.

ORIGINE MITICA. C'è poi un'altra possibile spiegazione che affonda le sue radici invece nella mitologia greca e in particolare alla nascita del Minotauro. La storia è questa: il sovrano di Creta, Minosse, figlio di Zeus ed Europa, costruì un altare dedicato a Poseidone, sul quale avrebbe dovuto immolare un toro bianco inviatogli in dono dallo stesso dio. Colpito dalla magnificenza dell'animale, re Minosse lo preservò per le sue mandrie, sacrificando un altro esemplare.

Poseidone, scoperto l'inganno, punì il re facendo innamorare del bovino sua moglie Pasifae che, nascosta in una giovenca di legno, ebbe un amplesso con l'animale e diede poi alla luce il Minotauro, un mostro metà uomo e metà toro. Fu così che i Cretesi, a conoscenza dell'adulterio, iniziarono a mostrare per scherno le corna al re Minosse, eleggendolo... il primo cornuto della storia.

Perché ad un uomo tradito si dice cornuto? Alessandra Cancarè su lamiasicilia.org

Quando in Sicilia vuoi offendere qualcuno puoi dire di tutto e di più, ma non devi mai utilizzare una determinata parola? suppongo sappiate a quale mi riferisco.

Nello stesso istante in cui un siciliano si sente dire cornuto o si vede davanti qualcuno che solleva la mano con indice e mignolo alzati, si assiste ad un evento da non perdere: la trasformazione di un uomo.

Le vene iniziano a gonfiare, le narici si allargano, le labbra si distorcono, nel viso appare tutto lo splendore del tecnicolor e dalla bocca iniziano ad uscire parole indecifrabili che non risparmiano le prime, le seconde e le terze generazioni di chi l’ha offeso.

Ebbene si, la parola Cornuto per il siciliano è una grande offesa.

Il valore offensivo di questa parola è di origine medievale, prima di allora, soprattutto in età romana, il cornuto era colui che rappresentava forza e potenza. Spesso i nomi romani venivano accostati a questo aggettivo. Anticamente erano addirittura un ornamento prestigioso. Gli dei venivano raffigurati con le corna. Anche il Mosè di Michelangelo è rappresentato con le corna.

La variazione di significato e la divulgazione in tutta Europa e in tutto il mondo si è avuta grazie alle truppe siciliane che Guglielmo II (detto il buono) inviò a Costantinopoli contro l?imperatore bizantino Andronico I Comneno.

L?imperatore Andronico era una persona molto cattiva e perfida. Uccise l?imperatore Alessio II di cui era tutore, e, salito al potere pretendeva di fare tutto ciò che desiderava. Era un dongiovanni e possedeva le donne con violenza senza badare se fossero o meno sposate. Quando possedeva una donna sposata faceva incarcerare o picchiare il marito e faceva apporre all?ingresso dei loro palazzi teste di cervi o comunque animali con le corna. Questo per mostrare la propria potenza e il trionfo. Proprio per questo motivo nacque l?espressione ?fare le corna?, quindi i mariti ?traditi? venivano chiamati cornuti.

Ritornando ai siciliani, quando nel 1185 andarono a Costantinopoli e videro questi trofei appesi nei palazzi nobiliari, capirono il motivo dell?espressione cornuto e quando rimpatriarono divulgarono questa curiosità alquanto singolare. Alessandra Cancarè

Tradimento maschile e femminile a confronto: come tradiscono lui e lei. Marianna Tognini su donnamoderna.com il 09 06 2015

Il tradimento maschile: due opzioni che non si autoescludono

Corollario del punto precedente, il tradimento maschile ammette la compresenza dell’amante di turno e della compagna/moglie, il cui ruolo non è minimamente messo in discussione. L’uomo infatti tende ad intrattenere relazioni extraconiugali di breve durata, che interrompe nel momento in cui diventano complicate o rischiano di mettere a repentaglio il suo rapporto più duraturo: nella sua mente le due situazioni possono benissimo convivere, trattandosi di circostanze diverse e ben distinte, che soddisfano da un lato il suo desiderio di evasione e la sua pulsione sessuale non tenuta a bada, dall’altro la necessità di costruire una famiglia con la donna della sua vita. Forse è proprio questo il problema che sta alla base dell’infedeltà maschile, l’incapacità di rinunciare a qualcosa. 

Il tradimento maschile: l’appoggio della curva sud

Quello che a volte ci si scorda di considerare, quando si parla di tradimento maschile, è l’appoggio della cricca di amici, una sorta di “curva sud” pronta non solo a giustificare, ma anche ad elogiare le “eroiche gesta” del fedifrago. Il che non è cosa da poco, dato che un tale appoggio rischia di risultare deleterio, non costringendolo a riflettere per un momento sulle conseguenze psicologiche delle proprie azioni e facendolo pure sentire in un certo senso lusingato per via della sua fama di latin lover. La compagnia maschile tende poi a essere omertosa, e a coprire – se necessario – il “colpevole” con ogni mezzo facendo diminuire drasticamente le possibilità di smascherare le varie infedeltà. 

Il tradimento femminile: una scelta di campo

In un film del 2001 – “Lantana” – la protagonista femminile, dopo aver scoperto in flagrante il marito fedifrago, gli diceva: “È facile andare là fuori e fare sesso con qualcuno. Sai qual è la cosa più difficile? Andare là fuori e non farlo”. Ecco come una frase riesce a riassumere in due righe scarse la presa di posizione delle donne in merito al tradimento: è una decisione consapevole, non un avvenimento che succede per caso perché si è travolti dagli eventi e dalle circostanze, eventi e circostanze a cui – per altro – si può e si deve opporre resistenza, per quanto difficile questo possa risultare. Tutti siamo bene o male vittime delle tentazioni, ma il gentil sesso è meno propenso a cedervi a causa di un senso di responsabilità e di attaccamento al concetto di “famiglia” che secoli di tradizione hanno contribuito a costruire e instillare nel profondo, con i conseguenti pro e contro che ciò – ovviamente – comporta. 

Il tradimento femminile: uno spartiacque

A differenza di quanto succede per gli uomini, raramente per una donna il tradimento è soltanto una questione di sesso, anzi. Il più delle volte l’adulterio femminile segna la fine dell’amore con il compagno precedente, e con esso quella del rapporto. C’è spazio per ogni genere di eccezione, certo, ma l’investimento emotivo che si fa sulla relazione extraconiugale non è indifferente, poiché in genere non si tratta di una mera evasione, ma di un tentativo di colmare delle lacune affettive preesistenti che pesano non poco sulla storia “ufficiale”. Ecco allora forse la più grande differenza tra infedeltà maschile e femminile: se la prima è un mero divertissement commessa a cuor leggero e senza badare troppo alle conseguenze del gesto, la seconda è invece molto più sofferta e ponderata, rispondendo a esigenze profonde, che sottolineano l’inadeguatezza del partner attuale. 

Il tradimento femminile: la presa di coscienza

Il ruolo delle amiche qui è cruciale: anziché tifare per il perpetrarsi di una situazione in cui la donna adultera continui a tenere i piedi in due scarpe, la spingono a farla ragionare e a prendere una decisione precisa, indipendentemente dall’inevitabile sofferenza psicologica che da ciò possa derivare. Sì, perché il tradimento femminile non è destinato a durare a lungo, ma tende a raggiungere una sorta di “punto di non ritorno” in cui la fatidica scelta non è solo necessaria, ma doverosa: se credono nel rapporto, le donne – a differenza degli uomini – sono capaci di abbandonare una situazione sicura che però le rende infelici e insoddisfatte, nel tentativo di coronare quel desiderio di amore con la “a” maiuscola che sin da quando erano bambine hanno coltivato. Probabilmente la seconda grande differenza tra infedeltà maschile e femminile sta proprio nel coraggio di lasciare le proprie certezze per inseguire un ideale di felicità, una specie di “spinta vitale” che da sempre contraddistingue le donne di ogni epoca. 

L’unica conclusione univoca

In questi casi, generalizzare non è mai un bene, ma possiamo ormai candidamente ammettere che – se il tradimento femminile è innanzitutto una questione di cuore e cervello, e secondariamente carnale – quello maschile mira piuttosto a soddisfare degli appetiti sessuali momentanei, senza che ciò metta in discussione la relazione dell’uomo con la propria compagna. In questo confluiscono aspetti sociologi, storici e biologici da non sottovalutare, dato che in fondo – da sempre – orientano le nostre condotte in materia sentimentale e sessuale: non staremo qui a sindacare su quale atteggiamento sia migliore o peggiore, e allo stesso modo non costringeremo nessuno a salire sul banco degli imputati, ma un’altra verità sottende al tradimento, e questa volta è comune a entrambi i sessi. Chi pecca di infedeltà una volta, infatti, otto volte su dieci è destinato a ripetere questo comportamento. Un certo Giambattista Vico in tempi non sospetti li aveva definiti i “corsi e ricorsi storici”, d’altronde.

Lui, lei e... le corna: come reagiscono uomini e donne a un tradimento? Da Focus.

Le donne considerano più grave l'infedeltà mentale mentre gli uomini quella fisica, eppure i meccanismi alla base del perdono del tradimento sono gli stessi.

Davanti a un tradimento, le reazioni di uomini e donne non sarebbero poi così differenti, anche se secondo psicologi e sessuologi le donne considerano più grave l'infedeltà mentale mentre gli uomini quella fisica. Insomma, i meccanismi alla base del perdono sono gli stessi in entrambi sessi.

TRADIMENTO MENTALE O FISICO. È quanto è stato stabilito da una ricerca della Norwegian University of Science and Technology su 92 coppie i cui partner hanno compi­lato un questionario dopo essersi immedesimati in due scenari di tradimento: il primo descrive­va il partner che faceva sesso con un'altra persona ma non si innamorava; il secondo rappresen­tava l'eventualità opposta in cui il partner si innamorava ma senza avere rapporti sessuali. 

È emerso che uomini e donne sono poco disposti a passarci sopra e scelgono di dare una seconda possibilità in egual misura: la maggior parte delle persone, indipendentemente dal genere e dal tipo di infedeltà, ritiene improbabile un perdono. La scelta di restare col partner è determinata soprattutto da quanto percepiscono minacciosa l'infedeltà per la rela­zione, che sia essa fisica o emotiva, cioè dall'impatto che immaginano avrà sulla coppia. Ma se fossimo tutti poligami? Beh, questa è un'altra storia. 

Coppia: il tradimento dell'uomo si giustifica, quello della donna no. Da today.it

Secondo un sondaggio condotto da Eurodap, la maggioranza degli italiani attribuisce una gravità maggiore all'infedeltà femminile rispetto a quella maschile: "Queste differenze portano spesso a conflitti, senso di oppressione e delusioni" ha commentato l'esperta

Hai voglia a parlare di parità tra sessi e a promuovere gli stessi diritti e doveri per gli uomini come per le donne: in Italia, almeno sul fronte del tradimento di coppia, determinate convinzioni sembrano dure a morire e la conferma viene da un sondaggio secondo cui l'uomo infedele è giustificabile, la donna no. 

Come si legge sull'Adnkronos, il risultato viene dalla ricerca di Eurodap, l'Associazione europea disturbi da attacchi di panico, che ha chiesto a 1.200 persone, uomini e donne tra 18 e 60 anni, un'opinione sulle differenze di genere, su giudizi e pregiudizi.

Ebbene, il 60% delle persone pensa che gli uomini siano più bravi a essere leader, stesso risultato anche sull'idea che la donna venga più apprezzata se è attenta ai bisogni del compagno, ma i punteggi più alti si sono rilevati proprio nella risposta riguardante il tradimento: il 70% è convinto che l'uomo che tradisce è giustificabile, la donna no. Il 60% delle donne, inoltre, ha detto di tendere ad accontentare il proprio partner se chiede loro di non uscire con le amiche.

"Questi dati indicano una forte componente culturale in cui, in modo trasversale in diverse fasce d'età, si manifesta la differenza dei comportamenti 'permessi' tra uomo e donna. Differenze che incidono nella relazione di scambio e che portano spesso a conflitti, senso di oppressione e delusioni" ha commentato Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente Eurodap. 

DAGONEWS giovedì 31 agosto 2023.

Sappiamo tutti che un partner improvvisamente riservato e che nasconde il proprio telefono è il più grande indizio di un tradimento.

Ma che dire degli indizi meno ovvi. Tracey Cox svela quali sono i venti segnali che potrebbero indicare che avete le corna. 

1. Fai più sesso del solito

Se stai facendo del sesso fantastico, non è possibile che il tuo partner abbia una relazione, giusto? Non è così. Alcune persone sono più appassionate a casa quando fanno sesso da un’altra parte. Alcuni si divertono passando direttamente da un letto all'altro. Un altro indizio: il tuo partner è più sicuro di sé a letto e vuole provare cose che normalmente non farebbe.

2. Sono più amorevoli o critici del solito

Ricordi cosa vuol dire essere infatuati? Il mondo è improvvisamente un posto meraviglioso. Le cose che prima causavano discussioni tra di voi ora non lo fanno più: il tuo partner ti lascia "vincere" perché non è più coinvolto nella relazione.

Altrettanto probabile è che diventino eccessivamente critici, avventandosi su tutto ciò che fai di sbagliato e sottolineando i tuoi numerosi difetti. Con questo comportamento giustifica la relazione con un’altra persona a se stesso: “Certo che ho una relazione! Sono sposato con lei/lui!”

3. Ti accusano di tradire

È una tattica subdola e straordinariamente efficace. Inviano un segnale in cui fanno pensare che tradire sia una brutta cosa e provano a ribaltare la situazione. 

4. Evitano il contatto visivo

Solo un bugiardo esperto può guardare direttamente negli occhi qualcuno che sa che lo ama quando lo tradisce. In effetti, la ricerca suggerisce che se il tuo partner riesce a guardarti negli occhi e toccarti amorevolmente allo stesso tempo, è una buona indicazione che non sta tramando nulla. (L'eccezione? Gli imbroglioni seriali. Se hai sempre tradito e non ci vedi niente di sbagliato, ce la farai senza alcun problema.)

5. I loro interessi cambiano

Una volta adoravano le commedie romantiche, ora si dedicano ai documentari seri. Prima era il pop degli anni '90, ora è l'indie. Il ragazzo che non mangerebbe altro che hamburger, improvvisamente decide di amare il vietnamita. La nuova persona lo sta cambiando o sta espandendo i suoi interessi e hobby. 

6. Le loro abitudini di spesa cambiano

Se spendono di più, di solito significa che escono di più o comprano regali. Fai attenzione se prelevano molti contanti: significa che non puoi vedere dove sono stati sugli estratti conto della banca o della carta di credito. Anche a te potrebbero arrivare regali inaspettati: il senso di colpa rende anche la persona più ingenerosa improvvisamente incline ad acquistare fiori.

7. Hanno sbalzi d'umore

Le relazioni extra coniugali sono turbolente. Si oscilla tra l'essere insopportabilmente eccitato a disperatamente colpevole. Un minuto è spento (si odiano per averti fatto questo) e poi si riaccende (è difficile resistere alla lussuria). È una montagna russa di emozioni impossibili da nascondere completamente. 

8. Si astengono dal fare progetti futuri

Se la relazione è più di una semplice avventura, non vogliono discutere quando cambiare casa, prenotare la vacanza da sogno, se trasferire lì un genitore anziano. Non sono sicuri che ci saranno in futuro.

9. Sono distanti

Sono meno impegnati nelle conversazioni, distratti, preoccupati dai propri pensieri e dalle proprie emozioni: tutte queste cose suggeriscono che la loro attenzione si è spostata altrove. 

10. Escono dai radar quando prima non lo facevano prima

Di solito rispondevano entro 15 minuti, ora lasciano passare più un'ora. Essere insolitamente irraggiungibili è spesso il primo indizio che sta accadendo qualcosa. Attenzione anche ai rumori di sottofondo durante le chiamate che non sembrano adatti al luogo: sono al bar con i loro compagni ma non ci voci; sono al lavoro ma senti passare un autobus o un treno.

11. C'è un cambiamento nella loro routine

Se il tuo ragazzo correva alle 5 del mattino e ora corre alle 19 e per il doppio del tempo, non è necessario essere uno scienziato missilistico per capire che sta succedendo qualcosa.

Lavorare fino a tardi quando non è normale per loro; iscriversi a un club del libro quando non hanno mai mostrato interesse per la lettura. Guarda se prestano maggiore attenzione anche al tuo programma. Più sanno dove sarai e quando, più sarà sicuro di farla franca.

12. C'è un cambiamento nel loro aspetto

Hanno perso improvvisamente quei chili in più? Vanno in palestra e rinnovano il loro guardaroba senza una parola di critica o incoraggiamento da parte tua? Tutto potrebbe essere un segno che vogliono impressionare qualcuno. Fare la doccia quando tornano a casa, quando di solito non lo fanno, è un altro campanello d'allarme. Stanno cercando di lavare via l'odore del sesso o del profumo dal loro corpo. 

13. Offrono volontariamente informazioni minime

Se prima erano loquaci e ora sono meno interessati a parlare, potrebbe essere perché hanno paura di commettere errori. Se stai cercando di nascondere le tue tracce, fornirai il minimo di dettagli nel caso commettessi un errore. Aggiungi alcune assenze inspiegabili o spiegazioni vaghe su dove sono stati e una relazione diventa ancora più probabile. 

14. Ci sono molte chiamate di amici di cui hai sentito parlare ma che non hai mai incontrato

È un trucco vecchio: hanno salvato il numero della persona con cui hanno una relazione sotto il nome di qualcun altro. 

15. Un nuovo "amico" viene improvvisamente invitato a casa tua

Sembra strano e lo è: per nascondere una relazione, alcune persone presentano la persona con cui hanno una relazione al proprio partner. (La logica è che non lo sospetterai se non è nascosto.) Spesso, viene fatto per placare l’altra persona: ci sono molte amanti che insistono nell'incontrare la moglie.

16. Il tuo corpo ti avverte

Improvvisamente sei affetta da mughetto e/o hai infezioni del tratto urinario? Hai problemi ad avere un'erezione? Potrebbe essere perché sei improvvisamente esposto alle infezioni dell'amante del tuo partner o il tuo corpo ha accettato ciò che il tuo cuore non vuole. 

17. Il suo corpo ti avverte

Se sono in conflitto – ti amano ma vogliono anche stare con la nuova persona – il loro linguaggio del corpo li tradirà. È stressante avere una relazione. Saranno nervosi e "perderanno": le emozioni interiori che stiamo cercando di nascondere si rivelano attraverso una gamba che rimbalza su e giù, una nuova tendenza a giocherellare con le cose mentre ti parla. 

Il senso di colpa ci fa incurvare: potrebbero sembrare stanchi, piegarsi su se stessi, con le spalle cadenti. È molto probabile che sembrino nervosi intorno a te e super vigili: stanno in guardia per non essere colti di sorpresa. Mentire è un lavoro duro e richiede un'ottima memoria. 

18. Ti senti depresso e ansioso

La maggior parte delle persone sa quando il proprio partner è infedele, semplicemente non vuole ammetterlo a se stessa. Se stai piangendo "senza motivo", hai mal di testa, ti senti debole, è il modo in cui il tuo corpo ti dice: "Ehi, potresti non volerlo ammettere. Ma so che pensi che ti stiano tradendo e io soffro per questo”. 

19. I tuoi amici ti danno suggerimenti, i loro amici ti evitano

Gli uomini tendono a coprirsi a vicenda; le donne si sentono obbligate a dare una sorta di avvertimento, non importa quanto sottile. Mentre poche persone spifferano la notizia, molti si tradiscono facendo commenti indiretti. 

Fai attenzione. Quell'osservazione fugace di un amico ("Oggi stavo leggendo una storia sull'infedeltà. Dio, non si sa mai, vero?") a volte è un avvertimento. Se sembra che i loro amici trovino ogni sorta di scuse per non vederti o non parlarti, è possibile che sappiano cosa sta succedendo. 

20. Il tuo istinto ti dice che qualcosa non va

La maggior parte delle persone che sospettano seriamente che il proprio partner stia tradendo si rivelano nel giusto. Se non riesci a capirlo, ma sai che sta succedendo qualcosa, chiamali. Se ti senti ansioso e "non sei del tutto sicuro di loro", potrebbe essere un segno che stanno prendendo le distanze. Ascolta il tuo intuito soprattutto se sei una donna e non hai problemi di gelosia. Abbiamo ottimi radar interiori.

Il caso Segre-Seymandi.

Da Ansa.

Da Torinocronaca.

Da la Repubblica.

Da La Stampa.

Da Lo Spiffero.

Da Il Corriere della Sera.

Da Il Corriere del Giorno.

Da Il Tempo.

Da Il Giornale.

Da Libero Quotidiano.

Da Il Foglio.

Da Notizie.it.

Da Il Foglio.

Da Il Fatto Quotidiano.

Da L’Inkiesta.

Da La Fionda.

Da Mowmag.com.

Da Ansa.

(ANSA martedì 22 agosto 2023) - I legali del banchiere torinese Massimo Segre hanno ricevuto "mandato per valutare la possibilità di richiedere il risarcimento del danno reputazionale connesso alle affermazioni della Seymandi, così come riportate da alcuni organi di informazione, relativamente sia alla sparizione, certamente non attribuibile al mio assistito contrariamente a quanto alluso dalla signora Seymandi, dello zaffiro appartenuto alla madre di Massimo Segre e in quanto tale avente un forte valore affettivo, sia a presunti tradimenti compiuti dallo stesso Massimo Segre in torto alla Seymandi".

E' quanto viene riferito. "Tale azione di risarcimento - si precisa - verrà valutata qualora non venga effettuata in tempi brevi dalla stessa Seymandi una smentita pubblica". "Massimo Segre - prosegue la dichiarazione - non è mai venuto meno al vincolo di fedeltà durante la relazione con la Signora Seymandi. Ben diverso, rispetto a una relazione matrimoniale non ancora iniziata - è il caso di una relazione extraconiugale avuta da Segre - durante la parte finale del suo precedente matrimonio, che è terminata ben prima di intraprendere la relazione sentimentale con Cristina Seymandi e che nulla rileva sull'attuale questione e per la quale l'autorevole richiamo del garante della privacy dovrebbe essere di monito a tutti".

Da Torinocronaca.

Estratto da torinocronaca.it mercoledì 9 agosto 2023.   

Senza stare a scomodare i classici della letteratura, la vicenda di cui si parla in queste sere noiose d’agosto nei salotti della “Torino bene”, tra un calice di prosecco, olive e patatine, ricorda più che altro “Adulterio all’italiana”, il film con Alberto Sordi e Rossella Falk, ma a ruoli invertiti. 

Insomma, una vicenda che in mezzo tra il comico e il grottesco, anche se la si vuole far passare per drammatica; da una parte e dall’altra. I protagonisti, Cristina Seymandi, un passato politico rampante alla corte di Grillo prima e di Paolo Damilano poi, e Massimo Segre, finanziere, banchiere, erede dello studio fiscalista dell’ingegner De Benedetti, sono finiti, loro malgrado, sulla bocca di molti, almeno in certi ambienti dell’alta borghesia subalpina.

Si dice che avrebbero dovuto convolare a giuste nozze e che la festa organizzata nel parco della villa in collina del commercialista fosse l’occasione per il fatidico annuncio. Le cose, però, sono andate diversamente, almeno secondo i soliti ben informati che in vicende come queste si trincerano sempre dietro il più rigoroso anonimato. 

Allo scoccare della mezzanotte o giù di lì, Segre avrebbe richiamato l’attenzione di tutti chiamando accanto a sé la promessa sposa. Poi le parole che hanno lasciato nell’imbarazzo alcune decine di invitati: «Il dono che ti faccio - avrebbe detto il finanziere rivolgendosi alla donna -, è la libertà. Per cui non ti sposo». E immediatamente dopo, su uno schermo piazzato nel giardino, sarebbero comparse le fotografie della malcapitata in compagnia di altre persone, di altri uomini, anche se non è dato sapere in quali atteggiamenti e circostanze. 

È seguito un silenzio glaciale, la donna sarebbe stata vittima di un mancamento, tanto da dover ricorrere ai sali per riprendersi, mentre lui si sarebbe ritirato nelle sue stanze in religioso, mesto e soddisfatto silenzio. […]

Da La Repubblica.

Estratto dell’articolo di Diego Longhin per repubblica.it venerdì 11 agosto 2023. 

Una vicenda pruriginosa che agita l’estate dei salotti torinesi, ma non solo. Ci sono 153 persone, dipendenti della Savio di Chiusa San Michele, che seguono con ansia le vicende della ormai ex coppia Massimo Segre e Cristina Seymandi, rapporto interrotto bruscamente durante la festa in cui il commercialista […] avrebbe dovuto annunciare le nozze proprio con Seymandi. 

Gli intrecci, non solo amorosi, tra i due si sono saldati anche negli affari. E ora i dipendenti del gruppo, specializzato in accessori per serramenti e rilanciato anche grazie a risorse pubbliche, vorrebbero sapere quale sarà la loro fine.

Sarebbero stati i figli dello stesso Segre, che avevano rapporti pessimi con la futura moglie, a metterlo in guardia rispetto alle frequentazioni di lei e anche alla gestione delle attività. Mettendo sul tavolo anche prove concrete. E sarebbe per questo, anche per riavvicinarsi ai figli, che Segre avrebbe optato per mettere fine al rapporto in una maniera del tutto anomala.

Massimo Segre, classe 1959, commercialista, banchiere ed esperto di finanza, è l’erede della famiglia Segre. Franca Bruna Segre è stato un volto storico del mondo finanziario della Mole, basta ricordare la Banca Intermobiliare. Il figlio ha ereditato lo studio alla Crocetta, il quartiere bene di Torino, in via Valeggio 41. 

È poi consigliere di amministrazione in Directa Sim, azienda che si occupa di trading online di cui è uno dei fondatori. Società in cui fino a pochi mesi fa aveva un ruolo anche l’ex Seymandi. Il professionista siede anche nel cda della società editrice del quotidiano Domani ed è presidente della Fondazione Ricerca Molinette Onlus, ente filantropico legato all’ospedale principale di Torino nato per volontà della madre. Anche Seymandi è entrata nel cda della Onlus.

[…] Seymandi, figlia del noto commercialista Roberto Seymandi (scomparso nel 2021 dopo che lo studio Pitagora è fallito nel 2020) […] nel novembre 2022, è diventata ceo del gruppo Savio. Operazione che è riuscita attraverso il salvataggio di Savio Thesan Spa, società che al 31 dicembre 2021 secondo le visure aveva ricavi per 24,5 milioni e perdite per 2,8 milioni, in cui è entrata attraverso la Hope srl. 

Si tratta di una società costituita nel 2020, della quale Seymandi ha preso la quota di maggioranza dal figlio di Massimo, Giulio, nel 2021. La Savio Thesan in gergo viene considerata un’azienda decotta. Ora invece, grazie anche a 2 milioni di euro arrivati tramite un bando di Finpiemonte, naviga in buone acque. Insomma, ha avuto il merito di salvare anche 153 posti di lavoro, ma vista la situazione attuale i dipendenti si chiedono per quanto durerà.

I soldi sono arrivati grazie al progetto di salvataggio […] presentato dalla Hope Srl per rilevare la Savio Thesan Spa, che produce serramenti. Nella Hope c’è anche Vittorio Moscatelli, rappresentante della Filizit De Bec, una società con sede nel comasco che si occupa di compravendita di immobili, ma soprattutto amministratore delegato della Ipi, la cassaforte del finanziere torinese. 

Ad asseverare il rendiconto di bilancio 2021 di Hope è Massimo Segre, il quale nel 2021 controllava la Savio Thesan attraverso la Fp Holding, che ha sede in via Valeggio 41. Poco dopo, la Savio Thesan andò in concordato preventivo, la Fp in liquidazione, dal 22 febbraio 2022, e arrivò la Hope controllata da Cristina Seymandi che era già legata a livello sentimentale con il commercialista-banchiere. Il salvataggio però ha funzionato ed ora l’azienda pare non avere problemi. Anzi. I lavoratori sono preoccupati dal fatto che le questioni sentimentali di Seymandi possano mandare di nuovo in crisi l’azienda.

Estratto dell’articolo di Sarah Martinenghi per repubblica.it venerdì 11 agosto 2023. 

Un periodo decisamente difficile per Massimo Segre, il rampante manager della finanza subalpina che ha pubblicamente additato la sua compagna, Cristina Seymandi, di infedeltà, trasformando la festa per il compleanno di lei in un’atroce vendetta finita poi sulla bocca di tutti. […] i guai estivi di Segre non sono solo di cuore. C’è anche una questione giudiziaria che coinvolge lui, come presidente, insieme a un altro importante amministratore della Directa Sim, la società di intermediazione mobiliare, che si definisce “pioniera del trading online in Italia e uno dei primi broker al mondo”.

L’accusa della procura è duplice, abusivismo bancario e finanziario: a giugno gli uomini della guardia di Finanza (nucleo di polizia valutaria di Roma) hanno effettuato una perquisizione che ha reso note le contestazioni agli indagati, otto in tutto. […] 

L’indagine del pm Mario Bendoni ha preso in esame il periodo tra il 2019 e il 2022: in questi anni Directa Sim si sarebbe di fatto comportata da banca, attuando un’ingente raccolta di risparmi, senza poterlo però fare. Non risulta infatti iscritta negli albi ed elenchi di vigilanza per poter svolgere queste operazioni. E al contempo, non risulterebbero, secondo l’accusa, ordini di trasmissione dell’attività di intermediazione che avrebbero dovuto essere il fulcro della loro attività finanziaria.

Eppure sarebbe emerso che decine di banche, di medio calibro, avrebbero dato in deposito a Directa Sim i risparmi dei loro clienti e che la società avrebbe poi girato quei flussi di denaro ad altri istituti di credito che si trovavano bisognosi di liquidità. Un giro di affari quantificato in oltre 800 milioni di euro. Il guadagno sarebbe derivato dalla differenza tra gli interessi passivi e quelli attivi, tra quelli cioè applicati dalle banche che affidavano all’intermediaria i loro patrimoni, e quelli poi applicati nel prestito successivo.

Il sospetto degli investigatori è che gran parte delle provvigioni siano andati a dei “segnalatori di pregio”, figure intermediarie che avrebbero però “girato” il denaro, dietro allo schermo di mere consulenze, a due società, che sarebbero entrambe riconducibili però proprio ad un amministratore di Directa e a un altro manager. 

La disponibilità di liquidità di Directa Sim sarebbe cresciuta vertiginosamente, passando da poco più di 220 milioni di euro nel 2012 agli oltre 850 del 2021. E le provvigioni dei segnalatori sarebbero di alcuni milioni di euro. Gli istituti di credito coinvolti, una trentina, non risultano indagati dalla procura […]

«Directa, nonostante un parere firmato dal professor Carbonetti, ha deciso di cessare l’attività oggetto di contestazione - che non impatta in alcun modo sulla clientela retail - per massimo rispetto della magistratura inquirente. Siamo certi che riusciremo a dimostrare la correttezza dell’operato della società e l’estraneità ai fatti contestati al suo presidente che risulta coinvolto in qualità di mero responsabile legale e che non è stato oggetto di perquisizione. Dalla decisione assunta dalla società non sono previsti significativi impatti sui risultati economici sia per l’anno 2023 sia per il 2024» è la replica dei legali di Directa a Repubblica.

Da La Stampa.

Estratto dell’articolo di Assia Neumann Dayan per “la Stampa” venerdì 11 agosto 2023.  

[…] Massimo Segre dice: «Cari amici, non pensiate che mi faccia piacere fare la figura del cornuto davanti a tutti voi, ma Cristina è talmente in gamba nel raccontare le sue verità che non potevo lasciare solo a lei la narrazione del motivo per cui stasera termino la mia convivenza con lei».

Non si capisce perché non abbia fatto un gruppo WhatsApp con gli amici suoi per raccontare la sua verità, ma si sia reso necessario umiliare pubblicamente la controparte. Dice poi che si potrà valutare comunque una collaborazione professionale visto che lavorativamente la stima moltissimo, come disse la signora Pina al ragionier Fantozzi. 

Sono anche piuttosto certa che a parti invertite lei sarebbe stata molto applaudita, si sarebbe messa in commercio la Barbie Seymandi, «ben gli sta» avremmo detto al bar, perché oramai viviamo solo di stereotipi. Il monologo di Massimo Segre si regge sul grande classico «non sei tu, sono io» di una ferocia chirurgica, un monologo che è immediatamente diventato inarrivabile manifesto dei passivi-aggressivi di tutto il mondo.

L'altro ieri sulla stampa americana è uscita la notizia di una sposa che durante la celebrazione del proprio matrimonio, al posto delle classiche promesse, ha letto i messaggi che il fidanzato si scambiava con un'altra. […] forse è l'inizio di un nuovo genere, il revenge wedding. 

Senza il video però queste notizie fanno semplicemente sorridere. Sui social ci si interroga se quella di Massimo Segre sia stata una violenza, e per una volta trovo che non sia un discorso banale. La violenza sta nella diffusione di quel video, non in quella che Cristina Seymandi definisce una «pagliacciata». Una pagliacciata rimane una pagliacciata se la condividi a livello mondiale? No, una pagliacciata se viene condivisa con milioni di persone diventa un'altra cosa, diventa Gran Guignol, lapidazione, lettera scarlatta.

[…] dovremmo semplicemente chiudere tutto, i social, YouTube, WhatsApp, tutto, è andata male, abbiamo sbagliato, succede. I danni prodotti dalla diffusione di video o chat o foto di persone inconsapevoli sono di gran lunga maggiori rispetto a qualunque beneficio potrà mai portare la tecnologia. Chiudiamo tutto, al massimo torneremo a leggere i giornali scandalistici dal parrucchiere. […]

Estratto dell'articolo di Elena Loewenthal per “La Stampa” giovedì 10 agosto 2023.

È una storia triste. Terribilmente triste. Una storia terribile, malgrado o forse proprio per via dell’atmosfera festosa, calda e amichevole che si spezza tutt’a un tratto fra una riga e l’altra del lungo messaggio preparato a puntino, virgola per virgola comprese le pause ad effetto, per tenere il pubblico già sbalordito con il fiato ancor più sospeso. 

Una coppia “consolidata” invita gli amici più cari a festeggiare il non troppo lungo passato trascorso insieme ma soprattutto il luminoso, e presumibilmente matrimoniale, futuro che li aspetta.

[…] Arriva il momento chiave della festa, quella in cui il (presunto) futuro sposo interrompe il dj per prendere la parola a suon di microfono. Dichiara che sarà più lungo del solito e viene amichevolmente sbeffeggiato. Forse si schiarisce appena la gola subito prima di dichiarare che regala alla (presunta) futura sposa il più bel regalo che lei possa desiderare: la libertà. 

E invece, con quei cinque minuti di invettiva, per quanto a voce sommessa, ferma, impassibile, le dona una schiavitù irredimibile, quella della gogna pubblica, sciorinando i tradimenti di lei lungo gli anni della loro relazione. E liquidandola così, sul posto, senza (quasi) batter ciglia.

[…]  Perché in questa storia nessuno dei due ha un poco di ragione dalla sua, perché è una storia di doppio, anzi multiplo tradimento: di lei che ha frequentato (e forse amato) altri uomini fingendo di frequentare (e forse amare) lui. 

Di lui che l’ha tradita così, coram populo, dove per “populo” s’intende non tanto il gruppo di cari amici che a distanza di qualche giorno avranno ancora la mascella indolenzita dallo stupore, quanto le migliaia, centinaia di migliaia di visualizzazioni che la scena, immortalata da un telefonino e pubblicata in rete dal “cornuto” (come si definisce lui stesso) sta totalizzando. 

E c’è da scommettere che circolerà ancora per un po’, con gran successo: perché è una scena scabrosa, che mette in luce tutto il peggio che può esserci in una relazione, si fa per dire, sentimentale. Ipocrisia, risentimento, finzione, indifferenza e dolore ciascuno per conto suo, mai condiviso. 

Fra Massimo e Cristina, qualche sera fa, non è, in fondo, successo nulla che non fosse già scritto nella loro relazione. […]  Una storia che solo nel tradimento, in quel duplice tradimento di lei che frequenta altri uomini e di lui che la mette alla gogna traendone una sorta di sadico piacere, trova il suo culmine sentimentale.

Al reiterato tradimento di lei fa da contrappasso quello di lui: un tossico amalgama di vendetta e voglia di stupire – forse più il suo pubblico di lei, del suo sguardo che resta quasi impassibile, pietrificato come è tutto in quella scena tremenda.

Perché di pietra è stata quella relazione chiusasi così, davanti a tutti, perché più di lui “cornuto” e più di lei messa alla gogna, ad essere traditi sono stati i sentimenti giusti e buoni e veri e capaci di dare magari anche soltanto un pizzico di felicità, ma di quella vera.

Estratto dell’articolo di Pierangelo Sapegno per lastampa.it mercoledì 9 agosto 2023.

E’ di quelle storie un po’ così, che non sembra neanche troppo torinese, molto poco riservata e per niente low profile. E invece più torinese di così è impossibile. Torino Vip per di più. 

Alla festa per annunciare il matrimonio, 150 invitati sotto al palco, sul prato che si affaccia gentile a guardar dall’alto il Po e la Mole, […] quando si spengono le luci per il discorso di rito, il padrone di casa prima mostra urbi et orbi il foglio con la data delle nozze e poi spiega il regalo che farà alla futura moglie, che dev’essere, aggiunge con voce emozionata, il più grande dei regali: «Il dono che ti faccio è la libertà. Per cui non ti sposo».

Lui è Massimo Segre, finanziere e banchiere di grande fama vicino a Carlo De Benedetti, lei è Cristina Seymandi, quarantenne di bellezza spigliata e biondocrinita, collaboratrice dell’ex sindaco Appendino che traslocò in lesta giravolta alla corte di Damilano, il candidato sindaco scelto da Salvini poi sconfitto alle elezioni. 

Dopo la rivelazione, accompagnata da alcune stilettate esplicative, sull’amore di lei per un ignoto avvocato - almeno un po’ di riserbo torinese -, narrano le cronache di Dagospia che su un maxischermo allestito in giardino sarebbero comparse pure le fotografie della futura sposa licenziata pubblicamente prima delle nozze in compagnia di altri uomini, mentre la poveretta, accanto a lui, ascoltava impietrita senza verbo mormorare questa imprevista dichiarazione di addio.

Narrano ancora le cronache che lei sarebbe quasi svenuta e che abbia dovuto ricorrere ai sali per riprendersi, mentre lui si sarebbe ritirato nelle sue stanze in rigoroso silenzio, subito dopo aver chiuso il suo discorso specificando che non era tanto fiero di «far la figura del cornuto». Ma sottintendendo che quel che stava facendo andava fatto. 

Nel video si notano bene alcuni passaggi che un po’ allibiscono […]. C’è un’aria di festa, prima che lui cominci a parlare, si spengono tutte le luci e una sola striscia luminosa taglia l’immagine mentre la gente urla allegra, e invita l’oratore ad alzar la voce. Poi poco alla volta piomba il silenzio, lo stesso silenzio con cui Cristina nasconde il suo volto attonita.

Alla fine, Massimo Segre scende con un certo aplomb […] passando tranquillo fra gli […] spettatori che non sanno se fargli i complimenti o che cosa, perché la situazione è un po’ strana. E forse sarebbe meglio solo fare i torinesi e accompagnare in silenzio gentile l’uscita di scena. […]

Estratto dell'articolo di Emanuela Minucci per lastampa.it giovedì 10 agosto 2023.

Cristina Seymandi risponde con voce normale al telefono. È tranquilla, ed esercita pure il dono dell’ironia quando le si chiede di ricostruire quanto accaduto la sera del 27 luglio, il suo compleanno oltretutto. 

Quella sera in cui il suo promesso sposo, il finanziere Massimo Segre, le ha fatto una festa a sorpresa, anzi, un agguato a sorpresa, durante la quale anziché annunciare il loro matrimonio ha dichiarato (a favore di smartphone) che anziché convolare a nozze il prossimo ottobre l’avrebbe lasciata. «Vai pure a Mikonos con il tuo avvocato, tanto è tutto pagato, visto che sei innamorata di lui, ti lascio libera…». 

[…] questa storia che intreccia il mondo della finanza a quello della politica e della Torino bene (in salsa Temptation Island), è diventata «La Storia dell’estate» con vittime e carnefici che si scambiano i ruoli di fronte alla tribuna dei social. 

Cristina, ha dormito stanotte?

«Devo dirle di sì. I giorni dopo la festa non ho dormito. È stata un doccia ghiacciata. Ma ora sì. Comincio a viverla con il giusto distacco. È stata una pagliacciata diciamo la verità. Non eravamo 150, eravamo 45 ed erano quasi tutti amici miei. 

Lui deve essere stato preso in mezzo da qualcuno, ha deciso di fare una figuraccia lui per primo, che è un personaggio di primo piano. Pensi che quando se n’è andato, ed era casa sua, ha dovuto farlo accompagnato da quattro body guard: aveva orchestrato tutto».

E lei è andata via subito?

«Certo. Che dovevo fare? In quella casa non rimetterò più piede. Ora sono in vacanza, dovevamo partire il giorno dopo per MIkonos si figuri, le valigie erano già pronte…». 

E lei che fa andrà a MIkonos da sola? O con l’avvocato?

Cristina ride. «Se vado via andrò via sola. Ma vi assicuro che le persone che ha citato sono tutti fantasmi. E a proposito di tradimenti lui deve pensare a se stesso in primis». 

Lei sui social ha ricevuto la solidarietà di molte donne. Come si sente di fronte invece a chi la condanna?

«Lui è un uomo molto vendicativo. Ma io non mi sento scalfita. La verità verrà fuori. E ripeto mi spiace forse più per lui che per me. E poi per tutte le persone che sono venute fuori attorno a questa vicenda che in realtà non c’entrano nulla». 

Lei ha chiuso per sempre con Massimo Segre? […]

«No, chiudere per sempre non posso, resta in piedi il lavoro e non posso permettermi di perderlo». 

Come giudica quelle pubbliche accuse di tradimento?

«In una frase sola: da che pulpito viene la predica».

Uno sfogo, un agguato, una vendetta. Come giudica quei tre minuti che hanno gelato lei per prima e poi anche gli invitati?

«Lui in questo periodo era molto stanco. E guardandolo ho pensato: “Questo è impazzito”. Ma sono certa che c’è qualcuno dietro di lui che ha soffiato sul fuoco, insomma, l’ha manipolato». 

E il video? Pensa sia stato anche quello organizzato ad arte?

«Direi di sì visto l’uso che ne è stato fatto». 

Ora che farà?

«Voglio riposarmi. tanto sono già in vacanza. Ma non pensatemi stracciata. Non me l’aspettavo ma ci vuole altro per piegarmi».

Estratto dell’articolo di Emanuela Minucci per “La Stampa” venerdì 11 agosto 2023.  

«Non dormo da giorni, ma ora comincio a mettere a fuoco. Ho subito una violenza sessista». Cristina Seymandi, […] È a Torino, sembra tranquilla. 

E riesce pure a fare qualche battuta, per quanto inevitabilmente amara, quando le si chiede di ricostruire quanto accaduto il 27 luglio. […]

Cristina, ha dormito stanotte?

«[…] Il vero scandalo è la violenza sessista su di me. A parti invertite non ne avrebbe parlato nessuno». 

In che senso?

«All'uomo nella società occidentale del 2023 è consentito tutto. Anche uccidere "per amore". Perché in questa terribile subcultura c'è ancora chi non si scandalizza troppo per il femminicidio. Inoltre, quando la vittima è una donna, sui social si scatenano anche gli odiatori seriali che nulla sanno dei nostri fatti privati. E nulla devono sapere». 

Ma il suo giudizio sulla decisione di Massimo Segre di leggere quel messaggio in pubblico?

