Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
NOTA BENE
NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB
SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA
NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE
NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO
LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:
accredito/bonifico al conto BancoPosta intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA IBAN: IT15A0760115800000092096221 (CIN IT15A - ABI 07601 - CAB 15800 - c/c n. 000092096221)
versamento in bollettino postale sul c.c. n. 92096221. intestato a: ANTONIO GIANGRANDE, VIA MANZONI, 51, 74020 AVETRANA TA
SCEGLI IL LIBRO
PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI
presidente@controtuttelemafie.it
Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996 0999708396
INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA - TELEWEBITALIA
FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE
(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -
ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2023
L’AMMINISTRAZIONE
SECONDA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
L’AMMINISTRAZIONE
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Insicurezza.
La Burocrazia.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Viabilità e Trasporti.
INDICE TERZA PARTE
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Disuguaglianza.
Il Welfare: Il Sistema Pensionistico ed Assistenziale.
I Patronati.
Buon Primo maggio. La festa dei nullafacenti.
Il Reddito di Cittadinanza.
Lavoro saltuario: il Libretto di famiglia.
Il Lavoro Figo.
Il Lavoro corto.
Il Lavoro umile.
Il Lavoro sottopagato.
Alternanza scuola-lavoro.
Il Licenziamento.
I Martiri del Lavoro.
Alti e Bassi.
Il Dna.
La Cura.
La Cura Digitale.
La Politerapia.
L’omeopatia.
Il Tumore.
La SMA Atrofia Muscolare Spinale.
La SLA Sclerosi Laterale Amiotrofica.
La Sclerosi Multipla.
Il Diabete.
La pressione alta.
Il Cuore.
Il Fegato.
La Sterilizzazione.
La Disfunzione Erettile.
L’Ernia inguinale.
Il Fibroma e le Cisti ovariche.
L’Eclampsia.
La sindrome del bambino scosso.
Cefalea ed Emicrania.
L’Insonnia.
CFS/ME (Sindrome da Stanchezza Cronica).
Fibromialgia.
L’Astenia.
La Podofobia.
L’Ictus.
Longevità e invecchiamento.
La Demenza Senile. L'Alzheimer.
Il Parkinson.
L’Autismo.
La sindrome di Pandas.
Sindrome di Gilles de la Tourette.
Lo Stress.
Lo Svenimento.
Cinetosi: mal d’auto.
L’Insolazione.
La Vista.
L’Udito.
I Dolori.
Il Mal di pancia.
Malattie virali delle vie aeree.
I cattivi odori.
Il Respiro.
L’Asma.
L’Acetone.
L’Allergia.
La Vitiligine.
L’Epilessia.
La Dermatite.
La Scarlattina.
La Setticemia.
Formicolio alle mani.
La sindrome autoinfiammatoria VEXAS.
La Psoriasi a placche.
Il Colesterolo.
Effetti del Parto. Diastasi addominale.
Malattie sessuali.
La Dieta.
Bulimia, anoressia, binge eating: quali sono i disturbi alimentari più diffusi.
Il Soffocamento.
Il Movimento.
L’Artrosi.
Osteoporosi.
Piedi piatti.
La Scoliosi.
INDICE QUARTA PARTE
IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Covid ed il Fallimento del Sistema Sanitario Nazionale.
Il Covid e le sue Varianti.
Le Origini del Covid.
Lo stigma dei covidizzati.
Io Denuncio.
Io Ricordo.
Protocolli sbagliati.
Morti per…morti con..
Vaccini e Cure.
I No Vax.
Gli Esperti.
Le Fake News: le Bufale.
Cosa succede in Puglia.
Cosa succede in Lombardia.
Cosa succede in Veneto.
Cosa succede nel Regno Unito.
Cosa succede in Cina.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE.
I MARCUCCI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’AMMINISTRAZIONE
SECONDA PARTE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Viabilità e Trasporti.
Il Ponte Morandi.
Il Ponte sullo Stretto.
Le Montagne.
Le Navi.
Gli Aerei.
Le Ferrovie.
Le Strade.
Antonio Giangrande: Ponte Morandi. Diamo a Cesare quel che è di Cesare…
Si dica: i morti per Genova e non i morti di Genova.
L’ipocrisia italica tende a mistificare una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Una mistificazione che non può giustificare quel logorroico fiume di parole demagogiche spese in un periodo agostano privo di notizie.
Cosa nasconde tutta quest’enfasi del dolore?
Che voglia la brigata d’arlecchini, servi di un nuovo padrone, usare la disgrazia a fini speculativi per ripicca e per rivalsa con strumenti demagogici?
Che si voglia, con il faro mediatico acceso, riavere tutto e subito, a discapito di altri disgraziati?
Il parere del dr Antonio Giangrande, che su Genova ha scritto un libro. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Con le tragedie si perdono cose o persone. Quanto valgono le une di più rispetto alle altre?
L’omelia di Bagnasco: “Giustizia e orgoglio. Genova non si arrende”. "Il crollo del ponte Morandi sul torrente Polcevera ha provocato uno squarcio nel cuore di Genova. La ferita è profonda" ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, sabato 18 agosto 2018 nell'omelia dei funerali delle vittime. Bagnasco ha poi riferito della telefonata fatta da Papa Francesco: "Ieri sera, con una telefonata affettuosa" il pontefice "ha voluto manifestarci la sua prossimità". "Sappiamo che qualunque parola umana, seppure sincera, è poca cosa di fronte alla tragedia, così come ogni doverosa giustizia nulla può cancellare e restituire". "Alziamo lo sguardo", ha poi esortato Bagnasco rivolto alla folla. "La Madonna Assunta al cielo ci invita anche in questo momento guardare in alto, verso Dio, fonte della speranza e della fiducia. Guardando a Lui - ha concluso l'arcivescovo di Genova - eviteremo la disperazione e potremo tornare a guardare con coraggio il mondo, la vita, la nostra amata Città. Potremo costruire ponti nuovi e camminare insieme".
Non solo Milan-Genoa e Sampdoria-Fiorentina, a fermarsi sono anche Lega Pro e Serie D. In segno di rispetto e vicinanza verso tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia il presidente della Lega Pro Gabriele Gravina, ha disposto il rinvio, a data da destinarsi, delle gare di Coppa Italia che erano in programma domenica 19 agosto. "La Lega Pro ed i suoi club - si legge nel comunicato - rinnovano la vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutti gli abitanti di Genova".
Si arriva addirittura a dire…
Una città in lutto fatica a elaborare dolore e sgomento. Un gruppo di psicologi e counselor specializzati nelle emergenze si offre di dar loro una mano, scrive Marta Buonadonna il 19 agosto 2018 su "Panorama". Siamo ancora sotto choc, e chissà per quanto durerà questa senso di vuoto che proviamo noi genovesi, che sul ponte Morandi passavamo tutti i giorni. Anche se non abbiamo perso una persona cara il 14 agosto, anche se non ci siamo salvati per miracolo, come è capitato a tanti sopravvissuti di cui abbiamo letto i racconti in questi giorni, la sensazione che proviamo è che anche un pezzo di noi sia rimasto sotto quelle macerie. Qualcuno si propone di aiutare i genovesi a elaborare la tragedia.
Ora è il momento di stabilire una verità. Se nessuno la dice, la dico io.
Parliamo di cose perse. Genova ha avuto per oltre 50 anni un ponte, che, forse, molti non l’hanno mai avuto. Oggi Genova lo ha perso in modo tragico e ne sono addolorato. Ma sicuramente chi, genovese, ha perso il ponte e la propria abitazioni, riavrà il tutto senza compromessi.
Ora parliamo di persone perse e che mai nessuno ce li ridarà.
Su 43 morti solo 7 sono di Genova. E di Genova, forse, nulla gli interessava.
Solo 7 erano di Genova: Roberto Robbiano (44), Ersilia Piccinino (41 anni) ed il piccolo Samuele (9). Bruno Casagrande (57) anni, Sandro Campora (53). Andrea Cerulli, (47). Funerale pubblico. Mirko Vicini (31). Funerale privato.
1 era di Busalla (Ge). Elisa Bozzo (33). Funerale privato.
1 era di Serra Riccò (Ge): Francesco Bello, (42). Funerale privato.
2 erano della provincia di Savona. Di Toirano Giorgio Donaggio (57). Funerale privato. Di Borghetto Santo Spirito Luigi Matti Altadonna (35) funerale pubblico.
9 erano Piemontesi: Cristian Cecala (42), Dawne Munroe e la piccola Crystal (9). La famiglia era di Oleggio in provincia di Novara. Andrea Vittone, 49 anni, sua moglie Claudia Possetti, 48 anni, e i figli della donna Manuele e Camilla Bellasio, di 16 e 12 anni. Erano di Pinerolo (No). Alessandro Robotti, 50 anni, e la moglie Giovanna Bottaro, 43 anni. Erano di Arquata Scrivia (Al). Tutti con funerali privati.
1 era lombarda. Angela Zerilli (58) di Corsico (Mi).
4 erano toscani: Jesus Erazo Trujillo (26) e Stella Boccia (24), la coppia di fidanzatini di Capolona (Ar). Funerali privati. Alberto Fanfani (32) e Marta Danisi (29) di Pisa
5 erano campani. Matteo Bertonati (26), Giovanni Battiloro (29), Gerardo Esposito (26) e Antonio Stanzione (29) di Torre del Greco (Na). Gennaro Sarnataro (43) di Casalnuovo di Napoli. Funerali privati.
1 era siciliano: Vincenzo Licata (58) Funerale privato.
7 erano francesi. Anatoli Malai (44), Marian Rosca (36). Origine moldava e rumena vivevano a Parigi. Diaz Enzo Henry (30). Nathan Gusman (20), Melissa Artus (21) William Pouza Doux (22), Axelle Nèmati Alizèe Plaze (21). Funerale di Stato.
3 cileni: Leyla Nora Rivera Castillo (48), Juan Carlos Pastena (64), Ruben Figuerosa Carrasco (68). Funerale di Stato.
2 albanesi e mussulmani: Marius Djerri, (28) e l’amico Edy Bokrina (22). Funerale pubblico.
Alla fine del conto pare chiaro che Genova abbia perso molto meno in termini di vite umane rispetto alle altre città, mai citate.
I ponti si rifanno, le persone no! Ed il rispetto per il dolore di una comunità deve essere pari per tutte.
E mai come questa volta, per il ponte Morandi di Genova, il dolore deve essere delocalizzato.
A cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Estratto dell’articolo di Marco Principini per lanazione.it martedì 17 ottobre 2023.
"Non me ne frega un c..., fa quello che dico io". Detto dal controllante al controllore. Al processo per il crollo del Ponte Morandi (43 vittime il 14 agosto 2018) l’atmosfera si fa cupa per molti dei 58 accusati per strage.
Due dei quali – forse addirittura tre – annunciano che oggi rinunceranno a deporre. La registrazione telefonica rintracciata nel cellulare di uno degli uomini di punta di Spea Enginering (la società incaricata del controllo e delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia) racconta infatti molto bene come andassero le cose. "Te lo dico io, tu devi scrivere che quest’operazione aumenta la vita utile del viadotto. Punto". A parlare è Michele Donferri Mitelli, ex numero tre Aspi.
Nella conversazione […] Donferri intima che l’intervento sul Morandi non sia classificato come "miglioramento" e non come "manutenzione": "Non dovrai mai in nessun documento parlare di manutenzione", è l’ordine perentorio ai controllori di Spea […].
A sentire l’intemerata di Donferri Mitelli dell’autunno 2017, a 10 mesi dalla tragedia, ci sono […] Emanuele De Angelis [ex ingegnere responsabile del progetto di rinforzo delle pile 9 e 10], Giacobbi, Paolo Strazzullo (altro uomo di Autostrade a giudizio) e un paio di consulenti esterni. Parole che spiegano molto bene le pressioni esercitate dal concessionario, il cui rappresentante fa il bello e il cattivo tempo.
Così la procura contesta a De Angelis di mentire dopo avergli chiesto perché Ceneri, a un anno dal crollo, avesse valutato un "assottigliamento" medio dei cavi "del 30%". "Non so", prende tempo l’accusato.
In virtù di quanto emerso, Giacobbi e Lucio Torricelli (altro uomo Spea) oggi non deporranno, mentre Maurizio Ceneri (responsabile ufficio collaudi e controlli) si è preso la notte per decidere.
Crollo Ponte Morandi, cinque anni fa la tragedia: la sentenza è attesa per il 2024. Sono trascorsi esattamente cinque anni dal tragico crollo del Ponte Morandi: le famiglie delle vittime sono ancora in attesa di giustizia. Jacopo Romeo su Notizie.it Pubblicato il 14 Agosto 2023
Sono passati esattamente cinque anni dal giorno del tragico crollo del Ponte Morandi. Il bilancio è stato drammatico: 43 morti e 566 sfollati. I parenti della vittime chiedono giustizia, mentre la sentenza di primo grado è attesa per il 2024 e potrebbe slittare in avanti.
Ponte Morandi, 5 anni fa il crollo: la commemorazione
Era il 14 agosto 2018, quando esattamente alle ore 11:36 del mattino, il Ponte Morandi è crollato portando con sé 43 vittime. La tragedia ha coinvolto anche altre 566 persone rimaste sfollate. Nella giornata della commemorazione i nomi delle vittime scorreranno senza sosta su un maxi-schermo sulla facciata del palazzo di Piazza De Ferrari a Genova. “È una ferita ancora aperta per tutti noi – ha affermato il governatore della Liguria Giovanni Toti – “E soprattutto per le famiglie delle 43 vittime a cui va il mio pensiero. Dal processo in corso, attraverso le testimonianze e le parole degli indagati, sono emerse verità che ci hanno lasciati sgomenti. Il mio auspicio è che i giudici dimostrino la colpevolezza di chi si è reso responsabile di questa immane tragedia, che ha colpito l’Italia intera.”
Crollo Ponte Morandi: il processo
Il processo per il crollo del Ponte Morandi è iniziato il 7 luglio 2020 e vede 59 imputati tra i quali troviamo alcuni dirigenti e tecnici di Autostrade per l’Italia, ministero delle Infrastrutture e Spea. Le accuse nei loro confronti sono tante e disparate, ma tra loro spiccano l’omicidio colposo plurimo e omicidio stradale. Vanno poi anche ricordate le accuse di attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Per il momento la sentenza di primo grado è attesa per il 2024, ma la data, come già anticipato in tempi non sospetti dal procuratore capo di Genova Francesco Pinto, potrebbe slittare più avanti.
5 anni dopo il crollo del ponte Morandi di Genova . I parenti delle vittime: “La morte dei nostri cari è servita a poco”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Agosto 2023
Su un maxischermo davanti al palazzo della Regione scorreranno i nomi delle 43 vittime . Mattarella: "Fare giustizia è un dovere". Meloni: "Rinnoviamo le scuse doverose dello Stato, la rabbia è sacrosanta".
Egle Possetti, portavoce Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi, a margine della commemorazione del disastro avvenuto 14 agosto 2018, in cui la Possetti perse sua sorella, cognato e nipote nel crollo del ponte genovese, ha dichiarato: “Al ministro Salvini dirò che non abbiamo sicurezza nelle infrastrutture“. ed aggiunto “Solo poche settimane fa c’e’ stato un incendio in galleria in Liguria , cinque anni dopo quello che è successo qui, cosa che ha messo in evidenza ancora una volta le carenze. La nostra percezione grave è che la morte dei nostri cari sia servita a poco”.
Il corso della giustizia per accertare le responsabilità della tragedia di cinque anni fa intanto procede velocemente. Sinora in poco meno di un anno sono stati ascoltati circa 170 testimoni dell’accusa in 84 udienze calendarizzate , ma la sentenza sul processo non arriverà prima del 2024. Per la lunghezza e complessità delle udienze ai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, che hanno coordinato le indagini della Guardia di Finanza, è stato affiancato anche il pm Marco Airoldi.
Cinque anni dopo il disastro, a settembre è previsto l’avvio in udienza degli esami degli imputati. Sono solo una ventina su 58 quelli che si sottoporranno alle domande: tra questi anche Giovanni Castellucci l’ex amministratore delegato di Aspi,. Alcuni di loro hanno già reso noto che rilasceranno solo delle spontanee dichiarazioni non sottoponendosi all’esame processuale. Successivamente che sarà il turno dei testimoni delle difese.
In questi mesi, con un calendario di tre udienze alla settimana, che si svolgono nella tensostruttura impiantata nel cortile di palazzo di giustizia a Genova, sono state ascoltate le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti, si è fatta chiarezza sui rilievi tecnici dei periti che hanno accertato le cause del collasso. Le dichiarazioni in aula rese dagli ex vertici di Atlantia, con le importanti dichiarazioni dell’ex ad Gianni Mion che ha confermato che nel 2010 si parlò di “rischio crollo” per il viadotto in una riunione coi vertici di Aspi, ed Edizione, rispettivamente la holding e la cassaforte degli affari della famiglia Benetton, ma anche gli ex ministri dei trasporti e lavori pubblici come Graziano Delrio e Antonio Di Pietro.
Nel frattempo, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 47 persone nel filone bis di inchiesta sulle autostrade liguri, nato dopo il crollo. Aspi e Spea, le due società coinvolte nel filone principale, sono invece uscite dal processo, patteggiando un risarcimento danni di circa 30 milioni. Secondo l’accusa il ponte è crollato perché si è risparmiato per decenni sulle manutenzioni in modo tale da poter distribuire maggiori dividendi agli azionisti delle società.
Sempre in autunno potrebbe iniziare l’udienza preliminare per il filone bis che vede imputate 47 persone, la maggior parte le stesse del processo principale. L’indagine riguarda i falsi rapporti sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore pericolose, il crollo (30 dicembre 2019) della galleria Berté in A26 e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel. Per 12 di loro la procura ha proposto il patteggiamento. Le due società Aspi e Spea sono uscite anche da questo procedimento, dopo avere patteggiato sborsando circa un milione di euro.
Il crollo del ponte Morandi di Genova è “una vicenda che interpella la coscienza di tutto il Paese, nel rapporto con l’imponente patrimonio di infrastrutture realizzato nel dopoguerra e che ha accompagnato la modernizzazione dell’Italia. Un patrimonio la cui manutenzione e miglioramento sono responsabilità indeclinabili. La garanzia di mobilità in sicurezza è un ineludibile diritto dei cittadini”. ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio in occasione del quinto anniversario della tragedia. “Il trascorrere del tempo non attenua il peso delle responsabilità per quanto accaduto. Ed è responsabilità fare giustizia, completando l’iter processuale, con l’accertamento definitivo delle circostanze, delle colpe, delle disfunzioni, delle omissioni”.
“Con il sostegno del Paese intero, Genova ha saputo mettere in campo una grande reazione civile, che è divenuta, forza ricostruttiva. Il nuovo Ponte San Giorgio ha saputo essere un simbolo di ripartenza e di efficace collaborazione tra istituzioni ed espressioni della società. Un risultato importante che dimostra ancora una volta come l’Italia sappia affrontare le sfide più difficili dando il meglio di se’ nell’unità”. ha concluso il presidente Mattarella.
“Nel quinto anniversario del crollo del Ponte Morandi si rinnova il dolore per le quarantatré vite spezzate in una tragedia che ha colpito al cuore Genova, la Liguria e l’Italia intera. Le quarantatré vittime, la sofferenza dei loro cari e i disagi degli sfollati rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria. Così come non dimenticheremo mai l’eroismo dei soccorritori e l’impegno senza sosta dei tantissimi che, in quelle ore e in quei giorni drammatici, diedero testimonianza di quanto gli italiani sappiano donarsi al prossimo. L’orgogliosa reazione dei genovesi, vettore decisivo della ricostruzione e della rinascita della città, è un esempio altrettanto potente della capacità del nostro popolo di non lasciarsi mai abbattere dalle difficoltà, anche le più estreme, e di sapersi rialzare. Da questa forza, dalla collaborazione tra le Istituzioni e dalle migliori energie del sistema imprenditoriale italiano è nato quel ‘modello Genova’ che ha permesso, in tempi record, di ricucire lo strappo inferto dal crollo del Morandi con la costruzione del nuovo Ponte Genova San Giorgio” ha dichiarato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
“Ma sono tante le domande poste da quella tragedia che sono ancora rimaste senza risposta. La rabbia, il dolore, la sete di giustizia dei familiari delle vittime sono sentimenti sacrosanti e che meritano tutto il nostro rispetto. A chi il 14 agosto 2018 ha perso un figlio, un genitore, un caro – tutto -, rinnoviamo oggi le doverose scuse dello Stato per ciò che è successo, pur consapevoli che nessuna parola sarà mai sufficiente a lenire la sofferenza e placare il desiderio di giustizia. Il processo sul crollo del Morandi è ancora in corso. La giustizia sta lavorando e noi, come tutti gli italiani, confidiamo nel lavoro dei magistrati. Il nostro augurio è che la verità possa emergere con tutta la sua chiarezza e che i responsabili di quel disastro siano acclarati e accertati. Perché sarebbe davvero imperdonabile che questa tragedia nazionale possa rimanere impunita“. ha concluso la Meloni. Redazione CdG 1947
La gallina dalle uova d'oro. Report Rai PUNTATA DEL 24-06-2023
di Danilo Procaccianti
collaborazione Andrea Tornago
Sono passati quasi cinque anni dal crollo del Ponte Morandi che ha provocato 43 morti.
Da qualche mese si è aperto il processo che vede imputate 59 persone tra cui l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci che si è portato a casa 13 milioni di euro di liquidazione. Poi i Benetton si sono resi conto che forse non era il caso e glieli hanno chiesti indietro. Del processo si parla poco ma stanno emergendo fatti importantissimi: il principale è che tanti, troppi sapevano che quel ponte era ammalorato e non avrebbero fatto nulla. Per la prima volta andranno in onda gli audio originali delle intercettazioni e si ascolterà in tempo reale il racconto di quello che succedeva dalle voci dei protagonisti. Nel frattempo, ci hanno detto che Autostrade è tornata allo Stato. È veramente così?
La lettera di Alessandro Benetton alla redazione di Report e la lettera alla redazione del Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi
ESCLUSIVA REPORT: la lettera di Cassa Depositi e Prestiti ai soci ASPI rispetto a investimenti e manutenzione.
Spettabile Treviso, lì 23 giugno 2023 RAI - redazione Report Via Teulada, n.ro 66 00195 Roma In merito alla Vs richiesta si ricorda che: Alessandro Benetton ha da tempo e in diverse occasioni pubbliche preso posizione sulla tragedia di Genova, stigmatizzando gli errori di comunicazione commessi, ed in particolare la deprecabile mancata tempestiva espressione di solidarietà e vicinanza nei confronti dei parenti delle vittime. Sentimenti che vuole qui rinnovare, porgendo nuovamente le più sentite scuse, nella consapevolezza che questo drammatico evento, come riconosciuto a più riprese, peserà per sempre sul nome della famiglia; si sottolinea altresì che: Alessandro Benetton ha assunto la presidenza di Edizione nel gennaio 2022, condividendo con i suoi cugini, nuova generazione alla guida del Gruppo, una forte determinazione alla discontinuità, con la volontà comune di dare un senso di direzione alle partecipate, investendo in giovani, innovazione e sostenibilità. Un impegno che ha permesso in meno di un anno e mezzo, tra le altre cose, di realizzare un grande gruppo mondiale della mobilità integrata con cuore e cervello in Italia e di svolgere un ruolo importante nello sviluppo di piattaforme industriali di dimensioni internazionali, che danno lavoro a decine di migliaia di persone, con un radicale rinnovamento della governance e del management delle società controllate; Alessandro Benetton ha scelto per oltre 30 anni di svolgere un percorso professionale autonomo e indipendente dalla sua famiglia d'origine, fondando, nel 1992, 21 Invest, uno dei primi gruppi europei di investimenti di private equity, i cui capitali gestiti sono per il 95% esterni alla famiglia, con l’obiettivo di aiutare la crescita delle piccole e medie imprese, creando sviluppo e occupazione; Alessandro Benetton è stato nel corso degli anni anche voce critica rispetto ad alcune scelte aziendali e manageriali del gruppo di famiglia, manifestando il suo punto di vista e talvolta il suo dissenso, e chiarendo in più occasioni l’importanza dei ruoli separati tra management e azionisti; Alessandro Benetton, nella fiducia che la Magistratura saprà fare giustizia, si unisce ancora una volta al dolore dei parenti delle vittime, consapevole comunque che, purtroppo, la pena per la perdita di una persona cara non può mai essere colmata. Edizione SpA L’Ufficio Stampa
La lettera a Report del Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi 27 giugno 2023 ore 14:00
Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata alla redazione da parte del Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi dopo l'inchiesta "La Gallina dalle uova d'oro" di Danilo Procaccianti:
Dopo aver visto la vostra puntata di Report inerente la nostra vicenda intendiamo scrivere alcune riflessioni che ci stanno particolarmente a cuore.
Dopo tanto tempo e tanta indifferenza a livello nazionale finalmente viene fatto un approfondimento su questa vergognosa vicenda che rappresenta uno spaccato dell’Italia, che rappresenta purtroppo l’emersione di un sistema marcio di avidità, incompetenza, presunzione, delinquenza e connivenza con la parte marcescente di questo nostro stato. Uno stato che non ha saputo difendere i cittadini, una parte di stato che non ha fatto gli interessi pubblici, una parte di stato che non sa epurarsi. Tutto questo scempio è avvenuto sotto agli occhi di chi, con la piena consapevolezza, ha scritto ed approvato la clausola della convenzione originaria di Anas, che avete citato, che è una delle più grandi beffe di questa tragedia. Per questo vi ringraziamo e speriamo che la vostra attenzione sia sempre al massimo su questa strage che deve essere chiarita fino in fondo per tutti i cittadini onesti.
Sarebbe molto interessante andare a sviscerare il sistema dei controlli mancanti, il sistema delle verifiche auto-certificate, passato nel dimenticatoio di un sistema statale che sembrava creato appositamente per non disturbare il manovratore. Non vediamo al momento la piena consapevolezza della reale situazione delle nostre infrastrutture nel paese, sono partiti molti interventi di manutenzione, ma continua anche ad emergere quanto incompetenza tecnica e quanta leggerezza siano presenti nella gestione, non possiamo continuare a permetterne il degrado strutturale fino a dover intervenire con urgenza, perché in alcuni casi potremmo nuovamente arrivare troppo tardi. Questo per noi è molto sconfortante, 43 morti, numerosi feriti e tutto quanto accaduto non hanno insegnato quasi nulla. Leggiamo la lettera che Alessandro Benetton vi ha inviato e come sempre siamo abbastanza perplessi, noi crediamo che siano i fatti che ci definiscano nella vita e non le parole che escono dalle nostre labbra. Questo componente della famiglia dice di essersi sempre discostato dalla gestione dei “padri”, di avere contestato le scelte in svariate occasioni pubbliche, di avere fatto un mestiere diverso per tanti anni e sarà così, ma logicamente è in corso un’operazione di restyling, si cercano di lavare le vesti di questa famiglia, vesti che rimarranno sempre macchiate per le scelte fatte nell’individuazione dei manager e certamente nelle scelte delle politiche societarie definite dal CDA negli anni.
Noi non abbiamo visto nel nuovo corso elementi reali che possano farci cambiare idea, non abbiamo visto alcuna rinuncia agli utili così alti ricevuti negli anni verso un ente, un’associazione, un progetto serio, verso una comunità ad esempio come quella di Genova, che dimostrasse un segno di ammenda per questi elevati utili ricevuti, loro malgrado, per un’incauta gestione.
Nulla di tutto questo, quello che emerge allora è solo “fuffa” che speriamo in cittadini prima o poi riescano a disinnescare scorgendo la verità. Grazie di cuore per quello che fate ogni giorno per far scoprire la parte peggiore del paese, in questa vicenda noi abbiamo incontrato anche la parte migliore del paese che con forza cercano sempre di schiacciare, di nascondere sotto la polvere, e non è un bene.
Buon lavoro.
LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO di Danilo Procaccianti collaborazione Andrea Tornago immagini Cristiano Forti, Andrea Lilli Ricerca immagini Alessia Pelagaggi, Eva Georganopoulou, Paola Gottardi Montaggio e grafiche Monica Cesarani
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Cinque anni fa il crollo del Ponte Morandi, morirono 43 persone. Il giorno dopo l’allora premier, Giuseppe Conte e altri politici dissero: revochiamo la concessione ai Benetton e ai loro soci perché sono stati inadempienti, sapevano che quel ponte era come un paziente malato, tuttavia non hanno operato alcuna cura. Al processo di questi giorni sono 59 gli imputati, il principale è l’allora amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci, poi c’è anche il responsabile della manutenzione, Michele Donferri. Quelli che ascolterete questa sera sono degli audio inediti e testimoniano quello che è successo prima, durante e dopo quella tragedia. Il nostro Danilo Procaccianti.
DONNA Oddio, oddio, oddio santo.
VOCE È venuto giù il viadotto della Morandi. Pronto.
NUMERO UNICO DI EMERGENZA Sì, è il numero unico di emergenza, ha bisogno?
VOCE Sì, guardi, è venuto giù il ponte, il Morandi.
NUMERO UNICO DI EMERGENZA Crollo?
VOCE Sì, il Ponte Morandi, è venuta giù la campata, quella che è sul fiume.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO È il 14 agosto del 2018, sono le 11.36 e a Genova crolla il Ponte Morandi, viadotto che collega la città al Nord Italia e alla Francia. Si spezzano i tiranti metallici. Il Ponte Morandi si accartoccia su se stesso, inghiottendo tonnellate di calcestruzzo e tutti gli automobilisti che stanno passando in quel momento. Muoiono 43 persone. Egle Possetti perde la sorella e due nipoti.
EGLE POSSETTI - PRESIDENTE COMITATO VITTIME PONTE MORANDI La mia famiglia è stata assassinata, la mia famiglia non è morta per un per un meteorite. Io ho sentito un messaggio di mia sorella al mattino alle nove e mia sorella alle 11 e mezza non c'era più.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO A Genova da qualche mese va avanti il processo per il crollo del ponte. Hanno dovuto montare un tendone nel cortile del tribunale perché non c’erano aule capienti. Sono 59 gli imputati. Il principale è sicuramente Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e di Atlantia, la società dei Benetton che controllava Autostrade. Le accuse principali sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale e crollo doloso. Per l’accusa, gli imputati, pur sapendo dei problemi del ponte, non avrebbero posto rimedio.
DANILO PROCACCIANTI Dottore lei più volte ha detto quel ponte potrà crollare da un momento all'altro. Questa cosa fa venire i brividi.
FRANCESCO COZZI – PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI GENOVA 2016 - 2021 Oggi mi sembra quasi una verità che sta mettendosi a fuoco attraverso la stessa istruttoria dibattimentale. Il ponte era un malato che si aggravava sempre di più, non c'era nessun sistema di rilevazione di queste anomalie.
DANILO PROCACCIANTI Che erano consapevoli che qualcosa non andava, mettiamo un punto.
FRANCESCO COZZI – PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI GENOVA 2016 - 2021 Ma questo è un'altra evidenza ormai acquisita del processo.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nella prima conferenza stampa dopo il crollo, l’amministratore delegato Giovanni Castellucci non aveva ammesso alcuna responsabilità
18 AGOSTO 2018 GIOVANNI CASTELLUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO AUTOSTRADE PER L'ITALIA (2005 – 2019) Scuse e responsabilità sono cose, voglio dire, che sono interconnesse. Tu chiedi scusa se ti senti di essere responsabile, noi faremo tutto il possibile per aiutare la giustizia a essere veloce e approfondita.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Altro che collaborazione con la magistratura. Viene fuori che l’ufficio legale di Spea, la società di autostrade che si occupava dei controlli di sicurezza di ponti, viadotti e gallerie, dopo le notizie dell’inchiesta in corso sul crollo del ponte, comincia l’attività di bonifica dei computer, l’installazione di telecamere finalizzate ad impedire l'attivazione delle intercettazioni, attiva anche dei disturbatori di frequenza al fine di ostacolare le intercettazioni in corso, strumenti utilizzati solitamente dai narcotrafficanti, non da chi gestisce autostrade. Ma non è finita qui: Michele Donferri era il numero tre di Autostrade, responsabile della manutenzione e uno dei principali indagati, uno che con i suoi collaboratori si esprimeva così.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma buongiorno un cazzo, scusa se te lo dico, ma io è da ieri sera che ti sto chiamando, ma tu devi rispondere… ma no, devi rispondere al telefono, non te lo dico più, non mi interessa niente… perché sei coglione… ahò, famme parla’ a me prima che te gonfio. DANILO PROCACCIANTI Sono Danilo Procaccianti di Report, Rai Tre.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Sì.
DANILO PROCACCIANTI Ci stiamo occupando ovviamente del processo Morandi, insomma.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Sì, però non mi sembra il caso di fa ste cose, io adesso sto col cane. DANILO PROCACCIANTI E vabbè le dobbiamo chiedere conto insomma.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Di che cosa?
MARCO GRASSO – GIORNALISTA FATTO QUOTIDIANO E AUTORE DE “IL CROLLO” Michele Donferri Mitelli era un personaggio in grado di influenzare le forze dell’ordine. Aveva rapporti strani con generali dei Carabinieri. Li chiamava per raccomandare figli di colleghi, li chiamava per avere informazioni su inchieste in corso che riguardavano autostrade e addirittura chiama questo generale in pensione, Franco Mottola, per assicurarsi un trattamento di favore per Castellucci a Genova.
DANILO PROCACCIANTI Che tipo di trattamento di favore?
MARCO GRASSO – GIORNALISTA FATTO QUOTIDIANO E AUTORE DE “IL CROLLO” Castellucci è stato convocato dalla procura, deve venire a parlare con i magistrati, Donferri chiede che sostanzialmente non venga assalito dai giornalisti. La cosa più straordinaria è che ci riesce.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il giorno dell’interrogatorio di Castellucci davanti al tribunale c’è una scorta dei carabinieri: un luogotenente, un capitano, e addirittura il comandante provinciale, il colonnello Riccardo Sciuto. I finanzieri fotografano di nascosto il gruppetto di carabinieri in compagnia di Tommaso Tattesi, responsabile della sicurezza di Autostrade per l’Italia, e non è finita qui. Nell’immediatezza dell’inchiesta l’architetto Donferri inizia subito le grandi manovre per ostacolare le indagini e lo fa prima di tutto dando indicazioni ai suoi collaboratori sul comportamento da tenere utilizzando un nuovo numero di telefono.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Registra ‘sto numero, non fare domande
NADIA SPIONE – SEGRETARIA Sì.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Hai capito chi sono?
NADIA SPIONE – SEGRETARIA Sì. Certo tutte queste cose che stanno succedendo.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma a te che te frega, hai parlato con qualcuno?
NADIA SPIONE – SEGRETARIA No, no assolutamente.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Senti invece piano piano però devi chiudere la porta tranquilla, senza niente… i cassetti.
NADIA SPIONE – SEGRETARIA Sì, quelli tuoi…
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Con la cassettiera.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO In questi audio Donferri chiede di cancellare eventuali prove e tracce di come è stata gestita la manutenzione del ponte.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Non dire nomi porco zio padre. Ascoltami un attimo, hai letto?
PIERO BONGIO - DIRETTORE TECNICO ASPI Sì, sì. MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA La cosa importante è che poi tu fai un delete sempre di quello che… capito?
PIERO BONGIO - DIRETTORE TECNICO ASPI “Un delete” cosa intendi?
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma vaffanculo coglione.
PIERO BONGIO - DIRETTORE TECNICO ASPI Grazie.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Di quello che ti ho scritto, de che.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Poi Donferri alza il tiro e chiede alla segretaria di portare via documenti dall’ufficio, evidentemente per evitare che gli investigatori li trovino.
NADIA SPIONE – SEGRETARIA Michele io sono in grande imbarazzo scusami, ma a parte che è un sacco di roba…
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA No, no, lascia perdere lascia perdere, lascia perdere, non parlare al telefono.
NADIA SPIONE – SEGRETARIA Ah, vabbè.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Stai sbagliando tutto, non hai capito niente. Almeno portamene una parte, porta quello che puoi portare.
NADIA SPIONE – SEGRETARIA Sinceramente, ti ho detto, io mi sento a disagio… scusami ma…
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA No, no, no, io non scuso nessuno, io il mio dovere con te l’ho fatto, ti ho chiesto una cortesia e non l’hai fatta, basta.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ma il documento più importante, una relazione sul ponte, è ancora dentro l’ufficio e Michele Donferri non può permettersi che lo ritrovino. Ancora una volta chiede aiuto a un suo collaboratore.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ti volevo chiedere, domani mattina.
MATTEO BIELLO - RESPONSABILE AREA TECNICA ASPI Sì.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Portati un bel trolley grosso, devo comincia’ a prendere l’archivio là del Polcevera, quella è roba mia.
DANILO PROCACCIANTI Perché chiedeva ai suoi collaboratori di portar via dei documenti dall’ufficio?
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma assolutamente non è vero. DANILO PROCACCIANTI Ci sono delle intercettazioni abbastanza chiare.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Assolutamente no, c’è un processo in corso la prego.
DANILO PROCACCIANTI Diceva “chiudi la porta”, insomma.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Chiudi la porta mai.
DANILO PROCACCIANTI Insomma, era evidentemente di nascosto
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma assolutamente, me li hanno portati poi in società da me.
DANILO PROCACCIANTI Eh, ma se uno lo fa ufficialmente non dice chiudi la porta, non parlare con nessuno.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Erano momenti particolari.
DANILO PROCACCIANTI A un suo collaboratore dice delete, cancella tutto.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Delete di che cosa, ma non sa neanche di che cosa parliamo.
DANILO PROCACCIANTI Ma come non so. Ho letto le carte.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma lei non ha letto le carte, ha letto le carte filtrate da qualcuno che è una cosa diversa
DANILO PROCACCIANTI No che filtrate, ho letto migliaia di pagine di carte, insomma.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma non si preoccupi, adesso ci sarà l’interrogatorio, abbia pazienza.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Per capire perché era così importante l’archivio sul ponte Morandi bisogna spiegare perché è crollato quel ponte. L’ingegnere Morandi quando progettò l’opera aveva previsto tre grandi v rovesciate in acciaio chiamate pile: pila 9, 10 e 11. Per evitare un’eccessiva manutenzione, l’ingegnere aveva fatto ricoprire i cavi con il calcestruzzo in modo tale che l’acqua non sarebbe penetrata e i cavi non si sarebbero arrugginiti. Una scommessa persa e lo stesso Morandi lanciò subito l’allarme.
RAFFAELE CARUSO – AVVOCATO COMITATO PARENTI VITTIME PONTE MORANDI Attenzione, bisogna tenere sotto controllo quella roba perché se noi non prendiamo in considerazione il fatto che l'umidità penetra e che quindi l'acciaio che c'è dentro è aggredito possiamo arrivare ad avere problemi di statica. Quando si parla di statica in ingegneria abbiamo imparato che significa la cosa crolla. Quasi casualmente nel 1991 si scopre che il livello di umidità dei cavi d'acciaio, sono talmente compromessi da richiedere l'intervento chirurgico radicale.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO All’intervento chirurgico sulla pila 11, partecipa l’ingegnere Codacci Pisanelli che una volta vista la corrosione di quella pila aveva trovato logico controllare e operare anche sulla pila 9, quella che è crollata e si rivolge proprio a Michele Donferri.
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE E gli propongo di fare lo stesso tipo di di analisi che noi abbiamo fatto sulla 11.
DANILO PROCACCIANTI Ma Donferri la liquidò, lei dice anche come dire in maniera non simpatica.
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE No, assolutamente mi ha cacciato, come lo vuole dire insomma.
DANILO PROCACCIANTI Poi è diventato il responsabile delle manutenzioni e forse il numero due di Autostrade. Quindi come dire, lui sapeva quello che era successo.
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE Guardi, l'architetto Donferri, quando io l'ho incontrato non aveva idea di cosa fosse un Ponte Morandi.
DANILO PROCACCIANTI Già nel ‘93 Codacci Pisanelli dice bisogna intervenire…
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Non so manco chi è Codacci Pisanelli.
DANILO PROCACCIANTI Come no, lui dice che lei lo ha cacciato in malo modo.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Io l’ho cacciato? Che non ero nemmeno assunto a tempo indeterminato.
DANILO PROCACCIANTI Però era appunto un consulente allora.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma lui, forse.
DANILO PROCACCIANTI Eh, ma lei ha parlato con lei.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma assolutamente no.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO L'architetto Donferri, ex responsabile della manutenzione di Autostrade, ha cercato di intralciare le indagini sul crollo del ponte, utilizzando anche utenze non propriamente sue. Cercava di convincere i dipendenti e i suoi collaboratori a portar via del materiale e dei documenti imbarazzanti dal suo ufficio. Poi insomma era rimasto senza lavoro, ha cercato di farsi dare una mano dall'arcivescovo di Pompei, Tommaso Caputo, e non riuscendoci poi si è collocato all'interno come consulente di una società, la Polis Consulting di Pomezia che si occupa di appalti e subappalti autostradali. Però l'avrebbe fatto con delle consulenze in nero; questo gli avrebbe anche consentito di percepire l'indennità di disoccupazione. Ecco, quella che racconteremo questa sera è un po’ la metafora di come funzionano alcune cose nel nostro Paese. Autostrade per l'Italia faceva riferimento alla famiglia Benetton: Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo; l'uomo che però, tutti azionisti in egual maniera di Edizione, la holding che controllava Autostrade. L'uomo che però si occupava di Autostrade era Gilberto, mentre Alessandro Benetton, figlio di Luciano, è sempre stato la voce critica anche nei confronti della gestione di Autostrade, manageriale. Non avevano ruoli operativi, tuttavia incassavano dei dividendi miliardari. Questo anche perché si risparmiava sulle manutenzioni. Quelle che ascolterete questa sera sono delle testimonianze audio inedite, alcune proprio delle voci degli stessi protagonisti, Benetton compresi, che vi susciteranno rabbia, indignazione, anche dolore. Ma potrebbe essere l'ultima volta che ascoltate audio di questo tipo perché, se passasse la riforma Nordio sulle intercettazioni, non potrebbero essere né ascoltati, neppure letti, perché non potrebbero essere trascritti. Giudicate voi se sono di interesse pubblico.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Oltre a non aver fatto nulla, Autostrade avrebbe anche nascosto e minimizzato le poche consulenze esterne che aveva fatto fare su quel ponte. Nel 2016 Fabio Brancaleoni, ingegnere strutturista, evidenziava forti criticità e proponeva nuovi approfondimenti: l’architetto Donferri lo fece fuori.
DIPENDENTE AUTOSTRADE Autostrade... voi avete fatto un incarico a Brancaleoni che li ha validati, però adesso Brancaleoni l’avete cacciato via.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA E certo che l’ho cacciato via... c’è un altro magna magna, è un altro che vuole centomila euro come Wanna Marchi, centomila.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nel 2017 è il turno del professore Carmelo Gentile del Politecnico di Milano: evidenziava anomalie e anche per lui arrivano i commenti di Donferri.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Allora, questo è un siciliano che conosco da ventisette anni, pretende de essere il principe sul pisello, ma a me che c… me frega de, de quello? Ma ce ne stanno tanti di studenti di ingegneria, studenti. Perché io i soldi che ti chiede lui non te li do.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Queste registrazioni non sono state fatte dalle autorità giudiziaria, ma da Marco Vezil, ex responsabile ispezioni per Spea, società di Autostrade. Dal 2016, forse preoccupato per la mancata assunzione di responsabilità da parte dei suoi superiori per le manutenzioni del ponte, comincia a registrare ogni riunione.
DANILO PROCACCIANTI Scusi siamo di Report, di Rai Tre. Ci racconta solo perché…
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE Per cortesia.
DANILO PROCACCIANTI Perché registrava tutto?
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE C’è il mio avvocato qui, parli con lui.
DANILO PROCACCIANTI Temeva qualcosa a livello giudiziario?
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE Parli con il mio avvocato. DANILO PROCACCIANTI L’architetto Donferri diceva…
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE Parli con il mio avvocato.
DANILO PROCACCIANTI … qua se famo male, lei aveva paura a livello giudiziario?
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE Allora, per favore scusi, mi sta importunando.
DANILO PROCACCIANTI Ma perché non ci chiarisce solo questo?
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE Mi sta importunando.
DANILO PROCACCIANTI Si era accorto di qualcosa?
MARCO VEZIL – EX RESPONSABILE UFFICIO TECNICO SORVEGLIANZA AUTOSTRADALE Per cortesia.
CARABINIERE La può smettere, per cortesia?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Appena pochi mesi prima del crollo, c’è uno scambio di messaggi tra l’architetto Donferri e Paolo Berti, un altro dei principali indagati, il numero due di Autostrade. Era giugno 2018 Donferri a proposito dei cavi scrive “Da noi sono già corrosi” e Berti risponde “’Sti cazzi, io me ne vado, li mortacci”.
DANILO PROCACCIANTI Signor Berti buongiorno, sono di Report, di Rai Tre. Ci stiamo occupando di Autostrade.
PAOLO BERTI - EX DIRETTORE OPERAZIONI AUTOSTRADE PER L' ITALIA No, non posso parlare.
DANILO PROCACCIANTI Ma è normale che quando Donferri le dice i cavi sono marci lei dice ‘sti cazzi io me ne vado? Sono morte 43 persone.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La consapevolezza che il ponte potesse crollare era condivisa ai massimi livelli, anche con Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade. Come scopre la Guardia di Finanza, era a conoscenza di un documento: il catalogo rischi. E tra i rischi possibili era già previsto dal 2013 il crollo del viadotto Polcevera, proprio per i ritardati interventi di manutenzione. Una vera e propria ammissione di colpa al punto che anche Alessandro Benetton spende parole di fuoco per il suo manager.
ALESSANDRO BENETTON La prima cosa da dire è che qui è venuto fuori che era tutto un merdaio, gravemente un merdaio, no?
FABIO CORSICO – VICE PRESIDENTE ANIMA HOLDING Purtroppo sì.
ALESSANDRO BENETTON E cazzo anche il nostro Castellucci era un bello stronzo.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Non meno duro con Castellucci è Gianni Mion, amministratore delegato della società dei Benetton che controllava Autostrade.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Certo che un disastro così, sto cazzo di Castellucci non lo poteva combinare peggio, eh, non lo poteva combinare peggio, mamma mia.
FABRIZIO PALENZONA – PRESIDENTE AISCAT (2018 - 2023) Però dico la verità eh, difetti a più non mai ma non pensavo questa roba...
DANILO PROCACCIANTI Ingegnere buonasera, anche oggi non ci dice nulla?
GIOVANNI CASTELLUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO AUTOSTRADE PER L'ITALIA (2005 – 2019) Buonasera, grazie.
DANILO PROCACCIANTI Ma non pensa che sia pure un suo dovere cercare a un certo punto di dare delle risposte all’opinione pubblica?
GIOVANNI CASTELLUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO AUTOSTRADE PER L'ITALIA (2005 – 2019) Grazie, buonasera.
DANILO PROCACCIANTI Oggi sono state fatte delle affermazioni importanti, insomma, hanno detto che si sapeva che poteva venir giù. Anche a sua tutela, ingegnere.
GIOVANNI CASTELLUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO AUTOSTRADE PER L'ITALIA (2005 – 2019) Buonasera.
DANILO PROCACCIANTI Per raccontare il suo punto di vista, noi cerchiamo di fare il nostro lavoro, l’hanno descritta come un uomo senza scrupoli.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Giovanni Castellucci è stato descritto dal giudice per le indagini preliminari come un uomo una personalità spregiudicata e incurante del rispetto delle regole, eppure negli anni il suo lavoro è stato lautamente ricompensato. Mediamente 400 mila euro al mese, 14 mila euro al giorno e poi un’amara sorpresa. GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Il massimo l'ha raggiunto nell'anno del ponte.
DANILO PROCACCIANTI Vabbè, sta scherzando.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO No, ha preso più di 5 milioni di euro.
DANILO PROCACCIANTI L'anno del crollo?
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO L'anno del ponte: tre milioni e sette perché ha fatto i risultati, non so come.
DANILO PROCACCIANTI Cioè tre milioni e sette alla voce premio di risultato.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Sì, sì, premio di risultato, componente variabile al raggiungimento degli obiettivi annuali.
DANILO PROCACCIANTI Cioè quello è proprio il record.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Sì. Beh, diciamo che il vero record è stato dopo il crollo del ponte, perché se n'è andato e gli hanno dato un bonus di uscita, l'indennità di fine carica di 13.125.000 euro. Cioè una roba…
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’incredibile buonuscita viene riconosciuta nonostante le responsabilità di Castellucci fossero note nel tempo anche da chi gestisce la cassaforte dei Benetton e dunque Autostrade per l’Italia, come Gianni Mion. Che in un’intercettazione ammette anche le sue di responsabilità.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Si sapeva da sempre che il ponte aveva un problema di progettazione. Quando abbiamo comprato la società Autostrade, abbiamo detto che ci stava bene così come stava, la nostra prima responsabilità, siccome lo sapevamo che c'era quella cosa ed è stata ampiamente discussa e presentata in molte occasioni, bisognava semplicemente, come nostra responsabilità, dire: ragazzi bisogna rifare ‘sto ponte. Quando io ho chiesto all'Ingegner Castellucci e ai suoi dirigenti, ma chi è che certifica la stabilità de ‘sto ponte, e mi è stato detto: ce lo autocertifichiamo!
DANILO PROCACCIANTI Dottor Mion buongiorno, sono Danilo Procaccianti di Report di Rai Tre.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Per carità.
DANILO PROCACCIANTI Nell’interrogatorio che lei ha rilasciato dice che si sapeva del pericolo del ponte e nessuno faceva niente. Lei rimase terrorizzato in una riunione. Sono parole sue.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Allora sa già tutto. No, non è così ma comunque…
DANILO PROCACCIANTI Sì, lei ha detto io rimasi terrorizzato.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Vabbè allora, no non è così. DANILO PROCACCIANTI In queste riunioni che si chiamavano induction.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Rilegga, rilegga.
DANILO PROCACCIANTI E ho letto. Dice che tutti erano tranquilli tranne lei, però pure lei non ha fatto nulla?
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Esatto bravo, questo è il problema.
DANILO PROCACCIANTI Sono morte 43 persone, avete un po’ il dovere di chiarire di fronte all’opinione pubblica. GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Certo, è chiaro.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Con noi non parla, ma poi al processo conferma tutto e quando gli chiediamo perché non ha parlato per dieci anni la risposta è incredibile.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Avrei dovuto far casino, non l’ho fatto.
GIORNALISTA E perché non l’ha fatto, se posso?
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Perché mi sembrava, diciamo… chi lo sa, non mi è venuta. Forse tenevo al posto di lavoro, chi lo sa è successo così.
DANILO PROCACCIANTI Lei diceva i Benetton pensano solo ai cazzi loro.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Nooo, si vabbè non è così, si vabbè anche lei. Non è così.
DANILO PROCACCIANTI E ma lo ha detto lei.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Si vabbè sono andato al telefono ho parlato. Era un momento di sconforto no?
DANILO PROCACCIANTI Però anche i Benetton erano presenti, cioè Gilberto era presente in quella riunione quindi sapeva.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Sì, ma che c’era questo problema sì.
DANILO PROCACCIANTI Anche lui non ha fatto nulla.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Anche lui si è fidato di questa autocertificazione, cosa vuole che le dica, a me aveva fatto impressione, perché mi sembra una stupidaggine. È andata così.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Avrei dovuto far casino, non l'ho fatto, è andata così, dice Mion. Però non può appellarsi alla fatalità. Che quel ponte fosse a rischio crollo l'aveva già detto addirittura il suo, chi l'aveva progettato, ha detto "questo ponte ha bisogno di costante monitoraggio e manutenzione". Poi c'è il documento che ha scoperto la Guardia di Finanza, un documento pazzesco, il catalogo rischi, quel catalogo che ogni azienda, come Autostrade, deve compilare indicando per le assicurazioni i rischi in cui può incorrere una società. Bene, già dal 2013 c'era segnato come rischio il crollo del Ponte Morandi. Insomma, Castellucci ne era a conoscenza. Come era a conoscenza di questa criticità anche Mion, che è il custode della cassaforte dei Benetton, al punto che a un certo punto chiede a Castellucci "scusate, ma chi è che certifica un ponte che è in queste condizioni" e Castellucci? Risponde "ce l'autocertifichiamo". E poi nel 2018, giugno 2018, pochi mesi e pochi giorni prima che cadesse il ponte crollasse, il responsabile delle manutenzioni, Michele Donferri, scrive al responsabile operativo di Autostrade, Paolo Berti, dice "guarda che questi cavi del ponte sono marci", e lui risponde "’sti cavoli", per usare un eufemismo. Dice "io me ne vado". Ecco, intercettazioni da far venire i brividi. Lo stesso Alessandro Benetton, quando cominciano a trapelare le prime intercettazioni e i contenuti, definisce un merdaio la gestione Castellucci. Tuttavia questo non ha impedito a Castellucci di uscire con una buonuscita da 13 milioni di euro. Era lautamente pagato l'amministratore delegato di Autostrade, 400 mila euro al mese, in media 14 mila euro al giorno. E poi il suo record di incassi lo segna quando? Nell'anno proprio del crollo del ponte con 3 milioni e 7 perché c'era il premio di risultato, chissà se nella valutazione del risultato c'era anche il crollo del ponte con le 43 vittime. Soldi con i quali Castellucci ha anche acquistato un orologio da 60mila euro, indicato dalla Guardia di Finanza come una segnalazione sospetta, insomma. Però il fatto è che poi la gestione Castellucci era funzionale ai Benetton perché risparmiava sulle manutenzioni, sugli investimenti e consentiva loro di incassare dividendi miliardari. Insomma, ha risparmiato anche qualche manciata di euro per sostituire dei bulloni. E poi alla fine...
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’11 novembre del 2020, per un’inchiesta parallela a quella del crollo del ponte, vanno agli arresti domiciliari proprio i vertici di Autostrade: Castellucci, Donferri e Berti. Tutto ruota intorno all’installazione di barriere pericolose per la sicurezza. Cadono in strada se c’è vento, anche perché sarebbe stata usata una resina non omologata. E a fare da pompiere è il solito responsabile delle manutenzioni Donferri.
DIPENDENTE AUTOSTRADE Sì, Michele, diciamocelo chiaramente, adesso non scherzo io... Sai quella barriera lì... non sarebbe il caso... magari di vedere che c’è qualcosa che non funziona... ma ti rendi conto che avete, scusami, avete rifatto l’omologazione, c’è la resina non marcata CE. Ma ti rendi conto? Ma ti rendi conto? Scusa, fammi finire.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA No mai io ti faccio finire.
DIPENDENTE AUTOSTRADE Ma ti rendi conto che non tiene il vento quella cazzo di barriera?
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Tu più fai così... più fai così... e più è peggio.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E a proposito di barriere: il 28 luglio del 2013 un pullman precipita dal viadotto Acqualonga, vicino ad Avellino, provocando 40 morti. Anche quel viadotto è gestito da Autostrade per l’Italia.
GIORGIO MELETTI - GIORNALISTA ECONOMICO Autostrade per l'Italia su quel viadotto ha risparmiato 20 mila euro, non cambiando i cavi d'acciaio che tenevano i guardrail di cemento.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Per pochi spiccioli sarebbero morte 40 persone e queste non sono illazioni perché è scritto nella perizia del consulente del giudice che ha condannato a 5 anni di reclusione Paolo Berti, il numero due di Autostrade.
DANILO PROCACCIANTI Addirittura, lei si è reso conto che c'erano i bulloni arrugginiti.
FELICE GIULIANI – PROFESSORE INGEGNERIA DELLE INFRASTRUTTURE - UNIVERSITÀ DI PARMA - PERITO DEL GIUDICE All'esterno apparivano come dei dadi avvitati in una base ben individuabile, in realtà poi all'estrazione erano completamente corrosi, disfatti, frammentati e in alcuni casi polverizzati.
DANILO PROCACCIANTI Se dicessi che per non spendere 20 mila euro sono morte 40 persone mi allontano molto dalla verità?
FELICE GIULIANI – ORDINARIO INGEGNERIA DELLE INFRASTRUTTURE UNIVERSITÀ DI PARMA - PERITO DEL GIUDICE Il valore economico di quei bulloni è assolutamente modesto.
DANILO PROCACCIANTI Cioè nemmeno 20 mila euro.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Al processo di primo grado chiuso ad Avellino è stato assolto Giovanni Castellucci: per lui la procura aveva chiesto dieci anni di reclusione. Tra pochi giorni ci sarà la sentenza di appello e per lui sono stati chiesti nuovamente dieci anni. Sul primo grado però pesa come un macigno l’intercettazione del numero due di Autostrade, Paolo Berti, con il solito pompiere Donferri. Ad ascoltarlo sembra manifesti l’intenzione di coprire le responsabilità di Castellucci.
PAOLO BERTI – EX CAPO OPERAZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma guarda è uno che meritava una botta di matto, ma una botta di matto, dove io mi alzavo la mattina, andavo ad Avellino e dicevo la verità: così proprio lui l’ammazzavo, credimi, era l’unica soddisfazione che avevo...
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Non te cambia niente, punto e basta. Adesso invece hai la speranza di trovare un accordo con ’sta gente, questo devi riflettere. Voglio dire, Andreotti insegna... se non puoi ammazzare il nemico te lo fai amico...
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO I consigli di Donferri sembrano aver avuto un buon esito. Paolo Berti, fa notare la Finanza, ha avuto una progressione di reddito quantomeno anomala da Avellino in poi: il suo stipendio, che nel 2012 era di 262 mila euro annui, nel 2017 è lievitato a 765 mila euro annui.
DANILO PROCACCIANTI Su Avellino poi perché difendeva Castellucci? Ha detto vado là faccio una botta di matto e dico la verità. Non ha detto la verità? Dovrebbe dare delle spiegazioni no, ingegnere. Perché difende Castellucci?
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Devo spendere il meno possibile, so’ entrati i tedeschi, a te non te ne frega un cazzo, so’ entrati i cinesi, devo cercare di ridurre al massimo i costi, noi stiamo dicendo a tutti che le opere d’arte non so’ critiche, cioè i tedeschi hanno detto che qua non si tocca niente, vogliono essere garantiti tutto l’utile.
DANILO PROCACCIANTI Quando lei dice dobbiamo risparmiare, devo spendere poco sono arrivati i cinesi, i tedeschi.
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma sono cose legate a un aspetto..
DANILO PROCACCIANTI Ma per esempio c’è un legame?
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Assolutamente no.
DANILO PROCACCIANTI E perché doveva risparmiare?
MICHELE DONFERRI – EX RESPONSABILE MANUTENZIONI AUTOSTRADE PER L’ITALIA Ma non è che si deve risparmiare, c’è un piano finanziario e uno deve stare all’interno di quel piano e poi le ripeto c’è un processo, le chiedo scusa. Guardi lei è davvero educato, però non so cosa dirle.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il 28 aprile 2017 Autostrade per l’Italia ha venduto il 12% delle azioni ai tedeschi di Allianz Group e a un fondo sovrano di Pechino. La società controllata dai Benetton incassa più di un miliardo di euro. Si dovrebbe parlare di investimenti per la manutenzione, e invece pur di incassare i Benetton sottoscrivono l’impegno con i nuovi soci affinché l’importo complessivo degli impegni di spesa rimanga immutato. Cioè continua l’andazzo sulle mancate manutenzioni. A lamentarsi è lo stesso Gianni Mion, colui che per anni è stato il gestore della cassaforte della famiglia Benetton.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava li tempo meno ne facevamo...
GIORGIO BRUNETTI – PROFESSORE POLITICA AZIENDALE BOCCONIS Sì dai.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Così distribuiamo più utili.
GIORGIO BRUNETTI – PROFESSORE POLITICA AZIENDALE BOCCONI Utili.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Esatto. E Gilberto e tutta la famiglia erano più contenti...
DANILO PROCACCIANTI Lei nelle intercettazioni diceva: le manutenzioni vanno calando e Gilberto e tutta la famiglia sono contenti.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) No, no, questo no.
DANILO PROCACCIANTI Lo diceva lei, Castellucci diceva “facciamo noi” e Gilberto eccitato perché lui guadagnava di più e tutta la famiglia…
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) No, io non ho detto questo DANILO PROCACCIANTI Lo diceva lei nelle intercettazioni.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Vabbè allora se sono già stato citato basta.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E di soldi i Benetton ne hanno fatti tanti, tantissimi.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO L'anno del ponte avevano un miliardo e mezzo liquidi; nel 2017, l'anno prima, due miliardi e seicento milioni liquidi; nel 2016, tre miliardi liquidi; nel 2013, 3 miliardi e mezzo; nel 2012 due miliardi e nove. Cioè, ma di cosa stiamo parlando? Questi erano strapieni di liquidità. Potevano fare dieci ponti all'anno. Autostrade non doveva fare niente. Per la verità doveva fare una cosa, la doveva fare: mantenere la rete di proprietà dello Stato.
DANILO PROCACCIANTI L'ha fatto?
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO No. Per manutenzione hanno speso nel tempo poco più del 10% dei loro pedaggi. I pedaggi servono per mantenere la strada, no?
DANILO PROCACCIANTI E tutto il resto?
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Tutto il resto è andato in utili.
DANILO PROCACCIANTI E di questi dividendi quanti se ne sono divisi negli anni?
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Guardi, cifre che voi umani non… dal 2009 al ponte son sei miliardi di dividendi. Chi gliele ha messe sul tavolo?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Una valanga di soldi tanto che anche all’interno della famiglia Benetton si fa autocritica sulla trasformazione dell’essenza del Gruppo, ma in privato ovviamente.
ALESSANDRO BENETTON Guarda, questa è una grande lezione di vita se uno lo vuole insegnare all'università... Allora, noi eravamo bravi... quando avevamo un po' meno soldi, un po' meno competenze o perlomeno pensavamo di avere meno competenze e avevamo una grandissima credibilità... Oggi noi ci troviamo che i soldi potenzialmente ci sono le competenze, abbiamo ascoltato gente dall'interno che ci ha convinto che ne avevamo tante e non ne avevamo un cazzo, e abbiamo zero credibilità.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Un crollo alla loro credibilità, già compromessa dal crollo del ponte, dovuto alle mancate manutenzioni, arriva il giorno dopo la tragedia del Morandi: mentre i soccorritori ancora scavavano tra le macerie la famiglia Benetton non rinunciava alla classica grigliata di Ferragosto a Cortina d’Ampezzo.
EGLE POSSETTI - PRESIDENTE COMITATO VITTIME PONTE MORANDI L'ho trovata veramente di cattivo gusto, inaccettabile per noi. Perché se io do l'incarico a degli amministratori di gestire i miei beni, di gestire le mie azioni, non posso esimermi da avere comunque una responsabilità morale. Io non ho mai ricevuto le condoglianze.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Un atteggiamento che crea sconcerto anche tra le fila dei fedelissimi. Gianni Mion, il manager più vicino ai Benetton, l’artefice delle loro fortune finanziarie, intercettato non fa sconti.
GIANNI MION – AMMINISTRATORE DELEGATO EDIZIONE HOLDING (2019 – 2020) Hanno dato la sensazione di essere veramente senza anima e senza sentimenti, come immagine la famiglia è morta, è morta proprio perché... quelli che l'hanno ammazzata è stata le due feste di Cortina senza aver detto una parola, senza aver dimostrato la minima solidarietà.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Anche all’interno della famiglia Benetton qualcuno è in imbarazzo. ALESSANDRO BENETTON Dobbiamo incominciare con il chiedere scusa per come la vedo io, no? Perché...
STEFANO FERRARO – EX MANAGER MERRYL LINCH certo...
ALESSANDRO BENETTON Io lo faccio a nome di qualcun altro, perché non c'ero, ma e inutile menarla, cazzo! Qui hanno fatto dei pasticci... io non è che posso dire, cazzo perché noi siamo fighi.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, Alessandro Benetton ha scritto anche a Report, dice che in diverse occasioni pubbliche ha preso posizione sulla tragedia di Genova, stigmatizzando gli errori di comunicazione commessi e in particolare la deprecabile mancata tempestiva espressione di solidarietà e vicinanza nei confronti delle parenti delle vittime. Una vicinanza che lui vuole esprimere anche attraverso questa lettera, la trovate sul nostro sito per intero. Ecco, ci scrive anche che lui è sempre stato una voce critica sulla gestione di Autostrade e della famiglia. Ha sottolineato anche l'importanza della separazione dei ruoli tra azionisti e management. Tuttavia, è un fatto che hanno guadagnato i Benetton proprio dal management che loro stessi hanno scelto e del fatto che si abbassavano gli investimenti e si abbassavano anche le spese sulla manutenzione. Insomma, da una parte calavano quelle spese e dall'altra aumentavano i loro dividendi, e di questo hanno beneficiato anche i soci tedeschi e cinesi. Ecco, a condannare questa avidità ancestrale è stato anche colui che è il custode, lo abbiamo detto, della cassaforte dei Benetton, Gianni Mion, il quale ha detto si sono spartiti circa 1 miliardo all'anno di dividendi e tutti erano contenti. Mion ha pure stigmatizzato la famosa grigliata di Ferragosto a cui i Benetton non hanno rinunciato, che hanno consumato proprio mentre si stavano ancora cercando superstiti tra le macerie del ponte. Troppi soldi hanno dato alla testa, evidentemente, è il pensiero di Alessandro Benetton, che dice che quella del ponte è una grande lezione di vita. Quando non avevamo tanti soldi, avevamo la credibilità. Ora abbiamo una montagna di soldi e zero credibilità. Qualcuno l'avrà imparata questa lezione? Insomma, però è un fatto che se i Benetton hanno potuto staccare in nove anni sei miliardi di euro di dividendi è perché qualcuno alla fine gliel’ha consentito. Hanno giocato sostanzialmente una partita senza avversario e anche senza l'arbitro. Tutto comincia con la privatizzazione negli anni Novanta.
DANILO PROCACCIANTI Autostrade privatizzate nel ‘99 con Romano Prodi, si parlò allora di regalo ai Benetton, perché?
UGO ARRIGO – PROFESSORE ECONOMIA POLITICA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA La concessione scadeva nel 2018, fu allungata al 2038, e quindi dando agli acquirenti la possibilità di percepire gli utili per un ulteriore ventennio.
DANILO PROCACCIANTI E poi non c'era un'autorità di regolamentazione.
UGO ARRIGO – PROFESSORE ECONOMIA POLITICA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA Si è aperto il campo da gioco, ma l'arbitro è stato tenuto fuori.
LAURA GALVAGNI – GIORNALISTA ECONOMICO FINANZIARIA Quando è stata scritta la concessione, il rendimento doveva attestarsi attorno al 7%. Nel corso degli anni si è arrivati a raggiungere vette del 12%, crescevano più dell'inflazione e magari crescevano a prescindere degli investimenti che venivano fatti.
DANILO PROCACCIANTI Presidente buonasera, siamo di Report di Rai Tre, ci stiamo occupando di Autostrade visto che questa settimana al processo, dicono sempre che il peccato originale è stata la privatizzazione, non ci dice nulla? Lei una volta ha detto è mancata l’autorità… Tutti dicono il peccato originale, la privatizzazione.
ROMANO PRODI – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 1996-1998 Il peccato originale…ci vuole il battesimo.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il giorno dopo il crollo del Ponte Morandi l’allora premier Giuseppe Conte annuncia la punizione per gli azionisti di Autostrade, i Benetton e i loro soci: la revoca della concessione autostradale per grave inadempimento.
15 AGOSTO 2018 GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 2018 – 2021 Avvieremo la procedura di revoca della concessione alla società Autostrade, al di là di quelle che sono le verifiche che verranno fatte in sede penale, ma noi non possiamo attendere i tempi della giustizia penale.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Parte la procedura di revoca della concessione ma ci si accorge di un problema: la concessione vigente era stata approvata per legge nel 2008 dal governo Berlusconi ed era stata inserita una postilla per cui in caso di revoca anche per grave inadempimento si sarebbe dovuto dare un indennizzo al concessionario per i mancati ricavi dal giorno della revoca fino alla fine della concessione, cioè fino al 2038.
UGO ARRIGO – PROFESSORE ECONOMIA POLITICA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA Credo che nella storia del diritto commerciale, da quando esiste, nessun contratto abbia mai previsto una clausola del genere per cui è il danneggiato che deve indennizzare il danneggiante. Però era chiaro che per superare quella clausola capestro la cosa migliore da fare era revocare con un nuovo provvedimento di legge quella vecchia norma di legge che approvava quella cosa lì.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ed è quello che cerca di fare il ministro delle Infrastrutture di allora, Danilo Toninelli: eliminare la postilla Berlusconi.
DANILO TONINELLI – MINISTRO INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI (2018 – 2019) Questa procedura aveva diciamo come iter istruttorio era terminata mi sembra intorno al mese di marzo e quindi a marzo eravamo pronti a revocare.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Erano pronti a revocare ma tutto si ferma. Prima di tutto perché l’allora ministro dell’economia Giovanni Tria, che doveva firmare il decreto interministeriale insieme al ministro Toninelli, si mette di traverso.
GIOVANNI TRIA – MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (2018 – 2019) Non è che uno esce fuori fa e revoca. Bisogna tenere presente che in Autostrade sono presenti fondi internazionali che vanno garantiti.
DANILO PROCACCIANTI Anche la sicurezza andava garantita, sono morte 43 persone.
GIOVANNI TRIA – MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (2018 – 2019) Anche nel governo successivo le regole sono state seguite non…
DANILO PROCACCIANTI In che senso?
GIOVANNI TRIA – MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (2018 – 2019) Si facevano dichiarazioni che non si dovevano fare, non si possono creare sbalzi…è una società quotata.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Anche Salvini che era in maggioranza con i Cinque Stelle si dimostra tiepido sul tema. L’ex ministro delle infrastrutture Toninelli ci parla di un incontro a tre sul tema della revoca.
DANILO TONINELLI – MINISTRO INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI (2018 – 2019) Salvini, io mi ricordo che a marzo abbiamo fatto nell'ufficio di Conte una riunione dove dovevamo mettere il sigillo politico alla revoca della concessione. Lui non venne, però dicemmo ok ritroviamoci, facciamo, noi siamo pronti e difatti non l'abbiamo più visto.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’allora ministro Toninelli non si ferma e chiede un parere giuridico a un gruppo di lavoro fatto di Avvocati dello Stato e Consiglieri di Stato che a giugno 2019 produce un documento in cui la sostanza è: che la revoca si può fare, ma si possono anche adottare soluzioni diverse: dipende dalla politica, che in quell’estate ha altro a cui pensare. Ad agosto 2019 Matteo Salvini fa esplodere la crisi di governo dal Papeete. A settembre nasce il Conte due, il premier succede a se stesso ma cambia la maggioranza politica: non c’è più la Lega con i Cinque Stelle ma ad affiancare i grillini arriva il Pd. Casualmente Danilo Toninelli non viene riconfermato ministro.
UGO ARRIGO – PROFESSORE ECONOMIA POLITICA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA In un solo giorno Atlantia recupera un miliardo virgola uno di valore aziendale e nell'arco di una settimana recupera circa 2,3 miliardi. DANILO PROCACCIANTI Come se la Borsa avesse detto: ci siamo tolti dalle scatole il principale nemico.
UGO ARRIGO – PROFESSORE ECONOMIA POLITICA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA E questo è sostanzialmente un'interpretazione plausibile.
DANILO PROCACCIANTI Lei era un ostacolo.
DANILO TONINELLI – MINISTRO INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI (2018 – 2019) La mia mancata conferma è stata la sconfitta dello Stato. Perché scusate ma io sto facendo il culo a questi signori qua e prima di me nessuno. Atti concessori segreti, controlli fatti da loro stessi. Sa cosa vuol dire il controllato che si autocontrollava?
DANILO PROCACCIANTI Però Conte era il premier, che responsabilità dà al premier Giuseppe Conte?
DANILO TONINELLI – MINISTRO INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI (2018 – 2019) Conte ha avuto coraggio, ma non ne ha avuto abbastanza. Io mi sarei dimesso se a un certo punto m’avessero detto, tu non revochi vai, stai zitto. DANILO PROCACCIANTI Il suo ex ministro Toninelli dice che anche lei non ha avuto abbastanza coraggio.
GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Ma guardi non è stata una questione di coraggio, io il coraggio ce l’ho messo tutto e vi posso assicurare che c’era tutta la disponibilità, il problema è che tuteli quando sei Presidente del Consiglio l’interesse dello Stato quindi devi, non puoi avventurarti laddove c’è un rischio di contenzioso di 20, 30, 40 miliardi adesso non ricordo.
DANILO PROCACCIANTI Toninelli in realtà dice che a un certo punto non è stato confermato ministro proprio per questo. GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Questo lo deve chiedere a Di Maio, Di Maio poi era leader del Movimento Cinque Stelle e quando c’è stato il cambio di governo, è inutile nasconderlo insomma, il leader del Movimento Cinque Stelle ha fatto delle proposte diverse, punto. DANILO PROCACCIANTI Ma quando lei seppe che non era più ministro, andò a chiedere spiegazioni almeno, cioè, dire, Giuseppe, Luigi, ho fatto qualcosa che, di sbagliato?
DANILO TONINELLI – MINISTRO INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI (2018 – 2019) Quando ho visto che l’alleanza era fatta e non c’era un punto con scritto revoca concessione Benetton… ragazzi, che cosa dovevo chiedere? Cioè, mi dovevo umiliare, dovevo litigare, dovevo schiaffeggiare qualcheduno?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Con la nuova maggioranza cambia tutto, il Partito democratico e Italia Viva di Matteo Renzi non vogliono la revoca e anche Conte inizia a parlare di accordo transattivo.
20 FEBBRAIO 2020 GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Se dovesse arrivare una proposta transattiva da parte, a cura di Autostrade per l’Italia il Governo, lo dico pubblicamente, avrà il dovere di valutarla.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nel frattempo, la famiglia Benetton intuisce che senza Toninelli il ventre del governo è più molle, e ricomincia a tessere le sue relazioni.
STEFANO FERRARO – EX MANAGER MERRYL LINCH Lui mi dice... ma, per esempio, su Atlantia lui sta tenendo i rapporti con i Cinque Stelle... sta tenendo i rapporti con Renzi. E mi dice è fondamentale, per esempio chi va a parlare con Conte? Lui mi dice, deve essere uno della famiglia...
ALESSANDRO BENETTON Sì, sì, sì.
STEFANO FERRARO – EX MANAGER MERRYL LINCH Poi abbiam fatto una overview proprio anche dei contatti politici, gli ho dato alcune informazioni, le cose, chi sono i referenti del Pd, le situazioni…per esempio, con i Cinque Stelle... eh... e Alessandro con i Cinque Stelle che riesce a parlarci.
ALESSANDRO BENETTON Sì diciamo io ho dei contatti per il mio ruolo in Fondazione, chiaramente... là mi... mi viene riconosciuto un ruolo: intanto di essere indipendente dalla famiglia.
DANILO PROCACCIANTI Nelle intercettazioni viene fuori che la famiglia aveva scelto Alessandro Benetton per le interlocuzioni con Conte, lo dicono loro, ci sono state interlocuzioni in tal senso?
GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Mai, mai parlato con Alessandro Benetton mai conosciuto, non ricordo mai di averlo incontrato neppure in occasioni ufficiali o altro.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Alla fine però con qualcuno i Benetton avranno interloquito. A luglio del 2020 lo Stato non procede alla revoca. Atlantia, controllata dai Benetton, deve cedere il pacchetto di maggioranza di Autostrade a Cassa depositi e prestiti e i suoi soci. L’accordo viene presentato come un successo al grido: abbiamo cacciato i Benetton.
TG1 - 15 LUGLIO 2020 LUIGI DI MAIO - MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI (2019-2021) Il ponte è crollato, non hanno assicurato la manutenzione, bene, uno Stato civile li esclude dalla gestione delle nostre autostrade. Stamattina abbiamo concluso il Consiglio dei ministri alle 5 e mezza ottenendo questo risultato.
GIORGIO MELETTI - GIORNALISTA ECONOMICO In realtà è un accordo assurdo perché stabilisce che i Benetton vendono la società Autostrade alla Cassa depositi e prestiti. Il problema è che non si dice il prezzo.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Non solo in quell’accordo non si menziona nessun prezzo di vendita ma dalle conversazioni private intercettate si capisce che uscire da Autostrade era proprio la soluzione che volevano i Benetton.
ALESSANDRO BENETTON Per salvare Atlantia noi dovremmo uscire da Aspi... cioè, non la vedo tanto differente ‘sta storia qua. Chiaramente ste cose non si possono dire, qui la situazione è salvare il salvabile.
DANILO PROCACCIANTI Lei aveva fatto della revoca ai Benetton una bandiera dei Cinque Stelle e poi è finita con loro che sono andati via con 8 miliardi.
GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) È stato un confronto durissimo per costruire un percorso per la revoca, poi alla fine abbiano acquisito vari pareri, chiaramente c’era un rischio per quanto riguarda il contenzioso serio, perché ricordiamo che erano riusciti a ottenere una concessione di gran favore con delle clausole assolutamente vantaggiosissime e addirittura questa concessione era stata blindata con una legge dello Stato.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Lo Stato avrebbe dovuto controllare che i Benetton investissero, che Autostrade investisse in prevenzione per migliorare lo stato delle strade. Così non è stato, del resto a quello servono i pedaggi, e proprio la mancanza di prevenzione alla fine ha fatto crollare il ponte. Il giorno dopo il governo Conte e alcuni politici annunciano la revoca, vogliono la revoca della concessione ai Benetton, però trovano sul loro cammino degli ostacoli: il primo è una clausola che ha inserito il governo Berlusconi nel 2008 che prevede un risarcimento anche di fronte a una grave inadempienza da parte dello Stato al concessionario dal giorno della revoca fino alla fine della concessione, saremmo arrivati al 2038, insomma è un precedente che non esiste nella storia del diritto commerciale, è anche paradossale perché prevede che il danneggiato risarcisca il danneggiante. Tuttavia per procedere alla revoca sarebbe stato sufficiente avviare un iter che cambiasse questa norma, questa clausola inserita da Berlusconi, è quello che ha tentato di fare Toninelli, però anche qui anche qui trova un ostacolo: questa volta il ministro Tria, ministro tecnico, si è sempre detto che fosse vicino alla Lega, che non firma il decreto interministeriale. Chi avrebbe poi dovuto suggellare dal punto di vista politico l’avvio dell’iter era un incontro a tre tra Toninelli, il premier Conte e Salvini, all’epoca vice presidente del Consiglio, ministro dell’Interno, ma Salvini, dopo aver dato delle rassicurazioni non si presenta a quell’incontro. Poi c’è il Papeete, cade il governo, ne nasce uno di colore giallo-rosso ma nella lista dei nuovi ministri Toninelli non c’è, ecco, perché? Lo chiediamo a Conte, Conte dice chiedetelo a Di Maio, era lui il leader del Movimento, era lui che sceglieva i nomi. Ecco, però, sta di fatto che la mancanza di Toninelli viene salutata come una bella notizia dalla Borsa: la società Atlantia in un solo giorno guadagna un miliardo di valore di euro e complessivamente in una settimana la società dei Benetton aumenta il valore di 2,3 miliardi. Insomma, alla fine quella che doveva essere una punizione per i Benetton, la revoca, si trasforma in una festa, ci sarà la cessione della società che poi era quello che volevano i Benetton, lo abbiamo capito da una intercettazione, 8,8 miliardi che vengono dati da Cassa depositi e prestiti, e anche un risarcimento di 3,4 miliardi che Autostrade doveva allo Stato, insomma, alla fine lo pagherà Cassa depositi e prestiti, cioè quella che ha in pancia i risparmi dei pensionati.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’ennesimo regalo ai Benetton è in un passaggio fondamentale della bozza di accordo che il 23 settembre 2020 il governo invia ad Autostrade dove c’è scritto che il Concedente dà atto che non sussistono le condizioni per formulare nei confronti del Concessionario ulteriori contestazioni di inadempimento. Infine, c’è scritto che non ci saranno conseguenze risolutive e/o revocatorie della Concessione Unica.
GIORGIO MELETTI - GIORNALISTA ECONOMICO Hanno firmato la resa, gli hanno scritto nella bozza: non abbiamo nessun motivo per farti la revoca e quindi facciamo questa transazione che è subordinata però alla vendita. Dobbiamo metterci d'accordo sul prezzo e tu sai che se il prezzo a te non va bene dici io non vendo e se tu non vendi non si fa la transazione, ma se non si fa la transazione io non posso nemmeno dire ti faccio la revoca.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Sotto il governo Draghi si perfeziona la vendita. Cassa Depositi e Prestiti insieme a due fondi esteri compra l’88% di Aspi in mano ai Benetton, che quindi incassano 8 miliardi.
GIORGIO MELETTI - GIORNALISTA ECONOMICO I signori Benetton il giorno che è crollato il ponte Morandi avevano delle azioni Atlantia che valevano mi pare in quel momento venti, ventidue euro. Quattro anni e mezzo dopo si sono ritrovati le stesse azioni che valevano 23 euro anziché 22. Questo è il prezzo pagato dai Benetton per aver fatto crollare il ponte Morandi.
DANILO PROCACCIANTI Cioè nulla.
GIORGIO MELETTI - GIORNALISTA ECONOMICO No, hanno guadagnato.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La nuova compagine societaria di Autostrade è un rompicapo: l’88% è in mano alla holding HRA che a sua volta è posseduta al 51% da Cassa Depositi e Prestiti, al 24% dal fondo americano Blackstone e a un altro 24 % dal fondo australiano Maquarie, un 5% è nelle mani di un fondo sovrano cinese e infine circa un 7% è di Appia Investments dei tedeschi di Allianz Group. Però ci hanno detto che Autostrade è tornata nelle mani dello Stato italiano.
DANILO PROCACCIANTI Sembra una barzelletta. C'era un cinese, un americano...
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Un cinese, un tedesco, un australiano, un americano e un italiano. Chi prende il paracadute? Questa è la barzelletta. Ma è evidente che l'Italia deve fare l'interesse degli italiani e quindi deve cercare di sviluppare. Ma gli altri vogliono solo soldi.
DANILO PROCACCIANTI Quello che dice lei non è una suggestione, cioè c'è già nei bilanci.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Certo c'è già nei bilanci. Autostrade che nel ‘17 faceva un miliardo di utile netto, nel ‘22 ho fatto un miliardo e due, sta guadagnando di più dei Benetton. Pensiamo agli italiani o pensiamo agli americani?
DANILO PROCACCIANTI Prima gli italiani.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Il motto.
DANILO PROCACCIANTI Questa è la narrazione.
GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Il motto è prima gli italiani, la realtà non è così.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, ci mancavano anche i fondi di speculazione a gestire le autostrade, come se non avessero speculato abbastanza coloro che c'erano prima. I Benetton hanno incassato per anni dividendi miliardari, sono riusciti a scampare alla revoca e poi hanno ceduto autostrade incassando oltre 8 miliardi di euro. Però questa cessione è sub iudice. Deve esprimersi la Corte di giustizia europea, alla quale si era rivolta con un ricorso il Tar per stabilire se una cessione di questo tipo dovesse sottostare ad una gara europea: vedremo come andrà a finire. Nel frattempo, Cassa Depositi e Prestiti è proprietaria, con alcuni fondi stranieri, di Autostrade, e i fondi stranieri, hanno però chiesto ad aprile scorso se fosse possibile aumentare i pedaggi. Questo per fare la cosiddetta manutenzione e migliorare lo stato di Autostrade e garantire ovviamente degli importanti dividendi. Però, insomma, sembra la risposta a una lettera che aveva inviato, invece Cassa Depositi e Prestiti che Report ha avuto in esclusiva una vera chicca perché lo Stato finalmente fa lo Stato. E che cosa chiede ai soci? Chiede di poter rispettare quel piano industriale che prevedeva la prevenzione, la manutenzione e il miglioramento delle autostrade anche di fronte a un aumento dei prezzi delle materie prime. Si dice: cari soci, bisogna imparare a risparmiare un pochettino se vogliamo poter effettuare questo piano industriale e mettere in sicurezza le nostre strade e intervenire di fronte a casi di emergenza. Quindi dice dobbiamo dimagrire un pochettino, risparmiare e anche sottraendo qualcosa ai dividendi. Ecco, ribadiamo, è una chicca veramente ecco per gli addetti, anche esperti di economia. Primo caso, forse nella storia della gestione delle concessioni autostradali.
Estratto dal “Fatto quotidiano” il 26 giugno 2023.
Il 28 novembre del 2018 l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci deve presentarsi in Procura a Genova. Ad attenderlo c’è una “scorta” d’eccezione, formata da carabinieri: un luogotenente, un capitano e, addirittura, il comandante provinciale di Genova, il colonnello Riccardo Sciuto. Sono lì per assicurarsi che Castellucci non sia infastidito dai giornalisti. Un garbo non comune.
[…] Si sfiora quasi l’incidente istituzionale: la Guardia di finanza, che sta indagando sulla strage del 14 agosto 2018, fotografa i tre rappresentanti dell’Arma fuori dal palazzo di giustizia di Genova, accanto a Tommaso Tattesi, responsabile sicurezza di Aspi.
Quella foto per gli inquirenti è sintomatica dei tentativi di interferenza nell’indagine e soprattutto della pervasività dei contatti dei vertici di Autostrade per l’Italia con le istituzioni, comprese le forze dell’ordine.
Ma come ci sono finiti i più alti vertici dei carabinieri a scortare Castellucci? Lo ricostruisce Report nella puntata in onda stasera sul crollo del Ponte Morandi: regista dell’operazione è Michele Donferri Mitelli, capo delle manutenzioni di Autostrade, […] anche lui tra i principali imputati per il disastro.
Danilo Procaccianti di Report lo ha trovato e intervistato. Donferri ha chiesto un favore a un amico, il generale in pensione Franco Mottola: “Non vorrei che lo trattassero male... i giornalisti... non se lo merita, poveraccio (...) mi raccomando”. Mottola esegue: “Ho fatto chiamare!”. Donferri, scoprono gli investigatori, ha contatti ai massimi livelli con […] decine di funzionari e ufficiali a cui talvolta chiede raccomandazioni o informazioni […]. E viene pedinato dalla Finanza mentre incontra a Roma Tommaso Caputo, arcivescovo di Pompei: secondo i finanzieri, gli chiede un lavoro.
Estratto dell'articolo di Giacomo Amadori per “La Verità” il 26 giugno 2023.
Dal 2018 magistrati, giornali e tv hanno raccontato il crollo del ponte Morandi di Genova partendo dalle responsabilità tecniche. Ma quasi nessuno si è concentrato sui guadagni che i Benetton hanno ottenuto grazie a una rete autostradale che produceva dividendi milionari, mentre gli investimenti per la manutenzione diminuivano.
Nessun membro della famiglia è stato indagato, anche se l’ex amministratore della holding Edizione, Gianni Mion, in un’intercettazione rivelata da Panorama nel 2021, aveva detto: «Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo, meno ne facevamo… così distribuiamo più utili e Gilberto (Benetton, ndr) e tutta la famiglia erano contenti». Alessandro Benetton, dopo aver scoperto il sistema che stava dietro ai guadagni di Aspi aveva parlato di «merdaio».
Come anticipato dalla Verità, la Procura di Roma l’anno scorso ha aperto un fascicolo d’inchiesta sui guadagni miliardari legati ai pedaggi, ipotizzando i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e di peculato.
[…] Il 30 maggio scorso, in aula a Genova, nel processo per la tragedia del Morandi, il colonello della Guardia di finanza Ivan Bixio, su richiesta degli avvocati di parte civile, per la prima volta ha parlato non solo dei dividendi distribuiti da Autostrade per l’Italia e dalla controllante Atlantia, ma della fetta che è toccata alla holding Edizione, la cassaforte della famiglia Benetton, che di Atlantia controllava il 30%.
Secondo i conti delle Fiamme gialle ad Atlantia, dal 2010 al 2018, sono andati 7,45 miliardi di dividendi, l’88% degli 8,47 miliardi garantiti complessivamente ai soci. Nel 2017, l’anno prima del crollo, c’è stata una ridistribuzione straordinaria dovuta a una cessione di quote. Parliamo della cifra record di circa 2,5 miliardi.
Di questo fiume di soldi, circa il 30% è entrato nelle casse di Edizione che, dal 2010 al 2018, ha incassato 2 miliardi e 49 milioni, 500 milioni per ognuno dei fratelli Benetton (Luciano, Carlo, Gilberto e Giuliana), con un picco di 407 milioni nel 2014.
Ma i quattro anche nel 2018, l’anno del disastro, si sono divisi 160 milioni. Una media di 600.000 euro al giorno, 25.000 euro l’ora, 422 euro al minuto, 7 euro al secondo. Senza dover far nulla. […]
Nel frattempo gli investimenti per le manutenzioni per la rete autostradale sarebbero scesi da 1,5 miliardi del 2010 ai 773 milioni del 2018. […]
Lo scandalo del ponte resta e questa sera verrà ricostruito dalla trasmissione Report. Davanti alle telecamere l’esperto di riciclaggio Gian Gaetano Bellavia ha ricordato la liquidità a disposizione dei Benetton tra il 2012 e il 2018: da 3,5 a 1,5 miliardi: «Questi erano strapieni di liquidità. Potevano fare dieci ponti all’anno».
Guadagni esorbitanti anche per l’allora amministratore delegato Giovanni Castellucci. Sempre secondo Bellavia avrebbe guadagnato «mediamente 400.000 euro al mese, 14.000 euro al giorno». […]
Ma quando, nel 2019, arriva il momento di annullare la concessione dentro al governo inizia una sorta di rimpiattino. La scusa ufficiale è che la convenzione aveva una clausola capestro firmata dal governo Berlusconi e cioè che in caso di revoca, anche a causa di grave inadempimento, lo Stato avrebbe dovuto pagare al concessionario un indennizzo per i mancati ricavi dal giorno fino alla fine della concessione, cioè fino al 2038.
Ma l’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli a Report ha dato un’altra versione. Infatti la norma era, a suo dire, revocabile e l’ex esponente di governo aveva anche raccolto un parere giuridico favorevole da un gruppo di lavoro fatto di avvocati dello Stato e consiglieri di Stato.
Comunque a marzo del 2019 era tutto pronto. Toninelli e Report individuano come ostacolo l’ex ministro del Mef Giovanni Tria, ma anche l’allora vicepremier Matteo Salvini sarebbe stato tiepido. Però Toninelli, sulla carta, poteva contare sul premier Giuseppe Conte. «Ha avuto coraggio, ma non abbastanza» ha dichiarato l’ex ministro.
Il governo cambia e Toninelli viene mandato via: «La mia mancata conferma è stata la sconfitta dello Stato […] Quando io ho visto che l’alleanza è stata fatta e non c’era un punto con scritto revoca concessione Benetton, ragazzi che cosa dovevo chiedere? Cioè mi dovevo umiliare, dovevo litigare, dovevo schiaffeggiare qualcheduno?». E quando l’inviato di Report domanda a Conte perché Toninelli non sia stato confermato si è sentito rispondere: «Questo lo deve chiedere a Luigi Di Maio […] il leader del Movimento 5 stelle ha fatto delle proposte diverse, punto».
A Report commentano: «Con la nuova maggioranza (giallorossa, ndr) cambia tutto, il Partito democratico e Italia viva di Matteo Renzi non vogliono la revoca e anche Conte inizia a parlare di accordo transattivo».
In un’intercettazione un consulente riporta le presunte parole di Mion: «Su Atlantia lui sta tenendo i rapporti con i 5 stelle... sta tenendo i rapporti con Renzi e mi dice è fondamentale... per esempio chi va a parlare con Conte? Lui mi dice, deve essere uno della famiglia... poi abbiam fatto un overview proprio anche dei contatti politici, gli ho dato alcune informazioni, le cose, chi sono i referenti del Pd, le situazioni… per esempio, con i 5 stelle è Alessandro che riesce a parlarci».
Conte ha negato di averlo mai incontrato. In ogni caso la semplice uscita di Toninelli dal governo avrebbe fatto recuperare ad Atlantia 2,3 miliardi di euro in Borsa in una settimana. Nel 2017 Autostrade ha registrato un utile di 1 miliardo e le sue azioni valevano 22 euro, nel 2022 l’utile è salito a 1,2 miliardi e il costo delle azioni a 23 euro. Per questo Atlantia sarebbe riuscita a cedere Aspi a Cassa depositi e prestiti al prezzo di 8,18 miliardi senza dover neppure sganciare i 3,4 miliardi di risarcimenti che dovrà pagare Cdp.
A marzo in una lettera ai nuovi soci, fondi e investitori esteri, entrati con il governo Draghi, Cdp ha spiegato che non è più possibile andare avanti con i dividendi mostruosi dell’era Benetton anche in considerazione dell’«eccezionale rincaro del prezzo dei materiali» per costruzioni e manutenzioni e per la crescita dei tassi d’interesse.
[…] Per tutta risposta i soci hanno chiesto l’aumento dei pedaggi o l’allungamento della concessione. Sotto il sole non sembra essere cambiato nulla.
Estratto dell’articolo di Marco Grasso e Maddalena Oliva per ilfattoquotidiano.it il 22 giugno 2023.
Il Ponte Morandi è caduto un anno e mezzo prima. Siamo a inizio 2020, qualche settimana dopo il crollo di una parte della volta della galleria Bertè, sulla A26. Mentre Autostrade prepara la linea di difesa generale, pensando al cosiddetto vizio occulto del Ponte Morandi, ai vertici del gruppo va in scena uno scontro frontale che in esclusiva Il Fatto Quotidiano può farvi ascoltare in questa nuova intercettazione.
Gianni Mion, amministratore delegato di Edizione, la cassaforte di famiglia attraverso cui i Benetton controllano Atlantia, dice: “Il Morandi aveva un problema di progettazione. Quando abbiamo comprato la società Autostrade abbiamo detto che ci stava bene così come stava. Siccome lo sapevamo che c’era quella cosa ed è stata ampiamente discussa e presentata in molte occasioni, bisognava semplicemente, come nostra responsabilità, dire: ‘Ragazzi, rifacciamo sto ponte’”.
Mion parla al telefono con Sergio Erede, uno dei più importanti avvocati italiani, consulente legale del gruppo: “Lo sapevamo?”, chiede Erede. “Certo che lo sapevamo – risponde Mion – è stata fatta una riunione, una induction alla presenza di tutti i consiglieri d’amministrazione di Atlantia, gli amministratori delegati, il direttore generale, il management, e hanno spiegato che quel ponte lì aveva una difficoltà di progettazione (…)
Quando ho chiesto all’ingegner Castellucci e ai suoi dirigenti, fra cui il direttore generale Mollo, chi è chi ci autocertifica la stabilità, mi è stato risposto che ce lo autocertifichiamo”. Per la prima volta è possibile sentire la voce diretta dei protagonisti in quei giorni concitati (lo stesso Mion, considerato il supertestimone dell’accusa nel processo di Genova, ha ricostruito in aula alcuni dei passaggi che questo audio svela).
In quei giorni, l’allora premier Giuseppe Conte agita la revoca delle concessioni autostradali. Il governo Conte II (M5S, Pd e Iv) ha due strade davanti a sé. La prima è indicata dall’articolo 9 della convenzione che regola i rapporti tra lo Stato e la concessionaria ed è la risoluzione per “grave inadempimento”. È una tesi che ha bisogno di essere dimostrata, e dunque apre la porta a un contenzioso legale. Per questa ragione, è convinto l’avvocato Sergio Erede, questa strada è improbabile: la concessione di Aspi, secondo Erede, sarebbe blindata.
“Metti pure che siamo noi i responsabili del crollo del ponte, oggi circostanza non dimostrata – argomenta Erede – l’unica prova che oggi c’è è che la nostra manutenzione non fosse state of the art, può darsi. Non c’è la prova che questo eventuale deficit di manutenzione sia la causa del crollo”. “Si vabbè queste sono cazzate”, risponde a caldo Mion.
Per Erede, insomma, il vero rischio per la società verrebbe da un altro articolo della convenzione, il 9-bis, ovvero la risoluzione unilaterale del concedente. […]
Mion, invece, è più convinto che Autostrade rischi proprio la risoluzione per grave inadempimento, perché “è tutto a rischio” e “può succedere di tutto”. Durissimi i giudizi dello storico manager sui Benetton: “Adesso loro hanno individuato l’inettitudine della famiglia Benetton, però la famiglia Benetton nella sua stupidità può dire: mi sono fidata di Castellucci, di Tomasi, ma anche dei controlli che dovevano esserci. Siccome stiamo parlando di una rete vecchissima, che ha mediamente più di sessant’anni, praticamente è da rifare tutto”.
Come è andata a finire ormai è noto: non c’è stata nessuna revoca della concessione. Il governo ha liquidato Atlantia, la holding controllata dai Benetton, con oltre 8 miliardi di euro e, attraverso la Cassa depositi e prestiti, si è ricomprato Autostrade per l’Italia, accollandosi i debiti e le cause legali. Alla fine si è trovato a chi far pagare quel prezzo: alla collettività.
(ANSA il 22 maggio 2023) - "Emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose 'ce la autocertifichiamo'. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico".
Lo ha detto Gianni Mion ex Ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, al processo per il crollo del Ponte Morandi. Mion lo ha detto riferendosi ad una riunione del 2010, ovvero otto anni prima del crollo.
Estratto dell'articolo di Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 23 maggio 2023.
Se fosse vero, ma non può esserlo, ci sarebbe da uscirne pazzi. Il manager Gianni Mion ha dichiarato in tribunale che nel 2010 […] si tenne una riunione con i massimi dirigenti del gruppo Autostrade, durante la quale i tecnici rivelarono l’esistenza di un difetto che metteva a repentaglio la stabilità del ponte di Genova. Nessuno dei presenti batté ciglio.
Nessuno tranne Mion, che volle sapere a chi spettasse certificarne la sicurezza. E quando gli fu risposto «ce la certifichiamo da soli», non aggiunse nulla per paura di perdere il posto. Se fosse vero, ma non può esserlo, toccherebbe aggrapparsi alla speranza che fosse lui, Mion, l’unico reprobo. E che tutti gli altri non avessero sentito niente, persi dentro gli smartphone o nei loro pensieri.
Perché la notizia che il ponte, il tuo ponte, rischia di spezzarsi come un grissino dovrebbe terrorizzare persino il più cinico degli amministratori, non foss’altro perché lì sopra potrebbe passarci anche l’auto dei tuoi figli. O la tua. […] Ma, se fosse vero, come reggere alla scoperta che non ne hanno parlato neanche dopo?
Mion sostiene di provare «un grande rammarico». Altro che grande rammarico. Se fosse vero, ma non può esserlo, ci si chiede come i partecipanti a quella riunione riescano ad andare a letto la sera e ad alzarsi la mattina, da cinque anni, senza essere divorati dai sensi di colpa. Hanno forse più paura di perdere il posto che l’anima?
Estratto dell’articolo di Marco Lignana per “la Repubblica” il 24 maggio 2023.
[…] Gianni Mion […] Il manager rimasto per 30 anni a muovere uomini e denaro, a traghettare la famiglia Benetton dall’abbigliamento ad autostrade e aeroporti, al telefono si esprime come dentro e fuori dall’aula di palazzo di giustizia.
Lei però ha detto qualcosa di enorme. Sapeva che il Morandi fosse a rischio e non intervenne. E allora, nel 2010, era a capo di “Edizione”, la cassaforte dei Benetton.
«Ma guardi che l’avevo già detto durante le indagini, ho solo ripetuto il concetto. E in quella riunione mica ci spiegarono che il ponte stava per venire giù. Nessuno ci disse che era a rischio crollo».
A verbale firmò così: «In una riunione mi parlarono di un difetto di progettazione. Creava delle perplessità sul fatto che il ponte potesse restare su”. Non vuol dire rischio collasso?
«Ma tutti noi pensavano che i controlli li facessero i nostri tecnici di Spea, poi è venuto fuori dopo come facevano le indagini… Mica sapevamo allora tutto quello che è venuto fuori dopo. Io chiesi solo se qualche ente terzo avrebbe certificato lo stato di salute del viadotto, da lì la stupida risposta del direttore generale “ce lo autocertifichiamo”».
Cosa risponde ai familiari delle vittime del disastro, che hanno sottolineato con rabbia e amarezza la sua inerzia?
«Hanno ragione. Ma cosa avrei dovuto fare, una grande battaglia interna?».
Almeno sarebbe stato un punto di partenza.
«Il nostro grande problema è che eravamo troppo autoreferenziali. E che negli organi di controllo c’erano troppi diplomati e pochi tecnici».
Continua a pensare tutto il bene possibile del “suo” ex amministratore delegato di Autostrade Giovanni Castellucci, fra i principali imputati nel processo sul crollo?
«Assolutamente sì. Guardi che Castellucci è bravissimo, un fuoriclasse. Il problema è che si è circondato di collaboratori per niente al suo livello».
[…] sono morte 43 persone.
«E io dissi subito dopo il crollo che bisognava chiedere scusa, sarebbe stato molto importante farlo. E lì anche Castellucci ha sbagliato […] Ma in quei casi poi intervengono le strategie, gli avvocati… […] Io purtroppo non posso rinascere, ho finito la mia corsa, speravo che finisse meglio […]».
Nelle intercettazioni agli atti ha parlato molto male dei Benetton, della loro “avidità”.
«Era lo sconforto di fronte a tutto quello stava uscendo sui giornali».
Parlava anche dei “dividendi e di come poi è andata a finire”.
«Non che ci sputassero sopra…ma tutti i bilanci sono alla luce del sole, non c’è niente di segreto. E non è che non avevano fatto il nuovo ponte per i dividendi. Quello che sta facendo adesso Autostrade, tutti i controlli e le ispezioni, lo potevamo fare benissimo. Ma era un campo troppo difficile per noi. Eravamo autoreferenziali e impreparati a gestirlo […]». […]
Estratto dell’articolo di Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera” il 23 maggio 2023.
[…] Il procuratore di Genova Nicola Piacente vedrà cioè se ci sono davvero i presupposti per indagare Gianni Mion, lo storico braccio destro della famiglia Benetton che ha riconosciuto di aver sentito parlare di rischio crollo fin dal 2010. L’aveva già detto ai pm nel corso delle indagini preliminari ma ieri, in aula, ha circostanziato la cosa, ci ha aggiunto un paio di aggettivi e l’effetto è stato dirompente.
Mion e i Benetton, un rapporto strettissimo fin dai tempi in cui il core business del gruppo di Ponzano era l’abbigliamento. «Entrai nel 1986 in Edizione e la volontà era quella di diversificare il portafoglio», ha ripercorso velocemente la storia finanziaria della quale è stato uno dei protagonisti. Maglioni, sport, Piazza Affari e quel pallino di Gilberto Benetton: Autostrade.
«Ma la verità è che eravamo incompetenti e le cose migliori le abbiamo fatte quando avevamo dei soci che ci aiutavano a capire». […]
«[…] non c’è stata la minima presa di coscienza», sottolinea Mion in una chiacchierata. Nelle conversazioni si parla di Franca Benetton che «dice delle cose e dopo cinque minuti dice l’opposto, non stimola gli investimenti, le piacciono anche i dividendi...»; di suo cugino Alessandro che «adesso vuole i soldi perché lui ha un progetto, dice che è imprenditore e che gli altri non capiscono niente, mamma mia, pensano solo ai c...loro»; di Sabrina che scalpita e «incontra Franca ma i loro discorsi non sono mai molto concreti».
[…] «Noi sapevamo che il ponte aveva un problema di progettazione, lo sapevamo. A quella riunione c’erano proprio tutti: i consiglieri di amministrazione di Atlantia, gli ad, il direttore generale, il management e loro hanno spiegato che quel ponte aveva una peculiarità di progettazione che lo rendeva molto complicato. Un ponte molto originale ma problematico».
Ieri l’ha confermato davanti ai giudici aggiungendo che il suo grande rammarico è di non aver detto nulla. Gli abbiamo chiesto perché non l’ha fatto: «Perché non ci ho pensato, perché abbiamo creduto che non fosse necessario, perché così dicevano gli altri, i competenti... E invece dovevamo intervenire come è stato fatto adesso, mettendo in sicurezza le strade, i ponti, le gallerie». Cosa fa ora Gianni Mion? «Il pensionato, cosa vuole che faccia». L’avvocato di uno degli imputati chiede che venga indagato. Tattica processuale, per rendere nulla la deposizione. «Ma che mi indaghino pure, io ho detto solo la verità».
Strage del Ponte Morandi di Genova: l'inchiesta, il processo. Linda Di Benedetto su Panorama il 23 Maggio 2023
Sono 46 le persone indagate, 10 le posizioni archiviate. Le accuse, a vario titolo, sono falso, frode, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo.
Sono passati cinque anni dal giorno in cui il Ponte Morandi di Genova, si è spezzato uccidendo 43 persone. Una strage che avrebbe potuto essere evitata soprattutto alla luce delle ultime dichiarazioni di Gianni Milon, ex amministratore delegato della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e Atlantia nel processo in corso sul crollo del ponte. «Nel 2010 emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico». Frasi choc che potrebbero far cambiare il corso del processo in atto. Le fasi del processo Il processo del Ponte Morandi è iniziata 4 anni dopo il crollo a settembre del 2022. Un maxiprocesso in piena regola con centinaia di parti civili e con 71 persone tra ex dirigenti, tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava delle manutenzioni) e dirigenti del ministero delle Infrastrutture e del provveditorato, oltre alle due società iscritti dalla procura nel registro degli indagati. Un procedimento iniziato dopo un lunghissimo incidente probatorio articolato in due fasi. La prima riguardante lo stato del viadotto, analizzando i reperti, al momento del crollo, con lo svolgimento di indagini e l’acquisizione di dati e valutazioni tecniche e scientifiche quali la descrizione e l’accertamento delle condizioni nelle quali versavano i manufatti crollati delle parti del viadotto. Mentre nella seconda fase, si è entrati invece nel vivo dell’inchiesta, analizzando le cause del crollo.
Il filone principale delle indagini ha infatti portato a giudizio 59 persone tra ex vertici e tecnici di Autostrade e Spea (la società che si occupava di manutenzioni e ispezioni), attuali ed ex dirigenti del ministero delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato, chiamati a rispondere a vario titolo di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Mentre le due società (imputate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti) sono uscite dal processo tramite un patteggiamento. Per l’accusa, buona parte degli imputati immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non si attivò. Le difese puntano invece a sostenere che la responsabilità del crollo sia da attribuire a un difetto nella costruzione originaria. «Oggi le udienze sono giornaliere e sono state calenderizzate fino a luglio 2023, e dopo le dichiarazioni choc di Milon viene a cadere il castello della difesa che ha improntato sui vizi di costruzione del ponte»-commenta Egle Possetti famigliare presidente del Comitato dei Parenti delle Vittime del ponte Morandi. I risarcimenti Aspi ha risarcito il 99% degli eredi delle vittime con 67 milioni. Gli unici a non avere accettato è la famiglia Possetti. Per loro la società ha depositato un assegno da un notaio. Autostrade ha previsto un importo di 3.4 miliardi come compensazione legata al crollo. In questa cifra è stato individuato l’importo per definire l’accordo transattivo con la città di Genova, il Porto, la Regione. Sono stati stanziati nel periodo 2018/2020 la quasi totalità dei circa 500 milioni di cui 314 per la demolizione e sgombero delle aree, ricostruzione del ponte e delle opere accessorie; 39,35 milioni come indennità di esproprio per gli immobili produttivi nelle aree sottostanti e limitrofe al ponte; 75,5 milioni come indennità di esproprio per gli immobili residenziali nelle aree sottostanti e limitrofe; e 32 milioni a circa 20 aziende della zona rossa come indennizzi per la perdita delle attrezzature. A questi si aggiungono 32 milioni in iniziative ai privati che, a vario titolo, hanno subito disagi nell’immediatezza dell’evento nonché a imprese e ad attività commerciali che hanno subito un pregiudizio economico. Inchiesta bis A ottobre 2022, la procura di Genova ha chiuso le indagini per la cosiddetta inchiesta bis collegata al crollo del ponte Morandi, e che riunisce tre diversi filoni: i falsi report sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore pericolose e il crollo della galleria Bertè in A26 avvenuto il 30 dicembre 2019 e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel. Sono 46 le persone indagate, 10 le posizioni archiviate. Le accuse, a vario titolo, sono falso, frode, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo. Tra gli indagati l’ex ad Giovanni Castellucci, gli ex numeri due e tre di Aspi Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli e Stefano Marigliani, ex direttore di tronco.
Ponte Morandi, un consigliere di Autostrade rivela: rischio crollo conosciuto dal 2010. Stefano Baudino su L'Indipendente il 23 maggio 2023.
«C’era un problema di progettazione del Ponte Morandi ed era stata fatta una segnalazione. Avrei dovuto far casino ma non l’ho fatto, non so perché. Forse temevo di perdere il posto di lavoro». A parlare, nel teatro del processo sul crollo del Ponte Morandi in cui sono imputate 59 persone, è Gianni Mion, ex Ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, che all’epoca possedeva Autostrade per l’Italia. Una dichiarazione che il manager aveva già fatto davanti al pm Massimo Terrile nel luglio 2021, ma che ora piomba come un macigno in dibattimento. Se il suo contenuto sarà effettivamente confermato in sede processuale, la verità giudiziaria potrebbe ufficialmente sancire ciò che in molti hanno motivo di pensare: molto probabilmente, la caduta del ponte si sarebbe potuta evitare con largo anticipo.
Nello specifico, Mion si riferisce a quanto sarebbe emerso in occasione di una riunione, avvenuta il 16 settembre 2010 – otto anni prima del crollo -, che coinvolse i più importanti dirigenti della holding Edizione e delle società controllate. All’incontro avrebbero preso parte l’allora amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, il direttore generale operazioni di Autostrade, Riccardo Mollo, Gilberto Benetton (morto nell’ottobre 2018), i membri del collegio sindacale di Atlantia e anche tecnici e dirigenti di Spea (Società progettazioni edili autostradali). In quell’occasione, ha ricordato Mion, «emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose: “ce la autocertifichiamo“. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico».
Mion ha poi aggiunto che, a suo parere, «fu fatto un errore da parte di Aspi quando acquistò Spea, la società doveva stare in ambito Anas o del ministero, doveva rimanere pubblica. Il controllore non poteva essere del controllato». La sensazione del manager era «che nessuno controllasse nulla» e che ci fosse «un collasso del sistema di controllo interno e esterno, del ministero non c’era traccia».
Nel corso della deposizione di Mion, che al momento figura a processo come testimone, l’avvocato Giorgio Perroni – legale di uno dei 59 imputati, Riccardo Rigacci, ex direttore del Primo tronco autostradale – ha chiesto di sospendere l’esame e trasmettere gli atti ai pm, affinché, in seguito a tali dichiarazioni, valutassero l’iscrizione del manager nel registro degli indagati. Se la Procura procedesse in tal senso, però, il contenuto della testimonianza di Mion diventerebbe inutilizzabile. I giudici hanno lasciato proseguire l’audizione, riservandosi di decidere in un momento successivo.
«Sapete dove mi trovo adesso? Sono al cimitero, a portare i fiori alla mia famiglia che era su quel ponte e che non c’è più, per questo oggi non ero in aula ma c’erano i nostri legali», ha dichiarato Egle Possetti, presidente del comitato ricordo vittime del ponte Morandi, che è stato accettato come parte civile nel processo. La donna ha attaccato Mion: «Se fossi stata al suo posto e avessi saputo lo stato delle infrastrutture non sarei stata zitta e avrei fatto il diavolo a quattro per far emergere il problema. Ci sono ancora troppe omissioni e troppa omertà e questo noi come parenti non lo possiamo accettare. Una persona con il suo ruolo non poteva stare zitta. Perché non si può stare zitti quando si ha tra le mani una informazione di tale gravità». [di Stefano Baudino]
Estratto dell’articolo di Marco Lignana per repubblica.it il 22 maggio 2023.
Lo chiamano mister Dinamite, ma lui in aula si è definito un "bombarolo etico, un esplosivista al servizio delle opere civili".
Oggi al processo sul crollo di ponte Morandi è toccato testimoniare a Danilo Coppe, l'uomo che ha fatto brillare i monconi del viadotto Polcevera rimasti in piedi nel giugno 2019.
Ma che, soprattutto, aveva ricevuto l'incarico da Spea, la società gemella di Aspi targata Benetton, di far crollare il ponte già nel 2003.
Coppe ha spiegato che "allora mi contattarono da Spea per sapere fattibilità e costi della demolizione di Ponte Morandi. Dicevano che la manutenzione costava troppo, intorno a 1,8-2 milioni di euro (un dato non confermato dalle indagini, ndr), e ne sarebbe stato costruito uno più a monte, verso Bolzaneto. Non so se si riferissero alla Gronda, ma dopo la mia relazione non mi fecero sapere più nulla. Il prezzo del mio lavoro si sarebbe aggirato intorno al milione di euro".
Il titolare dell'azienda Siag […]ha spiegato di aver compiuto "un lungo sopralluogo sul posto, per capire tutto quel che c'era sotto il ponte. Fui una Cassandra perché dissi che o si cambiava mentalità o non si sarebbe mai fatto nulla, sarebbe bastata una qualsiasi associazione 'nido del cuculo' per mettersi di traverso e bloccare i lavori". […]
Crollo del ponte Morandi, Gianni Mion e la rottura con i Benetton: «Eravamo incompetenti». Andrea Pasqualetto su Il Correre della Sera il 23 maggio 2023.
Lo storico braccio destro della famiglia di Ponzano: «Gli avvocati chiedono che io venga indagato per quel che ho detto? Facciano pure, è solo la verità». Il procuratore: «Valuteremo»
«Sono a Strasburgo, ho letto anch’io di queste dichiarazioni e devo dire che la cosa non passa inosservata, almeno nei termini in cui sono state riportate. Parlerò con i miei colleghi venerdì prossimo, chiederò la trascrizione integrale della deposizione del testimone e decideremo il da farsi». Il procuratore di Genova Nicola Piacente vedrà cioè se ci sono davvero i presupposti per indagare Gianni Mion, lo storico braccio destro della famiglia Benetton che ha riconosciuto di aver sentito parlare di rischio crollo fin dal 2010. L’aveva già detto ai pm nel corso delle indagini preliminari ma ieri, in aula, ha circostanziato la cosa, ci ha aggiunto un paio di aggettivi e l’effetto è stato dirompente.
Il rapporto
Mion e i Benetton, un rapporto strettissimo fin dai tempi in cui il core business del gruppo di Ponzano era l’abbigliamento. «Entrai nel 1986 in Edizione e la volontà era quella di diversificare il portafoglio», ha ripercorso velocemente la storia finanziaria della quale è stato uno dei protagonisti. Maglioni, sport, Piazza Affari e quel pallino di Gilberto Benetton: Autostrade. «Ma la verità è che eravamo incompetenti e le cose migliori le abbiamo fatte quando avevamo dei soci che ci aiutavano a capire». Questo pensiero d’incompetenza era emerso in modo chiaro dalle intercettazioni disposte dalla Procura di Genova dopo il disastro del Morandi, che hanno messo a nudo un quadretto familiare e del management non proprio idilliaco. «C’è poco da fare, il clima è questo e adesso bisogna inventarsi qualcuno che affianchi i Benetton perché il vero problema è la loro inettitudine... non c’è stata la minima presa di coscienza», sottolinea Mion in una chiacchierata. Nelle conversazioni si parla di Franca Benetton che «dice delle cose e dopo cinque minuti dice l’opposto, non stimola gli investimenti, le piacciono anche i dividendi...»; di suo cugino Alessandro che «adesso vuole i soldi perché lui ha un progetto, dice che è imprenditore e che gli altri non capiscono niente, mamma mia, pensano solo ai c... loro»; di Sabrina che scalpita e «incontra Franca ma i loro discorsi non sono mai molto concreti».
«Ero un surrogato»
L’anima finanziaria del gruppo era Gilberto, padre di Sabrina, deceduto due mesi dopo la tragedia. Era lui il collante, l’artefice della crescita esponenziale delle attività. Fra Gilberto e gli amministratori gravitava Mion, ad di Edizione, poi consigliere di Atlantia e di altre società, un po’ ufficiale di collegamento con le varie realtà aziendali. «Monitoravo il lavoro dei cda, indicavo consiglieri, direttori... — ha spiegato ieri — mi sono sempre considerato un surrogato dell’azionista, che cercavo di supportare in tutti i modi. In alcuni frangenti ritenevo di avere più mestiere io... Ma Autostrade era una cosa troppo difficile per noi e per i miei azionisti».
In un’intercettazione Mion parlava così del Morandi: «Quando io ho chiesto all’ingegner Castellucci e ai suoi dirigenti chi certificasse la stabilità e l’agibilità di questo ponte, mi è stato detto: ce lo autocertifichiamo». I dubbi erano nati durante una riunione di vertice: «Noi sapevamo che il ponte aveva un problema di progettazione, lo sapevamo. A quella riunione c’erano proprio tutti: i consiglieri di amministrazione di Atlantia, gli ad, il direttore generale, il management e loro hanno spiegato che quel ponte aveva una peculiarità di progettazione che lo rendeva molto complicato. Un ponte molto originale ma problematico».
«Non ci ho pensato»
Ieri l’ha confermato davanti ai giudici aggiungendo che il suo grande rammarico è di non aver detto nulla. Gli abbiamo chiesto perché non l’ha fatto: «Perché non ci ho pensato, perché abbiamo creduto che non fosse necessario, perché così dicevano gli altri, i competenti... E invece dovevamo intervenire come è stato fatto adesso, mettendo in sicurezza le strade, i ponti, le gallerie». Cosa fa ora Gianni Mion? «Il pensionato, cosa vuole». L’avvocato di uno degli imputati chiede che venga indagato. Tattica processuale, per rendere nulla la deposizione. «Ma che mi indaghino pure, che ci posso fare se questa è la verità».
La cronologia degli annunci. La storia infinita del Ponte sullo Stretto, chiacchiere e propaganda che hanno ingannato anche la Disney. Tanti altri ponti italiani restano figli di nessuno. In dieci anni ne sono crollati una dozzina, e circa 61mila su circa 1.900, rileva il Politecnico di Milano, sono classificati “ad altissimi rischi strutturali” per contesti geomorfologici, età, materiali utilizzati, tecniche costruttive. Erasmo D'Angelis su Il Riformista il 3 Dicembre 2023
Tra le mitologiche rive di Scilla e Cariddi, la singolare e ineguagliabile storia di annunci di un passaggio nello Stretto tra i più sismici della Terra, potrebbe rientrare nelle favole da raccontare nei momenti tristi. Perché ci provano, che ci crediate o no, inutilmente, dalla prima guerra punica.
Correva l’anno 250 a.C. e, in piena estate, di fronte al mare di Messina, il console Lucio Cecilio Metello ammirava soddisfatto il primo e finora unico attraversamento da una sponda all’altra. Con già in tasca l’alta carica di “Pontifex Maximus”, che ottenne nel 247 a.C., il “facitore di ponte” scelse un “tempus pontis” e, narra Strabone: “…radunate un gran numero di botti vuote le fece disporre in linea sul mare legate a due a due. Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e fissate a parapetti di legno ai lati”. Passarono così indenni soprattutto i 104 “elefanti da guerra” catturati al generale Asdrubale nella battaglia di Palermo dell’anno prima, spaventosi esemplari che fece sfilare a Roma nelle celebrazioni in pompa della vittoria. Dopodiché, il ponte galleggiante lo lasciò alle correnti marine governate dal dio Ponto.
Nel Medioevo ci riprovò Carlo Magno, ma i suoi “meccanici” non andarono oltre qualche disegno. Nel 1060 il normanno Ruggero d’Altavilla duca di Calabria e re di Sicilia, e poi nel 1140 Ruggero II re di Sicilia, rimisero all’opera i sapienti ma si fermarono agli schizzi. Poi più nulla fino al 1840 quando Ferdinando II di Borbone lo fece studiare dai suoi accademici, dopodiché preferì investire nelle “città nuove” con le prime case antisismiche del mondo per il Sud devastato dai grandi terremoti del Seicento e del Settecento.
Il ponte riemerse nell’Italia unita del 1866 con il terzo Governo La Marmora, con l’incarico all’ingegnere delle ferrovie Alfredo Cottrau. Che presentò un progettone di ponte a 5 campate ma, con realismo, lo auto-affondò scrivendo: “…vi sono tali profondità di acque e correnti così impetuose da rendere quasi materialmente impossibile la costruzione dei piloni”. Nel 1870, però, l’ingegnere genovese Carlo Alberto Navone lanciò un avveniristico “Passaggio Sottomarino” con un tunnel di 22 km a 170 metri sotto il pelo d’acqua. Un “miracolo a portata di mano”, promise, con due tronchi ferroviari e due stazioni d’imbocco da dove i treni sarebbero scesi sotto i fondali per risalire a gravità, per la spinta accumulata nella discesa. Costo 35,5 milioni di lire, e 4 anni di lavori. Ne passarono 6, prima di riascoltare l’ordine perentorio di Giuseppe Zanardelli, ministro dei Lavori pubblici: “Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente!”. Ci riuscirono vent’anni dopo, ma con 2 imbarcadero per le prime navi-traghetto. L’epocale terremoto del 1908 con 120 mila morti e distruzioni totali, riportò tutti alla realtà sismica, e solo nel 1921 si riaffacciò la versione tunnel sottomarino dell’ingegnere Emerico Vismara presentata al Congresso Geografico di Firenze, perfezionata nel 1935 dal generale Filippo Corridoni con un lungo tubone d’acciaio poggiato sui fondali. Applausi tanti, ma finí lì. Fino al coupe de theatre del 1952, quando l’associazione dei costruttori dell’acciaio ingaggiò l’ingegnere Usa David Steinmann, “il mago dei ponti” con 240 realizzati, che promise sicuro: “La Sicilia non sarà più un’isola!”. Il suo rendering fece il giro del mondo tra lo stupore degli emigranti italiani che lo immaginavano come già fatto ammirandolo stampato su francobolli e cartoline postali del 1953, sorretto dal gigante Polifemo.
Salutato anche Steinmann, nel 1955 le big delle costruzioni Finsider, Fiat, Italcementi, Pirelli e Italstrade – crearono il “Gruppo Ponte Messina Spa”, che ancora nel 1964 studiava i fondali con l’ingaggio-spot di Jacques Cousteau. E tanto bastò per far fare al ponte il giro d’Italia sulla copertina della “Domenica del Corriere” sotto il titolo sparato: “La Sicilia diventa Continente”, e fu ancora illusione del ponte bell’e pronto. Arrivò poi il ’68, e al Ministero del Bilancio lo inserirono nel Piano di Sviluppo, affidando ad ANAS e Ferrovie la progettazione con 3,2 miliardi di lire. Il 28 maggio del 1969 ebbero l’ideona di bandire un “Concorso Internazionale di idee”. Arrivarono ben 143 progetti da ogni angolo del Pianeta. Due anni di attesa, e finì all’italiana, con 12 premi – 6 primi ex aequo da 15 milioni di lire e 6 secondi ex aequo da 3 milioni – ma nessuno a progettarlo. Il Governo Colombo trovò l’escamotage per uscire dall’imbarazzo mondiale, incaricando l’IRI che, in dieci anni, riuscì solo a varare la nuova società concessionaria “Stretto di Messina Spa” con Italstat, Fs, Anas e le regioni Calabria e Sicilia.
Era ormai il 1983 quando il ministro del Mezzogiorno, Claudio Signorile, annunciò: “Si farà entro il 1994!”. Gli unici a crederci furono i disegnatori della Disney, che il 3 ottobre del 1982 lo raffigurarono su “Topolino” 1401, nella storiella: “Zio Paperone e il Ponte di Messina”. A farlo costruire ci aveva pensato il ricco spilorcio di Paperopoli, ma era tutto di corallo e fu sabotato dai turisti che staccavano pezzi come souvenir. Il Ponte Disney crollò, ma nel 1985 il Presidente Bettino Craxi rassicurò chi ancora ci credeva: “Sarà presto fatto”. E il 16 giugno del 1986 la “Stretto di Messina Spa” presentò tre soluzioni – sottomarino, sul mare e sospeso -, e per l’allora presidente dell’IRI, Romano Prodi, era “una priorità” da realizzare entro il 1996. Il 19 febbraio 1987 scelsero il ponte sospeso, e nel 1992 consegnarono al nuovo Governo Amato il “progetto definitivo migliorato”.
Nel 1994, entrò in scena il Governo Silvio Berlusconi, e Silvio andò per le spicce, provando a sedurre i più sospettosi: “Costruiremo il ponte, così se uno ha un grande amore dall’altra parte dello Stretto, potrà andarci anche alle quattro di notte, senza aspettare i traghetti”. Sedusse il capo della Lega Nord, Umberto Bossi, che dall’“opera vergognosa, inutile e dispendiosa”, abbozzò un mezzo sì. Tanto bastò per far avviare un cantiere e anche le assunzioni più in anticipo di tutti i tempi: gli addetti alla manutenzione dell’infrastruttura che non c’era. Dal 1981 al 1997 spesero 135 miliardi di lire in studi di fattibilità, ingaggiando persino l’Istituto Ornitologico Svizzero per l’“investigazione radar di specie di uccelli migratori notturni per catalogare rotte migratorie, quote di volo, planate e picchiate”.
Anche per il nuovo Governo Prodi del 1996 rimase “priorità nazionale”, ma solo nel 2003 arrivò il progetto a campata unica, ed era tornato Berlusconi che lo inserì nel “Piano delle Grandi Opere”. Lo misero a gara nel 2005 e vinse l’appalto il Consorzio Eurolink, guidato da Impregilo con un’offerta di 3,88 miliardi di euro e, da contraente generale, il 27 marzo 2006 firmò il contratto per progettarlo e realizzarlo. Si parte? Macché. Il 10 aprile ritornò il Governo Prodi che lo retrocesse a “opera non prioritaria”, affidando la querelle della mega-penale per mancata esecuzione al neoministro dei Lavori Pubblici, Antonio Di Pietro. Però a gennaio 2009 fu di nuovo Governo Berlusconi, e il 23 dicembre tutti intruppati al cantiere-civetta per la variante ferroviaria di Cannitello, dove Silvio annunciò l’opera “entro il 2016”, con il costo salito a 8,5 miliardi di euro. Ma il sogno si risgonfiò il 30 settembre 2011 con il Governo Monti che, in piena tragedia austerity, con decreto 15 aprile 2013, mise in liquidazione la “Stretto di Messina”, che promosse l’azione di risarcimento per 325,7 milioni, e il subentrante Governo Letta perfezionò la pratica.
Il Governo Renzi lo rilanciò nel 2016, e anche il Governo Conte il 5 giugno 2020 annunciò “valutazioni senza pregiudizi”, che alla fine lo definirono “vantaggioso” su traghetti e aerei. E il 4 luglio a Montecitorio fu presenato il “Submerged Floating Tube Bridge” dell’ingegner Giovanni Sacca. Nonostante il traforo nella faglia sismica, fu clamorosa l’inversione a “U” dei grillini che, dal “regalo alle mafie” e dal “ponte tra due cosche”, passarono al “miracolo di ingegneria pronto in 4 anni!”. E via con altri 50 milioni di studi mai realizzati. Il Governo Draghi non scartò l’opzione “zero ponte”, scoprendo che mancava il Piano Economico Finanziario. La “Stretto di Messina” però era sempre lì, col contenzioso aperto soprattutto da Salini Impregilo, oggi WeBuild, per 657 milioni per illegittimo recesso. Solo il ri-affidamento senza gara poteva chiuderlo. E così fu.
A marzo 2023 con il Decreto Ponte il Governo Meloni le ha riaffidato il progetto 2011 da aggiornare, con 350 milioni, e 100 assunzioni in comando da Anas e Rfi. Per l’ANAC sarebbe indispensabile una nuova gara, ma il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini passato dal “non sta in piedi” del 2016 all’”opera fondamentale interamente finanziata da privati” del 2022 al “finalmente una legge di bilancio che copre l’intero fabbisogno” -, traguarda i cantieri all’estate 2024 e il ponte al 2032 su 6 corsie autostradali e 2 binari ferroviari, “per 6.000 veicoli all’ora e 200 treni al giorno”. Sarà il più lungo ponte strallato del mondo da 3.300 metri, largo 60,4 metri, retto da due torri alte 399 metri, resistenza ai terremoti a 7,1 magnitudo Richter e ai venti fino a 270 km/h. E sarà “Ponte Silvio Berlusconi”.
Ma il budget tutto pubblico ha un problema non da poco. I 13,5 miliardi previsti nel Documento di Economia e Finanza 2023, più altri 1,1 miliardi di raccordi Fs e Anas, fa quasi il doppio dei 6,4 miliardi stimati nel 2009 per il 40% dallo Stato e il 60% da privati, ed è una volta e mezzo gli 8,8 miliardi stimati nel 2011, e più del triplo dei 3,9 miliardi aggiudicati a gara nel 2005. E se resta così, è un ponte con vista sulla procedura d’infrazione comunitaria 2014/24/UE che consente l’assegnazione senza gara se il costo non eccede il 50% del contratto iniziale (3,9 miliardi, oggi indicizzati Istat a 6,065 miliardi, con un limite massimo a 9 miliardi).
La “Stretto di Messina” ha già approvato l’aumento di capitale a carico dell’Economia, Anas e Rfi portando a 670 milioni le risorse da spendere nel 2024. Nebbia fitta sul resto, come si legge nel DEF: “Non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente”. E lo stesso “Ufficio Bilancio” del Senato rileva uno stanziamento in legge di bilancio “non congruo”, con l’incertezza sul costo finale e l’indebitamento dello Stato. Il costo, infatti, è solo presunto, “a spanne”, ripreso da un emendamento della Lega al Decreto Ponte senza motivazioni e a debito dello Stato. Inutile dire che tanti altri ponti italiani restano figli di nessuno. In 10 anni ne sono crollati una dozzina, e circa 61mila su circa 1.900, rileva il Politecnico di Milano, sono classificati “ad altissimi rischi strutturali” per contesti geomorfologici, età, materiali utilizzati, tecniche costruttive. Se poi l’opera maxima sarà vero ponte o l’ennesimo ponte di chiacchiere & propaganda, insomma le vecchie panzane che non ci lasceremo mai alle spalle, lo sapremo presto. Dopo le elezioni europee. Erasmo D'Angelis
Pd e ambientalisti contro il Ponte. "Non va fatto, disturba le cicogne". Corteo domani a Messina con verdi, sinistra e la solidarietà di Vendola e Lucano. La Lega: "Sciocchezze, si attaccano ai volatili". Paolo Bracalini l'1 Dicembre 2023 su Il Giornale.
Fermate quel Ponte, deve passare la cicogna del Paleartico. C'è sempre una specie minacciata dalla costruzione di qualche strada, ferrovia, viadotto. Figuriamoci se non c'era per il Ponte sullo Stretto. Il Wwf è talmente preoccupato che domani sarà in piazza a Messina, insieme ad altri comitati, associazioni e collettivi per dire «Lo Stretto Non si Tocca». Il problema, per gli ambientalisti, non è solo l'opera, considerata inutile e dannosa, ma la sorte dei volatili che passano da quelle parti. «Lo Stretto è uno dei punti di concentrazione della migrazione dei rapaci diurni e delle cicogne più importanti del Paleartico occidentale», scrive il Wwf. La «creazione di una barriera trasversale», cioè il ponte, manderebbe in forte crisi i pennuti, secondo l'associazione. «Si rischia una procedura di infrazione dalla Ue per il rischio di deterioramento degli habitat comunitari e di perturbazioni dannose per gli uccelli», sostiene quindi il Wwf. «Si attaccano all'uccello...» commenta in stile non proprio british il senatore della Lega, Nino Germanà, segretario della commissione Ambiente al Senato e messinese doc. L'infrazione? «È l'ennesima sciocchezza, perché stiamo aggiornando lo Studio di Incidenza Ambientale proprio al fine di adempiere al quadro normativo comunitario e nazionale». Anche l'amministratore delegato della Società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, ha smentito l'allarme: «L'Italia non rischia alcuna procedura di infrazione europea». Non sarebbe la prima opera che le associazioni verdi chiedono di fermare per proteggere qualche specie. In Trentino hanno minacciato azioni legali per bloccare una strada che invaderebbe «un'importante arena di canto del gallo cedrone». A Firenze la Legambiente si è opposta all'ampliamento dell'aeroporto perchè disturberebbe il «tritone punteggiato» (Lissotriton vulgaris). Due esempi tra molti.
Quella delle cicogne in pericolo in realtà è uno dei tanti pretesti per il No al Ponte. Un fronte in cui si trovano ambientalisti, sinistra radicale, grillini (Conte però da premier propose un improbabile «tunnel sottomarino»), e la presenza della solita compagnia di giro, come alcuni dei nomi che hanno espresso solidarietà al corteo di domani a Messina: Luigi De Magistris, Alex Zanotelli, Nichi Vendola, Mimmo Lucano. Anche Bonelli, leader dei Verdi, e Sinistra saranno alla manifestazione «No Ponte». Nelle ultime ore è arrivata anche l'adesione del Pd. «Il Ponte è solo fumo negli occhi dei siciliani e dei calabresi» dice il segretario regionale dem Anthony Barbagallo. Oltre a lui in corteo ci saranno parlamentari Pd e Guido Ruotolo, ex braccio destro di Santoro, ora braccio destro della Schlein. Tutti profeti di grandi sventure sul Ponte. Più che cicogne, gufi.
L'uomo del ponte. Report Rai PUNTATA DEL 26/11/2023 di Danilo Procaccianti
Collaborazione di Andrea Tornago
Sono più di 70 anni che si parla di Ponte sullo Stretto.
Non si è mai costruito nulla ma ci è costato già centinaia di milioni di euro. Nel 2013 dopo la liquidazione definitiva della società Stretto di Messina SpA decisa dal Governo Monti sembrava un capitolo chiuso per il nostro Paese. Ha riaperto i giochi il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini che ha rimesso in piedi la società e riavviato tutte le procedure per la costruzione del ponte. Il bando di gara era stato vinto per un appalto da 4 miliardi, oggi in Legge di Bilancio ne sono previsti 11,6 ma non si capisce in base a quale progetto visto che l'unico progetto definitivo esistente risale al 2012. Dietro l'operazione Ponte sono tornate vecchie conoscenze di berlusconiana memoria.