«È stata una pagliacciata, diciamo la verità, le cose serie si risolvono in altro modo. Specifico che eravamo in 35 ed era la festa a sorpresa per il mio compleanno, organizzata da lui. Ha coinvolto tutti i miei amici […] Voleva punirmi pubblicamente è chiaro». 

Uno spettacolo?

«Penso che le cose siano molto diverse da come lui le ha raccontate quella sera, e che non sia stata una scena degna del suo ruolo. […] le questioni private che coinvolgono anche figli e parenti non vadano gettate sulla pubblica piazza».

Perché lei non ha reagito?

«Lui se n'è scappato via senza lasciarmi parlare, accompagnato da quattro bodyguard». 

[…] Chi vede il video si chiede: come ha fatto a restare tanto impassibile di fronte a quel discorso?

 «Al di là di quello che è stato letto, la sua versione dei fatti, che sono tutti da verificare, amavo quell'uomo e non mi sarei mai immaginata una cosa simile. […]». 

E ora andrà a Mykonos da sola? O con l'avvocato?

«Se vado via, andrò da sola. E, a proposito di tradimenti, lui deve pensare a sé stesso in primis». 

Come giudica quelle pubbliche accuse di tradimento?

«Con una frase sola: senti da che pulpito viene la predica». 

Lei sui social ha ricevuto la solidarietà di molte donne. Come si sente di fronte invece a chi la condanna?

«Chiedo a chi mi condanna di soprassedere, anche perché all'interno di ogni famiglia, perché di famiglia si tratta, le dinamiche sono molto complesse e difficili da comprendere dall'esterno. La verità verrà fuori. […]». 

[…] Che spiegazione si è data del suo comportamento?

«Lui in questo periodo era molto stanco. E guardandolo ho pensato: "Ma cosa sta dicendo?"».

Come crede abbia maturato la decisione di lasciarla così?

«Sono certa che c'è qualcuno dietro di lui che ha soffiato sul fuoco. Insomma qualcuno che l'ha consigliato». 

 E il video? Pensa sia stato anche quello organizzato ad arte?

«Direi di sì, visto l'uso che ne è stato fatto. Poi c'è un'altra cosa da chiarire: sono state dette molte falsità. Ad esempio che alla festa era stato proiettato un video e poi che lì ero svenuta. Tutto falso». 

Che cosa pensa della frase che il suo ex promesso sposo ha detto: "Ti regalo la libertà"?

«Vorrei precisare che la libertà non me la concede lui, ma è un mio diritto inalienabile di persona e di donna».

Che cosa resta alla fine di questa storia?

«Resta una donna che è stata usata pubblicamente e mediaticamente. E pure un uomo, Massimo Segre, che voleva punirmi di fronte a tutti e probabilmente è stato usato, a sua volta, da altri». 

Usato da chi?

 «Non so, dovrebbe dircelo lui. Da quel giorno non l'ho più sentito. Ma ho netta questa sensazione».

[…]

Estratto dell’articolo di Paolo Griseri e Claudia Luise per “la Stampa” sabato 12 agosto 2023.

[…] Ora per Massimo Segre, svaporata l’ira della vendetta, si tratta di rimettere insieme i cocci, i detriti di quella che la sua ormai ex compagna ha definito semplicemente «una pagliacciata». […] in numerose società […] il figlio della riservatissima signora Franca (ah che cosa penserebbe di tanta smodata pubblicità) è il dominus e Cristina Seymandi stava diventando il braccio operativo. 

Due sono i punti critici, quelli dove le corna […] rischiano di creare problemi finanziari e imbarazzi: la Savio, la società metalmeccanica valsusina appena salvata da Segre e dalla Regione, di cui Cristina è amministratore delegato. E la Directa, cuore finanziario dell’impero Segre (in cui Seymandi era entrata recentemente) e da qualche mese al centro delle indagini della Procura. Naufragata la passione tra Massimo e Cristina, che ne sarà degli affari in comune?

Alla Savio ieri era l’ultimo giorno prima della chiusura estiva. Ferie considerate provvidenziali da operai e impiegati: 154 lavoratori in tutto che, loro malgrado, si trovano ora nell’occhio del ciclone. Quale futuro oggi, dopo anni di crisi e in concordato preventivo? […] la storia della Savio è anche la storia del passaggio di Seymandi dal tentativo (non troppo riuscito) di fare politica alla ribalta nel mondo imprenditoriale. La data chiave è quella del 07/11/2022 quando Cristina viene nominata, amministratrice delegata.

È a ridosso del compleanno di Massimo che la sua compagna ottiene il controllo della società che lo stesso Segre aveva provveduto a salvare attraverso un’altra scatola finanziaria, la Hope Srl, due anni prima. Massimo Segre, a dicembre del 2020, incarica due persone di sua fiducia di occuparsi dell’affare: Vittorio Moscatelli, navigato manager da sempre vicino a De Benedetti (e attuale amministratore delegato di Ipi Immobiliare) e il figlio Giulio Segre, classe 1999. Ma poi le cose cambiano, Moscatelli resta con il 20% e Seymandi subentra a Giulio con l’80%. Così dal novembre 2022 il figlio scompare dalla società e non avrà nessun incarico.

Questioni private, certo: è pubblico però che proprio la mattina prima della festa “a sorpresa” (cosi la definiva lo stesso Massimo nella chat di invito), è la stessa Seymandi a sostituire il direttore finanziario della Savio: lascia Alessandro Rossotto e entra Nash Moshe Abramov, un manager di cui lei si fida al punto da riservargli deleghe importanti. […] sul salvataggio della Savio la Regione aveva puntato molto per garantire l’occupazione in Val di Susa. Tanto che ieri Finpiemonte ha dovuto spiegare in un comunicato che il finanziamento concerto per 2 milioni è stato concesso «in esito al riscontro positivo dei controlli previsti».

Ma Savio non è l’unica avventura che coinvolge entrambi. Seymandi, infatti, l’8 febbraio di quest’anno è entrata anche come consigliera in Directa Sim, «uno dei primi broker entrati in attività nel mondo» di cui Segre è presidente: ha chiuso il bilancio 2022 con l’utile netto più alto di tutti i tempi, superiore a 5,6 milioni e i ricavi hanno segnato un nuovo record sfiorando per la prima volta i 23,5 milioni di euro. Il numero di conti attivi è arrivato alla cifra record di 61.348 in crescita del 20,7% mentre il totale degli asset della clientela ha raggiunto i 3,5 miliardi. Cifre importanti. 

Sulla società però indaga da mesi il pm Mario Bendoni perché, secondo l’accusa, avrebbe agito da banca senza averne i requisiti creando un giro d’affari di 800 milioni. […]

Estratto dell’articolo di Filippo Femia per lastampa.it sabato 12 agosto 2023.

Non si tratta della fine dell’understatement sabaudo, secondo Evelina Christillin, ma è curioso che Torino – culla del basso profilo a oltranza – sia il luogo dove è stata accesa la miccia del gossip dell’estate: il banchiere Massimo Segre che, immortalato in un video, lascia davanti agli amici a sorpresa la promessa sposa Cristina Seymandi, rea di averlo tradito. La presidente del Museo Egizio è convinta che «certe cose accadevano anche in passato ma si consumavano in circoli più ristretti, senza il clamore dei social».

[…] Come è venuta a sapere della vicenda?

«Le voci rimbalzavano da qualche settimana, ma il video non era circolato. Senza voler scomodare Lévi-Strauss: la parola è pesante, l’immagine è ancora più forte». 

Cosa ha provato quando ha visto quel filmato?

«Una grande tristezza. Per entrambi. Credo che in questa storia siano tutti vittime. E provo anche pena per chi si sta appassionando in maniera morbosa».

Ricorda una vicenda simile in passato nella Torino bene?

«Onestamente no. Niente che abbia sollevato questo clamore». 

Quel video sembra aver spazzato via ogni stereotipo sui torinesi. Non esistono più i sabaudi di una volta, che lavano i panni sporchi in famiglia?

«Certe debolezze e alcune cattiverie della borghesia torinese sono sempre esistite. Le hanno narrate magistralmente Fruttero e Lucentini negli Anni Settanta. Forse ora hanno preso una forma più contemporanea, modellata dai social e da certe trasmissioni tv. Semmai quello che è accaduto è la dimostrazione che noi torinesi non siamo falsi né cortesi».

Sono cambiati i tempi, non i torinesi?

«[…] . Assistiamo a una pratica […]televisiva in cui la violenza verbale è protagonista. Programmi in cui vengono messi in piazza i fatti peggiori, come i tradimenti in diretta all’Isola dei famosi. Sono fattori che influenzano tutti, anche contesti non abituati a quei toni». 

[…]I mezzi di comunicazione hanno qualche responsabilità?

«Ho grandissimo rispetto per i sentimenti delle persone e ritengo sbagliato sbattere il mostro in prima pagina. È un po’ come per la pubblicazione delle intercettazioni: bisogna essere consapevoli di quando fermarsi. […]».

Estratto dell’articolo di Matteo Lancini per “la Stampa” sabato 12 agosto 2023.

«Hai visto il video di quello che alla festa del proprio matrimonio ha preso in mano il microfono e ha lasciato la futura moglie che lo ha tradito?». Subito dopo aver pronunciato questa frase a un mio amico, e sentito la sua risposta, ho iniziato a tormentarmi. Perché nonostante il video mi avesse reso irrequieto, fatto provare imbarazzo e confermato quanto vado dicendo da tempo sulla nostra società sempre più pornografizzata, mi sono spinto a promuoverne la visione? […]

[…] pur avendo formulato qualche ipotesi sul mio funzionamento affettivo e su quello dell’essere umano spesso attratto dalle disgrazie altrui e dal pettegolezzo, ha prevalso il mio interesse per le ricadute di questa vicenda sulle nuove generazioni, sul ruolo che noi adulti abbiamo nel proporre e promuovere modelli di identificazione che garantiscono visibilità.

Questa storia è emblematica di tutto ciò che non dovremmo continuare a proporre. Contiene in sé la sovraesposizione del privato, reso pubblico non solo alla “ristretta” cerchia degli invitati alla festa del non-matrimonio, ma ad una popolazione molto più ampia. Promuove l’idea che svergognare e umiliare l’altro pubblicamente, in maniera fragorosa, garantisca visibilità, anche a chi in teoria non ne avrebbe bisogno, elevandoti a “star” dell’estate.

Insegna che invece di accettare […] il dolore del fallimento, lo si può trasformare in una manifestazione di successo. La vendetta social-e, che probabilmente l’aspirante moglie e politica saprà riconvertire in un’occasione di visibilità mediatica, non ha risparmiato nemmeno la citazione dei figli dei non-sposi. Tutto ciò che non conoscevamo della vita di questi signori ora è pubblico […] Le verità affettive e degli accadimenti non contano, l’importante è che siano ripresi e postati.

Sempre più spesso prevalgono immagini di adulti che più la fanno grossa, più hanno successo. È la società di internet, delle telecamere-smartphone sempre pronte, sempre in mano a chiunque. Alla prossima challenge giovanile di successo, alla prossima rissa fuori da scuola non sedata dai presenti ma ripresa attraverso lo smartphone, alla prossima vessazione organizzata in classe per poter essere ripresa e pubblicata sui social, mi auguro che non parta il solito refrain sulla condizione giovanile odierna, sull’analfabetismo emotivo adolescenziale e la supposta dipendenza generazionale da internet, smartphone e social. […]

Estratto dell’articolo di Franca Cassine per “la Stampa” domenica 13 agosto 2023.

Una rottura sentimentale rappresenta un fallimento per entrambe le parti, ancor più se si trasforma in un caso nazionale, com'è capitato all'affaire torinese Segre-Seymandi […] Al netto degli schieramenti delle opposte fazioni […] sarebbe buona norma attenersi ad alcune regole comportamentali. […] Barbara Ronchi della Rocca, esperta di bon ton, scrittrice e giornalista […] 

Partiamo dalle basi, che cos'è il galateo?

«È il lubrificante tra gli ingranaggi della vita, per questo si presta a qualunque situazione. […] non c'è un campo del vivere che non abbia il suo […] è senz'altro basato sulla prima regola che è il rispettare l'altro. Che è poi il principio del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».

Come commenta la vicenda del matrimonio saltato con dichiarazione pubblica di tradimento?

«[…] Ce ne sono stati altri, questo è solamente eclatante […] sta diventando di moda questo lasciarsi con il botto. Credo che la colpa sia dell'imbarbarimento dei nostri costumi, forse pure dei sentimenti, dettato dai social e da trasmissioni stile "Temptation Island". Una delle virtù […] perse per strada è il pudore. Pudore che non è solo non smutandarsi in pubblico, ma è proprio la nudità dell'anima che è perniciosa, con l'eccesso di parole, di spiegazioni, di lamentele, di spettacolarizzazione delle proprie infelicità e frustrazioni».

Come ci si dovrebbe comportare quando ci si lascia per il tradimento di uno dei due promessi sposi?

«[…] non giudico chi decide di essere infedele. Dico però se decidi di tradire il partner fallo bene, non farti sorprendere e, soprattutto, non farglielo sapere perché lo ferisci. Poi, non umiliarlo di fronte agli amici, non farlo sapere agli altri, perché non dimentichiamo che ciascuno di noi ha una propria autostima che va rispettata». 

Quindi cosa si dovrebbe fare?

«Anzitutto le buone maniere dicono che il lasciarsi va fatto di persona, non attraverso i social o con un sms. Bisogna avere il coraggio di guardare l'altro negli occhi per sopportare il suo disagio, il suo dolore. Poi c'è il quando. Ci son dei periodi in cui fa più male, come Natale, Capodanno, gli anniversari e i compleanni, perché sono giorni in cui il dispiacere dell'addio risulta amplificato. Inoltre, il galateo dice che tocca a chi ha deciso di rompere il rapporto l'onere di comunicarlo ad amici e parenti, a partire dai rispettivi genitori. Se sono già partite le partecipazioni, le mancate nozze devono essere annunciate con una telefonata personale a tutti gli invitati e i doni eventualmente già pervenuti vanno rispediti al mittente».

Invece, i regali fatti tra fidanzati?

«Si restituiscono solo i gioielli di famiglia, quindi se l'anello di fidanzamento è stato comperato, si può tenere». 

I social hanno modificato il codice di comportamento?

«Sì, in maniera sostanziale. Il piacere del gossip c'è sempre stato, tuttavia i social sono distruttivi perché amplificano i comportamenti peggiori». […]

Lettera di Massimo Segre a “La Stampa” martedì 15 agosto 2023.

Caro Direttore,

ho ceduto alle insistenze dei suoi collaboratori, che mi hanno chiesto di dire qualcosa di più oltre quanto ascoltato nel famoso video. Non vi è violenza ad affermare la verità pubblicamente. 

Raccontare che la Signora Seymandi prima ancora di sposarmi, intesseva altre relazioni sentimentali non è violenza: è un fatto che – se la relazione fosse stata quella di una coppia aperta – non sarebbe stato preclusivo al nostro matrimonio.

«La libertà non me la concede lui, è un mio diritto inalienabile di persona e di donna» ha detto la Signora al Suo giornale, con riferimento al mio dono nella festa per il suo compleanno: la libertà di amare.

Da quando, esattamente 3 anni prima, il 28/7/2020 infilai al dito di Cristina lo zaffiro di mia madre, chiedendole di sposarmi e ottenendone l'assenso, io non sono più stato libero di amare altre e così avrebbe dovuto essere per lei. Così intendevamo entrambi impostare la nostra relazione e il nostro matrimonio. Questo era il patto suggellato indossando l'anello della mia famiglia. Cristina non solo ne era totalmente consapevole e consenziente, ma lo pretendeva. 

La nostra coppia si formò con questo vincolo ma, se ci si ama, non lo si vive certo come una limitazione di un proprio diritto, ma come una gioia infinita. Una reciproca, splendida esclusiva. Non importa se sei uomo o donna: appartieni all'altro/a! E io sono stato totalmente ed esclusivamente di Cristina.

Lasciarla pubblicamente è stato un gesto certamente forte, che mi è immensamente dispiaciuto fare nei suoi confronti e che mi è costato particolarmente tanto, perché totalmente lontano da quella mia maniacale riservatezza, comprovata dal fatto che le foto che mi ritraggono sono poche e quasi tutte non recenti. 

Riservatezza che - come potranno confermarle i suoi collaboratori – mi spinse, nel giorno precedente alla diffusione del video, a chiedere di non far uscire un articolo sulla vicenda, trattandosi di notizia vecchia e degna delle testate di gossip più che de La Stampa. 

Poi è uscito il video (non certo per mia volontà, come invece incredibilmente affermato dalla Signora Loewenthal) e il boom mediatico ferragostano. Ecco, da affezionato lettore, mi permetto significarle che dal suo quotidiano – a differenza degli altri non torinesi – mi sarei aspettato che si domandasse cosa mi aveva spinto a una scelta così lontana dal mio tradizionale riserbo.

Ho cercato di spiegarlo sinteticamente quella sera: la Signora Seymandi è talmente abile nel raccontare una propria visione della realtà che dovevo assolutamente preservare la mia reputazione, il dono più grande lasciatomi dai miei genitori. 

Il suo stesso giornale ha titolato "Da che pulpito", sulla tesi dalla stessa sostenuta che "anche" io sia un traditore seriale. L'unico modo per evitare narrazioni distorte, se non addirittura totalmente fantasiose, consisteva nel prendere l'iniziativa davanti a tutti i suoi amici, prima che potesse raccontare chissà che cosa su di me, se l'avessi lasciata "privatamente". Caro Direttore, da ogni esperienza si deve trarre insegnamento. Ciò che ho imparato dalla Signora Seymandi è l'importanza di comunicare.

Cercherò di comunicare cose importanti (come la bonifica dall'amianto dell'ex grattacielo Rai che una mia società sta portando avanti nell'ambito di un progetto di riqualificazione urbanistica), più significative di questa storia da estate italiana, assolutamente da me non voluta né desiderata, trattandosi di informazione che pensavo potesse rimanere confinata a una quarantina di amici. 

Mi permetta di rubare ancora poche righe per ringraziare tutti coloro – noti e non- che, pur non conoscendomi affatto, hanno voluto manifestarmi apprezzamento, solidarietà, comunanza.

Non pretendo assolutamente che chiunque la pensi come me anzi, per citare Evelyn Beatrice Hall (una donna e non Voltaire, come i più ritengono) «disapprovo ciò che dici, ma difenderò con la vita il tuo diritto a dirlo». Voglio solo aggiungere che il problema della parità di genere non mi appartiene: mia mamma fu la prima presidente donna di una banca quotata in Italia e mi ha insegnato che le persone si giudicano per le loro qualità, non per il loro sesso.

Ringrazio Lei e i lettori per la cortese pazienza e auguro a tutti buona estate.

Estratto dell’articolo di Emanuela Minucci per “la Stampa” giovedì 17 agosto 2023.

[…] Cristina Seymandi ha voluto mettere un oceano tra sé e le polemiche suscitate dall'ormai celebre e velenoso video-discorso di addio dell'ex fidanzato Massimo Segre. Ma la vacanza in Vietnam non rappresenta una resa. Anzi. «Dopo giornate di disagio che mi hanno molto provata», si dichiara sempre più convinta di essere vittima di un «autentico femminicidio mediatico». 

Con il suo avvocato Claudio Strata sta valutando la praticabilità di un'azione legale […]

Seymandi ipotizza che suggeritori abbiano tramato nell'ombra per sabotare il matrimonio.

«Nella lettera di Massimo Segre, per l'ennesima volta la mia vita e il nostro comune percorso insieme erano messe in evidenza a tutta pagina, sulla cronaca nazionale, mescolate, nell'articolo, con la pubblicità per le future iniziative imprenditoriali delle aziende del mio ex compagno. 

Massimo in quella grande, disorientante, pagina di giornale parla molto di sé stesso: sostiene che "non vi è violenza nell'affermare la verità pubblicamente", riferendosi alla decisione - quella di mettere in piazza il nostro privato - che forse ha preso, quella sera del 27 luglio, convinto dai discorsi di chi - accanto a lui - non ha mai voluto la nostra felicità».

La riflessione si sviluppa in chiave psicologica: «Parla, Massimo - forse con l'intento di attirarsi le simpatie di qualcuno – "dell'anello di fidanzamento di proprietà di sua mamma", il nostro anello di fidanzamento, di cui non perde l'occasione di sottolineare il valore materiale ..., anello al quale ero affezionatissima come a una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c'è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo».

Cristina lascia intendere di avere ancora parecchi assi da giocare. «Massimo scrive che "l'amore dovrebbe essere una splendida esclusiva". Affermazione che mi stupisce sentir pronunciare proprio da lui… ma sulla quale preferisco non soffermarmi, perché, a differenza di Massimo, io non sento di avere alcun diritto di erigermi nel contempo a giudice e boia degli eventuali errori delle persone con le quali percorro un pezzo di vita […]». 

[…] «In questi giorni di enorme pressione, da donna emotivamente risolta e professionalmente affermata, mi sono trovata in molte occasioni, durante le lunghe giornate nelle quali ho cercato di ritrovare equilibrio, e anche nelle notti passate insonni, a pormi un'insistente domanda: ma se tutto ciò fosse invece capitato a una ragazza o ragazzo di 20 anni, a una giovane donna o uomo per mille motivi più fragile di me, cosa sarebbe successo…? […]

Ci sono stati messaggi violenti, tipici di quella mascolinità tossica che ancora pervade la nostra società: minacce, insulti, epiteti di ogni genere, offese, umiliazioni. E non sono mancate aspre critiche anche da parte di donne. Non voglio drammatizzare, ma le cronache ci raccontano di persone in difficoltà che in situazioni di questo genere possono arrivare a gesti di autolesionismo o, nei casi peggiori, a togliersi la vita, non riuscendo a reagire a una umiliazione e diffamazione pubblica sui mass media e tramite social e web». 

Infine Seymandi torna sull'ex fidanzato, con cui ha ancora rapporti professionali, stigmatizzandone il cinismo […] «Il signor Segre pone sé stesso al centro di tutta la narrazione: la sua necessità di prendere parola, le sue vere o presunte difficoltà nel forzarsi a farlo (e faccio fatica a pensarlo, visto che tutto è parso meticolosamente organizzato…), i suoi "valori", le sue aziende, il suo pensiero… proseguendo con una lunga lista di "aggettivi possessivi al maschile singolare".

Io, sommessamente, vorrei invece allargare lo sguardo, a ciò che il mio ex compagno probabilmente, complice l'ego, non vede: chi sta attorno a noi, il destinatario dello sfogo, chi patisce, soffre, non comprende il perché di tanta umiliazione in pubblico e sul web, e alle persone a quest'ultimo collegate, come i figli, che necessariamente ne partiranno le conseguenze. Inoltre, se questa storia non avesse avuto i Social a contorno, si sarebbe consumata tutta in un banale chiacchiericcio cittadino: quanto accaduto sottolinea allora, una volta di più, l'impatto di questi strumenti, e la necessità di una regolamentazione più seria, come il saggio richiamo del Garante della Privacy, l'altro ieri, ci ha giustamente ricordato».

Seymandi conclude la lettera riaffermando la convinzione «di aver dato il massimo in questa relazione, e mi spiace molto, sinceramente, per il disagio che posso aver creato a Massimo Segre, se – come lui sostiene – non sono stata all'altezza delle sue aspettative come compagna. Ma nel merito di questa triste vicenda, anche considerato il fatto di non aver avuto, per sua scelta, nessuna possibilità di confronto con lui, l'uomo con cui condividevo la mia quotidianità da tre anni - non penso di aver altro da aggiungere».

Estratto dell’articolo di Irene Famà per “la Stampa” giovedì 17 agosto 2023.

La guerra dei post. E dopo le nozze saltate, con tanto di video diventato virale, la vicenda Segre-Seymandi ora passa sui social. Quindici di agosto. Massimo Segre, finanziere, commercialista, posta su Facebook una poesia. «Fuochi artificiali finiti col botto; Giornata di ferragosto conclusa». È notte inoltrata e si sa, quella è l'ora in cui i pensieri si rincorrono. Soprattutto quando non si riesce a dormire. «Rifletti su tante questioni, ringrazi di stare in salute». 

E ancora: «Sdraiato sul tetto di casa, la brezza leggera ti sfiora, ascolti il lieve sciabordio del mare e le rade voci soffuse in lontananza; cerchi le ultime stelle cadenti, anche per esaudire altrui desideri, protetto da una coperta di stelle. La grandezza del Creato Ti avvolge e Ti sommerge». […] Messaggi di sostegno, di plauso. Nessuno escluso. 

Anche Cristina Seymandi […] pubblica il post di Ferragosto. «Auguri! Con Camilla & Biba». I suoi due cani. Anche qui una raffica di commenti di sostengo, solidarietà. Due schieramenti. Per raccontare questa storia bisogna sdraiarsi sul bordo della piscina di quella villa in collina. […] «L'ho lasciata pubblicamente. Dovevo preservare la mia reputazione», scrive lui in una lettera a La Stampa. Non voleva, insomma, che lei raccontasse solo la sua versione dei fatti. Succede anche nelle migliori famiglie. Perché questa storia in fondo tiene insieme un po' tutto: sentimenti feriti, tradimenti, rivalse. Nulla di nuovo. Ma ogni aspetto è 2.0: ampliato, esasperato. Il garante della privacy indaga su chi ha diffuso il filmato. «[…] 

Estratto dell’articolo di Cristina Benenati per lastampa.it giovedì 17 agosto 2023.  

«El banquero preparó una fiesta en el jardín de su mansión». Sembra l’inizio di un romanzo noir ambientato in una città andalusa, invece è il racconto dell’italianissima vicenda sentimental-legale che sta animando il dibattito dai giornali alle tivù fino alla giostra dei social e arrivata anche su «El País».

La storia, ormai arcinota, è quella della festa di nozze di Torino saltata in cui l’imprenditore Massimo Segre ha letto una lettera in cui parlava dei tradimenti della compagna e «non più futura sposa» Cristina Seymandi. 

[…] «Ha invitato decine di amici e ha preparato tutto meticolosamente: l'atmosfera, la musica, il cibo e un discorso. Ma le sue parole sono state un discorso avvelenato che ha sconvolto l'alta società italiana e potrebbe finire in tribunale», si legge sul quotidiano spagnolo, che sceglie un titolo esemplare: «La “vendetta” pubblica per un tradimento che scuote l’alta società italiana»

Il sito di gossip «geniuscelebs», addirittura li annovera fra i casi più discussi dell’estate, anche perché gli ingredienti finanza, soldi, carriera, amore, tradimenti sono garanzia di click. 

[…] Spazio alla storia italiana dell’estate anche su «Ground.news», che parla della coppia «of the Torino bene» […].

Estratto dell’articolo di Emanuela Minucci per lastampa.it giovedì 17 agosto 2023.

Professor Crepet perché, a suo parere, la vicenda Segre-Seymandi, si è trasformata nella storia dell’estate?

«[…] è una storia triste da cui nessuno dei due esce vincitore. […] la popolarità […] nasce da tre diversi elementi: l’estrazione sociale dei protagonisti (“Anche i ricchi piangono” è un format che funziona sempre) una schadenfreude di fondo, perché godere delle disgrazie altrui è uno sport che funziona parecchio […], e poi appunto la mediaticità del messaggio a favore di videocamera che ha trasformato quella platea di 45 persone nell’Italia intera munita di telefonino. Poi c’è un quarto elemento...». 

Quale?

«Quello forse più banale: siamo in estate, la stagione in cui da sempre il gossip in assenza di notizie di peso vola leggero e veloce come una piuma. Se il dottor Segre avesse lasciato la dottoressa Seymandi a febbraio in un rifugio di alta montagna, l’eco sarebbe stata diversa […]. Poi è vero, il tradimento è un argomento che da sempre, ben prima che esistessero i social, accomuna chiacchiere da bar e letteratura altissima, vedasi Madame Bovary». 

Qualcuno dice che addirittura la vicenda dell’anello di zaffiro scomparso sia equiparabile ai Rolex contesi fra Totti e Ilary. Concorda?

«Sì. Ormai la storia ha assunto i contorni del feuilleton. Ma, come le dicevo, questa guerra dei Roses in salsa subalpina è una storia triste cominciata con un gran colpo di teatro da parte del finanziere che si è subito trasformato in autogol».

[…] «[…] dal punto di vista psicologico la vendetta comporta una soddisfazione molto evanescente che lascia presto il posto al pentimento e via via a sentimenti sempre meno salutari. E poi ha avuto l’immediato effetto di trasformare la sua ex fidanzata in vittima e lui in un insipiente amoroso». 

Che lezione c’è da trarre allora da questo «revenge speech»?

«Una lezione amara di come nel 2023 ci sia ancora tanto palese analfabetismo relazionale. Sullo sfondo […] c’è anche lo stereotipo del vecchio maschio italico che cade nell’errore di pensare che una giovane, scaltra e bella imprenditrice pensando di saperla gestire o, peggio, manipolare, migliori la tua immagine di potere esattamente come guidare una Porsche».

Anche lei ha sbagliato i suoi calcoli?

«Come per tutti quelli che pensano di essere più forti soltanto perché hanno raggiunto il rifugio alpino più alto appoggiandosi al potere. Non lo hanno fatto sudando e per meriti propri, ma prendendo la funivia». 

Se questa storia di mezza estate fosse un romanzo che genere di letteratura le verrebbe in mente?

«Sarebbe un bestseller di sicuro, ma di quelli che trovi impilati un po’ prima delle casse del supermercati. Sa quelli spessi con i titoloni in rilievo...»

Estratto dell’articolo di Pierangelo Sapegno per “la Stampa” il 18 agosto 2023.

La «banale storia di infedeltà», o chiamatela come volete, la disfida Segre Seymandi, […] rischia di trasformarsi in una storia di costume […]  Adesso le parti legali dei promessi sposi, […] stanno trattando per cercare un accordo che metta fine a questa disputa, che la racchiuda in un doveroso silenzio. Tutto incluso, compreso lo scontro sull’anello di fidanzamento di proprietà della mamma di Massimo Segre.

Questo nemmeno troppo simbolico oggetto del contendere è divenuto nella lettera di replica di Cristina Seymandi, «il nostro anello di fidanzamento, di cui lui non perde l’occasione di sottolineare il valore materiale, anello al quale - sottolinea - ero affezionatissima come a una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorno prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c’è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo».

Non sappiamo […] se gli avvocati cercheranno un accordo pure su questo, se uno lo deve restituire questo benedetto anello o se lo può tenere. E non proviamo nemmeno a immaginare come si possa pacificare una contesa arrivata a questo livello di scontro. Dovranno disquisire sulla diffamazione, se esiste quando la persona è presente (secondo la norma forse no), su chi ha spedito il video sul web, visto che non sarebbe stato il diretto interessato, e sui toni del j’accuse di Segre […]

Difficile raccapezzarsi. Però se uno cerca Cristina per avere chiarimenti, risponde il professor Luca Poma, che è un Reputation Manager, docente alla Lumsa e all’università di San Marino di gestione della Reputazione […] «Con cui io sono in contatto», chiarisce. […]

«Il modo in cui siamo percepiti determina la nostra agibilità, il nostro perimetro di movimento all’interno della società per raggiungere i nostri obiettivi. La reputazione oggi sono soldi, tanti soldi, è l’asset immateriale più importante in assoluto». All’estero tutti i manager hanno accanto ormai chi gestisce la sua reputazione, qualcuno che protegge chi ha qualcosa da difendere: soldi, potere, entrambi […]

Estratto dell’articolo di Irene Famà per “La Stampa – Cronaca di Torino” sabato 19 agosto 2023.

[…] L’ormai ex coppia Segre-Seymandi […] la prossima settimana sarà in tribunale. Questione di soldi. 

Segre e Seymandi avevano un ricco conto in comune. Nulla di straordinario, dovevano sposarsi. E hanno sempre condiviso la vita e buona parte degli interessi. 

Ma a tre settimane dalla festa a sorpresa, dove la relazione è finita con tanto di j’accuse pubblico, ecco l’atto secondo della vicenda. 

Da quel conto, Cristina Seymandi, l’imprenditrice con la passione per la politica, avrebbe preso settecentomila euro. Senza dirlo al compagno. E li avrebbe girati su un suo conto postale personale. Massimo Segre, commercialista, banchiere tra i più noti della città, se ne sarebbe accorto già tempo fa, così riferiscono più fonti. E avrebbe presentato un’istanza a Palazzo di Giustizia. Conto chiuso, denaro bloccato. 

«Sequestro inaudita altera parte» è il termine giuridico che caratterizza il provvedimento cautelare d’urgenza. Cosa significa? Che beni per un certo valore vengono congelati senza sentire l’altra parte. I dettagli verranno discussi martedì, davanti alla giudice Gabriella Ratti.

E in questa querelle economico-sentimentale della Torino-bene le date iniziano a diventare significative. Il 27 luglio la festa-agguato a bordo piscina di una villa elegante: il dj abbassa la musica, Massimo Segre prende il microfono e accusa la compagna di tradimento davanti a una cinquantina di invitati. C’è chi filma. Chi parla e chi sparla. 

[…] tempo 48 ore, racconti e filmati diventano virali. […] Sui social è tutto un commentare e si creano due schieramenti del tipo #iostoconcristina e #iostoconmassimo. Schermaglie. Lettere e contro lettere: Segre scrive, si spiega, si racconta. Seymandi risponde, si spiega, si racconta. Ed è tutto un discutere di tradimento, di libertà di amare e pure di soffrire. Ma no, non in sabaudo silenzio. Ecco servito il feuilleton. Con tanto di rinfacciarsi su regali donati e mai ottenuti indietro e anelli di famiglia. In campo, per Cristina, scende anche il Reputation Manager Luca Poma.

Il garante della privacy indaga su chi ha divulgato quel filmato, gli avvocati dell’ex coppia sono al lavoro per capire come procedere. E Cristina Seymandi, rappresentata dal penalista Claudio Strata, sta valutando un’azione legale per quello che definisce un «autentico femminicidio mediatico». 

Poi ci sono le questioni economiche. […] Perché numerose sono le società in cui Massimo Segre è il dominus e Cristina Seymandi stava diventando il braccio operativo. E così, pochissimi giorni dopo la festa, il banchiere avrebbe segnalato quei settecento mila euro spostati a sua insaputa dal conto. E avrebbe chiesto il congelamento dei beni. L’udienza è fissata per martedì 22 agosto. Il provvedimento preso dal tribunale è di quelli urgenti: tra la richiesta, la decisione del giudice e l’udienza possono trascorrere al massimo una quindicina di giorni. Una resa dei conti insomma. Decisamente meno “urlata” perché si sa, discutere di soldi in pubblico non è cosa da signori.

Estratto da lastampa.it sabato 19 agosto 2023.

Anche dal Vietnam Cristina Seymandi […] non ci sta a leggere sui giornali le accuse del suo ex fidanzato che a fine luglio l’aveva lasciata in diretta durante una festa con gli amici in cui dovevano insieme annunciare le nozze. 

In particolare la notizia che intende smentire con forza è la seguente: «Cristina Seymandi, l’imprenditrice con la passione per la politica, avrebbe preso settecentomila euro. Senza dirlo al compagno. E li avrebbe girati su un suo conto postale personale». 

La risposta di Cristina Seymandi

«Il presunto trasferimento di denaro per 700.000 euro dal conto corrente cointestato Seymandi/Segre, disposto - secondo le ricostruzioni giornalistiche - dalla sottoscritta in realtà venne effettuato nel marzo 2023 (ben oltre 4 mesi prima della serata del 27 luglio nella quale di fatto si interruppe la nostra convivenza), e Massimo Segre era perfettamente a conoscenza di questo trasferimento di denaro e delle finalità dello stesso, rientranti nell'ambito di normali rapporti patrimoniali tra le parti.

Lo sapeva perfettamente al punto che lui lo aveva espressamente autorizzato, e che nessun esposto per appropriazione indebita od altro illecito di questo tipo è stato aperto a mio carico». […] «Evidentemente le notizie arrivate e diffuse ai mass-media - una volta di più - sono parte della campagna di diffamazione e delegittimazione in corso ai miei danni. Ecco perché ho dato mandato al mio team legale di tutelarmi in ogni sede».

Estratto dell’articolo di Lodovico Poletto per “La Stampa” giovedì 24 agosto 2023 

Il banchiere prega in quel di Assisi. La promessa sposa «valigiata» ben prima di arrivare all’altare si confida soltanto con gli amici. Lui si confronta con padre Gian Maria Polidoro, che è un monumento francescano, da sempre in cerca di una via per la pace nel mondo. E pubblica una foto sotto la quale scrive: «Si prega per la pace». E ancora: «...e per le piccole diatribe personali, che da qui paiono ridicole...». 

Lei interviene in tv a Zona bianca su Rete 4. Ma agli amici avrebbe confidato che, forse, prima di montare tutto questo «sarebbe stato opportuno parlarne in casa». Per evitare affermazioni e smentite. Su che cosa? La questione denari, finita in tribunale, ovvio. Poi lo zaffiro di famiglia che non si trova. E le accuse di infedeltà: «Parlarne in casa». […]

Ma oggi è Cristina Seymandi a rubare la scena. Dal Vietnam dice: «Devo correggere una narrazione non genuina...». Su cosa? I soldi, prima di tutto. «Non risponde assolutamente al vero l’affermazione che Massimo Segre mi avrebbe richiesto la restituzione della somma di 680 mila euro. Questa circostanza non è provabile in giudizio, molto semplicemente perché non è mai accaduta». 

E svela che i denari sono ancora lì, dove erano stati spostati lo scorso mese di marzo. E l’anello? Fa sapere che non ha mai detto che è stato preso da lui. Che magari è ancora da qualche parte, nella casa dove vivevano. In qualche cantone mai esplorato. E poi […] Svela, per la prima volta, qualcosa di se stessa: «Avrei desiderato non trovarmi coinvolta in questa centrifuga di dichiarazioni, smentite, articoli. È tutto estremamente pesante dal punto di vista emotivo, ma non ho voluto io questa situazione». E ancora: «La sto interamente subendo e non sarò purtroppo io che potrò farla terminare».

Ma tutto questo è davvero un tentativo di gettare un ponte? Molto sottovoce, la risposta arriva - criptata - da chi li conosce entrambi. E la sintesi è più o meno questa: «Hanno tutti e due famiglie da tutelare». […] Un’accusa tutt’altro che velata verso Massimo Segre. 

Che, però, l’altro giorno, in pubblico, ha svelato una fragilità sconosciuta. Ha ammesso, cioè, ho avuto una relazione extraconiugale nel corso del mio primo matrimonio, quando ormai questo stava terminando. Le parole esatte non sono queste, ma il concetto sì. E arrivano dopo quell’altra affermazione fatta nel corso della festa - a tutti gli effetti a sorpresa e con sorpresa - organizzata per il compleanno di lei: «Sono cornuto». […]

Da Lo Spiffero.

Da lospiffero.com mercoledì 9 agosto 2023.

Non c’è molto altro da dire. Dopo tutte le chiacchiere, i pettegolezzi, i pissi pissi sussurrati a mezza bocca, arriva anche il video di quello che lo Spiffero ha raccontato per primo, con grande tatto, due settimane fa. 

La clamorosa fine della storia tra Massimo Segre, figura notissima della finanza torinese, appartenente a una delle più in vista famiglie subalpine, legata direttamente con Carlo De Benedetti, e Cristina Seymandi, ex collaboratrice di Chiara Appendino nella parentesi pentastellata a Palazzo civico e poi candidata al Consiglio comunale con la lista di centrodestra Torino Bellissima.

“Ti dono la libertà – le dice lui davanti a decine di ospiti che mai avrebbero immaginato l’epilogo di quel discorso – ora sei libera di andare in vacanza con il tuo avvocato. È tutto pagato”. 

Lei sbarra gli occhi, si volta, cerca lo sguardo di amici e conoscenti, vuole capire se è tutto uno scherzo. Ma non è così. Lui finisce il suo intervento e le volta le spalle per l'ultima volta. La sua porta di casa d'ora in poi sarà chiusa, Segre lascia uno spiraglio riguardo alla collaborazione professionale. Forse parla di Savio, dove lei è diventata Ceo?

IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVENTO DI MASSIMO SEGRE

Io dovrei annunciare che ottobre io e Cristina ci dobbiamo sposare, poi riflettendo ho pensato che questo non è un regalo per lei ma più per me. Qual è il regalo da fare a Cristina? Ho sempre pensato che amare una persona sia desiderare il suo bene più ancora del proprio. In questo caso, questa sera, desidero regalare a Cristina la libertà di amare. Amare una persona, un noto avvocato, a cui tiene chiaramente più che a me.

Cara Cristina, so di quanto tu ne sia innamorata dal punto di vista mentale e sessuale come hai avuto modo di confidarti. So anche che prima di lui hai avuto una relazione con un noto industriale. Cari amici, non pensiate che mi faccia piacere fare la figura del cornuto davanti a tutti voi ma Cristina è talmente in gamba nel raccontare le sue verità che non potevo lasciare solo a lei la narrazione del motivo per cui stasera termino la mia convivenza con lei. 

A sua mamma, povera donna, cosa ha detto perché avesse timore che sua figlia avesse timore nel dormire con me? Io che una donna non la sfiorerei se non con un fiore. La verità sulla nostra rottura è una banale storia d’infedeltà addirittura preconiugale.

Sono deluso, ho il cuore a pezzi. Mi faccio la colpa di non aver capito come una donna non possa davvero amarti. Cara Cristina a Mykonos vai con il tuo avvocato, sii felice con lui. Come sai è tutto pagato, come il viaggio in Vietnam con tua figlia, una splendida e seria ragazza che mi dispiace che debba essere toccata da questa situazione. 

Se vorrai al tuo ritorno potremo valutare come proseguire una collaborazione professionale, la nostra storia insieme finisce stasera. Ti auguro di essere felice con il tuo nuovo compagno e di continuare a brillare nella vita come hai fatto in questi anni.

Massimo Segre, il banchiere che ha sputtanato i tradimenti della compagna, Cristina Seymandi, alla festa in cui avrebbero dovuto annunciare le loro nozze, è il figlio di Franca Bruna Segre, storica figura della finanza torinese. Come ricordava “il Fatto quotidiano”, in occasione della morte, il 10 settembre 2014, Franca Bruna Segre è stata “da sempre vicina a Carlo De Benedetti”, essendo stata la sua storica commercialista. I rapporti tra CDB e i Segre sono continuati, visto che Massimo è nel cda della società “Editoriale Domani”, che edita il quotidiano diretto da Emiliano Fittipaldi.

Oscar Serra per lospiffero.com mercoledì 9 agosto 2023.

Una carriera sulle montagne russe, tra politica e impresa, passando con disinvoltura dal Movimento 5 stelle al centrodestra, dai comitati civici di Chiara Appendino alla candidatura con Paolo Damilano fino alla nuova vita da capitano d’azienda nella Savio, dov’è entrata direttamente coi galloni di prima azionista e Ceo. 

La protagonista è Cristina Seymandi, prezzemolina dei salotti torinesi – figlia del noto commercialista Roberto Seymandi, scomparso nel 2021 – che alla fine dello scorso anno ha acquisito la maggioranza delle azioni di una società sull’orlo della bancarotta, ne è diventata la numero uno, e subito dopo ha vinto un bando regionale per le aziende in crisi (legge 34/04) e ottenuto 1,86 milioni di contributo a fondo perduto serviti per finanziare la sua scalata, più altri 200mila per la salvaguardia dei livelli occupazionali.  

Il progetto che l’azienda ha presentato per ottenere il finanziamento pubblico, infatti, riguardava l’acquisizione da parte di Hope Srl della Savio Thesan Spa, comparto aziendale dedicato ai serramenti e all’air care del gruppo Savio Spa. La Hope è una società costituita nel dicembre del 2020 con un capitale sociale di 10mila euro di cui la Seymandi detiene l’80% delle quote. Inizia “l’operazione Savio”. 