- Le risposte del ministro Salvini alla redazione di Report
- La nota di Stretto di Messina Spa
- La nota di Anas Spa
- Le risposte del ministro Salvini alla redazione di Report
Trasmissione di Rai 3 "Report" 1) Su quali basi sono stati stanziati i finanziamenti dato che non esiste ancora un progetto definitivo rispetto al Ponte sullo Stretto? Il progetto definitivo, approvato dal Consiglio di amministrazione della Stretto di Messina nel 2011, comprende oltre 8mila elaborati. Il progetto è stato oggetto di verifica da parte della Struttura Tecnica della Società, supportata da un panel di esperti, dal Comitato Scientifico, dal Project Manager Consultant, anche sviluppando una progettazione parallela, ed è stato infine validato dal RINA. Come previsto dal Decreto-legge n. 35/2023, sono in corso le attività finalizzate all’aggiornamento del Progetto Definitivo del 2011 per poi procedere alle fasi successive. In particolare è in fase avanzata l’analisi, secondo le stesse modalità utilizzate nel 2011, della Relazione del Progettista, non ancora definitiva, che illustra dettagliatamente le modifiche e gli aggiornamenti progettuali, da svilupparsi nel progetto esecutivo, per tener conto delle nuove normative tecniche per le costruzioni e delle conseguenti modifiche della modellazione geologica e della caratterizzazione geotecnica, dei necessari adeguamenti alle norme in materia di sicurezza e ai manuali tecnici di progettazione, delle prescrizioni ambientali, dell’evoluzione tecnologica dei materiali di costruzione e delle tecniche costruttive. Il progetto definitivo integrato dalla Relazione del Progettista e dagli elaborati indicati nella risposta 1, acquisito il parere del Comitato Scientifico, sarà sottoposto all’esame del Consiglio di Amministrazione di SdM e dopo la delibera del Consiglio verrà avviata la procedura approvativa, fino alla delibera del CIPESS. 2) Le leggi correnti prevedono un'analisi costi/benefici rispetto alla fattibilità delle opere pubbliche: esiste un'analisi recente di questo tipo rispetto al progetto Ponte sullo Stretto? Quali sono i risultati? Il progetto definitivo approvato nel 2011 dalla società concessionaria conteneva già l’analisi costi benefici. Come previsto dal decreto-legge 35/2023 è attualmente in corso l’aggiornamento del progetto tecnico insieme ad altri diversi elaborati, nello specifico: lo Studio di Impatto Ambientale, lo Studio di Incidenza Ambientale, la Relazione Paesaggistica e l’analisi costi benefici. L’analisi costi benefici, non ancora definitiva, ha già evidenziato risultati positivi per i principali indicatori economici quali il VANE (Valore attuale netto economico) e TIRE (Tasso interno di rendimento economico). 3) A che titolo l'ex ministro Pietro Lunardi ha partecipato a riunioni presso il ministero riguardanti il Ponte sullo Stretto? Ci risulta che Lunardi abbia addirittura messo in piedi un tavolo tecnico formato da ingegneri di sua fiducia per dare supporto al ministro Salvini. Non è stato istituito nessun tavolo tecnico formato da ingegneri di fiducia dell’ex Ministro Lunardi da parte del Mit. Ci sono stati incontri informali con l’ex ministro Lunardi finalizzati a un confronto sulla gestione dell’opera in passato, nonché rispetto allo scenario attuale. 4) In che modo Pietro Lunardi ha influito sulla scelta di Pietro Ciucci come Ad di Stretto di Messina Spa? In nessun modo. 5) Ci può confermare che l'ex sottosegretario Armando Siri è un consulente del Ministero delle Infrastrutture? Se sì, qual è il suo compenso? L’ex sottosegretario Armando Siri non è consulente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e non intrattiene nessun tipo di rapporto professionale o di collaborazione con il medesimo Ministero. 6) Sapeva che Armando Siri è stato in costante contatto con Giovanni Mollica, consulente di Eurolink, il consorzio che dovrebbe costruire il Ponte? Lei conosce Giovanni Mollica? Ha utilizzato anche lei materiali riferibili a Giovanni Mollica o alla Rete Civica per le Infrastrutture? Se sì, a che titolo? Il Ministro Salvini ignora i rapporti tra Armando Siri e Giovanni Mollica. Non conosce Giovanni Mollica e non ha mai ricevuto materiali riferibili a lui o all’Associazione. 7) Ci può fornire i riferimenti agli studi da lei citati secondo i quali con la costruzione del ponte ci sarebbe un risparmio di emissioni di CO2 quantificabili in 140 mila tonnellate annue? I dati sul risparmio di emissione imputabili al Ponte sullo Stretto sono attualmente allo studio della Società Stretto di Messina. Nei suoi interventi pubblici, il Ministro Salvini ha citato dati pubblicati in diverse fonti aperte, accessibili a tutti dal 2011 e che partivano dall’analisi dei flussi di traffico marittimo. 8) Ci può fornire gli studi in base ai quali lei parla di centomila posti di lavoro relativi alla costruzione del Ponte sullo Stretto? Anche rispetto ai posti di lavoro la Società Stretto di Messina sta elaborando dati finalizzati alla quantificazione – secondo l’analisi costi benefici – dei posti di lavoro attesi. Il dato richiamato dal Ministro Salvini nei suoi interventi pubblici è stato tratto da un arrotondamento sulle cifre ANCE che testimoniano che per ogni miliardo investito sulle opere pubbliche genera 17.000 posti di lavoro. 9) Il consorzio che aveva vinto la gara per la costruzione del Ponte si era rivolto al Tribunale di Roma per avere il riconoscimento di penali relative alla mancata costruzione. Il tribunale in primo grado aveva rigettato tutto ponendo il consorzio in una posizione di debolezza. Il presidente dell'Anac aveva suggerito al Ministero di fare una nuova gara anche alla luce del percorso giudiziario. Tale aspetto è stato a noi confermato dall’Autorità stessa. Perché si è scelto di continuare con Eurolink esponendo il Ministero a un contenzioso? Perché Eurolink non ha ancora rinunciato al contenzioso? Il decreto prevede la rinuncia solo dopo l'approvazione del progetto, non si tratta di un favore al privato come ha affermato il presidente dell'Anac? La scelta di proseguire con il contraente generale selezionato con procedura di evidenza pubblica è stata considerata preferibile dal Governo per due motivi: consente di risolvere il contenzioso pendente e consente di non vanificare il lavoro di progettazione svolto in passato. Ripartire da zero con la progettazione avrebbe significato non fare il Ponte. L’iter di progettazione, preliminare e definitiva, è stato avviato nel 2001 e si è concluso nel 2011 con l’approvazione del progetto definitivo da parte del Consiglio di Amministrazione della Società Stretto di Messina. Il costo totale di tale progettazione, preliminare e definitiva, è ammontato ad un importo complessivo superiore a 100 milioni di euro. A questi si aggiungono ulteriori 130 milioni spesi in precedenza per studi di fattibilità. La rinuncia al contenzioso avverrà dopo l’approvazione della relazione di aggiornamento del progetto definitivo da parte del CIPESS in coerenza con quanto previsto dal decreto-legge n. 35 del 2023 e con le ordinarie procedure di approvazione degli investimenti strategici. 10) Tutti gli esperti da noi consultati con riferimento al progetto presente affermano che quella che si sta costruendo in Sicilia non è Alta Velocità come peraltro ha affermato l'assessore ai trasporti della Regione siciliana. In base a quale progetto Lei parla di Alta Velocità in Sicilia? Gli investimenti programmati sulla linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo consentiranno di raggiungere, a regime, la velocità di 200 km/h sull’itinerario Messina-Catania (rispetto ai 150 attuali) e di 250 km/h sull’itinerario Catania-Palermo (rispetto ai 130 attuali). In questo modo si potrà conseguire un dimezzamento dei tempi attuali di percorrenza.
- La nota di Stretto di Messina Spa
Domande – Risposte per Report 1) Le leggi correnti prevedono un'analisi costi/benefici rispetto alla fattibilità delle opere pubbliche, esiste un'analisi di questo tipo rispetto al progetto Ponte sullo Stretto? Quali sono i risultati? Il progetto definitivo, approvato dal consiglio di amministrazione della Stretto di Messina nel 2011, conteneva già l’analisi costi benefici. Come previsto dal decreto-legge 35/2023 (convertito con legge 58/2023) è attualmente in corso l’aggiornamento del progetto tecnico insieme ad altri elaborati, nello specifico: lo Studio di Impatto Ambientale, lo Studio di Incidenza Ambientale, la Relazione Paesaggistica e l’analisi costi benefici. L’analisi costi benefici, non ancora definitiva, ha già evidenziato risultati positivi per i principali indicatori economici quali il VANE (Valore attuale netto economico) e TIRE (Tasso interno di rendimento economico). 2) Ad oggi esiste un progetto definitivo per la costruzione del Ponte sullo Stretto? Se sì, potete fornircene copia? Il progetto definitivo, così com’è stato approvato dal Consiglio di amministrazione della Stretto di Messina nel 2011 comprende oltre 8mila elaborati. Il progetto è stato oggetto di verifica da parte della Struttura Tecnica della Società, supportata da un panel di esperti, dal Comitato Scientifico, da Parsons, anche sviluppando una progettazione parallela, ed è stato infine validato dal RINA. Come previsto dal Decreto-legge 35/2023, sono in corso le attività finalizzate all’aggiornamento del Progetto Definitivo del 2011 per poi procedere alle fasi successive. In particolare è in fase avanzata l’analisi, secondo le stesse modalità utilizzate nel 2011, della Relazione del Progettista, non ancora definitiva, che illustra dettagliatamente le modifiche e gli aggiornamenti progettuali, da svilupparsi nel progetto esecutivo, per tener conto delle nuove normative tecniche per le costruzioni e delle conseguenti modifiche della modellazione geologica e della caratterizzazione geotecnica, dei necessari adeguamenti alle norme in materia di sicurezza e ai manuali tecnici di progettazione, delle prescrizioni ambientali, dell’evoluzione tecnologica dei materiali di costruzione e delle tecniche costruttive. Il progetto definitivo integrato dalla Relazione del Progettista e dagli elaborati indicati nella risposta 1, acquisito il parere del Comitato Scientifico, sarà sottoposto all’esame del Consiglio di Amministrazione di Stretto di Messina e dopo la delibera del Consiglio verrà avviata la procedura approvativa da parte dei ministeri interessati e dal CIPESS. 3) Secondo il cronoprogramma stilato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Sen. Matteo Salvini, entro l'estate dovrebbero aprire i cantieri del Ponte. Questo significa che entro quella data saranno già stati completati e approvati il progetto definitivo e quello esecutivo. Ci confermate questo cronoprogramma? Tutti gli esperti da noi consultati affermano che sia impossibile realizzare un progetto esecutivo in pochi mesi. L’articolo 2 del Decreto-legge 35/2023 stabilisce che: “………. il progetto esecutivo è approvato entro il 31 luglio 2024”. Si tratta di un obiettivo sfidante e raggiungibile, tenuto anche conto del lavoro svolto in precedenza per l’approvazione del progetto definitivo che ha visto un complesso iter di verifica per il quale sono stati strutturati e sviluppati dalla società Stretto di Messina processi di verifica, controllo, validazione, mai realizzati prima in Italia nell’ambito della progettazione delle opere pubbliche che ha coinvolto i massimi esperti mondiali, con controlli indipendenti. La stessa procedura adottata per il progetto definitivo è attualmente in corso per l’esame della Relazione del Progettista e del complesso di elaborati in aggiornamento. Le attività prodromiche alla redazione dell’esecutivo potranno essere avviante anche in anticipo rispetto e alla formale approvazione del definitivo dal parte del CIPESS, con un significativo risparmio di tempo. 4) Quanto costerà il Ponte sullo Stretto, secondo le più recenti proiezioni? La spesa complessiva per l’opera è attualmente prevista in 12 miliardi di cui 11,63 coperti dal disegno di Legge di Bilancio per il 2024 e 370 milioni tramite risorse già destinate al prossimo aumento di capitale di Stretto di Messina riservato al Ministero dell’economia e delle finanze.
- La nota di Anas Spa
Buongiorno, di seguito le risposte. Buon lavoro e buona giornata Ufficio stampa Anas 1) Risulta concluso il collaudo dell'intero macrolotto 2, DG48, che va da Buonabitacolo a Lauria Nord? Le opere relative all’intero macrolotto 2, DG48, sono state tutte collaudate dal punto di vista statico così come previsto dalle norme di legge. Risulta in fase di completamento il collaudo tecnico-amministrativo. 2) Rispetto al viadotto Torbido presente in quel tratto, da documenti ufficiali Anas emerge che "le pile 2 e 3 dell'opera sono ubicate in un'area sede di un significativo movimento franoso" ed era prevista la totale demolizione con ricostruzione di un viadotto strallato utile a superare la frana molto profonda. Cosa è stato fatto per ovviare a tale problema? Il viadotto Torbido è sottoposto al continuo processo ispettivo secondo norme e procedure aziendali. Il processo comprende anche il monitoraggio dei fenomeni idrogeologici di contesto dell’opera di attraversamento. I controlli svolti finora non hanno rivelato significative criticità connesse alla stabilità delle pendici (letture topografiche e geotecniche periodiche). Nel tempo, il viadotto è stato oggetto di interventi di manutenzione programmata per l’adeguamento delle barriere di sicurezza, compreso il rifacimento cordoli in calcestruzzo, la sostituzione dei giunti di dilazione e il rifacimento della pavimentazione drenante, per un valore di circa un milione di euro (lavori ultimati nel 2019). Sono stati pianificati e avviati lavori di manutenzione programmata finalizzati ai ripristini strutturali, corticali e profondi di pile e impalcati per un importo pari a 2,7 milioni di euro. Tale intervento è in corso d’opera, con un avanzamento pari all’85%. Sono pianificati tra i fabbisogni ulteriori interventi per l’impermeabilizzazione degli impalcati e regimentazione delle acque di piattaforma, sostituzione appoggi e interventi di miglioramento sismico (importo investimento 8,3 M€) 3) Il viadotto esistente, in considerazione delle gravi criticità, risulta monitorato in continuo attraverso sensori? Nel corso del 2023 sono stati installati sensori di monitoraggio dinamico delle strutture del viadotto ed è stato implementato un sistema di monitoraggio geotecnico e topografico cadenzato. Da: [CG] Redazione Report Inviato: mercoledì 22 novembre 2023 14:08 A: ANAS - Ufficio Stampa Oggetto: Urgente - RAI 3 - "Report" - domande Ponte sullo Stretto Priorità: Alta Report Via Teulada, 66 – 00195 Roma E-mail: redazionereport-rai.it Spett.le Ufficio Stampa ANAS Spa Gentilissimi, la trasmissione di Rai 3 "Report", nell'ambito di un servizio di approfondimento sul progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, farà un focus sulla gestione Anas del dott. Pietro Ciucci. A tal proposito desidera porvi alcune domande, pregandovi cortesemente di rispondere entro le ore 10,00 di venerdì pv per esigenze di produzione. 1) Risulta concluso il collaudo dell'intero macrolotto 2, DG48, che va da Buonabitacolo a Lauria Nord? 2) Rispetto al viadotto Torbido presente in quel tratto, da documenti ufficiali Anas emerge che "le pile 2 e 3 dell'opera sono ubicate in un'area sede di un significativo movimento franoso" ed era prevista la totale demolizione con ricostruzione di un viadotto strallato utile a superare la frana molto profonda. Cosa è stato fatto per ovviare a tale problema? 3) Il viadotto esistente, in considerazione delle gravi criticità, risulta monitorato in continuo attraverso sensori? Per eventuali contatti diretti potete chiamare il giornalista Danilo Procaccianti. Ringraziandovi per l'attenzione, certi della vostra collaborazione inviamo i nostri più cordiali saluti. La Redazione di Report
L’UOMO DEL PONTE. Report Rai di Danilo Procaccianti collaborazione Andrea Tornago Immagini Cristiano Forti, Dario D’India Ricerca Immagini Eva Georganopoulou, Alessia Pelagaggi Montaggio e grafiche Monica Cesarani
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 08/08/2023 Giornata storica non solo per la Sicilia, la Calabria, ma per tutta Italia. Dopo cinquant'anni di chiacchiere, questo Consiglio dei ministri approva il ponte che unisce la Sicilia al resto d'Italia e all'Europa. Il ponte sullo Stretto è un favore agli italiani che lo aspettano da cinquant'anni. E finalmente grazie a questo governo, passeranno dalle parole ai fatti.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il ponte si comincia a progettare ai tempi dell'unità d'Italia, ma ci vuole un secolo prima che si arrivi a qualcosa di concreto. Nel 1968 l'ANAS e le FS bandiscono un concorso internazionale di idee, il risultato è una legge che nel 1971 decide che il Ponte è di interesse nazionale, passano altri dieci anni e nel 1981 nasce la Stretto di Messina S.p.A., concessionaria di Stato, che dimostra che il ponte è fattibile e nel 1985 con il Governo Craxi si parte. Anni di studi e calcoli e nel 1992 arriva il primo progetto di massima.
ANTONINO CALARCO - PRESIDENTE STRETTO DI MESSINA S.P.A. 1987-2002 "La più straordinaria opera di ingegneria civile di tutti i tempi, seconda come impresa all'andata sulla Luna”.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il primo governo Berlusconi inserisce il Ponte tra le opere strategiche, quelle da realizzare con procedura accelerata.
SILVIO BERLUSCONI Questa volta si fa!
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Quella di Berlusconi fu la prima di un profluvio di dichiarazioni su cui si sono dilettati tutti i nostri politici.
SILVIO BERLUSCONI Il ponte sullo stretto si farà.
SILVIO BERLUSCONI Cambia la vita di tutti i cittadini della Sicilia!
ROMANO PRODI Insomma, prima di fare il ponte facciamo le strade, poi vediamo…
SILVIO BERLUSCONI Cominceremo anche la realizzazione di un’altra infrastruttura importante per una nostra regione, il ponte sullo stretto.
SILVIO BERLUSCONI Entro dicembre sarà pronto il progetto esecutivo del ponte sullo stretto di Messina!
MATTEO RENZI Non è che puoi stare a discutere del ponte sullo stretto e non discutere dell’emergenza edilizia scolastica.
MATTEO RENZI Noi faremo l’alta velocità Napoli Palermo che conterrà naturalmente il ponte sullo stretto.
SILVIO BERLUSCONI Riprendere il progetto e dare vita alla realizzazione del ponte sullo stretto.
GIUSEPPE CONTE Non ci sono i presupposti per realizzare un ponte.
GIORGIA MELONI Il ponte sullo stretto è un’infrastruttura che Fratelli d’Italia sostiene da sempre.
SILVIO BERLUSCONI Potremo quindi dare finalmente il via alla realizzazione del ponte.
SILVIO BERLUSCONI Apriremo finalmente i cantieri nei prossimi mesi.
GIORGIA MELONI – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO Il ponte lo famo.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Semo sicuri che lo famo? Insomma, il ponte è improvvisamente diventata un'opera prioritaria. È urgente. Il ministro delle Infrastrutture Salvini è l'uomo del ponte, l'uomo che ha raccolto il testimone da Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio che più ha voluto costruire questo ponte. Insomma, però non ha ereditato solo il testimone, anche vecchi progetti e vecchi personaggi che pensavamo assegnati all'oblio. Ecco qualcuno, il nostro Danilo Procaccia l'ha trovato per strada e ha scoperto anche dei registi e dei ghostwriter occulti che hanno come fine costruire il ponte.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il primo atto della nuova operazione ponte di Matteo Salvini è stato quello di riesumare la stretto di Messina spa che l’unico presidente del consiglio non politico, il tecnico Mario Monti, aveva deciso di liquidare nel 2013. Una società che per non fare nulla ci è costata 342 milioni di euro. Per la verità una cosa l’aveva fatta: la variante di Cannitello a Villa San Giovanni. Per far spazio a un futuro pilone del ponte avevano spostato la ferrovia creando un ecomostro, avrebbero dovuto mascherarlo con una collinetta verde e invece è rimasto così.
DANILO PROCACCIANTI Per cui quando voi dite che non vi fidate, volete progetti, certi tempi certi è per questa cosa qui?
GIUSY CAMINITI – SINDACO DI VILLA SAN GIOVANNI Ma come facciamo a fidarci per una mascheratura che in dieci anni non è stata fatta?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Come opera compensativa avrebbero dovuto anche rifare le ringhiere e i marciapiedi di tutto il lungomare ma ne hanno fatto solo un chilometro su tre dopo anni e anni.
GIUSY CAMINITI – SINDACO DI VILLA SAN GIOVANNI Abbiamo detto a RFI questo abbiamo detto al Ministro Salvini che per essere credibili quando vengono a villa San Giovanni e ci parlano del ponte sullo Stretto dovrebbero capire che qua ci sono 50 anni di incompiute.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Quella di Matteo Salvini sembra un’operazione nostalgia. Come amministratore delegato della nuova Stretto di Messina Spa Matteo Salvini chiama lo stesso uomo scelto a suo tempo da Silvio Berlusconi: Pietro Ciucci, colui che per primo parlò di “prima pietra del ponte”.
PIETRO CIUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO STRETTO DI MESSINA S.P.A. 24/09/2002 "Anche se forse non sarà materialmente una prima pietra, è prevista per l'inizio del 2005".
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO A indicare a Salvini il nome di Pietro Ciucci sarebbe stata un’altra vecchia conoscenza di berlusconiana memoria, l’ex ministro Pietro Lunardi come ci conferma un importante tecnico che ha partecipato alle prime riunioni quando Salvini è arrivato al ministero delle Infrastrutture.
DANILO PROCACCIANTI Quindi Ciucci è stato suggerito da Lunardi?
FONTE Al cento per cento.
DANILO PROCACCIANTI Dottor Ciucci buonasera siamo di Report di Rai Tre, ci spiega perché il ministro Lunardi ha partecipato alle riunioni con lei e Salvini sul ponte dello stretto? A che titolo?
PIETRO CIUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO STRETTO DI MESSINA S.P.A. Io sto andando via
DANILO PROCACCIANTI Avete il dovere di parlare, parliamo di un’opera di miliardi e miliardi di soldi pubblici.
PIETRO CIUCCI - AMMINISTRATORE DELEGATO STRETTO DI MESSINA S.P.A. Non faccia a me questa domanda.
DANILO PROCACCIANTI E a chi la devo fare? Che c’entra Lunardi, dottor Ciucci?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Una conferma indiretta sul fatto che ci sia l’ex ministro Lunardi dietro l’operazione ponte ci arriva dal fatto che mentre aspettiamo Lunardi, dal suo studio vediamo uscire il professor Alberto Prestininzi, coordinatore del comitato tecnico nominato da Salvini che dovrà valutare il progetto del ponte.
DANILO PROCACCIANTI Ci chiedevamo, a che titolo lei partecipa alle riunioni sul ponte dello stretto?
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 Io non partecipo alle riunioni no, no.
DANILO PROCACCIANTI Ci risulta questo anche con Salvini, con Salini… .
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 No no no.
DANILO PROCACCIANTI Ha appena incontrato il professor Prestininzi che è il coordinatore…
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 È un amico di famiglia.
DANILO PROCACCIANTI Quindi cose di famiglia. PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 E’ un amico di famiglia. Io siccome so che vi eravate preoccupati come mai io ho incontrato Salvini no, cose di questo genere…
DANILO PROCACCIANTI Sì… PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 Io ero obbligato essendo stato ministro tra il 2001 e il 2006 e avendo lanciato il ponte adesso devo fare il passaggio di testimone.
DANILO PROCACCIANTI A noi un tecnico ci ha detto che lei ha creato un tavolo con alcuni ingegneri quindi insomma un po’ più di un passaggio di consegne.
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 No no non ho fatto nessun tavolo.
DANILO PROCACCIANTI A noi hanno detto una cosa puntuale che addirittura vi siete visti prima ancora che il governo Meloni giurasse, non è stato lei a indicare Pietro Ciucci?
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 No no, io non mi sono permesso di fare niente,
DANILO PROCACCIANTI 5 Però a queste riunioni ha partecipato?
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 No, no, io a riunioni non partecipo, mi hanno chiesto dei consigli ma consigli a livello così di…ma io non ho mai fatto riunioni, per carità.
DANILO PROCACCIANTI Nemmeno con i consulenti legali di WeBuild, di Eurolink?
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 No, no assolutamente, io non voglio entrare in quelle cose.
DANILO PROCACCIANTI Senta ma si è pentito di quella famosa frase che con la mafia bisogna convivere?
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 No io non ho detto che bisogna convivere, gliela ripeto perché è stata travisata da certi giornalisti, io ho detto, siccome mi hanno fatto una domanda dicendomi “ma voi farete le opere lo stesso al sud” io ho detto che io voglio fare le opere al sud per rilanciarlo, e loro mi hanno chiesto “ma se c’è la mafia come farete” io ho detto anche se saremo, diciamo, obbligati a convivere con la mafia le opere le faremo lo stesso.
DANILO PROCACCIANTI Bisogna combatterla più che conviverci!
PIETRO LUNARDI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE 2001 - 2006 Ho detto anche se saremo costretti a convivere che è una cosa…la mafia non è che scompare da un momento all’altro.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La carriera di Pietro Ciucci inizia con Prodi che lo porta alla direzione generale dell’Iri. Liquidata l’Iri nel 2002, Berlusconi lo nomina Amministratore Delegato della Società Stretto di Messina dove rimarrà fino al 2013 quando la società verrà liquidata. Dal 2006 diventa anche presidente e direttore generale dell’Anas con uno stipendio da 750 mila euro l’anno Nel 2013 una legge mette un tetto agli stipendi e vieta il cumulo delle cariche e quindi Ciucci Presidente pensiona Ciucci Direttore Generale, e liquida a sé stesso 1 milione e 800 mila euro. L’Anas che Ciucci lascerà nel 2015 è un posto che il suo successore definirà così.
GIANNI VITTORIO ARMANI – PRESIDENTE E AD ANAS 2015 - 2018 Io sono arrivato in un posto dove non ti puoi fidare di nessuno. Di nessuno!
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Durante la gestione Anas di Ciucci sono crollati tre viadotti ma uno è rimasto nella storia, si tratta del viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento, era stato inaugurato senza collaudo poco prima del Natale 2014 ed è crollato appena 6 giorni dopo, il 30 dicembre.
PIETRO CIUCCI – PRESIDENTE ANAS 12/04/2015 C’è stato un errore in fase di progettazione e in fase di realizzazione dell’opera ma quel viadotto e quel rilevato erano la soluzione tecnica adeguata al problema da superare.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Qualcosa di più di un errore visto che la Procura di Palermo ha ipotizzato dei reati e ha rinviato a giudizio 13 persone tra cui Pietro Ciucci. Ma per lui come per gli altri la prescrizione è ormai certa. E a proposito di viadotti ne esiste uno che ancora non è crollato, ma non stiamo molto tranquilli. È il viadotto Torbido sulla Salerno Reggio Calabria, nella tratta tra Buonabitacolo e Lauria Nord in Basilicata. Quel lotto non è ancora stato collaudato e quel viadotto andrebbe abbattuto e ricostruito perché i piloni poggiano sopra una superficie franosa e ricca d’acqua.
NICOLA TROCCOLI - INGEGNERE Quando abbiamo fatto il progetto esecutivo ci siamo accorti che qui sotto ci sono delle superfici di scivolamento, quindi delle frane molto più profonde di quelle che erano state previste in fase di progetto definitivo.
DANILO PROCACCIANTI Parliamo di un viadotto i cui piloni vanno verso valle, cioè potrebbe cadere giù. Adesso non vogliamo fare facili allarmismi.
NICOLA TROCCOLI - INGEGNERE Intanto sappiamo che questo sta avvenendo ormai da anni, cioè che il viadotto si sta spostando a valle in modo differenziale da molti anni, ad oggi non si conosce lo stato dei pali di fondazione perché questi non sono stati indagati. Potrebbero essere anche parzialmente fratturati a diverse quote.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La stessa Anas ai tempi di Ciucci, nel 2007, scrive in un documento ufficiale che le pile del viadotto sono ubicate in un’area sede di un significativo movimento franoso e chiede un progetto per l’abbattimento e la ricostruzione.
DANILO PROCACCIANTI Il progetto era stato approvato, i soldi c'erano. Dopodiché?
NICOLA TROCCOLI - INGEGNERE E quindi si danno 180 giorni per fare questo progetto ottimizzazione e 45 ad ANAS per approvarlo. Da allora il silenzio totale.
DANILO PROCACCIANTI I soldi c'erano.
NICOLA TROCCOLI - INGEGNERE I soldi c'erano assolutamente adesso non so dove. Era un obbligo contrattuale realizzare quest'opera.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nonostante tutte queste ombre Pietro Ciucci è stato chiamato da Matteo Salvini per gestire la costruzione di quella che sarà la più imponente opera infrastrutturale al mondo e addirittura per molti Ciucci è l’unico in grado di farlo, per questo i costruttori messinesi sono contenti.
GIUSEPPE RICCIARDELLO – PRESIDENTE ANCE MESSINA Hanno messo a capo il dottore Ciucci che il dottore Ciucci secondo me è l'unica persona, è una delle pochissime persone che conosce perfettamente la macchina del ponte.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il geometra Giuseppe Ricciardello è un costruttore siciliano oggi a processo perché coinvolto nella famosa inchiesta sulla Dama Nera, la dirigente dell’Anas Antonella Accroglianò che secondo l’accusa era a capo di un vorticoso giro di mazzette che nelle intercettazioni definiva ciliegie.
INTERCETTAZIONE ANTONELLA ACCROGLIANÒ – 20/12/2015 Però gliel’ho detto: non puoi venire con ste’ ciliegie smozzicate così che fai confusione e basta! Vieni con una ciliegia definitiva! Gli ho detto “fai prima perché qua a luglio le ciliegie devono essere finite!”.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Probabilmente la ciliegiona sono i 70.000 euro in contanti più gioielli che ha trovato la guardia di finanzia a casa della madre. Eppure, l’allora Presidente di Anas, Pietro Ciucci, non coinvolto nell’inchiesta qualche mese prima ai microfoni di Report aveva detto così.
PIETRO CIUCCI – PRESIDENTE ANAS 12/04/2015 In Anas non c’è nessun giro di mazzette, non abbiamo coinvolgimenti in nessuna delle indagini e degli scandali.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Anche Giuseppe Ricciardello è accusato di aver pagato una tangente ma questo non gli ha impedito di racimolare appalti Anas, anche dopo il rinvio a giudizio e nonostante l’Anas si fosse costituita parte civile al processo. Adesso non vede l’ora che partano i lavori per il Ponte sullo Stretto.
DANILO PROCACCIANTI Ovviamente per voi sarebbe come dire mi passi il termine una cuccagna.
GIUSEPPE RICCIARDELLO – PRESIDENTE ANCE MESSINA Beh, insomma, una cuccagna proprio non direi, c'è un'opportunità di lavoro, poi sta a noi essere bravi essere capaci all'altezza di eseguire le opere.
DANILO PROCACCIANTI Senta a proposito di legalità lei è ancora a processo, ha un processo in corso.
GIUSEPPE RICCIARDELLO – PRESIDENTE ANCE MESSINA Sì, una vecchia inchiesta quella di Dama nera si riferisce?
DANILO PROCACCIANTI Dama Nera sì. GIUSEPPE RICCIARDELLO – PRESIDENTE ANCE MESSINA Sì, speriamo che finisce presto va bene pare che finisce presto, come tutte le inchieste a volte vanno nel buio.
DANILO PROCACCIANTI Non ha pagato nessuna tangente.
GIUSEPPE RICCIARDELLO – PRESIDENTE ANCE MESSINA Ma quali tangenti io non ho mai pagato tangenti perché ho sempre lavorato onestamente come facciamo tutti noi costruttori.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il sistema corruttivo sarebbe stato in piedi proprio mentre Ciucci era presidente e direttore generale dell'Anas. Però non si è mai accorto di nulla. Ha giurato che non c'era malaffare e però Ciucci - non è stato mai indagato in questa vicenda lo diciamo chiaramente - è invece a processo per quello che riguarda il crollo del viadotto che è crollato appunto dopo una settimana dalla inaugurazione e lì però è certa la prescrizione, quindi Ciucci con l'imprenditore Ricciardello potranno guardare con serenità alla costruzione del ponte sullo Stretto. Quello che colpisce però, è che Ciucci sembra essere l'unico manager in grado di amministrare la Stretto di Messina, la società che deve realizzare l'opera più imponente al mondo. Il nome di Ciucci l'ha indicato Salvini in quella che sembra un'operazione nostalgia perché è lo stesso nome che aveva indicato Berlusconi nel 2002. Ora perché è stato scelto questo nome? Il nostro Danilo procaccia anche ha incontrato nel corso dell'inchiesta un testimone, un ingegnere che avrebbe partecipato a dei tavoli tecnici all'interno del ministero di Salvini e si sarebbero svolti ancora prima che la Meloni, il Governo Meloni ottenesse la fiducia delle Camere. In questi incontri ci sarebbe stato anche il Ministro delle infrastrutture del Governo Berlusconi, Lunardi, e sarebbe stato proprio lui a indicare a Salvini il nome di Ciucci. Ora il ministro Salvini che con noi non vuole parlare ci ha mandato una serie di risposte che trovate sul nostro sito integrali. E scrive, a proposito di Lunardi, che non è stato istituito alcun tavolo tecnico formato da ingegneri di fiducia dell'ex ministro da parte del MIT. Ci sono stati incontri informali - dunque ammette gli incontri con Lunardi - finalizzati a un confronto sulla gestione dell'opera in passato, nonché rispetto allo scenario attuale. Lunardi, ci scrive ancora Salvini, non ha influito in alcun modo sulla scelta di Ciucci. Ecco, e invece Lunardi dice che è stato un semplice passaggio di consegne. Dice che non c'entra nulla sulla costruzione del ponte però insomma il nostro Danilo ha beccato anche uscire dal suo ufficio il professor Prestininzi che è a capo di quel comitato scientifico che deve controllare sul ponte, un ente che dovrebbe essere terzo. Ecco, quel Lunardi che all'epoca disse che con la mafia bisogna convivere. È una frase che suppergiù ha riprodotto anche ai microfoni del nostro Danilo Procaccianti. E invece qual è la visione di Salvini sul rischio dell'infiltrazione mafiosa?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il politico che più di ogni altro avrebbe voluto il Ponte sullo Stretto è senza dubbio Silvio Berlusconi e Matteo Salvini sembra voler ripercorrere la stessa strategia del cavaliere, un parallelismo visibile perfino nella narrazione a cominciare dall’immancabile passaggio da Bruno Vespa con il plastico del ponte in bella mostra. BRUNO VESPA Avviciniamoci qua al ponte sullo stretto di Messina, è un sogno?
SILVIO BERLUSCONI – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 2001 - 2006 È una realtà.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 2024 inizio cantieri, questo è l’obiettivo del percorso.
BRUNO VESPA E in cinque anni il ponte percorribile?
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Assolutamente sì.
SILVIO BERLUSCONI – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 2008 - 2011 Personalmente il Presidente del Consiglio ha lavorato tutto il mese di agosto!
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI E ci metto tutto me stesso con riunioni quotidiane anche nel mese di agosto!
SILVIO BERLUSCONI – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 2008 - 2011 La lotta alla mafia potrà essere portata finalmente a termine soltanto quando la Sicilia non si sentirà più lontana dallo Stivale.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Il Ponte sullo Stretto e le decine di migliaia di posti di lavoro vero che nasceranno intorno al Ponte sullo Stretto sono la più grande operazione antimafia dal dopoguerra ad oggi!
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Sui possibili rischi di infiltrazione mafiosa ha lanciato un allarme don Luigi Ciotti fondatore dell’associazione Libera contro le mafie da anni costretto a vivere sotto scorta perché condannato a morte dai boss di Cosa Nostra.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - 25/07/2023 Mi ha fatto specie, mi si permetta, leggere oggi sui giornali le parole di un signore oltretutto in tonaca che ha detto che questo ponte più che unire due coste unirà due cosche. E’ di una volgarità, di un’ignoranza e di una superficialità senza confini, senza confini!
DON LUIGI CIOTTI – FONDATORE LIBERA CONTRO LE MAFIE Mi ha più preoccupato l'applauso di quegli imprenditori in prima fila. Un modo di fare politica, no, che chi si permette di fare delle osservazioni deve essere spazzato via.
DANILO PROCACCIANTI Però l'hanno colpita le parole, appunto la violenza. Perché secondo lei?
DON LUIGI CIOTTI – FONDATORE LIBERA CONTRO LE MAFIE Io ho detto quello che penso perché non ci siano solo degli annunci delle promesse dei proclami. La DIA stessa più volte ha richiamato e segnalato l'attenzione che ci deve essere rispetto tutto questo. C'è una minoranza, una minoranza non degna di rappresentare le nostre istituzioni.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Chissà se Matteo Salvini consiglierà di espatriare anche a Giuseppe Lombardo, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Lombardo è uno dei magistrati più scortati d’Italia per le minacce di morte ricevute, 200 chili di tritolo erano pronti per lui. Ha dedicato gli ultimi anni a svelare fino a dove è arrivata la ndrangheta dentro il cuore del potere politico ed economico.
GIUSEPPE LOMBARDO – PROCURATORE AGGIUNTO REGGIO CALABRIA Del ponte se ne discute da sempre, anche in ambienti criminali. Il rischio qual è? Che il ponte non colleghi due coste ma colleghi due cosche. Questo assolutamente non deve avvenire. Perché dico questo? Perché ci sono stati anni in cui tutta l'area del messinese era un'area che faceva capo a famiglie di ‘ndrangheta. Certamente gli appetiti ci 10 saranno, ma non saranno più appetiti legati alla singola articolazione territoriale che controlla quel territorio, ma certamente a componenti di più alto livello.
DANILO PROCACCIANTI Lei è stato probabilmente il primo a parlare di Invisibili. In questo caso è a quel livello che stanno ragionando sul Ponte sullo Stretto?
GIUSEPPE LOMBARDO – PROCURATORE AGGIUNTO REGGIO CALABRIA Stiamo parlando di soggetti che ovviamente hanno un compito di comporre quella che è la direzione strategica. Nel momento in cui un'opera come il ponte sullo Stretto di Messina si decida davvero di realizzarla c'è un livello molto alto nelle due componenti calabresi e siciliane, in cui le due componenti diventano una cosa unica.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO D’altronde l’allarme mafia rispetto al Ponte sullo Stretto era stato lanciato anche dalla diplomazia più potente al mondo, quella americana. Le comunicazioni erano state rese note da Julian Assange e dai giornalisti di WikiLeaks. In alcuni cablo tra il 2008 e il 2009 i diplomatici americani scrivono che la mafia potrebbe essere “tra i principali beneficiari” della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che comunque “servirà a poco senza massicci investimenti in strade e ferrovie” in Sicilia e Calabria.
STEFANIA MAURIZI – GIORNALISTA E AUTRICE DE “IL POTERE SEGRETO” La Sicilia, dicono loro, è la sede della base di un’importantissima base, quella di Sigonella, che poi è diventato il cuore della guerra dei droni. È importantissima perché sono state scoperte importanti giacimenti di gas naturale e hanno delle strutture di intelligence cruciali, come i cavi sottomarini a fibra ottica che non sono di proprietà diretta loro, ma che sono nei loro programmi di sorveglianza di massa della NSA, come abbiamo scoperto grazie a Snowden. Quindi loro hanno, per loro la Sicilia è una regione cruciale.
DANILO PROCACCIANTI Per cui quando dicono una cosa del genere…
STEFANIA MAURIZI – GIORNALISTA E AUTRICE DE “IL POTERE SEGRETO” Dobbiamo capire che queste corrispondenze stanze devono essere lette da Washington cioè da chi fa la politica estera degli Stati Uniti che deve avere una rappresentazione fattuale della situazione in un certo Paese, quindi, non sono parole in libertà.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La gara d’appalto per l’affidamento dei lavori del Ponte sullo Stretto si era svolta nel 2005, il progetto negli anni ha subito piccoli aggiornamenti ed è fermo al 2011. Sono passati 12 anni e nel frattempo è cambiato il mondo in tema di materiali e norme tecniche. Quel progetto era vecchio e non valeva più niente nelle mani del consorzio che aveva vinto la gara. Il ministro Salvini invece di rifare una nuova gara d’appalto ha resuscitato la vecchia operazione per decreto.
GIUSEPPE BUSIA – PRESIDENTE AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE (ANAC) La cosa più naturale sarebbe stata faccio una transazione eventualmente compro per pochi soldi quel progetto che ormai vale poco, lo metto a gara e posso fare con tutte le migliorie del caso, un ponte nuovo. Il fatto di non fare la gara ogni modifica e aggiornamento sul progetto per adeguarlo a tutte le novità che ci sono state rischia di 11 produrre contenzioso perché il fatto di non fare la gara si regge solo se si mantiene quell’identico progetto e si cambia il meno possibile. Ed è un vincolo anche finanziario perché sempre la normativa europea prevede che non si possa aumentare il prezzo più del 50% del progetto messo a gara.
FONTE Dalla nomina di Ciucci le cose sono andate di male in peggio, è stata fatta un'operazione che ha ben poco a che vedere con la corretta realizzazione dell'opera è un'operazione puramente di come dire di riesumazione del passato. È tutto un intreccio di interessi, e il problema di tutta ‘sta baracca è che hanno un solo scopo: lo scopo è quello di non cambiare nulla. Perché se toccano qualche cosa devono rifare la gara e gli crolla tutto il castello.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il consorzio che aveva vinto l’appalto si chiama Eurolink e oggi è guidato dall’impresa Webuild di Pietro Salini. Dopo che l’ex premier Mario Monti aveva messo una pietra tombale sul ponte, i contratti erano stati cancellati. Il consorzio aveva fatto ricorso chiedendo 700 milioni di euro di risarcimento ma in primo grado il tribunale gli aveva dato torto su tutta la linea. Il ministro Salvini gli ha fatto un grande favore ripescando il loro progetto vecchio di 12 anni, a patto però che il consorzio rinunciasse al contenzioso con lo Stato. Ad oggi lo ha fatto?
AURORA NOTARIANNI – AVVOCATO WWF ITALIA No, non lo ha fatto. quindi continua ad essere un contraente che ha fatto causa allo Stato e quindi non potrebbe toccare una, un… come dire, neanche una penna per rimettere mano al progetto.
DANILO PROCACCIANTI Cioè io e lei siamo in causa però lei mi dà un appalto, mi ridà l'appalto.
AURORA NOTARIANNI – AVVOCATO WWF ITALIA Non funziona così cioè ogni volta che si ha un incarico pubblico bisogna risolvere il problema del contenzioso.
DANILO PROCACCIANTI Il consorzio non ha ancora rinunciato al contenzioso.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Ci rivediamo al 1 marzo 2024, se il CIPESS avrà approvato il progetto con tutti gli aggiornamenti del caso, e la società ritira il contenzioso e si partirà con gli appalti e col cantiere entro l’estate. Questo è il cronoprogramma.
DANILO PROCACCIANTI Quindi rispetto all’Anac, a tutti gli allarmi…
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Noo...ho messaggiato questa mattina col presidente di Anac.
DANILO PROCACCIANTI Quindi non esagero se dico che abbiamo fatto un grande favore al privato?
GIUSEPPE BUSIA – PRESIDENTE AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE (ANAC) Sicuramente il giorno in cui si è deciso di dire “quel progetto il mio e lo voglio” si è fatto un grande regalo e diciamo non lo dico solo io se si guardano le quotazioni in Borsa della impresa proprietaria diciamo gli investitori hanno capito che c'era un grande vantaggio finanziario.
DANILO PROCACCIANTI Lei tutte queste questi allarmi la lanciati appunto in Parlamento, non al bar, e però nessuno l'ha ascoltata.
GIUSEPPE BUSIA – PRESIDENTE AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE (ANAC) Il governo e la maggioranza si sono orientati per non accogliere gli emendamenti che noi avevamo suggerito.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO È preoccupante ascoltare chi dirige un'Autorità indipendente anticorruzione che il Governo non l'ascolta. Qual è la preoccupazione del presidente Anac Giuseppe Busia? Intanto bisogna riavvolgere il nastro per capirlo. Il ponte è un pallino di Silvio Berlusconi. Nel 2005 indice una gara: valore 4 miliardi di euro, se la aggiudica il consorzio EuroLink in testa a Impregilo, che poi viene acquistata da Salini. Oggi si chiama WeBuild. Poi arriva il governo Prodi che ferma tutto. Quando torna, invece Berlusconi nel 2008 chiede di aggiornare il progetto. Poi arriva il governo dei professori, il professor Monti, che decide di liquidare tutto. Liquida la società Stretto di Messina che senza far nulla c'è costata 342 milioni di euro, interrompe i contratti con le aziende. Eurolink, insomma, si sente danneggiata perché non è stata messa in condizioni di terminare l'opera vuole incassare le penali, fa ricorso in tribunale e quando arriva Salvini però Eurolink è all'angolo perché ha perso in primo grado. Il tribunale gli ha dato torto. Si ritrova con un progetto aggiornato al 2011 e aggiudicato in base a una gara di vent'anni fa circa. Ecco, e per questo, per queste criticità l'Anac suggerisce al Governo di indire una nuova gara perché si rischiano in base alle procedure europee dei contenziosi perché poi il progetto non è che può variare più di tanto, inoltre non si possono fare varianti superiori al 50% del prezzo stabilito all'inizio dalla gara. Insomma, tuttavia invece Salvini decide di andare dritto e nessuna nuova gara si mette mano alle nuove, alle vecchie ditte, vecchi manager vecchi progetti. Ecco e Busia dice ha fatto un danno allo Stato un grande favore ai privati. Altro particolare: Salvini si mette in mano ad una ditta che ha un contenzioso aperto nei confronti dello Stato, che anche questo non è tanto normale. Salvini ci risponde che per ripartire da zero con la progettazione avrebbe significato non fare il ponte. È proprio questo che ci dovrebbe preoccupare di più, dovrebbe preoccupare di più lo Stato: si riparte da un progetto vecchio di dodici anni. Ecco. E qual è la ricaduta?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il Ponte sullo Stretto sarà il ponte sospeso a campata unica più lungo al mondo. La distanza tra i due piloni sarà di 3300 metri con torri alte 399 metri. La larghezza dell'impalcato sarà di 61 metri, e avrà 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia. Poi ci saranno 2 binari ferroviari e anche questo è un record perché non esistono al mondo ponti sospesi così lunghi che abbiano sia la strada che la ferrovia. Proprio la ferrovia è quella che desta più preoccupazione tra gli esperti di ponti perché soprattutto a causa dei forti venti quel ponte avrà oscillazioni di metri, e la cosa poco si addice a una ferrovia.
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE Il grande punto interrogativo è la ferrovia, il treno viaggia dritto, ma è inclinato: ecco questo non è possibile.
MARIO DE MIRANDA – INGEGNERE Uno si può chiedere ma perché non si sono fatti ponti ferroviari con campata così grande? Il ponte sospeso è un ponte molto deformabile, una deformabilità che non può essere in generale accettata dal traffico ferroviario, il quale richiede che i binari vadano su un percorso il più rettilineo, il più rigido possibile. Però con i ponti molto grandi come questo, abbiamo spostamenti dell'ordine dei dieci metri. I treni sarebbero costretti a camminare su di una inclinazione trasversale, cioè su due binari che sono su due rotaie che sono ad un dislivello sensibile l'uno rispetto all'altro. A me desta semplicemente un po’ di preoccupazione e la necessità di guardarci dentro con molta calma e molta attenzione.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - 25/05/2023 È il ponte più studiato al mondo, più verificato al mondo, più indagato al mondo, più approfondito e più atteso.
MARIO DE MIRANDA – INGEGNERE Guardi che il fatto che si studia 50 anni, semmai non è positivo. In 50 anni non siamo ancora riusciti a costruirlo? Ci sarà qualcosa… FONTE Quel ponte ha un problema di aerodinamica per il vento. I calcoli sono stati fatti sempre sui venti che si chiamano sinottici cioè venti che sono… chiamiamoli prevedibili sulla base delle registrazioni. Adesso con i cambiamenti climatici quei dati non sono più significativi, cioè tu adesso devi immaginare anche l'evento estremo sia come forza che come direzione. E invece non credo che sia mai stato preso in considerazione.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Chissà se nel nuovo progetto terranno conto dei cambiamenti climatici. Le premesse non sono buone. Il comitato tecnico scientifico nominato da Salvini che dovrà supervisionare il progetto è coordinato dal professor Alberto Prestininzi, ordinario di Ingegneria della Terra all’Università di Roma "La Sapienza". E a proposito di cambiamenti climatici il professor Prestininzi è firmatario di un appello il cui titolo è “L’emergenza climatica non esiste”.
DANILO PROCACCIANTI Ma questa cosa che lei è un negazionista climatico?
ALBERTO PRESTININZI - ORDINARIO INGEGNERIA UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA" Ma non rompete pure voi le palle, per favore, ma che negazionista, io sono uno studioso del clima, il clima è sempre cambiato.
DANILO PROCACCIANTI Però il titolo…
ALBERTO PRESTININZI - ORDINARIO INGEGNERIA UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA" Il titolo lo mettete voi! DANILO PROCACCIANTI Come il titolo lo mettiamo noi, lei lo ha firmato con quel titolo!
ALBERTO PRESTININZI - ORDINARIO INGEGNERIA UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA" Negazionista non sono, perché il clima esiste e siamo in un cambiamento climatico, il tema è: è l’uomo che incide sul cambiamento climatico o è la natura che cambia?
DANILO PROCACCIANTI Però adesso lei coordina questo comitato tecnico scientifico.
ALBERTO PRESTININZI - ORDINARIO INGEGNERIA UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA" Non c’entra niente il ponte con il coso…non mischiamo
DANILO PROCACCIANTI Come, i cambiamenti climatici anche su quello, i venti?
ALBERTO PRESTININZI - ORDINARIO INGEGNERIA UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA" Ma per carità non dite cose che non conoscete.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Nel 2023 approvare il decreto e nel 2024 far partire i lavori per concluderli nei primi anni del 2030 sarà il completamento di qualcosa di straordinario, una rivoluzione economica, culturale, sociale, ambientale.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Per arrivare all’apertura dei cantieri nell’estate del 2024 il ministro Salvini a giugno ha dato un cronoprogramma. Primo termine il 30 settembre scorso. Entro quella data andava aggiornato un progetto vecchio di 11 anni. Il 30 settembre il Consorzio Eurolink, guidato da Webuild, scrive sul proprio sito che ha consegnato la documentazione di aggiornamento del progetto definitivo a Società Stretto di Messina.
DANILO PROCACCIANTI L'aggiornamento in tre mesi scarsi è una cosa normale?
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE No, non non può considerarsi una cosa normale. Quello che io penso è che il progetto del 2011 è un progetto che è lo stesso che viene ora ripresentato. FONTE Non hanno manco aggiornato gli elenchi prezzi. Cioè nessuno sa quanto cacchio costa questo ponte ora. Hanno fatto una relazione di aggiornamento di 500 pagine dove dicono sostanzialmente cosa bisogna fare per aggiornare il progetto. Ma non c'è un aggiornamento, non esiste.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO 15 Il 28 dicembre del 1908 proprio dallo specchio d’acqua che separa Sicilia e Calabria è partito un terremoto/maremoto che ha provocato ottantamila morti. Si tratta del quinto terremoto più distruttivo nella storia dell’umanità.
CARLO TANSI –RICERCATORE ISTITUTO DI RICERCA PER LA PROTEZIONE IDROGEOLOGICA, CNR La linea di costa di Calabria e Sicilia sprofondò fino a un metro, fino all’entroterra per parecchi metri. Questi terreni che affiorano qui, sia sul versante calabro che su quello siculo, sono formati prevalentemente da sabbie argille, che in caso di terremoti tendono a liquefarsi, a diventare liquidi. E quindi questa liquefazione ha generato questo sprofondamento.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Se l’aggiornamento del progetto non esiste come faranno a tenere conto della faglia che ha provocato quel terremoto? La faglia è stata identificata solo nel 2021 dall’università di Catania, significa 10 anni dopo del vecchio progetto ponte risalente al 2011.
CARLO TANSI – RICERCATORE ISTITUTO DI RICERCA PER LA PROTEZIONE IDROGEOLOGICA, CNR E il motivo scientifico è dovuto al fatto che noi qui siamo in una zona di collisione tra l'Africa e l'Europa. Queste due placche si stanno avvicinando a una velocità geologicamente importante, circa sette mm all'anno mediamente come se fossimo in una enorme morsa tra due continenti che si avvicinano, le rocce si rompono, si rompono lungo le faglie che sono fratture profonde della crosta terrestre che arrivano fino a 20, 30 km di profondità. Più sono lunghe le faglie, più il terremoto è distruttivo. Praticamente qui noi ci troviamo di fronte a un problema: si tratta di progettare in una delle aree a più alto rischio sismico del pianeta la più imponente opera mai progettata.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Altro punto del cronoprogramma: il ministro Salvini ha affermato che entro marzo il progetto definitivo verrà approvato e nell’estate 2024 partiranno i cantieri. Questo presuppone che in pochi mesi deve essere pronto anche il progetto esecutivo.
ALBERTO ZIPARO – URBANISTA, UNIVERSITA’ DI FIRENZE Il progetto esecutivo è quello che spiega la costruibile cioè che la vita e il bullone reggono, che la saldatura regge che i giunti di dilatazione sono credibili.
DANILO PROCACCIANTI In estate si apriranno i cantieri, cioè significa che già pronto sarà pronto già il progetto esecutivo. Anche questo è tecnicamente possibile?
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE No, non è tecnicamente possibile. In parole povere, puoi immaginare che da una tavola del progetto definitivo ne vengono fuori tipo quattro del progetto esecutivo. Quindi se un progetto definitivo ci vogliono, per farlo, in realtà due anni come è stato, il progetto esecutivo, richiederà almeno altrettanto tempo. Tra l'altro, dopo il progetto che il progetto esecutivo è stato realizzato deve essere approvato. Ma per fare la validazione ci vorranno qualche cosa come tre mesi, sei mesi.
DANILO PROCACCIANTI Cioè lei dice c'è il pericolo che qua si corre si corre ma poi a un certo punto ci si fermi perché ci sono molte cose da cambiare ancora, da studiare.
EMANUELE CODACCI PISANELLI - INGEGNERE Purtroppo, questo è quello che io penso, ma dopo a un certo punto i nodi vengono al pettine.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora secondo i professionisti che abbiamo intervistato è impossibile che tra pochi mesi, come ha annunciato Salvini, vengano aperti i cantieri. Secondo il cronoprogramma che aveva lanciato il ministro a giugno, entro il 30 settembre si doveva aggiornare il vecchio progetto del 2011. Però, siccome è impossibile farlo in tre mesi, che cosa hanno aggiornato? Hanno presentato una relazione sulle cose che invece andrebbero aggiornate, che è una cosa completamente diversa. Poi su questa relazione c'è un mistero perché l'ha chiesta il deputato Angelo Bonelli, è nella sua facoltà, nella sua attività parlamentare poterlo chiedere e gli è stato risposto che è un documento riservato e in fase ancora di istruttoria. Ecco, insomma, non è che ci sia da stare tanto tranquilli. Bisognerebbe avere più trasparenza, soprattutto perché si tratta dell'opera pubblica più importante della storia della nostra Repubblica, quella che richiederà il più grande esborso di denaro. Salvini però vuole rassicurare tutti dice guardate che sono 50 anni che stanno studiando, è il ponte più studiato della storia. Però, umilmente, uno dei nostri tecnici intervistati gli fa notare "guardi che se son cinquant'anni che lo stanno studiando non l'hanno fatto non è un bel segnale". In effetti ci sono delle criticità proprio legate al fatto che il progetto è vecchio. Per esempio: lo studio dei venti è basato su un bollettino storico, insomma, non prende in considerazione il mutamento climatico. Ci sono dei venti molto più forti. La natura del ponte, che deve essere elastica perché è sospeso sul mare, potrebbe portare a oscillazioni anche di dieci metri, ecco, e lì sopra dovrebbe passarci un treno. Ecco, anche forse in alta velocità. Di fronte a questo scenario, non è che c'è da star molto tranquilli. Chi dovrebbe studiare i nuovi venti, anche le nuove, le nuove mutazioni climatiche, proprio in rapporto con il progetto è il professor Prestininzi che è a capo del comitato scientifico, lo stesso professore che il nostro Danilo Procaccianti ha beccato davanti l'ufficio di Lunardi ed è lo stesso professore firmatario di un appello dal titolo “L'emergenza climatica non esiste”. Ecco, insomma, di fronte a tutto questo, siccome la relazione che hanno presentato sull'aggiornamento del progetto è segreta e siccome il ministro Salvini con noi non vuole parlare abbiamo cominciato a fare il fact-checking di tutte le dichiarazioni che politici e tecnici hanno fatto in questi anni e che cosa è emerso? Intanto è emerso un ghostwriter.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 24/05/2023 Bisogna osare, bisogna osare, l’Italia è la patria del Rinascimento! Sse Michelangelo, Raffaello o Leonardo Da Vinci non avessero osato, se avessero dovuto passare attraverso la commissione di studio costi benefici, non avremmo quello che hanno fatto Raffaello, Leonardo e Michelangelo. Fortunatamente bisogna osare!
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ma bisogna anche rispettare le leggi che prevedono l’analisi costi benefici per le opere pubbliche e non ci risulta che il ministero ne abbia fatto una. L’ha fatta di recente un’associazione di ricerca indipendente. Il risultato dell’analisi è negativo con una perdita di 3,6 miliardi.
GUIDO SIGNORINO – ORDINARIO DI ECONOMIA APPLICATA UNIVERSITA’ DI MESSINA Si prevedeva un incremento dei flussi di attraversamento dello Stretto che nei fatti non solo non c'è stato, ma c'è stata una riduzione perché è cambiato il mondo. Se non si raggiungono livelli adeguati di utilizzo della struttura, la struttura è, dal punto di vista economico, inutile, dal punto di vista finanziario, insostenibile.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - 24/05/2023 Le stime parlano, nell’arco della lavorazione, a lavorazione ultimata di centomila posti di lavoro vero fra Sicilia e Calabria non redditi di cittadinanza dati una tantum, centomila posti di lavoro vero!
GUIDO SIGNORINO – ORDINARIO DI ECONOMIA APPLICATA UNIVERSITA’ DI MESSINA E’ una cifra non basata su nessuna su nessuna valutazione seria e nessuno studio diciamo verificabile dell'impatto occupazionale futuro di questa opera. Il problema è su che base vengono date queste cifre?
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - 24/05/2023 Secondo alcuni studi universitari che sono in corso d'aggiornamento, ovviamente eviteremo 140.000 tonnellate di emissioni di CO2 nell'aria, ossidi, idrocarburi e quant'altro.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Non esiste nessuno studio universitario che sia giunto alle conclusioni riferite dal ministro Salvini. Secondo studi indipendenti la riduzione di emissioni di CO2 non sarebbe di 140 mila tonnellate annue ma molto meno.
FRANCO RAMELLA – DOCENTE DI TRASPORTI UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO La mia stima è 10.000 tonnellate all'anno. In una prospettiva nazionale sono poco o nulla. In Italia le emissioni totali di CO2 sono 400 milioni.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ma da dove viene allora il numero citato da Salvini? Il ministro non cita mai la fonte del dato ma noi l’abbiamo trovata.
DANILO PROCACCIANTI Il Ministro cita questo studio suo, me lo conferma.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Gli ho dato io questa copia.
DANILO PROCACCIANTI E quindi l'ha letto?
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Sì, però il ministro non dice mai che l’ho scritto io.
DANILO PROCACCIANTI Però insomma è molto probabile.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK I numeri sono quelli.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Giovanni Mollica non è un ricercatore universitario esperto di inquinamento ma è un membro del Rotary Club di Messina ed è tra i fondatori della Rete civica per le infrastrutture del Mezzogiorno, un'associazione che promuove la costruzione del Ponte sullo Stretto. Lui stesso nello studio scrive che “le presenti note non hanno la pretesa della scientificità” anche perché i numeri dell’ingegner Mollica vengono fuori dando per certo che una volta costruito il ponte i traghetti non ci saranno più.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK I traghetti ci saranno.
DANILO PROCACCIANTI Lei dice 140.000 se il traghetto non passa più. Lei stesso sta dicendo che passerebbe.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Certo, io dico semplicemente che tra il fare passare le macchine sul ponte e il fatto di continuare a utilizzare i traghetti c'è una differenza di 140.000 tonnellate di CO2.
DANILO PROCACCIANTI Però siccome così non sarà, questo vantaggio sarà minore, diciamo così.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Questo vantaggio certamente sarà minore.
DANILO PROCACCIANTI Lei dice che questo studio però non ha pretese scientifiche.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK No.
DANILO PROCACCIANTI Da cittadino, però non la spaventa un po’ che un ministro citi uno studio che non è scientifico?
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Ma io penso che Salvini, prima di citarlo l'abbia fatto esaminare. Io non lo so, ma se io fossi il ministro non prenderei un quilibet come sono io.
DANILO PROCACIANTI FUORI CAMPO Il ministro avrebbe dovuto fare qualche ricerca anche sull’ingegner Mollica perché a noi è bastato poco per scoprire che l’ingegnere in passato è stato consulente di Eurolink, vale a dire ha preso soldi dal consorzio che dovrà costruire il ponte, per cui il suo giudizio diciamo che non è proprio super partes.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Nel 2011 mi pare mi hanno chiesto di fare il consulente per Eurolink, cercavo di fare sapere che il ponte avrebbe portato enormi benefici alla città.
DANILO PROCACCIANTI Quindi diciamo gli inglesi direbbero ha fatto attività di lobbying.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Diciamo che ho fatto attività di lobbying può anche chiamarla così, non mi offendo.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E da lobbista era in costante contatto con l’ex sottosegretario leghista Armando Siri, già responsabile economico del partito. Lo abbiamo scoperto grazie all’archivio del consorzio internazionale OCCRP. Si trovano diverse mail tra i due. Il 21 agosto del 2015 per esempio Mollica scrive a Siri: “Fondamentale è la condivisione del principio di mascherare il convegno come tecnico e poi tirare fuori Salvini o chi per lui nel finale. Nascondendo l’aspetto politico posso coinvolgere Cisl e Uil”.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Questo non me lo ricordo.
DANILO PROCACCIANTI Dice “Nascondendo l'aspetto politico posso coinvolgere Cisl e Uil.” Insomma, non è carino questo?
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK No, non è carino. Certo che non è carino. Ma lei si meraviglia di queste cose? Io voglio il ponte e quindi chiunque anche il diavolo in persona è favorevole al ponte io sono al suo fianco!
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Erano talmente in confidenza il consulente di Eurolink e Armando Siri che nel luglio 2017 Mollica scrive per Siri addirittura un discorso: “Usa tutto a tuo piacimento”, e nella successiva mail: “L’ho riscritto tentando di immedesimarmi nel ruolo che occuperai domani”.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Sul piano strettamente tecnico io ho insegnato moltissime cose a Siri.
DANILO PROCACCIANTI L’importante è che i cittadini lo sappiano.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Certo!
DANILO PROCACCIANTI E’ d'accordo con me su questo?
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK Su questo sono d'accordo ma credo che tutti sappiano che io sono a favore del ponte per quel poco che posso contare.
DANILO PROCACCIANTI Magari pochi sapevano che appunto aveva proprio un rapporto di consulenza con il Consorzio.
GIOVANNI MOLLICA – INGEGNERE EX CONSULENTE CONSORZIO EUROLINK 20 Mah.
DANILO PROCACCIANTI Danilo Procaccianti di Report, RaiTre, a proposito di Ponte sullo Stretto, lei conosce l’ingegner Giovanni Mollica?
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Lei lo conosce?
DANILO PROCACCIANTI Io sì, lei?
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI E allora?
DANILO PROCACCIANTI Lo conosce?
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma lei lo conosce?
DANILO PROCACCIANTI Non è che stiamo giocando, le sto facendo una domanda.
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma lei perché mi vuol fare una domanda? Dopo tutte le querele che vi ho fatto vuole ancora farmi delle domande? Vada a fare le domande a qualcun altro.
DANILO PROCACCIANTI Sa che Mollica era un consulente di Eurolink, quelli che devono costruire il ponte? Però vi sentivate spesso, addirittura le scriveva dei discorsi.
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma a lei cosa le importa scusi?
DANILO PROCACCIANTI Eh, è il consulente di un’azienda che deve costruire il ponte…
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma a lei cosa le importa?
DANILO PROCACCIANTI E’ di interesse pubblico!
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma a lei cosa le importa con chi mi sento io? Lei come fa a sapere che io mi sento con lui!
DANILO PROCACCIANTI Ma se lei ha un ruolo politico…con un lobbista…
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Senta lei come fa a sapere che io mi sento con lui?
DANILO PROCACCIANTI Ma non è questo il punto!
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI No, il punto è lei come fa a sapere che io mi sento con lui.
DANILO PROCACCIANTI Lei è un politico…deve dare…
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Lei mi deve dire come fa a sapere che io mi sento con lui.
DANILO PROCACCIANTI Io lo so, faccio il giornalista.
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Fa il giornalista cosa vuol dire, che lei sa cosa faccio io con le mie conversazioni private?
DANILO PROCACCIANTI A me risulta questa…
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Voi siete stati denunciati alla procura della repubblica perché vi siete appropriati di informazioni riservate quindi siete la Rai, servizio pubblico radiotelevisivo, vedremo un po’ se questa cosa continua ad andare avanti in violazione della legge, fine io non ho nient’altro da dire.
DANILO PROCACCIANTI Una domanda politica: il consulente di un’azienda che deve costruire il ponte le scriveva i discorsi?
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma io le ho detto a lei che in violazione della legge voi continuate a fare una trasmissione che viola la legge e la Costituzione, siete il servizio radiotelevisivo italiano.
DANILO PROCACCIANTI Ma se lei mi risponde sul punto.
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI No, io non rispondo sul nulla, io le sto dicendo che in violazione della legge e della Costituzione si appropria delle conversazioni personali.
DANILO PROCACCIANTI È normale che un lobbista le scriva i discorsi?
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI Ma io vengo a dire a lei chi le scrive il testo della redazione?
DANILO PROCACCIANTI Ma io non faccio il politico!
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI E quindi?
DANILO PROCACCIANTI Non ho fatto il sottosegretario!
ARMANDO SIRI – CONSULENTE MINISTERO DELLE INFRASTRUTURE E DEI TRASPORTI E quindi lei fa il giornalista del servizio pubblico radiotelevisivo, è chiaro? Ha un codice etico deve rispettare la legge, questo lo deve fare, non lo fa e continuate ad andare in onda a diffamare la gente, stia tranquillo e faccia un buon lavoro.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Report non lo ha mai diffamato, lo dicono i tribunali che hanno archiviato le sue querele perché semplicemente abbiamo rispettato il requisito della verità. Ora, Armando Siri è stato responsabile economico della Lega “Noi con Salvini” ed è stato anche sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture del primo governo Conte. Oggi è consulente di Salvini, non del ministro ma del vicepresidente del Consiglio, 120.000€ l'anno, è il consulente, quello più pagato, dovrebbe essere. Tuttavia abbiamo scoperto che ha anche un ghostwriter, l'ingegner Giovanni Mollica quello che era anche consulente di Eurolink, il consorzio che doveva costruire il ponte. Abbiamo scoperto consultando il prezioso archivio del Consorzio giornalistico investigativo OCCRP delle e-mail tra i due. In particolare, Giovanni Mollica scrive il 21 agosto a Siri: "E’ fondamentale la condivisione del principio di mascherare il convegno come tecnico e poi tirare fuori Salvini o chi per lui nel finale, nascondendo l'aspetto politico, posso coinvolgere anche sindacati, Cisl e Uil". E poi, ancora, nel luglio 2017 Mollica scrive a Siri addirittura un discorso: "Usa tutto a tuo piacimento". Nella successiva mail poi ancora specifica: "Ho riscritto tutto immedesimandomi nel ruolo che occuperai domani" Ecco in entrambi i casi c'è un mascheramento della realtà. Nel primo caso si è mascherato che dietro un progetto tecnico c'era quello politico, nel secondo caso è avvenuto il contrario: dietro un progetto politico c'era quello tecnico di un consulente del consorzio che doveva costruire il ponte. Ora, Siri ha avuto un passato turbolento, nel 2014 ha patteggiato per una condanna per bancarotta fraudolenta, nel 2019 è rimasto coinvolto in un procedimento giudiziario per corruzione: tutto ruota intorno a una tangente, data o promessa di 30.000 euro da parte del consulente dell'energia della Lega, Paolo Arata, 23 allora consulente. Bisognava modificare una legge sull'eolico e a beneficiarne sarebbe stato Nicastri, quello che è sospettato dalla magistratura di essere colui che ha coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro. Poi questo procedimento giudiziario è rimasto impantanato perché il Senato non ha autorizzato l'uso delle intercettazioni fatte dai magistrati, ora dovrà decidere la Consulta sulla legittimità di questo strumento. Poi nel 2019 Siri era rimasto coinvolto nell'inchiesta giornalistica di Report, che aveva scoperto che il senatore aveva percepito un mutuo senza garanzia ipotecaria da una banca di San Marino, 750.000 euro utilizzati per acquistare una palazzina, poi intestata ai famigliari. Insomma, oggi Siri è il direttore anche della Lega di formazione politica della Lega, la Scuola di formazione politica della lega ed è anche consulente di Salvini, l'abbiamo detto, cioè del ministro che ha dato spunto, rilancio al progetto del ponte nelle modalità che abbiamo visto. Salvini ci ha scritto che non conosceva il rapporto esistente tra Mollica e Siri. Peccato che però continui a ripetere Salvini in ogni occasione che la costruzione del ponte comporterebbe un risparmio di emissioni di anidride carbonica di 140.000 tonnellate annue: ecco, insomma, è la stessa cosa che diceva Mollica e lo stesso Mollica è sorpreso, dice "Vabbè ma io penso che il ministro abbia verificato queste informazioni, non penso che abbia preso le informazioni dette da un quilibet come sono io e poi le abbia divulgate".
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI – 25/05/2023 Non è il ponte di Messina, è il ponte degli italiani. Questo è il ponte degli italiani.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Oggi parla così Matteo Salvini, ma solo pochi anni fa la pensava in modo diametralmente opposto rispetto alla fattibilità del Ponte sullo Stretto.
MATTEO SALVINI – L’ARIA CHE TIRA – 26/09/2016 Ma ci sono parecchi ingegneri che dicono che non sta in piedi. Non faccio l'ingegnere, vorrei avere quelle rassicurazioni e ricordo, come mi hanno detto tanti siciliani fra ieri sera e stamattina che oggi il 90% delle ferrovie in Sicilia è a binario unico e la metà dei treni viaggia a gasolio; quindi, non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare, quando poi sia in Sicilia che in Calabria.
MYRTA MERLINO Quindi ponte no?
MATTEO SALVINI – L’ARIA CHE TIRA – 26/09/2016 I treni non ci sono, vanno a binario unico.
DANILO PROCACCIANTI Ministro ci dice come mai ha cambiato idea rispetto al ponte? Solo perché ha cambiato idea?
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI – VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO Amico mio sei maleducato dai.
DANILO PROCACCIANTI Perché, ho fatto una domanda.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI – VICEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO No, sei dove non sono i tuoi colleghi, per educazione vai dove sono i tuoi colleghi.
DANILO PROCACCIANTI Ma io faccio domande!
UOMO DELLA SICUREZZA Fuori, fuori!
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Peccato che il ministro non voglia parlare con noi perché avremmo voluto dirgli che il Salvini del 2016 aveva ragione, le ferrovie siciliane sono un disastro. Ve lo avevamo raccontato appena due anni fa e purtroppo non è cambiato nulla e questa estate se ne sono accorti tutti: a causa dell’incendio e della chiusura dell’aeroporto di Catania molti voli sono stati dirottati a Trapani e i turisti si erano illusi di poterci andare in treno. Ma per andare da Catania a Trapani, due capoluoghi di provincia distanti 300 chilometri, si impiegano 10 ore, alcuni tratti si fanno in bus sostitutivi, poi lunghe soste in stazioni nel nulla e arrivati a Palermo invece di andare dritti fino a Trapani si fa un giro assurdo perché sulla linea diretta ci sono delle frane dal 2013, da ben dieci anni. Da Trapani a Ragusa, altri due capoluoghi sempre distanti 300 chilometri, è ancora peggio, servono 13 ore con treni improponibili che vanno ancora a gasolio. Infine, da Ragusa a Catania per fare appena 100 chilometri si impiegano 4 ore e un lungo tratto si fa a bordo di un furgoncino perché sulla tratta ferroviaria 12 anni fa è crollato un ponte, due anni fa ci avevano detto che i lavori stavano per partire. E invece?
GIOSUÈ MALAPONTI – COMITATO PENDOLARI SICILIANI Pare che i lavori dovevano ripartire a settembre dell'anno scorso. Sono stati fermi per ulteriore anno, quindi siamo a settembre 2023, ma ancora di lavori non se ne parla.
DANILO PROCACCIANTI Quindi si continua col furgoncino.
GIOSUÈ MALAPONTI – COMITATO PENDOLARI SICILIANI Si continua con il bus 19 posti o il classico bus che collega Caltagirone Niscemi con Gela.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati, allora si pensava che con la liquidazione della società Stretto di Messina nel 2013 il progetto del ponte fosse seppellito. E invece l’ha resuscitato il ministro Salvini che ha ereditato da Berlusconi la narrazione, i vecchi progetti, le società. Insomma, però c’è un’anomalia: il ministro Salvini è in contraddizione con quanto diceva il parlamentare Salvini nel 2016, quando era contrario alla costruzione del ponte, e diceva “Bisogna prima pensare a come viaggiano i treni in Sicilia, ce ne sono alcuni che viaggiano ancora con il gasolio. Ecco, l’hanno risolto il problema in Sicilia?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Le ferrovie siciliane sono un vero disastro, tanto che l’allora presidente della regione e oggi ministro nel governo Meloni, Nello Musumeci, aveva parlato di ferrovie da terzo mondo.
NELLO MUSUMECI – PRESIDENTE REGIONE SICILIANA 2017 - 2022 25 Sì, da terzo mondo, ed è quello che ho detto al ministro dei Trasporti. Il guaio è che prima di dirlo a Giovannini, l'ho detto alla De Micheli, che l'ha preceduto, e prima di dirlo alla De Micheli l'ho detto a Toninelli.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Chissà se lo ha detto anche a Matteo Salvini. Se le cose rimangono così il ponte rischia di essere una cattedrale nel deserto anche perché, al netto dei lavori previsti nei prossimi anni, la maggior parte della linea ferroviaria siciliana rimarrà a binario unico e non elettrificato.
GIOSUÈ MALAPONTI – COMITATO PENDOLARI SICILIANI E questa è l'altra stranezza perché piglia la Siracusa Ragusa Gela Caltanissetta viene fatta tutta in diesel.
DANILO PROCACCIANTI Diesel?
GIOSUÈ MALAPONTI – COMITATO PENDOLARI SICILIANI Diesel.
DANILO PROCACCIANTI Gasolio?
GIOSUÈ MALAPONTI – COMITATO PENDOLARI SICILIANI Gasolio.
DANILO PROCACCIANTI Fumo…
GIOSUÈ MALAPONTI – COMITATO PENDOLARI SICILIANI Eh, avoja!
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Abbiamo un gap infrastrutturale incredibile lo sappiamo.
DANILO PROCACCIANTI C'è quel tratto di Sicilia dove per un ponte… dieci anni … poi capisce perché io poi non vi credo. Quando dite facciamo il ponte sullo Stretto che è l'opera più importante al mondo, forse cioè con quale credibilità.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Ma lei ma lei può pensarlo ma io sono obbligato dalla parte che rappresento, ma non per difesa d'ufficio, a dirle rivediamoci tra un anno.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Sulle strade non va meglio, sulla Palermo Catania abbiamo contato più di trenta cantieri aperti con continue deviazioni e tratti infiniti a corsia unica, per fare 200 chilometri il tempo di percorrenza non scende sotto le 2 ore e 45 minuti, ad una velocità di circa 75 chilometri orari, una media da strada statale, per l’unica autostrada che taglia in due la regione e che perlomeno non è a pagamento. Si paga invece la Palermo Messina ma la 26 sostanza non cambia, chiusure continue di corsie di marcia e restringimenti di carreggiata con cantieri ovunque, ma operai pochi. E il disastro delle autostrade siciliane significa perdita economica per le imprese.
ANDREA MILAZZO – SEGRETARIO CNA CATANIA Un extra costo determinato dai percorsi alternativi, dai rallentamenti, dalle restrizioni e quindi, chiaramente, dal non poter raggiungere i limiti di velocità previsti, stimabile in circa 20 milioni di euro al mese.
DANILO PROCACCIANTI Che è un'enormità.
ANDREA MILAZZO – SEGRETARIO CNA CATANIA Che è un'enormità. Chiaramente tutto il sistema infrastrutturale pesa sul tessuto produttivo siciliano per circa il 30% di costi aggiuntivi a prescindere proprio dall'attività.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Già siamo al lavoro in continuo contatto con l'Anas per prevedere un piano di chiusura di cantieri al 2026.
DANILO PROCACCIANTI Come dire l'Anas ne ha avuto di tempo.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Sì noi ci siamo non ci siamo da dieci mesi.
DANILO PROCACCIANTI Lei lo sa chi era il capo dell'Anas dal 2006 al 201? Pietro Ciucci.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Sì.
DANILO PROCACCIANTI E adesso sta ci dobbiamo fidare di lui per fare il Ponte sullo Stretto quando ci ha tenuto queste strade così?
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Ci dobbiamo fidare di lui? Assolutamente sì.
DANILO PROCACCIANTI FUOPRI CAMPO Non parliamo poi di strade statali e provinciali e di entroterra siciliano perché la situazione fa rabbrividire, la Palermo Agrigento è un cantiere perenne da decenni con un limite a 30 chilometri orari, le strade della provincia di Enna invece sono in questo stato, sembrano strade di campagna e poi a proposito di ponti eccone uno che dovrebbe collegare due paesi di quella provincia per permettere agli abitanti di raggiungere l’autostrada.
FABIO VENEZIA – DEPUTATO PD REGIONE SICILIA 27 I lavori iniziarono nel 2005 e oggi non si intravvede la possibilità di poter completare questa strada importantissima che collega l'entroterra ennese.
DANILO PROCACCIANTI Quindi altro che ponti sul mare.
FABIO VENEZIA – DEPUTATO PD REGIONE SICILIA Qui il problema non è arrivare al ponte di Messina, il nostro problema è avere questo ponte per arrivare nell'autostrada.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 24/05/2023 Ragusa Catania agli atti un miliardo e mezzo opera attesa del territorio che riveste una particolare valenza trasportistica adeguamento a quattro corsie della strada statale 640 Strada degli Scrittori Agrigento Caltanissetta un miliardo di euro. Raddoppio della carreggiata sulla statale 284 tra Paternò ed Adrano, 500 milioni di euro in corso di aggiudicazione la tangenziale di Gela. 400 milioni di euro. Se interessa vado avanti perché qualcuno dice se fate il ponte non fate il resto, noi stiamo facendo tutto, poi se interessa vado avanti, eh, Quindi?
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Quello che non dice il ministro Salvini è che tutte queste opere erano già state pianificate e in gran parte finanziate dai precedenti governi lo dicono i documenti ufficiali della camera, per esempio la tangenziale di gela è del 2017, di Ragusa Catania se ne parla addirittura dal 1998 e i finanziamenti erano stati trovati pochi anni fa
NELLO DI PASQUALE – DEPUTATO PARTITO DEMOCRATICO REGIONE SICILIA Queste sono risorse che sono state allocate già dal 2014 2016 durante il governo Renzi con il Patto del Sud, circa 815 milioni di euro. Poi, durante il governo Conte bis Ci fu un finanziamento di 750 milioni di euro da questo Governo tranne gli adeguamenti prezzi o qualche piccolo finanziamento non abbiamo visto granché.
DANILO PROCACCIANTI Lei diciamo ha all'onestà intellettuale di ammettere che erano in gran parte tutte finanziate.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Erano, una parte erano già previste
DANILO PROCACCIANTI Una grande parte
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Poi da mesi il ministro Salvini va ripetendo che il ponte sullo stretto adesso serve perché anche in Sicilia ci sarà l’alta velocità ferroviaria.
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 25/07/2023 – VICEPRESIDENTE CONSIGLIO Ci sarà anche l’opzione treno Palermo o Catania direzione Roma.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO 28 Purtroppo, è una clamorosa fake news e lo possiamo dire senza tema di smentita perché lo ha riconosciuto anche l’assessore regionale di fratelli d’Italia non a noi ma in audizione alla Camera dei deputati.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI REGIONE SICILIA 18/04/2023 Presidente noi sappiamo lo sforzo del governo ma la nostra in Sicilia non sarà alta velocità.
DANILO PROCACCIANTI Ha avuto l'onestà intellettuale di dire questa non è alta velocità ma gliel'ha detto Salvini perché lui continua a dire da Palermo a Milano ci sarà l'alta velocità e il ponte serve anche questo.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Ma il ministro Salvini ritiene di che ci sarà giustamente l'alta velocità in Sicilia in considerazione ad una velocità chilometrica che supererà i 200 chilometri orari.
DANILO PROCACCIANTI Che non c'è adesso.
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI No nel progetto c’è.
DANILO PROCACCIANTI L’alta velocità è 250. No nel progetto non c’è
ALESSANDRO ARICÒ - ASSESSORE REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE E TRASPORTI Nel progetto è prevista una velocità di oltre 200 kilometro orari, non 250
DANILO PROCACCIANTI l'alta velocità, gli esperti ci dicono da 250 in su
FRANCESCO RUSSO - ORDINARIO DI TRASPORTI UNIVERSITÀ MEDITERRANEA REGGIO CALABRIA Il tempo che viene dato a lavori ultimati su tutta la Palermo Catania è 2 ore, quindi, è banale se noi impieghiamo 2 ore per percorrere 200 chilometri vuol dire che stiamo viaggiando a 100 chilometri all'ora. L'alta velocità si definisce a 300 chilometri all'ora quindi evidentemente stiamo facendo un’onesta linea convenzionale
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Oltre a non essere ad alta velocità la nuova linea ferroviaria tra Messina Catania e Palermo non sarà nemmeno a doppio binario
DANILO PROCACCIANTI Ministro come fa a dire che il ponte collegherà l’alta velocità tra Palermo e Milano non è vero MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI 29 Buon lavoro ragazzi
DANILO PROCACCIANTI Però non è vero, è una bufala, in Sicilia non ci sarà un’alta velocità
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Buon lavoro
DANILO PROCACCIANTI Mi risponda, è una domanda Ministro perché non risponde mai
MATTEO SALVINI – MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Le domande si fanno se le cose si sanno D
ANILO PROCACCIANTI Appunto, l’alta velocità non ci sarà mai in Sicilia, continua a ripetere questa fake news…da Palermo a Catania in due ore.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’altra brutta notizia per il ministro Salvini è che anche sul fronte calabrese i conti non tornano, perché si è deciso di fare una nuova linea di alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria ma invece di ammodernare il vecchio tracciato sulla costa si è deciso di andare verso l’interno in un zig zag quantomeno strano
FRANCESCO RUSSO - ORDINARIO DI TRASPORTI UNIVERSITÀ MEDITERRANEA REGGIO CALABRIA In tutto il mondo, quando si passa dalla linea convenzionale alla linea alta velocità normalmente si riduce del 7 otto 10%. E questo è incredibile perché la linea ferroviaria attuale è di circa 390 chilometri. Invece dalla proposta presentata da RFI la linea finale sarà di 450 chilometri unico caso unico caso in tutta Europa penso dove la linea alta velocità rispetto alla convenzionale invece di ridurre il percorso quindi il chilometraggio lo aumenta.
DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Tra l’altro non esiste ancora un progetto di tutto il tratto ed è stato appaltato solo il promo lotto con fondi PNRR peccato che questo primo tratto finisca letteralmente nel nulla
FRANCO MALDONATO – AUTORE DE “L’IMBROGLIO, STORIA DELL’ALTA VELOCITA’ AL SUD Nel nulla.
DANILO PROCACCIANTI E quindi diciamo questo primo lotto da Battipaglia a Romagnano è quello che sta dentro il PNR.
FRANCO MALDONATO – AUTORE DE “L’IMBROGLIO, STORIA DELL’ALTA VELOCITA’ AL SUD esattamente. È solo questo.
DANILO PROCACCIANTI 30 Perché noi in Europa porteremo quest'opera finita che finirà appunto nel nulla e nemmeno in una stazione compiuta.
FRANCO MALDONATO – AUTORE DE “L’IMBROGLIO, STORIA DELL’ALTA VELOCITA’ AL SUD Assolutamente sì.
DANILO PROCACIANTI FUORI CAMPO Ma la cosa incredibile è che la famosa alta velocità Salerno Reggio Calabria anche questa sbandierata dal ministro Salvini su questo tracciato rischia di non vedere mai la luce come ha ammesso candidamente il sottosegretario ai trasporti Tullio Ferrante in commissione scrivendo che il progetto ha evidenziato significative criticità e va individuato un nuovo tracciato.
FRANCO MALDONATO – AUTORE DE “L’IMBROGLIO, STORIA DELL’ALTA VELOCITA’ AL SUD Hanno detto a chiare lettere che rinunciano alla realizzazione dei 58 chilometri perché impattano su una roccia di natura calcarea che non è possibile forare.
DANILO PROCACCIANTI E quindi molto probabilmente si tornerà al tracciato storico
FRANCO MALDONATO – AUTORE DE “L’IMBROGLIO, STORIA DELL’ALTA VELOCITA’ AL SUD è inevitabile.
DANILO PROCACCIANTI E questo tratto di ferrovia ad alta velocità che stiamo costruendo sarà inutile.
FRANCO MALDONATO – AUTORE DE “L’IMBROGLIO, STORIA DELL’ALTA VELOCITA’ AL SUD Un troncone monco destinato a rimanere nel deserto
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Tuttavia il ministro Salvini continua a ripetere come un mantra che ci sarà l'alta, che il ponte collegherà l'alta velocità tra Milano e Palermo. Ecco non è così. Non ci sarà mai un’alta velocità. Questo perché, insomma, in Sicilia stanno spendendo 10 miliardi di euro per rinnovare la linea ferroviaria. Però, come ammette l'assessore ai trasporti di Fratelli d'Italia della Regione Siciliana e anche RFI, insomma, non sarà alta velocità. RFI addirittura lo scrive dentro un progetto: la Catania Palermo, 200 chilometri di rete, per percorrerla ci vorranno 2 ore, significa 100 chilometri all'ora. L'alta velocità, insomma, viaggia a 250 chilometri orari. E, particolare non trascurabile, non siamo riusciti a sapere quanto effettivamente il governo pensa di spendere per il ponte. Non c'è un documento ufficiale, anzi ce ne sono 2 e 1 è il Def, il Documento di economia e finanza, che è stato varato dal governo ad aprile, dove si parla di 14,6 miliardi di euro di stanziamento. Poi c'è la legge di bilancio e qui il governo le ha varata qualche giorno fa. Parla di 11,6 miliardi di euro. Ma in base a cosa, se non c'è un progetto definitivo, esecutivo? E poi, soprattutto, come si conciliano queste cifre con quello che aveva detto il presidente dell'Anac, dell'ente anticorruzione? Perché insomma, in base alle normative, se si vuole evitare un contenzioso europeo, il progetto non potrà variare di molto rispetto a quello che è stato aggiudicato in gara, ricordiamo, del 31 valore di 4 miliardi di euro, né si potranno apportare varianti superiori al 50% del costo iniziale. Ecco, considerato tutto questo, come ne usciremo se vorremo evitare dei contenziosi anche a livello europeo?
Le risposte punto per punto alle critiche sull'inchiesta di Report "L'uomo del ponte". Report Rai il 29 novembre 2023
Dopo la nostra inchiesta relativa al Ponte sullo Stretto in un profilo Facebook chiamato “Ponte sullo Stretto di Messina” è comparso un post dal titolo “La disinformazione di Report”.
Il post a detta di chi l'ha scritto smaschererebbe
tutte le inesattezze della nostra inchiesta. Ebbene Report non ha nulla da
temere da un confronto sui contenuti e ha risposto punto per punto alle
critiche. Ma avendo il vizio innato di indagare abbiamo scoperto che questo
profilo che si presenta come pagina indipendente di divulgazione, indipendente
non lo è. Il post contro Report è stato inviato a moltissime redazioni
giornalistiche e testate online, come ci ha segnalato MessinaToday. Le
comunicazioni sono firmate da Francesca Bronzi che, come potete vedere dagli
allegati, risulta essere senior account della società Sec Newgate, gruppo
globale di comunicazione strategica e advocacy.
In merito a quanto da voi riportato, intendiamo precisare che SEC Newgate SpA ha
immediatamente avviato una verifica per chiarire l’accaduto con SEC & Partners,
società del Gruppo SEC Newgate, basata a Roma, che svolge attività di supporto
media per il Gruppo Webuild. Dalle prime verifiche effettuate risulta che SEC &
Partners si è limitata a segnalare un articolo, reperito nel web, che fornisce
informazioni sull’opera, ma che non ha, né ha mai avuto, alcun rapporto con la
pagina Facebook “Ponte sullo Stretto di Messina”, come gli stessi amministratori
della pagina hanno peraltro già dichiarato con un post successivo.
Report risponde punto per punto alle critiche:
Secondo Report, la Stretto di Messina "non ha fatto nulla". Si tratta di una menzogna che non tiene minimamente conto del fatto che la SdM, coinvolgendo i più grandi esperti mondiali in ponti sospesi di grande luce (tra cui lo stesso Brown, il più importante ingegnere di ponti sospesi mai esistito) ha permesso di arrivare al progetto definitivo dell'opera. Sono stati necessari vent'anni di lavoro e lo sviluppo di nuove tecnologie che oggi rappresentano il gold standard a livello mondiale e che vengono sfruttate dalle altre nazioni per le proprie opere. Per tutti i più grandi e complessi ponti sospesi al mondo, la fase più lunga è sempre stata quella di progettazione. Oggi tutti i nuovi ponti vengono costruiti sulla base del progetto del ponte di Messina, sfruttando le medesime tecnologie a cui l’ingegneria mondiale è arrivata proprio durante la progettazione del collegamento stabile tra Sicilia e continente. Quanto alla cifra di poco più di 300 milioni di euro, è più che normale per un progetto da oltre 10 miliardi di euro sviluppato in vent’anni di lavoro dai più importanti tecnici del pianeta con soluzioni innovative mai viste prima. Per questo genere di scenari a volte si tocca il 10% del costo dell’opera, quindi addirittura parliamo di una cifra che sarebbe stata normale anche se di 1 miliardo.
Non lo diciamo noi ma la Corte dei Conti che così si esprime rispetto alla società Stretto di Messina Spa nella Deliberazione 29 ottobre 2018, n. 23/2018/G. “La rapida chiusura della società si impone come necessaria […] per porre fine ai gravosi oneri finanziari per il mantenimento della struttura, considerata l’assenza di attività […]” Non abbiamo in nessun modo nascosto che sono stati fatti dei progetti e ne diamo conto in diverse parti dell’inchiesta.
Secondo Report, la variante di Cannitello è un inutile ecomostro. No. È una normalissima opera voluta da RFI per spostare la ferrovia dove sorgerà la Torre del ponte lato Calabria. A causa del sabotaggio del progetto da parte del governo Monti, l'iter non è poi andato avanti. Nel progetto è perfettamente integrata con il paesaggio, come tutte le altre e numerosissime opere accessorie previste per rivoluzionare le due province, che assorbono il 60% del finanziamento complessivo. Inutile dire che l’opera sarà completata ora che l’iter è ripartito.
Non abbiamo mai affermato che la variante di Cannitello fosse inutile, ma testualmente abbiamo detto “Per far spazio a un futuro pilone del ponte avevano spostato la ferrovia creando un ecomostro”. Anche qui rispondiamo con prove documentali. Il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, nel 2006, con la delibera nr. 83 per la prima volta approvava la Variante Ferroviaria di Cannitello quale opera propedeutica alla realizzazione del Ponte sullo Stretto. Nell’ambito di tale deliberazione, il CIPE prendeva atto delle osservazioni vincolanti del Ministero dei Trasporti e delle infrastrutture che consistevano nel: … completo ricoprimento della galleria artificiale in maniera da ottenere un completo mascheramento, estendendo ad un ambito più vasto di alcuni chilometri, ove possibile, la riconformazione e ricontestualizzazione morfologica. Vale a dire il lungomare e il mascheramento della variante. Il mascheramento non è mai stato fatto e la riqualificazione del lungomare come da noi correttamente affermato non è stata ultimata. Non c’entra nulla l’iter bloccato dal Governo Monti perché nel luglio del 2014, (quando già la Stretto di Messina spa era in liquidazione) il CIPE trasferisce 7 mln di euro a RFI, incaricata di ultimare il lavoro lasciato da Eurolink. Solo nel 2021 sono cominciati i lavori che ad oggi non risultano conclusi.
Secondo Report, il ponte di Messina è la più imponente opera infrastrutturale al mondo. Ovviamente non è cosi. Un ponte sospeso di terza generazione di 3,3 km con torri in superficie non è quasi niente rispetto ad altri mega progetti nettamente più grandi e complessi in realizzazione in altre zone del pianeta. Anche restando nell'ambito specifico, alcuni vecchi ponti sospesi di grande luce (es. Golden Gate) hanno rappresentato - con le tecnologie obsolete dell'epoca - una sfida decisamente più complicata e rischiosa.
Ci siamo limitati a riportare le parole del ministro alle infrastrutture Matteo Salvini che in diverse occasioni pubbliche riscontrabili su fonti aperte ha parlato testualmente di “La più grande opera pubblica in lavorazione al mondo”; “È un'impresa che non ha eguali al mondo”
Secondo Report, la mafia è un problema per l’opera. Questa affermazione è pericolosissima. Non creare le opere per paura della criminalità organizzata è il metodo migliore per portare allo scatafascio il territorio e annientare il futuro della popolazione. In ogni caso, non capiamo la sensibilità in merito per quest'opera nello specifico. Le altre opere sono infinitamente più "a rischio" da questo punto di vista. Per il ponte di Messina, parliamo di un progetto internazionale identificato come strategico dall'Unione Europea che sarà realizzato con riflettori perennemente puntati da qualsiasi direzione e controlli speciali. Se c’è un progetto dove è rischioso e difficile infiltrarsi è proprio questo.
Non abbiamo mai affermato che l’opera non si deve fare perché c’è la mafia. Anche in questo caso ci siamo limitati a riportare i fatti sottolineando i vari allarmi lanciati da autorevoli fonti rispetto al possibile rischio di infiltrazione mafiosa.
Secondo Report, il progetto è vecchio e non vale niente. Questa è una menzogna a dir poco diffamatoria. Il progetto rappresenta ancora oggi il gold standard mondiale in materia di ponti sospesi di grande luce con impalcato di terza generazione, la più recente. Negli ultimi dieci anni non ci sono state innovazioni che hanno reso il progetto obsoleto, come ben sa qualsiasi ingegnere strutturista specializzato in questo tipo di strutture. Non esistono tecnologie e soluzioni, al momento, che possano permettere la realizzazione di un progetto differente che sia migliore di quello di cui disponiamo. In altre parole, anche se stracciassimo tutto e ripartissimo da zero, tra 10-20 anni arriveremmo ad un progetto simile a quello che c’è.
Anche in questo caso non lo diciamo noi ma il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che prima di dirlo a noi lo aveva detto anche al Parlamento: “quel progetto che ormai vale poco” […] sono passati dieci anni e nel frattempo la tecnologia si è evoluta e noi siamo inchiodati a questo vecchio progetto”.
Secondo Report, un ponte sospeso di grande luce di terza generazione di 3300 metri non è adeguato per ospitare il transito ferroviario. Come abbiamo spiegato più volte, non è vero. Anzi, come ben sa qualsiasi ingegnere strutturista specializzato, al crescere delle dimensioni del manufatto la percorribilità migliora, perché il peso stabilizzante dei cavi di sospensione sale non linearmente. I mezzi circolanti deformano di meno una struttura più grande e pesante, in parole povere. Rispetto ad un ponte sospeso di luce 1650, le pendenze si riducono del 70%. Non è un caso che quando L non è sufficiente si debba ricorrere allo schema ibrido con stralli. Così come non è un caso che ormai non si realizzino ponti sospesi sotto 750-1000 m di luce. I ponti sospesi iniziano ad avere prestazioni di tutto rispetto proprio dopo 1 km di luce, pur restando ovviamente nel limite massimo di 5 km di luce, quella critica con le attuali tecnologie, materiali e schemi statici.
Non lo diciamo noi ma l’Ing. Mario De Miranda che ha progettato o partecipato alla progettazione di Ponti sospesi in tutto il mondo, cosa che non ci risulta abbiate fatto voi. Lo ha affermato anche l’ing. Codacci Pisanelli che ci risulta abbia partecipato a una fase della progettazione del Ponte. La pista stradale laterale può essere piena di traffico nel lato sud con poco traffico o nullo nel lato nord, per cui nel lato sud carica i cavi, si abbassa e provoca una sorta di torsione di rotazione trasversale dell’impalcato. Anche il vento quando spinge l'impalcato gli provoca una rotazione. In questo caso ci troviamo di fronte a rotazioni torsionali dell'ordine del 4% che su una larghezza di 60 metri vuol dire che tra un punto estremo a destra e un punto estremo a sinistra c'è un dislivello di due metri e 40. Cioè se un pedone si mette ad un'estremità e guarda l'altra estremità se la trova più alta, ossia è visibile. Abbiamo spostamenti dell'ordine dei dieci metri, il treno si tuffa in un avvallamento di una decina di metri.
Secondo Report, la progettazione non ha tenuto conto del vento e di eventi estremi. Menzogna clamorosa. Proprio il vento è stato uno dei più grandi focus in fase di progettazione. L'impalcato del ponte di Messina è stato progettato per essere stabile anche in caso di eventi estremi inverosimili per non dire impossibili, come tempeste da primato che soffiano a 300 km/h. Nello Stretto di Messina, non si è mai raggiunta nemmeno la metà di questa velocità. Il segreto sta nell’aver suddiviso l’impalcato in cassoni distinti con profilo aerodinamico che annullano i vortici. Il vento attraversa il Messina Type Deck e addirittura lo stabilizza. Basti pensare che rispetto all’Akashi le prestazioni sono superiori del doppio nonostante la luce di 3300 al posto di 1991. I giapponesi ci fecero i complimenti per il progetto, prima di vincere la gara internazionale per la progettazione esecutiva e costruzione dell’opera con la loro multinazionale IHI, che fa parte del consorzio.
Una nostra fonte che ha partecipato a riunioni interne ha affermato che “Quel ponte ha un problema di aerodinamica per il vento. I calcoli sono stati fatti sempre sui venti che si chiamano sinottici cioè venti prevedibili sulla base delle registrazioni storiche. Adesso con i cambiamenti climatici quei dati non sono più significativi”. Queste affermazioni possono essere confutate solo prendendo visione del progetto definitivo aggiornato che ad oggi non esiste.
Secondo Report, i terremoti sono un problema per i ponti sospesi di grande luce. Come ben sa qualsiasi ingegnere strutturista specializzato, i ponti sospesi di grande luce sono le strutture umane più sicure in caso di sisma. Anche devastante. Sono quelle che assorbono meno input sismico e che reagiscono in modo più disconnesso durante un terremoto. Nel caso del ponte di Messina, posto un terremoto come 1 Hz, la struttura reagisce a non oltre 0,003 Hz. In più, ha un periodo fondamentale di oscillazione di oltre 30 secondi. Le fondazioni delle torri sono realizzate con jet grouting per la massima stabilità. Altrove esistono mega strutture più pesanti su terreni meno stabili, a dirla tutta. In altre parole, parlare di terremoti nell’ambito dei ponti sospesi di grande luce è già di per sé un argomento quasi completamente privo di senso.
Non abbiamo mai detto che i terremoti sono un problema per i ponti sospesi di grande luce, si tratta di un’affermazione totalmente inventata da voi. Ci siamo limitati a dire che la faglia del terremoto del 1908 è stata scoperta nel 2021, vale a dire 10 anni dopo che era stato fatto il progetto Ponte del 2011 e abbiamo affermato che il progetto definitivo dovrebbe comprendere questa nuova informazione. Se questa informazione fosse contenuta nel progetto aggiornato lo potremmo sapere ancora una volta solo quando ci sarà (o sarà reso pubblico) il nuovo progetto definitivo. A tale proposito riportiamo le dichiarazioni ufficiali di Alina Polonia ricercatrice di ISMAR - Istituto di Scienze Marine (CNR): “Riguardo alla riproposizione di realizzare una infrastruttura fissa di collegamento tra Sicilia e Calabria, il “Ponte sullo Stretto”, […] il problema principale sul quale dobbiamo concentrarci è che alla luce di molti anni di discussioni politiche, investimenti (sempre molto bassi per la ricerca scientifica) non abbiamo ancora un quadro preciso degli scenari di rischio geologico ai quali una simile infrastruttura potrà essere sottoposta.
Secondo Report, il progetto non tiene conto della faglia del terremoto del 1908. Falso. La progettazione ha tenuto conto di tutte le faglie (144) presenti nell’area. Se conosciamo bene lo Stretto è proprio grazie al Ponte. Se non avessimo dovuto progettare l’opera, non avremmo condotto studi di questa portata sul territorio, coinvolgendo i più autorevoli esperti mondiali e compiendo operazioni rischiose di esplorazione dei fondali. Le faglie presenti sono ininfluenti per il manufatto per sua natura strutturale. Non è un caso che esistano vecchi ponti sospesi meno performanti in aree del pianeta nettamente più pericolose dal punto di vista sismico su faglie infinitamente più formidabili. Peraltro, la faglia del terremoto del 1908 è molto più a sud della zona dove sorgerà il ponte, come ben si nota dalla mappa inquadrata dai giornalisti della trasmissione. Sarebbe il caso di dare un’occhiata a ciò che si trova davanti alla telecamera.
Come sopra
Secondo Report, non c’è modo di completare la progettazione esecutiva entro luglio 2024. Non è vero. La progettazione dell’opera è già in stato avanzatissimo, come confermato dalla società statunitense Parsons, una delle realtà più importanti al mondo in ambito. Basta poco per arrivare alla fine dell’iter, disponendo già ora di un progetto così dettagliato (oltre 8500 elaborati tecnici firmati dai massimi esperti mondiali). In genere, per le altre opere la progettazione definitiva non arriva dello stato di completezza del progetto definitivo del ponte di Messina. Persino la variante di massima era già sostanzialmente definitiva, anche se all’epoca non esisteva ancora burocraticamente questa distinzione e quindi non aveva questo nome.
Che la progettazione dell’opera sia in fase avanzatissima non possiamo saperlo perché ancora una volta il progetto definitivo e i suoi aggiornamenti non sono pubblici e non ci sono stati consegnati. I tecnici da noi interpellati giudicano “impossibile” la fattibilità di un progetto esecutivo in pochi mesi.
Secondo Report, si tratta dell’opera pubblica più costosa nella storia d’Italia. Menzogna. Persino in questo momento sono in costruzione opere più costose, come l’alta velocità SA-RC da 13 miliardi di euro. Il ponte in sé costa 5 miliardi di euro, 12 in totale con le numerose opere accessorie per rivoluzionare i territori interessati. Queste includono decine di chilometri di nuove strade e ferrovie, sistemazione idrogeologica del territorio, riqualificazione delle province, ripascimento di oltre 10 km di costa, centro direzionale di Libeskind e molto altro.
Non essendoci un progetto esecutivo non possiamo conoscere il costo definitivo dell’opera.
Secondo Report, l’analisi costi-benefici dell’opera è negativa. Falso. Numerose ACB autorevoli danno esito pienamente positivo, come quella recente di Open Economics o di Università Bocconi. L’unica citata dal programma è quella del gruppo Ponti, contrario a tutte le grandi opere. Questo gruppo era persino contrario all’alta velocità ferroviaria Milano-Napoli. Ed è ovviamente contrario anche all’alta velocità Salerno-Reggio Calabria. Per arrivare a esito negativo, l’analisi considerata è ricca di forzature, omissioni e cherry picking. Si tratta dello stesso gruppo che era stato scelto dal M5S per dare esito negativo alla convenienza economica dell’alta velocità ferroviaria Italia Francia. Anche in quel caso gli esperti hanno giustamente criticato in modo duro l’analisi, che per arrivare a esito negativo fa delle piroette incredibili.
L’analisi di Open Economics non è un’analisi costi benefici e sfidiamo la stessa società a dire il contrario. Quella della Bocconi, invece, è del 2012 e aveva completamente sbagliato le previsioni di traffico che non solo non sono aumentate ma sono addirittura diminuite come è facilmente riscontrabile su fonti aperte. Rispetto all’analisi costi benefici da noi riportata ed effettuata dall’associazione “Bridge Research” vi prendete le responsabilità delle vostre affermazioni che sono al limite della diffamazione
Secondo Report, i traghetti potrebbero forse inquinare meno di un collegamento stabile. Come sa qualsiasi esperto in ambito, un collegamento stabile è sempre meno inquinante di un collegamento non stabile (in questo caso marittimo, il più inquinante che ci sia sulle brevi distanze). La cosa è aggravata dal fatto che i traghetti costringono i veicoli a incolonnarsi nei centri urbani, dove le emissioni di particolato cancerogeno toccano livelli allarmanti. E, ovviamente, dall’impossibilità tecnica di istituire un servizio ferroviario a basso impatto ambientale (i normali treni non sono traghettabili, com’è ovvio che sia).
In quale parte dell’inchiesta avremmo affermato che “i traghetti potrebbero forse inquinare meno di un collegamento stabile”? Ancora una volta si tratta di un’affermazione totalmente inventata da voi. Noi ci siamo limitati a rendere pubblica la fonte secondo la quale il ministro salvini ha più volte affermato che con il ponte ci sarebbe un risparmio di emissioni di CO2 quantificabili in 140 mila tonnellate annue. Si tratta di uno studio che “non ha pretese scientifiche” come affermato dallo stesso autore, l’ing. Mollica che abbiamo scoperto essere stato consulente e lobbista di Eurolink, il consorzio che dovrebbe costruire l’opera.
Secondo Report, non ci sono altri investimenti nel Sud oltre al Ponte. Falso. Abbiamo più volte spiegato che a sud di Napoli sono in realizzazione o già finanziate/in gara nuove opere stradali e ferroviarie per decine di miliardi di euro. Trovate tutti i dettagli sui siti di RFI e Anas. In Sicilia nello specifico, è in realizzazione (tra le altre opere) la nuova ferrovia Messina Catania Palermo da 11 miliardi di euro. Grazie al ponte, l’opera potrà essere attraversata dai treni che già circolano sulla penisola. Oggi, Frecciarossa impiega 5 ore per spostarsi tra Roma e Reggio Calabria. Nei prossimi anni questa tempistica scenderà a sole 4 ore. Meno per l’ingresso al ponte ottimizzando le fermate (poco più di 3 ore e mezza). Con il ponte, Frecciarossa non sarà costretto a tornare indietro una volta arrivato in Calabria, come succede oggi. Potrà proseguire ed essere in Sicilia in pochi minuti, collegando (ad esempio) Roma e Catania in 4 ore (se diretto).
Altra affermazione falsa. Ci siamo limitati a dire che gli investimenti sbandierati dal ministro Salvini erano stati previsti dai precedenti governi e si tratta di opere di cui si parla da decenni.
Secondo Report, la linea Messina Catania Palermo non sarà a doppio binario e non permetterà ai treni di muoversi velocemente. Falso. Avrà velocità media simile alla linea ad alta velocità Roma Firenze con picchi di 250 km/h (standard AV) e sarà a doppio binario. Il tracciato è in costruzione e, come sapete, vi teniamo sempre aggiornati a riguardo. E siamo certi che grazie al ponte, quindi all’apertura del sistema ai vettori continentali, sarà possibile aumentare in modo netto gli investimenti futuri sull’isola, creando ad esempio una linea ad alta velocità diretta per Palermo senza passare da Catania, utile per i treni che vengono da Napoli, Roma, Firenze, Milano ecc.
Non Report ma l’assessore alle Infrastrutture della regione Sicilia ha affermato in commissione trasporti in parlamento che “In Sicilia non si sta costruendo l’Alta Velocità”. Basta poi guardare il progetto per rendersi conto che gran parte della nuova linea sarà a unico binario, a meno che non consideriate doppio binario il binario storico e obsoleto.
Secondo Report, il primo lotto dell’alta velocità Salerno Reggio Calabria finisce nel nulla. Non è vero. Il lotto arriva a Praia e velocizza in modo netto il transito da Roma a Reggio Calabria, coinvolgendo anche nuovi territori più a est. Addirittura, basta questo lotto per ridurre la percorrenza da 5 ore a 4. Se invece ci si riferisce al solo lotto 1a (una porzione dell’1) è fondamentale per Potenza.
L’unico lotto interamente finanziato con fondi PNRR è il lotto 1a, essendo gli altri lotti finanziati con fondi complementari nazionali. Il lotto 1a finisce letteralmente nel nulla lo ribadiamo e sottoscriviamo.
Chi c'è dietro le critiche a Report per l'inchiesta sul Ponte? Report Rai il 28 novembre 2023
Dopo la nostra inchiesta relativa al Ponte sullo Stretto in un profilo Facebook chiamato “Ponte sullo Stretto di Messina” è comparso un post dal titolo “La disinformazione di Report”.
Il post a detta di chi l'ha scritto smaschererebbe tutte le inesattezze della nostra inchiesta. Ebbene Report non ha nulla da temere da un confronto sui contenuti e ha risposto punto per punto alle critiche. Ma avendo il vizio innato di indagare abbiamo scoperto che questo profilo che si presenta come pagina indipendente di divulgazione, indipendente non lo è. Il post contro Report è stato inviato a moltissime redazioni giornalistiche e testate online da Francesca Bronzi che, come potete vedere dagli allegati, risulta essere senior account della società Sec Newgate, gruppo globale di comunicazione strategica e advocacy.
Una pagina Facebook indipendente con alle spalle un’agenzia di comunicazione internazionale? La stessa Francesca Bronzi dalle mail allegate risulta occuparsi anche della comunicazione di WeBuild la società di costruzioni di Pietro Salini che ha la maggioranza delle quote di Eurolink, il consorzio che deve costruire il Ponte. È come dire all'oste come è il vino. Report, quando fa inchieste si presenta con la propria faccia. WeBuild con la faccia di Bronzi.
Milano, 29 novembre 2023 - In merito a quanto da voi riportato, intendiamo precisare che SEC Newgate SpA ha immediatamente avviato una verifica per chiarire l’accaduto con SEC & Partners, società del Gruppo SEC Newgate, basata a Roma, che svolge attività di supporto media per il Gruppo Webuild. Dalle prime verifiche effettuate risulta che SEC & Partners si è limitata a segnalare un articolo, reperito nel web, che fornisce informazioni sull’opera, ma che non ha, né ha mai avuto, alcun rapporto con la pagina Facebook “Ponte sullo Stretto di Messina”, come gli stessi amministratori della pagina hanno peraltro già dichiarato con un post successivo.
Aspettando il Ponte. L’imbarazzante elenco di cantieri aperti e di opere mai concluse in Sicilia. Giacomo Di Girolamo su L'Inkiesta il 6 Novembre 2023
L’isola ha centotrentotto infrastrutture incomplete, lo stesso numero dell’anno scorso. Tra mancanza di fondi, cause tecniche e ditte fallite, i lavori qui si aprono (forse) e non si chiudono mai
Aspettando il Ponte sullo Stretto di Messina (costo di dodici miliardi di euro, progetto esecutivo previsto a ottobre 2024, tempi di realizzazione: sette anni) un utile e puntuale memorandum sulla situazione di opere pubbliche e trasporti in Sicilia. Magari il ministro Matteo Salvini non lo sa, o non è aggiornato.
La Sicilia è la Regione che ha il più alto numero di opere pubbliche incomplete in Italia: centotrentotto. Lo certifica l’ultimo monitoraggio della Regione. Piccolo particolare: è lo stesso numero dell’anno scorso. Quindi, in pratica, in dodici mesi non si è mosso quasi nulla. I dati arrivano dalla piattaforma Servizio Contratti Pubblici (Scp) dello stesso ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Sicilia da sola ha più di un’incompiuta su tre, il trentotto per cento, per un valore di quattrocentosei milioni di euro.
Le cause che portano al non completamento di un’opera pubblica sono principalmente tre: mancanza di fondi (cinquantuno casi) cause tecniche (come ad esempio il cambio in corsa del progetto per eventi sopravvenuti: sessantacinque casi), fallimento della ditta che ha vinto l’appalto (ventidue casi)
Magari il Ponte sullo Stretto sarà uno sprone per completare questi ed altri lavori, strade e ferrovie che sono indispensabili per adeguare l’isola al resto d’Italia.
Nella lunga lista dei cantieri aperti o da aprire c’è di tutto: il raddoppio della Ragusa-Catania, con lavori partiti e data di apertura mai definita, l’eterno cantiere della Palermo-Agrigento (fine dei lavori non nota), le strade interne, alcune delle quali sono ancora le “regie trazzere” del sistema viario voluto durante il Regno dei Borboni, e da allora mai ammodernate.
Può essere indicativa la storia dell’anello autostradale per collegare Mazara a Trapani, trentaquattro chilometri. Tra le tante infrastrutture pubbliche progettate e mai realizzate in Sicilia c’è infatti questa famosa bretella autostradale della quale si parla da almeno ventidue anni e diventata simbolo dell’inefficienza e dell’incapacità della politica siciliana di far diventare realtà progetti che dovrebbero migliorare, snellire e rendere più sicuri, viabilità, trasporti e collegamenti tra le diverse province.
Il 30 novembre 2023 è prevista finalmente la gara d’appalto, ma c’è l’incertezza sulla copertura finanziaria dell’opera: centotrentaquattro milioni di euro.
Nel 2001 venne inserita dal governo nel programma di “infrastrutture strategiche” per il Paese. Il progetto preliminare venne approvato dall’Anas a marzo 2004. I lavori dovevano partire nel 2009. Non accade nulla. Nel 2011 l’allora ministro delle Infrastrutture e Trasporti del Governo Berlusconi, Altero Matteoli, chiede con una nota inviata al presidente della Regione Raffaele Lombardo «di sottoscrivere l’accordo d’intesa generale quadro per avviare le procedure atte alla copertura finanziaria dell’opera in questione».
Nel 2011 vengono stanziati per la Sicilia un miliardo e centonovantasette milioni di euro; centocinquanta milioni saranno destinati alla Provincia di Trapani per creare la bretella. Sembra fatta. Non accade nulla. Nel 2017 l’opera è inserita in un nuovo elenco di interventi urgenti in Sicilia. Ma anche in questo caso, oltre le dichiarazioni soddisfatte dei politici del tempo, non accade nulla. Nel 2021 il governo nomina un Commissario straordinario per il completamento dell’opera (in verità, qua si tratta di cominciare, prima ancora che di completare…). Grazie ai suoi poteri può velocizzare l’iter. Si scopre anche che l’opera è ferma, per un parere, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. L’iter si sblocca. C’è la gara, ma nel frattempo mancano i soldi, sono stati dirottati altrove. Sembra, insomma, un romanzo di Camilleri.
Anche il sistema aeroportuale siciliano ha mostrato la propria fragilità, dopo l’incendio che questa estate ha causato la chiusura dell’aeroporto di Catania e un mese di autentica passione per i viaggiatori dirottati sugli altri scali. Le fiamme che hanno reso inservibile il Terminal A dell’aerostazione di Fontanarossa, nel capoluogo etneo, hanno contemporaneamente costretto agli straordinari gli aeroporti di Comiso, Palermo Punta Raisi e Trapani Birgi. Decine di cancellazioni, centinaia di dirottamenti e quaranta milioni al giorno di mancati introiti (dato Assoesercenti). E mentre turisti e siciliani, per spostarsi da e per l’isola, facevano i conti con voli cancellati e aerei dirottati, è arrivata l’emergenza incendi.
E i treni? L’alta velocità non esiste, il quarantadue delle linee ferroviarie sono non elettrificate, solo duecento chilometri su milleseicento di linea ferrata sono a doppio binario. Secondo il piano di investimenti previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza su questo fronte è prevista l’alta capacità (da non confondere con l’alta velocità) tra Palermo e Catania, il raddoppio della Palermo-Messina, il ripristino della Caltagirone-Gela, mentre è ancora allo studio di fattibilità la linea Palermo-Agrigento. Anche qui, di storie esemplari non me mancano. Una su tutte: nel 2013 è stata chiusa la linea ferrata per il collegamento diretto tra Palermo e Trapani: c’è stata una frana vicino la città di Alcamo. La tratta è interrotta da dieci anni, i lavori per il ripristino sono stati appaltati solo a febbraio 2022. Chissà se sarà pronta prima del 2030, l’anno di inaugurazione del Ponte.
Cosenza, crolla il viadotto Sila-Mare costruito nel 2014. «Chiuso un’ora prima, è stato un miracolo». Ora indaga la procura. Carlo Macrì su Il Corriere della Sera il 4 maggio 2023.
Longobucco, il ponte è collassato durante una forte pioggia che aveva ingrossato il torrente. La decisione provvidenziale di un dirigente dell’Anas, che ha evitato una tragedia: «Monitoravamo il torrente in più punti». Il presidente della Regione: «Inconcepibile»
Un’ora ancora è sarebbe stata una tragedia. Un pilone di un viadotto che sorreggeva la nuova Strada Statale 177 che collega Mirto Crosia a Logobucco (Cosenza) e porta in Sila, è crollato durante una forte pioggia che ha ingrossato il torrente, sul cui letto è poggiata la struttura. Qualche ora prima l’Anas, aveva chiuso al traffico l’accesso all’arteria, perché aveva registrato uno smottamento a poche centinaia di metri dal crollo. La procura della Repubblica del tribunale di Castrovillari (Cosenza) ha intanto aperto un fascicolo d’indagine.
«Evitata una strage»
«Una decisione tempestiva, quanto premonitrice che ha evitato una tragedia, che poteva avere dimensioni simili a quelli del ponte Morandi, a Genova – spiega il sindaco di Longobucco, Giuseppe Petrone. Il viadotto crollato era stato costruito nel 2014 così come parte della strada, la cui progettazione risale agli anni ’70. La magistratura ha posto sotto sequestro l’intera arteria e quindi, da giovedì, per gli abitanti della Valle del Trionto, diventa problematico raggiungere le zone di mare. Le altre arterie della zona risultano, infatti, vetuste e con gravi problemi di percorribilità. L’amministrazione comunale ha disposto una unità di crisi presso la sede municipale, dove si segue l’evolversi della situazione alla presenza del sindaco, amministratori e consiglieri comunali, carabinieri e dirigenti Anas.
Il dirigente che ha bloccato la strada
Intanto si è saputo il nome del dirigente dell’Anas che ha preso la decisione di chiudere il viadotto un’ora prima del crollo. Si tratta dell’ingegnere Francesco Caporaso, capo compartimento Calabria. Una scelta che ha evitato la tragedia. «In occasione dell’allerta meteo, le strutture Anas presidiano le tratte stradali interessate dagli eventi segnalati — spiega al Corriere l’ingegnere — soprattutto nel caso in questione, dove il regime torrentizio del corso d’acqua, il Trionto, che lambisce la SS 177, richiede un’attenzione particolare. Questa attività ha consentito di seguire l’evoluzione dei fenomeni indotti dal torrente sull’infrastruttura in più punti , e di adottare tutte le precauzioni necessarie, fino alla chiusura totale del tratto di strada».
Il crollo solo dopo 9 anni dalla costruzione
Il sindaco ha diffuso un comunicato: «La strada Sila-Mare, per gli ultimi eventi disastrosi che già conoscete, nel tratto che va da Ortiano a Manco è chiusa. Si esorta la cittadinanza alla massima attenzione al verificarsi di possibili frane e smottamenti». Tutte le scuole di ordine e grado sono rimaste chiuse nella giornata di giovedì. Allertati la Protezione Civile e Anas. Tra la popolazione serpeggia rabbia e stupore per quello che è accaduto , perché allontana il sogno del completamento di un’arteria che da trent’anni aspetta di essere completata. Tutto ciò allontana anche la possibilità del nuovo collegamento con il tratto fino al ponte di Caloveto, i cui lavori sono in fase di ultimazione. Il Presidente della Regione Roberto Occhiuto giovedì mattina sarà a Longobucco, per rendersi conto di persona di quello che è accaduto. «Bisogna capire di chi sono le responsabilità del crollo – dice – dopo appena 9 anni dalla costruzione, è inconcepibile che un ponte possa crollare solo perché il torrente si è ingrossato».
Il viadotto. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 5 maggio 2023.
Open to Meraviglia: questo è ciò che rimane del viadotto Ortiano 2 in provincia di Cosenza, costruito appena nove anni fa e sbriciolatosi come un cracker dopo una giornata di pioggia. Il viadotto calabrese fa parte di una strada — o per meglio dire, di un progetto di strada — che ha avuto inizio intorno al 1970 e non conosce ancora la fine, pur avendo già fatto in tempo a ingoiare decine di milioni di euro. Viene lecito pensare che quelle causate dall’umidità non siano le uniche infiltrazioni che ne rallentano il corso.
Un lettore siciliano, che per sopravvivere si è dovuto munire di una robusta armatura di ironia, ha scritto che i nove anni di vita del viadotto cosentino verrebbero celebrati come un record dalle sue parti, dove di recente un ponte è crollato dopo nove giorni. Anche un lettore di Genova mi ha scritto, e potete immaginare cosa.
Però la foto contiene una buona notizia: sul viadotto spezzettato non c’era nessun autoveicolo. E non c’era perché un funzionario dell’Anas, fiutato il pericolo, ha preso la decisione di chiudere quel tratto di strada al traffico due ore prima del patatrac. Il funzionario si chiama Francesco Caporaso.
Vorrei dirgli quanto sono onorato di contribuire con le mie tasse a pagargli lo stipendio, ma anche quanto sono stufo di commentare un sistema marcio e sconnesso come quei piloni, che per non precipitare ogni volta dentro la tragedia è costretto ad affidarsi alla buona sorte o allo spirito d’iniziativa di un singolo.
Estratto dell'articolo di Valeria D'Autilia per “La Stampa” il 5 maggio 2023.
«Il ponte è sotto sequestro e i cittadini sono indignati: non può crollare in questo modo un viadotto». A parlare è Giovanni Pirillo, sindaco di Longobucco, Comune in provincia di Cosenza lì dove mercoledì si sono abbattute forti piogge e la furia di un torrente. Al punto da far collassare una parte del viadotto sul fiume Trionto.
A cedere è stato uno dei piloni, ma all'attenzione della procura di Castrovillari - che ha aperto un'inchiesta- ci sono, più in generale, anche i lavori sulla statale di collegamento tra l'entroterra e la costa. Cantierizzata negli Anni 90, non è mai stata ultimata.
Il ponte, invece, costruito con fondi regionali appena 9 anni fa sulla cosiddetta «Sila-Mare», era aperto al traffico dal 2016. E ora le indagini puntano a verificare eventuali responsabilità, mentre i tremila residenti sentono di essere stati fortunati: la strada era stata chiusa un'ora prima del crollo a causa di una frana. «Altrimenti ci saremmo trovati di fronte alla tragedia del ponte di Genova», commenta il primo cittadino.
L'Anas ha specificato di non avere responsabilità sulla realizzazione e che la gestione di sua competenza è partita soltanto nel 2019. Sempre la società, proprio in via precauzionale, aveva deciso di bloccare il transito dei veicoli sulla statale. Da lì a poco il cedimento, ripreso in un video di un testimone, pubblicato poi su Facebook.
Tutto è accaduto in pochissimi secondi: un pezzo dell'infrastruttura si è piegato, finendo sul letto del fiume. E ora i tecnici sono al lavoro per stabilire cosa abbia provocato il crollo. [...]
Estratto dell'articolo di cosenzachannel.it il 5 maggio 2023.
[...] Fiorello nella puntata andata in onda questa mattina della sua trasmissione “Viva Rai 2” ha dedicato un passaggio della spassosa rassegna stampa al crollo del ponte di Longobucco di due giorni fa. Con il suo smartphone ha inquadrato un articolo pubblicato dal Corriere della Sera che riportava la notizia della tragedia sfiorata.
Fiorello [...] ha spiegato che il ponte era stato costruito nel 2014, quindi, ha aggiunto, «tantissimo tempo fa». Poi, indicando la foto in evidenza, ha detto: «Come potete vedere, c’è scritto “da consumarsi preferibilmente entro l’aprile del 2022“. «Il ponte – ha aggiunto Fiorello – è venuto giù perché in realtà era scaduto un anno fa. Voi, con i cibi scaduti conservati in frigo che cosa fate? Li prendete e li buttate via. La stessa cosa bisogna fare con i ponti che hanno una data di scadenza».
Facendo finta di leggere un’ipotetica avvertenza, Fiorello ha commentato: «C’era pure scritto che doveva essere conservato in luogo asciutto e invece che cosa hanno fatto? Lo hanno costruito con i piloni nell’acqua», riferendosi al fatto che le colonne del ponte si trovassero nel letto del fiume Trionto. [...]
La storia «oscura» del ponte crollato in Calabria. Linda Di Benedetto su Panorama l'11 Maggio 2023
Da un primo esame delle carte nelle mani degli investigatori ci sarebbero parecchi lati oscuri
Dopo il crollo del Viadotto ”Ortiano 2”in Calabria si riaccende il dibattito sulle infrastrutture del Paese ma soprattutto ci si chiede come sia possibile che questo tratto autostradale inaugurato appena 9 anni fa non abbia retto alla pioggia, sfiorando per poco la tragedia. E a chiederselo non sono solo i cittadini calabresi che hanno aspettato 30 anni per un’opera collassata in pochi secondi ma anche i militari della Guardia di finanza che stamattina dietro delega della Corte dei conti hanno portato via tutto la documentazione sulla progettazione del viadotto. Un ponte che se non fosse stato chiuso mezz’ora prima dall’Anas che aveva registrato uno smottamento, per gli automobilisti che solitamente attraversano il tratto stradale di Ortiano non ci sarebbe stata via di scampo
I lavori per l’intera infrastruttura della strada statale 177 denominata SilaMare del tratto che collega il comune di Longobucco alla costa jonica e che comprendono il viadotto crollato, sono iniziati nel 1990 e ad oggi non sono ancora stati ultimati. Infatti dopo 33 anni dei 25 chilometri totali previsti nel progetto ne sono stati consegnati solo 11 e proprio quest’ultimi hanno ceduto. Un opera i cui costi sono lievitati nel tempo raggiungendo i 100 milioni di euro. Di questi solo per il quarto lotto dove è stato costruito il viadotto crollato sono stati spesi 23,5 milioni, a cui sono stati aggiunti altri 5,4 milioni di euro nel 2012. Un’opera milionaria che invece di collegare il territorio montano con l’autostrada ha svuotato le casse della regione Calabria che aveva affidato i lavori alla Comunità montana “Sila Greca” (oggi in liquidazione) nel 2002 quando c’era l’ex l’assessore regionale ai Lavori pubblici Aurelio Misiti, divenuto poi viceministro delle infrastrutture nel 2011. Ma a realizzare successivamente l’opera oggi incompiuta è stata una ditta lucana, la Sogemi/Olivieri. Società che poi è stata assorbita da un’altra impresa di Policoro in provincia di Matera a causa del decesso del titolare della Sogemi che aveva realizzato il viadotto (secondo e terzo lotto della strada 177). Così la Regione Calabria dopo avere proceduto con l’apertura del viadotto al traffico ha lasciato subentrare l’Anas nel 2019 che si occupa della gestione e della manutenzione del ponte. Troppe ombre sul crollo del viadotto «Anche con le carte in mano stiamo facendo fatica a capire chi abbia realizzato l'opera ed i costi...» Nello sfogo di uno degli investigatori impegnati a ricostruire la storia del ponte tutto il mistero di una vicenda molto italiana. Sul crollo sono in corso gli accertamenti dei tecnici dell’Anas e la procura della Repubblica del Tribunale di Castrovillari ha aperto un fascicolo di inchiesta per risalire ad eventuali responsabilità. Infine come abbiamo anticipato i militari del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia - Gruppo tutele spesa pubblica - sezione anticorruzione di Catanzaro hanno acquisito, negli uffici del Dipartimento Infrastrutture e lavori pubblici della Regione Calabria e della Struttura territoriale Calabria e dell'Anas di Catanzaro, atti e documenti inerenti al crollo. I finanzieri hanno avviato l'indagine su delega dalla Procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti di Catanzaro che intende verificare eventuali danni erariali in relazione alla costruzione con l’acquisizione della documentazione relativa alla realizzazione del viadotto attraverso la quale ricostruire la procedura seguita all'affidamento dei lavori, il contratto sottoscritto per l'esecuzione dell'opera, le figure di riferimento come Rup e progettista e direttore dei lavori, la documentazione sul collaudo e quella sui costi complessivi sostenuti dall'amministrazione appaltante, gli atti di affidamento della gestione all'Anas e i controlli effettuati fino ad oggi. Saranno possibili audizioni di amministratori, dirigenti e funzionari degli enti interessati e anche di soggetti privati in possesso di informazioni utili e di interesse perché secondo fonti investigative si sta facendo davvero fatica a ricostruire la storia di questo progetto dove gli stessi inquirenti non riescono a capire chi ci ha lavorato e quanto è stato speso.
Nadia Terranova per la Stampa - Estratti venerdì 27 ottobre 2023.
Come ve la raccontano è che noi oppositori siamo un po' nostalgici, non al passo con i tempi, addirittura vetusti, e pure ignoranti: un po' terrapiattisti, dai, scemi e localisti contro un'idea di progresso magnifico e progressivo.
Oppure ve la raccontano così: chi è contrario al ponte sullo Stretto sta pensando al bene della Sicilia, della Calabria, alle autostrade carenti e sempre guaste, alla quotidianità dei disagi e dei malfunzionamenti: che ce ne facciamo delle grandi opere quando ci mancano le piccole? Però è un'obiezione cui si può sempre controbattere: eh, ma da qualcosa si deve pur cominciare.
(...)
Non bisogna preparare un bel niente, se c'è una cosa che alla Sicilia e alla Calabria non manca e non mancherà mai è un ponte. Non ci manca che la cretineria umana devasti l'unica cosa davvero meravigliosa risparmiata dal terremoto del 1908, dall'incuria e dalla sciatteria in cui – dopo le prime manifestazioni di solidarietà seguite al sisma, che hanno presto lasciato posto alla dimenticanza e alla solitudine – sono state lasciate morire le due città: il mare.
Lo avete mai visto, voi che non ci siete nati o abitate, il paesaggio dello Stretto?
Visto per davvero, intendo, non attraversato con insofferenza gli unici pochi giorni all'anno in cui è preso d'assalto dai turisti che devono correre da un'altra parte e invece devono fermarsi agli imbarchi (ma perché, poi, vi raccontate la frottola che in quei giorni per magia la fila ai caselli sparirebbe? Forse nelle autostrade nei giorni rossi non ci si ferma in code lunghissime?).
Ecco, se non l'avete mai visto, lo Stretto, prendetevi un tempo per andarci e sostarci, senza dover correre in luoghi più strombazzati dell'isola. Mi pento già di quello che ho scritto perché in realtà, io dello Stretto sono gelosissima, della sua luce bianca che ho narrato nei miei libri, del suo cielo attraversato dal passaggio degli uccelli migratori, delle sue leggende normanne (la Fata Morgana che vive in un palazzo sott'acqua e crea giochi di luce che neanche immaginate), delle sue storie greche (Omero che nel dodicesimo canto dell'Odissea presenta Scilla e Cariddi), delle storie della mia infanzia (quel Colapesce che mia nonna amava raccontarmi, il ragazzo con la coda di sirena immortalato da Guttuso sulla volta del teatro Vittorio Emanuele, a Messina, di cui sapeva Cervantes, che da lì partì per la battaglia di Lepanto e quasi ci morì, ne parla nel Don Chisciotte – quel Colapesce di cui hanno fatto poesia e fiaba poeti e scrittori, da Leonardo Sciascia a Italo Calvino). No, decisamente, su quel mare che amiamo nelle sue profondità e oscurità, quel mare di cui non ci si può fidare, come dell'animo umano, vogliamo tutto tranne che un ecomostro.
Il ponte c'è già, ed è il mare stesso: Pontos, divinità maschile del mare. Non è vero che tutti i ponti uniscono: questo dividerebbe, eccome, le coste già oltraggiate dalla storia, togliendo loro l'unica bellezza che hanno, quel che resta dei borghi, quel che resta di una vivibilità ai minimi storici. Invece, per la mitomania colonizzatrice di una politica cui nulla importa del benessere reale, siamo ancora qui a parlare di "grandi opere": il pianeta è distrutto, il clima è a pezzi, l'ambiente dovrebbe essere la nostra missione, e invece.
Invece abbiamo dovuto tirare fuori dagli armadi quelle magliette No Ponte che non pensavamo più di dover riesumare, mentre la macchina mangiasoldi si rimetteva in funzione con gran clamore e cominciava a distribuire inutili e costosissimi incarichi.
Non potevamo stare a guardare.
Nonostante manchino all'appello alcuni storici oppositori al ponte di destra, immersi in un lugubre e imbarazzato silenzio di convenienza (la coerenza non è di questo mondo), e le lacune di lotta in una sinistra nazionale che non ha mai capito fino in fondo l'importanza del tema, noi resistiamo.
Convinti che ci sia solo un modo per tutelare lo Stretto dalla devastazione e investire dei soldi per il suo reale sviluppo: la valorizzazione dei due mari sotto il profilo ambientale e turistico, ma prima ancora di benessere della comunità. Convinti che non c'è nessun motivo per correre sopra le teste di due città, ma anzi invitare la gente a fermarsi e godere dei Bronzi di Riace al museo di Reggio Calabria e dei due quadri di Caravaggio al museo di Messina.
Quando Gianfranco Zanna, già presidente di Legambiente Sicilia, mi ha chiesto di redigere insieme e far firmare l'appello, ci siamo detti che non potevamo essere più solo noi, solo siciliani e calabresi, ad alzare la voce. Siamo stufi che i guai del Sud siano del Sud, e siamo stufi di essere territorio di conquista e di spocchia colonialista.
Abbiamo cominciato a sentire uno a uno i firmatari, nel mondo dell'arte, della musica, della letteratura, e abbiamo spiegato loro le nostre ragioni. Quasi tutti hanno accettato immediatamente, qualcuno stupendosi di sapere così poco dell'argomento. Vogliamo che la questione sia di tutti, di chi fa opposizione a questo governo ma anche da chi, pur appoggiandolo, è rimasto libero dentro.
Vogliamo che amiate lo Stretto, questo Bosforo d'Italia dalle bellezze segrete e dimenticate, come lo amiamo noi. Vogliamo che le nostre coste siano tutelate e valorizzate, che il nostro mare non sia visto come un incomodo, ma come il tutto che abbiamo. E vogliamo che lo abbiate anche voi, integro e meraviglioso, unico al mondo. Patrimonio dell'Umanità.
Salvini e la figuraccia sul Ponte sullo Stretto, mostra il “Topolino” del 1982 per celebrarlo (ma finisce male). Redazione su L'Unità l'11 Agosto 2023
I saggi dicono sempre di non giudicare un libro dalla copertina, lo steso vale anche per un fumetto. Una regola dimenticata da Matteo Salvini, il ministro dei Trasporti e Infrastrutture ma soprattutto vicepremier e leader della Lega.
Da quando è diventato numero uno del suo dicastero, la vera e propria ossessione del segretario del Carroccio è stato il Ponte sullo Stretto, resuscitando la vecchia società pubblica incaricata di costruire l’infrastruttura, il “carrozzone” che il governo Monti aveva messo in liquidazione nel 2013.
Decreto omnibus, dal ponte sullo Stretto agli stipendi per i manager cosa contiene il provvedimento varato dal cdm
Per ribadire il suo impegno nel portare a termine l’opera, un progetto infinito che ha visto sperperare miliardi senza neanche la posa della “prima pietra”, durante una diretta social Salvini ha rispolverato addirittura una vecchia copia di un Topolino del 1982, “quando costava 700 lire, che nostalgia”, dice in video Salvini.
In copertina si vede Zio Paperone che, vestito con abiti siculi e con la coppola sul capo, tiene le mani il “Ponte di Messina Paperon de’ Paperoni“. Il problema per il leader della Lega è che, oltre alla copertina firmata da Marco Rota, avrebbe dovuto leggere anche il contenuto di quel numero, il 1401 uscito il 3 ottobre 1982.
Così avrebbe scoperto che la storia del Ponte di Messina Paperon de’ Paperoni, sceneggiata da Giorgio Pezzin e disegnata da Giorgio Cavazzano, non finisce affatto bene.
Il ricco zio di Paperino decide, dopo aver visto in televisione le imprese di un esploratore, di investire il suo patrimonio per costruire proprio il Ponte di Messina. I tre progetti presentati da uno scienziato incaricato (a campata unica, sostenuto da palloni aerostatici e un tunnel sottomarino) si rivelano tutti fallimentari, ma è parlando con un pescatore che Zio Paperone si innamora dell’idea di costruire un ponte di coralli. A costruirlo rubandogli l’idea sarà il “nemico” Rockerduck, il terzo papero più ricco al mondo: il ponte però, pur diventando realtà, fallisce miseramente. Saranno infatti i turisti a demolirlo, staccando i pezzi di corallo del ponte per portarli via come souvenir: beffa finale per Rockerduck ,verrà multato per aver ““ingombrato lo stretto” con un “ponte così… volatile”.
Insomma, la storia del Ponte raccontata dal Topolino del 1982 non può certamente essere utilizzata come una mossa “celebrativa” del progetto resuscitato da Salvini…
Ecco i nuovi manager pagati a peso d’oro per il ponte sullo Stretto. Gianfrancesco Turano su L'Espresso il 7 Agosto 2023
La società pubblica guidata da Ciucci recluta decine di dirigenti da Anas e prepara il piano finanziario per settembre. In modo che Salvini possa inserire i 13 miliardi dell’opera nella prossima legge di bilancio. Ma la premier tentenna e i soci del general contractor Eurolink non sono allineati. Così il progetto resta in alto mare
Nel gioco del calcio l’espressione “minestra riscaldata” si applica a quel giocatore o allenatore che torna nella squadra dove ha conosciuto il successo, di solito senza ritrovarlo. Nell’abnorme minestrone riscaldato che è il ponte fra Sicilia e Calabria, le operazioni di mercato condotte dal nuovo ad della Stretto di Messina (Sdm), Pietro Ciucci, a sua volta un cavallo di ritorno rientrato da un confortevole pensionamento, sono quasi tutte all’insegna della nostalgia.
Per attrezzare la nuova Sdm Ciucci ha già ripescato oltre una ventina fra dirigenti, funzionari e quadri che dovrebbero essere esenti dal tetto di 240 mila euro previsto per le cariche pubbliche.
Erano migrati in Anas dieci anni fa, dopo che il governo Monti aveva deciso di liquidare la Sdm per mano di Vincenzo Fortunato, incassando una causa per danni in una sorta di derby di Stato che si è aggiunto al contenzioso con Eurolink, l’associazione temporanea di impresa o Ati incaricata di realizzare il ponte e tornata alla ribalta anch’essa con la legge di bilancio 2022 dopo che il decreto legge 187 del 2012 aveva annullato il contratto.