Al 31 dicembre 2021 il fatturato della Hope era di 4mila euro, la perdita d’esercizio ammontava a 91mila euro. Questa è la società che ha acquisito Savio Thesan, “salvato” 153 posti di lavoro e fatto fronte a una situazione debitoria di 100 milioni di euro. Per consentire a Hope di acquisire la maggioranza di Savio Thesan la Regione, attraverso FinPiemonte, ha messo sul tavolo oltre 2 milioni di euro.

Ad asseverare il rendiconto di bilancio 2021 di Hope è il professor Massimo Segre, il quale nel 2021 controllava la Savio Thesan attraverso la Fp Holding. Poco dopo, la Savio Thesan andò in concordato preventivo e arrivò la Hope di Cristina Seymandi (all’epoca legata sentimentalmente a Segre) a rilevarla. 

Al momento della costituzione di Hope, nel dicembre 2020, la quota di maggioranza era in mano a Giulio Segre, il figlio di Massimo, solo l'anno successivo è passata a Seymandi. Alla famiglia Segre è collegato anche colui che detiene, al momento dell’acquisizione, il restante 20% della Hope, cioè Vittorio Moscatelli rappresentante della Filizit De Bec, una società con sede nel comasco che si occupa di compravendita di immobili, ma soprattutto amministratore delegato della Ipi, la cassaforte del finanziere torinese, con un patrimonio di immobili valutato circa 314 milioni.

“Ringrazio l’assessore Andrea Tronzano per la visita dell’azienda e per l’ascolto prestato. La misura erogata dalla Regione Piemonte a sostegno della Savio è fondamentale per la ripartenza della stessa e per la salvaguardia del tessuto socio economico del territorio della Bassa Val di Susa” affermava il ceo di Savio Seymandi, un paio di settimane fa in occasione della visita in azienda di Tronzano. 

Lo stesso che, come ricorderanno in molti, era stato designato vicesindaco in pectore da Paolo Damilano alla vigilia delle elezioni del 2021, quando Seymandi era candidata nella sua lista, Torino Bellissima, dopo aver abbandonato il Movimento 5 stelle (che mai le volle troppo bene) e Appendino al proprio destino. Da una parte, dunque, ci sono gli affari di Segre, uomo della finanza torinese vicino a Carlo De Benedetti, dall'altra le relazioni politiche di Seymandi.

Nel frattempo anche il clima interno alla Savio non è serenissimo, turbato dall’avvicendamento del direttore generale e finanziario tra pettegolezzi veri e presunti che la proprietà avrebbe sfruttato per metterlo alla porta. Da fonti sindacali si apprende, inoltre, che sarebbero in corso una serie di vertenze. Il tutto mentre l’opera di accreditamento della Ceo prosegue senza sosta. 

Il 15 settembre l’assessore al Bilancio della giunta di Alberto Cirio tornerà in Savio per un incontro informativo sui bandi della Regione a favore del sistema produttivo. L’invito che sta arrivando sulle caselle di posta elettronica di molti imprenditori è “a cura di Cristina Seymandi” si legge. Una bella vetrina per colui che sarà il candidato di punta di Forza Italia alle prossime elezioni regionali.

Da Il Corriere della Sera.

Estratto dell’articolo di Giusi Fasano per il “Corriere della Sera” venerdì 11 agosto 2023. 

A pensarci bene non siamo davanti al solito maschio alfa ferito nell’amor proprio dall’infedeltà di lei. Con quelli, spesso, il rischio è la violenza fisica. E invece il dottor Segre no, lui ci tiene a mostrare al mondo che è fatto di un’altra pasta. Un galantuomo d’altri tempi, nella sua visione narcisistica delle cose. Uno che «una donna non la sfiorerei se non con un fiore», come dice lui. 

E che però organizza una serata che assomiglia tanto a una spedizione punitiva; non pugni e calci ma pubblica umiliazione, vergogna, derisione, gogna per la donna che l’ha tradito. Gentile dottor Segre, […] ci permettiamo di farle notare che il discorsetto scritto, le modalità dell’addio alla sua amata e l’intenzione evidente di annientare la sua reputazione ha un nome preciso: bullismo. Che, data la piega social presa da questa storia, si traduce più precisamente in cyberbullismo. Un reato. Una forma di violenza. E purtroppo per lei non vale, come giustificazione, quel «sono molto deluso» oppure «ho il cuore a pezzi».

Siamo passati tutti da qualche pena d’amore, nella vita. […] La differenza l’ha fatta l’autocontrollo, uomini o donne poco importa. E per chiarire: se fosse stata una donna a comportarsi come ha fatto lei, le considerazioni sarebbero le stesse. […]Sarà contento, immaginiamo, perché il pubblico dei like, come vede, è in gran parte con lei. Il che fa una tristezza infinita, ci lasci dire. A meno che non sia tutto uno scherzo. Ci stupisca con effetti speciali; ci dica che avete scherzato.

Chi è Massimo Segre, banchiere che alla festa per annunciare le nozze lascia la compagna: «Mi hai tradito». Teresa Cioffi su Il Corriere della Sera il 9 Agosto 2023

È anche consigliere di amministrazione in Directa Sim, realtà di trading online nata nel ’95 di cui è stato tra i fondatori e in seguito presidente. È presidente  della Fondazione Ricerca Molinette Onlus ed è nel cda del Domani

Massimo Segre, classe 1959, commercialista e banchiere torinese. È lui che alla festa organizzata per annunciare le nozze ha invece accusato la sua compagna di  presunti tradimenti e l'ha lasciata davanti agli invitati. Sua madre, Franca Bruna Segre, è stata la storica commercialista di Carlo De Benedetti e ha accompagnato l’imprenditore nelle più importanti operazioni finanziarie. Lo studio Segre, eredità portata avanti dal figlio Massimo, è stato tra i finanziatori del riacquisto di Banca Intermobiliare, poi passata a una finanziaria irlandese. 

Massimo Segre, a capo dello studio a Crocetta, è anche consigliere di amministrazione in Directa Sim, realtà di trading online nata nel ’95 di cui Segre è stato tra i fondatori e in seguito presidente. È nel cda della società editrice che pubblica il quotidiano Domani ed è presidente anche della Fondazione Ricerca Molinette Onlus. 

L’Organizzazione no profit opera sostenendo l’attività dei gruppi che attivi nella Città della Salute e della Scienza di Torino, con l’obiettivo di sviluppare la ricerca a favore di nuove terapie e di nuovi farmaci. La fondazione nasce , tra l'altro, dalla volontà della dottoressa Franca Bruna Segre, che ne fu primo presidente. Ruolo ricoperto poi da Massimo Segre, alla guida della fondazione di cui anche Cristina Seymandi fa parte in veste di Segretario Generale, nonché consigliere. 

Da ilfattoquotidiano.it – 10 settembre 2014 

E’ morta a Torino Franca Bruna Segre, 88 anni, figura storica della finanza torinese. Da sempre vicina a Carlo De Benedetti, lo ha accompagnato nelle più importanti operazioni finanziarie. 

Non a caso la sua cassaforte personale, Romed, è domiciliata in via Valeggio 41, lo stesso indirizzo dell’austero studio dei Segre tra il resto commercialisti di strettissima fiducia dell’editore di Repubblica. Il quale all’inizio di agosto, insieme agli stessi Segre e a Luca di Montezemolo, è stato tra finanziatori del riacquisto di  Banca Intermobiliare da Veneto Banca che l’ha rivenduta ai vecchi proprietari perdendoci un centinaio di milioni rispetto al prezzo di acquisto.

L’istituto che era stato per anni guidato dalla signora Segre, unico presidente donna tra le banche quotate in Italia, era stato venduto al gruppo veneto di Vincenzo Consoli nel 2010, anche per via delle difficoltà che la famiglia torinese di agenti di cambio stava attraversando in seguito all’avventura a fianco dell’ex furbetto del quartierino Danilo Coppola, del quale è stata a lungo garante (“per me è come un figlio”, aveva detto di lui la Segre nei giorni del carcere). 

Proprie in queste settimane è atteso il nuovo piano industriale dell’istituto che si caratterizza come una sorta di salotto-boutique finanziaria specializzata nella gestione dei patrimoni di facoltose famiglie del nord Italia.

Estratto dell’articolo di Teresa Cioffi per il “Corriere della Sera” giovedì 10 agosto 2023. 

Era un matrimonio (quasi) annunciato. Massimo Segre e Cristina Seymandi lo avevano già rimandato due volte e, proprio quando stava per arrivare l’annuncio, tutto è sfumato. Qualcuno avrà pensato «non s’ha da fare» alimentando con una serie di informazioni la delusione dell’uomo, sfociata in una vendetta che da giorni è sulla bocca di tutti a Torino. E da ieri sul web anche con un video esplicito, quello nel quale il finanziere torinese ha lasciato la (ex) compagna «libera di amare il tuo avvocato».

[…]lui, classe 1959, noto commercialista e banchiere. La madre, Franca Bruna Segre, è stata la storica commercialista di Carlo De Benedetti e ha accompagnato l’imprenditore nelle più importanti operazioni finanziarie. Lo studio Segre, eredità portata avanti dal figlio Massimo, è stato tra i finanziatori del riacquisto di Banca Intermobiliare, poi passata a una finanziaria irlandese. Massimo Segre, a capo dello studio nel quartiere Crocetta, è anche consigliere di amministrazione in Directa Sim, realtà di trading online nata nel ’95 di cui è stato tra i fondatori e in seguito presidente. È poi anche nel cda della società editrice che pubblica il quotidiano Domani.

Cristina Seymandi, 47 anni, invece, figlia di un noto commercialista torinese, ben inserita nella Torino bene, con il pallino della politica e la passione per gli affari, una laurea in lettere moderne, studi classici al Valsalice, il liceo dei salesiani sulla collina di Torino, è una professionista della comunicazione politica. Collaboratrice dell’ex sindaca Chiara Appendino si è poi avvicinata a Paolo Damilano, che l’aveva indicata come possibile vice nella corsa al Comune di un paio di anni fa. […]

Massimo Segre e Cristina Seymandi erano una coppia nella vita, da tre anni, e sul lavoro: entrambi ricoprono ruoli di rilievo all’interno della Fondazione Ricerca Molinette. E collaborano nella gestione della Savio, impresa specializzata in accessori per serramenti che offre lavoro a 153 dipendenti, della quale lei è da poco stata nominata amministratrice delegata. 

Ma a luglio, quando c’è stata la festa, tutto è andato in frantumi. […] Segre ha tirato fuori quello che teneva dentro. Ha rinfacciato presunti tradimenti che di solito si affrontano in privato, non davanti a centinaia di persone. «Non pensiate mi faccia piacere fare la figura del cornuto, davanti a tutti voi — ha detto —. Cristina è talmente in gamba a raccontare le sue verità, che non potevo lasciare solo a lei la narrazione del motivo per cui termino la mia convivenza».  […] dopo aver dichiarato «Io le donne non le tocco neanche con un fiore» […] Il finale? Nessuna vittoria, solo tanta amarezza. E un possibile secondo tempo: una denuncia per violenza privata che Cristina Seymandi pare stia valutando.

Estratto dell’articolo di Massimiliano Nerozzi per il “Corriere della Sera” venerdì 11 agosto 2023. 

Altro che selfcontrol o bon ton sabaudo, sorride amara Cristina Seymandi adesso, quella sera era immobile perché scioccata, di fianco all’ormai ex, Massimo Segre, che la stava lasciando, rinfacciandole presunti tradimenti: «Quando ha iniziato a parlare pensavo fosse uno scherzo. Poi sono rimasta impietrita. È stato un gesto di una violenza aberrante». Per non parlare dei commenti, «sui social», con un’aggravante, sottolinea: «Parole e frasi oscene: fosse successa la stessa cosa, a parti invertite, le reazioni sarebbero state molto diverse. Invece, io sono una donna, e in questo mondo fa una bella differenza».

Signora Seymandi, come sta adesso?

«Sono stanca. Ho ricevuto decine di chiamate, per tutto il giorno, ma non ho tempo di stare a parlare: esco di casa, vado al lavoro e torno a casa. C’è un’azienda da fare andare avanti». 

Cosa ha pensato quando Massimo Segre ha iniziato a leggere quel foglietto?

«Che fosse uno scherzo, veramente. Sulle prime frasi ho pure immaginato che fosse tutto preparato, ma in ben altro senso. Ma poi, più andava avanti, più ero impietrita. Ferma ad ascoltare, di sasso: perché shoccata». 

Non le è venuto l’istinto di tirargli un ceffone?

«Non sono una persona violenta, ed ero incredula. […]».

È più delusa o arrabbiata?

«Sono basita […]. “Ti lascio la libertà” […] una frase aberrante. […] quel discorso è stato un gesto violento». 

Che cosa l’ha ferita di più?

«Guardi, ci siamo voluti bene, tanto, e vivevamo come una famiglia, a casa e sul lavoro. Io, lui e mia figlia. E invece, con quelle parole, ha fatto del male alle persone cui voglio bene. Una violenza molto pesante. Cui sono seguiti commenti allucinanti, sui social.

Anche per un motivo».

Ovvero?

«Chiedo: e se fosse successo il contrario? Penso che tutti, a partire dai social appunto, avrebbero avuto una reazione del tutto diversa. Invece, io sono una donna. E allora è tutto differente. Ma se questo può servire a fare cambiare le cose, nei confronti delle donne, faccio volentieri da capro espiatorio». 

Qualcuno sospetta che il foglio letto dal suo ex compagno fosse scritto da un avvocato: che ne pensa?

«Beh, se è così è stato pure un avvocato disattento. Di certo non sembrava neppure Massimo, in quel momento: parlava e diceva quelle cose con una freddezza innaturale e irreale».

Non era l’uomo che conosceva?

«Assolutamente. Massimo, nella vita, è uno riservato, buono, onesto. Era la persona migliore che conoscessi». […] «Ha preferito fare questo, buttare tutto in piazza, provocando tanto dolore a tutti , e non capisco il perché. Non mi sembrava in lui, come fosse stato manovrato. Le cose serie si risolvono in altro modo». 

Gli farà causa?

«Non lo so, vedremo. Leggo tante cose in giro, le più disparate […]».

Segre-Seymandi, Ritanna Armeni: «Violenza in un modo nuovo. Lui è un finanziere a cui non affiderei una lira». Francesca Angeleri su Il Corriere della Sera il 9 Agosto 2023

Il commento sulla storia del momento della giornalista e scrittrice femminista: «È stato come uno schiaffo. Un atto di grande immaturità» 

«Tutti si sono occupati di questa donna. Ma qualcuno si è chiesto che tipo di uomo sia questo qui? So che è un finanziere, io non gli affiderei una lira. Ha manifestato una tale ferocia che mi chiedo come ci si possa fidare di una persona di questo genere che mi pare capace di qualunque cosa».

Chissà se il banchiere Massimo Segre, poco prima di salire sul «palcoscenico» della sua festa di pre nozze, poteva immaginare di finire (anche se dopo parecchi giorni) sulla bocca e soprattutto sugli smartphone di tutta Italia. Ricapitolando: siamo a Torino (questo è l’unico frisson, in questa città cose così non si erano mai viste), la festa è all’aperto, l’occasione è l’annuncio (per la terza volta) delle nozze di Cristina Seymandi, ex collaboratrice di Appendino passata a Damilano, con il banchiere Massimo Segre. La storia è nota, la musica commerciale si abbassa, lui prende il microfono, ringrazia i presenti e poi lava i panni sporchi fuori casa, sfoderando gli amanti di lei, dicendo che deve recuperare il rapporto con i figli che si è logorato a causa di questo amore, sottintendendo identità dei presunti amanti. Manda all’aria tutto dicendole di andarsene in Grecia con l’«altro», tanto ha pagato lui. Della Seymandi «peccatrice» oggi avranno parlato «Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno», c’era bisogno di una voce autorevole. Abbiamo chiesto a Ritanna Armeni – giornalista e scrittrice, saggista, editorialista del Corriere, fondatrice de Il Manifesto, conduttrice televisiva, femminista – di condividere una sua riflessione.

Armeni, come tutti avrà visto il video. Che idea si è fatta di questa vicenda?

«La percezione è di uno squallore assoluto. Ma, soprattutto, di un episodio molto violento. È stato come uno schiaffo. Come dare un colpo contro una donna con la chiara volontà di fare del male. Di violenze ne abbiamo viste tante ma come questa, mai».

In riferimento alla violenza: non è mai sull’uomo che si puntano i riflettori.

«Qui ci troviamo, probabilmente, di fronte a una donna emancipata, con un lavoro che la appassiona, la sua vita, i suoi interessi. Questa non è stata la violenza classica perché non credo che una donna di questo genere sarebbe rimasta in silenzio dopo aver preso un ceffone. È una brutalità che interferisce sul suo profilo sia pubblico che privato. Un uomo che, proprio nel momento in cui lei si trova maggiormente sotto i riflettori, compie un gesto di tale scalpore, compie un atto di violenza terribile. E di grande immaturità».

Immaturità?

«È una caratteristica ricorrente in chi compie gesti violenti. Un rapporto maturo è laddove, quando ci sono dolore, sgomento, c’è la capacità di un dialogo. Spesso è da una grande immaturità che sfocia la violenza».

A colpire l’opinione pubblica è anche il ceto sociale, molto alto, dei protagonisti. Che significato ha?

«Questa non è una sorpresa. Tutte le statistiche, e non da oggi, dimostrano che le cose vanno esattamente al contrario rispetto a come siamo abituati a pensare. Le violenze sono più domestiche, accado no molto più spesso nei ceti alti che in quelli bassi, più nelle regioni del nord che in quelle del sud. Nei Paesi del Nord Europa, dati alla mano, le violenze contro le donne sono molto diffuse».

Nonostante la propagazione dei valori femministi sembri essere più collettivamente accolta, il modo in cui si sono svolti i fatti e anche la loro divulgazione porta a pensare il contrario. Lo «sposo» non pare preoccuparsi delle ricadute sul suo comportamento. In cosa non è efficace il femminismo?

«Anche per questo motivo mi colpisce molto quest’uomo. Dimostra che ci sono delle pulsioni così ataviche che, ancora oggi, vanno pervicacemente combattute. Non ho mai pensato che il femminismo avesse risolto tutto. È un processo ancora non finito, nel bene e nel male. Questa vicenda dimostra come il predominio maschile sia a livelli altissimi e raffinatissimi. Sono un’estimatrice dei progressi fatti, ma i problemi sorgono come funghi e ovunque».

Estratto da corriere.it venerdì 11 agosto 2023. 

«La vendetta e un piatto che va consumato caldo, ma tenendolo al freddo per servirlo a pieno. Molto spesso contiene il dolore e la rabbia della ferita ricevuta. La torinesità è sicuramente nello stile di questo piatto, servito con clamore, ma anche per essere dei veri killer bisogna avere classe. Qui un uomo innamorato e tradito lascia la sua donna in modo totalmente plateale, con modi educati, mesti e gentili». Così la showgirl Alba Parietti commenta la vicenda del mancato matrimonio tra due torinesi [...] 

Una carezza che però è una «pugnalata», secondo Parietti che aggiunge: «sono torinese e riconosco nello stile il falso cortese che in realtà non è falso e cortese. La falsa grazia per noi, data da quell'educazione sabauda che fa parlare a voce bassa e ferma, detesta le piazzate, ma trafigge. Non urliamo, non facciamo scenate, non facciamo feriti. Siamo torinesi. E io in questo comportamento ritrovo anche il senso dell'umorismo un po' inglese unito al gusto dandy della signorilità di chi trova una via d'uscita in un gesto eclatante da cui non si torna indietro»

Estratto dell’articolo di Teresa Cioffi per corriere.it sabato 12 agosto 2023.  

«Io una serata così non me la sarei mai immaginata. Se mi avessero detto che il dottor Segre aveva in mente di fare quello che ha fatto, sicuramente non avrei accettato l’invito. Anche perché qualcuno ha ipotizzato che i membri dello staff sapessero. Noi non sapevamo proprio niente».

A parlare è Maurizio Arena, il dj che compare vicino a Massimo Segre nel video che ha fatto il giro del web. […] Venerdì 28 luglio, ore 19: inizia la festa. Gli invitati si presentano all’evento con il loro miglior sorriso e un regalo per Cristina Seymandi (si sarebbe festeggiato il suo compleanno). […] Ci si prepara per la grande festa: allestimenti floreali, palloncini, un’ottima cena, fuochi d’artificio, taglio della torta, baci, brindisi, musica e abbracci. Poi, sotto le stelle di una serata estiva, il gelo finale.

«Mi sono trovato in una situazione surreale — racconta Arena —. Ho provato a riaccendere l’atmosfera con Bob Sinclar, l’istinto è stato quello, volevo togliere quel silenzio glaciale. Sono decenni che faccio questo mestiere, mai mi era capitata una cosa simile». Mentre l’ex compagno di Cristina Seymandi parlava di bugie e tradimenti, Chiara Iadicicco, responsabile del catering, si stava occupando della torta. «Ero lì per lavoro, ascoltavo il discorso, ma senza grande coinvolgimento. Stavo facendo altro […] Quando tutto si è concluso, il signor Segre se n’è andato immediatamente e la signora ha provato a seguirlo. Poi non li ho più visti».

[…] Qualcuno racconta di aver visto una donna piangere. «A quel punto — dice Iadicicco — ho dovuto mandare via gli invitati. Sono rimasta impietrita anche io, poi ho fatto quello che dovevo fare. Abbiamo iniziato a sbaraccare. Non sapevamo nulla, mai e poi mai avremmo immaginato tutto ciò».

Enrico Crescimanno, presidente della circoscrizione 5 di Torino, era presente. […] «All’ultima festa alla quale ho partecipato insieme a Seymandi e Segre, lui mi aveva accennato che avrebbe voluto organizzare una festa a sorpresa per il compleanno di lei — spiega —. Quello che è successo è stato uno choc. Nessuno si è permesso di fare o dire niente, tutti si sono allontanati in silenzio. Nessuno sapeva. C’era una ragazza o una signora che riprendeva il discorso con il cellulare, ma ci è sembrata una cosa normale. In ogni caso, mi è dispiaciuto molto». […]

Estratto dell’articolo di Manlio Gasparotto per il “Corriere della Sera” sabato 12 agosto 2023.  

La casa di Cristina Seymandi è in collina, una zona nobile di Torino. Quella di Massimo Segre nel quartiere Crocetta, il salotto buono della città. Qui si sono trovati i due ex fidanzati per quella che doveva essere una serata di festa […] Si è ritrovata gran parte della città che conta, come Michele Vietti, ex membro del Csm ma soprattutto attuale presidente di Finpiemonte.

Con lui la moglie, il notaio Caterina Bima e il cugino, Pier Vittorio, dottore commercialista. L’elenco è lungo, e contiene anche il nome di Enrico Crescimanno, presidente della Circoscrizione 5 di Torino, non una di quelle centrali ma una delle più popolari. Ma è un amico della (ex) coppia, uno di quelli che non si è nascosto nei giorni successivi, come invece ha fatto qualcuno, che negando — come se quella festa fosse stata un ritrovo sovversivo — e negandosi ha anticipato le vacanze e staccato il telefono.

Sul prato quella sera, bicchiere in mano, c’erano altri uomini abituati a verificare i conti e le leggi finanziarie, come Giorgio Faccenda (Cfo presso Deloitte Central Mediterranean) e l’avvocato Maurizio Bortolotto che guida uno studio legale importante e segue da anni Segre. […] Ora? Segre è a Zanzibar con i suoi tre figli, quelli del primo matrimonio. […]

Carlo Rimini, Ordinario di diritto privato Università degli Studi di Milano su Il Corriere della Sera domenica 13 agosto 2023.

Cosa pensare dell’uomo tradito che si sente umiliato e ricambia con una pubblica umiliazione, trasformando una festa in un incubo di imbarazzo per la protagonista e per i partecipanti? È la versione moderna del delitto d’onore nel quale l’onore ferito dell’uomo giustificava le peggiori nefandezze. Ma è poi una nefandezza l’umiliazione pubblica di chi ha tradito in privato? Può essere una nefandezza «restituire la libertà» pubblicamente? 

Il diritto fornisce le coordinate, le ascisse e le ordinate per orientarsi. Ebbene, è stato commesso un reato? La diffamazione consiste nell’offendere l’altrui reputazione comunicando con più persone. La comunicazione con più persone sicuramente c’è, anche nella sua dimensione social. Viene persino il sospetto che la comunicazione sia sfuggita di mano a chi aveva ideato il piano con una certa dose di perfidia. Ma è stata offesa la reputazione? Forse no.

Tuttavia, il diritto penale, per sua natura rigido, mal si adatta a sanzionare quanto è accaduto. Piuttosto è la responsabilità civile lo strumento più idoneo. Per il diritto privato, un fatto è illecito se cagiona un danno ingiusto. Si tratta allora di capire se ciò che è accaduto abbia leso la dignità di una persona: in questo caso il danno sarebbe ingiusto. Le situazioni e i gesti possono offendere più delle mani, come ben sapevano i sanniti che imposero ai romani di passare sotto i loro gioghi dopo la battaglia delle Forche Caudine.

Quei fiori bianchi sono come i gioghi dei Sanniti di Gaio Ponzio e quel prato il campo in prossimità di Caudium. Se un giudice ritenesse che la messinscena ha leso la dignità della donna potrebbe condannare l’autore a risarcire il danno. Ma quale danno? La vittima non ha subito alcun pregiudizio economico. 

Danno morale? Nel 2019 la Cassazione ha pronunciato le cosiddette sentenze di San Martino secondo le quali il risarcimento del danno morale può essere chiesto tutte le volte in cui un comportamento abbia leso un diritto protetto dalla Costituzione.

Si chiamano sentenze di San Martino perché sono state depositate l’11 novembre 2019, cioè il giorno di San Martino. Certamente la dignità di una persona è un diritto protetto dalla Costituzione. Quindi il nostro uomo tradito e vendicativo potrebbe essere condannato a risarcire il danno morale sulla base delle sentenze di San Martino, cosa questa bizzarra perché San Martino è il protettore dei cornuti. Nella logica del diritto, le parole centrali sono dignità e rispetto. E se io fossi un giudice? Un piccolo risarcimento simbolico lo prevederei. Ma, per fortuna, non lo sono. Certamente però, se fossi in lei, non farei causa. Vorrebbe dire prolungare l’agonia di quei fiori bianchi. La vita va avanti, non ne vale la pena.

Cristina Seymandi, la lettera di risposta a Massimo Segre: «L'anello è sparito, una vendetta programmata in anticipo. Sono stata umiliata». Cristina Seymandi su Il Corriere della Sera mercoledì 16 agosto 2023.

«L'anello di fidanzamento appartenuto alla mamma? Vi ero affezionatissima ma è misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima della famigerata festa di compleanno» 

Cristina Seymandi risponde con la lettera che segue a Massimo Segre, ex compagno, che il 15 agosto su La Stampa ha difeso la propria decisione di rompere pubblicamente il fidanzamento durante la festa pre-matrimoniale a Torino: «Non ti sposo più perché mi hai tradito». Gesto che immortalato in un video poi diffuso online ha scatenato nei giorni successivi un putiferio mediatico.

Rompo il mio riserbo, dopo giornate di disagio che mi hanno molto provata.

Ieri mattina (il 15 agosto, ndr) ho potuto leggere una lettera di Massimo Segre rivolta al direttore di un quotidiano, dove, per l’ennesima volta, la mia vita e il nostro comune percorso insieme erano messe in evidenza a tutta pagina, sulla cronaca nazionale, mescolate, nell’articolo, con la pubblicità per le future iniziative imprenditoriali delle aziende del mio ex compagno (iniziative alle quali peraltro lavoravamo insieme da anni).

Massimo, in quella grande, disorientante, pagina di giornale parla molto di sé stesso: sostiene che «non vi è violenza nell’affermare la verità pubblicamente», riferendosi alla decisione - quella di mettere in piazza il nostro privato - che forse ha preso, quella sera del 27 luglio, convinto dai discorsi di chi - accanto a lui - non ha mai voluto la nostra felicità, ma ha solo desiderato «distruggere». 

Parla, Massimo - forse con l’intento di attirarsi le simpatie di qualcuno – dell’«anello di fidanzamento di proprietà di sua mamma», il nostro anello fidanzamento, di cui non perde l’occasione di sottolineare il valore materiale specificandone le caratteristiche, anello al quale ero affezionatissima come ad una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c’è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo. 

Massimo scrive, infine, che «l’amore dovrebbe essere una splendida esclusiva», affermazione che mi stupisce sentir pronunciare proprio da lui… ma sulla quale preferisco non soffermarmi, perché, a differenza di Massimo, io non sento di avere alcun diritto di erigermi nel contempo a giudice e boia degli eventuali errori delle persone con le quali percorro un pezzo di vita, che siano compagni, familiari o amici, emettendo un giudizio definitivo e applicando anche la massima pena, senza peraltro neppure un minimo di contradditorio.

Ebbene, se i mass-media si aspettavano mie risposte piccate, repliche inacidite o addirittura vendette, così da alimentare il gossip estivo un’uscita dopo l’altra, saranno stati delusi: le parole chiave per me sono state, nell’immediato, «sconcerto» e «incredulità», e, successivamente, «delusione», «amarezza», «dolore».

Il motivo per il quale ho deciso di scrivere, tuttavia, è un altro, in quanto checché ne pensi il Signor Segre, non ritengo che le nostre miserabili storie di persone qualunque, travolte da un fatto che - complice il clima agostano - ha fatto parlare non solo tutta Italia, ma è apparso anche sulle cronache in Francia, Germania, Brasile e via discorrendo, siano davvero di interesse per i nostri concittadini, che forse hanno ben altri e seri problemi ai quali dedicare la loro attenzione.

Scrivo ora per rivolgere un appello non a Massimo Segre, ma a tutti gli uomini e donne che in futuro si troveranno nella situazione di poter decidere se divulgare o no fatti privati di una persona, per vendetta, per voglia di riscatto o per «dare la propria versione dei fatti», ponendo però inevitabilmente l’altro in una condizione di inferiorità, di umiliazione e di dover patire una violenza psicologica.

In questi giorni di enorme pressione, da donna emotivamente risolta e professionalmente affermata, mi sono trovata in molte occasioni, durante le lunghe giornate nelle quali ho cercato di ritrovare equilibrio, e anche nelle notti passate insonni, a pormi un’insistente domanda: ma se tutto ciò fosse invece capitato a una ragazza o ragazzo di 20 anni, a una giovane donna o uomo per mille motivi più fragile di me, cosa sarebbe successo…? Al netto della retorica del “cavaliere senza paura che prende la parola in pubblico per riportare giustizia”, quale sarebbe stato l’impatto sulla vittima destinataria della gogna mediatica? 

Sono tanti i messaggi di grande solidarietà e stima che ho ricevuto da amici e colleghi, e sui Social anche da parte di persone che neppure conoscevo, ma ci sono stati anche i messaggi violenti, tipici di quella mascolinità tossica che ancora pervade la nostra società: minacce, insulti, epiteti di ogni genere, offese, umiliazioni. E non sono mancate aspre critiche anche da parte di donne. Non voglio drammatizzare, ma le cronache ci raccontano di persone in difficoltà che in situazioni di questo genere possono arrivare a gesti di autolesionismo o, nei casi peggiori, a togliersi la vita, non riuscendo a reagire a una umiliazione e diffamazione pubblica sui mass-media e tramite Social e web.

Il signor Segre pone sé stesso al centro di tutta la narrazione: la sua necessità di prendere parola, le sue vere o presunte difficoltà nel forzarsi a farlo (e faccio fatica a pensarlo, visto che tutto è parso meticolosamente organizzato…), i suoi «valori», le sue aziende, il suo pensiero… proseguendo con una lunga lista di «aggettivi possessivi al maschile singolare».

Io, sommessamente, vorrei invece allargare lo sguardo, a ciò che il mio ex compagno probabilmente, complice l’ego, non vede: chi sta attorno a noi, il destinatario dello sfogo, chi patisce, soffre, non comprende il perché di tanta umiliazione in pubblico e sul web, e alle persone a quest’ultimo collegate, come i figli, che necessariamente ne patiranno le conseguenze.

Soprattutto, la consapevolezza che se c’è una cosa, tra le tante, che questa vicenda ci insegna, allora è proprio questa: che la vendetta fine a sé stessa è una pessima consigliera.

Poniamoci domande su chi è «cosa altra» rispetto a noi, e sull’effetto che le nostre piccole e grandi decisioni quotidiane, troppo spesso centrate sul nostro egoismo e sul desiderio di rivalsa, possono generare su altri esseri umani, e sulle «macerie» che possono essere create - in misura a volte molto più pesante rispetto alle nostre stesse aspettative - dal «togliersi un sassolino dalla scarpa». Sosteniamo pubblicamente ogni

giorno il valore del dialogo e del confronto: poi però inneggiamo alla «vendetta perfetta».

Ho letto online commenti quali «è un signore, è un idolo!», e mi chiedo: se fosse capitato a voi, a vostra figlia o figlio, direste le stesse cose?

Con un’ingenuità disarmante, crediamo alle parole di chi parla con tono pacato e camicia bianca elegante, senza conoscere nulla del suo passato, e per contro condanniamo per stereotipo il fatto che una donna più giovane stia con un uomo più maturo, presumendo lo faccia solo per interesse.

Inoltre, se questa storia non avesse avuto i Social a contorno, si sarebbe

consumata tutta in un banale chiacchiericcio cittadino: quanto accaduto sottolinea allora, una volta di più, l’impatto di questi strumenti, e la necessità di una regolamentazione più seria, come il saggio richiamo del Garante della Privacy, l’altroieri, ci ha giustamente ricordato.

Concludo dicendo che, dal canto mio, sono convinta di aver dato il massimo in questa relazione, e mi spiace molto, sinceramente, per il disagio che posso aver creato a Massimo Segre, se – come lui sostiene – non sono stata all’altezza delle sue aspettative come compagna, ma nel merito di questa triste vicenda – anche considerato il fatto di non aver avuto, per sua scelta, nessuna possibilità di confronto con lui, l’uomo con cui condividevo la mia quotidianità da 3 anni - non penso di aver altro da aggiungere.

Estratto dell'articolo di Simona Lorenzetti per il “Corriere della Sera” mercoledì 23 agosto 2023.

«Ok, va bene» scrive Massimo Segre pochi istanti dopo aver ricevuto sul proprio smartphone la quietanza che attestava il trasferimento di 680 mila euro dal conto che aveva in comune con la fidanzata Cristina Seymandi a quello privato della donna. Lo screenshot di questa sintetica comunicazione è agli atti del procedimento civile innescato dal bancario torinese che, all’indomani del plateale annuncio della fine della relazione con l’ex collaboratrice di Chiara Appendino, ha chiesto al Tribunale di congelare d’urgenza il conto di Seymandi e la restituzione della somma. 

Eccole le schermaglie giudiziarie che raccontano la fine dell’amore tra i due. Il primo atto di questa querelle legale si celebra in un’anonima aula del Tribunale di Torino, uno scenario ben diverso dalla villa in collina dove si è svolto il party in cui Segre ha annunciato l’annullamento delle nozze.

(...)  Nel fascicolo ci sarebbero anche mail e messaggi della coppia in cui si parla del giroconto prima e dopo la sua esecuzione. 

Compresa la chat in questione. Un carteggio che gli avvocati di Segre, Giovanni Ferrari e Daniele Zaniolo, visionano per pochi minuti per poi chiedere un rinvio (concesso al 5 settembre). «Mai è stato sostenuto che il bonifico fosse stato eseguito clandestinamente da Seymandi, ma si trattava di un trasferimento temporaneo — spiega il pool legale del banchiere —. Una volta cessata tale esigenza, Segre ha effettuato specifiche richieste di restituzione che sono state disattese.

Quest’ultima circostanza, che può essere assolutamente giustificata in una dinamica di coppia, non risulta più accettabile nel momento in cui è terminata la relazione affettiva». Ma c’è di più. Gli avvocati annunciano di aver ricevuto mandato per richiedere «il risarcimento del danno reputazionale» a Seymandi per le allusioni sulle presunte relazioni sentimentali e sulla sparizione dell’anello di fidanzamento, «certamente non attribuibile a Segre». 

Estratto dell'articolo di Lodovico Poletto per “La Stampa” mercoledì 23 agosto 2023.  

Sui soldi deciderà il tribunale. Settecentomila euro sono tanti, è vero, ma sono il meno in questa storia. Che - come ha detto proprio ieri Vittorio Sgarbi - ha spunti di natura letteraria, fin operistica: che unisce amore e tradimento, passa attraverso Otello e La Traviata. In un tourbillon di dettagli che portano ben oltre l'annuncio pubblico della fine di una relazione d'amore, fatto a sorpresa durante una festa.

(...)

Quell'anello «sparito guarda caso da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata», ha detto lei. «Assolutamente no» sostengono tra le righe gli avvocati del banchiere. Che chiedono una smentita ufficiale a Cristina Seymandi. Perché di mezzo, stavolta, c'è «la reputazione» dell'uomo d'affari, che ha un blasone per cui combattere. La verità per la verità. 

I legali annunciano «di aver ricevuto mandato per valutare la possibilità di richiedere il risarcimento del danno reputazionale connesso alle affermazioni della Seymandi». Ribadiscono che andranno avanti su questa strada a meno che lei non smentisca pubblicamente e in tempi brevi. Che cosa? La storia dell'anello - Ça va sans dire - ma anche qualcosa di più, e che ferisce un'altra volta il banchiere.

Ovvero la frase di Seymandi riportata dai media nei giorni successivi alla festa. E relativa a presunti tradimenti di lui nei suoi confronti: «Da che pulpito viene la predica». Ecco, è esattamente su questo che Massimo Segre mette in piazza se stesso un'altra volta. E non è soltanto quel passaggio in cui dice (in sintesi) «Non sono stato fedifrago», è tutto il resto che conta. L'uomo d'affari che aveva legato la futura sposa al suo business, alla sua vita professionale si straccia la camicia e offre il petto ai cecchini svelando uno scampolo del suo privato «precedente» per dimostrare la buonafede e l'amore verso Cristina.

Forse è meglio leggere la frase dei suoi avvocati per capire quanto deve essere costato ammettere ciò che segue: «Massimo Segre non è mai venuto meno al vincolo di fedeltà durante la relazione con la signora Seymandi. Ben diverso - rispetto a una relazione matrimoniale non ancora iniziata - è il caso di una relazione extraconiugale avuta da Segre - durante la parte finale del suo precedente matrimonio - che è terminata ben prima di intraprendere la relazione sentimentale con Cristina».(...)

Estratto dell’articolo di Simona Lorenzetti per il “Corriere della Sera” giovedì 24 agosto 2023

[…]  Nuove vendette paiono aver caratterizzato l’addio (già) al vetriolo tra i due, con il video in cui lui la accusava di tradimenti ripetuti invece di annunciare il loro matrimonio. «Da quella serata non mi è stato più permesso di entrare nella casa dove risiedevo con Massimo, ho dovuto far intervenire la polizia per accompagnarmi e recuperare i miei effetti personali» racconta Seymandi, che ieri sera ha inviato un lungo messaggio alla trasmissione Mediaset «Zona Bianca». 

La volontà è mettere i puntini sulle «i», su alcune affermazioni pronunciate in precedenza e rispondere ancora una volta all’ex. Meno di 48 ore fa, infatti, il banchiere ha annunciato di aver dato mandato ai propri legali di valutare una richiesta di risarcimento nei suoi confronti per «danno reputazionale», a causa delle allusioni su presunte relazioni sentimentali del manager durante il loro legame e sulla sparizione dell’anello di fidanzamento.

Lei non fa certo marcia indietro. Il gioiello di famiglia sparito è un cruccio. Rivendica che la schiettezza non le manca e afferma: «Se avessi voluto accusare Massimo di essersi appropriato dell’anello lo avrei detto platealmente. Sono stata chiara: quell’anello è sparito 15 giorni prima di quella maledetta serata del 27 luglio (il cui video è poi finito sui social, ndr ), ed è vero: non l’ho perso né preso io. 

Qualcuno deve averlo preso, questo è certo». E rivela di aver dovuto «chiamare la polizia» per recuperare i propri effetti personali. Poi il monologo della manager si sposta sul capitolo «tradimenti»: «Massimo mi confidò di aver commesso anche lui degli errori nelle sue precedenti relazioni. Gli domando: avrebbe gradito se le sue compagne gli avessero riservato lo stesso identico trattamento che lui ha riservato a me? Quali che siano stati i miei errori — veri o presunti — nella vita di coppia, mi sarei aspettata non un’umiliante messa in scena ma un confronto schietto: le nostre strade avrebbero potuto eventualmente dividersi senza causare tutto questo dolore». E poi c’è la storia del bonifico, ora al centro di una causa civile: anche quella avrebbe potuto essere trattata diversamente.

«Non è vero — insiste l’imprenditrice — che mi avrebbe richiesto la restituzione della somma: questa circostanza non è provabile in giudizio, molto semplicemente perché non è mai accaduta». E aggiunge: «Ho appreso della vertenza dopo il sequestro di uno dei miei conti correnti, dove peraltro la somma giace nella sua interezza». Infine: «In modo violento sono spettatrice della mia stessa vita. Avrei fatto a meno di questa centrifuga».

Da corriere.it giovedì 24 agosto 2023

Pubblichiamo la lettera di Cristina Seymandi che apporta alcune precisazioni alle ultime vicende sulla rottura del fidanzamento con Massimo Segre con relativa diffusione del video (ora depositato in tribunale). In particolare, sui 700 mila euro che sarebbero stati prelevati dal  conto comune e sulla sua azienda. 

Sono state dette molte cose nelle ultime settimane, spesso imprecise, anche a causa del passaggio di bocca in bocca di informazioni in ambienti giornalistici frettolosi e caotici; queste affermazioni hanno generato alcuni equivoci. 

Tra queste cose, c’è una presunta telefonata di Pier Silvio Berlusconi che mi avrebbe personalmente chiamato per invitarmi a partecipare al Grande Fratello Vip: sorrido ma non spendo parole, sarei molto lusingata da una chiamata diretta da parte dell’amministratore delegato di Mediaset, ma posso garantire che essa non è mai avvenuta.

La campagna di disinformazione e delegittimazione messa in campo contro di me è arrivata a coinvolgere anche l’azienda delle quale sono azionista di maggioranza, la Savio, una importante azienda piemontese leader nel suo settore, con 134 anni di storia e 150 validi dipendenti, con i quali mi scuso sinceramente: Savio è un’azienda finanziariamente sana, e con commesse tali da garantirne la piena sopravvivenza anche dopo l’epocale “litigio” Segre/Seymandi, che ha tenuto impegnati i mass-media nelle ultime settimane. 

Mi spiace se qualche dipendente dell’azienda si è preoccupato negli ultimi giorni, ma nuovamente non è dipeso da me, e comunque non vi è appunto alcun motivo di preoccupazione.

Sul famoso anello di fidanzamento: c’è chi ha «letto» nelle mie parole un’accusa a Massimo Segre di averlo ripreso in sua disponibilità. Ma tra i tanti difetti che ho non c’è la mancanza di schiettezza, e se avessi voluto accusare Massimo di essersi appropriato dell’anello lo avrei detto platealmente. 

Sono stata chiara: quell’anello è sparito 15 giorni prima di quella maledetta serata del 27 luglio, ed è vero; non l’ho perso né preso io, ed è vero (anche perché da quella serata non mi è stato più permesso di entrare nella casa dove risiedevo con Massimo, e ho dovuto far intervenire la Polizia per accompagnarmi e permettermi di recuperare i miei effetti personali); quindi, qualcuno deve averlo preso, questo è certo. Ciò detto, chi se ne appropriato – danneggiando sia me, perché tenevo molto a quell’oggetto, che Massimo, perché per lui era un caro ricordo di famiglia - farà i conti con la propria coscienza.