In questo decennio in Sicilia e Calabria si è aggravata la crisi demografica e nulla è stato fatto per recuperare un gap infrastrutturale messo a nudo dal minimo incidente. Ma siamo d’estate. Il calciomercato prima di tutto.
Nella nuova squadra di Ciucci c’è Gioacchino Lucangeli, dal 2002 al 2013 responsabile dei collegamenti stradali e ferroviari del ponte quando l’opera costava appena 2,4 miliardi di euro contro i 13,5 di adesso. Fra gli ex che tornano dal prestito ci sono poi Andrea Stefanoni, Giuseppe Cardillo, Claudio Catta che si è occupato dall’autostrada libica ai tempi dell’accordo fra Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi.
Per Catta, come per Giulio Claroni e Alessandro Piccareta, è la terza assunzione da parte di Sdm. Rientra alla base anche Lorenzo Falciai, direttore della comunicazione di Anas che manterrà l’incarico in Sdm mentre alle risorse umane ci sarà Omar Mandosi, che arriva dall’esperienza tormentata di Anas international. Nel reparto ingegneristico figurano anche Massimo Tarquini Guetti, un altro ex Sdm, e Stefano Caroselli. Agnese Leofreddi, già Quadrilatero Umbria Marche, sarà la nuova responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.
Dei fuorusciti si dice fossero scontenti della nuova Anas assorbita dal colosso Fs, che peraltro potrebbe di nuovo scorporare la società che gestisce le strade dopo poco più di cinque anni, in un’ammuina di marca borbonica gradita al ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Fra l’altro, Anas non sarà più il socio di riferimento della Sdm con l’82 per cento e il controllo passerà al blocco ministeriale Mef-Mit.
Nonostante la Sdm abbia una netta colorazione forzista, con Ciucci pupillo di Gianni Letta e i due presidenti regionali, il siciliano Renato Schifani e il calabrese Roberto Occhiuto, colorati di azzurro, è il leader leghista il promoter più assertivo del ponte.
Sul cronoprogramma ci ha messo il faccione.
A fine settembre Eurolink manderà la relazione che aggiorna il progetto del 2011. Intanto Sdm allestirà il piano economico finanziario per stabilire quanto della tariffa dei transiti verrà dallo Stato e quanto dal casello. Entro la prossima estate, l’opera deve partire con il progetto esecutivo e, inevitabilmente, con una bella inaugurazione fra Scilla e Cariddi, a costo di fare due buchi per terra. Su chi realizzerà il monocampata più lungo del mondo Salvini ha negato la possibilità di una nuova gara internazionale, contro il pur vago interessamento del colosso di Stato cinese Cccc in tempi di crisi della Via della seta.
Al di là dei pronunciamenti di tecnici e accademici attratti dalle consulenze alla progettazione, la fattibilità complessiva dell’opera rimane molto dubbia e non ha fatto grandi passi avanti dal 2009, quando l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti, insuperabile manovratore del ponte come arma di distrazione di massa, rinviò tutto di quattro anni.
Lo stesso Giacomo Francesco Saccomanno, che oggi è commissario della Lega in Calabria e ieri era avvocato dei comitati contro la centrale a carbone di Gioia Tauro a nord di Reggio, avrebbe confessato in privato il suo scetticismo sull’opera. Ma nella Lega in cerca di consenso al Sud il ponte è articolo di fede. Né l’insostenibilità ambientale dell’opera preconizzata dal costituzionalista peloritano Michele Ainis e dal suo nuovo movimento battezzato “invece del ponte”, né l’inutilità di una cattedrale nel deserto infrastrutturale siciliano turbano il decisionismo del Capitano.
Nel convegno romano “L’Italia dei sì” del 25 luglio il ministro e vicepremier, che finora ha ottenuto soltanto un chip di 50 milioni di euro, ha annunciato che i miliardi degli investimenti saranno inseriti nella legge di bilancio in discussione dopo le ferie estive. La tempistica è studiata per impegnare prima delle Europee del giugno 2024 una recalcitrante Giorgia Meloni, che continua a osservare con scetticismo l’opera.
Ad aggiungere una nebbia tipica di certe giornate sullo Stretto, c’è l’elemento giuridico-societario riguardante Eurolink, che a luglio l’azionista di maggioranza Webuild ha affidato al reggino di nascita Gianni De Gennaro.
Per ironia della sorte, l’ex capo della polizia e presidente di Leonardo è stato sottosegretario con delega all’intelligence proprio con Mario Monti, il premier che ha annullato l’appalto a Eurolink. Per il consorzio l’aut aut è: o costruiamo il ponte o ci toccano 700 milioni di risarcimento. La cosa non è così semplice, come si legge anche nella relazione al bilancio 2022 della stessa Eurolink: «È del tutto evidente che l’eventuale mancata definizione della rinuncia alle azioni, alle domande e ai giudizi da parte di Eurolink nei confronti di Sdm e delle altre amministrazioni dello Stato coinvolte potrebbe impattare, con possibili rinvii ed ulteriore dilatazione dei tempi processuali, sulla celebrazione dell’udienza di merito, fissata in Corte d’Appello al prossimo 15 maggio 2023, nel giudizio pendente fra Eurolink contro Sdm e le altre amministrazioni dello Stato coinvolte».
In effetti all’udienza del 15 maggio c’è stato un rinvio al 14 ottobre 2024 per consentire alle parti di fare la pace. «Ma un consorzio in forma di Ati», dice Aurora Notarianni, avvocata no-ponte con un passaggio in politica da assessora nella giunta di Rosario Crocetta, «non può essere riesumato proprio in quanto temporaneo. Condotte è stata ceduta ma Cmc è ancora in concordato. Altri componenti di Eurolink non si sono fatti vivi. E c’è comunque un tema di gara internazionale da avviare e un progetto che da definitivo non può diventare esecutivo perché al primo livello di elaborazione mancavano le valutazioni di impatto ambientale e strategico».
La situazione si ingarbuglia ulteriormente fra i soci di Eurolink. Webuild e gli spagnoli di Sacyr marciano compatti e con gli stessi avvocati (Benedetto Giovanni Carbone, Giampiero Fumel, Giuseppe Giuffré e Giandomenico Falcon) insieme con gli americani di Parsons transportation, autori del progetto. Sdm schiera un collegio composto da Marco Annoni, difensore di Autostrade nel processo genovese per il Morandi, Roberto Pecorario, a lungo responsabile del legale di Sdm, e Massimo Zaccheo.
Altri, come i giapponesi di Ihi e Beniamino Gavio, appaiono più defilati. Un ruolo particolare spetta a Condotte e a Cmc Ravenna. La prima, che ha il 15 per cento di Eurolink e un portafoglio lavori dove figurano le ex aree Falck a Milano, è passata a fine luglio dall’amministrazione straordinaria alla holding Tiberiade dell’immobiliarista Valter Mainetti. Il valore dell’operazione è stato indicato a quota 280 milioni di euro ma l’esborso effettivo dovrebbe essere di circa un ventesimo di questa cifra. Mainetti è in cerca di un accordo con Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild.
Il guaio maggiore per adesso è la Cmc, che partecipa al contraente generale con il 13 per cento. Eurolink si è inserita al passivo della cooperativa ravennate, come aveva già fatto con Condotte, con una richiesta che i tre commissari hanno drasticamente ridotto.
«Sono tuttora in corso le verifiche da parte dei commissari giudiziali di Cmc rispetto alle differenze emerse fra quanto precisato dai creditori e quanto esposto dalla società», si legge nelle carte di bilancio del general contractor. E, in fin dei conti, nella vicenda del ponte sullo Stretto è tutto sotto verifica. Salvini incluso.
Estratto da open.online mercoledì 26 luglio 2023.
Se don Luigi Ciotti riferisce di una correlazione tra Ponte sullo Stretto e rischi sul fronte della criminalità organizzata, le sue parole hanno un peso. Se non altro perché il presidente di Libera, impegnato da decenni nel contrasto alle cosche, è forse tra i massimi esperti di fenomeni mafiosi.
Ma c’è anche chi non dà credito alle sue esternazioni sul tema. Come Matteo Salvini, principale promotore della grande opera in capo al suo ministero, quello dei Trasporti. Lo scontro si è acceso nelle scorse ore, dopo che don Ciotti ha parlato di una «politica smemorata», di «segnali che diventano inquietanti» in relazione a «pilastri» dell’antimafia che «oggi vengono messi fortemente in discussione».
La critica si è fatta presto esplicita durante la presentazione di un libro, nella Locride, e punta dritta al Ponte sullo Stretto: «Non unirà solo due coste, ma certamente due cosche». Il leader della Lega ha definito la frase «una vergogna, una mancanza di rispetto nei confronti di milioni di persone perbene che meritano di lavorare e di studiare e di fare il pendolare, di andare a farsi curare come tutti gli altri.
Mi fa schifo che qualcuno pensi che Sicilia e Calabria rappresentino le cosche». E ancora: «Fino a che c’è qualcuno all’estero che dipinge l’italiano “mafia, pizza e mandolino” fa schifo, ma è all’estero. Se però c’è qualche italiano che continua a dipingere l’Italia come “mafia, pizza e mandolino”, se espatria fa un favore a tutti».
(…)
Molte le reazioni. Ponte sullo stretto di Messina, Salvini sprezzante: “Un signore in tonaca dice parole ignoranti, volgari” e mette insieme cosche e coste. Solidarietà a Don Ciotti. Redazione su Il Riformista il 26 Luglio 2023
La Sicilia versa in condizione disastrose con il fuoco che continua ad ardere da diversi giorni consecutivi. Una situazione drammatica che sta rivelando le pesanti carenze infrastrutturali di un territorio da sempre problematico con uno stato di arretratezza cronica, semplicemente aggravata dall’emergenza incendi delle ultime ore.
Nel frattempo il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, trova il tempo per polemizzare e torna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina. “Un signore in tonaca che ha detto che il Ponte più che unire due coste unirà due cosche, queste parole sono di una volgarità, ignoranza e superficialità senza confini. Non solo è una mancanza di rispetto nei confronti di milioni di italiani, ma con le decine di migliaia di posti di lavoro sarà la più grande operazione antimafia dal dopoguerra ad oggi perché la mafia la combatti con il lavoro e lo sviluppo e non con convegni e chiacchiere” – tuona Salvini contro don Luigi Ciotti, fondatore di Libera.
Molte le reazioni sulle dichiarazioni del ministro e in difesa di Don Ciotti, a iniziare da quella Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil: “Le parole pronunciate nei confronti di Don Luigi Ciotti da parte del Ministro Salvini sono inaccettabili. Il tentativo di minimizzare il fenomeno delle mafie e delle infiltrazioni criminali nelle grandi opere è l’ennesimo pessimo segnale del Ministro. La Fiom è come sempre al fianco di Don Luigi Ciotti nella lotta per la legalità. Le mafie si combattono con il diritto al lavoro, praticando l’antimafia sociale e con l’applicazione della nostra Costituzione”.
“Si metta una volta per tutte con l’animo in pace: il Ponte sullo Stretto è la cosa più inutile che i siciliani si possano aspettare – dichiara Fratoianni -. Servono in queste ore misure straordinarie per mettere sotto controllo le fiamme, magari investendo sulla prevenzione e sulla protezione civile invece di pensare a comprare nuovi armamenti, infrastrutture decenti, ed interventi urgenti per una sanità pubblica all’altezza della situazione”.
Le associazioni esprimono vicinanza a Don Ciotti – “Esprimiamo solidarietà e vicinanza a don Luigi Ciotti dopo gli insulti che gli ha rivolto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Estrapolare una frase dal contesto generale nel quale è stata pronunciata può, in talune circostanze, deviare il significato delle cose, fino a legarle a logiche e usi impropri. Dopo aver ricostruito le circostanze per le quali il ministro Salvini ha duramente attaccato il presidente di Libera appellandolo come un ‘signore in tonaca’ che mette insieme ‘cosche e coste’ offendendo milioni di cittadini calabresi e siciliani esprimiamo la nostra piena solidarietà e il ringraziamento a don Luigi Ciotti per l’impegno instancabile che profonde nella lotta alle mafie e per l’affermazione della legalità”. È quanto affermano in una nota congiunta ANPI, Arci, Acli, Greenpeace, Legambiente e WWF in merito alle affermazioni di Salvini nei confronti del fondatore e presidente di Libera, don Luigi Ciotti.
Il Ponte sullo Stretto di Messina: “La manovra del prossimo autunno sarà quella che stanzierà le cifre più importanti”
“Il costo massimo è di 13 miliardi e conto che si stia ampiamente al di sotto. E’ meno della metà di quello che fino ad oggi sta costando il reddito di cittadinanza che non lascia traccia sul futuro. Le Regioni saranno chiamati a dare il loro contributo, non si sa ancora quanti soldi hanno e conto che è che lo sappiano al più presto. Quindi i primi miliardi veri saranno in legge di bilancio”.
Il bando per il ponte, assicura Salvini, sarà pronto “tra un mese. Sono previsti 3666 metri di lunghezza complessiva, 399 metri di altezza dei pilastri, 60,4 metri di larghezza. È un’opera visionaria e avanguardista che deve essere valorizzata anche commercialmente e turisticamente oltre che a livello infrastrutturale. Le navi ci passano sotto, lo garantisco. Sono previste 6 corsie stradali, 6000 veicoli l’ora, 2 binari ferroviari, 200 treni al giorno. E 100mila nuovi posti di lavoro. In due anni riassorbirà i costi di quello che oggi costa non avere il Ponte”.
Don Ciotti, l’attacco di Salvini e le mille battaglie di un utile «grillo parlante». Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera giovedì 27 luglio 2023.
Il ministro Salvini ha detto che, se don Ciotti decidesse di espatriare, farebbe «un favore a tutti»: il sacerdote dell’associazione antimafia Libera aveva dato voce al rischio che il Ponte sullo Stretto di Messina potesse «unire due cosche»
Ma davvero don Luigi Ciotti «se espatria fa un favore a tutti»? La cagnara scoppiata tra i partiti dopo la sparata di Matteo Salvini contro il fondatore di Libera, una rissa dove ciascuno tira acqua al proprio mulino al di là del merito delle cose, rischia di occultare il tema centrale: ci sono o no anche dei rischi dietro la febbricitante corsa al Ponte di Messina ripartita di colpo dopo anni di promesse, rinvii, rinunce, oblio?
Che il prete torinese nipote di un fornaio cadorino sia da decenni un fastidiosissimo grillo parlante per chi è al potere e ci tenga a gestirlo senza interferenze di destra o sinistra è fuori discussione. Dalle messe mattutine alle conferenze nelle scuole, dai dibattiti sulla corruzione ai convegni sull’azzardo, dall’apertura di cooperative in aziende confiscate alla criminalità fino alle fiaccolate nelle piazze, su e giù per l’Italia, non c’è giorno che Dio mandi in terra in cui don Ciotti non rovesci la sua generosità combattiva su tutti i temi più sensibili della nostra società: dall’usura al caporalato, dal traffico di stupefacenti alla difesa del territorio fino alla denuncia di piccole e grandi emergenze che ad altri magari sfuggono. Vogliamo dirlo? Un tornado, per il sonnacchioso quieto vivere. Un rompiballe come pochi nella convinzione assoluta, ereditata dal mestiere dei nonni, che «un mulino non deve fermarsi mai». E lui, amatissimo da una parte degli italiani e meno da tanti altri, macina, macina, macina. Citando sempre il giudice-ragazzino Rosario Livatino: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere se siamo stati credenti, ma credibili».
E in tanti anni trascorsi battendo a tappeto il Sud, la S icilia e la Calabria dicendo a volte anche verità scomode a chi non le voleva sentire (come il giorno che affrontò i portuali di Gioia Tauro in lotta dicendo: «Ragazzi, cercheremo di darvi una mano ma basta con l’assenteismo. E più corresponsabilità») si è tirato addosso la diffidenza, l’odio e il rancore dei padrini. Ovvio. Basti ricordare l’ustionante lettura, ogni anno al microfono, in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno, dei nomi di 1.100 vittime innocenti delle mafie. La raccolta di un milione di firme (un milione!) per destinare a uso sociale i beni confiscati ai mafiosi. La costituzione di Libera come parte civile in 76 processi alle mafie. La gestione di 991 beni immobili confiscati alla criminalità organizzata e avuti in concessione dagli Enti locali in 359 comuni di 18 regioni. Tutti «fastidi» che spinsero nel 2013 Totò Riina, intercettato nel carcere di Opera col boss pugliese Alberto Lorusso, a dire: «Ciotti putissimo pure ammazzarlo».
Fatto sta che, sulla base delle esperienze accumulate, il fondatore di Libera si è fatto l’idea dal lontano gennaio 2001 (partì da uno studio commissionato dal ministero dei Lavori pubblici a Nomos, il centro studi per la legalità del Gruppo Abele, spiega un’Ansa dell’epoca) che non solo il Ponte di Messina, di cui si vagheggiava almeno dal 1960 quando la Settimana Incom magnificava il progetto dell’americano David B. Steinmann, non sia una priorità per il Mezzogiorno dove ancora le ferrovie restano a volte medievali, ma che senza regole blindate rischi di essere un enorme affare per la criminalità delle due sponde. Una convinzione riassunta già dal 2009, non da ieri, nella sintesi: il rischio è di unire non solo due coste ma due cosche. Timore via via consolidato da varie inchieste giornalistiche e giudiziarie. Una convinzione sballata o perfino piemontesista, come titolava ieri il sito strettoweb («il razzismo concesso a Don Ciotti: “non unirà due coste ma cosche”») ripreso dai social ufficiali salviniani? Mah...
Certo l’ostilità fu condivisa per anni non solo da Umberto Bossi («un’opera vergognosa e dispendiosa») ma da tutta la Lega. Lo ricordano La Padania («Coi soldi del Ponte di Messina si fanno le grandi opere del Nord») e Roberto Maroni («Le infrastrutture padane non possono essere certo sacrificate in nome del Ponte») nel 2005, lo stesso Matteo Salvini nel 2016 contro il Ponte proposto da Renzi («Faccia funzionare i treni, che da Trapani a Ragusa ci mettono 10 ore e mezzo») e via così fino al «contratto di governo» con Luigi Di Maio nel 2018: non una parola.
Il titolare delle Infrastrutture, che ancora tredici anni fa si vantava di non essere «mai sceso sotto Napoli», ha cambiato idea e pensa possa essere invece un volano per la crescita? Libero di farlo. E anche di contestare i timori di don Ciotti sui rischi condivisi peraltro, in questi anni, da vari magistrati. Liquidare il fondatore di Libera dicendo che gli «fa schifo» chi «continua a dipingere l’Italia come mafia, pizza e mandolino» e concludendo che «se espatria fa un favore a tutti», però, è un insulto insensato e offensivo. Lo stesso Nicola Gratteri, in corsa per fare il procuratore di Napoli, spiegò mesi fa a Otto e mezzo: «Non si può pensare che le opere pubbliche importanti, come l’Alta velocità, non si possono fare in Calabria perché c’è la ’ndrangheta. Le opere pubbliche si devono fare eccome». Ma si può andar via spediti in un contesto in cui tante regole chieste e promosse da Falcone e Borsellino vengono quotidianamente messe in dubbio?
Capitan Ponte, dalle felpe ai cantieri: la metamorfosi di Salvini. Giovanni Vasso su L'Identità il 5 Luglio 2023
Dalle felpe al casco da operaio. Matteo Salvini è diventato l’uomo dei cantieri con l’obiettivo, sopra tutti gli altri, di riuscire là dove tutti hanno fallito prima. Farsi ricordare come il ministro che ricucì Reggio Calabria a Messina, Capitan Ponte. Il vicepremier ha evidentemente preso molto sul serio il suo ruolo al dicastero delle Infrastrutture. Ha cambiato look, parla di lavori e di progetti, punta a modernizzare l’Italia per il tramite dei cantieri. In fondo è il modo più veloce e coerente di riproporre, a distanza di qualche anno dall’exploit elettorale ai tempi della (fine) del Conte 1, la proposta di superare le ideologie. E se il gioco politico, prima o poi, ti intruppa dall’una o dall’altra parte del Parlamento, il vicepremier sa bene, come ha detto ieri a Milano al taglio del nastro della tratta M4 della metropolitana che collegherà San Babila, nel centro della città, direttamente con l’aeroporto di Linate, che “le infrastrutture non hanno colore politico, non sono né di destra né di sinistra”. E consentono di ragionare e lavorare con tutti. Persino con Beppe Sala, il sindaco di Milano arcinemico – almeno se si guardano sigle e appartenenze politiche – della Lega identitaria.
La lezione che Salvini ha imparato, inoltre, è quella che ha fatto il successo della Lega già dagli anni ’90. Ai cittadini importa vedere opere, cantieri in moto, infrastrutture capaci di cambiare (in meglio) la vita di tutti i giorni. Per sconfiggere le ideologie di ritorno, il ministro rispolvera un evergreen della politica italiana: il fare. Perciò propone “un’alleanza tra uomini del fare e del sì” che potrebbe comportare per l’Italia “nei prossimi quattro-cinque anni” la nascita di “una rivoluzione industriale, infrastrutturale, ambientale, economica e lavorativa” che riporterebbe il Paese ai fasti economici del Dopoguerra. “Quando hanno realizzato l’Autostrada del Sole, anche lì c’era chi diceva no. Anche oggi c’è qualche resistente e nostalgico del no, ma se sanciamo che Milano è la patria del sì, del fare e del progettare, facciamo un grande servizio al Paese”, ha detto. Ambizione e lavoro. E sono tanti i cantieri, da Roma a Milano, e tanti i rapporti che il ministro sta allacciando e consolidando in questi mesi. C’è la M4, ma c’è anche la Linea C della metro di Roma. C’è poi, la questione dell’autostrada A4. Che, a Salvini, serve per centrare un obiettivo non da poco, anzi tre: togliere la gestione ai privati (leggi Benetton), affidare alla Regione gli introiti dell’arteria strategica dal momento che il nuovo triangolo industriale non guarda più a Torino e Genova ma, da Milano, si estende tra Venezia e Bologna, fare pace con Luca Zaia, l’unico che potrebbe davvero dargli filo da torcere in termini di leadership.
Ma in testa c’è un chiodo fisso. Il ponte sullo Stretto di Messina. Per Salvini, più che un’ambizione, è una promessa: “Il Ponte sullo stretto a regime toglierà 140 mila tonnellate dall’aria di Co2”, spiega agli ambientalisti (e non solo a loro). “Si tratta di opere green, moderne, innovative ed ecocompatibili anche con il lavoro”. Ma Salvini non è il solo a volere, fortemente, l’opera. Ha, dalla sua, gli imprenditori. Come Pietro Salini, ad di Webuild, che ha detto: “Il Ponte di Messina è un sogno per gli italiani che deve essere realizzato. Dobbiamo riuscire a fare in modo che queste grandi opere non siano solamente sfida sul terreno politico. C’è una legge dello Stato che dice che il Ponte si deve fare e va rispettata”. E quindi si è sbilanciato sui tempi: “Spero di poter dire al ministro che siamo pronti per marzo a iniziare le opere. Oggi dobbiamo dare il nostro contributo come Webuild, perché è previsto che Eurolink, un consorzio a cui noi partecipiamo, rinegozi il contratto aggiornando il progetto. Noi abbiamo già cominciato”.
Il ponte sullo Stretto è già intestato a Silvio Berlusconi: basta vedere chi lo dovrebbe realizzare. Quattro dei cinque amministratori nominati per l’infrastruttura sono riferibili a Forza Italia. Il quinto è un avvocato leghista. A dimostrare che i meloniani vogliono tenersi a distanza da un’opera dalle prospettive come minimo incerte. Gianfrancesco Turano su La Repubblica il 26 Giugno 2023.
L’ombra di Silvio Berlusconi si proietta sullo Stretto di Messina. In fondo, che glielo intestino o meno, il ponte è una parte della sua eredità e Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle infrastrutture, l’ha sostanzialmente usurpata offrendo una dote da 50 milioni di euro. È questo il tesoretto di partenza della Stretto di Messina (Sdm), società pubblica costituita nel 1981 dal presidente del consiglio democristiano Arnaldo Forlani e riesumata dalla liquidazione. Le nomine al vertice, invece, sono rimaste nell’area forzista con appena qualche modesta colorazione padana mentre il capo del governo Giorgia Meloni ha deciso di prendere le distanze da un’opera di incertissime prospettive ingegneristiche e di rovinoso impatto sulle finanze statali, anche per la penale da versare al consorzio in caso di revoca.
Nel nuovo cda della Stretto di Messina non ci sono tracce di Fdi, come se il partito di maggioranza relativa avesse deciso di stare alla finestra e lasciare agli alleati la guida strategica di un intervento che dovrebbe portare Salvini a inaugurare i cantieri nella primavera-estate del 2024. Fino a quel momento a gestire la partita del collegamento fra Sicilia e continente saranno gli alleati. Il vertice è targato Gianni Letta, dunque berlusconismo nella sua versione ecumenica sopravvissuto al suo stesso inventore.
Le deleghe della società sono in mano a Pietro Ciucci, che a Letta senior è legato da sempre. La carriera del dirigente classe 1950 è quasi troppo lunga per essere descritta come merita. Di sicuro, per l’ex Fintecna è un ritorno nella società che ha guidato fino al 2012 prima di assicurarsi la guida dell’Anas per un triennio. Pur essendo andato in pensione nel 2013, l’allora premier Enrico Letta lo aveva confermato nell’incarico. Le dimissioni sono arrivate nell’aprile del 2015 dopo alcuni crolli stradali e incidenti e con una buonuscita da 1,8 milioni di euro.
Durante il suo mandato in Anas, Ciucci ha mostrato una grande dimestichezza con le inaugurazioni di gallerie e svincoli. Una di queste occasioni celebrative, quella per il viadotto siciliano Scorciavacche, aperto al traffico il 30 dicembre 2014, crollato una settimana dopo e riaperto al traffico soltanto a fine marzo 2023 dopo otto anni e tre mesi dal taglio del nastro, ha procurato a Ciucci un processo finito in prescrizione.
Passato quasi indenne dagli scandali delle consulenze d’oro per il Mose e della Dama nera dell’Anas Antonella Accroglianò, con una richiesta di danno erariale per 32 milioni che ha coinvolto anche lui, l’economista Ciucci si ripresenta ai blocchi di partenza insieme a un presidente ingegnere, Giuseppe Recchi, che è più giovane di quattordici anni, ma ha un carnet di incarichi riconducibile alla stessa area di influenza politica dell’ad di Sdm. Recchi, membro della famiglia di costruttori torinesi che si erano legati a Bettino Craxi durante la Prima repubblica, è stato presidente di General electric South Europe. Poi è passato dalla presidenza di Eni nel 2011, su designazione del governo Berlusconi IV, e di Telecom Italia nel 2014, prima che la famiglia Berlusconi e Vincent Bolloré rompessero i rapporti in modo traumatico.
Nell’ultimo periodo, Recchi ha lavorato nel settore sanitario come responsabile dell’area Europa della multinazionale Affidea, specializzata in diagnostica per immagini, analisi di laboratorio e fisioterapia con 58 centri in Italia.
I consiglieri che completano la squadra degli amministratori sono tre. Eleonora Mariani, 47 anni, è responsabile dell’ufficio legale di Anas dallo scorso novembre ed è fiduciaria diretta di Ciucci che la assunse alla Sdm nel settembre 2010. L’altra donna del quintetto è Ida Angela Nicotra 58 anni, avvocato e docente di diritto costituzionale a Catania, messa in cda su suggerimento di Renato Schifani, presidente della Regione siciliana uscito da Forza Italia nel 2013 per essere riaccolto come il figliol prodigo dal Cavaliere sette anni più tardi. Chiude il gruppo un altro avvocato, il rotariano Giacomo Francesco Saccomanno del foro di Palmi, già consulente dell’autorità portuale di Gioia Tauro. Dal febbraio 2021 Saccomanno è il commissario per la Calabria della Lega, che alle elezioni vinte dal forzista Roberto Occhiuto nel novembre del 2021 ha raccattato un modesto 8,3 per cento in netto calo rispetto al voto precedente (12,2 per cento).
Sul fronte del consorzio Eurolink, affidatario dell’opera dal lontano ottobre 2005 del governo Berlusconi III, per adesso non si registrano movimenti. La quota di riferimento (45 per cento) è in mano a Webuild, controllata da Pietro Salini con l’appoggio pubblico di Cdp. La seconda partecipazione (18,7 per cento) è degli spagnoli di Sacyr che hanno già festeggiato la rinascita del progetto ponte. Soprattutto perché la vecchia cifra per l’appalto, 3,9 miliardi di euro, è più che triplicata.
La terza quota, pari al 15 per cento di Eurolink, è riferibile a Condotte che è finita in amministrazione straordinaria nel 2018 ed è stata ceduta lo scorso aprile al gruppo Sorgente di Valter Mainetti per un pugno di euro (14,2 milioni). Mainetti ha lasciato intendere che farà valere i 7 miliardi di euro portafoglio lavori della storica impresa fondata alla fine dell’Ottocento, anche se potrebbe cercare un accordo con Salini.
Il quarto azionista con il 13 per cento, la Cooperativa muratori cementisti (Cmc) di Ravenna, Cooperativa muratori cementisti (Cmc) di Ravenna, che fu una delle maggiori coop rosse nell’edilizia, è ancora in mano ad Antonio Gaiani, Andrea Ferri e Luca Mandrioli, i commissari addetti al concordato. Le due quote residuali di Eurolink fanno capo ai giapponesi di Ihi (6,3 per cento), colosso da oltre 10 miliardi di dollari di ricavi, e per il 2 per cento al consorzio Argo guidato da Beniamino Gavio, che finanziò il Pd di Matteo Renzi. È solo una traccia rosa tenue sul ponte azzurro forzista.
L’Anac smonta il Ponte di Salvini. Nuovo scontro tra destra e giudici. GIULIA MERLO su Il Domani l'08 giugno 2023
Per l’Anticorruzione, il decreto per il ponte sullo Stretto provoca «uno squilibrio ai danni dello Stato». Rischio che i costi aumentino. Il ministro – che non replica – vuole far partire il cantiere entro il 2024
Il progetto del ponte sullo Stretto porta troppi vantaggi ai privati e non li vincola, invece il paese deve rispettare i freni europei anche di spesa e si rischiano futuri contenziosi. Questa, in sintesi, è la posizione di Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, che nella sua relazione annuale ha fatto emergere rilievi anche sulla rinegoziazione del Pnrr, l’eccessivo utilizzo di deroghe e i rischi legati alle soglie molto alte per gli affidamenti senza gara nel nuovo codice degli appalti.
La parte più dura del suo intervento, però, il presidente Giovanni Busia lo ha riservato al decreto ponte sullo Stretto, diventato ormai il totem del ministero dei Trasporti e pallino del ministro Matteo Salvini, che ha scelto come missione personale la costruzione del ponte tra Calabria e Sicilia. Lo stesso che fu la chimera dei vari governi Berlusconi: l’opera impossibile che ogni tanto veniva rispolverata per distrarre l’attenzione.
«Rileviamo uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi», ha detto Busia. Il recente decreto legge, che si basa su un progetto elaborato nel 2011, ha riavviato l’iter di realizzazione del ponte ma il governo non ha tenuto in considerazione nessuno dei rilievi mossi nei mesi scorsi da Anac, che aveva proposto alcuni interventi emendativi per rafforzare le garanzie per lo Stato.
Tre in particolare gli elementi problematici: il fatto che il ponte si riveli un grande favore ai privati, i rischi connessi ai vincoli europei e un contratto con clausole poco tutelanti. Pur di procedere rapidamente, infatti, non è stata bandita una nuova gara pubblica, quindi è stato riconosciuto valido il progetto di dodici anni fa «senza aver risolto il contenzioso precedente», concedendo in questo modo vantaggi sia giuridici che economici al soggetto privato, con il rischio che i rischi connessi all’opera ricadano in capo allo Stato.
La direttiva europea, infatti, impone un limite invalicabile come condizione per non rifare la gara: che l’aumento dei costi non superi il 50 per cento. Prospettiva difficile da rispettare, almeno esaminando il dato storico: basti pensare che il progetto del 2002 prevedeva una spesa di 4,3 miliardi, che in quello del 2011 sono saliti a 8. Inoltre il decreto assegna al privato un notevole potere contrattuale, secondo Busia: il decreto prevede che sia il privato e non il ministero a poter determinare, con una semplice relazione, le modifiche al ponte «stabilendo quindi i costi», che non saranno controllabili dallo Stato, il quale però dovrà gestirne le conseguenze. In altre parole, la scorciatoia trovata dal governo per permettere a Salvini di annunciare l’apertura del cantiere «nel 2024 e in 7-8 anni il transito del primo treno» rischia di diventare un salasso oltre che un rischio rispetto ai vincoli europei.
LA STRATEGIA COMUNICATIVA
Rilievi precisi e circoscritti, quelli di Anac, a cui il governo si è preso mezza giornata per rispondere. Nessuna richiesta di dimissioni di Busia, come Salvini aveva fatto solo qualche mese fa dopo le critiche al codice degli Appalti, solo una nota formale del Mit in cui le preoccupazioni di Anac vengono definite «totalmente infondate».
Il ministero, infatti, ha fatto notare che «verrà nominato un responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza» e che la tutela dei fondi pubblici è salvaguardata dal nuovo codice degli Appalti, che prevede «precise responsabilità e sanzioni». Inoltre, ha ricordato che il contratto ripristinato nel decreto era «frutto di una gara» e che tra gli oneri del contraente sono previsti «dai vincoli della normativa euro-unitaria sui contratti pubblici».
Nulla da temere quindi secondo il ministero, che però sceglie la linea della formalità e non ingaggia scontri diretti. Nessun tweet o battuta di Salvini, nessun intervento da altri nomi del centrodestra. Parola d’ordine, tirare dritto senza innescare polemiche. La nuova rotta si spiegherebbe con lo scontro con la Corte dei conti: il muro contro muro, tra sgarbi istituzionali e polemiche, non ha fatto bene all’immagine dell’esecutivo: come ha certificato Alessandra Ghisleri sulla Stampa, il risultato è stato un calo di consensi di mezzo punto sia per Fratelli d’Italia e una diminuzione degli indici di fiducia del governo. Meglio allora abbassare i toni: il 2024 è vicino e Salvini ha investito troppo nel progetto ponte per rallentare ora, anche col rischio di far esplodere i costi.
GIULIA MERLO
Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.
Cazzola: «Le preoccupazioni dell’Anac sul Ponte di Messina non hanno senso». L'economista al Dubbio: «Al presidente Busia chiedo: se opere come il ponte di Genova si possono fare e in tempi accettabili solo se si deroga in toto alle regole, non sono forse queste a essere sbagliate?» Giacomo Puletti su Il Dubbio il 9 giugno 2023
Illustrando la relazione dell’Autorità nazionale anticorruzione alla Camera, il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, a proposito del Ponte di Messina, ha evidenziato «uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi».
Professor Cazzola, pensa che le parole di Busia, subito riprese dall’opposizione (vedi la dem Anna Rossomando) porteranno problemi al governo e soprattutto al ministro Salvini?
Mi sfugge il senso della preoccupazione relativamente ad uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico. A me pare non solo normale ma anche necessario che un’opera tanto importante mobiliti anche del capitale privato che venga risarcito nel tempo attraverso i ricavi dall’uso del manufatto. La parte pubblica avrebbe comunque il controllo delle operazioni. La stessa Anac potrebbe svolgere il suo ruolo istituzionale. Poi a me piacerebbe che il presidente dell’Autorità rispondesse a una domanda di buon senso.
Cioè?
Nella Relazione al Parlamento il presidente Busia fa un’affermazione tanto condivisibile da essere ovvia. «La deroga - afferma - non può diventare regola, senza smarrire il suo significato e senza aprire a rischi ulteriori». Ma non gli viene il dubbio che se le opere - vedi il ponte di Genova - si possono fare e in tempi accettabili solo se si deroga in toto alle regole, forse sono queste ultime ad essere sbagliate? Ricordo che la revisione del Codice degli appalti è stata una condizione posta dalla Ue nel contesto del Pnrr. Ed è stato giusta questa condizione, perché non si può partire dalla premessa che i vincitori degli appalti siano dei corruttori. Ci sono tante grandi imprese italiane che in giro per il mondo costruiscono opere ciclopiche e che da noi non riescono neppure a costruire un garage. Peraltro è l’Anac stessa che smentisce il tasso di corruzione che ci attribuiamo da soli.
Lo stesso Salvini è stato contestato pochi giorni fa al porto di Catania da alcuni attivisti No Ponte, rei secondo Salvini di portare avanti quella che da anni è “la cultura dei No”. Riuscirà questo governo a raggiungere gli obiettivi prefissati?
C’è da essere pessimisti assistendo ai tempi che di solito vengono impiegati. Tuttavia questo Paese ha compiuto dei passi importanti. Senza andare troppo indietro e ricordare che l’Autostrada del Sole fu costruita in 8 anni ( poi da Salerno a Reggio Calabria c’è voluto mezzo secolo), possiamo annoverare l’Alta Velocità, il Mose, la bretella nel tratto Bologna Firenze. Pensi al Ponte che collega Danimarca e Svezia o il tunnel sotto la Manica. Noi siamo diventati il Paese che deve presidiare con le Forze dell’ordine i lavori della Tav, che ha consentito l’assassinio della più grande acciaieria europea, che ha lascito morire milioni di piante d’ulivo, che ha fatto un referendum contro le trivellazioni a costo di rinunciare a ingenti giacimenti di gas, che alleva cinghiali spazzini, piuttosto che impiantare termovalorizzatori. Mi fermo qui per carità di patria.
L’intervento dell’Anac si inserisce in una dialettica già accesa tra governo e Corte dei Conti, doppio provvedimento che limita i controlli dei magistrati contabili sul Pnrr: pensa sia un atto uno scontro tra istituzioni?
Le rispondo citando un brano del Pnrr. Sotto il titolo “Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione’’ venne scritto: «La corruzione può trovare alimento nell’eccesso e nella complicazione delle leggi. La semplificazione normativa, dunque, è in via generale un rimedio efficace per evitare la moltiplicazione di fenomeni corruttivi. Vi sono, in particolare, alcune norme di legge che possono favorire più di altre la corruzione. Si rende, dunque, necessario individuare prioritariamente alcune di queste norme e procedere alla loro abrogazione o revisione. Ad esempio – proseguiva il documento - vanno riviste e razionalizzate le norme sui controlli pubblici di attività private, come le ispezioni, che da antidoti alla corruzione sono divenute spesso occasione di corruzione. È necessario eliminare le duplicazioni e le interferenze tra le diverse tipologie di ispezioni». Si arrivava poi al sancta sanctorum della legge Severino, il vero scivolone populista del governo Monti: «Occorre semplificare le norme della legge n. 190/ 2012 sulla prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. Al tempo stesso, occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione - come le disposizioni sulla trasparenza - impongano alle amministrazioni pubbliche e ai soggetti privati di rilevanza pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti». Per me queste parole sono scritte nella Bibbia A proposito di Pnrr, il commissario Gentiloni ha rassicurato sulla flessibilità dell’Ue, mettendo in guardia però dal fare “presto e bene”.
Come giudica l’operato del governo fin qui?
Il governo ha operato bene dove ha smentito il programma “storico” delle forze politiche della maggioranza. Quando per fini interni ha voluto piantare qualche bandierina si sono visti subito i limiti. Poi si porta la responsabilità dei ritardi nel Pnrr. L’errore più grave è stato quello di pretendere di smontare l’apparato di gestione messo in piedi da Draghi per affidarlo ad una cordata che da Fitto in giù non ne sapeva nulla. Poi adesso si vede quanto sia stato sbagliato far cadere il governo Draghi. Si sono persi dei mesi preziosi nel portare avanti sia pure con fatica il Pnrr.
Ci sono rischi concreti che i ritardi accumulati sul Pnrr non solo facciano slittare buona parte dei progetti ma determinino anche la sospensione delle prossime rate da parte dell’Ue?
On va sans dire. Lo si capisce anche dal tergiversare della Commissione sulla rata in riscossione adesso. Tutti i paesi hanno dei problemi.
L’ossessione Salvini e il sogno sul Ponte sullo Stretto che non sa ancora come realizzare. Giacomo Di Girolamo su L'Inkiesta il 9 giugno 2023.
Il ministro delle Infrastrutture da mesi ripete che presto costruirà «un’opera unica come la Cupola del Brunelleschi». Gli scettici sono sempre di più, sono spuntati di nuovo i comitati contrari e diversi studi suggerirebbero un dietrofront immediato
Di sicuro c’è solo che sarà lungo. Molto lungo. È il Ponte sullo Stretto di Messina, quello che unirà finalmente la Sicilia al resto del mondo, e che è diventato, in questi ultimi mesi, l’ossessione di molti siciliani, e di un padano, Matteo Salvini.
Il ministro delle Infrastrutture l’avrebbe sfruttato molto il ponte, in questo periodo, dato che fa va e vieni dalla Sicilia ogni quindici giorni, in pratica, per fare una conferenza di servizio, un annuncio, una riunione tecnica, o partecipare ad un convegno, su questo benedetto Ponte intorno al quale si muovono tantissime cose, per ora, ma solo sulla carta.
L’ultima novità in ordine di tempo è il ritorno in vita della famosa società Stretto di Messina, costituita nel 1981, smantellata nel 2013. E adesso, risorta. I soci (tutti pubblici: Rfi, Regione Siciliana, Regione Calabria, Ministero dell’Economia e Finanza, Ministero dei Trasporti) si sono riuniti in assemblea per approvare il nuovo statuto e il nuovo Consiglio di amministrazione. A guidare la società è stato richiamato, come Amministratore delegato, Pietro Ciucci, già in carica dal 2002 al 2013, quando il governo Monti disse stop ai sogni del Ponte sullo Stretto, mettendo la società – costata trecento milioni di euro – in liquidazione.
«Realizzeremo dopo decenni un’opera di importanza mondiale», è stato il commento di Salvini, fotocopia delle dichiarazioni precedenti fatte fin qui, con qualche variazione sul tema. «Sarà un’opera unica come la Cupola del Brunelleschi», o «Sarà l’opera più green di sempre, ripulirà il mare e darà centomila posti di lavoro, ad operai italiani, perché sono i migliori al mondo». Oppure: «Non è il ponte di Messina, è il ponte degli italiani». Ancora: «Sarà un ponte antimafia».
«L’Italia sarà esempio nel mondo», ad esempio, si legge dopo l’approvazione del decreto “salva – Ponte” del 31 marzo scorso in Parlamento. È grazie a quel provvedimento che la Società dello Stretto torna in vita, cessa il contenzioso da oltre un miliardo di euro con chi il ponte dovrebbe farlo davvero, Eurolink e Parson Transportation, e viene rilanciata la prosecuzione del progetto.
Per convincere gli scettici sulla bontà dell’opera, al ministero guidato da Salvini hanno anche aperto una pagina dedicata alla Faq sul Ponte, contro i gufi, direbbe lui, e con qualche numero: ottomila elaborati per la progettazione dell’opera, tremilatrecento metri di lunghezza, 60,4 di larghezza, sei corsie stradali, due binari per una capacità di seimila veicoli l’ora e duecento treni al giorno. Poi, però, più uno si addentra, più il contorno si fa incerto. Ad esempio, quanto sarà alto questo ponte? sessantacinque metri, dicono al ministero. Così è troppo basso, rispondo i tecnici, e le navi non passeranno. Al ministero, poi, smontano le accuse sul pericolo vento e terremoto. È progettato per una resistenza fino ad un sisma di 7,1 gradi della scala Ritcher, spiegano sempre le Faq del Ministero, e fino a duecentosettanta chilometri orari di vento.
Salvini ci crede. Nel governo fanno i conti. Giorgia Meloni da queste parti non si vede, e tutto assume la forma di un gigantesco giocattolo per distrarre il più ingombrante degli alleati. Circa i costi, lì sorgono i problemi. Perché quando nel 2013 il governo Monti stoppò la società Ponte sullo Stretto, la struttura costava 8,5 miliardi di euro. Oggi sono già 13,5 miliardi, senza contare le opere connesse. E il tutto a ruspe ferme.
Lo stesso Def, il Documento di Economia e Finanza, segnalava qualche settimana fa la mancata copertura delle risorse, ma per Salvini non è un problema: «Vedrete che alla fine costerà anche di meno. E poi ci sono tanti investitori stranieri pronti a partecipare alla spesa». Inedito alleato di Salvini in questa missione è il presidente della Regione, Renato Schifani. I due non si risparmiano nei complimenti reciproci e si spalleggiano. Così, anche Schifani rassicura sui costi. Prima li fa anche aumentare: «La spesa sarà di quindici miliardi – dice, ad abudantiam, l’ex presidente del Senato – ma l’Europa non si tirerà indietro, e poi ci sono i ricavi dei transiti».
«I lavori cominceranno l’anno prossimo», ha detto Salvini intervenendo in un blindatissimo convegno della Cisl, lunedì 6 giugno, a Messina. Cioè nell’estate 2024. Si fa i rilanci da solo: in Parlamento, qualche settimana fa, parlava di avvio dei lavori nel 2025. Di questo passo è capace che si apre il cantiere e ci coglie tutti impreparati.
A mettere i bastoni tra le ruote, in ultimo è l’Anac, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione. Nella sua relazione annuale il numero uno Giuseppe Busia boccia l’opera pubblica: «Comporta troppi rischi per la parte pubblica», scrive, riferendosi agli squilibri nel rapporto tra concedente pubblico e, appunto, i privati: «Il recente decreto-legge, sulla base di un progetto elaborato oltre dieci anni fa, ha riavviato l’iter di realizzazione del ponte tra Sicilia e Calabria – si legge nella relazione -. Sono stati, da parte di Anac, proposti alcuni interventi emendativi volti a rafforzare le garanzie della parte pubblica, non accolti, tuttavia, dal Governo in sede di conversione del decreto».
E così come la società Ponte sullo Stretto è tornata in vita, ecco rispuntare anche i comitati “No Ponte”, tenuti ben lontani dai convegni di queste settimane. Lunedì per evitare contestazioni, il convegno della Cisl con Matteo Salvini ospite si è tenuto a bordo di una nave, al porto di Messina.
All’arrivo, per il leader della Lega, rotoli di carta igienica e insulti. Gli aderenti al comitato sono tanti, e denunciano che, in un territorio fragile come quello di Messina, solo per le fondamenta del Ponte ci sono settantacinque torrenti da mettere in sicurezza, e che, ad esempio, solo gli espropri da fare riempiono un documento di 1039 pagine, con resort, ville di lusso, condomini, mentre escono i primi studi contrari, che smontano gli effetti positivi che il ponte avrebbe su turismo, trasporti.
«Un’opera dal costo elevatissimo e ingiustificato di cui non è stata ancora dimostrata la costruibilità e non è finanziata», scrivono in un rapporto di cinquanta pagine Wwf e Lipu. «La si vuole realizzare con una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale addomesticata e bypassando l’obbligo di gara per l’affidamento al general contractor».
L’importanza di questo movimento non va sottovalutata. Proprio uno dei leader della protesta, Renato Accorinti, nel 2013 divenne Sindaco di Messina ed entrò nel palazzo municipale indossando la maglietta No Ponte. Non gli manca il coraggio: nel 2002 per protestare contro il Ponte si arrampicò sul pilone dell’elettrodotto di Monte Faro, a duecentoventi metri di altezza, stando sospeso per un giorno e una notte. Anche lui si è rifatto vivo. Annuncia una grande manifestazione per il prossimo 17 giugno, rispolverando l’ironia dei vecchi tempi: «È inutile fare il Ponte sullo Stretto, quando da Messina a Palermo in treno ci vogliono più di tre ore. Il nostro Vincenzo Nibali, il campione italiano di ciclismo, ci mette di meno».
Sui porti Matteo Salvini, come al solito, smentisce sé stesso. In nome del consenso elettorale. Il ministro vara un decreto per ampliare i poteri dell’Autorità nazionale dei Trasporti e la trasparenza nella gestione di questi snodi demaniali. Mossa necessaria per avere i fondi del Pnrr. Ma indigesta alle authority locali e a un mondo allergico alla concorrenza. E lui rinnega il suo atto. Sergio Rizzo su L'Espresso il 7 Giugno 2023
Algoritmi o «format»? Questo il dilemma che ha innescato la battaglia dei porti italiani. Da una parte ecco il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Il quale venerdì 21 aprile firma un decreto che vincola le concessioni rilasciate ai privati dalle autorità portuali ai piani economico finanziari delle stesse autorità; specificando però che questi devono seguire i «format» stabiliti dall’authority di regolazione dei trasporti nazionale. Dalla parte opposta, ecco di nuovo il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che, tirato in ballo a un convegno triestino organizzato dai capi degli enti che gestiscono i porti, dice: «Non può essere un algoritmo o un’authority a decidere le concessioni per le autorità portuali».
Un ministro che smentisce sé stesso non è una gran novità. Per Matteo Salvini, poi, si potrebbe affermare che è quasi un’abitudine. Non molti anni fa, per ricordare solo un caso, aveva sonoramente bocciato il ponte sullo Stretto di Messina, di cui ora è invece diventato il più strenuo sostenitore. Ma un conto sono le dichiarazioni e un conto assai diverso sono gli atti firmati. Tanto più se dietro quegli atti, nella fattispecie il decreto ministeriale 110 del 21 aprile che amplia i poteri dell’Autorità nazionale di Regolazione dei Trasporti, non c’è la manina di qualche funzionario fuori controllo, bensì il mitico Pnrr dei 200 miliardi europei.
Dove sta scritto, nero su bianco, che per avere i soldi il governo italiano si impegna ad approvare «norme finalizzate a introdurre criteri trasparenti e certi per il rilascio di concessioni per la gestione dei porti e dirette a favorire un esercizio più efficiente degli stessi». Il sito del ministero di Salvini spiega infatti che l’emanazione di quel decreto è anche funzionale all’incasso della terza rata dei fondi europei. Qualche miliardino di euro.
Il sospetto è che mentre Salvini firmava quel decreto, lui e il suo braccio destro Edoardo Rixi, leghista genovese sottosegretario ai Trasporti che già aveva ricoperto il medesimo incarico con il ministro grillino Danilo Toninelli nel primo governo di Giuseppe Conte, non si siano resi conto fino in fondo della sua reale portata. Oppure abbiano più semplicemente dovuto fare buon viso a cattivo gioco. E che gioco. Perché l’authority nazionale dei trasporti non avrebbe solo il potere di definire i «format» dei piani economico finanziari delle autorità portuali ma anche di valutarli esprimendo pareri sulle concessioni e la loro durata, arrivando perfino a proporne la sospensione o la revoca.
Ci sono tutti gli elementi, insomma, perché la mossa sia risultata indigesta a un mondo dove da decenni sulle strutture demaniali si sono incrostate rendite di posizione difficilissime da scalzare. Dunque ostili a ogni apertura del mercato. Ovviamente su una scala diversa, ma è esattamente quello che è successo nel caso delle concessioni balneari, dove la concorrenza non riesce a fare breccia grazie anche all’opera di interdizione della politica. Pronta a dare man forte a ogni categoria di elettori. E come sempre, quando un settore manifesta una profonda allergia per la concorrenza, il nemico viene incarnato nell’autorità indipendente che ha invece il compito di farla rispettare.
In realtà l’Autorità nazionale presieduta da Nicola Zaccheo poteri simili sui porti già li aveva. Gli sono stati assegnati dalla legge istitutiva del 2011. L’articolo 37 prescrive che l’authority «provvede a garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture portuali…». Più chiaro di così? Ma appena ha timidamente tentato di esercitarli è iniziato un micidiale fuoco di sbarramento. I contatti avviati con i vertici degli enti portuali nella prospettiva di aprire un confronto si sono subito chiusi per assoluta mancanza di dialogo. E di informazioni, come fossero porti delle nebbie.
Più volte l’Autorità ha chiesto di avere accesso ai dati sulle concessioni demaniali, ma senza risultati. Zaccheo se n’è lamentato pubblicamente, nella presentazione dell’ultima relazione annuale. Lì ha denunciato che il Sistema Informativo del Demanio marittimo, il cosiddetto Sid, è incompleto. E che la carenza di dati e informazioni pregiudica l’attività di regolazione che la legge attribuisce all’authority. Tutti però hanno fatto spallucce. Ma la colpa non può essere addossata soltanto agli enti che li gestiscono. Anche perché quegli enti sono emanazioni dirette del ministero delle Infrastrutture. E ripercorrendo la vicenda che riguarda il Pnrr la sfera delle responsabilità istituzionali appare più limpida. La verità è che il ministero di Salvini ha ostacolato fin dall’inizio il ruolo dell’authority.
Prova ne sia la circostanza che nella prima versione del decreto di cui sopra sulle linee guida necessarie per ottenere la terza rata dei fondi europei l’Autorità Nazionale dei Trasporti non era neppure menzionata. Tutti i poteri sulle concessioni erano nelle mani degli enti portuali, in evidente e clamoroso contrasto con gli orientamenti comunitari. Ma perfino con quanto era già scritto nel nostro Pnrr, che quegli orientamenti aveva dovuto per forza recepire. A pagina 83 del documento si sottolinea proprio l’esigenza di rafforzare le prerogative delle autorità indipendenti, con un esplicito riferimento all’Authority dei Trasporti. Il decreto così è stato bocciato dall’Unione Europea e gli uffici hanno dovuto riscriverlo. Provocando una rivolta che ha innescato l’apparentemente incredibile inversione di rotta di Salvini.
Il fatto è che le autorità portuali sono centri di enorme potere locale, perciò non indifferenti agli interessi della politica. Abbiamo detto che formalmente quegli enti dipendono dal ministero dei Trasporti, che provvede a nominarne i vertici. Ma è inutile precisare che difficilmente ciò avviene senza il placet, per non dire la designazione, del potere politico di prossimità. Se non è sufficiente, il gradimento dei presidenti di Regione dei sindaci dei grandi Comuni è comunque una condizione necessaria.
Così, quando è scoppiata la sollevazione, il ministro si è schierato subito dalla parte dei rivoltosi contro il decreto che lui stesso aveva appena firmato. Mentre il suo braccio destro Rixi puntava il dito verso Bruxelles. E intanto i leghisti manovravano in Parlamento per disinnescare i poteri dell’authority sul sistema portuale. Nel decreto Lavoro approvato dal governo il primo maggio ha fatto capolino un emendamento per esentare i porti dal pagamento del contributo dovuto all’autorità di Zaccheo da tutti i soggetti regolati. L’emendamento è poi naufragato, ma se fosse passato avrebbe di fatto sottratto gli enti alla sua sfera di competenza.
A guidare la rivolta sul fronte dei porti è un signore che si chiama Zeno D’Agostino. È il presidente dell’autorità di sistema portuale dell’Adriatico orientale, ovvero i porti di Trieste e Monfalcone. Non è un politico, anche se con la politica ha sempre dovuto convivere. A Napoli, quando era segretario della locale autorità portuale. E a Trieste. Con la sinistra e con la destra. In Friuli-Venezia Giulia è arrivato quando presidente della Regione era l’ex vicepresidente del Partito Democratico Debora Serracchiani ed è rimasto anche con il suo successore leghista Massimiliano Fedriga.
E a dimostrazione di quanto un ruolo come il suo possa essere influente su un territorio, e di conseguenza sulla politica, il fatto che nell’intemerata triestina del 22 maggio contro il suo stesso decreto Salvini abbia ripetuto come un registratore il medesimo termine («algoritmo») impiegato da D’Agostino per aprire le ostilità. Una guerra dichiarata alla luce del sole, senza alcun infingimento. «Non ha senso che a fare una valutazione fondamentale delle concessioni portuali sia un algoritmo. Continuiamo a dirci ai convegni che alcune concessioni dei porti hanno un valore strategico, geopolitico, politico importante, poi però le scelte strategiche sono date a un soggetto indipendente che nulla ha a che vedere con la visione geopolitica del governo», si preoccupa il presidente del porto di Trieste.
Preoccupazione condivisa sorprendentemente perfino dalla ex presidente di Regione del Pd, Debora Serracchiani: «Sono scelte che vanno legate a una prossimità e conoscenza dei propri territori, che può non essere la condizione di un’autorità centrale». Applausi scroscianti, e si capisce perché. La posta in gioco è enorme. Intorno alle 16 autorità portuali italiane girano miliardi di euro. E migliaia di concessioni piccole e grandi, ai privati, dal valore «strategico, geopolitico e politico importante», come ammette D’Agostino. Vogliamo rovinare tutto questo per un po’ di concorrenza? Ingenui.
A volte ritornano: tutto quello che c’è da sapere sul Ponte sullo Stretto. MARIA FRANCESCA FORTUNATO il 12 Maggio 2023 su Il Quotidiano del Sud.
PONTE SULLO STRETTO: L’OPERA CHE NON C’È HA PIÙ DI UN SECOLO E MEZZO DI STORIA (E UN CONTO MILIONARIO)
Campata unica. Due campate. A due piani. Tunnel sottomarino. Soluzione di Archimede. La storia del Ponte (che non c’è) sullo Stretto è lunga più di 150 anni. E in questo secolo e mezzo i progetti proposti per realizzarlo sulle sponde di Calabria e Sicilia sono stati i più disparati.
Se gli annunci che si sono susseguiti negli anni, da un governo all’altro, si fossero realizzati, di Ponti sullo Stretto a quest’ora ne avremmo inaugurati almeno quattro (e la stima è al ribasso). Nel 1960, nel 1994, a metà più o meno degli anni 2000 e nel 2018, che era l’anno di consegna previsto dal progetto definitivo del Ponte sullo Stretto da cui si sta ripartendo. La prossima data da segnare – la previsione stavolta è del ministro Salvini – è il 2032. Da lì, ha detto il responsabile del dicastero per le Infrastrutture, il Ponte sullo Stretto «potrebbe essere percorribile».
Finora, però, l’obiettivo di realizzare un collegamento stabile tra Sicilia e ‘continente’ l’avrebbero centrato solo i romani. Gente che di grandi opere se ne intendeva. L’episodio – se si accorda fiducia agli storici Strabone e Plinio il vecchio, che lo raccontano qualche secolo dopo – risale alle Guerre puniche e alla battaglia di Palermo.
Il console romano Lucio Cecilio Metello, nel 251 a.C., avrebbe fatto costruire un ponte sullo Stretto provvisorio con le botti. Il tutto per trasferire a Roma, dalla Sicilia, i 104 elefanti catturati alle legioni di Asdrubale. Strabone e Plinio il Vecchio, però, sono vissuti entrambi parecchio tempo dopo Metello e Asdrubale, per cui il fatto resta lì, avvolto un po’ dalla leggenda.
Lucio Cecilio Metello:
“Radunate a Messina un gran numero di botti vuote le ha fatte disporre in linea sul mare legate a due a due in maniera che non potessero toccarsi o urtarsi”.
“Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e da altre materie e fissò parapetti di legno ai lati affinché gli elefanti non avessero a cascare in mare”.
Anche Carlo Magno avrebbe accarezzato l’idea di congiungere le due vicinissime sponde di Calabria e Sicilia. E dopo di lui anche Roberto il Guiscardo e Riccardo Cuor di Leone. E con l’Unità d’Italia che la necessità di garantire un collegamento tra la Sicilia e il resto del Paese torna a farsi sentire. Così il Ponte sullo Stretto inizia a comparire, con alterne fortune, nelle agende dei governi. Le difficoltà progettuali prima, le guerre, le crisi economiche e politiche, l’impossibilità di reperire un finanziamento così impegnativo poi, hanno lasciato il Ponte nel libro dei sogni.
In fondo, neanche Paperon de Paperoni è riuscito nell’impresa: lo racconta una storia apparsa su un Topolino di quasi quarant’anni fa (è il 1982) dedicata proprio al visionario progetto.
LA STORIA DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA
L’allora ministro alle Infrastrutture e trasporti Lunardi, Silvio Berlusconi e Bruno Vespa
Se il Ponte sullo Stretto – o quello che oggi del Ponte abbiamo, ovvero un progetto – è già diventato un’opera mitologica, forse è anche perché eredita parte di quel carico di suggestioni che quella sottile striscia di mare tra Sicilia e Calabria porta con sé. Le correnti forti e irregolari e i venti a volte violenti rendevano la navigazione irta di pericoli, così da alimentare la leggenda di Scilla, colei che dilania, e di Cariddi, colei che risucchia.
Lasciamo però le stagioni del mito, di Omero e di Virgilio, per arrivare a tempi a noi un po’ più vicini. È con l’Unita d’Italia – ricorda Aurelio Angelini nel suo ‘Il mitico Ponte sullo Stretto di Messina’ edito da FrancoAngeli – che l’esigenza di collegare in modo stabile Sicilia e continente si fa più urgente nel Paese. Nel 1896 entrano in servizio le prime due navi traghetto – ‘Scilla’ e ‘Cariddi’ – ma qualche decennio prima il ministro dei lavori pubblici Stefano Jacini aveva affidato al costruttore Alfredo Cottrau l’incarico di studiare la fattibilità di un collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. I risultati si rivelano negativi: Cottrau conclude che è impossibile: le acque profonde e le correnti impetuose rendono pressoché impossibile la costruzione di piloni, a meno di non voler investire cifre enormi.
Tuttavia tecnici e politici non si scoraggiano. Tempo quattro anni e l’ingegnere torinese Carlo Navone presenta alla camera dei Deputati il progetto di un tunnel, aprendo così il dibattito tra scelta aerea o sottomarina che sarebbe andato avanti per anni. I traghetti, però, si mostrano decisamente meno costosi come soluzione. E così i governi successivi accantonano sul finire dell’800 l’idea del Ponte sullo Stretto. Il terribile terremoto del 1908, che distrugge le città dello Stretto, contribuisce al declino (momentaneo) dell’idea.
Bisogna attendere il secondo dopoguerra e gli anni del boom per ritrovare il Ponte come tema (quasi) costante del dibattito pubblico. L’entusiasmo è grande, proliferano comitati e progetti. Il fascino di un’opera così ambiziosa travalica l’oceano e finisce per conquistare gli emigrati italiani negli Usa. L’ingegner Mario Palmieri dà vita in America alla società “Messina Strait Bridge Corporation” che nel maggio del ’55 presenta un suo progetto, che ottiene il parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici.
C’è anche un piano finanziario: il 75 per cento dell’opera sarebbe stato a carico di risparmiatori Usa. Si azzarda per l’inaugurazione dell’opera anche una data, fissata al 30 giugno del 1960. Ma non è l’unico progetto avanzato in quegli anni. Nel ’53 aveva già fatto la sua apparizione alla Fiera di Messina un modellino in scala del ponte a tre campate ideato dall’ingegner Fausto Masi. E c’è anche l’idea ardita dell’ingegner Nino Del Bosco, che propone la realizzazione di un istmo artificiale per collegare la costa siciliana e quella calabrese tra Ganzirri e Punta Pezzo.
Ma la data da segnare in rosso sul calendario è il 1969. Nell’anno del primo uomo sulla Luna, il governo italiano si sente pronto ad affrontare le ‘terribili’ Scilla e Cariddi. Viene bandito il “Concorso Internazionale di idee per il collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente”. Arrivano 143 progetti, dopo due anni vengono assegnati sei primi premi ex aequo e altrettante menzioni. È qui che vengono definite le prime caratteristiche del futuro Ponte, tuttora valide, come la previsione di due binari ferroviari e sei corsie autostradali. Tra le soluzioni progettuali selezionate prevale il ponte sospeso a una o più campate: solo una delle sei ‘vincenti’ prevede il tunnel.
Nel 1971 – governo Colombo – il Parlamento approva la legge che autorizza la creazione di una società di diritto privato a capitale pubblico, concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento stabile tra la Sicilia e il resto del Paese: la Stretto di Messina SpA muove i primi passi. Il 51 per cento delle azioni viene assegnato all’Iri, il resto va a Ferrovie dello Stato, Anas, le Regioni Sicilia e Calabria. Primi passi, ma lenti: bisogna aspettare dieci anni per vedere la nascita della società con l’avvocato Oscar Andò primo presidente. A tenerla a battesimo il presidente del Consiglio Arnaldo Forlani.
È l’84 quando il ministro per gli interventi straordinari del Mezzogiorno Claudio Signorile annuncia che lo Stato avrebbe realizzato il ponte entro il 1994. Già l’anno dopo, il 1985, le stime saranno diverse. Il presidente del Consiglio Bettino Craxi ipotizza l’avvio dei cantieri per il 1988: resteranno operanti, dice, «per otto, dieci anni». Nel 1988 dei cantieri non c’è traccia: in quell’anno però si individua la soluzione progettuale. Anas, Ferrovie e Consiglio superiore dei Lavori pubblici optano per il ponte sospeso e si sceglie quello a campata unica di 3.300 metri sulla direttrice Cannitello-Ganzirri.
Nel ’92, seguendo questa soluzione tecnica, si presenta il progetto di massima definitivo, approvato – cinque anni più tardi – dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Ed è sul finire degli anni ’90 che le associazioni ambientaliste e con loro anche tanti accademici organizzano la mobilitazione ‘no ponte’. Nasce il comitato ‘Tra Scilla e Cariddi’, che si rivolge all’Unesco per difendere quello che definiscono il ‘cuore del Mediterraneo’.
Nel frattempo arriva il nuovo millennio e con esso il Ponte entra nel contratto con gli italiani dei Governi Berlusconi. Il Cavaliere si mostra, senza dubbio, il suo più grande sostenitore. Ne vede solo i vantaggi, anche quelli romantico-sentimentali, se vogliamo chiamarli così.
Con il Ponte, dice in una delle tante battute, «si potrà andare dalla Sicilia in Italia anche di notte, e chi ha un grande amore dall’altra parte non dovrà aspettare i traghetti per tornare alle 4 del mattino». Un’altra volta se ne esce asserendo che «con quest’opera i cittadini siciliani saranno al 100% italiani». E più di recente, ‘sprona’ la Calabria alla conquista della Sicilia ‘via’ Ponte.
Ma torniamo agli atti. Nel dicembre 2001 il dicembre il Senato approva la “Legge Obiettivo sulle Grandi Opere” e il Cipe approva l’elenco delle prime 19: al Ponte si assegna priorità assoluta. Due anni dopo il Consiglio d’Amministrazione della ‘Stretto di Messina’ SpA – in cui l’azionista di maggioranza è diventata Fintecna, con la chiusura dell’Iri – approva il progetto preliminare dell’opera e nel 2004 si bandisce la gara per individuare il General contractor a cui affidare progettazione definitiva, esecutiva e realizzazione dell’opera. Le procedure si concludono nel 2005, con l’aggiudicazione al Consorzio Eurolink, con Impregilo capofila: i lavori sarebbero dovuti partire nel 2007 per concludersi nel 2012 con un costo previsto intorno ai 3,88 miliardi.
Il 2006, però, con la vittoria del centrosinistra e la formazione del secondo governo Prodi segna un nuovo stop per l’opera, giudicata da Palazzo Chigi non prioritaria e dal neoministro dell’Ambiente, il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, inutile.
Tempo due anni e con il cambio del governo e il ritorno, alla sua guida, di Silvio Berlusconi l’operazione Ponte riparte. Nel 2009 l’assemblea straordinaria della Stretto di Messina SpA approva l’aumento di capitale di 900 milioni di euro (soldi provenienti da Anas e Rfi) e nello stesso anno partono i lavori di realizzazione della variante ferroviaria di Cannitello, necessaria per eliminare le interferenze con il futuro cantiere sulla sponda calabrese. Nel 2011 viene approvato il progetto definitivo, con una previsione di spesa di 8,5 miliardi di euro.
Un nuovo stop è dietro l’angolo, al cambio della maggioranza politica e complice anche la decisione di Bruxelles di depennare il Ponte dalle opere finanziabili con fondi comunitari. Il nuovo governo dei tecnici guidati da Mario Monti avvia la chiusura del progetto che culmina con la messa in liquidazione nel 2013 della società concessionaria. Sembra la pietra tombale sul Ponte, ma non sarà così.
Ci pensa Matteo Renzi premier a rilanciarlo nel 2016 e più tardi, nel 2020, il governo Conte che intende portare l’alta velocità in Sicilia. Il Governo istituisce un Gruppo di lavoro che deve esaminare le soluzioni per i possibili collegamenti tra Calabria e Sicilia. La relazione finale, che giudica vantaggiosa la realizzazione del Ponte, arriva dopo un anno. Il ministro Giovannini (governo Draghi) nel maggio 2022 affida a Rfi 50 milioni di euro per avviare un nuovo studio di fattibilità. Studio, però, mai realizzato: quei 50 milioni finiranno per esser destinati alla rinascita della società concessionaria.
Il resto è cronaca dei giorni nostri: l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e di Matteo Salvini al ministero delle Infrastrutture riporta il Ponte in cima all’agenda del governo. A marzo 2023 un decreto legge riattiva la società Stretto di Messina con un assetto societario che prevede la partecipazione di Rfi, Anas, delle Regioni Sicilia e Calabria e, per una quota non inferiore al 51%, di Mef e Mit. Si riparte dal progetto definitivo del 2011 (da rivedere e aggiornare) e dai contratti stipulati con Impregilo, oggi WeBuild.
IL PROGETTO DEL PONTE SULLO STRETTO
Il progetto definitivo approvato nel 2011 – ora punto di (ri)partenza per il ministero delle Infrastrutture – prevede la realizzazione di un ponte a campata unica. La più lunga al mondo: misurerà 3.300 metri circa su un totale di 3.666 di lunghezza complessiva dell’opera. Le due torri centrali – da cui partono due coppie di cavi per il sistema di sospensione – saranno alte 399 metri, l’impalcato largo 61. I cavi saranno lunghi complessivamente 5.320 metri: ciascuno conterrà 44.323 fili d’acciaio. Saranno garantiti 65 metri di altezza di canale navigabile centrale per il transito di grandi navi. E le torri sorgeranno l’una a Ganzirri, frazione di Messina, l’altra a Cannitello, quartiere di Villa San Giovanni: sono i punti più ravvicinati dello Stretto.
Il Ponte avrà 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, con una capacità di transito pari a 6mila veicoli l’ora e 200 treni al giorno. L’infrastruttura è stata progettata con una resistenza al sisma pari a 7,5 magnitudo della scala Richter, con un impalcato aerodinamico di “terza generazione” stabile fino a velocità del vento di 300 km/h.
Previsti anche, da progetto, 40 chilometri di opere di raccordo stradale e ferroviario sui versanti calabrese e siciliano, in larga parte in galleria, per collegare il Ponte alle linee autostradali e ai tracciati ferroviari.
Quali saranno i vantaggi? Si prevedono tempi di percorrenza praticamente dimezzati.
Secondo il report dei tecnici ministeriali incaricati dal governo Conte, il tragitto da Reggio Calabria a Messina, che oggi richiede un’ora circa in treno e almeno 70 minuti in auto, si coprirebbe in mezz’ora.
Questo progetto, che come detto risale a oltre dieci anni fa, affronterà comunque una fase di revisione prima di passare all’esecutivo. Il decreto che a fine marzo ha fatto ripartire la società Stretto di Messina prevede l’integrazione con una relazione del progettista. Nella relazione andranno indicate le prescrizioni da sviluppare nell’esecutivo per adeguare il progetto alle nuove norme, alle evoluzioni tecnologiche che ci sono state, alle prove sperimentali richieste dal Comitato scientifico nel 2011 e assicurarne la compatibilità ambientale. Quest’ultima, come vedremo più avanti, è una questione ancora aperta.
In viaggio virtuale lungo il ‘futuro’ Ponte nel video pubblicato da WeBuild nel 2021
SI DICE SOSPESO O STRALLATO?
Capita di sentir chiamare il ‘futuro’ Ponte in entrambi i modi. Il ministero lo ha definito una volta ponte ‘sospeso strallato’. Qual è la definizione esatta? Il Ponte, per come è stato progettato dalla cordata guidata da Impregilo nel 2011, è un ponte sospeso.
Il ponte strallato è un ponte sospeso in cui lunghi cavi (gli stralli) partono dai piloni di sostegno e si agganciano direttamente all’impalcato (un esempio è il ponte di Calatrava a Cosenza). Nel ponte sospeso di tipo ‘classico’ i cavi principali sono sorretti dai due piloni. Da questi cavi ne partono poi altri secondari e verticali che si agganciano all’impalcato.
Lo spiega bene in questo video Andrea Moccia di Geopop
PONTE SULLO STRETTO, I LAVORI ‘INIZIATI’
Un cantiere, legato ai lavori di realizzazione del Ponte sullo Stretto, in realtà è stato già aperto e anche completato. Parliamo dei lavori per la Variante ferroviaria di Cannitello, a Villa San Giovanni, ultimati nel 2012.
Si tratta di lavori propedeutici alla costruzione del Ponte, necessari per risolvere le interferenze con il futuro cantiere della torre dell’infrastruttura, lato Calabria.
I costi sostenuti per la realizzazione della variante – si ricava dal bilancio 2021 della società Stretto di Messina – ammontano a 20milioni 394mila euro (il tetto stabilito era pari a 26 milioni). Il ministero delle Infrastrutture ha liquidato alla Stretto di Messina SpA 18 milioni 689mila euro in rate annuali dal 2007 al 2017.
Quel che resta (almeno per ora) è uno scatolone di cemento armato che a Villa San Giovanni chiamano ecomostro. Nel progetto definitivo del Ponte era previsto il mascheramento di questo muraglione che oggi sfregia il paesaggio di Villa: sarebbe rientrato tra le opere ‘connesse’, sulla sponda calabrese, disegnate dall’architetto Daniel Libeskind, a cui si deve la Freedom tower sorta sull’area distrutta a New York dagli attentati dell’11 settembre 2011. Le opere comprendevano l’area del centro direzionale della località Piale a Villa San Giovanni, la fascia dal blocco di ancoraggio alla torre del ponte (Cannitello), il lungomare di Villa San Giovanni.
LA VALUTAZIONE AMBIENTALE ‘SOSPESA’
Il progetto definitivo per la realizzazione del Ponte sullo Stretto non ha superato l’esame del ministero dell’Ambiente. Nel 2013, con l’opera ormai cancellata dal governo Monti e la società concessionaria avviata alla liquidazione, la procedura di valutazione si chiuse con esito non favorevole: il ministero dichiarò l’impossibilità di pronuncia sulla compatibilità ambientale varianti, con parere non positivo per quanto riguardava la valutazione d’incidenza ambientale e alcune prescrizioni impartite con l’approvazione del progetto preliminare ancora non ottemperate.
Tra i nodi principali da risolvere c’è l’interferenza con le migrazioni degli uccelli. Il Ponte sbarrerebbe una delle rotte più importanti per l’avifauna tra il continente africano e l’Europa, creando un possibile ostacolo fisico e un elemento di disturbo, con i dissuasori visivi e sonori. Nel 2005 la commissione europea aveva già segnalato la violazione della direttiva ‘Uccelli’, lamentando la carenza della valutazione di incidenza ambientale a suo tempo eseguita.
La revisione del progetto definitivo – che dovrà indicare le prescrizioni a cui attenersi con l’esecutivo – dovrà sanare le questioni aperte.
QUANTO COSTERÀ IL PONTE SULLO STRETTO
Il costo previsto per la realizzazione dell’opera è di 13,5 miliardi, secondo le previsioni contenute nell’allegato Infrastrutture al Def 2023. A questa somma andrà aggiunto 1 miliardo 100 milioni per i raccordi ferroviari (nell’ambito di un accordo di programma con Rfi) e risorse ancora non quantificate per i collegamenti stradali di competenza di Anas. Dove li troverà il governo Meloni? «Se i privati vorranno dare una mano saranno i benvenuti» ha detto il ministro Salvini, ospite della trasmissione ‘Cinque minuti’ di Bruno Vespa su Rai1. Il project financing è da sempre un’opzione: al dicembre 2009 era previsto che il costo dell’opera (all’epoca 6,4 miliardi) venisse coperto per il 40 per cento con risorse pubbliche e per il 60 con finanziamenti da reperire sui mercati internazionali.
Il gruppo di lavoro. che nel 2020 (governo Conte), aveva avuto dal ministero delle Infrastrutture l’incarico di studiare le migliori soluzioni per l’attraversamento stabile dello Stretto, mostrò però perplessità sull’ipotesi del project financing. «Appare evidente che la brevità del percorso di attraversamento e delle relative opere connesse non consente di prevedere un volume di pedaggi a carico degli utenti in grado di consentire una operazione di project financing – si legge nella relazione –. L’unica possibilità per garantire un adeguato flusso di risorse è quella di porre a carico di Anas e Rfi un significativo canone di disponibilità per l’utilizzo dell’infrastruttura e del sistema di attraversamento, la qual cosa si tradurrebbe sostanzialmente, sia pure in forma indiretta, in un finanziamento dell’intervento a carico del bilancio pubblico. Per queste ragioni appare, quindi, ragionevole che l’investimento sia effettuato direttamente con risorse pubbliche (nazionali e/o europee)».
Il dicastero di Porta Pia guarda comunque fiducioso all’Europa. E da Adina Valean, commissaria europea ai Trasporti, sono arrivati segnali incoraggianti: il ponte rientra nel corridoio Scandinavo-Mediterraneo e consente di completare le reti transeuropee di trasporto e può essere finanziato dall’Unione, ma servirà un progetto competitivo.
Va detto anche che 13,5 miliardi è fissato come tetto massimo di spesa per l’opera: oltre questa soglia, si sforerebbe il tetto massimo del 50 per cento di aumento dei costi (rispetto all’appalto originario), che rende obbligatorio per le norme europee procedere con un nuovo bando di gara.
QUANTO È COSTATO FINORA IL PONTE SULLO STRETTO
Fare una stima compiuta dei soldi finora spesi per il Ponte che non c’è è difficile. Quel che è sicuro, comunque, è che il Ponte ha già maturato un conto plurimilionario che pesa sulle casse del Paese.
«Bisogna sfatare il luogo comune che sono stati spesi miliardi per il Ponte sullo Stretto. Non è vero. Sono stati spesi dei soldi per fare il progetto che è ancora valido» ha detto di recente il commissario liquidatore della Stretto di Messina SpA, Vincenzo Fortunato. E senza dubbio in questa categoria rientrano i fondi spesi per studi di fattibilità, progetti, lavori già eseguiti (vedi la variante di Cannitello), funzionamento della società stessa finché era funzionale alla realizzazione dell’opera.
Non c’è dubbio però che i ritardi e tutto questo tergiversare spalmato su un arco temporale di oltre 40 anni – compreso il mantenimento in vita di una società che doveva essere chiusa nel 2014 – hanno prodotto esborsi aggiuntivi.
Proviamo a fare ordine tra le cifre.
La prima, ricavabile dai bilanci della società Stretto di Messina e dalle relazioni della Corte dei Conti, è quella fotografata dai costi capitalizzati, quindi quelli riportati nello stato patrimoniale, perché di utilità pluriennale. È l’investimento principale fin qui sostenuto dalla società concessionaria: circa 312 milioni di euro, dal 1981 al 2013, spesi per studi di fattibilità, ricerca, progetto di massima, progetto preliminare, gare, progetto definitivo, monitoraggio ambientale e varie altre attività.
Questa somma corrisponde più o meno a quella che, dopo la messa in liquidazione, la società ha reclamato ai ministeri delle Infrastrutture e al Mef come indennizzo. Con un’aggiunta del 10 per cento delle prestazioni rese (come risarcimento) e la decurtazione dei contributi già ricevuti (circa 18 milioni di euro) si arriva a 326 milioni di euro. I due ministeri, così come la presidenza del Consiglio, hanno sempre ribattuto di non dover nulla alla concessionaria, perché tutti i costi sostenuti avevano trovato copertura attraverso aumenti di capitale finanziati con risorse pubbliche.
Dei costi sostenuti per i lavori di realizzazione della variante di Cannitello abbiamo già detto prima: circa 20 milioni di euro.
E dopo il 2013? Ci sono da considerare i costi sostenuti per mantenere la società Stretto di Messina: doveva essere chiusa nel 2014, dopo la messa in liquidazione decisa l’anno prima. La società invece è rimasta in piedi per quasi dieci anni, nonostante i richiami della Corte dei Conti: presidenza del Consiglio dei ministri e ministeri si sono rimpallate le responsabilità, mentre la concessionaria si è sempre detta contraria alla chiusura, per via dei contenziosi in essere, proposti dalle imprese che si erano aggiudicate la costruzione del ponte. Nel 2014 i costi di produzione sostenuti dalla società in liquidazione ammontavano a 2 milioni 700 milioni di euro, circa la metà assorbiti dalle spese per il personale distaccato. L’anno successivo si è scesi a 1 milione 900mila euro, poi a un milione e mezzo e, nel 2017, a un milione 215mila euro.
Tra il 2018 e il 2020 i costi si sono attestati intorno agli 800mila euro (per anno). Nel 2021 si è scesi a 533mila euro di spese per mantenere in piedi la società in liquidazione. Di questi, 451mila se ne sono andati in servizi, oltre la metà per stipendi ed emolumenti. I dipendenti (1 risorsa distaccata e quattro a servizio parziale) sono costati 214mila euro. Al commissario liquidatore, Vincenzo Fortunato, sono stati destinati 100mila euro di indennità, 20mila è il compenso del collegio sindacale e 13mila la parcella di Ey (Ernst & Young), che si occupa della revisione dei conti. Ci sono poi 55mila euro di spese legali, 30mila per «altre prestazioni professionali», 19 mila di «altri costi».
Citiamo infine i soldi sborsati da Stretto di Messina per risarcire i proprietari dei terreni sui quali dovrebbe sorgere il Ponte e che hanno chiesto, dopo la liquidazione della società, di essere indennizzati per i vincoli posti sui propri beni fin dal 2003 in vista del futuro esproprio. Due contenziosi si sono già chiusi e hanno visto Stretto di Messina condannata a sborsare 237mila euro.
Meritano poi una postilla i costi che sarebbero ancora potuti maturare, ovvero risarcimenti richiesti dalle imprese che si erano aggiudicate la gara di progettazione definitiva e realizzazione del Ponte nel 2005. Si tratta del contraente generale Eurolink e del project management consultant Parsons Transportation Group. Il primo ha chiesto 700 milioni di euro, il secondo 90 milioni.
Contenziosi che saranno azzerati – è la previsione – con la ripresa delle attività: il decreto che fa rivivere la concessionaria Stretto di Messina e ripristina i vecchi contratti prevede, come condizione preliminare, la rinuncia a tutte le pendenze in corso.
IL PONTE SULLO STRETTO PUÒ RESISTERE AL TERREMOTO?
È la domanda principale che spesso viene posta quando si parla del Ponte sullo Stretto. Da progetto, l’opera è pensata per resistere a terremoti di magnitudo 7.5 (analoghi a quello del 1908) e raffiche di vento pari a 300 chilometri orari. In occasione dell’esercitazione ‘Sisma sullo Stretto’, tanto la Protezione civile quanto l’Ingv garantirono che per l’ingegneria italiana non è un problema costruire opere in grado di resistere in zone ad alta sismicità. WeBuild ha depositato poche settimane fa un nuovo studio sulla sicurezza dell’opera.
IL PONTE PIÙ “IMITATO” AL MONDO
Nel corso delle audizioni organizzate dalle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, nel mese di aprile 2023, per la conversione del decreto, si sono registrati pareri discordanti tra i tecnici circa la fattibilità del ponte sullo Stretto.
Il progetto definitivo è stato redatto da COWI A/S, società di ingegneria svedese specializzata in grandi opere (ha disegnato il ponte dello Storebaelt in Danimarca) in cooperazione con altre importanti società di ingegneria europee e con i più importanti progettisti e docenti universitari italiani.
La campata unica, di oltre 3 chilometri, e la snellezza dell’opera (il rapporto tra altezza impalcato e luce della campata più lunga, ndr) per alcuni docenti universitari sarebbe però un salto eccessivo rispetto all’attuale sviluppo delle costruzioni. È il caso ad esempio di Federico Massimo Mazzolani, professore emerito di Tecnica delle costruzioni presso l’Università Federico II di Napoli. Per altri, invece, non c’è nessun azzardo, perché nessuna altra opera al mondo sarebbe stata studiata come il Ponte sullo Stretto. Proprio la snellezza anzi garantirebbe – lo ha spiegato nelle audizioni Ferruccio Resta, ordinario di Meccanica applicata alle macchine del Politecnico di Milano – «la flessibilità necessaria perché l’opera possa assorbire le oscillazioni in caso di sisma».
Per resistere ai sisma violenti e ai forti venti che è possibile attendersi nell’area, per il Ponte è stato studiato uno speciale profilo aerodinamico che consente di diminuire le forze di carico eoliche e di contenere la deformazione elastica. È il cosiddetto Messina Type deck, un tipo di impalcato a tre cassoni separati, che ha superato le prove nelle gallerie del vento maggiori d’Europa e nord America. Una soluzione poi realizzata davvero: il Ponte sullo Stretto non c’è ancora, ma il Messina Type deck è stato usato, ad esempio, per il Canakkale Bridge sui Dardanelli, oggi il ponte più lungo al mondo tra quelli sospesi.
Per resistere ai sisma violenti e ai forti venti che è possibile attendersi nell’area, per il Ponte è stato studiato uno speciale profilo aerodinamico che consente di diminuire le forze di carico eoliche e di contenere la deformazione elastica. È il cosiddetto Messina Type deck, un tipo di impalcato a tre cassoni separati, che ha superato le prove nelle gallerie del vento maggiori d’Europa e nord America.
Una soluzione poi realizzata davvero: il Ponte sullo Stretto non c’è ancora, ma il Messina Type deck è stato usato, ad esempio, per il Canakkale Bridge sui Dardanelli, oggi il ponte più lungo al mondo tra quelli sospesi con 2023 metri di luce tra le due torri. Alla progettazione ha lavorato anche la COWI A/S.
C’È CHI DICE NO AL PONTE SULLO STRETTO
Non appena si è messo in moto l’iter per riportare in vita la società ‘Stretto di Messina’, è ripartita anche la mobilitazione del fronte del no. Comitati, associazioni ambientaliste, movimenti e partiti di sinistra ed ecologisti hanno ripreso le fila di un discorso che ritenevano ormai archiviato da dieci anni.
Per il fronte del No l’opera è inutilmente costosa (tanto più a fronte delle condizioni infrastrutturali delle due regioni), non sostenibile finanziariamente, dannosa per l’ecosistema costiero e marino dello Stretto.
«Dal punto di vista ambientale tutta l’area dello Stretto di Messina è sostanzialmente ricompresa in due importantissime Zone di Protezione Speciale – Zps (sul lato calabrese la Zps della Costa Viola e su quello siciliano dalla ZPS dei Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci, Antenna a Mare e area marina dello Stretto) e da un sistema di ben 11 Zsc (Zone Speciali di Conservazione), ai sensi della direttiva comunitaria Habitat, che tutelano un ambiente unico che va dalla fragile costa calabrese, alla importante zona umida della Laguna di Capo Peloro, al prezioso ecosistema botanico dei Monti Peloritani» si legge in un recente documento diffuso dal Wwf.
Del fronte per il No fanno parte anche diversi docenti universitari, come Domenico Marino, professore di Politica economica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e autore del pamphlet “L’insostenibile leggerezza del Ponte”. Qui in un’intervista del 2011 Marino contestava il progetto defintiivo.
C’è poi chi nel frattempo ha lasciato il fronte del No. È il caso della Lega, soprattutto quando si chiamava ancora anche ‘nord’ ma pure in tempi più recenti. «Ci sono parecchi ingegneri che dicono che non sta in piedi, io non sono un ingegnere e vorrei rassicurazioni – diceva Salvini a L’aria che tira su La7 nel 2016 – A parte questo, non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare quando sia in Calabria che in Sicilia i treni non ci sono o vanno a binario unico».
Oggi, dice Salvini ministro, costruire il Ponte è un dovere morale verso la Calabria e la Sicilia. Ma, promette, sarà parte di un sistema. «Il Ponte da solo non serve, tutto il resto senza ponte non serve – ha detto il ministro – Rfi sta lavorando sulla progettazione di ferrovie moderne e veloci tra Salerno e Reggio Calabria, abbiamo destinato tre miliardi per la statale 106 calabrese e stiamo lavorando sulla A2. Stiamo investendo 11 miliardi di euro per ferrovie più moderne e veloci tra Palermo, Catania e Messina».
CRONISTORIA DEL PONTE
251 A.c.
La leggenda del Ponte sullo stretto di Metello
251 a.C. il console romano Lucio Cecilio Metello fa costruire un ponte provvisorio con le botti per trasferire
sul Continente, dalla Sicilia, i 104 elefanti catturati dai romani alle legioni di Asdrubale nella battaglia di
Palermo
La storia la raccontano (a posteriori) Strabone e Plinio il Vecchio (vissuti secoli dopo)
1866
Lo studio Cottrau
Il ministro dei Lavori pubblici Stefano Jacini affida al costruttore Alfredo Cottrau l’incarico di studiare la fattibilità del ponte. Le conclusioni però non furono
incoraggianti
1870-1883
L’idea del tunnel al posto del Ponte sullo Stretto
Ingegneri e tecnici fanno a gare per trovare una soluzione: vengono proposti due diversi progetti per un tunnel o una galleria e arriva anche un ponte sospeso a cinque grandi campate
1941
L’idea sottomarina inizia a piacere
L’ingegnere Giuseppe Fini, direttore dell’Azienda autonoma stradale dello Stato, riceve dal Governo l’incarico di studiare la fattibilità di un tunnel sottomarino
1953
Il primo modellino in scala del Ponte sullo Stretto
Fa la sua apparizione alla Fiera di Messina il primo modellino in scala del ponte ideato dall’ingegner Fausto Masi
1953
bis
Dal progetto Steinman all’istmo
L’Associazione Costruttori in Acciaio Italiani presenta al governatore siciliano Restivo un progetto di massima realizzato dall’ingegner David Steinman. Un altro ingegnere, Nino Del Bosco, propone invece un istmo artificiale
1955
Arrivano gli ‘americani’
L’ingegnere Mario Palmieri, dagli Usa, presenta un nuovo progetto che ottiene il parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Si annuncia anche l’avvio dei lavori e si fissa l’inaugurazione per il 1960
1958
Il Ponte sullo Stretto? Non è fattibile?
Il ministro dei Lavori Pubblici Giuseppe Togni insedia a Roma una commissione nazionale di esperti incaricata di esaminare la fattibilità del ponte. Le conclusioni? Bocciati tutti i progetti per “notevoli deficienze di natura tecnica”
1964
Arriva Cousteau
Non si molla, però, l’idea. Atri rilievi dei fondali vengono affidati al famoso comandan-
te Jacques Cousteau, per conto dell’ente privato “Gruppo Ponte di Messina”,
1968
I primi miliardi per il Ponte sullo Stretto
L’Anas viene autorizzata, insieme a Ferrovie, a effettuare studi e ricerche sulla possibilità di realizzare l’opera. Il ministero dei lavori pubblici stanzia 3 miliardi e 200 milioni di lire per gli studi preliminari
1969
Il Concorso di idee
Viene bandito da Anas e Ferrovie il “Concorso Internazionale di idee per il collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente”. Arrivano 143 progetti, dopo due anni vengono assegnati sei primi premi ex aequo
1971
Facciamo una società?
Il governo Colombo autorizza la creazione di una società di diritto privato a capitale pub-
blico, concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione del Ponte. La guerra del Kippur e la susse-
guente crisi energetica frenarono però gli entusiasmi
1974
L’interesse dell’Europa
Il Parlamento europeo adotta una risoluzione che dichiara il Ponte di interesse comunitario. L’Anas coinvolge l’ingegner Riccardo Morandi nelle ricerche preliminari
1981
Nasce la ‘Stretto di Messina SpA’
Viene costituita la società “Stretto di Messina SpA”, in attuazione della legge n. 1158/1971
1984
Signorile: Ponte sullo Stretto entro il 1994
Il ministro Claudio Signorile annuncia: il Ponte sarà realizzato entro il 1994. Romano Prodi, presidente Iri, nell’86 assicura: il Ponte è una priorità
1992
Arriva il progetto di massima
La Società Stretto di Messina presenta il progetto di massima definitivo: un ponte sospeso a campata unica di circa 3.300 metri, posizionato lungo l’asse più breve, tra i laghi di Ganzirri in Sici-
lia e la località Cannitello a Nord di Punta Pezzo in Calabria
1997
Via libera del Consiglio dei LLPP
Arriva il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, si può procedere con gli stadi successivi della progettazione
2001
Il Ponte nel programma di Berlusconi
Berlusconi inserisce l’opera nel suo Contratto con gli italiani. A dicembre il Senato approva la “Legge Obiettivo” sulle Grandi Opere e il Cipe approva l’elenco che comprende il Ponte
2003
Arriva il progetto preliminare
La società Stretto di Messina presenta il progetto preliminare del Ponte. Costo previsto: 4,68 miliardi di euro
2005
Si sceglie il General Contractor
All’esito della gara bandita l’anno prima, viene scelto come general contractor l’Ati con capofila Impregilo
2006
Il Ponte finisce in un cassetto
Il centrosinistra vince le elezioni, sale al governo Romano Prodi. Il ponte viene derubricato a opera ‘non prioritaria’. Un anno dopo si annuncia la volontà di chiudere la società Stretto di Messina
2008
Torna Berlusconi, torna il Ponte
Cade il governo Prodi, torna a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi
2009
Il primo cantiere
Partono i lavori sulla sponda calabrese per la variante di Cannitello Si tratta della deviazione della linea ferroviaria tirrenica (lavori per 26 milioni di euro) in corrispondenza di Cannitello, area in cui sorgerà la torre calabra del ponte
2011
Si approva il progetto definitivo
Viene approvato il progetto definitivo ma nello stesso anno l’Unione Europea depenna l’opera da quelle finanziabili con fondi comunitari e il nuovo Governo, quello dei tecnici guidato da Mario Monti, avvia le procedure per la chiusura del progetto
2013
La società va in liquidazione
Viene messa in liquidazione la società ‘Stretto di Messina SpA’: l’iter, però, non è mai stato concluso
2020
Il gruppo di lavoro
Il ministero delle Infrastrutture (Governo Conte) istituisce un Gruppo di lavoro che deve esamina-
re le soluzioni per i possibili collegamenti tra Calabria e Sicilia. La relazione finale, che giudica vantaggiosa la realizzazione del Ponte, arriva dopo un anno
2022
50 milioni a Rfi
Il ministro alle Infrastrutture Enrico Giovannini a maggio affida a Rfi 50 milioni di euro per avviare un nuovo studio di fattibilità
2022
bis
Riparte l’iter
A Palazzo Chigi arriva Giorgia Meloni, il Ponte è in cima all’agenda del ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini. Nella legge di Bilancio approvata a fine anno si mette in moto l’iter per resuscitare la Stretto di Messina SpA
2023
Rinasce “Stretto di Messina SpA”
Il 16 marzo il Consiglio dei ministri approva (salvo intese) il decreto legge che riporta in bonis la società “Stretto di Messina” Spa. Il decreto viene pubblicato in Gazzetta ufficiale a fine mese. I cantieri, annuncia Salvini, potranno partire nel 2024 e si completeranno entro cinque anni
Il Ponte sullo Stretto è senza soldi ma Salvini promette già 100mila posti di lavoro. Salvatore Toscano su L'Indipendente il 25 maggio 2023.
Il Senato ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto Ponte sullo Stretto, con 103 voti favorevoli, 49 contrari e 3 astenuti. La norma riavvia ufficialmente le attività di programmazione e progettazione del cavallo di battaglia della destra italiana. Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, raccogliendo l’eredità ideologica di Silvio Berlusconi, ha annunciato entusiasta l’avvio dei cantieri entro l’estate del 2024, 6 miliardi di risparmi per i siciliani e i calabresi e centomila nuovi posti di lavoro. Una sorta di via di mezzo tra i 120mila promessi dal leader del Carroccio dopo la vittoria elettorale e «le decine di migliaia» annunciate lo scorso 17 marzo. Alle stime senza riscontro ha fatto seguito un vuoto: nessun accenno alla crescita dei costi dell’opera, lievitati in poco più di dieci anni del 63%, e tantomeno alle sue coperture finanziarie, sempre più avvolte dal mistero.
La legge approvata dal Parlamento ha rilanciato il progetto presentato nel 2011 da Eurolink: un ponte a campata centrale lungo 3.666 metri, dotato di sei corsie stradali e due binari ferroviari. L’opera immaginata dal consorzio partecipato al 45% da Webuild di Pietro Salini è sprovvista di diverse autorizzazioni, come quella ambientale e paesaggistica, pertanto dovrà essere aggiornata, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica dei materiali da costruzione nell’ultimo decennio. Nelle intenzioni del governo, ciò dovrebbe avvenire entro luglio 2024. Poco più di un anno per un lavoro delicato, su cui l’esecutivo non si è sbilanciato più di tanto, e intorno al quale potrebbe ruotare un traffico di risorse prelevabili tra le maglie di qualche ministero.
Nella legge è stato definito anche l’assetto della Stretto di Messina Spa, che conterà su un Consiglio d’amministrazione con 5 membri, di cui due designati dal governo e i restanti dalla Regione Calabria, dalla Regione Sicilia e dall’ANAS. La riattivazione della società chiusa dal governo Monti nel 2012 farà lievitare ulteriormente i costi del Ponte sullo Stretto a causa di diversi contenziosi aperti. In seguito alla decisione dell’esecutivo tecnico, il consorzio Eurolink vide sfumare i contratti con la società e per questo chiese danni per 700 milioni di euro. Altri 90 li ha richiesti Parsons, azienda statunitense tra le più importanti dell’ingegneria civile, per i progetti prodotti. Ai danni si è aggiunta poi la beffa: anche la stessa Stretto di Messina Spa ha chiesto i danni, aprendo un contenzioso con lo Stato per una cifra pari a 325 milioni di euro. Cause in corso, su cui la riapertura dei contratti avrà di certo un impatto.
Negli anni, i costi per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina sono sempre aumentati, complici i lavori di aggiornamento, l’introduzione di nuove tecnologie, il funzionamento della macchina burocratica e l’aumento dei prezzi delle materie prime. Nel 2011, la Corte dei Conti stimava una spesa pari a 6,3 miliardi di euro, passata a 8,5 l’anno seguente. A distanza di un decennio, si prevedono costi per 14,5 miliardi di euro. Stime ancora non del tutto chiare, che vengono corrette al rialzo settimana dopo settimana. Durante la conversione in legge del decreto è stato aggiunto un emendamento che destina 7 milioni di euro alla campagna pubblicitaria del ponte. «Questo emendamento è il simbolo della filosofia della propaganda del Ponte sullo Stretto di Messina, ovvero la mangiatoia di soldi pubblici dello Stato per sostenere un’opera che non ha un piano tecnico economico di fattibilità», ha commentato il portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli.
Ad oggi infatti, come ribadito dall’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def), non esistono coperture finanziarie disponibili. Il problema è stato rimandato alla prossima legge di bilancio, guadagnando tempo per condurre un’utile campagna elettorale in concomitanza delle amministrative (domenica i Comuni al ballottaggio si recheranno nuovamente alle urne).
Nel Def emerge che “al finanziamento dell’opera si intende provvedere” tramite le risorse della Calabria e della Sicilia, messe a disposizione dai Fondi per lo Sviluppo e la Coesione europei; soldi a debito, “con priorità a finanziatori istituzionali come la Banca europea degli investimenti”; sovvenzioni europee. Secondo fonti del Ministero dei Trasporti, l’Unione europea sarebbe disposta ad aiutare l’Italia, andando a coprire il 50% dei costi per l’aggiornamento degli studi sull’impatto ambientale dell’opera. Una spesa contenuta, su cui Bruxelles ancora non si è espressa ufficialmente. A Palazzo Chigi attendevano segnali in occasione delle raccomandazioni di primavera, giunte ieri a Roma. Nulla da fare però: le attenzioni della Commissione europea si sono concentrate sul contenimento della spesa primaria netta, sulla cancellazione degli aiuti legati ai rincari energetici e sul superamento delle concessioni balneari. [di Salvatore Toscano]
Il provvedimento ora passa alla Camera. Stretto di Messina, Rixi: “Il Ponte costerà 13,5 miliardi di euro. Evitare extraprofitti”. Redazione su Il Riformista l'8 Maggio 2023
Le Commissioni Trasporti e Ambiente hanno approvato il mandato ai relatori a riferire in Aula sul decreto ponte. Il provvedimento va in Aula martedì alle 15. Intervenendo davanti alle commissioni riunite Trasporti e Ambiente della Camera, il sottosegretario ai Trasporti Edoardo Rixi ha parlato dei costi per la realizzazione: “Nel 2011 il costo era di 8,5 miliardi, quindi è salito da 8,5 a 13 miliardi complessivamente. Di questi 8,5 miliardi, quelli di cui stiamo parlando sull’aggiornamento prezzi sono i 6,7 miliardi che riguardano il contratto col contraente generale”.
Rixi ha sottolineato la necessità di evitare extraprofitti – “Sono state fatte modifiche di riformulazione per chiarire due cose: prima di tutto che il limite sono i 13,5 miliardi del Def, dunque l’opera sta dentro quel limite. Secondo dovevamo fissare dei criteri oggettivi, dal momento che i materiali negli ultimi 2 anni sono aumentati, alcuni anche oltre il 40%, e bisognava misurare i costi per evitare extraprofitti per un’azienda che ha vinto l’appalto nel 2012″, ha spiegato il sottosegretario ai Trasporti illustrando l’emendamento riformulato sul caro materiali.
Il sottosegretario ha quindi concluso dichiarando: “Serve a dipanare i dubbi sia sul valore che sull’aumento dei costi e sugli eventuali extraprofitti, per tutelare lo Stato affinché si realizzi l’opera con tempi e costui congrui. Penso che il metodo scelto con Ragioneria e Mef sia tutelante”.
Ponte sullo Stretto: 7 milioni per pubblicizzare un'opera che non c'è. Stefano Baudino su L'Indipendente l'08 maggio 2023
Dopo il battage milionario “Open to Meraviglia”, oggetto di un aspro dibattito pubblico nelle ultime settimane, il governo è al lavoro per un’altra costosissima campagna pubblicitaria, che questa volta riguarderà il Ponte sullo Stretto. I parlamentari Francesco Battistoni (Forza Italia) e Domenico Furgiuele (Lega) hanno infatti ufficialmente presentato in Commissione Infrastrutture un emendamento che indica i costi per pubblicizzare l’opera. Che ha però un grande problema: manca ancora di un progetto esecutivo.
In attesa che si concluda l’iter di approvazione del progetto, inaugurato dal governo con un decreto lo scorso 16 marzo, la maggioranza ha promesso di stanziare un milione di euro all’anno dal 2024 al 2030 ad Eurolink (la cordata di imprese che si è aggiudicata la realizzazione del Ponte) per campagne di marketing che dovranno essere concordate tra il concessionario e le città metropolitane di Messina e Reggio Calabria.
Via libera dunque ai denari utili alla pubblicità del Ponte, mentre ancora non è dato sapere da dove arriveranno quelli necessari alla sua realizzazione. Secondo quanto riferito da fonti del Ministero dei Trasporti, l’Unione Europea sarebbe disposta ad aiutare l’Italia, andando a coprire il 50% dei costi per l’aggiornamento degli studi sull’impatto ambientale dell’opera. Ma su questo punto non vi sono ancora comunicazioni ufficiali.
«Sette milioni per la propaganda sul ponte – ha commentato duramente il portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli -. Questo emendamento è il simbolo della filosofia della propaganda del Ponte sullo Stretto di Messina, ovvero la mangiatoia di soldi pubblici dello Stato per sostenere un’opera che non ha un piano tecnico economico di fattibilità. Con i soldi previsti da questo emendamento, che verranno dati a chi farà la progettazione, si farà propaganda a favore del Ponte, un ponte da 15 miliardi di euro che sottrarrà risorse alle priorità del sud come trasporti, scuole, acquedotti, difesa del suolo».
Nel 2011, la stima dei costi per l’infrastruttura dell’opera si attestava a 8,5 miliardi. oggi è incredibilmente lievitata: un allegato al Def li ha indicati in 13,5 miliardi (valutazione definitivamente confermata, nelle scorse ore, dal sottosegretario ai Trasporti Edoardo Rixi). Nel documento si legge che “ad oggi non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, queste dovranno essere individuate in sede di definizione del disegno di legge di bilancio” e che “le opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e lato Calabria, che dovranno essere oggetto del contratto di programma con Rfi, si stima avranno un costo di 1,1 miliardi“.
Intanto, in un’intervista rilasciata a La Gazzetta di Mezzogiorno, il ministro leghista Matteo Salvini ha dichiarato che per la realizzazione del ponte potrebbe essere usato «l’acciaio dell’ex Ilva»: ciò, secondo il vicepremier, garantirebbe infatti «anni di commesse piene» all’acciaieria. «Gli investimenti sono cospicui – ha aggiunto – e sono costantemente in contatto con gli amministratori locali di tutti i colori politici». La discussione sul decreto Ponte approderà in Aula domani pomeriggio, alle ore 15. [di Stefano Baudino]
Il Ponte ecologista, FareAmbiente: sullo Stretto un’opera in linea con direttive Ue. Angelo Vitolo su L'Identità il 20 Aprile 2023
Il Ponte delle polemiche, quello sullo Stretto. Specie per quelle alimentate da chi lo considera inutile, anzi dannoso nell’attuale scenario ambientale del Paese. Ma ora, proprio dal mondo dell’ambientalismo arriva una voce controcorrente. “E’ un’opera ecologistica. Sul Ponte sullo Stretto, come sull’ambientalismo in generale, abbiamo una visione più ragionevole e più pragmatica, non ideologica e fondamentalista. Concordiamo infatti con gli studi fatti dall’ingegner Mollica, secondo cui nel solo traghettamento si risparmiano 144mila tonnellate di CO2”. Parole di Vincenzo Pepe, presidente nazionale del movimento ecologista europeo FareAmbiente, nell’audizione in Commissione Ambiente.
Pepe ne è fermamente convinto: “Permetterà – ha argomentato – che con la mobilità su rotaia si possa andare verso gli obiettivi che l’Unione Europea ci ha dato, per aumentare il traffico di merci su rotaie del 30% entro il 2030. Passando ai dati sui rifiuti, invece, secondo uno studio dell’università di Barcellona i fondali sullo Stretto hanno un’altissima densità di rifiuti. I traghetti che vi operano, infatti, scaricano con i loro motori grandi quantità di inquinanti, come se fossero – dice lo studio – delle centrali elettriche ad olio combustibile in pieno centro urbano. L’inquinamento, quindi, espone anche gli abitanti sulle sponde ad un rischio sanitario importante. Il Ponte ridurrebbe questi inquinanti. Il Ponte, insomma, è necessario per le infrastrutture, ma ancor di più per ridurre l’inquinamento”.
Un’opera, ha concluso Vincenzo Pepe “che è anche un simbolo del nostro Paese. Un simbolo del rilancio del sistema industriale, garantendo la centralità del Mediterraneo grazie alla possibilità di collegare l’Italia, la Sicilia e il Mediterraneo all’Europa. Il problema non è rappresentato dalla fattibilità e dalla valenza ambientale ed economica e sociale, perché è politico e ideologico. È il problema della difesa degli interessi locali. L’Italia su questo è molto provinciale, c’è un problema dell’ambientalismo che non sa coniugare lo sviluppo con la sostenibilità. Lo sviluppo, infatti, comporta sempre un rischio. La sostenibilità è il calcolo del rischio. E il calcolo si fa attraverso il metodo scientifico. È la scienza a dirci che l’ambiente è qualità della vita e si mantiene attraverso l’innovazione tecnologica, calcolando il rischio che è l’accettazione”.
Sempre in audizione in Parlamento, a tutela del progetto ha parlato Michele Longo, direttore Ingegneria di Webuild, che nel 2006 aveva vinto la gara europea per l’opera, che potrà essere definita con il progetto esecutivo in 8 mesi e realizzata in 6 anni: “Strategica, immediatamente cantierabile e volano di crescita economica, renderà possibile uno dei più vasti sistemi metropolitani del Mediterraneo, motivando lo sviluppo della rete ferroviaria in Sicilia e l’asse ferroviario alta velocità/alta capacità Salerno-Reggio Calabria-Messina-Palermo. Consentirà un flusso del traffico veicolare di 6mila veicoli all’ora e un passaggio fino a 200 treni al giorno”.
Da Longo anche un chiarimento sulla destinazione dei costi: “Per la sola opera di attraversamento, sono di 4,5 miliardi, il 40% del valore totale del sistema infrastrutturale che include il ponte e tutte le opere accessorie. Il restante 60% servirà per opere di collegamento e potenziamento della rete stradale e ferroviaria sui versanti Sicilia e Calabria, e a numerosi interventi di riqualifica del territorio e di mitigazione del rischio idrogeologico”.
Ponte sullo Stretto, l’ammissione del Governo: costa 13,5 miliardi e non ci sono. Gloria Ferrarisu L'Indipendente il 19 aprile 2023.
La ‘prima pietra’ che Matteo Salvini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha promesso di posare entro l’estate del 2024 per inaugurare i lavori per la costruzione dello Stretto di Messina, potrebbe rimanere fra le sue mani più a lungo del previsto. Visto che, di concreto, al momento, c’è poco o niente. Tra le altre cose a mancare sono proprio i soldi necessari a costruirlo, e il primo DEF del Governo (il Documento di economia e finanza sulla programmazione finanziaria dell’esecutivo in carica) introduce l’argomento in questo modo: “Il costo dell’opera oggetto di concessione dagli aggiornamenti svolti risulta di 13,5 miliardi più un costo di 1,1 miliardi per le opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie – di cui si dovrà occupare Rete ferroviaria italiana – lato Sicilia e lato Calabria”. Cifre a cui si aggiungeranno quelle – non ancora definite – per le connessioni stradali. Praticamente quasi il doppio di quanto preventivato da Salvini, per cui l’infrastruttura sarebbe venuta a costare «quanto un anno di reddito di cittadinanza», e cioè tra i 7 e i 9 miliardi di euro.
Ma, come specificato ancora una volta nel DEF, per cui comunque l’opera è da considerarsi prioritaria e di preminente interesse nazionale, il nostro Paese i soldi per affrontare una spesa così grande non li ha: “Ad oggi non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, queste dovranno essere individuate in sede di definizione del disegno di legge di Bilancio”. Praticamente dovranno essere tirate fuori da qualche parte, e alcune ipotesi sul dove pescare ci sono già.
Il DEF dice che al finanziamento dell’opera si intende provvedere utilizzando: le risorse messe a disposizione dalle Regioni (tra cui i Fondi per lo Sviluppo e la Coesione, il principale strumento del Governo italiano di finanziamento e attuazione delle politiche di riduzione degli squilibri economici e sociali sul territorio nazionale); la copertura finanziaria stabilita dalla legge di bilancio 2024; sovvenzioni europee (tra cui quella prevista dal programma Connecting Europe Facility per infrastrutture); prestiti richiesti a enti come la Cassa depositi e prestiti o la Banca europea degli investimenti.
Roberto Occhiuto, Presidente della Calabria, intervistato da Radio 24, si è detto pronto a sostenere economicamente il Governo visto che «si sapeva che nel Documento di economia e finanza non ci sarebbero state le risorse per questa grande infrastruttura». Motivo per cui «c’è la disponibilità delle due Regioni più immediatamente interessate a partecipare al finanziamento di quest’opera pubblica», salvo poi sottolineare che a suo parere dovrebbe essere la Sicilia a sborsare eventualmente più denaro, perché maggiormente interessata. Peccato che nel Bilancio di previsione 2023-25 della Regione Calabria, dei 5,8 miliardi totali a disposizione (di cui quasi il 70% destinato al finanziamento del servizio sanitario regionale), rimangano liberi da vincoli ‘solo’ 773 milioni. Una cifra che di certo non basterebbe a mettere in piedi il Ponte e che sicuramente potrebbe essere impiegata per questioni interne più urgenti.
Ma ecco che per Occhiuto si fa largo un’altra possibilità: visto che probabilmente Meloni, per via dei ritardi, dovrà ricontrattare con l’UE gli obiettivi del PNRR, perché non provare ad inserire sul tavolo delle trattative qualche miliardo per il ponte? Un’ipotesi che al momento il DEF esclude. Ma viene da dire, mai dire mai.
Più cauta invece la Sicilia, che per voce dell’Anci regionale, che rappresenta i Comuni del territorio, ascoltata dalle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, ha fatto sapere che se da una parte «la scelta del Governo di realizzare un collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria potrà comportare un miglioramento per l’isola e per la qualità di vita dei cittadini», visto che è previsto che sulla struttura transitino circa seimila veicoli e 200 treni al giorno, dall’altra, senza un piano deciso e concreto «si rischia di alimentare, per l’ennesima volta, una legittima aspettativa per poi mortificarla».
In altre parole, se si sceglie di realizzare il ponte, è indispensabile che si decida realmente di realizzarlo.
[di Gloria Ferrari]
Estratto dell'articolo di Enrico Marro per corriere.it il 19 aprile 2023.
Nuovo frontale del presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, contro il governo e in particolare il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Se qualche settimana fa il numero uno dell’autorità anticorruzione si era scagliato contro il nuovo codice degli appalti, adesso ha duramente censurato il decreto legge per la realizzazione del Ponte sullo stretto.
E lo ha fatto in Parlamento, alla Camera per la precisione, dove si stanno svolgendo le audizioni in commissione sul testo approvato in Consiglio dei ministri il 16 marzo. Per Busia il decreto va profondamente corretto perché assegna troppi vantaggi al consorzio di società private Eurolink, guidato da Webild, incaricato della realizzazione dell’opera.
«Il decreto legge sul Ponte sullo stretto di Messina — ha detto Busia — facendo proprio il progetto dei privati del 2011, ha determinato una posizione di vantaggio del contraente generale privato. È stato riconosciuto come valido nel 2023 il progetto del 2011, evitando la gara pubblica» e «senza aver risolto il contenzioso precedente» nato dopo che nel 2012 il governo Monti aveva deciso di non costruire più il ponte.
[...] Invece, ha aggiunto il presidente dell’Anac, «col decreto è stato assegnato al privato un notevole potere contrattuale», perché «con una semplice relazione potrà decidere gli adeguamenti necessari e quindi i costi dell’opera». Infine, accusa Busia, il decreto «non stabilisce obblighi in capo al contraente generale sui tempi di realizzazione dell’opera, i costi, l’assunzione di tutti i rischi».
[...]
Il ministero delle Infrastrutture ha indirettamente replicato con una nota dove si ribadisce che quella del ponte «è una sfida che il vicepremier e ministro Matteo Salvini intende vincere, dopo decenni di studi e dibattiti». Si esprime inoltre «grande soddisfazione per le rassicurazioni sulla qualità del progetto, sui benefici dell’opera sul territorio, sulla determinazione delle Regioni» emerse nelle numerose audizioni di questi giorni.
Tra le quali, ieri, quella del direttore Ingegneria Webuild, Michele Longo, che ha parlato del Ponte sullo stretto come di «un’opera strategica, immediatamente cantierabile e volano di crescita economica, assegnata al termine di un lungo processo di gara internazionale» nel 2005. [...]
Il Ponte non è ancora stato costruito e tutti a lamentarsi: da solo non basta. GIAMBATTISTA PEPI su Il Quotidiano del Sud il 18 Aprile 2023
COSTI che lievitano e coperture che ancora mancherebbero. Per il Ponte sullo Stretto di Messina, per dirla con l’indimenticabile Eduardo De Filippo, gli esami non finiscono mai. Nemmeno il tempo di mettere nero su bianco che l’opera il Governo Meloni la vuole fare e con il Decreto legge n. 35 del 31 marzo 2023 (“Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”) l’ha rimessa in pista, che già si frappongono nuovi ostacoli sul suo cammino.
A sollevare nuovi interrogativi è l’allegato alle Infrastrutture al Documento di Economia e Finanze (cioè il principale strumento della programmazione economico-finanziaria, proposto dal Governo e approvato dal Parlamento, esso indica la strategia economica e di finanza pubblica nel medio termine) che evidenzia costi superiori a quelli finora stimati e la mancanza di coperture, sebbene il Ministero per le Infrastrutture, guidato da Matteo Salvini, che ne ha fatto una battaglia di principio per il Mezzogiorno e il Paese, si affretti a liquidare queste “insinuazioni”, sostenendo che i fondi occorrenti arriveranno con la prossima manovra di bilancio. Proprio il Def ha aperto uno spazio di quasi 8 miliardi in deficit in due anni, ma si tratta di importi già assegnati (3,4 miliardi quest’anno per il taglio del cuneo fiscale e 4,5 miliardi il prossimo per il taglio delle tasse). Per tutto il resto le risorse sono ancora da trovare.
“Ad oggi – si chiarisce nel DEF – non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, queste dovranno essere individuate in sede di definizione del disegno di legge di Bilancio”. E non si tratta di risorse di poco conto. “Il costo dell’opera oggetti di concessione dagli aggiornamenti svolti risulta di 13,5 miliardi” quantifica il Documento di economia e finanze. A cui bisogna aggiungere quello per realizzare le opere complementari al collegamento ferroviario “lato Sicilia e lato Calabria” che dovranno essere oggetto del contratto di programma con Rete Ferroviaria Italiana, che si stima ammontino ad altri 1,1 miliardi. Complessivamente parliamo di un importo di ben 14,6 miliardi. Ancora da stimare, invece, il costo delle opere “di ottimizzazione e complementari alle connessioni stradali”, che considerate “di minor impatto economico, verranno meglio definite e dettagliate nell’ambito dei prossimi contratti di programma con Anas”.
Il dato certo da cui partire è di non meno di 14,6 miliardi. Somme tutte da trovare con la prossima Finanziaria, mettendo gli occhi anche sui fondi europei per lo Sviluppo e la coesione di Sicilia e Calabria e puntando anche sul coinvolgimento di “finanziatori istituzionali quali la Banca europea degli investimenti e Cassa depositi e prestiti”. Eppure, alla fine di marzo, in occasione dell’approvazione del Decreto legge da parte del Governo che ha rimesso in pista il progetto per l’attraversamento stabile dello Stretto, il ministero per le Infrastrutture parlava di un costo per il Ponte e tutte le opere di accesso “stimato in dieci miliardi”. E’ verosimile, che l’importo riferito dal ministro Salvini non fosse altro che la riproposizione delle cifre ufficiale del progetto approvato nell’ormai lontano 2011 che stimava un costo di 8,5 miliardi, costo più che raddoppiato rispetto alla gara del 2004 aggiudicata dal Consorzio Eurolink guidato da Webuild per 3,9 miliardi. Ieri si sono svolte le audizioni davanti alle Commissioni riunite Trasporti e Ambiente della Camera dei deputati, presiedute, rispettivamente, da Mauro Rotelli e Salvatore Deidda, nell’ambito dell’esame in sede referente del disegno di legge di conversione n. 1067 del decreto legge n. 35 del 2023. “Il Ponte sullo Stretto – ha detto il sindaco di Messina, Federico Basile – ha un valore aggiunto che deve essere preso in considerazione. La mia città non è inserita nella società Stretto di Messina. A oggi ritengo sia fondamentale che la parola della città sia ascoltata”.
Più articolata la posizione espressa da Paolo Amenta, presidente dell’Anci Sicilia che durante l’incontro ha presentato un documento in cui ha esposto le principali esigenze della regione. “La scelta del Governo di realizzare un collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria – si legge tra l’altro nel documento – potrà comportare un miglioramento per l’Isola e per la qualità di vita dei cittadini solamente se strettamente legata ad un complessivo rafforzamento infrastrutturale. Diversamente si rischia di alimentare, per l’ennesima volta, una legittima aspettativa per poi mortificarla”. Amenta si è soffermato in particolare sulla funzione strategica dell’opera, ma avvertendo “se accompagnata, oltre che dall’alta velocità, da adeguate infrastrutture viarie che colleghino il resto d’Italia con le aree turistiche e con gli aeroporti e i porti di Gioia Tauro, Augusta e Gela, attraverso un sistema intermodale”.
I cantieri di ANAS e Ferrovie dello Stato sono il primo banco di prova per misurare la reale volontà di attenzione nei confronti della Sicilia. Analoga e indispensabile attenzione – ha chiarito Amenta – dovrà essere riservata ad iniziative finalizzate a ridurre il peso che le tariffe aeree hanno sulle tasche dei siciliani. “Il superamento dello svantaggio legato all’insularità – ha aggiunto – potrà essere percepibile solamente quando il sistema di mobilità integrato sarà strettamente connesso alle opportunità legate alle Zone Economiche Speciali che dovranno vedere un rafforzamento ed una estensione funzionale”. “Le aziende che decideranno di investire in Sicilia e in Calabria – conclude Amenta – potranno essere attratte da trasporti agevoli e da vantaggi fiscali; dovranno poter raggiungere i mercati del nord ed essere connessi attraverso una reale intermodalità”. Nel corso della giornata sono stati auditi, tra gli altri, rappresentanti di istituzioni, docenti universitari, esperti e associazioni ambientaliste. Oggi terzo e ultimo giorno di audizioni.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzo
(ANSA il 14 aprile 2023) - Per il Ponte sullo Stretto di Messina "il costo dell'opera oggetto di concessione dagli aggiornamenti svolti risulta di 13,5 miliardi. Le opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e lato Calabria, che dovranno essere oggetto del contratto di programma con Rfi, si stima avranno un costo di 1,1 miliardi". Lo si legge in un allegato al Def, in cui si precisa che "ad oggi non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, queste dovranno essere individuate in sede di definizione del disegno di legge di bilancio".
È ovvio che manchi la copertura per il Ponte sullo Stretto: sarà reperita con la legge di bilancio, come sempre avviene per tutte le grandi opere inserite nella programmazione infrastrutturale del Def. Così fonti Mit, spiegando che il Def è un documento di programmazione, non di stanziamento di risorse, facendo anche presente che non c'è ancora nemmeno la società ad hoc. (ANSA)
Estratto dell'articolo di Carlo Di Foggia per "il Fatto quotidiano" il 14 aprile 2023.
Sembra una barzelletta ma è tutto vero. Il governo, o meglio Matteo Salvini, ha resuscitato il ponte sullo Stretto di Messina e ora ci fa sapere che costerà il 60% in più di quanto previsto nel 2012, quando l’opera venne fermata dal governo Monti dopo che i costi erano già esplosi.
È tutto messo nero su bianco nell’allegato Infrastrutture al Def appena approvato. Come previsto, il documento classifica il ponte come “opera prioritaria e di preminente interesse nazionale” e ne quantifica i costi [...] E dagli aggiornamenti svolti dal ministero delle Infrastrutture esce fuori l’astronomica cifra di 13,5 miliardi di euro di costo preventivato.
[...] A quella cifra, peraltro, vanno aggiunti “i lavori complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e Calabria, che dovranno essere oggetto del contratto”, che il ministero stima in 1,1 miliardi. Tirate le somme, si sfiorano i 15 miliardi di euro. E non è finita, visto che dal conto sono escluse le opere complementari stradali che “verranno dettagliate nell’ambito dei contratti di programma con Anas”.
[...] A ogni modo, anche ammesso che Bruxelles non abbia da ridire, quei soldi non ci sono. Il governo lo ammette: “A oggi – si legge – non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente”, ma promette di individuarle “in sede di legge di Bilancio”. Come? Stando al documento, chiedendo a Calabria e Sicilia di dirottare sul ponte parte dei fondi di sviluppo e coesione; prevedendo stanziamenti pluriennali e ricorrendo a prestiti bancari (o di Cdp e Banca europea degli investimenti).
Problema: nessun finanziatore privato si è mai fatto avanti, visto che l’opera non sta in piedi dal punto di vista finanziario. Per questo il ministero spera di avere accesso alle sovvenzioni del programma Connecting Europe Facility Cef (il cui bando esce a settembre). Il documento non le quantifica, ma sono numeri molto bassi. Stando ai regolamenti Ue, potrebbe essere finanziato fino a un massimo del 50% del progetto e del 30% dei lavori ma della sola parte ferroviaria [...]
Ponte sullo Stretto "senza soldi e già vecchio". Così Salvini però farà rinascere la società-carrozzone che dovrebbe costruirlo. Antonio Fraschilla su La Repubblica il 15 Aprile 2023.
Il costo previsto nel Def per l’infrastruttura è quasi raddoppiato a 15 miliardi, ma non c’è un solo euro stanziato. Gli esperti lo bocciano: progetto inadeguato. Ma il decreto voluto dal ministro servirà a far rinascere la società carrozzone Stretto di Messina
Quello propagandato dal ministro Matteo Salvini è un Ponte sullo Stretto di carta. Non ci sono i soldi, come hanno messo nero su bianco i tecnici del ministero dell’Economia nel Def appena pubblicato. Costerebbe comunque quasi il doppio in più rispetto alle previsioni di dieci anni fa. Ma, soprattutto, nelle prime audizioni sul progetto alla Camera, le ennesime negli ultimi quarant’anni di chiacchiere sul Ponte, i docenti universitari ed esperti hanno smontato punto per punto la raodmap del leader della Lega. Salvini con il decreto approvato in Consiglio dei ministri vuole far rivivere il vecchio progetto del gruppo Eurolink (oggi Webuild di Pietro Salini) per avviare i cantieri entro il prossimo anno: «Impossibile avviare i cantieri entro il prossimo anno, il progetto del 2012 è ormai vecchio, e anche se costruito sarebbe inutile per ridurre il traffico aereo e su nave vista la mancanza di qualsiasi progettazione di una vera linea veloce in Sicilia e Calabria», dicono i professionisti ascoltati in questi giorni nelle commissioni congiunte Ambiente e Trasporti. Un bluff che però serve al ministro per propagandare la grande opera e fare nel frattempo qualcosa di molto concreto: rimettere in piedi il carrozzone nato nel 1981 e chiuso dal governo Monti nel 2013, la società Stretto di Messina.
I tecnici del ministero dell’Economia nel Def appena approvato dal governo hanno fatto i conti sull’inserimento del Ponte tra le nuove opere strategiche per il Paese. L’infrastruttura resuscitata costerebbe non più circa 8,5 miliardi di euro, come aveva detto Salvini raffrontandone provocatoriamente la spesa al Reddito di cittadinanza per un anno. Ma 13,5 miliardi di euro, più un altro miliardo per le opere compensative a terra che dovranno realizzare Anas ed Rfi. Totale, quasi 15 miliardi.
Insomma, nemmeno si è ai nastri di partenza e già, per aggiornare i prezzi aumentati negli ultimi dieci anni, il progetto Webuild costa quasi il doppio. L’Europa consente di approvare varianti senza fare nuove gare per un aumento di spesa del 50 per cento, qui siamo ben oltre. Ma in ogni caso di questi soldi non c’è traccia, come si legge nel Def. Dal ministero delle Infrastrutture fanno sapere che «è ovvio che manchi la copertura, questa sarà reperita con la legge di bilancio come sempre avviene per tutte le grandi opere». Ma se non interverranno i mercati o la Cassa depositi e prestiti, ipotesi entrambe altamente improbabili viste le cifre in ballo, difficile che nel bilancio si trovi la copertura pluriennale per questa grande opera.
In ogni caso anche se si dovessero trovare i soldi per magia i problemi sarebbero ben altri. E sono emersi in sede di audizioni alla Camera in questi giorni. Ad esempio è stato ascoltato Federico Massimo Mazzolani, professore emerito di Tecnica delle costruzioni all’Università Federico II di Napoli, che ha smontato il progetto: «Dovete sapere che oggi nel mondo i ponti più lunghi a campata unica hanno una lunghezza di 1,6 chilometri, si trovano in Danimarca e Giappone e vi passano solo le auto: perché nessuno ha voluto far passare i treni visto il peso aggiuntivo e il rischio dovuto alle oscillazioni. Per quanto riguarda la lunghezza in generale, il ponte stradale più lungo è di due chilometri e quello ferroviario è di 1,4 chilometri e si trova sul Bosforo. Noi dovremmo arrivare a costruire un Ponte entro il 2029 e per misure doppie rispetto ai ponti esistenti: un avanzamento che non avrebbe pari nella storia». Il professore Francesco Russo, ordinario di Ingegneria dei trasporti all’Università Mediterranea di Reggio Calabria ha aggiunto: «Occorre fare di nuovo la verifica di sostenibilità e del progetto. Ma a questo punto c’è un problema: le nuove norme sul piano economico e finanziario prevedono condizioni precise. Ad esempio quelle dei ricavi complessivi dal pedaggio e della sostenibilità ambientale riducendo fonti di inquinamento. Ma rispetto a dieci anni fa, quando si parlava di alta velocità in Sicilia e Calabria, per ridurre l’utilizzo di navi e aerei altamente inquinanti, la situazione è cambiata». Il professore Russo quindi conclude: «In Sicilia si sta facendo una operazione incredibile che va nella direzione opposta al Ponte: la nuova linea ferroviaria Catania-Palermo alla fine collegherà le due città in due ore e con intere parti a binario unico. In Calabria invece il progetto attualmente presentato aumenta i chilometri di rete ferroviaria e non ad alta velocità. Una follia. Con il Ponte ci vorrebbero comunque quasi nove ore da Palermo a Roma. In soldoni forse potrebbe convenire ai messinesi prendere il treno per andare nella Capitale, non certo al resto della Sicilia».
Davvero quindi si sta parlando al momento di un ponte di carta e comunque inutile.
IL PAESE DEI PONTI. Cristiana Flaminio su L’Identità il 31 Marzo 2023
Non solo Stretto. L’Italia, in attesa di saperne di più sul Ponte che dovrebbe unire la Sicilia alla terraferma, saluta quello che collegherà l’Abruzzo alle Marche. Intanto al Cipess, il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, è arrivato il via libera a progetti da 3,4 miliardi di euro per rafforzare le ferrovie e, in particolare, da investire sull’alta velocità, dalla Torino-Lione alle strade ferrate in Veneto.
Dalla riunione del Cipess, tenutasi nel pomeriggio di martedì, sono scaturiti anche nuovi progetti per la ricostruzione post sisma in Abruzzo. In particolare, il Comitato ha approvato un addendum al secondo Piano annuale degli interventi di ricostruzione degli edifici scolastici della città de L’Aquila e delle aree colpite dal terremoto del 6 aprile del 2009. L’addendum, che è stato predisposto dal Ministero dell’Istruzione e del merito e proposto al Cipess dal ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, consta di ben dodici interventi di edilizia scolastica, per un investimento complessivo stimano in un valore pari a circa 50 milioni di euro. Sempre in Abruzzo, ieri mattina, è stato presentato il progetto per il ponte sul fiume Tronto. Alla conferenza stampa c’erano i presidenti delle due Regioni, Marco Marsilio per l’Abruzzo e Francesco Acquaroli per le Marche. Con loro anche il sottosegretario con delega alle Infrastrutture della Regione Abruzzo, Umberto D’Annuntiis, il sindaco di Martinsicuro, Massimo Vagnoni ed il sindaco di San Benedetto del Tronto, Antonio Spazzafumo. Il progetto costerà 3,5 milioni di euro e sarà utile al turismo lento, unendo la ciclovia che attraversa la dorsale adriatica. Ma più che per l’opera in sé, l’importanza del ponte sta nella collaborazione tra enti locali.
Gli interventi forti deliberati dal Cipess ieri riguardano, per lo più, le ferrovie. La Tav Torino-Lione innanzitutto: 1,27 miliardi saranno stanziati per avviare il completamento del terzo tunnel di base nella sezione transfrontaliera, dalla parte italiana del confine. Poi ci sono cospicui investimenti in Veneto. Si tratta della linea ferroviaria dell’Alta velocità Verona-Vicenza-Padova, con il nuovo limite di spesa del secondo lotto funzionale dell’attraversamento di Vicenza, di 2.180 milioni di euro. Il costo è stato adeguamento da Italferr Spa ai prezzi 2023, e il Cipess ha autorizzato l’avvio dei lavori del primo lotto costruttivo e assumendo, ribadendo l’impegno programmatico a finanziare l’intera opera, quando saranno disponibili le necessarie coperture finanziarie.
Tanti investimenti ma l’attesa è tutta per l’annunciato progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Martedì, il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini ha spiegato che “La tempistica sarà più precisa nei prossimi mesi. La tratta ad alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria è in fase di progettazione da parte di Rfi. Si può presumere che si risparmierà tra un’ora e un quarto e un’ora e mezzo tra Roma e Reggio Calabria. A lavori ultimati e sono in ballo 11 miliardi, la velocizzazione e la modernizzazione della tratta Palermo – Catania – Messina farà risparmiare anche in questo caso fra 1 ora e 15 minuti e 1 ora e mezza”. Per Salvini, il ponte “sarà un acceleratore di sviluppo per intero mezzogiorno e uno dei corridoi che l’Europa ci chiede di ultimare entro il 2030. Se dopo 60 anni di chiacchiere daremo a 60 mln italiani un’opera che sarà un esempio di efficienza e bravura dell’ingegneria italiana nel mondo sarò un ministro felice”.
Ponte sullo Stretto, costerà 10 miliardi: Mattarella firma il decreto. Storia di Michelangelo Borrillo su Il Corriere della Sera il 31 marzo 2023.
Via libera al Decreto Ponte: firmato dal Capo dello Stato, adesso va in Gazzetta ufficiale. Gli uffici del ministero delle Infrastrutture hanno infatti terminato gli ultimi approfondimenti, sostanzialmente confermando il testo che era stato approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 16 marzo con la formula «salvo intese». In serata il presidente Sergio Mattarella ha firmato ed emanato definitivamente il decreto . «È una scelta storica — si legge in una nota del Mit — che apre a una infrastruttura da record mondiale e con forte connotazione green: il Ponte permetterà una drastica riduzione dell’inquinamento da CO2 e un calo sensibile degli scarichi in mare», spiega il ministero. «Il costo per la realizzazione del Ponte e di tutte le opere ferroviarie e stradali di accesso su entrambe le sponde è oggi stimato in 10 miliardi. Dal 2019 al 2022, il Reddito di Cittadinanza ha avuto un impatto per le casse dello Stato di 25 miliardi».
L’infrastruttrura è stata progettata secondo lo schema del ponte sospeso. Con la «bollinatura» dal parte del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ponte sullo Stretto di Messina entra in una nuova fase attuativa. Il progetto tecnico attualmente disponibile, riferisce il Mit, consiste in circa 8.000 elaborati e prevede una lunghezza della campata centrale tra i 3.200 e i 3.300 metri, a fronte di 3.666 metri di lunghezza complessiva comprensiva delle campate laterali. L’impalcato sarà largo 60,4 metri, 399 metri sarà l’altezza delle torri, 2 le coppie di cavi per il sistema di sospensione, 5.320 metri la lunghezza complessiva dei cavi e 1,26 metri il diametro dei cavi di sospensione. Saranno 44.323 i fili d’acciaio per ogni cavo di sospensione, 65 i metri di altezza del canale navigabile centrale per il transito di grandi navi, con volume dei blocchi d’ancoraggio pari a 533.000 metri-cubi. L’opera è costituita da 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità dell’infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno.
Tempi dimezzati tra Roma e Palermo
Il progetto prevede inoltre l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria per dare vita a un servizio di trasporto pubblico locale tra le due città di Messina e Reggio Calabria. Il ponte è stato progettato con una resistenza al sisma pari a 7,1 magnitudo della scala Richter ( la zona, infatti, è altamente sismica), con un impalcato aerodinamico di “terza generazione” stabile fino a velocità del vento di 270 km/h. Con il Ponte è previsto anche un «taglio» dei tempi per raggiungere la Sicilia: grazie al completamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia e la messa in esercizio del Ponte, il ministero stima «un dimezzamento» dei tempi di percorrenza da Roma a Palermo «oggi pari a 12 ore, di cui un’ora e mezza per il solo traghettamento dei vagoni» e si inserisce nel tracciato del Corridoio multimodale Scandinavo-Mediterraneo.
Ponte sullo Stretto, riparte il fronte del no: «Al Sud serve altro». Fabrizio Bertè su L’espresso il 29 Marzo 2023
Renato Accorinti, ex sindaco di Messina, è il simbolo della lotta contro l’opera che dovrebbe unire Calabria e Sicilia. A portarla avanti, ora che il governo riesuma il progetto, ci sono i giovani. «S’investa, piuttosto, nella messa in sicurezza del territorio»
Sono passati vent’anni da quando un professore di educazione fisica messinese, pacifista e ambientalista, Renato Accorinti, poi sindaco di Messina dal 2013 al 2018, decise, simbolicamente, di arrampicarsi sul Pilone di Torre Faro per dire “no” al Ponte. Era il 25 giugno del 2002: «La passerella di Matteo Salvini a Bruxelles – dice Accorinti, che oggi ha 68 anni – conferma ciò che tutti sapevamo già: non esiste un’idea di finanziamento. Il Ponte è sempre stato solo uno spot elettorale. Uno slogan. Andrò a Bruxelles a spiegare il perché il Ponte sullo Stretto non andrebbe assolutamente finanziato e costruito, ma anche e soprattutto per dire cosa realmente servirebbe al Sud».