La mia affermazione «da che pulpito viene la predica», riferita ai tradimenti - veri o presunti - di Massimo nel passato, è un altro tema che ha tenuto molto impegnati i cronisti: io non ho prove che Massimo mi abbia tradito, tuttavia confermo che Massimo mi confidò di aver commesso anche lui degli errori nelle sue precedenti relazioni di coppia. 

Mi domando allora, anzi, domando a lui: avrebbe lui gradito se le sue compagne gli avessero riservato lo stesso identico trattamento che lui ha riservato a me…? Massimo dovrebbe aver ben chiaro il significato della frase tratta dal Vangelo secondo Giovanni «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». 

Quali che siano stati i miei errori – veri o presunti – nella mia vita di coppia, mi sarei aspettata non un’umiliante messa in scena come quella alla quale sono stata costretta ad assistere in quella afosa sera di fine luglio, quanto piuttosto un confronto schietto e diretto all’interno della nostra coppia. Le nozze non erano ancora state celebrate, anche in caso di insanabili divergenze le nostre strade avrebbero potuto eventualmente dividersi senza causare tutto questo dolore. Come ho già avuto modo di dire, io non mi ritengo giudice e boia di nessuno, e non posso applaudire chi esamina un caso, emette una sentenza e la esegue in pubblico, senza neppure un tentativo di contraddittorio e senza lasciare spazio a un confronto e a delle spiegazioni.

Altro tema: i mass-media hanno scritto che io mi sarei appropriata di 700.000 euro di proprietà di Massimo, senza che lui fosse al corrente. Nuovamente una clamorosa bufala, inventata da chi “sussurra” all’orecchio dei giornali con lo scopo di mettere zizzania e gettare benzina su un fuoco già abbastanza acceso e bollente. Quel trasferimento di denaro era vecchio di 5 mesi, molto precedente quindi alla nostra separazione, resa eclatante dalla scelta di Massimo di celebrarla in pubblico, ed era un trasferimento di denaro espressamente autorizzato da Massimo stesso, rientrante in movimenti di carattere patrimoniale all’interno della nostra coppia, legata come tutti ormai sapere sapete sia sotto il profilo affettivo che sotto quello imprenditoriale. Ora Massimo ha cambiato idea e li vuole indietro? Ne stiamo discutendo in Tribunale in questi giorni, ma – nuovamente – non per mio volere, perché una volta di più è stato Massimo a ritenere opportuno – forse nuovamente mal consigliato – di citarmi in Tribunale per questo, quando forse anche questo aspetto patrimoniale avrebbe potuto essere discusso con altri toni e in altre sedi.

In buona sostanza,  nell’ultimo mese sono stata trasformata in modo piuttosto violento in spettatrice della mia stessa vita: c’è di fa cose, c’è chi dice cose, c’è chi urla cose, c’è chi afferma con granitica certezza cose… ed io non posso che ascoltare, prendere nota, e pazientemente smentire, correggere, rettificare, tutte attività che mi stanno tenendo impegnata quasi a tempo pieno anche durante la mia vacanza, nella quale avrei solo voluto dedicarmi anima e cuore a mia figlia, incolpevole vittima di tutto questo baccano.

Da Il Corriere del Giorno.

Matrimonio Torino, doccia fredda per Segre: arriva un’ inchiesta della Procura. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'11 Agosto 2023 

Il protagonista del video sulla rottura del fidanzamento a sorpresa finisce nel mirino di Bankitalia: la società di trading avrebbe intermediato credito tra istituti senza esserne autorizzata

La vicenda del matrimonio mancato tra due personaggi molto in vista di Torino è ormai la telenovela dell’estate. Il video da giorni circola su tutti gli smartphone ed i socialnetwork dove gli utenti sono già divisi in tifoserie. Il manager e banchiere Massimo Segre , al termine di una festa inizialmente organizzato per annunciare le sue nozze ha accusato la compagna, Cristina Seymandi, di diversi tradimenti, annunciando la fine della storia d’amore ma non della collaborazione lavorativa. Adesso però per Segre potrebbero esserci delle conseguenze legali: la Seymandi valuta l’opportunità di presentare una denuncia, ed anche le persone indicati come presunti amanti potrebbero a loro volta intraprendere azioni legali. 

Ma un guaio serio arriva per Massimo Segre da una inchiesta di cui parla l’edizione torinese di Repubblica di oggi venerdì 11 agosto. “Coinvolge lui, come presidente, insieme a un altro importante amministratore della Directa Sim, la società di intermediazione mobiliare” che si definisce “pioniera del trading online in Italia e uno dei primi broker al mondo”. 

Secondo quanto riportato dal quotidiano “l’accusa della procura è duplice, abusivismo bancario e finanziario: a giugno gli uomini della guardia di Finanza (nucleo di polizia valutaria di Roma) hanno effettuato un perquisizione che ha reso note le contestazioni agli indagati, otto in tutto”. L’indagine condotta dal pm Mario Bendoni sarebbe relativa all’attività della società Directa Sim tra il 2019 e il 2022 in cui, secondo l’ipotesi di reato, si sarebbe comportata da banca. “Directa, nonostante un parere firmato dal professor Carbonetti, ha deciso di cessare l’attività oggetto di contestazione – che non impatta in alcun modo sulla clientela retail – per massimo rispetto della magistratura inquirente. Siamo certi che riusciremo a dimostrare la correttezza dell’operato della società e l’estraneità ai fatti contestati al suo presidente che risulta coinvolto in qualità di mero responsabile legale e che non è stato oggetto di perquisizione. Dalla decisione assunta dalla società non sono previsti significativi impatti sui risultati economici sia per l’anno 2023 sia per il 2024“, commentano i legali dell’azienda.

L’accusa della procura è abbastanza pesante, abusivismo bancario e finanziario: lo scorso giugno gli uomini del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Roma hanno effettuato un perquisizione che ha reso note le contestazioni agli indagati, otto in tutto. Che qualcosa di anomalo fosse presente nell’attività di Directa Sim era già emerso con un’ispezione della Banca d’Italia, tra marzo e maggio 2021, che il 5 aprile 2022 aveva poi punito la società con una sanzione da 30 mila euro: erano state accertate “violazioni di obblighi in materia di deposito e subdeposito dei beni dei clienti e di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione”.

Redazione CdG 1947

Da Panorama.

Segre vs Seymandi; la rivincita del «cornuto». La Rubrica - Lessico Familiare di Daniela Missaglia su Panorama il 12 Agosto 2023

Il Dott. Massimiliano Segre deve essere stato un cultore della saga cinematografica Il Trono di Spade, essendosi verosimilmente ispirato all’episodio cult delle Nozze Rosse dove Lord Walder Frey, in occasione di un banchetto nuziale, pianificava la propria vendetta contro casa Stark, assassinando il re, sua madre e la maggior parte degli invitati che, verosimilmente posticipando la vacanza estiva, nulla avevano sospettato della trappola ordita dall’amico per lavare con il sangue un’onta passata. La vendetta come un piatto da consumare freddo, come Uma Thurman nel capolavoro pulp Kill Bill: ma qui non ci sono esecuzioni, non c’è eroismo, solo una gigantesca carognata in salsa social che squalifica il suo autore e genera solidarietà per la vittima, quale che sia la sua colpa vera o presunta. L’aver organizzato, scegliendo con perfidia persino la data (il 27 luglio, giorno del compleanno della futura sposa), un esclusivo party per annunciare, davanti ad un parterre di ospiti selezionati, le imminenti nozze con la sua ‘amata’ e consegnare le partecipazioni, è solo l’antefatto. Il protagonista è quel discorso a lungo preparato, scegliendo con perversa cura la sequenza degli argomenti e dei vocaboli, così da far credere agli astanti che si trattasse di un’oratoria d’amore, un’epifania di sentimenti ed emozioni svelate alla platea di amici e colleghi, pronta a spellarsi le mani per elargire le congratulazioni del caso. E invece il coltello stava nascosto nell’ombra, affilato, intinto nel cianuro- o piuttosto in un altro tipo di sostanza maleodorante- maneggiato con crudele sapienza nel momento in cui il Dott. Massimiliano Segre, imprenditore, commercialista e banchiere, ha svelato i presunti tradimenti della ‘sua’ Cristina Seymandi, collaboratrice e compagna da anni, figlia di un noto commercialista torinese, con un passato in politica. Cristina era proprio accanto a lui quando questi ha annunciato di volerle fare il regalo più grande, quello di essere libera, libera di amare il suo avvocato, di andare con lui a Mykonos in un viaggio già pagato, esponendola al pubblico ludibrio. Ed è così che la festa, in stile algido sabaudo, precipita in un clima cafone, evocando la trama del film “ Amici miei” dove il conte Raffaello Mascetti, nobile decaduto, e Guido Necchi gestiscono le corna dell’uno e dell’altro insieme ad altri simpaticissimi sodali. A Torino, però, non vi è stata nemmeno la leggerezza dell’ilarità. Semmai una cupa sensazione di bullismo, avanposto del cyberbullismo che poi si è scatenato nei giorni seguenti. La donna è rimasta impietrita dallo shock, mentre il vendicatore sciorinava accuse e frasi sgradevoli su di lei che non risparmiavano i suoi affetti più cari, la madre, la figlia, spargendo sale – o ancora una diversa sostanza maleodorante - sulla sua dignità di donna, madre e figlia. Tutt’intorno, il silenzio degli amici sbigottiti. I social hanno completato l’opera, il video è diventato virale e questo è stato l’ultimo tassello di questa spietata vendetta, pianificata dal Dott. Segre per massimizzare i danni alla compagna e recepire solidarietà umana. Errore fatale: non c’è e non ci può essere comprensione e sostegno per cotanta cattiveria, solo condanna e disdoro. E speriamo che il party – vendetta non diventi tendenza per quegli uomini apparentemente miti ma che, se lesi nel loro orgoglio, non esitano a trasformarsi in bulli cafoni, asfaltando dignità e diritti altrui.

Le corna, spiace dirlo, sono fatti privati. Al più sono fatti rilevanti per un procedimento di separazione o risarcimento danni ma, in questo caso, sarebbero state sufficienti per dirsi “ questo matrimonio non s’ha da fare”. La solidarietà va tutta alla Dott.ssa Seymandi, il cui sputtanamento urbi et orbi ha sortito l’effetto opposto, quello di provocare il sostegno di tutte le donne, e di gran parte degli uomini. Cristina, sono con te e ora è il tuo turno: colpiscilo con la strategia opposta, il compatimento, il disprezzo, l’indifferenza valutando anche la diffamazione subita e la violazione della privacy. Lascia che a parlare sia il tuo avvocato, qualunque rapporto tu abbia con lui, perché quello che ti ha fatto questo bullo - pettegolo va ben oltre la legittima difesa – non c’è proporzione alcuna - e sfocia nella diffamazione più bieca. Alla fine di questa storia rimarrà solo un cornuto (è lui che lo ammette per primo) e nulla più.

Estratto dell'articolo di Terry Marocco per “Panorama” lunedì 28 agosto 2023

Signora mia, non ci sono più le corna di una volta. Non si può che sancire questo, davanti a quello che è stato l'evento dell'estate. Ossia la dichiarazione davanti al mondo intero (reale e virtuale) del commercialista torinese Massimo Segre di essere un magnifico cornuto (un'interpretazione che non fa rimpiangere Ugo Tognazzi) e, come tale, magnanimo nel regalare la libertà di amare alla fedifraga fidanzata, la (forse) bionda Cristina Seymandi. 

[…]  Ormai la nostra è una società trasparente fino al torbido, abbiamo in tasca un computer chiamato erroneamente telefonino. Ogni invenzione è bilama, abbiamo voluto la bicicletta, essere sempre connessi, e adesso pedaliamo riflette Roberto D'Agostino, il deus ex machina del sito Dagospia, il primo a riprendere la notizia di Torino Cronaca e a capire la potenza deflagrante delle corna del massacro. Al confronto Carnage di Yasmina Reza è robetta.

Oggi dividere il bene dal male non è così facile, anzi è un'impresa inutile continua Dago. La città italiana più difficile da decifrare, appartata, misteriosa, elegante, discreta, severa e a tratti ironica, è rimasta basita. Dopo un primo momento di smarrimento, il pettegolezzo nell'agosto più piatto che si ricordi (e questo ahimè Segre non lo aveva calcolato) parte al galoppo. 

[…] C'è chi confessa orgoglioso di aver visto il filmato prima che uscisse sui media, mentre invitati-Giuda negano di essere mai stati a quella festa. E poi si sa, i torinesi nel dubbio dichiarano sempre di non conoscere nessuno. Noi non siamo così è il mantra. […] Si soppesano la ferocia di lui, che in un attimo trasforma il tragico greco nel grottesco di Divorzio all'italiana, e le presunte infedeltà di lei, che nella piazza virtuale sono passate da tre a un numero imprecisato e cospicuo. Non è la Vergine britanna, piuttosto un'eroina di una canzone di Riccardo Cocciante.

L'avvocato Maurizio Bortolotto, colui che avrebbe preso il posto del futuro sposo nel talamo di Mykonos (tanto era tutto pagato), viene più volte googlato e apprezzato in doppiopetto e occhiale tondo scuro, che ricorda quel cattivone di Edward Norton. Si passano al microscopio gli affari di entrambi, mentre le compagne dei presunti amanti diventano erinni implacabili. Eppure, dopo aver rosicchiato ogni osso lanciato dal web, Torino si è chiusa nel consueto riserbo, ritrovando la sua calma aristocratica nel ripetere: Tutto questo non è affatto sabaudo. 

Appartiene a un demimonde, a un ambiente di grimpeuse, un sottobosco che cerca nei consueti simboli, dalla villa in collina all'appartamento alla Crocetta, quell'educazione piemontese all'understatement, che qui pare evaporata. Entrambi hanno sovvertito la regola aurea della città, abituata ad assorbire ogni peccato in un silenzio che tutto perdona. Come scrissero Fruttero& Lucentini nello straordinario La donna della domenica:

[…] 

Di strade uguali, palazzi dai cortili curati, servitù più snob dei protagonisti di questa squallida storia. Certo non è il cinismo romano di chi è abituato a veder la Storia passare, ma è la perfidia della corte. E a Torino una corte c'è stata. Ogni giugno si ritrovava sul prato. Ossia a Villar Perosa, al ricevimento che gli Agnelli davano per i loro amici. Lì si andava solo con le consorti. Perché a Torino le corna, anzi i cesti di corna, ci sono sempre stati. Solo che venivano gestiti con grazia. 

A cominciare dall'Avvocato, di cui nessuno vide mai una foto con un'altra donna che non fosse la bellissima Donna Marella. E così il manager più potente della città ai pranzi importanti non portava l'amante dalla fulva chioma, ma la moglie dalla sottile sigaretta sempre accesa.

Le donne sapevano essere scandalosamente chic. C'erano marchese che tenevano in salotto, tra le chinoiserie del grande antiquario Pietro Accorsi, il marito e l'amante, ben felici di stare sullo stesso divano. Non erano mezze calze, ma corrotte e viziose, colte e potenti donne. Scambi, intrecci, relazioni che tutti conoscevano. 

Quante come Anna Carla Dosio, la protagonista del citato romanzo, raffinate, annoiate, senza alcuna particolare capacità se non portare avanti una recita ipocrita, hanno passato la vita a fare finta di niente. O a dire: Oh mi pòvra dòna, ho i miei doveri, ossia preparare le valige per le vacanze. Continua il re del gossip (come lo ha incoronato il New York Times): Le corna, tutti le abbiamo fatte e tutti ce le siamo beccati. Ma davanti a un tradimento, che è la negazione sessuale della persona, chiunque può perdere la ragione.

Essere raziocinante è molto difficile. Se tu sai che il tuo compagno va a letto con un'altra persona significa che ti ha negato sessualmente. E allora entra in campo Sigmund Freud. Una volta c'era il delitto d'onore, le lettere anonime, le sceneggiate. Oggi ci sono i mezzi di rivincita, il cosiddetto revenge porn, che i social ti permettono. Posti un video e a quel punto la piazza diventa quella elettronica. 

Solo che noi siamo abituati ad aspettarci queste storie dal mondo dello spettacolo, dove vige il metodo dell'auto-pubblicità. Da Ilary e Totti a Bonolis e Bruganelli. Questa volta ci siamo trovati davanti a un'altra classe sociale, che pensavamo avesse quell'ipocrisia, che poi è una forma di educazione. Ossia che i panni sporchi si lavano in casa. 

E invece ecco lo sputtanamento, olè. Buzzurri, cafoni, alla fine si è smesso di parteggiare per l'uno o l'altro. Tutto è diventato una melma fangosa. E ben presto ha raggiunto le supreme vette della noia.

Ora, come diceva il Conte zio, bisogna sopire, troncare. In quella festa di fine luglio il demone torinese si è rovesciato, ribellato, inghiottendo il suo codice. In un certo senso questa è stata la vendetta più plateale: sovvertire l'ordine costituito. Ma chi è nato a Torino sa bene che quando le prime foglie cadranno lungo Corso Matteotti tutto verrà dimenticato. Anche se per i prossimi 10 anni quando lui o lei si alzeranno da un tavolo, ci sarà un attimo di silenzio e poi qualcuno dirà: Ma tu lo sai chi è.... Perché come disse Giorgio de Chirico, Torino è la città più profonda, più enigmatica, più inquietante non d'Italia, ma del mondo. E anche la più crudele.

Da Il Tempo.

Matrimonio a monte, Selvaggia Lucarelli a valanga su Segre: "Boomer narciso". Il Tempo il 10 agosto 2023

Sono saltate le nozze tra Massimo Segre e Cristina Seymandi. La vicenda di queste due figure di spicco della Torino bene tiene banco in rete e sui social, dove rimbalza il video dell'accaduto. Cosa è successo? Il commercialista, finanziere e banchiere vicino a Carlo De Benedetti, in occasione della festa in cui insieme alla futura sposa, collaboratrice dell'ex sindaca Appendino passata poi con Paolo Damilano, avrebbe dovuto annunciare il matrimonio, ha preso il microfono e rinfacciato alla compagna le storie avute con altri uomini durante la loro convivenza. La vicenda è adesso stata commentata da Selvaggia Lucarelli. 

Con un post pubblicato su Facebook e su Instagram, Lucarelli si è inserita in questa storia fuori dal comune. "Sono in Colombia e ho visto solo ieri sera questo video. Non ci potevo credere. Non potevo credere neanche ai commenti che leggevo, anche di alcune persone amiche, che "bravo" "campione" "grande". Io non so in che mondo viviate voi, ma temo che ormai l'idea che tutto vada esibito in pubblico, dalle proposte di matrimonio alle ecografie dei figli alle vendette sentimentali vi abbia preso un po' la mano", ha scritto la giornalista.

Per Lucarelli, Segre è un "boomer passivo aggressivo" che "si è scritto il suo fogliettino giorni prima continuando a organizzare la festa di annuncio nozze con la freddezza del serial killer". Quindi la giornalista ha stroncato l'idea di vendicarsi in pubblico e di mercificare un momento che dovrebbe rimanere privato: "Non poteva lasciarla come si fa in un mondo civile in cui i problemi personali, anche i più drammatici, si risolvono in privato. No, doveva prendersi la scena. Doveva umiliarla davanti a tutti perché lui è stato umiliato e merita un risarcimento pubblico. Un risarcimento che si nutre della distruzione della reputazione di lei con tanto di frasette che trasudavano finta benevolenza".

E ancora: "E poi l'ultima concessione paternalistica e cioè: se vuoi poi vedrò come farti lavorare ancora con me. Della serie: io maschio potrei anche concederti questo, dall'alto della mia posizione e della mia benevolenza. A voi che applaudite ricordo una cosa: questa roba è violenza. Lo è nella maniera più subdola perché mascherata da slancio d'orgoglio dell'uomo ferito". Quindi l'ultimo affondo: "Questo però è tutto tranne un uomo ferito. Non agisce da uomo ferito. È un narciso pieno di sè che ha pianificato una vendetta con lucidità e umilia lei per riparare non un dolore ma una ferita narcisistica. E infatti la riparazione avviene in pubblico, perché di quello ha bisogno: non di raccontare la sua sofferenza, ma di vincere. Uccidendo lei. Se fosse stato dolore, sarebbe bastata una stanza di casa. Voi applaudite pure, ma a me quell'uomo con la calma feroce del rettile fa più paura delle corna".  

La storia del matrimonio saltato tra due personaggi molto in vista di Torino è la telenovela dell'estate. Il video da giorni è su tutti gli smartphone e gli utenti sono già divisi in tifoserie. Massimo Segre, manager e banchiere, al termine di una festa per annunciare le nozze ha accusato la compagna, Cristina Seymandi, di diversi tradimenti, annunciando la fine della storia d'amore ma non della collaborazione lavorativa. Ora per Segre possono esserci conseguenze legali: Seymandi valuta una denuncia, e i vari nomi additati come presunti traditori dai media potrebbero a loro volta fare causa. Tuttavia, un guaio per Segre arriva da una inchiesta di cui parla l'edizione torinese di Repubblica venerdì 11 agosto. "Coinvolge lui, come presidente, insieme a un altro importante amministratore della Directa Sim, la società di intermediazione mobiliare" attiva nel trading online. 

Secondo quanto riportato dal quotidiano "l’accusa della procura è duplice, abusivismo bancario e finanziario: a giugno gli uomini della guardia di Finanza (nucleo di polizia valutaria di Roma) hanno effettuato un perquisizione che ha reso note le contestazioni agli indagati, otto in tutto". L’indagine del pm Mario Bendoni sarebbe relativa all'attività della società tra il 2019 e il 2022 in cui, è l'accusa, Directa Sim si sarebbe comportata da banca. "Directa, nonostante un parere firmato dal professor Carbonetti, ha deciso di cessare l’attività oggetto di contestazione – che non impatta in alcun modo sulla clientela retail – per massimo rispetto della magistratura inquirente. Siamo certi che riusciremo a dimostrare la correttezza dell’operato della società e l’estraneità ai fatti contestati al suo presidente che risulta coinvolto in qualità di mero responsabile legale e che non è stato oggetto di perquisizione. Dalla decisione assunta dalla società non sono previsti significativi impatti sui risultati economici sia per l’anno 2023 sia per il 2024", spiegano i legali dell'azienda. 

Intanto, come detto, Seymandi ieri riguardo all'ex promesso sposo ha dichiarato: "Non escludo di fargli causa". "I giorni dopo la festa non ho dormito. Adesso finalmente riposo bene. Sul momento è stato uno choc perché ovviamente non mi aspettavo nulla. Adesso mi sono ripresa e ho iniziato a vedere le cose per quello che sono", ha detto alla Stampa a cui ha affidato il sospetto che il gesto di Serge fosse "organizzato", "dietro dev'esserci anche qualche altra persona che ha scelto di manipolarlo. E questo mi dispiace".

Segre-Seymandi, il matrimonio-gate finisce in tribunale: "In tutte le sedi opportune". Il Tempo il 13 agosto 2023

Il matrimonio saltato nella "Torino bene" finisce in tribunale. La strada appare segnata, con Cristina Seymandi, la donna accusata di tradimenti da Massimo Segre nell'ormai famoso video girato durante la festa di fidanzamento, che ha incaricato un avvocato per valutare un'azione legale che ormai sembra probabile. La professionista impegnata in politica ha incaricato l'avvocato Claudio Strata, scrive l'edizione torinese de La Stampa che riporta la stringata ma significativa dichiarazione del legale: "Tuteleremo la mia assistita, la figlia e la madre in tutte le sedi opportune". Insomma, una questione di famiglia: si evince che evidentemente Seymandi ritenga danneggiata la sua reputazione, con effetti sui suoi familiari. 

Il banchiere e commercialista, nome molto noto in città, ha sorpreso tutti alla festa in villa accusando l'ormai ex compagna di tradirlo da tempo con un avvocato e un imprenditore, il tutto davanti agli ospiti sgomenti. Secondo il quotidiano Segre avrebbe letto un testo scritto proprio per limitare i rischi legali dell'operazione: "un discorso «misurato e accorto», letto da Segre proprio per non farsi tradire dall'emozione e rischiare di scivolare su qualche dettaglio che avrebbe potuto provocargli difficoltà aggiuntive. Non che non abbia calcolato i rischi, anzi. L'effetto sorpresa con gli amici comuni mirava proprio a evitare di dover spiegare ulteriormente le ragioni della rottura. Trasformare un affare privato in una vicenda pubblica per mettere Cristina all'angolo", si legge nell'articolo.

Intanto a Torino è il panico tra chi teme di finire sui giornali come presunto amante o rovina-matrimoni. Ma anche lo stesso Segre, attaccato duramente e accusato da molti commentatori di aver fatto una violenza a Seymandi, sta valutando "come tutelarsi dopo l'ondata di fango (forse non imprevedibile) che gli si è riversata addosso in queste ore", si legge nel retroscena che preannuncia una battaglia legale tra i due quasi sposi. 

Segre-Seymandi? "Lui è stato geniale", Bernardini De Pace spiazza tutti. Il Tempo il 12 agosto 2023

Una presa di posizione e un "parere legale" che faranno discutere quelli di Annamaria Bernardini De Pace, esperta di diritto di famiglia e avvocato matrimonialista più famoso d'Italia. Il tema naturalmente è il discorso con cui Massimo Segre, banchiere noto della Torino bene, ha fatto saltare il matrimonio con Cristina Seymandi alla fine della festa di fidanzamento, accusandola di tradimenti davanti agli ospiti impietriti. La storia, grazie al video che immortala l'uomo che legge il suo discorso davanti alla compagna immobile, ha diviso l'Italia tra chi pensa che sia stata una giusta vendetta e chi una vera e propria violenza. "Sono sconcertata dal fatto che le donne siano indignate dal comportamento di un compagno che stava per sposare la compagna e che ha dichiarato davanti agli amici che lei l’aveva tradita", commenta Bernardini De Pace in un video pubblicato sul sito di Nicola Porro. Insomma, nessuna violenza perché "la cosa vergognosa è tradire un uomo che ti vuole sposare e sposarlo anche se si è tradito", afferma dicendosi indignata per le tante donne, "giornaliste di firme più o meno femministe", che hanno accusato Segre e difeso Seymandi. 

L'avvocato si spinge oltre, affermando che "quest’uomo", ossia Segre, "è stato geniale perché ha fatto una sceneggiatura coraggiosa, intelligente, capace, col dolore dell’uomo innamorato e ferito", una sceneggiatura degna di Pietro Germi. Ma perché lo ha fatto? Forse perché era "terrorizzato dal fatto che i racconti di lei non sarebbero stati veritieri", ipotizza l'esperta. Certo, la questione fondamentale è se è tutto vero: "Non credo, ma magari siamo stati tutti coinvolti in un gioco dall’uno e dall’altro. Non lo sappiamo. Però se tutto fosse vero è giusto che una donna tradisca, si senta lesa nella reputazione, se la reputazione se l’è lesa da sola nel momento in cui ha tradito?", ragiona Bernardini De Pace. 

In questi giorni alcuni hanno fatto notare come la convivenza non preveda l'obbligo legale di fedeltà, come il matrimonio. Ma in questo caso "non conta più", quando "c’è un rapporto si pretende il rispetto della fiducia dell’altro". In sintesi, "se lui ha detto la verità, chi è che si può lamentare?". L'avvocato dà anche un consiglio a Seymandi: "Lei impietrita com’era nell’ascoltarlo, spero che abbia capito che non è il caso di fare cause, anche se le può fare. Potrebbe avanzare una causa per bullismo, una causa per diffamazione, ma secondo me la sua reputazione era già messa prima in discussione e quindi anche una causa civile per lesione della reputazione non sarebbe il caso di farla". Meglio il silenzio. 

Segre-Seymandi, il video non mostra tutto. "C'era una donna che...", il sospetto. Il Tempo il 12 agosto 2023

Le parole di Massimo Segre alla fine della festa in cui avrebbe dovuto annunciare il matrimonio con Cristina Seymandi, nomi noti - soprattutto lui - della Torino bene, sono state ascoltate da milioni di italiani. Le accuse di tradimento, la libertà "regalata" alla donna, il viaggio a Mykonos... Ma cosa è successo prima dei due minuti di video, e cosa è successo dopo la clamorosa uscita del commercialista e banchiere? A spiegarlo al Corriere della sera sono varie persone lì quella sera, tra cui il dj della festa, quello che al termine del discorso di Segre, con Symandi impietrita e gli ospiti  sgomenti, ha rimesso la musica per qualche secondo nella speranza che il party potesse proseguire. "Io una serata così non me la sarei mai immaginata. Se mi avessero detto che il dottor Segre aveva in mente di fare quello che ha fatto, sicuramente non avrei accettato l’invito. Anche perché qualcuno ha ipotizzato che i membri dello staff sapessero. Noi non sapevamo proprio niente", ha detto Maurizio Arena, il disc jokey che si vede nel video girato il 28 luglio in una villa nel Torinese.

Il dj spiega che è stato tutto normale fino a quel punto: sorrisi, regali (si festeggiava il compleanno di Seymandi), allestimento ricco con fiori, palloncini, un’ottima cena, fuochi d’artificio, taglio della torta, baci, brindisi, musica. Poi la doccia fredda. "Mi sono trovato in una situazione surreale. Ho provato a riaccendere l’atmosfera con Bob Sinclar, l’istinto è stato quello, volevo togliere quel silenzio glaciale. Sono decenni che faccio questo mestiere, mai mi era capitata una cosa simile", spiega il dj.

Segre ha parlato con voce calma, leggendo un foglio, nel silenzio generale. Tanto che Chiara Iadicicco, responsabile del catering, che si stava occupando della torta, non ha afferrato il senso perché impegnata nel lavoro. "Quando tutto si è concluso, il signor Segre se n’è andato immediatamente e la signora ha provato a seguirlo. Poi non li ho più visti", racconta la donna. I racconti si sovrappongono, pare che una donna tra gli ospiti abbia pianto. Agli addetti alla festa l'ingrato compito di mandare via tutti: "Ho dovuto mandare via gli invitati. Sono rimasta impietrita anche io, poi ho fatto quello che dovevo fare. Abbiamo iniziato a sbaraccare. Non sapevamo nulla, mai e poi mai avremmo immaginato tutto ciò", dice Iadicicco.

Un invitato, Enrico Crescimanno, presidente della circoscrizione 5 del Comune di Torino, afferma di non sapere nulla del piano di Segre e che "quello che è successo è stato uno shock. Nessuno si è permesso di fare o dire niente, tutti si sono allontanati in silenzio. Nessuno sapeva. C’era una ragazza o una signora che riprendeva il discorso con il cellulare, ma ci è sembrata una cosa normale. In ogni caso, mi è dispiaciuto molto". Secondo Seymandi il filmato, girato e diffuso, farebbe parte di un'operazione "orchestrata", ha detto ieri la donna che valuta una denuncia per violenza privata. 

Segre-Seymandi, "donne con la coda di paglia". Bernardini De Pace a valanga. Il Tempo il 14 agosto 2023

Annamaria Bernardini De Pace è l'avvocato matrimonialista più famoso d'Italia e il suo commento sulla storia dell'estate, il matrimonio saltato della Torino bene, ha fatto discutere. Il banchiere torinese Massimo Segre è stato un genio, ha detto in un video. Lunedì 14 agosto l'esperta di diritto di famiglia torna a parlare in un lunga intervista a Libero: "Cristina Seymandi non la difenderei mai. Difenderei Massimo Segre tutta la vita, anche gratis", afferma. Il video in cui l'uomo accusa l'ormai ex compagna di vita e negli affari di tradimento, mandando all'aria le nozze programmate, ha fatto il giro degli smartphone degli italiani. Ma "Segre non ha messo in campo una vendetta bensì un bisogno insuperabile di chiarezza - analizza Bernardini De pace - Nell’ambito di una festa privata ha radunato gli amici che facevano parte della vita sua e di Cristina per raccontare loro tutto ed evitare di affidarli alla narrazione di Cristina, ipotizzando che lei non sarebbe stata del tutto sincera. E io non penso di sbagliare dicendo questo perché chi tradisce non è mai sincero. Per tradire la menzogna è necessaria".

Ma il video non è stato una gogna? "Non penso che lui immaginasse potesse diventare virale. Ha colto semplicemente l’occasione per chiarire una vicenda della quale era stato messo al corrente probabilmente da un amico, anche se pare che siano stati proprio i figli di Massimo a farlo", rivela l'avvocato che viene definito "totalmente devastato" da non aver pensato di potere far male a qualcuno: "La figlia prima o poi avrebbe saputo che la madre tradiva. La colpa è sempre del traditore e non di chi rivela il tradimento".

L'idea che i panni sporchi si debbano lavare in casa è sbagliata: "Questa frase mi ha sempre fatto schifo. Sono contro l’ipocrisia", spiega l'avvocato che su Segre sorprende tutti: "Lo sposerei all’istante perché è un uomo che mi dà fiducia, perché intelligente, creativo. Un uomo onesto che sente il dolore del tradimento, che si indigna per la mancanza di rispetto della fiducia, che non si vergogna di dire di essere un cornuto come la maggior parte degli uomini", ha detto sottolineando l0ipocrisia delle donne che lo hanno accusato di violenza: "Questa solidarietà alla traditrice è uno schifo. Secondo me queste sono tutte donne con la coda di paglia. Se questa identica sceneggiata l’avesse fatta una donna, oggi, questa donna, arriverebbe a diventare Presidente della Repubblica, portata a braccio da tutte le donne d’Italia. È così perché le donne in Italia, diversamente dai paesi europei più avanzati, proteggono le donne solo perché sono donne, non perché sono nella ragione e nel torto".

E Seymandi? "Cristina ha tutto il diritto di intentare una causa, per diffamazione ma sono certa possa perderla. Primo perché non è stato Massimo a far girare il video; secondo lui l’ha detto nell’ambito di una cerchia di amici. È vero che bastano tre persone per la causa di diffamazione, ma lui ha spiegato il motivo per cui lo ha fatto". In ogni caso, se Seymandi chiedesse di essere difesa "non lo farei mai" mentre Segre "anche gratis". 

Da Il Giornale.

Ho visto lei che bacia lui”. Che delizia le corna della Torino bene. In questa estate noiosa la festa a sorpresa di Massimo Segre a Cristina Seymandi: doveva annunciare le nozze, invece la molla. Max Del Papa s Nicolaporro.it il 10 Agosto 2023

Nella noiosa estate delle tasse sugli extraprofitti e del clima che più dicono cambia e più resta lo stesso, decimo più decimo di grado meno, un soffio d’aria pura, una storiella di corna e di sputtanamento, olè, nella Torino bene, ma perché poi si dice bene, quando la sostanza è la stessa di noi poveracci, i male, i non bene, squallidi, lerci, ma non distanti, non diversi in quelle immutabili storie di corna, reciproche, che tutti spifferano anche perché il giro è chiuso, asfittico, resort a 10 stelle o bar delle puttane sotto casa, finché il magnifico cornuto non decide di mettersi in piazza e chiudere tutte le bocche, tanto non resta niente da dire.

Certo, qui la variante la fanno i soldi, tanti, la fa il contesto, come si dice per dire la buona società, la città bene degli intrighi, gli scheletri serrati negli armadi, anche se tutti li conoscono, i buoni affari, i grembiulini, i giornalini, gli avvocati, le barche, le feste, l’esoterismo torinese del triangolo magico che gira che ti rigira sempre sempre ad alimentare gli investimenti, molto più prosaici, ma a loro volta misteriosi. Mica solo a Torino, sia chiaro. Tutto come sempre, nell’eterno ritorno dell’uguale e del banale ma se un tempo finiva nella mattanza bene, il conte Casati Stampa che un bel giorno si stufa di essere un cornuto contemplativo, ammazza a pistolettate la signora contessa, il di lei giovane stallone e infine se stesso, oggi che siamo evoluti e tolleranti i drammi di letto si risolvono in modo meno cruento e più mediatico.

Il banchiere bene Massimo Segre sceglie una vendetta atroce ma quasi comica, più vanziniana che felliniana, per liberarsi della fidanzata fedifraga, ma bene, la Cristina Seymandi della società bene che passa con disinvoltura da Grillo al centrodestra perché primum vivere, possibilmente bene. La invita alla festa di fidanzamento e invece di inginocchiarsi con l’anello racconta le di lei scappatelle: “Ti regalo la libertà”, e sparisce come un attore che scende dal palco, lasciando lei con gli occhi sul tavolo, dove sono i sali?, aria, lasciatela respirare; ma Cristina, da vera donna bene subito si riscuote e attacca col giro dei giornali, meno quello di cui è consigliere d’amministrazione l’ex ganzo vendicativo: “Pensi ai tradimenti suoi, comunque non finisce qua, abbiamo troppi affari in comune”. E via, più veloce della luce, destinazione Dubai.

Non è delizioso come uno di quei film grotteschi anni 70, Sordi, Manfredi, sullo squallore delle famiglie bene nel benessere democratico e consumistico? In versione contemporanea, si capisce, però che freschezza, finalmente una cara, vecchia, eterna storia di noia cornuta e arrivismo upper class. Perfino la Stampa, che è il giornale cittadino, alla fine deve bene o male occuparsene, mollare per un momento sugli adorati cambiamenti climatici, sui mattocchi che li hanno decisi loro, in nome della scienza, e sognano di rinchiudere tutti ancora e magari per sempre.

La gente legge e ghigna. I danarosi un po’ meno, perché, adusi come sono a certe pratiche, temono l’effetto domino; i barboni di gusto con le loro bocche sdentate o di troppi denti che sembrano sparati a caso in bocca: anche i ricchi piangono! Ma il pianto dei ricchi è diverso, trova sempre di che consolarsi, subito, e trova la comprensione del gruppo che vuoi o non vuoi deve ricompattarsi. Quel Segre li ha tirati dentro tutti i quasi tutti, ma, proprio per questo, come dice la fidanzata liberata, alla fine ci sono gli affari e che facciamo? Scoppiamo il gruppo? Perché nelle amicizie bene l’amicizia non esiste, è un optional per agevolare la manovra, come direbbe il Dogui.

“Non esiste giusto o sbagliato, esiste quello che ti fa star bene”, pontificava la sora Cristina nel solco del relativismo affaristico e vitaiolo: e potrebbe essere benissimo il primo ed unico comandamento di questo post capitalismo, molto post, questa entità fondata sulla totale incoerenza e irresponsabilità, definitivamente castrata di scrupolo e senso etico, per cui chi può stare bene si sente legittimato a fare qualsiasi cosa per stare bene, ovviamente sulla pelle di quelli che bene non ci stanno mai da che vengono al mondo e quindi non se ne accorgono, non soffrono.

Ma bando a moralismi novecenteschi che neppure i comunisti edonistici come i Fratoiannis, coppia di parlamento e di vita, sostengono più. Limitiamoci a considerare che, ogni tanto, anche chi teorizza il vivere bene a tout prix la paga e ci vogliono i sali. Tu chiamala, se vuoi, Nemesi bene. La scena del Segre che fa scorrere i tradimenti, reali o presunti, mentre il deejay non sa più che musica mettere e la fidanzata si marmorizza, è di quelle che colpiscono. Ed è questo eccesso di realtà, alla fine, a conquistarci. Come la bambola Barbie del film che dalla plastica si incarna e fa i conti con la insostenibile leggerezza dell’essere al mondo sul serio. Nell’estate noiosa di una realtà che pare irreale, un baleno di irrealtà che sembra vera, lo diventa al punto che non ci si crede. E i social si dividono, che stronzo lui però, merita le corna, eh no, ha fatto bene, l’unica giustizia è la vendetta.

Seguono, come sempre, parole crociate di insulti, minacce, pettegolezzi da straccioni, gli spaventapasseri del web riescono a dividersi, a litigare anche su una cosa irreale, che non li riguarda, che non capiranno mai. A proposito di esistere, ma non per davvero, più che altro percepirsi, vegetare nell’irrilevanza dell’oblio fingendo di essere vivi. Max Del Papa

 Lui, lei, l'altro e la fine ai tempi supplementari. Dopo il caos, vivranno tutti infelici e scontenti. Le accuse del "cornuto", la replica della "fedifraga". A ogni modo, perdono entrambi. Tony Damascelli l'11 Agosto 2023 su Il Giornale.

Che cosa ci può essere più sfizioso di una storia di corna per allietare le calde serate d'estate? Massimo e Cristina non sono pseudonimi di una vicenda che ha scosso la Torino dei gianduiotti e delle madamine. Trattasi di Segre Massimo, uomo di altissima finanza appartenente a famiglia illustre per parte di madre, donna decisiva negli affari di De Benedetti, l'Ingegnere svizzero, e di Seymandi Cristina, bella e acchiappante bionda, figlia di un genitore esperto di conti e tasse, destinata a diventare sindaca di Torino, in quota cinque stelle ma poi traslocata nella fazione opposta per proseguire l'impegno politico. Riassunto: festa tra amici, musica e dj alla consolle, l'incontro profuma di storico annuncio, Massimo e Cristina si sposano, il Covid aveva bloccato per due volte l'evento, dopo il vaccino è arrivato il grande giorno.

Colpo di scena a confronto del quale i reality televisivi sono roba da dilettanti allo sbaraglio: Massimo Segre prende il posto del disc jockey, afferra cuffie e microfono, estrae un foglio sul quale ha scritto il compito a casa, gli astanti uheggiano pronti al brindisi, al ballo e al bacio dei promessi, Segre rivela che il testo non è breve, legge con l'affabulazione di chi sa dove vuole arrivare, aggiunge qualche pausa, il suo è un petting palabratico con un primo passaggio decisivo, l'annuncio di un regalo alla ex futura sposa: orecchini? Negativo. Anello? Idem. È la libertà! Però chiarisce il significato del sostantivo, Cristina gli ha messo le corna, lui stesso si autoproclama cornuto, la donna lo ha tradito con un avvocato (la prima vocale è minuscola, a Torino meglio non allargarsi), con il professionista mascherato partirà per Mikonos, vacanze ovviamente pagate, dice malignamente, coinvolge anche la madre, nel senso di suocera mancata, ai figli dei rispettivi, accenna ad altra tresca, chiude la lettura dichiarando esaurita la loro storia di amore.

Cinque minuti di sentenza pubblica, Cristina, di fianco, pensa di essere su uno show scherzoso, allunga il collo per sbirciare il testo, è tutta roba vera, c'è anche una telecamera (telefonino forse) che riprende e registra tutto, l'espressione stranita della mancata moglie, il tono serioso del magnifico cornuto (Le Cocu magnifique, dramma del francese Fernand Crommelynck da cui il film italiano di Pietrangeli con Cardinale e Tognazzi). Ma la pochade torinese non ha colonna sonora ed effetti di scena, il copione dice che Segre si è liberato lui della futura consorte, più che offrirle la libertà; Cristina, dopo aver passato un paio di notti al bar per destarsi dall'incubo, è sicura che si sia trattato di un piano studiato nei dettagli e suggerito da un'altra figura alle spalle del promesso sposo e a lui replica con un classico «da che pulpito viene la predica». Il derby delle corna va ai supplementari, si presume ci siano stati, prima dei calci di rigore conclusivi, altri episodi di repertorio, messaggistica spiata, pedinamenti, litigi notturni, lacrime, carezze consolatorie, porte sbattute, vacanze separate, come qualunque coppia contemporanea in crisi alla voce Totti-Blasi o Bonolis-Bruganelli, per dire.