Accorinti per Messina non è stato un sindaco “ordinario” ma il simbolo di una battaglia che ha accomunato tanti cittadini: «Puntiamo sulle opere necessarie per il Meridione – ribadisce – quelle che da sempre ci sono state negate. Il no al Ponte non è ideologico, ma tecnico. Perché sorgerebbe su un territorio altamente sismico e non rappresenterebbe una rivoluzione per la viabilità».
Necessaria invece la messa in sicurezza del territorio. «Ogni volta che arriva una bomba d’acqua, dobbiamo contare i morti, come a Ischia o a Giampilieri nel 2009. Pensiamo a migliorare le nostre ferrovie e le nostre autostrade. In un tratto della Messina-Catania si viaggia in emergenza, perché sette anni fa, all’altezza di Letojanni, è crollato un costone roccioso. E non è certo più semplice arrivare a Palermo tra interruzioni e tratti disastrati. Per raggiungerla in treno ci vogliono tre ore. Il nostro campione Vincenzo Nibali, in bicicletta, ci mette meno».
Dietro Accorinti la nuova generazione di “nopontisti”. A cominciare da Giampiero Neri, suo ex alunno: «Renato è sempre stato un esempio per tutte le battaglie pacifiche». «Il Ponte? Assolutamente no, non ci serve», taglia corto Mauro Marino, avvocato. I “No Ponte 2.0” trovano altri riferimenti nell’impegno dell’anarchico messinese Claudio Risitano o in Ciccio Mucciardi, già attivo sul fronte della violenza contro le donne.
Tra i volti più giovani, c’è quello di Giuseppe Ialacqua, classe 1996, che tra i manifestanti è praticamente cresciuto: «Papà e mamma mi portarono all’ormai famosissima manifestazione del 2006. Il movimento deve aggiornarsi, bisogna ripartire e fare rete. Il Ponte sullo Stretto non serve a niente. Se devono essere investiti dei soldi, allora investiamoli in opere realmente utili a un Sud che ha voglia di rinascere».
Ponte sullo Stretto, in Sicilia sono già nati diciotto comitati contro. Gaetano Mineo su Il Tempo il 30 marzo 2023
Riparte puntuale il fronte del «No» al Ponte sullo Stretto. Dopo circa tredici anni, ovvero da quando nel 2012 l’allora premier, Mario Monti, archiviò la grande opera, gli attivisti-ambientalisti tornano a far sentire la propria voce «perché il governo Meloni e il premier Matteo Salvini hanno ricominciato a parlarne anche mentendo». «A questo punto noi torniamo nelle piazze a dire no. E siamo tantissimi» fanno sapere i movimenti di protesta, convinti che il Ponte sia «un’opera inutile e distruttiva» con «il rischio di un cantiere che resterà aperto e incompiuto». Intanto, il governo Meloni tira dritto spedito verso la realizzazione dell’infrastruttura che, una volta realizzata, sarà la più lunga del mondo. «Spero che arrivi a ore l’ok definitivo per il collegamento stabile fra Sicilia, Italia ed Europa di cui se ne parla da 60 anni e penso che possa davvero rivoluzionare il sistema dei corridoi infrastrutturali», afferma il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, in merito al via libera al decreto legge sul Ponte da parte del Consiglio dei ministri. Di certo, la Camera si occuperà del decreto Ponte nel mese di maggio come ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Per il vicepremier, il Ponte sullo Stretto «sarà un acceleratore di sviluppo per l'intero Mezzogiorno, oltre che uno dei corridoi che l'Europa ci chiede di ultimare». Salvini sta lavorando anche a una serie di progetti collaterali alla grande opera. «Noi stiamo investendo 11 miliardi per arrivare in treno più velocemente da Palermo a Catania e Messina – dichiara il titolare della Infrastrutture – e altri miliardi per velocizzare il percorso da Salerno a Reggio Calabria». Intanto, il consiglio nazionale degli ingegneri ha istituito un apposito gruppo di lavoro. Ma gli attivisti, sono in fermento e sono sempre più numerosi. Più movimenti, rispetto a oltre dieci anni fa. E continuano a spuntare come funghi anche da diverse parti d’Italia. Lo stesso Salvini, sostiene di averne contati fino a oggi diciotto. Per capire lo spirito che anima questa rete No Ponte, basta ascoltare alcune dichiarazioni di capi movimento. «Il Ponte sarebbe la pietra tombale su ogni ipotesi di sviluppo per questi territori, non è un volano ma una vera e propria lapide», dice Massimo Camarata (rete No Ponte). Il movimento contro il Ponte non è da ascrivere come l’ennesimo «no», secondo Elio Conti Nibali, del comitato «Invece del ponte», ribadendo che «dire no all’inutile Ponte significa dire sì a tutto quello che è davvero utile per l’area dello Stretto».
Una sfilza di movimenti come «Spazio No Ponte», «No Ponte Capo Peloro» e via dicendo. Tra le proteste in agenda, quella del prossimo 5 aprile che avrà come teatro la sponda calabra, esattamente Villa San Giovanni. Salvini, dal canto suo, è convinto che il Ponte sullo Stretto «costerà meno di un anno di reddito di cittadinanza», ed ha in programma di incontrare «quanto prima cittadini, associazioni e amministratori di Messina e di Reggio, per ascoltare e spiegare i tantissimi vantaggi che un collegamento stabile fra Sicilia e Calabria darebbe a tutti». «Lo accoglieremo come merita, se vorranno realizzare il Ponte dovranno fare i conti con noi» afferma l’ex assessore all’Ambiente del comune di Messina Daniele Ialacqua. In attesa del via libera definitivo del decreto Ponte, al ministero delle Infrastrutture si lavora per aggiornare il contratto con il Contraente generale, approvare il progetto definitivo, quindi il progetto esecutivo, per poi passare all’inizio del cantiere. In sostanza, in poco più di 200 giorni potrebbe essere riapprovato il progetto esecutivo dando inizio al cantiere, il cui setup iniziale con le prime 20mila assunzioni si potrebbe concludere entro l’anno.
Ponte sullo Stretto vitale per il Paese, ma l'unica che lo vuole davvero è la Ue. ERCOLE INCALZA su Io Quotidiano del Sud il 28 Marzo 2023
IN UN Paese industrialmente avanzato, o meglio, in un Paese civile, avremmo letto sicuramente, dopo due settimane di mancata ratifica di un decreto legge sul Ponte sullo Stretto di Messina, le dichiarazioni che riporto di seguito.
CGIL ,CISL E UIL
Le organizzazioni sindacali denunciano l’inconcepibile attesa sulla ratifica del decreto legge sul Ponte sullo Stretto e non riescono a capire come mai un’opera così essenziale e determinante per la crescita del Mezzogiorno e dell’intero Paese sia ancora schiava delle assurde logiche di potere. Il governo sa che ogni anno l’assenza di questa opera produce un danno al Prodotto interno lordo della Sicilia di oltre 6 miliardi di euro e alla Regione Calabria una quota stimata, sempre sul Pil, pari a circa due miliardi di euro. È semplicemente assurdo e inconcepibile che di fronte a questi dati il governo perseveri in un comportamento che aveva caratterizzato l’intera passata legislatura.
CONFINDUSTRIA
La Confindustria, dopo un’apposita assemblea dell’intero gruppo direttivo, denuncia l’assurdo comportamento del governo nel non dare compiutezza al decreto legge sul Ponte. Un comportamento che, ancora una volta, denuncia una crisi interna all’attuale maggioranza, una crisi che non danneggia due limitate realtà territoriali ma la crescita e lo sviluppo dell’intero Paese. La mancata conclusione dell’iter approvativo della norma mette in crisi il Programma che il governo ha varato in occasione del suo insediamento.
REGIONI DEL MEZZOGIORNO
Le Regioni del Mezzogiorno, riunite in Conferenza Stato Regioni, hanno denunciato e definito irresponsabile il comportamento del governo nella mancata conclusione dell’iter approvativo del decreto legge sul Ponte sullo Stretto di Messina. Per questo motivo le Regioni del Mezzogiorno, d’intesa con tutte le Regioni del Paese, hanno deciso di non partecipare alle riunioni della Conferenza Stato Regioni fino a quando non sarà portato a compimento l’iter approvativo del decreto legge. Questa decisone, precisano le otto Regioni del Sud, mette in crisi l’approvazione del Def (Documento di economia e finanza) e di tutti gli atti legati all’attuazione dei programmi supportati dal Fondo di sviluppo e coesione.
L’IMBARAZZANTE SILENZIO ITALIANO
Potrei continuare a elencare i possibili comunicati, le possibili denunce che in un Paese civile avremmo dovuto leggere. Potrei continuare a elencare, per esempio, i possibili comunicati della Confcommercio, della Conftrasporto, dell’Anci, dell’Upi, dell’Ance, ecc., ma, purtroppo, esclusa la bellissima dichiarazione della commissaria ai Trasporti dell’Unione europea, Adina Ioana Valean, che ha definito l’infrastruttura un «progetto molto importante non solo per Reggio e Messina, ma per il Nord e il Mediterraneo, e che la Commissione europea sarebbe onorata di aiutare concretamente l’Italia nell’avvio del Ponte sullo Stretto», e le dichiarazioni sia del presidente della Regione Sicilia, Schifani, che della Regione Calabria, Occhiuto, non ho trovato nulla. In realtà è davvero penoso, ma il Ponte, insisto fino alla noia, ormai è voluto solo dall’Unione europea, è una scelta apprezzata e ritenuta urgente solamente, ripeto, dalla commissaria Adina Ioana Valean. D’altra parte l’opera fu inserita nelle Reti trans european network (Ten – T) solo grazie al convinto riconoscimento da parte del commissario europeo Karel Van Miert che pronunciò la famosa frase: «Abbiamo collegato Malmö con Copenaghen, abbiamo collegato realtà con 5 milioni di abitanti con realtà con 4 milioni di abitanti e sarebbe assurdo non collegare realtà con 5 milioni di abitanti con una realtà di 55 milioni di abitanti».
LA MANINA BEN ADDESTRATA
E noi italiani, invece, da diretti interessati, continuiamo ad assistere, quanto meno, non a delle tipiche masturbazioni di “tecnici esperti del nulla” ma alla presenza di qualche “manina” ben addestrata che cerca di incrinare ancora una volta una scelta che ormai stava per diventare possibile e concreta. Se il sindacato, la Confindustria, le Regioni non capiscono questo, non si rendono conto che il fallimento di una simile decisione produce, automaticamente, un danno all’intero sistema economico e, soprattutto, mette in crisi la credibilità del governo, diventa difficile l’intera evoluzione programmatica dell’attuale maggioranza. Lo so, noi abbiamo, giustamente, avuto tanta paura dell’ultima pandemia, forse però abbiamo sottovalutato un’altra pandemia che ha incrinato la nostra intelligenza. L’unica speranza è trovare quanto prima un vaccino capace di evitare che questa grave forma epidemica diventi irreversibile.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Il pregiudizio contro il Ponte sullo Stretto somiglia alla ruota dei criceti. PIETRO MASSIMO BUSETTA su Il Quotidiano del Sud (Di giovedì 23 marzo 2023)
Il pregiudizio contro il Ponte sullo Stretto somiglia alla ruota dei criceti: Il Commissario europeo Paolo Gentiloni: in Italia riusciamo a dare enorme attenzione a molti problemi che talvolta non sono dietro l’angolo, come il Ponte sullo Stretto e la flat tax
Può essere che Gentiloni non abbia una visione d’insieme? Può essere che dal suo osservatorio privilegi alcuni indirizzi e perda di vista la proiezione di sviluppo complessiva?
La sua affermazione circa l’esigenza di concentrarsi sul PNRR piuttosto che sul ponte sullo stretto di Messina o sulla flax tax dà la sensazione di una mancanza di visione globale. «In Italia riusciamo a dare enorme attenzione a molti problemi che talvolta non sono dietro l’angolo, come il Ponte sullo Stretto e la flat tax, ma c’è un tema di enorme importanza come il Pnrr, che non mi sembra sufficientemente al centro delle attenzioni», sono state le sue parole.
A parte la considerazione che il Ponte sullo stretto è diventato ormai la pietra di paragone di qualunque affermazione, stupisce che anche un commissario europeo, che di visione ampia dovrebbe vivere, si muova come un qualunque e improvvisato commentatore, che di fronte ad ogni problematica non sa fare altro che dire: “e vogliono il ponte sullo stretto“.
Se c’è un terremoto, dopo qualche secondo che la notizie viene diffusa dalle agenzie, il commento sui social di dichiarazioni avvertite dicono: “e vogliono il ponte sullo stretto”. Se c’è un’alluvione o una frana sommerge le case a Ischia o nel messinese, dopo qualche minuto, la frase di rito è sempre la stessa.
IL PREGIUDIZIO SUL PONTE SULLO STRETTO
E che tutto questo possa essere patrimonio dei commentatori della domenica ci può stare, ma che è un Commissario all’economia dell’Unione, rispetto ai ritardi che si stanno accumulando sul PNRR, ma che arrivano da lontano dalle impostazioni generali del piano di ripresa e resilienza che la stessa Unione Europea ha approvato, possa dire “e volete la flax tax o volete il ponte” dimostra o un’insufficienza ed una inadeguatezza non sospettabile oppure che da commissario super partes il nostro, già Presidente del Consiglio, si sia iscritto al partito del no e abbia perso un’occasione di stare zitto.
Era facile rispettare i termini che l’Unione aveva dato per incassare le prime tranches del PNRR, ma mano che il tempo passa e che le scadenze si cumulano ovviamente sarà sempre più difficile rispettare la tempificazione voluta dall’Unione, soprattutto in considerazione del fatto che molte delle amministrazioni locali, che devono essere il motore per la richiesta e la spesa delle risorse messe a disposizione, soprattutto nel Sud, sono assolutamente inadeguate, poiché da anni continuano per problemi di risorse disponibili a depauperare il proprio patrimonio di capitale umano a disposizione, per cui spesso non esiste nemmeno un ufficio tecnico ma un ingegnere capo che presta la sua attività, contemporaneamente, per più comuni. Nel frattempo a mò di corvi, molti da Sala a Toti si dichiarano disponibili ad utilizzare le risorse che il Sud non riesce a spendere, come era ampiamente prevedibile.
Invece di offrirsi in aiuto ai sistemi più periferici e che si dimostrano inadeguati all’effettuazione degli investimenti necessari si candidano a lanciarsi sui cadaveri accumulati per sbranare le carni già deboli.
DE BENEDETTI E I SOLDI CHE NON CI SONO
Il coro si amplia con lo stesso De Benedetti che, dalla sua residenza Svizzera e forte del suo quotidiano, fondato recentemente seguendo la strada di quella impresa provinciale italiana che pretende di avere una sua voce, che poi spaccia come indipendente ed autonoma, dichiara: “D’altra parte, abbiamo un ministro delle Infrastrutture che vagheggia le mirabolanti potenzialità del ponte sullo Stretto di Messina, mentre non abbiamo i soldi per farlo e non serve a nessuno, se non alle mafie per arricchirsi sugli appalti. Le cosiddette «grandi opere» sono fumo negli occhi, un insulto all’intelligenza del popolo che si pretende di impressionare con sfoggi di presunta potenza edificatrice.”
Dimostrando di non aver capito nulla della geopolitica dei prossimi anni che vede nell’Africa e nei rapporti con l’Estremo e il Medioriente la chiave di volta per diventare quella piattaforma logistica che naturalmente siamo, ma che la miopia di una classe dirigente nazionale si è fatta sfuggire di mano, regalandola agli improbabili frugali olandesi piuttosto che a Tangermed o al Pireo.
A Gentiloni risponde a muso duro Matteo Salvini: «Da un commissario europeo mi aspetto aiuti e proposte, non polemiche. Oltretutto rivolte al suo Paese, dichiara il leader leghista. Perché tagliare le tasse e fare piccole e grandi opere è quello per cui mi pagano ed è il futuro del Paese. Da un commissario europeo mi aspetto consigli, suggerimenti su come non perdere neanche un euro di questo Pnrr, magari rivedendo tempi e modalità di spesa».
LA MAGGIORANZA AL FIANCO DI SALVINI E CONTRO I PREGIUDIZI SUL PONTE SULLO STRETTO
Per fortuna al di là delle esternazioni di un commissario europeo che scivola su un’affermazione che riguarda il Sud, ma anche il Paese, tanto con i parenti poveri ci si può consentire di tutto anche di dar loro qualche schiaffo ogni tanto, vi sono a supporto di un Matteo Salvini, dichiarazioni di altri componenti la maggioranza.
Egli intanto sta spendendo sul ponte tutta la sua credibilità, per cui dobbiamo assolutamente supportare questa sua determinazione, perché gli alberi si riconoscono dai frutti che danno e se il frutto è quello del ponte sullo stretto è certamente un frutto buono per il Mezzogiorno e per il Paese. Arriva infatti un assist della senatrice Ronzulli che riprendendo l’idea sempre sostenuta da Berlusconi che in verità aveva fatto partire l’opera afferma che “il Ponte sullo stretto rappresenta un’infrastruttura fondamentale per il futuro dell’Italia, per unire il Mediterraneo all’Europa” e quindi “ora è opportuno adottare procedure, se necessario commissariali, che superino i vincoli burocratici e la stratificazione normativa che rallentano o bloccano la realizzazione delle opere pubbliche“.
IL PONTE SULLO STRETTO COLLEGAMENTO NECESSARIO
Purtroppo quello che è incomprensibile e che viene in qualche modo sostenuto da molti e l’idea che ci debba essere una presa di posizione da parte di tutti su quello che risulta soltanto un collegamento necessario per consentire che l’alta velocità arrivi da Milano a Palermo, che vi sia una sana competizione tra aria e ferro in maniera da evitare lo scandalo dei prezzi dei biglietti da pagare per arrivare a Roma, equivalente il Palermo Roma ormai a quello che serve per fare il Roma New York.
Pensi il nostro Commissario Europeo a far si che parte delle opere necessarie per il ponte, perlomeno quelle a terra si possano finanziare col PNRR, invece di abbandonarsi a dichiarazioni fuori tempo e fuori luogo.Sperando che il Governo non torni indietro sulle sue decisioni utilizzando quel “salvo intese” molto pericoloso, e che le voci delle correzioni del DL, circolate, riguardino soltanto piccoli aggiustamenti.
Via libera al ponte sullo Stretto. Salvini: sarà un’opera green. Marco Cremonesi su Il Corriere della Sera il 16 Marzo 2023
Il ponte sullo Stretto ottiene il via libera per decreto. Lo ha approvato ieri il Consiglio dei ministri «salvo intese», il che significa che non tutto è stato ancora perfezionato. Ma, comunque, approvato. Alle 19.10 di ieri, come specifica una nota del ministero dei Trasporti per sottolineare il dettaglio che segna la svolta, il governo ha fatto partire la procedura. Anche se il testo definitivo non è stato ancora diffuso: «Sarà disponibile a breve perché sono necessari gli ultimi approfondimenti tecnici», si spiega.
Il ministro Matteo Salvini non esita a usare il tono epocale: è «una giornata storica». Perché «dopo cinquant’anni di chiacchiere, questo Consiglio dei ministri approva il «ponte a campata unica» che unisce «la Sicilia all’Italia e al resto dell’Europa». L’opera «più green del mondo», secondo il ministro perché consentirà di ridurre l’inquinamento da anidride carbonica. Anche un’attrazione turistica, secondo Salvini, perché sarà il ponte «strallato» (significa sostenuto da cavi) più lungo al mondo, circa 3,2 chilometri tra Villa San Giovanni e Messina.
In sostanza, il provvedimento resuscita la società ponte sullo Stretto spa costituita nel 1971 a cui parteciperanno «Rete ferroviaria italiana spa, Anas spa., le Regioni Sicilia e Calabria, nonché, in misura non inferiore al 51%, il ministero dell’Economia e delle Finanze, che esercita i diritti dell’azionista d’intesa con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al quale ultimo sono attribuite funzioni di indirizzo, controllo, vigilanza tecnica e operativa» sull’opera. In passato, l’azionista di riferimento era Anas. Giusto ieri mattina, il ministro ha incontrato i presidenti di Sicilia e Calabria, Renato Schifani e Roberto Occhiuto.
Del Ponte, Salvini ha appena parlato anche con Gelsomina Vigliotti, la vice presidente della Banca europea di investimento (Bei) : l’istituto è disponibile a valutare una sua partecipazione, fermi restando la compatibilità ambientale della grande opera. Da sottolineare il fatto che sempre la Bei sarà parte del piano Invest-Eu che metterà a disposizione 3,4 miliardi euro per il rinnovo della tratta ferroviaria Palermo- Catania. Il ministro dei Trasporti sottolinea anche il significato per l’occupazione: «Il Ponte darà lavoro a molte migliaia di persone per diversi anni». Su quanti anni, si sbilancia Edoardo Rixi, il viceministro leghista al Mit: «I tempi di realizzazione tecnica del ponte sullo Stretto sono di un quinquennio». Un ottimismo che nasce dal fatto che il lavoro non è all’anno zero, fermo restando che il progetto dovrà rispettare i criteri di sostenibilità richiesti dall’Unione: «Si ripartirà — prosegue Rixi — dalle autorizzazioni già ottenute nel 2012 relative ai raccordi ferroviari e stradali. Rimetteremo in vita il piano per quell’opera, aggiornandolo, così da essere in grado di fare una cantierizzazione più veloce». Ora, si tratta dunque di costruire e adeguare il progetto. Secondo il decreto, dovrebbe arrivare entro il luglio dell’anno venturo.
Oltre a Salvini, per cui il ponte sullo Stretto è un pilastro del programma oltre che una passione vera, ad esultare per la rinascita del progetto è Silvio Berlusconi: «Questa volta non ci fermeranno. È un’altra promessa agli italiani che siamo finalmente in grado di mantenere». Il riferimento è alle opere legate al «contratto con gli italiani» firmato nel 2001 dal fondatore azzurro da Bruno Vespa.
Resta lo scetticismo delle associazioni ambientaliste. Per il Wwf, il ponte è opera «fallimentare» dagli «elevatissimi e insostenibili costi ambientali, sociali ed economico-finanziari». Secondo l’associazione, «il General Contractor Eurolink (capeggiato da Webuild) che ha progettato il ponte sospeso ad unica campata e doppio impalcato stradale e ferroviario, che si vuole rilanciare, non ha mai prodotto gli approfondimenti tecnici ed economico-finanziari sul progetto definitivo redatto nel 2010».
L'ossessione di Matteo Salvini per il ponte che non si può fare. Sul collegamento Calabria-Sicilia ci sono problemi di ingegneria, finanza e tenuta giuridica del decreto. Ma il vicepremier lo vuole a ogni costo, come i governatori Schifani e Occhiuto. Meloni, invece, tentenna. E Mattarella è preoccupato. Gianfrancesco Turano su L’Espresso il 27 marzo 2023.
Una strana forma di euforia accomuna i due partiti del Ponte. I favorevoli, guidati dal ministro e leader leghista Matteo Salvini, esultano per il rilancio del progetto che unirà la Sicilia al continente ed elencano i benefici strabilianti di un’opera che per adesso presenta qualche criticità. In sintesi, non si sa se è realizzabile, non si sa quanto costa rispetto agli 8,5 miliardi delle ultime stime, non ha studi recenti sui flussi di traffico e non tiene in considerazione l’impoverimento demografico costante di tutta l’area, abitata da 800 mila persone e intasata dai turisti agli imbarchi per un paio di settimane all’anno.
I contrari sono addirittura ilari di fronte all’infattibilità tecnica e finanziaria di un’opera che, a loro modo di vedere, è soltanto una spacconata propagandistica, per di più vista con sospetto dalla donna sola al comando, Giorgia Meloni, presa da ben altri problemi. Per esempio, dalla verifica europea sugli obiettivi del Pnrr prevista il prossimo 30 giugno.
Indubbiamente gli aspetti umoristici abbondano nell’ennesima risurrezione pontificia. A cominciare dalla bozza di decreto presentata il 16 marzo in consiglio dei ministri dal vicepresidente Salvini, titolare del ministero delle infrastrutture, e approvata con la dicitura “salvo intese”. Sono due parole che spalancano abissi giuridici e includono la riesumazione di contratti sciolti, forse con la dicitura “abbiamo scherzato”.
Il reparto fake news è particolarmente spassoso. Salvini parla di un beneficio economico di 5-6 miliardi all’anno per la sola Sicilia. Sui benefici per la Calabria ci sta ancora pensando ma si può ben sperare. Il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha dichiarato che «il ponte significa in qualche misura anche la rinascita della siderurgia e dell’acciaieria italiana», come se l’esecutivo potesse imporre al general contractor Eurolink prodotti più cari e spesso meno efficienti di quelli disponibili sul mercato internazionale.
In tutta la vicenda chi non si sta divertendo è il presidente Sergio Mattarella, che tiene sotto stretta osservanza il decreto, consapevole dei rischi di contenzioso. Sul resto, il presidente può fare poco. Ormai vale il principio che ogni ministro ha diritto a una quota di debito pubblico prossimo venturo. Solo per riavviare la macchina societaria della Stretto di Messina spa (Sdm), messa in liquidazione dieci anni fa nelle mani di Vincenzo Fortunato, e per abbozzare un progetto esecutivo si spenderanno decine di milioni. Ma si creeranno opportunità di nuove nomine.
Gli atti aggiuntivi alla convenzione stipulata nel1971, oltre mezzo secolo fa, metteranno la Sdm sotto il controllo diretto del Tesoro con un nuovo cda a cinque. Il Ministero dell’economia (Mef) nominerà il presidente e l’amministratore delegato. Il tandem Rfi-Anas avrà diritto a una poltrona e le altre due andranno alle regioni guidate da Roberto Occhiuto (Calabria) e Renato Schifani (Sicilia).
Il tutto avverrà a valle delle nomine in scadenza nel gruppo Fs, con Salvini che vorrebbe mandare alla guida di Rfi l’attuale ad di Trenitalia, Luigi Corradi. E possibilmente liberare anche la casella dell’Anas piazzando l’ad Aldo Isi come commissario straordinario della riesumanda Sdm.
Gli stipendi saranno di tutto riguardo visto che sono sottratti alle norme sul tetto dei 240 mila euro l’anno per i manager pubblici. L’unica voce non a carico del contribuente è quella del comitato scientifico. I nove esperti che dovrebbero consigliare il general contractor Eurolink e mantenerlo sulla retta via saranno pagati dalla stessa Eurolink, tuttora in causa con lo Stato dopo avere perso il processo di primo grado sui risarcimenti per la bocciatura pre-salviniana del ponte.
Sulla rinascita dell’opera il principale azionista di Eurolink, Pietro Salini di Webuild, si è mostrato alquanto prudente in un’intervista recente al Corriere della sera. «Credo che più in generale si debba riparlare dei bisogni del paese senza dimenticare che il Sud è un’area dove vivono 25 milioni di italiani e che l’unico meccanismo per prendersene cura non può essere il reddito di cittadinanza».
Non bisognerebbe dimenticare nemmeno che i lavori sull’A2, l’ex Salerno-Reggio dichiarata più volte compiuta anche grazie ai lotti realizzati da Salini, sono fermi con 2 miliardi di euro da spendere. Non basteranno. Il tracciato rinnovato presenta ancora tre buchi colossali a sud di Cosenza, dove i lavori sono in corso, nella zona di Pizzo Calabro, dove bisognerebbe smantellare chilometri di viadotti per sostituirli con una galleria a prezzi molto alti. L’area più critica è proprio quella fra Reggio e Villa San Giovanni, dove dovrebbe poggiare la torre continentale. Secondo i tecnici, il livello di urbanizzazione dell’area rende di fatto impossibile una riqualificazione e sulla sponda siciliana, con Messina distante una dozzina di chilometri dalla pila del ponte, le opere di viabilità accessoria sono da incubo.
Insomma Webuild, che ha portato il suo portafoglio lavori a 12 miliardi di euro con l’acquisizione dell’australiana Clough, ha alternative più semplici nella terra dei canguri. Tecnicamente la campata unica da 3,2 chilometri con linea stradale e ferroviaria presuppone un salto tecnologico che, secondo gli esperti consultati dall’Espresso, è ancora da venire. I confronti con opere simili offerti agli entusiasti sono molto al di sotto della lunghezza dello “stendipanni” fra Scilla e Cariddi. Al momento l’unico parallelo possibile è con il terzo ponte sul Bosforo, il Yavuz Sultan Selim di Istanbul, che accoglie autoveicoli e treni ma ha una luce massima di 1408 metri, meno della metà di quanto serve per scavalcare lo Stretto.
Gli altri casi proposti sono il giapponese Akashi, che sfiora i due chilometri di campata principale. L’opera è stata colpita da un terremoto di scala 6,8 durante la costruzione e ha tenuto. Ma il treno, previsto nel progetto preliminare, era già stato eliminato in fase esecutiva perché la presenza della linea ferrata, per semplificare, impone alla struttura una maggiore rigidità e la rende più fragile rispetto alle sollecitazioni di vento, correnti marine ed eventi sismici.
Non prevedono binari neppure l’Ozmangasi sullo stretto turco di Izmit (1550 metri di campata centrale) e il Fatih Sultan Mehmet sul Bosforo (1090 metri di campata centrale) con mensole strallate simili a quelle previste per il ponte italiano.
Remo Calzona, ex consulente di palazzo Chigi e del Mit, ha inquadrato i problemi tecnologici in un saggio del 2008 (La ricerca non ha fine). Il libro indica la via per collegare la Sicilia al continente in un lungo e paziente lavoro di ricerca, invece della progettazione esecutiva a spron battuto da qui al luglio 2024 sbandierata da Salvini.
Nel marzo del 2022 Calzona è tornato sulla questione con toni più diretti a un convegno universitario a Messina: «Degli analfabeti avevano previsto il ponte sullo Stretto a unica campata».
Non si sa se nella categoria stigmatizzata dal professore rientri il gruppo di lavoro animato dal predecessore di Salvini, lo statistico Enrico Giovannini. Il gruppo aveva già chiuso la sua relazione nell’aprile del 2021 con una sentenza piuttosto chiara, espressa da un panel di sedici esperti composto da manager di Stato e da membri della struttura tecnica di missione del Mit. La conclusione riconosceva l’utilità del collegamento ma favoriva un progetto a campata ridotta con pilastri che affondano nelle acque profondissime dello Stretto. La proposta, che nel rapporto è definita meno costosa, più sicura e con un impatto ambientale inferiore, è considerata impraticabile da molti geologi e progettisti.
Il gruppo di lavoro indicava anche un fattore che il decreto salviniano, scritto sotto dettatura del capo di gabinetto Alfredo Storto, ha accolto. In sigla, sono le Ntc2018 ossia le normative tecniche per le costruzioni entrate in vigore nel gennaio di cinque anni fa. L’adeguamento a queste nuove disposizioni, che assorbono i codici europei, non è affatto a costo zero come non lo è la nuova legge sulla revisione prezzi per i lavori in corso trasformata in legge qualche mese fa e inserita nella bozza di decreto con un linguaggio esoterico al comma 6 dell’articolo 4: «L’ulteriore aggiornamento delle voci del corrispettivo a decorrere dal primo gennaio 2022 fino alla data della delibera di approvazione del progetto definitivo è effettuato sostituendo gli indici previsti dalle clausole di revisione prezzi di cui al comma 5, lettera b con la media delle variazioni percentuali del valore dei primi quattro progetti infrastrutturali banditi da Rfi o Anas nel 2022 secondo l’ordine di priorità determinato dall’importo a base di gara. La variazione percentuale del valore dei predetti progetti è rappresentata dal rapporto tra il valore ottenuto applicando alle quantità previste nel progetto a base di gara le tariffe vigenti alla data della delibera di approvazione del progetto definitivo».
In parole più chiare, l’aumento dei costi è inevitabile e bastano pochi decimi di punto quando gli ordini di grandezza sono di circa centomila tonnellate di acciaio per le due torri, di oltre cinquantamila tonnellate per l’impalcato e i cavi richiedono materiali di altissima qualità.
Oltre a impiombare i conti pubblici, il ponte avrebbe l’effetto aggiuntivo di affossare il traffico marittimo che serve il porto di Gioia Tauro, come ha indicato il presidente di Federlogistica Luigi Merlo. Le grandi navi da crociera e da carico hanno altezze che ormai sfiorano gli 80 metri e rischierebbero di incastrarsi sotto l’impalcato a quota 65 metri con danni enormi. Con queste premesse il rischio è sempre quello di mezzo secolo fa: tanto rumore per bruciare altro denaro pubblico.
Lettera di Gaetano Pesce a “L’Espresso” il 7 aprile 2023.
Ho letto il vostro articolo "L'ossessione di Matteo Salvini per il ponte che non si può fare" sull’Espresso online del 27 marzo.
Sono rimasto profondamente sorpreso di leggere, da una parte che si vuole realizzare un ponte che lega la Sicilia all’Italia facendo un viadotto che è una copia del Golden Gate di S. Francisco. Una vergogna sapendo che l’Italia non ha mai copiato, ma al contrario è stata sempre copiata!
Nell'altra parte dell’articolo vi sono descrizioni di altri "opinionisti" che deridono i sostenitori del ponte, perché è difficile da realizzare, impossibile e, in una parola, fuori dalla realtà italiana.
A questo punto sono sconvolto e chiedo: dove sono finiti gli italiani capaci di realizzare il Pantheon senza colonne, o costruire una città miracolo sull’acqua in un' epoca certamente non provvista di tecnologia avanzata, e il Duomo di Milano, o il Ponte abitato di Firenze, o Rialto, o la cupola di Brunelleschi o quella di Michelangelo, o piazza San Pietro e la Mole Antonelliana???
Dove sono finiti Giotto, Masaccio, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Bernini e Borromini che hanno osato l’impensabile e che ci hanno dato un’Arte fino ad oggi mai superata e che il mondo ci invidia?
Cosa è successo al mio Paese che non è più capace di sognare? Perché in questa grande Italia, se c’è uno che ha un’idea, c’è subito un altro che lo demolisce? Perché questa sonnolenza e torpore che ci fanno aver paura del nuovo?
Sia chiaro che non sostengo il progetto di Ponte copiato! Ma vorrei suggerire che si realizzasse un ponte innovativo, un Ponte “scoperta”, che dicesse al mondo che l’Italia si è risvegliata tornando ad essere capace di inventare una meraviglia, che portasse prestigio internazionale per secoli e infiniti, sbalorditi visitatori? Perché non tentare ?
Perché il Capo dello Stato, così amato dagli italiani, non li esorta a essere più coraggiosi, più cultori della scoperta, più sperimentali, innovativi e creativi e amanti del futuro e del progresso ?
Gaetano Pesce
La storia infinita del Ponte sullo Stretto di Messina ricomincia da capo. Stefano Baudino su L'Indipendente il 17 marzo 2023.
Il Ponte sullo stretto si farà. O meglio, forse si farà, perché il governo sul punto ha preso tutte le precauzioni del caso. Da un lato, infatti, ci sono gli annunci festanti del ministro dei Trasporti Matteo Salvini e del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, due dei principali sponsor del progetto. Dall’altra c’è una nota del ministero dei Trasporti che afferma nero su bianco che sul decreto per il Ponte dello Stretto di Messina “il Consiglio dei ministri ha dato il semaforo verde salvo intese” e che “il testo sarà disponibile a breve perché sono necessari gli ultimi approfondimenti tecnici”.
Il testo che ha ottenuto l’ok in Consiglio dei ministri consente l’immediato riavvio dell’iter di progettazione e realizzazione dell’opera. Si ripartirà dal progetto definitivo che venne approvato nel 2011, quello del ponte sospeso strallato più lungo al mondo (3,2 chilometri), che verrà aggiornato e adattato alle nuove norme in materia tecnica, ambientale e di sicurezza. All’articolo 2, comma 8, lettera b si prevede anche una data precisa entro cui approvare il progetto esecutivo: il 31 luglio 2024. Il ruolo cardine ce l’avrà la Stretto di Messina Spa, partecipata da Rfi, Anas, le Regioni Sicilia e Calabria e dal Ministero dell’economia, riattivata con la manovra di bilancio dal governo.
Il ministro e leader leghista Matteo Salvini ha dichiarato che «si tratta di un’opera fortemente green: consentirà di ridurre l’inquinamento da anidride carbonica, oltre a permettere un consistente risparmio di tempo e denaro a tutti coloro che devono attraversare lo stretto. Infine, sarà motivo di grande attrazione turistica». «Già 20 anni fa con il mio governo avevamo pronto il progetto – ha invece scritto il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi sulle sue pagine social -, un’opera strategica che si sarebbe realizzata se la sinistra non fosse intervenuta con la politica dei no. Questa volta non ci fermeranno. Sarà un ponte che collegherà la Sicilia non solo alla Calabria, ma anche all’Italia e all’Europa intera: con il nuovo collegamento si metterà in moto un volano per l’economia siciliana che garantirà occupazione a più di centomila persone e la Sicilia potrà così diventare una base per la logistica dei trasporti internazionali in arrivo dal Mediterraneo. È un’altra promessa agli italiani che siamo finalmente in grado di mantenere».
Ed effettivamente, basta riavvolgere il nastro della storia per constatare come il dibattito sulla costruzione del Ponte sullo stretto non nasca certo oggi. Ma per trovare il punto d’origine del percorso non basta spingersi agli anni del dominio politico berlusconiano e nemmeno alla lunga era della Prima Repubblica, bensì – anche se potrebbe sembrare incredibile – agli anni delle Guerre Puniche. Lo storico Strabone narra infatti che il primo ad avere realizzato un collegamento per l’attraversamento dello stretto di Messina fu il console romano Lucio Cecilio Metello nel 250 a.C., con l’obiettivo di agevolare il trasferimento sulla penisola di un centinaio di elefanti catturati dalle legioni romane ai Cartaginesi di Asdrubale nella battaglia di Palermo. Secondo Strabone, Lucio Cecilio Metello “radunate a Messina un gran numero di botti vuote le ha fatte disporre in linea sul mare legate a due a due in maniera che non potessero toccarsi o urtarsi. Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e da altre materie e fissò parapetti di legno ai lati affinché gli elefanti non avessero a cascare in mare”.
Passando alla contemporaneità, i primi progetti concreti riguardanti il Ponte sullo stretto sono rintracciabili nell’Ottocento. In primis fu il Re delle due Sicilie Ferdinando di Borbone a incaricare un’équipe di tecnici per uno studio di fattibilità, finendo poi ad abbandonare il progetto dato il costo troppo elevato che avrebbe comportato. Fu poi l’Unità d’Italia a stimolare un grande confronto su aspetti tecnici, politici, economici, urbanistici, ambientali e sociali circa l’ipotesi di un attraversamento stabile dello stretto di Messina, in cui furono evidenziate le potenziali opportunità di sviluppo sia nazionale e locale sottese alla realizzazione dell’opera. Se nel 1896 entrarono in servizio le prime due navi traghetto, battezzate “Scilla e Cariddi” (due piroscafi con propulsioni a ruote, che avevano la possibilità di caricare 400 tonnellate), nella stessa fase storica emersero due progetti per la costruzione del Ponte, realizzati dagli ingegneri Alfredo Cottrau e Carlo Alberto Navone: non andarono in porto, anche perché nel 1908 Messina venne distrutta quasi interamente da un terremoto di magnitudo 7.1, che portò alla morte circa 80mila persone.
Nel Novecento, il primo a menzionare il Ponte sullo stretto come importante opera da costruire dopo la guerra per rilanciare il Paese fu proprio Benito Mussolini: «È tempo che finisca questa storia dell’isola – diceva il Duce nel 1942 -. Dopo la guerra, farò costruire un ponte tra il Continente e la Sicilia». Ma l’Italia quella guerra la perse e Mussolini cadde, così il piano fu seriamente ripreso solo negli anni Cinquanta, quando fioccarono nuove idee. La prima fu incarnata da un progetto preliminare di ponte sospeso concepito dall’ingegnere americano David Steinman, incaricato dall’associazione dei costruttori italiani in acciaio (ACAI), a cui si ispirò la Regione Siciliana, che commissionò alla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano uno studio geofisico per verificare la natura delle formazioni sui margini e sullo sfondo dello stretto. Ma nulla trovò concretezza.
Il progetto di ponte sullo Stretto progettato dall’ingegnere statunitense David B. Steinman presentato nel 1953 [fonte Wikimedia.org]Tutto sembrò cambiare nel 1968, con l’approvazione della legge 384, in cui si diede mandato ad Anas, Ferrovie dello Stato e CNR di acquisire ulteriori elementi di giudizio rispetto alla fattibilità dell’opera. L’anno dopo, Il Ministero dei Lavori Pubblici bandì un “Concorso internazionale di idee” per collegare la Sicilia all’Europa: 143 i progetti presentati, con 12 premi, 6 primi premi ex aequo di 15 milioni di lire e 6 secondi premi ex aequo di 3 milioni di lire. Iniziarono, dunque gli studi di fattibilità sull’opera.
Nel 1981, poi l’Esecutivo di marca DC guidato da Arnaldo Forlani costituì la società Stretto di Messina Spa. Partecipata da Iri, Ferrovie dello Stato, Regione Sicilia, Regione Calabria, fu inquadrata come concessionaria per la progettazione e realizzazione del Ponte sullo Stretto. Viene così approvata la soluzione del ponte sospeso a unica campata. In quel contesto, il ministro de Mezzogiorno Claudio Signorile affermò che il ponte avrebbe visto la luce «entro il 1994». Anche il leader del PSI Bettino Craxi, con toni trionfalistici, sostenne che tutto era pronto e che il 1988 sarebbe stato l’anno dell’apertura dei cantieri. Romano Prodi, che all’epoca rivestiva la carica di presidente dell’Iri ed era un grande sostenitore dell’opera, promise che i lavori per la costruzione sarebbero cominciati «al più presto». Invece, i lavori non partirono. Anche perché, subito dopo, scoppiò Tangentopoli: le inchieste di Mani Pulite terremotarono la politica italiana e, in particolare, misero la parola fine alla lunga storia di DC e del PSI. Nel mentre, la mafia metteva a ferro e fuoco non solo la Sicilia, con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, ma anche Roma, Milano e Firenze con le bombe “ricattatorie” del 1993.
Da quelle ceneri nacque il governo di Silvio Berlusconi. Dopo la presentazione di uno studio sull’impatto ambientale conforme alle prescrizioni fissate da un D.P.C.M. del 1988, tra il luglio del 1994 e l’autunno del 1995 prima le FF. SS. e poi ANAS completarono l’esame tecnico del progetto di massima, a cui attribuirono parere favorevole, richiedendo però l’approfondimento di alcuni aspetti tecnologici. Il primo governo Berlusconi ebbe vita breve e si arrivò alle elezioni del 1996, vinte dal centrosinistra guidato da Prodi. Nell’ottobre 1997 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici approvò all’unanimità il Progetto di massima e il Presidente del Consiglio emanò una Direttiva per avviare l’adeguamento alla normativa comunitaria della concessione alla società Stretto di Messina SpA. Nel frattempo, venne costituito il comitato “Tra Scilla e Cariddi”, composto da Verdi, Legambiente, WWF, ma anche da illustri accademici e tecnici, con l’obiettivo di battersi per bloccare il progetto di realizzazione del Ponte, che si appellò all’Unesco per la difesa dell’ecosistema del Mediterraneo.
Modellino di un troncone del Ponte di Messina presso la Galleria del Vento del Politecnico di Milano [fonte: Wikimedia.org]Alle elezioni del 2001 si scontravano Francesco Rutelli, leader del centro-sinistra, e Silvio Berlusconi, a capo della coalizione di centro-destra. Entrambi si dissero favorevoli alla costruzione del Ponte, ma fu il Cavaliere a farne un vero e proprio “cavallo di battaglia” della sua campagna elettorale, arrivando a inserirlo nel disegno delle grandi opere da realizzare presentato a Porta a Porta quando firmò il celebre “Patto con gli italiani”. Risultato: Berlusconi vinse le elezioni e il bando per la realizzazione del ponte fu vinto dalla società Impregilo, che nel 2006 firmò il contratto per la progettazione finale. A seguire, firmarono anche le altre ditte. Ma alle elezioni del 2006 trionfò il centro-sinistra guidato da Romano Prodi e tutto venne di nuovo bloccato. Almeno fino a quando, nel 2008, l’Esecutivo cadde e Berlusconi ritornò a vincere le elezioni.
Nel 2010, la Impregilo consegnò il progetto definitivo per la costruzione del Ponte sullo stretto. Che, nel 2011, fu approvato dal Consiglio di Amministrazione della Società Stretto di Messina. Ma lo stesso anno, sul più bello, l’Unione Europea decise di non includerlo tra le grandi opere destinatarie dei fondi comunitari. E, nella medesima fase, crollò il governo Berlusconi. l’Esecutivo “tecnico” di Mario Monti decise di non dare continuità al progetto: nel 2013, la “Stretto di Messina Spa”, che era stata creata 32 anni prima, venne messa in liquidazione e il progetto decadde. Il governo dovette pagare una penale di 300 milioni di euro alla Impregilo.
L’ultimo premier a rilanciare il progetto di realizzazione del Ponte fu, nel 2016, Matteo Renzi, allora al vertice del Pd. In occasione dell’assemblea che celebrava i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo, rivolgendosi ai costruttori che componevano la platea, Renzi disse: «Noi siamo pronti alla sfida, se voi siete nelle condizioni di portare le carte e sistemare ciò che è fermo da dieci anni, noi lo sblocchiamo», dichiarando inoltre che il progetto avrebbe potuto «creare 100.000 posti di lavoro». E invece, non successe nulla. Almeno fino a ieri, con l’annuncio della grande “svolta”. L’ennesima, dai tempi delle botti e degli elefanti di Lucio Cecilio Metello. [di Stefano Baudino]
L’ORA DEL PONTE. Cristiana Flaminio su L’Identità il 15 Marzo 2023.
La Sicilia si rifà il look. Potrebbero arrivare presto 3,4 miliardi di euro per la linea ferroviaria Palermo-Catania. E, contestualmente, si potrebbe sbloccare il Ponte sullo stretto di Messina. Il ministro alle infrastrutture Matteo Salvini ha annunciato che, forse già in settimana, potrebbe arrivare il decreto che avvierebbe la procedura per l’opera più attesa, più discussa, più contestata e forse più sognata (almeno dai siciliani) degli ultimi cinquant’anni.
L’annuncio di Salvini è arrivato a Radio24. Durante l’intervista, il ministro ha affermato che il decreto per la realizzazione del Ponte “potrebbe arrivare già questa settimana se tutti danno gli elementi utili a chiudere il dossier”. Per il momento, allo studio ci sono le implicazioni dell’infrastruttura e gli effetti ambientali: “Stiamo analizzando quante persone lo userebbero e quanto farebbe risparmiare in termini di tempi e riduzione dell’impatto ambientale”. Ma fretta, giura Salvini, non ce n’è: “Gli italiani sono scettici perché non si è mai fatto, quindi due o tre giorni in più non cambiano niente”. Il decreto potrebbe essere discusso in consiglio dei ministri già nelle prossime settimane, entro marzo. In mattinata, Salvini ha incontrato Gelsomina Vigliotti, la vicepresidente della Banca europea degli investimenti. Una nota ufficiale del ministero delle Infrastrutture ha reso noto che, durante l’incontro, si è parlato anche del progetto legato al ponte sullo Stretto. Toccherà adesso alla Bei dipanare la matassa. O meglio, scegliere se diventare partner finanziario dell’opera che farebbe uscire i cittadini siciliani dall’incubo dell’insularità.
Ma il summit istituzionale tra il Mit e la Bei ha avuto anche (se non soprattutto) un altro tema. Non meno importante. Saranno investiti, infatti, 3,4 miliardi di euro per rifare la linea ferroviaria tra Palermo e Catania. La tratta che sarà interessata dai lavori è lunga 178 chilometri. . Nel dettaglio, l’accordo prevede un finanziamento diretto della Bei al Ministero dell’Economia e delle Finanze da 800 milioni, di cui la prima tranche da 200 milioni è già stata stipulata. Inoltre è previsto uno strumento di contro-garanzia, sempre da parte della Bei e sviluppato insieme a Ferrovie dello Stato Italiane, per un importo di 1,3 miliardi a favore di intermediari finanziari. Di questi, i primi 500 milioni sono stati assegnati ad Intesa Sanpaolo – banca che ha fatto da apripista al progetto contribuendo alla definizione dello schema dello strumento – e 300 milioni a Cassa depositi e prestiti, mentre i rimanenti 500 milioni verranno allocati ad altri intermediari finanziari in una fase successiva. L’intervento di contro-garanzia che sostiene la garanzia della Bei da 1,3 miliardi è sostenuto da InvestEu, il programma dell’Unione Europea che mira ad attivare investimenti per 372 miliardi entro il 2027, di cui il Gruppo Bei è il principale partner attuativo. Salvini ha esultato: “I cittadini si aspettano concretezza e abbiamo il dovere di non deludere le aspettative. Siamo impegnati per recuperare il tempo perso, accelerando sui lavori, e per garantire collegamenti efficienti in Sicilia. Collegamenti utili soprattutto se si pensa che il Governo è determinato (dopo decenni) a far diventare realtà anche il ponte tra l’isola e la Calabria”. Vigliotti ha spiegato: “La rete Ten-T, di cui la Palermo-Catania fa parte, mira a promuovere il mercato singolo europeo, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale dei trasporti, migliorandone l’efficienza energetica e aumentandone la sicurezza. Dal 1998 ad oggi, in qualità di Banca per il clima, la Bei ha sostenuto lo sviluppo del sistema ferroviario e dell’alta velocità in Italia con oltre 13 miliardi di euro”.
Il progetto. Ponte sullo Stretto, perché farlo e perché no. Roberto Cota su Il Riformista il 19 Marzo 2023
Il ponte sullo stretto. Se ne parla da tempo immemorabile. Gli antichi romani ci avevano già pensato e avevano realizzato un collegamento tra Calabria e Sicilia fatto di barche e botti per trasportare gli elefanti. Ai nostri tempi, il ponte è diventato il simbolo delle promesse politiche mai realizzate. Ci sono argomenti a favore ed argomenti contro.
Quelli a favore, si basano principalmente sul fatto che la realizzazione di questa opera porterebbe una scossa positiva all’economia della Sicilia ed anche della Calabria: occupazione, investimenti collegati, facilità negli spostamenti di persone e merci, modernizzazione e turismo.
Quelli contrari, evidenziano come senza le infrastrutture (ad esempio adeguata rete autostradale con relativi svincoli e di alta velocità) in Calabria ed in Sicilia il ponte servirebbe a poco. Inoltre, c’è il rischio che l’opera risulti scomoda per il traffico locale e che, in definitiva, l’occupazione non cresca perché si perderebbe anche l’indotto dei traghetti. Infine, ci sono diverse questioni statiche da risolvere ed i tecnici dibattono anche in maniera piuttosto accesa sulle diverse opzioni.
Poi, tra i problemi, ce n’è uno piuttosto singolare: il ponte andrebbe ad impattare con le rotte seguite dagli uccelli durante le loro migrazioni. Verrebbe da dire, gli uccelli si accorgeranno del ponte e cambieranno rotta. Non è così semplice, in quanto il percorso è lo stesso da migliaia di anni ed è entrato nel DNA dei volatili. Le infrastrutture sono importanti per un paese e se si ragionasse con la politica dei no si perderebbero grandi opportunità. Il ponte sullo stretto, però, non è una infrastruttura qualunque: trasforma la Sicilia da isola in appendice del continente.
Ecco, i siciliani sono davvero disponibili a rinunciare alla loro specificità, a cambiare il loro DNA? Vedremo se contro il ponte si schianteranno, non soltanto gli uccelli durante le loro migrazioni, ma anche i siciliani che sentiranno di aver perso la loro identità. Roberto Cota
Una storia italiana. L’impatto ambientale del ponte sullo stretto e la sottovalutazione delle alternative. Chiara Beretta su L’Inkiesta il 23 Marzo 2023
Non c’è (ancora) una risposta certa sull’ecosostenibilità dell’infrastruttura tanto celebrata da Salvini, che continua pretestuosamente a elogiarne le qualità “verdi”. La riduzione delle emissioni non è affatto scontata, e il progetto - in un’area delicatissima dal punto di vista naturalistico - va nel verso opposto rispetto agli obiettivi del Green deal europeo
Le uniche cose certe, in Italia, sono la morte, le tasse e la promessa di costruire il ponte sullo Stretto di Messina. L’ipotesi di un attraversamento stabile di questo tratto di mare era stata avanzata già con l’Unità d’Italia, ma è soprattutto nel secondo dopoguerra che ritorna nel dibattito sull’ammodernamento e sul rilancio del Sud Italia.
Il percorso di progettazione inizia ufficialmente nel 1969, quando prendono il via i primi studi di fattibilità, e si trascina tra stop e riprese fino allo scorso giovedì 16 marzo, quando il consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto Ponte. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, in un tweet ha manifestato soddisfazione e ha parlato di «un’infrastruttura che ha l’ambizione di diventare la più moderna e sostenibile al mondo e che porterà lavoro, sviluppo e futuro».
Nello specifico, il decreto approvato ricostituisce la società Stretto di Messina SPA, nata nel 1981 per realizzare l’opera e poi messa in liquidazione nel 2013. Secondo il ministro delle Infrastrutture, il progetto esecutivo del ponte sullo Stretto dovrebbe essere presentato e approvato entro la fine di luglio 2024, poi dovrebbero iniziare i lavori. Almeno, in teoria: il percorso progettuale si preannuncia in realtà più lungo e complesso.
Ci sono varie questioni che rendono da sempre l’idea di un ponte sullo Stretto particolarmente dibattuta e controversa: il costo elevato (più di otto miliardi), l’effettiva necessità e priorità dell’opera, le reali ricadute sociali ed economiche, le notevoli complessità tecniche, il rischio di corruzione e infiltrazioni mafiose e il fatto che l’area ha un elevato rischio sismico.
Ultime ma non meno importanti, le criticità per l’ambiente. «L’opera ricade in un’area particolarmente fragile dal punto di vista ecosistemico, in cui ci sono parecchie interferenze naturalistiche, geologiche, ambientali e paesaggistiche», conferma Aurelio Angelini, professore ordinario di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio all’Università Kore di Enna e autore del libro “Il mitico ponte sullo Stretto di Messina – Da Lucio Cecilio Metello ai giorni nostri: la storia, la cultura, l’ambiente” (FrancoAngeli).
Il ponte sullo Stretto: un’opera sostenibile?
Partiamo da una premessa: non è possibile dire già oggi né in termini assoluti se il progetto del ponte sullo Stretto sarà sostenibile dal punto di vista ambientale. Per accertarlo esiste una procedura apposita, la Valutazione dell’impatto ambientale (VIA), il cui scopo è l’analisi preventiva dell’insieme degli effetti di un’opera nei confronti dell’ambiente geofisico, della salute, del benessere umano e animale, del patrimonio culturale, dell’ecosistema, eccetera.
«Il fine è identificare le misure per la prevenzione, eliminare o rendere minimi gli impatti negativi prima che questi si verifichino», spiega Angelini. «La valutazione d’impatto è sostanziata dalla cosiddetta Opzione Zero, prevista dalla normativa, cioè l’alternativa che prevede la non realizzazione di un’opera. L’Opzione Zero costringe a ribaltare completamente la prospettiva e a valutare le possibili alternative al progetto presentato, compresa l’ipotesi della non realizzazione. Assieme alle alternative, per trasparenza e chiarezza devono essere indicate anche le ragioni della scelta effettuata», aggiunge l’esperto.
Il decreto Ponte del 16 marzo è stato approvato «salvo intese»: significa che il progetto definitivo non è ancora disponibile. Al momento non si può ancora fare una pre-valutazione dei possibili impatti. L’idea del governo Meloni, però, è quella di ripartire dal progetto definitivo del ponte del 2012, che nel marzo 2013 era già stato considerato “invalutabile” dalla commissione VIA-VAS per le tante carenze contenute e un’incidenza negativa sui sistemi naturali. «La strada non è in discesa. Nel progetto dal quale si intende ripartire erano già state evidenziate numerose criticità a cui dare una risposta per ottenere il via libera sotto il profilo ambientale, posto che rimane come un macigno il richiamo della corte dei Conti sull’impatto economico dell’opera e sul rapporto costi-benefici», commenta.
La posizione delle associazioni ambientaliste
Nel 2021, Legambiente, Wwf e Kyoto Club hanno espresso contrarietà al progetto del ponte, definendolo – tra le altre cose – dannoso per l’ambiente. Il parere faceva parte del commento alla relazione del gruppo di lavoro istituito nel 2020 dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile allo scopo, appunto, di analizzare la fattibilità dell’opera e le possibili alternative. Oltre a definire tale relazione carente e «irricevibile», le tre associazioni si erano schierate a favore del miglioramento e del potenziamento dei servizi di traghettamento esistenti e, in generale, del sistema infrastrutturale e logistico della zona.
In seguito alla recente approvazione del decreto Ponte, il Wwf si è espresso nuovamente sulla questione ribadendo che si tratta di «un’opera dagli elevatissimi e insostenibili costi ambientali». L’associazione FareAmbiente, invece, è di parere diverso: il suo presidente Vincenzo Pepe ha dichiarato in un’intervista che il ponte «ridurrebbe drasticamente le emissioni di CO2».
Emissioni e tempi di percorrenza: un calcolo incerto
Non è immediato capire a quanto ammonterebbe effettivamente questo risparmio di CO2, sia perché manca il nuovo progetto definitivo dell’opera sia perché i fattori da considerare sono diversi e i dati a disposizione eterogenei. Sicuramente i traghetti hanno un’impronta carbonica elevata e questo è un tema su cui, come sta già accadendo, bisognerà comunque intervenire in un’ottica di decarbonizzazione dei trasporti.
Secondo uno studio, i traghetti rappresentano circa il tre per cento di tutte le imbarcazioni che toccano i porti dell’Area Economica Europea, ma nel 2018 sono stati responsabili del dieci per cento delle emissioni di CO2 di tutte le navi prese in esame. I fattori che determinano queste emissioni sono variabili: giocano un ruolo determinante le dimensioni e l’età dell’imbarcazione, il sistema di propulsione e altre caratteristiche come numero di veicoli, cabine e servizi per i passeggeri.
Come riporta La Stampa, ogni anno lo Stretto di Messina è attraversato da oltre dieci milioni di persone, una parte delle quali è a bordo di un milione e ottocentomila autovetture e quattrocentomila mezzi pesanti. Il 76,2 per cento dei passeggeri viaggia senza auto al seguito. Per trasportare queste persone e questi mezzi servono circa centomila corse tra traghetti, navi ferroviarie e aliscafi. Attualmente ci sono cinque compagnie che operano nello Stretto con servizio passeggeri e auto al seguito o treno. Le tratte sono Messina-Reggio Calabria, Messina-Villa San Giovanni e Tremestieri-Villa San Giovanni; le partenze avvengono indicativamente ogni quaranta-sessanta minuti.
Se il ponte venisse realizzato, presumibilmente il numero di corse via mare calerebbe. Ma di quanto? Anche in questo caso ci sono più fattori da considerare. Tra le soluzioni più accreditate per la realizzazione dell’opera, infatti, c’è il ponte sospeso a campata unica di tre chilometri, che però andrebbe posizionato nel punto meno esteso dello stretto, abbastanza lontano sia da Reggio Calabria che da Messina: i tempi di percorrenza a quel punto non sarebbero competitivi con la più breve traversata in traghetto (circa trenta minuti). Inoltre, il ponte così realizzato non sarebbe presumibilmente utilizzabile nelle giornate di forte vento, perché molto flessibile. Il trasporto navale, dunque, in qualche misura dovrebbe rimanere.
«Il ponte che si vuole realizzare dovrebbe avere due torri da quasi quattrocento metri su cui appoggiare una campata sospesa di 3.666 metri», aggiunge Angelini. «Avrebbe una “luce” di circa settanta metri che, secondo Federlogistica, non permetterebbe l’attraversamento dello Stretto di gran parte delle grandi navi che solcano il Mediterraneo. È un’altezza che implica, inoltre, un lungo percorso per realizzare i collegamenti stradali all’aperto e in galleria, per ventiquattro chilometri complessivi sulle due contrapposte sponde dello Stretto di Messina, nonché raccordi ferroviari all’aperto e in galleria, per 36,5 chilometri complessivi sui due versanti».
L’impatto sulla biodiversità
Molte preoccupazioni ambientaliste legate alla realizzazione del ponte sullo Stretto sono dovute alla delicatezza dell’area dal punto di vista naturalistico. Qui ci sono, infatti, due Zone di Protezione Speciale e undici Zone Speciali di Conservazione, ossia aree caratterizzate da ecosistemi fragili, con un’elevata concentrazione di biodiversità o importanti per il transito di mammiferi marini e avifauna.
Nel 2005, tra l’altro, l’Unione europea aveva annunciato l’avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia perché lo studio sull’impatto ambientale del ponte non era stato effettuato correttamente, mancando in particolare misure idonee per la salvaguardia degli uccelli.
«L’ecosistema dell’area vasta dello Stretto verrebbe interessata, direttamente o indirettamente, dalla costruzione del ponte, con il conseguente annichilimento della biodiversità che ci alimenta. Noi dipendiamo dall’economia della natura e oggi Oïkos è sempre meno in grado di supportare Bios. Non possiamo continuare a segare il ramo su cui siamo seduti, perché prima o poi precipiteremo», commenta Angelini.
Priorità di interventi e alternative
Il ponte sullo Stretto è stato più volte definito «un’astronave nel deserto». Anche ammettendo di collegare la Sicilia alla terraferma, sia l’isola che la Calabria sono caratterizzate da una grave e cronica carenza di infrastrutture rispetto al resto del Paese.
Chi è contrario o scettico nei confronti del progetto del ponte, quindi, ritiene che ci siano altri interventi prioritari in quest’area e che sia più vantaggioso, oltre che urgente, migliorare i sistemi di trasporto già esistenti, anche favorendo gli investimenti per decarbonizzare il trasporto marittimo. Anche Legambiente, nel 2022, aveva proposto un pacchetto di proposte alternative al ponte, il cui obiettivo era di fatto migliorare, ampliare e ammodernare le linee ferroviarie e il trasporto via mare, così da rendere gli spostamenti più rapidi e semplici.
Queste e altre proposte simili vanno tra l’altro nella direzione già indicata dal Green deal europeo. Tra le azioni previste per azzerare le emissioni entro il 2050, infatti, c’è anche il trasportare le merci usando sempre meno camion e tir e sempre più navi e treni. Anche il Piano per la transizione ecologica italiano prevede un taglio del sessanta per cento del parco autoveicoli nei prossimi decenni. Il progetto di costruire un ponte sullo Stretto, pensato soprattutto per tir e auto, sembra andare invece nel verso opposto rispetto a questa auspicabile trasformazione del sistema dei trasporti.
«Quando il ponte è diventato un’idea, in Sicilia c’erano solo due aeroporti. Oggi sono sei e quello di Catania è il terzo per movimento di persone a livello nazionale», conclude Angelini. «I treni a lunga percorrenza dalla Sicilia erano numerosi, mentre oggi quelli che attraversano lo Stretto sono due al giorno. Il porto di Messina, inoltre, ha meno traffico di merci di quello di Palermo, Catania e Augusta. Molti pensano al Ponte ancora con la testa dell’Ottocento, con la mentalità di chi attraverso la continuità fisica voleva realizzare l’Unità d’Italia, rilanciare l’economia e far funzionare bene l’amministrazione, cosa che oggi si realizza più che altro con reti e sistemi informatici adeguati e non contenitori per gli uffici amministrativi».
Il Ponte sullo Stretto metafora dell’Italia. Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 22 marzo 2023.
Caro Aldo, una piccola riflessione sul Ponte di Messina: chi lo propone ha già pensato a cosa succederà a tutti i lavoratori e le varie attività coinvolte nei traghetti? È già pronto un piano di cassa integrazione? Ludovico Ragnotti Non molto tempo fa, in risposta a un lettore che le chiedeva del Ponte sullo Stretto (Corriere, 3 novembre), lei con pessimismo scrisse che andrebbe fatto ma non si farà. Dopo il rinnovato via libera del governo, è ancora della stessa opinione o stavolta potrebbe essere davvero la volta buona per vedere finalmente l’opera? Roberto Arvedi Ponte dell’Olio (Piacenza)
Cari lettori, Il Ponte sullo Stretto è la perfetta metafora di un Paese immobile, che discute da una vita delle stesse cose, senza affrontarle mai. Del Ponte si discute da almeno trent’anni. Gli oppositori citano sempre gli stessi argomenti; proprio come fanno i sostenitori. Un classico, ad esempio, è ricordare lo stato penoso delle ferrovie siciliane, testimoniato da Marco Bonarrigo che per la serie «Una giornata in Italia» ha raccontato sul Corriere il viaggio sul treno più lento del mondo: oltre 13 ore per percorrere i 300 chilometri che separano Trapani da Ragusa. Da trent’anni si sente dire: prima del Ponte bisogna fare le ferrovie! Ma nel frattempo non abbiamo fatto né le ferrovie, né il Ponte. L’unica novità è rappresentata da coloro che nel frattempo sono passati da un’opinione all’altra: Francesco Cundari su Linkiesta ha ricostruito il percorso di Salvini, che quando nel 2016 Renzi voleva il Ponte era contrario — «dobbiamo prima costruire le ferrovie in Sicilia!» —, e ora che è ministro delle Infrastrutture è favorevole. Ovviamente il Ponte va fatto. L’impulso che darebbe all’economia e al turismo della Sicilia vale molto più del business dei traghetti. In Paesi che da sempre si confrontano con il rischio sismico, come in Giappone, sono stati fatti ponti dieci volte più lunghi. L’idea per cui in Italia le cose non si possono fare è inaccettabile. È, tra l’altro, un modo per arrendersi preventivamente alla mafia, senza combatterla e sconfiggerla. Con la stessa sicurezza, possiamo agevolmente prevedere che il Ponte anche stavolta non si farà.
Avanzi. Il dibattito sul ponte di Messina è la ciliegina sull’eterna stagnazione italiana. Francesco Cundari su L’Inkiesta il 20 Marzo 2023.
Oggi una gag come quella del compagno Antonio, il militante comunista appena uscito da un coma ventennale, non funzionerebbe. Il risvegliato si dimostrerebbe infatti preparatissimo su tutti i principali argomenti del nostro dibattito pubblico, perché i veri addormentati siamo noi
L’unica cosa che mi viene in mente mentre assisto sgomento all’ennesima riapertura del dibattito attorno al Ponte sullo stretto di Messina è che oggi la vecchia gag del compagno Antonio non sarebbe più rappresentabile. Ricordate il compagno Antonio di Avanzi, il militante comunista rimasto incosciente per vent’anni, dal 1973 al 1993, che nel nuovo mondo – senza il Pci, senza il muro di Berlino, senza l’Unione sovietica – non si raccapezzava più?
Se un politico, un giornalista o un qualunque altro commentatore da talk show avesse perso conoscenza nel 1994 e si fosse svegliato ora, non venti ma trent’anni dopo, il gioco dello spaesamento, basato sul contrasto stridente tra passato e presente, non funzionerebbe neanche per un minuto. Al contrario, il risvegliato di oggi si dimostrerebbe preparatissimo su tutti i principali argomenti all’ordine del giorno del nostro dibattito pubblico, perché i veri addormentati siamo noi.
All’ordine del giorno c’è oggi, ad esempio, la riforma presidenzialista: ma quando avrebbe dovuto addormentarsi il nostro personaggio per non conoscere perfettamente i termini della questione, la divisione delle forze in campo (sia pure al netto di qualche occasionale scambio di giocatori tra una squadra e l’altra) e i rispettivi argomenti (ingovernabilità da un lato, paura dell’uomo forte dall’altro)? Quanti decenni or sono avrebbe dovuto perdere conoscenza per non essere in grado di orientarsi nell’attuale dibattito sul federalismo (oggi va più di moda l’espressione «autonomia regionale», d’accordo, ma basta chiamarla «riforma Calderoli» per capirsi subito).
Oggi, esattamente come nel 1994, nel 2006 o nel 2016, discutiamo di riforme costituzionali e di riforma della giustizia, persino di articolo 18 e pensioni (perché anche quando, al termine di discussioni ventennali, una qualche decisione abbiamo finito per prenderla, come è accaduto con il Jobs Act o con la riforma Fornero, un minuto dopo abbiamo ricominciato a discutere di come tornare indietro, e continuiamo a farlo persino dopo che i successivi interventi legislativi o il semplice passare del tempo hanno reso l’intero dibattito completamente obsoleto).
Discutiamo della separazione delle carriere tra pm e giudici, dei limiti da porre alla pubblicazione delle intercettazioni, della destra che non ha tagliato i ponti con il proprio passato e della sinistra che ha dimenticato le sue radici, oggi come dieci, venti o trent’anni fa. Ma soprattutto discutiamo, ogni volta come se fosse la prima volta, del ponte sullo stretto di Messina: simbolo, immagine, metafora insuperabile dell’eterna stagnazione italiana.
Nulla rappresenta meglio il buco nero in cui siamo precipitati e dal quale non intendiamo muoverci, a dispetto di tante chiacchiere sulla «transizione» italiana, di quell’opera mai nemmeno iniziata eppure sempre al centro delle polemiche. Non solo infatti gli argomenti dei favorevoli sono sempre gli stessi, favorevoli che in questi trent’anni sono stati a lungo al governo, e ce l’hanno già promesso, progettato e propagandato almeno una dozzina di volte; ma anche gli argomenti dei contrari, che ogni volta ripetono come il problema sia la mancanza di collegamenti interni e l’arretratezza delle ferrovie e via così, con l’elenco di tutte le cose che bisognerebbe fare prima del ponte, e che pure nel frattempo si sono ben guardati dal fare, quando sono stati al governo loro.
Il dibattito pubblico italiano prosegue sempre uguale a se stesso, chiuso in una bolla perfettamente impermeabile a qualsiasi contatto con la realtà esterna. Il resto del mondo nel frattempo va avanti, nel bene e nel male, confrontandosi con problemi nuovi e diversi. Noi no. La realtà, il passare del tempo, gli effetti delle decisioni prese (o più spesso non prese) non possono nemmeno intaccare il regolare procedere della rappresentazione. E cambia davvero poco il fatto che Matteo Salvini oggi sia favorevole al ponte, e ripeta quindi gli argomenti dei favorevoli, mentre ieri era contrario, e ripeteva dunque gli argomenti dei contrari.
«Il novanta per cento dei treni in Sicilia è a binario unico e la metà vanno a gasolio. Ora, una persona normale, in una regione che ha questa situazione, si occupa del ponte, che secondo me non sta neanche in piedi, o di far funzionare i treni?», diceva il leader della Lega nel 2016.
«Io vorrei capire se questa è ideologia o pragmatismo, cioè vale a dire con un Sud che non ha ferrovie, che ancora va con la littorina a gasolio, che non ha acquedotti e voi pensate di sperperare denaro pubblico in nome di che cosa? Dell’ideologia salviniana?», ripeteva il verde Angelo Bonelli, in parlamento, pochi giorni fa, il 15 marzo del 2023.
Gli interpreti possono anche scambiarsi i ruoli, l’importante è che il copione rimanga intatto. Negli anni novanta era Silvio Berlusconi a volere il ponte e la sinistra a opporsi, nel 2016 era il Pd di Matteo Renzi a rilanciarlo e Salvini a dire che occorreva prima preoccuparsi della littorina a gasolio. L’unica incrollabile certezza di questi trent’anni è che né prima né poi, né gli uni né gli altri abbiano fatto il ponte, né risolto il problema della littorina a gasolio.
Incidenti sulla pista.
Incidenti sulle funivie.
Estratto dell’articolo di Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” il 6 febbraio 2023.
Val d’Ultimo, Alto Adige, comprensorio Schwemmalm. La domenica degli sciatori, il cielo terso e la neve compatta. Lassù, sulla pista Huttegg, oltre i 2mila (sono esattamente 2.250 metri di quota). È morto lì, ieri, B. P., di lui si conoscono solo le iniziali, un’altoatesino di soli 37 anni. Abitava a Lana, un paesotto di circa 12mila abitanti, in provincia di Bolzano. Stava sciando: veniva giù, zigzagando, con gli sci ai piedi e con intesta il casco, quando si è scontrato con uno snowbordista. Non c’è stato niente da fare.
Quell’impatto, fatale. È ruzzolato sul manto nevoso, ha perso il casco, si è ferito alla testa e al torace. Lesioni gravi, gravissime. Che si trattava di un incidente serio l’hanno capito subito, gli uomini del soccorso che sono intervenuti. Poco distante era in corso una gara di sci, un medico e un’infermiera che erano impegnati nella competizione si sono precipitati: hanno provato a rianimarlo, purtroppo inutilmente.
L’altro, il discesista con lo snowboard, se l’è cavata con un brutto trauma alla schiena: è ricoverato, adesso, all’ospedale di Merano, dove è arrivato a bordo dell’elicottero giallo dei paramedici. Le sue condizioni non sono gravi, fortunatamente, almeno quello. Non è in pericolo di vita. Ma sulla vicenda le autorità vogliono vederci chiaro: i carabinieri hanno iniziato a raccogliere le testimonianze di chi era presente ai fatti, la pista è stata chiusa per permettere prima i soccorsi e poi i rilievi.
Secondo i dati dell’Osservatorio austriaco per la sicurezza alpina, tra il primo novembre del 2022 (giorno di apertura della stagione sciistica) e il tre gennaio del 2023 gli incidenti sono stati più di cinquecento. E i morti tredici. Undici di loro sono detenuti in Tirolo.
Le collisioni tra sciatori più o meno esperti, certo. Ma anche l’impatto contro qualche ostacolo (un albero, le reti di protezione) o più semplicemente insufficienze cardiovascolari che colpiscono quando meno te l’aspetti. […]
(ANSA il 12 settembre 2023) - Per l'incidente della Funivia del Mottarone, in cui i morti furono 14, la Procura di Verbania ha chiesto il processo per otto persone, tra fisiche e giuridiche. Si tratta, oltre alle due società, di Luigi Nerini, titolare della Ferrovie del Mottarone, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, allora rispettivamente direttore d'esercizio e capo servizio dell'impianto e, per Leitner, il gruppo incaricato della manutenzione, Anton Seeber, presidente del cda, Martin Leitner, consigliere delegato e Peter Rabanser, responsabile del Customer Service. Le accuse contestate a vario titolo sono attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e solo per Tadini e Perocchio anche il falso. Ora la parola passa al gup.
Tragedia del Mottarone, la stima dei risarcimenti: almeno 25 milioni di euro. La somma sarebbe comunque da suddividere tra i familiari delle 14 vittime. Ma potrebbe essere approssimata per difetto. Il Dubbio il 13 settembre 2023
A quanto potrebbero ammontare i risarcimenti destinati ai familiari delle vittime della tragedia del Mottarone? Negli scorsi mesi, soprattutto durante la fase finale dell'incidente probatorio, erano circolate diverse stime e ipotesi. Si era parlato di una cifra complessiva di circa 25 milioni di euro da suddividere tra i familiari delle 14 vittime, complessivamente una sessantina di persone.
Secondo alcuni dei legali la stima potrebbe essere approssimata per difetto. Di certo si conosce la cifra messa a disposizione da Reale Mutua, che assicurava Funivie del Mottarone: 10 milioni che già nella scorsa primavera sarebbero stati messi a disposizione delle famiglie delle vittime. «Certamente non si tratta di somme simboliche» ha spiegato all'AGI l'avvocato Natascia Forconi, dello studio Cecconi di Milano, che segue questa partita delicatissima. per conto della Leitner.
L'azienda di Vipiteno, infatti, ieri, in coincidenza con il deposito delle richieste di rinvio a giudizio, ha confermato di aver portato avanti in questi mesi le trattative per arrivare ad accordi con le famiglie delle vittime. «Abbiano già chiuso alcune posizioni - ha detto l'avvocato Forconi - e siamo a buon punto con altre. Confidiamo di poter completare gli accordi entro l'udienza preliminare». Leitner, dal canto suo, ha parlato della volontà di «assicurare, sin da subito, ancor prima della celebrazione del processo e a prescindere dalla propria estraneità, il pieno e integrale risarcimento del danno».
Mottarone, chiesto il rinvio a giudizio per sei indagati e due società. ANNA MANISCALCO su Il Domani il 12 settembre 2023
Si è chiusa a maggio la fase delle indagini preliminari sulla tragedia che ha portato alla morte delle 14 persone a bordo della cabina 3 della funivia di Stresa. La procura ha depositato la richiesta per avviare il processo, che passa ora al giudice per l’udienza preliminare
Sulla tragedia del Mottarone, in cui persero la vita 14 persone, la parola passa ora al giudice per l’udienza preliminare. La procura di Verbania ha depositato nella mattinata di martedì 12 settembre la richiesta di rinvio a giudizio per sei persone e due società.
Sono Luigi Nerini, titolare di Ferrovie del Mottarone, Enrico Perocchio, direttore d’esercizio, Gabriele Tadini, capo servizio dell’impianto. E ancora: Anton Seeber, amministratore delegato di Leitner, Martin Leitner, consigliere delegato e Peter Rabnser, responsabile del Customer Service.
Le accuse contestate dalla procura sono attentato alla pubblica sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e falso, quest’ultimo solo in riferimento a Tadini e Perocchio.
Quanto alle due società, Ferrovie del Mottarone e Leitner, dovranno rispondere di illeciti amministrativi per cui le sanzioni previste sono di carattere pecuniario e interdittivo.
Leitner ha negato la propria responsabilità, ma i suoi legali hanno comunicato a La Presse che la società «è molto vicina alle vittime e ritiene doveroso dal punto di vista etico anticipare i risarcimenti in attesa che vengano identificate le responsabilità, che, secondo noi, sono in capo ad altro».
Sempre secondo La Presse, Leitner e Ferrovie del Mottarone dovrebbero arrivare agli accordi sui risarcimenti con le famiglie delle vittime prima dell’udienza preliminare.
La notizia di una nuova fase del procedimento arriva in un momento in cui la sicurezza sul lavoro e la manutenzione delle opere pubbliche sono al centro dell’attenzione, dopo i fatti di Brandizzo. «La cultura della sicurezza deve permeare le Istituzioni, le parti sociali, i luoghi di lavoro», ha scritto il presidente Sergio Mattarella in una lettera alla ministra del Lavoro Elvira Calderone, all’avvio del corso di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
QUELLA DOMENICA
Il 23 maggio 2021 una cabina della funivia che collega Stresa con la cima del Mottarone, in Piemonte, era precipitata per almeno una ventina di metri.
I soccorsi erano arrivati sul luogo a piedi, trovando la cabina accartocciata su un pendio difficilmente raggiungibile con i mezzi motorizzati. A bordo si trovavano 15 persone: due famiglie con bambini e tre coppie. È sopravvissuto solo Eitan, un bambino che oggi ha sette anni.
La funivia aveva riaperto il mese precedente, dopo la chiusura dovuta alla pandemia. L’ultimo intervento di manutenzione era stato svolto dalla Leitner nel 2016 e i successivi controlli erano stati svolti fino al 2020.
LA VICENDA GIUDIZIARIA
Dalle prime indagini, è emersa la dinamica: la fune che trainava la cabina numero 3 si era spezzata. Rimasta appesa al cavo portante, questa aveva cominciato ad andare all’indietro, a una velocità di 100 chilometri orari, finché non si era schiantata contro un pilone.
Gabriele Tadini, il capo servizio, l’aveva detto quasi subito: per evitare arresti e disservizi dei vagoni si ricorreva all’utilizzo di forchettoni, e sarebbe stato proprio il forchettone che ha impedito ai freni di emergenza di funzionare e bloccare la cabina sul cavo portante. Insieme a Luigi Nerini e a Enrico Perocchio, Tadini è stato messo in stato di fermo, poi non convalidato dalla Gip Donatella Banci Buonamici, che solo per lui ha disposto gli arresti domiciliari.
Già in questa fase sono nate delle controversie che si allontanavano dalla vicenda principale: la Gip Banci Buonamici è stata infatti sostituita subito dopo la scarcerazione dei tre, decisa contro il parere della procura.
La procura ha in seguito chiesto che venisse esaminata la richiesta di scarcerazione nei confronti di Nerini e Perocchio: la Corte d’Appello di Torino nell’ottobre successivo ha confermato la necessità della misura cautelare, e la sua decisione è stata impugnata dai legali dei due, che hanno presentato ricorso in Cassazione.
Quanto ai forchettoni, Tadini ha sostenuto di aver condiviso la decisione di installare il dispositivo con Nerini e Perocchio, che hanno negato. Dalle interrogazioni ai dipendenti sono emerse altre irregolarità: mancanza di corsi di sicurezza, passeggeri caricati sul primo viaggio del mattino, da riservarsi alle cabine vuote.
Prima dell’intervento di manutenzione a opera della Leitner che aveva impegnato l’impianto dal 2014 al 2016, la funivia era in pessimo stato: era stata salvata da un investimento di 4 milioni tra regione e comune.
Le relazioni dei periti per l’incidente probatorio, consegnata il 16 settembre del 2022, ha osservato che la fune trainante che si era spezzata era già danneggiata, ma nessuno lo aveva rilevato. L’incidente probatorio si è concluso nel dicembre successivo, e il 19 maggio sono state chiuse le indagini preliminari: nel fascicolo la procura faceva riferimento anche a un «risparmio derivante da mancati o comunque insufficienti investimenti, anche in termini di assunzione del personale», come riporta La Presse.
Nel frattempo, il tribunale del Riesame ha ordinato la sospensione per un anno dall’attività lavorativa a Luigi Nerini ed Enrico Perocchio.
Il legale di Nerini ha detto a La Presse, alla notizia del rinvio a giudizio, che «sarebbe contraddittorio attribuire responsabilità sull'adeguatezza o meno del personale impiegato alla funivia quando il garante è Ustif (l’Ufficio speciale trasporti a impianti fissi) e Ustif non risulta tra gli indagati».
LA STORIA DI EITAN
L’unico sopravvissuto della tragedia, mentre i periti svolgevano gli accertamenti tecnici, ha dovuto affrontare anche tutta un’altra vicenda. Affidato alla zia paterna, che vive nel pavese, nel settembre 2021 era stato prelevato dal nonno materno per una visita concordata, e con lui si era imbarcato per Tel Aviv. Si era aperto un caso internazionale, e il nonno materno era stato accusato di sequestro di persona.
A dicembre 2022 ha patteggiato davanti al Gup di Pavia, è stato condannato a un anno e 8 mesi con pena sospesa e ha accordato un risarcimento di 50mila euro per l’educazione e la cura del bambino.
ANNA MANISCALCO. Laureata in Giurisprudenza e diplomata in cinema. Frequenta la Scuola di giornalismo Walter Tobagi di Milano
Mottarone, il Csm assolve la gip Banci Buonamici: “Nessuna violazione”. Con l’autoassegnazione del fascicolo sulla via la giudice non ha commesso alcun illecito disciplinare: ha agito nell’interesse dell’ufficio. Simona Musco su Il Dubbio il 23 giugno 2023
Donatella Banci Buonamici, ex presidente dell’Ufficio gip del Tribunale di Verbania all'epoca della tragedia della funivia del Mottarone, non commise alcun illecito disciplinare, ma agì nell’interesse del suo ufficio e della Giustizia. A stabilirlo è stata la sezione disciplinare del Csm, che nei giorni scorsi l’ha assolta «per insussistenza dell'addebito» in merito all’autoassegnazione del fascicolo sulla funivia.
La procura generale della Cassazione allora guidata da Giovanni Salvi le aveva contestato la violazione dei doveri di correttezza e diligenza e delle disposizioni sul servizio giudiziario per essersi auto-assegnata il caso «violando i criteri fissati nelle tabelle». Ma per la sostituta pg della Suprema Corte, Luisa De Renzis, che ha chiesto l'assoluzione, «il provvedimento di auto-assegnazione aveva l'unico fine di garantire la funzionalità dell'ufficio», anche perché Banci in quel momento «faceva le veci del presidente del Tribunale, che era in ferie». La scelta, inoltre, «fu concordata» con l’allora presidente Luigi Montefusco e la stessa Annalisa Palomba, la giudice “naturale” del procedimento, «che il giorno successivo non avrebbe lavorato in sede».
Nessun illecito, dunque, anzi: «Considerata la condizione di marcata confusione ordinamentale della sezione penale in quel momento», ha aggiunto De Renzis, Banci garantì il buon funzionamento della macchina giudiziaria. E di fronte all’esigenza di risposte immediate, dal momento che «l'ufficio penale era piuttosto carente dal punto di vista dell'organizzazione», la giudice fece ciò che doveva e poteva fare.
Nel suo atto d’accusa, Salvi aveva anche contestato a Banci il fatto di aver determinato «reazioni da parte dell’Unione delle Camere penali». Che però erano intervenute per difenderla, sempre in relazione alla gestione del fascicolo del Mottarone: Banci Buonamici aveva infatti deciso di non convalidare i fermi di due dei tre indagati per la tragedia della funivia e di applicare i domiciliari ad un terzo, finiti in carcere, aveva scritto, a causa del «clamore internazionale della vicenda».
La magistrata finì così, all’improvviso, nell’occhio del ciclone. E la sua decisione, oltre che la reazione stizzita della procura, le era valsa anche minacce e insulti sul web, contro le quali si era mosso il presidente Montefusco, che le aveva accordato pubblicamente fiducia e stima, salvo poi revocarle il fascicolo. Nel mezzo una mail inviata a Montefusco dal procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, che si rammaricava per il dannoso clima di «contrapposizione».
La questione ruota attorno all’organizzazione dell’ufficio, all’epoca in grave sofferenza, e verte attorno a due provvedimenti presi da Banci Buonamici e risultati centrali nella vicenda: il primo è il numero 3/2021, del primo febbraio, tramite il quale l’allora presidente dell’ufficio gip, con l’approvazione di Montefusco, «preso atto della grave situazione di sofferenza dell’ufficio gip» dispose l’esonero della gip Elena Ceriotti per quattro mesi (fino al 31 maggio), riassegnando alcuni procedimenti pendenti ad altri magistrati, compresa se stessa. Il secondo è quello del 27 maggio, quando la giudice, sentito il presidente, riassegnò a sé il procedimento della funivia, per il quale alle 17.50 era stata depositata richiesta di convalida del fermo dei tre indagati, dato l’impegno, in concomitanza, della collega titolare, Annalisa Palomba. A ciò segue la scelta del 7 giugno, quando, a ridosso della richiesta di incidente probatorio avanzata dalle difese, Montefusco, restituì il fascicolo a Ceriotti, evidenziando come l’assegnazione a Banci Buonamici anche di questa fase del procedimento non fosse «conforme alle regole di distribuzione degli affari ed ai criteri di sostituzione dei giudici impediti disposti nelle tabelle di organizzazione dell’Ufficio gip/gup». Si trattò, però, dell’unico fascicolo sottratto alla giudice, a fronte di decine di altri casi rimasti nelle sue mani.
Nel procedimento intentato dal Csm, la giudice era accusata anche di aver tenuto un «comportamento gravemente scorretto» nei confronti della collega Palomba, che sostituiva Ceriotti durante l'esonero, per averla sostituita nella trattazione del fascicolo «senza prima verificare in concreto» il suo «effettivo impedimento», sottraendo così alle parti «il giudice naturale previsto».
La sottrazione del fascicolo da parte di Montefusco fu censurata dallo stesso Csm come illegittima, sottolineando come «non emergono elementi da cui desumere che l’autoassegnazione abbia avuto finalità diverse dalla funzionalità dell’ufficio», aveva evidenziato la Prima Commissione del vecchio Consiglio superiore della magistratura. Che aveva evidenziato anche «(...)l’impegno profuso per far fronte alle criticità dell’ufficio da parte della presidente di sezione, del quale comunque non si ha motivo di dubitare sulla scorta della documentazione in atti». Proprio come certificato, ora, anche dalla sezione disciplinare. «La verità - ha commentato dopo la decisione l’avvocato Davide Steccanella, difensore della magistrata, a Rai 3 - è che se Banci avesse accolto la richiesta cautelare della procura oggi non sarebbe partita l’indagine disciplinare. E questo, a mio parere, è un aspetto che resta molto molto inquietante».
14 morti e tanto dolore: due anni dalla tragedia del Mottarone. Il 23 maggio del 2021 la caduta della cabina numero 3 della funivia: un unico sopravvissuto, il piccolo Eitan. Pochi giorni fa la chiusura delle indagini da parte della Procura della Repubblica. Massimo Balsamo il 23 Maggio 2023 su Il Giornale.
Con l’emergenza Covid-19 quasi alle spalle e un clima favorevole, domenica 23 maggio 2021 rappresenta la classica giornata da dedicare a un po’ di svago e spensieratezza. Sulle pendici del Mottarone splende un sole primaverile e la funivia che collega Stresa e la montagna gruppo del Mergozzolo è già rientrata in funzione da circa un mese. La teleferica inizia le sue corse alle 9.30, tutto funziona regolarmente. Almeno fino alle 12.30, quando a pochi metri dalla stazione di monte la fune traente dell’impianto si spezza e causa il distacco della cabina numero 3: questa inizia a scivolare all’indietro, aumentando esponenzialmente la sua velocità e andando a sbattere contro uno dei piloni del tracciato. La cabina precipita dunque al suolo dopo una caduta di oltre venti metri, rimanendo incastrata in una zona boschiva.
Il bilancio è tragico: 14 morti e un unico sopravvissuto, il piccolo Eitan Biran. Tra le vittime, gran parte della sua famiglia israeliana e residente nel pavese: il padre Amit Biran (30 anni), la mamma Tal Peleg (26 anni), il fratello Tom (2 anni) e i bisnonni Barbara Cohen Konisky (71 anni) e Itshak Cohen (82 anni). Niente da fare nemmeno per il piccolo Mattia Zorloni (5 anni) e per i suoi genitori Vittorio Zorloni (55 anni) ed Elisabetta Persanini (37 anni). E ancora la 27enne Serena Cosentino e il fidanzato Mohammed Reza Shahisavandi (30 anni), i fidanzati Alessandro Merlo (29 anni) e Silvia Malnati (27 anni) e infine Roberta Pistolato (40 anni) e Angelo Vito Gasparro (45 anni). Tante coppie spezzate, tante vite andate in fumo per un dramma difficile da accettare.
Funivia Mottarone, la tragedia si poteva evitare: cosa c’è scritto nella perizia degli ingegneri
Negli ultimi due anni si sono moltiplicati eventi, emozioni e colpi di scena. Dopo il sequestro dell’impianto, via alle indagini per ricostruire l’esatta dinamica degli eventi. I dubbi sul sistema frenante seguiti dall’acquisizione di documenti, dagli interrogatori del caso e dai fermi. Parallelamente, la vicenda del piccolo Eitan, rapito dal nonno materno e portato in Israele. Un caso risolto dopo meno di due mesi, con il rientro del piccolo in Italia.
È di pochi giorni fa la notizia della chiusura delle indagini sulla tragedia del Mottarone, una catena di omessi controlli, anomalie e piccoli incidenti, senza dimenticare i mancati o insufficienti investimenti. Un insieme di“negligenza, imprudenza, imperizia” e “violazione” delle norme sulla sicurezza dei trasporti secondo la Procura di Verbania. Indagati otto soggetti, per la precisione due società e sei persone fisiche: Luigi Nerini, titolare della Ferrovie del Mottarone, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, rispettivamente direttore d'esercizio e capo servizio dell'impianto, Anton Seeber, presidente del cda, Martin Leitner, consigliere delegato e Peter Rabanser, responsabile del Customer Service. Le accuse contestate a vario titolo sono attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime. Per Tadini e Perocchio anche l’accusa di falso.
Mottarone, il perito in aula "Danni visibili da un anno"
Questa mattina, alle ore 11.00, si è tenuta presso la chiesetta della Madonna della Neve, in vetta al Mottarone, la messa in ricordo delle 14 vittime del tragico schianto di due anni fa. "Una giornata triste ove i ricordi riaffiorano come in un brutto film", le parole all'Agi della sindaca di Stresa Marcella Severino. Il parroco di Stresa don Gian Luca Villa non ha utilizzato troppi giri di parole nel corso del suo intervento: la recente chiusura delle indagini da parte della Procura di Verbania ha rivelato "chiare e gravissime responsabilità umane che hanno comportato la morte di innocenti. L'incidente non è stato un castigo divino, non il frutto di un imprevedibile fato, non un crudele destino". Presenti anche i nonni paterni di Eitan, diventato il simbolo di una giornata che ha sconvolto l’intero Paese.
Tragedia del Mottarone, primi risarcimenti per Eitan, l'unico sopravvissuto: un milione di euro. Redazione Milano su Il Corriere della Sera l’8 Febbraio 2023.
È la prima tranche del risarcimento riconosciuto dall'assicurazione. Altri 200mila euro sono stati offerti ad Aya Biran, la zia paterna
Un milione di euro per Eitan, unico sopravvissuto della strage della funivia del Mottarone del 23 maggio 2021 in cui perse i genitori, il fratellino di 2 anni e i bisnonni. È la prima tranche del risarcimento riconosciuto, in seguito ad un accordo, da Reale Mutua, l'assicurazione della società che gestiva l'impianto. Altri 200mila euro sono stati offerti ad Aya Biran, la zia paterna con la quale il bambino abita dopo la tragedia nella casa di Travacò Siccomario (Pavia), ai nonni paterni e ai nonni materni che vivono in Israele, Shmuel Peleg ed Esther Cohen.
Reale Mutua, come riporta «La Provincia pavese», ha messo complessivamente a disposizione 8,5 milioni dei 10 previsti nel massimale dal contratto. «L'offerta di Reale Mutua è una cifra in acconto - ha sottolineato Fabrizio Ventimiglia, l'avvocato di Eitan -. Il giudice tutelare sta valutando l'offerta. Il bambino è l'unico sopravvissuto, è in dubbio che debba esserci da parte dei legali, giudici e compagnie di assicurazione, un occhio di riguardo. Noi stiamo cercando di fare del nostro meglio per garantire a Eitan un futuro sereno. Tutti i professionisti si sono mossi nell'interesse del minore, affinché possa proseguire il proprio percorso di recupero con la necessaria serenità». Per il bambino, che oggi ha 7 anni, dovrà essere valutato anche il danno psicologico. L'accordo con l'assicurazione non impedirà comunque ai familiari di costituirsi parte civile nel processo penale
Mottarone, 2 anni da una tragedia che racconta solo amori interrotti. Simona Lorenzetti su Il Correre della Sera il 23 maggio 2023.
Alle 12.30 del 23 maggio 2021 si ruppe la fune e la cabina precipitò per venti metri: morirono 14 persone
È domenica e sulle pendici del Mottarone c’è un clima di svago dopo mesi e mesi di libertà ristrette a causa della pandemia. Una domenica intiepidita da un sole primaverile. La funivia che collega Stresa, sulla riva del lago Maggiore, al Mottarone è rientrata in funzione da poco più di un mese. Sono le 12.30 quando la fune traente che sorregge la cabina numero 3 si spezza. L’abitacolo torna indietro a forte velocità appeso al cavo portante, poi si schianta contro uno dei piloni del tracciato e precipita per venti metri nel bosco. Perdono la vita 14 persone. L’unico sopravvissuto è il piccolo Eitan.
Sono trascorsi due anni da quel 23 maggio e nel luogo in cui la cabina si è schiantata sorge una piccola stele di pietra posata nel primo anniversario. L’anno scorso una processione di parenti e amici si è inerpicata silenziosa lungo il sentiero. Quest’anno non vi saranno celebrazioni ufficiali. La vegetazione punteggiata da fiori selvatici incornicia la lapide sulla quale si stagliano i nomi delle vittime: un triste elenco che ricorda le dimensioni di una tragedia che poteva essere evitata. È questo che spiegano le indagini della Procura di Verbania, chiuse pochi giorni fa: gli indagati sono otto e tra le accuse contestate spiccano il disastro e l’omicidio plurimo colposo.
LA TRAGEDIA DELLA FUNIVIA
Cosa accadde: l'incidente e la cabina con i turisti che precipita
Ma i tecnicismi dell’inchiesta, riportati in migliaia di pagine, poco raccontano di chi non ce l’ha fatta e di chi pur essendo vivo combatte contro fantasmi e tristezza. L’immagine del piccolo Eitan, 5 anni, mentre osserva il panorama accanto al papà Amit (30 anni), la mamma Tal Pelg (26) e il fratellino Tom di 2, è la rappresentazione plastica di ciò che è andato distrutto in pochi secondi. Con loro c’erano anche i nonni arrivati in visita da Israele, Itshak Cohen, 81 anni, e Barbara Konisky, 71. Eitan è stato estratto vivo da quel groviglio di lamiere ed è salito a bordo dell’elisoccorso che volava veloce verso l’ospedale Regina Margherita. Con lui c’era anche Mattia, 5 anni. I genitori Vittorio Zorloni ed Elisabetta Persanini, 55 e 38 anni, sono morti: un mese dopo, il 24 giugno, avrebbero dovuto sposarsi. I soccorritori speravano che almeno Mattia si salvasse: non è stato così.
La tragedia del Mottarone è la storia di amori interrotti. Serena Cosentino, 27enne di origine calabrese, viveva a Verbania da appena due mesi: aveva vinto una borsa di studio all’istituto di Idrobiologia del Cnr. Quella domenica era venuto a farle visita il fidanzato Mohammed Reza Shahisavandi, 30 anni, iraniano. Si erano conosciuti a Roma dove lui lavorava e studiava. Nel bosco si sono infranti i sogni anche di Alessandro Merlo e Silvia Malnati, 29 e 27 anni, fidanzati da quasi dieci. Lei un mese prima si era laureata in Economia e management e all’inizio di maggio aveva lasciato l’impiego da commessa in una profumeria. Lui dal 2018 lavorava in una azienda medicale in Svizzera. Abitavano insieme in una palazzina nel popoloso quartiere di San Fermo a Varese.
Gli ultimi due nomi sulla lapide voluta dal comune di Stresa sono quelli di Roberta Pistolato, 40 anni, e di suo marito, Angelo Vito Gasparro, 45, originari di Bari vivevano a Castelsangiovanni, nel Piacentino. Avevano scelto il Mottarone per festeggiare il compleanno della donna. Lui guardia giurata, lei medico che si era impegnata tanto nella campagna vaccinale anti-Covid. E tutti ne ricordavano gentilezza e disponibilità.
L’Omicidio nautico.
I Fari.
La Geopolitica.
I container.
La Burocrazia.
Gli Incidenti.
Le Navi da Crociera.
Le Navi Fantasma.
Andrea Doria.
Titanic.
Titan.
Scandinavian Star.
Destriero.
Il Kaz II.
La Ss Poet.
Concordia
Norman Atlantic.
Estratto dell'articolo di blitzquotidiano.it venerdì 22 settembre 2023.
L’omicidio nautico diventa legge: carcere fino a 7 anni per chi, guidando un’imbarcazione, nel mancato rispetto delle norme sulla navigazione, provochi per colpa la morte di qualcuno. E’ quanto prevede il progetto di legge approvato definitivamente dalla Camera con 268 sì e un solo contrario, che introduce nell’ordinamento italiano il reato di “omicidio nautico”, paragonandolo di fatto a quello stradale.
Il provvedimento, che porta la firma dei senatori di Fratelli d’Italia Alfredo Balboni e Guido Quintino Liris, aveva già ottenuto il via libera dal Senato a febbraio e, non essendo intervenuta alcuna modifica a Montecitorio, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sarà dunque legge.
Nel testo, si prevedono anche alcune aggravanti come l’aver commesso il fatto in stato di ebbrezza; sotto l’effetto di stupefacenti; senza avere la patente o se l’imbarcazione, con la quale si è provocata la morte di una persona, sia sprovvista di assicurazione. La pena cala fino alla metà se il decesso non è provocato esclusivamente per colpa del conducente, mentre può arrivare fino a 18 anni di detenzione se, con la medesima condotta criminosa, si cagiona la morte di più persone.
La pena aumenta, invece, da un terzo a due terzi se il conducente scappa dopo l’incidente. [...]
Derby delle lanterne. Breve storia dei fari d’Europa (e d’Italia). Luca Bergamin su L'Inkiesta il 29 Luglio 2023
Da sempre punti di riferimento per chi naviga, sono divenuti patrimonio culturale. Il giornalista Luca Bergamin cura un itinerario tra coste e isole alla riscoperta delle torri ascetiche e dei loro ultimi guardiani
Se i 154 fari, i 712 tra fanali, boe e mede fermassero, anche solo per pochi istanti, il proprio fascio di luce nel punto esatto del cielo e del mare in cui ciascuno di essi incontra i due che gli sono dirimpettai a est e a ovest, si formerebbe un’indistinta figura luminosa che avrebbe la forma dell’Italia e delle sue isole senza bisogno di terraferma.
Il nostro paese, infatti, è unito anche dalle lanterne grazie all’intuizione, volontà e necessità manifestate dal re Vittorio Emanuele II che aveva contemporaneamente bisogno di controllare tutte le coste e garantire un servizio di segnalamento generale utile alle navi.
La storia dei fari nel mondo è ovviamente più antica dell’Unità d’Italia. Il primo di cui si abbia notizia è quello monumentale di Alessandria d’Egitto. A erigerlo o finanziarne l’opera – le fonti non sono univoche sul punto – fu Sostrato di Cnido: alto 130 metri, posto su una base di 30 metri per lato, mostrava un’imponenza davvero impressionante.
Fu eretto sull’isola di Pharos, una collocazione geografica che avrebbe finito poi per dare il nome a tutte le torri luminose che sarebbero seguite appunto alla madre di queste costruzioni, considerata una delle sette meraviglie del mondo classico. La sua luce era capace di irradiarsi sino a 40 chilometri di distanza grazie all’impiego di un sistema composto da specchi metallici posti di fronte a una fiamma alimentata con resine oleose continuamente rifornite da carri trainati da cavalli.
Rimase in funzione sino al 1302 quando crollò a causa di una tremenda scossa di terremoto. Anche un’altra meraviglia dell’antichità, il Colosso di Rodi, gigantesca statua in bronzo eretta in onore di Elio, dio del Sole, nel porto dell’omonima isola greca, fungeva da faro: aveva la forma di una figura umana a simboleggiare quella divina e solle- vava un braciere da cui si levava una fiamma perennemente accesa, essenziale per orientare i capitani delle navi.
Successivamente toccò ai romani, notoriamente abili nelle opere d’ingegneria civile, implementare la presenza di fari e migliorare progressiva- mente il loro meccanismo di azione. Ecco, dunque, comparire a Dover, per illuminare le prime bianche scogliere che sono il biglietto da visita del paesaggio britannico, nel 40 d.C., una prima torre, che sarebbe stata poi replicata in Galizia, probabilmente nel II secolo d.C., precisamente sull’attuale lungomare di La Coruña.
Chiamata la Torre d’Ercole, si trova ancora al proprio posto ed è considerata il più vecchio faro al mondo tuttora attivo. Dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, a pianta quadrata, dotato di finestre, è circondato dalle vestigia romane emerse in seguito alle numerose campagne di scavo compiute nei suoi dintorni.
L’autore della Torre d’Ercole galiziana, raggiungibile oggi attraverso una passerella panoramica illuminata nelle ore notturne da fasci laterali di luce, secondo un’iscrizione latina che si trova alla sua base, fu Gaio Sevio Lupo, architetto originario di Aeminium, l’attuale città di Coimbra in Portogallo, che ricevette l’incarico quando regnava l’imperatore Traiano: sembra che sul muro perimetrale esterno esistesse una rampa o una scala di pietra che permetteva di salire in cima e che ci fosse una cupola dalla quale uscivano la luce e il fumo di segnalazione.
Da “Andare per fari” di Luca Bergamin, il Mulino, 176 pagine, 13 euro.
Basi e stretti: la lotta globale per il controllo dei porti. Andrea Muratore il 25 Luglio 2023 su inside Over.
Nella corsa globale al controllo dei mari, negli ultimi anni, geopolitica e commerci sono andati di pari passo. Di fronte all’onda montante della de-globalizzazione, della crisi delle catene globali del valore e delle rivalità strategiche tra potenze, sintetizzatesi in un rilancio del principio del primato della sicurezza sulla prosperità come già insegnato dal teorico del capitalismo per eccellenza (Alan Smith), la partita per le basi mondiali che consentono l’accesso ai mari e agli stretti è risultata al contempo imperniata di significati geopolitici ed economici. Oggi sempre più difficili da scindere.
In Italia ne abbiamo avuto esempio quando, nell’ultimo biennio, i tentativi della China Oceanic Shipping Company (Cosco) di ampliare la sua rete d’influenza su uno scalo – formalmente – solo commerciale come Trieste per consolidare la presa della Nuova via della seta sono stati messi nel mirino dal governo italiano di Mario Draghi, da apparati come il Copasir e dalle strutture dell’Alleanza Atlantica. Il motivo? Il timore dell’ingresso, anche sono in termini di capitali, di un colosso della Repubblica Popolare in un porto chiave per l’Italia al centro del Mediterraneo, in una fase in cui il Grande Mare si fa sempre più contendibile.
Dove finisce la questione economica, legata alla sfida cinese alla globalizzazione a guida americana e alla volontà dell’Italia di cercare di essere strategica nelle rotte transoceaniche che passano per il Mediterraneo, e dove inizia la partita militare e geopolitica che vede la Nato coinvolta nel Mediterraneo? Difficile dirlo. Così come è difficile capire quanto l’ingresso di Cosco nel porto di Amburgo, azionista di alcuni scali triestini tramite la società Hhla, possa condizionare i veti italiani e americani all’ingresso della Repubblica Popolare.
Esiste una crescente consapevolezza della svolta dual-use che porti e basi logistiche possono avere negli anni a venire grazie alla digitalizzazione dei servizi, alla natura sempre più strategica di certi scambi commerciali, dalle derrate alimentari ai semiconduttori per fare alcuni esempi, e della prossimità tra scali commerciali e scali militari che richiamano al tema fondamentale del controllo degli stretti quale garanzia del libero commercio e degli scambi economici. Su cui, a ben vedere, si regge la globalizzazione plasmata dagli Stati Uniti. A cui la Cina sta reagendo in forma asimmetrica: sfruttando da un lato l’openess dei mercati garantita dalle flotte e dalle portaerei della potenza rivale e mirando, in nome della sua potenza economica e dei suoi investimenti, a infiltrarsi. Creando un contesto in cui, da Gibuti allo Sri Lanka, dalla Tunisia al Pakistan, tra Mediterraneo, Mar Rosso e Oceano Indiano l’ambiguità del potenziale utilizzo dual-use militare e civile degli scali e l’integrazione tra le “Vie della Seta” marittime e i corridoi terrestri hanno mandato in allarme Washington. Aprendo alla disfida per il controllo delle rotte di domani.
Commercio è sicurezza, sicurezza è commercio
Il tema è stato ampiamente già affrontato dai principali studiosi di geopolitica e geoeconomia, che non hanno mancato di indicare nella partita per le basi un segno della riconfigurazione dell’ordine globale. Un interessante paper uscito sul Journal of Transport Geography a firma degli studiosi Hassan Noorali, Colin Flint e Seyyed Abbas Ahmadi ha a tal proposito segnalato che oggi più che mai “il commercio marittimo e la potenza marittima militare sono intrecciati. Inoltre, i focolai di tensione geopolitica, come Hong Kong e Taiwan, sono considerati vitali sia per ragioni economiche (banche nel primo e produzione di chip per computer nel secondo) sia per il loro ruolo nella strategia navale”, dato che la possibilità della Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare (Plan) cinese di diventare una flotta d’alto mare (blue-water navy) sono intrecciate alla liberazione della stretta americana nel Mar Cinese Meridionale.
E in questo contesto, notano gli autori, “sebbene gli strateghi possano indicare gli oceani come arene di tensione geopolitica, il punto di partenza migliore sono i porti, i nodi nelle reti commerciali e la proiezione della potenza marittima”.
Stiamo in un certo senso tornando a una fase simile a quella teorizzata dai padri della geopolitica classica, tra cui il tedesco Karl Hausofer, il britannico Halford Mackinder, l’americano Alfred Mahan. I primi due teorizzarono lo scontro tra le potenze del mare e quelle della terra, il terzo fu il teorico del dominio navale a stelle e strisce sostanziandolo nel controllo strategico degli stretti, giugulari dell’ordine economico internazionale. Oggi, finita la fase romantica della globalizzazione, esposti al pubblico casi come le conseguenze del blocco di Suez del 2021 col caso Evergiven, la bomba dell’aumento dei noli navali dopo il Covid, il “Chipageddon” e la crisi energetica, esplose le rivalità tra potenze, ritornato in voga il paradigma della sicurezza nazionale, il principio chiave è ben noto a tutte le potenze. Il commercio è sicurezza, ovvero garanzia di sviluppo economico e occupazionale per i sistemi-Paese, nella misura in cui la sicurezza è commercio, ovvero le dinamiche economiche sono subordinate a precise visioni di ordine geopolitico e a princìpi di garanzia del primato della politica dell’economia. Un aumento nominale dei commerci non sarà, in futuro, più giustificato se passerà per il paradigma della cessione di porti occidentali a attori cinesi, ad esempio, a prescindere dal valore degli investimenti che tali progetti potrebbero garantire.
Verso i corridoi di domani
Gli autori del citato studio notano che da tempo le potenze stanno su un fronte evolvendo i canoni rispetto al paradigma geopolitico tradizionale: dal dualismo terra-mare si sta passando alla visione di un concetto integrato basato su corridoi, al contempo, economici, commerciali e militari: “Piuttosto che vedere terra e mare come regni separati”, sarà sempre più possibile vederli come contesti che “sono collegati da corridoi di trasporto che quasi sempre attraversano i porti”.
Se “nel corso della storia il conflitto per il controllo dei corridoi e dei porti ha avuto un ruolo nel cambiare l’equilibrio del potere globale”, oggi esso si inserisce nel più grande gioco dei corridoi. La “Via della Seta” cinese ne è l’esempio più noto. Ma non certamente l’unico. I Corridoi Ten-T dell’Unione europea coniugano prospettive commerciali, spinta all’abbattimento delle barriere alle merci e alle persone e aumento della mobilità militare in un sistema di progettazione di un rilancio infrastrutturale a tutto campo mediante la congiunzione tra strutture portuali, poli industriali e aree diverse dell’Europa. E che dire del sistema dei Tre Mari preconizzato dalla Polonia con l’obiettivo esplicito di tagliare fuori economicamente dall’Ue la Russia e favorire la mobilità Nato a Est? O del proliferare di basi militari vicino a aree strategiche come lo stretto di Bab-el-Mandeb tra Mar Rosso e Oceano Indiano?
Il dualismo tra sicurezza nazionale e sviluppo è oggi più che mai fondamentale. E nel grande gioco della geopolitica delle infrastrutture i porti sono chiave e perno del posizionamento delle potenze. Garanzia di proiezione commerciale e economica, ergo strategica. Infrastrutture segnaletiche il cui controllo è un proxy dello sviluppo di un contesto economico-geopolitico. Nei prossimi anni e decenni la corsa al loro controllo si intensificherà. E condizionerà lo sviluppo di una globalizzazione sempre più diversi dai canoni dei suoi teorici e sempre più “geopolitica” dopo le crisi degli ultimi tempi. ANDREA MURATORE
Misura standard. Perché i container sono a forma di parallelepipedo. Cesare Alemanni su L'Inkiesta il 17 Luglio 2023
Cesare Alemanni in "La signora delle merci" (Luiss UP) racconta che negli anni Sessanta ci furono diversi convegni per stabilire una lunghezza standard. Una contrattazione segnata da duelli a colpi di compasso
Osservando una pila di container vi sarà capitato di pensare al Lego. E in effetti i container non hanno solo la forma in comune coi celebri mattoncini ma molto altro. Per esempio: anch’essi si basano su un complesso sistema di incastri che va dal molto piccolo di minuscoli dettagli progettuali al molto grande di colossali gru adatte a sollevarli. Per il viaggio della Ideal X viene perciò modificato ad hoc tutto ciò con cui i container entrano in contatto: dalle navi ai moli, dalle gru ai camion. E sono solo gli interventi più vistosi. Altri riguardano porzioni infinitesimali dell’intero processo – ganci, cerniere meccaniche, rinforzi – ma ugualmente indispensabili per la riuscita dell’esperimento.
Nel 1956, i primi 58 container della Ideal X sono perciò altrettanti pezzi di Lego spaiati. Combaciano tra loro ma non con il resto del sistema del trasporto internazionale: possono essere mossi solo dalla Ideal X, transitare solo dai porti di Newark e Houston, viaggiare solo su specifici camion. Se vuole avere un futuro, il container deve convincere il mondo a stare alle sue regole. Scomodando Goethe esso è infatti l’Urphänomen che detta le caratteristiche di tutto ciò con cui entra in contatto. Senza un accordo sulle sue specifiche, il container perde infatti il suo potenziale più rivoluzionario, ovvero l’intermodalità. Container diversi tra loro non solo non potrebbero comunicare ma finirebbero per generare ulteriori divergenze nei mezzi di trasporto, nelle infrastrutture e nelle tecnologie chiamate a gestirli. Si tornerebbe punto e a capo. Il container ha in altre parole bisogno di standard.
Se, come scrive David Singh-Grewal, uno standard è ciò che “permette ai membri di una rete di raggiungere forme di reciprocità, scambio e risultati collettivi”, nel caso del container esso è indispensabile per “generare” le economie di scala del trasporto che sono il messaggio implicito al medium del container. La “fortuna” del container è di comparire nell’età d’oro della standardizzazione. Con il ricordo della guerra ancora fresco, nel dopoguerra gli standard non sono visti come semplici protocolli tecnici bensì come collanti della cooperazione internazionale.
Nel pieno della Guerra fredda, gli incontri per trattare le loro specifiche sono le poche occasioni in grado di riunire allo stesso tavolo delegati occidentali e sovietici. Ed eppure, nonostante le buone intenzioni, l’iter di standardizzazione del container risulta comunque lungo e travagliato, brucia in pratica gli interi anni Sessanta. E non può essere altrimenti. Non appena la politica ne comprende il potenziale, la faccenda non interessa più solo impresari del trasporti, marinai, industriali e scaricatori ma diviene un tiro alla fune tra intere nazioni e sfere d’influenza economica e politica, ognuna decisa a sostenere lo standard che meglio si accorda con le caratteristiche delle proprie infrastrutture strategiche.
Intorno al container si accende così una contrattazione di natura anche geopolitica nel pieno degli anni più caldi della Guerra fredda, con convegni sparsi tra Washington e L’Aia, Parigi e Mosca. Una geopolitica di centimetri di metallo, di forme di ganci, di diametri di fori, ma pur sempre tale. Una contrattazione segnata da duelli a colpi di compasso e righello, di giurisprudenza internazionale, di fiumi di bozze approvate un giorno e rimesse in discussione quello successivo.
(…) Mentre i pionieri del container solcano i mari con le loro scatole “impure”, a fine anni Sessanta a Ginevra si compiono gli ultimi faticosi passi per la loro standardizzazione. Nel 1970 l’ISO presenta infatti il primo documento ufficiale con le “specifiche dei container […] adatti allo scambio e al trasporto internazionale via strada, rotaia e mare inclusi gli interscambi tra queste forme di trasporto”. È il patentino del container. Negli anni Settanta la garanzia di uno standard sblocca i primi sistematici investimenti nella containerizzazione: si costruiscono navi ad hoc, si adeguano porti, si adattano ferrovie e autostrade, appena in tempo per le grandi trasformazioni del processo produttivo globale che prendono avvio in quel decennio.
(…) In virtù della netta egemonia americana durante il periodo della sua comparsa, le attuali dimensioni di qualunque container al mondo corrispondono tuttora alla massima larghezza consentita ai veicoli sulle autostrade statunitensi degli anni Sessanta. È per questa ragione che, quando guardate un container, state guardando un parallelepipedo largo esattamente 2 metri e 44 centimetri.
Da “La signora delle merci Dalle caravelle ad Amazon. Come la logistica governa il Mondo”, di Cesare Alemanni, 200 pagine, 16 euro
Estratto da ansa.it il 22 giugno 2023.
La burocrazia pesa anche in mare: ormai oltre il 40% delle navi italiane ha infatti cambiato bandiera preferendo Paesi comunque all'interno dell'Europa ma dove le regole sono meno cavillose che in Italia.
E' quanto è emerso dall'assemblea annuale degli armatori (Assarmatori) dove si è fatto il punto […] insieme al ministro preposto, Nello Musumeci, ed ai ministri Matteo Salvini, Raffaele Fitto e Daniela Santanchè. "Un numero crescente di navi armate da armatori italiani ha cambiato bandiera", sottolinea il presidente Assarmatori, Stefano Messina.
"Lo dicono chiaramente i dati dell'Unctad riferiti a unità con stazza lorda superiore alle 1.000 tonnellate. La parte della flotta che fa capo ad armatori italiani, ma che batte bandiere estere, è cresciuta al 40,83% del totale, contro una quota che nel 2021 era ancora del 36,43%.
E la scelta di registrare all'estero la nave non predilige le bandiere di comodo ma bandiere europee, come Malta, Cipro, Finlandia e Portogallo che garantiscono una burocrazia semplice, moderna e digitalizzata […]. Non è solo questione di costi o di tassazione".
Gli armatori sottolineano l'importanza del proprio settore chiedendo però di essere affiancati per evitare il fenomeno del "flagging out": "Ammainare la bandiera italiana significa ammainare una parte importante dell'italianità del mondo oltre che depotenziare il nostro potere negoziale nei contesti internazionali. […]". Tra i temi toccati durante l'assemblea anche quello del settore crociere e del difficile rapporto con Venezia ("non credo che Venezia possa fare a meno di un settore così importante come quello delle crociere", ha detto Santanchè).
Mentre per la cantieristica è intervenuto l'Ad di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, rimarcando che "ogni nave da crociera è finanziata da Sace, che va finanziata. I nostri concorrenti francesi e tedeschi hanno le loro Sace e sono molto agguerrite. Senza supporto finanziario la possibilità per Fincantieri di competere con francesi e tedeschi non c'è".
Amalfi.
Lago Maggiore
Amalfi.
SCONTRO TRA MOTOSCAFO E VELIERO IN COSTIERA AMALFITANA, MORTA UNA TURISTA AMERICANA. Estratto da rainews.it venerdì 4 agosto 2023.
Una turista americana è morta nel pomeriggio di ieri nelle acque di Furore, in Costiera Amalfitana, a causa di un incidente avvenuto, per motivi in corso di accertamento, tra un veliero di 40 metri con a bordo circa 80 persone, tedeschi e americani, che festeggiavano un matrimonio e un motoscafo di 9 metri dove si trovava la vittima insieme al marito, ai due figli piccoli e allo skipper.
L'impatto è stato violentissimo, al punto da sbalzare in mare la turista che sarebbe finita nell'elica, riportando ferite multiple su tutto il corpo. Il marito ha riportato una lesione a un arto, ed è stato soccorso e trasportato d'urgenza in ospedale. Illesi i due figli della coppia, che si trovavano a bordo. Lievemente ferito lo skipper dell'imbarcazione che era stata noleggiata.
[…] Dopo l'incidente la macchina dei soccorsi si è subito messa in moto, anche grazie al supporto di imbarcazioni private. Sulla banchina del porto di Amalfi sono arrivate due ambulanze del 118 ed è stato attivato anche l'elisoccorso per velocizzare il trasferimento in ospedale. Ma i medici, nonostante il tentativo di rianimare la donna, non hanno potuto far altro che constatarne il decesso. […]
TURISTA MORTA IN COSTIERA AMALFITANA, ERA UN'EDITRICE AMERICANA
(ANSA venerdì 4 agosto 2023) - Si chiamava Adrienne Vaughan la turista statunitense (e non inglese come si era appreso ieri) che ha perso la vita ieri pomeriggio nell'incidente in mare avvenuto in Costiera Amalfitana. La donna, come riportano alcuni organi di stampa, era presidente del Bloomsbury USA, sussidiaria americana della Bloomsbury Publishing, casa editrice britannica che ha editato i romanzi di Harry Potter.
La turista, 45 anni, era a bordo di un motoscafo con conducente insieme al marito Mike, alla figlia di 12 anni e al figlio di 8 anni. Dopo aver visitato Roma avevano deciso di soggiornare in Costa d'Amalfi. Ma ieri pomeriggio, durante un'escursione in mare, qualcosa non è andato per il verso giusto. L'imbarcazione presa a noleggio con conducente, per cause ancora in corso di accertamento, si è scontrata con il "Tortuga", un veliero di 45 metri utilizzato per eventi esclusivi. A bordo, infatti, vi erano un'ottantina di turisti stranieri che stavano festeggiando un matrimonio.
L'impatto è stato violentissimo: Vaughan è finita in acqua nei pressi delle eliche, riportando lesioni profonde e gravi che ne hanno provocato la morte. Il marito Mike ha riportato una contusione alla spalla e qualche ferita per la quale è stato medicato, insieme ai due figli (rimasti illesi) presso l'ospedale di Ravello.
Lo skipper del motoscafo, invece, ha riportato una ferita ad un braccio. Sono in corso accertamenti da parte della Capitaneria di Porto di Amalfi che, anche grazie al racconto dei testimoni, dovrà provare a ricostruire la dinamica della tragedia. I conducenti delle due imbarcazioni (che sono state poste sotto sequestro) sono stati sottoposti ai test tossicologici.
MORTA NELLO SCONTRO TRA BARCHE: SKIPPER POSITIVO AD ALCOL E DROGHE. Estratto da today.it venerdì 4 agosto 2023.
Positivo ad alcol e droga lo skipper dell'imbarcazione a motore sulla quale si trovava Adrienne Vaughan, la turista americana morta dopo essere caduta in acqua nello schianto con un veliero nel pomeriggio di ieri giovedì 3 agosto nelle acque antistanti al fiordo di Furore, in Costiera Amalfitana.
Secondo quanto si apprende il giovane - un trentenne dipendente di una società di noleggio barche di Massa Lubrense - è risultato positivo ai test tossicologici e alcolemici. Dopo l'incidente era stato portato direttamente all'ospedale Ruggi d'Argona di Salerno per le cure necessarie in seguito alle ferite riportare a un braccio. Qui era stato sottoposto - con il comandante del veliero, un 55enne napoletano (risultato negativo) - all'alcol e al drug test. La Procura di Salerno ha aperto un'inchiesta delegando le indagini ai militari della Capitaneria di Porto di Salerno. […]
Estratto dell’articolo di Gennaro De Biase per “Il Messaggero” venerdì 4 agosto 2023.
[…] «Realizza il tuo sogno»: non a caso è questo lo slogan che appare sul sito ufficiale del Tortuga, l'imbarcazione che cullandosi nelle acque del golfo di Napoli cattura l'attenzione da quasi ogni belvedere della città, specialmente nelle notti di luglio e agosto.
La turista statunitense di 45 anni, ieri pomeriggio nelle acque nei pressi di Furore, ha perso la vita dopo che l'imbarcazione su cui si trovava è finita contro questo veliero da 40 metri. La location delle feste aziendali o private (come quella di ieri), delle vacanze, dei compleanni e dei «sogni». Ci si sposa addirittura, sulla Tortuga, la grande imbarcazione che resta negli occhi di tanti napoletani e stranieri che ammirano il Golfo.
[…] Sogni che però ieri si sono confusi con una tragedia terribile. «Non si è capito nulla, all'improvviso c'è stato un terribile schianto», sono le parole cariche di spavento e angoscia dei turisti che affollavano il Tortuga, anche se in via ufficiale i gestori, almeno per ieri, hanno preferito rispondere adeguatamente solo alle domande degli inquirenti. Il veliero, comunque, sarebbe «illeso»: a un primo esame non sarebbero stati rilevati danni strutturali.
[…] «Navigando con i suoi 40 metri nel mare di Napoli - si legge nella descrizione - risulta essere una location unica e indimenticabile dove poter svolgere un evento di sicuro successo nel quale si uniscono la tipicità della cucina napoletana e lo spettacolare scenario del mare. Siamo esperti nell'emozionare gli ospiti e creare un'atmosfera suggestiva resa unica dalla qualità dei servizi offerti.
Ormeggiata con i suoi 40 metri nel cuore del Golfo di Napoli, unisce caratteristiche di modernità all'antica seduzione della barca a vela. Il calore del teak e della radica, la particolare cura dell'arredamento ed ancora il confortevole salone ed il suo ampio ponte superiore uniti alla nostra rinomata cucina tipica napoletana concorrono tutte a creare un'atmosfera suggestiva resa unica dalla qualità dei servizi offerti. Il nostro equipaggio professionale sempre gentile ed attento alle vostre necessità vi aiuterà a navigare in uno scenario di incomparabile bellezza».
[…] Ci si presentano anche prodotti e libri da lanciare sul mercato, a bordo della location da sogno che solca le acque del Golfo. «Il Veliero Tortuga è il posto ideale per festeggiare il tuo evento speciale», si legge ancora sul sito. Eppure ieri, durante una festa privata in corso sul veliero, il sogno si è trasformato in un incubo. «Al momento dello schianto, quando l'imbarcazione ci è venuta addosso, la nostra prima preoccupazione è stata quella di mettere in salvo tutti i presenti», hanno assicurato i membri dell'equipaggio […]. E naturalmente filtrano «shock e grande rammarico per la tragedia».
Estratto dell’articolo di Nico Falco per fanpage.it sabato 5 agosto 2023.
Prima di colpire la prua del Tortuga, il gozzo sorrentino avrebbe improvvisamente cambiato rotta e invertito il senso di marcia in velocità. È quello che racconta a Fanpage.it Tony Gallo, comandante del veliero che ieri pomeriggio è rimasto coinvolto nell'incidente in mare che ha portato alla morte della turista statunitense Adrienne Vaughan […]
Racconta Gallo: “Ci trovavamo in navigazione dall'isola Li Galli verso Amalfi. All'altezza del Fiordo di Furore, a circa 500 metri al largo della costa, una imbarcazione proveniente nel senso opposto inverte repentinamente la rotta ad una velocità tra i 20 e i 25 nodi, tagliandoci letteralmente la strada e quindi andando a impattare sotto la nostra prua.
Adrienne Vaughan e la figlia sono finite in mare, il gozzo sorrentino è rimasto bloccato accanto alla prua con uno squarcio sulla fiancata. I primi soccorsi sono partiti proprio dal veliero, subito dopo si sono unite alcune imbarcazioni di passaggio e la Guardia Costiera.
Prosegue Gallo: “Ci siamo subito attivati per allertate i soccorsi e recuperare i naufraghi. La signora che è poi deceduta è stata recuperata da due medici che si trovavano a bordo, è stata portata nel porto di Amalfi con un motoscafo di passaggio. A terra era ancora viva, purtroppo non sono riusciti a salvarla.”
[…] Continua Gallo: Le barche, come è noto, non hanno i freni. Nel momento in cui hai fermato i motori e ingrani la retromarcia per carcere di fermare il moto inerziale, i tempi di reazione non sono quelli che si vedono su strada. Al momento dell'impatto la mia imbarcazione aveva i motori fermi. L'altra, come si vede anche dai video consegnati alla magistratura, aveva ancora l'elica ingranata, anche dopo l'impatto.
Estratto dell’articolo di F.B. per il “Corriere della Sera” sabato 5 agosto 2023.
La responsabilità della collisione avvenuta giovedì pomeriggio nelle acque della Costiera amalfitana, che ha provocato la morte della turista americana Adrienne Vaughan, appare al momento esclusivamente dello skipper che era ai comandi del gozzo noleggiato dalla donna e suo marito, e sul quale c’erano anche i loro due figli di otto e dodici anni.
Le prime fasi degli accertamenti […] escludono decisamente manovre errate o ingiustificate da parte del Tortuga, il veliero di quaranta metri contro il quale l’altra imbarcazione è andata a schiantarsi. Molto più complesso sarà invece capire perché lo skipper, Elio Persico, un trentenne che lavora per una società di charter della Costiera sorrentina, abbia improvvisamente cambiato la propria rotta, andando incontro il veliero che procedeva a bassissima velocità mentre a bordo c’era una festa organizzata da un gruppo di turisti.
La spiegazione è parsa arrivare quando il giovane marinaio è stato sottoposto al test per verificare l’eventuale assunzione di sostanze psicotrope ed è emerso che aveva bevuto e assunto cocaina. Il tasso alcolemico, però, è risultato molto basso, seppure superiore ai limiti […], e non giustificherebbe un marcato appannamento delle capacità di controllo e autocontrollo.
Per quanto riguarda l’assunzione di cocaina, invece, saranno necessari ulteriori approfondimenti per stabilirne i tempi. Il test al quale è stato sottoposto ieri lo skipper rileva la presenza di droga anche se il consumo risale a una settimana o a un mese prima. Quindi non basta a stabilire se l’atro giorno il giovane fosse o meno sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
[…] Per ora lo skipper resta indagato ma nei suoi confronti la Procura di Salerno […] non ha adottato altri provvedimenti. [….] Tra gli altri sono stati ascoltati anche i componenti l’equipaggio del Tortuga, che per primi sono intervenuti in soccorso delle persone sbalzate in mare dal gozzo. I marinai si sono subito tuffati, mentre dal ponte del veliero i turisti lanciavano in acqua i salvagente e altri galleggianti. Si è cercato anche di salvare il gozzo dall’affondamento. [...]
Estratto dell’articolo di Mario Amodio, Petronilla Carillo e Valeria Di Corrado per “il Messaggero” sabato 5 agosto 2023.
Non solo Elio Persico è risultato positivo al drug test e all'alcol test, ma stava pilotando il motoscafo tenendo il cellulare in mano. Sarebbe stata proprio questa la distrazione fatale che giovedì pomeriggio ha portato il giovane skipper a schiantarsi contro il veliero turistico Tortuga, nello specchio di mare compreso tra il Fiordo di Furore e il Capo di Conca, al largo della Costiera Amalfitana. «Stava sempre al telefono», ha raccontato ai soccorritori Mike White, il marito della 45enne newyorkese caduta in acqua per la violenta collisione e deceduta poco dopo sul molo del porto di Amalfi a causa delle ferite riportate dalle eliche del motoscafo.
[…] La salma di Adrienne Vaughan, al momento sequestrata, è invece stata ricomposta e custodita presso l'obitorio dell'ospedale Fucito di Mercato San Severino. […] Le due imbarcazioni intanto sono state sottoposte a sequestro: il veliero trasferito al molo di Salerno già nella serata di giovedì, mentre il gozzo, semi affondato, è stato recuperato nella giornata di ieri e trainato nel porto di Amalfi. […] a restituire qualche dettaglio sulla cinematica dell'incidente in mare sono i video girati dagli invitati al pre wedding organizzato sul veliero. Immagini che mettono i brividi e in cui compare la 14enne americana in mare, impaurita, mentre le lanciano salvagenti. Si vede anche una vistosa falla sulla parte destra del motoscafo.
Estratto dell’articolo di Massimiliano D'esposito, Valeria D'esposito e Valeria Di Corrado per “il Messaggero” sabato 5 agosto 2023.
[…] Dalle immagini girate da uno degli 80 passeggeri stranieri che erano a bordo del veliero da 40 metri, si vede […] che il conducente del gozzo da 6 metri - dopo la collisione - fa un'ulteriore manovra errata. Ingrana la retromarcia, pur essendosi accorto che nell'impatto con lo scafo più grande erano caduti in mare due membri della famigliola americana che stava accompagnando in gita a Positano. La bambina è abbastanza distante, ma la mamma, Adrienne Vaughan, proprio in quel momento potrebbe essere stata ferita dall'elica del motoscafo.
Tant'è vero che Elio Persico (ora indagato per omicidio colposo e naufragio colposo) se ne rende conto e, dopo che l'imbarcazione si è mossa all'indietro di un paio di metri, toglie la retromarcia. A causa delle lesioni riportate, la presidente Usa della casa editrice Bloomsbury è morta. […]«[…] E pensare che Elio in mare è uno di quelli bravi, non come tanti marinai improvvisati che si vedono in questo periodo». […] il 30enne gode anche della stima dei colleghi. «Dal punto di vista tecnico devo dire che è uno dei migliori skipper della zona, […]». Fattori come potrebbe essere l'assunzione di alcol e droghe, e la distrazione dovuta all'utilizzo del cellulare. «Tutta la comunità di Massa Lubrense è sconvolta per quanto accaduto», spiega il sindaco Lorenzo Balducelli.
Costiera Amalfitana, l'americana uccisa dell'elica? "Lo skipper sempre al telefono". Libero Quotidiano il 05 agosto 2023
È accusato di omicidio colposo e naufragio lo skipper alla guida dell'imbarcazione che giovedì scorso si è scontrata con lo scafo di un veliero, il Tortuga, provocando la morte della turista americana Adrienne Vaughan, 45 anni. La donna stava prendendo il sole a prua del gozzo, quando è stata sbalzata in acqua dalla collisione. A confermarlo in conferenza stampa il procuratore capo di Salerno Giuseppe Borrelli. Quest'ultimo ha sottolineato anche che finora sarebbero state ascoltate oltre 70 persone, tra cui il marito della vittima, ora ricoverato in ospedale, che verrà sentito di nuovo quando le sue condizioni di salute saranno migliorate.
Il procuratore, poi, ha spiegato che "sono in corso delle verifiche tese ad accertare la possibilità di ricostruire rotta e velocità delle due imbarcazioni anche attraverso l'eventuale presenza e l'eventuale funzionamento di apparati tecnici presenti sulle due imbarcazioni". Stando a quanto appreso dall'Ansa, il conducente della barca, un 30enne campano, sarebbe risultato positivo ai test tossicologici: si sarebbe messo alla guida dell'imbarcazione sotto effetto di cocaina. I valori della droga nel sangue, tuttavia, sarebbero risultati bassi. Per questo la Procura ha disposto ulteriori approfondimenti per capire quanto tempo prima dell'incidente l'uomo abbia fatto uso di sostanze stupefacenti. Un'altra testimonianza sullo skipper sarebbe arrivata direttamente dal marito della vittima Mike White che, come riporta il Messaggero, ai soccorritori avrebbe detto: "Stava sempre al telefono". Marito e moglie si trovavano sul gozzo insieme ai loro due figli, rimasti illesi.
Nelle scorse ore è emersa anche l'ipotesi che a colpire e uccidere la donna possa essere stata l'elica del gozzo su cui si trovava poco prima. A tal proposito, significativa è la testimonianza di Tony Gallo, comandante del Tortuga, che a Fanpage.it ha raccontato: "A circa 500 metri al largo della costa, una imbarcazione proveniente nel senso opposto inverte repentinamente la rotta ad una velocità tra i 20 e i 25 nodi, tagliandoci letteralmente la strada e quindi andando a impattare sotto la nostra prua. Al momento dell'impatto la mia imbarcazione aveva i motori fermi. L'altra, come si vede anche dai video consegnati alla magistratura, aveva ancora l'elica ingranata, anche dopo l'impatto".
Lago Maggiore
Battello ribaltato sul lago Maggiore per maltempo: quattro morti. Dubbi sul ritardo nel rientro al porto. Andrea Camurani e Andrea Galli corriere.it il 28 maggio 2023.
L'incidente domenica a Lisanza. A bordo 25 persone: italiani e stranieri che festeggiavano un compleanno. Travolta da una tromba d'aria, la barca si è inabissata. Molti in salvo a nuoto
Quattro corpi senza vita recuperati dai sommozzatori (gli ultimi due lunedì mattina), una causa che risulta oggettiva — il maltempo e una tempesta che ha provocato il rovesciamento di una barca turistica nel lago Maggiore — ma anche un dubbio, punto di partenza dell’inchiesta della Procura di Busto Arsizio: forse chi manovrava il mezzo, proprio in considerazione dell’evidente peggioramento del cielo, sarebbe dovuto rientrare a riva prima.
A nuoto per 150 metri
I velisti ad esempio lo hanno fatto in anticipo per le violente raffiche di vento, a differenza appunto di questa imbarcazione che ospitava 23 italiani e stranieri (pare israeliani e inglesi), più due membri dell’equipaggio. I passeggeri appartengono a un gruppo di amici che ha affittato il mezzo per una festa di compleanno. L’incidente è avvenuto poco dopo le 19 non lontano dalle sponde del cantiere nautico «Fratelli Piccaluga» a Lisanza, una frazione di Sesto Calende. La relativa vicinanza a riva ha permesso ad alcuni, i primi a cadere in acqua, di raggiungere la salvezza a nuoto nonostante i 150 metri da percorrere, e agli altri di essere soccorsi.
Passeggeri tra i 20 e i 50 anni
In una prima fase erano 6 le persone che mancavano; il numero si è poi ridotto a due prima della notte. Calato il buio, l’elicottero dei vigili del fuoco non ha più potuto sorvolare il lago, mentre sono proseguiti, con crescente difficoltà anche per il ritorno di una pioggia battente, i tentativi di scandagliare il bacino. Un contributo decisivo lo hanno dato proprio i velisti recuperando la maggioranza delle persone, di età compresa tra i 20 e i 50 anni. Le ultime due vittime sono state trovate lunedì mattina. Rispetto all’area del previsto approdo, la barca si è fermata a 600 metri di distanza forse a conferma di quanto fosse diventata ingovernabile. Dai riscontri negli ospedali le condizioni dei 21 passeggeri salvati non sono gravi.
Il maltempo dalle 17
Era almeno dalle 17 che il maltempo aveva iniziato a colpire la provincia di Varese provocando ritardi all’aeroporto di Malpensa e ulteriori problemi a imbarcazioni, specie di canottaggio e questa volta senza esito drammatico, nel lago di Varese. Le indagini sono condotte dal Comando provinciale dei carabinieri. In relazione al complessivo buono stato di salute dei feriti, gli investigatori hanno subito cominciato a raccogliere testimonianze. Voci concordi hanno narrato il rapido e impetuoso processo di rovesciamento della barca (qualcuno ha parlato di «una tromba d’aria») ma, come anticipato, la versione dirimente sarà quella dell’equipaggio.
Il viaggio nonostante il maltempo
I due che conducevano il mezzo dovranno resocontare se avevano ricevuto allarmi sul mutamento delle condizioni meteo oppure se, magari dietro insistenza dei passeggeri affinché la festa non si interrompesse di colpo, hanno allora rischiato proseguendo il viaggio. Il relitto si è presto inabissato.
Il naufragio. Tragedia sul Lago Maggiore, tra i morti del naufragio due 007 italiani: la barca inabissata per 15 metri. Redazione Web su L'Unità il 29 Maggio 2023
La tromba d’aria si è abbattuta sul Lago Maggiore nella serata di domenica 28 maggio. Già dalle 17 i temporali e le pesanti grandinate avevano iniziato a colpire la provincia di Varese e che il maltempo potesse peggiorare era ipotizzabile. Eppure la house boat con a bordo 23 passeggeri e due membri dell’equipaggio era in mezzo al lago per poi ribaltarsi e provocare 4 morti. Tra questi due dipendenti appartenenti al comparto dell’Intelligence italiana che insieme agli altri ospiti stavano festeggiando un compleanno a bordo della barca inabissatasi poi a 15 mt di profondità.
Si tratta di Claudio Alonzi, 62 anni, sposato e padre di due figli, e Tiziana Barnobi, 53 anni, sposata, un figlio ancora minorenne. I due si trovavano in zona per partecipare a una festa di compleanno. In una nota del Comparto intelligence il cordoglio dei colleghi: “L’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica e i Vertici del Comparto esprimono la loro vicinanza e il dolore per il tragico evento ai familiari delle vittime”.
L’incidente è avvenuto all’altezza della località Lisanza, una frazione di Sesto Calende, a una distanza tra i 100 e i 150 metri dalla costa, e 600 metri più lontano rispetto al previsto punto di approdo. All’improvviso a bordo è scattato il panico: qualcuno si è gettato in acqua e ha nuotato fino a riva, qualcun altro ci è caduto, altri sono stati tratti in salvo da alcuni velisti. I quattro che sono deceduti potrebbero essere rimasti incastrati mentre la nave affondava. La Procura di Busto Arsizio ha aperto un fascicolo contro ignoti per nubifragio colposo. L’inchiesta punta a fare luce sul perché visto il maltempo i due manovratori non hanno velocizzato le manovre di rientro all’approdo come hanno fatto altre imbarcazioni. La barca si è inabissata e dovrà essere trascinata nel porto per consentire altre verifiche tecniche e capire se ci fossero guasti o malfunzionamenti.
Estratto dell’articolo di Massimo Pisa per “la Repubblica” il 30 maggio 2023.
L'ultimo corpo riaffiora che sta albeggiando. Lo riporta in superficie un sommozzatore dei carabinieri, che ha perlustrato il fondale a una ventina di metri dal relitto. Le due donne le hanno recuperate i vigili del fuoco dalla cabina della "Good... uria", la house-boat rovesciata dal vento e dalla grandine in mezzo al braccio sud del Lago Maggiore.
E la prima vittima era stata recuperata dalle lance alla luce del tramonto della sera prima. Ma è quando i soccorritori raccolgono documenti e tesserini che le proporzioni della tragedia diventano qualcos'altro: non solo un naufragio e una strage, perché tre delle quattro vittime e diciotto dei diciannove superstiti non sono semplici gitanti della domenica, ma agenti di intelligence, o in servizio o in congedo.
Apparteneva all'Aise Claudio Alonzi, 62enne di Alatri, e così Tiziana Barnobi, 53enne colta da una crisi di panico - lo ricostruiscono le testimonianze raccolte dal pm Massimo De Filippo e dal procuratore capo di Busto Arsizio, Carlo Nocerino - all'abbattersi del fortunale. Si era rifugiata in cabina e il proprietario e skipper della "Good... uria", Claudio Carminati, aveva mandato a farle compagnia la moglie Anya Bozhkova, 50enne russa di Rostov dove aveva lasciato una figlia e due nipoti: è lei la terza vittima, intrappolata sott'acqua.
Il primo a cadere nel lago, il 54enne Shimoni Erez, era un agente in pensione dei servizi israeliani e con una decina di colleghi aveva deciso di concedersi un weekend in Italia per festeggiare il compleanno di uno di loro. Occasione di una rimpatriata - così sostengono più fonti di intelligence - con altrettanti 007 italiani, una gita per le isolette lungo il Maggiore con fermata al ristorante Il Verbano, sulla sponda piemontese del lago, e luculliano pranzo. E di certo, tra un tagliolino Castelmagno e tartufo e un bicchiere di barbaresco, qualche chiacchiera sui vecchi e i nuovi tempi.
I superstiti, dopo aver nuotato per qualche decina di metri (ma dal punto del naufragio alla sponda di Marina di Livenza se ne contano non meno di trecento) sono stati salvati da altri natanti, motoscafi, perfino moto d'acqua. Ascoltati nella notte dai magistrati e dai carabinieri del Comando provinciale di Varese, sono spariti in fretta: gli israeliani, già ieri mattina, erano su un volo militare verso Tel Aviv, tanto che uno dei due furgoncini Ford presi a nolo per la gita è rimasto incustodito sulla banchina del porticciolo da dove era salpata la "Good... uria", accanto alla Clio bianca di Anya Bozhkova e alla Mercedes station wagon di Claudio Carminati.
Gli italiani sono stati evacuati in tutta fretta dai pronto soccorso e dagli hotel tra Sesto Calende e la Malpensa, dove non risulta traccia del loro pernottamento. E non ha fatto ritorno a casa nemmeno il proprietario della house-boat: anche perché, su quel cabinato ormeggiato ai cantieri Piccaluga, Carminati ci viveva, conservando sulla terraferma l'appartamento di Anya, che due mesi fa aveva sposato in seconde nozze.
Quelle mura, un pezzo della grande villetta dove dal 2006 la donna aveva lavorato come badante, la coppia conservava un po' di mobilio e la sede della "Love Lake", il nome commerciale della loro attività di guide galleggianti a noleggio. Quanto esperti e quanto avveduti, lo dirà l'inchiesta. […]
Estratto dell’articolo di Monica Serra per “la Stampa” il 30 maggio 2023.
Domenica mattina, Claudio Carminati aveva qualche dubbio. Con quel tempo un po'incerto non era convinto di uscire in barca con la compagnia italo-israeliana – quasi tutti legati all'intelligence dei due Paesi – che aveva prenotato una gita sul lago Maggiore con la sua amata «Love lake», quell'imbarcazione turistica che era la sua vita. Alla fine, però, si è deciso a salpare dalle sponde di Lisanza a Sesto Calende, in provincia di Varese.
Non poteva immaginare le dimensioni della tempesta che per pochi minuti si è abbattuta sul battello, rovesciandolo nelle acque gelide del lago e uccidendo sua moglie Anya e tre degli ospiti: due membri dell'Aise e un pensionato delle forze di sicurezza israeliane.
Avevano prenotato in ventitré, ma all'ultimo due di loro si sono sfilati, così sulla barca di Carminati sono saliti in ventuno.
Dal poco che è trapelato, il motivo dell'appuntamento era «conviviale», ma anche un'occasione per scambiare delle informazioni tra gli 007 dei due Paesi. La gita era programmata, con pranzo prenotato alle 12, 30 al ristorante Il Verbano, sull'isola dei Pescatori. «Il maltempo li ha sorpresi mentre erano di ritorno al cantiere navale Piccaluga» racconta un testimone.
«Ma la barca tardava a tornare. Era stata avvistata a dieci minuti dalla riva da un'altra imbarcazione, i tempi non tornavano, così è stato lanciato l'allarme». Chi era appena rientrato al cantiere racconta dell'arrivo di due temporali, uno da Arona, l'altro da est» di «grandine e vento forte», di un «cielo che si è oscurato nel giro di pochi minuti al punto che non si vedeva nulla a venti metri di distanza». Il vento a 130 chilometri orari ha alzato le onde, la prua della Love lake, che qui è nota anche come «Goduria», ne ha presa una in pieno, si è sollevata. Un primo ospite è finito nel lago: ai carabinieri diretti dal comandante Gianluca Piasentin lo hanno raccontato i testimoni a bordo. Forse proprio Shimoni Erez, 53enne pensionato delle forze di sicurezza israeliane. A lui apparteneva il primo corpo senza vita recuperato dai soccorsi. […]
Carminati ha detto agli ospiti di «scendere dal piano alto per stabilizzare la barca». Tra le urla e nel tentativo disperato di salvarsi, tutti sono finiti in acqua. Tutti, tranne sua moglie Anya Bozhkova, 50 anni, di origine russa, che una ventina d'anni fa si era trasferita a Sesto Calende a fare la badante e la 007 dell'Aise Tiziana Barnobi, triestina di 53 anni, sposata con un figlio piccolo, che qualche istante prima erano andate sotto coperta per ripararsi dalla pioggia. Tutte e due sono rimaste incastrate nel battello che affondava. I loro corpi sono stati recuperati nella tarda serata di domenica […]
L'ultimo corpo senza vita è stato recuperato dai sommozzatori dei carabinieri a venti metri dal relitto intorno alle 7 di ieri mattina. Era quello di Claudio Alonzi, originario di Alatri nel Frusinate, 62 anni, anche lui alle dipendenze dell'Aise, come confermato da una nota ufficiale dell'«Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, e i vertici del comparto» che hanno espresso «vicinanza e dolore per il tragico evento ai familiari delle vittime».
Nel frattempo il procuratore di Busto Arsizio, Carlo Nocerino, e il pm di turno Massimo De Filippo hanno aperto un fascicolo d'inchiesta per naufragio colposo, senza indagati, in attesa degli accertamenti anche sulla documentazione conservata in quel che resta della Love lake. Gli aspetti da chiarire sono tanti. Per prima cosa il numero degli ospiti: l'attività della barca veniva pubblicizzata per un massimo di quindici persone, e non ventuno come domenica. Poi l'equipaggio: a bordo c'erano solo lo skipper e la moglie, un numero inadeguato forse a quello degli ospiti. E ancora la questione maltempo: in quelle condizioni meteo la barca poteva uscire?
Peraltro c'è chi, in altri cantieri navali della zona, parla di «errori tecnici»: «Con quelle condizioni la barca avrebbe dovuto navigare sottocosta e non in mezzo al lago». E ancora, c'è da capire se l'imbarcazione fosse dotata dei dispositivi di sicurezza: se è vero che i giubbotti gonfiabili erano a bordo, saranno ritrovati nel relitto che, nella serata di ieri, con l'ausilio di speciali palloni ad aria compressa, i sommozzatori stavano recuperando. Di certo, nessuno dei dispersi ne aveva uno addosso. […]
Erano quasi tutti 007 i deceduti sulla barca affondata nel Lago Maggiore. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 30 Maggio 2023
Eccetto il comandante della barca e sua moglie, morta nel naufragio insieme ad altre tre persone, a bordo c'erano 19 funzionari dell'intelligence israeliana e italiana. Gli inquirenti indagano solo sulla dinamica dell'incidente: "Il resto non è affar nostro". Rimangono insoluti i misteri e gli interrogativi
L’interesse dei magistrati della Procura di Busto Arsizio e dei Carabinieri del Comando provinciale di Varese guidati dal colonnello Gianluca Piasentin, però sembra essere focalizzato solo a capire come e perché sia affondata la barca “Goduria“‘ dopo che due giorni fa all’ora dell’aperitivo le acque del lago Maggiore sono imbizzarrite a causa di un’improvvisa di una tromba d’aria che ha provocato la morte di quattro persone. Quando si è scatenata la tempesta alcuni dei 23 passeggeri si sono tuffati salvandosi a nuoto, altri sono stati soccorsi e poi c’è chi non ce l’ha fatta, per ragioni da chiarire. Cinque persone sono state ricoverate in condizioni non gravi. A bordo dell’imbarcazione c’erano otto agenti segreti italiani dell’ AISE e 13 agenti israeliani del Mossad, e tutti alloggiavano in un hotel vicino all’aeroporto di Milano Malpensa
“Il resto non è affar nostro” fanno sapere gli investigatori sottolineando che nel loro orizzonte ci sono solo accertamenti su quelli che possono essere eventuali reati. Anche se qualcuno ammette che lo scenario però è “peculiare”. A bordo erano presenti da 13 esponenti del Mossad il servizio di intelligence israeliana, e 8 di quella italiana, oltre al comandante della barca Claudio Carminati e la moglie Anja Bozhkova, cittadina russa che è deceduta . L’occasione di questa presenza non indifferente di 007 sarebbe stato il compleanno di uno degli uomini del Mossad sopravvissuti.
Una delle versioni, non ufficiali, sarebbe la seguente: alla vigilia non era in programma nessuna gita sul lago, poi invece avvenuta in quanto, dopo incontri in Lombardia per lo scambio di informazioni e di documenti, gli israeliani avevano perso l’aereo del ritorno e deciso di prolungare la sosta sino all’intero fine settimana, con partenza per Israele in programma nella giornata di lunedì 29 maggio. 10 agenti del Mossad tratti in salvo sono stati immediatamente riportati in Israele con l’utilizzo di un aereo militare.
Sulla possibile contiguità di Carminati ad ambienti dei servizi segreti non vi sono riscontri e conferme. In paese ricordano che in passato aprì una lavanderia a gettoni e poi si inventò costruendola con le sue mani la barca per i turisti “forse senza le certificazioni per poterlo fare in sicurezza” un tal numero di 007 riuniti su una barca di 15 metri potrebbe avere scelto come accompagnatore almeno una persona di maggiore fiducia e sicurezza.
La moglie del comandante dell’imbarcazione è deceduta rimanendo incastrata all’interno della barca durante la tempesta, dove l’hanno trovata i vigili del fuoco, lui è sopravvissuto ed è stato indagato anche a garanzia sua perché adesso saranno svolti accertamenti tecnici come le autopsie e le analisi sulla barca ai quali potrà partecipare col suo legale. I temi sono quelli della sicurezza della barca, della capienza più o meno regolare ( erano in 21a bordo), del cielo che si era incupito e forse avrebbe potuto e dovuto consigliare altre manovre e altra prudenza a Carminati.
I naufraghi in un primo momento sono stati scambiati da chi li ha avvistati da altre imbarcazioni per “anatre o cigni” racconta il vicesindaco Edoardo Favaron: “Alcuni naufraghi sono stati recuperati da persone che erano su altre imbarcazioni nel lago che poi, una volta a terra, mi hanno riferito di avere pensato che le teste di chi era caduto in acqua fossero di anatre o cigni”. Favaron spiega di essere arrivato quando il naufragio era già avvenuto e di avere presenziato ai soccorsi portati da elicotteri, carabinieri e altri natanti. I vigili del fuoco hanno svolto le operazioni per portare a galla i resti della ‘Goduria‘ che saranno analizzati per capire se fosse in grado di navigare garantendo la sicurezza a chi era a bordo.
Ireati ipotizzati dal sostituto procuratore Massimo De Filippo sono naufragio e omicidio, entrambi a titolo colposo. Oltre alla donna russa, non sono riemersi dalle acque del Lago Maggiore, Claudio Alonzi 62 anni, coniugato e padre di due figli , e Tiziana Barnobi, originaria di Trieste, dove si era laureata in Economia, per poi frequentare l’Isda, l’Istituto superiore di direzione aziendale e trasferirsi a Roma, coniugata e madre di un figlio ancora minorenne, entrambi in servizio nell’ Aise (il servizio segreto italiano per l’estero), alle cui famiglie sono arrivate le condoglianze dei vertici e del sottosegretario Alfredo Mantovano, l’autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.
Deceduto anche Shimoni Erez, agente del Mossad in pensione. A riferirlo è il ministero degli Esteri a Gerusalemme, specificando che la famiglia della vittima è stata avvertita e il “console israeliano a Roma, assieme con il Dipartimento degli israeliani all’estero del ministero, sta operando per portare la salma in Israele” . Gli agenti del Mossad provenienti da Israele sopravvissuti al naufragio hanno lasciato questa mattina gli alberghi dove alloggiavano per fare ritorno in patria . Sull’ identiità delle persone presenti sulla ‘Goduria’ negli ambienti investigativi chiaramente c’e’ il massimo riserbo riserbo.
“Nella nostra zona ci sono siti industriali come quello di Leonardo ma non tali da far pensare che il nostro Comune possa portare qui per un summit esponenti di un servizio segreto così importante come quello israeliano” riflette il vicesindaco Favaron che non nasconde la “perplessità” degli amministratori di un paese di 11 mila abitanti su quanto accaduto anche perché si sentono esclusi dalle informazioni sulle ragioni della presenza proprio a Sesto Calende di un numero di 007 che lascia pensare a trame e cause importanti. Redazione CdG 1947
Il jet segreto per rimpatriare gli 007 israeliani. Documenti e piani, il giallo del summit a bordo. Relitto riemerso, verifiche sulle dotazioni. Skipper indagato: naufragio e omicidio. Tiziana Paolocci il 31 Maggio 2023 su Il Giornale.
Scomparsi, proprio come ombre. Un jet privato utilizzato per voli sensibili ufficiali, decollato da Israele e atterrato a Milano, ha recuperato gli 007 israeliani sopravvissuti al naufragio della «Goduria», l'imbarcazione che si è inabissata nel tardo pomeriggio di domenica sul Lago Maggiore, a Lisanza (Varese).
Si è saputo che alloggiavano tutti in un hotel vicino all'aeroporto di Malpensa, sia gli 8 agenti segreti italiani che i 13 israeliani del Mossad, che erano a bordo della barca affondata. Riuniti per un'occasione conviviale, un compleanno di uno degli israeliani, o almeno questo è quello che arriva dalle fonti ufficiali. Ci sono poche certezze. Una è che Shimoni Erez è morto insieme ai due colleghi italiani Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi, stessa sorte della moglie dello skipper, Anya Bozhkova, di origine russa.
Ci sono ancora troppi punti da chiarire in quella gita sul Lago Maggiore. La barca era di proprietà di Claudio Carminati, 53 enne della provincia di Varese, che ora è ufficialmente indagato per naufragio e omicidio colposi. La Goduria, sulla via del rientro da un pranzo sulle isole Borromeo, è naufragata a causa di una tempesta di pioggia, grandine e vento, che l'ha fatta prima capovolgere e poi affondare. I sopravvissuti, arrivati a riva grazie all'aiuto di un gruppo di ragazzi a bordo di una barca, e di un secondo skipper arrivato in loro ausilio con un secondo natante, dopo un breve passaggio in vari ospedali della provincia sono rientrati immediatamente a casa. «Se sulla barca l'occasione fosse un momento di festa è possibile, non si può escludere che prima vi siano stati altri tipi di incontri», riferisce una fonte che vuole restare anonima.
A dare risposte alle tante domande in sospeso potrebbe essere la stessa imbarcazione, per la quale le operazioni di recupero erano fallite per due giorni di fila. Nelle indagini sulle circostanze che hanno portato al capovolgimento della Goduria, la Procura di Busto Arsizio sta acquisendo tutta la documentazione utile, partendo dai documenti di immatricolazione della barca. Sono al vaglio anche i bollettini meteo. Sarà poi indagata la condotta dello skipper, per comprendere se abbia rispettato le norme di navigazione.
Ma ci si domanda se realmente domenica sulla Goduria si stesse svolgendo un party o se quella riunione nascondesse qualcosa di più, magari uno scambio di segreti o informazioni o una pianificazione di qualche obiettivo da perseguire insieme, 007 italiani e israeliani. Se poi erano lì è evidente che si fidavano ciecamente di Carminati. Era solo il loro skipper? E aveva dotato la barca di tutti i sistemi di sicurezza necessari? L'uomo ora è sotto choc per l'accaduto e per aver perso la compagna di vita. Ma verrà ascoltato prossimamente dagli inquirenti e chissà se qualcuno degli agenti segreti a bordo verrà mai chiamato a testimoniare.
Estratto dell’articolo di Simona Griggio per ilfattoquotidiano.it il 31 maggio 2023.
[…] Tiziana Barnobi, una delle vittime dell’incredibile incidente della barca affondata sul Lago Maggiore, agente dei servizi segreti, aveva fatto parte del mondo di Miss Italia.
Così arrivano le condoglianze di Patrizia Mirigliani, la figlia di Enzo, lo storico organizzatore del concorso di bellezza […]: “Apprendo solo ora la notizia della morte di Tiziana Barnobi coinvolta nel tragico incidente sul Lago maggiore. Tiziana era stata una Miss del Concorso ai tempi di mio padre, nel 1985. Grata per il suo impegno al servizio del Paese. Rivolgo un pensiero di vicinanza alla sua famiglia”.
Aveva vinto una tappa preliminare, quella di “Ragazza in gambissima” che si era svolta a Grado 38 anni fa. Era giovanissima: aveva 15 anni. Da lì si era trovata proiettata alla finalissima di Salsomaggiore: il suo nome ancora oggi spicca nell’elenco delle partecipanti.
Tiziana era nata a Trieste 53 anni fa. Dopo l’esperienza sulla passerella […] si era dedicata […] allo studio. Si era laureata in Economia, si era trasferita a Roma. Come tutti i componenti del sistema di Sicurezza Nazionale viveva un’esistenza comune, ben attenta a non dar nell’occhio.
“Nessuno sapeva che lavorasse nell’intelligence – raccontano oggi i suoi vicini di casa sulla Cassia, a Roma, dove si era trasferita – a tutti diceva di essere una funzionaria della presidenza del Consiglio”.
Prima del trasferimento aveva frequentato nella città natale l’Isda, Istituto superiore di direzione aziendale. Si era laureata in Economia nel 1994, come conferma la sua pagina sul portale di Radaris […] dove la sua professione ufficiale risulta quella di responsabile delle vendite di un’importante azienda di telefonia ed elettronica.
Il figlio e il marito […] sono andati a Lisanza per il riconoscimento del corpo. Si sono trovati di fronte alla tragica realtà di questa sciagura assurda. Sembra la trama di un romanzo di le Carrè, invece è brutale realtà. La barca di 15 metri chiamata “Good…uria” si è capovolta, travolta dall’uro dell’improvvisa tempesta. A bordo c’erano 24 persone, tutte appartenenti ai servizi segreti italiani e del Mossad di Israele. Cosa ci facevano lì? La versione ufficiale è che stessero festeggiando il compleanno di una di loro. Ma ora dopo ora trapela che non fossero lì per una normale rimpatriata. Quella era una missione di lavoro.
Il corpo di Tiziana è stato recuperato dai sommozzatori non lontano dal relitto, a circa 16 metri di profondità. “Erano una famiglia molto unita – i pochi ricordi degli amici, sconvolti – e il figlio era la luce dei suoi occhi”.
[…] “Dietro la bellezza c’è anche la sostanza. Dal concorso, da Sofia Loren in poi, sono passate le donne non solo più belle ma anche piene di risorse in settori non propriamente artistici. Però finora mai una 007”, racconta a FqMagazine la figlia del patron della kermesse, Patrizia Mirigliani.
[…] “E’ noioso e ormai superato il cliché che vede la donna bella stupida e oca. Anna Kanakis per esempio è stata Miss Italia ed è una scrittrice. Ma una agente segreta non c’era mai stata. Ma magari ne abbiamo avute e non lo abbiamo saputo”, conclude Mirigliani.
Estratto dell'articolo di Valeria Di Corrado per “Il Messaggero” il 31 maggio 2023.
Non era una comune gita in barca della domenica, non era nemmeno una rimpatriata tra colleghi, ma una vera e propria riunione di lavoro - ovviamente segreta - tra 007 italiani e israeliani. E come nei film di spionaggio, sono immediatamente spariti tutti i superstiti del naufragio sul lago Maggiore e le tracce a loro riconducibili, che potevano svelarne l'identità o i movimenti.
Sono tanti i misteri che aleggiano sulla tragedia della «Good...uria», la barca turistica affondata intorno alle 19,20 di domenica scorsa al largo di Sesto Calende (in provincia di Varese), causando la morte di quattro persone: due appartenenti all'agenzia italiana Aise, Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi, un agente del Mossad ufficialmente in pensione, Shimoni Erez, e la russa Anya Bozhkova, moglie dello skipper e proprietario della house-boat Carlo Carminati. Proprio quest'ultimo è stato ufficialmente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Busto Arsizio con l'accusa di naufragio colposo e plurimo omicidio colposo.
[…] una tromba d'aria potentissima - con raffiche di vento da 70 chilometri orari - ha rovesciato lo scafo, che si è subito inabissato. Le due donne affogate, probabilmente, sono rimaste intrappolate nella cabina all'interno della quale si erano rifugiate.
[…] Quel che è certo è che l'imbarcazione poteva ospitare un massimo di 15 persone, invece ce n'erano 23 (più i due membri dell'equipaggio: lo skipper e la moglie).
[…] relitto, inabissatosi a 16 metri di profondità e a 150 metri dalla costa, non è stato ancora trascinato a riva. Due giorni di operazioni di recupero sono andate fallite, nonostante l'ausilio di particolari palloni ad aria compressa, che avrebbero dovuto permettere la risalita della house-boat in superficie. Lunedì, dopo essersi incagliata, è rimasta bloccata, mentre ieri, dopo un nuovo tentativo, è risprofondata di qualche metro.
Se all'interno del relitto dovesse essere trovata qualche valigetta contenente dei documenti degli 007, in caso fossero ancora leggibili nonostante l'acqua, la presidenza del Consiglio dei ministri potrebbe invocare il segreto di Stato.
Così come non si conoscono i nomi dei venti sopravvissuti, la stragrande maggioranza appartenenti all'Agenzia informazioni e sicurezza esterna. Gli agenti del Mossad sono stati rimpatriati con un jet privato usato per voli sensibili ufficiali, arrivato a Milano il giorno dopo l'incidente. Nelle abitazioni che avevano preso in affitto non ci sono più tracce del loro passaggio, così come non ci sono documenti di chi - tra gli agenti segreti italiani e israeliani - è stato medicato e subito dimesso dagli ospedali della provincia di Varese.
Il proprietario della barca e della società "Love Lake" di guide galleggianti a noleggio (ora indagato) era sicuramente un uomo fidato per gli 007, una loro vecchia conoscenza. Stupisce che sappia parlare il bulgaro e, sarà solo una coincidenza, il fatto che si sia sposato con una cittadina russa.
Quando sarà sentito dai pm, dovrà spiegare - tra le altre cose - cosa stessero facendo i suoi passeggeri. Prima della tragedia, si erano fermati a pranzare al ristorante "Il Verbano", sulla sponda piemontese del lago. La gita in barca era solo la parte conclusiva di un meeting che andava avanti da alcuni giorni, e sicuramente, la location in mezzo alle acque del Maggiore era stata scelta per avere il massimo delle riservatezza. Erano pronti a tutto, tranne che a una improvvisa tromba d'aria.
Estrato dell'articolo di Andrea Camurani per il “Corriere della Sera” il 31 maggio 2023.
Trenta secondi. «Trenta secondi, è scesa l’apocalisse e siamo precipitati in acqua». Lo skipper 60enne Claudio Carminati, da ieri indagato per omicidio e naufragio colposo (un atto dovuto anche a sua difesa), è ospitato da amici. Fatica a dormire nonostante i tranquillanti.
Su di lui pesa la strage di domenica nel lago Maggiore: appunto guidava l’imbarcazione, una «casa galleggiante» di 15 metri che poi, investita da una tempesta e forse una tromba marina con raffiche non lontane dai cento chilometri orari, si è inabissata.
[…]
Sulla barca c’erano soltanto donne e uomini dell’intelligence italiana e israeliana: in apparenza una normale divagazione, un’umana tregua dopo intensi giorni di missioni, forse di infiltrazioni, approfittando della figura di Carminati, nel circuito delle conoscenze dei Servizi e buon contatto. Nella deposizione successiva al disastro, avvenuto alle 19.20 a non meno di 100 metri dalla costa, lo skipper aveva parlato sia dell’assenza di previsioni meteo che annunciassero bufere, sia dell’improvviso cambiamento del tempo.
[…]
Lui, Carminati, negli sfoghi con gli amici raccolti dal Corriere, insiste però nel sostenere d’essere estraneo a ogni responsabilità. Piange la perdita di Anna: «Era china a pregare mentre il cielo diventava nero». A ieri pomeriggio, non risultava la prova documentale della patente nautica dello skipper, forse rimasta nell’imbarcazione, fabbricata nel 1982 e con immatricolazione nell’area balcanica.
Dopodiché, insieme all’inchiesta del sostituto Massimo De Filippo e dei carabinieri, abbiamo lo scenario dei Servizi. E se appare difficile immaginare un’attività d’intelligence su una lenta, vecchia, fragile barca da turismo, ammassati in un contesto pubblico con curiosi intorno e in spiaggia muniti di cellulare, è scontato un dato.
Ovvero che la disgrazia avrà ripercussioni sul lavoro dei Servizi nella zona tra Varese e la Svizzera, sui contatti acquisiti, sulla logistica (appartamenti e ville governative) anche del Mossad: inevitabile, da subito, la ricerca da parte dei vertici delle responsabilità di chi ha avallato la gita e non si è opposto. La successiva azione militare di sparizione nella notte per ridurre le fughe di notizie e non «bruciare» i covi, era ormai tardiva a fronte della strage (e dei misteri irrisolti).
«L'apocalisse in 30 secondi, il cielo era nero e mia moglie pregava»: lo skipper della barca affondata sul Lago Maggiore. Andrea Camurani e Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 31 Maggio 2023
La barca si è ribaltata domenica sera sul Lago Maggiore. Claudio Carminati nega di avere saputo di tempeste in arrivo. A bordo personale dei servizi segreti: il Mossad chiede chiarimenti all'Italia
Trenta secondi. «Trenta secondi, poi è scesa l’apocalisse, la barca si è subito rovesciata e siamo precipitati in acqua». Lo skipper Claudio Carminati, 60 anni, indagato per omicidio e naufragio colposo (un atto dovuto e atteso, anche a sua difesa) dalla Procura di Busto Arsizio retta da Carlo Nocerino, è ospitato da amici. Fatica a dormire nonostante i tranquillanti. Su di lui pesa la strage di domenica 28 maggio nel lago Maggiore in coincidenza del litorale di Sesto Calende: Carminati guidava appunto l’imbarcazione, una casa galleggiante di 15 metri, una cosiddetta «house boat» che poi, investita da una tempesta e forse una tromba marina con raffiche non lontane dai cento chilometri orari, si è inabissata. A bordo la capienza superava i limiti consentiti: anziché 15 i passeggeri erano 23 compresa la moglie dello stesso skipper, Anna Bozhkova, 50 anni, russa della città Bryansk, in Italia con un permesso di soggiorno a tempo illimitato, che non sapeva nuotare.
Bloccata nella cuccetta
Anna è morta affogata, come due membri dei Servizi segreti italiani (Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, di 53 e 62 anni, uno e due figli), nonché l’ex loro collega del Mossad, Shimoni Erez, anch’egli 53enne. Tiziana era un’atleta ma è rimasta imprigionata nella cuccetta: al buio, con l’acqua che saliva, ha invano cercato di spostare un mobiletto che ostruiva l’ingresso fino a perdere le forze. A bordo dell’imbarcazione c’erano soltanto donne e uomini dell’intelligence: si erano concessi una normale divagazione, un’umana tregua dopo giorni di missioni, di incontri, forse di operazioni sotto copertura con infiltrazioni, approfittando della figura di Carminati, uno nel circuito delle conoscenze dei Servizi e utile come contatto. Non a caso la neonata società dello skipper, aperta lo scorso aprile in uno studio notarile di Alessandria insieme alla stessa moglie, offriva un’ampia casistica di servizi: «Il noleggio, l’armamento e la locazione di unità da riporto, in Italia e all’estero, e in generale delle attività marittime. L’attività di escursioni, le visite in città con ogni mezzo di trasporto, la gestione di strutture ricettive…». Insomma un solido aggancio sul territorio.
«Nessuna bufera annunciata»
Un territorio da sempre geografia del Mossad, che qui dispone di basi logistiche. Nel fornire agli inquirenti la sua versione sull’incidente, avvenuto alle 19.20 a non meno di 100 metri dalla costa, lo skipper aveva parlato a ripetizione sia dell’assenza di previsioni meteo che annunciassero bufere, sia dell’improvviso cambiamento del tempo. La Procura, sul tema, sta esaminando i bollettini meteo per confrontare la versione di Carminati. Domenica mattina il bollettino del Centro prealpino diceva questo: «Caldo quasi estivo ma con sviluppo di molte nuvole sui rilievi dove potrebbero verificarsi rovesci o temporali pomeridiani». Dalle 17, aveva cominciato a grandinare nella parte della provincia di Varese verso il Milanese; nell’aeroporto di Malpensa, numerosi gli aerei fermi in pista nell’attesa di decollare. Sul lago Maggiore, i velisti avevano anticipato il rientro preoccupati dalle prime folate, descritte come «anomale». Lui, Carminati, negli sfoghi con gli amici raccolti dal Corriere, insiste nel sostenere d’essere estraneo a ogni responsabilità. Una drammatica coincidenza, nessun errore. Ripete un’immagine. Di Anna. «Stava china a pregare e invocare Dio mentre il cielo diventava nero». A martedì pomeriggio ancora non risultava la prova documentale della patente nautica dello skipper, che però dovrebbe esistere o forse è rimasta nell’imbarcazione, fabbricata nel 1982 e con immatricolazione nell’area balcanica (proseguono i tentativi dei vigili del fuoco di far riemergere lo scafo).
Attività d'intelligence
Dopodiché, fuori dall’inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto Massimo De Filippo e svolta dai carabinieri del Comando provinciale guidato dal colonnello Gianluca Piasentin, certo rimane lo scenario della presenza dei Servizi. E allora, se appare onestamente difficile immaginare un’attività d’intelligence in quelle condizioni – su una lenta, vecchia e fragile barca da turismo, ammassati, in un contesto pubblico, nel mezzo del lago Maggiore, con intorno altre barchette, motoscafi e curiosi muniti di cellulare –, appare scontata una sequenza di dati. Ovvero che la disgrazia avrà inevitabili ripercussioni sul lavoro dei Servizi nell’intera area, sui contatti acquisiti negli anni, sulla medesima logistica – appartamenti e signorili ville governative – e anche, nell’immediato, sulla ricerca da parte dei vertici delle responsabilità di chi ha avallato la gita o comunque non si è opposto a essa. Più d’uno rischia anzi terminerà la carriera; oltre allo strazio per le povere vittime s’è configurata una pessima figura internazionale (il Mossad ha chiesto all’Italia chiarimenti su cosa sia esattamente avvenuto). E la successiva attività iper-militare di sparizione delle donne e degli uomini dell’intelligence nella notte tra domenica e lunedì, per ridurre le identificazioni e le fughe di notizie, per non bruciare i covi, per tentare di salvare il salvabile, era ormai tardiva, a fronte della strage e dei suoi misteri. I misteri riguardano l’attività stessa dei Servizi segreti nei giorni precedenti il naufragio. Fisiologico che vi siano coperture su quanto davvero avvenuto.
Nessuna autopsia
Ma ci sono elementi da non trascurare. Intanto è prassi che di frequente si viaggi e ci si confronti con colleghi di altre nazioni. Non dobbiamo poi dimenticare che con ritmo periodico l’Italia ospita corsi di addestramento per forze armate estere quali, nelle ultime e nelle prossime settimane, quelle ucraine, libiche e tunisine, situazioni che giocoforza convogliano le attenzioni di differenti Paesi. Inutile parlare della centralità della provincia di Varese, collocata tra Milano e la Svizzera, densa di soluzioni per i mezzi di trasporto, con un aeroporto internazionale quale Malpensa, e con la ricchezza sul territorio di medie e grandi aziende, e le ovvie trame dello spionaggio e del controspionaggio industriale. Martedì le salme sono state consegnate ai familiari. I l medico legale non ha ritenuto utile eseguire le autopsie, essendo chiare, secondo il suo referto, le cause dei decessi: annegamento per tutti e quattro.
Claudio Carminati, lo skipper con un passato «fantasma» e la cortina di silenzio sulla barca affondata sul lago Maggiore. Andrea Camurani e Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 2 Giugno 2023
Claudio Carminati non risulta in alcun modo nella rete dei dati catastali: appoggio prezioso dei servizi, era capace di non lasciare tracce. Ora è indagato per la strage dopo il ribaltamento del battello, in cui è morta anche la moglie Anna
In questa assai complicata storia di spionaggio e disgrazie, le domande anziché diminuire aumentano. Per esempio: l’imbarcazione affondata domenica sera nel lago Maggiore ospitava, insieme agli agenti segreti israeliani del Mossad, quelli italiani dell’Aise, l’Agenzia governativa che per modalità operative, a differenza dell’Aisi, ricerca informazioni e svolge attività per la sicurezza nazionale al di fuori dei confini. Invece gli agenti erano appunto qui. In Lombardia e Piemonte. Perché? Quella navigazione su una «house-boat», una casa galleggiante guidata dallo skipper Claudio Carminati, era approdata in mattinata sull’isola dei Pescatori, una delle Borromee, di fronte al litorale da Stresa a Verbania mai come in questi ultimi mesi popolato da russi — magnati, riciclatori, putiniani, anti-putiniani, doppiogiochisti, spie — che investono con capitali sospetti in alberghi di extra-lusso e storiche ville.
Il ristorante stellato
Gli agenti avevano pranzato nel ristorante stellato «Il Verbano». Con abbigliamento casual formato da sneakers, jeans, polo oppure magliette, le donne e gli uomini dei Servizi, 21 in totale, non erano i soli: nel locale si erano sedute altre persone di non ovvia identificazione a meno che non fossero «attenzionate» già da prima, in quanto la maggioranza dei clienti non aveva prenotato, e se lo avesse fatto poteva benissimo aver usato un nome fasullo, tanto nessuno avrebbe verificato. Anche l’isola dei Pescatori era affollata e pertanto passibile di osservazioni da parte dei Servizi, ma rimane un elemento forse oggettivo: difficile un così alto numero di unità se davvero era in corso una missione. Che però, quantomeno nei giorni antecedenti la strage (quattro i morti, tutti annegati), c’è stata. Anzi potrebbero essercene state più d’una, all’interno di una spedizione orchestrata dal Mossad con il naturale appoggio degli italiani padroni di casa, o forse commissionata da altri Servizi segreti stranieri (tipo quelli americani?), però di certo vincolata alla presenza della coppia rappresentata da Claudio Carminati, skipper, indagato dalla Procura di Busto Arsizio quale responsabile del disastro, e dalla moglie Anna Bozhkova, deceduta con Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, di 53 e 62 anni, e l’israeliano Shimoni Erez, anch’egli 53enne.
Agente in pensione
Al proposito, ammesso che abbiano detto il vero, i vertici del Mossad hanno comunicato da subito che Erez era in pensione. Ma siccome era stato aggregato ai colleghi operativi, esiste per forza un motivo, legato forse alla sua esperienza, forse all’ottima conoscenza della lingua italiana, forse a dei precedenti viaggi da queste parti. Dicevamo però di Carminati e della povera Anna, che non sapeva nuotare: quest’ultima godeva di un permesso di soggiorno a tempo illimitato e la sua conoscenza del russo poteva essere funzionale a ipotetiche traduzioni e conversazioni con connazionali, mentre lo skipper è uno di quei preziosi contatti locali dell’intelligence. Una particolarità: una nostra ricerca non ha sortito risultato inserendo il nominativo di Carminati nella rete dei dati catastali. Nulla lo vincola a un territorio, né in Italia né all’estero, dove avrebbe vissuto a lungo avendo appreso bene il francese e il bulgaro.
La capienza della barca
Un uomo di 60 anni (la moglie ne aveva 10 in meno) abituato a non lasciare tracce eppure capace di risolvere ogni problema pratico se attivato, specie nella logistica per proseguire con i mezzi di trasporto. Dopodiché, chiaro, le indagini del sostituto Massimo De Filippo tenderanno a rimanere circoscritte alla strage, non al suo contorno di agenti segreti; questo però non toglie l’obbligo investigativo di ispezionare lo scafo una volta che verrà trasferito sulle sponde di Sesto Calende (serviranno una gru e ancora dei giorni). La barca era omologata per 15 persone ma ce n’erano 23; nessuno ipotizza altro rispetto alla dinamica causata da una tempesta, però serviranno le adeguate perizie. A bordo gli inquirenti scopriranno elementi di massimo interesse? Un interrogativo questo forse distante dalla realtà, ma la cortina di silenzi che si espande da domenica sera obbliga a coltivare, più che mai, qualunque dubbio, peraltro legittimo.
Estratto dell’articolo di Michele Giorgio per “il manifesto” l'1 giugno 2023.
C’era anche il capo del Mossad David Barnea ieri ai funerali ad Ashkelon di Erez Shimoni, ammesso che si chiamasse così l’alto ufficiale del servizio segreto israeliano morto domenica al Lago Maggiore nel ribaltamento dell’imbarcazione turistica in cui hanno trovato la morte anche due agenti dell’intelligence italiana e una cittadina russa.
Tanti gli elogi ieri per Shimoni. […] Per un capo divisione del Mossad, Shimoni era «un uomo che tutti amavano e apprezzavano, che stupiva per la sua gentilezza e modestia».
[…] Oltre le frasi scontate di queste occasioni, si cerca di mettere assieme le tessere di un mosaico confuso per ricostruire non tanto le cause della sciagura che ha coinvolto l’imbarcazione - con un carico di persone superiore a quello consentito - quanto piuttosto per comprendere i motivi della riunione di 19 tra agenti del Mossad, ex e in servizio, e dell’intelligence italiana.
La storiella della festa di compleanno non se la beve nessuno. Il fatto che Israele abbia inviato immediatamente il Bombardier executive, l’aereo delle missioni più segrete del Mossad, per riportare a Tel Aviv i superstiti al naufragio, rivela l’importanza delle persone e della loro missione in Italia.
D’altronde lo stesso Shimoni, a 50 anni di età non poteva essere il pensionato di cui si è letto. Il quotidiano Haaretz ha scritto che «non è un segreto che pensionati esperti e qualificati dell’establishment della sicurezza, incluso il Mossad, vengano periodicamente richiamati per una sorta di servizio di riserva in base a contratti speciali». In poche parole, Shimoni sarà stato pure un pensionato ma era ancora dentro il Mossad.
Per questo l’ipotesi avanzata da più parti di un incontro ad alto livello tra spie italiane e israeliane […] è la più concreta, suffragata dal fatto che lo skipper Carminati è conosciuto per i suoi contatti con l’ambiente dei servizi segreti. […]
Lo strano naufragio di 007 italiani e israeliani nel lago Maggiore. Stefano Baudino su L'Indipendente l'1 giugno 2023.
Domenica scorsa, attorno alle 19.20, nelle acque del Lago Maggiore è affondata la “Goduria”, un’imbarcazione turistica su cui viaggiavano 21 persone, quattro delle quali sono morte annegate. Per ore si è parlato di una semplice gita in barca finita male, fino a che la relazione sull’incidente redatta dai carabinieri non ha svelato l’identità delle persone a bordo. I 19 passeggeri erano tutti operativi dei servizi segreti: 8 funzionari dell’intelligence italiana, 13 agenti del Mossad, il famigerato servizio segreto israeliano. Oltre a loro, lo skipper, Claudio Carminati, 53enne varesino secondo le ricostruzioni anch’esso legato ai servizi italiani, e la sua compagna – una donna russa di nome Anya Bozhkova – deceduta nel disastro. Ma cosa ci facevano su una barca nel Lago Maggiore 19 agenti segreti di due diverse nazioni vestiti da improbabili turisti? Le domande senza risposte sono molte.
I carabinieri hanno interrogato i 17 superstiti mentre si trovavano al pronto soccorso per le medicazioni, ottenendo risposte fotocopia. “Sono un funzionario della presidenza del Consiglio”, hanno messo a verbale i sei italiani. “Faccio parte di una delegazione governativa israeliana” è stata invece la versione dei 12 cittadini israeliani. Ma non hanno avuto modo di fare molte altre domande. Tutti gli 007, italiani e israeliani, sono rapidamente scomparsi: gli israeliani sono stati riportati nel loro Paese e anche gli italiani hanno subito lasciato l’ospedale. Sottoposti a quella che nel gergo militare si chiama “esfiltrazione”, un’operazione propria dei contesti di guerra e di quelli di intelligence che consiste – secondo dizionario – “nel processo di rimozione di elementi da un sito preso di mira quando è considerato indispensabile che essi siano immediatamente evacuati dall’ambiente ostile e condotti al sicuro in un’area sotto controllo di forze amiche”.
Non si conoscono i nomi dei sopravvissuti. I tredici dipendenti del Mossad sarebbero rientrati nel proprio Paese con un jet privato messo a disposizione dal governo israeliano nelle prime ore della mattinata successiva al giorno dell’incidente. Sono scomparse sia le tracce dei documenti di chi è stato curato all’interno delle strutture ospedaliere, sia del passaggio degli agenti israeliani negli appartamenti che avevano affittato, abbandonati in tutta fretta dopo la tragedia.
Ad essere conosciuti sono solo i nomi dei deceduti. La prima salma a essere recuperata, nella tarda serata, è stata quella di un ex 007 israeliano, Shimoni Erez, il cui corpo senza vita è stato avvistato dall’elicottero dei vigili del fuoco. La seconda è stata quella di Claudio Alonzi, 62enne di Alatri, appartenente all’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), mentre il cadavere di sua moglie Tiziana Barnobi – anche lei membro dell’intelligence – e di Bozhkova sono stati rinvenuti dai sommozzatori a circa 16 metri di profondità, non lontani dalla barca inabissata. Sui fatti indagano, a tutto tondo, il procuratore capo di Busto Arsizio Carlo Nocerino e il pubblico ministero Massimo De Filippo. Lo skipper, invece, era appunto Claudio Carminati, che ora risulta indagato per naufragio e omicidio colposo. Carminati, titolare con la moglie della società di recente nascita “Love Lake srl”, proprietaria della barca, era probabilmente – secondo quanto riportato dal Corriere della Sera – un “prezioso e fidato contatto dei Servizi segreti per la logistica”.
Sul tavolo rimangono ora parecchie domande. Innanzitutto: perché la barca non è rientrata seppur era nota l’allerta per il peggioramento delle condizioni meteo? L’imbarcazione, nell’orario in cui si è verificato l’incidente, non avrebbe dovuto trovarsi al largo del bacino del litorale di Sesto Calende, dove è affondata, bensì vicino alla costa. Alle 17.30, infatti, i gestori dei cantieri-porto avevano diffuso una comunicazione di allerta meteo, invitando a navigare sotto costa e ad attraccare in tempi brevi. A provocare il naufragio sarebbe stato un downburst, ossia una corrente fredda discendente interna alla nube temporalesca. La tromba d’aria avrebbe prodotto potentissime raffiche di vento, fino a 70 km all’ora, che hanno fatto rovesciare e inabissare lo scafo. Fondamentali sarebbero l’autopsia sui cadaveri delle vittime e la perizia sullo scafo, che verrà effettuata quando si riuscirà a recuperare il relitto. Due giorni di operazioni sono infatti andate a vuoto: la barca si è incagliata ed è nuovamente sprofondata dopo essere riemersa parzialmente. Ma l’autopsia non ci sarà: la Procura ha stabilito che non serve farla, sostenendo che non vi siano dubbi circa l’annegamento fortuito delle vittime. Una decisione che, in verità, i dubbi non fa che amplificarli.
Ancor più rilevanti le domande su cosa ci facessero nel mezzo del Lago Maggiore 19 agenti dei servizi segreti di due diversi Paesi vestiti come improbabili turisti in scarpe da ginnastica, jeans e maglietta. Erano in fase di “riposo” dopo una missione, o l’abbigliamento stesso serviva a confondersi tra i turisti come copertura di una missione che proprio sulla barca era in svolgimento? Una ricostruzione pubblicata sul Corriere della Sera fa notare come il numero non certo esiguo di effettivi presenti sulla barca si sposa “a fatica” con semplici operazioni di intelligence o scambio di documenti. Possibile quindi che si trattasse di una operazione vera e propria. Il lusso di ville, alberghi e ristoranti attorno al Lago Maggiore è infatti un epicentro di politici e imprenditori “che contano”. Sempre il Corriere fa notare come la zona del Lago sia conosciuta per essere il centro di investimenti di magnati russi, con diversi hotel 7 stelle in costruzione, che riescono ad aggirare le sanzioni imposte a Mosca tramite l’utilizzo di prestanome e conti corrente con sede in Svizzera. Una delle ipotesi è quindi che i 21 agenti dei servizi stessero monitorando le azioni di qualche personalità russa evidentemente ritenuta parecchio importante. Un’altra ipotesi è che gli 007 israeliani avessero interesse a controllare i movimenti di imprenditori italiani e iraniani presenti attorno al Lago e sospettati di intrattenere rapporti commerciali in ambito militare.
Sono solo ipotesi, ma la verità difficilmente verrà a galla, visto che le indagini di carabinieri e magistratura si scontreranno verosimilmente con il segreto di Stato che con ogni probabilità verrà posto sulla vicenda. [di Stefano Baudino]
Lago Maggiore, una zona ad alto tasso di attività di intelligence. Stefano Piazza su Panorama l'1 Giugno 2023
Il mistero della barca affondata pochi giorni fa con a bordo diversi agenti dei servizi segreti è l'ultimo episodio che racconta la presenza e l'attività degli agenti di tutto il mondo in quell'area, strategica
Ci sono molte località in Italia che nel corso degli anni hanno visto nascere meravigliose leggende, storie drammatiche e misteri mai risolti. Per rimanere al Nord Italia, la zona del Lago di Como è uno di quei luoghi che custodisce tanti misteri della Seconda Guerra Mondiale, della lotta partigiana e della morte di Mussolini, della presenza della Cia in Italia e delle tante vendette partigiane (come in Emilia Romagna) iniziate dopo l’armistizio durate almeno fino al 1949. Ma non solo, qui per decenni il contrabbando di sigarette con la Svizzera ha reso ricchi molti «spalloni», alcuni dei quali portavano nei forzieri delle banche svizzere decine di miliardi di lire sfuggiti all’oppressivo fisco italiano. Oggi non passano più soldi e sigarette ma esseri umani, droga e armi. Anche il Lago Maggiore custodisce misteri e storie della Seconda Guerra mondiale come le drammatiche stragi degli ebrei ad Arona, Baveno, Bée, Meina, Mergozzo, Novara, Orta, Stresa e Verbania che avvennero tra il 10 settembre e il 10 ottobre 1943 dove morirono 57 ebrei. Quella avvenuta sulle sponde del Lago Maggiore fu la seconda strage di ebrei per numero di morti in Italia, dopo quella delle Fosse Ardeatine, che ebbe luogo nel marzo del 1944. Da qualche giorno il Lago Maggiore è di nuovo sotto i riflettori a causa del naufragio avvenuto lo scorso 28 maggio probabilmente a causa di una tromba d’aria davanti a Lisanza, nel comune di Sesto Calende, di una barca chiamata «Good…uria» che era stata affittata da un gruppo di agenti segreti (donne e uomini) sia dell’Aise che del Mossad. A bordo c’èrano 22 persone più due membri dell’equipaggio tra i quali lo skipper Claudio Carminati, che è indagato per la strage. Nel naufragio hanno perso la vita la moglie dello skipper Anna Bozhkova, 50 anni, Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, 53 e 62 anni, e il cittadino israeliano Shimoni Erez di 53 anni. Vista le circostanze nelle quali si è svolto il naufragio, il numero delle persone presenti sulla barca ma soprattutto l’identità delle persone coinvolte ha fatto si che sulla vicenda si scatenassero una serie di ipotesi avanzate anche da qualche faccendiere interessato a screditare i nostri servizi segreti ma anche un serie di domande legittime. L’agenzia di stampa Agi ha scritto che il medico legale «ha accertato che le vittime che sono morte per annegamento e che non presentano segni di lesioni e la Procura ha ritenuto di non effettuare ulteriori accertamenti». Di certo il numero di agenti segreti presenti sulla barca è anomalo e lascia spazio a molti interrogativi che difficilmente però troveranno delle risposte. Oggi alcuni quotidiani rilanciano le ipotesi più disparate. Ad esempio che gli agenti italiani e israeliani si trovavano nell’area per effettuare dei sopralluoghi, dei pedinamenti per installare sistemi di monitoraggio oppure erano nell’area per scambiarsi documenti o delle persone. E chi sarebbe stato il destinatario delle loro attenzioni? Cittadini russi che da molto tempo (e non certo da quando è iniziata la guerra in Ucraina), vivono per lunghi periodi dell’anno sul Lago Maggiore (come sul lago di Como) e che hanno investito in vari settori uno tra tutti il turismo. C’è chi ipotizza che gli 007 stessero seguendo la pista dei possibili contatti tra aziende italiane e iraniane coinvolte in affari e triangolazioni poco chiare con la Russia. Ma davvero 21 agenti segreti italiani e israeliani si muovono tutti insieme fingendosi dei turisti sul Lago Maggiore? Solo a scriverlo viene da ridere. Quello che sappiamo è che lo scorso 28 maggio 2023 un evento atmosferico raro quanto improvviso e tragico ha travolto una barca che si è rovesciata e quattro persone sono morte. Il resto rimarrà un mistero nascosto tra le acque del Lago Maggiore.
Estratto dell’articolo di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli per “il Fatto quotidiano” il 2 giugno 2023.
Il summit tra uomini dei Servizi segreti italiani e israeliani sarebbe avvenuto prima del giorno nero della tragedia di domenica 28 maggio sul lago Maggiore. Oggetto e luogo dell’incontro: segreti, come è normale in questo tipo d’attività. Probabilmente non era la prima volta che i 21 agenti si incontravano.
Ciò che poi è successo domenica sarebbe avvenuto quando tutti gli agenti erano in congedo, ad attività istituzionale conclusa. Una gita di fine missione, una visita alle isole Borromee, una giornata a bordo della barca “Good...uria” condotta da Claudio Carminati, che ci viveva con la sua compagna, la russa Anya Bozhkova. Carminati era un uomo di fiducia dei servizi di intelligence.
Sulla sua house boat […] gli agenti si sono riuniti per festeggiare il compleanno di uno degli agenti israeliani. Non ci sono dubbi che la causa della tragedia sia stata una violenta tromba d’aria non prevista […] costata la vita ad Anya Bozhkova, ai due agenti dell’Aise (il servizio d’informazione italiano per l’estero) Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi e all’israeliano Erez Shimoni, già appartenente al Mossad.
È una vicenda che ha tutti gli ingredienti della spy-story internazionale: gli 007 italiani, gli uomini del Mossad, una donna russa, una tragedia sul lago che ospita hotel di oligarchi russi e ville di ricchi israeliani. Di certo però c’è solo l’epilogo tragico. Ciò che è avvenuto nei giorni precedenti è attività d’intelligence che viene tenuta accuratamente segreta. Ma proviamo a ricomporre i pezzi di questa storia.
[…] Quei legami Russia-Israele.
La versione secondo cui gli agenti avrebbero scelto la barca di Carminati per passare inosservati e restare al sicuro da intercettazioni viene smentita da fonti qualificate, che spiegano al Fatto che l’amministrazione ha mezzi e posti sicuri e mai avrebbe puntato su un’imbarcazione che poteva rivelarsi non adeguata. E ripetono: gli agenti hanno scelto autonomamente di festeggiare su quella barca, ad attività conclusa, il compleanno di uno di uno degli israeliani.
Resta comunque probabile che il luogo sicuro dove il summit è avvenuto sia non troppo lontano. Dove? Su quali temi? Su questo le bocche restano cucite. Ma sembrerebbe esclusa la pista dei pedinamenti di cittadini russi che possiedono case e hotel in questa zona. I rapporti tra intelligence russa e israeliana sono comunque restati buoni anche dopo l’invasione dell’Ucraina.
L’area dell’incidente è strategica: a Sesto Calende, per fare un esempio, c’è lo stabilimento di Leonardo Elicotteri, dove sabato 27 maggio è stata celebrata la festa dei 100 anni dell’Aeronautica militare, alla presenza di politici, esperti e militari.
Il rientro in Israele.
La Procura di Busto Arsizio indaga sulle quattro morti per individuare se vi sono concause colpose che possano aver aggravato la situazione provocata dal maltempo. Non ha alcun titolo per entrare nel merito del lavoro che stavano svolgendo gli agenti coinvolti.
Claudio Carminati, già interrogato una volta, potrebbe essere eventualmente riconvocato in Procura, come pure potrebbero essere sentiti di nuovo gli agenti. Per gli israeliani servirà, nel caso, una rogatoria internazionale: sono stati infatti tutti rimpatriati con un’operazione di esfiltrazione, dopo aver cancellato le tracce dei loro movimenti, come è d’uso in questi casi, per mantenere segrete le identità degli agenti.
Estratto dell’articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica” il 2 giugno 2023.
Erez Shimoni, che nessuno crede si chiamasse così, è stato sepolto con i massimi onori e la massima segretezza.
Circondato da funzionari con le mascherine sul volto, il numero uno del Mossad David Barnea ha reso omaggio all'agente annegato nel Lago Maggiore [...]
Un tributo solenne che marca il rilievo delle missioni svolte per la sicurezza di Israele. Inclusa l'ultima, condotta tra Piemonte e Lombardia in stretta collaborazione con l'intelligence italiana.
Un'operazione dal nome burocratico e dal significato oscuro ai più: "Anti-proliferazione".
Ma che corrisponde a grandi linee con l'attività mostrata più spesso nei film d'azione: fermare i cavalieri dell'Apocalisse, quelli che permettono di costruire le armi di distruzione di massa, nucleari, chimiche o batteriologiche o che comunque contribuiscono a realizzare ordigni ad altissimi tecnologia, dai droni ai cyberweapon, dai missili balistici ai sottomarini in miniatura.
Ovviamente, questi marchingegni infernali sono il risultato conclusivo di una elaborata catena di montaggio che si nutre di componenti dual use, [...] macchinari e software con una doppia vita, come ogni protagonista di questo mondo obliquo e tenebroso.
Molti anni fa, ad esempio, in una storica "attività anti-proliferazione" tra Italia e Svizzera furono intercettate apparecchiature farmaceutiche prossime a passare attraverso aziende di diversi Paesi: la destinazione finale sarebbe stata un centro di ricerca di sui vaccini, impegnato nel programma di sviluppo di tossine batteriologiche di uno "Stato canaglia".
Non ci sono mai arrivate. E anche questa volta molti sono pronti a scommettere che l'avversario comune di 007 israeliani e italiani fossero gli emissari di un Paese medioerientale, estremamente abili nel procacciarsi materiali strategici.
[…]
[...]
I nomi delle due vittime italiane e il numero complessivo di ventuno spie coinvolte sono elementi sufficienti perché gli esperti riescano a ipotizzare un'operazione lunga e complessa, con pedinamenti dinamici portati avanti per giorni fino a raggiungere l'obiettivo desiderato. Un successo che doveva restare nell'ombra.
Tutto perfetto, tranne la festa conclusiva. Un rito molto più diffuso di quanto si possa immaginare […]. Lo si vede persino nelle serie tv come "Fauda", con il gruppo di Doron che si ritrova per una grigliata: in genere sono eventi discreti, convocati in case di proprietà o in ville affittate per l'occasione, dove il barbecue permette anche alle alte gerarchie di cucinare […]
Gli uomini e le donne dell'ultima operazione hanno probabilmente ritenuto che l'imbarcazione, nonostante il nome infelice "Good... uria", offrisse la stessa privacy e che la sala appartata del ristorante stellato sull'isola dei Pescatori permettesse di tenere a distanza gli altri ospiti, variando la monotonia della carne alla brace.
Li ha traditi il clima impazzito […]. Una bufera che ora rischia di innescare altre ondate, invisibili ma potenti, tra amici e nemici. Tra i bersagli della missione, che adesso sanno chi li ha colpiti. E tra gli alleati, tagliati fuori dalla condivisione delle notizie sulla minaccia più grande.
Estratto dell’articolo di Manuela D’Alessandro per l’AGI il 3 giugno 2023.
Claudio Carminati, pantaloni scuri, camicia bianca, rimane abbracciato alla bara di Anna Bozhkova col capo chino sul legno, baciandola più volte, per molti minuti. Si ridesta, i lineamenti mutati dal dolore, quando arrivano gli amici suoi e di lei, tanti da far riempire l’Abbazia di San Donato, quassù, nella parte più antica di Sesto Calende, dove sembra lontano il fruscio del lago oggi di un serafico azzurro come lo era domenica 28 maggio prima dell'arrivo della tempesta che ha travolto la ‘Good...uria’ uccidendo la moglie dello skipper, cittadina russa, due agenti dell’Aise e un pensionato del Mossad.
Carminati si aggrappa a tutti e da tutti viene stretto con affetto. “Cos’è successo alla mia barca? Sono un uomo distrutto, come faccio adesso? Voi non potete immaginare quello che è accaduto…E’ stata una catastrofe”. “Terribile” ripete a ciascuno il comandante, ora indagato per naufragio ed epidemia colposi, lui che si era costruito da solo la barca per far godere ai turisti le meraviglie del lago. La chiesa straripa, qualcuno in fondo resta in piedi.
Claudio “è uno simpatico, allegro, suona la chitarra. Una persona perbene, non certo una spia”. Racconta un coltivatore di mirtilli che da anni gli vendeva i suoi frutti che Carminati trasformava in marmellate da spalmare nelle crostate da offrire ai passeggeri in gita.
[…] Anna e Claudio si era sposati due anni fa. Lei, da quindici anni in Italia di cui dieci lavorando come badante, aveva una figlia da una relazione passata in Russia che non è riuscita a venire al funerale. C’è invece la sorella, vestita di nero, con scarpe e fascia nera nei capelli, sostenuta da altre donne della comunità russa che risiedono da queste parti e tengono tra le mani una candelina gialla il cui affievolirsi accompagna il lungo rito dei tre pope.
“Avete visto quanta gente è venuta per la mia Anna? Che donna era...” dice il comandante stringendo le mani sul sagrato. […] Carminati non è residente a Sesto Calende, spiega il vicesindaco Edoardo Favaron, presente col primo citadino Giovanni Buzzi e un'assessora, ma a Monvalle, non molto lontano da qui, sempre sul lago.
“Resta un alone di mistero su questa vicenda”: a Favaron ancora molto non torna della trama dell'incidente e del resto i nomi dei sopravvissuti, tutti agenti dell’Aise e del Mossad, non si sanno e nemmeno si sa, caso quantomai strano per chi segue le cronache giudiziarie, il nome del suo avvocato. Gli inquirenti definiscono “delicata” anche questa informazione.
Qualcuno del posto si guarda attorno e osserva stupito: “Ma chi sono tutte queste persone?”. E c’è chi indica volti da potenziale ‘spia’ . […] Una signora russa coi capelli biondi a spazzola si avvicina a una donna che ha fotografato Carminati e le intima di cancellare le immagini. Intimorita, la destinataria del diktat esegue. Alla fine delle esequie spunta un’auto dei carabinieri. […]
Estratto dell’articolo di Andrea Camurani e Andrea Galli per corriere.it il 3 giugno 2023.
In questa assai complicata storia di spionaggio e disgrazie, le domande anziché diminuire aumentano. Per esempio: l’imbarcazione affondata domenica sera nel lago Maggiore ospitava, insieme agli agenti segreti israeliani del Mossad, quelli italiani dell’Aise, l’Agenzia governativa che per modalità operative, a differenza dell’Aisi, ricerca informazioni e svolge attività per la sicurezza nazionale al di fuori dei confini.
Invece gli agenti erano appunto qui. In Lombardia e Piemonte. Perché? Quella navigazione su una «house-boat», una casa galleggiante guidata dallo skipper Claudio Carminati, era approdata in mattinata sull’isola dei Pescatori, una delle Borromee, di fronte al litorale da Stresa a Verbania mai come in questi ultimi mesi popolato da russi — magnati, riciclatori, putiniani, anti-putiniani, doppiogiochisti, spie — che investono con capitali sospetti in alberghi di extra-lusso e storiche ville.
[…] Dicevamo […] di Carminati e della povera Anna, che non sapeva nuotare: quest’ultima godeva di un permesso di soggiorno a tempo illimitato e la sua conoscenza del russo poteva essere funzionale a ipotetiche traduzioni e conversazioni con connazionali, mentre lo skipper è uno di quei preziosi contatti locali dell’intelligence. Una particolarità: una nostra ricerca non ha sortito risultato inserendo il nominativo di Carminati nella rete dei dati catastali. Nulla lo vincola a un territorio, né in Italia né all’estero, dove avrebbe vissuto a lungo avendo appreso bene il francese e il bulgaro.
Un uomo di 60 anni (la moglie ne aveva 10 in meno) abituato a non lasciare tracce eppure capace di risolvere ogni problema pratico se attivato, specie nella logistica per proseguire con i mezzi di trasporto. […] La barca era omologata per 15 persone ma ce n’erano 23; nessuno ipotizza altro rispetto alla dinamica causata da una tempesta, però serviranno le adeguate perizie. A bordo gli inquirenti scopriranno elementi di massimo interesse? Un interrogativo questo forse distante dalla realtà, ma la cortina di silenzi che si espande da domenica sera obbliga a coltivare, più che mai, qualunque dubbio, peraltro legittimo.
DAGOREPORT il 28 giugno 2023.
A un mese dall’incidente che ha coinvolto la barca “Good…uria”, sul Lago Maggiore, ci sono ancora molti, troppi misteri da chiarire.
All’epoca, le ricostruzioni si concentrarono soprattutto sul maltempo: l’imbarcazione sarebbe affondata per “le condizioni avverse”, una “tromba d’aria” che fece “scuffiare” il natante.
Quel che sorprende, però, è che nella sconfinata grandezza del Lago Maggiore, il meteo sfavorevole fosse concentrato soltanto nella zona in cui si trovavano una ventina di spie italiane e israeliane, e sia riuscito ad affondare solo quella barca.
Il sospetto, insomma, è che ci sia qualcosa che ancora non sappiamo e che non si tratti di una tragica fatalità. Tra le molte domande rimaste senza risposta, quella cruciale è: cosa è successo mentre gli agenti dei servizi si godevano il pranzo al ristorante stellato “il Verbano”, prima di partire per la gitarella in barca?
Non è che qualcuno, approfittando della loro assenza, abbia manomesso o sabotato in qualche modo la “Good…uria”?
Nell’incidente sono morte 4 persone: Anya Bozkhova, moglie dello skipper Claudio Carminati, Shimoni Erez, un agente del Mossad, ufficialmente “in pensione” (il cui cadavere è stato in fretta e furia riportato a Tel Aviv con un aereo di stato e a cui è stato tributato un funerale secondo le regole della cerimonia militare), e due 007 italiani, Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi, in forza all’Aise.
La Barnobi si sarebbe occupata di “contro-proliferazione”: nel gergo dei servizi, la sua attività era quella di “prevenire, rilevare e contrastare la realizzazioni di armi di distruzione di massa”.
E in effetti, come rivelato da “Oggi” il 7 giugno, “gli agenti si erano dati appuntamento all’interno dei laboratori di Euratom, a Ispra, a 10 km dal luogo dell’incidente. In quel centro si sperimentano tecnologie per lo sfruttamento delle scorie radioattive”.
Di più, non è dato sapere: né perché i servizi avessero “attenzionato” quell’area, e quel centro, né se ci fosse di mezzo qualche stato canaglia, anche se il quotidiano israeliano “Haaretz” parlò di “operazione contro le attività iraniane”. C’entrano i russi? La manina dietro all’incidente è forse di Teheran? E cosa cercavano eventuali emissari di Khamenei sul Lago Maggiore?
Sulla sponda varesotta. Altro mistero nel Lago Maggiore, cadavere trovato da due sub dopo il caso 007. Antonio Lamorte su L'Unità il 3 Giugno 2023
Altro mistero nelle acque del Lago Maggiore. Due sub, nel primo pomeriggio di oggi, hanno trovato un cadavere durante un’escursione ad alcuni metri di profondità sulla sponda Varesotta. Scattato l’allarme, sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco del distaccamento di Luino con gli specialisti del soccorso acquatico. Proprio nel Lago Maggiore una barca domenica scorsa, 28 maggio, era naufragata. Quattro vittime e una spy story tutta da ricostruire: a bordo c’erano agenti segreti dell’Aise, dell’Aisi e del Mossad israeliano.
Sul posto oltre ai vigili del fuoco e agli specialisti del soccorso acquatico, arrivati a bordo di un battello pneumatico, sono intervenuti anche gli aerosoccorritori del reparto volo Lombardia. Gli operatori si sono occupati di recuperare il cadavere. Al momento non sono state diffuse altre informazioni. Le indagini sull’incidente dello scorso fine settimana sono affidate al sostituto procuratore Massimo De Filippo, resteranno circoscritte alla strage della barca ribaltata a cento metri dal litorale varesino ma il pm dovrà comunque ispezionare lo scafo.
Il lago delle spie, i misteri sul naufragio degli 007: dall’esfiltrazione degli agenti del Mossad allo skipper “persona di fiducia” dei Servizi
È stato spiegato che la barca travolta dalla tromba d’aria si trovava nel Lago Maggiore per una festa di compleanno. Si chiamava “Good…uria”. A bordo c’erano 23 persone ma era omologata per 15. Era approdata in mattina sull’Isola dei Pescatori. Gli agenti avrebbero mangiato in un ristorante. Le vittime erano la russa Anna Bozhkova, 50enne moglie dello skipper Claudio Carminati, gli agenti Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, 53 e 62 anni, e l’ex agente del Mossad Shimoni Erez, 53 anni. L’Aise si occupa delle operazioni all’estero. Il Corriere della Sera ha scritto di una missione per la sicurezza di Israele condotta tra Piemonte e Lombardia, cosiddetta di “anti-proliferazione”, per fermare agenti di altri Paesi che dall’appropriazione di macchinari, tecnologia e armi.
Al momento non c’è alcun collegamento tra i due casi, se non il luogo della strage e del ritrovamento.
Antonio Lamorte 3 Giugno 2023
Un "downburst": cos'è il fenomeno meteo della tragedia sul Lago Maggiore. Non è una tromba d'aria ma un fenomeno potenzialmente più violento e distruttivo: ecco cos'è il downburst che ha colpito l'imbarcazione sul Lago Maggiore. Alessandro Ferro il 29 Maggio 2023 su Il Giornale.
Il naufragio alla base della tragedia del Lago Maggiore dove sono morte quattro persone è stato causato da un violento temporale: le condizioni meteo erano pessime con forte pioggia ma soprattutto quella che si pensava fosse una tromba d'aria. In realtà, invece, il fenomeno che ha colpito l'imbarcazione sarebbe un downburst, molto temuto dai piloti degli aerei, e non solo, per la sua violenza e imprevedibilità.
Di cosa si tratta
Il vocabolo downburst significa letteralmente "abbattimento" e rende l'idea del fenomeno meteorologico: si tratta di venti molto potenti che si propagano verso il basso dalla nube di un temporale e si diffondono rapidamente una volta che toccano il suolo o, in questo caso, la superficie del lago. "Accade quando l'aria molto fredda che si trova nella parte alta di un cumulonembo precipita verso il basso. Appena tocca la superficie dell'aria o dell'acqua, con tutto il suo peso e la sua densità, inizia a irradiarsi in ogni direzione con raffiche anche di 100 km l'ora", ha spiegato a Repubblica il prof. Giulio Betti, meteorologo e climatologo del Cnr che fa parte del consorzio Lamma di Firenze e dell'associazione Ampro (Associazione Meteorologi Professionisti).
Perché è molto pericoloso
A volte, però, i suoi venti possono facilmente causare danni simili a quelli di un tornado F1 e, perciò, talvolta vengono interpretati erroneamente come un tornado. Invece, i downburst sono un fenomeno completamente diverso e sono tutt'ora in fase di studio da parte dei meteorologi. "Sappiamo prevedere i forti temporali. Ma non possiamo dire con esattezza se ci sarà anche un downburst particolarmente violento", ha aggiunto Betti. Come ha detto l'esperto, è dalla base dei cumulonembi, imponenti nubi a sviluppo verticale, che si può generare questo fenomeno che avviene "proprio al centro della nube ed è diverso dal vento che percepiamo quando il temporale sta avanzando".
La differenza con le trombe d'aria è che il vento si muove in maniera circolare ma sono anche meno estese nello spazio e nel tempo. "I venti furiosi che invece scendono da una nube durante un downburst possono arrivare a chilometri di distanza e durare anche ore. Alberi e pali della luce divelti cadono tutti in un'unica direzione. Nel caso di una tromba d'aria invece i venti seguono una traiettoria circolare", spiega il climatologo.
Quando si verifica
Nel nostro clima si tratta di eventi, purtroppo, abbastanza frequenti: anche se dai non addetti ai lavori possono essere scambiati con le trombe d'aria, l'unico comune denominatore è la violenza della forza del vento. È più facile che i downburst possano verificarsi dopo lunghi periodi caldi e siccitosi quando l'atmosfera è carica di umidità e contrasta con l'aria molto fredda in quota, in pratica ciò che sta avvenendo da giorni sul nostro Paese con l'assenza dell'alta pressione e aria fresca e instabile che, con l'aumento delle temperature nei bassi strati, favorisce i forti temporali e grandinate che ormai sono all'ordine del giorno.
Anticipazione da “Oggi” il 7 giugno 2023.
I ventuno agenti dei servizi segreti italiani e israeliani coinvolti domenica 28 maggio in un drammatico naufragio, non si erano dati appuntamento sul lago Maggiore per una gita di piacere, ma per riunirsi all’interno dei laboratori di Euratom, che si trovano a Ispra, circa dieci chilometri a nord del punto in cui è avvenuto l’incidente costato la vita a quattro persone.
A sostenerlo è un servizio pubblicato, nel numero da domani in edicola, dal settimanale «Oggi», che ha raccolto le dichiarazioni di alcuni diportisti, conoscenti di Claudio Carminati, skipper della barca affondata e della moglie Anna Boskhova, morta nel disastro.
Secondo i proprietari di un’imbarcazione ormeggiata nel cantiere Piccaluga di Lisanza (Varese), lo stesso dove veniva tenuto il 15 metri colato a picco, il sabato prima del naufragio Carminati e la moglie avrebbero fatto espressamente cenno a un impegno preso per il giorno successivo, per portare in gita sul lago un gruppo di Euratom.
Nato sotto le insegne del Cnrn (Comitato nazionale per le ricerche nucleari), diventato poi Cnen, Enea e oggi Euratom CCR (centro comune di ricerca), dalla metà degli anni 50 il centro di Ispra è uno dei poli più importanti in Europa e nel mondo per la ricerca e la sperimentazione di tecnologie per lo sfruttamento dell’energia nucleare e il trattamento delle scorie radioattive.
Per la delicatezza delle ricerche e la qualità strategica delle informazioni custodite, i laboratori di Ispra costituiscono da sempre uno snodo della massima importanza per il nostro spionaggio. Il centro viene tenuto sotto costante osservazione per la messa in sicurezza dei laboratori e dei segreti in essi custoditi, ed è anche un riferimento per preparare sul piano tecnico-scientifico le più delicate missioni di intelligence in campo nucleare.
Il settimanale accosta le informazioni raccolte sul lago con le notizie diffuse dalla rete televisiva israeliana Channel 12 che citando fonti dei servizi ha di fatto confermato «l’incontro tra agenti segreti israeliani e italiani in una località sul Lago Maggiore per la chiusura di una lunga operazione coronata da successo legata alle tecnologie di armamento non convenzionale iraniane».
Estratto dell’articolo di Guido Olimpio per il “Corriere della Sera - ed. Milano” martedì 4 luglio 2023.
Un giorno d’autunno del 2001. In una pagina del Corriere della Sera compare una notizia di una ventina di righe. Descrive il caso di un ingegnere straniero, con doppia nazionalità, sparito a Milano. Ha lasciato gli effetti personali […] nella stanza di un hotel vicino alla stazione, non ha saldato il conto, non ha avvisato la famiglia. Poi via. Gli inquirenti, pur considerando ogni pista, ritengono che l’ipotesi più probabile sia l’allontanamento volontario.
Senza passaporto? Strano. Su un quotidiano all’estero si soffermano sui viaggi dell’uomo in paesi del Medio Oriente e sui rischi di rapimento per ragioni politiche. Non è indicazione netta, piuttosto uno scenario come altri. Si vede che le fonti non danno appigli.
Sono passati molti anni, non conosciamo l’epilogo. In apparenza non si trova traccia negli archivi della polizia. Magari il nome non esce per qualche errore burocratico, forse non c’è stata una denuncia formale oppure tutto si è risolto. Oppure no, caso finito nel limbo.
La vicenda […] ci riporta sui sentieri che hanno attraversato Milano, la Lombardia e le zone vicine dagli anni 70-80 ad oggi. Terrorismo internazionale, estremisti giapponesi, cinesi in fuga, il sequestro dell’imam egiziano Abu Omar e molto altro.
Appena qualche settimana fa c’è stato l’affondamento della barca sul Lago Maggiore con a bordo una ventina di agenti segreti italiani e del Mossad. Tre le vittime nel naufragio causato da una tempesta inattesa. Due dei «nostri», uno dei «loro». […] Da queste parti l’attenzione è alta, per un’infinita serie di ragioni.
Si muovono personaggi amici di Mosca, esistono industrie strategiche da tutelare, è un corridoio geografico interessante. Nella vicina Svizzera i servizi russi hanno una base importante, come ha rivelato un recente rapporto. Ed è ancora aperta la polemica per la fuga in Russia dell’imprenditore Artem Uss. Si è tolto il braccialetto elettronico ed ha lasciato la residenza di Basiglio grazie a buone complicità.
L’altro fronte riguarda Stati a cui è proibito cedere materiale. Diversi. Tra questi l’Iran […]. […] I rappresentanti dei mullah hanno spesso usato la tattica detta del« patchwork»: comprano pezzi da venditori diversi, si rivolgono a piccole ditte note per la loro specializzazione, contano su «mediatori» residenti da lungo tempo in Nord Italia. Sono bravi nella trattativa, pazienti quanto i giocatori di scacchi, capaci di mimetizzarsi dietro imprese apparentemente innocue, dai trasporti all’import-export.
Ricordo ancora uno che di lavoro faceva tutt’altro, però cercava di infilarsi ovunque. O l’uomo d’affari che comprava cose e vendeva informazioni al miglior offerente. Non aveva paura di lasciare il suo biglietto da visita.
Se c’era un varco si buttavano a pesce, come fecero nel 2009 con l’acquisizione di veloci motoscafi realizzati vicino a Lecco, tra i migliori sul mercato. Contratto all’epoca legittimo per battelli che i pasdaran hanno trasformato in mezzi d’attacco.
La collaborazione è stata successivamente chiusa da un intervento delle nostre autorità ma intanto le vedette filavano sulle rotte del greggio. Le intelligence […] si sono mosse con vigore guardando a 360 gradi.
Gli iraniani — non solo loro — sono a caccia anche di componenti occidentali per droni, velivoli impiegati nei bombardamenti in Ucraina. Gli emissari di Mosca — e non è detto che siano russi — vanno a caccia di high tech.
Probabile che il team di agenti del Lago Maggiore fosse reduce da una missione preventiva, certo doveva essere qualcosa di importante visto l’alto numero di funzionari. Spesso però si tratta di azioni con nuclei ridotti ed agili. Gli 007 provano a interrompere il flusso e in qualche caso ricorrono alla stangata . Creano società fittizie, sfruttano i maestri del doppio gioco, arrivano a fornire tecnologia fallata agli ayatollah, la infettano in partenza con cyber-virus.
Materiale che una volta inserito nella «catena» industriale non funziona, provoca intoppi o persino peggio. Anche gli israeliani, nel 2005, avevano aperto a un ufficio elegante a Milano, gestito da un «australiano» che viveva in un residence in Centrale e trattava — raccontano — con gli iraniani.
In seguito la sua carriera ha preso una brutta svolta. Richiamato in patria, è stato accusato di aver rivelato informazioni riservate agli avversari: rinchiuso in gran segreto in carcere, si sarebbe tolto la vita in cella il 15 dicembre 2010. Sarà ribattezzato il «prigoniero X».
AGI il 19 luglio 2023. - Per la prima volta Claudio Carminati, il comandante della barca con a bordo 23 agenti segreti affondata nel lago Maggiore, parla ai magistrati.
Stando a quanto apprende l'AGI, alla domanda su come gli 007 siano finiti sulla `Gooduria´, spiega di essere stato avvicinato da «un uomo che si qualificò come un carabiniere» che gli chiese se fosse stato disponibile ad accompagnare «una delegazione con stranieri provenienti dal Canada» a una gita in acqua dolce.
Solo dopo la tragedia avrebbe capito che quell' uomo, che già aveva incontrato nel 2022, era un rappresentante dell'intelligence italiana. Carminati, accusato di omicidio e naufragio colposi, ha negato in modo deciso di sapere che avesse a che fare con una comitiva così `particolare´ e di averlo scoperto solo dopo che la tromba d'aria provocò 4 morti. Durante la gita, ha aggiunto Carminati, solo una persona dell'equipaggio gli rivolse la parola una volta.
Queste affermazioni sono state rese durante l'interrogatorio davanti alla gip Piera Bossi seguito al provvedimento della Procura di Busto d'Arsizio che, venerdì scorso, aveva disposto nei suoi confronti il diovieto di espatrio e l'obbligo di firma davanti alla polizia giudiziaria. Una decisione motivata dal fatto che l'indagato aveva chiesto il passaporto in Questura per andare in Russia. Nel timore che scappasse a indagini in corso, la Procura lo aveva bloccato.
A suo dire, questo ha riferito agli investigatori, voleva andare a Rostov per visitare la figlia della moglie Anna Bozhkova, morta nel naufragio, con la quale viveva in barca. Ai magistrati ha assicurato che avrebbe rinunciato a chiedere il passaporto e la sua misura è stata ridotta: confermato il divieto di espatrio ma obbligo di firma `solo´ due volte alla settimana. Sempre durante l'interrogatorio seguito alla misura cautelare, Carminati ha fatto presente che «in 15 anni di navigazione sulla mia barca nessuno mi ha mai fermato per controllare che fossi in regola».
Tra le contestazioni a suo carico, ci sono quelle di avere fatto salire a bordo 23 persone su un'imbarcazione omologata per 15 e di non avere a bordo abbastanza giubbotti di salvataggio per tutti. I consulenti nominati dalla Procura e dai familiari di una delle vittime, Tiziana Barnabi, avranno anche il compito di stabilire se tutto si sia svolto in un lasso di tempo così veloce, pochi secondi, come ha riferito Carminati ai pm, che anche l'eventuale presenza di eventuali dispositivi di salvataggio sarebbe stata inutile.
Il comandante non ha nominato un suo consulente anche perché, senza casa, senza lavoro e senza moglie, non ha disponibilità economiche. Al momento viene aiutato dagli amici che lo ospitano e hanno anche organizzato delle collette per lui.
Estratto dell’articolo di Andrea Gianni per “il Giorno” giovedì 20 luglio 2023.
Claudio Carminati ha negato legami e contatti con i servizi segreti, italiani o esteri. Ha spiegato ai magistrati di essere stato avvicinato a Sesto Calende, prima della gita sul lago Maggiore finita in tragedia, da un uomo già incontrato l’anno scorso che «si è qualificato come carabiniere» e ha chiesto la sua disponibilità ad accompagnare un gruppo di persone con la sua barca “Good...uria“ per una mini-crociera domenicale, con pranzo sull’Isola dei Pescatori.
Quell’uomo, che in realtà faceva parte dell’intelligence, salito a bordo con altri 20 007 italiani e israeliani, «aveva parlato di una delegazione di stranieri provenienti dal Canada». Una circostanza che non ha destato lo stupore di Carminati: quella zona del Varesotto è frequentata, per turismo o per lavoro, per la presenza di colossi come Leonardo o Whirlpool e del Centro di ricerca europeo di Ispra, da persone provenienti da tutto il mondo.
«Durante la gita parlavano in inglese, mi hanno rivolto la parola solo in poche occasioni», ha spiegato Carminati […] Lo skipper 60enne (indagato per omicidio e naufragio colposi) ha parlato per la prima volta ai magistrati dopo la tragedia del 28 maggio, quando la “Good...uria“, sorpresa dalla tempesta, si è rovesciata e nel naufragio sono morti Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi, il pensionato del Mossad Erez Shimoni e la moglie di Carminati, la russa Anya Bozhkova.
Affermazioni rese durante l’interrogatorio davanti alla gip Piera Bossi seguito al provvedimento della Procura di Busto Arsizio che aveva disposto nei suoi confronti divieto di espatrio e obbligo di firma. Una misura motivata da un “passo falso“: la richiesta del passaporto, a suo dire per andare in Russia a fare visita alla figlia della moglie, che vive a Rostov sul Don, non lontano dal confine con l’Ucraina.
Una richiesta in Questura che ha fatto scattare l’alert su quel «pericolo di fuga» alla base della misura, poi resa più lieve […] dopo la rinuncia di Carminati al passaporto. Lui ripete di aver «perso tutto», di essere rimasto senza soldi e senza casa, visto che viveva con la moglie, ex badante, sulla barca affondata. […]
Tra le contestazioni a carico del comandante quella di aver viaggiato in condizioni di sovraccarico, con 23 persone a bordo di una barca omologata per 15. I giubbotti di salvataggio, quindi, non erano sufficienti. […] Gli incontri di lavoro e le attività congiunte fra 007 italiani e colleghi del Mossad si sarebbero tenute nei giorni che hanno preceduto la gita, un momento di relax per festeggiare il compleanno di uno di loro e il buon esito della missione. Il motivo della loro presenza nel Varesotto resta un mistero. […]
In tutta Italia i cittadini si mobilitano contro le grandi navi da crociera. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 22 maggio 2023.
Per molte persone l’arrivo della bella stagione è sinonimo di partenze. Il nostro Paese è da sempre meta turistica d’eccellenza, e ogni anno si prepara a vedere i suoi mari solcati da migliaia di grandi navi. Uno stress per ambiente e persone residenti in città dotate di porti su cui associazioni e cittadini di nove località marinare hanno deciso accendere i riflettori. “Stop inquinamento navale” si legge sugli striscioni appesi il 20 maggio nei porti di Savona, Genova, La Spezia, Livorno, Venezia, Reggio Calabria, Ancona, Civitavecchia, Olbia, Napoli. Uno slogan che «mira a sensibilizzare le amministrazioni e autorità competenti, chi lavora in porto e la popolazione locale sull’impatto che l’industria navale ha, oggi, su queste città, sulla salute delle persone e sull’ambiente marino».
Uno dei problemi principali è che per muoversi , ancora oggi, e nonostante il mondo cerchi di andare nella direzione opposta, le navi da crociera – che in realtà sono delle enormi città galleggianti – utilizzano combustibili estremamente inquinanti. Tra questi, per esempio, c’è l’heavy fuel oil (HFO), un carburante cioè ricavato dagli scarti di lavorazione dei prodotti petroliferi. Un sottoprodotto cioè di un prodotto già di per sé altamente inquinante, e che quindi emette enormi quantità di sostanze tossiche. Queste, inevitabilmente, finiscono per riempire l’aria delle città di porto, anche quando i fumi fuoriescono in mare aperto, lontani dalla terraferma. Una situazione che peggiora una volta approdate in porto: qui le navi, per facilitare manovre e ormeggio, si muovono lasciando i motori accesi, così da tenere in funzione tutti i comandi di bordo.
«Chiediamo l’adozione urgente di misure per proteggere innanzitutto la salute delle persone dalla minaccia rappresentata dai fumi delle navi, alle quali ancora oggi viene permesso di inquinare con delle modalità che sulla terraferma non sarebbero mai consentite» scrivono gli organizzatori della protesta, fortemente voluta dalla Onlus ‘Cittadini per l’aria’ e da tutte le altre associazioni che fanno parte della rete ‘Facciamo Respirare il Mediterraneo’. Di che misure si tratta?
Secondo i gruppi, per ridurre le emissioni è prima di tutto essenziale occuparsi dell’efficientamento delle navi, che siano cioè in grado di utilizzare sistemi e metodi che riducano sensibilmente i consumi. Fondamentale, poi, la scelta di un carburante adatto e l’impiego di filtri e catalizzatori che ‘intrappolino’ le emissioni di particolato e ossidi di azoto. Richieste a cui si aggiungono quella di ridurre la velocità di navigazione e di elettrificare le banchine: in questo modo le emissioni della barca nei momenti di ingresso in un porto, o durante la sosta e l’uscita, potrebbero quasi azzerarsi installando a bordo un’alimentazione a batteria, da abbinare ad un impianto di alimentazione e ricarica elettrica da terra. «È un invito alle autorità e agli armatori a ripensare lo sviluppo per questa industria che è di grande valore per il nostro Paese, ma non può più prescindere dalla riduzione delle emissioni» e da controlli più rigidi, che ad oggi «non esistono di fatto e sono vanificati dalle norme ambigue che tutto consentono».
In generale uno studio ha rilevato che le navi da crociera che in media circolano nelle acque europee inquinano 20 volte di più di tutte le auto che percorrono le strade del continente, e che dormire su una di queste ‘città galleggianti’ consuma 12 volte l’energia utilizzata in hotel. Tant’è che, non a caso, nel 2020 la multinazionale Mediterranean Shipping Company (MSC), colosso della logistica e delle crociere, si è ‘guadagnata’ il sesto posto tra i dieci maggiori emettitori europei di anidride carbonica. [di Gloria Ferrari]
Navi fantasma alla deriva, migliaia di marinai a bordo: coinvolti anche 14 porti italiani. Milena Gabanelli, Maria Serena Natale e Francesco Tortora su Il Corriere della Sera il 17 Maggio 2023
Undici miliardi di tonnellate di merci trasportate ogni anno, il 90% degli scambi totali: il commercio marittimo è la spina dorsale del capitalismo globale. Un sistema formato da 118 mila navi con due milioni di lavoratori a bordo, eppure questo gigantesco equipaggio transnazionale in continuo movimento sugli oceani è invisibile, soprattutto quando finisce nei guai. Pandemia e guerra d’Ucraina hanno aggravato un fenomeno poco noto ma di lungo corso e in crescita, che riguarda anche l’Italia: imbarcazioni e marinai abbandonati a se stessi. Secondo la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti, che riporta i casi all’Organizzazione internazionale del lavoro, fino al 2016 non si superavano le 25 denunce l’anno, nel 2022 il numero era salito a 103, con 1.842 marittimi coinvolti.
Ufficiale di bordo prigioniero per 4 anni
Luglio 2017, la nave da carico MV Aman battente bandiera del Bahrein e noleggiata da una compagnia libanese resta bloccata nel porto egiziano di Adabiya, nel Canale di Suez, per certificati di sicurezza scaduti. Né dal Libano né dal Bahrein arrivano i soldi per carburante e documenti, il comandante è a terra e i giudici locali nominano tutore legale del mercantile l’ufficiale più alto in grado rimasto a bordo, il siriano Mohammed Aisha, originario di Tartus imbarcato a maggio. Mese dopo mese la MV Aman si svuota e Mohammed si ritrova solo, con il divieto di allontanarsi da una nave ormai fantasma, senza elettricità e senza vita. Ogni settimana il giovane ufficiale nuota fino a riva per procurarsi il cibo e ricaricare il cellulare. Nessuno si muove per quattro anni. Finché nel 2021 interviene la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti che riesce a far nominare un nuovo tutore e Mohammed può finalmente tornate a casa. La surreale storia della MV Aman rivela un mondo dove è facile restare in trappola perché l’armatore non riesce più a coprire i costi del viaggio o della manutenzione e opta per la via più «conveniente»: stop a pagamenti e contatti, nave e uomini lasciati al proprio destino.
Abbandonate 9.925 persone su 703 mercantili
Negli ultimi 20 anni sono state abbandonate in totale 9.925 persone su 703 navi mercantili e la somma degli stipendi non pagati ha raggiunto i 40 milioni di dollari. Con 25 abbandoni, l’Italia è quinta per casi registrati nei propri porti dopo Emirati Arabi Uniti (89), Spagna (45), Turchia (37) e Iran (35). Tra dispute pendenti e risolte, gli scali interessati sono Augusta (4 casi), Oristano (3), Cagliari, Ancona, Ravenna, Messina, Genova, Napoli, Venezia, Palermo, Porto Empedocle, Chioggia, Savona, Civitavecchia.
I membri degli equipaggi abbandonati hanno spesso alle spalle contesti di povertà. In cima alla classifica dei Paesi d’origine c’è l’India (1.491 marittimi), seguita da Ucraina (1.211), Filippine (1.172), Russia (630), Myanmar (494), Cina (487), Pakistan (389). Le imbarcazioni più coinvolte sono navi da carico generale (31,2%), portarinfuse (8,2%) e navi cisterna (7,2%). Nel 2021 l’equipaggio a maggioranza indiana della Mv Ula ferma in Kuwait per una disputa tra armatori e proprietari del carico decide lo sciopero della fame per attirare l’attenzione internazionale. Finì bene, ma i 19 uomini erano rimasti prigionieri due anni.
Perché i marinai non lasciano le navi
I marinai non possono scendere a terra perché non hanno il visto, perché non possono pagarsi il ritorno o perché temono di perdere qualsiasi diritto di reclamare le paghe dovute. Spesso confidano nella vendita all’asta della nave per recuperare il credito. Per le norme internazionali sono tecnicamente abbandonati dopo almeno due mesi di mancata assistenza e retribuzione.
Sulle navi le condizioni diventano presto insostenibili con generatori a secco, zero riscaldamento, carenza di cibo e acqua, nessuna assistenza sanitaria, rarissime comunicazioni con famiglie lontane rimaste senza fonti di sostentamento, e con il pericolo di finire alla deriva in caso di guasti e maltempo
«Le navi diventano carceri per persone colpevoli solo di compiere il proprio dovere – denuncia Mario Mattioli, presidente della Confederazione italiana armatori Confitarma -. I marittimi subiscono senza potersi difendere, ostaggi su navi spesso battenti bandiere di convenienza (di Stati diversi da quello di appartenenza scelti per ridurre tasse e costi di registrazione, ndr) e vittime di operazioni che nascondono interessi speculativi: l’investimento va male e l’impresa si eclissa».
L’onda lunga del Covid e l’esplosione dei prezzi
Secondo l’ultimo rapporto della piattaforma marittima digitale RightShip i 103 nuovi casi del 2022 sono conseguenza del blocco delle catene di approvvigionamento e distribuzione sull’onda lunga del Covid e dell’esplosione dei prezzi, che hanno portato le compagnie alla bancarotta. Era già successo dopo la crisi finanziaria del 2008, ma per la ragione opposta: il crollo dei costi di noleggio. Durante la pandemia l’introduzione di nuovi controlli e restrizioni ha inoltre reso impossibile l’avvicendamento nei turni per oltre 300 mila marittimi commerciali, che a contratto scaduto si sono trovati bloccati in mare senza poter essere sostituiti. Dal 2017 sono aumentate le denunce presentate direttamente dai marinai grazie alla Convenzione internazionale sul lavoro marittimo che prevede un’assicurazione obbligatoria contro gli abbandoni: fino ad oggi sono 247 (92 solo per gli abbandoni del 2022) e in totale 3.657 i membri del personale di bordo che hanno richiesto il risarcimento per il salario non riscosso. In media i tempi di attesa per la risoluzione di ogni caso sono di 3,8 mesi e le somme dovute a ciascun marittimo arrivano a circa 11.464 dollari per 5,7 mesi di servizio. Il più delle volte le richieste di risarcimento non si traducono in un pagamento completo degli stipendi non percepiti, perché i marinai si accordano per ricevere almeno un pagamento parziale.
I marinai bloccati in Ucraina
Allo scoppio della guerra in Ucraina sono rimaste «prigioniere» nei porti del Mar Nero e del Mar d’Azov circa duemila persone su 94 navi, scese oggi a 331 per 62 imbarcazioni escluse dall’accordo sul transito dei cereali siglato lo scorso luglio a Istanbul: a febbraio la Camera internazionale degli armatori (International Chamber of Shipping-ICS, che rappresenta circa il 90% della flotta mondiale), insieme a trenta associazioni del settore inclusa l’italiana Confitarma, ha chiesto l’intervento delle Nazioni Unite con una lettera aperta al segretario generale António Guterres. L’accordo di Istanbul ha consentito alle sole navi per il trasporto del grano l’uscita da 3 porti su 18, lasciando le altre in acque infestate da mine. Per sbloccare la situazione occorre il coinvolgimento diplomatico della Russia.
Gli ultimi ingranaggi della catena
«Nei porti del Mar Nero non ci sono navi italiane perché già dal marzo 2022 furono invitate a lasciare le zone economiche esclusive di Ucraina e Russia – spiega Luca Sisto, direttore generale Confitarma e membro del Comitato nazionale Welfare della Gente di Mare –, decisione responsabile con inevitabili ricadute commerciali, ma non condivisa da tutti gli armatori europei. Per quanto riguarda invece i nostri porti, negli anni le reti di soccorso hanno fornito ai marittimi supporto medico, schede sim, abiti e cibo. È la bellissima solidarietà della gente di mare». La Camera internazionale degli armatori calcola che il trasporto via mare garantisca solo all’Unione europea l’80% dell’import-export per volume, il 50% per valore. Numeri dietro i quali ci sono storie come quelle appena descritte, dove gli automatismi burocratici incrociano negligenze criminali e crisi economiche, politiche, militari. E a pagarne il prezzo sono, come sempre, gli ultimi ingranaggi della catena.
La triste storia del naufragio dell’Andrea Doria, la nave più lussuosa al mondo. Il 26 luglio del 1956, l'elegante transatlantico Andrea Doria si inabissa nelle acque dell'Atlantico dopo lo scontro con il piroscafo Stockholm. Storia di sogni infranti e destini spezzati. Tommaso Giacomelli il 30 Luglio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La paura e i soccorsi
Il capitano non vuole abbandonare l'Andrea Doria
Sono le undici di sera del 25 luglio 1956. Al largo del faro di Nantucket, sulle coste del Massachusetts, ad appena 200 chilometri da New York, l'Oceano Atlantico è placido e silente. Le sue acque sono piatte come una tavola, mentre una intensa bruma inizia ad aleggiare, nonostante il pieno vigore della stagione estiva. A un tratto si percepiscono, con sempre maggiore intensità, delle musiche da ballo e delle voci festose. Questa piccola porzione di mondo ha il privilegio di assistere al passaggio dell'elegante Andrea Doria, turbonave della Marina Mercantile italiana che sta veleggiando spedita verso la Grande Mela. L'indomani mattina, la nave più lussuosa al mondo è attesa al porto per ricevere il grande abbraccio della comunità americana, come accade ogni qualvolta l'orgoglio italico si spinge fino a quelle latitudini. A bordo, molte persone sono già coricate in cabina con le valigie pronte per lo sbarco. Il viaggio partito da Genova è giunto quasi alla sua conclusione. Alle 23.06 (le 04.06 italiane del 26 luglio) la notte viene incisa da un terribile tonfo, un boato fragoroso trafigge vite e destini, infrange sogni e speranze: il nobile scafo dell'Andrea Doria viene colpito dalla prua d'acciaio della Stockholm, nave passeggeri svedese, causando una ferita laterale non rimarginabile. Il transatlantico italiano precipita nell'oscurità, la musica si interrompe e la paura divampa nei saloni e nelle stanze.
La paura e i soccorsi
Sono attimi di terrore e di sconforto, le sirene urlano a perdi fiato. Il botto è stato terribile e spaventoso, l'Andrea Doria è squarciata e si è aperta una falla larga dodici metri. Il piroscafo svedese con in plancia il terzo ufficiale, il giovane Ernst Johannsen Carstens, ha tentato una virata disperata, ma lo schianto è stato inevitabile. In quell'istante perdono la vita 46 passeggeri, trafitti nelle loro celle dal terribile ferro scandinavo. In pochi istanti la nave italiana imbarca un quantitativo di 500 tonnellate d'acqua e inizia pericolosamente a incurvarsi di 15 gradi. Al comando dell'Andrea Doria c'è l'esperto comandante Piero Calamai, che dirige le operazioni con una freddezza e una precisione encomiabili. Coadiuvato dal vice Magagnini, dal secondo ufficiale Guido Badano e dal medico di bordo Bruno Tortori Donati, riesce a non far precipitare nel panico e nello scoramento le migliaia di persone a bordo.
L'esperto Calamai, prima di tutto, lancia il messaggio di SOS che viene accolto tempestivamente dal transatlantico francese Ile de France, che invertirà la propria rotta per andare ad aiutare gli sventurati italiani. L'intervento dei cugini d'oltralpe si rivelerà fondamentale. Quando scoccano le 1.30 della notte, la nave francese arriva sul luogo dell'impatto e si piazza parallelamente alla morente Andrea Doria, a circa 400 metri di distanza e con tutti i fari accesi. D'un tratto la notte ritorna giorno. Resterà così per tutto il tempo, formando una diga ideale per creare una lingua di mare piatto sul quale le scialuppe di salvataggio correranno avanti e indietro, mettendo al riparo 753 anime smarrite. Anche la Stockholm incidentata, una volta constata l'impossibilità di un inabissamento, manderà le sue piccole barchette ausiliarie ad aiutare 542 naufraghi. A completare un'operazione di soccorso da manuale, arrivano altri mercantili e alcune unità della Guardia Costiera americana.
Il capitano non vuole abbandonare l'Andrea Doria
Quando tutti i passeggeri sono al sicuro, a bordo dell'Andrea Doria restano solamente gli ufficiali. Sono le 5 del mattino, la nave è ormai pericolosamente inclinata e non resta poi molto prima che le acque dell'Atlantico se la inghiottano per sempre. La scialuppa numero 11 aspetta impaziente gli ultimi uomini rimasti a poppa. Lo scosso Piero Calamai invita i suoi fedeli sottoposti a scendere senza di lui, perché ha intenzione di restare con la sua imbarcazione, quella che conduce con orgoglio fin dal primo viaggio inaugurale del 1952. Il vice Magagnini non accetta l'ordine e minaccia di rimanere insieme agli altri ufficiali a bordo dell'Andrea Doria, andando incontro a un inesorabile destino di morte, qualora il comandante non salisse sulla barchetta di salvataggio. Al cospetto di questa visione, il vecchio capitano china il capo e ascolta l'esortazione del suo vice, acconsentendo ad abbandonare la sua devota nave, salutandola per l'ultima volta. Un momento surreale ma colmo di dignità.
Dopo altre quattro ore di agonia, l'Andrea Doria, alta come una fortezza e vasta come una città affonda in un gorgo di appena 70 metri. Un destino beffardo e crudele per il transatlantico più lussuoso del globo, provvisto di 11 paratie stagne, di pompe tra le più efficienti in assoluto e di dispositivi di sicurezza pari a quelli di un incrociatore. Ciò che non poteva affondare, giace adesso sul fondo del mare, adagiato di lato e tristemente solitario. Sulle cause del disastro è nato un processo che si è protratto per molti anni e nel quale è stata appurata la responsabilità della nave Stockholm, rea di non aver tenuto conto della rotta del transatlantico italiano nella fitta nebbia. Inoltre, il giovane Carstens aveva interpretato male il radar e non aveva lanciato i segnali acustici prescritti. "L'Oceano è cattivo, sempre. Quando ha sete beve tutto", diceva un vecchio adagio diffuso tra i marinai. L'inabissamento dell'Andrea Doria resta l'ultimo episodio tragico di una grande nave passeggeri nell'Atlantico, perché da lì a poco gli aerei avrebbero preso il sopravvento per i viaggi dall'Europa all'America, e viceversa.
Estratto dell’articolo di Massimo Sideri per il “Corriere della Sera” domenica 24 settembre 2023.
[…] Alberto Diaspro mi ha ricordato che c’è un’altra storia dimenticata: quella di Guglielmo Marconi e del suo viaggio sul Titanic. Non viene raccontata nell’ormai classico Titanic di James Cameron del 1997 con Leonardo DiCaprio. In questo caso non c’è nulla da eccepire: il film di Cameron è chiaramente una ricostruzione romanzata e iper-romantica del primo e ultimo viaggio del transatlantico nel 1912. Attinge a qualche elemento documentale, ma senza l’ambizione di volerne ricostruire la vera storia.
Però cogliamo lo stesso l’occasione per raccontarla: Guglielmo Marconi sarebbe dovuto salpare con il Titanic in quel 1912. Come mai? Facciamo un passo indietro. Marconi salì in effetti sul transatlantico tanto che esistono delle fotografie dell’evento: volle difatti partecipare personalmente all’installazione di un radiotelegrafo di sua invenzione sulla nave, il 22 marzo 1912. Gli armatori ne furono così entusiasti che lo stesso Premio Nobel italiano venne invitato per il viaggio inaugurale dell’aprile successivo.
[…] Sfortunato fino a un certo punto: il comandante Edward John Smith fu a dir poco un irresponsabile. Sarebbe dovuto andare in pensione dopo il viaggio e dunque non indugiò un attimo a far andare a tutta forza le macchine, nonostante la presenza di poderosi iceberg sulla rotta. Forse anche con il sogno di ottenere un record di percorrenza (non è dimostrato).
Ci fu anche un’inchiesta dopo il disastro, che non portò a molto. Di fatto al tempo nessuno credeva che il Titanic potesse affondare (tanto che la maggior parte degli ospiti di bordo morì perché c’erano scialuppe di salvataggio solo per meno di un terzo di loro). Di certo la tragedia portò a cambiare la percezione di ciò che la tecnologia marina poteva permettersi di affrontare.
Perché Marconi non salì a bordo nonostante l’invito? Qui si apre come sempre una ridda di versioni. Il premio Nobel doveva in effetti raggiungere proprio New York. Ma sembra che i suoi impegni lo portarono a prendere un piroscafo precedente (c’è chi racconta che fu in realtà merito della moglie che lo fece arrivare in ritardo). […]
Comunque Marconi non partecipò. Ma i suoi “marconisti” sì: si chiamavano Harold Bride e Jack Phillips. Quando nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 si aprì uno squarcio di 90 metri sulla carena del Titanic furono loro, grazie al radiotelegrafo di Marconi, a salvare 705 persone. Il fisico aveva già testato la possibilità di usare la sua invenzione senza fili sulle navi per mandare messaggi di aiuto.
Al tempo si usava ancora il codice morse CQD. Ma sappiamo che i due marconisti decisero di usare anche il nuovo codice SOS che ancora non si era imposto (diventerà uno standard nel 1914). SOS tradotto in codice morse equivale a tre punti, tre linee e tre punti: ...___.... Vanno inviate senza interruzione. […]
DAGONEWS mercoledì 11 ottobre 2023.
I funzionari della Guardia Costiera degli Stati Uniti hanno confermato di aver recuperato i detriti mancanti dal sommergibile dell'OceanGate, compresi quelli che si ritiene siano resti umani. Sono stati portati da medici statunitensi per ulteriori analisi.
Il recupero e il trasferimento delle parti rimanenti sono stati completati il 4 ottobre e sono state rese pubbliche le foto che mostrano il tappo terminale in titanio intatto della nave grande 6,7 metri.
Tutti e cinque i passeggeri sono morti: gli sforzi di recupero sono stati condotti nei mesi successivi al disastro in base a un accordo con la Marina degli Stati Uniti sul fondo dell'oceano a circa 500 metri di distanza dal famigerato relitto del Titanic.
La Guardia Costiera aveva precedentemente affermato di aver recuperato “presunti resti umani” insieme a parti del Titan, dopo che il raggio in cui erano stati localizzati i detriti era a 3800 metri.
Gli investigatori ritengono che il Titan sia imploso mentre scendeva nelle profonde acque del Nord Atlantico il 18 giugno, anche se le indagini sono ancora in corso. Erano trascorsi circa un’ora e 45 minuti dall'inizio della discesa quando, presumibilmente, si è verificato il disastro.
All’inizio si pensava che la nave fosse intrappolata in profondità, lasciando i cinque uomini a bordo con solo 96 ore di ossigeno. Una volta iniziate le ricerche, però, i passeggeri sono stati dichiarati morti.
Titan, secondo un esperto spagnolo «le vittime hanno capito per un minuto che stavano morendo». Marco Bruna su Il Corriere della Sera l'11 luglio 2023.
Parla l’esperto spagnolo di sottomarini José Luis Martín: «Il Titan è caduto verso il fondale dell’Oceano come una freccia, dopo un guasto al sistema elettrico. Poi è scoppiato come un pallone»
Il sommergibile Titan in una foto d’archivio (foto Afp)
Le vittime del Titan, il sommergibile imploso nell’Oceano Atlantico mentre cercava di raggiungere il relitto del Titanic, potrebbero essersi rese conto della loro fine. Potrebbero avere capito, per un lunghissimo minuto (più nel dettaglio tra i 48 e i 71 secondi), che stavano per morire. A dirlo è l’esperto spagnolo di sottomarini José Luis Martín, citato dal Daily Mail.
Secondo Martín il sommergibile ha perso stabilità a causa di un guasto elettrico, guasto che lo ha privato della propulsione necessaria per risalire in superficie. Titan sarebbe così caduto verso il fondale «come una freccia, in verticale», con l’oblò rivolto verso il basso.
Sempre secondo l’esperto spagnolo, il sommergibile ha iniziato la sua caduta libera a una profondità di circa 1.700 metri. È caduto «come una pietra e senza alcun controllo» per circa mille metri, fino a quando non «è scoppiato come un pallone» a causa del rapido cambiamento di pressione, dopo altri 2.600 metri. Poco prima della fine il sistema elettrico è saltato completamente.
I passeggeri a bordo, cinque, «erano uno sopra l’altro, terrorizzati, nell’oscurità più totale». Il Titan ha fatto perdere le sue tracce lo scorso 18 giugno. Per trovarlo è stata messa in moto una ingente operazione di salvataggio. Dopo qualche giorno si è fatta largo l’ipotesi dell’implosione. Poi sono stati ritrovati i primi rottami, che hanno distrutto qualsiasi speranza.
La Guardia Costiera di Boston aveva annunciato, la sera del 22 giugno, proprio il ritrovamento dei rottami a 500 metri della prua del Titanic. All’interno del minisub Titan sono stati ritrovati anche «presunti resti umani». «C’è ancora molto lavoro da fare per comprendere i fattori che hanno portato alla catastrofica perdita del Titan e garantire che una tragedia simile non si ripeta», aveva dichiarato Jason Neubauer, presidente del Marine Board of Investigation.
La Marina Usa, usando dati provenienti da una rete segreta di sensori creata per individuare sottomarini nemici, aveva captato «una anomalia che può indicare una implosione o esplosione» proprio nelle ore in cui il Titan fu calato in profondità.
I dati, combinati con informazioni degli aerei di sorveglianza e delle sono boe, sono serviti a localizzare la posizione approssimativa del Titan ed erano stati comunicati alla Guardia costiera già durante le ricerche.
Estratto dell'articolo di Viviana Mazza per il “Corriere della Sera” il 20 giugno 2023.
«Operare a 4.000 metri di profondità implica molte sfide: la pressione, la temperatura di 3-4° C, la mancanza di luce al di sotto dei 300 metri, le correnti di due nodi, cioè circa 4 chilometri orari, e la posizione remota. È semplicemente il confine estremo di ciò che l’esplorazione umana può fare. Non c’è spazio per errori né per scorciatoie», dice al Corriere Rob McCallum, che ha condotto missioni estreme in tutto il mondo, dalla circumnavigazione dell’Antartide alle perlustrazioni dei fondali oceanici.
Per vent’anni, fino a un paio di anni fa, la sua compagnia, Eyos Expeditions, ha organizzato i primi viaggi per scienziati e turisti fino al Titanic per poi spostarsi su imprese diverse. […] Nelle sue spedizioni con sottomarini «classificati e certificati» ha avuto la possibilità di navigare intorno al Titanic. «Il relitto è in posizione verticale, spaccato in due parti distanti circa un chilometro l’una dall’altra. La navigazione intorno è difficile, va pianificata con estrema attenzione. Le sfide sono logistiche e fisiche», spiega.
Il Titan dell’azienda OceanGate ha una stazza di 10.432 chili, sei metri e mezzo di lunghezza, può arrivare fino a 4.000 metri di profondità, con 96 ore di supporto vitale per cinque persone, […] Il viaggio dura complessivamente 8 giorni, inclusa la parte in superficie dall’isola di Terranova fino al luogo del relitto, circa 600 chilometri al largo della costa. La durata della permanenza subacquea è di circa otto ore complessive. […].
[…] «È difficile fare previsioni. I nostri pensieri vanno alle persone disperse», dice McCallum al telefono da Papua Nuova Guinea, appena rientrato da una spedizione. «Il Titanic è una storia incredibile. È come una tragedia greca». […] Da quando è stato ritrovato nel 1985, ha attirato l’attenzione di centinaia di scienziati, registi e di turisti.
[…] Intorno al 2000 gli scienziati iniziarono ad avvertire che i turisti e i cacciatori di tesori costituivano una minaccia per il vascello e un’offesa per quello che, di fatto, è il sepolcro di oltre 1.500 persone. Furono ritrovati anche lattine e altra spazzatura e i resti di un natante finito sullo scafo.
Estratto dell'articolo di ilsole24ore.com il 20 giugno 2023.
A bordo del sottomarino si trovano cinque persone, clienti di una spedizione che costa circa 150mila dollari. Il gruppo comprende Hamish Harding, 58 anni, fondatore della società di investimenti Action Group e appassionato di avventure: nel suo palmares si contano tre Guinness World Record, incluso il tempo più lungo trascorso ad attraversare la parte più profonda dell’oceano - la Fossa delle Marianne - in una singola immersione, e la navigazione più veloce della Terra attraverso il Polo Nord e il Polo Sud in aereo.
Tra gli altri membri del sottomarino, disceso fino a 3.800 metri di profondità, ci sono Stockton Rush, fondatore di OceanGate Expeditions, la società che ha organizzato il viaggio verso il Titanic; Shahzada Dawood e suo figlio Suleman, membri di una delle famiglie d’affari più importanti del Pakistan; il pilota francese Paul Henry Nargeolet. Lo stesso Harding aveva scritto in un post del 18 giugno su Instagram che questa sarà probabilmente l’unica missione con equipaggio sul Titanic nel 2023 «a causa del peggior tempo a Terranova degli ultimi 40 anni».
DAGONEWS il 20 giugno 2023.
I cinque membri dell'equipaggio che si trovano a bordo del sottomarino scomparso ora corrono il rischio di ipotermia mentre l'aria a bordo inizia a scarseggiare.
Secondo l’esperto David Gallo, oceanografo e consulente senior di RMS Titanic, coloro che si trovano a bordo - tra cui il miliardario britannico Hamish Harding, l'uomo d'affari pakistano che vive nel Regno Unito Shahzada Dawood, 48 anni, e suo figlio di 19 anni Sulaiman Dawood - dovranno ora affrontare la diminuzione delle scorte di ossigeno e combattere il freddo: «L'acqua è molto profonda. È come una visita su un altro pianeta, non è quello che la gente pensa che sia. È un ambiente senza sole, freddo e con un’alta pressione».
DAGONEWS il 20 giugno 2023.
OceanGate Expeditions ha aspettato otto ore prima di lanciare l’allarme sulla scomparsa del sommergibile Titan: la società non ha allertato i soccorsi fino alle 17.40 di domenica.
Il Titan si è immerso alle 8 di domenica a circa 400 miglia a sud-est di St. John's, prima di perdere il contatto con la sua nave madre, il Polar Prince, un'ora e 45 minuti dopo. Anche se il sottomarino ha perso il contatto verso le 9.45, la scomparsa non è stata segnalata alla Guardia costiera degli Stati Uniti fino alle 17.40, otto ore dopo.
Un sommergibile, a differenza di un sottomarino, non ha abbastanza potenza per lanciarsi nell'oceano e tornare in superficie in autonomia. Motivo per cui si affida a una nave di supporto per il lancio negli abissi e per il recupero.
DAGONEWS il 20 giugno 2023.
Il sommergibile scomparso della OceanGate che è scomparso con cinque persone a bordo è controllato da un controller PlayStation e ha una finestra da cui gli esploratori possono sbirciare.
Quanto è grande il sommergibile Titan?
Le dimensioni del sommergibile, costruito in fibra di carbonio e titanio sono 670 cm x 280 cm x 250 cm, ed è in grado di scendere a profondità di 4.000 metri. La nave pesa 10.432 kg e può viaggiare a una velocità massima di tre nodi, grazie ai quattro propulsori elettrici Innerspace 1002.
Ha una fotocamera Sub C Imaging 4k Rayfin, un sonar Teledyne 2D, 40.000 lumen di luce esterna e uno scanner laser 2G Robotics. L'elettronica e le unità di controllo del propulsore sono alloggiate all'esterno dello scafo pressurizzato per aumentare lo spazio disponibile per l'equipaggio e le attrezzature a bordo. Ha anche una toilette a bordo, che offre poca privacy agli ospiti in quanto si trova proprio accanto alla finestra.
Come viene controllato il Titan?
La nave è controllata da un controller Playstation rinforzato, non ha un sistema GPS ed è guidata da messaggi di testo inviati da una squadra in superficie. Titan comunica con il team tramite messaggi di testo che vengono scambiati tramite un sistema acustico USBL (ultra-short baseline). Un grande display digitale trasmette in streaming un feed live da più telecamere 4K esterne e funge anche da porta per il vano apparecchiature di poppa.
Qual è la piattaforma di lancio e recupero?
Il Titan ha bisogno di una piattaforma di recupero, che dispone di serbatoi utilizzati per affondare e far riemergere la nave. Significa che non è necessaria una grande nave di supporto o una gru. La piattaforma allaga le sue vasche di galleggiamento con acqua per una discesa controllata a una profondità di 9,1 metri per evitare qualsiasi turbolenza in superficie.
Al termine di ogni immersione, il sottomarino atterra sulla piattaforma sommersa e viene portato in superficie in circa due minuti riempiendo d'aria le vasche. Una volta raggiunta la superficie, non c'è modo di uscire, poiché quelli all'interno sono bloccati con 17 bulloni dall'esterno.
Quanto durano le immersioni?
Le immersioni possono durare fino a 10 ore ciascuna, con i partecipanti che trascorrono un totale di 10 giorni in mare a bordo di una nave più grande.
In un'intervista dell'anno scorso, il CEO della società Stockton Rush ha dichiarato alla CBC che i loro sottomarini avevano una capacità di cinque persone e possono arrivare al Titanic, che si trova a metà della profondità dell'oceano.
Nel 2023 sono state effettuate solo tre spedizioni. Nel 2022 si era arrivati a dieci immersioni fino al Titanic. Non è chiaro quanti viaggi fino al relitto siano stati effettuati fino ad adesso.
Titan è il secondo della serie di sommergibili di classe Cyclops. OceanGate opera dal 2015 in tre oceani a una profondità di quasi 500 metri.
Chi possiede OceanGate?
Il CEO Stockton Rush ha fondato l'azienda nel 2009 e sovrintende alle strategie finanziarie e ingegneristiche dell'azienda. È anche co-fondatore e membro del Board of Trustees della OceanGate Foundation, lanciata nel 2012 come organizzazione senza scopo di lucro.
Rush è stato un pilota e nel 1989 costruì personalmente un velivolo sperimentale Glasair III, che ancora possiede e vola. Ha completato un sommergibile per due persone Kittredge K-350 con cui ha effettuato oltre 30 immersioni fino ad oggi. Ha conseguito la BSE in ingegneria aerospaziale presso la Princeton University nel 1984 e il suo MBA presso la UC Berkeley Haas School of Business nel 1989.
Countdown negli abissi: poche ore di riserva di aria e dubbi sulla sicurezza del sommergibile. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità il 21 Giugno 2023
Un drammatico countdown, un tempo che scorre inesorabile e che segna, in meno, le ore di ossigeno che rimangono per i cinque componenti del sommergibile Titan. Le 96 ore di riserva di aria prevista dal mezzo starebbero per scadere mentre le ricerche vanno avanti da ormai quasi quattro giorni, e cioè da quando era stato lanciato l’allarme del sommergibile disperso. Una piccola speranza di avvicinamento al natante scomparso era arrivata nella notte tra martedì e mercoledì, quando un sonar dei mezzi di ricerca aveva captato dei “suoni ripetuti ogni trenta minuti” nelle profondità degli abissi, nella zona dove si troverebbe il relitto del Titanic. Perché il sommergibile era diretto proprio lì, a 3800 metri di profondità, per vedere da vicino quello che resta del transatlantico affondato nell’aprile del 1912. Dalle notizie che arrivano dalla Guardia Costiera statunitense e dalle poche ricostruzioni su quanto accaduto, non sappiamo se il sommergibile sia mai arrivato nei pressi del relitto e non è chiara neanche la posizione dello stesso.
L’unica cosa certa ad ora, sono le ore che rimangono ai curiosi (e miliardari) che avevano deciso di intraprendere il viaggio negli abissi, partito domenica nella mattinata e, ad ora ancora non terminato. L’immersione del Titan avrebbe dovuto avere una durata di circa otto ore tra discesa, visita e risalita dal luogo del relitto, ma dopo appena due ore dalla discesa il sommergibile avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Un allarme che è arrivato immediatamente alle autorità marittime statunitensi, che avrebbero fatto partire subito le ricerche, ad ora ancora negative. Sono molte le difficoltà che i mezzi di soccorso stanno riscontrando, non solo per la profondità (di quasi 4mila metri) e la distanza dalla costa americana (600 chilometri), ma anche per le piccole dimensioni del mezzo, in un fazzoletto di mare che, seppur circoscritto, rimane enorme. Il natante, difatti, ha una dimensione di poco meno di sette metri di lunghezza e tre di altezza, con un peso che supera di poco i 10mila chili. Il sommergibile con equipaggio di classe Cyclops è stato costruito in fibra di carbonio e titanio ed era stato progettato per ospitare cinque persone – quelle che ci sono a bordo – e per raggiungere i 4mila metri di profondità. Una struttura leggera, facile da manovrare, progettata per immersioni di breve durata, che può essere utilizzata sia per uso turistico – come in questo caso -, sia per sopralluoghi e ispezioni negli abissi che per ricerche scientifiche in acque profonde. Un mezzo costruito appositamente per le visite nelle profondità degli abissi e con tecnologie di ultima generazione, che però, ad ora, non sembrerebbero essere state sufficienti a garantire la sicurezza dei cinque visitatori. E proprio sulla sicurezza del sommergibile, intanto, sembrano emergere dei dubbi. Il Titan era stato posto sotto osservazione sin dal 2018, quando era ancora in fase di sviluppo. Proprio in quell’anno un dipendente dell’azienda, David Lochridge, aveva avanzato dei dubbi sullo scafo sperimentale e sulla sicurezza dello stesso, e per questo motivo era stato allontanato dall’azienda. Lochridge sosteneva la necessità di sottoporre il sottomarino a ulteriori test e una certificazione da parte di un ente indipendente. Non solo, l’uomo avrebbe appreso che il Titan non avrebbe potuto ricevere una certificazione per calarsi fino a 3.800 metri di profondità (dove si trova il relitto del Titanic) ma solo fino a un massimo di 1.300 metri. Dal canto suo, l’azienda assicurava che i rischi potessero essere più facilmente evitati attraverso le procedure operative. Avvertimenti, inizialmente ignorati, che si sono trasformati in rapporto, che a Lochridge è costato il posto di lavoro. Difatti, il dipendente fu chiamato dallo stesso Ceo Stockton Rush che lo licenziò. Subito dopo la OceanGate denunciò Lochridge per aver rivelato informazioni confidenziali, e l’esperto a sua volta denuncio l’azienda. La vicenda giudiziaria si risolse con un patteggiamento. La sostanziale differenza è che ora Lochridge non ha più niente a che fare con la OceanGate, mentre l’amministratore delegato, dentro il mezzo della propria flotta, potrebbe non vedere più la luce.
Sottomarino scomparso, ecco quanto costano le "visite" al Titanic. Storia di Valentina Menassi Il Giornale il 21 giugno 2023.
In queste ore si cercano i cinque passeggeri spariti nel nulla alla scoperta del Titanic a bordo di un batiscafo a 3.800 metri di profondità. Ma quanto costa partecipare alla spedizione? La Ocean Gate Expedition organizza da anni tour sui fondali oceanici per vedere il relitto. Il biglietto richiede una spesa fino a 250 mila dollari.
L’esplorazione
Da alcuni anni è possibile immergersi per un viaggio di otto giorni per visitare il relitto affondato nel 1912 che si trova negli abissi al largo dell’Isola di Terranova. Il programma di bordo prevede un tour di quaranta ore circa per posizionarsi sul fondo dell’oceano. Nello specifico servono novanta minuti per la discesa, tre ore per la perlustrazione e altri novanta minuti per la risalita. La "spedizione Titanic", così viene chiamata dalla società, permette di acquisire dati e immagini per il continuo studio scientifico del sito, scattare foto e girare video per documentare le condizioni del relitto. L'azienda che offre il servizio ha riferito che nel 2022 sono state ventotto le persone che hanno visitato il sito del relitto.
I costi
Il costo ammonta a circa 228 mila euro per persona e possono partecipare dalle cinque alle sei persone. Fino a due anni fa il costo era di 125 mila dollari a testa ed è poi aumentato. Attraverso la prua è possibile ispezionare il relitto e il sommergibile ha un supporto vitale progettato per durare 96 ore per l’intero equipaggio. Sul sito Internet dell'operatore si legge appunto che per compiere la spedizione è necessario aver compiuto 18 anni, ma non serve avere precedente esperienza di immersioni. L’età dei passeggeri attualmente dispersi va dai 28 ai 72 anni, arrivano da Usa e Regno Unito, qualcuno da Australia, Canada e Germania.
L’azienda
Nel 2010 Stockton Rush, il ceo dell’azienda che offre il servizio alla scoperta dei fondali, scelse di creare un’analogia tra il mondo delle profondità marine e quello spaziale. Rush è un ingegnere aerospaziale ma ha sempre avuto il sogno di diventare astronauta, in un'intervista ha detto: “Quello che volevo fare con l'azienda era spostare l'ago della bilancia, far appassionare le persone all'oceano e scoprire cosa c'è laggiù". In base alle dichiarazioni della Ocean Gate Expedition il sommergibile usato per l'immersione pesa 9.072 chili in aria ed è zavorrato per essere neutralmente galleggiante una volta raggiunto il fondale marino ed è realizzato in titanio e fibra di carbonio. Chi prende parte alla spedizione deve essere capace di conoscere le nozioni di base di navigazione in piccole imbarcazioni, soprattutto in una situazione di mare mosso.
La corsa contro il tempo. Chi è “Monsieur Titanic”: Paul-Henri Nargeolet, che pilotava il sottomarino scomparso. Aveva partecipato all’immersione della scoperta, nel 1987. "Potevamo vedere le catene delle ancore, gli argani lucidati e i sedimenti contenuti nell’acqua. Per dieci minuti nessuno ha fiatato nel sommergibile". Era uno dei maggiori esperti del relitto al mondo. Antonio Lamorte su L'Unità il 21 Giugno 2023
Hamis Harding, uomo d’affari, imprenditore miliardario, si era felicitato della partecipazione dell’esperto esploratore francese alla missione. Perché Paul-Henri Nargeolet, che tutti chiamano PH, è “Monsieur Titanic”, uno degli esperti più noti e qualificati al mondo sul più famoso relitto della storia. 111 anni dopo il celebre naufragio, entrambi, insieme con altre tre persone, sono disperse: non si trova il Titan, il piccolo sottomarino col quale avevano tentato di raggiungere la nave da crociera inabissata in un’immersione turistica. Domani mattina, intorno alle 11:00, dovrebbe terminare la riserva di ossigeno dello scafo. Le ricerche sono disperate, una corsa contro il tempo.
Nargeolet aveva accettato di lavorare per la compagnia OceanGate, che gestisce il sottomarino. A bordo con lui, disposti a pagare 250mila dollari per scendere a quattromila metri per osservare il relitto, Stockton Rush, amministratore delegato di OceanGate che pare avesse partecipato a tutte le spedizioni con i turisti partite nel 2001; Harding, miliardario britannico fondatore di una compagnia di aerei privati con i soldi nel mondo del software; l’imprenditore britannico di origini pakistane Shahzada Dawood e il figlio 19enne Suleman. Rush chiamava “Titaniacs” i maniaci del Titanic. “Monsier Titanic” pilotava il sottomarino.
Originario dell’Alta Savoia, 77 anni. Era stato, nella prima parte della sua carriera, ufficiale della marina. È stato pilota nel Gruppo d’interventi sottomarini, responsabile dell’Ifremer (Istituto Francese di Ricerca per lo Sfruttamento del mare) nel 1986, lo snodo della sua vita professionale. Era diventato specialista delle immersioni a grandi profondità in virtù anche di una grande passione d’archeologia marina ed era diventato membro del Gruppo di ricerca di archeologia marina. Al comando del Nautile era stato il primo a immergersi sui resti del Titanic nel 1987.
“Ecco, ce l’abbiamo fatta!”, aveva esclamato Nargeolet. Alle 12:22 del 25 luglio 1987 i tre occupanti del piccolo sottomarino scoprirono la prua del più celebre relitto della storia. “Potevamo vedere le catene delle ancore, gli argani lucidati e i sedimenti contenuti nell’acqua. Per dieci minuti nessuno ha fiatato nel sommergibile”. Due anni prima il relitto era stato avvistato e fotografato da un robot controllato dalla superficie. “Aveva realizzato lui l’immersione della scoperta, era un appassionato del relitto, conosce molto bene la sua storia”, ha ricordato a La Provence Jan Opderbecke, l’attuale responsabile dell’unità di Sistemi Sottomarini dell’Istituto che segue l’andamento delle operazioni di ricerca da La Seyne.
Erano seguite, negli anni successivi, decine di immersioni che gli avevano permesso di riportare a galla centinaia di oggetti, circa 800. Dal 2007 Nargeolet era diventato direttore del programma di ricerche della società RMS Titanic/Phoenix International, che possiede il relitto. Non si era però limitato allo studio del Titanic, aveva compiuto negli anni diverse campagne di ricerca di navi scomparse, compreso l’Airbus A330-203, scomparso nel volo Rio de Janeiro-Parigi del 2010. Ha visitato il Titanic più volte di chiunque altro al mondo. Sul relitto aveva scritto anche un libro.
Aveva raccontato ad HarperCollins che “restiamo cinque, sei, sette, otto ore. Non vuoi più risalire, usi le batterie finché puoi, e a volte anche un po’ di più. Diverse volte mi hanno sgridato, per questo. Poi la risalita richiede un tempo altrettanto lungo, perciò l’immersione può durare 10-12 ore”. Secondo quando ha raccontato a Le Figaro Michel L’Hour, ex direttore del dipartimento di archeologia subacquea e ricerca subacquea a Marsiglia (Drassm), prima di partire sarebbe stato “un po’ scettico su questa nuova tecnologia, ma anche incuriosito dall’idea di pilotare qualcosa di nuovo, un po’ come può essere un pilota collaudatore”. I contatti con la nave di accompagnamento, in superficie, si sono interrotti appena un’ora e 45 minuti dopo l’immersione. Potrebbe essere stato lui, tra i più esperti all’interno del sommergibile, a causare i rumori di colpi avvertiti dai sonar per farsi trovare. L’ultima speranza per trovare vivi i passeggeri del Titan.
Antonio Lamorte 21 Giugno 2023
Estratto da open.online il 22 giugno 2023.
Otto ore. È quanto la OceanGate ha aspettato prima di lanciare un sos alla Guardia Costiera per avvisare che il sommergibile Titan aveva perso contatto con la nave in superficie. Tanto tempo, troppo, accusano ora i familiari del miliardario britannico Hamish Harding, a bordo della piccola imbarcazione che si è immersa nell’oceano per esplorare il relitto del Titanic.
A esprimere la rabbia della famiglia è Kathleen Cosnett, cugina di Harding: «Hanno aspettato troppo», ha detto al Telegraph. Secondo la ricostruzione di quanto accaduto domenica mattina, il Titan avrebbe perso il contatto con la Polar Prince intorno alle 9.45 locali, circa due ore dopo l’immersione, e la Guardia costiera è stata informata della scomparsa del dirigibile solo dopo otto ore, alle 17.40 circa.
A bordo c’è anche il ceo Stockton Rush, che pilota il mezzo. In queste ore di angoscia e speranza, con le riserve di ossigeno che secondo le stime degli esperti dovrebbero essere ormai finite o agli sgoccioli, a Insider ha parlato anche il cofondatore di OceanGate, l’azienda che organizza le spedizioni per visitare il Titanic.
«Sono certo che Stockton e il resto dell’equipaggio si siano resi conto giorni fa che la cosa migliore da fare per salvarsi fosse estendere i limiti delle scorte di ossigeno, rilassandosi il più possibile», ha detto Guillermo Sohnlein, «sono fermamente convinto che la finestra temporale disponibile per il loro salvataggio sia più lunga di quanto la maggior parte delle persone pensi. Continuo a sperare per il mio amico e per il resto dell’equipaggio».
(ANSA il 22 giugno 2023) - Fra i rottami trovati dal robot impegnato nelle ricerche del Titan ci sarebbero la parte posteriore e il telaio di atterraggio del sommergibile disperso sulle orme del Titanic. Lo riporta la Bbc citando un esperto e un amico dei passeggeri.
(ANSA il 22 giugno 2023) - "Crediamo che l'equipaggio del nostro sommergibile sia morto". Lo afferma OceanGate in una nota, confermando la morte dei cinque passeggeri del Titan, il sottomarino disperso da domenica.
Estratto dell'articolo di Marco Bruna per corriere.it il 22 giugno 2023.
Una testimonianza drammatica, che rende l’idea dell’orrore vissuto dai cinque passeggeri rimasti intrappolati nel Titan, disperso da domenica nell’Oceano Atlantico. È di Arthur Loibl, 61 anni, avventuriero e uomo d’affari tedesco, oggi in pensione. È stato uno dei primi a rivolgersi a OceanGate, la società che gestisce i viaggi verso il relitto del Titanic. Ha fatto lo stesso viaggio del sommergibile oggi dato per disperso.
Loibl ha definito l’esperienza una «operazione kamikaze». Ha raccontato di aver avuto per la prima volta l’idea di vedere il relitto del Titanic durante un viaggio al Polo Sud, nel 2016. […]Questo il suo racconto: «Immaginate un tubo lungo pochi metri con una lastra di metallo come pavimento. Non si può stare in piedi, non ci si può inginocchiare. Si sta seduti praticamente uno sopra l’altro», ha detto Loibl, spiegando che durante la discesa e la salita di due ore e mezza le luci vengono spente per risparmiare energia e l’unica illuminazione proviene da un bastoncino fluorescente. «Ero un po’ ingenuo, guardando indietro è stata una operazione kamikaze», ha precisato.
Intanto la Guardia costiera americana ha annunciato, nel tardo pomeriggio italiano, che sono stati trovati rottami vicino al sito in cui si trova il Titanic.[…]
Estratto dell’articolo di Alberto Simoni per lastampa.it il 22 giugno 2023.
Non serve esperienza subacquea per infilarsi nel Titan e scendere ai confini degli abissi, è sufficiente dotarsi di un biglietto i cui costi sono lievitati sino a 250mila dollari […] e firmare tre documenti con i quali ci si assume il rischio di «poter morire durante il viaggio». Le doti richieste sono «forza, equilibrio e flessibilità», si legge sul sito della OceanGate […] per poter vivere per una settimana nella nave da spedizione. Sabato, Hamish Harding, esploratore britannico e uomo d’affari, direttore della Action Aviation […] aveva condiviso su Instagram alcune immagini a fianco al batiscafo spiegando che finalmente le operazioni sarebbero iniziate perché «una finestra di bel tempo si era aperta».