Ma a Torino non ci sono Rolex o confessioni o interviste ai giornali, a Torino è andata in onda la rabbia infantile e astuta di un uomo che accetta la sconfitta ma svela il gioco sporco della vincitrice alla quale non volta le spalle concedendole invece, da gentleman (!?), la possibilità di continuare a convivere professionalmente, come vendicativo colpo finale da padrone a dipendente. Ma Cristina non demorde, non abbandonerà il posto di lavoro, è partita per l'isola greca senza l'avvocato che farebbe parte di un gruppo di fantasmi che da tempo agitano il mancato consorte. Su La Stampa, organo ufficiale della Torino dei gianduiotti e delle madamine, la scrittrice Elena Loewenthal definisce il tutto, una gogna, un sadico piacere, un tossico amalgama di vendetta e voglia di stupire. Stiamo calmi, Il dottor Massimo tornerà nel suo mega-maxi ufficio attorniato dalle segretarie in camice nero e copri maniche con elastico, Cristina rientrerà abbronzatissima e più bella che prima dalla Grecia, pronta a onorare il contratto. E vissero felici e scontenti.

"Violenza sessista". Solita indignazione femminista se è lui a smascherare le corna. Giorgia Fenaroli l'11 Agosto 2023 su Il Giornale.

Al contrario lei sarebbe l'eroina che sconfigge il patriarcato e lui il viscido traditore. Ma quando è l'uomo a denunciare l'infedeltà della compagna scatta subito la gogna

La storia, ormai, la conosciamo tutti. Il video dove Massimo Segre elenca i tradimenti dell'ormai ex fidanzata Cristina Seymandi ha fatto il giro del web in pochissime ore. E nel torrido agosto cosa c'è di meglio di un pruriginoso gossip della Torino bene per rinfrancare gli animi? In poco tempo, però, persino questa banale (seppur spassosa) "vendetta" d'amore è stata riscritta dai censori dei social. È subito partita la levata di scudi di chi ha additato il malcapitato di violenza sessista. Nella smania di posizionarsi e di twittare, evidentemente facendo poco caso alle parole scelte, c'è stato persino chi lo ha accusato di revenge porn. Avete capito bene: parliamo del reato che si commette caricando contenuto VM 18 per vendicarsi del partner. Un dramma (vero) che colpisce moltissime donne (e ragazzine minorenni) ma che in questa storia non c'entra proprio nulla. Certo, la shitstorm non è mai piacevole ma non confondiamola con la violenza di genere.

La Seymandi si è subito resa disponibile a raccontare la sua versione dei fatti. E sui giornali sono abbondate le interviste. "Quel discorso è stato un gesto violento", ha commentato l'imprenditrice torinese al Corriere della Sera. "Mi ha ferita, con quelle parole ha fatto del male alle persone cui voglio bene. Una violenza molto pesante". Poi ha aggiunto: "E se fosse successo il contrario? Penso che tutti, a partire dai social appunto, avrebbero avuto una reazione del tutto diversa. Invece, io sono una donna. E allora è tutto differente". la Seymandi ha ragione: se fosse successo il contrario, la reazione dei social sarebbe stata del tutto diversa e soprattutto compatta. Lei sarebbe - da giorni - l'eroina del nuovo femminismo che si ribella al potere patriarcale e dà una bella lezione ai maschi-traditori che credono tutto gli sia concesso. Lui sarebbe il viscido che ha ricevuto quel che si merita dalla donna che fingeva di amare e che ha fatto soffrire; nessuno si sarebbe sognato di accusare la signora di essere una violenta né di accusarla di revenge porn o cyberbullismo.

Non vi sembra una storia già sentita? Lo è. È esattamente quello che è successo mesi fa tra Shakira e Piquè. Lei, stufa dei continui tradimenti e delle umiliazioni a cui era sottoposta, ha scritto una canzone diffusa in mondovisione per "cantarle" all'infedele compagno. In quel caso però nessuno ha parlato di violenza o sessismo. Anzi, sui social la cantente ha ricevuto stima, ammirazione e solidarietà. E questo nonostante si è vendicata pure dell'amante del compagno, etichettandola con termini svilenti e riproponendo il vecchio stereotipo delle "donnine" che si scannano per l'amore di un uomo. Non proprio un manifesto femminista. Eppure, in quel caso, le voci contro Shakira sono state poche, sovrastate dalla valanga di approvazione social. Nel nostro piccolo scandalo torinese, invece, si è subito gridato alla violenza di genere, al patriarcato, al sessismo. E sì: perché la traditrice in questo caso è donna. Un evidente doppiopesismo che non aiuta nessuno, per prime le donne. 

Se poi si vuole discutere di quanto sia stato elegante o meno il gesto di Massimo Segre, è un altro discorso. Si può essere in disaccordo con la scelta, si può essere persone per cui la discrezione costituisce un valore e per cui i panni sporchi si lavano in famiglia. Così come si può empatizzare con un uomo tanto provato dalla sofferenza da considerare la pubblica umiliazione come l'unica consolazione. Per i primi sarà un "cafone", per i secondi un "grande". Ma non si tiri in ballo la violenza di genere (e i reati annessi, come il revenge porn) per ogni storia che coinvolge una donna: altrimenti, a farne le spese, saranno - come sempre - le vere vittime.

Da Libero Quotidiano.

Torino e corna? Segre e Carlo De Benedetti... dettagli esplosivi. Brunella Bolloli su Libero Quotidiano l'11 agosto 2023

C’è un compiacimento neanche tanto sottile di certi giornali nel raccontare la storia che ha travolto la Torino bene in cui Cristina Seymandi e Massimo Segre, hanno prima deciso di sposarsi e farlo sapere al mondo, poi di lasciarsi. O meglio, chi ha deciso di mollare il partner è stato - stavolta - l’uomo, e non perché avesse trovato un’altra più giovane per cui piantare la fidanzata sull’altare, casomai il contrario. Non ci interessa qui, però, indagare su chi sia il colpevole e abbia tradito per primo odi più: a guardare il videomessaggio della festa in villa circolato in queste ore non ci sarebbero dubbi, anche perché Massimo Segre ha detto la sua di fronte ad amici e parenti accorsi a festeggiare le nozze che non ci saranno mai e Cristina Seymandi è rimasta senza parole, quasi inebetita, da ciò che le stava accadendo intorno.

Stupisce, però, che nei resoconti sulla stampa, soprattutto quella colta e progressista che ci scodella in prima pagina ogni giorno la superiorità delle donne, o almeno di alcune donne (di sinistra perché a destra non sono abbastanza degne), che magari amano farsi chiamare sindaca o assessora o avvocata, con la vocale in fondo che fa tanto parità di genere, e sono così brave nelle battaglie sul pink power da giocarsi sulle desinenze, o sulle famigerate quote rosa che si conquistano per legge e non per merito, non si prenda neanche in considerazione che quello di Segre, commercialista di De Benedetti, editore del Domani, sia stato un atto di violenza e non l’eroico capolavoro del maschio tradito che apparecchia la vendetta come fosse il set di un film.

Cristina Seymandi ha fatto sapere di valutare un’azione legale, forse una denuncia per violenza privata nei confronti dell’ex fidanzato che l’ha così maltrattata in pubblico. Ma la sua rischia di rimanere una mossa senza sbocchi perché il noto finanziere con cui avrebbe dovuto partire per Mykonos non ha lasciato nulla al caso e ha pesato con cura ogni parola pronunciata quella sera nella villa in collina.

Segre, che non è certo uno sprovveduto e di solito parla a braccio, ha letto tutto il discorsetto con finale beffardo («se vuoi, Cristina, al tuo ritorno, potremo ancora collaborare insieme»), attento a non dire nulla di offensivo all’ex amata, chirurgico nel mixare lo smascheramento delle presunte tresche di lei alle lodi della famiglia dell’adultera, così da rendere il quadro perfetto nella sua completezza: cara, ti lascio ma lo faccio da gran signore. Cameriere, champagne.

Cristina Seymandi avrà pure tradito il compagno, ma a noi invece sembra che il party della vergogna abbia mostrato la spietatezza da serial killer di un uomo pronto a tutto, che dice di amare, ma forse ama solo se stesso e il suo (giustificato) non volere più fare la figura del “cornuto” nella Torino che conta. Chissà se ha fatto seguire la sua ex dolce metà da un investigatore, se ha spiato le telefonate, se ha meditato la vendetta da mesi. Lecito, per carità, e anche condivisibile per tanti uomini che ora si accaniscono contro la bionda. Meno comprensibile, invece, è il silenzio delle tante femministe e che l’attacco alla donna arrivi da un esponente vicino a quella sinistra che predica sempre rispetto e attenzione al politicamente corretto. E chissà, forse se la Seymandi fosse stata del Pd anziché un’ex grillina passata con i moderati del centrodestra, l’attenzione dei media sarebbe stata diversa.

Annamaria Bernardini de Pace: "Il tradimento di Torino? Lui lo sposerei subito". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 15 agosto 2023

«Cristina Seymandi non la difenderei mai. Difenderei Massimo Segre tutta la vita, anche gratis». Inizia così la nostra chiacchierata con Annamaria Bernardini de Pace, riconosciuta tra i migliori avvocati italiani e specializzata nelle cause di famiglia. Spesso contestata per le sue posizioni coraggiose e controtendenza, non ha paura di prendere pubblicamente posizioni “scomode”. Anche sulla vicenda del pubblico tradimento di Torino, ha le idee molto chiare e contesta, a suo dire, l’ipocrisia delle femministe che si sono schierate a difesa di Cristina.

Avvocato, secondo lei esiste un diritto di vendetta che può essere esercitato anche in pubblico come accaduto nella vicenda di Torino?

«No, secondo me non esiste un diritto di vendetta, esiste casomai un bisogno di punizione. Nello specifico della vicenda di Torino, a mio avviso Massimo Segre non ha messo in campo una vendetta bensì un bisogno insuperabile di chiarezza. Nell’ambito di una festa privata ha radunato gli amici che facevano parte della vita sua e di Cristina per raccontare loro tutto ed evitare di affidarli alla narrazione di Cristina, ipotizzando che lei non sarebbe stata del tutto sincera. E io non penso di sbagliare dicendo questo perché chi tradisce non è mai sincero. Per tradire la menzogna è necessaria».

Non ha quindi ravvisato in questo gesto plateale di Massimo Segre alcuno scopo che la notizia diventasse virale esponendo Cristina alla pubblica gogna?

«No, non penso che lui immaginasse potesse diventare virale. Ha colto semplicemente l’occasione per chiarire una vicenda della quale era stato messo al corrente probabilmente da un amico, anche se pare che siano stati proprio i figli di Massimo a farlo».

C’è un passaggio nella lettera che Massimo Segre ha letto, nel quale spende belle parole per la figlia di Cristina, definendola meravigliosa. Non pensa, alla luce di ciò che è accaduto, di averle involontariamente fatto del male? Possibile non ci abbia pensato?

«No, lui questa cosa non l’ha messa in conto. Quando una persona è tradita è totalmente devastata, se ama è totalmente governata dal dolore. Questo vale anche nel campo del lavoro e dell’amicizia. Se tu hai una fiducia categorica senza possibilità di discussione in una persona, il tradimento non è soltanto un calcio in faccia, è un calcio nel cuore e nel culo. Non riesci a pensare ai figli degli altri, giustamente pensi a te stesso. Del resto lui non è che ha fatto di più di quello che aveva già fatto lei. La figlia prima o poi avrebbe saputo che la madre tradiva. La colpa è sempre del traditore e non di chi rivela il tradimento».

Lei quindi non è dell’ idea che i panni sporchi si debbano lavare in casa? Soprattutto quando si tratta di vicende private e delicate?

«No! Questa frase mi ha sempre fatto schifo. Sono contro l’ipocrisia. Io trovo anzi che il fatto che lui abbia rotto la tradizione del “piemontese falso e cortese”, sia una cosa socialmente utile».

Addirittura utile. Perché?

«Perché se tutto questo fosse successo a Napoli, Bari, Roma non avrebbe creato tutto questo casino. A Torino lo crea molto di più e aggiungo che l’amico che ha fatto girare il video si è reso conto dell’importanza storica e sociale di questo gesto. Secondo me è stato anche positivo».

Perché cosa ha Torino di diverso dalle altre città?

«A Torino è tutto chiuso, non esce niente. Io ho seguito molte cause a Torino e deve sapere che c’è l’abitudine da parte dei genitori, prima di un matrimonio, e prima di approvarlo, di fare indagini approfondite sullo sposo e sulla sposa».

Io Massimo Segre l’ho trovato geniale.

«Lo sposerei all’istante perché è un uomo che mi dà fiducia, perché intelligente, creativo. Un uomo onesto che sente il dolore del tradimento, che si indigna per la mancanza di rispetto della fiducia, che non si vergogna di dire di essere un cornuto come la maggior parte degli uomini. Avrà notato che la maggior parte delle donne che si sono pubblicamente schierate, hanno definito il gesto di Massimo una gravissima forma di violenza ai danni di Cristina. Questa solidarietà alla traditrice è uno schifo. Secondo me queste sono tutte donne con la coda di paglia. Se questa identica sceneggiata l’avesse fatta una donna, oggi, questa donna ,arriverebbe a diventare Presidente della Repubblica, portata a braccio da tutte le donne d’Italia. È così perché le donne in Italia, diversamente dai paesi europei più avanzati, proteggono le donne solo perché sono donne, non perché sono nella ragione e nel torto».

Così rischia di essere accusata di andare contro le donne?

«Deve pensare che quando io ho iniziato la mia professione, il mio studio legale è stato il primo, in Italia, composto solo da donne. Avevo solo un uomo, segretario».

Per scelta?

«Per 10 anni io ho avuto il 95 per cento di clienti femmine, ho sempre difeso le donne perché negli anni ’80 le donne erano trattate come delle babysitter di lusso. Adesso il mondo è cambiato e difendo il 70 per cento degli uomini che sono oggi le vere vittime».

Gli uomini vittime delle donne?

«Esattamente così. Oggi le donne sono capaci, intelligenti, furbe, cattive, anche molto più degli uomini. Oggi le donne fanno tutto ciò che prima non sapevano fare. Pensi che arrivano in ufficio da me con pacchi di documentazione, sanno già come provare il tenore di vita, mentre quarant’anni fa non sapevano neanche in che banca, il marito, avesse il conto corrente. Ora dirò una cosa che fa incazzare tutte le femministe».

Quale cosa? Facciamole incazzare.

«Le donne non hanno più bisogno di essere difese, ognuna si deve difendere da sola».

Cosa risponde alle femministe incazzate che le mostrano i numeri dei femminicidi in Italia?

«Rispondo che una donna oggi dovrebbe sapere che c’è questo rischio. Io stessa che non sono più una ragazzina ho paura a uscire la sera da casa da sola. Questo perché siamo circondati da immigrati irregolari. Lo attestano i numeri. Il 40 per cento delle aggressioni sessuali e dei femminicidi è per mano di stranieri. Arrivano senza mogli, senza donne hanno bisogno di soddisfare i loro istinti sessuali. A Milano ho paura di uscire la sera».

Lei ha dichiarato che laddove Cristina Seymandi dovesse intentare una causa per diffamazione sicuramente la perderebbe. Come fa ad esserne così certa?

«Cristina ha tutto il diritto di intentare una causa, per diffamazione ma sono certa possa perderla. Primo perché non è stato Massimo a far girare il video; secondo lui l’ha detto nell’ambito di una cerchia di amici. È vero che bastano tre persone per la causa di diffamazione, ma lui ha spiegato il motivo per cui lo ha fatto».

Parliamoci chiaro, Cristina si era già auto diffamata se è vero che l’aveva tradito più volte. Se Cristina Seymandi chiedesse di essere difesa da lei?

«Non lo farei mai. Difenderei Massimo tutta la vita perché ciò che ha fatto ha un valore nobile e non è un valore bieco. Tradire è bieco, chiarire e raccontare il tradimento, in qualunque modo tu lo faccia, è un gesto nobile. Lui in tribunale può sempre far valere l’“exceptio veritatis”».

Ovvero?

«Io non ti ho diffamato ma ho semplicemente detto la verità e te la dimostro. Per cui quello che ho detto non ti può diffamare dal momento che tu hai già diffamato me tradendomi apertamente».

Secondo lei avvocato, il tradimento è debolezza?

«Debolezza? Il tradimento non è mai debolezza, è forza. Bisogna avere il coraggio di essere cattivi, di fare male a un altro, di viverti qualcosa che volontariamente all’interno di una coppia sai che non sarebbe dovuto esistere. Quando tradisci hai la forza di infrangere la fiducia dell’altro. Ma quale debolezza? Ci vuole un coraggio pazzesco».

Cristina Seymandi ha detto che ha le prove per dimostrare che anche lei sarebbe stata tradita da Massimo e forse anche prima.

«Va bene, ma non è che se uno viene tradito ha il pass per il tradimento di risposta. Io ribadisco che difenderei Massimo tutta la vita, anche gratis. Del resto ho detto che oggi preferisco difendere gli uomini».

Cosa risponde a questo luogo comune: “gli uomini tradiscono più delle donne”?

«Ormai deve essere messo nel dimenticatoio: le donne tradiscono forse molto più degli uomini, ma sono molto più furbe, più accorte, più intelligenti. E riescono spesso ad avere relazioni con altre donne senza che nessuno in famiglia, soprattutto il marito, se ne accorga. Anzi, tranquillizzando chiunque». 

Corna a Torino, lo sfogo di Feltri: se ne è parlato anche troppo. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 18 agosto 2023

L’argomento di maggiore attualità sono le corna. In questi giorni non si dibatte d’altro sia in televisione sia sui quotidiani ai quali, dato che siamo in agosto, non par vero di avere trovato un tema che direi universale. Alzi la mano chi non ha mai tradito la morosa oppure il o la coniuge. Non vedo dita fuori dalle tasche. La carne è notoriamente debole, figuriamoci il pisello o generi affini. Pertanto quasi nessuno si è scandalizzato di quanto successo tra Cristina Seymandi, donna affascinante, e Massimo Segre, imprenditore danaroso. I due erano strafidanzati al punto che erano in procinto di sposarsi.

Un bel dì, recentemente, organizzano una festa a Torino per comunicare agli amici la loro propensione per il matrimonio. Prende la parola il ricco signore e invece di inneggiare al proprio amore, vuota il sacco pieno di corna, non le proprie ma quelle che gli ha messo in testa la promessa sposa. Sbigottimento generale e imbarazzo diffuso. Ma Segre non si fa paralizzare dallo sconcerto generale e racconta per filo e per segno tutte le prodezze compiute di straforo dalla gentile e avvenente dama. Immaginate il clima che si è creato tra i numerosi invitati. Il racconto dell’uomo è suffragato da immagini che hanno aumentato lo stupore dei presenti.

I mezzi di comunicazione colgono la palla al balzo e avviano una discussione pubblica sulla faccenda. Della quale si occupano ancora tutti i media. Un battibecco infinito su chi dei due abbia torto e su chi abbia ragione. Madame minaccia querele per diffamazione, l’ex fidanzato viceversa afferma che documentare la verità sia un’opera legittima. Probabilmente il litigio finirà in tribunale. Intanto ferve il dibattito non solo sui quotidiani, ma anche e soprattutto sugli schermi televisivi. Uno scandalo unico nel suo genere al quale partecipa il popolo intero, compresa la casalinga di Voghera. Probabilmente andremo avanti un po’ con questa menata che appassiona cornuti e cornificati, divisi tra chi sta dalla parte di lui e chi dalla parte di lei. 

Io non vorrei sbilanciarmi, ma osservo che è peggio tradire alla vigilia delle nozze che consentire al tradito di sfogare la propria amarezza. Il fatto che Segre abbia scelto un raduno di amici e conoscenti per vuotare il sacco mi sembra un atto di coraggio. È meglio ammettere di essere cornuto che farsi sfottere dai conoscenti per non avere la testa liscia. Infine vorrei dire che l’infedeltà è praticata da tutti, più o meno. E non è il caso di farne una tragedia. Ridiamoci su e se proprio cambiamo fidanzata, sappiamo che la musica non cambierà. 

Da Notizie.it.

Segre - Seymandi: la vendetta del banchiere che umilia tutte le donne. La vendetta di Segre contro Seymandi ci riporta agli anni di Mina, costretta a nascondersi per il "reato" di tradimento. Nicola Teofilo su Notizie.it Pubblicato il 10 Agosto 2023

La vendetta del banchiere Massimo Segre contro l’avvocatessa Cristina Seymandi ci riporta indietro agli anni più cupi dell’Italia del dopoguerra, e anche prima. Epoca in cui alle donne non era perdonato il “reato” di infedeltà. Proprio così, un reato penale del quale faticosamente, nel cammino verso la conquista dei diritti civili, ci siamo liberati. Sulla carta, s’intende. Ma nel circo dell’arena e del moralismo pubblico (ieri le televisioni e i rotocalchi di gossip, oggi le reti sociali), l’episodio delle nozze annullate a Torino, con umiliazione pubblica, mette in chiaro come stanno ancora oggi le cose. Ossia, se a tradire è la donna (specie se in carriera), il tradito (vieppiù se uomo potente) può sentirsi nell’autorità di poterla umiliare in pubblico.

Oggi tocca alle Cristina del nuovo millennio, ieri è toccato alla più grande della musica, Mina, costretta a nascondersi all’estero o a vivere il suo amore in clandestinità, pena l’arresto. Non ci saranno manette per la Seymandi, ma l’umiliazione subìta non è tanto diversa dagli effetti che genera il terrificante reato di revenge porn.

Le responsabilità della stampa, una donna punita e umiliata davanti all’Italia intera

La vicenda delle “corna sotto la Mole” ricorda quella di Shakira contro Piqué, che ha avuto come vittima un’altra donna, quella “scambiata per un rolex” e umiliata manco avesse rapito una banca. Non vorrei entrare nel merito di faccende intime e riservate, che forse andavano affrontate in altre sedi e in modalità degne di un Paese civile. E non occorre scomodare dinamiche affaristiche e di potere che somigliano più alla trama di una puntata della serie Dynasty. La cronaca nuda e cruda è che il finanziere Segre, legato a famiglie potenti della Torino bene, ha teso una trappola alla futura sposa umiliandola in pubblico, davanti ai numerosi invitati a nozze. Dopodiché per logiche che i giornalisti conoscono molto bene, il video della vendetta è finito in “esclusiva” su un giornale locale “Lo Spiffero” ed è stato gettato come un boccone succulento, in pasto alle masse bulimiche e assetate di corna e vip, pronte a giudicare tutto e tutti.

L’articolo morboso dal titolo “Corna vip” diffuso a fine luglio lasciava già presagire quello che sarebbe accaduto pochi giorni dopo. Il video agghiacciante è stato pubblicato con tanto di ostentazione esclusiva – “Siamo stati i primi” -, e poi inevitabilmente rimbalzato ovunque. Una stampa che si presta a tali logiche di potere non può che allarmare l’opinione pubblica, e invece tutto diventa così morboso, pericoloso e dovuto.

Il bullismo aggrega le masse

Le reazioni sui social, i commenti, ma anche diversi articoli che impazzano su molti giornali online, non lasciano scampo all’inquietante sospetto che per molti italiani Cristina in fondo se la sia cercata, e quella pubblica umiliazione se la sia meritata. Mentre lui si sarebbe comportato da vero signore.

Sembra una delle tante storie di bullismo e prevaricazione, dagli accenti moralistici ormai superati dalla civiltà, che purtroppo emerge anche in questa triste vicenda. I comportamenti bulli di un “signore” ferito aggregano le masse e l’opinione pubblica, quindi sono giustificati e autorizzati. Tanti italiani maschi in fondo si sarebbero comportati come lui, alla faccia delle libertà che rivendichiamo solo quando ci conviene rivendicare.

La verità è che qualsiasi comportamento della donna, tradimento sentimentale o fisico compresi, non giustificherebbe l’umiliazione patita. In un passaggio del video, Segre si vanta persino di averle donato “la libertà di amare”. Una libertà in cambio del ricatto e dell’oltraggio? “Quando torni potremo collaborare ancora”, aggiunge, quasi a voler normalizzare e giustificare quella gogna pubblica. Questa non è libertà. Se tradire un uomo o una donna ancora oggi è un reato, allora ci meritiamo un Paese liberticida.

Da Il Foglio.

Estratto dell’articolo di Giuliano Ferrara per “il Foglio” il 18 agosto 2023.

Tradire, tricher, betrügen, to cheat ovvero imbrogliare, ingannare, raggirare, truffare, barare. Alla canzone dell’estate di Cristina Seymandi manca qualcosa che è presente nel linguaggio, nel significato, nelle parole prima che nella vita privata e nei suoi sempre presunti peccatucci. In una lettera avvocatesca, femminista e comprensibilmente segnata da vittimismo, preludio a una contesa legale che farà epoca, la signora che doveva andare in sposa al dottor Massimo Segre […] mostra […] che in tutta la storia originata dalla festa o conferenza stampa in musica ci siamo persi qualcosa di rilevante.

La privacy è sacra e non saremo noi, quelli del “siamo tutti puttane” e della controcrociata sul comune sentimento del pudore, a violarla […] La lettera semilegale della signora Seymandi non afferma e non nega, non fugge dalla realtà ma non accetta giustamente incursioni nel suo privato, non si spiega come di certe cose non si possa discutere bonariamente e anche intensamente in privato, lamenta perfino la scomparsa anticipata di un anello di fidanzamento, lo zaffiro della madre di lui, circostanza a suo dire parecchio sospetta alla luce di quanto accaduto dopo. […]

[…] Non è questione di dottrina morale e di assetto societario in conflitto di interessi, per dirla con il cantante di questa estate, è questione di tradimento. Eppure la materia prima di questa vicenda […] non sono i panni in pubblico, non è la dialettica del presunto virile a petto della fragilità del presunto femminile, non è la musica d’accompagno di Bob Sinclair o lo stupore intristito degli ospiti, […] è appunto solo e soltanto quel tradimento, quella truffa, quel giocare da bari che è il concetto da tutti noi perduto nella legalistica presunzione del presunto. Flaubert disse abbastanza misteriosamente: “Madame Bovary c’est moi”. […]

Estratto dell’articolo di Fabiana Giacomotti per “Il Foglio” domenica 27 agosto 2023.

In quella che va configurandosi come la vera vicenda mediatica dell’estate italiana […]c’è una domanda che nessuno si è posto […] se Cristina Seymandi, invece di essere la figlia pur molto arrembante di una buona famiglia borghese, fosse stata l’erede di una schiatta della Torino collinare del genere frequentato finora da Massimo Segre, questo si sarebbe permesso di denunciarne le presunte infedeltà in pubblico? 

Se, per intenderci, Seymandi si fosse chiamata Agnelli, o Camerana, o Re Rebaudengo, questo attempato Alfredo Germont si sarebbe permesso di denunciarne nel corso di una festa eventuali scorrettezze sessuali e affettive, “qui testimon vi chiamo”? Chiunque conosce la risposta.

[…] è infatti questa la vera motivazione della querelle. Il potere. Non il sesso, non l’amore se non, verrebbe da dire, in misura secondaria, ma l’orgoglio di un potente che si sente tradito, ferito nell’onore, un Mimì metallurgico con piscina che offre vacanze “tutto pagato”. 

Lo scandalo nel quale l’Italia vede una pruriginosa faccenda di corna, e che qualche candida anima adolescenziale addirittura giustifica, è lo sgarro di un inferiore, per status e disponibilità economica, che dunque merita di essere punito con la gogna pubblica. 

Questo punto emerge cristallino, palese, in un passaggio del discorso di Segre […] “Ti confermo la mia stima lavorativa, se vorrai… potremo valutare come proseguire una collaborazione professionale”, e da una successiva dichiarazione di lei: “Continuerò a lavorare con Massimo. Non posso permettermi di perdere il lavoro”.

Seymandi, già collaboratrice non troppo popolare dell’ex sindaca Chiara Appendino, risulta infatti e invece amministratrice molto oculata della Savio Thesan, azienda produttrice di sistemi di ventilazione, di cui ha acquisito nel 2021 la quota di maggioranza da Giulio Segre, uno dei figli del banchiere, e che ha salvato dal fallimento e dal conseguente licenziamento di 153 dipendenti con un’iniezione di 2 milioni di euro ottenuti grazie a un bando di Finpiemonte. 

E’ dunque molto possibile che fra l’abile quarantenne e i figli di Segre, per dichiarazione dello stesso banchiere all’origine e alla guida della clamorosa rottura, non corra buon sangue e nessuna reciproca stima, ma che Segre senior voglia continuare ad avvalersi delle capacità gestionali di lei (i dipendenti della Savio Thesan si sono già detti molto preoccupati dell’evolversi del caso), così come è del tutto logico che Seymandi, che nell’impresa ha messo ogni impegno economico ed entratura politica, non possa davvero concedersi il lusso di sbattere la porta e magari cedere le quote dell’azienda che ha contribuito a risanare.

[…] si tratterebbe comunque di un rapporto di potere sperequato, che vedrebbe una donna offesa e messa alla berlina continuare a frequentare sine die per ragioni economiche il suo offensore: in pratica un ergastolo sociale, fine pena mai, che il banchiere deve aver attentamente valutato perché, in caso contrario, nella sua mediocre e ormai celebre prolusione di uomo amareggiato, avrebbe inserito anche l’offerta di riacquisto delle quote, segno della separazione definitiva. 

[…] Niente soldi gettati in faccia, “qui pagata io l’ho”, perché entrambi intendono tenerseli ben stretti. Resta la storia dello sdegno, che nessun papà Germont è qui per rimarcare, la celebre tirata dello “sprezzo” di cui si rende “degno” chi “pur nell’ira la donna offende”, perché la cronaca quotidiana è costellata di omicidi di donne per mano di ex compagni che fino all’altro ieri i media titolavano come “dramma della gelosia” quasi fosse un’assoluzione, dunque che volete che sia una gogna in mondovisione social, giusto un attimo di divertimento per una folla di abbrutiti.

[…]  La dimostrazione pubblica maschile del proprio dominio, sociale e – ribadisco perché è il punto centrale della questione – economico. Che nessuno in Italia abbia colto questo particolare è spiegabile solo con il dato emergenziale di un’occupazione femminile fra le più basse in Europa: secondo gli ultimi dati, diffusi lo scorso aprile da Confcommercio e certificati con un’indagine parallela anche da Bankitalia, il tasso di occupazione delle donne nel nostro paese è infatti del 43,6 per cento contro una media europea del 54,1 per cento. 

Al sud il dato è addirittura tragico: solo il 29,9 per cento delle donne ha un’occupazione, contro il 52 per cento del nord. Questo fa di una buona metà delle donne italiane, in alcune zone addirittura dei due terzi, delle predestinate potenziali a ogni genere di violenza. Delle succubi in nuce, perché il controllo economico è il primo segno della dominazione: chi non ha soldi non può fuggire, chi non sa come mantenersi è costretta a subire la volontà di un altro. 

Dovrebbe essere il primo insegnamento di un padre a una figlia, sappiamo da un buon numero di analisi e sondaggi che in Italia non lo è quasi mai, anzi che il “regalino quando la mia principessa me lo chiede” sia ancora prassi comune fra i padri che invece ai figli maschi insegnano quasi da subito a gestire la “paghetta”.

[…] Il nocciolo della violenza economica sta proprio in questo: priva le donne della libertà. Le indagini condotte negli ultimi cinque anni dal Museo del Risparmio sul rapporto tra mondo femminile e denaro mettono in luce che ben il sessanta per cento delle donne delega, volontariamente, la gestione economica al partner e il restante quaranta per cento gestisce, da sola, unicamente le spese quotidiane: fra l’altro, in molti casi lo fa convinta di gestire l’andamento della casa quando in realtà sovrintende giusto alla cottura del minestrone. 

Le donne esprimono anche un minor interesse in ambito finanziario e solo la metà di loro si dichiara abbastanza o molto competente, rispetto al sessantotto per cento degli uomini. Da questo divario di conoscenza derivano: una minore capacità di risparmio, che è vissuto come pratica residuale più che come pianificazione, una minore propensione all’investimento (solo il 45 per cento delle donne risparmia, e prevalentemente in piccola parte), oltre alla stravagante idea che il possesso di denaro sia non solo gratificante, ma in primo luogo legato alle opportunità di consumo personale: in parole povere, lo shopping, la borsetta nuova, il vestito griffato.

[…] Il sunto, il succo, il summary delle interviste rilasciate da Seymandi ci dicono che i suoi non può semplicemente permettersi di perderli, e il testo dell’abbandono di Segre che non può farlo neanche lui. Che poi qualcuno “trovi un po’ pallida” la bella signora bionda, come nel racconto di adulterio estivo di Fruttero&Lucentini, nessuno ha capito l’Italia più di loro, è davvero una faccenda lasciata al godimento popolare, cioè è del tutto marginale.

Da Notizie.it

Estratto dell’articolo di Giuliano Ferrara per “il Foglio” venerdì 11 agosto 2023. 

Non è così triste […] la storia di Massimo Segre e Cristina Seymandi. La si può considerare un apologo scherzoso sui rischi del bovarismo più sfrenato, il preadulterio. Qualcuno doveva pur fissare il concetto popolarizzato in una campagna contro l’abbandono degli animali: non abbandonare chi ti ama. Vale anche per i cristiani. 

Sono tutte fantasie, […] queste del farsela con un altro o con un’altra, e si ha il diritto femminile di considerarle una violenza privata, bolli carte e tribunali, ma sono anche testimonianze festaiole del fatto che alla reciproca fedeltà in amore è possibile tenere il giusto. […]

Tutto sommato, meglio prima che dopo, con più carte più bolli e magari dei pupi in ecoansia da scoppiamento della famiglia. […] La prevalenza dell’adulterio, magari pre, doveva pure un giorno trovare un piccolo confine gogoliano in una festa in collina. Il teatro cittadino subalpino […] sembra fatto apposta per questo. 

[…] In fondo questo atto mancato, questa festa parecchio a sorpresa, dimostrano quanto qui argomentato da tempo, a titolo strettamente personale, in proposito del matrimonio e del divorzio. L’opposto logico del matrimonio, heri dicebamus, non è il divorzio, è il non-matrimonio.

Come il non-concepimento è una soluzione migliore dell’aborto o interruzione volontaria, volontaria per alcuni ma non per altri, della gravidanza. E la celebrazione di un non-matrimonio ha qualcosa di succoso e impegnativamente didascalico. Salvo per quel riferimento alle ferie a Mykonos, già tutto pagato […], che non è propriamente da gentiluomini, e che la categoria dei commercialisti dovrebbe rimarcare, visto che anche loro hanno un’anima e un codice cavalleresco, come una storpiatura.

Da Il Fatto Quotidiano.

Estratto dell’articolo di Tommaso Rodano per il “Fatto quotidiano” martedì 15 agosto 2023. 

La sceneggiata sabauda è già la storia dell’estate. Vizi privati sbattuti in pubblico, sesso e buona società: si potevano ignorare le corna del finanziere Massimo Segre e della rampante Cristina Seymandi? […] “È pura commedia all’italiana”, sostiene Marino Niola, antropologo, intellettuale e docente […] 

Professore, partiamo dalle basi: perché si dice “mettere le corna”?

[…] La prima: per via delle abitudini riproduttive della capra, le cui femmine cambiano partner frequentemente. La seconda è storicamente più elaborata e si riferisce ai tempi dell’impero bizantino: quando i mariti non volevano cedere le proprie donne ai Comneni, i regnanti le prendevano con la forza e poi, per umiliare i loro uomini, gli facevano affiggere delle corna di cervo sulla porta di casa. Pare che in Sicilia “le corna” siano state portate da Guglielmo II, il normanno, che ne apprese la tradizione a Salonicco dopo aver combattuto i bizantini.

Basta così?

C’è pure un’ipotesi mitologica, legata alla leggenda del re di Creta, Minosse e di sua moglie Pasifae. Minosse fu costretto a sacrificare un toro bellissimo a Poseidone, ma provò a imbrogliare il dio offrendogli un altro bovino più scadente. Poseidone se ne accorse e lo punì, facendo innamorare la moglie Pasifae del toro stesso. Dall’amplesso nacque il Minotauro. Durante le assemblee i cretesi mostravano le corna al re, per prenderlo in giro. 

Perché gli italiani si sono tanto appassionati a questa storiella di corna della borghesia torinese?

L’Italia è un paese latino: familista, virilista, machista. Siamo una società dell’onore e non della colpa: il tradimento, per una persona, significa non essere in grado di far rispettare la propria reputazione. In certe culture, penso a quella siciliana, “cornuto” è l’offesa massima. Peggio di “fetuso”. 

[…] Le corna nel cinema, nel teatro, nella società: un eterno luogo comune.

La Sicilia si può considerare la patria elettiva, forse perché l’isola è stata a lungo sotto dominazione araba. La commedia all’italiana ha fatto un topos del marito geloso, penso alla figura di Tiberio Murgia, nato in Sardegna, ma caratterista siciliano per eccellenza. Napoli invece è una metropoli dove le donne hanno sempre lavorato, emancipandosi dalla segregazione familiare. La sceneggiata napoletana – Isso, essa e 'o malamente – era una sorta di idealizzazione della società maschile: una rappresentazione di quello che i maschi avrebbero dovuto fare, ma non facevano, per vendicare l’onore.

[…] S’immagini le corna della Torino bene in un contesto rustico, diciamo. Una periferia a Roma o Napoli.

Credo il tutto si sarebbe svolto in maniera meno composta: probabilmente si sarebbero menati. Giocandoci un po’ sopra: a Tor Bella Monaca magari lui l’avrebbe appellata “t...”, senza aplomb sabaudo. A Barra o Ponticelli (Napoli) sarebbe finita a pesci in faccia, al quartiere Zen di Palermo forse ci sarebbe scappato il morto.

Estratto dell'articolo di Selvaggia Lucarelli per “il Fatto quotidiano” mercoledì 23 agosto 2023.

Io l’ho capito vedendo Temptation Island che i costumi nel campo delle sceneggiate sentimentali stanno cambiando. Per anni, il reality di Maria De Filippi sulle coppie ha sfornato principalmente siparietti sgangherati tra fidanzati espansivi del Sud Italia. Abbiamo visto di tutto, pugni sulle porte, piazzate, lacrime, recriminazioni, panni sporchi lavati e asciugati in pubblico […] 

Il Nord era sempre stato più sobrio, modesto, defilato. Poi, quest’anno, all’improvviso, il ribaltone. Coppie di insospettabili triestini e milanesi si sono presi lo spazio variopinto delle sceneggiate su pubblica spiaggia e la fiamma del falò di confronto è rimasta viva grazie all’esibizionismo sentimentale di gente con insindacabili accenti del Nord.

[…] È lì che ho capito che la telenovela dell’estate avrebbe potuto soffiare dalle Alpi e non dal Mediterraneo. Certo, che potesse arrivare proprio dal Piemonte, da una terra in cui si riesce a mantenere riserbo pure sulla ricetta della Nutella, ha sorpreso anche me che, come dicevo, ero più pronta di voi. 

La vicenda Segre-Seymandi non è una banale storia di corna, ma un più avvincente intreccio di potere, soldi e reputazione. È questo che la rende così interessante, così longeva, che la eleva a Succession anziché a Beautiful.

Massimo Segre non ha scelto la strada del pubblico sputtanamento della fidanzata perché preoccupato di perdere lei, ma la sua reputazione. Si è detto molto del fare poco sabaudo di Segre, di questa scelta sguaiata e così poco torinese, ma la verità è che quel che ha fatto il banchiere è, invece, molto sabaudo. Ha agito con razionalità, probabilmente leggendo il suo pippone recriminatorio davanti allo specchio per giorni, magari riprendendosi col telefono per rivedersi due, tre volte in bagno prima di andare a dormire e sentirsi Joker che pianifica di distruggere Gotham City. 

Ha premeditato la festa di compleanno di lei come se niente fosse, immaginando il colpo di scena, roba che solo gli attentatori dell’11 settembre, con le loro lezioni di volo, sono stati capaci di una pianificazione più lucida e dilatata nel tempo.

[…] Poi c’è l’aspetto della reputazione, che è il vero perno attorno al quale girano movente e vendetta. Segre era preoccupato per una ramificazione ben più importante di quella che spiccava sulla sua testa, ovvero quella del suo albero genealogico. 

La fidanzata bionda e pure sottoposta (lavorava per lui) aveva osato tradirlo nell’ambiente dei liberi professionisti torinesi. Chissà cosa avrebbero pensato i parenti se l’avessero saputo, chissà quanti a Torino si sarebbero dati di gomito vedendoli passare, dopo aver creduto tutti a quell’amore così adamantino e disinteressato. Lui, Massimo Segre, il potente banchiere, che fa la fine di un’Ilary Blasi qualunque. 

Anche la storia dello zaffiro è incredibile, se ci pensate. Le parole di lui sull’anello sembrano cronache rosa settecentesche: “Da quando, esattamente tre anni prima, il 28.7.2020 infilai al dito di Cristina lo zaffiro di mia madre, chiedendole di sposarmi e ottenendone l’assenso, io non sono più stato libero di amare altre e così avrebbe dovuto essere per lei. Così intendevamo entrambi impostare la nostra relazione e il nostro matrimonio. Questo era il patto suggellato indossando l’anello della mia famiglia. Cristina non solo ne era totalmente consapevole e consenziente, ma lo pretendeva”.

Probabilmente, prima di chiederle la mano, avrà ottenuto la licenza matrimoniale dall’Arcivescovo di Canterbury. La sua amica Jane Austen gli avrebbe fatto da testimone di nozze.

La parte migliore di questo riassunto dei fatti comunque è Cristina che non gli risponde “sì”, ma gli dà “l’assenso”.

Che se ci pensate bene è più un’espressione indicata per descrivere un assenso all’eutanasia, a un’alimentazione artificiale da sospendere, che un “sì” pronunciato da una sposa felice. Anche il passaggio sull’anello della suocera che sancisce la fine di ogni libertà di amare altri è un capolavoro. L’unico oggetto pensato con quello scopo sarebbe la cintura di castità, non il brillocco di mamma, ma Segre sembra ignorarlo.

[…] Il romanzo dell’estate si fa poi epistolare. Lui scrive una lettera a un giornale per dire che nel raccontare la verità pubblicamente non vi è violenza. Lei forse a quel punto vorrebbe dirgli “brutto pelato vendicativo come una zecca pelosa”, tanto nel dire la verità non c’è violenza, ma scrive più educatamente una lettera soporifera in legalese in cui parla di “femminicidio mediatico”. 

Lui scrive che no, proprio non voleva sputtanarla, ha dovuto rinunciare alla sua proverbiale riservatezza, ma lei chissà quante bugie avrebbe raccontato sulla loro rottura. In pratica, un processo mediatico alle intenzioni. E menomale che era un uomo notoriamente riservato, se avesse avuto la fama dell’espansivo l’avrebbe sputtanata al Super Bowl. 

Ora c’è anche la storia di questi 700.000 euro che lui rivuole indietro, dopo che ad aprile erano transitati dal suo conto a quello della fidanzata. Se ne è accorto adesso, del resto era un ammanco così irrisorio che doveva spulciarsi bene l’estratto conto. È un po’ quello che succede a noi quando dopo anni ci accorgiamo che l’operatore telefonico trattiene un euro per inviarci la bolletta cartacea a casa.

Comunque, in tutta questa vicenda, i più sabaudi di tutti sono stati gli amici presenti alla festa. Nessuno che ci abbia raccontato qualcosa sull’unico vero punto di domanda: come si sono salutati, alla fine della sceneggiata? “Oh, grazie Massimo, bella serata!”. “Oh, Massimo, bella camicia, è lino?”. Sono usciti dalla festa strisciando sotto i tavoli come durante un’ attentato dinamitardo? Ecco, questo è l’unico, vero finale che ci manca.

Da L’Inkiesta.

La donna stracciata. L’inusuale esibizionismo torinese e gli indignati che scambiano un cornuto per un bullo. Guia Soncini su L'Inkiesta l'11 Agosto 2023

In una città tradizionalmente schiva è accaduta una burinata, ma le cronache dei giornali anziché allietarci l’estate con altri favolosi colpi di scena sulla coppia scoppiata si soffermano sui sopracciò degli opinionisti offesi a favore di cuoricini

«Non pensatemi stracciata», dice ieri mattina alla Stampa colei che, scoprisse pure la cura per il cancro, resterà ormai sempre la cornificatrice che rimaneva immobile, coi fiori in mano, ad ascoltare il tizio che la stava lasciando facendo uno show davanti agli invitati alla loro festa di fidanzamento.

La scelta lessicale, “stracciata”, è molto interessante, e io sono molto indecisa rispetto all’angolazione da cui prendere questa vicenda che ha rallegrato un’estate che aveva molto bisogno d’un’alternativa ai ricchi che vivono da poveri: i torinesi che vivono da esibizionisti.

Scarterei quella «stato dei giornali che, non avendo evidentemente mai guardato il programma del decennio e non essendosi neanche fatti un’idea vaga di come sia costruito, usano tutti, per spiegare la vicenda, la chiave “Temptation Island”»: non è che ogni giorno possa mettermi qui a fare il non elogio funebre della stampa italiana.

Le angolazioni rimanenti mi pare siano due. Una attiene all’esibizionismo, e una alle fatiche del secondo giorno. Ma prima, casomai aveste passato gli ultimi due giorni nella capanna di Unabomber a leggere Musil, riassumiamo i fatti.

È mercoledì, giornata moscissima per i pettegolezzi estivi: sulla copertina del nuovo numero di Chi ci sono Maria Elena Boschi e Giulio Berruti che raccontano il loro amore. L’intervista non sarebbe in grado di interessare neanche i parenti dei due protagonisti, e noialtre comari disperiamo che questa estate sappia divertirci, quando arriva il video di fine di mondo.

Sarebbe il solito video che viene girato ormai in qualunque occasione alla quale sia presente più d’una persona (che la politica non si sia ancora resa conto che la vera questione di questo secolo è che ogni telefono ha una telecamera spiega la condanna all’irrilevanza della politica stessa).

È una festa di fidanzamento, i futuri sposi parlano, gli invitati li riprendono: come accade in qualunque concerto, pizzeria, compleanno, aperitivo. Solo che, quando lo sposo – che i giornali poi definiranno con espressione squisitamente novecentesca «della Torino-bene» – prende la parola, in confronto «ma Bruto è uomo d’onore» diventa un discorsetto amichevole.

La sposa in potenza sta lì, coi fiori in mano, dopo aver ringraziato il catering e altre amenità, e lui legge da un foglio e ringrazia anche lui il catering e il dj e un’amica (che nelle esegesi pettegole diventerà subito la delatrice), ma poi fa la mossa del tormentone, quella che farà diventare quella serata il video dell’estate: prende le corna e, invece di trattarle con una disinvoltura da Torino-bene, riserva loro una stizza da Gennarino Carunchio. 

«Comincio con le scuse con [sic] tutti voi per questo pippone […] Dovrei annunciare a tutti voi che a ottobre io e Cristina ci sposiamo […] Questa sera desidero regalare a Cristina la libertà di amare, amare una persona, un noto avvocato cui chiaramente tiene più che a me […] Cara Cristina, so di [sic] quanto tu ne sia innamorata, sia dal punto di vista mentale che sessuale […] e so che prima di lui hai avuto una relazione con un noto industriale. Cari amici, non crediate che mi faccia piacere fare la figura del cornuto davanti a tutti voi».

Ora. Immaginate, se siete tra i dodici italiani che non hanno guardato il video (pubblicato da Lo spiffero, che non so cosa sia ma corro ad abbonarmi), che mentre lo sposo potenziale illustra le proprie corna, la sposa forse non più tanto potenziale resti lì, immobile, coi fiori in braccio.

Il primo giorno, il commento più diffuso era: solo a Torino. A Roma figurati, lei avrebbe fatto una scenata, si sarebbe messa a urlare, e allora tu, e ora però dico io le cose come stanno. Solo a Torino quello avrebbe finito il monologo come in una soap, indisturbato, mentre gli invitati restavano gelati. Solo a Torino chi filma, che il dio del cinema lo fulmini, avrebbe smesso di filmare proprio quando il discorso finisce e il cornuto molla il microfono, andando via seguito da lei, sempre muta e sempre coi fiori: sarà stato allora che sarà cominciato il casino vero, e tu spegni la telecamera?

Ma gli stessi che dicono «solo a Torino» avrebbero, fino a un attimo prima, giurato che mai a Torino. Mai in quella città schiva e di annecarledosio sarebbe potuta accadere una simile burinata. Se non l’ha capito la politica, quanto le telecamere sui telefoni abbiano cambiato il carattere degli esseri umani, figuriamoci se l’hanno capito gli aspiranti ritrattisti di caratteri locali.

Avrete anche voi un amico cui mercoledì avete mandato il video della piazzata, e che come suo solito non ha fatto un commento brillante che fosse uno, non ha notato un dettaglio sublime che fosse uno, come suo solito è stato un conversatore scarso. L’avrete poi ritrovato, quello stesso amico, su qualche social a fare lo splendido facendo battute sul cornuto del giorno.

Non è che l’amico che quando parla con voi ha la brillantezza di Valeria Marini poi sui social diventi Karl Kraus, ma lo vedete che mette, nel farsi cuoricinare dagli sconosciuti, un impegno che non impiega mai per intrattenere voi. L’umanità, in questo secolo più che mai, esiste solo di fronte a un pubblico, si rianima solo se viene guardata, s’impegna nella performance solo se s’accendono le telecamere dei telefoni.

Certo che il magnifico cornuto avrebbe potuto dire riservatamente alla sua Claudia Cardinale cara, ho saputo che te la fai con certi amici nostri, magari chiudiamo qui: ma vuoi mettere la soddisfazione di fare in pubblico la parte del generoso benché tradito («a Mykonos vai con il tuo avvocato, sii felice con lui: come sai, è tutto pagato»).

Vuoi mettere diventare leggenda istantaneamente (quasi istantaneamente: il filmato è del 27 luglio, chissà che sofferenza pensare per due settimane di aver fatto a vuoto quel numero a colori), e delle leggende avere i dettagli improbabili dati per veri da chi la sa lunghissima. Persino quell’intervista di Chi torna utile, nel punto in cui Berruti dice: «Il problema è che il complotto è sexy».

Come sempre nelle leggende, è impossibile sapere quali delle cose che si dicono del video che ci ha rallegrato l’agosto siano vere e quali no: davvero lei è svenuta dopo il discorso di lui (e dopo lo spegnimento della telecamera)? Davvero tra gli invitati c’erano due amanti di lei con le rispettive mogli? «Non eravamo centocinquanta, eravamo quarantacinque ed erano quasi tutti amici miei», rivendica lei nell’intervista alla Stampa. E anche: «Le persone che lui ha citato sono tutti fantasmi» (Yasmina Reza sta prendendo appunti).

Ma adesso basta parlare del filmato. Parliamo del secondo giorno. Ieri. La regola, nell’epoca in cui anche le valeriemarini sono costrette ad atteggiarsi a Karl Kraus, è che su una notizia o ci arrivi subito o ci arrivi con un’idea dirompente. E quindi ieri cos’hanno fatto tutti quelli che non si erano sbrigati a commentare il mercoledì del magnifico cornuto? Hanno cercato una chiave di lettura originale.

Una interessante chiesa che va da Christian Raimo a Giovanna Melandri ha optato per la lettura «bullismo e sessismo». Il cornuto avrebbe vessato la cornificatrice umiliandola pubblicamente. Nell’estate che ha deciso che “Barbie” è un baluardo dell’affermazione femminista, la cornificatrice non lo è. Fosse stata cornuta, e avesse fatto lei la piazzata, ne avremmo fatto la Carla Lonzi di questo secolo, o almeno la Taylor Swift delle piemontesi. Ma invece il non sposo le ha dato della poco di buono davanti a tutti, e quindi possiamo usare una delle nostre categorie a casaccio preferite: bullismo.

Lei ha capito l’andazzo, e alla Stampa dice: «A proposito di tradimenti, lui deve pensare a sé stesso in primis» (vale sempre la regola di Claudio Giunta: il latino è un crampo dell’intelletto; ma anche la regola del «maledizione, perché a fare una scenata simile non ci ho pensato io per prima»).

Come tutti i comizi e i monologhi teatrali, anche il discorso dell’Ugo Tognazzi che ci possiamo permettere è già oggetto di esegesi che ne svelino secondi strati. Egli data l’inizio della loro storia al 3 marzo 2020, cioè sei giorni prima che gli italiani venissero chiusi in casa dal governo pandemico. Dunque la coppia dell’estate è una di quelle coppie che si sono trovate a convivere forzatamente vedendo la clausura da pandemia trasformare un limone distratto in una relazione stabile? Se tre anni dopo si sono ritrovati a riempirsi di corna e a sputtanarsi in pubblico, è colpa del governo che ti costringeva a elevare qualcuno ad affetto stabile solo per andarci a letto?

E quando viene evocata la suocera, cui la cornificatrice avrebbe detto che temeva che il cornuto la maltrattasse («io che una donna non la sfiorerei neanche con un fiore»: il monologo del momento è scritto come un calendario di Frate Indovino), è quella forse una mossa preventiva per depotenziare le accuse che si aspetta Christian Raimo? E quando dice «come ti sei confidata» di chi parla: a chi la non più sposa avrebbe raccontato dell’avvocato? Spero nella resurrezione del giornalismo, per svelare tutti questi misteri.

Certo, adesso ci vorrebbe il colpo di scena. «Voi uomini ci sospettate solo quando siamo innocenti», diceva una delle amanti del “Magnifico cornuto”. Adesso l’avvocato, l’industriale, tutti i presunti colpevoli di concorso in cornutaggine dovrebbero, per salvare la reputazione della signora, confessare d’essere gay.

Svelando ai cinefili che il vero riferimento non era Marcantonio al funerale di Cesare; non era neppure Eleonora Giorgi che in “Sapore di mare 2” interrompe Little Tony per urlare al suo amante «grandissimo cornuto, ancora ti aspetto a Montecarlo».

Il vero riferimento della Torino-bene è evidentemente quel film del 1997 in cui Kevin Kline aspetta l’ultimo minuto per svelare a Joan Cusack, già con l’abito da sposa addosso, che lui veramente è gay. E lei all’improvviso, pur senza il soccorso dei reporter investigativi, capisce la fissa di lui per Barbra Streisand. E si sente abbastanza stracciata. 

Da La Fionda.

Massimo Segre: un esempio di dignità maschile. Davide Stasi il 10 Agosto 2023 lafionda.com

Massimo Segre è un banchiere e professionista, la cui famiglia da sempre è legata all’impero dei De Benedetti. Un uomo ricco, insomma, divenuto parte integrante della classe dirigente del paese facendosi largo nel difficile mondo della finanza e del business. Negli ultimi giorni ha fatto il giro del web il video con cui annuncia la separazione dalla sua compagna, Cristina Seymandi, ex assistente dell’ex Sindaco di Torino Chiara Appendino. I due avevano stretto una relazione a partire dal marzo 2020 e da quel momento per ben tre volte avevano tentato di organizzare il loro matrimonio. Tentativi sempre falliti per cause esterne, a partire dalla pandemia. Finalmente, però, il lieto giorno sembrava all’orizzonte: partecipazioni stampate, si farà nell’ottobre 2023. O meglio: si sarebbe dovuto fare nell’ottobre 2023. Sì perché Segre, durante una festa con la “Torino Bene”, qualche giorno fa, dopo i ringraziamenti di rito per gli organizzatori, legge un testo con cui, a tutti gli effetti, lascia la compagna. «Ti regalo la libertà di amare», dice Segre al microfono, mentre il brusio e gli applausi della folla si spengono e muoiono via via che legge il testo che si è preparato, anche per vincere l’inevitabile emozione.

«Ti lascio la libertà di amare un’altra persona, un noto avvocato a cui chiaramente tieni più che a me». Segre parla con voce calma e sicura. «So di quanto tu ne sia innamorata sia dal punto di vista mentale che sessuale», prosegue, scavando nel proprio dolore («sono tanto deluso, ho il cuore a pezzi…») davanti a un pubblico probabilmente raggelato. Il momento è fatale e Segre non esita a mettere il carico sul tavolo: «e so anche che prima di lui hai avuto una relazione con un noto industriale». Già a questo punto ci si chiede perché l’uomo abbia deciso di svelare pubblicamente di «essere cornuto». Segre stesso anticipa la risposta: la sua compagna, dice, è particolarmente abile a raccontare le «sue verità», dunque si è reso necessario ufficializzare la verità vera in pubblico. Il tutto accade mentre Seymandi, in piedi davanti all’ormai ex compagno, guarda altrove. Sembra cercare conforto in qualcuno dei presenti, ha l’espressione incredula, svuotata. Segre a quel punto conclude il breve discorso sancendo l’interruzione della convivenza e, senza negarsi di pareggiare tutti i conti, attribuendo alla relazione con la Seymandi la crisi nel rapporto con i suoi figli. Invita infine l’ex compagna a usufruire dei viaggi organizzati a Mykonos e in Vietnam: «come sai, è tutto già pagato». L’intera scena viene ripresa da una persona presente. Il video viene postato e diventa comprensibilmente virale. 

Un esempio di dignità maschile.

Chi l’ha visto è rimasto colpito dalla calma con cui Segre snocciola i motivi di una decisione così radicale. Chi c’è passato lo sa: è davvero complicato mantenersi razionali quando scopri che la persona in cui avevi riposto fiducia, amore e progetti futuri ha tradito il patto, rinnegato le promesse e infangato i ricordi. Di punto in bianco ti ritrovi con un’intera impalcatura, quella montata per regolare la costruzione di un futuro insieme, completamente collassata, e al suo posto vedi soltanto il buio, dentro provi uno sbigottimento gelido da cui, a seconda del temperamento, può scaturire qualunque cosa. In Segre questo sconvolgimento interiore ha fatto scaturire non freddezza, come pare a molti, ma la più pura e alta dignità maschile. Una componente essenziale della quale è la capacità di trattenere la naturale aggressività, incanalandola nei binari della ragione e trasformandola da elemento potenzialmente distruttivo in una pulsione alla correttezza e quando necessario anche in un’arma di precisione. Segre non urla, non insulta, non alza le mani, né usa armi, come potrebbe fare un uomo di inferiore caratura, eppure presenta un conto salatissimo alla donna che con un comportamento scorretto ha mandato in fumo tre anni di ricordi e tutte le potenzialità degli anni a venire. Da questo “addio”, che certamente Segre immaginava avrebbe fatto il giro dei media nazionali, la Seymandi esce in frantumi, sotto tutti i profili.

Perde infatti un “ottimo partito”, come si diceva una volta, con tutta la stabilità e le comodità che ne potevano conseguire, in continuità di rapporto o anche dopo un divorzio. Vero è che, stando a ciò che dice Segre, Seymandi ha standard molto alti (un noto avvocato, un industriale…), ma chi tra i possibili futuri compagni ricchi o benestanti si fiderà più di lei, adesso? Al centro non c’è però soltanto la sua infedeltà, già di per sé grave, bensì anche il quadro che, con le sue parole, l’ex fa di lei: dal resoconto di Segre, Seymandi appare come persona fredda, manipolatrice, cinica, bugiarda seriale, capace di portare zizzania, più che unione e amore, ovunque passi. E infine il capolavoro, con cui Segre ha voluto stravincere: i viaggi (forse, ipotizziamo, organizzati come “luna di miele”) regalati a lei e al suo amante, probabile nuovo fidanzato. Non è soltanto elemosina, ma un gesto che sottintende tutto il benessere a cui Seymandi da quel momento dovrà rinunciare, incarnata da un uomo talmente benestante da farsi un baffo di perdere il denaro pagato per due viaggi all’estero. Il tutto, ricordiamolo, fatto in pubblico, tra conoscenti e amici pronti a festeggiare, con la probabile consapevolezza che le immagini sarebbero state in breve viralizzate in rete. A conti fatti, così Segre letteralmente polverizza la sua ex compagna. Senza alzare un dito, ma semplicemente contrapponendo, con forza tranquilla, la propria dignità maschile alla sua scorrettezza.

Massimo Segre durante il suo discorso di addio e Cristina Seymandi disorientata. 

Così fa un uomo.

Decliniamo il termine dignità come “maschile” per una ragione ben precisa, ben più profonda del fatto che l’uomo-Segre non abbia usato alcuna violenza, verbale o fisica, contro l’ex infedele. Lo facciamo perché si tratta di una dignità che non è per tutti, la si può esercitare soltanto se, a monte, ce la si può permettere. È evidente che una situazione uguale in una coppia di un quartiere popolare di una qualunque delle nostre città difficilmente sarebbe arrivata alla pubblicazione delle partecipazioni e alla festa di annuncio delle nozze. Probabilmente sarebbe terminata molto prima tra urla, rivendicazioni, insulti, magari botte o peggio. Condotte sbagliatissime che accadono quando sono coinvolti uomini che hanno abdicato ai loro doveri di uomini. La spiegazione facile è che Segre possa permettersi di essere così dignitoso soltanto perché ricco, mentre a un poveraccio non resta che menar le mani. È una spiegazione sbagliata: la ricchezza materiale è soltanto un fatto accidentale discendente da cause precise. Segre può permettersi di esercitare una dignità tipicamente maschile perché ha accettato tempo fa la responsabilità discendente dall’essere uomo in questa realtà e ha costruito la propria esistenza attorno a quella responsabilità. Quando c’è stato da studiare, ha studiato; quando c’è stato da lavorare duro per fare carriera, ha lavorato duro; quando c’è stato da essere sgradevole per eliminare un concorrente, probabilmente lo è stato; quando c’è stato da autodisciplinarsi duramente, probabilmente l’ha fatto e quando c’è stato da sacrificarsi, probabilmente si è sacrificato. Questo, in gran parte, è richiesto all’essere uomo e questo Segre ha fatto, mettendosi in condizione di agire come ha agito qualche giorno fa con la propria promessa sposa infedele.

Ecco perché chiamiamo “maschile” la sua dignità, dunque: perché nasce da una tranquilla accettazione di ciò che significhi essere uomo nella realtà attuale e da una condotta disciplinata per trarre da quell’accettazione il meglio possibile. Tra cui la posizione per poter pareggiare i conti con chi lo ha ferito nel profondo, senza rischiare alcun tipo di denuncia. L’esercizio di questa dignità lenirà il suo dolore, rimetterà insieme il suo «cuore a pezzi»? Probabilmente no. La demolizione di tre anni di ricordi e un’infinità di progetti futuri sono duri da mandar giù. Ma è certo che, diversamente dalla sua ex compagna, oggi Segre possa guardare con orgoglio se stesso allo specchio di casa e nello specchio degli occhi altrui. “Cornuto” sì, ma mai come in questo caso il disonorevole epiteto viene obliterato nettamente dalla reazione, soverchiato da qualcosa di molto più evidente: Segre è un uomo forte, dignitoso, di carattere. Cioè è un uomo come dovrebbe sempre essere un uomo. Al netto della delusione e del dolore sentimentale, non è poco. Senza contare che la sua condotta ha dimostrato in termini generali che, quando certi amori finiscono, si crea negli equilibri universali una perturbazione che necessita di essere corretta con decisione, per poter proseguire il proprio percorso esistenziale. Ci sono casi in cui non si può fare a meno di applicare quella correzione. Segre ha mostrato a tutti qual è il modo con cui un uomo lo fa. A lui il nostro plauso.

Da Mowmag.com.

Segre "violento" e "narcisista"? Se il suo discorso l'avesse fatto una donna sarebbe la nuova Barbie femminista (o la nuova Shakira). Grazia Sambruna il 10 agosto 2023 su mowmag.com

Assurdo cosa accade. Il video lanciato da Dagospia col banchiere Massimo Segre che molla la promessa sposa Cristina Saymandi durante la loro la festa di fidanzamento perché, rivela, lei lo tradiva, è passato in sole 24 ore dalla barzelletta preferita d'Italia a una vera e propria gogna mediatica nei confronti dell'uomo, accusato di essere addirittura "violento" e "narcisista patologico". Peccato solo che se quelle stesse parole le avesse pronunciate una donna, sarebbe già paladina del nuovo femminismo. Proprio come Shakira...

"All'uomo! All'uomo!". Oramai si può benissimo sostituire questa esclamazione d'allarme a quella, più generica e vetusta, che indicava invece il lupo come minaccia all'incolumità personale. Tocca tornare nuovamente sui cortocircuiti del doppio standard e tocca farlo con urgenza, perché la nostra ridente società proseguita a non imbroccarne una. E a schierarsi in massa via social per fare danni, potenzialmente, ancora maggiori. A meno che nel pomeriggio del 9 agosto non foste su una SpaceX in compagnia di Elon Musk verso Marte, di sicuro avrete visto il video, pubblicato da Dagospia, in cui due più che benestanti torinesi si mollano. Alla loro stessa festa di fidanzamento lui, Massimo Segre, prende il microfono e, con aplomb invidiabile, elenca i motivi per cui, a sopresa, non sposerà più la compagna Cristina Seymandi. "Ti regalo la libertà - le dice - la libertà di andare a Mykonos con l'uomo che ami davvero" (un falcoltoso avvocato locale, pare). Sia come sia, dopo le assai copiose risa generate dalla feral clip, ecco oggi le migliori (?) menti della nostra creme intellettuale stracciarsi le vesti, puntare il dito contro quel bruto, Segre, che ha osato perpetrare il folle gesto di lasciare una donna che, forse, non lo amava neanche troppo. Invece di sposarla comunque e stare zitto, si suppone. Da più parti, gli si dà del "violento" (addirittura?), mentre c'è chi con una laurea in Psicologia conseguita nottetempo, diagnostica allo sciagurato perfino un disturbo narcisistico di personalità. E tutto questo per un semplice motivo, ovviamente sottinteso: Segre è un uomo, se fosse stato una donna, oggi sarebbe la nuova Barbie paladina dell'empowerment femminile. E questa non è una supposizione. Basti pensare a come sia stata elevata a idola delle masse Shakira per quella revenge song (e tutte le altre infamie) contro l'ex fedifrago Gerard Piquè. 

All'inizio, pensavamo si trattasse di semplici troll estivi. Sotto all'ombrellone ci si annoia un bel po', è noto. E allora perché non andare a pungolare la storiella del giorno, quella sulla bocca di tutti, per stravolgerla e farci un po' di big like? Ma sì. Così, l'intervento via Twitter (pardon, X!) di Christian Raimo poteva sembrare (e ancora speriamo sia) nato da semplice bramosia di boutade. Si parte da una presunta "violenza" che Segre avrebbe perpetrato ai danni della compagna, arrivando alla conclusione che, essendo questo video su tutti i giornali online, "è inutile fare corsi di cyberbullismo nelle scuole". Sarà uno scherzo, impossibile prendere una sparata del genere seriamente. Eppure, la conferma che il "sentiment" nei confronti della scenetta à-la Temptation Island tra ricconi sia stato stravolto arriva presto... 

C'è un video su tutti i giornali in cui un uomo infama con violenza la sua compagna in una festa: embeddato, con i titoli acchiappini, Il video che scuote la Torino bene, Salta l'unione vip, Chi è lui, Chi è lei. Che cazzo uno li fa a fare i corsi sul cyberbullismo a scuola.

E arriva presto dalla Colombia, dove Selvaggia Lucarelli sta svernando in vacanza. La nostra arriva a interrompere la propria siesta per un intervento a gamba tesa, contro Segre. Descrive il video come "desolante" e da lì in poi, asfalta il poro banchiere: "un boomer passivo aggressivo [...] con la freddezza del serial killer". In chiusura, sottolinea: "A voi che applaudite quell'uomo, ricordo che questa roba è violenza. Segre è tutto meno che ferito: è un narciso pieno di sé che ha pianificato la sua vendetta con lucidità e umilia lei per riparare non un dolore ma una ferita narcisistica. E infatti la riparazione avviene in pubblico perché di quello ha bisogno: non di raccontare la sua sofferenza, ma di vincere. Uccidendo lei".

Anche soltanto la scelta semantica dei termini, fa rabbrividire: "serial killer" che alla fine "uccide", pure in modo "violento", la vittima. Ci dispiace, potrebbe essere tratta da un'enciclica di Papa Francesco, ma tale spatafiata, come quella precedente, è una boiata dall'inizio alla fine. E non certo per personalismi, ma per amor di buonsenso (ammesso che ancora esista e che non sia considerato un termine "patriarcarle", chissà mai, magari pure "fascista"). 

Se già in centinaia di migliaia di oche al pascolo e pur blasonati paperi ripostano quanto scritto da Lucarelli, come da tanti altri sulla falsariga del "trend", esprimendo grande biasimo nei confronti di Segre, noi ci diaciamo francamente terrificati. Terrificati da una società che delega il proprio senso critico (una prece!) agli hashtag del momento, a quanto gridano i social, a chi accumula più cuoricini di venerazione. Segre avrebbe potuto gestire la delicata situazione all'interno delle mura domestiche? Ovviamente sì. Ma perché farlo? Siamo reduci dalla seguitissima quattordecesima edizione di Temptation Island, ogni giorno in tv, pure d'estate, a qualsiasi ora, gente racconta i fatti propri alla mercé di milioni di telespettori. Per scandalizzarsi, in modo anche parecchio borghese, del dato fattuale che i media siano diventati lo sfogatoio di chiunque tenga un tiramento, è forse un filo tardi. Anzi, è proprio ridicolmente anacronistico. Intanto Segre è la persona peggiore del mondo, nonostante parli "con il cuore a pezzi". 

Solo pochi mesi fa, è stata eletta regina dell'empowerment femminile, nonché idola delle masse, la cantante Shakira per aver inciso una "revenge song" (canzone di vendetta, ndr) contro l'ex compagno Gerard Piqué. Stiamo parlando di una hit planetaria tesa a "infamare", quella volta sì, davvero, il calciatore, "reo" di averla tradita. Solo che lui, porello, non si chiamava "Cristina". E allora daje al fedifrago! E daje al fedifrago davanti a un pubblico, ovviamente, ma non quello di una festa privata, davanti al pubblico del mondo intero. Pubblico del mondo intero che ha reagito festante, nonostante il brano non fosse poi un granché, al grido di: "Le donne non piangono, le donne fatturano". E gli uomini, invece? Gli uomini invece devono subire. Pure le corna. Parlarne in casa magari, ma senza fare troppe scene. Chissà, accollarsi tradimenti e maldicenze perché, in quanto maschi, meritano le cose più turpi. Nessuno si è permesso di dare della "narcisista" o della "violenta", men che meno della "serial killer" a Shakira perfino quando ha postato su Instagram un video in cui canticchiava soavemente "Potrei uccidere il mio ex" mentre ramazzava casa.

Nascere maschi è, oggi come oggi, un peccato originale impossibile da estirpare nonostante pensieri, parole, opere e opinioni (che è in ogni caso meglio non esternare mai, per quieto vivere). Qualunque uomo deve alzarsi la mattina e professare almeno uno scaramantico Mea Culpa, nella speranza di non twittare qualcosa che possa essere considerato anche solo vagamente offensivo verso le Erinni con cui, oramai, si trova ad avere a che fare. Sui social come nella vita reale perché la comunicazione dei media, e questo accade da sempre, crea un'opinione, un'opinione di massa: la gente, per la maggior parte, ripete ciò che sente dire più spesso et voilà, eccoci arrivati alla guerra aprioristica tra i sessi, dove il maschio è sempre il bruto, la femmina eternamente santa immacolata, vittima, martire.  

Una distinzione squilibrata che in fin dei conti non fa bene a nessuno dei due "fronti": l'uomo ne esce limitatissimo, come fosse letteralmente il personaggio di Ken in Barbie. Costretto a camminare sulle uova per non essere aggredito dalla violenza, questa sì che tale si può definire, verbale delle Erinni di cui sopra. Le donne, invece, saranno pure arrabbiatissime ma ben si accomodano nella posizione di vittime, anche perché è una prospettiva ottima per avere sempre ragione, non importa cosa e come. Comoda sì, ma pure svilente. Sognare una società di pari in cui ognuno, a prescindere dal proprio sesso, possa essere considerato in base alle sue azione da soggetto, da individuo, da essere umano è mai come di questi tempi lontanissima utopia. Diamoci una svegliata, per cortesia. Anche se non farà engagement. 

Altri Casi.

Bari, complotto degli avvocati, tutti assolti: «Non nascosero droga nell'auto dell'amante della moglie». Filograno assolto perché il fatto non sussiste. Prosciolto il collega Loprieno, condannato un ex finanziere. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 2 Ottobre 2023.

Gaetano Filograno assolto perché il fatto non sussiste dall'accusa di aver organizzato un complotto ai danni dell'amante della moglie cui qualcuno nascose droga in auto nel 2014.

Lo ha deciso il gup di Bari, Antonella Cafagna, che ha dunque scagionato pienamente il legale al termine del processo con il rito abbreviato. Per lo stesso motivo (con la stessa formula) è stato disposto il non luogo a procedere nei confronti dell'altro accusato, Nicola Loprieno.

Un anno e 4 mesi, invece, la condanna comminata all'ex finanziere Enzo Cipolla, accusato di tentata corruzione in atti giudiziari per aver chiesto denaro alla presunta vittima del complotto.

Secondo l’accusa, i due avrebbero fatto in modo che l’amante (e attuale compagno) della ex moglie di Filograno, un imprenditore della provincia di Bari, venisse trovato in possesso di droga nel corso di un controllo della Guardia di Finanza nel 2014. L’uomo - che pochi giorni prima del controllo aveva denunciato Filograno per stalking - fu arrestato perché nella sua Smart furono trovati 26 grammi di cocaina, ma fu poi assolto con formula piena nel 2017.

(ANSA 25 settembre 2023.) La Procura di Bari ha chiesto la condanna a 4 anni di reclusione nei confronti di Gaetano Filograno e il rinvio a giudizio per Nicola Loprieno, avvocati (Loprieno è anche consigliere comunale di maggioranza) accusati in concorso di detenzione e spaccio di stupefacenti.

L'udienza preliminare è in corso: Filograno ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, Loprieno procede in ordinario. Per i pm Claudio Pinto e Savina Toscani, i due avrebbero fatto in modo che l'amante (e attuale compagno) della ex moglie di Filograno, un imprenditore della provincia di Bari, venisse trovato in possesso di droga nel corso di un controllo della Guardia di Finanza nel 2014. 

L'uomo - che pochi giorni prima del controllo aveva denunciato Filograno per stalking - fu arrestato perché nella sua Smart furono trovati 26 grammi di cocaina, ma fu poi assolto con formula piena nel 2017.

Nella vicenda è coinvolto anche l'ex finanziere Enzo Cipolla, che coordinò la perquisizione e poi, nel 2016, chiese all'imprenditore 15mila euro per fornire un elenco di domande che il difensore dell'imprenditore avrebbe potuto fargli nel processo - in quella vicenda il militare fu ascoltato come testimone - in modo da smontare l'accusa di spaccio. L'accusa nei suoi confronti è di tentata corruzione in atti giudiziari, la Procura ne ha chiesto la condanna a un anno e sei mesi di reclusione. L'udienza davanti alla gup Antonella Cafagna è ancora in corso. 

La giudice Cafagna ha rinviato al 2 ottobre la decisione sul procedimento che vede coinvolti gli avvocati Filograno e Loprieno. Nell'udienza di lunedì prossimo si terrà anche la discussione dell'avvocato Guido Ceci, difensore di Filograno. In quella di oggi, oltre alla discussione dei difensori delle altre parti coinvolte, c'è stata la deposizione dell'ex finanziere Enzo Cipolla, accusato di tentata corruzione in atti giudiziari e difeso dall'avvocato Salvatore Campanelli: in aula ha detto di aver chiesto i 15mila euro all'imprenditore allora sotto processo per spaccio di stupefacenti (l'attuale compagno dell'ex moglie di Filograno) "in modo scherzoso" e ha ricordato come in quel periodo (i fatti a lui contestati risalgono al 2016) vivesse un difficile momento personale. Nei suoi confronti la Procura ha chiesto la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione (non un anno e sei mesi come si era appreso in un primo momento).

Bari, il complotto degli avvocati: in aula la verità dell’ex finanziere. L’accusa: «Misero droga nell’auto per incastrare l’amante della moglie». L’ex maresciallo: chiesi denaro perché ero sopraffatto dai debiti di gioco.  MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 25 Settembre 2023

 La richiesta di 15mila euro avanzata all’uomo ingiustamente arrestato nel 2014 con 26 grammi di cocaina in macchina fu dovuta allo stato di necessità in cui si trovava per i debiti contratti con il gioco d’azzardo. Ma i soldi non sarebbero serviti a nulla, perché l’allora maresciallo Enzo Cipolla aveva già testimoniato nel processo a carico dell’imprenditore barese e dunque non avrebbe potuto più incidere in alcun modo. È questa la linea che Cipolla terrà oggi davanti al gup Antonella Cafagna, dove l’ex militare accusato di tentata corruzione in atti giudiziari ha chiesto di rendere dichiarazioni prima di essere giudicato con il rito abbreviato.

È dunque improbabile che Cipolla, 55 anni (difeso dall’avvocato Salvatore Campanelli) possa parlare dei coimputati, gli avvocati Nicola Loprieno e Gaetano Filograno, che secondo l’accusa avrebbero messo su il complotto ai danni dell’imprenditore per punirlo della sua relazione con l’allora moglie di Filograno e che per questo rispondono di detenzione e spaccio di stupefacenti...

Scagionato dopo l'arresto da parte della GdF, ora l'imprenditore vittima del presunto complotto racconta la sua versione dei fatti. Bari, cocaina nell’auto del rivale in amore per incastrarlo: scatta l’inchiesta che coinvolge anche un aspirante candidato sindaco. A Bari, va in scena un’inchiesta che vede coinvolti diversi esponenti del mondo politico locale e della buona borghesia della città. Alla base, pare ci sia una rivalità in amore. Redazione su Il Riformista il 12 Settembre 2023 

“Sono mesi e mesi che mi sta facendo tutto e il contrario di tutto. Ho avuto messaggi, sia minacce di morte, ho avuto delinquenti sotto casa, ho ricevuto telefonate da delinquenti che mi intimavano di lasciare la signora”: con queste parole F. G., 54 anni, un facoltoso imprenditore della provincia di Bari, così come raccontano oggi diversi quotidiani, fra cui l Corsera, avrebbe riferito al giudice del Tribunale di Bari le presunte minacce da Gaetano Filograno, noto avvocato e docente universitario.

Filograno è stato, negli anni, intellettuale vicino al Movimento Cinque Stelle. Di lui si dice fosse molto amico di Luigi Di Maio. Negli ultimi tempi, è stato fatto il suo nome quale possibile esponente della società civile per la corsa a sindaco del centrodestra barese. Un’ambizione che rischia di sfumare, per Filograno, vista la complicata vicenda giudiziaria che lo vede ora imputato con l’accusa di aver ordito un complotto contro di F. G. per vendicarsi in questo modo della relazione che l’imprenditore aveva con sua moglie.

Il processo prenderà il via il 25 settembre, con rito abbreviato. Filograno è sotto accusa – insieme al collega avvocato Nicola Loprieno, consigliere comunale di centrosinistra in carica eletto con la lista “Decaro sindaco” – per cessione di sostanze stupefacenti. Con loro due è imputato anche una ex guardia di finanza, Enzo Cipolla, accusato di corruzione in atti giudiziari che ha tentato di patteggiare la pena senza ottenere però il consenso della Procura.

Secondo l’accusa, Filograno voleva danneggiare il rivale in amore, appunto il facoltoso imprenditore. Per ottenere questo risultato, avrebbe fatto in modo che nell’auto di F. G. venisse trovata un bel po’ di cocaina, per la precisione 26 grammi. L’imprenditore venne infatti arrestato e nel 2014 venne condotto dinanzi al giudice. Venne poi completamente scagionato. All’epoca l’arresto avvenne sulla base di segnalazione alla guardia di finanza di una fonte confidenziale.

L’imprenditore, però, avrebbe subito anche altre persecuzioni: telefonate da numeri anonimi, minacce affinché lasciasse cadere la relazione, minacce perfino a sua figlia, una bambina di 13 anni. F. G., nel corso dell’interrogatorio dinanzi al giudice, ha anche affermato di aver subito pedinamenti e citofonate notturne. Infine, sarebbe stato, come racconta lui stesso al giudice, avvicinato con tono minaccioso da Filograno stesso, mentre era a Riva dei Tessali, località turistica amata dalla Bari bene.

F. G. nel corso dell’interrogatorio dinanzi al giudice riferisce le presente persecuzioni subite e parla delle telefonate. «Mi hanno chiamato con un numero anonimo per due volte nella stessa giornata, mi hanno detto di sapere che ero un bravo ragazzo, di lasciar perdere questa storia altrimenti avrei avuto delle brutte conseguenze, oltre al fatto che sapevano che io ho una bambina di tredici anni e mi hanno detto di lasciar perdere questa cosa». L’imprenditore non parla solo di telefonate, ma dice anche di essere stato seguito. «Sotto casa mia pedinamenti sempre del Filograno. Poi dopo i pedinamenti siamo passati a citofonate notturne e in qualsiasi ora della giornata. Poi siamo passati alle minacce telefoniche. Poi siamo… È stato un crescendo», dice al giudice. “Mi prese per il braccio – racconta G. – e mi dice “ora hai rotto i c..smettila e sparisci”.

Una sorta di spy story in salsa barese, dunque, della quale, dopo il 25 settembre, sono attese altre evoluzioni.

Bari, cocaina in auto per incastrare l'amante: due avvocati nei guai. Coinvolto anche un finanziere. Oggi l’udienza preliminare. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno l'11 Settembre 2023      

«Mi metteranno la droga in macchina» è la battuta tipica di chi teme, scherzando, di finire nei guai. A Bari dieci anni fa è però successo sul serio a un imprenditore, arrestato dopo un controllo per strada giusto dieci giorni dopo aver presentato una querela per minacce contro il marito della donna che stava frequentando. Conviene partire da qui per raccontare la storiaccia che stamattina approda in Tribunale: davanti al giudice delle indagini preliminari Antonella Cafagna dovranno comparire due noti avvocati impegnati in politica, accusati di aver organizzato il complotto, e un ex militare che avrebbe chiesto all’imprenditore 15mila euro per aiutarlo a discolparsi.

L’antefatto, dunque. Nel 2014 un imprenditore della provincia oggi 50enne, residente nel centro di Bari, viene fermato in auto dalla Finanza dalle parti del Policlinico. Il capopattuglia che effettua la perquisizione si chiama Enzo Cipolla, che quattro anni dopo verrà arrestato per concussione, condannato a un anno e 8 mesi e cacciato dal corpo (ci torneremo). Dentro la Smart il maresciallo Cipolla trova un involucro blu con 26 grammi di cocaina. «Me lo avete messo voi», protesta l’uomo che però viene arrestato e finisce davanti al giudice con l’accusa di spaccio. Ma di fronte alle tante incongruenze della vicenda (a casa dell’uomo, incensurato, i finanzieri sequestrano un «bilancino di precisione»: era una bilancia dell’Ikea), la Procura non chiede nessuna misura cautelare. E a settembre 2017 il Tribunale assolve con formula piena il presunto spacciatore riconoscendo non del tutto infondata l’ipotesi che la cocaina fosse stata messa lì apposta per incastrarlo.

L’imprenditore (assistito dagli avvocati Michele Laforgia e Maurizio Tolentino) aveva nel frattempo...

Bari, il testimone che inguaia i 2 avvocati: «Così organizzarono il complotto». La droga in macchina per incastrare l'amante della moglie di Filograno. L'accusa: «Loprieno procurò la cocaina». MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Settembre 2023

Il testimone che potrebbe incastrare gli avvocati Gaetano Filograno e Nicola Loprieno, accusati di detenzione spaccio di droga per aver organizzato un complotto ai danni dell’amante della moglie del primo, è un signore che si chiama Nicola Piperis. Non uno stinco di santo, per quanto all’epoca dei fatti fosse incensurato. Ma è intorno alle sue parole che è stata costruita l’accusa della Procura di Bari, secondo cui i due avvocati (insieme a una terza persona rimasta ignota) avrebbero fatto in modo di far ritrovare 26 grammi di cocaina nella Smart di un imprenditore della provincia residente a Bari. L’uomo nel 2014 venne arrestato in flagranza dalla Finanza, salvo poi essere assolto con formula piena quando tre anni dopo, davanti al giudice, venne fuori che la storia della droga in macchina non stava in piedi.

Ieri, davanti al gup Antonella Cafagna, i pm Savina Toscani e Claudio Pinto non hanno prestato il consenso al patteggiamento chiesto dal terzo imputato, l’ex finanziere Enzo Cipolla, 55 anni, che proponeva di chiudere con due anni per tentata corruzione in atti giudiziari (avrebbe chiesto 15mila euro all’imprenditore per aiutarlo a salvarsi), in continuazione con una precedente condanna riportata nel 2018 per concussione. Il suo difensore (avvocato Salvatore Campanelli) ha dunque chiesto il giudizio abbreviato, preannunciando che l’ex militare renderà dichiarazioni. L’udienza è stata rinviata al 25 settembre, quando verrà discusso anche l’abbreviato chiesto da Filograno.

Il perno dell’indagine, dunque, sono le dichiarazioni di Piperis, che a settembre 2020 si è presentato spontaneamente davanti ai pm per dare la sua versione dei fatti sul complotto ai danni dell’allora amante della moglie di Filograno. L’uomo si è definito un vecchio amico di Loprieno («Trent’anni sempre con lui, come fratelli») e ha raccontato che qualche volta era intervenuto su sua richiesta per ritrovare auto e moto rubate ad altri avvocati, mentre ha spiegato che Filograno era cliente del garage che ha gestito fino al 2009. «Allora - ha messo a verbale Piperis - Filograno si lamentava con Loprieno, erano amici e...

Bari, parla Filograno: «Sono innocente, contro di me un processo mediatico». Le accuse del Pm, 'ha fatto nascondere droga nell’auto del compagno della ex'. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 settembre 2023.  «Non posso che confermare la mia assoluta estraneità ai fatti contestati». Rompe il silenzio con una nota l’avvocato Gaetano Filograno, accusato (insieme al collega e al consigliere comunale di centrosinistra Nicola Loprieno) di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti in un procedimento penale la cui udienza preliminare si terrà il prossimo 25 settembre. Gli avvocati sono accusati di aver fatto sì che nel 2014, nell’auto dell’amante e attuale compagno dell’ex moglie di Filograno, la Guardia di finanza trovasse 26 grammi di cocaina. L’uomo, un imprenditore della provincia di Bari, fu arrestato in flagranza e fu assolto nel 2017 con formula piena. I giudici, nella sentenza, riconobbero la possibilità che qualcuno avesse introdotto la droga nella sua auto.

«Sono da giorni vittima di un indegno processo mediatico, senza alcuna possibilità di difesa. Non vi è stato alcun rispetto per la mia persona e, soprattutto, per i miei figli», continua Filograno. «La mia convinta fiducia nella nobile funzione del Giudice mi impone di non aggiungere altro e di attendere, in rispettoso silenzio, la celebrazione del giudizio abbreviato, da me immediatamente richiesto. Di certo i modi e i tempi di questa bufera giornalistica - conclude - non possono lasciare indifferenti tutti coloro che credono veramente nei valori della nostra Costituzione». Filograno era considerato da più parti uno dei principali candidati del centrodestra per la corsa a sindaco di Bari nel 2024. 

«Fu Loprieno a raccontarmi che avevano messo la droga». Bari, il complotto degli avvocati contro il rivale. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 settembre 2023.