Harding ha 58 anni ed è un collezionista di Guinness World Record: attraversate di oceani in solitaria sino alla più rapida circumnavigazione della Terra via aereo dai due poli. Nel 2016 era nella spedizione che aveva accompagnato Buzz Aldrin, l’astronauta che arrivò sulla Luna con Armstrong e Collins, al Polo Sud facendone l’uomo più anziano a raggiungere l’estremo sud del mondo.
Quattro anni dopo aveva invece accompagnato Giles, il figlio dodicenne, nello stesso posto per farlo diventare all’opposto di Aldrin il più giovane esploratore del Polo Sud. Membro del The Explorers Club, sede a New York, una sorta di gotha di ricercatori ed esploratori capaci di conquistare record e fare scoperte, Harding è pure un pilota professionista, basato a Dubai. Nel giugno del 2022 era stato a bordo del Blue Origin’s New Shepard di Jeff Bezos.
Era elettrizzato, raccontano, quando seppe che il viaggio alla scoperta del Titanic si sarebbe fatto e che lui era stato scelto fra i quattro passeggeri. Jannicke Mikkelson, esploratore e amico, di lui ha detto: «Non riesce a stare fermo, se non lavora duro, allora è perché sta facendo un’esplorazione molto tosta». […] L’ultima sua immagine è stata presa domenica, sta sul batiscafo, osserva il mare e indossa una tuta con il logo “Titanic expedition crew”.
Con Hamish c’erano due pachistani naturalizzati britannici: il miliardario Shahzada Dawood, 48 anni, e il figlio Suleman, 19 […] .
È stata la famiglia a confermare che erano a bordo e a dire che «ora tutti stiamo pregando Allah perché siano vivi e tornino a casa».
[…] Anche lui aveva affidato a Facebook riflessioni e commenti prima di partire mostrandosi eccitato e rassicurato anche dal team di sub che avrebbe accompagnato lui e il figlio […] sui fondali.
«Il team – ha scritto – è composto da esploratori leggendari, alcuni di questi hanno oltre 30 immersioni verso il Titanic dal 1980». Incluso PH. Nargeolet, il settantasettenne esploratore, direttore e cofondatore di una compagnia che detiene i diritti sui rottami del Titanic, nonché ex comandante nella Marina francese. «Non ho paura di morire, penso che accadrà in giorno», disse in un’intervista ala France Bleu Radio nel 2020 rispondendo a una domanda sui rischi dell’immersioni.
Un malfunzionamento all'origine della tragedia. Sottomarino Titan, arriva la conferma: tutti morti per una catastrofica implosione | Inutile la corsa contro il tempo. L’epilogo di una triste vicenda che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso. Una “catastrofica implosione” e la morte istantanea di tutti e cinque i passeggeri. Redazione su Il Riformista il 22 Giugno 2023
Una “catastrofica implosione” e la morte istantanea di tutti e cinque i passeggeri. E’ la tragedia che si è consumata negli abissi dell’oceano per il Titan, il sommergibile che osava sfidare la maledizione del Titanic portando facoltosi turisti ad osservare i resti del famoso relitto a quasi 4.000 metri di profondità.
Dopo giorni di ricerche disperate, i rottami del sottomarino di OceanGate disperso da domenica sono stati trovati proprio accanto al fantasma del Titanic, con la stessa società e la Guardia costiera americana che in serata hanno annunciato la morte dell’equipaggio. La gelata sulle poche speranze ancora rimaste di ritrovare il veicolo e i suoi passeggeri ancora in vita era arrivata già in mattinata con il tweet delle autorità Usa sul ritrovamento dei detriti. Un cinguettio di poche parole con il quale la Guardia costiera, pur non sbilanciandosi ancora in dichiarazioni e annunci ufficiali, aveva di fatto lasciato intendere che per i cinque avventurieri ormai era finita.
Morti accanto al relitto del Titanic: trovate parti del sottomarino
Il robot schierato per setacciare i fondali a caccia del sottomarino ha rinvenuto il telaio di atterraggio del batiscafo e la sua parte posteriore assieme ad altri tre pezzi proprio vicino alla prua del Titanic. Il veicolo è imploso istantaneamente per una “catastrofica perdita di pressione”, hanno spiegato in serata le autorità, confermando i timori degli esperti che avevano ipotizzato un cedimento strutturale dovuto alla pressione o a un malfunzionamento.
Al quarto giorno di ricerche, le chance di riuscire a salvare l’equipaggio erano d’altra parte ridotte al lumicino considerato il freddo gelido e l’ossigeno molto probabilmente esaurito se il batiscafo fosse stato ancora integro. Nonostante questo i ricercatori, complice il bel tempo, hanno continuano senza sosta e con un’urgenza sempre maggiore la loro attività, affiancati da personale medico specializzato con al seguito una camera iperbarica in grado di contenere sei persone, pronta all’uso qualora ci fosse stato il miracolo.
Le autorità costiere americane e canadesi sono state affiancate da quelle del Regno Unito. Londra ha infatti inviato un aereo militare della Raf con equipaggiamento specializzato e con a bordo un ufficiale sommergibilista, il tenente di vascello Richard Kantharia, esperto conoscitore della guerra sottomarina e delle operazioni di immersione.
Un dispiegamento di forze straordinario che però non ha potuto nulla per salvare la vita all’amministratore delegato di OceanGate Stockton Rush, al miliardario britannico Hamish Harding, al francese Paul-Henry Nargeolet e all’uomo d’affari pachistano e a suo figlio Shahzada e Suleman Dawood. Davanti a una tragedia del genere le polemiche su OceanGate e il suo ceo non si placano. Nel mirino delle critiche c’è la struttura del sommergibile, operato tramite un controller per videogame Logitech F710, la mancanza di controlli sulla sicurezza ma anche i ritardi nel lanciare l’allarme una volta persi i contatti.
Il Titan, così come i veicoli simili, era soggetto ad una supervisione regolamentare molto limitata e questo – secondo i critici – ha aperto la strada a scorciatoie in termini di sicurezza da parte della società. Viaggiare sul sommergibile di OceanGate era “un’operazione kamikaze”, ha raccontato Arthur Loibl, il 61enne tedesco che due anni fa ha compiuto la stessa immersione. Gli esperti ritengono che uno dei problemi del sottomarino fosse il suo ripetuto utilizzo: per la sua struttura era infatti adeguato alla traversata sott’acqua per un numero limitato di volte, non per immergersi spesso come invece ha fatto. I molteplici viaggi potrebbero infatti aver indebolito la struttura, causandone il catastrofico collasso.
E suonano ormai come un sinistro presagio le parole che l’amministratore delegato Rush aveva pronunciato in un podcast del 2022, quando aveva sostenuto che la sicurezza era un “puro spreco”: “Se si vuole rimanere al sicuro non ci si deve alzare dal letto, non si deve entrare in macchina, non si deve fare niente”. Il risultato stasera è sotto gli occhi del mondo.
Sottomarino Titan, Usa dispongono di un sistema acustico top secret per ascoltare il silenzio dell’Oceano Atlantico. Un sistema di rilevamento acustico top secret militare Usa, progettato per individuare i sottomarini nemici, ha rilevato per primo l’implosione del Titan, poche ore dopo che il sommergibile aveva iniziato la sua missione. Redazione su Il Riformista il 23 Giugno 2023
Un alto funzionario militare statunitense ha affermato che il sistema acustico della Marina degli Stati Uniti ha rilevato una “anomalia” domenica, probabilmente l’implosione fatale del Titano. La Marina è tornata indietro e ha analizzato i suoi dati acustici dopo che il sommergibile Titan è stato denunciato come disperso domenica.
Il sistema americano top secret
Giovedì i funzionari della Guardia Costiera hanno annunciato che l’imbarcazione ha subito una catastrofica implosione, uccidendo tutti e cinque a bordo. Quell’anomalia era “coerente con un’implosione o un’esplosione nelle vicinanze generali di dove stava operando il sommergibile Titan quando le comunicazioni erano perse”. Il funzionario ha parlato a condizione di anonimato per discutere di un sistema di rilevamento acustico sensibile. La Marina ha trasmesso le informazioni alla Guardia Costiera, che ha continuato la sua ricerca.
“Il sommergibile Titan che trasportava cinque persone sul Titanic è imploso vicino al luogo del naufragio e ha ucciso tutti a bordo” hanno detto giovedì le autorità, ponendo una tragica fine a una saga che includeva un’urgente ricerca 24 ore su 24 e un veglia mondiale per la nave scomparsa.I funzionari della Guardia Costiera hanno dichiarato durante una conferenza stampa di aver informato le famiglie dell’equipaggio
“Questa è stata un’implosione catastrofica della nave”, ha detto il contrammiraglio John Mauger, del Primo Distretto della Guardia Costiera. Il CEO e pilota Stockton Rush. Gli altri a bordo erano: due membri di un’importante famiglia pakistana, Shahzada Dawood e suo figlio Suleman Dawood; l’avventuriero britannico Hamish Harding; e l’esperto del Titanic Paul-Henri Nargeolet.
La maledizione del Titanic: la moglie del Ceo OceanGate pronipote di due vittime del naufragio. Cristiana Flaminio su L'Identità il 22 Giugno 2023
La moglie di Stockton Rush, Ceo di OceanGate, la compagnia che organizza spedizioni turistiche sottomarine, tra cui quella del sommergibile Titan sparito da diversi giorni, è la bis-nipote di due vittime del naufragio del Titanic. Lo riferiscono i media americani, tra cui Fox News che cita un report. Secondo cui Wendy Rush sarebbe la pronipote di Isador e Ida Straus, due dei passeggeri imbarcati in prima classe sulla nave “inaffondabile” che finì sul fondo dell’Oceano Atlantico il 15 aprile del 1912.
La storia dei signori Straus, così come riportata dai media internazionali, sarebbe da film e infatti fu inclusa in una delle sottotrame del film cult Titanic di James Cameron. La signora Ida, sposata da quarant’anni al marito, si rifiutò di imbarcarsi su una della scialuppe di salvataggio. Per non abbandonare il marito preferì morire con lui nel naufragio. La genealogia sarebbe stata ricostruita da Joan Adler, executive director della Straus Historical Society. Isador e Ida avevano avuto una figlia, Minnie, che sposò il dottor Richard Weil nel 1905. Ebbero un figlio, Richard Weil jr. Suo figlio, Richard Weil III è il padre di Wendy Rush che, a sua volta, ha sposato Stockton Rush.
“La maledizione del Titanic”. La moglie del pilota del Titan e la storia dei prozii morti sul Titanic, l’incredibile coincidenza. Redazione Web su L'Unità il 22 Giugno 2023
Le speranze di trovare vivi i cinque a bordo del piccolo sottomarino Titan sono sempre di meno con il passare delle ore. E sin da subito sui social si è parlato di “maledizione del Titanic”: la navicella si era immersa nella profondità degli abissi proprio per un’escursione ai resti della famosa nave affondata nell’0ceano nel 1912. E c’è una incredibile coincidenza che riguarda uno dei passeggeri della sfortunata missione: Stockton Rush, il Ceo e pilota di OceanGate, la compagnia che organizza le immersioni, ha un legame con la drammatica vicenda del Titanic. Sua moglie, Wendy Rush, nata Hollings Weil, è la pronipote di Isidor e Ida Straus, due passeggeri che morirono proprio durante l’affondamento del Titanic. Ora nella stessa sciagurata situazione si troverebbe suo marito.
Wendy è la direttrice delle comunicazioni di OceanGate ed è stata in tre spedizioni sul relitto del Titanic. I suoi prozii, Isidor e Ida Straus erano tra i passeggeri più ricchi del Titanic, proprietari del grande magazzino Macy’s. Quando il Titanic urtò contro l’iceberg che lo fece calare a picco negli abissi, Isidor fu visto rifiutare il salvataggio sulla scialuppa finchè non fossero stati messi in salvo tutti i bambini e le donne. Sua moglie Ida rifiutò di mettersi in salvo per non lasciare suo marito. Decisero di morire restando abbracciati. La loro storia è stata raccontata dai superstiti di quel naufragio e il film di James Cameron gli ha dedicato una scena nel pluripremiato film del 1997 che ritrae due ricchi anziani abbracciati sul letto nella loro cabina nel momento in cui viene sommersa dalle acque.
Wendy Rush discende da una delle figlie degli Strause, Minnie, che sposò il dottor Richard Weil nel 1905. Il loro figlio, Richard Weil Jr., in seguito ha lavorato come presidente di Macy’s New York, e suo figlio, il dottor Richard Weil III, è il padre di Wendy Rush. Secondo gli archivi del New York Times il corpo di Isidor fu trovato due settimane dopo, quello di Ida non fu più trovato. Una storia tremenda che sembra oggi ripetersi per la missione del Titan, immersa proprio per osservare i resti del Titanic, l’enorme barca “inaffondabile”.
Redazione Web 22 Giugno 2023
Sottomarini: i 5 peggiori incidenti della storia. Edoardo Frittoli su Panorama il 22 Giugno 2023
Il sommergibile argentino San Juan scomparso ha riportato alla memoria episodi del passato: Dal "Kursk" alla Guerra Fredda, al secondo conflitto mondiale per finire con la tragedia del Titan
Mentre proseguono le ricerche del sottomarino argentino San Juan scomparso il 15 novembre, con a bordo 44 membri dell'equipaggio ormai dato per morto, tornano alla memoria le storie delle 5 peggiori sciagure accadute ai sommergibili.
US NAVY - USS "THRESHER" (SSN-593) Sudest di Cape Cod, 10 aprile 1963 129 vittime Quello del Thresher è ad oggi il più grave incidente occorso ad un sottomarino. Il sommergibile scomparve nelle profondità marine durante una serie di test sulla navigazione in profondità.
Il sottomarino nucleare aveva segnalato alla nave d'appoggio Skylark alcuni problemi tecnici minori prima di inabissarsi in pochi minuti. Al recupero partecipò anche il batiscafo "Trieste" assieme ad altre imbarcazioni di soccorso che alla ne individuarono il relitto ad una profondità di 2.560 metri. La perizia tecnica individuò nella causa dell'incidente la rottura di una conduttura alla base del black out elettrico che rese ingovernabile il sottomarino.
MARINA MILITARE DELLA FEDERAZIONE RUSSA - KURSK (K-141) Mare di Barents, 12 agosto 2000 118 vittime Il Kursk era uno dei ori all'occhiello della Marina Russa quando fu varato nel 1994, lungo ben 154 metri e in grado di portare testate nucleari alla ragguardevole velocità di 30 km/h in immersione. Durante un'esercitazione avvenne la fatalità, causata dall'esplosione accidentale dei siluri per una perdita improvvisa di perossido di idrogeno. La devastante forza della detonazione uccise sul colpo quasi tutto l'equipaggio. Solamente 23 militari raggiunsero vivi il fondale profondo 100 metri. Alla notizia, la Marina britannica e quella norvegese offrirono aiuto immediato, che le autorità russe tuttavia rifiutarono. Durante la permanenza sott'acqua i superstiti riuscirono inizialmente a resistere. Le riserve d'ossigeno d'emergenza, garantite da un generatore chimico, furono purtroppo contaminate dall'acqua marina infiltrata in seguito all'incidente nel troncone del Kursk appoggiato sul fondale. Un'altra reazione chimica fu fatale ai pochi sopravvissuti, sia per la fiammata generata dalla reazione chimica che per la rapida consunzione dell'ossigeno rimanente. Il Presidente Vladimir Putin attese per 5 giorni l'esito del recupero e fu uno dei momenti di massima crisi del consenso di tutta la sua lunga carriera politica.
US NAVY - USS "SCORPION" (SSN-589) Sudest delle Isole Azzorre, 21 maggio 1968 99 vittime. Lo "Scorpion" era uno dei sottomarini nucleari della classe Skipjack varato nel luglio 1960. Nel maggio del 1968 incrociava a circa 50 miglia nautiche a sud delle Azzorre quando scomparve senza lanciare alcun segnale di allarme. Il 5 luglio fu dichiarato ufficialmente disperso dalle unità di soccorso. Il suo relitto fu ritrovato soltanto nell'ottobre successivo da un batiscafo a più di 3.000 metri di profondità. L'incidente fu probabilmente causato dall'esplosione accidentale di un siluro.
ROYAL NAVY - HMS "THETIS" riattivato come HMS "THUNDERBOLT" (N-25) Canale di Sicilia, 14 marzo 1943 99 vittime nel 1939, altre 63 nel 1943 Il sottomarino britannico è noto per essere stato vittima di due incidenti. Varato nel luglio 1938, fu subito impiegato allo scoppio della guerra l'anno successivo. Durante l'ultima fase di addestramento all'immersione per una falla a prua che invase i canali dei siluri. Morirono tutti i 99 membri dell'equipaggio. Recuperato e riparato, il sottomarino fu riattivato con il nuovo nome HMS "Thunderbolt" . Tre anni dopo, durante le operazioni nel canale di Sicilia precedenti lo sbarco alleato, fu identificato e affondato dalla corvetta della Regia Marina C-15 "Cicogna" . Soltanto 4 furono i superstiti, perché la prua rimase a galla per diverse ore. Tutti gli altri morirono soffocati.
MARINA MILITARE SOVIETICA - GOLF II (K-129) Oceano Pacifico, 8 marzo 1968 98 vittime Il sommergibile, che trasportava testate balistiche, scomparve dopo essere salpato dalla costa della Kamchatka alla ne di febbraio del 1968. L'ultima comunicazione riguardò l'avvenuta immersione. La successiva missione di ricerca della Marina sovietica non portò ad alcun risultato. Il relitto del sommergibile sarà ritrovato a 4,900 metri di profondità dalla nave della Marina Usa USS "Halibut" nell'agosto successivo. Non si seppe nulla delle cause dell'incidente.
TITAN Il 19 giugno 2023 si perdono i contatti con il Titan, un sommergibile con cui 5 persone, 4 ospiti ed il pilota del sottomarino, si stavano dirigendo ad oltre 3800 metri di profondità per visitare il relitto del Titanic. Le ricerche non hanno dato fino a questo momento l'esito sperato e nel sottomarino non ci sarebbe più ossigeno a disposizione.
Estratto dell'articolo di Emanuela Minucci per repubblica.it il 23 giugno 2023.
Il sommergibile Titan diretto al Titanic, scomparso domenica con cinque persone a bordo, ha subito, letteralmente, una «catastrofica implosione», o perdita di pressione come spiegato ieri sera dal contrammiraglio della guardia costiera statunitense John Mauger alla CNN. […]
Ma che cos'è una «implosione catastrofica»? L’opposto di un’esplosione, un'implosione è quando un oggetto collassa improvvisamente e violentemente su se stesso. A quelle profondità un’incalcolabile quantità di pressione grava sul sommergibile e anche il più piccolo difetto strutturale potrebbe rivelarsi disastroso, come spiegano oggi gli esperti. «Quella pressione è pari a 350 volte quella che si registra sulla Terra. A queste condizioni qualsiasi piccola perdita potrebbe causare un’implosione immediata in grado di «coriandolizzare» il velivolo, ha affermato Tom Maddox, CEO di Underwater Forensic Investigators, che aveva già partecipato a una spedizione sul Titanic nel 2005.
[…] L’equipaggio avrebbe capito che cosa stava succedendo? La risposta è no. C’era talmente tanta pressione sul sommergibile che l’implosione sarebbe avvenuta in una frazione di millisecondo. Un’«implosione catastrofica» avviene a una velocità di 800 km all’ora, ha detto alla CNN Aileen Marty, ex ufficiale di marina e professore alla Florida International University.
«A queste condizioni il cervello umano non ha neanche il tempo di rendersi conto di ciò che sta accadendo. Quindi l’intero mezzo sarebbe collassato violentemente su se stesso prima che le persone al suo interno potessero accorgersi che c’era un problema», ha detto Marty. E ha aggiunto: «Di certo non si sono potuti nemmeno rendere conto che stavano per morire. Alla fine, tra i tanti modi in cui possiamo trapassare questo è indolore».
[…]
DAGONEWS il 23 giugno 2023.
Un finanziere di Las Vegas ha rifiutato posti scontati sul Titan per lui e suo figlio dopo aver sollevato dubbi sulla sicurezza del mezzo, ricevendo, però, rassicurazioni da parte di Stockton Rush che gli ha detto: «Il fondo dell'Atlantico è più sicuro che attraversare la strada».
Jay Bloom ha condiviso dei messaggi tra lui e il CEO di OceanGate, Stockton Rush, in cui si evince che gli è stato offerto uno sconto di oltre 200mila dollari per un viaggio per lui e suo figlio a bordo del Titan: in sostanza si chiedevano 150mila euro a testa al posto dei 250mila.
Bloom, un sostenitore del partito democratico che è stato fotografato con Joe Biden , ha scritto in un post su Facebook: «Ho espresso preoccupazioni per la sicurezza e Stockton mi ha detto: “Anche se ovviamente c'è un rischio, è molto più sicuro che volare in elicottero o persino fare immersioni subacquee”.
Era assolutamente convinto che fosse più sicuro che attraversare la strada. Sono sicuro che credeva davvero in quello che diceva. Ma si sbagliava di grosso».
A febbraio di quest'anno Stockton Rush ha chiesto a Bloom e suo figlio Sean di fare un'immersione sul Titan a maggio. Entrambe le immersioni di maggio sono state rinviate a causa del maltempo e l'immersione è stata rinviata al 18 giugno, data dell’ultimo fatale viaggio.
Bloom ha detto: «Gli ho detto che a causa della riprogrammazione non potevamo andare fino al prossimo anno. I nostri posti sono andati a Shahzada Dawood e suo figlio di 19 anni, Suleman Dawood, due dei tre che hanno perso la vita. Io e mio figlio ci prenderemo un attimo per riflettere. Del domani non c’è certezza».
Rush aveva ripetutamente cercato di rassicurare Bloom sulla sicurezza del Titan e sulla rotta verso il relitto del Titanic. Ma il figlio di Bloom era preoccupato per i rischi dopo aver parlato con un amico. È stato in quel momento che il milionario ha affrontato Rush per farsi spiegare cosa sarebbe successo se avessero incontrato una balena o come il mezzo avrebbe resistito alla pressione. Ma Rush era sicuro del suo progetto: «Non c'è stato nemmeno un incidente in 35 anni tra i sottomarini non militari».
Estratto da open.online il 23 giugno 2023.
«Sono colpito dalla somiglianza con il disastro del Titanic stesso, in cui il capitano è stato ripetutamente avvertito del ghiaccio davanti alla sua nave e tuttavia è entrato a tutta velocità in un campo di ghiaccio». Sono le parole di James Cameron, regista del film Titanic, commentando la tragedia del sommergibile Titan, in cui hanno perso la vita cinque persone. […]«Ho sospettato immediatamente che potesse essere un disastro e ho sentito nelle mie ossa quel dolore».
«Ho chiamato subito alcuni dei miei contatti nel mondo dei sommergibili. Nel giro di circa un’ora ho appreso ciò che era successo. Erano in discesa. Erano a 3500 metri, diretti verso il fondo a 3800 metri. Sono andate perse la comunicazione e il segnale. E questo non succede se non c’è stato un evento estremo. Infatti la prima cosa che mi è venuta in mente è stata un’implosione», ricorda il regista. […] E facendo un parallelo con il Titanic, Cameron ha aggiunto: «Il comandante era stato avvertito dell’iceberg ma era andato avanti. Stupefacente che, come nel 1912, tanti avvertimenti siano rimasti inascoltati».
«Ora abbiamo un altro relitto che purtroppo si basa sugli stessi errori di non prestare attenzione agli avvertimenti. La compagnia OceanGate era stata avvertita dei pericoli», ha concluso. […]
Estratto dell'articolo di V.Ma. per il “Corriere della Sera” il 23 giugno 2023.
Le spedizioni di OceanGate sul fondale del Titanic erano turistiche, ma il turismo non era il fine ultimo dell’amministratore delegato Stockton Rush: lui e i suoi collaboratori volevano «scoprire parti inesplorate dell’oceano», spiegano i membri del suo staff alla Cnn. […]
diversi esperti dell’industria dei sommergibili avevano lanciato l’allarme sin dal 2018 sulle possibili conseguenze «catastrofiche» dell’uso di uno scafo sperimentale come quello del Titan, per arrivare a profondità assai maggiori dei consueti sommergibili, grazie ad uno scafo leggero, in fibra di carbonio, che però alla fine non ha retto alla pressione[…]
Le famiglie dei cinque passeggeri del Titan — oltre a Rush, il miliardario britannico Hamish Harding, l’imprenditore pachistano Shahzada Dawood con il figlio diciannovenne Suleman e Paul-Henri Nargeolet, ex capitano della Marina francese — sono state le prime ad essere informate della morte dei loro cari.
Estratto dell’articolo di Sandro Calice per rainews.it il 23 giugno 2023.
[…] Un anno fa il corrispondente della CBS David Pogue ha visitato Titan, “invenzione” di Stockton Rush, Ceo della OceanGate, per portare turisti in fondo all’oceano a visitare il Titanic. E ora scomparso con altre 4 persone durante il terzo viaggio del Titan.
Quando a un certo punto dell’intervista Pogue ha chiesto di vedere i comandi, Rush ha risposto: “Facciamo funzionare tutto con questo controller di gioco”, mostrando fiero quello che pare essere a tutti gli effetti un Logitech G Wireless Gamepad F710 modificato, un controller di gioco di terze parti da 50 dollari per Xbox 360 e PC uscito nel 2010, quindi vecchio di 13 anni, un evo nel mondo tecnologico.
La risatina del giornalista si è infranta contro la serenità di Rush, assolutamente convinto della bontà delle sue scelte. “Sembra che questo sommergibile abbia alcuni elementi di MacGyver e di ingegneria“, ha commentato Pogue.
Il gamepad è solo il coniglio dal cilindro di uno spettacolo scritto da anni, una storia di regole non rispettate, di pressapochismo, di furbizia, di rapporti sciamanici con la tecnica, di creduloni e imbrogli. […]
Estratto dell’articolo di Leonardo Di Paco per “La Stampa” il 23 giugno 2023.
[…] Il gamepad da utilizzare come sterzo è solo la punta dell'iceberg di un progetto ingegneristico pieno di lacune e caratterizzato da scelte sui materiali quantomeno discutibili se si considera lo scopo del mezzo, cioè raggiungere ambienti super ostili per l'uomo a incredibili profondità.
Nello stesso video, infatti, sempre Stockton mostrava il sistema scelto per illuminare l'interno del Titan spiegando che le luci erano state acquistate in un banalissimo negozio di articoli da campeggio.
Anche il sistema di zavorre del Titan era piuttosto improvvisato. Niente soluzioni hi tech, solamente qualche grosso tubo, di quelli utilizzati nelle costruzioni, appiccicato sullo scafo per farlo andare giù più in fretta. «È chiaro che ci sono dei rischi, ma se vuoi essere sicuro che non ti accada nulla, allora non alzarti dal letto» rispondeva Rush, laurea in Ingegneria aerospaziale, al giornalista che gli chiedeva conto delle discutibili misure di sicurezza del mezzo. […]
Estratto dell’articolo di Enrico Franceschini per repubblica.it il 23 giugno 2023.
La tentazione è invocare uno stereotipo: la “maledizione” del Titanic. Ma non esistono sortilegi […]: dietro ogni disastro ci sono quasi sempre errori umani, guasti meccanici, disattenzioni. Come minimo, allora bisogna parlare di un amaro destino che bussa due volte alla stessa porta. O di un’ossessione che, nata da una tragedia, finisce per ripeterla.
Soltanto così sembra di poter spiegare la straordinaria coincidenza emersa sullo sfondo del sottomarino scomparso: il fatto che la moglie di uno dei cinque passeggeri a bordo del Titan sia la pronipote di due dei passeggeri inabissatisi un secolo fa insieme al transatlantico.
E non di due passeggeri qualunque del Titanic: due dei più ricchi. Due entrati nel mito, anche grazie al cinema, perché il film cult di James Cameron, quello che lanciò Leonardo DiCaprio e Kate Winslet nel ruolo dei protagonisti, riserva una delle scene più drammatiche proprio a questa coppia, morta per avere rifiutato di salire sulle scialuppe di salvataggio.
Partiamo da Stockton Rush, il 61enne fondatore e amministratore delegato della OceanGate Expeditions, […] l’uomo ha preso le funzioni di pilota in questa spedizione, mettendosi al comando del Titan. […] sua moglie, Wendy Rush, anche lei appassionata del Titanic (ha partecipato a tre spedizioni precedenti), attualmente direttrice delle comunicazioni della OceanGate, è una pro-pronipote, ossia la figlia di un pronipote, di Isidor e Ida Straus, due passeggeri di prima classe che erano a bordo del Titanic quando la nave da crociera affondò, nel 1912, dopo avere colpito un iceberg.
Gli Straus erano tra i più ricchi passeggeri a bordo del transatlantico. Isidor, insieme al fratello Nathan, aveva la proprietà dei famosi grandi magazzini Macy’s di New York […]. Alcuni dei sopravvissuti raccontarono di avere notato Isidor: perché rinunciò più volte a prendere posto su una scialuppa per lasciarlo a donne e bambini. […] Isidor avrebbe lasciato il proprio posto anche alla moglie Ida, ma quest’ultima rifiutò a sua volta di mettersi in salvo: “Non me ne vado senza di te”, avrebbe detto. Testimoni li videro abbracciati, mentre la nave si inabissava.
Una storia simile, che pare inventata invece è vera, non poteva non finire in “Titanic”, il film del 1997 che vinse 11 Oscar, […]. Per cui la storia di Isidor e Ida, i due ricchi vecchietti che rinunciano a salvarsi per fare posto a donne e bambini e vanno a fondo abbracciati, la conoscono quasi tutti.
[…] La storia a volte si ripete. La prima volta in tragedia. E la seconda in questo caso pure, a meno di un miracolo.
Estratto da open.online il 27 giugno 2023.
Suleman Dawood, 19enne figlio del magnate pakistano Shahzada Dawood, è la vittima più giovane della «catastrofica implosione» del sommergibile Titan. E come rivelato in un’intervista alla Bbc da Christine Dawood, madre del giovane 19enne, il figlio non sarebbe neanche dovuto salire a bordo.
La donna smentisce quindi la versione della cognata, zia di Suleman e sorella di suo marito. Secondo Azmeh Dawood, il nipote aveva «fatto quel viaggio per assecondare suo padre, che era ossessionato dal Titanic. Lui era terrorizzato, […] ma ha acconsentito solo perché era importante per il padre».
Non è andata così invece secondo quanto racconta la madre del ragazzo. Lei e il marito avevano prenotato due posti […] alcuni anni prima. Poi le restrizioni dovute al Covid avevano fermato tutto ed erano stati costretti a rinviare il viaggio. Alcuni giorni fa […] tutta la famiglia […] è salita sulla Polar Prince: quand’è stato il momento di imbarcarsi sul Titan, la donna ha ceduto il suo posto al figlio.
«Ho fatto un passo indietro e ho lasciato spazio a Suleman perché voleva veramente andare», ha raccontato all’emittente britannica, «ero veramente felice per entrambi perché era qualcosa che volevano da molto tempo». Il figlio aveva anche portato con sé il cubo di Rubik, perché aveva intenzione di battere il record mondiale: «Mi disse che voleva risolvere il cubo di Rubik a 3.700 metri sotto il livello del mare». […]
Il racconto della zia: "L'ha fatto per mio fratello, ossessionato dal Titanic". La tragedia del Titan e la morte del 19enne Suleman: “Nel sottomarino per la festa del papà, era terrorizzato, adesso è nella storia del Titanic”. Redazione su Il Riformista il 23 Giugno 2023
“Una esperienza di legame“. Aveva deciso di andare nel sottomarino Titan per accontentare il papà perché il weekend scorso (18 giugno) negli Stati Uniti, così come in gran parte, del mondo si celebrava la festa del papà, ricorrenza che in Italia è prevista per il 19 marzo.
“Mio nipote aveva confessato a un nostro parente di non sentirsi pronto” spiega in una intervista Azmeh Dawood, sorella maggiore dell’uomo d’affari di origina pakistana Shahzada Dawood, tra le cinque vittime, insieme al figlio 19enne Suleman, della catastrofica implosione del Titan poche ore dopo la partenza verso il relitto del Titanic che si trova a circa 3800 metri di profondità nell’Oceano Atlantico, al largo delle coste di Terranova in Canada.
Il giovane Suleman era spaventato e terrorizzato dall’escursione da 250mila euro in fondo al mare. L’ha fatto per accontentare il genitore nel giorno della festa del papà. “Adesso – racconta la zia – resterà nella storia dopo questa tragedia”.
A Nbc News la zia racconta in video l’angoscia vissuta nei quattro giorni in cui il Titan era sparito, poi ieri il drammatico quanto scontato epilogo. Azmeh ricorda che il fratello era “fin da piccolo era ossessionato dal Titanic”.
“Mio nipote è diventato parte della leggenda del Titanic perché questa tragedia verrà per sempre associata al naufragio della nave” aggiunge la donna sottolineando che il fratello “ha così realizzato il suo sogno”.
Esplosione rilevata nei giorni scorsi
Intanto dopo aver cristallizzato l’esplosione del Titan, emergono nuovi dettagli nelle indagini sul sottomarino scomparso domenica 18 giugno, i cui resti sono stati ritrovati giovedì 22. Un sistema di rilevamento acustico top secret in dotazione alle Forze armate Usa, sviluppato per individuare sottomarini da guerra, potrebbe aver rilevato giorni fa l’implosione del Titan, il sommergibile distrutto a causa di una decompressione catastrofica durante una immersione turistica verso il relitto della nave da crociera Titanic.
A riferirlo al “Wall Street Journal” ufficiali coinvolti nelle attività di ricerca del sommergibile proseguite per giorni sino a ieri, quando la Guardia costiera Usa ha riferito d’aver individuato i resti del sommergibile.
Secondo le fonti, la Marina militare statunitense ha utilizzato il sistema di rilevamento appena ha ricevuto la notizia della sparizione del Titan, nel pomeriggio di domenica. poche ore piu’ tardi, il sistema avrebbe rilevato il suono di un’implosione vicino al sito dove ieri sono stati ritrovati i rottami.
“Il mezzo è imploso e i detriti sono dovuti alla catastrofica perdita della camera di decompressione”, spiega il contrammiraglio John Mauger, della Guardia costiera statunitense, durante una conferenza stampa. I rottami – cinque in tutto – sono stati rinvenuti sul fondale a circa 500 metri dai resti dello storico transatlantico.
Le cinque vittime
Le cinque persone che hanno perso la vita sono l’amministratore delegato dell’azienda, Stockton Rush; Shahzada Dawood, insieme al figlio Suleman; il miliardario britannico Hamish Harding; e l’esploratore francese Paul-Henri Nargeolet. “Queste persone erano esploratori nel vero senso della parola, accomunati dallo spirito di avventura e dalla passione per gli oceani e l’esplorazione: siamo vicini alle famiglie dopo questa tragedia”.
Tutte le “profezie” dei Simpson: dall’elezione di Trump alla tragedia del Titan. Dal 1987 gli appassionati individuano nelle puntate della serie anima cult premonizioni di episodi storici più o meno pronosticabili o straordinari. Redazione Web su L'Unità il 23 Giugno 2023
Per la maggior parte coincidenze, pronosticabili o davvero straordinarie. Questa volta un tragico presagio, più o meno pretestuoso: una puntata in cui Homer scendeva nelle profondità dell’Oceano alla guida di un sottomarino e rimaneva drammaticamente incastrato. È diventato virale sui social quello spezzone dalla 17esima stagione, uscito negli Stati Uniti nel 2006 e in Italia nel 2007, intitolato “Homer e la paranoia della paternità”, nei giorni della tragedia del Titan, il sommergibile dell’OceanGate con cinque persone a bordo disperso e secondo le prime ipotesi imploso in una missione di esplorazione del relitto del Titanic. È soltanto l’ultima di quelle che vendono definite “profezie” dei Simpson, la serie animata che dal 1987 è diventata un cult mondiale.
Da tempo ormai appassionati più o meno attenti del prodotto ideato da Matt Groening e ambientato nella cittadina di Spingfield rintracciano nelle puntate premonizioni di fatti ed episodi più o meno epocali. Una specie di Nostradamus spezzettato in forma di cartone animato. Riferimenti più o meno precisi vengono ravvisati nelle peripezie della famiglia più o meno media americana. E quelle coincidenze diventano virali, rilanciate dai media, puntualmente condivise e commentate.
Forse l’esempio più clamoroso: l’elezione a sorpresa del tycoon Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America nel 2017 era stata anticipata in una puntata del 2000 che prevedeva la scalata del miliardario a Washington nel 2030. E non solo: in una puntata del 1999 Homer e l’attore Mel Gibson lanciavano un assalto al Congresso americano, come i sostenitori di Trump avrebbero fatto il 6 gennaio 2021, elucubrando mai provate frodi elettorali a favore di Joe Biden. “Il giorno più buio della più grande democrazia del mondo”.
Diciassette anni prima dell’esplosione del virus dell’Ebola Marge sfogliava un libro dal titolo Il curioso caso di George e il virus Ebola. Lisa nella 22esima stagione aveva previsto nel suo toto Nobel la vittoria del fisico Bengt Holmström. Diverse infatti anche le premonizioni tecnologiche e scientifiche: nel 1995 annunciavano un modello di smartwatch arcaico ma nei fatti molto simile a quello realizzato anni dopo; Homer nella decima stagione su input della figlia Lisa scarabocchiava alla lavagna un’equazione che il Cern avrebbe trovato quasi identica a quella del bosone di Higgs. E poi già nel 1994 gli alunni della scuola di Springfield si cimentavano con il correttore automatico su uno schermo tech mentre in una puntata del 1998 faceva la sua comparsa un “simulatore del lavoro agricolo” ad anticipare la realtà virtuale.
Un frame anticipava poi già nel 1998 l’acquisizione della casa di produzione 20th Century Fox da parte della Walt Disney avveratasi quasi vent’anni dopo. In un altro frame di Londra sorvolata da Lisa appariva il grattacielo Shard realizzato da Renzo Piano nel 2009, 14 anni dopo la messa in onda della puntata. La statua del David di Michelangelo nella seconda stagione veniva coperta a causa della sua nudità come sarebbe successo nel 2016 a San Pietroburgo. Nel 2012 Lady Gaga si esibiva nella cittadina liberandosi in aria tra la folla come la cantante e attrice statunitense avrebbe fatto al Superbowl nel 2017. E la lista, presumibilmente, è destinata ad allungarsi ancora e ancora. Redazione Web 23 Giugno 2023
L'editoriale di Mike Reiss. Il Titan e i Simpson, la “profezia” e il racconto del produttore a bordo: “Il disastro era incluso nel pacchetto”. L'episodio virale su TikTok nei giorni delle ricerche del sommergibile. Mike Reiss, showrunner e produttore dei Simpson: "Prima dell'immersione ho firmato un documento che descriveva i modi in cui potevo morire. Citava l’asfissia, la folgorazione, l’annegamento, lo schiacciamento. Ho salutato mia moglie con un bacio pensando che avrei potuto non rivederla più". Redazione Web su L'Unità il 23 Giugno 2023
Dopo Donald Trump Presidente degli Stati Uniti, il virus dell’Ebola, la realtà virtuale, l’iPod, anche la tragedia del Titan. I Simpson in qualche modo hanno predetto anche questa, un’altra “profezia”, come vengono puntualmente definite. E non è l’unica coincidenza tra la tragedia del sommergibile disperso al largo dell’Atlantico, in una missione di esplorazione del relitto del Titanic, e la saga animata cult in tutto il mondo. Il produttore dei Simpson Mike Reiss ha infatti raccontato la sua esperienza di immersione, l’anno scorso, nel sottomarino di OceanGate. “Ho visto la narrazione sui media passare dallo shock alla speranza, e quando la speranza è scomparsa, alla colpevolizzazione. Ma quando qualcuno muore scalando il Monte Everest, non è sempre colpa delle corde o dell’attrezzatura e neanche dello sherpa che ti ha accompagnato. A volte devi soltanto incolpare la montagna”.
L’episodio dei Simpson in questione risale al 2006, arrivato in onda in Italia nel 2007, 17esima stagione, intitolato “Homer e la paranoia della paternità”. Homer riceve una lettera in cui legge che Abe potrebbe non essere il suo vero padre. Potrebbe essere Mason Fairbanks. Così sembra provare anche un test del dna e così il protagonista comincia a frequentare il miliardario. Con Fairbanks decide di cercare un tesoro spagnolo in fondo all’oceano, a centinaia di metri sott’acqua. Homer, con il suo sommergibile si incaglia nelle profondità. Piuttosto emblematici i frame in cui i comandi dello scafo segnalano l’esaurimento dell’ossigeno.
Dopo esser svenuto il protagonista della saga resta in coma per tre giorni e comincia ad avere dei flashback della sua infanzia. Abe durante la degenza svela al figlio che suo padre era lui e che dopo averlo visto così felice con Mason aveva scambiato i campioni del test del dna. Lieto fine quando Homer comprende l’amore del vero padre e decide di rimanere con lui. L’episodio ha preso a circolare sui social, soprattutto su TikTok, nelle ore disperate delle ricerche del sommergibile disperso nell’Atlantico, prima del ritrovamento dei detriti e della notizia della presunta implosione dello scafo dopo l’immersione.
Reiss ha raccontato in un editoriale alla CNN di aver firmato, prima dell’immersione, una rinuncia “che descrive tutti i modi con i quali potresti morire. La morte viene menzionata tre volte nella prima pagina. Salutai mia moglie con un bacio prima di andarmene pensando che avrei potuto non rivederla più. Il disastro faceva parte del pacchetto”. Il documento citava: l’asfissia, la folgorazione, l’annegamento, lo schiacciamento. Le comunicazioni erano andate perse in tutte le quattro immersioni cui aveva partecipato. Il produttore aveva viaggiato nel Titan a luglio 2022, “è stata un’esperienza emozionante, maestosa, irripetibile, ma la catastrofe era sempre vicina nella tua mente”. L’esplorazione era durata dieci ore, due ore e mezza per scendere fino al fondo dell’oceano. “Mi sentii in uno stato di concentrazione e calma che non avevo mai provato prima. Nonostante l’eccitazione e la trepidazione mi addormentai durante la discesa”.
Il relitto era segnalato a soli 500 metri ma non riuscivano a trovarlo. Ci avevano messo tre ore, avevano collaborato tutti e cinque i passeggeri a bordo. “Non c’era panico, solo concentrazione”. Una cosa che aveva rassicurato Reiss nei giorni di ricerche era il fatto che nel sottomarino ci fosse anche Staockton Rush, co dell’azienda: “Sono certo che lui abbia meditato ogni possibilità di salvataggio, senza mai perdere il controllo, creando una sensazione di calma nell’equipaggio. A dispetto di come viene ritratto da alcuni media, era metodico e ossessionato dalla sicurezza”. Il produttore dice di aver perso un amico, “era un grande sognatore americano e i suoi sogni erano contagiosi. Alla fine la sua fortuna è finita, come sempre accade”. Redazione Web 23 Giugno 2023
(ANSA il 23 giugno 2023) - Un sistema di rilevamento acustico top secret della Marina Usa progettato per individuare i sottomarini nemici ha rilevato per primo l'implosione del Titan, ore dopo che il sommergibile aveva iniziato la sua missione. Lo riferisce il Wall Street Journal citando dirigenti della difesa Usa.
La Us Navy si è messa in ascolto non appena lo scafo ha perso le comunicazioni Poco dopo la sua scomparsa, il sistema ha rilevato quello che sospettava fosse il suono di un'implosione vicino al sito dei detriti scoperto oggi e ha riferito le sue scoperte al comandante sul posto.
"La Marina degli Stati Uniti ha condotto un'analisi dei dati acustici e ha rilevato un'anomalia coerente con un'implosione o un'esplosione nelle vicinanze generali di dove stava operando il sommergibile Titan quando le comunicazioni sono state interrotte", ha dichiarato un alto dirigente della Marina degli Stati Uniti al Wall Street Journal in una nota. "Anche se non definitiva, questa informazione è stata immediatamente condivisa con il comandante preposto all'incidente per assistere la missione di ricerca e il salvataggio in corso", ha aggiunto. La Marina ha chiesto che il sistema specifico utilizzato non sia nominato, citando ragioni di sicurezza nazionale.
Serena Di Ronza per l’ANSA il 23 giugno 2023.
Una "catastrofica implosione" e la morte istantanea di tutti e cinque i passeggeri. E' la tragedia che si è consumata negli abissi dell'oceano per il Titan, il sommergibile che osava sfidare la maledizione del Titanic portando facoltosi turisti ad osservare i resti del famoso relitto a quasi 4.000 metri di profondità.
Dopo giorni di ricerche disperate, i rottami del sottomarino di OceanGate disperso da domenica sono stati trovati proprio accanto al fantasma del Titanic, con la stessa società e la Guardia costiera americana che in serata hanno annunciato la morte dell'equipaggio. La gelata sulle poche speranze ancora rimaste di ritrovare il veicolo e i suoi passeggeri ancora in vita era arrivata già in mattinata con il tweet delle autorità Usa sul ritrovamento dei detriti.
Un cinguettio di poche parole con il quale la Guardia costiera, pur non sbilanciandosi ancora in dichiarazioni e annunci ufficiali, aveva di fatto lasciato intendere che per i cinque avventurieri ormai era finita. Il robot schierato per setacciare i fondali a caccia del sottomarino ha rinvenuto il telaio di atterraggio del batiscafo e la sua parte posteriore assieme ad altri tre pezzi proprio vicino alla prua del Titanic.
Il veicolo è imploso istantaneamente per una "catastrofica perdita di pressione", hanno spiegato in serata le autorità, confermando i timori degli esperti che avevano ipotizzato un cedimento strutturale dovuto alla pressione o a un malfunzionamento. Al quarto giorno di ricerche, le chance di riuscire a salvare l'equipaggio erano d'altra parte ridotte al lumicino considerato il freddo gelido e l'ossigeno molto probabilmente esaurito se il batiscafo fosse stato ancora integro.
Nonostante questo i ricercatori, complice il bel tempo, hanno continuano senza sosta e con un'urgenza sempre maggiore la loro attività, affiancati da personale medico specializzato con al seguito una camera iperbarica in grado di contenere sei persone, pronta all'uso qualora ci fosse stato il miracolo. Le autorità costiere americane e canadesi sono state affiancate da quelle del Regno Unito.
Londra ha infatti inviato un aereo militare della Raf con equipaggiamento specializzato e con a bordo un ufficiale sommergibilista, il tenente di vascello Richard Kantharia, esperto conoscitore della guerra sottomarina e delle operazioni di immersione. Un dispiegamento di forze straordinario che però non ha potuto nulla per salvare la vita all'amministratore delegato di OceanGate Stockton Rush, al miliardario britannico Hamish Harding, al francese Paul-Henry Nargeolet e all'uomo d'affari pachistano e a suo figlio Shahzada e Suleman Dawood. Davanti a una tragedia del genere le polemiche su OceanGate e il suo ceo non si placano.
Nel mirino delle critiche c'è la struttura del sommergibile, operato tramite un controller per videogame Logitech F710, la mancanza di controlli sulla sicurezza ma anche i ritardi nel lanciare l'allarme una volta persi i contatti. Il Titan, così come i veicoli simili, era soggetto ad una supervisione regolamentare molto limitata e questo - secondo i critici - ha aperto la strada a scorciatoie in termini di sicurezza da parte della società.
Viaggiare sul sommergibile di OceanGate era "un'operazione kamikaze", ha raccontato Arthur Loibl, il 61enne tedesco che due anni fa ha compiuto la stessa immersione. Gli esperti ritengono che uno dei problemi del sottomarino fosse il suo ripetuto utilizzo: per la sua struttura era infatti adeguato alla traversata sott'acqua per un numero limitato di volte, non per immergersi spesso come invece ha fatto. I molteplici viaggi potrebbero infatti aver indebolito la struttura, causandone il catastrofico collasso. E suonano ormai come un sinistro presagio le parole che l'amministratore delegato Rush aveva pronunciato in un podcast del 2022, quando aveva sostenuto che la sicurezza era un "puro spreco": "Se si vuole rimanere al sicuro non ci si deve alzare dal letto, non si deve entrare in macchina, non si deve fare niente". Il risultato stasera è sotto gli occhi del mondo.
Titan, dopo il cordoglio comincia la battaglia legale. Rimpallo delle responsabilità per il sottomarino imploso nei fondali dell’Atlantico. I familiari delle vittime accusano la società OceanGate. Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 23 giugno 2023
La disastrosa missione del Titan nelle profondità dell’Oceano Atlantico ha aperto la discussione sull’opportunità di un viaggio negli abissi che ha unito ricerca, sperimentazione di un nuovo sommergibile e vezzo per ricchi. A tutto ciò si aggiungano i risvolti legali, immancabili anche in occasione di un incidente del genere.
La OceanGate, proprietaria del Titan, potrebbe essere oggetto di richieste risarcitorie. I cinque componenti dell’equipaggio - compreso il Ceo di OceanGate, Stockton Rush - hanno firmato una liberatoria e dichiarato di assumersi i rischi di «danni fisici, disabilità, traumi emotivi», senza neppure escludere l’evento più grave: la morte.
Uno dei più importanti civilisti ed esperti di diritto assicurativo degli Stati Uniti, Kenneth Abraham, professore dell’Università della Virginia, ha dichiarato alla Nbc, come riporta il Corriere della Sera, che, a prescindere dalla sottoscrizione delle liberatorie, un’azienda negli Usa è responsabile in base alle leggi di riferimento dello Stato in cui opera, tenendo conto pure dell’interpretazione del giudice chiamato a pronunciarsi. Per l’incidente occorso al Titan, dunque, la legge federale marittima dovrebbe essere chiamata a valutare la validità o meno delle liberatorie. «Nella maggior parte degli Stati – ha spiegato Abraham – queste liberatorie di OceanGate sarebbero valide e vincolanti anche per le famiglie».
Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato nell’Università di Salerno, condivide l’impostazione del collega statunitense. «Il tema della responsabilità – dice al Dubbio - va considerato diversamente in relazione al contesto contrattuale a cui si riferisce. Una clausola di esonero da responsabilità, in rapporto, per esempio, tra un produttore, un distributore o un consumatore, certamente non sarebbe opponibile e sarebbe nulla in radice. Il modello americano di responsabilità civile ha confini ancora più rigorosi rispetto al nostro ordinamento giuridico. Va detto pure che siamo di fronte ad un contratto che fuoriesce dal normale ambito del consumerismo. Si tratta di contratti che prendono in considerazione prestazioni particolari e speciali»
Un eventuale giudizio non potrà non tenere conto, quindi, delle clausole introdotte. «È molto probabile – evidenzia Sica - che la teoria dell’accettazione del rischio prevalga, a meno che non si sia preso in considerazione un altro profilo, vale a dire se la prestazione sia stata presentata come non del tutto priva di rischi, ma con la previsione di tutti gli standard di sicurezza. Io credo comunque che possa sorgere una questione di responsabilità. Bisogna distinguere anche l’impressione che mediaticamente porta qualcuno ad accettare una attività pericolosa, come quella della partecipazione ad una missione negli abissi, con consapevolezza. Se è stato garantito uno standard di sicurezza elevato ed è stato rappresentato un rischio altrettanto elevato, secondo me, la clausola di esonero di responsabilità potrebbe essere inopponibile alle famiglie delle vittime del Titan».
Snodo rilevante è altresì l’inquadramento della prestazione fornita e chi è chiamato ad adempiere. «Con il nostro ordinamento – aggiunge Sica - si tratterebbe di una responsabilità contrattuale, graverebbe sul convenuto la dimostrazione di aver assolto alle misure di sicurezza più avanzate possibili e si potrebbe applicare uno standard di prestazione esigibile più elevato. Chi svolge un servizio, come quello di organizzare delle missioni negli abissi oceanici, pur nella consapevolezza dei diretti interessati di avventurarsi in una impresa con un tasso di rischio molto elevato, non sarebbe esonerato dalla responsabilità. Nel modello americano, invece, una gestione su base contrattuale del rischio assunto è più ammissibile. Non si applicherebbe inoltre una disciplina consumeristica, perché non siamo di fronte ad un normale rapporto tra il consumatore, il produttore o il fornitore di un servizio».
Infine, un altro tema che potrà essere considerato per eventuali contenziosi riguarda quanto «convenzionalmente stabilito». «L’implosione del sommergibile – conclude il professor Salvatore Sica - è avvenuta per cause non prevedibili, secondo lo standard più avanzato di sicurezza esigibile per quel tipo di attività. Non escluderei un concorso di responsabilità. È responsabile il convenuto. Ma è anche vero, se rappresentato correttamente il rischio, che c’è una cooperazione colposa della vittima. Quest’ultima ha comunque accettato che potesse esservi una precipitazione degli eventi e un esito negativo della missione». Una cosa è probabile in merito al fallimento della missione del Titan: una verità processuale prima o poi verrà a galla.
Estratto dell'articolo Mauro Evangelisti per “Il Messaggero” il 24 giugno 2023.
Materiali inadatti, certificazioni mai richieste, oblò non in grado di resistere alla pressione fortissima in profondità. Gli avvertimenti inascoltati segnano la tragedia dei cinque morti nel Titan imploso nell'Atlantico. Con un'unica consolazione: non si sono accorti di nulla. Spiega alla Cnn Aileen Marty, ex ufficiale della Marina e docente alla Florida International University:
«Con quella pressione, 300 volte superiore rispetto alla superficie, l'implosione è avvenuta in una frazione di millisecondo. Ci vuole di più, circa lo 0,25 in più, perché il cervello umano si renda conto di ciò che è successo».
Ma torniamo alle cause e agli avvertimenti inascoltati. Il ceo di OceanGate, Stockton Rush, morto nella sciagura, aveva sempre minimizzato le critiche sulla sicurezza. «Sono avvertimenti infondati» aveva scritto in una mail. Premessa: salireste su un aereo innovativo che però non ha mai superato alcun processo di certificazione da parte di autorità indipendenti? Ovviamente no, anche perché come dimostrano numerosi casi, a partire dalle due sciagure del Boeing 737 Max, neppure i processi di revisione a volte sono sufficienti a prevenire incidenti, figuriamoci se invece l'unico garante della sicurezza è l'azienda che ha progettato e costruito il mezzo. E che vende i biglietti.
Il sommergibile Titan non era mai stato sottoposto ad alcuna procedura di certificazione, ma OceanGate, la società che l'ha realizzato, poteva organizzare le immersioni a quasi quattromila metri di profondità per esplorare i fondali dell'Atlantico dove si trova il relitto del Titanic, perché tutto avveniva in acque internazionali.
Non valeva né la normativa degli Usa né quella del Canada. Scomparso domenica scorsa, il mini sommergibile con a bordo cinque persone, tra cui il Ceo di OceanGate Stockton Rush che ha pagato con la vita il suo azzardo, è imploso probabilmente dopo un'ora e mezza dall'inizio dall'immersione. I frammenti sono stati trovati sabato da un robot, sui fondali a 500 metri dal Titanic.
Le ricerche - che hanno coinvolto dieci navi, tre aerei, due robot sottomarini costeranno 6,5 milioni di euro, ma secondo molti esperti difficilmente i cadaveri saranno mai recuperati. Rush aveva sempre rifiutato di chiedere l'omologazione del Titan a una autorità indipendente con questa giustificazione: ci sarebbe una lunga perdita di tempo, in questo modo l'innovazione è impossibile, in 35 anni non ci sono mai stati incidenti con sommergibili non militari. Vero, ma un progetto sperimentale non dovrebbe contemplare anche che ai viaggi partecipino comuni cittadini che pagano un biglietto da 250mila dollari. […]
Numerosi esperti avevano spiegato che la scelta di utilizzare anche il carbonio era avventata, perché non sufficientemente sperimentato per resistere alla pressione a 4mila metri di profondità. Il Washington Post cita Stefano Brizzolara, professore di ingegneria oceanica al Virginia Tech:
«Tradizionalmente questi mezzi si realizzano in acciaio e titanio, che possono resistere alla pressione. La fibra di carbonio non lo fa, si deforma». Don Walsh, oceanografo e pilota di sommergibili: «La pressione sopportata nelle precedenti immersioni ha indebolito lo scafo. L'hanno fatta franca per un paio di anni. Ma non era questione di "se", ma di "quando" sarebbe successo un incidente». […]
Estratto da “il Messaggero” il 24 giugno 2023.
Quando è salito sul mini sommergibile, il Titan, dove bisognava restare seduti perché non c'era spazio neppure per alzarsi in piedi, Suleman deve avere pensato: coraggio, in fondo tra poco più di sei ore sarà tutto superato, ne servono due per scendere, altre due e mezzo per esplorare il Titanic, e due ancora per risalire, papà sarà contento. Suleman aveva 19 anni, era il figlio di Shahzada Dawood, 48, rampollo di una ricchissima famiglia di origini pakistane con cittadinanza britannica.
Il padre gli aveva chiesto di accompagnarlo nell'avventura sul Titan e lui non aveva avuto il coraggio di confessargli che era molto spaventato. Non se l'era sentita di rifiutare, era la festa del papà. Racconta in lacrime la zia, Azmeh Dawood, intervistata dalla Nbc: «Suleman era terrorizzato, riluttante, ma aveva superato la paura per fare contento il padre». L'implosione del Titan è avvenuta un'ora e 45 minuti dopo l'inizio della discesa.
La Marina Militare americana aveva subito rilevato, domenica, le tracce acustiche dell'evento grazie a un impianto di sensori top secret che devono prevenire l'avvicinamento di sottomarini nemici. Spiega il Wall Street Journal: «La Marina Usa ha condotto una analisi dei dati acustici e ha registrato un'anomalia coerente con l'implosione». I cinque passeggeri non hanno avuto il tempo di capire che stavano morendo. Ma Suleman e il padre su quel sommergibile non sarebbero dovuti esserci.
Non solo perché il giovane, che frequentava l'università a Glasgow aveva razionalmente paura, ma anche perché quei due posti inizialmente erano stati riservati ad altre due persone, anche in quel caso padre e figlio, americani.
Lo ha raccontato su Facebook il ricco uomo d'affari di Las Vegas, Jay Bloom, a cui era stato offerto dal ceo di OceanGate, Stockton Rush (morto anch'egli nella sciagura), il viaggio scontato, a 100mila dollari (il biglietto normalmente ne costava 250mila). Jay Bloom doveva partecipare all'esplorazione del Titanic con il figlio Sean, che però aveva espresso preoccupazioni.
Successivamente c'è stato il ripensamento: «Ho parlato dei miei timori sulla sicurezza a Rush - racconta Bloom -. Mi ha risposto: "ovviamente c'è un rischio, ma il viaggio sul Titan è molto più sicuro che fare immersioni o volare in elicottero". In un'altra occasione mi aveva detto: scendere con il Titan è più sicuro che attraversare la strada».
Stockton Rush aveva aggiunto per convincere Bloom: «Non c'è mai stato un incidente in 35 anni in un sommergibile non militare». Alla fine Bloom ha rinunciato. «Se avessi accettato, sarei tra le vittime. Il mio posto e quello di mio figlio sono stati presi da Suleman e Shazhada Dawood». […]
Il joystick, le luci da campeggio: le rivelazioni dietro alla tragedia del Titan. Storia di Alessandro Ferro su Il Giornale il 23 giugno 2023.
A questo punto si può definire una tragedia annunciata: la vicenda del Titan, il sommergibile utilizzato per spedizioni sottomarine e i cui resti sono stati ritrovati dai soccorritori che setacciavano l'area del Nord Atlantico alla ricerca di qualche flebile speranza di ritrovare i cinque membri dell'equipaggio, era pilotato da un semplicissimo joystick del valore massimo stimato di 50 dollari, esattamente come quelli utilizzati per i videogiochi più famosi e in voga. Come dire, le vite umane che scendono nelle viscere degli oceani in nome del risparmio.
Il video del ceo che spiega il joystick
Oltre alle già precarie condizioni del mezzo in sé, perlopiù già ammesse in passato dalla stessa OceanGate Expeditions, la società americana che gestisce il sommergibile, quando licenziò il proprio direttore delle operazioni marittime, David Lochridge, per tutti i timori in merito alla sicurezza del batiscafo, adesso vengono a galla nuove e più gravi criticità: nessun timone, nulla di costoso o tecnologico ma un semplicissimo joystick messo in commercio nel 2010, vecchio quindi di 13 anni.
In un video che sta diventando virale si vede l'amministratore delegato e pilota del sommergibile, Stockton Rush, tra le cinque persone a bordo presenti nella tragedia, mostrare fiero questo giocattolino in un'intervista rilasciata lo scorso anno a un giornalista della Cbs. In esso spiega il suo funzionamento, a cosa servissero i pulsanti, come cambiare direzione; tutte cose che conoscono molto bene gli amanti dei videogiochi, anche e soprattutto i giovanissimi. Lo chiama proprio "Game controller", come se fosse il comando di controllo di un gioco. Ma il sommergibile, purtroppo, era vita reale. "Se vuoi andare avanti premi verso l'alto, se vuoi andare indietro sposti la leva indietro, giri a sinistra, giri a destra", ha affermato, sottolineando come funzionasse con il Bluetooth e che, volendo, poteva essere tenuto da chiunque.
È come volare su aerei che non hanno motori adeguati o lanciarsi nel vuoto con un paracadute non collaudato: insomma, andare nelle profondità dell'oceano con un sommergibile così precario, economico e senza alcuna garanzia di riemergere vivi è stata una scelta da kamikaze. Tra l'altro, lì dentro era tutto improvvisato: sempre nel video, Stockton ha mostrato anche il sistema di illuminazione all'interno del mezzo sottolineando che le luci erano state comprate in un qualsiasi negozio da campeggio. Gli esperti hanno spiegato che il veicolo è imploso a causa di una "catastrofica perdita di pressione", confermando tutti i timori sulle ipotesi di un cedimento strutturale causato da un malfunzionamento o, semplicemente, dall'enorme pressione che un mezzo così precario non è riuscito a reggere.
Estratto da leggo.it il 25 giugno 2023.
Un esperto di sommergibili turistici americani che è stato con il Ceo di OceanGate, Stockton Rush, sul Titan, aveva ravvisato dei problemi. Ma a quegli allarmi non c'è stata risposta. Lo ha raccontato alla Cnn: «C'erano rumori minacciosi - ha detto Karl Stanley, che gestisce un'attività di sub turistici in Honduras -. Io ero stato invitato da Rush a provare il suo Titan, alle Bahamas. Durante quella discesa quei rumori non mi hanno preoccupato particolarmente, perché lui mi ha spiegato che erano rumori normali. Solo dopo mi sono reso conto della gravità della situazione».
Il giorno dopo Stanley ha inviato una email a Rush spiegando le sue preoccupazioni. «Il rumore sentito durante l'immersione sembrava come un difetto in un'area dello scafo su cui agivano le tremende pressioni e veniva schiacciato-danneggiato».
Nell'email, ottenuta dal New York Times, l'esperto spiega i problemi che secondo lui aveva lo scafo, esortando Rush a dedicare altro tempo allo sviluppo del sommergibile per assicurarsi che fosse sicuro. […]
Chi popola le profondità del relitto del Titanic. Giada Balloch su L'Identità il 25 Giugno 2023
Una finestra sul mondo sconosciuto sotto le acque e una spedizione finita in tragedia. Titan, il sottomarino imploso durante la discesa per vedere quello che rimane del Titanic. In questi giorni non si parla d’altro. Tutto per vedere i resti del relitto più famoso al mondo e le incredibili creature che lo abitano.
A quasi 4.000 metri sotto la superficie dell’Atlantico settentrionale, il relitto offre uno spettacolo unico, un santuario per una varietà di animali che hanno trovato casa in questo mondo oscuro e misterioso. Mentre i subacquei e gli esploratori sono stati affascinati dalle rovine dell’imponente nave, gli scienziati marini si sono concentrati sulla scoperta delle specie che abitano questo habitat inesplorato. Nonostante le condizioni estreme, caratterizzate da un freddo intenso, pressioni ben oltre i 300 bar e scarsa luce, una sorprendente diversità di vita si è adattata a questa profondità irraggiungibile dai subacquei.
Tra le creature più affascinanti che popolano la zona ci sono i pesci abissali. Queste specie hanno sviluppato adattamenti unici per sopravvivere nelle acque gelide e oscure. La bioluminescenza e la trasparenza ad esempio sono essenziali per la loro sopravvivenza. Uno degli esemplari più noti è il famoso pesce lanterna, noto oltre che per la sua apparizione in Nemo, anche per la capacità di generare luce grazie a organi specializzati chiamati fotofori. Questa emissione luminosa è fondamentale per l’attrazione di prede e la localizzazione di compagni per l’accoppiamento. I piccoli pesci drago di acque profonde invece, anche chiamati pesci mandibola, possiedono corpi compressi e occhi enormi per individuare e cacciare nell’oscurità. Le loro mascelle potenti e denti affilati sono adattati per afferrare e trattenere le vittime in un ambiente dove il cibo può essere scarso.
Le profondità del Titanic ospitano inoltre una vasta gamma di invertebrati. Gli studiosi hanno identificato spugne, coralli di acqua fredda e anemoni di mare che ricoprono le strutture della nave. Questi organismi sono fondamentali per l’ecosistema locale, fornendo rifugi e alimenti per molte altre specie che popolano la zona. Ma non sono solo gli animali visibili a fare delle profondità il loro habitat ideale. Il fondale marino ospita anche una miriade di esseri microscopici, come batteri e protozoi, che svolgono un ruolo chiave nel ciclo biologico dell’oceano. La loro presenza contribuisce alla decomposizione dei resti organici, riciclando nutrienti vitali. Eppure, come hanno rivelato i media in questo ultimo periodo specialmente, l’esplorazione delle profondità marine non è priva di rischi e tragedie. La perdita del sottomarino Titan è tristemente risultata nella perdita dei cinque passeggeri a bordo.
Questo tragico evento è un doloroso ricordo delle sfide e dei pericoli che si affrontano per comprendere il mondo sconosciuto degli abissi oceanici. È un monito a mantenere la sicurezza come priorità assoluta e a procedere con cautela nelle missioni di esplorazione, al fine di preservare non solo la vita umana, ma anche le preziose risorse dell’oceano che stiamo cercando di analizzare e scoprire. Nonostante le difficoltà, il desiderio di conoscenza e di preservazione continua a guidare gli sforzi degli esperti, poiché riconoscono l’importanza cruciale di capire l’ecosistema sconosciuto che si nasconde ancora oggi all’essere umano.
Estratto dell’articolo di Marcello Giordani per lastampa.it il 27 giugno 2023.
Anche il Lago Maggiore ha avuto il suo Titan. E’ accaduto quasi sessant’anni fa, e a perdere la vita furono il progettista-pilota e un operatore della televisione della Svizzera italiana. La tragedia risale al 16 gennaio 1965.
Si chiamava «Squalo tigre» il piccolo sommergibile a due posti progettato e costruito a Düsseldorf e a Tenero, appena al di là del confine, pochi chilometri dopo Cannobio, presentato come uno scafo che promette meraviglie per il turismo e le ricerche scientifiche nelle acque profonde del Lago Maggiore.
Il batiscafo era stato testato dall’università di Berlino e doveva resistere fino a duecento metri di profondità, con un’omologazione ottenuta per scendere fino a -80. Lungo 5,30 metri, largo 0,91, alto 1,35, lo Squalo tigre quel giorno debutta con una serie di immersioni riservate a cineoperatori e fotografi per catturare immagini mozzafiato: attorno si immergono anche alcuni «uomini-rana» per offrire ancora più adrenalina all’inaugurazione. […]
Sono le 12,35 di sabato 16 gennaio, il lungolago di Tenero non ha mai visto tanti curiosi e turisti arrivati per ammirare il sommergibile-giocattolo, come lo definisce la stampa dell’epoca. L’immersione nelle acque del Verbano viene effettuata alla foce del torrente Verzasca, una zona considerata sicura, e per tre immersioni tutto fila liscio. L’intoppo arriva alla quarta; l’appuntamento subacqueo con gli uomini-rana salta e i sub capiscono che qualcosa è andato storto.
Si rituffano più volte alla ricerca del piccolo scafo bianco, in superficie si mettono in moto le società di salvataggio e gli uomini della polizia lacuale per scandagliare il fondale, ma le ricerche sono infruttuose, comprese quelle con la sonda sonora e un aereo. […]
Si comincia il 9 luglio con l’ausilio del magnetometro a protoni, usato dai militari per determinare la presenza di nuclei metallici sui fondali; da Genova arrivano il brigadiere Paolo Cozzolino e il carabiniere Luciano Bellarmino, uomini-rana dell’Arma. Il 19 luglio il ritrovamento, 184 giorni dopo la tragedia: il sommergibile è a meno di duecento metri da dove si era inabissato, a trenta metri di profondità.
A riva arrivano moltissimi curiosi, così numerosi e impazienti che deve intervenire la polizia con gli idranti per mantenere la fascia di sicurezza. Solo a ottobre la procura fornirà i primi risultati dell’inchiesta: il mini-sommergibile non presentava difetti di progettazione o costruzione, in compenso sono parecchie le carenze di pilotaggio.
Il sistema automatico di riemersione non era stato tarato in modo corretto, era stata lasciata a terra la chiave per sganciarlo manualmente, così come i rivelatori di anidride carbonica nell’abitacolo, le torce di segnalazione, maschere e respiratori.
Durante le immersioni non erano state aperte, o aperte male, le bombole per erogare aria pulita: è l’errore fatale che provoca nella prima ora di immersione un infarto a De Paoli; il cineoperatore invece sopravvive qualche ora in più e prima di perdere i sensi riesce a scrivere a penna: «Siamo a 30 metri, non troviamo la chiave per le bombole». […]
Estratto da ansa.it il 28 giugno 2023.
Il relitto del piccolo sommergibile Titan, scomparso nei pressi del relitto del Titanic con cinque persone a bordo la scorsa settimana, è stato recuperato e riportato […] a terra. I media canadesi hanno mostrato pezzi di quello che sembra essere il muso e parti dello scafo issati su una nave della Guardia Costiera canadese a St.John's, Terranova, nel Canada orientale.
Uno dei dirigenti di Pelagic Research Services, che aveva schierato il suo robot sottomarino per scansionare il fondo dell'Atlantico, ha confermato di aver completato le sue operazioni. "Abbiamo terminato la nostra parte in mare", ha detto all'Afp il portavoce, Jeff Mahoney.
"Questa è stata un'operazione estremamente rischiosa, sia per il robot, sia per l'equipaggio che ha lavorato 24 ore su 24 praticamente senza dormire per tutta la durata dell'operazione", ha proseguito, confermando che tutte le squadre stanno ora tornando negli Stati Uniti.
[…] Il Titan, lungo circa 6,5 metri, si era immerso il 18 giugno scorso per osservare il relitto del Titanic e sarebbe dovuto riemergere sette ore dopo ma il contatto si è perso poco meno di due ore dopo. I cinque passeggeri a bordo sono morti nella "catastrofica implosione". Diversi pezzi di detriti sono stati trovati sul fondo del mare a circa 500 metri dai resti del Titanic ad una profondità di quasi 4.000 metri nel Nord Atlantico. […]
Estratto dell’articolo di Massimo Basile per “la Repubblica” martedì 4 luglio 2023.
Gli ultimi minuti onirici della vita di un padre e di suo figlio: immersi nel buio, uno accanto all’altro ascoltando musica in cuffia e guardando dagli oblò creature luminescenti che si muovevano nelle profondità dell’oceano. Poi l’implosione, la fine di tutto.
In pochi secondi. Probabilmente senza neanche accorgersene. Gli ultimi devastanti attimi di vita di Shahzada Dawood, 48 anni, e del figlio Suleman di 19, due dei cinque passeggeri morti nell’implosione del Titan, il minisub con cui esplorare i resti del Titanic, sono stati raccontati dalla moglie Christine.
Il 18 giugno, giorno in cui il sommergibile si è immerso nelle acque dell’Atlantico, lei e l’altra figlia, Alina, 17 anni, erano a bordo della Polar Prince, la nave “madre” della OceanGate, la società americana che aveva organizzato la spedizione. La donna ha salutato con la mano il marito e il figlio, pensando che il weekend del Father’s Day, la festa del papà celebrata in Usa, non poteva essere migliore. […]
La notte del 15 giugno erano tutti sulla Polar Prince. Rush spiegò agli altri due passeggeri - oltre ai Dawood c’erano il miliardario inglese Hamish Harding, 58 anni, e l’esploratore francese Paul-Henri Nargeolet, 78, il quinto era lo stesso Ceo di OceanGate - che la discesa sarebbe avvenuta nel completo buio, per risparmiare l’energia utile una volta arrivati sul fondale.
“Potrete ascoltare la musica con le cuffie del cellulare”, aveva aggiunto, grazie a un sistema bluetooth: “Ma è vietato - aveva scherzato - sentire musica country”. A fare compagnia ai viaggiatori sarebbero state le immagini delle creature marine luminescenti, illuminate dai fari di sicurezza del Titan.
Dawood, poco prima di entrare nel sommergibile, aveva scherzato un po’ su come era apparso nella foto, scattata poco prima: “Appaio un po’ grasso, sto già bollendo”. Si muoveva con difficoltà per via degli stivaloni e delle protezioni. “Temevo finisse in mare prima di entrare”, ha raccontato la moglie. Il Titan si è immerso alle 8 di mattina del 18 giugno. Un’ora e quarantacinque minuti dopo, il contatto è stato perso.
La moglie ha continuato a fissare per ore il mare nella speranza di vedere riaffiorare il sommergibile. Giorni dopo si è saputo che la Marina americana aveva registrato il suono di un’implosione. […]
(ANSA 3 luglio 2023) - WASHINGTON, 03 LUG - Nuovi guai per la OceeanGate dopo la tragedia del Titan. Il New Yorker infatti ha pubblicato la mail scritta da un ex dipendente della società a un ex socio della compagnia nella quale esprimeva dubbi e preoccupazioni sulla sicurezza del sommergibile e anche sul Ceo della società morto nell'implosione il mese scorso. "Non voglio fare la Cassandra, ma sono molto preoccupato che possa uccidere se stesso ed altri nel tentativo di appagare il suo ego", scrisse nella mail David Lochridge a proposito di Stockton Rush.
L'uomo aveva lavorato come consulente esterno per OceanGate nel 2015 e poi come dipendente tra il 2016 e il 2018. Poi Lochridge sostiene di essere stato licenziato ingiustamente proprio per aver sollevato alcuni dubbi sulla sicurezza del sommergibile imploso lo scorso 18 giugno con cinque persone a bordo, il britannico Hamish Harding, il francese Paul-Henri Nargeolet; il pakistano Shahzada Dawood e il figlio diciannovenne e Rush.
Estratto da ilmessaggero.it venerdì 7 luglio 2023.
Il caso del sottomarino Titan non si è ancora concluso. Nelle ultime ore sono trapelate online le presunte trascrizioni dell'ultima comunicazione del sottomarino dell'azienda OceanGate prima che implodesse.
Le registrazioni, non confermate, sono state condivise online e sembravano rivelare le ultime parole tra le persone a bordo del sottomarino Titan e la nave madre Polar Prince.
Sono state diffuse online le trascrizioni di quella che si presume essere l'ultima comunicazione del sommergibile Titan prima della sua tragica implosione.
Lo scritto, non confermato, rivela le ultime parole scambiate tra lo staff di bordo del sottomarino - presumibilmente dell’amministratore delegato di OceanGate Stockton Rush - e il team della nave madre Polar Prince.
Il documento delle registrazioni suggerisce che i passeggeri erano a conoscenza della problematica situazione circa 18 minuti prima della sua devastante implosione. Sebbene la sua autenticità rimanga ampiamente contestata, alcuni commentatori hanno sottolineato che il suo contenuto è plausibile, anche alla luce delle informazioni fornite dagli esperti, tra cui il regista di «Titanic» James Cameron. […]
Il dialogo inizia alle 7:52, quando la nave comunica ai cinque passeggeri del Titan che sono «autorizzati a scendere» verso il Titanic. «Godetevi l'immersione, signori», aveva augurato la nave Prince Polar prima di istruirli per eseguire il controllo dei sistemi e dare loro il via libera a procedere.
«Tutti i sistemi funzionano normalmente. Siamo in buone condizioni. Continuiamo la nostra discesa come previsto», annuncia il sottomarino alle 8:34. Circa 15 minuti dopo confermano che «tutti i sistemi sono stabili» e che la discesa «continua come previsto». Una volta raggiunti i 75 minuti di discesa, il sottomarino dichiara che tutto è «sotto controllo».
Secondo la trascrizione, alle 9:28 l'equipaggio di Titan ha notato un allarme dal sistema di monitoraggio in tempo reale (RTM). Tutti concordano sulla necessità di abbandonare la discesa e iniziare a risalire. Tuttavia, la risalita procede molto più lentamente del previsto e, quando forniscono l'ultimo aggiornamento, l'RTM dichiara l'allarme rosso.
Alle 9:50, secondo quanto riferito, il Polar Prince dice al sottomarino: «Non vi riceviamo. Aggiornateci per favore». Prosegue: «Non riusciamo a rintracciarvi. Ci stiamo spostando verso le coordinate di recupero. Riferite se ci siete». La trascrizione termina alle 9:57, con un ultimo appello della nave: «Per favore, rispondete se siete in grado». […]
Il boato, il fumo, le grida: quello che accadde sulla Scandinavian Star. Il 7 aprile del 1990 la nave stava per attraversare la rotta Oslo-Frederikshavn quando accade l'irreparabile. In una manciata di minuti il viaggio diventa un'inferno e la nave, per molti passeggeri, si trasforma in una bara galleggiante. Laura Lipari il 7 maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
L’incendio
I primi tentativi di salvataggio
L’abbandono della Scandinavian Star
L’epilogo del disastro
Le indagini
Quando la Scandinavian Star prende per la prima volta il largo, è gennaio del 1971 e il suo nome è ancora Massalia. Verrà in seguito chiamata Stena Baltica e poi Island Fiesta fino al 1983 quando alla nave viene data la denominazione con cui passerà alla storia. È il 7 aprile del 1990, e il traghetto Scandinavian Star sta attraversando la rotta Oslo-Frederikshavn per conto della compagnia di navigazione norvegese Da-No Linjen. A bordo sono presenti 395 passeggeri e 97 membri dell'equipaggio. All’improvviso però qualcosa va storto e il viaggio diventa una discesa verso gli inferi marini.
Quel 7 aprile diversi fattori vengono sottovalutati. Tra questi ci sono le porte tagliafuoco, che dovrebbero fornire una protezione antincendio per una decina di minuti durante un incendio, ma in quel momento risultano difettose; il personale di bordo inoltre ha avuto una formazione di sole due settimane ed è impreparato a gestire un ipotetico incidente; infine sin dall’inizio si assiste a un’incomprensione dopo l’altra perché il personale portoghese non parla l’inglese, né il norvegese e neanche il danese.
L’elemento che sarà decisivo per la tragedia è però quello che viene totalmente ignorato: la sua ristrutturazione e il riutilizzo. La Scandinavian Star infatti nel corso del tempo non ha cambiato solo nome ma anche funzione, fino a diventare una nave trasporto per passeggeri e mezzi.
L’incendio
Sono le 2 di mattina e gran parte dei passeggeri sta dormendo. La nave è in procinto di attraversare lo Skagerrak, lo stretto che separa la Danimarca dalla Norvegia e dalla Svezia. All’improvviso un rumore lontano viene percepito dai pochi che sono ancora svegli. Passano alcuni minuti e le fiamme cominciano a provenire dal basso; nel giro di poco tempo un incendio sta distruggendo ogni cosa. Il rogo si propaga dal ponte 3 al ponte 4 fermandosi al ponte 5.
A peggiorare la situazione è la struttura del traghetto. Infatti le pareti interne sono realizzate con una lamina in acciaio e pannelli in amianto ma il rivestimento è fatto con un laminato in resina altamente infiammabile. Vengono quindi sprigionati gas tossici in tutta la struttura e a peggiorare la situazione è la disposizione delle stanze, che diventano delle vere e proprie gabbie di fuoco, in cui le scale e i soffitti si trasformano in camini che propagano l’incendio.
I primi tentativi di salvataggio
A questo punto il capitano, Hugo Larsen, venuto a conoscenza della gravità della situazione, si precipita a chiudere le porte antincendio della paratia sul ponte 3, ma invano. Un mancato aggiornamento delle porte e un problema tecnico, ne impediscono la totale chiusura automatica.
Prontamente, Larsen si accinge a seguire un altro piano: spegnere i ventilatori che normalmente smaltiscono i fumi di scarico. In quel frangente infatti gli strumenti stanno aspirando l’aria attraverso una porta antincendio non fissata correttamente, provocando dunque una rapida progressione del fumo. Lo spegnimento della ventilazione però dà la possibilità al fumo di entrare rapidamente all’interno delle cabine dei passeggeri che lo inalano assieme ai gas tossici. La nave diventa una bara galleggiante.
Coloro che si stanno rendendo conto di ciò che sta accadendo corrono a rifugiarsi dentro gli armadi e nei bagni, gli altri rimangono sui letti dove moriranno. C’è poi chi tenta disperatamente la fuga tra i corridoi gridando e chiedendo un aiuto sordo tra il personale impreparato. La nave è un labirinto da incubo, all’interno del quale vi sono diversi corridoi ma senza uscita. Infatti, a causa delle varie ristrutturazioni, soprattutto l’ultima effettuata in tempi record, sono state lasciate intatte parti della vecchia struttura.
L’abbandono della Scandinavian Star
La situazione è ormai fuori controllo. Il capitano si vede costretto a inviare il Mayday e a ordinare di attivare gli allarmi per l’abbandono della nave. Passano altri minuti e, credendo che tutti i passeggeri siano già sulle scialuppe, lui e il personale di bordo scendono dalla nave. In realtà moltissimi sono ancora bloccati dentro ai corridoi, negli armadi, nei bagni.
Mentre dall’esterno i vigili del fuoco cercano di domare per dieci ore di seguito l’incendio, la nave viene rimorchiata nel porto di Lysekil, in Svezia. Nel frattempo si mettono a disposizione varie motovedette che vanno alla ricerca degli ultimi superstiti rimasti miracolosamente vivi tra le acque gelide. Le prime scene che passano alla tv sono strazianti: uomini, donne, bambini e anziani avvolti nelle coperte con il viso annerito, altri trasportati sulle barelle con ustioni in tutto il corpo. C’è chi urla che lì dentro si trova ancora un proprio caro, chi tiene gli occhi bassi per lo sconforto.
L’epilogo del disastro
Le operazioni atte al sopralluogo si rivelano lente e difficoltose a causa della struttura ormai deformata dall’incendio. Inoltre, i resti trovati sono carbonizzati, quindi si attivano più di cento specialisti che lavorano notte e giorno per l’identificazione. Molti corpi sembrano appartenere a dei bambini anche se nella lista dei passeggeri non risultano persone di età inferiore ai 7 anni. I cadaveri rinvenuti sono 158, ma due settimane dopo le vittime diventano 159 a causa di un passeggero che muore per le ferite riportate. Di queste vittime 136 hanno nazionalità norvegese.
Le indagini
Le prime analisi conducono a un incendio doloso, escludendo così sin dal principio la pista dell’incidente. Il primo a essere accusato è Erik Mørk Andersen un camionista, morto sulla nave. Su di lui, pesavano già tre condanne per il reato di piromania. Nel 2009 però la perizia dimostra come in realtà gli incendi sarebbero stati appiccati in tre posti differenti e per cui sarebbero state necessarie più persone.
A confermare tale ipotesi ci sono le testimonianze dei passeggeri che parlano di più boati nel giro di pochi minuti: “Abbiamo sentito un boato, ci siamo svegliati di soprassalto. Stavamo dormendo in cabina e abbiamo pensato a una collisione. Urlavamo tutti – ha ricordato un sopravvissuto – Poi, dall' altoparlante c' è stato ordinato di indossare i giubbotti salvagente. Il panico è aumentato. Saranno passati pochi minuti ed ecco un secondo boato. Più forte. Il fumo intanto era arrivato fin dentro le cabine e la nave aveva fermato i motori. Sopra, sul ponte, c’era molta agitazione. Ancora pochi minuti ed ecco il terzo schianto”.
Nel 2013 un rapporto nega la responsabilità del camionista e addita nove membri dell’equipaggio come presunti colpevoli dei vari incendi, ma anche del sabotaggio degli strumenti di salvataggio. Il movente sarebbe stato quello della frode assicurativa dal momento che, poco prima della tragedia, la nave era stata assicurata per il doppio del suo valore. Tale accusa però rimane solo un’ipotesi per mancanza di prove.
Nel 2014 il camionista viene discolpato definitivamente e tra il 2015 e il 2016 si ritorna a indagare seguendo la pista del sabotaggio. Un investigatore danese in pensione infatti, facendo un sopralluogo, si è accorto che alcuni materassi sembravano come impregnati di carburante, probabilmente per agevolare l’incendio. Inoltre uno studio sulle porte antincendio ha riportato che qualcuno le aveva forzate per impedirne la chiusura.
Anni dopo, nel 2020, alcuni canali danesi, norvegesi e svedese hanno riacceso i dibattiti e le polemiche sulla tragedia mandando in onda un documentario, basato sul libro del giornalista Lars Halskov dal titolo Branden: - Gåden om Scandinavian Star. Il cortometraggio infatti è una denuncia su tutto quello che è successo prima e dopo l’incendio, sull’assenza di misure di sicurezza, sulle indagini, sul mancato rispetto delle vittime. Il 9 maggio 2020, il documentario ha portato la maggioranza del parlamento danese a votare per avviare un’udienza governativa e fare luce sull’attuale mancanza di colpevoli. La richiesta però non è mai stata presa in considerazione.
Destriero, la nave italiana del record mai infranto nell'Oceano Atlantico. La nave Destriero, prodotta dalla Fincantieri di La Spezia, nel 1992 ottenne il record per la più veloce traversata dell'Atlantico. Primato ancora intatto. Tommaso Giacomelli su Il Giornale il 30 Aprile 2023
Tabella dei contenuti
Il record di traversata atlantica
Una serie di grandi personalità
Il Destriero doma l'Atlantico
"Gli uomini migliori preferiscono una sola cosa a tutte le altre: la gloria eterna rispetto alle cose mortali...", così dichiarava il sommo Eraclito. Non possiamo avere la presunzione di affermare con assoluta certezza che l'équipe, che ha messo in piedi la super nave Destriero, sia stata composta da uomini migliori, anche se ognuno di loro ha eccelso nel proprio campo e tuffandosi in un'impresa epica, ha raccolto una porzione di gloria che perdura ancora adesso, a distanza di oltre trent'anni da quel mirabolante traguardo.
Il record di traversata atlantica
Quel folle progetto è stato in grado di mettere in campo una miriade di sublimità, stupendo il mondo intero. Il monoscafo con propulsione a idrogetti ha solcato le perigliose acque dell'Oceano Atlantico in 58 ore 34 minuti e 50 secondi all'incredibile media di 53,09 nodi, quasi 100 km/h. Nel complesso sono state coperte 3106 miglia nautiche, esattamente quelle che dividono il faro di Ambrose Light (nella baia di New York) da quello di Bishop Rock (sulle Isole Scilly, in Gran Bretagna). Una dissennata corsa che ha polverizzato il primato precedente, stabilito da un catamarano inglese che ci mise oltre 79 ore. La sfida per ottenere il Nastro Azzurro iniziò il 6 agosto del 1992 e terminò all'alba del 9 agosto. Tuttavia, nessuno glielo potè attribuire perché quel simbolico riconoscimento è destinato solo alle navi passeggeri e, di fatto, il Destriero non lo era. Al tempo stesso, niente può mettere in dubbio quel record guadagnato con maestria e audacia.
Una serie di grandi personalità
Questo duello con la natura nacque dalla passione di alcune figure eminenti dell'Italia dell'epoca, a partire dal principe ismailita Karim Aga Khan, l'inventore della Costa Smeralda, passando per l'avvocato Gianni Agnelli in rappresentanza della Fiat, Franco Nobili dell'IRI, Umberto Nordio di Alitalia e Arrigo Gattai del Coni. Il progetto portava la firma di Donald Blount, mentre la costruzione di questa incredibile barca di 67,7 metri fu affidata alla Fincantieri, presso lo stabilimento Muggiano di La Spezia. Per il design fu opzionata la Pininfarina, che ha messo il suo tocco seducente a un'imbarcazione unica. Presero parte come sponsor e partner tecnici anche Agip, General Electric, MTU e KaMeWa. Insomma, il meglio che si potesse radunare all'epoca.
Il principe Aga Khan, armatore della traversata, scelse il nome Destriero per omaggiare il suo sconfinato amore per i cavalli, creature ammirate e allevate con cura nelle sue tenute. Per domare una bestia del genere, serviva un cavaliere di altissimo rango: Cesare Fiorio. L'ex direttore sportivo della squadra corse Lancia, con la quale vinse 10 titoli mondiali rally, e della Scuderia Ferrari di F1, prese le redini della nave più veloce al mondo insieme a un equipaggio di altre tredici persone. Fiorio nel suo prestigioso curriculum ha un'esperienza di motonautica da fare invidia, essendo un due volte iridato, e si rivelò da subito la persona ideale per questo tipo di cavalcata sui mari.
Il Destriero doma l'Atlantico
La Destriero non è una barca normale, infatti è realizzata completamente in alluminio con una carena dislocante a prua e planante a poppa, oltre ad adottare una propulsione a idrogetti da 60.000 cavalli di potenza. Fino a quel momento, nessuno aveva mai visto una simile imbarcazione, di fatto è lei che inaugura la navigazione commerciale ad alta velocità. Inoltre, mai qualcuno aveva tentanto di solcare onde di cinque metri con una tale forza e toccare punte di 66 nodi sulle acque dell'Atlantico, lasciando dietro di sé una bianca scia compatta per chilometri. Eppure, il 9 agosto del 1992 testimonia un'impresa epica che persiste intatta, nonostante l'inesorabile incedere del tempo. L'era contemporanea non lascia spazio alle sfide e alla gloria. Basti pensare che la nave da sogno, adesso giace in stato di semi-abbandono in un cantiere navale di Brema (in Germania), come se fosse il relitto di un'epoca lontana in cui l'essere umano poteva osare, sfidando persino i suoi limiti, per conquistare le pagine della storia.
Lo yatch fantasma alla deriva senza equipaggio: dopo 16 anni nessuna verità. Il 15 aprile 2007 uno yacht con tre persone a bordo parte dal Queensland per raggiungere l'Australia Occidentale. La barca verrà ritrovata dopo qualche giorno senza il suo equipaggio, sparito nel nulla. Mariangela Garofano il 9 Aprile 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il ritrovamento del Kaz II e la scomparsa dell’equipaggio
Le ricerche dell'equipaggio disperso
Le teorie sulla sparizione dei passeggeri del Kaz II
Il 15 aprile 2007 tre uomini intraprendono il viaggio della loro vita, un lunga traversata che li vede salpare da Aisle Beach, sulla costa del Queensland, in Australia nord-orientale, per arrivare a Perth, in Australia Occidentale, dove risiedono. Ma quella che sarebbe dovuta essere una memorabile avventura da raccontare ad amici e parenti, si trasformerà in un inquietante mistero, quando il loro catamarano, il Kaz II, viene ritrovato alla deriva, senza i suoi occupanti, prendendo così il nome di yacht fantasma.
Il ritrovamento del Kaz II e la scomparsa dell’equipaggio
Il 15 aprile 2007 lo skipper Derek Batten, 56 anni e i fratelli Peter e James Tunstead, 63 e 69 anni, salpano da Aisle Beach, nel Queensland, con il Kaz II, un catamarano di 12 metri, per affrontare una lunga traversata. I tre amici hanno infatti programmato da mesi il difficile, quanto avvincente viaggio, che li riporterà in Australia Occidentale, dopo circa 8 settimane di navigazione.
La prima tappa del viaggio è Townsville, dove però i tre non arriveranno mai. Il 18 aprile un elicottero di passaggio nota un catamarano alla deriva, a circa 163 chilometri dalla costa nord-orientale australiana, nei pressi della Grande Barriera Corallina. Trascorrono altri due giorni e il 20 aprile la guardia costiera si imbatte nel catamarano. Saliti a bordo, gli uomini della guardia costiera notano che un vela è strappata, ma la barca non presenta nulla di anomalo.
All’interno la tavola è apparecchiata, gli effetti personali degli occupanti sono riposti nella cabina e c’è un laptop acceso. Si nota un’unica stranezza: sul catamarano non vi è traccia dell’equipaggio. Dove sono finiti Batten e i fratelli Tunstead? Immediatamente scattano le ricerche dei tre uomini scomparsi, mentre il Kaz II viene portato nel porto di Townsville, per essere esaminato.
Come riporta il sito Strange Outdoors, Jon Hall, dell’Ufficio della Gestione delle Emergenze del Queensland, affermerà che a parte la vela strappata, il catamarano era in ottime condizioni, come se i passeggeri fossero stati a bordo fino a pochi minuti prima. Il Gps e i sistemi radio erano funzionanti e c’era ancora il motore acceso. Una volta al porto, i sergenti della polizia del Queensland Molloy e Bardell, indagheranno all’interno del catamarano per scoprire cosa poteva essere accaduto ai tre passeggeri. Sul pavimento dello yacht verrano trovati un coltello e dei giornali, ma a parte questo, è tutto in ordine e non ci sono segni di lotta.
Scartata la teoria di un assalto da parte da alcuni malintenzionati, le indagini si concentreranno sui video registrati dagli uomini durante il viaggio, l’ultimo dei quali è datato 15 aprile, poco prima di scomparire. Nelle riprese, fatte da James Tunstead alle 10 del mattino, il fratello Peter sta pescando, mentre Batten è al timone. Attorno a loro si intravedono delle isole e il mare è calmo. Il video aiuterà gli inquirenti a localizzare la zona, compresa tra Gumbrell Island, Grassy Island e Armit Island.
Le ricerche dell'equipaggio disperso
Per le ricerche vengono impiegate due barche e un aereo della marina, dotata di infrarossi, che si recano nelle vicinanze del luogo identificato nel video. Contemporaneamente altri volontari vengono inviati sulle isole e sulla costa, per cercare lo skipper e i due fratelli. Nei giorni seguenti le operazioni di soccorso continuano, con il supporto di elicotteri e aeroplani, ma i tre uomini non vengono ritrovati.
La moglie di Derek Batten racconterà che il marito aveva frequentato dei corsi e che aveva una certa abilità nella navigazione, motivo per cui i fratelli Tunstead, senza alcuna esperienza in mare, si erano affidati al loro amico e vicino di casa per il viaggio. Secondo il precedente proprietario del Kaz II, Greame Douglas, la barca era in perfette condizioni al momento della partenza. L'uomo rivelerà inoltre agli inquirenti di aver aiutato lui stesso i tre uomini a pianificare la traversata.
Le teorie sulla sparizione dei passeggeri del Kaz II
I familiari dei tre amici dispersi, nel più totale sconforto, ancora oggi si chiedono come sia possibile che i loro cari siano scomparsi senza lasciare nessuna traccia. Jennifer Batten, la moglie dello skipper, all'epoca della tragedia racconterà che con il marito, il quale aveva un'esperienza di 25 anni in mare, avevano più volte navigato fino a Fremantle, in Australia Occidentale e che Derek e i due amici si erano preparati a lungo per la traversata che li attendeva, programmando le tappe e decidendo di navigare di giorno, per essere più prudenti.
Nelle settimane seguenti al ritrovamento del Kaz II, verrà ascoltato dagli inquirenti Gavin Howland, uno skipper che si trovava in mare il 16 aprile, giorno in cui aveva avvistato lo yacht misterioso. L'uomo rivelerà che, a parte la vela rotta e il tratto di mare in cui si trovava la barca, circondata da scogli e acque poco profonde, non si accorse di anomalie e soprattutto, che all'interno non c'era nessuno.
Nel rapporto conclusivo, il coroner Barnes ammetterà di non "essere definitivamente sicuro circa le circostanze che hanno portato alla morte dei tre uomini". Tuttavia, nella ricostruzione della vicenda, si legge che: "Sabato, 15 aprile 2007, il Kaz II stava navigando nei pressi di George Point. Fino a quel momento andava tutto bene, ma nelle ore successive la situazione è precipitata drammaticamente. Uno dei tre uomini deve essere caduto in mare mentre recuperava un'esca che è stata trovata incastrata al timone. Gli altri due devono essersi tuffati per aiutare l'amico e siccome nessuno di loro era un gran nuotatore, con il mare mosso devono essere annegati dopo poco tempo".
Ma il rapporto ufficiale non ha convinto tutti, compresi i parenti dei dispersi e negli anni sono state azzardate diverse ipotesi, su cosa sia capitato a Batten e ai fratelli Tunstead quel giorno di aprile del 2007. Secondo le autorità di Townsville il tempo quel giorno era ventoso. E proprio il vento avrebbe messo in difficoltà i tre uomini, che caduti in acqua, non sarebbero riusciti a risalire a bordo dello yacht. Ma la teoria non regge.
All'interno della barca tutto era infatti in ordine, persino le posate e i piatti erano perfettamente al loro posto sul tavolo. Stando a un'altra ipotesi, portata avanti dal nipote di Batten, lo zio e gli amici potrebbero essere stati rapiti. La barca aveva tirato fuori i paraurti, cosa che in genere si fa quando si avvicina un'altra imbarcazione, la quale potrebbe aver affiancato il Kaz per rapire gli uomini.
Non è tutto: c'è chi ha avanzato l'ipotesi che un'onda anomala avrebbe colpito l'imbarcazione, facendo annegare il suo equipaggio, oppure che i tre amici abbiano finto un incidente per scomparire per sempre e magari godersi la pensione su qualche isola remota del Pacifico.
L'ultima, a dir poco fantascientifica teoria, vede al centro della sparizione un qualche evento paranormale verificatosi in quel tratto dell'Oceano Pacifico, come un rapimento alieno. Gli interrogativi su che fine abbiano fatto i tre occupanti del catamarano Kaz II sono molti e restano tutti senza una risposta certa. L'unica certezza è che Derek Batten e James e Peter Tunstead non sono mai tornati a casa dalle loro famiglie.
Ultimo viaggio. Ingoiata dall'oceano: quella nave "vittima" del Triangolo del Diavolo. Il 24 ottobre 1980 la nave mercantile Ss Poet salpa dal porto di Philadelphia, per raggiungere l'Egitto. Ma la nave non raggiungerà mai Port Said e scomparirà nel mezzo dell'Oceano Atlantico, da dove non riemergerà mai più. Mariangela Garofano il 15 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Il 24 ottobre 1980 la nave Ss Poet, che trasporta grano, si imbarca da Philadelphia, negli Stati Uniti, diretta a Port Said, in Egitto. A bordo dell’enorme nave cargo c’è un equipaggio composto da 34 uomini, guidato dal capitano Gary Harper. Come riporta il sito Bermuda Attractions, prima di partire, Harper aveva notato che la prua era più pesante del resto della nave, forse a causa della grande quantità di grano a bordo. Ma la sua osservazione non desta alcuna preoccupazione, visto che la Poet aveva navigato con carichi dei quelle dimensioni svariate volte. Così la nave salpa, ma purtoppo non arriva mai a destinazione. Le sue tracce e quelle dei 34 membri dell’equipaggio si perdono tra le onde dell’Oceano Atlantico poche ore dopo la partenza, per non essere mai più ritrovate.
La misteriosa scomparsa della Ss Poet e le ricerche del relitto
La Ss Poet viene costruita nel 1944 per trasportare le truppe della marina militare statunitense durante la Seconda guerra mondiale, fino al 1949. Per decenni rimane inattiva e soltanto nel 1979 viene acquistata dalla compagnia Hawaiian Eugene Corp e convertita in una nave mercantile da carico. La mattina del 24 ottobre 1980 la Poet parte dal porto di Philadelphia alla volta dell’Egitto, compiendo una tratta che la nave aveva affrontato più volte per consegnare il grano. L’ultima comunicazione registrata tra la Poet e la terraferma risale alle 8.30 del mattino, quando il capitano Harper annuncia che la nave sta attraversando Cape Henlopen, nella baia del Delaware, per iniziare la traversata oceanica.
Come da prassi, la nave avrebbe dovuto comunicare ogni due giorni la sua posizione e il livello di carburante, ma dopo 9 giorni senza ricevere alcuna comunicazione da parte della Poet, la compagnia navale Hawaiian Eugene Corp dichiara che la nave non è mai arrivata a Port Said. Ma perché comunicare la sparizione della nave dopo ben 9 giorni? Un'ipotesi è che la compagnia non aveva idea di dove si trovasse la nave e non sapendo da dove iniziare le ricerche, abbia aspettato il giorno del presunto arrivo in Egitto per dare la notizia della sua scomparsa. Non avendo ricevuto notizie, la Hawaiian Eugene Corp decise quindi di avviare le ricerche con l'aiuto della Guardia Costiera, in un'area vastissima di circa 750.000 metri quadrati, a partire dall'ultima posizione della Poet, Cape Henlopen.
Ma le ricerche non diedero i risultati sperati dalla compagnia navale e dai parenti delle presunte vittime. Come riporta un articolo del Washington Post, scritto all'epoca della sciagura, non venne rinvenuto nemmeno un minuscolo resto del relitto della Poet, come fosse stata inghiottita dall'oceano. Gli inquirenti scoprirono però che il giorno successivo alla partenza della Poet, un ciclone si abbatté sull'Atlantico, con onde alte fino a 9 metri. Nelle settimane successive alla scomparsa, venne riferito agli inquirenti che due giorni dopo la partenza della Poet, la torre di controllo del porto di Baltimora ricevette un segnale di allarme, che si interruppe bruscamente, senza dare il tempo ai controllori di verificarne la provenienza. Se il segnale fosse partito dalla Poet, la posizione dell'allarme rilevata indicava che la nave si trovava nel Mar dei Sargassi, proprio in prossimità di quello che viene definito Triangolo delle Bermuda.
Il mistero del Triangolo delle Bermuda
Il Triangolo delle Bermuda è da secoli teatro di sparizione di navi e aerei, in un'area compresa tra l'arcipelago delle isole Bermuda, la parte orientale di Porto Rico e la punta più a sud della Florida. Le prime sparizioni risalgono al 1800, ma è solo negli anni '50 del Novecento che sono iniziate le prime speculazioni intorno al Triangolo delle Bermuda, divenuto luogo maledetto, e sui misteriosi incidenti.
Sono state fatte le congetture più azzardate su che cosa succeda alle navi e agli aerei che attraversano questo tratto di oceano: dai rapimenti alieni ai fenomeni paranormali, e ad anomalie magnetiche presenti in quell'area. Anche il mondo scientifico è diviso. Secondo alcuni studiosi, quella del Triangolo delle Bermuda è una zona dall'elevato traffico aeronavale, ed essendo molto vasta gli incidenti non sarebbero superiori alle altre zone del mondo ugualmente trafficate. Altri scienziati sostengono invece che la media degli incidenti e delle sparizioni in quell'area siano superiori alla media, a causa delle onde anomale e delle forti correnti presenti.
La conclusione delle indagini
Nonostante gli sforzi per recuperare il relitto e il suo equipaggio, la Ss Poet non fu mai ritrovata. Gli inquirenti poterono solo formulare delle ipotesi su cosa successe durante la traversata in quei giorni di ottobre del 1980. Una delle supposizioni riguarda un boccaporto difettoso, che venne notato prima della partenza, ma anche questa teoria fu scartata in quanto la Poet aveva navigato per anni con il boccaporto guasto, senza alcun problema. La teoria più accreditata resta quella secondo la quale la nave rimase vittima della violenta tempesta che presumibilmente la investì due giorni dopo la partenza e la trascinò sul fondo dell'oceano. La rapidità con cui la nave sarebbe naufragata spiegherebbe la mancata trasmissione di un segnale di soccorso. Dove sia finita la Ss Poet e gli altri mezzi scomparsi nel nulla rimane tutt'oggi un mistero, che alimenta le dicerie sul famigerato Triangolo delle Bermuda, chiamato anche Triangolo del Diavolo.
La storia di Angela. Sopravvissuta al naufragio della Concordia, torna in vacanza dopo 11 anni ma diventa un incubo: “Mie figlie intossicate”. Redazione su L'Unità il 5 Settembre 2023
Aveva accumulato i risparmi per poter pagare a sé stessa, alle due figlie, alla sua migliore amica e al suo bambino una vacanza da sogno che doveva essere anche il segno di una riconciliazione col mare, lei che aveva vissuto il dramma del naufragio della Costa Concordia il 13 gennaio 2012, strage nella quale morirono 32 persone al largo dell’isola del Giglio.
Per Angela Familari, 43enne consulente di immagine e personal trainer di Roma, la vacanza da sogno si è invece trasformata in incubo. La donna assieme all’amica accompagnata dal suo bambino di 12 anni e alle figlie di 10 e 12 anni aveva comprato un pacchetto vacanze per una settimana a Marsa Alam, in Egitto, investendo quasi 7mila euro.
Un impegno economico importante ma fortemente voluto per superare il dramma di quanto vissuto sulla Costa Concordia. Al Corriere della Sera Familari racconta il naufragio: “Ero nella cabina con la mia primogenita di dodici mesi. Ci fu un urto, una collisione fortissima”. La bambina, oggi 12enne, venne sbalzata fuori dalla culla, la madre finì contro la porta del balcone: “In breve tempo sentimmo l’allarme che diceva di tenersi pronti a evacuare dal ponte 4 e la portai fuori; quello che allora era mio marito si trovava nella sala ristorante per cena. La gente correva per i corridoi, le scale erano già verticalizzate. La bimba mi cadde e si ruppe il dentino davanti, il viso era una maschera di sangue. Arrivata al ponte 4 ho temuto di non poterla rivedere più e sono svenuta. Però siamo riuscite a salire entrambe sull’ultima scialuppa e non potrò mai dimenticare il ragazzo con la divisa che ci ha accolte a terra con un abbraccio e una coperta color argento dicendo: “Siete salve””.
Da quel momento Angela aveva evitato di andare al mare, mandando le figlie in vacanze col padre ed ex marito. Quest’anno quindi la decisione di affrontare le sue paure in compagnia delle figlie e dell’amica, che si è vista offrire il viaggio “per ringraziarla del supporto che mi aveva dato nei periodi più bui”.
Invece il viaggio in Egitto, prenotato a luglio, si è rivelato un disastro. Durante una escursione organizzata nel deserto, nella quale era prevista una cena beduina, i bambini mangiano qualcosa che fa loro male. Il primo ad avvertire problemi è il figlio 12enne dell’amica: “Non so se le crepes oppure l’anguria o forse era l’acqua, non in bottiglietta, ma loro ci avevano detto che era buonissima lo stesso. Fatto sta che il primo a stare male, il mattino dopo, è stato il figlio della mia amica: febbre altissima e problemi intestinali. Dopo un paio d’ore è toccato alla mia figlia più piccola. E il giorno dopo, a ruota, alla mia maggiore”, racconta Angela.
La vacanza verrà così trascorsa con i tre ragazzini attaccati alle flebo in una stanza del villaggio di Marsa Alam. Familari si è quindi rivolta all’associazione dei consumatori Giustitalia, per avere un risarcimento morale, oltre che materiale, delle ferie trasformatesi in disastro.
Redazione - 5 Settembre 2023
E il 13 gennaio del 2012 naufragò la Costa Concordia. Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 14 Gennaio 2023
«La Francia ha occupato Essen: il cuore della Ruhr» titola «La Gazzetta di Puglia» del 12 gennaio 1923 in prima pagina. Il clima internazionale di cento anni fa è turbato da un grave incidente diplomatico. La «Commissione delle riparazioni», costituitasi all’indomani del primo conflitto mondiale, ha qualche giorno prima constatato l’inadempienza tedesca nella consegna del carbone: è formalmente una violazione degli accordi di Versailles. Per ritorsione, pertanto, la Francia occupa il bacino minerario della Ruhr. Si risponderà nei giorni seguenti, da parte tedesca, con atti di sabotaggio e resistenza passiva: ma l’ostilità francese darà sostanzialmente fiato ai partiti nazionalisti e di ultradestra. «L’Ambasciatore di Francia e il Ministro Belga si erano ieri sera recati dal Ministro degli esteri tedesco per presentare la nota in cui si annunziavano le misure che si sono prese per l’invasione della Ruhr», si legge sul quotidiano nel servizio del corrispondente da Berlino. «L’occupazione viene eseguita da due corpi, uno francese che muove per la linea di Düsseldorf ed un altro composto da francesi e belgi, che ha iniziato la marcia da Duisburg verso Bochum. L’intera operazione è stata coperta dalla cavalleria franco-belga che ha superato la frontiera orientale. Nel nuovo territorio è stato proclamato lo stato d’assedio. [...] Il Governo tedesco ha risposto preannunziando il richiamo degli ambasciatori tedeschi da Parigi e da Bruxelles. Oggi intanto si ha notizia del primo atto di resistenza passiva nella Ruhr». È in questo contesto di estrema tensione che prenderà forma l’intenzione del leader del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, una formazione politica nata tre anni prima, di tentare un colpo di stato: pochi mesi dopo, l’8 novembre del 1923 Adolf Hitler sarà a capo del cosiddetto putsch di Monaco.
«Come sul Titanic»: è il titolo del 15 gennaio 2012 e «La Gazzetta del Mezzogiorno» dedica più di sei pagine alla impressionante tragedia verificatasi la sera del 13 al largo dell’isola del Giglio. «È di tre morti accertati e 41 dispersi il bilancio purtroppo ancora provvisorio del naufragio della Costa Concordia, la nave da crociera finita l’altra sera sugli scogli del Giglio. Era appena partita per una crociera di otto giorni nel mediterraneo Occidentale: 114400 tonnellata di stazza e 1500 cabine in grado di accogliere 3780 passeggeri, si stava dirigendo da Civitavecchia a Savona, prima tappa del “Profumo D’agrumi”, un viaggio alla scoperta del Mediterraneo, che si è trasformato in un incubo». L’impatto con gli scogli è avvenuto mentre la nave stava effettuando il cosiddetto «inchino», una serie di manovre per avvicinarsi il più possibile alla costa come forma di saluto verso chi osserva da terra. «La svolta arriva a fine pomeriggio: il comandante della nave, Francesco Schettino, 52 anni, campano di Meta di Sorrento, viene sottoposto a fermo e portato in carcere a Grosseto. Tra le accuse contestate, oltre a naufragio e omicidio colposo plurimo, anche l’abbandono della nave naufragata a 50 metri dall’isola del Giglio, mentre c’erano ancora molti passeggeri da trarre in salvo. Secondo quanto risulta dagli inquirenti, Schettino già verso le 23.30 avrebbe lasciato la nave: a quell’ora però gran parte degli ospiti e dell’equipaggio stava ancora aspettando di essere evacuata». Sulla «Gazzetta» compaiono le testimonianze di un gruppo di turisti fasanesi presenti a bordo, tutti in salvo grazie alla prontezza dei riflessi di un membro della comitiva con un passato nel Battaglione San Marco. Si legge, inoltre, l’intervista a Claudio Losito, barese di 27 anni, terzo ufficiale di macchina della Costa Concordia, che ha pilotato una lancia di salvataggio portando sulla terraferma circa 150 persone. Il 12 maggio 2017, la Corte di Cassazione confermerà in via definitiva la sentenza di condanna per Schettino: 16 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e abbandono della nave. A causa dell’allarme lanciato in ritardo, il bilancio finale della strage è di 32 vittime e 157 feriti.
Il naufragio della Costa Concordia e le sue zone d’ombra, 11 anni dopo. Salvatore Maria Righi su L'Indipendente il 13 Gennaio 2023.
Duecentonovanta metri virgola venti centimetri di possente orgoglio italiano. Quando Fincantieri l’ha tirata fuori dai suoi bacini di carenaggio a Sestri Ponente, correva il settembre 2005, la Costa Concordia era la più grande nave passeggeri italiana, e quella con più capienza in Europa: nessuno avrebbe nemmeno osato immaginare che ci sarebbe mestamente tornata 7 anni dopo, trainata da due incrociatori e fracassata come un pugile dopo un ko, per finire cannibalizzata fino all’ultimo bullone. Nessuno, per la verità, avrebbe mai nemmeno immaginato che ne avrebbe preso il timone Francesco Schettino, il comandante al cui confronto l’Armata Brancaleone era la Wehrmacht: proprio in queste ore, con formidabile scelta di tempo, la Corte di Cassazione ha respinto l’istanza dei suoi legali per una revisione del processo in cui è stato condannato per omicidio plurimo colposo, lesioni colpose, naufragio colposo e abbandono della nave. Non ci sarà nessun procedimento bis e, salvo improbabili sorprese, finirà di scontare la pena di 16 anni per cui è recluso nel carcere di Rebibbia dal 2015.
Una città sul mare
È andata proprio così, questa storia che sembra una parodia del Titanic e che ha straziato sanguinosamente famiglie e coscienze. Del transatlantico affondato nel gelido oceano la Concordia aveva i connotati: un colosso da 112mila tonnellate di stazza, sei motori diesel, due elettrici, 23 nodi di velocità massima e 1502 cabine, 4890 persone a bordo equipaggio compreso, ossia più o meno la popolazione di ciascuno del 60% dei comuni italiani. Per capire la fantozziana tragedia che è andata in scena all’Isola del Giglio esattamente 11 anni fa, una sera fredda e umida di gennaio, con un terrificante bilancio di 32 morti, 157 feriti e un salatissimo conto da milioni di danni, compreso quello al Paese che ne è diventato inevitabilmente metafora, aiuta un po’ leggere altri numeri di quella cattedrale del mare che poi in otto anni è stata raggiunta da quattro navi gemelle. La Costa Concordia è costata 450 milioni ed è stata inaugurata due giorni prima che l’Italia vincesse il mondiale di calcio in Germania, solo che quel taglio del nastro è stato appunto un fantozziano remake: quel 7 luglio 2006, nel porto di Civitavecchia, a lanciare lo champagne contro l’imponente prua del nuovo Rex, non c’era la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare tanto cara al ragionier Ugo, ma la statuaria Eva Herzigova. Il risultato però è stato lo stesso: la bottiglia non si è rotta e nel mondo moderno eppure antico di chi va per mare, non è esattamente il migliore dei presagi.
Dalla crociera all’incubo
Col senno e con le miglia nautiche di poi, infatti, è stata la più grande sciagura navale italiana, oltre che una sagra mondiale degli imbranati, e imbranati non sarebbe la parola giusta. Ma la Costa Concordia, appunto, si è presentata con virtù da Mille e una notte. Vuota pesava come 110 Boeing 747 e coi suoi cavi elettrici si faceva cinque volte e mezzo la distanza tra Roma e Milano. Il tek che impreziosiva i suoi arredi avrebbe riempito due campi di calcio e con le tovaglie dei suoi 13 bar e 5 ristoranti, si sarebbe potuto apparecchiare due chilometri e 700 metri di tavole. Aveva 17 ponti, 4 piscine, un’area termale di seimila metri quadrati e una sportiva di duemila, e poi discoteca, cinema, teatri, sale giochi. Una settimana a bordo di quella meravigliosa Disneyland per adulti costava 350 euro, in fondo un prezzo popolare, il quadruplo per una suite. Quando si è infilata tra gli scogli davanti all’Isola del Giglio, condotta in modo forsennato per fare quello che il mondo intero ha guardato con sgomento e imbarazzo, stava terminando una lunga crociera nel Mediterraneo. Una rotta ovale che era partita da Savona, il porto capolinea della compagnia affiliata all’americana Carnival, con un nome che faceva già pregustare i piaceri del Mare Nostrum: “Profumo d’agrumi”.
Dalla Liguria a Marsiglia e poi Barcellona, Palma di Majorca, Cagliari, Palermo e Civitavecchia, dove la Concordia è arrivata la mattina alle 8 e, dopo una gita a Roma per i suoi ospiti, è ripartita come da programma in serata. Era il 13 gennaio 2012 e la nave ha salpato l’ancora con tre minuti di anticipo sul programma. Sarebbe stato tutto bello e felice, sarebbe filato tutto liscio se il comandante non avesse deciso una manovra fuori programma, col petto gonfio di orgoglio e con una plancia su cui si è poi mosso come un elefante in una cristalleria.
Processo nel teatro
Aveva 52 anni, quando ha condotto la sua nave al disastro. Lavorava per Costa Crociere dal 2006, dopo essersi fatto le ossa con la Tirrenia. Nella compagnia di navigazione è stato assunto come addetto alla sicurezza, e per come sono andate le cose quella sera d’inverno al Giglio, verrebbe da chiedersi come facessero il recruiting e con quali criteri affidassero gli incarichi e le carriere. Qualche idea se l’è fatta sicuramente il pm del caso Concordia che nel processo celebrato al teatro Moderno di Grosseto, perché il tribunale non sarebbe bastato per tutta quella gente, ha raccontato di un comandante che in quattro anni si è trovato paracadutato dalle petroliere alle navi passeggeri. Il giorno della sua arringa, quando la pubblica accusa ha inchiodato il comandante alle sue responsabilità e alle sue colpe, Schettino si è presentato in aula con un vistoso ritardo per un guasto alla macchina del suo avvocato: poteva sembrare una battuta, invece è andata proprio così.
Figlio di una famiglia di marittimi di Meta, Piana di Sorrento, Schettino ha fatto l’istituto nautico Nino Bixio a Sorrento. Due anni prima del naufragio al Giglio, il 4 giugno 2010, al timone della Costa Atlantica è entrato nel porto tedesco di Warnemunde in modo cosi forsennato da danneggiare un’altra nave della compagnia, l’Aidablu. Segni premonitori, forse. Presagi che ritornano. Come la bottiglia che non si è rotta. Ma chi lo conosce bene, non si è meravigliato. Mario Terenzio Palombo, il comandante di lungo corso che in Costa Crociere è una specie di leggenda e che ha avuto Schettino come secondo in plancia. In un rapporto di servizio di Palombo che il pm Leopizzi ha citato nella sua accusa, ha descritto il suo vice così: «Aveva un’esuberanza che lo portava a non essere sincero». E ancora: «Per motivi professionali o sue caratteristiche caratteriali, non diceva la verità». Con queste premesse, non poteva essere idilliaco il rapporto tra Schettino e il comandante che nel 1986 alle Bermuda, nel mezzo di un uragano, è riuscito a governare il suo transatlantico e salvare 1200 passeggeri: una leggenda delle navi da crociera e un comandante che per giustificare le sue scellerate manovre quella sera al Giglio, ha detto che gli scogli su cui si è fracassata la sua nave e che conoscono tutti da quelle parti, «non sono segnati sulle carte»: nemmeno fossero iceberg che si spostano.
Gli inchini del lupo di mare
Nella tragedia che si è consumata alle 21.45, quasi tre ore dopo aver lasciato Civitavecchia, c’è uno stretto il rapporto tra sciagurato Schettino e il comandante Palombo che è originario del Giglio, ma che era già in pensione. È lui, però, che anche in un libro autobiografia ha spiegato bene cosa fosse l’inchino. O meglio: il passaggio ravvicinato. L’inchino non esiste, esistono i passaggi ravvicinati. Sono sempre un momento di festa per Costa Crociere, che può averne notevoli ritorni economici. La prima volta fu l’1 ottobre 1993, al timone della Victoria. Poi diverse altre volte: il 25 luglio 1996, il 21 novembre 1998, anche nel 2003. Passando vicino alle Scole, gli scogli della morte per la Concordia, ma anche alla Gabbianara, dove la nave si è adagiata per rialzarsi solo dopo 2 anni, per il suo ultimo viaggio verso il cantiere di Genova dove hanno finito di smantellarla nel 2017. Ogni volta che Palombo passava vicino alla sua isola, a volte molto vicino, vedeva la gente che gli andava incontro fuori dalle case o sul molo. Oppure accendeva la luce alle finestre. «Ho sempre informato la centrale operativa della compagnia e la Guardia Costiera di ogni deviazione» ha detto Palombo che evidentemente aveva un altro modo di “inchinarsi” al timone.
«Due cretini»
Pierluigi Foschi, all’epoca presidente di Costa Crociere e la cui posizione fu poi archiviata durante il processo, ha detto che non era usanza della compagnia fare inchini con le proprie navi, anche se non escludeva che qualche comandante prendesse iniziative personali. Proprio come nel caso di Schettino quella notte, quando decise in totale e inaudita autonomia di fare la manovra al Giglio in onore della mamma del maitre di bordo, Antonello Tievoli, che abitava sull’isola. Nel suo libro, Palombo definisce Schettino e Tievoli «due cretini», e già questo la dice lunga su cosa possa essere successo sulla plancia della Concordia. I resoconti e le testimonianze che sono pieni di parole e di termini nel codice marinaro sulle manovre e sulle disperate conseguenze, raccontano una situazione e un clima imbarazzanti. Schettino che praticamente impone l’inchino, «amm’a fa l’inchino al Giglio», poi va comodamente a cena in uno dei ristoranti dove lo avvisano, alle 21.04, che il Giglio era ormai in vista e lui, per finire con calma il suo pasto, dà ordine di rallentare.
La Concordia viaggiava a circa 16 nodi, velocità standard, e in trequarti d’ora è successo tutto quello che non dovrebbe succedere nella plancia di comando di una nave. Per effettuare quella manovra che Palombo ha sempre condotto con molta prudenza e nel corale monitoraggio della compagnia e della capitaneria di porto, la Concordia avrebbe dovuto lambire e incrociare tre scogli di granito che tutti conoscono come pericolosi e infidi, anche per il fondale roccioso che li ospita. Il più grande è a circa 100 metri dalla riva, quello più piccolo a 280 metri. La distanza che una nave di quella stazza dovrebbe ragionevolmente tenere per passarci davanti senza rischiare la chiglia è almeno 0.5 miglia nautiche, ossia circa 800-900 metri. Stiamo parlando di uno scafo da quasi 300 metri, 70 di altezza e oltre centomila tonnellate, con l’inerzia che in proporzione un colosso del genere si porta appresso e che in caso di manovre rapide e disperate può essere fatale.
Telefonata prima del disastro
Schettino si alza da tavola e raggiunge la plancia, dove chiede al maitre Tievoli di chiamare col cellulare Palombo per chiedere lumi sull’inchino: a ridosso del luogo dove fare la manovra, evidentemente, non aveva un’idea precisa di cosa l’attendeva. Palombo risponde da Grosseto, anche se è originario del Giglio, e ovviamente conosce quel tratto di mare come le sue tasche. Schettino se lo fa passare e gli chiede se sia possibile eseguire l’inchino anche in modo più ravvicinato, a 0,4 o anche 0,3 dall’isola: stiamo parlando centinaia di metri e se si guardano non le foto del relitto da solo, ma del relitto con lo sfondo dell’isola, si ha la percezione corretta delle mastodontiche proporzioni della nave. È intuibile cosa avrà pensato Palombo di quella telefonata e del fatto che gli avranno detto che tutto quello lo facevano per la mamma di Tievoli, fatto sta che Palombo pare abbia rassicurato Schettino. E lui due minuti dopo, alle 21:39, ha pronunciato il fatidico «comandante al timone», che vuol dire faccio da solo. Per dimostrare a Palombo che era capace anche lui, per rimarcare sui presenti il suo grado e il suo ruolo, per fare bella impressione sui passeggeri: sono tanti i motivi per cui Schettino può aver deciso di prendere il volante in mano.
Rotta a casaccio
Fatto sta che quello che è successo nei minuti successivi, ricostruito con le testimonianze del primo ufficiale e degli altri dell’equipaggio presenti in plancia o accorsi dopo, è uno scenario da incubo in cui un comandante sostanzialmente guidava la sua nave a casaccio. Dal processo è emerso che Schettino non avesse idea della posizione della Concordia al momento di prendere in mano il timone, o meglio che fosse convinto di trovarsi ancora ad un miglio dalla scogliera. E che non ha azzerato da solo il radar, per calibrare esattamente la posizione, perché ha ammesso che di notte aveva problemi di vista nel leggere gli strumenti. Quando gli hanno sistemato il monitor, ha cominciato a impartire comandi come un forsennato cambiando rotta di continuo, sempre più a sinistra per avvicinarsi all’isola. Solo quando ha capito che la nave si è era spostata troppo verso la riva, ha cominciato a dare ordini al contrario al timoniere, Jacob Rusli Bin, che poi è finito sotto processo e condannato a 1 anno e otto mesi. Secondo Schettino, non aveva capito il suo comando di spostarsi a destra, quando la poppa della Concordia si è avvicinata così pericolosamente agli scogli da andarci a sbattere, poco dopo. «350 a dritta altrimenti andiamo sugli scogli», ha urlato il comandante al timoniere, ma lui ormai aveva capito di dover concludere la manovra di allontanamento verso destra.
Praticamente, la Concordia prima è andata a tutta forza verso gli scogli, poi quando Schettino si è reso conto del disastro imminente, ha provato a farla allontanare virando dalla parte opposta, ma ormai era troppo tardi: l’enorme poppa della nave ormai era in rotta di collisione con le rocce che hanno aperto all’altezza della barra antirollio, a otto metri di profondità, uno squarcio lungo 70 metri, una cinquantina nel punto centrale, per 35 metri di altezza. Una voragine nelle lamiere della nave che ha cominciato a imbarcare acqua a ritmi forsennati, trovandosi subito alcuni settori allagati. Era progettata per poter restare a galla con 2 comportamenti sommersi, si è trovata in breve ad averne quattro, dal numero 4 al numero 8. Fuori uso, quasi subito, i motori e i tutti i quadri elettrici, in breve anche le pompe che dovevano servire per fermare o ritardare di essere sommersi.
Condannata in sei minuti
Schettino si rende conto di quello che è successo, «ho combinato un guaio» dice ai suoi sottoposti, e nel breve volgere di sei minuti viene emessa la condanna a morte della Concordia che però, per un miracolo, dopo l’impatto con le Scole invece di proseguire verso il mare aperto, e una sicura ecatombe di proporzioni non prevedibili, va fuori controllo, con i motori fuori uso e il timone in stallo. Le correnti e l’inerzia le fanno fare una conversione ad U sufficiente per spingerla indietro, di nuovo verso l’isola, ma stavolta con le mura di dritta dalla parte della riva. Compie la breve distanza che la separa dalla pianura sommersa dove va poi ad arenarsi, appoggiandosi sul fianco destro su cui poi si inclinerà del tutto in poco tempo. Alle 21:51 il destino della nave è già segnato e tra plancia e sala macchine lo hanno già capito, ma Schettino attende l’inverosimile per dichiarare lo stato di emergenza, che pronuncia non prima delle 22:36, ossia 50 minuti dopo l’impatto. E poi per il fatidico ordine di abbandonare la nave, alle 22:54, oltre un’ora dopo aver sbattuto contro gli scogli.
Panico a bordo
Un tempo enorme e un comportamento inspiegabile, madornale. Soprattutto perché il comandante e l’equipaggio lo passano in gran parte dicendo alle Capitanerie di Livorno e Civitavecchia che c’era solo un black out a bordo, e che sarebbe stato sistemato in breve. «Signore e signori attenzione, vi parlo a nome del comandante. Abbiamo avuto un problema tecnico ai generatori della nave. C’è stato un blackout… I tecnici stanno lavorando all’inconveniente. Mantenete la calma, la situazione è sotto controllo». Per oltre un’ora, Schettino tiene nascosto a tutti la gravità della situazione e il fatto che la nave era già persa, i suoi sottoposti hanno la consegna di non andare oltre. I passeggeri, però, intuiscono che le cose si sono messe al peggio e che non c’è niente di ordinario in quelle manovre frenetiche, negli urti, nella scossa che sentono a bordo con la nave che comincia a restare al buio in molte parti, tra ponti, cabine e saloni. Anche per la mancanza di informazioni, in breve si scatena il panico a bordo. Le persone corrono da una parte all’altra per cercare una via di fuga, per salire su lance e scialuppe ci sono scene da far west con pugni e calci: la psicosi dell’acqua che sale e della nave che si reclina inesorabilmente verso la superficie crea il caos.
All’alba gli ultimi superstiti
La macchina dei soccorsi è per fortuna già partita, arrivano rimorchiatori e motovedette dalle capitanerie, dalle forze dell’ordine, i mezzi di soccorso allertati dal centro di coordinamento. I soccorritori fanno la spola col porto del Giglio per portare a terra i passeggeri e i membri dell’equipaggio, il buio della notte e l’acqua gelata rendono tutto molto complicato. Per tutta notte, fino all’alba, dalla carcassa ormai spenta della Concordia vengono portate via persone che sono via via costrette a spostarsi verso il lato destro, quello destinato ad essere sommerso, perché la fiancata di sinistra è sempre più alta e impervia. Nello spostamento da un lato all’altro dello scafo c’è una fila di gente che precipita nel castello di poppa sommerso, trovando la morte che per quasi tutte le vittime è arrivata per annegamento, tranne alcuni casi di ipotermia. Gli ultimi passeggeri vengono evacuati alle 4:20 della notte, gli ultimi membri dell’equipaggio lasciano la nave alle 5:45, quando l’alba sta per arrivare e quando tocca ai sommozzatori entrare in scena per intervenire. Uno di loro poi, nei mesi successivi dedicati prima di tutto a recuperare i resti dei corpi che via via la carcassa della nave restituiva, ha poi perso la vita per un incidente durante le operazioni nel quale si è dissanguato per l’impatto con una lamiera.
L’urlo di De Falco
Accetta Advertisement cookie per visualizzare il contenuto.
Aveva lasciato la nave, però, anche il comandante che verso la mezzanotte è salito su una lancia insieme ad altri passeggeri: il sindaco del Giglio, nel suo andirivieni per salvare vite umane, racconterà poi di averlo visto sulla riva e di avergli inutilmente chiesto di continuare il suo lavoro tornando a bordo. Dove, è diventato celeberrimo, è stato richiamato dal comandante De Falco della capitaneria di porto di Livorno, nella telefonata in cui ha apostrofato Schettino col fatidico «salga a bordo, cazzo». Schettino però non è mai tornato a bordo, e nel poderoso atto di accusa nei suoi confronti, gli altri undici imputati hanno scelto il patteggiamento o sono stati prosciolti, c’era appunto anche la grave circostanza di aver abbandonato la sua nave e chi c’era ancora sopra al suo destino. Compresi i cadaveri delle vittime che sono affiorati per mesi dalla pancia della Concordia, emersi a volte dopo che le cariche esplosive piazzate dai sub della Marina per aprirsi varchi nel relitto, lasciavano accedere a parti della nave ancora prigioniere del mare: l’ultimo corpo rinvenuto è stato quello di un marinaio indiano, membro dell’equipaggio, ritrovato il 3 novembre 2014. A quasi tre anni dall’impatto e dal disastro, dopo un bilancio secco e chirurgico che parla di 3190 passeggeri tratti in salvo, insieme a 1007 membri dell’equipaggio. Il prezzo di una catastrofe quasi annunciata che gli italiani hanno visto praticamente in diretta. Una strage in mare, la peggiore di sempre. Un monumento alla banalità del male che nemmeno il tempo potrà più cancellare: per come è successo e, soprattutto, per come si sarebbe potuto evitare. [di Salvatore Maria Righi]
La decisione della Suprema Corte. Costa Concordia, respinto il ricorso del comandante Schettino: “No alla revisione del processo”. Vito Califano su Il Riformista il 12 Gennaio 2023
Respinto dalla Cassazione il ricorso della difesa dell’ex comandante Francesco Schettino contro l’ordinanza della Corte di Appello di Genova che nel febbraio scorso negò la revisione del processo sul naufragio della Costa Concordia. Niente processo bis per il comandante condannato a sedici anni di reclusione.
Era il 13 gennaio 2012. Davanti all’isola del Giglio, 32 morti tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Schettino fu condannato in via definitiva dalla Cassazione il 12 maggio 2017. Lo stesso giorno l’ex comandante entrò nel carcere di Rebibbia a Roma. Dallo scorso settembre sta beneficiando di misure alternative: è stato impegnato come archivista nella digitalizzazione degli atti della strage di Ustica.
Delusi gli avvocati di Schettino, Saverio Senese e Paolo Astarita. “Non nascondo la mia amarezza perché continuo a credere che la condanna per il naufragio sia stata del tutto legittima e comprensibile, ma quella per gli omicidi colposi e ancora più per l’abbandono della nave mi hanno lasciato molti dubbi. Ma prendiamo atto che la parola fine è calata su questo caso che, a parer mio, rimane un grande errore giudiziario”, ha dichiarato Senese al quotidiano La Nazione.
I difensori avevano sottoposto nel ricorso ai giudici genovesi nuove prove – un video e due consulenze tecniche – che erano state depositate. Le prove a corredo dell’istanza di revisione riguardavano la tenuta delle porte stagne, “vera responsabile del ribaltamento e affondamento della Concordia” secondo le consulenze depositate dalla difesa.
Le motivazioni della Corte di Cassazione non sono state depositate.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Concordia, 11 anni dal naufragio. E Schettino resta in carcere. I giudici hanno respinto il ricorso della difesa dell’ex comandante, niente revisione del processo. La tragedia costò la vita a 32 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Massimo Balsamo il 13 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Sono trascorsi undici anni dal naufragio della Costa Concordia al largo delle acque dell’Isola del Giglio, una tragedia che sconvolse il Paese intero. L’incidente del 13 gennaio 2012 costò la vita a 32 persone tra i passeggeri e i membri dell’equipaggio e alla vigilia della drammatica ricorrenza sono arrivate importanti novità dal punto di vista giudiziario. La Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso della difesa dell'ex comandante Francesco Schettino contro l'ordinanza della Corte di Appello di Genova che nel febbraio scorso negò la revisione del processo.
Naufragio Concordia, no alla revisione del processo Schettino
Attualmente recluso nel carcere romano di Rebibbia, Schettino è stato condannato a sedici anni di reclusione, confermati in tutti i gradi di giudizio. Nonostante le speranze del comandante, la Suprema Corte non ha accolto la richiesta del processo bis. "Non nascondo la mia amarezza, perché continuo a credere che la condanna per il naufragio sia stata del tutto legittima e comprensibile, ma quella per gli omicidi colposi e ancora più per l'abbandono della nave mi hanno lasciato molti dubbi. Ma prendiamo atto che la parola fine è calata su questo caso che, a parer mio, rimane un grande errore giudiziario", così a La Nazione l’avvocato Saverio Senese, che insieme a Paola Astarita difende il sessantaduenne.
La difesa di Schettino aveva acceso i riflettori sulle nuove prove a disposizione, ovvero un video e due consulenze tecniche. Entrando nel dettaglio, le nuove presentate a corredo dell’istanza di revisione del processo riguardavano la tenuta delle porte stagne – “vera responsabile del ribaltamento e affondamento della Concordia”, secondo i consulenti della difesa – e il mancato funzionamento del diesel generatore di emergenza.
Le tappe
Dopo il naufragio della Concordia e le relative indagini, Francesco Schettino è stato arrestato con le accuse di naufragio, omicidio colposo plurimo e abbandono di nave in pericolo. Quest’ultimo punto è stato il più dibattuto a livello mediatico, con il capitano reo di aver lasciato la nave senza prima assicurare la vita dei viaggiatori e del personale di bordo. Impossibile non pensare al dialogo intercettato con De Falco e il suo “salga a bordo, cazzo”.
"Salga a bordo, c...". Quell'"inchino" prima del naufragio della Costa Concordia
Il campano è stato condannato a 16 anni nel processo di primo grado dell’11 febbraio 2015. Il 31 maggio 2016 la condanna è stata confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Firenze; Schettino, inoltre, è stato interdetto per cinque anni da tutte le professioni marittime. Infine, la condanna in via definitiva della Cassazione il 12 maggio 2017. Ora è arrivata la mazzata definitiva: niente processo-bis.
Undici anni dalla tragedia
"L'Isola del Giglio ricorda l'undicesimo anniversario del naufragio della Concordia, ma, come annunciato un anno fa, lo farà in maniera più riservata, perché la memoria è importante al pari della necessità di guardare avanti", queste le parole del sindaco di Isola del Giglio, Sergio Ortelli. Il primo cittadino ha confermato che gli appuntamenti canonici saranno rispettati, ma tutto sarà svolto con sobrietà: “Chiunque vorrà venire per commemorare le vittime o ricordare quella tragedia è il benvenuto, ma senza la grande eco che questo appuntamento ha avuto negli anni passati, questo anche per il rispetto verso chi sulla Concordia ha perso la vita e per le loro famiglie”.
Norman Atlantic, otto anni fa il naufragio che causò 31 morti: ora è il tempo della giustizia. Sarebbero salpati tra qualche ora di otto anni fa, da Patrasso, diretti ad Ancona, per l’ultima traversata del 2014 per lavoro o per riabbracciare le loro famiglie e trascorrere la fine dell’anno insieme. Isabella Maselli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Dicembre 2022
Sarebbero salpati tra qualche ora di otto anni fa, da Patrasso, diretti ad Ancona, per l’ultima traversata del 2014 per lavoro o per riabbracciare le loro famiglie e trascorrere la fine dell’anno insieme.