Chi segnalò a un finanziere lontano dal servizio operativo la bufala dell’imprenditore-spacciatore? È intorno a questa domanda che gira l’indagine sul complotto, quello che - secondo la Procura di Bari - gli avvocati Nicola Loprieno e Gaetano Filograno avrebbero messo in piedi per punire l’allora moglie del secondo, che con l’imprenditore (di cui oggi è convivente) aveva allacciato una relazione sentimentale. Proprio a seguito della soffiata, il 16 marzo 2014 l’uomo verrà arrestato in strada da una pattuglia che gli trovò 26 grammi di coca in macchina: il Tribunale ha detto che la droga non era sua.

L’indagine, approdata all’udienza preliminare, non ha chiarito chi abbia materialmente messo la droga nella macchina dell’imprenditore. Né tantomeno chi fosse la fonte della Finanza, che comunque - quando si parla di fonti anonime - va gestita lasciandone traccia in un protocollo riservato cui la magistratura può accedere. Secondo i pm Savina Toscani e Claudio Pinto la fonte del finanziere, che si chiama Francesco Furchì, era l’avvocato Loprieno, per questo accusato insieme a Filograno di detenzione e spaccio della droga poi finita nell’auto dell’imprenditore.

«Io non so perché la fonte mi ha dato la notizia. Non lo so. Io ho detto: “La fonte è attendibile”. Però loro dovevano fare l’attività informativa», ha raccontato Furchì durante il processo all’imprenditore, concluso nel 2017 con l’assoluzione piena. «Loro» sono i colleghi cui Furchì passò la notizia e che hanno materialmente operato l’arresto, guidati dall’ex maresciallo Enzo Cipolla, che trovò la droga nell’auto ed è adesso accusato di tentata corruzione in atti giudiziari per aver chiesto 15mila euro dall’imprenditore (per scagionarlo). Fatto sta che l’esperto maresciallo Furchì, rispondendo a dibattimento alle domande dell’avvocato Michele Laforgia, ha fatto capire di avere avuto il dubbio che la sua fonte confidenziale conoscesse l’avvocato Filograno. «A dire la verità - mette a verbale Furchì - l’ho guardato negli occhi, ho ascoltato il timbro di voce e guardavo anche il tipo di comunicazione non verbale (...). Se io avessi avuto il minimo dubbio che lui l’avesse conosciuto...».

L’inchiesta della Procura ha accertato l’esistenza di rapporti tra Filograno e Loprieno (all’epoca dei fatti militanti del Movimento 5 Stelle, con cui nel 2014 Filograno sembrava potersi candidare a sindaco), e quella tra Loprieno (oggi consigliere comunale del centrosinistra a Bari) e Furchì: secondo il testimone Nicola Piperis, l’ex garagista del centro di Bari su cui si basa gran parte della ricostruzione di accusa, Furchì e Loprieno avevano un rapporto di amicizia consolidato (vacanze, battesimi) che si ruppe proprio quando il finanziere scoprì di essere stato usato per innescare il complotto. Conviene leggere per intero, dal verbale, la parte in cui Piperis racconta di essere stato chiamato nello studio di Loprieno.

PIPERIS: «Mi siedo, dice: “Nicola, c’è un problema. Vedi che la situazione là abbiamo fatto il fatto a Filograno... al [imprenditore]. Abbiamo fatto il fatto del [imprenditore] là, la droga e tutto il resto. Dissi: “Vabbè, che cosa vuoi da me? Che c’entro io?».

PM TOSCANI: «Un attimo! Cosa le dice che hanno fatto? Mi riferisca...».

P: «Che hanno messo la droga nella Smart di... E hanno avevano passato al Furchì la dritta... come si dice?».

PM: «Queste cose gliele dice Loprieno?».

P: «Sì».

PM: «Le dice la verità?».

P: «No, la verità, perché lui in cuor suo pensava che io mi dovevo sacrificare per loro. No, perché mi fece la proposta, dice: “Prenditi tu la colpa”».

PM: «Un attimo. Lei racconta il fatto. L’avvocato le dice: “Abbiamo fatto un macello là. Abbiamo messo la droga nella macchina di... Le dice dove l’ha presa? È importante».

P: «No (...) Mi dice che era cocaina. “Abbiamo messo la cocaina nella macchina dell’...».

PM: «Poi le dice: “È successo un casino”. Perché le dice che è...».

P: « “Siamo stati scoperti perché la moglie di Filograno ha detto ciò che ha detto e ha messo a te in mezzo al processo”. Dice che secondo lei sono stato io». (...)

PM: «Allora cosa le propone?».

P: «Di prendermi io la colpa, per scagionare il Furchì e tutto il resto che si stavano prendendo a mazzate».

Dagli atti emerge che l’allora moglie di Filograno (e l’imprenditore, oggi suo compagno) avevano denunciato Piperis ritenendo che fosse lui a informare l’avvocato dei loro incontri all’epoca clandestini. «In quel momento - ha messo a verbale l’imprenditore, raccontandone uno - lei era salita a casa mia, passando sotto il portone ha riconosciuto queste due persone che lei ha riconosciuto perché erano clienti del Filograno. Appena è salita su, tempo di 20 secondi, è arrivata la telefonata sua con (...): “Dì a quello - tutto registrato - che lo ammazzo stasera con le mie mani, non ho bisogno di mandare altre persone”».

L’imprenditore ha raccontato delle vessazioni a suo dire subite da Filograno (con il quale nel frattempo è intervenuto un accordo: infatti l’uomo non si è costituito parte civile nei confronti dell’ex marito della compagna). «Questi episodi (...) sono iniziati da novembre con inseguimenti, botte per strada, cose di questo genere. Novembre 2013. Sotto casa mia pedinamenti sempre del Filograno. Poi dopo i pedinamenti siamo passati a citofonate notturne e in qualsiasi ora della giornata. Poi siamo passati alle minacce telefoniche. È stato un crescendo».

Questo è il contesto in cui lunedì 25 spetterà al gup, Antonella Cafagna, stabilire come sono andati i fatti. Filograno ha chiesto il giudizio abbreviato, evidentemente convinto dell’inconsistenza degli elementi di accusa. Loprieno chiederà il proscioglimento. Cipolla, dopo il «no» della Procura al patteggiamento, andrà anche lui in abbreviato. Il suo avvocato Salvatore Campanelli ha annunciato che l’ex militare renderà dichiarazioni spontanee: chiariranno, forse, il contesto in cui si è sviluppata questa storiaccia.

Cocaina in auto per incastrare l’amante della moglie: l’avvocato Gaetano Filograno e il consigliere comunale Nicola Lopriero finiscono nei guai. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'11 Settembre 2023 

I professionisti sono accusati di concorso in cessione di sostanze stupefacenti e l’ex finanziere di corruzione in atti giudiziari: fu quest’ultimo nel 2014 a coordinare la ‘strana’ perquisizione nell’auto di un imprenditore di 54 anni in cui furono trovati 26 grammi di droga

Il progetto era quello era di “rovinare” l’amante della moglie di uno di loro, introducendo della  cocaina nella sua auto con la complicità dell’ ex finanziere , il maresciallo Enzo Cipolla, ma non tutti i loro propositi sono andati in porto ed adesso due avvocati baresi ora si trovano accusati di concorso in cessione di sostanze stupefacenti, mentre l’ex finanziere risponde di corruzione in atti giudiziari. Oggi l’inchiesta della procura di Bari è arrivata al vaglio della Gip del Tribunale di Bari Antonella Cafagna.

Secondo la ricostruzione delle indagini di polizia giudiziaria chiaramente tutti da verificare, l’avvocato Gaetano Filograno, in un recente passato “vicino” alle posizioni del M5S, avrebbe organizzato un piano diabolico per incastrare il presunto amante di sua moglie, avvalendosi della collaborazione di un collega Nicola Lopriero, attuale consigliere comunale eletto nella lista Decaro, che lo avrebbe aiutato. 

Filograno ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato ( che prevede in caso di condanna l’applicazione di solo 1/3 della pena, mentre Loprieno e l’ex maresciallo Cipolla hanno preferito optare per il rito ordinario. Il finanziere quattro anni dopo i fatti è stato arrestato per concussione, condannato a un anno e 8 mesi e cacciato dal corpo.

Un imprenditore trovato con la droga

La persona offesa cioè il presunto amante della moglie di Filograno è un imprenditore 54enne di Gioia del Colle, assistito dall’avvocato Michele Laforgia e dall’ avvocato Maurizio Tolentino. Nella sua auto una pattuglia di finanzieri, guidata da Enzo Cipolla reperì 26 grammi di cocaina. L’imprenditore, che da poco aveva iniziato una relazione con l’ex moglie dell’avvocato Filograno, nei cui confronti aveva anche presentato una denuncia per minacce, aveva dichiarato di non sapere nulla di quella cocaina. Le indagini non hanno individuato chi avrebbe materialmente messo la cocaina nella Smart dell’imprenditore.

Nel 2020 si è presentato spontaneamente davanti ai pm Savina Toscani e Claudio Pinto un ex garagista del centro di Bari, cugino omonimo di un pregiudicato considerato un “boss” della malavita barese, il quale dichiarò ai pm di essere anch’egli una vittima di questa situazione indicando come ispiratore l’ avvocato Gaetano Filograno, l’ex marito della donna, e l’esecutore del tutto nella persona dell’avvocato civilista Nicola Lopriero.

Il processo ai due legali baresi si giocherà sulla testimonianza raccontata dal garagista successivamente arrestato in un blitz contro il pericoloso clan Capriati venendo condannato per estorsione con rito abbreviato. L’ex garagista raccontò di essere stato amico e cliente del civilista Lopriero, tramite cui ha poi aveva conosciuto Filograno, aggiungendo di aver aiutato i due avvocati nella campagna elettorale per le Elezioni Amministrative per il Comune di Bari, quando entrambi i legali erano impegnati in schieramenti diversi a quelli a cui attualmente i due legali si sono avvicinati in un perfetto trasformismo “alla barese”.

Il garagista ha sostenuto che l’ avvocato Filograno era talmente ossessionato dalla storia dell’amante di sua moglie, al punto da avergli promesso 50mila euro per ucciderlo, spiegando ai pm una versione, secondo la quale sarebbe stato messo in piedi il complotto: il civilista Lopriero – per accontentare l’ex marito Filograno, che all’epoca dei fatti erano militanti nello stesso partito , avrebbe trasmesso a un suo amico finanziere risultato ignaro di tutto, una soffiata sull’imprenditore-spacciatore. Emersa la verità, di fronte alle proteste del finanziere il civilista Lopriero avrebbe incolpato di tutto il garagista che ai pm ha dichiarato “Quello mi vuole fare arrestare“.

Il finanziere risultato estraneo a qualunque accusa, una volta ricevuta l’imbeccata sulla droga, non ha mai rivelato l’autore delle informazioni sulla droga nell’auto dell’imprenditore, riferendo ai suoperiori ed ai magistrati inquirenti di un informatore che in passato si era dimostrato affidabile. I tabulati telefoni hanno confermato i suoi contatti con il civilista Lopriero, il quale sentito dai pm ha naturalmente negato tutto (persino le telefonate !) ribaltando le accuse sul garagista.

L’imprenditore venne assolto nel processo a suo carico per la droga rinvenuta nella sua auto, ma da lì prese il via un altro processo per calunnia nei confronti di Filograno e Lopriero a seguito delle indagini condotte dai pm Savina Toscani e Claudio Pinto. I due avvocati sono stati accusati di cessione di sostanze stupefacenti, insieme ad una terza persona non identificata, perché sarebbero stati loro a far introdurre la cocaina nell’auto dell’imprenditore al quale inoltre sarebbe arrivata una richiesta dal maresciallo Cipolla di pagare 15mila euro, per ricevere un possibile aiuto che il finanziere avrebbe potuto dargli nel corso delle indagini. L’ex finanziere non è nuovo a casi del genere: era già finìto in carcere nel 2018 dopo aver incassato la prima tranche di una tangente da 37mila euro richiesta per ammorbidire un’indagine nei confronti di un altro imprenditore di Triggiano (Bari), e per questo venne condannato a un anno e 8 mesi (pena sospesa) ed espulso dalla Guardia di Finanza.

La giudice Cafagna deciderà il prossimo 25 settembre quanto ci sia di vero in tutta la vicenda e quindi se rinviare a giudizio avvocati ed ex finanziere. La Procura non ha ammesso il patteggiamento chiesto dall’ex finanziere Cipolla , che aveva chiesto anche lui di essere giudicato con il rito abbreviato.

Redazione CdG 1947

Estratto dell'articolo di ilmessaggero.it domenica 10 settembre 2023.

Scopre il tradimento della moglie tramite Google Maps e chiede il divorzio. Un uomo ha scoperto che la sua consorte aveva un amante mentre cercava di pianificare il percorso di un viaggio. Scorrendo tra le mappe di Google ha notato qualcosa di insolito e, ingrandendo l'immagine, si è accorto che la moglie era seduta su una panchina intenta ad accarezzare i capelli di un altro uomo con la testa in grembo. 

La scoperta

L'immagine è stata scattata da una camera car di Google nella capitale peruviana di Lima.

Ad attirare l'attenzione del marito sono stati i vestiti della donna, che a un primo impatto gli sono sembrati proprio quelli della moglie, ingrandendo poi la foto ne ha avuto la conferma, ma con una sorpresa inaspettata. Lo scatto risale al 2013, ma l'uomo non ha comunque superato la rabbia per l'accaduto.

Il divorzio

La donna avrebbe confermato tutto, spiegando però che la relazione si era già conclusa. A nulla sono valse le giustificazioni per il marito tradito però che ha chiesto il divorzio. [...]

Estratto dell’articolo di primachivasso.it 2 agosto 2023.

«Immagino che questa storia sia difficile da credere, ma è tutto vero. Avevo dei sospetti, ma non avrei mai immaginato che sarebbe finita così. […]». Andrea […]: «Io lavoro spesso in trasferta, fuori regione - racconta - e mercoledì sera, dopo cena, ero uscito di casa per raggiungere la sede del cantiere (a più di cento chilometri da qui) in modo da essere puntuale al mattino». 

«Durante il viaggio, però, mi sono accorto di aver dimenticato a casa le medicine salvavita che prendo da tempo, e così sono tornato a Chivasso. Ho parcheggiato sotto casa e, alzando la testa, li ho visti sul balcone: lei era mezza nuda, e mio figlio con lei. Ho iniziato ad urlare e loro sono corsi in casa chiudendosi dentro.

Fuori di me ho subito chiamato il 112, e sono rimasto per un’ora e mezza in attesa della pattuglia. I carabinieri arrivavano da fuori città […] e ho subito raccontato loro cosa fosse successo. Sono riuscito ad entrare in casa solo grazie ai militari, ho preso le medicine e me ne sono andato. Ah, quando sono scesi, in ascensore, ho sentito mia moglie dire a mio figlio “Ci ha scoperti”, ed allora mi è davvero caduto il mondo addosso. In quella casa non voglio più tornare, chiederò ospitalità ad un amico, quello che è successo è impossibile da sopportare. Subito dopo, solo in macchina, ho anche pensato di andare in azienda ed impiccarmi al carro ponte. […]».

La procura di Bari chiede una condanna a 4 anni per Gaetano Filograno per la cocaina nell’auto dell’amante della moglie. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 25 Settembre 2023  

L'avvocato barese viene accusato con il suo collega Nicola Loprieno per concorso in cessione di sostanze stupefacenti. Nei confronti dell' finanziere Cipolla richiesta la condanna di un anno e quattro mesi

La Procura di Bari ha chiesto la condanna a quattro anni di reclusione per Gaetano Filograno, 57enne avvocato civilista e professore di Diritto privato alla Lum, in passato molto vicino al Movimento cinque stelle e all’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio  che risponde nel giudizio abbreviato dell’ accusa avanzata dai pm Savina Toscani e Claudio Pinto, accanto quali in udienza si è presentato persino il procuratore capo Roberto Rossi , di concorso in cessione di sostanze stupefacenti assieme all’avvocato Nicola Loprieno attuale consigliere comunale a Bari eletto della lista “Decaro sindaco” nei confronti del quale è stato chiesto il rinvio a giudizio, avendo optato l’imputato per il processo con rito ordinario per il presunto complotto che i due avvocati avrebbero orchestrato nel 2014 nei confronti di un imprenditore, nascondendogli in auto 26 grammi di cocaina per inguaiarlo, quale punizione per la relazione che l’uomo aveva intrecciato con l’allora moglie di Filograno. 

A processo con rito abbreviato come Filograno davanti al gup di Bari, Antonella Cafagna è finito anche il terzo imputato Enzo Cipolla ex sottufficiale della Guardia Finanza (espulso dal corpo) chiamato a rispondere dell’ accusa di avere richiesto 15mila euro all’imprenditore amante della moglie di Filograno. per testimoniare in suo favore nel processo in cui è poi comunque stato assolto.

Nei confronti dell’ex-finanziere la Procura barese chiesta una condanna a 1 anno e 4 mesi. Cipolla in apertura dell’udienza alla quale non erano presenti né Filograno né Loprieno), ha reso dichiarazioni spontanee ammettendo il fatto di cui è accusato ma senza apportare alcuna novità processuale rispetto alla vicenda nel suo complesso.

La prossima udienza in cui si terrà anche la discussione del difensore di Filograno, l’ avvocato Guido Ceci, è prevista per il prossimo 2 ottobre, ed in quella data ci sarà anche la sentenza.

Redazione CdG 1947

Estratto dell’articolo di Eleonora Barbieri per “il Giornale” il 28 maggio 2023.

Le Coppie (La nave di Teseo, pagg. 208, euro 18) di Giuseppe Cruciani nascondono, spesso sotto un’apparente normalità, «Storie di desiderio e trasgressione», come spiega il sottotitolo del libro scritto dal conduttore della Zanzara: donne che scoprono mariti perfetti che si fanno sottomettere come schiavi, mariti che scoprono mogli timidine che passano notti con venti uomini... Sono Coppie che, nonostante o talvolta grazie a tutto questo, sopravvivono, e prosperano. […] 

Alla società serve la famiglia?

«Sono consapevole del fatto che la famiglia, le relazioni stabili e anche il matrimonio siano i fondamenti della nostra società la quale, senza di essi, non potrebbe andare avanti». 

Ma...?

«Contesto che la monogamia sessuale sia ancora una prigione, foriera di contrasti e divisioni all’interno della coppia; mentre la vita potrebbe essere più semplice».

Perché così tanto sesso?

«Il sesso è una parte importante della nostra vita e ha quasi sempre un ruolo fondamentale in una coppia; però, più che del sesso, racconto dell’equilibrio che si può raggiungere dopo i contrasti. Che riguardano, spesso, il sesso». 

Come ha scoperto queste storie?

«Attraverso la radio, gli amici, il passaparola. Per esempio, nel caso della donna che scopre il marito che si fa sottomettere da una mistress, è stata proprio quest’ultima a chiamarmi e a mettermi in contatto con la moglie. La quale alla fine ha accettato il marito per quello che era. Sono storie di accettazione». 

In che cosa si traduce?

«Nel fatto di poter superare le incomprensioni cercando di capire l’altro anche nelle sue parti più nascoste, quelle che non abbiamo il coraggio di tirare fuori. Se si pensasse a questi desideri nascosti, che è normale che si vogliano esaudire, molte relazioni potrebbero non finire».

C’è anche chi continua a nascondere.

«Anche quello è un equilibrio. Come nel caso della donna di Brescia che ha una vita sessuale così travolgente da andare a letto pure con il sessuologo che ha consultato... Anche questa è una storia di equilibrio, basato sulla non conoscenza di queste sue peripezie da parte del partner, dal quale lei non ha intenzione di separarsi ma che, a suo parere, non potrebbe capire». […] 

Glielo dicono spesso?

«Di recente una persona mi ha scritto che si è riconosciuta in una di queste storie: il marito ha scoperto il suo tradimento attraverso il cellulare, che ormai è la sentinella di tutto, si stavano per lasciare e poi lui ha accettato la realtà e vuole condividerla in qualche modo. Credo che questa sia la novità dal punto di vista sociale nelle coppie negli ultimi vent’anni: accettare il desiderio di un altro corpo e, a volte, condividerlo». […] 

Estratto da la “Posta del cuore” di Giulia Pilotti per “il Domani” il 28 maggio 2023.

Cara Giulia, sono una madre sposata di 36 anni e sto con mio marito da 12. Abbiamo un bambino di cinque e la nostra vita, sia da fuori che da dentro, è tutto ciò che si potrebbe desiderare da un matrimonio; eppure, ultimamente mi ritrovo a prendermi delle sbandate per altri uomini, una cosa che non mi è mai capitata in passato. 

Ho sempre avuto occhi solo per mio marito e sono molto contraria al tradimento. Ciononostante non posso fare a meno di invaghirmi di gente che incontro in palestra o dei papà degli altri bambini all’asilo. Mi scopro a fantasticare a occhi aperti su di loro, a immaginarmi scenari sessuali di cui mi vergogno molto. Queste cotte durano qualche giorno e si esauriscono, ma sono continue e mi occupano la mente, oltre a mettermi a disagio. 

Come dicevo l’infedeltà non sarà mai un’opzione per me, amo troppo mio marito e non gli farei mai una cosa del genere, senza contare il disgusto che proverei nei confronti di me stessa, ma vorrei capire perché tutto d’un tratto mi succede questa cosa e come faccio a liberarmene. S. 

Cara S., come forse sai se leggi questa rubrica sono anch’io una grande fan della monogamia. 

Ma non facciamo finta di non vederne le falle. Non credo che si sminuisca il valore di una relazione a lungo termine se si ammette che la monogamia ha delle lacune imperdonabili. 

Il brivido dell’inizio, vedere una persona nuda per la prima volta, l’innamoramento, quella cosa che ti prende tra lo stomaco e le mutande quando pensi all’altro, sono tutte cose che archiviamo quando decidiamo di passare la vita con un solo uomo o una sola donna, compensando sicuramente con molti altri vantaggi (tipo non dover mai più vedere una persona nuda per la prima volta).

La fantasia è tutto ciò che ci rimane, se la poligamia non è un’opzione, ed è un passatempo innocuo. Devi essere un po’ meno severa con te stessa, disgusto mi sembra una parola un po’ forte. Non che ti stia incoraggiando ad andare a letto con un altro, ma vorrei che ridimensionassi la gravità della situazione. […]

DAGONEWS il 28 maggio 2023.

Sottoponiamo le nostre auto a un tagliando annuale, supponendo che abbiano bisogno di una revisione o, per lo meno, di un po' di cura. Eppure pochi di noi prestano alle nostre relazioni la stessa attenzione.

Se non vuoi che il tuo matrimonio finisca male, la sexperta Tracey Cox consiglia di fermarsi e dare un’occhiata se va tutto bene nella coppia con questa serie di campanelli d’allarme che non vanno sottovalutati.

Idealmente, dovresti esaminare insieme questo elenco, con l'obiettivo di non dire di sì a nessuna delle bandiere rosse. Se non riuscite a farlo insieme date un’occhiate da soli e rispondete sinceramente. Se qualcosa non è un problema per voi, bene: siete liberi di ignorare quel singolo punto. E adesso iniziamo. 

1. Baci sulla bocca sostituiti da baci sulle guance

Baciare le guance è quello che facciamo con i conoscenti: il tuo partner merita un bel bacio sulla bocca che duri più di un semplice secondo.

L'esperto di coppie, il dottor John Gottman, afferma che i baci che durano sei secondi o più sono la chiave per un matrimonio felice. Deve essere almeno così lungo per qualificarsi come un bacio "consapevole" piuttosto che distratto.

Revisione: punta ad almeno cinque o sei baci lunghi al giorno: quei 30 secondi circa ti terranno più legati di quanto pensi. 

2. Non stai bene se si affrontano conversazioni difficili

Cosa succede quando affronti un argomento delicato? Riesci a parlarne in modo razionale e con calma o uno di voi se ne va, tiene il broncio o semplicemente si rifiuta di impegnarsi?

Ritirarsi dall'interazione si chiama ostruzionismo: chiudersi e isolarsi dal proprio partner. Le persone tendono a farlo quando si sentono "sommerse", agitate e sopraffatte dall'emozione, da non essere in grado di rispondere razionalmente.

Tutti hanno bisogno di allontanarsi dalle liti accese di tanto in tanto, ma se è la tua impostazione predefinita, stai letteralmente costruendo un muro tra te e il tuo partner.

Revisione: se ti senti sopraffatto durante una discussione, chiedi una pausa. Di solito venti minuti sono sufficienti per calmarsi. Concorda in anticipo un segnale che significhi "Non ce la faccio e ho bisogno di tempo da solo", quindi trascorrilo facendo qualcosa di rilassante. 

3. Non siete d'accordo sull’educazione dei figli

Questa è la bandiera rossa numero uno dei potenziali danni a un matrimonio. Essere genitori è un compito stressante e ingrato anche quando sta andando bene. Se non sei d'accordo su nessuna delle decisioni su come crescere i tuoi figli, avrai davanti un viaggio molto difficile.

Revisione: tendiamo a essere genitori nello stesso modo in cui eravamo bambini, o come reazione a questo. Se stai combattendo l'un l'altro in ogni fase del percorso, siediti e parla della tua infanzia e di ciò che ti ha influenzato. Capire perché il tuo coniuge sta litigando per qualcosa con cui non sei d'accordo, può aiutare a calmare la situazione in modo da poter trovare un terreno comune.

4. Le vostre conversazioni riguardano la logistica

C'è una certa quantità di chat logistiche necessarie in ogni relazione. Ma se tutte le tue conversazioni iniziano con "Ti sei ricordato di..." o "Riesci a rispondere..." la tua relazione è passata da divertente a funzionale.

La maggior parte delle persone pone ai propri amici domande molto più profonde di quelle che fanno al proprio coniuge. Solo perché vedi il tuo partner tutto il tempo, non presumere che ciò significhi che sai tutto su di loro.

Revisione: chiedi "Come ti sei sentito?" domande dopo aver chiesto cosa è successo nella sua giornata. Non aver paura di andare in profondità: "Sei felice di dove sei ora nella vita?" Ci sono dei sogni che senti che si stanno allontanando e che potremmo realizzare?'. Cerca di porre domande che facciano sentire il tuo partner visto e ascoltato. 

5. Guardate la tv per evitare di stare insieme veramente

Per molte coppie, mettersi sul divano, prendere un bicchiere di vino in mano e avere il pollice sul telecomando, è il momento clou tanto atteso della giornata. Niente di sbagliato in questo, purché ci sia una connessione prima e dopo.

Richiede attenzione immediata: usare la televisione per coprire silenzi imbarazzanti e scomodi è come mettere un cerotto su un braccio rotto. Non vi state nemmeno prendendo in giro. Non hai solo un elefante nella stanza, c'è un branco. Parlane! 

6. Non litigate

Se non litighi, hai smesso di preoccuparti. La rabbia non segna la fine di una relazione, l'indifferenza sì. Siediti e presta particolare attenzione: se prima eravate una coppia instabile e ora non discutete affatto, uno o entrambi avete rinunciato a cercare una soluzione.

Revisione: le discussioni sono spiacevoli, ma almeno ti permettono di esprimere emozioni, ti senti ancora impegnato nella relazione e cerchi di trovare una soluzione. Non aver paura di averli.

7. Non condividi ciò che c’è da fare in casa

Per "lavoretti" non intendo solo svuotare la lavastoviglie. Sto parlando di tutte le cose che le coppie fanno per far sì che la loro vita scorra senza intoppi. Le faccende domestiche e il pagamento delle bollette, l'organizzazione di eventi sociali, il tenere il passo con amici e familiari, andare a prendere i bambini, portare a spasso il cane. 

Quanto è uguale la distribuzione? Ti sembra equo per entrambi?  Molte donne che lavorano si assumono automaticamente il peso, ma provano risentimento nel farlo.

Revisione: fai un elenco di tutto ciò che deve essere fatto regolarmente, valuta quali lavori non ti dispiace fare e quali odi, quindi dividi equamente. 

8. Alcool o droga diventano un problema

Può essere la causa di un matrimonio infelice o il sintomo. Molti si rivolgono alla bottiglia o alle droghe per affrontare i problemi; quando la relazione precipita drammaticamente verso il basso, i problemi di abuso di sostanze si amplificano allo stesso ritmo.

Richiede attenzione immediata: presta attenzione se ti sta accadendo. Non è solo motivo di divorzio in alcuni paesi, ma può anche influire sulla custodia dei figli.vL'abuso di sostanze è una cosa seria. Se il tuo partner non accetta che ci sia un problema, potrebbe essere il momento di considerare seriamente il futuro della tua relazione.

9. Il tuo partner non è la prima persona a cui racconti le cose

Siamo più vicini alle persone che sanno di più su di noi. Se accade qualcosa di buono o cattivo e hai una relazione stretta, chiamare prima il tuo partner dovrebbe essere automatico e istintivo.

Se non è solo il primo, ma il terzo o il quarto in fondo alla lista, sei nei guai, guai seri se si tratta di un 'amico' con cui stai iniziando a condividere dettagli sempre più intimi della tua vita.

Richiede attenzione immediata: se sei l'ultimo a saperlo o lo è il tuo partner, non stai rispettando la prima regola di una relazione sana. I partner dovrebbero essere i primi a conoscere informazioni significative o emotivamente importanti. 

10. Il Sesso è stressante

Quando pensi alla tua vita sessuale, cosa provi? Sei felice o sei in ansia? Felice di dove ti trovi o ansioso perché i tuoi amici sembrano farlo molto più di te? 

La diversa libido è il problema sessuale più comune per le coppie. Non è facile risolverlo ed entrambi devono essere disposti a trovare un terreno comune.

Revisione:  una relazione senza sesso è un'amicizia. Alcune coppie funzionano perfettamente in una relazione senza sesso. Ma entrambi dovete essere contenti dello stato delle cose, o uno di voi è ad alto rischio di avere un’altra persona. 

11. Non ricordi l'ultima volta che avete riso insieme

Essere in grado di ridere di se stessi e degli altri, trovare umorismo nelle situazioni difficili, essere allegri e simpatici... il senso dell'umorismo può farti superare i momenti peggiori. Se entrambi lo avete perso da qualche parte lungo la strada, anche i momenti migliori sembreranno incolori e cupi.

Revisione: cerca l'umorismo in ogni cosa, frequenta persone che vedono il lato positivo e tirano fuori il meglio da entrambi.

12. I tuoi amici chiedono se è tutto ok

Gli amici sono perspicaci. I buoni amici sono acuti osservatori di ciò che sta accadendo nel tuo matrimonio. 

A volte, vedono le cose prima di te. Se i tuoi amici segnalano quello che vedono come un potenziale problema e non sono gelosi della tua relazione, ascoltali attentamente.

Revisione: gli amici di cui ti fidi, in particolare quelli che amano entrambi e hanno una visione equilibrata della vostra relazione, non hanno prezzo. Apprezza la loro opinione rispetto a quella della tua famiglia: tendono ad essere meno prevenuti. 

13. Non ti piacciono gli amici dell'altro

Molte persone hanno amici che andavano bene per loro quando erano single e non sopravvivono quando sono in coppia. 

Di solito ti allontani, specialmente quando arrivano i bambini. Altre volte l'amicizia continua ma con risentimento. Questi amici sono particolarmente tossici per un matrimonio perché non è nel loro interesse che tu rimanga felicemente sposato. Se al tuo partner non piacciono i tuoi amici, di solito significa che ti portano fuori strada.

Revisione: scegli le tue amicizie con estrema attenzione una volta che sei in coppia. Circondati di coppie felici che non tradiscono e le tue possibilità di superare la distanza sono notevolmente maggiori. L'insoddisfazione relazionale e la possibilità di infedeltà aumentano se i tuoi amici non sono accoppiati con soddisfazione e non sono monogami. 

14. Passate separatamente il tempo libero

Cosa succede quando torni a casa dal lavoro? Ti piace parlare della tua giornata insieme mentre prepari la cena? O ritirarti in un’altra parte della casa? Uscite insieme durante il fine settimana o riempite il tempo con attività da single e incontrate gli amici separatamente? Organizzarsi senza tenere in conto dell’altra persona può significare che la vostra relazione è difficile o che avete poco in comune.

Richiede attenzione immediata: è importante fare cose che piacciono a entrambi insieme per creare costantemente nuovi ricordi e bei momenti. Se non hai obiettivi o interessi condivisi, cosa resta?

15. Dimenticate i giorni importanti

Non devi spendere un sacco di soldi per far sentire amato qualcuno, è davvero il pensiero che conta. Una cena cucinata in casa e un biglietto sincero hanno la meglio sulla bottiglia di profumo costoso. Non dire che non ti interessano feste, anniversari ed eventi. Pensa a cosa è importante per il tuo partner.

Revisione: anche se pensi che San Valentino sia un merluzzo commerciale, se il tuo partner lo considera un giorno per esprimere amore, è quello che dovresti fare. 

16. Vi sentite soli

Non c'è niente di più angosciante che sentirsi soli quando si è in una relazione. 

Ha bisogno di attenzione immediata: se ritieni che il tuo partner non ti conosca davvero o che tu viva con uno sconosciuto, diglielo. Se a loro non sembra importare, la relazione è già finita.

17. Non vi impegnate in progetti futuri che coinvolgono entrambi

Cambiare casa, fare un investimento, una vacanza costosa all'estero, accettare di aiutare a prendersi cura dei suoceri malati... Le decisioni importanti devono essere ponderate, ma se il tuo istinto urla "Non impegnarti!" Non impegnarti!' potrebbe essere che tu abbia già abbandonato il matrimonio emotivamente e stai solo trovando il coraggio di tirarti fuori anche fisicamente dalla relazione.

Richiede attenzione immediata: sii onesto con te stesso su quanto sei impegnato in un futuro con questa persona. Allora fai la cosa giusta. È crudele legare le persone se sei già andato avanti. 

18. Non vedi l'ora di tornare a casa

Hai un tuffo al cuore quando senti la chiave del tuo partner nella serratura? Sei felice quando torni a casa inaspettatamente presto?

Non sto suggerendo che dovreste correre l'uno verso l'altro al rallentatore, in stile hollywoodiano. Ma dovreste non vedere l'ora di vedervi quando siete stati separati per un po'. 

Ha bisogno di attenzione immediata: se stai evitando di tornare a casa o di essere a casa quando c'è il tuo partner, sei in dirittura d'arrivo. Tempo per una chiacchierata sincera e un po' di terapia.

DAGONEWS il 7 marzo 2023

La maggior parte delle donne tradisce perché sente che il matrimonio è fallito o nel disperato tentativo di sostenere una relazione sessualmente insoddisfacente. Oppure spera di tenere vivo il sesso con il proprio partner. Ma perché “giocare in trasferta” quando le cose vanno già abbastanza bene in casa? Tracey Cox ha raccolto la testimonianza di tre fedifraghe.

La mia storia extraconiugale carica il sesso con mio marito

Martina, ha 25 anni e da quattro ha una relazione 

Non mi lamento del mio partner. È un papà eccezionale, è in forma, divertente e attraente. Ridiamo, andiamo d'accordo.  Il nostro sesso è molto, molto buono, ma c'è una ragione per questo. Lo mantengo eccitante avendo un’altra relazione

Ho un forte desiderio sessuale ma trovo noioso il sesso monogamo. Fantasticavo sul sesso con altri uomini mentre facevo sesso con mio marito. Ha funzionato ma alla fine ha perso il potere di eccitarmi. 

Sono quasi imbarazzato ad ammettere con chi ho la mia relazione: il mio personal trainer. Sì, è un cliché ma è difficile non creare tensione sessuale quando ti mettono le mani sul corpo, e la maggior parte sono attraenti. Abbiamo iniziato flirtando, c'erano molte allusioni sessuali, intenso contatto visivo. Volevo disperatamente dormire con lui.

Mio marito è andato con i suoi genitori per un fine settimana per fare dei lavori in casa loro. Sapevo che questa era la mia opportunità. 

Ci siamo incontrati per un drink che si è trasformato in una cena che si è trasformata in noi che limonavamo come matti in un vicolo. Gli ho fatto un pompino. Mi ha baciato il seno. Sono tornato a casa e ho lasciato andare la babysitter ed ero così eccitato che mi sono masturbata nel momento in cui se n'è andata mentre era su FaceTime con lui.

Questo è stato quattro anni fa. Avevo dimenticato che il sesso poteva essere in technicolor, non solo in bianco e nero. Non ho mai fatto sesso così. Il sesso tra amici è caldo ma il brivido svanisce. Questo no. Mi spinge a fare cose che sono fuori dalla mia zona di comfort. Mi dice che è "pazzo di me", ma sa che non lascerò mai il mio partner e non vuole che lo faccia. 

La relazione ne ha risentito nel modo opposto rispetto a come mi aspettassi: mi ha fatto desiderare di più il sesso con mio marito. Torno dopo aver visto il mio amante e mi sento sexy e desiderata. Non sono sicura da dove mio marito pensi che provenga tutta questa ritrovata energia sessuale e inventiva – sarei molto sospettosa se fossi in lui! - ma non ha dubbi. Lo apprezza e basta. Perché dovrei smettere? Ci sta avvantaggiando entrambi.

Il mio lavoro rende troppo difficile resistere

Alyssa, 41 anni, lavora nel settore immobiliare ed è da tre anni al suo secondo matrimonio

Il mio primo matrimonio non è finito perché avevo delle relazioni, è finito perché sono diventato troppo grande per mio marito. L'ho superato in termini di carriera e mi sono mescolato con uomini di calibro diverso. Più intelligente, più ricchi e più interessanti. Non ero mai stata con uomini come questi, ed era impossibile resistere.

Tutti hanno storie extraconiugali nel mio lavoro: le donne e gli uomini. Siamo fuori casa per molto tempo, si beve molto e si socializza. Amavo il mio primo marito, ma più come amico. Non facevamo sesso da un anno quando ho avuto la mia prima relazione, quindi non mi è sembrato di tradire.

È iniziato con una sessione di baci con un collega. Mi sono svegliata e avevo succhiotti sul collo. Sono andata in giro con il dolcevita per una settimana e mio marito non ne aveva idea del motivo.  

Una volta che hai rotto il sigillo di fedeltà e te la sei cavata senza essere scoperta, è difficile smettere. Ho dormito con quel ragazzo due settimane dopo e il sesso è stato carico ed eccitante. Questo è il sesso che bramo.

Il mio lavoro non ha salvato il mio primo matrimonio, ma il sesso regolare mi ha reso più gentile e più tollerante nei confronti di mio marito più a lungo. Alla fine ci siamo lasciati e ho incontrato il mio secondo marito un anno dopo grazie il lavoro. 

 È dinamico e di successo, anche se ora mi rendo conto che due persone ambiziose in una relazione non funzionano. Non ci vediamo mai e quando lo facciamo, ci dedichiamo solo metà dell'attenzione.

Penso che sia ingenuo aspettarsi che tutti i tuoi bisogni vengano soddisfatti da una sola persona. Non sono sicuro che mio marito stia facendo lo stesso, ma mi aspetto che lo faccia. Non mi darebbe davvero fastidio.

Il sesso occasione mantiene vivo il mio rapporto

Emilia, 33 anni, è sposata da 13 anni e fa sesso extraconiugale da sette anni

Ho avventure di una notte con sconosciuti. Tecnicamente non ho relazioni, ma tradisco senza alcun desiderio di smettere. Confrontando le due forme di tradimento, penso che il sesso una tantum sia molto meno di un tradimento con una relazione a lungo termine.

Mi sono sposato molto presto e molto velocemente.

 Ci siamo conosciuti e sposati in otto mesi. All'epoca ero incinta di tre mesi. Abbiamo un figlio. Ho solo otto anni meno di mio marito, ma mi sento più giovane di 20 anni. Ha 38 anni e si comporta come se avesse sessant'anni. È costantemente stanco, io sono pieno di energia. A lui piace la routine, a me le novità. Odia viaggiare, io lo adoro. Facciamo sesso una volta ogni tre mesi, al buio, in stile missionario. Nonostante le nostre ovvie differenze, abbiamo una bella vita insieme, almeno adesso.

Cinque anni fa, mi sentivo solo e infelice e ho avuto un piccolo crollo mentale. Un caro amico, mi ha suggerito di cercare sesso al di fuori del matrimonio per portare un po' di "gioia" nella mia vita. Pensavo fosse pazzo, ma due mesi dopo mi sono iscritta a Tinder.

Il mio primo collegamento è stato con un ragazzo sulla quarantina. Non ero sicuro della mia attrattiva e non puntavo in alto. Ci siamo incontrati in un bar vicino alla stazione dove abitava. Sembrava entusiasta quando mi ha visto. L'attenzione e l'evidente desiderio mi hanno fatto venire voglia di piangere. Non mi sono resa conto di quanto mi mancasse finché non mi sono state rivolte attenzioni. 

Il sesso che abbiamo fatto è stato molto dolce: penso che il ragazzo abbia sentito che era la prima volta che mi mettevo in gioco ed ero vulnerabile. Voleva incontrarmi di nuovo, ma sapevo già che se l'avessi fatto, sarebbe saltata la regola di una sola notte.

Da allora, ho incontrato uomini per fare sesso ogni sei settimane. Quasi tutti sono stati incontri sessuali piacevoli e onesti in cui ognuno ottiene ciò che vuole. 

Non è solo sesso, spesso resto in giro e chiacchiero per un po'. Sono sempre durante il giorno e non c'è alcol coinvolto, il che mi aiuta a tenermi al sicuro e riduce le possibilità di essere scoperta.

Il mio matrimonio non è perfetto, ma non è nemmeno abbastanza grave da sottoporre mio marito e mio figlio al trauma dell’abbandono. Questo è il mio modo per farlo funzionare.

Torino, sms all'amante: «Se muoio è stata mia moglie». Ora la donna accusa la vedova: «Litigavano e lei lo picchiava». Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 5 aprile 2023.

La testimone è arrivata dalla Puglia per essere ascoltata nel processo contro la moglie dell'ex, accusata di omicidio: «Lui voleva vivere con me»

«Ettore è morto. Lo avrai sulla coscienza per tutta la vita». Sono le 6.40 del 5 aprile 2021 quando Monica D. riceve una telefonata della moglie del suo amante. Il giorno prima era stato lui a mandarle un messaggio: «Se mi trovano morto è stata lei». A raccontare l’ansia e la preoccupazione di quei momenti e poi la decisione di rivolgersi ai carabinieri è proprio Monica, chiamata a testimoniare nel processo in cui la vedova di Ettore è accusata di omicidio: secondo il pm Paolo Cappelli, l’imputata (difesa dagli avvocati Alberto De Sanctis e Fosca Grosso) avrebbe ucciso il marito Ettore Treglia per gelosia, cercando di far passare il delitto per un decesso naturale.

 «Lui voleva vivere con me in Puglia», racconta la donna. Di fronte ai giudici della Corte d’Assise, Monica ripercorre la relazione extraconiugale: da primi contatti alla consapevolezza di essere innamorati. I due si conoscevano dai tempi dell’infanzia, poi in età adulta si erano persi di vista. Per ricominciare a frequentarsi nel 2020, quando lui la raggiunge in Puglia per qualche giorno: «Mi aveva detto di essere separato». Nel febbraio del 2021, però, Monica scopre che il fidanzato le ha mentito: «Mi chiamò la moglie, dicendomi che dovevo interrompere ogni rapporto». Monica ed Ettore, però, continuano la loro storia clandestina. E lui si mostra sempre più convinto a ricominciare una vita con lei in Puglia. «Mi spiegò anche di averlo detto alla moglie e che per questo litigavano spesso. Lui diceva che lei lo aggrediva verbalmente e fisicamente. Quando era Torino beveva molto, ma quando era con me, no», ricorda la donna. 

Secondo il racconto dell’amante, la vedova più volte avrebbe cercato di convincerla a troncare la relazione: «Mi propose di “dividerci” Ettore, ma non accettai. Lui diceva che mi avrebbe raggiunto a breve». Il racconto della testimone prosegue e arriva ai primi giorni di aprile, quando riceve da Ettore alcuni messaggi inquietanti: «Mi sta prendendo a botte», «Ha provato a strangolarmi». L’ultimo, alle 2.24 del 4 aprile: «Se mi trovano morto è stata lei». Quattro ore più tardi è l’imputata a chiamare Monica, che ora ricorda: «Urlava e mi insultava. Mi disse che Ettore era morto e che lo avevo sulla coscienza». Da qui la decisione dell’amante di rivolgersi ai carabinieri e mostrare i messaggi dell’amato, in tempo per bloccare i funerali ed evitare che il corpo venisse cremato. 

 L’autopsia disposta dal pm ha stabilito che Treglia sarebbe stato strangolato, ma l’accertamento non può essere usato nel processo perché eseguito senza che la moglie, sospettata del delitto, potesse nominare un proprio consulente. Per la difesa, Ettore sarebbe morto per il troppo alcol bevuto quella notte. Ora i giudici hanno disposto una perizia e il corpo della vittima potrebbe essere riesumato.


 

Paolo Travisi per “il Messaggero” il 2 aprile 2023.

Mazzi di rose rosse per il primo mese di fidanzamento, cene romantiche al lume di candela, un weekend di coccole e in un hotel con la Spa, telefonate della buona notte e videochiamate per il buongiorno. Chiunque in una storia d'amore, vorrebbe sentirsi al centro dell'attenzione della persona amata. E nei mesi in cui il corteggiamento diventa una relazione seria, spesso è fisiologico che tra i due partner ci sia intesa, passione e voglia di stupire.

 Ma se dopo alcuni mesi, quando ormai la storia d'amore è consolidata, le attenzioni dell'altro o dell'altra si fanno sempre più pressanti, quello è il primo campanello d'allarme del love bombing, un fenomeno che gli psicologi descrivono come una sorta di amore tossico, con cui il partner maschera un disturbo narcisistico di gravità variabile.

LA RICERCATRICE Ad usare questo termine per la prima volta è stata una psicologa americana, Margaret Thaler Singer, docente all'Università di Berkeley dal 1964 al 1991, che ha passato la sua vita professionale a studiare situazioni di fragilità mentale e schizofrenia. Nel libro Cults in our minds scritto nel 1995 coniò la definizione di love bombing, descritto come «processo di mostrare amicizia e interesse per sommergere neofiti di lusinghe, seduzione verbale, contatti corporei non sessuali ma carichi di affetto, e molta attenzione verso qualsiasi osservazione venga fatta. Il love bombing - o offerta istantanea di compagnia - è uno stratagemma ingannevole usato da molti reclutatori di successo».

Così scriveva la psicologa di Berkeley, non riferendosi propriamente alle relazioni sentimentali. Infatti la specialista, nel suo libro, descriveva il love bombing, come un insieme di strategie di manipolazione emotiva e affettiva con cui i leader di alcune sette religiose attiravano i loro adepti, proprio perché episodi di love bombing possono verificarsi anche in famiglia, nelle relazioni tra amici e persino sul posto di lavoro.

Di fatto è una tecnica manipolatoria che prevede un predatore ed una vittima, che nel caso del corteggiamento amoroso, assume una connotazione patologica, praticato da persone con disturbo narcisistico o disturbo di personalità borderline che sfruttano le fragilità dell'altro (indifferente che sia uomo o donna) fingendo di gratificarlo, perché il vero obiettivo è compiacere la propria personalità, il proprio narcisismo.

Diversi studi psicologici hanno sottolineato che le persone più soggette a cadere nella trappola del narcisistica clinico, quindi del love bombing, sono quelle con una bassa autostima, persone rese fragili da traumi sentimentali precedenti, che ripongono nell'altro tutta la loro stima. Di solito, in una storia d'amore di questo tipo, la vittima sviluppa una sorta di dipendenza affettiva, che nel momento in cui la relazione viene troncata, può avere conseguenze pesanti dal punto di vista psicologico. Chi viene lasciato, si sente abbandonato, dopo un periodo più o meno lungo di esaltazione, si sente privo di valore, del tutto svalutato, motivo per cui può vivere momenti di vuoto depressivo e sviluppare ansia.

DUE TIPOLOGIE Ma se gran parte di chi pratica il love bombing lo fa in modo inconsapevole e senza l'intenzione di fare del male all'altra persona, perché lui (o lei) stesso vittima di un disturbo narcisistico clinico non diagnosticato e curato, diverso invece è il caso del predatore affettivo seriale, a cui bisogna prestare molta attenzione, che aggancia solitamente chi cerca l'amore usando i social, come ben documentato dal recente film di Netflix, Il truffatore di Tinder, che racconta la storia vera di un uomo che bombardava di attenzione le donne, solo per truffarle e trarne vantaggio economico

Le relazioni difettose – Come ci si ripara dal tradimento? ESTER VIOLA su Iodonna il 20 marzo 2023.

Cara Ester,

Nella vita dopo aver provato il Gas mi sono messa quieta ad aspettare quello giusto, quello quieto pronto per condividere una vita insieme.

Quattro anni fa incontro di nuovo una persona che conoscevo dall’adolescenza, lui inizia da subito a sottolineare l’intesa tra di noi e si mette buono ad aspettare che io mi accorgessi Che la risposta a tutte le mie domande fosse lui.

Ci ho messo un anno per capirlo, un anno di vari appuntamenti che non mi davano nulla e infatti tornavo da lui che vedevo come amico ma che poi ho capito di volere come fidanzato.

Tradimento. Storie clandestine, perché c'è il boom

Iniziamo la nostra storia d’amore, niente di travolgente e passionale sempre con il treno tirato perché lui che tanto mi aveva aspettato era insoddisfatto per la vita lavorativa assente e troppo preso dallo studio per i concorsi.

Arriva il covid e superiamo la distanza forzata, arriva l’estate e io vado a vivere sola e iniziamo questa convivenza a metà.

Passano i mesi la sua frustrazione aumenta ma diceva che solo in me trovava la luce per andare avanti, passa il concorso ha finalmente il tanto sognato posto fisso e nonostante la precarietà del mio lavoro parliamo di convivenza definitiva e matrimonio.

A ottobre mi dice di essere in crisi con se stesso e che vuole una pausa dalla pausa decide di lasciarmi ma tenendomi legata a sé dicendo che era confuso, per tre mesi interi mi racconta di vedere una collega come passatempo ma che continua a pensare costantemente a tornare con me.

La settimana scorsa confessa tutta la verità (sarà vero?) : ha una relazione parallela da questa estate, quando usciva da lavoro e diceva di andare a casa sua (dove vivono i suoi) in realtà andava per b&b con lei.

Mi è caduto il mondo addosso e stento a riprendermi, come si può avere fiducia se il tuo piccolo amore quieto in realtà è il grande amore sessualissimo di un’altra?

D.

La risposta di Ester Viola

Cara D.,

c’è un grande equivoco, qui. Parliamo di Paq, ma non è che ti pigli uno calmo, affidabile, somigliante e prevalentemente presente quando si tratta di stare in coppia e ti pensi il cuore diventato titolo d’acciaio in una banca cinese tripla A.

Non ci posso credere: torniamo ad amori e garanzie? Pure i chierichetti tradiscono è una conclusione del liceo. Come mai c’è sfuggita?

Torniamo ai nostri vent’anni.

La prima scoppola non si scorda mai. Ti ricordi? Perdemmo la testa, poi perdemmo tutto e manco la dignità fu risparmiata. Certi messaggi rabbiosi/punitivi/recriminatori. Poi altri messaggi disperati inviati dopo le 23. Nessuna risposta. Aveva un’altra. Lutti infiniti, molto più infiniti di quelli agli Achei. Come ci si sente scorticati, vilipesi, come si prendeva sul personale questa brutta faccenda delle corna.

O natura o natura, perché di tanto inganni i figli tuoi.

Il giorno dopo. La sveglia, ancora nessuna risposta, è finita. Caffè, dobbiamo rassegnarci, passerà. Aspettiamo. Non passa. Sottofondo di Tiziano Ferro quant’è-inutile-farneticare e il coro di “hai fatto bene, troverai presto un altro” delle amiche.

(non so tu, io non volevo fare la cosa giusta, volevo sentirmi meglio. Io non volevo trovare un altro, volevo sentirmi meglio. D’amore non moriva nessuno, tranne me).

Vai avanti solo per capirci sempre di meno. Non c’era difesa, né allora né ci sarebbe stata mai. Questo c’era da imparare.

Migliora? Sì. E come migliora?

Essere traditi, progressivamente, diventa sempre meno la cosa peggiore del mondo.

Perché già dicemmo che col tradimento il tradito c’entra poco e niente. Nessuno è abbastanza speciale da scansarsi per sempre. Tradimento non riempie mancanze di qualità, è indipendente, va a occasione. La prossima tradita sarà quella con cui sta adesso. Posso firmarti un foglio protocollo, se serve. Nessuna distinzione di genere, peraltro.

Non esiste felicità costituzionalmente garantita. Non esiste felicità chiusa a chiavistello. Non esiste felicità col PNRR. Se vuoi la felicità ti prendi quella fragile che abbiamo tutti. Fa i buchi, si inceppa, si rovina. Eccola la vostra felicità, la volete? Curatela come i contadini curano la terra: senza promesse e senza attese. Perché poi grandina e che si fa? La fine di Anna Karenina?

Consentimi però di rimanere sconcertata ancora una volta dalla disperata assenza del mio monosillabo preferito, nelle cose del mondo che toccano in sorte alle femmine: io.

Dove l’hai lasciato? Come sta? Che fa? Viaggia, legge, è contento del lavoro?

iO Donna

Dagospia il 13 Maggio 2023. DAGOTRADUZIONE DA dailymail.co.uk.

Di solito accade dopo circa un mese: Siete passate dal "Non posso credere di averti trovato!" a sentirsi abbastanza coraggiose da condividere le parti più grintose del vostro passato che potrebbero non essere così lusinghiere.

 A volte, questo vi avvicina ancora di più. Altre volte, c'è un 'Whoa! Questo non è quello che pensavo fossi! ' che porta a una brusca interruzione dello sviluppo.

 Ma il fatto è che tutti noi abbiamo cose nel nostro passato di cui potremmo non essere super orgogliosi. A volte è qualcosa con cui non abbiamo alcun problema, ma il nostro nuovo partner sì.

 Prima di entrare nel merito di come calmare le acque agitate, voglio chiarire che nessuno dovrebbe vergognarsi del proprio passato - e quello che avete in mente sono affari vostri.

 Ora che avete capito, ecco cosa fare se il vostro partner non ha lo stesso punto di vista

 Avete avuto molti amanti

 Se seguite il mio consiglio, questo è un "peccato" sessuale che non dovrete espiare perché il vostro partner non lo saprà mai.

 "Allora, quanti amanti c'erano prima di me?" è una domanda a cui non credo che nessuno dovrebbe rispondere. Il motivo è questo: i numeri non significano nulla senza conoscere le circostanze. Ecco perché ridurre una storia sessuale a un numero non funziona. Diciamo che ci sono due donne, entrambe sulla trentina. La prima ha dormito con 26 uomini, la seconda con otto.

 Nessun premio per aver indovinato quale donna sarebbe stata giudicata più duramente da un partner. Ma era davvero la più promiscua?

Ecco qualche informazione in più: la ragazza che ha avuto 26 amanti, una media di circa due amanti all'anno da quando aveva 17 anni ed è stata principalmente single. La ragazza che era andata a letto con otto uomini, aveva avuto quattro di quegli incontri durante un fine settimana in un resort con i suoi amici, mentre suo marito stava a casa e si prendeva cura dei bambini.

 Cosa ne pensate adesso?

 Se il vostro partner vi chiede di dare un numero agli ex amanti, ditegli: 'Non discuto di cose del genere. Penso che sia inutile. Quello che abbiamo fatto entrambi nel nostro passato è irrilevante, preferisco parlare di quello che facciamo ora e in futuro. "

Ditegli che preferiste lasciare che i dettagli sulle relazioni passate emergano naturalmente nella conversazione. Le persone che contano - nel bene o nel male - finiranno per essere discusse. Il resto non merita menzione.

 Ciò che le persone di solito intendono quando vogliono sapere quante persone sono state prima di loro, è "Quanto sono speciale?" o "Hai più o meno esperienza sessuale di me?".

 Rassicurateli su quanto vi piacciono e che buon amante sono e (si spera) smetteranno di ossessionarsi sul passato.

 Troppo tardi! Lo sanno già

Hanno sentito da un terzo che avete avuto molti amanti oppure avete già confessato?

 Se è un amico che ha puntato il dito, dite: “Non sono sicura del motivo per cui X te l'ha detto. Sono l'unico che conosce la mia storia sessuale e preferisco parlare del nostro futuro piuttosto che del nostro passato.”

 Se avete confessato la verità e desiderate non averlo mai fatto, dite: 'Mi dispiace se ti senti minacciato da quanti amanti ho avuto. Te l'ho detto perché mi sentivo al sicuro nel rivelare informazioni molto intime e confidavo che non mi avresti giudicato per questo. Spero che sia così.”

Se vi stanno giudicando, ditegli - con fermezza - che il tuo passato è affar tuo e solo il futuro è loro. Quindi fagli sapere che la discussione è terminata.

 Se non riescono a lasciar perdere, sarebbe il momento di riflettere sulla relazione.

 La maggior parte delle donne ha abbastanza vergogna sessuale nella propria vita. Di sicuro non ne avete bisogno da qualcuno che dovrebbe amarti e vuole renderti felice.

Avete un fetish che non approvano

La risposta per affrontare questo dipende se vogliate continuare ad assecondare le vostre fantasie.

 Supponiamo che vi piaccia un leggero BDSM: l'idea di fruste e catene vi eccita e in passato avete frequentato club fetish.

 È qualcosa che in precedenza vi piaceva ma ora siete felici di lasciar perdere perché il vostro partner non è coinvolto? In tal caso, il miglior punto di partenza è istruire il tuo partner sul vostro fetish.

Ad esempio, se si tratta di BDSM, fate qualche ricerca sul legame tra piacere e dolore (troverete molto) e le ragioni psicologiche per cui fa appello a così tante persone (di nuovo, in abbondanza), poi parlatene con loro.

 Dite: "So che non approvi/non capisci perché ho esplorato X sessualmente ma volevo spiegarti perché mi piaceva".

Ci sono molti miti urbani che circondano qualsiasi comportamento sessuale non conforme al gioco di coppia "standard". Dissolvete quelli più ovvi e incoraggiate il vostro partner a chiedere domande. Chiedete perché lo trovano così ripugnante/poco attraente? Potrebbero essere sorpresi, o persino incuriositi, una volta fornite le giuste informazioni.

 Sono rimasti ancora meno colpiti dopo che avete spiegato tutto?

 È il momento per la conversazione "quello che ho combinato prima sono affari miei". Non è il loro posto o il loro diritto giudicarvi su ciò che avete scelto di esplorare sessualmente prima di incontrarli.

Le fantasie di una persona sono sempre state il "che schifo" di un'altra. Supponendo che il vostro fetish non sia qualcosa di così estremamente scioccante che farebbe impallidire anche l'amante più permissivo e avventuroso, non importa se non piace a loro personalmente. Dovrebbero rispettare il vostro diritto al piacere.

 Ancora una volta, chiariste che non chiederete scusa ma siete aperte a dare spiegazioni e dovrebbero capire che rifiutate di essere giudicate.

 Se vi vergognate, parlate del perché e forse spiegate le circostanze che hanno portato alla vostra decisione di assecondare i vostri desideri. Prendiamo tutti le decisioni migliori in base a ciò che abbiamo a disposizione in quel momento.

 E se volessi continuare ad assecondare il mio fetish?

Rompere una relazione per un fetish potrebbe sembrare estremo, ma dipende da quanto divertimento ottenete dal sesso senza di esso. 

Se il vostro partner non condivide l’interesse, potrebbe essere un campanello d’allarme che non siete compatibili in altre aree. Anche se lo siete, quello che da evitare è che si sentano spinti a provare qualcosa che non vogliono e che vi sentiate insoddisfatte facendo sesso che non ti eccita.

 Avete due opzioni in questo scenario: trovare un nuovo fetish che interessa a entrambi o concedervi un assolo, se possibile.

Ciò potrebbe significare usare giocattoli sessuali, guardare porno o praticare in sicurezza i setish su voi stesse. Se il partner è d'accordo, potreste interpretare la fantasia senza farlo davvero (un piccolo scherzo potrebbe persino indurlo a cambiare idea).

 Un'altra opzione se siete entrambi aperti è avere una relazione aperta o ricevere un "pass" per concedervi delle scappatelle occasionali.

 Avete tradito i partner precedenti

 La ricerca non funziona a vostro favore per questo: la maggior parte supporta il detto "una volta imbroglione, per sempre imbroglione".

 Un vero traditore seriale non ha una bussola morale e spesso non vedrà nulla di sbagliato nell'essere infedele. Ma non siete voi, vero? (Se lo fosse, difficilmente stareste facendo clic su una storia su come espiare i tuoi peccati sessuali - i veri imbroglioni non pensano di averne).

È probabile che voi abbia tradito per un altro motivo.

 Alcune persone tradiscono nelle relazioni in cui non sono felici. Altre hanno relazioni per punire per un partner che ha fatto loro un torto, oppure se si sono sentite ignorate o non amate.

 Spiegate le circostanze alla base del motivo per cui avete fatto quello che avete fatto. Rassicurate il partner che la vostra relazione è diversa dal resto, caricando su molte ragioni lusinghiere sul perché. Potreste anche voler parlare di come vi troviate mentalmente in un posto molto diverso ora rispetto ad allora, sempre se è vero.

Se chiariste che vi pentite di quello che avete fatto, le circostanze ora sono completamente diverse e che non avete intenzione di tradirle mai, potrebbero decidere di darvi una possibilità.

 Ma probabilmente ad alcune condizioni.

 Molte persone che scoprono che il loro nuovo partner aveva l'abitudine di tradire in passato potrebbero chiedere di essere completamente trasparente, almeno all'inizio. Sì, significa conoscere la password per i vostri account, magari essere autorizzati a sbloccare il vostro telefono, forse anche configurare un'app di monitoraggio.

Se intendete onestamente mantenere il naso pulito, questo potrebbe essere qualcosa su cui siete d'accordo. Sì, è un'invasione della privacy. Ma se siete d'accordo che potreste correre il rischio, è nel vostro interesse essere d'accordo.

 Una volta stabilita la fiducia, è allora che potete rinegoziare più libertà.

Comunicato stampa IncontriExtraConiugali.com l’11 Febbraio 2023.

La rivincita di San Valentino? Quest’anno la tendenza è quella del «sex revival» con gli “ex”. La festa è ormai diventata una ricorrenza non solo per gli innamorati, tant’è che in Italia la moda importata dagli Usa di celebrare in anticipo —il 13 febbraio— il «Mistress Day» (la festa degli amanti) è ormai in disuso. Così come è anche in disuso la festa del giorno dopo (il 15 febbraio), quella di San Faustino, in cui a celebrare erano i single.

 «In quanto a San Valentino, il “sentiment” degli italiani —indipendentemente dalla loro situazione affettiva— è molto positivo. Per molti (36%) è una delle feste più attese dell’anno e gli “hater” —che in passato erano moltissimi— sono scesi al 5%» sottolinea Alex Fantini, fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com.

Le percentuali emergono da una ricerca di Incontri-ExtraConiugali.com condotta a gennaio/febbraio 2023 su un campione di mille donne e mille uomini di età compresa tra i 18 ed i 65 anni distribuiti in tutte le regioni d’Italia.

 Per la stragrande maggioranza degli intervistati (85%) San Valentino è il momento in cui si festeggia il legame più importante: l’amore in tutte le sue forme e non solo quello di coppia, un sentimento che rompe quindi gli stereotipi e si estende anche a se stessi, con il 10% degli intervistati che pensa di auto-regalarsi qualcosa, e perfino agli animali, con il 9% (tra coloro che hanno un animale) che acquisterà un regalo per il cane o per il gatto.

A fare un regalo al partner sarà il 66% degli italiani. Dato curioso è però il fatto che la percentuale sale calcolando quante persone —tra coloro che dicono di avere una relazione parallela— compreranno un regalo all’amante: l’81% dei fedifraghi.

 Il regalo più gettonato? Nel sondaggio di Incontri-ExtraConiugali.com la maggior parte (53%) dichiara di farne più di uno e di stanziare un budget di spesa piuttosto alto: il 42% spenderà 100 euro o più, il 40% tra i 21 e i 99 euro e solo 18% spenderà 20 euro o meno.

 Sul podio delle preferenze di acquisto degli uomini per la loro donna (o amante) c’è la biancheria intima (41%), i gioielli (30%) ed i sexy toy (23%). Le donne preferiscono invece optare per l’acquisto di regali tecnologici (38%), abbigliamento (25%) o accessori (19%).

Incontri-ExtraConiugali.com ha poi condotto un approfondimento sui fedifraghi interpellando un campione di mille donne e mille uomini iscritti al portale nel medesimo range di età (tra i 18 ed i 65 anni) e con la medesima distribuzione geografica, indagando sul loro “sentiment” in relazione alla Festa degli Innamorati.

 La percentuale di coloro che dichiarano di volere acquistare un regalo per San Valentino è risultata coerente con quanto rilevato nel campione eterogeneo rappresentativo dell’intera popolazione italiana, mentre tra i fedifraghi è più bassa (2%) la percentuale degli “hater” di questa festività.

 In questo particolare segmento di indagine, tuttavia, il 69% delle donne ed il 74% degli uomini sostengono che è proprio la Festa degli Innamorati a fare aumentare il desiderio di tradire.

Con chi? Secondo quanto ha potuto rilevare Incontri-ExtraConiugali.com, il 48% delle donne ed il 57% degli uomini opterà per il «sex revival», scegliendo l’ex per tradire. «Una “trappola” che implica molti rischi e che non fa bene a nessuno» mette in guardia Alex Fantini.

 Insomma, il rischio di un “tradimento da San Valentino” questa volta è altissimo: i rapporti di un tempo con la fidanzatina del liceo o dell’università o con il capo ufficio del primo lavoro che si è avuto non si spengono mai del tutto e quest’anno si ripresenteranno più forti che mai.

«Le scappatelle con gli ex partner tendono a ripresentarsi con una grandissima frequenza e non si tratta di un normale “affaire” ma di una situazione che tende a reiterarsi nel tempo e che —anzi— si rafforza di volta in volta con il trascorrere degli anni» sostiene il fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com.

«Questi tradimenti —prosegue Alex Fantini— sono quindi così intensi e profondi che tendono ad essere scoperti e possono compromettere l’equilibrio non solo a livello di coppia ma anche quello individuale».

 Chi non vuole compromettere il suo matrimonio (o una relazione) farebbe dunque bene ad evitare gli ex e —per compensare all’occorrenza ciò che dovesse mancare nella storia d’amore in corso— ricorrere ad Incontri-ExtraConiugali.com, dove la sicurezza di non essere scoperti è massima e si ha anche il “vantaggio” di ridurre al minimo il coinvolgimento affettivo, cosa che difficilmente accade quando per tradire si sceglie una persona con la quale si era già avuto un rapporto nella vita reale.

(ANSA il 21 gennaio 2023) - La Cassazione ha confermato l'assoluzione nei confronti dell'uomo che a Brescia uccise la moglie e che dal primo grado è assolto per "delirio di gelosia". Lo riporta oggi il Giornale di Brescia.

 Antonio Gozzini, oggi 81enne, la notte tra il 3 e il 4 ottobre del 2019 uccise in casa la moglie Cristina Maioli colpendola con un martello e poi accoltellandola. L'uomo è stato dichiarato incapace di intendere e volere perché affetto da delirio di gelosia ed è ricoverato nella Rems di Castiglione delle Stiviere (Mantova).

 La patologia psichiatrica era stata riconosciuta in primo grado da due consulenze, della difesa e dell'accusa, durante il dibattimento. "Appare necessario non confondere i disturbi cognitivi con le episodiche perdite di autocontrollo sotto la spinta di impellenti stimoli emotivi; la liberazione dell'aggressività in situazioni di contingenti crepuscoli della coscienza con la violenza indotta dalla farneticazione nosologica; il "movente" con il "raptus" e "l'allucinazione"; il femminicidio con l'uxoricidio" scrisse il presidente della Corte d'Assise Roberto Spanó nelle motivazioni della sentenza di primo grado, confermata in appello e ora diventata definitiva in Cassazione.

Tra amore e amicizia il dubbio che mi rode. «Io sono single e lui anche e certe volte mi chiedo perché non riusciamo a fare un passo in più». Lisa Ginzburg su La Gazzetta del mezzogiorno il 4 Febbraio 2023.

Cara Lisa, da un anno sono tornata a vivere al sud dopo quasi dieci anni passati a Torino. Quando ero lontana gli amici mi mancavano molto, eravamo sempre in contatto; una volta tornata, ho conosciuto lo stupore di non ritrovarli affatto come li ricordavo, né di frequentarli, solo ogni tanto e senza particolare entusiasmo. Un amico però lo vedo spesso, era il mio amico più caro quando eravamo adolescenti e tutto dice che lo sia di nuovo, in una forma diversa da prima, ma molto intimo amico. Io sono single e lui anche, e certe volte mi chiedo perché non riusciamo a fare un passo in più, e provare, almeno provare a stare insieme. In fondo abbiamo tante cose in comune, ci intendiamo così bene. La questione è sicuramente che siamo timidi proprio perché ci conosciamo tanto bene, e da tanto tempo. Ma anche, io comincio a pensare, che lui non ami le donne bensì gli uomini. Spesso ho segnali che mi fanno credere sia omosessuale, anche se lui non me ne ha mai parlato e mi dico che forse sono io a sbagliare, fare troppe ipotesi. Grazie

Cara F., da lontano le cose sembrano più semplici e belle, molte volte nella distanza le idealizziamo, le distorciamo, come si dice da certe parti «ci facciamo dei film». D’altra parte, un vero amico scrivi di averlo ritrovato al tuo ritorno, e dopo un’assenza tanto lunga non mi sembra un risultato da poco. Quanto alla vostra mancanza di feeling amoroso, mah: mi viene da dire solo questo, «mah». Ovvero, se l’amore non è fiorito in tanti anni, da vicini quando eravate ragazzi, da lontano quando tu eri via, da più grandi ora che sei tornata, perché dovrebbe accadere ora?

L’amore non si comanda, e i casi in cui un sentimento irrompe e scoppia dopo tanto tempo di lunghe e consolidate amicizie, sono casi che esistono sì, ma sono rari, e quelli in cui succede per davvero, rarissimi. Forse la tua intuizione è giusta, che lui abbia una pulsione non eterosessuale: non specifichi in cosa consistano i «segnali», ma se li hai avuti, saranno veri.

Che fare? Anche qui, mah. Se siete così tanto amici, magari sarebbe bello parlarne, bello che tu gli dicessi questa tua impressione e lo aiutassi magari a venire fuori , dirlo a sé stesso per primo e poi a tutti. Ci sono persone che non riescono ad accettare la loro sessualità, e questo procura loro lunghe, assurde epoche infelici, che durano a volte tutta la vita.

Però, se la tua è solo una supposizione, magari dovuta a un sentirti poco valorizzata come donna dal suo sguardo (che può essere affettuoso, compagnone, ma non galante), allora ti consiglierei di essere cauta con le parole. Si possono ferire inutilmente gli altri, talvolta anche perderli, se ci si spinge troppo in là con impressioni, consigli, diagnosi psicologiche su di loro. Lascia che il tempo faccia affiorare la legittimità delle tue supposizioni: se questa omosessualità del tuo amico è vera, una sua identità intima profonda, prima o poi sarà lui a capirlo e ad avere voglia di parlartene. Se invece la tua sensazione è frutto di una tua proiezione, meglio tacere, attendere. Potresti perdere un caro amico per un eccesso di sincerità, e una sincerità solo tua, vissuta dentro di te. Magari qui anche, cara F., «ti stai facendo un film». Passi falsi, o prematuri, nelle amicizie forse ancor più che negli amori, è sempre meglio evitarli. Non tutte le amicizie sopportano la sincerità dei giudizi, così come non tutti i giudizi sono davvero pertinenti.

Insomma, prendi tempo, magari smetti di chiederti perché tu e il tuo amico non riuscite a innamorarvi l’uno dell’altra, con saggezza escludi per sempre l’ipotesi. Piuttosto, domandati sino a che punto la tua sensazione che a lui non piacciono le donne sia oggettiva, svincolata da te, o invece legata a una sorta di risentimento che nutri nei confronti della vita – o più direttamente, nei confronti di lui – per non sentirti da lui corteggiata, né desiderata. Non agire, non parlare (di questo), invece attendi e intanto ascolta e guarda: l’enigma si scioglierà da solo. L’importante è non lasciar finire un’amicizia per eccesso di franchezza, qualcosa che rischia talvolta di diventare brutalità, se espressa con toni che feriscono o offendono, e con parole dalle quali non si torna indietro.

Le amicizie dei figli, queste sconosciute. Non possiamo controllare tutto, ma ascoltare sì. Cercate occasioni per parlare e per capire. Con amore. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del mezzogiorno il 28 Gennaio 2023

Ciao Lisa, mia figlia ha un’amica, non è la sua prima amica, figuriamoci, ne ha avute tante dall’infanzia sino a adesso (ha diciassette anni). Questa però sembra essere la più importante, lei e mia figlia sono inseparabili: escono sempre insieme, studiano insieme, molte volte la domenica mia figlia vuole che stia a pranzo con noi. Siamo sempre stati accoglienti e aperti con i gli amici dei figli, mio marito e io: questa ragazza però ci è sembrata da subito un po’ particolare. Molto bella, come anche mia figlia e tante ragazze lo sono, però lei elegante, un’eleganza esagerata, vestita con dei capi firmati e altri che comunque si vede bene sono di valore. Un giorno è arrivata con dei grossi orecchini d’oro; tempo dopo, mia figlia mi ha raccontato che quando escono ha sempre parecchio denaro con sé, banconote di cento euro, una volta di cinquecento, e già alla sua età una carta di credito sua personale. Ero colpita, ma non ho detto niente, non ho fatto domande. Di sua spontanea volontà mia figlia mi ha anche detto che questa ragazza scrive spesso messaggi a dei ragazzi e lo fa continuamente, con troppa insistenza, facendoli scappare. Non capisco che tipo di ragazza sia; so che i genitori entrambi hanno professioni di livello, e che non stanno più insieme. Lei è figlia unica, e l’impressione che dà è soprattutto quella di essere molto sola. Mi fa pena anche se non riesco a farmela piacere. La sua personalità mi inquieta un po’, e non posso nascondermi che preferirei che mia figlia avesse vicino un altro tipo di amica. Non voglio intromettermi, eppure sono preoccupata, per la questione del denaro specialmente.

Ciao Roberta,

certe volte da genitori si ha una forte nostalgia dell’infanzia dei figli: perché ci sembra, nel ricordo, che sapevamo tutto di loro, e in qualche modo che tutto potevamo se non controllare, quantomeno «monitorare». In verità è un’illusione, perché sin da bambini una parte di sé è completamente autonoma; anzi, direi che una delle cose in cui più si dimostra una precoce, totale autonomia è proprio la scelta degli amici. Gusti, inclinazioni, affinità: nulla di più individuale e non controllabile. Non c’è verso: certe frequentazioni dei figli, noi per noi stessi, o di nostro, non le avremmo mai scelte; e d’altra parte, per amore dei figli accogliamo in casa, e al cinema, e in vacanza, al mare o in montagna o dove che sia, bambini, poi ragazzini e poi ragazzi diversissimi da quelli che noi immagineremmo adatti a loro e che vorremmo fossero loro vicini.

Detto ciò, la preoccupazione per il lusso del tenore di vita di questa ragazza mi pare più che legittima: che abbia tanti soldi sempre con sé a diciassette anni, certo dice di altri scompensi di altra natura. Per quanto ricchi siano i genitori, esiste una misura nel dare soldi in mano a chi è molto giovane e che il denaro deve entrare nell’ottica di imparare a guadagnarselo. Penso che se tua figlia ti parla spesso di questa amica, sia perché da qualche parte di sé lei anche ne è un po’ turbata. Anche il fatto che ti venga a raccontare di come quella sia troppo spavalda con i ragazzi, facendosi avanti e corteggiandoli con messaggi troppo precipitosi per non diventare imbarazzanti e controproducenti (e molto mortificanti per lei stessa), quello anche probabilmente significa che è inquieta, che il comportamento dell’amica non lo comprende, non lo sente sano, né affine. Insomma, non mi pare tua figlia il punto, bensì l’amica. Poverina, certo; forse il solo modo per capirla è capire i suoi perché.

Spesso le famiglie disfunzionali, dove possono, compensano con il denaro e altri privilegi le mancanze che le loro disfunzioni hanno creato nei loro figli. Spesso il metter loro in tasca più soldi del necessario (ovviamente da parte di genitori che possono permetterselo) viene scelto per sostituire gesti d’amore che mancano, nella assurda speranza di potere colmare i buchi e i vuoti che l’assenza di quei gesti ha generato. Nemmeno c’è da stupirsi che questa ragazza si mostri audace con i ragazzi, che prenda troppe iniziative, faccia lei la corte là dove magari sarebbe più bello e dolce venisse corteggiata. L’amore è una fame, e dove non ha cibo, cerca. E magari la troppa solitudine che l’amica di tua figlia conosce, il senso di abbandono che la sfiora e la abita e tante volte la opprime, è quella a farla «sbagliare». Magari le è stato trasmesso in modo subliminale il concetto che l’amore si possa comprare, ottenere di diritto. L’amore è un diritto ma non ha prezzo, è la cosa più lontana dal principio del denaro che ci sia.

Se con tuo marito ne avrete voglia, continuare a invitare a cena e a pranzo questa ragazza le farà bene. Stare vicino a persone affettuose non le cambierà la vita, ma potrà aiutarla a vedere l’altro alto della medaglia, un mondo di persone che si amano nella gratuità dell’amarsi, nient’altro. Quanto a tua figlia, sembra dal tuo racconto che abbia tutti gli anticorpi per voler bene a questa amica senza farsi ipnotizzare da nessun vestito firmato, o orecchino d’oro, o altra apparenza.

La posta di Gramellini: «Io, amante di un uomo 10 anni più vecchio (che non lascia la moglie): cosa devo fare?». Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 29 Gennaio 2023.

«Dice che non vuole perdermi, ma si rifugia in lei perché porto sicuro. Io ho 30 anni, perché non riesco a chiudere?»: la domanda di una lettrice e la risposta di Massimo Gramellini

Caro Massimo,

ho conosciuto un uomo di dieci anni più vecchio, separato in casa con una bimba di un anno. Matrimonio finito da cui fugge da vent’anni andando a letto con altre donne, sua moglie assolutamente a conoscenza dei fatti. Quando ci siamo conosciuti mi dice che ora non cerca più solo sesso per riempire il vuoto lasciato da questa relazione finita ma mai davvero finita. Ci innamoriamo e ciclicamente litighiamo perché non riesce a prendere una decisione. Pare che ora sua moglie sia quasi disposta a lasciare che frequenti un’altra donna con continuità e lui non sa esattamente cosa fare. Dice che non vuole perdermi, ma non mi sceglie comunque. Si rifugia in lei perché porto sicuro. Nonostante sia una zona di comfort fasulla, non riesce a sganciarsi. E io? Non riesco a lasciare una persona tossica. Il fatto è che forse, proprio perché non possiamo averci, ci viviamo nel profondo come mai con nessuno. Ci capiamo al volo, fare l’amore con lui è su un altro livello. C’è una connessione profonda che ci lega e anche lui lo riconosce, ma non sa spiegarmi perché non riesce a lasciare questo matrimonio finito, sperando continuamente di rianimarlo in qualche modo. Io ho trent’anni, una vita davanti con la possibilità di trovare un uomo libero con cui costruire un futuro. Perché non riesco a chiudere e basta? Perché è così difficile affrontare il vuoto? Io ho un attaccamento ansioso e un’evidente paura dell’abbandono per cui individuo una persona con i miei stessi problemi. Come posso convincermi a volermi bene e a lasciarlo andare?

Marta

CARA MARTA ,

ho una quarantina di righe per convincerti a chiudere immediatamente questa storia malata e puoi giurarci che ci proverò. Intanto non ti pare quantomeno bizzarro che lui stia da vent’anni con una donna che non ama eppure ci abbia fatto un figlio appena l’anno scorso? Non esiste un solo modo di essere coppia. Loro ne hanno trovato uno che probabilmente non piacerebbe né a me né a te, ma lo hanno trovato: con reciproca soddisfazione e insoddisfazione, a quanto pare. Per muoversi da un punto all’altro bisogna essere disposti a perdere l’equilibrio, a costo di cadere. Lui con lei un equilibrio, per quanto strampalato, ce l’ha. E non è disposto a perderlo. Borbotta, divaga, compensa. Però non si muove, non smonta una vita edificata in vent’anni: non ne sente l’urgenza.

Non sto dicendo che non prova niente per te, ma che quel che prova per lei è ancora sufficiente a tenerli legati. Se fossero davvero in crisi, la tua presenza li avrebbe fatti esplodere. Invece, per assurdo, sta puntellando il loro rapporto. Non dubito che insieme raggiungiate le vette della passione, ma evidentemente questa passione non è sufficiente a sbloccare la situazione.

So come ti senti perché almeno una volta nella vita tutti abbiamo incontrato una persona impegnata ma infelice che ci piaceva da impazzire e ricambiava i nostri sentimenti, senza riuscire a capacitarci delle ragioni che le impedissero di saltare tra le nostre braccia smaniose di accoglierla. Il suo irrigidimento ci sembrava uno spreco, prima ancora che una ingiustizia. E ci logoravamo in tattiche e strategie per indurla a compiere quel passo che in fondo al cuore sapevamo non avrebbe mai fatto.

Le conquiste faticose sono cibo per canzoni e romanzi, ma nella realtà rimangono rarissime. Se penso alle storie d’amore più importanti della mia vita, sono cominciate tutte in modo liscio, trovando semmai modo e tempo di complicarsi in seguito. Ma una storia che emana indisponibilità fin dall’inizio di solito resta sterile. Non porta a nulla se non a un fondamentale lavoro su sé stessi che tu hai già cominciato a fare nell’ultima parte della lettera, laddove riconosci l’esistenza della Legge dello Specchio e ammetti che hai trovato un uomo bloccato perché sei bloccata anche tu. Se l’uomo che ti piace ha paura di lasciare il certo per l’incerto, la stessa paura ce l’hai tu. Solo che per lui “il certo” è quel matrimonio senza passione ma con mille altre compensazioni e manipolazioni affettive, mentre per te è questa storia sospesa e irrealizzabile che ti offre uno splendido alibi per non cercarne una più solida e reale che ti costringa a crescere.

Adesso basta, però. Non perdere più altro tempo a cercare di trasformare lui. Perdine invece a cercare di trasformare te. Non appena avrai superato il tuo blocco interiore incontrerai inevitabilmente un uomo altrettanto sbloccato. L’amore funziona così, accidenti. O per fortuna.

Come far resistere un amore a distanza. Il proverbio dice «la distanza è come il vento, perché spegne i piccoli fuochi e invece accende quelli grandi». Lo dirà pure (anzi lo dice), ma è criterio che può valere per i primi tempi...Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 21 Gennaio 2023.

Cara Lisa, ho ventinove anni e da due anni lavoro all’estero, in Spagna, grazie a un Master che si è trasformato in un impiego all’Università, non si sa quanto definitivo ma certo, so di essere una ragazza molto fortunata. In Italia avevo e ho ancora un fidanzato. Durante il lockdown ci parlavamo in video tutti i giorni, non è stato facile ma siamo riusciti a reggere. Ora che si viaggia di nuovo, lui appena può viene a trovarmi, e io da parte mia tutte le feste e vacanze scendo giù, pur di stare insieme, restare intimi, non interrompere mai il nostro mondo privato, la nostra atmosfera di intimità. Sì, perché l’intimità può svanire in fretta, questo l’ho capito. Fino a quando saremo pendolari? Fino a quando riusciremo a stare insieme? Certe volte ho paura che a un certo punto non ce la faremo a tenere così, la distanza è troppa e le videochiamate il vuoto di certe sere non riescono a riempirlo; mai. E poi, altra cosa che mi preoccupa è che qui, in Spagna, c’è una mia collega con la quale esco spesso, molto vitale e simpatica, e che ho un po’ il timore si sia presa una cotta per me.

E non so che fare, questa sensazione forse è solo mia ma mi tormenta, e se è così dovrò allontanarmi da lei perché amo gli uomini, non le donne, e soprattutto amo il mio fidanzato anche se le troppe distanze ci stanno consumando. Mi sento confusa, in ansia, e piena di incertezza.

Grazie, Elena

Cara Elena, il proverbio dirà pure che «la distanza è come il vento, perché spegne i piccoli fuochi e invece accende quelli grandi». Lo dirà pure (anzi lo dice), ma è criterio che può valere per i primi tempi, per i primi anni magari di una relazione, non di più. Non nella durata. La durata dell’amore, finito il «primo» nutrimento, quello della passione, del fuoco, vuole altro. Vuole il cibo, mite e spesso sempre uguale a se stesso, della consuetudine. Abitudine, questo anche l’amore cerca e chiede, perché è sul ripetersi di se stesso, dei suoi modi, dei suoi piccoli grandi rituali, che il sentimento si cementa.

Stessa cosa per l’eros, che a pensarci bene è incanto della ripetizione, un meccanismo fisico ed emotivo che prende a funzionare e poi funziona ripetendosi, e invece si incaglia e si inceppa e smette di andare quando proprio quella ripetizione non ci soddisfa più, ci viene a noia.

Gli amori pendolari prima o poi devono arrivare a una resa dei conti, a un «redde rationem», a meno che non siano amori tra persone molto adulte e navigate e che in precedenza magari hanno convissuto, diviso tante cose, magari fatto anche dei figli insieme.

Non è il tuo caso: sei, siete giovani, e questa distanza ti sta pesando sul cuore come un macigno, dalla tua lettera si sente bene.

Se proprio non c’è modo di passare più tempo insieme, perché giustamente l’attività di ognuno è importante, impegnativa, e sacrificare qualcosa del lavoro sarebbe assurdo, forse la migliore soluzione è lasciare che le cose vadano da sole, trovino come sistemarsi. Senza fatalismo, con sincerità invece. La distanza è una corrente, contro la sua direzione non si può fare granché; l’importante è soffrire il meno possibile. La tua collega amica, se anche ti fa un po’ la corte o si è comunque un po’ invaghita di te (non ci vedo nulla di così strano, sembri essere una ragazza vitale e interessante, e di certo lo sarai) non mi sembra il punto, non quello il nucleo della questione. Non mi farei troppe domande su come comportarmi con lei, invece piuttosto, con coraggio e franchezza del cuore, al vostro prossimo incontro parlerei con il tuo fidanzato.

Dove state andando? Chiederselo insieme, per quanto possa scatenare una crisi, sarà un passo verso la vostra chiarezza. E se vi volete bene davvero come lasci pensare, parlare, confidarvi, ammettere ognuno il disagio e la difficoltà davanti a questo amore a distanza che della distanza non ne può più, vi farà approdare su territori nuovi.

Quel vento di cui dice il proverbio, più che accendere o spegnere fuochi d’amore, per voi sarà utile a smuovere un immobilismo di accondiscendenza in cui la vostra storia rischia di spegnersi.

Non temere, apriti, parla, sfogati piangi lamentati: le storie d’amore devono poter accogliere comunicazione vera. Per durare o per finire, come che sia per restare degne di essere vissute.