Quando lasciarono il porto ellenico non sapevano quello che li aspettava, in quella notte glaciale, tra gli inverni più freddi degli ultimi anni, con il mare in tempesta, una bufera di neve, vento gelido fino a 70 nodi e onde altissime. All’improvviso, a bordo del traghetto Norman Atlantic, scoppiò un incendio e la vita di molti di loro non sarebbe stata più la stessa. Le fiamme in pochi minuti divennero indomabili fino a provocare il naufragio della nave e l’evacuazione degli oltre 500 passeggeri. In 31 morirono, 19 dei quali risultano ancora oggi dispersi, e altri 64 rimasero feriti.
Otto anni dopo e a quasi tre dall’inizio del processo, si attende il verdetto sulle presunte responsabilità di quel disastro. Si avvicina, cioè, il momento della giustizia.
Alle 3.09 della notte tra il 27 e il 28 dicembre 2014 a bordo della motonave, in navigazione dalla Grecia all’Italia in quel momento al largo delle coste albanesi, scoppiò un rogo su uno dei ponti dove erano parcheggiati decine di tir. La nave – hanno accertato le indagini coordinate dalla Procura di Bari - era partita in condizioni meteo «proibitive», caricando a bordo un numero di camion frigo superiore alle prese di corrente disponibili, che quindi dovevano viaggiare con i motori accesi. Da uno di questi sarebbe partita la scintilla fatale. L’allarme antincendio, però, scattò solo alle 3.23 e passarono altri minuti preziosi prima che fosse attivato l’impianto.
La nave ormai era spacciata, «come una brace al vento» hanno detto i pm Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano nella requisitoria finale del processo. E poi le confuse fasi di evacuazione, con alcuni passeggeri caduti in mare per le passerelle montate male, la scialuppa di salvataggio messa in mare con a bordo un terzo delle persone che avrebbe potuto contenere, l’equipaggio in preda al panico. Quando l’incubo finì e i naufraghi furono salvati, all’alba del giorno dopo, erano infreddoliti, affamati, in lacrime. Avevano respirato fumo per ore, acqua e vento avevano spaccato la pelle. Alcuni avevano i piedi ustionati. Per giorni sono andate avanti le ricerche dei dispersi fino ai numeri finali del disastro: Charif Racha, 15 anni, morto annegato, Mohammad Raed, 6 anni, nell’elenco degli scomparsi, le due vittime più giovani.
Dinanzi al Tribunale di Bari, dopo un lungo incidente probatorio eseguito a bordo del relitto annerito, ormeggiato per anni nel porto di Bari prima di essere demolito in Turchia, il dibattimento per accertare le colpe di avrebbe potuto e forse dovuto prevenire e gestire meglio quella situazione, è iniziato a febbraio 2020.
In 26, l’armatore Carlo Visentini della società Visemar, proprietaria del traghetto, i due legali rappresentanti della greca Anek Lines, che aveva noleggiato la motonave, il comandante Argilio Giacomazzi e 20 membri dell’equipaggio, oltre alle due società, rispondono, a vario titolo, di cooperazione colposa in naufragio, omicidio colposo e lesioni colpose plurime oltre a numerose violazioni sulla sicurezza e al codice della navigazione.
La Procura ha chiesto complessivamente 23 condanne fino a nove anni di reclusione e sanzioni pecuniarie fino a 600 mila euro per le due società. Il processo è ormai alle battute finali. Sono in corso le arringhe difensive (il 4 gennaio toccherà a quella del comandante Giacomazzi). La sentenza è prevista entro fine gennaio.
Norman Atlantic, difesa: assolvere imputati, la nave era sicura. La difesa dell'armatore: «Corretta la gestione dei rischi». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Gennaio 2023.
«L'ingegner Angelo Boscolo ha previsto il piano di sicurezza dell’ambiente di lavoro» della Norman Atlantic, «un piano approvato dal ministro dei Trasporti e mai smentito da circolari successive». Una circostanza, questa, che per i difensori del progettista esclude la sua implicazione colposa nel naufragio della nave. Lo ha evidenziato l'avvocato Alberto Mittone nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. "Boscolo - ha aggiunto il legale - è stato consulente della società di navigazione Visemar», proprietaria del traghetto, «ma essere consulente significa essere in possesso di un contratto che deve avere un oggetto, una data iniziale e una data finale». Il contratto fra Boscolo e Visemar, secondo la difesa, «è stato legato alla preparazione di documenti rispetto al varo di alcune navi della società», fra le quali anche il traghetto Norman Atlantic, «e non si è protratto oltre il 31 dicembre 2009». Cinque anni dopo, quando la nave è affondata, non c'era quindi più alcun contratto in essere fra Boscolo, imputato nel procedimento, e Visemar. Per questo la difesa, attraverso l'avvocato Filiberto Palumbo, ha chiesto al presidente del Collegio della prima sezione penale del Tribunale di Bari, Marco Guida, che Boscolo sia «assolto» dall’accusa di cooperazione colposa nel disastro, un’accusa che secondo la difesa non regge perché il progettista «ha agito quattro anni prima del disastro e non poteva prevedere un evento di quel tipo». Resta da capire, ha aggiunto Palumbo, «se l’ultimo capo di imputazione a suo carico, cioè l’omissione colposa relativa alla presenza di camion accesi durante la navigazione, da sola abbia generato il disastro» perché su questa circostanza non è stato provato che ci sia un nesso di causalità con il naufragio.
Nell’udienza di oggi sono state discusse anche le posizioni di tre marinai della Norman Atlantic: Alfonso Borrelli, Vitantonio Berlen e Pietro Dipalma. Il difensore Luca Castellaneta ha spiegato ai giudici che, relativamente ai primi due, «non è possibile sostenere che la morte dei passeggeri caduti in mare sarebbe stata evitata se le operazioni di approntamento della lancia di salvataggio fossero state effettuate a dovere» perché, ha aggiunto, «c'era già una folla da stadio incontrollabile» sul ponte della nave «che ha minato l’efficacia delle operazioni di salvataggio dell’equipaggio». Il legale ha dunque chiesto l’assoluzione dei due marinai dal reato di omicidio colposo «perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto». Quanto al reato di abbandono della nave, ha chiesto che siano assolti «perché il fatto non sussiste o, in subordine, non doversi procedere per avvenuto decorso dei termini prescrizione».
Quanto a Dipalma, il pm Ettore Cardinali ha contestato il reato di cooperazione colposa in omicidio colposo perché, con la sua condotta omissiva, il marinaio avrebbe causato la morte dei passeggeri a causa della caduta in mare dal Mes - il sistema di evacuazione marino - di sinistra. Il legale ha precisato che "non c'è stato abbandono del posto e non c'è un legame causale fra la condotta di Dipalma e l’eventuale caduta dei passeggeri in mare». Anche in questo caso è stata quindi chiesta l'assoluzione.
DIFESA ARMATORE: CORRETTA GESTIONE DEI RISCHI
La società Visemar, armatrice del traghetto Norman Atlantic, era dotata di un modello di gestione dei rischi a bordo conforme a tutte norme nazionali e internazionali, approvato da organi ministeriali e sottoposto periodicamente ai controlli delle autorità pubbliche competenti. Lo sostiene l’avvocato che difende la società, Gaetano Castellaneta, che ne ha chiesto l’assoluzione dal reato di illecito amministrativo «perché il fatto non sussiste» nel corso del processo per il naufragio della nave, avvenuto al largo delle coste albanesi la notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri.
Secondo la difesa di Visemar, il modello di gestione garantiva la sicurezza a bordo della nave. Durante l’udienza è stato anche evidenziato che l’istruttoria dibattimentale ha escluso l’interesse, da parte di Visemar, di risparmiare risorse omettendo la predisposizione della normativa in materia sicurezza sul lavoro. Anzi, durante il processo - secondo la difesa - è stato provato che la società ha investito molte risorse economiche per dotare la compagnia di tutti i sistemi necessari. «Sarebbe assurdo per l’armatore aver pensato di mettere in pericolo una nave per evitare, eventualmente, la restituzione del costo del biglietto per tre camion frigo presuntivamente imbarcati in surplus», ha detto Castellaneta. Costo che, in base ai prezzi attualmente in vigore, si aggira su 500 euro a camion.
Norman Atlantic, la difesa: sistematico travisamento di fatti e prove. Nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 04 Gennaio 2023
«C'è stato un ricorso sistematico al travisamento di fatti e prove, attività non consentita dal processo penale e civile. L’impossibilità di accertare la singola colpa sugli eventi ha portato a un’interpretazione aberrante del principio del concorso di causa». Lo ha detto l'avvocato Cesare Fumagalli, difensore dei marittimi Francesco Romano, Angelo De Candia, Francesco Nardulli e Antonio Gadaleta, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Romano e De Candia sono accusati, in particolare, di aver causato attraverso il loro comportamento, il decesso di due passeggeri, e di aver gestito in modo scorretto l’approntamento e la gestione della lancia di salvataggio.
«A Romano e a De Candia i pm addebitano di aver cagionato morte di due persone che sono cadute in mare durante le operazioni salvataggio sulla lancia di sinistra. Gli imputati non avrebbero vigilato sulle operazioni e non avrebbero impedito l'accesso dei passeggeri prima che le operazioni di preparazione fossero concluse e la sicurezza fosse garantita - ha detto il legale -. Avrebbero poi messo in mare la lancia arbitrariamente, prima del raggiungimento della capienza massima, e senza aver atteso l’ordine del comandante». Contestazioni che l’avvocato respinge perché «non è specificato chi abbia fatto cosa - ha detto davanti ai giudici -. Non è neanche definita la condotta che avrebbe portato alla causa del decesso».
Fra le contestazioni della Procura anche il fatto di non aver fatto indossare ai passeggeri il giubbotto di salvataggio. «Testimoni hanno confermato come le due vittime fossero regolarmente munite di giubbotti salvataggio - contesta il legale -. Una aveva il giubbotto e se lo è tolto perché rappresentava un impedimento. L’altra lo indossava regolarmente, poi improvvisamente si è alzato, ha tolto il giubbotto per indossare uno zaino e si è lanciato verso il mezzo di salvataggio. Sia dalla lancia sia dal mercantile arrivato in soccorso furono inoltre lanciati salvagenti che però si sono dimostrati inutili». Fumagalli ha continuato evidenziando che "gli imputati sono scesi per ultimi dalla lancia, non sono scappati prima del dovuto». Il legale evidenzia anche che "l'ipotesi che De Candia sia arrivato in ritardo al punto di soccorso è assurda». «Prima - ricostruisce - si è trovato a seguire un ordine del comandante relativamente all’approntamento della lancia, poi si è trovato di fronte a centinaia di persone che si sono riversate verso la lancia, in preda al panico». De Candia avrebbe quindi dovuto superare l’ostacolo determinato dalla folla «per raggiungere la sua posizione. Il suo ritardo non è quindi stato causato da colpa o imperizia».
La conclusione di Fumagalli è che «non sapendo come davvero sono cadute in mare e morte quelle persone, la colpa è stata attribuita agli imputati». Fumagalli dice infatti che «a seguito dell’allarme generale, i marittimi hanno fatto tutto quello che dovevano fare. Il nostromo De Candia avrebbe dovuto coordinare le operazioni. Non si capisce quale sia la sua colpa: è sceso direttamente sul campo di battaglia, si è messo al verricello per spostare la lancia, visto che la corrente era andata via. Ci ha messo faccia, le braccia e i piedi. Gli si contesta il mancato coordinamento solo per essere sceso a dare una mano in condizioni estreme».
«Non esiste una vaga evidenza del nesso causale fra le azioni contestate agli imputati e il decesso di due passeggeri». Lo ha detto l’avvocato Cesare Fumagalli, difensore dei marittimi Francesco Romano, Angelo De Candia, Francesco Nardulli e Antonio Gadaleta, nel corso del processo dinanzi al Tribunale di Bari per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Citando la deposizione di un testimone greco resa il 29 dicembre 2014, il legale ha ricostruito la «situazione drammatica, da stadio, con spinte e percosse» e la «corsa incontrollata per accedere alla lancia».
«Alcuni passeggeri hanno cominciato ad armeggiare intorno ai mezzi di soccorso e sono stati fermati da alcuni marinai - prosegue Fumagalli -. La scialuppa non era ancora in posizione e i passeggeri premevano per salire, in una situazione di grande pericolo. Quattro marinai urlavano alla gente di aspettare, ma il panico era fuori controllo». Citando una seconda deposizione, registrata lo stesso giorno, il legale ricorda che «i passeggeri non rispettavano gli ordini e si sono lanciati verso la scialuppa». Ricostruendo il racconto di un terzo teste, Fumagalli evidenzia che «il personale cercava di spiegare ai passeggeri come comportarsi, mentre cominciavano le operazioni di salvataggio». Il testimone, genovese, ha raccontato degli "spintoni per salire sulle scialuppe» e di essere salito a bordo "dopo aver indossato il giubbotto di salvataggio». «Il pavimento era caldissimo, per raffreddarlo i marinai usavano idranti e fra loro c'era il nostromo De Candia - va avanti Fumagalli, citando la testimonianza -. Il fuoco stava divampando, il contesto era difficile per il fuoco, il panico e gli spintoni, mentre l'equipaggio effettuava le prime operazioni di approntamento della lancia».
«Sono entrato nella scialuppa di salvataggio in modo aggressivo perché avevo paura per la mia vita. Sono riuscito a slittare da una catena e sono saltato a bordo. Dentro non c'era ancora nessuno, solo un membro dell’equipaggio era fuori dalla scialuppa per regolamentare gli ingressi. Dopo di me sono entrati gli altri». E’ il drammatico passaggio di una testimonianza resa il 29 dicembre 2014 e citata dall’avvocato Cesare Fumagalli, difensore dei marittimi Francesco Romano, Angelo De Candia, Francesco Nardulli e Antonio Gadaleta, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Rileggendo il verbale della testimonianza, Fumagalli ha ricordato che «due membri dell’equipaggio italiani sono saliti sulla lancia successivamente e l’hanno condotta al mercantile, arrivato in soccorso. Romano era al posto di guida, l’altro si trovava sulla parte frontale e cercava di capire cosa succedesse e dove andare».
Fra le contestazioni della Procura agli imputati c'è quella di aver concorso, con colpa, al decesso di due passeggeri caduti in mare. «Ho visto gente cadere in mare a causa dalle spinte, sul ponte della nave - ha proseguito Fumagalli leggendo il verbale della deposizione -. Non è successo durante le operazioni per salire sulla lancia. Le persone cadevano dalla parte sinistra della lancia, dalla parte posteriore, quindi non in corrispondenza delle pedane di accesso alle lance». Citando un’altra testimonianza resa il 16 novembre 2021, Fumagalli ha ricordato che «i passeggeri nella lancia erano uno sull'altro, spingevano, c'era troppo affollamento. Alcune persone avevano le gambe bloccate alle sedie, non potevano camminare. Un bambino è caduto per terra con indosso un salvagente e la gente ha iniziato a camminare su di lui. Almeno cento persone si lanciavano disordinatamente sulla lancia». La situazione era quindi di «caos, panico, paura continua e speranze che andavano via piano piano - ha detto il legale -. La parte sinistra della nave era avvolta dal calore, dal fumo e cominciava a bruciare». Testimonianze, queste, che per la difesa rafforzano la tesi secondo cui «la contestazione dei pm è priva di prove». La prossima udienza è fissata il 18 gennaio.
Norman Atlantic, la parola alla difesa: «Il comandante ha agito correttamente, chi lo ascoltò si salvò». «Ciò che è accaduto non può qualificare il delitto di naufragio» che in base alla legge è configurabile «quando la nave non sia più in grado di galleggiare correttamente, a causa del danneggiamento dello scafo». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno l’08 Febbraio 2023
«Quello che è accaduto alla Norman Atlantic, in seguito all’incendio scoppiato a bordo, non può qualificare il delitto di naufragio» che in base alla legge è configurabile «quando la nave non sia più in grado di galleggiare correttamente, a causa del danneggiamento dello scafo"; e le morti dei passeggeri causate dalla caduta in mare sarebbero, invece, «conseguenza del comportamento dei malcapitati a bordo» e non possono essere contestate al comandante come omicidi colposi. Lo hanno detto al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso delle arringhe al processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l’aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione.
«Si può integrare il reato di naufragio quando la nave non sia più in grado di galleggiare correttamente, a causa del danneggiamento dello scafo - hanno fatto presente i legali -. Nel caso della Norman Atlantic si è verificata la perdita della governabilità, ma non c'è stata compromissione dello scafo. La possibilità di galleggiare non è stata pregiudicata, tanto che il traghetto è stato rimorchiato fino all’Italia ed è rimasto in porto galleggiando per anni». Per questo i difensori di Giacomazzi hanno chiesto ai giudici di riqualificare il reato relativo al primo capo di imputazione che, se così fosse, risulterebbe prescritto.
Quanto al secondo reato contestato, l’omicidio colposo, la difesa ha fatto presente che i decessi avvenuti, secondo l'ipotesi accusatoria, a causa dell’incendio che avrebbe provocato il naufragio non possono essere ascritti alla responsabilità del comandante. Quelle causate dalla caduta in mare sarebbero, invece, «conseguenza del comportamento dei malcapitati a bordo».
«Non ci sono certezze che al momento della partenza sulla Norman Atlantic ci fossero camion frigo accesi non allacciati alla rete elettrica, il controllo degli stessi era inoltre affidato a un professionista qualificato e certificato». Lo hanno detto nelle loro arringhe dinanzi al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l'aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione. «La Procura ha contestato al comandante di non aver valutato correttamente il rischio - hanno proseguito i difensori -. Ma a lui non spetta questo compito, spetta formare l'equipaggio e avvertirlo del rischio per porre in essere tutte le procedure adeguate». «Il comandante non voleva assolutamente che sul traghetto viaggiassero camion con il motore ausiliario acceso», hanno fatto inoltre presente i legali. Gli avvocati hanno sottolineato che il «piano di sicurezza fu predisposto correttamente e approvato dalle autorità preposte».
Il comandante avrebbe quindi agito correttamente durante tutte le fasi dell’emergenza. «Non è possibile pensare che il comandante sia investito della responsabilità di tutto ciò che succede sulla nave unicamente in virtù del suo ruolo - hanno aggiunto - perché questo vorrebbe dire che dovrebbe essere in grado di prevedere anche l’imponderabile». I legali hanno quindi chiesto l’assoluzione da tutti i reati o, in subordine, la riqualificazione di alcune contestazioni. Richieste anche l'eliminazione delle aggravanti e il riconoscimento delle attenuanti in virtù del «corretto comportamento tenuto da Giacomazzi durante l’emergenza e dell’atteggiamento collaborativo mostrato durante il processo».
«Il comandante Giacomazzi non voleva assolutamente che a bordo della nave salissero camion con il motore ausiliario acceso e non allacciati alla rete elettrica della nave. Alcuni soggetti si sono sovrapposti alle direttive, in spregio alle sue disposizioni». Lo hanno detto di fronte al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l'aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione. I legali hanno ricordato uno scambio di mail fra Giacomazzi e l’armatore del traghetto, Carlo Visentini, avvenuto la mattina di Natale del 2014.
«Il comandante fece presente il problema degli allacci elettrici insufficienti si è attivò per risolverlo - hanno aggiunto -. L’armatore gli rispose che sarebbero saliti a bordo solo i camion consentiti e che gli altri sarebbero restati a terra». Seguì una seconda mail nella quale Giacomazzi evidenziò a Visentini un possibile scarico di responsabilità su questo punto da parte del noleggiatore della nave. «Emerge che Giacomazzi non intendeva tollerare che mezzi imbarcati fossero accesi e aveva dato precise disposizioni all’equipaggio - hanno detto i legali -. Di certo, però, non poteva spingersi fino all’ispezione dei camion presenti».
«Chi è rimasto a bordo e ha rispettato gli ordini del comandante si è salvato». Lo hanno detto nelle loro arringhe dinanzi al Tribunale di Bari gli avvocati Fabrizio D’Urso e Alfredo De Filippis, difensori del comandante Argilio Giacomazzi, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. A Giacomazzi la Procura di Bari ha contestato i reati di naufragio e omicidio plurimo colposo in concorso con l’aggravante della colpa cosciente, chiedendo nove anni di reclusione. «La nave non ha mai perso stabilità e galleggiabilità, tutti quelli che sono rimasti a bordo agli ordini del comandante si sono salvati», hanno precisato ai giudici.
Quanto alle condizioni meteo avverse, «il comandante in sede di esame ha chiarito di aver valutato scrupolosamente le condizioni meteo attraverso i bollettini ufficiali e il canale meteo francese, ritenuto da lui molto affidabile». I legali hanno aggiunto che la «Norman Atlantic aveva affrontato tratti di mare difficili nell’Oceano Atlantico, in condizioni che non si presentano nell’Adriatico». Inoltre quel giorno «in quel tratto di mare c'erano 129 navi, il traffico era regolare». Il naufragio sarebbe quindi stato causato dallo spegnimento dei motori, «una decisione presa senza il consenso del comandante, sulla quale Giacomazzi non aveva controllo». «Senza questo evento - hanno concluso i difensori - l’incendio sarebbe stato domabile e il mare mosso affrontabile». Si tornerà in aula l’8 marzo per le repliche dei pubblici ministeri.
Gli Oggetti Smarriti.
La Prevenzione.
Collisione di Cerritos.
Il Caso dell’Eurofighter.
Il Caso dell’Airbus della compagnia Air France.
Il mistero del volo militare Af-5882 sul Douglas C-124 Globemaster.
Sciacca, il mistero dell’aereo sommerso.
La tragedia di Guidonia.
La tragedia di Ivano Montanari.
La tragedia delle Frecce Tricolore.
La tragedia di Rivolto.
La Collisione di Zagabria.
Il dramma schianto a San Diego.
Il dramma del volo Arrow Air 1285.
Il dramma schianto a Überlingen.
Il Caso dell'Airbus A310 del volo Thai Airways 311.
Il Caso del Boeing 747 della compagnia China Airlines.
Il Caso del jet passeggeri Embraer E190 della compagnia Mozambique Airlines.
Il Caso del Dc-8 della compagnia islandese Icelandic Airlines.
Il Caso dell’Airbus A300-600 della compagnia American Airlines.
Il Caso del Boeing 707-123B della compagnia American Airlines.
Il Caso del Boeing 757-225 della compagnia di voli charter turca Birgenair.
Il mistero del il Boeing 737 della Compagnia cinese Xiamen Airlines.
Il mistero del volo Tam 3054 della Compagnia brasiliana Tam Airlines.
Il mistero del Boeing 737 della Compagnia brasiliana Gol Transportes Aéreos.
Il mistero del McDonnell Douglas DC-8-61 della Compagnia nigeriana Nigeria Airways 2120.
Il mistero del bimotore turboelica Let 410 della Compagnia venezuelana Transaven.
Il mistero del McDonnell Douglas MD-82 della Compagnia venezuelana West Caribbean Airways.
Il mistero dell’Atr 72-600 Bac One-Eleven della compagnia taiwanese TransAsia Airways 235.
Il mistero del Bac One-Eleven della compagnia British Airways.
Il mistero del Boeing 727-247 della compagnia peruviana Faucett Perù, dato in prestito ad Air Malta
Il mistero del Boeing 737 della compagnia China Eastern Airlines.
Il mistero del Boeing 777-200ER della compagnia malaysiana Malaysia Airlines.
Il dramma del MD-83 della compagnia Alaska Airlines.
Il dramma dell’Avro RJ85 della compagnia boliviana LaMia 2933.
Il dramma dell’Atr 72-500 della compagnia nepalese Yeti Airlines.
Il dramma dell’Airbus 310-304 della compagnia russa Aeroflot.
Il Dramma del Rockwell Commander 112Tc, Hb-Ncx, su Pirellone.
Il dramma del Boeing 727 della compagnia AeroPerù.
Il dramma dell’ ATR-72 della compagnia Yeti Airlines.
Il dramma dell’Airbus A320 della compagnia aerea egiziana EgyptAir.
Il dramma del Boeing 767 della compagnia aerea egiziana EgyptAir.
Il dramma del Crossair 498.
Il dramma del Boeing 737-8AS della compagnia Ethiopian Airlines.
Il dramma del Boeing 737 Max 8 della compagnia Ethiopian Airlines.
Estratto dell'articolo di Aldo Fontanarosa per “la Repubblica” il 16 marzo 2023.
Anton doveva essere un artista. Lo sguardo profondo, dolce. I lunghi capelli biondi. Qualcuno ha smarrito le sue ceneri all’aeroporto di Fiumicino, senza mai reclamarle indietro. E adesso Anton riposa — non proprio in pace — nell’hangar che l’aeroporto ha affittato in un’area commerciale vicino Ponte Galeria, campagne a sud di Roma. Qui sono raccolti tutti gli oggetti smarriti nello scalo. Cento al giorno, 50 mila in un anno e mezzo
[…] Soldi in contanti (8 mila euro il record di tutti i tempi a Roma). Rolex autentici, Rolex falsi. Bambole gonfiabili, vibratori, seghe elettriche, trombe, bici per bambini, sedie a rotelle. E ancora: bombole per l’ossigeno, oltre a un’infinità di valigie e trolley. L’hangar degli oggetti smarriti — anche se grande 700 metri quadri — è stracolmo. Tutto esaurito.
Al punto che il Tribunale di Roma, per la seconda volta in 4 mesi, incarica un istituto di vendite giudiziarie di bandire un’asta telematica. In vendita, da oggi e fino al 23 marzo, ci sono i beni che nessuno ha reclamato per tredici mesi.
La procedura per aggiudicarsi le valigie somiglia a certi giochi della tv. Lotto numero 31 dell’asta di oggi, ad esempio. In offerta ci sono 12 valigie, prezzo di partenza 30 euro. Piccolo problema: le valigie sono chiuse e il loro contenuto non è svelato. I compratori sanno solo che contengono “abbigliamento e accessori”.
[…] Un turista argentino, in partenza da Roma, ha lasciato in aeroporto un marsupio con 8 mila euro in contanti (poi recuperati dai parenti italiani, con una sua delega). In una cassaforte segreta dello scalo, ci sono cifre importanti, dollari, rupie, yen. Poi c’è chi arriva all’imbarco con qualcosa di ingombrante (il triciclo del figlio, tende o lavatrici da campeggio, chitarre, bombole) e si scontra con una dura realtà. La compagnia aerea, per imbarcare l’oggetto, chiede molti soldi. È meno doloroso separarsi da quel bene, e abbandonarlo in un angolo dello scalo, che pagare una fortuna per portarlo lontano con sé.
Qual è il posto più sicuro in aereo in caso di incidente? Leonard Berberi su Il Corriere della Sera il 18 Febbraio 2023.
L’analisi di cinquanta schianti in Usa, Europa e nel resto del mondo: le statistiche mostrano una maggior probabilità di sopravvivenza nei sedili della parte posteriore della fusoliera
Quando il Boeing 767 di Ethiopian Airlines finisce in mare il 23 novembre 1996 — dopo essere stato dirottato e aver consumato tutto il cherosene — si salvano cinquanta passeggeri su 172. Tra questi uno in particolare, seduto al posto 26D (corridoio centrale, parte posteriore della fusoliera) non riporta ferite. Al contrario di quello seduto subito dietro, al 27D che, invece, perde la vita. Quando il 6 luglio 2013, all’aeroporto di San Francisco, un Boeing 777 di Asiana Airlines sbatte in fase atterraggio la sua coda — contro un frangiflutti che delimita la pista — chi è seduto al posto 31E (sempre corridoio centrale, parte posteriore della fusoliera) se la cava senza alcuna conseguenza. Mentre intorno gli altri vicini finiscono in ospedale con traumi cranici, fratture, ustioni. Qualcuno viene sbalzato fuori e perde la vita.
Nella cabina
Gli esperti sottolineano da sempre che ogni incidente aereo va trattato come singolo caso. E che la dinamica — la velocità, l’impatto, il contesto geografico, le manovre — determina il risultato finale in termini di morti, feriti e sopravvissuti. C’è però una porzione di cabina — 2 o 3 sedili al massimo — che mostrerebbe tassi di sopravvivenza superiori rispetto ad altre parti e viene spesso additata anche come la più scomoda perché è più fonte di lite per il bracciolo con i passeggeri a destra e a sinistra: si trova a metà tra le ali e la coda, a metà tra i due corridoi (in un aereo per i voli intercontinentali) o affaccia su un corridoio (in un jet per i viaggi brevi e medi). Chi è seduto in questa zona ha il 74% di probabilità di uscire indenne da un incidente.
Il database
Il dato emerge da un’analisi che il Corriere ha effettuato sfogliando il database «Csrtg» dell’ente americano dell’aviazione (Faa): sono stati studiati tutti gli incidenti negli Usa e nel resto del mondo che hanno avuto morti e feriti (escludendo quindi quelli con nessun sopravvissuto), di cui è disponibile la planimetria dei sedili con l’indicazione delle conseguenze fisiche su chi c’era seduto: se è morto (per l’impatto o per annegamento, per le ustioni, per asfissia) e se è sopravvissuto e come (con ferite o senza). Tutti questi parametri forniscono i dettagli di 50 schianti dal 1969 (un Dc-8 a Santa Monica) al 2013 (il Boeing 777 di Asiana a San Francisco) e delle tendenze statistiche che sono abbastanza coerenti con gli studi fatti in precedenza dalla rivista Popular Mechanics nel 2007 e dal settimanale Time nel 2015.
Le percentuali
Più si va in fondo all’aereo più la probabilità di sopravvivere aumenta, stando ai numeri. Si passa dal 40% di chance della classe First o Business (a seconda della configurazione) al 57% del settore successivo dell’aereo fino alle ali. La percentuale sale al 62% nel blocco della fusoliera subito dopo le ali (e i motori) per toccare il 70% nell’ultima decina di file, prima dei bagni posteriori e della coda. Tra i sedili sul retro quelli lungo il lato corridoio (in un Airbus A320 o Boeing 737) o tra i due corridoi (negli Airbus A330/A350 o Boeing 777/787) mostrano il 74% di tasso di sopravvivenza.
Le statistiche
È bene ripeterlo: il risultato finale di un incidente aereo dipende da diversi fattori. Un velivoli che si inabissa nell’oceano ad altissima velocità non offre praticamente chance di salvarsi. Senza dimenticare il contesto: volare, in questo periodo, è il modo più sicuro per muoversi. Le statistiche di Icao — l’agenzia Onu per l’aviazione civile — mostrano che si registra in media un incidente mortale ogni 5 milioni di decolli. Il dossier aggiornato dell’Ntsb (l’agenzia americana di indagine sugli incidenti nei trasporti) mostra che se nel periodo 1983-2000 il 4,2% dei passeggeri a bordo ha perso la vita e un altro 1,1% è rimasto gravemente ferito in seguito a un incidente aereo, tra il 2001 e il 2017 il dato è sceso rispettivamente all’1,3% e allo 0,6%.
I «90 secondi»
Il docente dell’Università di Greenwich Ed Galea — che si è fatto una fama nella comunità degli appassionati di serie come «Indagini ad alta quota» che ricostruiscono i disastri in volo — sottolinea che la maggior parte dei passeggeri perde la vita perché non riesce ad abbandonare in tempo il velivolo. Almeno non nei 90 secondi fissati dallo standard internazionale. Nel libro diventato celebre «Il club dei sopravvissuti — Un viaggio alla scoperta della faccia nascosta della vita (e della morte)» l’autore Ben Sherwood ricorda che l’80% degli incidenti aerei si verifica nei tre minuti successivi al decollo o negli otto minuti che precedono l’atterraggio.
La «regola delle 5»
Ecco perché, concordano tutti gli esperti, bisogna prestare la massima attenzione alle istruzioni di sicurezza prima della partenza. Così come bisogna non distrarsi ascoltando la musica nelle cuffie — a maggior ragione dopo il decollo e prima dell’atterraggio —, come non bisogna dormire o togliersi le scarpe o indossare abiti scomodi in caso di fuga o imbottirsi di farmaci. Per aumentare le probabilità di sopravvivenza, poi, Galea sostiene da tempo la «regola delle 5 file»: studiando 105 incidenti aerei e dopo aver parlato con oltre duemila sopravvissuto il professore è giunto alla conclusione che chi è seduto al massimo a cinque file da un’uscita di emergenza ha maggiori probabilità di scamparsela.
Collisione di Cerritos, quando il Piper colpì in pieno un volo di linea. Il 31 agosto 1986 un Piper decollato dall'aeroporto di Torrance, colpì in volo un aereo di linea della compagnia aerea messicana, Aeromexico. Nell'impatto morirono tutti i passeggeri e 15 persone a terra. Mariangela Garofano il 17 Settembre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La collisione
Le indagini e le cause dello scontro
Il 31 agosto 1986 il volo Aeromexico 498 diretto da Città del Messico a Los Angeles, si scontrò con un aereo privato che viaggiava da Torrance a Big Bear City, California. Nel violento impatto, noto come Collisione di Cerritos, persero la vita le 67 persone a bordo dei due aeromobili e 15 persone che si trovavano sul luogo dello schianto, tra cui 10 bambini.
La collisione
Quel 31 agosto del 1986, dall’aeroporto di Città del Messico, un Douglas Dc-9-32, della compagnia Aeromexico, decollò diretto a Los Angeles, con tre scali intermedi da effettuare. Ai comandi del velivolo vi erano Antonio Valdez Prom e il primo ufficiale Jose Valencia, 4 tra hostess e steward e 64 passeggeri. Il comandante aveva all’attivo 4.632 ore di volo su un Dc-9 e più di 10.000 di volo totali, mentre Valencia 1.463 ore di volo di cui 1.245 sul Dc-9. Dall’aeroporto della cittadina californiana di Torrance, situata nella contea di Los Angeles, partì invece un Piper con a bordo William Kramer, la moglie e la figlia, diretti a Big Bear City.
Alle 11.46 il volo Aeromexico 498 aveva iniziato la discesa verso l’aeroporto di Los Angeles, ma pochi minuti più tardi, alle 11.52, il Piper, inspiegabilmente, si scontrò con il Dc-9, colpendone lo stabilizzatore sinistro, il quale tagliò la parte superiore del piccolo aereo, decapitando Kramer e i suoi familiari. Ma la tragedia sembrava non avere fine: il Piper, gravemente danneggiato, precipitò nel cortile di una scuola, la Cerritos Elementary School. La sorte del volo Aeromexico purtroppo non fu migliore di quella del Piper. Subito dopo essere stato colpito, il Dc-9 si schiantò in un quartiere residenziale nella città di Cerritos, prendendo fuoco. Il grave incendio distrusse 5 abitazioni, uccidendo 15 persone. Il bilancio complessivo della sciagura fu di 82 vittime, tra cui 10 bambini che volavano sul Dc-9 diretto a Los Angeles.
Quel 31 agosto 1986 era una domenica e la maggior parte delle persone che vivevano nella tranquilla cittadina di Cerritos, erano nei loro giardini, chi a godersi il sole esitivo, chi a preparare il pranzo, chi in chiesa. Ma tutti i sopravvissuti allo schianto ricorderanno per sempre il terribile boato del Dc-9 che pecipitava sulle abitazioni vicine alle loro. Alcuni raccontano di aver pensato a un terremoto, alcuni all'esplosione di una bomba, alcune donne svennero dallo choc. Ma tutti ricordano una cosa: la fuga dalle case verso l'esterno, dove le fiamme e i resti dell'aereo carbonizzato, si mischiavano ai corpi dei passeggeri degli aerei e dei loro amici e vicini, andati via per sempre in una frazione di secondo.
La routine, lo schianto, le scatole nere: l'inquietante segreto di quell'aereo per l'Angola
Le indagini e le cause dello scontro
Le indagini per stabilire le cause del disastro vennero affidate al National Transportation Safety Board (Ntsb). Il team di inquirenti dimostrò che il Piper era entrato nello spazio aereo tra i 6.000 e i 7.000 piedi di altitudine, senza autorizzazione. Il controllo del traffico aereo impone, che essendo quella la quota più “affollata", ogni velivolo che intenda salire a quell’altitudine, debba chiedere l’autorizzazione, ma Kramer non lo fece. Purtroppo l’operatore del traffico aereo non si accorse della manovra del Piper, perché impegnato con un altro velivolo, quindi l’aereo di Kramer, che non disponeva di un transponder modello C, che gli indicasse l’altitudine, salì e non si accorse della presenza del volo Aeromexico.
A rendere la situazione ancora più pericolosa, il Piper non era equipaggiato nemmeno di un sistema anti collisione (Tcas), che gli indicasse la presenza di un altro velivolo nelle vicinanze. A seguito della tragedia accaduta a Cerritos, la Faa ordinò che tutti i jet nello spazio aereo americano venissero equipaggiati con un Tcas e di un transponder di tipo C anche per i piccoli aerei, per evitare che si verificassero tragedie come quella tra il Piper e il volo Aeromexico. Gli investigatori condannarono la Faa e il defunto pilota del Piper, William Kramer, in quanto unici responsabili dell’incidente. Mariangela Garofano
Estratto dell’articolo di Francesco Grignetti per lastampa.it il 2 luglio 2023.
C’è un alone di mistero, nel terribile incidente del 13 dicembre scorso a pochi chilometri da Trapani, dove nello schianto di un Eurofighter ha perso la vita un pilota dell’Aeronautica, Antonio Fabio Altruda di 33 anni[…]
[…] se ne duole l'avvocato Fabio Sammartano, che assiste i familiari del pilota deceduto: «Non siamo stati autorizzati a partecipare all'esame della scatola nera». Se davvero fosse stato apposto il segreto di Stato, sarebbe stata una prima volta in assoluto. In genere la Difesa ha sempre collaborato con la magistratura nelle indagini sugli incidenti aerei. E così è anche questa volta. Tant’è che la scatola nera del velivolo precipitato è stato consegnata nell’immediatezza alla procura di Trapani e tuttora è sotto sequestro giudiziario. Così come buona parte dei resti dell’Eurofighter, portati via dal luogo dell’impatto. Nelle settimane scorse, dalla scatola nera sono stati estratti i dati di volo e le comunicazioni radio.
È accaduto in Gran Bretagna, alla presenza dei periti della procura, poiché solo presso la società costruttrice è possibile ricavare questo tipo di dati. […] ma è anche vero, come spiegato i tecnici, che sono operazioni tecniche ripetibili e che quindi non è obbligatorio l’incidente probatoria (alla presenza dei periti delle parti).
Fin qui, si tratta di quei dati - sul volo e sulle comunicazioni - che pure sono riservati e che comunque sono stati svincolati a favore della procura trapanese. Altro è il “Nato secret” che attiene più agli aspetti militari del velivolo. Se la procura volesse ottenere questi ulteriori dati, occorre una liberatoria dall’Alleanza atlantica che va chiesta per le vie diplomatiche. Una procedura che al momento non sarebbe stato avviata.
Sullo sfondo, però, c’è un nodo che andrà sciolto. Secondo l’Aeronautica militare, il capitano Altruda era di rientro da una esercitazione notturna. Secondo il legale della famiglia, invece, «il velivolo era in fase operativa nell'ambito di una missione Nato». E sempre secondo i familiari del pilota morto, che era uomo di grande esperienza nel volo, sarebbe stata un'avaria a causare l'incidente. […]. I magistrati trapanesi a questo punto indagano a carico di ignoti per disastro aereo e omicidio colposo[…]
(ANSA il 14 dicembre 2022) - E' stato recuperato dalle squadre dei Vigili del fuoco il corpo senza vita del pilota del caccia militare Eurofighter del 37mo stormo, precipitato nella serata di ieri mentre stava facendo rientro da una missione alla base di Trapani Birgi.
Il ritrovamento è avvenuto nella zona di Locogrande, a pochi chilometri a nord di Marsala, dove l'aereo si è schiantato per cause ancora da accertare. Le ricerche, svolte con l'ausilio di palloni illuminanti, sono state condotte dai vigili del fuoco del nucleo Nbcr che hanno individuato, unitamente a un team dell'Aeronautica militare, i resti del caccia nell'alveo di un fiume.
(AGI il 14 dicembre 2022) - L'Aeronautica militare "avvierà già nelle prossime ore un'inchiesta di sicurezza del volo" sull'Aereo caduto ieri pomeriggio, incidente costato la vita al pilota. La vittima, rende noto l'Aeronautica, era il Capitano Fabio Antonio Altruda, entrato in Aeronautica Militare con il Corso regolare Ibis 5 dell'Accademia Aeronautica di Pozzuoli nel 2007.
Pilota combat ready su velivolo Eurofighter, in forza al 37 Stormo di Trapani dal marzo del 2021, aveva all'attivo centinaia di ore di volo, molte delle quali effettuate anche in operazioni fuori dai confini nazionali in attività di air policing Nato.
Estratto dell'articolo di Gioacchino Amato per “la Repubblica” il 15 dicembre 2022.
Appena sette secondi, da quando il caccia Eurofighter pilotato dal capitano Fabio Antonio Altruda esce da una fitta coltre di nuvole e l'attimo in cui colpisce il letto dell'alveo del fiume Birgi, esplodendo. Troppo pochi per lanciare il may day, insufficienti per azionare il comando di espulsione dalla cabina di pilotaggio del monoposto. Oppure gli ultimi momenti febbrili di un tentativo di correggere l'assetto dopo un evento imprevedibile?
Alcune delle domande alle quali dovranno rispondere due inchieste, l'una della procura di Trapani, l'altra dell'Aeronautica, per capire come e perché è morto l'ufficiale mentre rientrava alla base di Trapani Birgi da un normale addestramento martedì pomeriggio in coppia con un altro caccia.
Era un "Top Gun", Altruda, tornato da poche settimane dalla Polonia dove faceva parte della task force Nato impegnata a proteggere i cieli d'Europa ai confini dell'Ucraina in guerra. «Abbiamo perso un fratello - dicono i piloti e il comandante del 37° stormo - una persona pacata e professionale. Stavamo per affibbiargli il classico nickname, lo faremo lo stesso».
Un guasto, un malore, un impatto con uno stormo di uccelli, sono tutte ipotesi che rimangono in piedi. Di certo c'è il video, registrato da una telecamera di sorveglianza, già all'esame della procura di Trapani. Le immagini mostrano l'aereo uscire da una nuvola, virare bruscamente rispetto alla rotta dell'altro caccia e perdere quota in pochi secondi, per poi schiantarsi. Un evento improvviso o già dentro le nuvole era accaduto qualcosa? Ad esempio il bird strike, oppure il caccia è entrato nella scia dell'altro aereo che lo precede nel video di appena cinque secondi, o c'è stato un contatto fra i due. [...]
Resta il fatto che nessun allarme è partito dalla cabina, nessun tentativo di proiettarsi fuori. Questo lascia in piedi anche l'ipotesi che il capitano sia rimasto ai comandi per evitare che l'aereo colpisse zone abitate.
Fabio Aldruda era un pilota molto esperto e stimato. A 15 anni la scuola militare della Nunziatella, poi nel 2007 l'accademia aeronautica di Pozzuoli, i brevetti conquistati nel 2013. Dalla base di Amendola, in Puglia, arriva in Sicilia un anno fa, sempre lontano dalla villetta bifamiliare di Cardito, in provincia di Napoli, dove abitano i genitori. «Per la mamma era il suo orgoglio. Ogni volta che ne parlava, gli brillavano gli occhi», racconta una vicina di casa. La madre, Marilena Tortora, è casalinga, il papà Ferdinando Altruda, falegname. Poi c'è il fratello, Alessandro, che ha qualche anno in meno di Fabio. [...]
Aereo militare precipitato a Trapani: è scontro sul segreto di Stato. Stefano Baudino su L'Indipendente lunedì 3 luglio 2023.
Un grande alone di mistero aleggia sull’inchiesta sul caccia Eurofighter precipitato lo scorso 13 dicembre a pochi chilometri dall’aeroporto militare di Trapani Birgi, sede del 37° Stormo dell’Aeronautica. Nell’incidente perse la vita il pilota Fabio Antonio Altruda, di 33 anni, originario di Caserta. Da una parte c’è l’avvocato della famiglia di Altruda, Fabio Sammartano, che dopo aver presentato un’istanza per visionare gli esiti degli accertamenti tecnici sull’aereo ha ricevuto un diniego, proprio perché la vicenda sarebbe sottoposta a segreto di Stato. Dall’altra, c’è il contrattacco da parte dell’Areonautica Militare, che in una nota ha dichiarato non veritiera tale ricostruzione.
Il pilota tragicamente deceduto aveva maturato centinaia di ore di volo e aveva partecipato a molte operazioni oltreconfine, nell’ambito di attività di air policing Nato. Quel giorno, stava ritornando alla base di Trapani Birgi da Istrana (Treviso). Il suo aereo, che stava seguendo un altro velivolo, nel tardo pomeriggio aveva già iniziato le manovre di atterraggio e fatto scendere i carrelli. Poi la sciagura: le immagini di una telecamera di sorveglianza hanno ripreso il momento della picchiata verticale del caccia e quello del successivo impatto al suolo. La salma di Altruda fu recuperata dai vigili del fuoco nell’area di Locogrande, sita a pochi chilometri a nord di Marsala, il giorno successivo a quello dello schianto. A distanza di quasi 8 mesi, i resti del velivolo sono ancora sparsi sul luogo dell’incidente.
Al momento, ci sono tre indagini aperte sull’incidente. La Procura di Trapani sta svolgendo un’inchiesta a carico di ignoti per disastro aereo e omicidio colposo. Parallelamente, l’Ispettorato per la Sicurezza dell’Aeronautica sta conducendo un’indagine amministrativa per disastro aereo, mentre la Procura Militare di Napoli sta indagando sull’ipotesi di distruzione di bene militare. Secondo l’Aeronautica militare, il capitano Altruda era di rientro da una esercitazione notturna; l’avvocato dei familiari del pilota, come racconta il contenuto di un esposto presentato in Procura lo scorso gennaio, è convinto che l’aereo fosse “in fase operativa nell’ambito di una missione Nato” e che, a causare l’incidente, sia stata una “importante avaria del velivolo dovuta a omessa o cattiva manutenzione”.
Il 29 marzo era stato ritrovato e fatto brillare uno dei missili con cui l’Eurofighter era armato. Poi, nelle scorse settimane, sono stati estratti dalla scatola nera i dati di volo e le comunicazioni radio. Ciò è avvenuto in Inghilterra, presenti i periti della Procura, perché tali operazioni possono essere condotte soltanto presso la società costruttrice. E la parte civile, secondo l’avvocato Sammartano, non sarebbe stata coinvolta in questa fase proprio a causa del segreto di Stato.
Dura l’obiezione dell’Aeronautica: “In relazione alla pubblicazione di alcuni articoli apparsi recentemente su taluni organi di stampa che riportano l’asserita apposizione del segreto di stato sull’incidente che ha provocato la morte del Maggiore Fabio Altruda, tragicamente scomparso a bordo di un velivolo Eurofighter lo scorso 13 dicembre 2022 – ha sostenuto la Forza Armata in un comunicato -, l’AM precisa che tali affermazioni non corrispondono a verità. Infatti tutta la documentazione d’interesse è da tempo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria competente. Anche la scatola nera è stata consegnata senza indugio alla predetta autorità giudiziaria e risulta a tutt’oggi sotto sequestro. Inoltre, si sottolinea con forza che l’AM continua a prestare massima collaborazione alle autorità inquirenti al fine di far luce sull’accaduto diffidando chiunque dal diffondere informazioni false, diffamatorie e del tutto avulse dalla concreta realtà dei fatti”.
La contro-replica di Sammartano non si è fatta attendere: «I familiari del povero pilota deceduto hanno diritto ed interesse, più di chiunque, a conoscere le vere cause del disastro aereo, non trattandosi di mero incidente – ha detto l’avvocato dei familiari del pilota. – È sorprendente che la Forza Armata, per la seconda volta, smentisca circostanze oggettive ampiamente documentate. Dapprima la smentita dell’impiego operativo della pattuglia aeronautica sconfessata dalle fonti a disposizione di questo difensore, ma soprattutto dal rinvenimento e distruzione di ordigni esplosivi all’interno del cratere provocato dall’impatto. Adesso la smentita dell’apposizione del segreto di Stato nonostante la competente autorità giudiziaria abbia notificato la comunicazione di detta circostanza così non consentendo l’accesso agli esiti dell’accertamento sulla scatola nera del veicolo». [di Stefano Baudino]
Estratto dell’articolo di Anais Ginori per repubblica.it il 17 aprile 2023.
Assolti il costruttore europeo Airbus e la compagnia Air France nel processo per l'incidente del volo AF447 Rio-Parigi in cui morirono 228 persone. Quattordici anni dopo il disastro, il tribunale francese ha escluso l'omicidio colposo per i due gruppi, giudicando che se degli "errori" sono stati commessi, "nessuno legame certo di causalità" con l'incidente ha potuto "essere dimostrato".
Il primo giugno 2009, il volo AF447 da Rio de Janeiro a Parigi era precipitato nell'Atlantico, poche ore dopo il decollo, causando la morte di tutti i 216 passeggeri, tra cui nove italiani, e dei 12 membri dell'equipaggio. I primi rottami erano stati ritrovati nei giorni successivi all'incidente, ma il relitto fu localizzato solo due anni dopo, dopo una lunga ricerca, a 3.900 metri di profondità. Le scatole nere hanno confermato il punto di partenza dell'incidente, legato alla formazione di ghiaccio sulle sonde di velocità mentre l'aereo volava ad alta quota in una zona difficile dal punto di vista meteorologico, vicino all'Equatore. Dopo l'avaria, uno dei copiloti aveva adottato una traiettoria ascendente, senza più riuscire a riprendere il controllo dell'aereo, finito in stallo.
Secondo il tribunale, Airbus ha commesso “quattro imprudenze o negligenze”, in particolare non ha sostituito il modello di sonda che sembrava bloccarsi più spesso, sulla flotta A330-A340, e ha mostrato "omissione di informazioni" nei confronti delle compagnie. Air France ha commesso due “colpevoli imprudenze” relative alle modalità di diffusione di una nota informativa indirizzata ai suoi piloti sul guasto delle sonde. Tuttavia, secondo il tribunale, dal punto di vista penale “un probabile nesso di causalità non è sufficiente a caratterizzare un reato” e nel caso di specie “non è stato possibile dimostrare un nesso causale certo con l'incidente”. "Siamo disgustati" (...)
Le fiamme, i superstiti avvistati e mai trovati. Così il volo sparì nel nulla. Nel pieno della Guerra Fredda un aereo militare che trasportava ufficiali di alto livello e ingegneri esperti in armi nucleari è costretto ad ammarare nel nord dell'Atlantico. I superstiti vengono avvistati da un aereo, ma spariranno tutti nel nulla, misteriosamente. Davide Bartoccini il 5 Novembre 2023 su Il Giornale.
Oceano Atlantico, molte miglia nautiche al largo delle coste irlandesi. L’equipaggio e i passeggeri del volo militare Af-5882, che si trovavano a bordo di un imponente Douglas C-124 Globemaster del Comando Aereo Strategico degli Stati Uniti, sono costretti all’ammaraggio per aver riscontrato criticità irrisolvibili. Il loro aereo era diretto dall’America continentale alla base britannica di Mildenhall nel Suffolk. Sballottolati dalle onde lievi sotto gli occhi vigili di un aereo alleato che, non appena aver capitato il messaggio di Mayday, si è portato sulle coordinate dell'incidente, sembrano stare bene. Attendono solo d'essere messi in salvo.
Localizzare i superstiti è stato abbastanza semplice. Sono tanti, più di cinquanta. La nave meteorologica Usgc Casco ha captato e rilanciato il messaggio di soccorso e già dopo un primo sorvolo dell’aereo amico, dall'aria come dal mare, sembra solo questione di tempo prima che la guardia costiera riesca a recuperare i superstiti che sono ben forniti di cibo e equipaggiamenti d’emergenza. Nessuno avrebbe pensato che sarebbero potuti scomparire, tutti, senza lasciare traccia. Rimanendo iscritti nel tetro elenco delle vittime dei tanti, troppi eventi senza spiegazione che vennero registrati nel lungo incombere della Guerra Fredda.
Le fiamme a bordo e l'ammaraggio
Era il tardo pomeriggio del 23 marzo 1951 quando il volo transatlantico Af-5882 si posava goffo e si suppone intatto sui flutti che avrebbero risparmiato, complice l’esperienza del pilota, la vita di cinquantatré militari, tra avieri, esperti ingegneri e ufficiali di vario rango. Sopravvissuti illesi all'ammaraggio d’emergenza che non aveva provocato danni al grande e panciuto quadrimotore abitualmente usato dall'Usaf per il delicato compito di trasportare armi nucleari da una base all'altra, tutti i 53 uomini a bordo si erano regolarmente imbarcati sugli appositi “battelli di salvataggio” gonfiabili che, già durante la seconda guerra mondiale, avevo preservato l’esistenza di migliaia di sventurati aviatori.
La posizione indicata nell’ultimo contatto radio dal maggiore Bell, ai comandi del C-124, era stata udita "forte e chiara" da chi era in ascolto sul canale d'emergenza; e mentre lui e tutti gli altri - compresi due ufficiali che avevano particolari collegamenti con le capacità nucleari statunitensi - prendevano posto sui battelli di salvataggio dopo aver indossato i giubbotti salvagente, aver preso quanto si potesse come scorta di sopravvivenza , cibo, acqua, razzi di segnalazione e ogni equipaggiamento possibile, compresa una radio di emergenza a manovella, un Boeing B-50 Superfortress, bombardiere strategico che faceva base in Inghileterra, era in rotta sulle coordinate dell’ammaraggio per ottenere un contatto visivo con i dispersi.
Quei 53 uomini scomparsi nel nulla
I piloti del B-50 individuarono i sopravvissuti che lanciarono razzi di segnalazione. Ma dopo alcuni sorvoli, segnalata e risegnalata la posizione delle zattere alla deriva, il B-50 raggiunse il livello minimo di carburante richiesto per un atterraggio in sicurezza, dunque fece rotta per tornare alla base e non essere costretto a un ulteriore ammaraggio. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che quando il cutter della Guardia Costiera arrivò al punto di ammaraggio il 24 marzo, non ci fosse più traccia delle zattere, dell'aereo e degli uomini alla deriva che erano stati avvistati dal bombardiere. Erano scomparsi. A Usgc Casco, prima unità ad arrivare sul luogo dell'incidente, si aggiunsero aerei della Royal Air Force britannica, navi meteorologiche, un sottomarino e diverse navi da guerra, tra cui anche la portaerei Uss Coral Sea, giunta sulle coordinate dell'incidente appena 19 ore dopo, il 25 marzo.
Secondo quanto riportato in seguito, nei giorni delle ricerche e dell'inspiegabile silenzio radio da parte dei superstiti che sembravano essere svaniti nel nulla vennero recuperati soltanto dei pezzi di compensato carbonizzato, pochi detriti associabili al C-124, ma abbastanza da concludere che l'aereo aveva toccato il mare senza fracassarsi, e la valigetta di uno dei passeggeri, il pilota Lawrence Rafferty, veterano decorato nel D-Day. Ma nessun salvagente. I corpi dei sopravvissuti non vennero mai ritrovati.
Roswell e gli ufficiali "atomici"
Il C-124 Globemaster piombato sulle onde nel bel mezzo dell'Atlantico mentre dall'altra parte del mondo dsi combatteva in Corea, era in forza al Comando Strategico Aereo degli Stati Uniti e apparteneva al 2°squadrone di Supporto aereo strategico che aveva base a Roswell - sì, la stessa Roswell del famoso incidente del 2 luglio 1947 che nascondendo ai sovietici il Progetto Mogul diede vita alla leggenda di un'astronave aliena caduta sulla terra e nascosta al mondo -. Aveva tra i suoi passeggeri vip come il generale Paul T. Cullen, vice comandante della 7ª divisione aerea che sarebbe stata incaricata di "rispondere" ad eventuali aggressioni aeree sovietiche con l'intensificarsi delle tensioni con il blocco comunista; James Hopkins, comandante di uno dei tre bombardieri B-29 inviati nella missione di bombardamento atomico di Nagasaki, e altri ufficiali di rilievo di quella che allora era considerata un'unità d'élite nel componente nucleare americana: il 509° Gruppo bombardieri che aveva maturato una certa esperienza nel campo delle armi nucleari.
Il generale di brigata Cullen aveva inoltre preso parte attiva al test della bomba atomica sull'atollo di Bikini come altri membri del suo staff. Il resto dei passeggeri erano per la maggior parte tecnici nucleari, aviatori di alto livello e capi equipaggio di bombardieri strategici con capacità nucleare.
Sciacca, il mistero dell’aereo sommerso: «Apertura alare di 30 metri, dentro forse c’è ancora l’equipaggio». Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 14 Aprile 2023.
È stato trovato grazie a un sonar durante un’indagine oceanografica, è adagiato a una profondità di circa 30 metri. L’ipotesi che si tratti di un bombardiere americano, colpito forse nel 1942. Gli esperti: «È molto bene conservato»
Sta lì da circa 80 anni. Forse dal 1942 o giù di lì. Il relitto di un aereo, non si sa ancora se con dentro i corpi dell’equipaggio e di cui non si aveva notizia fino ad oggi, è stato localizzato — davvero a sorpresa — sul fondo del mare a circa 7,5 miglia nautiche da Sciacca, nell’Agrigentino. Una scoperta, risalente al 17 marzo, che in qualche modo arriva per caso, frutto di un’altra ricerca poderosa, una campagna oceanografica coordinata dall’Ispra. Tutto è avvenuto durante l’acquisizione di dati acustici con un «Side Scan Sonar», la sofisticatissima apparecchiatura che restituisce immagini dei fondali. A un certo punto il gruppo di geologia marina dell’Università degli Studi di Palermo ha rilevato sui monitor un massiccio corpo sommerso, adagiato sul fondale sabbioso a 28 metri di profondità. Figurarsi l’emozione, chissà cos’era. Zoomando il più possibile, l’immagine «acustica» tratta dal sonar ha mostrato una forma assimilabile al relitto di un aereo, lungo circa 20 metri e con apertura alare di circa 30 metri. Per ora tutto ciò che sappiamo di questo «cold case» viene dunque da quella «scansione». «Al momento, nonostante l’immagine mostri un aereo molto ben conservato spiegano all’Ispra — non siamo in grado di individuare il modello, la nazionalità, né se sia integro e conservi al suo interno resti umani o residui bellici. Sono stati per questo allertati tutti gli organi di competenza in modo da preservare il relitto e gli eventuali rinvenimenti e mettere in sicurezza l’area».
Dopo una ricerca eseguita sul ritrovamento di altri relitti aerei nello stesso specchio di mare, si è venuti a conoscenza della presenza di un altro relitto di aereo, un Savoia Marchetti Sm-79 risalente alla II guerra mondiale, abbattuto da caccia inglesi il 14 agosto 1942, le cui caratteristiche non sembrano però corrispondere a quello individuato dai ricercatori. Posto che l’immagine dalla comprensibile incerta definizione obbliga a fare solo delle ipotesi, secondo Gregory Alegi, professore di Storia degli Stati Uniti alla Luiss di Roma interpellato da Corriere.it, «le certezze sono che l’apparecchio è tutto metallico, si tratta di un bimotore a propulsione radiale con un’ala a forte allungamenti. Direi che non è un velivolo italiano e nemmeno britannico. Potrebbe trattarsi di un Douglas A.26 “Invader”, ci somiglia parecchio». Impossibile, almeno per ora, sapere cosa sia successo al velivolo e al suo equipaggio, se sia rimasto a bordo prima dell’inabissamento — chissà se dovuto a un abbattimento o a un’avaria — o se siano riusciti a lanciarsi.
Nei mesi scorsi altri due relitti di velivoli della Royal Air Force — un Vikers Wellington e un Bristol Beaufighter oltre a un terzo sconosciuto — sono stati individuati da un team di subacquei professionisti guidati da Fabio Portella — ispettore onorario per i Beni culturali sommersi di Siracusa — in collaborazione con la Soprintendenza del Mare che ha in animo di valorizzare questi ritrovamenti. Questo perché siamo anche in vista dell’ottantesimo anniversario dell’«Operazione Husky», nome in codice dato dagli Alleati allo sbarco in Sicilia, il 10 luglio 1943. Anche il velivolo localizzato a Sciaccia potrebbe rientrare in questa tutela. Nei prossimi giorni gli «007»dell’Università di Palermo esploreranno quel tratto di fondale con l’intenzione di fare anche delle riprese video. Se ne dovrebbe dunque sapere qualcosa in più.
Da qualche mese il gruppo di lavoro è impegnato in una campagna oceanografica di acquisizione di dati geofisici nello specchio di mare antistante Sciacca. Le attività riguardano la realizzazione del Foglio geologico n. 628 «Sciacca» della Carta Geologica, nell’ambito del progetto Carg. A condurle, ricercatori, borsisti e studenti del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM) dell’Università di Palermo, coordinati da Attilio Sulli, con l’ausilio dello spin-off universitario «Biosurvey», un team di specialisti nel campo della Biologia ed Ecologia marina che effettuano monitoraggio e valutazione ambientale, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate e rilievi acustici ad alta risoluzione.
(ANSA il 7 marzo 2023) - Sono il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Maneghello, i due uomini appartenenti al 60esimo Stormo dell'Aeronauta militare, morti oggi a Guidonia dopo lo scontro avvenuto tra due ultraleggeri sui quali viaggiavano. In base a quanto si apprende l'incidente è avvenuto nel corso di una attività di addestramento. Sulla vicenda indaga la polizia coordinata dalla Procura di Tivoli.
"Mi stringo in un forte abbraccio, mio e della Difesa, ai familiari dei due piloti che hanno perso la vita oggi nel tragico incidente aereo avvenuto a Guidonia. Ho espresso al generale Luca Goretti, capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, le mie più sentite e commosse condoglianze e la vicinanza di tutta la famiglia della Difesa. Cieli blu, Giuseppe e Marco". Così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sull'incidente in cui hanno perso la vita il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Meneghello. Il ministro, informa la Difesa, resta costantemente aggiornato sulle operazioni di soccorso nelle aree dove è avvenuto l'incidente.
(ANSA il 7 marzo 2023) - La dinamica dell'incidente nel quale hanno perso la vita il tenente colonnello Giuseppe Cipriano ed il maggiore Marco Meneghello, entrambi in servizio al 60/o Stormo dell'Aeronautica Militare di Guidonia (Roma) "è in fase di accertamento".
Sull'accaduto la Forza armata avvierà già nelle prossime ore un'inchiesta di sicurezza del volo. La notizia è stata comunicata alle famiglie dei due ufficiali, alle quali il capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, generale Luca Goretti, a nome dell'intera Forza armata, si stringe "in un profondo segno di vicinanza e cordoglio".
Lo scontro tra i due velivoli è avvenuto a pochi chilometri dall'aeroporto militare di Guidonia, nell'ambito di una missione addestrativa pre-pianificata. Sul posto, insieme a vigili del fuoco e forze dell'ordine, sono intervenute immediatamente squadre di soccorso e team di specialisti dell' Aeronautica Militare che stanno continuando ad operare per mettere in sicurezza e circoscrivere le aree dell'impatto.
Il tenente colonnello Cipriano, nato a Taranto il 5 febbraio del 1975, era entrato in Aeronautica Militare nel 1996 con il 117/o corso Allievo Ufficiale Pilota di Complemento. Presso il 60/o Stormo di Guidonia era pilota istruttore di volo sui velivoli: U208A, Aliante G103, MB339-CD.
Aveva all'attivo 6000 ore di volo, effettuate anche in operazioni fuori dai confini nazionali.
Il maggiore Marco Meneghello, nato a Legnago (Vr) il 18 agosto del 1977, era entrato in Aeronautica Militare nel 1999 con il 119/o corso Allievo Ufficiale Pilota di Complemento. Presso il 60/o Stormo di Guidonia era pilota istruttore di volo sui velivoli: U208A, Aliante G103.
Aveva all'attivo 2600 ore di volo, effettuate anche in operazioni fuori dai confini nazionali.
Da video.repubblica.it il 7 marzo 2023.
“Stavo qui in piedi e ho visto l’aereo cadere. E’ passato tra le palazzine e si è schiantato su una macchina. Abbiamo provato a salvarlo ma non ci siamo riusciti, l’aereo è esploso. Secondo me il pilota ha fatto qualcosa per evitare i palazzi, è sceso in obliquo centrando l’asfalto. Ci ha graziati, o prendeva il palazzo a sinistra o quello a destra”. E’ il racconto di Marco Felli, testimone oculare che ha visto cadere uno dei due aerei militari che questa mattina si sono schiantati al suolo a Guidonia. Uno dei due velivoli è atterrato tra le case, in via delle Margherite. (video Marco Carta)
Estratto da repubblica.it il 7 marzo 2023.
Un eroe. Aveva perso il controllo dell'aereo ma ha fatto di tutto per evitare le case del centro abitato. Un miracolo nella tragedia è accaduto su via delle Margherite dove il pilota di uno dei due velivoli militari che sono precipitati a Guidonia martedì mattina è riuscito ad atterrare sulla strada, colpendo un'auto.
L'uomo è uscito vivo dalla carcassa in fiamme del velivolo, secondo alcuni testimoni avrebbe anche gridato aiuto. Alcuni passanti, sul posto sono andati a prendere gli estintori ma il velivolo è esploso poco dopo. Il sindaco Mauro Lombardo: "Incredibilmente l'aereo è atterrato al centro della strada con le ali parallele. Sembra una manovra voluta per minimizzare i danni. O è un eroe o c'è stato miracolo".
Andrea Ossino per repubblica.it il 7 marzo 2023.
Tragico incidente aereo all'altezza di Guidonia Montecelio, vicino a Roma. Due aerei dell'Aeronautica militare Piaggio 208, appartenenti al 60° stormo, si sono scontrati mentre sorvolavano l'area attraversata da via della Longarina. I due velivoli si sono sono toccati probabilmente nel corso di una esercitazione, uno dei due ha perso un'ala e sono precipitati entrambi. I due piloti sono entrambi deceduti: uno è caduto sul prato vicino, all'aeroporto l'altro in località Colfiorito piazzale degli Anemoni. Sul posto, oltre il 118, la polizia e i carabinieri
Guidonia, due ultraleggeri si scontrano in volo e precipitano: morti entrambi i piloti, uno era nato a Taranto. Testimoni: «Manovre per evitare i palazzi, sono stati eroi». È successo alle porte di Roma, paura perché uno dei due aerei è caduto fra le case. Una delle due vittime è nata a Taranto ma era originaria di Montalbano Jonico. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 7 Marzo 2023
Due ultraleggeri si sono scontrati oggi all’altezza di Guidonia Montecelio, centro alle porte di Roma. I due velivoli sono precipitati su un prato non lontano da via Longarina nel corso di un'attività di addestramento, e i piloti che erano a bordo sono deceduti nello schianto. Sul posto polizia, carabinieri e personale del 118.
Le due vittime si chiamavano Giuseppe Cipriano, tenente colonnello 48enne, nato a Taranto ma originario di Montalbano Jonico, e Marco Meneghello, maggiore originario di Legnago, nel Veronese. Erano entrambi piloti dell'Aeronautica e guidavano due aerei Siai Marchetti 208 di addestramento militare. Entrambi istruttori di volo esperti, appartenevano al 60esimo stormo dell'Aeronautica Militare. «Erano piloti esperti, volavano su diversi mezzi. Da molti anni erano in forze al 60esimo Stormo e al Gruppo volo di Guidonia». Così il generale dell’aeronautica Silvano Frigerio parlando dei due piloti morti nell’incidente che ha visto coinvolti due aerei dell’aeronautica vicino a Roma. "Il tenente colonnello Giuseppe Cipriano, nato nel 1975 a Taranto, era istruttore di volo, il maggiore Marco Meneghello era nato a Taranto nel 1977 - continua - tutti i piloti dell’Aeronautica sono addestrati anche a manovre per preservare l'incolumità delle persone, ma l’indagine in corso lo appurerà».
IL CORDOGLIO DI BARDI E ZAIA
“Certo di interpretare i sentimenti dell’intera comunità regionale, esprimo il profondo cordoglio per la morte dei due militari italiani dell’aeronautica militare che sono deceduti oggi a causa di uno scontro fra i velivoli nei cieli di Guidonia. Alle famiglie del lucano Giuseppe Cipriano, tenente colonnello originario di Montalbano Jonico, del maggiore Marco Meneghello ed all'Aeronautica Militare rivolgo le più sentite condoglianze a nome del governo regionale della Basilicata“. È il messaggio di cordoglio del presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, per la morte dei due militari dell’Aeronautica avvenuta oggi in un’incidente.
«Il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Meneghello sono due piloti che oggi hanno perso la vita salvando quella di molti altri. Un gesto di eroismo dei due top-gun dell’Aeronautica Militare che oggi con un estremo sacrificio, quello della loro vita, hanno evitato una strage». Così interviene il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia sull'incidente di Guidonia in provincia di Roma. "Con questa manovra eroica Meneghello, veneto, originario di Legnago, un pilota militare esperto che ha fatto della passione per il volo la sua professione, è riuscito a evitare le case, a cento metri dal punto di impatto c'era un asilo. Desidero esprimere il mio più profondo cordoglio alle famiglie dei due piloti, agli amici e all’Aeronautica Militare».
LA VICINANZA DI EMILIANO
«La notizia della morte di due piloti dell’Aeronautica militare nell’incidente aereo avvenuto a Guidonia ci rattrista molto. Vorrei far giungere all’intero corpo dell’Aeronautica Militare e alla famiglia del tenente colonnello Giuseppe Cipriano, di Taranto, e del maggiore Marco Meneghello, di Legnago, la vicinanza mia personale e dell’intera comunità pugliese». Lo dichiara il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano
LA TESTIMONIANZA: HANNO EVITATO I PALAZZI
«Il pilota ha fatto qualcosa per evitare i palazzi, li ha schivati. Secondo me una manovra per graziarci, perché poteva prendere i palazzi». E’ quanto raccontano i testimoni oculari dell’incidente tra due ultraleggeri costato la vita aL tenente Colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Maneghello, i due uomini appartenenti al 60esimo Stormo dell’Aeronauta militare.
LE PAROLE DEL FRATELLO DI CIPRIANO
«L'accaduto lo abbiamo scoperto sui canali di informazione. Poi ci hanno dato l’ufficialità dall’Aeronautica. All’inizio non pensavamo ci fosse anche mio fratello». A parlare, su Rai Radio1, è Alessio Cipriano, fratello del tenente colonnello Giuseppe Cipriano, pilota alla guida di uno dei due ultraleggeri dell’aeronautica militare che in esercitazione si sono scontrati nei cieli di Guidonia, alle porte di Roma.
«Era una persona d’oro, una persona speciale - continua -. Ha dato veramente l’anima e la vita. Mio fratello non volava per mestiere. Lo faceva davvero per passione. L’ha fatto da sempre, per tutta la sua vita, fin da quando era ragazzo. Era un istruttore, a detta dei suoi allievi, uno dei migliori mai incontrati. Ha dato veramente l’anima per i suoi allievi, per l'Aeronautica e per il tricolore. Era una persona speciale. In questo momento stiamo per andare a Roma. Siamo in partenza da Potenza, in Basilicata, con i miei genitori. Come ho detto al generale dell’aeronautica che mi ha chiamato, il mio desiderio è di tenere alto il nome di mio fratello: come persona e poi per la sua umanità, generosità e passione».
L'ABBRACCIO DEL MINISTRO CROSETTO
«Mi stringo in un forte abbraccio, mio e della Difesa, ai familiari dei due piloti che hanno perso la vita oggi nel tragico incidente aereo avvenuto a Guidonia. Ho espresso al generale Luca Goretti, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, le mie più sentite e commosse condoglianze e la vicinanza di tutta la famiglia della Difesa. Cieli blu, Giuseppe e Marco». Così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sull'incidente in cui hanno perso la vita il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Meneghello.
«Siamo profondamente colpiti dalla notizia della morte di due piloti esperti dell’Aeronautica militare nell’incidente aereo a Guidonia. Esprimiamo il nostro cordoglio e la nostra vicinanza alle famiglie e ai cari dei due piloti: il nostro conterraneo tenente colonnello Giuseppe Cipriano di Taranto e il maggiore Marco Meneghello di Legnago. È una giornata molto triste». Lo dichiarano i consiglieri regionali pugliesi di Forza Italia Paride Mazzotta, Napoleone Cera e Massimiliano Di Cuia.
La Procura Militare della Repubblica di Roma ha aperto un fascicolo modello 45 (senza indagati e titoli di reato) relativamente all’incidente di volo accaduto questa mattina a Guidonia, per la verifica di eventuali aspetti di interesse penale militare. E’ quanto si afferma in una nota.
Scontro tra due velivoli dell'Aeronautica a Guidonia: morti i piloti. Un mezzo è precipitato tra le case. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 7 Marzo 2023.
A bordo dei due aerei da addestramento del Siai 60° Stormo sono morti il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Meneghello. Si indaga sulle cause dell'incidente: la procura di Tivoli apre un'indagine
Tragico incidente poco prima di mezzogiorno nei cieli di Guidonia, in provincia di Roma. Due velivoli dell'Aeronautica militare, Siai 60° Stormo, si sono scontrati e sono precipitati, uno in un campo fuori dal centro abitato e uno fra le case all’altezza di viale Roma e via delle Margherite. I due piloti sono deceduti sul colpo.
Le vittime del grave incidente sono il tenente colonnello Giuseppe Cipriano (a sinistra nella foto) e il maggiore Marco Meneghello che prestavano servizio nel 60° Stormo di stanza a Guidonia. I quattro piccoli aerei a elica erano in volo di addestramento e stavano facendo evoluzioni quando due di loro si sono toccati perdendo il controllo. Il generale di squadra aerea Silvano Frigerio, comandante delle scuole dell’Aeronautica dell’aeroporto di Guidonia dove c’è il 60esimo stormo, cui appartenevano i due piloti, spiega: «L’incidente è venuto a 4 minuti dalla fine del volo di addestramento durato in tutto 15 minuti di quattro velivoli che hanno volato a circa tre metri di distanza l’uno dall’altro fino alla manovra di atterraggio quando gli aerei tre e quattro, ovvero quelli di Cipriano e Meneghello, si sono staccati per cominciare l’avvicinamento alla pista dell’aeroporto militare. Da quel che sembra la collisione è avvenuta per motivi ignoti a circa 1500 piedi di altezza, ovvero 500 metri. Erano due velivoli in servizio da diversi anni, più di quaranta, ma in perfetta efficienza, che vengono utilizzati per l’addestramento degli allievi piloti, non hanno scatola nera e non è previsto il paracadute, e hanno 4 posti: questi voli servono anche per poter intercettare ultraleggeri e altri generi di velivoli lenti che possono rappresentare una minaccia, mentre in ambito scuole vengono usati per il traino degli alianti».
Secondo la ricostruzione, i due velivoli precipitati erano decollati circa un’ora prima insieme con gli altri due gemelli. Entrambi i piloti deceduti erano istruttori come i loro colleghi impegnati in un volo in formazione che non prevedeva il passaggio sopra zone abitate. Si ritiene quindi che uno dei due aerei caduti sia finito fra le case in seguito alla perdita di assetto, forse dei piani di volo, in seguito alla collisione con l’altro velivolo che è invece finito nel campo a Colle Fiorito. Secondo alcuni testimoni il pilota ha tentato un'ultima, disperata, manovra per evitare la collisione con le case ed è finito sull'auto in sosta: «Il pilota ha fatto qualcosa per evitare i palazzi, li ha schivati. Secondo me una manovra per graziarci, perché poteva prendere i palazzi», racconta un residente.
La ricostruzione
Il mezzo precipitato in strada è caduto su una macchina parcheggiata davanti a una palazzina. Tutta la zona è stata transennata dai soccorritori che oltre a mettere in sicurezza le case hanno verificato se in strada al momento dell'impatto ci fossero passanti. Indagini di polizia e carabinieri, sul posto, per ricostruire la vicenda sulla quale la Procura di Tivoli ha aperto un fascicolo d'indagine. Anche l'ispettorato dell'Aeronautica, in quanto velivoli militari, avvierà accertamenti.
Il volo di addestramento
Secondo alcune informazioni i quattro velivoli a elica erano decollati dall'aeroporto militare di Guidonia per una missione addestrativa pre-pianificata nelle campagne circostanti, è da chiarire per quale motivo si trovassero sul centro abitato. Gli altri due piloti sono atterrati regolarmente e saranno interrogati nelle prossime ore.
Il sindaco della cittadina alle porte di Roma, Mauro Lombardo, ha elogiato l'«eroismo» del pilota che, mentre precipitava, è riuscito a evitare l'impatto più devastante contro la palazzina «in una via peraltro anche stretta, evitando le abitazioni». E Lombardo racconta che «il Comune sta iniziando le celebrazioni per il centenario dell'Aeronautica, purtroppo funestate da questa terribile tragedia».
Daniele Saccucci ha assistito allo schianto: «Ho sentito gridare aiuto dall'aereo caduto in strada, poi l'esplosione»
Le reazioni dopo la tragedia
Immediati i commenti di sgomento e il cordoglio per la morte dei due militari. «La notizia ci riempie di tristezza - ha detto la premier Giorgia Meloni, subito dopo l'incidente - A nome del governo esprimo le mie più profonde condoglianze e la mia vicinanza alle famiglie, ai colleghi del 60esimo Stormo e all'intero corpo dell’Aeronautica». Anche i ministri Antonio Tajani e Matteo Salvini, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il governatore del Lazio Francesco Rocca, si uniscono al coro di messaggi di vicinanza alle famiglie di Meneghello e Cipriano. «Profondo dolore per la terribile notizia - ha commentato Ignazio La Russa, presidente del Senato - Alle famiglie e ai vertici dell'Aeronautica Militare, condoglianze».
Incidente aereo Guidonia, la ricostruzione e le possibili cause: un guasto tecnico o un malore. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 7 Marzo 2023.
I piloti vittime dell'incidente erano usciti per l'addestramento in formazione. Poi lo scontro: uno dei due ha perso un'ala, l'altro ha evitato le case
Un improvviso guasto tecnico, un errore di manovra, un malore di uno dei piloti. Sono le ipotesi al momento al vaglio della magistratura, ma anche dell’Aeronautica militare, per spiegare cosa sia successo nella mattinata di martedì ai due velivoli Siai S208 di addestramento, decollati poco dopo le 11 dall’aeroporto militare di Guidonia, dove ha sede la base del 60° Stormo, e precipitati circa 45 minuti più tardi, uno in un campo a ridosso della pista di atterraggio e l’altro fra le case, nei vicoli di Colle Fiorito, alle porte di Guidonia.
Fino a tarda sera gli investigatori, anche quelli della polizia scientifica, incaricati dell’indagini, sono rimasti nei luoghi della tragedia. Come è stato spiegato dai vertici dell’Aeronautica i due modelli di aereo vengono utilizzati per l’addestramento degli stessi istruttori e anche come traino degli alianti utilizzati dagli allievi piloti nei primi voli della loro carriera.
Martedì mattina Meneghello e Cipriano erano decollati con altri due colleghi per un volo di addestramento previsto e programmato, in formazione di volo. Un’operazione di routine che doveva svolgersi, come in effetti è stato, sui cieli di Guidonia. L’incidente si è verificato a circa 1,5 chilometri dalla pista di atterraggio mentre i quattro velivoli si trovavano a circa 500 metri d'altezza (1.500 piedi).
Gli aerei pilotati dalle vittime avevano numeri identificativi 3 e 4, mentre gli altri 1 e 2: i primi si sono staccati dalla formazione per cominciare la discesa verso la pista mentre i compagni di pattuglia effettuavano una virata in attesa che arrivasse il loro turno. In prossimità dell’aeroporto è avvenuto il contatto fra i due velivoli, uno dei quali ha perso un’ala ed è precipitato proprio nel terreno sottostante. Si tratta di quello di Cipriano. L’altro invece, ormai fuori controllo, ha deviato verso le case di Colle Fiorito. Secondo la procura il pilota ha tentato una disperata manovra per evitare l’impatto contro i palazzi infilandosi in una stradina dove si è schiantato su un'auto in sosta.
Secondo quanto riferito dal comandante delle Scuole dell'Aeronautica a Guidonia, il generale di Squadra aerea Silvano Frigerio, «quel genere di aereo ha alcune decine di anni, ma è mantenuto in perfetta efficienza. Viene anche utilizzato come addestramento per i piloti di caccia nelle operazioni contro velivoli lenti, ultraleggeri o anche droni che possono rappresentare una minaccia». In pratica viene usato come una sorta di bersaglio anche se l'addestramento di ieri non era di questo genere in quanto i piloti volavano in quattro e in formazione.
Sono comunque aerei senza scatola nera e senza paracadute per i quattro occupanti. Saranno quindi acquisite le comunicazioni radio fra i quattro piloti in volo martedì mattina e quelle con la torre di controllo di Guidonia per ricostruire i 45 minuti di missione su una rotta prestabilita che non prevedeva passaggi sulle case. Al vaglio anche gli spostamenti gps dei velivoli, la loro distanza (in formazione volano anche a due-tre metri l'uno dall'altro) e l'avvicinamento alla pista per l'atterraggio.
Guidonia, chi sono i due piloti morti: una scoperta sconvolgente. Libero Quotidiano il 07 marzo 2023
l maggiore Marco Meneghello e il tenente colonnello Giuseppe Cipriano sono i due piloti morti a causa dell’incidente aereo avvenuto a Guidonia. La Procura di Tivoli ha aperto un’inchiesta: l’ipotesi è di disastro aereo colposo a carico di ignoti. Il pubblico ministero di turno ha disposto l’autopsia e l’accertamento medico legale, che sarà effettuato nella giornata di domani, mercoledì 7 marzo.
Per cause ancora in corso di accertamento, due velivoli militari ultraleggeri sono precipitati durante un’esercitazione di volo: uno è caduto in una zona rurale di Collefiorito di Guidonia, l’altro in via della Margherita di Guidonia Montecelio, in pieno centro abitato. I due piloti deceduti erano esperti e appartenevano al 60º Stormo dell’Aeronautica militare. Cipriano aveva alle spalle 6mila ore di volo, effettuate anche in operazioni fuori dai confini nazionali, ed era pilota istruttore sui velivoli U208A, Aliante G103, MB339-CD.
Meneghello, invece, vantava 2.600 ore di volo ed era pilota istruttore abilitato sui velivoli U208A, Aliante G103. Inoltre da qualche tempo si occupava di portare avanti il progetto dell’Aeronautica nelle scuole superiori. “Le famiglie, cui va il cordoglio di tutto il personale della Procura e mio personale, sono state avvisate", ha spiegato il procuratore Menditto in una nota.
Estratto da “il Messaggero” l’8 marzo 2023.
«Ho appena visto precipitare due aerei sotto i miei occhi. Erano quattro aerei... hanno perso l'ala dietro e hanno iniziato a roteare su se stessi fino a precipitare e a prendere fuoco». Inizia così la cronaca di trenta secondi di inferno a Guidonia Montecelio, la città dell'aria a Nord Est della Capitale.
Nicholas è sconvolto ed è tra i primi a postare l'incredibile messaggio sui social. Alle 11.51 si è sfiorata una tragedia persino più grande: uno dei monomotore Siai 208 pilotato dal tenente colonnello Giuseppe Cipriano precipita in un campo non distante dall'aeroporto militare e dal piccolo centro commerciale "Triade", l'altro con sopra il maggiore Marco Meneghello si schianta nel pieno del centro abitato, in via delle Margherite. Entrambi gli istruttori di volo sono deceduti.
Ma poteva andare peggio. «Sembrava una bomba - racconta Maria che abita in via delle Margherite - è un miracolo che non sia morto nessun altro. Se fosse accaduto un po' prima o ancora poco più tardi ci sarebbe stato il via vai di genitori e bambini dalle scuole vicine».
Mezza città ha assistito all'impatto, come in una roulette russa c'è chi ha temuto che quei due mezzi, come missili, colpissero le loro case. I clienti e il titolare del bar "l'Incontro" in piazza degli Anemoni, a pochi metri dal luogo dell'impatto del secondo aereo, sono senza parol e: «Abbiamo sentito un botto pazzesco, sembrava la guerra.
Siamo corsi fuori, c'erano fuoco e fiamme che venivano da via delle Margherite, in pochi attimi l'aria è diventata irrespirabile, acre per la plastica e i carburanti bruciati. Un'apocalisse». […] E non è l'unico, anzi. «Ho visto chiaramente il contattato dei due aerei proprio sopra il palazzo Bnl di Collefiorito - dice una persona che ha visto dal balcone di casa - Ho visto un'ala cadere, del fuoco e poi i due aerei precipitare in punti differenti. Il fuoco sul prato che costeggia via Roma prima di tutto, poi il fumo salire proprio dal cuore dei palazzi e lì ho tremato: "Verrà giù tutto" ho pensato».
Nel giro di pochi minuti tutta la città è un rincorrersi di sirene, ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco, le pattuglie di carabinieri e polizia. «[…]Era ancora vivo prima che fosse avvolto dal fuoco. Non ha avuto scampo. […]
Estratto da open.online l’8 marzo 2023.
Un errore umano forse dovuto a un malore di uno dei due piloti. Oppure un guasto tecnico. Queste sono le due ipotesi che restano sul tavolo per spiegare il disastro di Guidonia Montecelio, dove due aerei si sono scontrati e due piloti sono morti dopo che i due velivoli sono precipitati in fiamme uno in un prato vicino a un centro commerciale non lontano dal laghetto San Giovanni, e un altro tra alcune case nel centro abitato di Colle Fiorito. Le due vittime sono il tenente colonnello Giuseppe Cipriano e il maggiore Marco Maneghello. I mezzi erano due aerei Piaggio Siae 208 del 60mo Stormo, il reparto dell’Aeronautica militare dell’aeroporto “Alfredo Barbieri”. Ora si indaga sullo scontro in volo. Mentre il maggiore Meneghello ha effettuato una manovra che ha consentito all’aereo di arrivare al suolo senza schiantarsi sulle case.
Le scatole nere mancanti
Il Messaggero oggi spiega che le autopsie al via oggi potranno fornire maggiori elementi sulle cause del disastro. Il procuratore di Tivoli Francesco Menditto ha aperto un fascicolo d’indagine per disastro colposo. Una perizia tecnica verificherà lo stato degli aerei. I velivoli a quattro posti non hanno però una scatola nera.
(…) Secondo quanto hanno raccontato i testimoni il velivolo pilotato da Meneghello «è caduto in posizione verticale, come un taglio di coltello». Il militare ha immediatamente gridato aiuto ma in quell’istante il mezzo ha preso fuoco. «Non c’era nulla da fare – hanno spiegato i testimoni oculari -, abbiamo tentato di spegnere le fiamme ma erano troppo alte».
Il procuratore
Il procuratore Menditto ha spiegato che «alle prime ricostruzioni è ragionevole ipotizzare che il velivolo caduto nella strada sia stato li direzionato dal pilota per recare il minor danno possibile a cose e persone, tanto che i danni sono stati limitatissimi. Diversamente, una precipitazione sugli edifici ai lati della strada avrebbe causato numerose vittime».
Estratto dell’articolo da Il Messaggero l’8 marzo 2023.
L'istinto l'ha fatto correre di slancio e, quando ha sentito una voce chiedere aiuto da quel cartoccio di lamiere, è corso ancora di più. Daniele Saccucci, 42 anni, voleva tirare fuori il pilota dall'aereo precipitato in mezzo alle case nel quartiere di Collefiorito Vecchio, a Guidonia Montecelio. «Ho corso come un matto dice ma quando ci ero quasi, mancavano pochi metri, le fiamme si sono alzate fino a diventare un muro».
Eppure non si è arreso, Daniele: «Sono tornato verso il bar a prendere un estintore, capivo che era come buttare un bicchiere d'acqua in un inferno, ma non potevo fermarmi. Ci ho provato, finché c'era un tentativo da fare andava fatto. Ma il fuoco ormai era impenetrabile, aveva avvolto anche un'auto parcheggiata».
Daniele Saccucci stava chiacchierando davanti al bar "L'incontro" di piazza degli Anemoni ieri mattina. «Davo le spalle all'imbocco di via delle Margherite - continua - Si chiacchierava dopo un caffè. È stato un botto tremendo a farmi girare. Pensavo ad uno scontro tra macchine.
E invece quando mi sono girato mi son visto davanti quell'aereo praticamente incastrato tra le case. Mentre mi avvicinavo ho sentito le grida d'aiuto arrivare da quei rottami, e a questo punto ho cercato di fare il possibile. L'aereo era girato su un lato. La mia idea era di avvicinarmi per cercare di tirare fuori il pilota il prima possibile. C'ero quasi, ma si è alzata una altissima lingua di fuoco, troppo alta».
(...)
Un suo amico, Marco Felli, che era con lui davanti al bar, l'incidente l'ha visto bene, testimone oculare dell'impatto in pochi secondi tra incredulità e terrore: «L'ho visto cadere a taglio di coltello, per un istante ho creduto che cadesse sulle case ma poi una specie di virata improvvisa l'ha fatto finire proprio in mezzo alla via».
(…)
Incidente di Guidonia, la verità che non vogliamo vedere. Sergio Barlocchetti su Panorama l’8 Marzo 2023
Cos'è successo davvero nei cieli sopra Guidonia tra i due apparecchi dell'Aeronautica Militare
Ciò che è accaduto ieri nel cielo di Guidonia Montecelio è una tragedia sulla quale sarebbe opportuno pubblicare articoli in punta di polpastrello, senza farsi prendere dalla necessità di riempire righe di cronaca con le supposizioni. Abbiamo sentito cercare di mettere in bocca a un generale (e che generale, Frigerio!) frasi inopportune su presunte manovre per evitare case e altre teorie. La verità è che probabilmente non lo sapremo mai ed è così che forse dovrebbe essere. Resta un mistero perché in questo Paese bisogna sempre aver bisogno di eroi. Forse perché pensare che un pilota possa fino all’ultimo aver salvato qualcun altro rende meno penosa o inutile la fine della sua vita, o più accettabile qualcosa che i pacifisti detestano, ma è un’illusione. I due ufficiali scomparsi ieri non hanno bisogno di eroismi, erano unici, persone meravigliose, come tale resta il ricordo che tutti i conoscenti hanno di loro anche se non sanno cosa stessero provando in quegli ultimi istanti. Resta un fatto: la verità non la vogliamo vedere. Ieri quattro piloti stavano lavorando, si stavano allenando e qualcosa è andato storto. Vai a sapere se un errore di manovra, se un’avaria improvvisa, un volatile che sfonda il vetro o che cosa.
Sappiamo però che nel volo in formazione, anche con un monomotore, i tempi di reazione per mantenere la posizione sono immediati. Restare in posizione rispetto a un altro aeroplano richiede un continuo lavoro di micro-correzioni sulla potenza del motore e sui comandi che no, non si improvvisa né, una volta imparato, rimane per sempre. Bisogna continuare ad allenarsi. Il volo in formazione è una peculiarità tra le capacità dei piloti militari. Pertanto, l'addestramento a questa forma di volo è necessario per mantenere le abilità degli equipaggi. E nella scelta di fare il pilota per professione si accetta la possibilità di dover fare fronte ai rischi del mestiere. Questa volta, nella grande tragedia è andata anche bene, la buona sorte e il fatto che le manovre venivano eseguite sul cielo campo – tecnicamente lo spazio aereo sopra l’aeroporto e le sue immediate vicinanze - ha contenuto possibili danni collaterali. Si è letto di piccoli aerei d’epoca, ma non è così: un aeromobile del quale il costruttore esiste ancora (Sia i Marchetti era confluita in Aermacchi, quindi Alenia Aermacchi, quindi Finmeccanica e poi Leonardo), certificato anche come aeroplano civile dall’Agenzia europea per la Sicurezza del volo, e che viene manutenuto bene come gli U-208A del 60°Stormo di Guidonia non è mai “vecchio”. Non sono aeromobili usati per “vetrina” ma svolgono compiti di collegamento, addestramento, esercitazioni, traino alianti militari, voli di ambientamento nei corsi di cultura aeronautica che l’Arma Azzurra organizza in tutto il Paese. Tradotto in emozioni reali significa che generazioni di piloti hanno avuto su quegli aeroplani il loro primo contatto con l’Aeronautica Militare e che alcuni di loro ne hanno fatto parte e oggi operano al servizio del Paese. Ma il fatto che per la maggioranza della nostra stampa tutto ciò che non è un Boeing sia automaticamente un ultraleggero la dice lunga proprio sulla limitatezza della cultura aeronautica in Italia. Invece oggi non c’è gruppo social di appassionati, proprio quei luoghi dove l’informazione raccoglie il peggio, che non si stringa alle famiglie di Giuseppe e Marco. Non conta più il loro grado e neppure cosa ognuno dei commentatori pensa dell’accaduto. Si condivide il dolore ancora una volta, consci che in aviazione non è la prima e non sarà l’ultima. Anche se non sappiamo ancora che cosa sia effettivamente capitato ieri, se uno dei velivoli abbia “schiacciato” l’altro che stava sotto, o se l’ha urtato dal fianco, quali i danni subiti dal mezzo e forse anche dai piloti prima del doppio schianto. Ma che importa? Se è stata colpita la coda dell’aereo la possibilità di governare non esiste più e stante la quota relativamente bassa, dopo qualche secondo che sta in una mano tutto era già finito. Proprio l’immagine della coda di uno dei due aeroplani sul prato, senza una strisciata di erba schiacciata dice che è caduto praticamente in verticale. Dell’altro i rottami si confondono con quelli dell’auto andata in fiamme e ci vorrà tempo per analizzare e capire. A questo servono le inchieste tecniche, non ad attribuire le colpe, non a cercare gli eroi, ma a spiegare innanzi tutto perché, maledizione, piangiamo la vita di due persone. E soprattutto le inchieste servono perché quanto impariamo ogni volta dal dolore faccia in modo che capiti ancora meno frequentemente. C’è una consapevolezza che gli aviatori hanno: l’aviazione è fatta di regole e queste sono state scritte dopo i morti durante una storia recente, meno di 120 anni, nulla in confronto con i millenni della marineria e i secoli delle ferrovie. Eppure, anche in quei settori si muore ancora. La fregatura è che ogni generazione di aviatori, marinai, ferrovieri e autisti in fatto di esperienza riparte da zero, la matura con il tempo e poi la deve ricordare e sfruttare, trasmettere se è istruttore, come fa un professionista quando affronta ogni volo ponendosi sempre le domande sulle possibili criticità della missione che sta per iniziare e come mitigare i rischi a terra in volo. Non c’è mai alcuna leggerezza, non c’è mai alcuna azione che in aeroplano si faccia senza pensare. Non lo fai con le 6.000 ore di volo di Giuseppe, neppure con le 2.600 di Marco, non l’avevano i colleghi in volo con loro e quelli a terra che sono corsi sul posto e che hanno visto ciò che mai avrebbero voluto. E che non scordi mai più. Cieli blu, diciamo in aviazione, che la terra sia loro lieve.
La tragedia tra il Reggiano e La tragedia tra il Reggiano e il Modenese. Ritrovato Ivano Montanari, il pilota scomparso da un mese nel relitto dell’aereo sparito dai radar. Antonio Lamorte su Il Riformista il 6 Marzo 2023
Ivano Montanari era un pilota esperto. Era decollato il 28 gennaio scorso, da Campovolo, ed era scomparso dai radar: sparito nel nulla. È stato ritrovato nella serata di ieri, all’interno dell’ultraleggero da turismo sul quale viaggiava al momento della tragedia. Si pensava che sarebbe stato necessario arrivare alla primavera e invece le operazioni di soccorso cominceranno oggi.
Il velivolo è stato ritrovato dopo una segnalazione. Una squadra di soccorritori è partita verso Pievelago, sull’appennino modenese, e ha trovato l’apparecchio in un canalone. Le speranze di ritrovare Montanari in vita si erano azzerate ormai da tempo. Aveva 61 anni, risiedeva a Reggio Emilia con la moglie. Aveva preso il brevetto cinque anni fa e aveva fatto circa 300 voli. Era considerato un pilota esperto e prudente.
Era circa mezzogiorno quando era scomparso. Aveva comunicato alla torre di controllo il rientro, era decollato da appena mezzora: c’era troppa nebbia. Il velivolo da quel momento era sparito dai radar e non aveva più dato segnali. Era un Evektor Eurostar di proprietà della Top Gun. Fabbricazione ceca, del 2019. Un testimone aveva raccontato al quotidiano La Nazione di aver visto l’ultraleggero volare basso verso il monte Albano tra Pieve e la Toscana.
Circa 400 uomini lo hanno cercato per una decina di giorni. Soccorso alpino, vigili del fuoco, polizia, carabinieri, guardia di finanza, volontari. Le ricerche erano state coordinate da aeronautica militare e prefettura di Modena. Il campo base era stato allestito a Pievelago, nella zona appenninica al confine tra Reggio Emilia e Modena. “Rientro, c’è troppa nebbia”, erano state le ultime parole dell’uomo.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
L'idea di Italia della sinistra: si ai migranti, no alle Frecce Tricolori. Andrea Soglio su Panorama il 19 Settembre 2023.
Diversi esponenti del Pd hanno detto la loro questi giorni su due temi che raccontano quale sia l'idea di Italia cui aspirano
Settimana scorsa in tv alla domanda su quale fosse la posizione del Pd sull’aumento delle spese per la difesa Elly Schlein, ha così risposto ai due giornalisti attoniti: «quando saremo al governo ce ne occuperemo». Frase che fece fare al segretario del Pd una brutta figura davanti alle telecamere e che diede modo a molti opinionisti, compreso il sottoscritto, di accusare i dem di non avere idee e strategie politiche. Ci siamo sbagliati tutti. Perché la realtà di oggi ci porta davanti, chiara e virgolettata, quale sia la linea politica del Partito Democratico su due situazioni e tematiche fondamentali. La prima ovviamente riguarda i migranti. Anche qui, dalla segreteria oltre alle dovute critiche al governo (lo hanno fatto sempre tutti i partiti di opposizione) non sono arrivate soluzioni ma sono stati altri noti esponenti dem a darci in maniera chiara il loro pensiero. Prendiamo ad esempio il sindaco di Bologna, Matteo Lepore che davanti all’emergenza sbarchi e soprattutto al post-sbarchi ecco che ha ricordato come «Noi (plurale) non diremo mai no all’accoglienza». Insomma, dalla città simbolo del comunismo italiano arriva un’indicazione chiara: porti e braccia aperte per tutti. Un’opinione condivisa da altri primi cittadini di sinistra. Punto due. Dopo l’incidente che ha coinvolto l’aereo delle Frecce Tricolori a Torino ecco che sono tornate a farsi sentire le voci del mondo culturale e giornalistico di sinistra arrivate a chiedere a gran voce «l’abolizione» della Pattuglia Acrobatica. Nell’ordine: «Sono uno spreco di soldi e strumento di propaganda guerrafondaia» (Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista); «Ma, di preciso, a che c…. servono le Frecce Tricolori» (Frankie Hi-nrg, rapper); «Ora basta con Frecce tricolori e parate militari varie» (Tomaso Montanari); «Frecce Tricolori da abolire subito, provocano tragedie» (Lidia Ravera, scrittrice). La scelta della pancia del partito, che non è IL Pd ma sono quelli che lo sostengono da fuori e che alle primarie hanno scelto la Schlein e non Bonaccini, è chiara: accoglienza per tutti e stop alle spese militari in qualsiasi forma esse si manifestino. Un’Italia senza armi ma piena di migranti. Una scelta legittima, una visione chiara, un’idea di paese molto netta. Siamo certi che questa sia anche la visione di Elly Schlein cui però manca il coraggio di dirlo apertamente anche perché sa benissimo che questa visione non piace alla stragrande maggioranza degli italiani. E così si traccheggia condannati all’opposizione per i prossimo 4 anni. Ps. A chi chiede lo stop agli eventi delle Frecce Tricolori per i costi basta rispondere con l'indotto che generano nelle località che ospitano tali eventi. Alla fine sono un guadagno, anche per l'erario.
Estratto dell’articolo di Irene Famà per “la Stampa” il 18 Settembre 2023
«Dove ho sbagliato? Cos'avrei potuto fare di diverso? Cosa?». Domande che papà Paolo continua a rivolgersi ai medici, agli psicologi. E soprattutto a se stesso. «Non sono riuscito a salvare la mia bambina», ripete. E nella sua mente ricostruisce incessantemente quei dannati istanti. Lui, in automobile, sulla strada che costeggia la pista dell'aeroporto Torino-Caselle. Le Frecce Tricolori che decollano per il giro di prova prima dell'esibizione dell'indomani.
Paolo Origliasso sta tornando a casa con la sua famiglia. Abitano ad appena duecento metri dall'aeroporto. Lui è al volante, vicino c'è la moglie Veronica. Dietro i due figli: Laura, cinque anni, e il fratello Andrea di dodici. […] «Ho visto una palla di fuoco venirci addosso». Così Paolo l'ha raccontata agli inquirenti della procura di Ivrea […] Una palla di fuoco. E fiamme. E lamiera. E uno spostamento d'aria che fa rovesciare la macchina.
Paolo riesce a uscire dall'auto.
«Ho liberato mio figlio. Ho cercato di proteggere Laura, non ci sono riuscito». E il disperato tentativo di mettere in salvo tutta la sua famiglia lo raccontano anche le ustioni che ha riportato. […] Hanno cercato di strappare il seggiolino, di fare da scudo alla piccola […]
Il figlio Andrea di dodici anni è agile, sa come aprire una portiera e slacciare le cinture di sicurezza. Laura, più piccina, era seduta sul seggiolino. La portiera a fianco con il "blocco bambino", di quelle, insomma, che si aprono solo dall'esterno. L'aereo si schianta al suolo, si incendia, sfiora l'automobile come «una palla di fuoco», si spezza. […]
La macchina esce di strada, si ribalta. […] E ora papà Paolo continua a chiedersi: «Cos'avrei potuto fare di diverso?». È un genitore che se la prende con il destino. Sarebbero bastati cinque minuti, passare prima o ritardare un po'. Ecco la crudeltà della fatalità, spietata. […] Paolo Origliasso, quarantanove anni, istruttore di scuola guida, ha lasciato ieri l'ospedale Cto di Torino: ha riportato ustioni sul 4% del corpo, è stato dimesso con una prognosi di una ventina di giorni. […]
Estratto dell’articolo di Flavia Amabile per “la Stampa” il 19 Settembre 2023
«Le Frecce Tricolori? Da abolire subito» risponde Lidia Ravera, scrittrice, pacifista, ambientalista. […]
[…] «[…] sono tra chi si chiede a che cosa servono. La celebrazione del tricolore non è mai stata al centro delle mie preoccupazioni, con tutti i temi più importanti e urgenti che abbiamo in Italia mi sembra piuttosto inutile investire denaro e mettere a rischio delle vite.
Dirlo mi sembra quasi una banalità».
[…] Chi è a favore sostiene che si tratta di un motivo di orgoglio e di un simbolo da difendere.
«Chi vuole celebrare il tricolore avrà altri modi per farlo. Se lo consideriamo un simbolo sappiamo tutti benissimo che i simboli possono essere sostituiti se è necessario. Le esibizioni delle Frecce Tricolori sono manifestazioni che costano e sono pericolose. Per non parlare poi di un ulteriore fattore negativo».
Quale?
«L'inquinamento. Io cerco di prendere solo gli aerei necessari. […] Le Frecce Tricolori sono uno degli esempi di forma di inquinamento che si può evitare». […]
Maurizio Crosetti per la Repubblica - Estratti il 17 Settembre 2023
(...)
Stavano tutti tornando a casa in macchina. Laura era abituata agli aerei, e anche suo fratello Andrea.
Anche la mamma Veronica, anche il papà Paolo. Perché la famiglia abita a duecento metri dall’aeroporto, in un paese che prende il nome da un santo e da un campo. Infatti di campi è pieno l’orizzonte, prati e alberi, querce, gaggie, cespugli enormi, rami con foglie verdi o già un po’ rosse in questa estate che sta finendo. Gli aerei che partono e arrivano, sempre, non c’è da averne paura.
Laura abitava lì da poco, anche questo è un destino della famiglia Origliasso, 49 anni il papà, 41 la mamma, 12 il ragazzino più grande che è in seconda media, appena 5 anni Laura che andava alla scuola dell’infanzia. Il loro cielo era stretto e lungo come le scie bianche sopra la pista di Caselle, a volte da lassù scende una strana puzza di benzina. Sullo sfondo, non tanto lontano, si vede un campanile. E c’è un palazzotto giallo che sembra un piccolo castello in mezzo a un prato, e una ciminiera di mattoni rossi.
Forse è stato uno stormo di uccelli, forse uno di loro è entrato nel motore. E adesso che è quasi sera e sta per calare il buio, ali scure a piccoli gruppi di tre, di cinque tagliano l’orizzonte. Il suono delle sirene, le luci dei lampeggianti, e Laura che non c’è più.
È stata come un’onda di fuoco.
Prima lo spostamento d’aria che fa rovesciare la macchina, poi le fiamme che l’avvolgono. Papà, mamma e Andrea riescono a scappare dalle lamiere, Laura resta intrappolata. Il papà prova a tirarla fuori con le mani, ora è questa la sua ustione più grave, grida di aiutarlo, urla disperato che non ce la fa. Da quella trappola non si esce, impossibile sciogliere il nodo. Lo ha ripetuto disperato ai soccorritori. Il corpo della bambina sarà estratto soltanto molto tardi dai vigili del fuoco.
Non erano andati a vedere gli aerei, non erano lì in attesa delle famose Frecce Tricolori, vanto dell’Aeronautica Italiana.
Quelle che il 28 agosto 1988 andarono a sbattere una contro l’altra nel cielo tedesco di Ramstein: settanta morti, quella volta. Ma Laura, Andrea, Paolo e Veronica stavano solo tornando a casa, non erano lì per curiosare a bordo strada o per divertirsi nella vertigine del rombo che si gonfia e precipita dentro le orecchie. Stavano lì per caso, alla fine di una giornata semplice, un sabato come tanti, di quelli che si va a trovare i nonni e poi si passa dal supermercato per un po’ di spesa.
L’appuntamento con il cielo in fiamme non l’aveva fissato nessuno. Un po’ come quel giorno di ottobre del 1996, quando un cargo russo andò a schiantarsi sulle case dopo un atterraggio troppo lungo: due morti e tredici feriti. Anche lì, la spaventosa lotteria di chi abita a pochi passi da un aeroporto: quando va bene, frastuono e gasolio e un po’ di spavento per i tuoni dei motori, quando va male si può anche morire. Laura era così piccola, curiosa di tutto.
All’asilo la ricordano sempre allegra e gentile. Spezza il cuore saperla dentro un’auto rovesciata, la carcassa accanto a quella dell’aereo senza il muso, qualche pezzo è finito anche sopra gli alberi ed è stato bravo il pilota, un ragazzo, Oscar Del Dò il suo nome, a evitare case e cascine precipitando.
Non poteva sapere che due automobili stavano passando in quel momento sulla strada che dalla rotonda di San Francesco al Campo, appena dopo l’aeroporto di Caselle, piega verso i campi accostando la pista. Il cartello con il nome del paese, le lamiere carbonizzate a parte la coda dell’aeroplano, blu, e nell’aria odore di bruciato, di campagna e di pioggia. La prima auto la scampa, la seconda muore. Laura è perduta, la famiglia in qualche modo si salverà.
Si salveranno i tre corpi dei sopravvissuti, dicono i medici, ma il resto sarà un inferno identico alle fiamme che hanno resistito a lungo, sollevando un fumo nerissimo. La famiglia l’hanno riunita alla fine della giornata all’ospedale Regina Margherita, dove il piccolo Andrea è in rianimazione ma la sua vita non è in pericolo. «Ho sentito un rumore enorme», ha ripetuto Paolo Origliasso, il padre, a tutti. Le ustioni sulla pelle non sono niente in confronto alle altre piaghe, dentro. La sua bambina, il cielo di fuoco. E adesso, andare avanti.
Estratto da open.online il 18 Settembre 2023
È sotto shock il maggiore Oscar Del Dò che pilotava il Pony 4 delle Frecce Tricolori dopo aver scoperto che nell’incidente ha perso la vita una bambina di cinque anni. Pochi attimi, non più di due secondi, per prendere una decisione prima dello schianto:
«Ho tenuto finché ho potuto – ha detto alla Stampa – poi ho dovuto lanciarmi sennò mi sarei schianto con l’aereo». In quel momento per una tragica casualità passava l’auto della famiglia con la piccola, morta sul colpo dopo essere stata travolta dal jet. «Non ho visto quella macchina», ha spiegato il pilota. «Quando con il paracadute ho toccato terra, ho visto un incendio. Sono corso verso il fuoco, ma un uomo mi ha fermato e mi ha detto: “Hai ucciso una bambina”. Da quel momento non riesco a darmi pace».
Il Pony 4 era l’ultimo della “coda” di sinistra mentre sfrecciava con quattro compagni nella formazione a triangolo. Dopo il decollo, è partita la manovra di ritiro del carrello. A quel punto sarebbe andato contro un piccolo stormo di uccelli che hanno colpito l’aereo vicino al motore.
L’aereo si spegne, Del Dò prova a riavviarlo ma non ci riesce. Cerca di portare l’aereo fuori dal perimetro, ma in brevissimo tempo diventa ingovernabile. A quel punto il pilota si lancia con il paracadute, mentre il Pony 4 si schianta a terra e striscia a velocità altissima fino a esplodere.
Pilota esperto, 35 anni, Del Dò è entrato nelle Frecce Tricolori nel 2019, dopo aver prestato servizio nel 132mo gruppo del 51mo Stormo di Istrana, in provincia di Treviso […]
Estratto da corriere.it il 19 Settembre 2023
È stato dimesso con 20 giorni di prognosi Paolo Origliasso, il padre della piccola Laura, morta ieri a 5 anni a seguito dello schianto dell'aereo della Freccia Tricolore.Lui e la moglie Veronica sono stati tenuti in osservazione tutta la notte al Cto e hanno riposato. Non ci sono problemi clinici gestionali. Ha trascorso una notte tranquilla il piccolo Andrea, rimasto ustionato nello schianto della Freccia Tricolore avvenuto ieri nei pressi di San Francesco al Campo, nel Torinese.
[…] ''Il papà ha ripercorso un migliaio di volte questa volta la scena cercando di chiedersi come avrebbe potuto fare diverso'' ha spiegato in un punto stampa Maurizio Berardino, capo del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione della Città della Salute di Torino.
Estratto dell’articolo di Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 19 Settembre 2023
Simone Pagliani, 50 anni, pilota delle Frecce Tricolori dal 2002 al 2009 nelle posizioni di Pony 8, il terzo gregario destro, Pony 3, primo gregario destro, e poi Pony 6, leader della seconda sezione. Oggi è un pilota civile.
Cos’ha pensato quando ha sentito la notizia dell’incidente di Torino?
«Il primo pensiero è stato per la famiglia della vittima: ho un bambino di 6 anni. Poi ovviamente mi sono sentito vicino al pilota perché so quanto sono delicate queste fasi del volo e so che i piloti mettono al primo posto la sicurezza su qualunque tipo di manovra ed esibizione».
Conosce Oscar Del Dò, al comando del jet che si è schiantato?
«Sì, ci conosciamo tutti. E non esistono piloti di pattuglia inesperti: ce ne sono di più giovani e di più anziani, ma sono tutti già formati, si arriva intorno ai 30 anni di età, con almeno mille ore di volo sulle spalle, al massimo della professionalità e prestanza fisica, perché è anche un lavoro fisicamente provante. E prima di fare la prima esibizione si fanno 10 mesi di addestramento continuo al ritmo di minimo due voli al giorno. Ripeto: non esiste in pattuglia un pilota inesperto».
Si è fatto un’idea delle cause dell’incidente?
«Purtroppo quando c’è un imprevisto in decollo, che sia uno stormo di uccelli o un problema al motore, cambia poco: una perdita di potenza in decollo, qualunque sia l’origine, ti lascia pochissimo tempo, la velocità è bassa, la quota è poca. Il pilota avrà fatto tutto quello che si poteva fare, ma con un monomotore non ti resta altro che eiettarsi». […]
Lei ha mai avuto paura in volo? Si è mai sentito in pericolo?
«No. Ci sono stati voli complicati con turbolenza, orografia difficile, voli in cui magari la copertura delle nubi poteva essere un problema. Però ogni tipo di manovra viene calcolata: il pilota già prima di cominciare ha tutta una serie di soluzioni per far sì che la manovra sia anzitutto sicura e poi spettacolare, sempre in questo ordine».
Estratto dell’articolo di Chiara Severgnini su Il Corriere della Sera sabato 16 settembre 2023.
Un aereo delle Frecce Tricolori è precipitato nelle vicinanze dell’aeroporto di Caselle. Una bambina di 5 anni è morta in conseguenza dello schianto: secondo quanto si apprende, il velivolo, nella caduta, avrebbe preso fuoco, e le fiamme avrebbero raggiunto alcuni mezzi di trasporto, compresa un’auto su cui si trovava una famiglia di quattro persone. Tra loro, anche la bambina che ha perso la vita. Ustionati anche il fratello maggiore e i genitori. Il pilota si è salvato lanciandosi con il paracadute. […]
Intorno alle 16:30, il velivolo Pony 4 della formazione ha perso il controllo del velivolo, che ha perso quota e si è poi schiantato al suolo. Prima dell’impatto, il pilota è riuscito a lanciarsi con il paracadute. Il mezzo, però, si è schiantato a bordo pista e ha immediatamente preso fuoco.
Alcuni mezzi di trasporto che si trovavano nei pressi sono rimasti coinvolti dall’incendio. Tra loro, anche un’auto privata: a bordo, una famiglia di quattro persone, che è stata investita dalle fiamme. L’auto è stata capovolta e completamente carbonizzata.
La bimba che ha perso la vita avrebbe 5 anni. Anche il fratello e i genitori sono rimasti ustionati. Il bambino, che a quanto si apprende avrebbe 9 anni, è stato portato all’ospedale infantile Regina Margherita per delle ustioni: le sue condizioni sarebbero gravi. La mamma e il papà, sempre per delle ustioni, sono stati portati in codice giallo rispettivamente al Cto e al San Giovanni Bosco. Anche il pilota del velivolo ha riportato delle ustioni.
Secondo quanto ipotizzano fonti dell’agenzia Adnkronos, l’aereo delle Frecce Tricolori potrebbe essere diventato «ingovernabile» a causa di un impatto con degli uccelli. L’impatto tra aerei e volatili è una delle costanti negli aeroporti di tutto il mondo, spiega Leonard Berberi: soltanto negli Stati Uniti si registrano almeno 36 mila impatti e nel periodo 1912-2004 ce ne sono stati 47 mortali soltanto nell’aviazione civile. […]
Frecce Tricolori, tragedia a Torino: aereo si schianta su auto: morta una bambina. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 16 settembre 2023
Sulla base delle prime ricostruzioni il velivolo ha avuto un problema durante la fase di atterraggio. Un problema al motore: questo è quanto avrebbe comunicato al suo capo squadra, durante il volo, il pilota. E avrebbe poi riferito che doveva sganciarsi dalla formazione. In seguito ha perso il controllo del velivolo e ha azionato il dispositivo di eiezione dalla cabina.
Un aereo della pattuglia delle Frecce Tricolori è precipitato oggi, 16 settembre a San Francesco al Campo in provincia di Torino nelle vicinanze dell’aeroporto di Caselle . Poco dopo il decollo il velivolo si è schiantato su un’auto, che è esplosa dopo essersi ribaltata: una bimba di 5 anni è morta. Nello schianto sono rimasti feriti anche i genitori e il fratellino, un bambino di 9 anni che ha riportato ustioni sul 15% del corpo. Il bambino è stato trasferito all’ ospedale al Regina Margherita di Torino: dai primi accertamenti non avrebbe riportato lesioni importanti. Ora è ricoverato in rianimazione, sedato, e la prognosi al momento è riservata. Ustionati anche i genitori, che sono riusciti a uscire dal veicolo: la mamma in codice giallo è stata portata al Cto, mentre il marito ed il pilota dell’ Areonautica Militare sono stati trasferiti in codice giallo al San Giovanni Bosco.
L’incidente. Il pilota: “Ho un problema al motore”. Ipotesi impatto con uccelli
Un problema al motore: questo è quanto avrebbe comunicato al suo capo squadra, durante il volo, il pilota. E avrebbe poi riferito che doveva sganciarsi dalla formazione. In seguito ha perso il controllo del velivolo e ha azionato il dispositivo di eiezione dalla cabina. Ancora da chiarire le cause: al momento si ipotizza l’impatto dell’aereo con gli uccelli, il cosiddetto “bird strike“. Gli altri mezzi delle Frecce Tricolori hanno correttamente completato l’atterraggio nella base aerea di Collegno.
I resti dell’aereo e dell’auto
L’Aeronautica Militare ha fatto sapere in merito allo schianto dell’aereo delle Frecce Tricolore: “Non è possibile al momento confermare le cause dell’incidente. Una delle ipotesi al vaglio, vista la dinamica dell’evento, è quella di un impatto del velivolo con un volatile (in gergo tecnico Bird strike) durante le primissime fasi del decollo”. aggiungendo: “La formazione era appena decollata per dirigersi su Vercelli, dove avrebbe dovuto eseguire una esibizione aerea, quando per motivi ancora da accertare il velivolo Pony 4 pilotato dal Maggiore Oscar Del Do‘ ha perso quota ed è precipitato al suolo. Il pilota, immediatamente prima dell’impatto, è riuscito ad eseguire la manovra di eiezione”.
Sul luogo dell’incidente è giunto tra gli altri il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo raggiunto dal presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio che ha annullato tutti gli appuntamenti in corso. Questo è quanto si legge in una nota della Regione Piemonte, che “con profondo dolore si stringe alla famiglia e alle persone coinvolte in questa immane tragedia“. L’aeroporto di Torino Caselle comunica sul suo sito che le operazioni dell’aeroporto sono soggette a ritardi indefiniti a causa di un incidente.
In seguito all’incidente, l’Aeroclub Torino ha annullato la manifestazione aerea per il centenario dell’Aeronautica militare prevista per domani.
Il cordoglio nazionale
“Sono sconvolta da quanto è accaduto oggi nell’aeroclub di Caselle a Torino durante un’esercitazione delle Frecce Tricolori”, dice Giorgia Meloni, “la morte della piccola Laura Origliasso in seguito al terribile schianto di uno dei velivoli della Pattuglia Acrobatica Nazionale mi addolora profondamente e mi lascia senza parole”, aggiunge. “A nome mio e di tutto il governo – conclude il presidente del Consiglio – esprimo vicinanza e cordoglio alla famiglia della bimba deceduta e rivolgo i miei auguri di pronta guarigione ai suoi genitori, e al suo fratellino rimasti feriti in questa tragedia“.
“Il personale della Difesa ed il Ministro esprimono il più profondo cordoglio per la tragedia avvenuta nell’area di Torino Caselle”. Così, in una nota, il ministro della Difesa Guido Crosetto a proposito del velivolo delle Frecce Tricolori che è precipitato e ha preso fuoco. “La notizia ci lascia attoniti ed è profondo il dolore per il tragico incidente di volo di un componente delle Frecce Tricolori il cui velivolo nel precipitare ha drammaticamente coinvolto un veicolo con a bordo una famiglia – si legge – Nell’impatto è deceduta una bambina di 5 anni mentre un altro familiare ha riportato importanti ustioni”.
“La Difesa esprime la propria vicinanza ai familiari consapevole che ci sono perdite incolmabili e che mai vorrebbe ricevere tali notizie e – aggiunge – nel chiudersi in un rispettoso e dovuto silenzio, ha messo a disposizione ogni risorsa e capacità per la gestione dell’emergenza e a supporto di eventuali persone coinvolte”.
Il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, generale di Squadra Aerea Luca Goretti, a nome di tutta l’Aeronautica militare, “sgomento ed attonito per quanto accaduto nel pomeriggio di oggi sull’aeroporto di Torino Caselle, si stringe alla famiglia della bambina rimasta vittima dell’incidente aereo occorso ad un velivolo delle Frecce Tricolori”. “Attendiamo con speranza e fiducia aggiornamenti sulle condizioni del secondo bambino e dei genitori”, dichiara in una nota
“Apprendo con dolore la notizia della tragedia avvenuta a Torino-Caselle”, dichiara il presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana aggiungendo: “A nome mio personale e della Camera dei deputati, esprimo profondo cordoglio per la morte della bambina di 5 anni coinvolta nell’incidente assieme alla sua famiglia alla quale rivolgo le più sentite condoglianze e la mia vicinanza. Auguro una pronta guarigione al fratellino, ai genitori e al pilota del velivolo precipitato“.
“Sono profondamente addolorato per la tragedia accaduta nel torinese. Prego per la piccola di soli 5 anni che ha perso la vita a causa di un tragico incidente. Prego per la sua famiglia e per il pilota dell’Aeronautica che si è miracolosamente salvato”, ha scritto il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sul social X (ex-Twitter) .
Questa sera prima dell’inizio della finale degli Europei di volley tra l’Italia e la Polonia in campo a Roma, verrà osservato un minuto di silenzio. Redazione CdG 1947
"Ho un problema al motore", il "bird strike", le fiamme: le ipotesi sullo schianto di Torino. Paolo Mauri il 16 Settembre 2023 su Il Giornale.
Molto probabilmente è stato l'impatto con un volatile, o "bird strike", a causare lo schianto dell'Mb-339 delle Frecce Tricolori a Torino
Nel tardo pomeriggio di oggi, sabato 16 settembre, un Mb-339 PAN delle Frecce Tricolori è precipitato subito dopo il decollo dall'aeroporto di Torino Caselle. Si tratta del velivolo “Pony 4”, a cui comandi, come riferisce la Difesa, c'era il 35enne maggiore Oscar del Do' che è riuscito a eiettarsi prima dello schianto ed ora risulta essere ricoverato in codice giallo presso l'ospedale San Giovanni Bosco del capoluogo piemontese. Purtroppo, l'Mb-339 nell'impatto al suolo ha colpito un'automobile in transito uccidendo una bambina di 5 anni e ferendo il resto della famiglia (di quattro persone in totale).
La dinamica dell'incidente
La dinamica dell'incidente torinese non è ancora chiara, ma un video che sta circolando in rete forse potrebbe aiutarci a capire cosa sia successo. Pochi secondi dopo il classico decollo in formazione dalla pista di Torino Caselle, è possibile osservare che “Pony 4” comincia a perdere quota in assetto cabrato (ovvero col muso all'insù). Gli altri Mb-339 della sezione proseguono la fase di decollo senza problemi, eccezion fatta per il velivolo che occupa la posizione opposta rispetto a quello del maggiore del Do', che si vede effettuare una virata a destra rispetto all'asse della pista. “Pony 4” perde velocità e quota, ed il pilota, per evitare lo stallo, cerca disperatamente di puntare il muso dell'Mb-339 verso terra ma è troppo tardi, pertanto non gli resta che eiettarsi.
La perdita di potenza al motore in fase di decollo, quindi quando la spinta dovrebbe essere massima, e la concomitante virata del velivolo esterno destro della prima sezione delle Frecce, fanno pensare che molto probabilmente l'Mb-339 sia stato vittima di un “bird strike”, ovvero di una collisione con un volatile.
In questo caso è probabile che esso sia stato risucchiato dalle prese d'aria del velivolo determinando la piantata del motore, e quindi la rapida perdita di potenza, che a quella bassissima quota è inevitabile che porti allo schianto. Il velivolo opposto a “Pony 4”, molto probabilmente, effettua quella virata per evitare uno stormo di volatili, ma è anche possibile che si sia accorto delle difficoltà del maggiore del Do' e abbia deciso di rompere la formazione per questioni di sicurezza.
Ipotesi che potrebbe essere confermata anche dal fatto che il pilota avrebbe comunicato al suo capo squadra "un problema al motore" durante le primissime fasi del volo, come si è appreso da fonti qualificate presenti sul posto.
I rischi del "bird strike"
Quella del “bird strike”, a nostro giudizio, ci sembra la spiegazione più plausibile stante quanto possibile vedere nel filmato, ma non è nemmeno da escludere una qualche grave avaria di altro tipo al propulsore dell'Mb-339, anche se i velivoli della PAN vengono sottoposti a periodiche e profonde manutenzioni per via della loro intensa attività di volo quindi per questo molto meno probabile.
Il “bird strike” è uno dei più grandi pericoli in campo aeronautico ed uno dei maggiori durante le delicate fasi di decollo e atterraggio: i velivoli civili a volte incappano in stormi di volatili o, per estrema sfortuna, in singoli esemplari che vengono risucchiati nei motori, ma avendo a disposizione più di un propulsore riescono ad assorbire l'impatto e ad atterrare all'aeroporto di partenza.
L'anno difficile delle Frecce
È un anno sfortunato per le Frecce Tricolori: in aprile è morto il capitano dell'Aeronautica Militare Alessio Ghersi assegnato alla Pattuglia Acrobatica Nazionale dal 2018 con il velivolo “Pony 5”, cioè il secondo gregario alla destra del capo formazione. Ghersi, 34enne di Domodossola, era ai comandi di un Pioneer 300 della Alpi Aviation di Pordenone in un volo effettuato insieme a un parente, morto anche lui nello schianto sul Monte Musi, nell'Alta valle del Torre, nel comune di Lusevera (Udine). Già pilota di Eurofighter “Typhoon”, Ghersi aveva svolto attività di difesa aerea sia in ambito nazionale sia in missioni Nato.
"Un grosso rumore...". Il racconto straziante del padre della bimba. Meloni: "Sconvolta". Una famiglia di quattro persone distrutta per sempre: la piccola di casa è morta a soli 5 anni sull'auto in cui viaggiava con genitori e fratello a seguito dello schianto della Freccia tricolore. Francesca Galici il 16 Settembre 2023 su Il Giornale.
Un pomeriggio che doveva essere come tanti altri in un weekend di metà settembre si è trasformato in una tragedia per una famiglia torinese. La loro vettura è stata probabilmente colpita da un rottame incendiato della Freccia che, precipitando, si è incendiata all'aeroporto di Torino Caselle. Una bimba di 5 anni è morta, il fratello, invece, è ricoverato in gravi condizioni. Non hanno riportato ferite così importanti i due genitori. "Ho sentito un grosso rumore", così il padre dei due bambini ha raccontato gli attimi prima dello schianto.
"Ho un problema al motore", il "bird strike", le fiamme: le ipotesi sullo schianto di Torino
La famiglia
L'uomo, di 48 anni, è stato portato all'ospedale Cto di Torino. Ha riportato ustioni sul 4% della superficie corporea concentrate sul palmo della mano sinistra. La prognosi per lui è di 20 giorni. Il direttore generale della Città della Salute di Torino, Giovanni La Valle, si è recato al Cto in visita ai due genitori: "Il papà è molto provato, è sotto shock, continua a pensare alla bambina". Il fratello, che ha 12 anni, è ricoverato in prognosi riservata all'ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Ha riportato ustioni di secondo grado sul 15 per cento circa della superficie corporea. È arrivato all'ospedale cosciente, anche se ora è ricoverato in rianimazione, sotto osservazione, ma la tac non ha evidenziato lesioni importanti. La madre, invece, ha ustioni sul 12/13% del corpo, principalmente localizzate sul braccio destro. I genitori sono già seguiti da un pool di specialisti per affrontare un dolore così grande.
Il testimone
"Ho sentito un boato e la casa ha tremato", così ha raccontato al Corriere della sera Mauro Lo Duca, il primo a raggiungere il luogo dell'incidente. Vive a pochi metri da dove tutto è accaduto, non ha visto l'aereo cadere ma si è accorto del boato che ha fatto quando è precipitato. "Ho visto i genitori disperati perché non erano riusciti a estrarre la bambina dall'auto in fiamme", ha proseguito l'uomo, spiegando di essere arrivato prima dei soccorsi nel campo in cui c'era l'auto che prendeva fuoco.
Cosa è successo all'aereo
La dinamica dovrà ancora essere accertata. Quel che per ora si sa è che Pony 4, l'aereo pilotato dal maggiore Oscar Del Dò, avrebbe comunicato al caposquadra di avere un problema al motore e di doversi sganciare. Non è chiaro cosa possa essere accaduto, anche se l'ipotesi più probabile parla di bird strike, ossia l'impatto con un volatile in quota. Come si vede nei video, la Freccia procede inizialmente in linea retta, poi all'improvviso diventa ingovernabile e perde quota. È una questione di frazioni di secondo e subito prima che il muso punti verso il suolo il maggiore si lancia nel vuoto. Mentre il paracadute si apre, Pony 4 picchia per terra, esplode e continua a strisciare ad alta velocità. Gabriella Viglione, procuratore di Ivrea ha dichiarato: "Sono in corso accertamenti lunghi e complessi, insieme ai primi rilievi. Dobbiamo raccogliere i pezzi dell'aereo e dell'auto. Sulle cause non possiamo dire nulla, tutto va accertato. Gli uccelli che colpiscono l'aereo? Ci probabilità, ma non è momento di fare diagnosi". Quindi, conclude: "Sarà una lunga indagine, l'auto transitava su questa provinciale al momento dell'impatto, è un dato di fatto".
Il cordoglio
Da tutte le parti politiche sono arrivate manifestazioni di cordoglio per la morte della bambina. Il premier Giorgia Meloni ha commentato: "Sono sconvolta da quanto è accaduto oggi nell'aeroclub di Caselle a Torino durante un'esercitazione delle Frecce Tricolori. La morte della piccola Laura Origliasso in seguito al terribile schianto di uno dei velivoli della Pattuglia Acrobatica Nazionale mi addolora profondamente e mi lascia senza parole". Poi, ha proseguito: "A nome mio e di tutto il governo esprimo vicinanza e cordoglio alla famiglia della bimba deceduta e rivolgo i miei auguri di pronta guarigione ai suoi genitori, e al suo fratellino rimasti feriti in questa tragedia".
"Una tragedia spaventosa. Una preghiera e un abbraccio di commossa vicinanza", ha commentato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. "Prego per la piccola di soli 5 anni che ha perso la vita a causa di un tragico incidente. Prego per la sua famiglia e per il pilota dell'Aeronautica che si è miracolosamente salvato", ha commentato Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri.
Prima dello schianto un altro incidente: aereo esce fuori pista e si ribalta. Non sono chiari i motivi per i quali un aereo coinvolto nelle celebrazioni del centenario dell'Aeronautica si sia ribaltato in fase di atterraggio a Torino. Francesca Galici il 16 Settembre 2023 su Il Giornale.
Giornata tragica per l'aviazione, che a Torino è stata protagonista di due incidenti, uno drammatico e uno, fortunatamente, senza gravi conseguenze. Quanto accaduto alla Freccia tricolore ha colpito tutti, soprattutto per la morte di una bambina di 5 anni che si trovava in auto con la sua famiglia quando, pare, un rottame infiammato del velivolo che si era schiantato al suolo ha investito la vettura. Il fratellino risulta essere gravemente ferito a causa delle ustioni, meno gravi ma pur sempre feriti i genitori. Un incidente terribile e fatale, in tutti i sensi di questa parola, che ha lasciato attonito il Paese. Ma un altro episodio si è verificato nello stesso ambito.
Prima della tragedia, infatti, Un velivolo in fase di atterraggio è uscito di pista e si è ribaltato. Secondo le prime notizie i piloti sono rimasti illesi e non ci sono state conseguenze nemmeno tra gli spettatori. Il ciclo di esibizioni è stato interrotto per qualche tempo. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco. Non sono note le cause per le quali il velivolo è uscito fuori pista, ma probabilmente in questo caso potrebbe esserci stato un guasto meccanico o un errore umano. Diverso, invece, quanto accaduto qualche ora dopo con l'aereo della pattuglia acrobatica che, invece, pare abbia colpito uno stormo di uccelli prima di precipitare. Il pilota è riuscito a eiettarsi fuori dall'abitacolo.
L'Aeronautica Militare, in una nota, comunica che "non è possibile al momento confermare le cause dell'incidente". Ancora, nella nota si legge: "per motivi ancora da accertare il velivolo Pony 4 pilotato dal Maggiore Oscar Del Dò ha perso quota ed è precipitato al suolo. Il pilota, immediatamente prima dell'impatto, è riuscito ad eseguire la manovra di eiezione. Una delle ipotesi al vaglio, vista la dinamica dell'evento, è quella di un impatto del velivolo con un volatile". Impatto che potrebbe essersi verificato durante le prime fasi decollo.
Ovviamente, in seguito al tragico incidente avvenuto all'aeroporto di Torino Caselle, la manifestazione aerea per il centenario dell'Aeronautica militare è annullata. Così comunica l'Aeroclub di Torino, che annuncia anche l'annullamento del concerto dei Pink Sound previsto questa sera.
Il precedente di Ramstein nell'88: la tragedia delle Frecce Tricolori e i 70 morti. Nel 1988, la collisione e lo schianto al suolo di tre aerei delle Frecce Tricolori durante una manifestazione provocò 70 morti e 450 feriti. Filippo Jacopo Carpani il 16 Settembre 2023 su Il Giornale.
La tragedia di Torino del 16 settembre, in cui un aereo delle Frecce Tricolore è precipitato uccidendo una bambina di cinque anni, riporta alla memoria un incidente avvenuto 35 anni fa nei cieli della base Nato di Ramstein, nell’allora Germania Ovest, che provocò 70 morti. Il 28 agosto 1988 circa 300mila persone si erano riunite per assistere alla manifestazione aerea Airshow Flugtang. Durante l’esibizione delle Frecce Tricolori, nel momento in cui la pattuglia acrobatica italiana si apprestava a completare la figura del “cardioide”, tre aerei sono entrati in collisione. I velivoli Aermacchi MB-339PAN erano pilotati dal tenente colonnello Ivo Nutarelli (Pony 10, solista), dal capitano Giorgio Alessio (Pony 2, primo gregario sinistro) e dal tenente colonnello Mario Naldini (Pony 1, capo formazione).
La figura avrebbe dovuto mostrare in cielo un grande cuore trafitto, proprio di fronte agli spettatori. Se tutto fosse andato secondo i piani, cinque aerei da sinistra e quattro da destra avrebbero dovuto chiudere il “cuore” appena in tempo per il passaggio del solista, che avrebbe incrociato i due gruppi provenendo frontalmente rispetto al pubblico. Al momento decisivo, l’altezza dei velivoli rispetto al suolo avrebbe dovuto essere di 40 metri.
Ivo Nutarelli eseguì la manovra dapprima con un lieve ritardo e, dopo diverse correzioni, accumulò un anticipo eccessivo, il che lo portò a scontrarsi con gli aerei di Naldini e Alessio. Pony 1 si schiantò in una corsia laterale alla pista, coinvolgendo l’elicottero medico Black Hawk e il suo pilota, lo statunitense Kim Strader, che morì alcuni giorni dopo per le gravissime ustioni riportate. Pony 2 impattò ed esplose sempre sulla pista, senza provocare danni. Pony 10, invece, cadde al suolo avvolto dalle fiamme, investendo gli spettatori e scivolando sul terreno fino all’urto con una camionetta dei gelati. L'intera tragedia si compì in soli sette secondi, un lasso estremamente breve a causa della bassa quota delle manovre, tale da rendere di fatto impossibile qualsiasi tentativo di fuga della folla dalle traiettorie dei rottami, delle schegge o del fuoco. Oltre alle vittime, i feriti furono 450. Nessuno dei tre piloti italiani coinvolti nell’incidente riuscì a salvarsi. Gli altri aerei della pattuglia acrobatica volarono in formazione nei pressi della base fino a che non fu loro ordinato di atterrare a Sembach.
A seguito di questo avvenimento, furono vietate per tre anni le esibizioni aeree in territorio tedesco e vennero riviste le misure di sicurezza: furono aumentate la distanza minima dagli spettatori e l’altezza alla quale era consentito eseguire le manovre. In più, vennero evitate le figure sopra la folla. Da quel giorno, la base di Ramstein non ha più ospitato eventi del genere.
Simone Pagliani, ex pilota delle Frecce: «Non esistono piloti inesperti. Un guasto in decollo non lo puoi gestire». Storia di Elvira Serra su Il Corriere della Sera sabato 16 settembre 2023.
Simone Pagliani, 50 anni, pilota delle Frecce Tricolori dal 2002 al 2009 nelle posizioni di Pony 8, il terzo gregario destro, Pony 3, primo gregario destro, e poi Pony 6, leader della seconda sezione. Oggi è un pilota civile.
Cos’ha pensato quando ha sentito la notizia? «Il primo pensiero è stato per la famiglia della vittima: ho un bambino di 6 anni. Poi ovviamente mi sono sentito vicino al pilota perché so quanto sono delicate queste fasi del volo e so che i piloti mettono al primo posto la sicurezza su qualunque tipo di manovra ed esibizione».
Conosce Oscar Del Dò, al comando del jet che si è schiantato? «Sì, ci conosciamo tutti. E non esistono piloti di pattuglia inesperti: ce ne sono di più giovani e di più anziani, ma sono tutti già formati, si arriva intorno ai 30 anni di età, con almeno mille ore di volo sulle spalle, al massimo della professionalità e prestanza fisica, perché è anche un lavoro fisicamente provante. E prima di fare la prima esibizione si fanno 10 mesi di addestramento continuo al ritmo di minimo due voli al giorno. Ripeto: non esiste in pattuglia un pilota inesperto».
Si è fatto un’idea delle cause? «Purtroppo quando c’è un imprevisto in decollo, che sia uno stormo di uccelli o un problema al motore, cambia poco: una perdita di potenza in decollo, qualunque sia l’origine, ti lascia pochissimo tempo, la velocità è bassa, la quota è poca. Il pilota avrà fatto tutto quello che si poteva fare, ma con un monomotore non ti resta altro che eiettarsi».
Le sembra poco sicuro decollare da un aeroporto civile? «No, la pattuglia opera dappertutto, non parte necessariamente da aeroporti militari, quindi non è una cosa così anomala. Io stesso anni fa ho volato con le Frecce per e da Torino Caselle».
Hanno senso secondo lei manifestazioni con le Frecce? Non sono pericolose? «Le Frecce sono amate perché rappresentano l’eccellenza italiana di quello che il nostro “Sistema Paese” riesce a fare. Durante il Covid fu deciso di far sorvolare dalle Frecce tutte le regioni italiane per far sentire il Paese unito. L’affetto che le accoglie è la prova che il loro lavoro viene riconosciuto. Io posso dire che ovunque nel mondo siamo stati accolti con ammirazione e stima».
Torna in mente la tragedia di Ramstein dell’88. «Mi dispiacerebbe che si facesse questo accostamento, perché da quell’incidente cambiò tutto. Si è cercato di fare di tutto per rendere le manifestazioni più sicure possibili per il pubblico, sono cambiati i parametri, le distanze a cui la pattuglia vola dal pubblico, cambiati gli angoli con i quali vengono sorvolati determinati settori. Ovviamente un’attività acrobatica è normale che abbia un fattore di rischio, ma deve fare di tutto per abbassarlo il più possibile e lo fanno i piloti studiando l’emergenza».
Lei ha mai avuto paura in volo? Si è mai sentito in pericolo? «No. Ci sono stati voli complicati con turbolenza, orografia difficile, voli in cui magari la copertura delle nubi poteva essere un problema. Però ogni tipo di manovra viene calcolata: il pilota già prima di cominciare ha tutta una serie di soluzioni per far sì che la manovra sia anzitutto sicura e poi spettacolare, sempre in questo ordine».
Estratto dell'articolo di Simona Lorenzetti e Massimo Massenzio per torino.corriere.it martedì 19 settembre 2023.
Nelle ore precedenti il decollo delle Frecce Tricolori non sarebbero state registrate segnalazioni relative alla presenza di volatili nell’area circostante l’aeroporto di Caselle. È questo uno degli elementi al vaglio della Procura d’Ivrea, che sta cercando di ricostruire cause ed eventuali responsabilità dell’incidente aereo costato la vita a una bambina di 5 anni, Laura.
Il procuratore capo Gabrielle Viglione e l’aggiunto Valentina Bossi procedono per disastro e omicidio colposi e da poche ore hanno notificato l’avviso di garanzia a Oscar Del Dò, il pilota della Freccia che si è schiantata a San Francesco al Campo. «Un atto dovuto», spiegano i magistrati, che trova giustificazione nella necessità di eseguire alcuni accertamenti tecnici.
Oltre al capitano Del Dò (Pony4), verranno ascoltati tutti i piloti della pattuglia acrobatica. Prima di perdere quota, Del Dò avrebbe avvisato «di avere un problema al motore» e di dover uscire dalla formazione.
Sotto la lente degli investigatori ci sono ora le misure di sicurezza adottate dall’Aeronautica e quelle programmate da Sagat, la società che gestisce l’aeroporto di Caselle e ha messo a disposizione la pista per il decollo. Da qui la lunga serie di acquisizioni documentali nella sede di Rivolto (Friuli) delle Frecce Tricolori e negli uffici dello scalo torinese.
Gli esperti dovranno anche analizzare le comunicazioni audio intercorse tra i piloti e quelle tra il capo formazione e la torre di controllo. Altri indizi potrebbero arrivare dall’analisi delle «scatole nere», iniziato nel pomeriggio di martedì, coordinata dalla procura di Ivrea ma di pertinenza dell'amministrazione militare, che dispone dei software in grado di decrittare i contenuti. […]
La Freccia Pony 4 aveva dovuto sganciarsi dai compagni della squadra subito dopo il decollo dall'aeroporto di Torino-Caselle. L'ufficiale alla cloche, il maggiore Oscar Del Dò, aveva detto ai colleghi di avere un problema al motore. Ha fatto a tempo ad orientare l'apparecchio in modo da evitare che cadesse sul centro abitato e quindi si è lanciato con il paracadute, salvandosi.
Per ora l’ipotesi è che il motore possa essere andato in avaria a causa di un «bird strike», ma la conferma arriverà solo dall’analisi dei rottami sui quali dovrebbero esserci tracce degli uccelli.
[…]
Sull’altro fronte delle indagini i carabinieri del nucleo investigativo di Torino e della compagnia di Venaria stanno cercando di ricostruire l’esatta dinamica dell’impatto fra l’Aermacchi-339 e la Ford Fiesta sulla quale viaggiava la piccola Laura Origliasso con la famiglia.
Il racconto di papà Paolo, che domenica ha lasciato l’ospedale Cto, aiuta a chiarire la dinamica della tragedia: «Ho sentito un forte sibilo e subito dopo ho visto l’esplosione nell’aeroporto». Paolo Origliasso, istruttore di guida di 49 anni, ha ricostruito nei dettagli i drammatici attimi prima dell’impatto dell’aereo con l’automobile.
Uno schianto terribile che ha portato alla morte di Laura, rimasta intrappolata all’interno dell’abitacolo in fiamme. La mamma Veronica e il fratello 12enne sono rimasti ustionati e sono ancora ricoverati in ospedale, ma per fortuna le loro condizioni sono in fase di miglioramento. […]
Frecce Tricolori, c'è un dossier esclusivo. Crosetto: "Pd e M5s lucano sulla tragedia". Hoara Borselli Libero Quotidiano il 23 settembre 2023
Non si placano le polemiche seguite al tragico incidente avvenuto nel pomeriggio di sabato, quando un aereo delle Frecce Tricolori, un MB-339, si è andato a schiantare a terra poco dopo il decollo dall’aeroporto di Caselle. Una fatalità che è costata la vita ad una bambina di 5 anni, Laura Origliasso, morta per le fiamme che hanno incendiato la Ford Fiesta dove si trovava, legata al seggiolino. C’è chi non ha perso occasione per fare sciacallaggio e strumentalizzare questo incidente per chiedere l’abolizione immediata di quello che da più di sessant’anni rappresenta con orgoglio la nostra italianità nel mondo: la Pattuglia Acrobatica Nazionale, le nostre Frecce Tricolori.
«Sono pericolose, sono inutili, ci costano troppo», dice chi probabilmente non avverte alcuna appartenenza alla Patria. E chisseneimporta se le nostre Frecce sono considerate le migliori al mondo: l’importante è riuscire ad oscurare quanto più possibile la nostra bandiera. Chi tuona contro, evidentemente, considera il tricolore la bandiera di una parte, non la bandiera italiana. Fortunatamente la maggior parte degli italiani non accetta questo snobismo.
LA CAMPAGNA
Abbiamo raggiunto telefonicamente il ministro della Difesa Guido Crosetto e gli abbiamo posto tutte le questioni sollevate dagli antimilitaristi. «Le Frecce Tricolori - ci ha detto in 60 anni di storia hanno incarnato il prestigio, le tradizioni e l’orgoglio del nostro Paese. Sono famose in tutto il mondo. Rappresentano la punta di diamante dell’Aeronautica Militare. Se Pd e Cinque Stelle non lo capiscono e vogliono limitarsi a fare retorica antimilitarista possono farlo. Mi lasci dire però che farlo oggi, farlo in questi giorni, significa cercare di lucrare sul dramma».
Abbiamo chiesto al ministro di rispondere alle accuse rivolte alle Frecce, considerate un oneroso ed inutile sperpero di denaro e ci ha risposto che «i costi organizzativi e quelli logistici delle manifestazioni della Pan (Pattuglia Acrobatica Nazionale) sono sostenuti, molto spesso, con l’ausilio di sponsor privati o di enti locali civili che richiedono la partecipazione delle Pan alle loro iniziative attraverso l’Aeroclub d’Italia».
Sull’inutilità delle Frecce, c’è una cosa che ai più sfugge, ovvero che per i piloti volare con nella Pan costituisce una parte importante del loro addestramento. E l’addestramento è un «valore i cui benefici vanno all’intera Aeronautica e che permette il loro impiego in ogni occasione». Abbiamo chiesto al ministro di rispondere a chi ritiene queste manifestazioni troppo pericolose, e ha ribadito che «dobbiamo separare il drammatico evento che è accaduto e che ho seguito in prima persona, momento per momento, ora dopo ora, da quello che rappresentano le Frecce Tricolori in Italia e nel mondo. Non possono fermarsi per questo evento tragico ma di cui nessuno ha responsabilità. Non tutto ciò che accade è governabile dall’uomo. Bisogna andare avanti rispettando tutte le precauzioni e le attenzioni che la guida di aerei così veloci e complessi comporta e, sopra i quali, piloti eccezionali si addestrano quotidianamente». Piloti eccezionali come Oscar Del Dò: lo stesso ministro conferma che ha fatto tutto il possibile per impedire una strage lanciandosi solo all’ultimo. E questo non lo dice solo il ministro ma fior fior di esperti e tecnici di aviazione.
«Oggi», aggiunge Crosetto, «è un aviatore e un uomo ferito non per quello che è accaduto a lui ma nel profondo del suo cuore per ciò che l’incidente ha generato in un concatenarsi surreale di eventi imprevedibili». Abbiamo chiesto come lui, da ministro, da uomo e da padre abbia vissuto la tragedia di Torino. «La morte della piccola Laura non ha lasciato nessuno indifferente. Me per primo, che l’ho vissuta prima da padre che da ministro. La mia telefonata con il papà Paolo e la mamma Veronica è stato un momento doloroso e drammatico, una delle cose più dolorose della mia vita. Non c’è nulla di peggio della morte di un figlio. Un dramma e un dolore che niente e nessuno può lenire. Ho ovviamente offerto alla famiglia Origliasso tutto il supporto della Difesa e mio personale. Non vogliamo abbandonarli. Come avviene per il personale ferito, mutilato, disabile delle nostre Forze Armate, la Difesa non lascia indietro nessuno. Faremo lo stesso con loro».
IL DOSSIER
Infine abbiamo chiesto al ministro se avverte un senso di anti-patriottismo nel Paese e ci ha detto che non gli pare sia così. «Le nostre Forze Armate sono rispettate, amate, al servizio dei cittadini, delle libere istituzioni, della democrazia. Noi serviamo ogni giorno il Paese in modo discreto, spesso silenzioso, rispettoso e vigile . Il nostro motto è “proteggi e difendi”. Questo fa ogni soldato, aviatore, marinaio e carabiniere. I cittadini lo sanno e ce lo riconoscono sempre». Ma c’è qualcosa di più da raccontare sull’incidente di Caselle. Libero è venuto in possesso di un documento esclusivo, ovvero il report relativo allo schianto dell’MB-339 pilotato da Oscar Del Dò. Questo documento innanzitutto conferma che il pilota si è lanciato con il paracadute pochi secondi prima dell’impatto con il suolo, per evitare che l’aereo cadesse in un’area abitata e scongiurando così una strage. È stato coraggioso. Ha rischiato la sua vita. Come si può leggere dal documento, il pilota dopo la separazione del suo aereo dalla formazione delle Frecce, ha applicato tutte le procedure di emergenza previste, cercando di recuperare il controllo dell’MB-339 e indirizzarlo nella zona di sicurezza. Ricostruiamo passo per passo cosa è accaduto quel drammatico giorno. Il programma per la pattuglia acrobatica, per tutto il 2023, prevedeva venisse effettuata una manifestazione in ogni regione in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Aeronautica Militare.
Per la regione Piemonte erano state programmate due esibizioni, il 16 e 17 settembre. Tutte le procedure di controllo pre-volo non avevano riscontrato alcuna anomalia. Cosa è accaduto in volo? Durante la fase di decollo, precisamente alle 16.50, il pilota Del Dò, al comando del velivolo Pony 4, ha notato due ombre in avvicinamento, percependo immediatamente un violento calo di spinta del motore. Gli strumenti confermavano un’avaria catastrofica. A quel punto il pilota ha cercato di governare il veivolo indirizzandolo in una zona di sicurezza per poi abbandonarlo come previsto dalle procedure. Come confermato dal report, l’MB-339 dopo l’esplosione a seguito dell’impatto non è riuscito a fermare la sua corsa prima della recinzione dell’aeroporto che costituiva l’ultima barriera prima della strada. È a questo punto che il velivolo, o parti di questo, nell’attraversare la strada ha colpito l’auto sulla quale viaggiavano Laura, il fratello e i genitori. Il resto purtroppo è triste cronaca. Sappiamo solo, come confermato dal documento, che la commissione tecnica dell’Aeronautica Militare è al lavoro, al fianco della magistratura, per fare piena luce sull’accaduto e che i primi elementi raccolti sembrano confermare l’ipotesi che la causa di quella avaria catastrofica potrebbe essere stata determinata dall’impatto con uno o più volatili.
Alessio Ghersi, morto il capitano delle Frecce Tricolori dopo lo schianto di un ultraleggero. Redazione Online il 30 Aprile 2023 su Il Correre della Sera.
L’Aeronautica annulla l’evento in programma a Rivolto il 1 maggio in segno di lutto e parla di «tragico incidente». L’ufficiale ha perso la vita insieme a un parente.
Una delle due vittime morte carbonizzate nell’incidente con un velivolo ultraleggero precipitato nell’alta Val Torre in provincia di Udine, è un pilota delle Frecce Tricolori. Pony 8 il nome in codice del capitano Alessio Ghersi, di 34 anni. La persona che era con lui sarebbe un parente.
Il riconoscimento delle vittime è avvenuto in tarda serata. L’incidente è avvenuto intorno alle 18.30 di ieri, quando alcuni testimoni hanno visto il velivolo precipitare avvolto da una nuvola di fumo sprigionatasi dopo una fiammata o una esplosione.
Il velivolo, un Pioneer 300 marche I-8548, era decollato poco prima da Campoformido. Nella zona i soccorritori hanno allestito un campo base. L’area dove il velivolo si è schiantato è impervia e completamente coperta dalla vegetazione, raggiungibile soltanto a piedi.
L’Aeronautica militare ha annullato il tradizionale evento del Primo maggio a Rivolto (Udine). Si parla di un «tragico incidente» ricordando che Ghersi era pilota in servizio presso il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico «Frecce Tricolori», e si è «unita al dolore dei familiari». In particolare, il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, generale di squadra aerea Luca Goretti, «a nome di tutta la Forza armata si stringe alla moglie e ai loro due bimbi in questo momento di profondo dolore».
Estratto da leggo.it il 30 aprile 2023.
Nel tragico incidente di ieri a Lusevera, in provincia di Udine, in cui un ultraleggero è precipitato al suolo, uno dei due occupanti che hanno perso la vita era il capitano Alessio Ghersi, pilota in servizio presso il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico «Frecce Tricolori». […]
Il Capitano Ghersi, 34 anni , originario di Domodossola, ricopriva attualmente la posizione di 2° Gregario destro, Pony 5, all'interno della formazione delle Frecce Tricolori. Era entrato in Aeronautica Militare nel 2007 con il Corso Ibis V dell'Accademia Aeronautica.
Dopo le scuole di volo era stato assegnato al 4° Stormo di Grosseto, dove aveva conseguito la qualifica di pilota combat ready sul velivolo Eurofighter, svolgendo attività di difesa aerea sia in ambito nazionale sia in missioni Nato. Selezionato successivamente per le Frecce Tricolori, avrebbe a breve preso parte alla sua quinta stagione acrobatica con la Pattuglia Acrobatica Nazionale.
Il mistero dell'incidente aereo di Luserva. Sergio Barlocchetti su Panorama il 30 Aprile 2023
Sarà un'inchiesta a stabilire le dimaniche dello schianto dell'apparecchio pilotato dal capitano Alessio Ghersi, ex della Pattuglia Acrobatica Nazionale
Sarà un'inchiesta tecnica dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV) a indagare su quanto è accaduto ieri pomeriggio verso le 18.30 al velivolo di categoria ultraleggero Pioneer 300 (marche I-8548), decollato dalla pista di Udine Campoformido per un volo turistico e precipitato nell'alta Val Torre, nella zona di Lusevera (Udine), con a bordo il capitano dell'Aeronautica Militare Alessio Ghersi e un'altra persona della quale non è ancora stata resa nota l'identità, entrambi deceduti. L'incidente è avvenuto in una zona impervia e poco accessibile, rendendo complicate le operazioni di recupero dei corpi. Su allarme di testimoni che hanno visto l'aeroplano cadere, da Venezia era decollato un elicottero dei Vigili del Fuoco che tuttavia ha potuto soltanto individuare il relitto. L'ufficiale, 34 anni, marito e padre di due figli, era alla sua quinta stagione di servizio presso il 313° Gruppo di addestramento acrobatico “Frecce Tricolori”, nella cui formazione ricopriva il ruolo di secondo gregario destro “Pony 5”, anche se nel volo di ieri pomeriggio stava pilotando per diletto un monomotore leggero. Nelle vicinanze del luogo dove sono stati ritrovati i resti dell'aeroplano e degli occupanti i soccorritori hanno dovuto allestire un campo base, poiché l'area è impervia e coperta dalla vegetazione, nonché raggiungibile soltanto a piedi. L'aeroplano Pioneer 300, di costruzione italiana, è realizzato in legno e materiali compositi, ed è apprezzato dagli appassionati per le sue qualità di volo. Stante la grande preparazione di Ghersi, che domani, primo maggio, avrebbe dovuto partecipare alla prima esibizione ufficiale 2023 delle Frecce Tricolori sulla loro base di Rivolto (Udine), è difficile avanzare qualsiasi ipotesi sull'accaduto.
L'esibizione “di casa” della Pattuglia Acrobatica Nazionale è comunque stata annullata. L'Aeronautica Militare e tutta la comunità italiana dei piloti e degli appassionati si è unita al dolore dei familiari. In particolare, il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, generale di squadra aerea Luca Goretti, ha dichiarato che “a nome di tutta la Forza armata si stringe alla moglie e ai loro due bimbi in questo momento di profondo dolore”. Alessio Ghersi, originario di Domodossola, era entrato in Aeronautica Militare nel 2007 e formato nel Corso Ibis V dell'Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Divenuto pilota militare, era stato assegnato al 4° Stormo caccia di Grosseto, dove aveva operato con il velivolo Eurofighter svolgendo missioni di difesa sia in ambito nazionale, sia all'estero in operazioni Nato. Umile nei modi, preparatissimo tecnicamente, era tra coloro che più di altri portava con sé la consapevolezza di ciò che rappresentava per il suo Paese. E' purtroppo il terzo incidente che funesta l'Aeronautica Militare proprio nell'anno del centenario della sua fondazione: all'inizio di gennaio un velivolo Eurofighter era precipitato nei pressi dell'aeroporto di Trapani Birgi rientrando da una missione, mentre il 7 marzo due velivoli U208 si erano scontrati nel cielo di Guidonia durante un volo d'addestramento.
Sposato, due figli, da 5 anni nelle Frecce Tricolori. Chi era il capitano Alessio Ghersi. Riccardo Bruno su Il Corriere della Sera il 30 Aprile 2023
Originario di Domodossola, 34 anni, dal 2007 in Aeronautica Militare. Nella Pattuglia Acrobatica era «Pony 5», il secondo gregario destro. Aveva partecipato a missioni Nato
Nel profilo Facebook del capitano Alessio Ghersi ci sono le immagini in famiglia, con la moglie e i suoi due bambini, e le sue passioni, le Harley Davidson, la chitarra, le escursioni con il cane. Momenti di felicità che si sono spezzati sabato pomeriggio quando l’ultraleggerosu cui volava è precipitato sulla catena dei Musi, area Valli del Torre, nel comune di Lusevera, in Friuli, uccidendo lui e un altro passeggero, Sante Ciaccia .
Il capitano Ghersi, 34 anni, originario di Domodossola, erano uno dei dieci piloti delle Frecce Tricolori. Era «Pony 5», ovvero occupava la posizione di secondo gregario destro nella Pattuglia acrobatica. Un passione per il volo iniziata sin da bambino, «quando sentivo il rumore dei piccoli velivoli decollati dalla vicino avio superficie di Masera, mi affacciavo alla finestra per osservarli» come raccontò nel 2019 al bisettimanale Eco Risveglio. Il diploma allo Scientifico e poi la scelta di entrare in Aeronautica, curiosamente grazie anche a un rivenditore di aspirapolveri. «L’episodio che ha innescato il mio desiderio di tentare il concorso in Accademia — aggiunse nell’intervista — fu quando venne a casa un rappresentante di una nota marca di aspirapolveri. Saputo che mi piacevano gli aerei mi regalò la foto di un Tornado dell’Aeronautica Militare. Ancora oggi, a distanza di anni, quella foto è appesa in quella che fu la mia cameretta a casa dei miei genitori».
Entra così in Aeronautica Militare nel 2007 frequentando il Corso Ibis V dell’Accademia. Dopo le scuole di volo era stato assegnato al 4° Stormo di Grosseto, dove aveva conseguito la qualifica di pilota combat ready sul velivolo Eurofighter, «svolgendo attività di difesa aerea sia in ambito nazionale sia in missioni Nato» come ha chiarito in una nota l’Aeronautica. Poi era stato selezionato per le Frecce Tricolori, e quest’anno avrebbe preso parte alla sua quinta stagione con la Pattuglia Acrobatica Nazionale.
Con orgoglio raccontava il suo impegno con la Pattuglia acrobatica: «Il nostro compito è quello di essere da esempio di tutto il saper fare degli uomini e delle donne dell’Aeronautica Militare e in generale di tutte le forze armate. E quando ci esibiamo all’estero mostrare il Made in Italy, il bello che il nostro Paese sa ancora esprimere». Spiegava che, al di là delle difficoltà tecniche e delle manovre (lui per esempio preferiva la «Scintilla Tricolore»), «il bello delle Frecce Tricolori è lo stretto legame con la gente: è davvero impareggiabile il calore e la vicinanza che il pubblico ci dimostra in ogni occasione».
Poche settimane fa aveva incontrato gli studenti del quinto anno di un liceo della sua città Domodossola. Ghersi li aveva spronati «a seguire i propri sogni con concretezza, sapendo cogliere vittorie e sconfitte».
Numerosi i messaggi di cordoglio. Tra questi quella della premier Giorgia Meloni: «Con dolore apprendo della prematura scomparsa del pilota delle Frecce Tricolori, il Capitano Alessio Ghersi che ha perso la vita insieme a un parente precipitando con un ultraleggero in Friuli — — ha scritto su Twitter —. A nome mio e del Governo sentita vicinanza alle famiglie e un abbraccio all’Aeronautica Militare»
La Collisione di Zagabria.
Collisione di Zagabria: così due aerei si scontrarono negli affollati cieli della Jugoslavia. Il 10 settembre 1976 due voli di linea che stavano sorvolando lo spazio aereo sopra Zagabria si scontrarono, precipitando con 176 passeggeri. Mariangela Garofano l'1 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il traffico aereo sopra Zagabria e la situazione dei controllori di volo
La collisione
Le responsabilità della tragedia
Il 10 settembre 1976, il volo British Airways 476 partito da Londra e il volo Inex-Adria Aviopromet 550, si scontrarono nello spazio aereo sopra Zagabria, provocando il decesso di 176 persone e passando alla storia come la Collisione di Zagabria.
Il traffico aereo sopra Zagabria e la situazione dei controllori di volo
All’epoca del disastro, il traffico aereo sopra la città di Zagabria era molto intenso. Questo perché, a partire dal dopoguerra, i voli tra Europa ed Estremo Oriente, per evitare di sorvolare sui paesi del blocco comunista, transitavano sulla Jugoslavia, rendendo il traffico aereo un vero e proprio incubo per i controllori di volo. Nel 1976 Zagabria era seconda in Europa come numero di voli, ma il Centro di controllo del Traffico Aereo (Atcc) era formato da soli 30 dipendenti, numero assolutamente inferiore a quello necessario per seguire un traffico aereo esagerato.
Sebbene il centro di controllo fosse stato dotato di un radar nuovo tre anni prima, quest’ultimo dava dei problemi e gli operatori, per avere l’esatta posizione dei velivoli di passaggio, usavano il cosiddetto sistema di controllo procedurale. Questo sistema, utilizzato nelle zone con un traffico aereo basso, prevede che la gestione del traffico si basi sui riporti di posizione via radio, effettuati dai piloti. La mattina del 10 settembre 1976, da Londra decollò un Trident 3B Be 476, della compagnia britannica British Airways, con a bordo 54 passeggeri e 6 membri dell’equipaggio, diretto a Istanbul.
Il velivolo, comandato dal capitano Dennis Tann, dal copilota Brian Helm e dall’ufficiale di supporto Martin Flint, dopo aver sorvolato Dover, Bruxelles e Monaco di Baviera, alle 9:45 del mattino imboccò l’aerovia Upper Blue 1 (Ub1) ed entrò nello spazio aereo austriaco. Nello stesso momento, un Dc-9 della Inex-Adria Aviopromet, una compagnia charter jugoslava, decollò da Spalato, diretto a Colonia. Il velivolo slavo era guidato da Jože Krumpak, in cabina di pilotaggio con lui c'era il primo ufficiale Dušan Ivanuš e a occuparsi dei 108 passeggeri vi erano 3 hostess. Sopra Zagabria, lo spazio aereo era diviso in tre strati, inferiore, medio e superiore: il Dc-9 doveva attraversare il settore intermedio di controllo, mentre il volo British Airways quello superiore.
Nel settore medio e quello superiore lavoravano un controllore e un assistente, ma la procedura prevedeva che dovessero essere presenti almeno 3 persone. Quel giorno quindi, il centro di controllo era sotto organico. La mattina dell'incidente, intorno alle 10, la situazione sopra Zagabria era particolarmente impegnativa e i controllori, il cui turno durava 12 ore, erano già a 4 ore di lavoro. Del livello intermedio si stava occupando Bojan Erjavec con l’assistente Gradimir Pelin, in quello superiore c’era Mladen Hochberger, con l’assistente Gradimir Tasić, in attesa di essere sostituiti da Nenad Tepeš, che era in ritardo.
La collisione
Alle 10.02, il volo per Colonia, per il troppo traffico su Zagabria, si trovò costretto a salire dal livello intermedio a quello superiore. Quando il comandante contattò il centro di controllo per ottenere il permesso di salire di quota, tra gli operatori vigeva il caos più totale. Erjavec prese la chiamata del volo della Inex-Adria Aviopromet, ma aveva bisogno del benestare di Tasić o di Tepeš, il ritardatario, per approvare la manovra del Dc-9. In quel momento, gli operatori stavano gestendo ben 11 aerei, entrati nei gremiti cieli di Zagabria, e Tasić guardò solo di sfuggita sullo schermo la traccia del Dc-9 e assentì, occupato al telefono con altri velivoli e pensando di aver dato l'autorizzazione a un altro volo.
Nel frattempo, il volo British Airways stava volando a livello 330, come ordinato dai controllori di volo poco prima, a una velocità reale di 890 chilometri all'ora, ma il vento lo stava spingendo a 905 chilometri all'ora. I due velivoli si avvicinavano sempre di più, il Dc-9 continuava a salire, ma gli operatori erano occupati a gestire troppe situazioni in contemporanea. Quando Tasić ebbe il primo contatto con il volo jugoslavo, i piloti gli riferirono solo: "Tre due cinque sta passando su Zagabria". A quel punto, il Dc-9 jugoslavo si trovava 150 metri sotto l'altro velivolo, che il radar, inaffidabile, mostrava a livello 335. Fu quello l'errore fatale commesso da Tasić: l'uomo si fidò del radar, ma la posizione mostrata non era esatta. L'operatore pensò, erroneamente, che se il Dc-9 fosse rimasto a livello 327, i due aerei sarebbero passati vicini ma senza conseguenze. Tre secondi più tardi, l'ala del Dc-9 della compagnia Inex-Adria colpì la cabina del Trident britannico, uccidendo l'equipaggio. I due velivoli precipitarono a tutta velocità a Vrbovec, vicino Zagabria, trascinando con loro i 176 passeggeri.
L'aereo che si capovolge e precipita: come si è salvato il China Airlines 006
Le responsabilità della tragedia
A sette mesi dall'incidente, per quello che accadde a Zagabria il 10 settembre 1976, vennero accusati di negligenza criminale cinque controllori, il supervisore e due capi servizio, i quali rischiarono 20 anni di carcere. In una ridda di accuse e controaccuse vicendevoli, alla fine venne riconosciuto come unico colpevole il giovane controllore Gradimir Tasić, che quello sfortunato giorno prese delle decisioni sbagliate, a causa della mancanza di personale all'interno del centro di controllo e della conseguente mole di lavoro da gestire. Il 27enne fu condannato a 7 anni di carcere, ma il suo avvocato riuscì a ottenere uno sconto di pena, portando il suo caso davanti alla corte suprema e al maresciallo Tito. Dopo 2 anni di prigione, nel 1978, Tasić uscì di prigione. Nel 1982 il caso venne riaperto, ma dopo ulteriori indagini fu chiuso, per l'impossibilità di stabilire se il modo in cui venne condotta la salita del volo Inex Adria Aviopromet fosse appropriato. Mariangela Garofano
Il dramma schianto a San Diego.
"C'è un altro aereo sotto di noi". Poi lo scontro choc tra Cessna e Boeing. Il 25 settembre 1978 nei pressi di San Diego il volo Pacific Southewst Airlines 182 e un Cessna 172 si scontrano in volo, precipitando sul quartiere di North Park. Le vittime furono 144. Mariangela Garofano il 10 Settembre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Lo scontro e lo schianto sulle abitazioni
Le indagini e le cause della collisione
Il 25 settembre 1978 un Boeing 727 della compagnia aerea Pacific Southwest Airlines e un Cessna 172 Skyhawk si scontrarono in volo, precipitando nel quartiere di North Park, a San Diego. Lo schianto causò 137 vittime tra le persone che volavano sui due velivoli, e 7 abitanti delle case colpite, tra cui 2 bambini. L’incidente è passato alla storia come la Collisione di San Diego ed è considerato il peggior incidente mai accaduto alla Pacific Southwest Airlines, e il più grave accaduto negli Stati Uniti, fino all’incidente con il motore del volo American Airlines 191, del 1979.
Lo scontro e lo schianto sulle abitazioni
Quel mattino del 25 settembre 1978 la visibilità nei cieli di Sacramento era molto buona, il cielo era terso e non erano presenti nuvole. Alle 7.20, dall’aeroporto Internazionale di Sacramento decollò il volo Pacific Southwest Airlines 182, un Boeing 727, pilotato dal comandante James McFeron, dal copilota Robert Fox e dall’ingegnere di bordo Martin Wahne. Tre hostess e uno steward erano addetti a prendersi cura dei passeggeri del volo, che prima di arrivare a San Diego, effettuava uno scalo intermedio a Los Angeles.
Alle 8 il Boeing atterrò a Los Angeles, mentre dal Montgomery Field, un piccolo aeroporto municipale, situato al confine con la contea di San Diego, decollava un Cessna 172, di proprietà della scuola di volo Gibbs Flite Center Inc. Ai comandi del Cessna, il marine David Lee Boswell, che, sotto la supervisione dell’istruttore di volo Martin Kazy, stava eseguendo un volo di formazione. Quel giorno, secondo il programma di addestramento, Boswell indossava una visiera che gli oscurava il parabrezza e gli lasciava vedere solo gli strumenti di bordo. Dopo aver effettuato diverse manovre e aver volato per circa 11 chilometri, il Cessna compì due simulazioni di avvicinamento e atterraggio verso l’aeroporto di Linbergh Field. Ma proprio mentre Boswell si allontanava dall’aeroporto, il volo 182 entrava nel medesimo spazio aereo del Cessna. La torre di controllo avvertì immediatamente Boswell di volare vero nordest e di restare sotto i 3.500 piedi di quota, ma dopo poco, inspiegabilmente, il pilota virò di 20 gradi, invadendo la rotta del volo Psa.
I piloti del volo 182, che aveva iniziato la discesa verso l’aeroporto di San Diego, si accorsero della presenza del Cessna, lo comunicarono alla torre di controllo, ma lo persero di vista, presumendo così, di averlo superato. A terra, i controllori non si accorsero di nulla, nemmeno quando suonò l’allarme che li avvisava del probabile rischio di collisione in corso. Quando il comandante McFeron e il copilota Fox si accorsero che il Cessna volava sotto di loro, era ormai troppo tardi.
Il Cessna colpì l’ala destra e la coda del Boeing, che prese fuoco e precipitò insieme al monomotore, anch’esso irrimediabilmente danneggiato, sulle case del sobborgo di North Park. Nell'incidente persero la vita tutti i passeggeri, l'equipaggio e 7 sette abitanti delle abitazioni colpite. Altre persone che in quel momento si trovavano per strada rimasero gravemente ferite e molte furono le abitazioni distrutte.
Le indagini riguardo alle cause che portarono i due velivoli a scontrarsi, furono affidate al National Transportation Safety Board (Ntsb), ovvero l’ente statunitense per la sicurezza aerea. Dopo aver analizzato i reperti a loro disposizione, ad aprile 1979 gli inquirenti stabilirono che le motivazioni che portarono a una tragedia di simile portata furono molteplici.
La causa principale fu riscontrata nella mancata comunicazione alla torre di controllo, da parte del pilota del volo 182, di aver perso di vista il Cessna. Un altro fattore che contribuì alla sciagura fu attribuito ai controllori di volo, i quali non si accorsero che il Cessna era sparito, creando confusione circa la posizione del velivolo e non avvisando il Boeing sulla sua direzione di volo. "Psa 182, traffico a ore dodici, tre miglia 1700 piedi", si legge nella trascrizione della scatola nera, da cui si evince che il controllore non informò il Boeing della posizione del Cessna, restando sul vago.
Sempre ai controllori venne attribuita la responsabilità di non aver ordinato al volo Pacific Southwest di restare sopra i 4.000 piedi, cosa che avrebbe impedito la collisione con l'altro velivolo. Infine gli inquirenti stabilirono che parte della colpa dell'accaduto fu di Boswell, il pilota del Cessna, il quale disobbedì agli ordini dei controllori e cambiò rotta all'improvviso, senza avvisare la torre di controllo. "Cessna Sette Sette Uno Uno Golf - si legge sempre nella trascrizione delle registrazioni - Contatto radar con San Diego partenze. Mantenete condizioni Vfr a 3.500 piedi o al di sotto, prua sette zero, vettore per la rotta di avvicinamento finale". Se Boswell avesse continuato sulla stessa rotta, si sarebbe evitata la sciagura, che costò la vita a 144 persone e la cambiò a chi assistette alla tragedia, compresi i soccorritori, molti dei quali rimasero sotto choc, per l'inferno che i loro occhi videro videro quel giorno. Mariangela Garofano
Il dramma del volo Arrow Air 1285.
Incidente o attentato? Quel mistero sui militari americani in viaggio di rientro. Storia di Massimo Balsamo su Il Giornale il 13 agosto 2023.
Un incidente legato a un errore umano o un attentato di matrice terroristica? La tragedia del volo Arrow Air 1285, risalente al 12 dicembre del 1985, resta ancora oggi controversa. Il volo charter operato da un Dc-8 con partenza dall'aeroporto Internazionale del Cairo, scalo all'aeroporto di Colonia-Bonn e all'aeroporto di Gander (Canada) e come destinazione finale Fort Campbell (Stati Uniti), si schiantò poco dopo il decollo dall'aeroporto canadese. Bilancio choc: morti 248 passeggeri - tutti militari americani reduci da una missione all'estero - e 8 membri dell'equipaggio.
Il dramma del volo Arrow Air 1285
È il 12 dicembre 1985 e il volo Arrow Air 1285 si appresta a chiudere un viaggio di 10 mila chilometri dall'Egitto agli Stati Uniti. Nel mezzo due soste, prima in Germania e poi in Canada. A bordo del DC-8 ci sono 248 soldati americani della 101esima divisione aviotrasportata, la divisione impiegata durante la Seconda guerra mondiale per lo sbarco e la battaglia di Normandia. I militari sono reduci da una missione all'estero e non vedono l'ora di rimettere piede a casa: ad attenderli una grande festa in loro onore.
Il volo Arrow Air 1285 atterra all'aeroporto di Gander alle ore 5.30. Il comandante è John Griffin, 45 anni, pilota da quattro anni e già istruttore di volo, mentre il primo ufficiale è il coetaneo Joseph Connelly. Nella cabina di pilotaggio c'è anche il 48enne ingegnere di volo Michael Fowler. I soldati scendono dall'aereo per sgranchirsi le gambe mentre è in corso il rifornimento, ma la voglia di tornare a casa è tanta. Dopo poco più di un'ora, i passeggeri tornano a bordo del Dc-8. L'ingegnere di volo conduce un'ispezione esterna, mentre comandante e primo ufficiale verificano carburante e peso, per poi impostare i parametri del caso. Nessuna anomalia registrata, si può andare. Alle 6.46 il volo Arrow Air 1285 parte, ma dopo pochi secondi emergono dei problemi.
I piloti si accorgono subito che la velocità non è regolare, l'aereo presenta delle difficoltà a guadagnare quota. La situazione precipita nel giro di pochi secondi: i piloti vanno nel panico e i soldati comprendono la gravità della situazione. Il Dc-8 sfiora l'autostrada Trans-Canada e perde progressivamente quota. A un chilometro dalla pista 22, l'aereo si schianta e prende fuoco. Migliaia di litri di carburante alimentano le fiamme e nonostante i soccorsi immediati il quadro è tremendo: non ci sono sopravvissuti, morte tutte e 256 le persone a bordo. Cadaveri stesi a terra, rottami carbonizzati, le fiamme: una scena di devastazione.
Le indagini
La polizia canadese isola il perimetro attorno alla scena del disastro, le indagini partono immediatamente e fin da subito vengono a galla diverse piste. Uno dei primi sospetti riguarda il carico trasportato dal volo Arrow Air 1285: gli agenti trovano uno strano oggetto tra i detriti, bocche cucite da parte delle autorità. L'aereo trasportava qualcosa che non avrebbe dovuto trasportare? La risposta è no, ma questa non sarà l'unica pista "complottista".
Le indagini vengono affidate a David McNair, investigatore della Canadian Aviation Safety Board (Casb), conscio delle pressioni politiche e dell'opinione pubblica. La notizia dell'incidente aereo fa il giro del mondo: si tratta del peggior incidente aereo della storia del Canada e del disastro aereo che ha coinvolto il numero più alto di soldati americani. Tutti chiedono risposte nel più breve tempo possibile, ma la parola fine non verrà mai scritta: le indagini porteranno a esiti controversi, nonchè alla chiusura della Casb.
Gli investigatori interrogano il personale dell'aeroporto di Gander ed emerge un dettaglio interessante. L'addetto al rifornimento riferisce che in fase di avvicinamento si era formato del ghiaccio. Le temperature erano basse, con piogge gelide: non aver eseguito lo sghiacciamento è stato l'errore fatale? Una prima risposta arriva dallo stesso aeroporto canadese: su un altro aereo partito quella mattina si era formato molto ghiaccio alla partenza e, senza aver fatto lo sghiacciamento, era partito senza problemi. In altri termini il ghiaccio non può essere l'unico fattore responsabile della tragedia.
Il team di McNair deve fare i conti con un ostacolo in più: le scatole nere sono vecchie e malfunzionanti. Il registratore di cabina non ha registrato alcuna conversazione, mentre il registratore di volo non ha annotato i dati sulla potenza del motore. Ma non è tutto: a poche ore dallo schianto del volo Arrow Air 1285, in un consolato americano qualcuno rivendica la responsabilità. Secondo l'anonimo, il disastro è opera della jihad islamica: l'aereo sarebbe stato abbattuto da una bomba. Per scrupolo, gli investigatori inviano i rottami del Dc-8 in laboratorio per verificare la presenza di residui di un ordigno: il responso è perentorio, non c'è alcuna traccia. A confermare la tesi, l'assenza di rottami tra la pista e il punto di impatto. La conclusione degli inquirenti è categorica: la rivendicazione terroristica è falsa.
Gli investigatori rivolgono la loro attenzione alle prestazioni dell'aereo. I dati a disposizione segnalano che la velocità è diminuita velocemente, arrivando a una capacità ben al di sotto del normale. E c'è di più: la distanza necessaria a raggiungere la velocità di decollo è più lunga di quella prevista dai piloti. Perché il ritardo? Questa la domanda che si pongono gli esperti al lavoro sul caso: avendo portato i motori al massimo, avrebbero dovuto decollare prima. Il ghiaccio ha avuto un ruolo nell'incidente, ma come già anticipato non può essere l'unico fattore del disastro. Gli approfondimenti tecnici escludono criticità ai flap e ai motori: il Dc-8 era configurato correttamente per il decollo.
McNair e i suoi collaboratori approfondisco il capitolo peso. I piloti avevano calcolato 77 chilogrammi per ogni passeggero con bagaglio, ma si tratta di un dato poco convincente. 77 chilogrammi possono andare bene per un volo commerciale, ma non per un volo charter con passeggeri uomini adulti e robusti. Infatti il peso totale dei passeggeri è superiore alle 24 tonnellate, ben 5 tonnellate in più del peso registrato sul piano di carico. Ma è anche vero che l'aereo aveva viaggiato con quel peso tutta la notte senza accusare problemi. Il mix di fattori ha causato la tragedia? Secondo gli inquirenti sì, ma la teoria non può essere dimostrata: è impossibile stabilire quanto ghiaccio ci fosse sulle ali dell'aereo.
Una tragedia controversa
Cinque membri del Casb su nove firmano il rapporto finale che indica il ghiaccio, il peso eccessivo e una velocità scorretta come cause dello schianto del volo Arrow Air 1285. Gli altri, guidati da Les Filotas, puntano sulla pista terroristica. Una tesi corroborata da alcune testimonianze: alcune persone avevano raccontato di un'enorme esplosione, per la precisione di un incendio sul lato destro del Dc-8. Ma non è tutto: altri testimoni, questa volta all'aeroporto del Cairo, avevano riferito di aver visto i bagagli dei militari lasciati incustoditi. Gli stessi bagagli sarebbero stati caricati sull'aereo da personale non statunitense.
Tra le prove presentate da Filotas, l'elevata concentrazione di monossido di carbonio nel sangue delle vittime (tracce di prodotti di combustione) e la presunta partecipazione di Arrow Air a un'operazione segreta americana durante la presidenza Reagan riguardante l'Iran. Filotas scopre inoltre che la compagnia aveva assunto un investigatore per valutare l'ipotesi di un'esplosione a bordo. Nonostante il quadro delineato dai quattro componenti del Casb "dissidenti", gli investigatori non fanno passi indietro: la teoria del sabotaggio non regge. Per provare a fornire una prova scientifica, il team di McNair realizza test e simulazioni con gli stessi parametri del volo Arrow Air 1285: ebbene, ogni tentativo di pilotare l'aereo si conclude con lo stallo e lo schianto.
I due rapporti del Casb offrono dunque esiti divergenti e quadri differenti sul disastro. Una controversia che segna la fine dell'ente, smantellato dal governo canadese nel 1990 e sostituito da un nuovo organismo, il Transportation Safety Board of Canada.
Il dramma schianto a Überlingen.
Quello schianto a Überlingen seguito da un omicidio: 71 vittime, di cui 45 bimbi. Storia di Mariangela Garofano il 4 settembre 2023 su Il Giornale
Il 1 luglio 2002, nei pressi della città tedesca di Überlingen, il volo di linea Bashkirian Airlines 2937 e il volo cargo Dhl 611 si scontrarono, provocando la morte delle 71 persone a bordo dei due aerei. Il disastro è passato alla storia come la collisione di Überlingen.
La dinamica della collisione
Il primo velivolo coinvolto nella tragico scontro nei cieli tedeschi, quel primo luglio 2002, era un Tupolev Tu-154M, della compagnia russa Bashkirian Airlines, con a bordo 60 passeggeri e 9 membri dell’equipaggio, in volo da Mosca a Barcellona. La maggior parte dei passeggeri, ben 45, erano bambini della regione russa della Baschiria, per le cui abilità artistiche l’Unesco aveva organizzato un viaggio in Costa Daurada, Spagna.
L’altro aereo era un cargo jet Boeing 757-200 Dhl, in volo da Bergamo a Bruxelles, con a bordo il comandante, il britannico Paul Phillips e il primo ufficiale, il canadese Brant Campioni. Alle 21.35 circa i due aerei stavano sorvolando lo spazio aereo tedesco, sebbene il controllo aereo della zona fosse affidato alla società privata svizzera Skyguide. Quella sera l’unico controllore in servizio era Peter Nielsen, il quale stava lavorando su due postazioni contemporaneamente e non si accorse subito che due velivoli stavano rischiando una collisione.
Quando Nielsen si rese conto dell’imminente pericolo, contattò immediatamente il volo Bashkirian, e ordinò al comandante di scendere di 1000 piedi, per evitare lo scontro con un altro velivolo, che volava sulla stessa rotta: il volo Dhl 611. Il Tupolev russo scese alla quota ordinata da Nielsen, ma in quel momento il sistema di controllo anticollisione (Tcas), diede ai piloti il comando di salire di quota. Contemporaneamente, l’avionica del volo Dhl ordinò all’equipaggio di scendere. Il comandante del volo Dhl scese di quota, come da istruzioni del Tcas e cercò di comunicarlo a Nielsen, invano. Il controllore, in quel preciso istante stava infatti comunicando con i piloti del volo russo, per cui non seppe mai che anche il volo Dhl stava scendendo, posizionandosi esattamente alla stessa quota del volo Bashkirian.
Alle 21.35, i due aerei entrarono in collisione alla quota di 34.890 piedi. Lo stabilizzatore verticale del Boeing Dhl (la superficie fissa, posta sulla parte terminale della fusoliera di un aereo) tagliò di netto la fusoliera del Tupolev, facendolo esplodere con una violenza tale, che i resti si sparsero su un’area molto vasta. Il Boeing precipitò per più di sette chilometri, prima di schiantarsi in un’area boschiva, nei pressi del villaggio di Taisersdorf. L’impatto fu così violento, che i due motori vennero ritrovati a centinaia di metri dal luogo dello schianto.
Le concause che provocarono la collisione fatale tra il volo Bashkirian e il volo Dhl furono molteplici. La sera del 1° luglio 2002 Nielsen si trovava da solo nella torre di controllo, poiché l’altro operatore stava riposando, cosa che andava contro il regolamento. È infatti obbligatorio che siano presenti almeno due controllori, affinché non si verifichino problemi. Un altro fattore determinante fu costituito dai lavori di manutenzione all’impianto radar, a causa dei quali, venne disabilitato il sistema ottico di allarme pre-collisione, che se fosse stato attivo, avrebbe avvisato l'operatore di un impatto imminente, del quale Nielsen non fu avvisato.
Inoltre, non si conosce la motivazione, Nielsen rifiutò di contattare un tecnico, che viene chiamato quando si effettuano lavori di manutenzione di quel tipo. In seguito, venne scoperto dagli inquirenti, che un sistema di pre-collisione a breve termine era suonato 32 secondi prima dell’impatto tra i due velivoli, ma non era stato udito da nessuno, perché fu appurato che si trattava di un cicalino acustico difficile da riconoscere. A complicare ulteriormente la situazione di quella notte, la linea telefonica principale della SkyGuide non funzionava a causa dei lavori, mentre la linea secondaria era attiva, ma presentava dei problemi. Questo impedì agli operatori del vicino aeroporto di Karlsruhe di telefonare a Nielsen per avvisarlo dell’imminente tragedia.
Gli inquirenti svizzeri, nel loro rapporto conclusivo sull’incidente, scrissero che il velivolo russo si trovava 33 metri più in basso rispetto alle indicazioni ricevute da Nielsen e che se entrambi gli aerei avessero seguito le istruzioni del Tcas, invece che quelle di Nielsen, la collisone si sarebbe potuta evitare. Dal canto suo la Federazione Russa sottolineò nel proprio rapporto conclusivo, che il Tupolev non avrebbe potuto seguire le istruzioni del Tcas, in quanto si trovava già a 35.500 piedi. Nielsen aveva fornito al volo russo informazioni sbagliate riguardo alla posizione del volo Dhl, l’unico dei due velivoli che, se fosse riuscito a mettersi in contatto con l’operatore per comunicare la propria posizione, avrebbe potuto scongiurare lo scontro. A seguito della tragedia Nielsen si licenziò, distrutto dal senso di colpa.
L’omicidio di Pieter Nielsen e le conseguenze giudiziarie
La tragedia di Überlingen non si esaurì con la morte delle 71 vittime, di cui 45 bambini, impazienti di godersi quella che per molti, era la prima vacanza da soli. Due anni dopo, il 24 febbraio 2004, il controllore del traffico aereo Pieter Nielsen, fu assassinato davanti alla sua abitazione. Ad sparargli, l'architetto Vitaly Kaloyev, il quale, quella maledetta notte del 1° luglio 2002, aveva perso la moglie e i due figli, che viaggiavano a bordo del Tupolev della Bashkirian. A causa della grave perdita della sua famiglia, l'uomo soffriva di un importante esaurimento nervoso, che lo aveva portato a compiere il folle gesto nei confronti dell'uomo che aveva contribuito a portargli via i familiari.
Il 26 ottobre 2005 Kaloyev fu condannato a otto anni di reclusione, ma nel 2007 la Corte Suprema della Svizzera ordinò la sua scarcerazione, tenendo conto che l'uomo aveva agito per la disperazione di aver perso tutta la famiglia nell'incidente aereo. Nel 2004 gli inquirenti stabilirono che Peter Nielsen non era responsabile dell'accaduto, ma lo era la Skyguide, accusata di omicidio colposo e 8 suoi dipendenti, per i quali la Procura elvetica chiese dagli 8 ai 15 mesi di detenzione, per omicidio per negligenza. Inoltre il tribunale di Costanza, in Germania, stabilì che anche il governo tedesco era da considerarsi responsabile civilmente, essendo la tragedia accaduta nello spazio aereo tedesco. Nel 2009 i parenti delle vittime della collisione chiesero un risarcimento danni pari a 600 milioni di dollari alle due aziende che si occupavano del controllo della sicurezza sugli aerei.
Il Caso dell'Airbus A310 del volo Thai Airways 311.
Le montagne, la tensione, lo schianto: il dramma del volo Thai Airways 311. Il disastro aereo del volo Thai Airways 311 del 31 luglio 1992 causò 113 morti - 99 passeggeri e 14 membri dell'equipaggio - nessun sopravvissuto. Massimo Balsamo il 24 Settembre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Lo schianto del volo Thai Airways 311
La ricerca dell'Airbus A310
Le indagini
La svolta
L'indagine per ricostruire la dinamica dello schianto del volo Thai Airways 311 è stata una delle più complicate di sempre. L'incidente aereo si verificò il 31 luglio del 1992 sul fianco di una montagna 37 chilometri a nord di Kathmandu, in Nepal, a un'altitudine di oltre 3.500 metri - uno dei luoghi più remoti della Terra - rendendo complicate le operazioni degli investigatori. Il bilancio fu drammatico: morti tutti i 99 passeggeri e i 14 membri dell'equipaggio a bordo, per un totale di 113 vittime.
Lo schianto del volo Thai Airways 311
Il volo Thai Airways 311 parte dall'aeroporto internazionale Don Mueang, in Thailandia, direzione aeroporto internazionale Tribhuvan, in Nepal: una tratta da tre ore e mezzo. A bordo dell'Airbus A310 99 passeggeri, molti nepalesi ma anche tanti turisti stranieri. Il comandante Preeda Suttimai e il primo ufficiale Phunthat Boonyayej sono chiamati a prestare la massima attenzione, considerando la particolarità dell'aeroporto di Kathmandu, con l'avvicinamento che richiede un passaggio vicino ad alcune delle montagne più alte al mondo.
A circa trenta minuti dall'arrivo a destinazione, il capitano Suttimai e il primo ufficiale Boonyaeyej contattano la torre di controllo per chiedere l'autorizzazione alla discesa. In particolare, i piloti chiedono la pista 0-2, con avvicinamento diretto da Sud, più semplice rispetto alle altre piste. Ma mentre l'aereo si avvicina all'arrivo, le cose cambiano: il controllore segnala che pista non è disponibile per scarsa visibilità e pioggia. L'unico avvicinamento disponibile è da Nord - dove le vette si innalzano a 6 mila metri - azione che richiede una manovra piuttosto delicata. Il capitano non ha alcuna intenzione di correre e rischi e decide di virare verso un aeroporto in India, a Calcutta.
Fortunatamente, il tempo cambia ancora e la pista 0-2 torna disponibile. L'aereo però è troppo vicino alla pista per scendere in sicurezza e il capitano Suttimai decide di tornare indietro per avere la distanza necessaria per una discesa controllata e sicura. Utilizzando il sistema di gestione di volo, il primo ufficiale Boonyayej fissa un punto intermedio di navigazione chiamato "Romeo" per ricominciare l'avvicinamento. Ma c'è qualcosa che non va: l'apparecchio non esegue i comandi, non riuscendo ad associare la traiettoria di volo in questione. A complicare ulteriormente la situazione la visibilità limitata. In un clima di tensione, in cabina inizia a suonare l'allarme di prossimità al suolo. I piloti non riescono a reagire, risulta impossibile individuare la natura del problema. Dopo pochi secondi lo schianto contro una montagna.
La ricerca dell'Airbus A310
Perso ogni contatto con il volo Thai Airways 311, le autorità fanno partire le ricerche dell'aereo tra le montagne del Nepal e istituiscono una commissione di investigatori. Viene scandagliata un'area di decine di chilometri quadrati a Sud di Kathmandu, ultima zona conosciuta dell'Airbus A310. Dopo diverse ore, nessuna traccia. Non c'è neanche un radar da monitorare - a causa delle alte montagne - l'unico indizio arriva dal controllore di volo che, sentito dagli inquirenti, segnala una misteriosa avaria tecnica. Dopo 48 ore arriva la svolta a dir poco sorprendente: gli abitanti di un villaggio a Nord di Kathmandu affermano di avere trovato dei rottami dell'aereo.
Formato da nepalesi ma anche da esperti internazionali come David McNair e il canadese David Rohrer, il team di investigatori invia diversi elicotteri nella zona e viene finalmente individuato l'aereo a 43 chilometri a Nord di Kathmandu. La dinamica dello schianto appare chiara: il volo Thai Airways 311 ha colpito una parete verticale di roccia e poi è rotolato fino a valle. Purtroppo c'è anche un altro dato da constatare: nessuna delle 113 persone a bordo dell'Airbus A310 è sopravvissuta. Sono tanti gli aspetti misteriosi ma la prima sfida complicata da affrontare è raggiungere la zona del misfatto: la squadra di investigatori deve salire a piedi a più di 900 metri dal campo base per raggiungere i resti dell'aereo. In altri termini, un tragitto di cinque ore in una zona pericolosa. Durante il cammino, avviene una tragedia: un investigatore britannico dell'Airbus muore per ipossiemia.
Gli investigatori devono fare i conti con una scena di totale devastazione. Risulta difficile distinguere i rottami, impossibile individuare persino i motori dell'aereo. Viene ritrovato quasi subito il rilevatore di suoni di cabina, ma l'obiettivo principale è individuare la scatola nera, fondamentale per ricostruire quanto accaduto. I resti dell'Airbus A310 vengono spostati in un hangar dell'aeroporto Kathmandu, l'indagine entra nel vivo: il primo passo è stabilire perché il volo Thai Airways 311 fosse a Nord dall'aeroporto.
Le indagini
Gli investigatori partono dalla presunta avaria e cercano indizi nei rapporti di manutenzione dell'aereo. La traccia porta a un risultato: il giorno prima dello schianto era stato segnalato un problema al ripartitore xp-205 collegato agli strumenti di navigazione, interruttore che fornisce energia elettrica a sistemi importanti, incluso il sistema di navigazione dell'aereo. L'ipotesi però viene subito accantonata: l'interruttore non presentava più problemi, come confermato dal registratore di suoni in cabina. Ma dall'analisi emerge un altro fattore da tenere in considerazione: la scarsa comunicazione tra i due piloti, con il capitano Suttimai piuttosto frustrato. Il dettaglio emblematico è la decisione di non affidare la comunicazione con la torre di controllo al primo ufficiale. A completare il quadro, lo scambio poco chiaro quanto inefficiente con il controllore, un giovane piuttosto inesperto.
Ma come si è arrivati al disastro aereo del volo Thai Airways 311? In attesa di ricevere l'autorizzazione a cambiare rotta, il capitano decide di virare a destra di sua iniziativa per accelerare l'avvicinamento alla pista. Ma dopo pochi istanti spunta una criticità e Suttimai appare irritato per i tentativi del primo ufficiale di inserire i dati nel sistema di navigazione. Poi l'esclamazione sorpresa di Boonyayej: "Stiamo andando a Nord?". Gli investigatori devono sciogliere il nodo: il capitano sembrava essere riuscito a tornare a Sud, lontano dalle montagne, ma dopo qualche minuto si è schiantato contro una montagna a Nord. A segnare la svolta è l'arrivo dei dati della scatola nera.
La svolta
Come ricostruito dagli esperti di Mayday, il volo Thai Airways 311 anzichè procedere in linea retta e raggiungere il punto intermedio di navigazione chiamato "Romeo", ha fatto un giro completo di 360 gradi. Inspiegabile per gli investigatori, che provano a individuare qualche responso attraverso un simulatore di volo. Ed ecco svelato l'arcano: il capitano ha deciso di "scavalcare" l'autopilota, cambiando la rotta girando il selettore. Preso forse da un senso di onnipotenza, ha deciso di gestire tutta la fase di atterraggio, impossessandosi inoltre del contatto diretto con la torre di controllo.
Forse per aver perso la cognizione tridimensionale della posizione del volo Thai Airways 311, il capitano girò eccessivamente il selettore di rotta. La conferma del disorientamento è legata indissolubilmente dal dialogo con la torre di controllo: tre minuti prima dell'impatto, il capitano ha affermato di essere distante 5 miglia dall'aeroporto. Una distanza insensata: avrebbe dovuto essere a 25 miglia di distanza. E ancora, nel dialogo tra piloti spunta un'affermazione chiara del primo ufficiale: "Il mio display dice che siamo a Nord dall'aeroporto". Ma ormai era troppo tardi.
In altri termini, il capitano era fermamente convinto di essere in tutt'altra posizione: un errore costato la vita a 113 persone. Lo schianto del volo Thai Airways 311 ha posto l'accento sulla necessità di una tecnologia più avanzata per il controllo del traffico aereo all'aeroporto di Kathmandu, dove oggi sono in dotazione radar affidabilissimi. Inoltre l'incidente aereo ha ribadito ancora una volta il ruolo fondamentale del lavoro di squadra tra piloti. Massimo Balsamo
Il Caso del Boeing 747 della compagnia China Airlines.
L'aereo che si capovolge e precipita: come si è salvato il China Airlines 006. Il 19 febbraio 1985 il volo China Airlines 006 scese in picchiata dopo essersi capovolto. Sembrava una tragedia annunciata, ma l’equipaggio riuscì a riportare l’aereo in posizione orizzontale e a farlo atterrare. Francesca Bernasconi il 27 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Problemi in volo
A testa in giù sul Pacifico
Una tragedia sfiorata
Un salto nel vuoto, che sembrava non lasciare scampo alle 274 persone a bordo del volo China Airlines 006, partito da Taipei e diretto a Los Angeles. Prima il rovesciamento poi la picchiata fecero pensare che per il Boeing 747 non ci fosse più speranza. Ma, a pochi secondi dallo schianto nell’oceano Pacifico, l’equipaggio riuscì a riportare l’aereo in posizione orizzontale e a farlo atterrare nel vicino aeroporto di San Francisco. Una tragedia evitata, che lasciava però diverse domande e dubbi sula dinamica dell’incidente. Fu compito degli investigatori del National Transportation Safety Board (Ntsb) fare chiarezza sull’incidente aereo.
Problemi in volo
A Taipei, Taiwan, erano le 16.22 del 19 febbraio 1985 quando il volo 006 della China Airlines lasciò l’aeroporto, diretto a Los Angeles in California. Secondo l’ora standard del Pacifico l’orologio segnava le 00.22. A bordo avevano preso posto 251 passeggeri, accompagnati da 23 membri dell’equipaggio. In cabina di pilotaggio sedevano il capitano Min-Yuan Ho, il primo ufficiale Ju Yu Chang e l’ingegnere di volo Kuo-Pin Wei. Data la lunghezza della tratta, i tre piloti erano affiancati da un secondo capitano e da un altro ingegnere di volo. Per le prime dieci ore nessun problema si presentò ai piloti e il volo procedette tranquillamente. Il Boeing 747 stava sorvolando il Pacifico, ormai vicino a San Francisco, sulle coste della California, quando incontrò una lieve turbolenza. Erano circa le 10.15. In cabina c’era l’equipaggio principale, che aveva ripreso servizio dopo aver riposato qualche ora a bordo dell’aereo. Il Boeing era condotto dal pilota automatico, che lo manteneva alla quota selezionata di 12.000 metri.
Poco dopo l’incontro della turbolenza, l’equipaggio notò una perdita di potenza del motore quattro e cercò di ripristinarlo. Prima del volo il comandante era stato informato che quel motore aveva subito due riparazioni precedenti. Quando gli venne comunicato il problema, il capitano ordinò di provare a riaccendere il motore. Ma l’aereo era ancora a un’altitudine troppo elevata perché la manovra potesse avere successo.
La velocità dell’aereo continuò a diminuire e il velivolo iniziò a virare leggermente a destra, a causa della minor spinta da quel lato. Il rapporto finale redatto dall’Ntsb nel 1986 ha raccolto le testimonianze del capitano e del primo ufficiale. “Il capitano - si legge -ha affermato che la velocità continuava a diminuire e quindi ha disattivato l'autopilota per abbassare manualmente il muso dell'aereo a una velocità maggiore in un ulteriore tentativo di arrestare la perdita di velocità”.
A testa in giù sul Pacifico
Per cercare di aumentare la velocità, il pilota spinse il muso del velivolo verso il basso. Ma la manovra non ebbe successo. Nel frattempo l’aereo si inclinava sempre di più e presto entrò in picchiata: “Lo sfondo dello strumento che conteneva la linea dell’orizzonte - si legge nel report - ha ruotato rapidamente verso sinistra e la linea di riferimento dell'orizzonte è ruotata in posizione verticale”. Una configurazione strana, così assurda da far pensare che lo strumento potesse essere guasto: l’aereo si era rovesciato e, per qualche secondo, volò al contrario. “La gente veniva sbalzata con violenza contro le pareti della cabina - riferì poi uno dei passeggeri a Indagini ad Alta Quota - Volava praticamente di tutto”.
I piloti si ritrovarono immersi in una fitta nube e, senza riferimenti visivi, non erano in grado di individuare l’orizzonte e raddrizzare l’aereo. Il capitanò riferì che quasi nel momento in cui gli orizzonti artificiali cambiarono configurazione “l'ingegnere di volo gli ha detto che gli altri tre motori avevano perso spinta”. Il volo China Airlines 006, fuori controllo, stava precipitando verso l’Oceano Pacifico: “Ho chiuso gli occhi, pensavo di morire”, fu il commento rilasciato a Indagini ad Alta Quota da una delle persone a bordo. In pochi secondi l’aereo precipitò di quasi 3.000 metri.
A bordo era il panico perché, come raccontarono alcuni testimoni, “sapevamo che eravamo in grave pericolo e non sapevamo se saremmo sopravvissuti”. Ormai poche migliaia di metri separavano i passeggeri del volo partito da Taipei e le fredde acque dell’Oceano Pacifico. Ma quando l’aereo era a circa 3.000 metri, riemerse dalle nuvole e il capitano, basandosi sui riferimenti visivi esterni, riuscì a riprendere il controllo dell’aereo e a stabilizzarlo a 2.900 metri e il volo della China Airlines sembrò tornare sotto controllo. A pochi minuti dall’inizio dell’incidente, tutto sembrava risolto.
Una tragedia sfiorata
A bordo però alcune persone erano rimaste ferite. Inoltre l’aereo era danneggiato: durante la picchiata, il portellone del carrello si era staccato e il carrello si era abbassato e bloccato. Il capitano decise quindi di dichiarare l’emergenza e di dirottare su San Francisco. Alle 10.38, il volo 006 venne autorizzato a scendere “a discrezione del pilota”. Atterrare in quelle condizioni non era un’operazione scontata. Nonostante questo, l’aereo toccò terra senza ulteriori problemi e i passeggeri vennero postati in salvo. Nell’incidente 20 persone avevano subito lievi ferite, ma tutti erano consapevoli che sul Pacifico sarebbe potuta finire diversamente: la tragedia era stata solo sfiorata.
Per capire cosa fosse successo al volo 006 della China Airlines, gli investigatori dell’Ntsb analizzarono i dati di volo, i motori, il numero quattro in modo particolare, e ricostruirono gli avvenimenti dei minuti dell’incidente. Scoprirono così che il motore 4 si era bloccato e aveva effettivamente perso potenza, ma non si era spento. Prima del volo 006, il motore era stato sottoposto a manutenzione, ma le indagini non riscontrarono alcuna avaria al motore. Per di più il Boeing 747 era progettato per poter volare ugualmente anche con un motore in meno. Un problema al motore quindi non poteva essere la causa dell’incidente. Gli investigatori conclusero che neanche gli altri tre motori si fermarono durante il volo e che, a parte la perdita di spinta del motore 4, nessun altro malfunzionamento venne registrato.
Il dirottamento, lo scontro e l'esplosivo: quel disastro tra 3 aerei a Canton
Il Report concluse invece che “la probabile causa di questo incidente è stata la preoccupazione del capitano per un malfunzionamento in volo e la sua incapacità di monitorare adeguatamente gli strumenti di volo dell'aereo che ha provocato la sua perdita di controllo dell'aereo”. Inoltre “a contribuire all'incidente è stata l'eccessiva dipendenza del capitano dall'autopilota dopo la perdita di spinta del motore numero quattro”. Il capitano infatti, concentrato sulla valutazione del malfunzionamento del motore 4, non avrebbe prestato la giusta attenzione agli altri strumenti di volo che indicavano la virata a destra del velivolo. Inoltre l’autopilota, che non poteva manovrare il timone, necessario per ristabilizzare l’aereo, non è stato disattivato tempestivamente, mascherando il pericolo imminente.
Per la prima volta gli investigatori presero in considerazione anche gli effetti del jet lag. Al momento dell’incidente l’aereo era in volo da circa 10 ore e aveva attraversato diversi fusi orari. Il ribaltamento inoltre si verificò intorno alle 2 ora locale di Taiwan, a un orario in cui il capitano era abituato a dormire. Per questo venne presa in considerazione la possibilità che la sua capacità di analizzare i dati fosse compromessa. In realtà le prove dimostrarono che “le deviazioni e le omissioni dalle procedure prescritte dell'aeroplano rilevate nella prestazione del capitano derivano dai fattori causali, quali la distrazione e l'eccessivo affidamento sull'autopilota”.
Il Caso del jet passeggeri Embraer E190 della compagnia Mozambique Airlines.
Cosa c'è dietro lo schianto del volo Lam Mozambique Airlines 470. Il disastro aereo del volo Lam Mozambique Airlines 470 del 29 novembre 2013 causò 33 morti - 27 passeggeri e 6 membri dell'equipaggio - nessun sopravvissuto. Massimo Balsamo il 20 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Lo schianto del volo Lam Mozambique Airlines 470
Le indagini
La svolta
Le conseguenze
Un aereo moderno e facile da pilotare, il classico jet regionale. Una coppia di piloti ben assortita: il comandante con grande esperienza e un co-pilota giovane ma già rodato. Una compagnia consolidata, che opera in Africa con sei o sette aeromobili. Una rotta battuta quotidianamente, senza particolari difficoltà. Nonostante tutti questi elementi, il 29 novembre del 2013, il volo Lam Mozambique Airlines 470 - partito da Maputo, Mozambico, con destinazione Luanda, Angola - si schiantò nel parco nazionale di Bwabwata, Namibia, a metà del volo. Nessun sopravvissuto: morti tutti i 27 passeggeri e i 6 membri dell'equipaggio. Dopo lunghe indagini, la svolta con le scatole nere: una conclusione inquietante.
Lo schianto del volo Lam Mozambique Airlines 470
Aeroporto internazionale di Maputo, Mozambico, 29 novembre 2013. Il jet passeggeri Embraer E190 è pronto a portare a Luanda, in Angola, 27 persone. Molti turisti ma anche commercianti pseudo-pendolari. L'equipaggio è composto da due piloti, tre assistenti di cabina e un tecnico. Il comandante è il quarantanovenne Herminio dos Santos Fernandes, più di 9000 ore di volo, mentre il primo ufficiale è il ventiquattrenne Grácio Chimuquile, con alle spalle già 1400 ore di volo.
Il volo Lam Mozambique Airlines 470 dura quattro ore e prima di arrivare a destinazione sorvola il Botswana. Quarantacinque minuti dopo il decollo, l'aereo entra nello spazio aereo sopra il Botswana e i due piloti chiamano la torre di controllo locale. Comandante e primo ufficiale confermano che ci sarà un nuovo contatto una volta raggiunto un punto di navigazione che segna il punto di confine tra Botswana e Angola.
Dopo un'ora, è previsto il contatto. Ma la torre non riceve alcuna chiamata e nemmeno una risposta. Allarmato dal silenzio, il controllore contatta i colleghi angolani per capire se hanno sentito l'equipaggio del volo LAM Mozambique Airlines 470: risposta negativa. Nessuno sa dove sia finito il jet. Nessun segnale dal trasmettitore di emergenza, le autorità dei tre Paesi coinvolti - Botswana, Angola e Namibia - vengono allertate. Gli esperti namibiani del Directorate of Aircraft Accident Investigations (Daai) trovano una traccia grazie ai segnali radar: i dati mostrano l'aereo in volo alla normale quota di crociera di 38 mila piedi, per poi scendere rapidamente di più di 30 mila piedi. Il segnale radar scompare quando l'aereo scende sotto i 6600 piedi, con il mezzo diretto a tutta velocità verso il terreno.
La speranza delle autorità è che i piloti siano riusciti ad atterrare su una pista, ma nella zona presa in considerazione non vi sono luoghi idonei. E sorge un dubbio: nei sei minuti trascorsi dalla discesa alla scomparsa dell'aereo, comandante e primo ufficiale avrebbero potuto dichiarare l'emergenza, ma non l'hanno fatto. Le autorità namibiane inviano un elicottero di ricerca e soccorso per individuare il volo Lam Mozambique Airlines 470, ma non serve: i ranger del parco nazionale di Bwabwata sono i primi a scoprire i resti dell'aereo in un'area molto remota. I timori vengono confermati: non ci sono sopravvissuti.
Le indagini
Tocca agli investigatori namibiani fare chiarezza sulla fine del volo Lam Mozambique Airlines 470. Un'indagine delicata, complici le pressioni internazionali. Il team di inquirenti inizia a scandagliare la zona del punto di impatto ed emerge un primo dettaglio importante: l'aereo era intatto quando ha colpito il terreno. Ma non è tutto: gli agenti individuano due avvallamenti quasi identici all'inizio della scia di detriti, segno che l'aereo era livellato.
La scia di detriti è lunga e stretta - a testimonianza dell'alta velocità del jet - e una prima domanda sorge spontanea: i piloti hanno provato un atterraggio? La risposta è immediata ed è negativa: le gomme del carrello di atterraggio sono integre e non vi sono danni o forature. Resta molta strada da fare per arrivare alla verità e un contributo potrebbe arrivare dalle scatole nere, rintracciate il giorno dopo lo schianto e inviate immediatamente in laboratorio.
Il National Transportation Safety Board (Ntsb) statunitense si unisce alle indagini: viene inviato l'esperto Dennis Jones, nella speranza di poter ricostruire con esattezza la dinamica del disastro aereo. Una delle prime piste escluse è quella di un possibile incendio a bordo: i danni da fuoco evidenziati sono esclusivamente associati all'impatto con il terreno ad alta velocità.
Gli inquirenti non escludono alcuna pista, ma molte ipotesi vengono scartate con il passare delle ore, a partire dalla possibile avaria al motore. A una settimana dallo schianto, gli investigatori lasciano il parco nazionale di Bwabwata e si chiudono negli uffici del Daai per tentare di fornire una risposta ai numerosi interrogativi. Dopo un giorno di controlli e verifiche, viene escluso un possibile problema meccanico: i registri di manutenzione sono perfetti e l'Embraer E190 era stato ispezionato meticolosamente il 28 novembre.
La svolta
Gli esperti scartano dunque fattori meccanici e ambientali per il disastro del volo LAM Mozambique Airlines 470 e provano a valutare gli stati di servizio dei due piloti. Anche in questo caso, nulla da eccepire: lo schianto rimane un mistero. Ma la svolta arriva dopo pochi giorni grazie alle scatole nere: sarà il registratore di cabina a rivelare la dinamica dei fatti.
Gli investigatori ascoltano il nastro e qualcosa non torna: il primo ufficiale Grácio Chimuquile esce dalla cabina per andare in bagno e lascia i controlli al capitano Herminio dos Santos Fernandes. Da quel momento in poi, solo silenzio: nessun rumore per sei minuti. Il co-pilota torna, bussa alla porta ma non riceve risposte. I colpi sulla porta diventano sempre più insistenti, sempre più palpabili, ma la situazione non cambia.
"Stai scendendo troppo": la pista era vicina ma i piloti la mancarono
La registrazione diventa sempre più inquietante, perché Herminio dos Santos Fernandes non dà cenni di alcun tipo. Si sente solo qualche rumorino, ma nulla più. Fino allo schianto, preceduto dall'allarme di prossimità al suolo. Riascoltando il registratore di cabina, Jones e colleghi sentono il classico rumore di una manopola che viene girata, ma è difficile stabilire con esattezza di cosa si tratti. Si fa largo un'ipotesi choc: lo schianto del volo Lam Mozambique Airlines 470 potrebbe essere stato il risultato di un'azione deliberata del capitano.
Monitorando i dati del volo, mentre il primo ufficiale è in bagno, Fernandes modifica l'altitudine tre volte, passando da 38 mila a 592 piedi. Ma non è tutto: blocca la porta, escludendo il tastierino esterno. In altri termini dà l'indicazione al pilota automatico di fare schiantare l'aereo. L'ultima mossa prima dello schianto è l'azionamento dell'aerofreno, che serve ad aumentare la velocità verticale dell'aereo.
Gli investigatori vanno a fondo e scoprono una realtà agghiacciante. La scheda medica non aveva segnalato criticità di alcun tipo, ma scandagliando la vita privata del capitano emergono altre verità: separato dalla moglie da dieci anni, stava affrontando un periodo difficile per i problemi di salute della figlia - sarebbe stata operata al cuore di lì a poco - e soprattutto per la morte del figlio maggiore in un sospetto suicidio.
Le conseguenze
Lo schianto del volo Lam Mozambique Airlines 470 non viene ampiamente coperto dai media e l'industria aeronautica non impone contromisure. Due anni più tardi, il 24 marzo del 2015, avviene lo schianto del volo Germanwings 9525 sulle alpi francesi: un'azione deliberata del primo ufficiale durante la fase di crociera costa la vita a 150 persone (144 passeggeri e 6 membri dell'equipaggio). Solo dopo il disastro avvenuto a Prads-Haute-Bléone vengono disposte norme più severe: in particolare molte compagnie ripristinano la regola secondo cui nella cabina di pilotaggio deve obbligatoriamente esserci la presenza continua di almeno due membri dell'equipaggio.
Il Caso del Dc-8 della compagnia islandese Icelandic Airlines.
"Stai scendendo troppo": la pista era vicina ma i piloti la mancarono. Storia di Mariangela Garofano su Il Giornale 30 luglio 2023
Era il 15 novembre 1978 e da Gedda, Arabia Saudita, decollò il volo Icelandic Airlines 001 diretto a Surabaya, Indonesia. Mentre si avvicinava all’aeroporto di Colombo, Sri Lanka, per uno scalo, il velivolo si schiantò al suolo, uccidendo 183 delle 262 persone a bordo.
La dinamica dell’incidente
L’aereo coinvolto nella tragedia accaduta a Colombo, Sri Lanka, era un Dc-8, della compagnia charter islandese Icelandic Airlines, noleggiato dalla compagnia indonesiana Garuda Airlines, per il pellegrinaggio musulmano alla Mecca (Hajj). Quel 15 novembre del 1978, 170 dei passeggeri a bordo del Dc-8 erano pellegrini che rientravano in Indonesia dopo il pellegrinaggio nella città santa, quando, durante il volo, incontrarono forti temporali e il cosiddetto fenomeno del “Wind shear”, una variazione improvvisa del vento. Tale fenomeno può essere pericoloso in particolare modo in prossimità degli aeroporti, poiché in fase di atterraggio può ingannare i piloti sul corretto assetto/velocità di discesa.
Alle 22:53, in prossimità dell’aeroporto di Colombo, il centro di controllo comunicò ai piloti che la pista assegnata per l’atterraggio era la 04. Ma questi chiesero di poter atterrare sulla pista 22 e si prepararono a effettuare un atterraggio strumentale. L’aereo iniziò la discesa verso l’aeroporto, ma quando il controllore di volo chiese ai piloti di riferire loro il raggiungimento del radiofaro, non ricevette risposta. Alle 23:27 la torre di controllo diede istruzioni al volo Icelandic riguardo l’atterraggio: “Lima, Lima 001, leggermente a sinistra della linea centrale, leggermente a sinistra della linea centrale, a due miglia dal touch-down, altezza 650 piedi, autorizzato ad atterrare”. I piloti risposero solo “Roger”, ovvero “Ricevuto”.
In seguito, il controllore d’avvicinamento notò che l’aereo stava scendendo troppo velocemente e contattò l’equipaggio per avvisarli.“Lima, Lima 001, stai scendendo troppo!”, avvertì l’operatore, ma invano. Purtroppo i piloti erano occupati con il centro controllo radar su un’altra frequenza, per cui non sentirono il messaggio del controllore. Alle 23:28 l’operatore notò un’esplosione in cielo, non lontano dall’aeroporto di Colombo. Il Dc-8 si era appena schiantato in una piantagione di gomma e cocco, a meno di 2 chilometri dalla pista d’atterraggio, per poi esplodere.
I soccorsi e le indagini
Dopo 30 minuti arrivarono sul luogo della tragedia i primi soccorsi, 5 camion dei vigili del fuoco e diverse squadre, che ebbero non poche difficoltà a raggiungere i resti del velivolo, a causa della fitta presenza di palme da cocco. I soccorritori fecero di tutto per arrivare nel minor tempo possibile e cercare di salvare il maggior numero di passeggeri. Al loro arrivo, videro che la parte della fusoliera era intatta ma in fiamme. Nessun passeggero seduto in quella sezione dell’aereo si salvò, nonostante i tentativi dei vigili del fuoco di domare l’incendio. Delle 79 persone che scamparono miracolosamente alla morte, alcune se la cavarono con lievi ferite, altre ne uscirono addirittura illese.
Le indagini per capire cosa provocò lo schianto del volo Icelandic 001 si concentrarono sugli errori dei piloti e sui difetti dei sistemi aeroportuali di Colombo, in modo particolare sul sistema di atterraggio strumentale, il cosiddetto "Ils" (Instrument Landing System). Venne rilevato che in altre occasioni diversi velivoli avevano riscontrato i medesimi problemi del volo Icelandic, in fase di atterraggio. Vennero quindi richiesti agli equipaggi dei velivoli, rapporti sul corretto funzionamento dei segnalatori di aiuto alla navigazione.
In molti dei rapporti venivano evidenziati problemi alla strumentazione aeroportuale, in fase di atterraggio strumentale, come: "Sentiero di discesa non affidabile", oppure"Sentiero di discesa inutile". Le autorità investigative scoprirono che l'energia elettrica utilizzata durante l'Ils e altri sistemi di navigazione dell'aeroporto, era fornita dalla Ceylon Electricity board, e che spesso si interrompeva.
Le continue fluttuazioni di energia avvenute nell'ultimo periodo potrebbero aver quindi contributo all'incidente del volo Icelandic, ma questo fu smentito dall'Icao (International Civil Aviation Organization), che affermò: "La sezione Aig (Accident Investigation Section) di Icao ha ricercato incidenti nel database avvenuti per le suddette cause. A entrambe le domande rispondiamo negativamente [...], nessun incidente è mai avvenuto a causa di malfunzionamenti del sistema Ils".
Le cause della tragedia
Cosa provocò quindi la sciagura in cui persero la vita 183 innocenti? Le responsabilità vennero imputate ai piloti, che non furono in grado di eseguire un avvicinamento conforme alle normative, né di utilizzare gli strumenti per capire l'altitudine e il rateo di discesa. Inoltre, si legge nel rapporto conclusivo, la discesa verso l'aeroporto era stata affrontata a una "velocità troppo elevata". Per ultimo, ma non meno importante, ha giocato a sfavore del velivolo, il fattore metereologico. Una raffica discensionale, causata dal forte temporale in fase di atterraggio, potrebbe aver reso difficile la ripresa del controllo del velivolo da parte dei piloti.
Il Caso dell’Airbus A300-600 della compagnia American Airlines.
Il timone si stacca in volo e l'aereo precipita: “Siamo bloccati”. Il 12 novembre 2001 il volo American Airlines 587 precipitò al suolo poco dopo il decollo. Il timone si era staccato in volo. Nello schianto morirono tutte le 260 persone a bordo e 5 persone a terra. Francesca Bernasconi il 6 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il volo 587
Lo schianto
L'incubo terrorismo
Il timone si staccò in volo
Quei movimenti fatali
Due mesi dopo l'attentato al World Trade Center, il volo American Airlines 587 precipitò improvvisamente nel Queens, un quartiere di New York. Nell’impatto persero la vita tutte le 260 persone a bordo e 5 persone a terra. Lo spettro dell’11 settembre fece subito pensare a un attacco terroristico e l’America piombò nuovamente nel terrore. Ma le indagini del team investigativo portarono alla luce un’altra verità: la causa che portò il timone a staccarsi dall’aereo fu trovata in un errore umano, rivelatosi fatale.
Il volo 587
L’11 novembre del 2001, alle 22.31, un volo dell’American Airlines, proveniente dalla Costa Rica, arrivò all’aeroporto John F. Kennedy, dopo aver fatto scalo all’aeroporto internazionale di Miami, in Florida. Quello stesso velivolo, un Airbus A300-600, ripartì il mattino dopo intorno alle 9.10 con il nome di American Airlines 587. Direzione: Santo Domingo. A bordo viaggiavano 251 passeggeri e sette assistenti di volo. In cabina di pilotaggio sedevano il capitano Edward States e il primo ufficiale Sten Molin, che quel giorno era ai comandi.
Stando alle registrazioni, le cui trascrizioni sono state riportate nel rapporto sull’incidente redatto dall’Ntsb, alle 8.55 tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio erano a bordo e l’aereo era pronto al decollo: già in pista, il personale stava aspettando le direttive per poter lasciare l’aeroporto di New York e volare verso la Repubblica Domenicana. “Siamo pronti per partire - comunicò il comandante ai passeggeri - stiamo solo aspettando che un aeroplano dietro di noi si allontani dalla nostra traiettoria”.
Pochi minuti dopo, alle 9.08, venne data indicazione al volo American Airlines 587 di seguire un Boeing della Japan Airlines. “Signore e signori - gracchiò a quel punto l’altoparlante a bordo - finalmente siamo i secondi al decollo […] tra circa due o tre minuti toccherà a noi”. Alle 9.11 il controllore di terra autorizzò l’American Airlines 587 a decollare, mettendolo in guardia sulla turbolenza di scia lasciata dal Boeing giapponese. Niente di nuovo per i piloti, che sanno di dover lasciare una distanza di sicurezza, per evitare di essere travolti dal vortice di aria generato dall’aereo partito precedentemente.
Il volo iniziò la corsa al decollo alle 9.13 e, circa un minuto dopo, si sollevò in aria: era passato oltre un minuto dalla partenza dell’aereo della Japan Airlines. Immediatamente dopo il decollo i passeggeri del volo 587 iniziarono a sentire delle lievi scosse. Tutti a bordo del velivolo pensarono a una turbolenza, nessuno immaginava quello che sarebbe successo da lì a pochi minuti.
Lo schianto
“Piccola turbolenza di scia, eh?”. A questo pensò il capitano States quando sentì l’aereo tremare appena un minuto dopo il decollo. “Sì”, rispose il primo ufficiale Molin, anche lui convinto di essere stato investito dall’aria proveniente dal movimento del Boeing della Japan Airlines decollato poco prima. Una situazione che, per stabilizzare l’aereo, avrebbe richiesto una manovra di routine. Le registrazioni però riportarono la voce tesa del primo ufficiale chiedere “potenza massima”, richiesta insolita in una situazione del genere.
Intanto i passeggeri iniziavano a sentire scosse sempre più intense. “Tenete duro”, disse il capitano, facendo intendere la difficoltà nel controllare l’aereo, forse investito da una turbolenza di scia troppo potente. Poi, all’improvviso, alle 9.15, si sentì un forte tonfo, immediatamente seguito da uno scoppio e, un minuto dopo, da un segnale acustico ripetitivo simile a quello di avviso di stallo. Il volo era fuori controllo e l’aereo stava iniziando a precipitare.
“In che diavolo ci troviamo? - furono le ultime parole registrate dalle scatole nere - Siamo bloccati”. Poi, alle 9.16, la registrazione si interruppe. Il volo American Airlines 587 era precipitato, schiantandosi tra Newport Avenue e Beach Street, a Belle Harbor nel distretto del Queens, New York. Nell’impatto morirono tutte le 260 persone a bordo dell’aereo e 5 persone a terra, investite in pieno dal velivolo, che distrusse diverse case.
L'incubo terrorismo
A soli due mesi dall’attentato alle Torri Gemelle, lo schianto del volo American Airlines 587 risvegliò negli americani la paura mai sopita di un attacco terroristico. Tutti i voli in partenza rimasero bloccati a terra. Aeroporti, ponti e tunnel vennero chiusi per diverse ore. Oltre all’Ntsb, il National Transportation Safety Board, sul luogo dello schianto intervenne anche l’Fbi.
Gli investigatori iniziarono a esaminare i rottami dell’aereo e a raccogliere le testimonianze di chi aveva assistito alla scena. Qualcuno raccontò di aver visto delle fiamme provenire dall’aereo, mentre altri raccontarono di una vera e propria esplosione in volo. Tutto, inizialmente, fece pensare a un altro attentato terroristico. Per questo l’Ntsb esaminò attentamente i rottami trovati sul luogo dello schianto, alla ricerca di residui di esplosivo o di curvature esterne del metallo, che avrebbero dimostrato un’esplosione all’interno dell’aereo.
Le analisi però non rilevarono alcuna traccia che potesse indicare la presenza di una bomba a bordo. Inoltre i registratori di volo recuperati dagli investigatori non catturarono il rumore di esplosioni. Il volo America Airlines 587 non era precipitato a causa di un attentato terroristico. Così l’Fbilasciò le indagini completamente nelle mani del team dell’Ntsb.
Il timone si staccò in volo
L’impatto e il successivo incendio avevano distrutto quasi del tutto l’aereo. A distanza di qualche ora però gli investigatori ritrovarono anche i due motori e lo stabilizzatore verticale del velivolo. I motori vennero ritrovati diversi isolati a Nord e a Est rispetto al sito principale dell’impatto, mentre lo stabilizzatore verticale venne recuperato a diversi chilometri di distanza, nella Jamaica Bay, tra l’aeroporto e il Queens, luogo dello schianto. La scoperta di parti dell’aereo in luoghi così distanti dal punto dell’impatto fecero pensare che si fossero staccati durante il volo.
Per verificare questa ipotesi, gli investigatori ascoltarono i dati dei registratori di volo e di cabina. Alle 9.15, stando a quanto riporta il Report dell’Ntsb, “il registratore dei dati di volo (Fdr) ha registrato un'accelerazione laterale di 0,2 G, che corrispondeva al suono di un forte botto registrato contemporaneamente dal registratore vocale della cabina di pilotaggio (Cvr)”. Il Report spiega che “l'attacco principale posteriore destro dello stabilizzatore verticale si è fratturato alle 09:15:58.4 e lo stabilizzatore verticale si è separato dall'aeroplano subito dopo. Alle 09:15:58.5, il Cvr ha registrato il suono di un forte botto”.
Il cambio di accelerazione laterale e i dati dei registratori indicavano la separazione dello stabilizzatore verticale dalla fusoliera. Senza timone il destino del volo America Airlines 587 era infatti segnato. Mentre i piloti lottavano per controllare l’aereo, questo andò in stallo e iniziò a precipitare. La pressione aerodinamica causò la perdita di entrambi i motori pochi secondi prima dell’impatto.
I dati mostrarono che, subito dopo il decollo, l’aereo incontrò, per due volte e a pochi secondi di distanza l'una dall'altra, delle turbolenze di scia causate dal volo della Japan Airlines. Le analisi degli investigatori dimostrarono che i piloti avevano tenuto la giusta distanza di sicurezza e che, una volta decollato il volo 587, la turbolenza era già troppo debole per poter causare un danno simile. Lo stabilizzatore verticale però si separò circa sette secondi dopo l’inizio del secondo incontro con la turbolenza di scia.
Quei movimenti fatali
Gli investigatori dovevano capire cosa potesse aver causato il distacco del timone. Dai dati del registratore di volo scoprirono che, in concomitanza dell’incontro con la seconda turbolenza, i pedali collegati al timone e di conseguenza il timone avevano subito una serie di cinque movimenti ciclici. Le indagini però non rilevarono alcun guasto meccanico che potesse aver causato questi movimenti. L’unico modo per muovere il timone in quella maniera era che il pilota avesse premuto i pedali volontariamente.
Per questo, il team di indagine concluse che “i movimenti ciclici del timone del volo 587 dopo il secondo incontro di turbolenza di scia sono stati il risultato degli input del pedale del timone del primo ufficiale”. Così, come raccontato nell’episodio di Indagini ad Alta Quota che parla dell’incidente, l’Ntsb riprodusse un A300 al computer e lo pilotò come aveva fatto il primo ufficiale. Quello che scoprirono fu sconvolgente: a ogni movimento del timone, la pressione sulla coda dell’aereo aumentava, diventando così potente da farla cedere.
La pista, la pioggia, l'errore: il dramma del volo Tam 3054
Il report concluse che “la probabile causa di questo incidente è stata la separazione in volo dello stabilizzatore verticale”, a causa dei carichi di pressione elevata a cui venne sottoposto lo stabilizzatore verticale. Questi “sono stati creati dagli input inutili ed eccessivi del pedale del timone del primo ufficiale”. Infatti se il pilota “avesse smesso di dare questi input in qualsiasi momento prima della separazione dello stabilizzatore verticale, la stabilità naturale dell'aeroplano avrebbe riportato l'angolo di scivolata vicino a 0º e l'incidente sarebbe stato evitato”.
Gli investigatori sostennero che il primo ufficiale fece quei movimenti fatali a causa di un ambiguo addestramento al quale era stato sottoposto. Molin infatti era addestrato a recuperare un aereo da rollii fino ai 90 gradi, un evento rarissimo, che prevede di dare al timone comandi prolungati. Questo però non si verifica a causa di una semplice turbolenza di scia. La confusione del copilota, probabilmente, fu dettata dal fatto che nell’esercitazione a cui era stato sottoposto, il rollio a 90 gradi veniva causato proprio da una turbolenza di scia. Inoltre il sistema di controllo del timone dell'Airbus A300-600 è particolarmente sensibile e, per questo, "è suscettibile a input del pedale del timone potenzialmente pericolosi a velocità più elevate".
Dopo l’incidente del volo American Airlines 587, la compagnia decise di cambiare le procedure per l’addestramento relativo alle turbolenze di scia, così da evitare il ripetersi della situazione che portò alla morte di 265 persone
Il Caso del Boeing 707-123B della compagnia American Airlines.
Volo American Airlines 1, quel pilota automatico "impazzito" che fece schiantare l'aereo. Mariangela Garofano il 23 Luglio 2023 su Il Giornale.
A marzo 1962 un volo dell'American Airlines da New York a Los Angeles si schiantò in mare pochi minuti dopo il decollo, provocando il decesso delle 95 persone a bordo
Tabella dei contenuti
La dinamica dell’incidente
Le indagini
Il 1° marzo 1962 dal New York International Airport partì il volo American Airlines 1, diretto a Los Angeles con 87 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio a bordo. Pochi minuti dopo il decollo il velivolo si schiantò in mare, uccidendo sul colpo tutte le persone a bordo e diventando il peggior incidente aereo avvenuto su suolo statunitense prima dell’11 settembre.
La dinamica dell’incidente
Il Boeing 707-123B coinvolto nel disastro era stato consegnato alla compagnia aerea American Airlines quello stesso giorno e al momento della tragedia aveva accumulato 8.147 ore di volo. Tra gli 87 passeggeri presenti vi erano alcune celebrità, come l’ammiraglio Richard L. Conolly, i milionari W. Alton Jones e Arnold Kirkeby e la velista, medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1952, Emelyn Whiton. Decollato alle 10.02 dall’aeroporto di New York, il Boeing effettuò una virata a sinistra, ma nel corso della manovra, mentre si trovava a 490 metri di altitudine, il velivolo iniziò un’inaspettata picchiata verso il basso.
Alle 10.08 l’aereo precipitò nel Pumpkin Patch Channel della Jamaica Bay, una laguna situata nella parte meridionale di Long Island, prendendo fuoco ed esplodendo all’istante, sotto gli occhi atterriti dei passeggeri di un volo per Albany, appena decollato. Gli abitanti della vicina Long Island affermarono di aver udito un boato tale da far tremare i vetri delle finestre e vibrare le case. Alcuni uomini che si trovavano nella base aerea Floyd Bennett Field, ubicata nelle vicinanze, dichiararono di aver visto una colonna d’acqua e fumo nero, salire verso l’alto.
Sul posto accorsero, dopo circa 30 minuti, 300 tra poliziotti e vigili del fuoco, in aggiunta a 125 detective che stavano partecipando a un corso vicino al luogo dello schianto. Sul posto arrivarono anche gli elicotteri della guardia costiera, ma ogni tentativo di trovare dei superstiti fu vano. Purtroppo, dopo la terribile esplosione, i soccorritori trovarono solo pochi corpi intatti.
Secondo quanto venne comunicato da un quotidiano dell'epoca, Leominster Daily Enterprise, l'allora presidente americano John F. Kennedy disse subito dopo l'incidente al direttore della Faa, Najeeb E. Halaby, di fare il possibile per evitare tragedie simili in futuro. "Non c'è stata alcuna chiamata d'emergenza da parte dell'equipaggio - riporta il quotidiano - non ci sono segni di un'esplosione in volo, e il decollo fu del tutto normale".
Le indagini
Le indagini furono affidate al Civil Aeronautics Board (Cab) e alla Federal Aviation Administration (Faa), i cui investigatori rilevarono la mancanza dal timone di bordo, di un bullone e della copiglia (organo di unione, che impedisce, ad esempio, a un bullone, di svitarsi). Dai resti delle salme non si riuscirono a effettuare analisi approfondite, per capire se l’equipaggio fosse incapace di compiere alcune procedure di sicurezza, al momento dell’incidente, tuttavia gli esami tossicologici esclusero che gas tossici, droghe e alcol potessero aver causato il disastro.
La scomparsa in mezzo al cielo e il relitto vuoto, il mistero del volo Transaven
La scatola nera fu recuperata il 9 marzo e analizzata dagli esperti del Cab e della Faa, i quali a gennaio 1963 stilarono il rapporto conclusivo riguardo alle cause che provocarono l’incidente del volo American Airlines 1. Secondo gli inquirenti, “l’anomalia che più probabilmente” aveva provocato l’incidente in cui morirono 95 persone, era da attribuirsi a un corto circuito nei cavi del sistema del pilota automatico, danneggiati durante il processo di fabbricazione.
L’Faa scoprì che nello stabilimento della Bendix Corporation a Teterboro, nel New Jersey, gli operai utilizzavano delle pinzette per collegare i cavi, rischiando in tal modo di danneggiarli. L’accusa mossa alla Bendix Corporation fu però negata dall'azienda, che si difese affermando che prima di essere montate sui Boeing, le unità assemblate venivano ispezionate per ben 61 volte, senza contare i controlli effettuati in fase di installazione. Gli inquirenti informarono tutte le compagnie aeree del rischio che su tutti i Boeing 707 potesse esserci un potenziale errore nell'assemblaggio dei cavi, nonostante la tragedia del volo American Airlines 1 venne attribuita ad una "svista di un meccanico".
Il Caso del Boeing 757-225 della compagnia di voli charter turca Birgenair.
Lo schianto nel Mar dei Caraibi: così l'aereo precipitò per colpa di una vespa. Storia di Mariangela Garofano su Il Giornale domenica 16 luglio 2023.
Il 6 febbraio 1996 il volo Birgenair 301, partito da Peurto Plata, Repubblica Dominicana, diretto a Francoforte, precipita poco dopo il decollo dall’aeroporto. Nello schianto muoiono tutti i 176 passeggeri e i 13 membri dell’equipaggio: resta alla storia come il più grave incidente mai accaduto a un Boeing 757-225.
La dinamica dell’incidente
A bordo del Boeing 757-225 della compagnia di voli charter turca Birgenair l’equipaggio è composto da 11 turchi e 2 dominicani. Il pilota, il capitano Ahmet Erdem, di origini turche, ha alle spalle 24.750 ore di volo. Il primo ufficiale, Aykut Gergin, ne ha accumulate 3.500. In cabina di pilotaggio è presente anche un terzo pilota, Muhlis Evrenesoğlu, con 15.000 ore di esperienza a bordo del Boeing 757.
Il volo Birgenair decolla in tarda serata, alle 23.42, ma appena partiti il comandante Erdem si accorge di avere problemi all’anemometro (Asi), uno strumento che in aeronautica misura la pressione e la velocità del vento. Tuttavia, forte del fatto che quello del primo ufficiale funziona regolarmente, non si preoccupa, finché a quota 1.400 metri qualcosa non va. L’anemometro del comandante, che indica per errore 340 nodi, provoca l'attivazione del pilota automatico e mette il velivolo in assetto di “nose-up”, ovvero con il muso sollevato, affinché diminuisca la velocità.
Come reazione, si attivano gli allarmi di "rudder ratio", di "mach airspeed" e di "overspeed". L’anemometro del secondo pilota, che sta funzionando correttamente, segna una velocità di 200 nodi, mandando in confusione il capitano e gli ufficiali, i quali decidono di diminuire ulteriormente la velocità. A questo punto si attivano una serie di allarmi, che gettano nel panico i piloti, come lo "stick shaker", ovvero uno strumento che indica uno stallo imminente, in aggiunta all'avviso di velocità eccessiva. Cosa sta accadendo a bordo del volo Birgenair 301?
In cabina di pilotaggio inizia a regnare il caos. Il comandante, nel tentativo di riportare il velivolo a una condizione di normalità, dà potenza ai motori, peggiorando la situazione. L'eccessiva spinta fa spegnere il motore sinistro e capovolgere l’aereo nei cieli dei Caraibi. Alle 23.47 si attiva il "Ground Proximity Warning System", ovvero lo strumento che avvisa i piloti del pericolo di una collisione con il terreno. E purtroppo, 8 secondi più tardi, il volo Birgenair 301 si schianta violentemente contro la superficie del Mar dei Caraibi, causando il decesso delle 189 persone a bordo.
Le indagini
Le indagini sulle cause del disastro del volo Birgenair vengono affidate all’ente governativo dominicano, Dirección General de Aeronáutica (Dgca). Dalle registrazioni delle scatole nere emerge che i piloti non avrebbero riconosciuto l’attivazione dello stick shaker come un segnale di stallo e non avrebbero messo in atto le procedure corrette. I tre piloti sarebbero quindi stati indotti in confusione dalle informazioni errate dell’anemometro del comandante, così come il pilota automatico, il quale sarebbe intervenuto con azioni errate dovute ai valori sballati dell’Asi.
Ma cosa avrebbe mandato in tilt l’anemometro? Dopo attente analisi, gli inquirenti giungono alla conclusione che la causa sia da attribuirsi all’ostruzione di uno dei 3 tubi di Pitot (particolari sensori in grado di misurare la velocità relativa al vento e di comunicarlo al computer di bordo di un velivolo). I tubi non vengono recuperati, ma gli inquirenti ipotizzano che a essere ostruito sia proprio il tubo collegato all’Asi del comandante e che una particolare vespa molto comune in Repubblica Dominicana, chiamata vespa muratrice, potrebbe aver costruito il suo nido all’interno del tubo, ostruendolo. Ma il presidente e Ceo della compagnia aerea turca, Cetin Birgen, afferma che questo sarebbe stato impossibile, data la rimozione e il controllo dei tubi di Pitot due giorni prima della partenza del volo 301.
I fattori che avrebbero contribuito alla tragedia sarebbero stati riscontrati in una concatenazione di cause, tra cui l’incapacità dei piloti di riprendere il controllo del velivolo. La Federal Aviation Administration (Faa), non molto tempo dopo l’incidente, ordina che tutti i piloti seguano un corso di addestramento in caso di ostruzione dei tubi di Pitot. La decisione viene presa quando una tragedia, simile a quella del volo Birgenair 301, accade a ottobre dello stesso anno a un altro Boeing 757, della compagnia AeroPerù, causando il decesso di tutti i passeggeri. Anche l'incidente dell'aereo peruviano avviene per colpa dell'ostruzione dei tubi di Pitot, in quel caso, bloccati da del nastro adesivo, dimenticato dai tecnici per errore.
Inoltre, per evitare altri incidenti, la Faa impone alla Boeing di aggiungere un ulteriore allarme, per avvisare anche il secondo pilota quando i due strumenti non combaciano. A seguito della sciagura in cui sarebbero morti tutti i passeggeri e l’equipaggio del volo Birgenair 301, la compagnia avrebbe avuto un crollo e a ottobre dello stesso anno avrebbe dichiarato bancarotta per chiudere per sempre i battenti.
Il dirottamento, lo scontro e l'esplosivo: quel disastro tra 3 aerei a Canton. A ottobre 1990, durante lo svolgimento dei Giochi Asiatici di Pechino, un aereo della Xiamen Airlines viene dirottato in volo. Una volta a terra, il velivolo travolgerà altri due aerei, causando la morte di 128 persone. Mariangela Garofano il 28 Maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il dirottamento del volo Xiamen 8301
Le vittime
Il dirottatore
Le indagini e le conseguenze della tragedia
Canton, Cina. È il 2 ottobre del 1990, quando all’aeroporto di Canton-Bayun atterra il volo Xiamen Airlines 8301. Il Boeing 737, partito da Xiamen (anche conosciuta come Guangzhou) e dirottato in volo, entra in collisione con il volo China Southwest Airlines 2402 e il volo China Southern Airlines 2812, che stazionavano sulla pista dell’aeroporto.
Nell’impatto perdono la vita 128 persone, di cui 75 appartenenti al volo 8301 e 46 al volo 2812. L’incidente, noto con il nome di Disastro di Canton, è considerato il peggior incidente aereo del 1990. Le vittime della tragedia provenivano da Cina, Stati Uniti d'America, Svezia, Hong Kong e Macao.
Il dirottamento del volo Xiamen 8301
Il Boeing 737 della compagnia aerea cinese Xiamen Airlines decolla il 2 ottobre 1990 dall’aeroporto della città di Xiamen, con destinazione Canton. A bordo del velivolo ci sono 75 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio. Poco dopo il decollo, un ragazzo chiede di poter entrare in cabina di pilotaggio per omaggiare i piloti con un mazzo di fiori. I membri dell’equipaggio lo fanno entrare, credendo che l’uomo volesse fare un regalo ai piloti in occasione del Moon Festival, ovvero la Festa di metà autunno cinese.
Ma una volta entrato, l’uomo farà uscire tutti dalla cabina, eccetto il comandante, Cen Longyu, al quale il ragazzo ordina di dirottare il Boeing su Taipei, Taiwan. Il comandante non ascolta le minacce del dirottatore, che chiede di far esplodere l'aereo, e prosegue il volo verso l’aeroporto di Canton, nonostante l’uomo faccia di tutto per fargli cambiare idea. Le comunicazioni con i controllori di volo vengono perse, probabilmente per ordine del dirottatore, ma sono ristabilite dalla torre di controllo di Canton, che autorizza il comandante a far atterrare l’aereo in qualsiasi aeroporto all’interno della Repubblica popolare cinese.
Ma quando il comandante fa presente che l’aeroporto più vicino è quello di Hong Kong, e che non c’è abbastanza carburante per raggiungere Taiwan, il dirottatore non è d'accordo: sostiene di avere sul petto dell'esplosivo, e che è pronto a farsi saltare in aria con tutti i passeggeri, se l'aereo atterrasse a Hong Kong. Cen Longyu tenta di far ragionare il ragazzo, ma il carburante si sta esaurendo e finalmente l’uomo si persuade a far atterrare l’aereo a Canton. Ma purtroppo, pochi minuti prima di toccare terra, l’uomo riesce a impadronirsi dei comandi, impattando il suolo a una velocità troppo elevata.
Il volo Xiamen, lanciato a tutta velocità lungo la pista, si schianta contro un Boeing 707 della China Southwest Airlines, che aveva appena parcheggiato a lato della pista. Ma la folle corsa del volo 8301 non si arresta e il velivolo colpisce anche un altro aereo, un Boeing 757 della China Southern Airlines, in attesa di decollare. Il volo Xiamen Airlines 8301 termina la sua corsa capovolgendosi e prendendo fuoco, senza possibilità di scampo per i suoi passeggeri.
Le vittime
Dei tre aerei coinvolti nella sciagura, il volo dirottato fu quello con il maggior numero di vittime: 75 passeggeri, tra cui il dirottatore, e 7 membri dell'equipaggio persero la vita. Anche sul Boeing della China Southern Airlines si contarono parecchie vittime. Morirono i 46 passeggeri, mentre fortunatamente i 12 membri dell’equipaggio, che si trovavano in cabina di pilotaggio, ad ascoltare le comunicazioni riguardo al dirottamento del volo Xiamen, si salvarono per miracolo. Sul Boeing 707 della China Southwest Airlines, al momento dello scontro, si trovava solo il comandante, il quale riportò lievi contusioni.
Il dirottatore
L’uomo che dirottò il volo Xiamen Airlines 8301 e morì nell’incidente, si chiamava Jiang Xiaofeng, aveva 21 anni ed era ricercato dalla polizia cinese per furto. Il ragazzo, un agente di acquisto, aveva rubato l’equivalente di attuali 2000 euro sul lavoro e stava scappando a Taiwan per sfuggire alla prigione. Il 29 settembre 1990 si registrò in un hotel vicino alla città di Xiamen. Il 2 ottobre si imbarcò sul volo della Xiamen Airlines, con abiti neri, una valigetta nera e delle rose di plastica in mano.
Le indagini e le conseguenze della tragedia
Subito dopo l’incidente, l’allora primo ministro cinese Li Peng si recò a Canton per visitare il luogo della tragedia e i feriti in ospedale. Fu istituita una commissione investigativa, per indagare su cosa accadde di preciso sul volo 8301 e investigare sul dirottamento. Dalle registrazioni delle scatole nere del volo Xiamen si scoprì che l’attentatore aveva minacciato il comandante facendogli credere di avere dell’esplosivo legato al petto, sotto la giacca, che però non venne ritrovato con il corpo. Attorno alla tragedia si formò da subito una cortina di nebbia, che impedì di chiarire alcuni aspetti del dirottamento.
Un articolo del New York Times, scritto qualche giorno dopo l’accaduto, parlò di due attentatori, informazione poi smentita dalle autorità cinesi. L’articolo si interrogava anche sulle reali cause dell’esplosione del volo Xiamen, ovvero se l’aereo prese fuoco per la violenza dell’impatto con gli altri due aerei, o a causa dell’esplosivo che avrebbe avuto addosso Xiaofeng. Sempre secondo il New York Times, le autorità cinesi, durante il dirottamento, avevano fatto credere all’attentatore che l’aereo sarebbe atterrato in un aeroporto d’oltremare, invece che a Canton. Ma il capitano Cen Longyu, non è noto il motivo, diresse il velivolo verso l’aeroporto di destinazione, Canton.
Furono licenziati diversi impiegati dell’aeroporto e alcuni dipendenti della Xiamen Airlines, per le modalità con cui venne condotto il dirottamento. Dato che in Cina erano in corso i Giochi Asiatici di Pechino, furono rafforzate le misure di sicurezza negli aeroporti, per paura di altri attentati. Inoltre, affinché non si ripetessero più situazioni così gravi in caso di dirottamento aereo, venne stabilito che i piloti non venissero incoraggiati a interfacciarsi con i dirottatori. Tutti e tre gli aeroplani furono demoliti, a causa degli ingenti danni subiti.
La pista, la pioggia, l'errore: il dramma del volo Tam 3054. Il disastro aereo del volo Tam 3054 del 17 luglio 2007 causò 199 morti: una tragedia che sconvolse il Brasile. Massimo Balsamo il 2 Luglio 2023 su Il Giornale.
Il dramma del volo Tam 3054
Le indagini
La svolta
Il processo
Uno dei peggiori incidenti aerei della storia del Sud America, una tragedia che ha scosso un’intera nazione – il Brasile – tanto da spingere le autorità a firmare nuove leggi draconiane. Il dramma del volo Tam 3054 avvenne la sera del 17 luglio 2007 all'aeroporto internazionale di Congonhas: il volo di linea nazionale tra Porto Alegre e San Paolo del Brasile si schiantò contro un hangar dopo essere uscito di pista durante l'atterraggio e aver attraversato una strada. Bilancio terribile: 187 vittime tra passeggeri ed equipaggio dell’aereo e 12 morti tra le persone che si trovavano a terra.
Il dramma del volo Tam 3054
L’aeroporto internazionale di Congonhas a San Paolo è uno dei più particolari nonché trafficati al mondo. La sua struttura e la posizione di certe piste non consentono ai piloti in fase di atterraggio di commettere il minimo errore. La pista più temuta è la 35L, lunga meno di 2 mila metri – pochi per i grandi aerei – e costruita su una collina. Un aeroporto nel cuore della città, circondato da palazzi, uffici e strade: in altre parole, l’incubo di ogni pilota.
Il 17 luglio 2007 il volo Tam 3054 della Tam Airlines è in viaggio da Porto Alegre verso San Paolo: un volo di routine, complicato dalla pioggia battente. L’acquazzone spinge le autorità a chiudere la pista 35L e i piloti iniziano a preparare un’alternativa. A pochi chilometri da San Paolo però la pista entra nuovamente in funzione e non c’è motivo di cambiare rotta. Ma l’aereo ha una capacità di arresto inferiore al normale e il motivo è noto: uno dei due inversori di spinta non funziona. In vista dell’atterraggio, il comandante Henrique Stefanini Di Sacco disinserisce il pilota automatico e prende il comando per gestire l’atterraggio con la maggiore precisione possibile.
Una volta allineato con il centro della pista di Congonhas, l’aereo inizia la discesa. Toccata terra, iniziano le preoccupazioni: i piloti azionano l’unico inversore di spinta funzionante, ma il mezzo non rallenta. Non succede niente nemmeno azionando i freni a pedali: l’aereo è completamente fuori controllo e anziché frenare, vira a sinistra. L’epilogo è tragico: il volo Tam 3054 si schianta contro un edificio della Tam Airlines e un distributore adiacente. Si sviluppa un incendio incredibile: l’intero aereo è avvolto dalle fiamme e diverse persone restano bloccate all’interno della struttura. Alcuni sono messi in salvo, altri purtroppo no. Nel velivolo non ci sono superstiti: 187 morti, ai quali vanno aggiunti i 12 deceduti tra la stazione di servizio e l’edificio. Totale di 199 vittime, una sciagura che traumatizza un intero Paese.
Le indagini
Le indagini condotte dall'unità militare del Centro de Investigação e Prevenção de Acidentes Aeronáuticos (Cenipa) partono subito e l’attenzione è rivolta alla messa in sicurezza delle scatole nere. Una volta recuperate, vengono inviate a Washington per le analisi del caso. Gli investigatori guidati dal tenente colonnello Fernando Camargo visionano immediatamente le immagini delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto, ma l’incidente avviene fuori dall’inquadratura. Una stranezza emerge però con chiarezza: l’aereo sulla pista viaggia a una velocità inconsueta.
In attesa del responso delle scatole nere, gli inquirenti si soffermano sulla pista 35L e notano delle pozzanghere che non dovrebbero esserci per il rischio di acquaplaning. I documenti dell’aeroporto forniscono la spiegazione: la pista è stata ripavimentata un mese prima dell’incidente, senza però risolvere il problema. Mancano infatti le scanalature per fare defluire l’acqua piovana, un passaggio saltato nel corso dei lavori di rifacimento.
Nel frattempo arrivano i dati delle scatole nere: velocità buona, discesa ok, freni regolarmente azionati. Ma c’è un fattore che non torna: i due motori lavorano l’uno contro l’altro. Al momento della tragedia, il motore di destra accelera anziché rallentare. Esclusi eventuali guasti meccanici, resta un’unica risposta: i piloti hanno lasciato la leva del motore destro alzata anche dopo l’atterraggio sulla pista.
La svolta
Fernando Camargo e i suoi collaboratori rivolgono tutta l’attenzione sul registratore di cabina: il comandante del volo Tam 3054 manifesta preoccupazione per le condizioni della pista, eppure conosceva alla perfezione la procedura d’atterraggio. In base ai dati a disposizione, qualcosa non torna sullo spostamento delle leve di comando: anziché abbassare entrambe le leve, viene ridotto al minimo solo il motore sinistro, lasciando il motore destro a piena potenza.
Quando l’aereo atterra, il comandante azione solo l’inversore di sinistra, lasciando ancora il motore destro al massimo. Una dinamica difficile da comprendere, considerando l’esperienza del pilota. Una testimonianza però cambia tutto: il pilota ascoltato dagli inquirenti svela una vecchia procedura obsoleta per fare atterrare l’aereo con un unico inversore. Il comandante Stefanini però, anziché ridurre il motore destro al minimo, lo lascia alla massima potenza.
Ma perché ha utilizzato la vecchia procedura? Risposta semplice: per fermare l’aereo più velocemente e avere più spazio per atterrare. Ma tensione per il cattivo tempo e le difficoltà nell’atterraggio lo hanno spinto a un errore marchiano. Con l’aereo fuori controllo, i due piloti non sono riusciti a capire cosa stava succedendo. Una sciagura dunque causata dall’errore umano del comandante Stefanini, senza però sottovalutare le pessime condizioni metereologiche. Dopo l'incidente le autorità hanno immediatamente adottato alcune contromisure: piste obbligatoriamente dotate di un sistema di drenaggio, previsti più controlli e nuove normative per regolare le procedure di atterraggio sul bagnato. Novità anche per l'aeroporto di Congonhas, con la diminuzione di partenze e atterraggi giornalieri.
Il processo
Nel 2011 viene avviata un'indagine penale contro l'ex direttore dell'Agenzia nazionale per l'aviazione civile Denise Abreu, il direttore della sicurezza della Tam Marco Aurélio dos Santos de Miranda e il vicepresidente delle operazioni Tam Alberto Fajerman. Il processo inizia a San Paolo nel 2013: i pubblici ministeri chiedono 24 anni di reclusione per il reato di "attentato alla sicurezza del trasporto aereo". Nel maggio del 2015 il Tribunale federale assolve i tre imputati: per i giudici "non hanno agito con dolo". Famiglie e associazioni dedicate alle vittime dell'incidente del volo Tam 3054 continuano a invocare giustizia.
Volo Gol Transportes Aèreos, il Boeing che si scontrò con un jet e precipitò in Amazzonia. A settembre 2006 un Boeing e un jet si scontrarono in volo nei cieli brasiliani: il primo velivolo si schiantò nel fitto della foresta amazzonica, causando la morte di tutti i passeggeri. Mariangela Garofano il 14 Maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Lo scontro
Le ricerche del Boeing nella foresta amazzonica
Le indagini
Le divergenze sulle responsabilità dell’accaduto
Le cause civili e i processi penali
Manaus, Brasile, 29 settembre 2006. Il volo Gol Transportes Aéreos 1907 diretto a Rio de Janeiro sta sorvolando il Mato Grosso, quando all’improvviso si scontra con un Embraer Legacy 600, con 7 persone a bordo, precipitando nella foresta amazzonica. Nel violento impatto muoiono tutte le 154 persone a bordo del volo della Gol, mentre i passeggeri dell’altro velivolo si salvano per miracolo.
Lo scontro
Il 29 settembre 2006 il Boeing 737 della compagna-low cost brasiliana Gol Transportes Aéreos stava volando a 37000 piedi (11000 metri), quando, a metà tragitto tra Brasilia e Manaus, più precisamente all’altezza della città di Matupà, entrò in collisione quasi frontalmente con un jet Embraer Legacy 600, di proprietà della ExcelAire Service Inc.
Nel violento impatto il Boeing perse l’ala sinistra, precipitando inesorabilmente con i suoi passeggeri, mentre, miracolosamente, l'Embraer subì gravi danni allo stabilizzatore orizzontale e alla winglet di sinistra, ma non riportò vittime. I piloti del jet riuscirono con un enorme sforzo a effettuare un atterraggio d’emergenza all'Aeroporto militare di Cachimbo della Força Aérea Brasileira, a circa 160 chilometri dal punto in cui avvenne l’incidente.
Appena atterrati all’aeroporto di Cachimbo, i piloti dell’Embraer furono arrestati e interrogati da alcuni funzionari della Força Aérea Brasileira, riguardo alla tragedia appena accaduta. Una volta recuperate le scatole nere del jet, queste vennero immediatamente inviate dapprima a San Paolo, in Brasile e poi a Ottawa, in Canada, per essere analizzate.
Interrogati, i piloti statunitensi Joseph Lepore e Jean Paul Paladino dichiararono di essere stati autorizzati dal traffico aereo di Brasilia Atc a raggiungere il livello di volo 370, ovvero 37000 piedi, la stessa quota di volo del Boeing della Gol. I due piloti aggiunsero inoltre che il Sistema di Allerta del Traffico ed Elusione di Collisione, chiamato Tcas (Traffic Collision Avoidance System), non li aveva avvertiti della presenza del Boeing nella loro stessa direzione ma in verso opposto.
Mentre le squadre di soccorso lavoravano alacremente per rintracciare le vittime dei passeggeri del Boeing e le scatole nere nel fitto dell’Amazzonia, le autorità federali brasiliane trattennero Lepore e Paladino due mesi su suolo brasiliano, in attesa che le indagini giungessero a una conclusione.
Le ricerche del Boeing nella foresta amazzonica
Per le ricerche delle vittime del volo Gol Transportes Aéreos 1907, precipitato nella foresta pluviale, furono impiegati tre elicotteri, cinque aerei e 200 soccorritori via terra, ai quali si aggiunse un gruppo di indios Kayapò, per guidare i soccorritori all’interno della foresta amazzonica.
Il luogo dello schianto, un allevamento di bestiame nei pressi di Fazenda Jarinã, fu individuato il 30 settembre, sebbene i soccorritori ebbero notevoli difficoltà a raggiungerlo, essendo in piena giungla. Purtroppo, nonostante alcune voci riferirono che cinque passeggeri fossero ancora vivi, la notizia fu smentita e le vittime furono portate inizialmente in una base temporanea nella foresta, per essere identificate, e poi trasportate a Brasilia.
Le indagini
A indagare riguardo le cause e le responsabilità che portarono alla sciagura, vennero incaricati il Cenipa (Centro de Investigação e Prevenção de Acidentes Aeronáuticos) e l’Ntsb (National Transportation Safety Board). Dopo aver analizzato le scatole nere di entrambi i velivoli e ascoltato i piloti dell’Embraer e i controllori di volo, i funzionari analizzarono la trascrizione del piano di volo dei due aerei, per capire come due velivoli dotati dei più sofisticati e moderni sistemi anti-collisione, si fossero scontrati nei cieli.
Il piano di volo dell’Embraer prevedeva che il jet volasse a Fl370 (circa 3700 piedi) fino all’altezza di Brasilia, sull’aerovia Uw2. A quel punto, secondo il piano di volo, il velivolo sarebbe dovuto scendere a Fl360 lungo l’aerovia Uz6, per poi risalire nuovamente a Fl380. Il jet quindi si sarebbe dovuto trovare a Fl380 (38000 piedi) quando impattò contro il Boeing e non a Fl370. Come mai allora i due piloti dell’Embraer insistevano a ripetere che furono i controllori di volo ad autorizzarli a restare a Fl370 fino a Manaus? La trascrizione del piano di volo analizzata confermava la versione dei piloti: l’Embraer Legacy 600 era stato autorizzato a volare a Fl370 per tutto il tragitto. Da cosa dipese allora la tragedia che si verificò nei cieli sopra l’Amazzonia?
Le divergenze sulle responsabilità dell’accaduto
Il rapporto conclusivo dell’Ntsb, stilato il 2 maggio 2007, indicò come responsabile del disastro il Tcas del jet, che si disattivò, non permettendo all’equipaggio di accorgersi del Boeing in arrivo nel verso opposto. Dopo aver ascoltato il Cvr (Cockpit Voice Recorder), ovvero il registratore della cabina di pilotaggio, l'Ntbs affermò inoltre che i piloti non notarono il Tcas disattivato. “I risultati preliminari dell'inchiesta in corso - si legge sul rapporto - indicano che, per motivi ancora da determinare, il sistema di prevenzione delle collisioni Tcas del Legacy non era funzionante al momento dell'incidente, impedendo di rilevare e di essere rilevato dal possibile traffico in conflitto. Inoltre i dati del Cvr indicano che l'equipaggio di condotta non era a conoscenza che il Tcas non era funzionante”.
Due anni dopo l’incidente arrivò anche il rapporto del Cenipa, che pur concordando con quello dell’Ntsb, differiva nelle conclusioni. Il Cenipa infatti, attribuì parte delle responsabilità dell’incidente ai controllori di volo e ai piloti dell’Embraer. “Le prove raccolte durante l'inchiesta - recita il rapporto - sostengono con chiarezza che questo incidente è stato causato dai controllori di volo che hanno permesso che N600Xl e Glo1907 volassero in versi opposti ma alla stessa quota e nella stessa aerovia, avendo come risultato una collisione in volo. La perdita di efficacia del controllo del traffico aereo non è stato il risultato di un singolo errore ma una combinazione di numerosi fattori individuali e istituzionali dell'Atc. Ha contribuito a questo incidente, la non rilevata perdita di funzionalità del Tcas in seguito al disinserimento del transponder su N600Xl. Ha contribuito inoltre la comunicazione inadeguata tra Atc e i piloti di N600Xl”.
"Ha fatto il possibile": così si schiantò la Chapecoense
Le cause civili e i processi penali
Nonostante L'Ntsb non attribuì alcuna colpa ai piloti dell'Embraer, il rapporto del Cenipa pesò sulla decisione finale del giudice federale del Mato Grosso, Murilo Mendes. Alcuni parenti delle vittime del Boeing precipitato intentarono una causa contro ExcelAire, sostenendo che i piloti volavano a una "quota non corretta" e che il transponder di proprietà della Honeywell non era funzionante al momento della collisione. I piloti Joseph Lepore e Jean Paul Paladino furono incriminati per negligenza, per "aver messo in pericolo un aeromobile".
Nel 2011 Mendes condannò i piloti a quattro anni e quattro mesi di reclusione, commutati in servizi socialmente utili da svolgersi negli Stati Uniti. L'accusa mossa ai piloti fu di aver spento il transponder prima dello scontro e di averlo riacceso in seguito. Il giudice condannò anche il controllore del traffico aereo, il sergente Jomarcelo Fernandes dos Santos, a 14 mesi di carcere, con l'accusa di non aver fatto nulla quando si accorse che il sistema anti-collisione dell'Embraer si era disattivato. Anche l'operatore Lucivando Tiburcio de Alencar fu condannato a tre anni e tre mesi, commutati in seguito in servizi socialmente utili.
Una torcia volante: lo schianto del Nigeria Airways 2120 tra gli errori umani. 247 passeggeri e 14 membri dell’equipaggio: questo il tragico bilancio del volo Nigeria Airways 2120, schiantatosi l’11 luglio 1991 nel deserto saudita. Massimo Balsamo il 30 Aprile 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il dramma del volo Nigeria Airways 2120
Le indagini
La svolta
Le conseguenze
Sono trascorsi decenni dalla tragedia del volo Nigeria Airways 2120, volo charter da Gedda (Arabia Saudita) a Sokoto (Nigeria), schiantatosi nel deserto saudita, provocando la morte di tutti i 247 passeggeri e 14 membri dell’equipaggio a bordo. Nessun sopravvissuto. Un’illogica serie di guasti, comandi fuori uso, seguita da un incendio tale da trasformare l’aereo in una torcia. Un dramma causato da una serie di errori umani, molti dei quali figli dell’inadeguatezza.
Il dramma del volo Nigeria Airways 2120
La Mecca, Arabia Saudita, la città più sacra dell’Islam. Solo i musulmani possono accedervi e durante l’annuale pellegrinaggio milioni e milioni di fedeli raggiungono la città. Il hajj costituisce il quinto pilastro della religione e va obbligatoriamente compiuto nel mese lunare di Dhu I-Hijja, ultimo mese dell’anno islamico. L'11 luglio 1991 un gruppo di oltre duecento nigeriani ha appena terminato il viaggio di devozione e si appresta a tornare a casa: 247 passeggeri si imbarcano su un Douglas DC-8-61 dirotto a Sokoto, volo operato dalla compagnia canadese Nationair.
Come evidenziato dagli esperti di Mayday, il DC-8 è un mezzo importante per la compagnia, affidabile e duraturo. In altri termini un aereo di successo che opera in tutto il mondo. Il comandante è il 47enne William Allan, ex pilota dell’aeronautica canadese con oltre di 20 anni di esperienza di volo, mentre il primo ufficiale è il 36enne Kent Davidge, oltre 8 mila ore di volo. Victor Fehr è invece il motorista.
L’aereo parte poco prima delle 8.30 e già durante la corsa per il decollo accade qualcosa di strano. La cabina avverte infatti un forte rumore, una strana vibrazione. Ma dagli strumenti non emerge alcuna anomalia. Meno di due minuti dopo il decollo si accendono quattro spie. La pressione è bassa. La situazione precipita nel giro di pochi istanti.
Nella torre di controllo regna il caos: il volo Nigeria Airways 2120 non è l’unico a riportare il malfunzionamento. Il controllore inizia a fare confusione tra due aerei - il volo Nigeria Airways 2120 e un altro volo, della Saudi Arabian Airlines, anche quest'ultimo con problemi di pressurizzazione ma marginali - dando indicazioni contraddittorie se non sbagliate. Nella cabina di comando la tensione comincia a salire: il sistema idraulico inizia a cedere. Considerata la fase delicata, il comandante decide di tornare a Gedda, ma serve un’ampia virata per riallinearsi con la pista.
Lo scenario cambia, evolve nel giro di pochi e fondamentali secondi. Una hostess avverte odore di fumo, mentre i piloti devono fare i conti con la rottura dell’aereotreno e con l’accensione della spia dei flap. Il fumo si fa sempre più denso sul retro del velivolo. Nel frattempo la torre di controllo continua a fare confusione tra i due aerei, fornendo ulteriori indicazioni contrastanti. Poco dopo smettono di funzionare anche gli alettoni e il tragico quadro appare nella sua spietatezza: c’è un vasto incendio a bordo.
La torre di controllo si rende conto della situazione e ordina l’immediata virata per tornare a Gedda. Le fiamme divorano il mezzo, i corpi iniziano a cadere dalla fusoliera, controllare il DC-8 – trasformatosi in una torcia volante – è sempre più difficile. Il comandante Allan ordina di tirare giù i carrelli, ma non basta. Il volo Nigeria Airways 2120 si schianta nel deserto saudita.
Le indagini
Rottami bruciati, pezzi sparsi per chilometri: del DC-8 rimane poco, quasi nulla. Come ipotizzato sin da subito, nessun sopravvissuto: morti tutti i 261 a bordo tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Le indagini partono subito con il contributo di un team di investigatori canadesi. Le difficoltà sono palesi: nessun pezzo dell’aereo è identificabile, la strada è in salita.
La prima missione della squadra guidata da Ron Coleman è quella di cercare indizi per risalire al punto d’origine dell’incendio fatale al volo Nigeria Airways 2120. I rottami della parte anteriore del DC-8 evidenziano segni minori, mentre quelli più danneggiati sono legati alla fusoliera. Una prova importante: l’incendio potrebbe aver avuto origine dalla sezione centrale. Ma la causa del rogo resta ancora un mistero difficile da svelare. Il team canadese fa poi un’altra importante scoperta, questa volta legata ai carrelli: uno dei cerchioni mostra dei graffi, le ruote potrebbero avere avuto un ruolo nel tragico incidente. Ma non è tutto: la svolta arriva grazie a un evento del tutto casuale.
La svolta
Uno degli investigatori raccolse un pezzo di carta che svolazzava sul luogo dell’incidente, una pagina della lista di controllo in cui era stata annotata la pressione delle gomme. I dati segnalavano una pressione normale, ma c’era un dettaglio che non tornava: due diversi colori di inchiostro, con una seconda voce scritta sulla prima. I numeri erano stati cambiati? La risposta poteva arrivare da un’analisi approfondita, per questo il documento venne inviato alla polizia canadese.
Il registratore di cabina confermò che il team di piloti sospettava lo scoppio di una gomma a causa di uno strano rumore avvertito prima di prendere quota. Non solo: secondo gli esperti, la confusione tra torre di controllo e aereo non ha contribuito al disastro. Il volo Nigeria Airways 2120 si è schiantato per altri motivi, ancora tutti da accertare.
La risposta giunse quindi dalle analisi svolte sul registro di manutenzione: i valori della pressione delle gomme erano stati sovrascritti. I valori originali erano inferiori a quelli richiesti per manovrare l’aereo in sicurezza. E c’era di più: quattro giorni prima della tragedia, nel corso di uno scalo in Ghana, i meccanici volevano cambiare gli pneumatici. Una sostituzione fermata dal project manager – privo della formazione pertinente per prendere una decisione consapevole – per evitare ritardi sulla tabella di marcia.
Le dimensioni dell’aeroporto di Gedda-Re Abd al-Aziz e le temperature estreme del deserto hanno contribuito allo scoppio degli pneumatici, questa l’analisi della squadra capitanata da Coleman. Toccando la pista, il cerchione era diventato incandescente e, tirando su il carrello post-decollo, l’incendio si era propagato a bordo. L’assenza di rilevatori di fumo o di calore a completare il quadro.
Le conseguenze
Lo schianto del volo Nigeria Airways ha rappresentato l’inizio della fine per la compagnia Nationair, dichiarata fallita nel maggio del 1993. Sul groppone anche debiti per 75 milioni di dollari canadesi. Dopo questo incidente sensori di fumo, fuoco e temperatura nei vani carrelli sono diventati obbligatori in tutti i moderni aerei. Per gli equipaggi è stato introdotto l'obbligo di addestrarsi a gonfiare correttamente gli pneumatici.
Venezuela, che fine hanno fatto i passeggeri del volo Transaven? A gennaio 2008 un aereo della compagnia venezuelana Transaven scompare nei cieli sopra l'arcipelago di Los Roques, in Venezuela, con a bordo 14 persone. L'aereo verrà ritrovato anni dopo, sui fondali del Mar dei Caraibi, ma dei suoi occupanti non si saprà più nulla. Mariangela Garofano il 9 Luglio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La misteriosa scomparsa del volo Transaven e dei suoi passeggeri
Le ricerche e le indagini
Il ritrovamento del relitto e gli altri aerei svaniti a Los Roques
È il 4 gennaio 2008. Da Caracas decolla un turboelica della compagnia Transaven, diretto a Los Roques, arcipelago venezuelano situato nel Mar dei Caraibi. A bordo del velivolo ci sono 14 persone, compreso l’equipaggio. Ma dopo 25 minuti l’aereo scomparirà nell’Oceano Atlantico, portando con sé i suoi passeggeri, tra i quali 8 italiani, che non saranno mai ritrovati.
La misteriosa scomparsa del volo Transaven e dei suoi passeggeri
Il bimotore turboelica Let 410 della compagnia Transaven diretto nel noto arcipelago di Los Roques, uno dei gioielli dei Caraibi, decolla da Caracas alle 9.10 del 4 gennaio 2008. A bordo dell’aereo ci sono 8 italiani tra i passeggeri: Stefano Fragione e Fabiola Napoli hanno scelto Gran Roque, l’isola maggiore della paradisiaca Los Roques, come meta per la loro luna di miele. Sull'aereo ci sono anche una famiglia di Ponzano Veneto, Paolo Durante, la moglie Bruna Guernieri e le loro figlie Sofia ed Emma. E poi le bolognesi Annalisa Montanari e Rita Calanni, oltre a tre cittadini venezuelani e un turista svizzero.
Alle 9.23 il pilota Esteban Lahoud Bessil Acosta si mette in contatto con la torre di controllo di Maiquetia per comunicare la posizione del velivolo. Ma alle 9.38 Acosta contatterà i controllori di volo di Los Roques, lanciando un mayday: il jet ha dei problemi ai motori e bisogna tentare un ammaraggio. Il bimotore si trova a circa 30 chilometri da Los Roques, a 2.500 metri di altezza. Da quel momento in poi si interromperà ogni comunicazione e l’aereo scomparirà dai radar.
Le ricerche e le indagini
Circa mezz’ora dopo il mayday del Transaven, un altro bimotore uguale a quello scomparso viene inviato sul luogo del presunto ammaraggio del velivolo diretto a Los Roques, ma noterà solo quella che sembra una chiazza d’olio o combustibile sulla superficie dell’acqua. Anche i soccorsi inviati sul posto non troveranno alcuna traccia del velivolo né dei suoi occupanti. Qualche giorno dopo la scomparsa del bimotore, un elicottero avvista degli oggetti in mare nei pressi del presunto luogo dell’ammaraggio, ma non hanno nulla a che fare con il velivolo scomparso.
Passano i giorni e si iniziano ormai a perdere le speranze di ritrovare i passeggeri del volo Transaven, che le autorità danno ormai per dispersi. Accadono poi alcune vicende decisamente bizzarre: come riporta il sito del giornalista Fabrizio Colarieti, la compagnia telefonica Movistar rende noto che 8 ore dopo l’ultimo contatto radio del bimotore, è partita una chiamata dal cellulare di uno dei passeggeri del volo. Ma non è tutto: 24 ore dopo la scomparsa del Transaven, i genitori di Annalisa Montanari chiamano il cellulare della figlia. Per due volte il telefono appare spento e si attiva la segreteria telefonica, ma al terzo tentativo il cellulare suona. Anche la madre del pilota riferisce un altro fatto inquietante, ovvero di aver ricevuto una chiamata dal telefono del figlio, a 24 ore dalla tragedia.
Poi, il 12 gennaio, a 12 chilometri dalle coste venezuelane, la prima, amara scoperta. Le autorità di soccorso trovano il corpo senza vita del co-pilota, Osmel Alfredo Avila Otamend, riconosciuto grazie alle impronte dentarie e a un orologio. Ma quello di Otamend sarà purtroppo l’unico corpo che l’oceano restituirà ai familiari, perché degli altri passeggeri e dei rottami dell’aereo, non vi è traccia. Da allora i passeggeri non saranno mai più ritrovati e la domanda che assilla i familiari è la stessa da anni: "Dove sono finiti i nostri cari?". Secondo gli inquirenti, che per anni si sono occupati non solo del caso del Transaven, ma anche degli altri aerei scomparsi in quell'area, la teoria più attendibile è che il bimotore sia stato dirottato dai narcos colombiani, i quali lo avrebbero utilizzato per trasportare una partita di cocaina.
Dopo anni di ricerche da parte del governo venezuelano, coordinate con quello italiano, e indagini private, intraprese da parte dei familiari delle vittime dell’incidente di Los Roques, il 20 giugno 2013 viene finalmente rinvenuto il relitto del bimotore della Transaven, a 970 metri di profondità. L’aereo, recuperato dalla nave oceanografica americana Sea Scout, si trovava a 9 chilometri da Los Roques, ma i suoi passeggeri risultano ancora svaniti nel nulla.
La misteriosa vicenda del volo Transaven non è un caso isolato: sono circa settanta gli aeromobili spariti nella tratta venezuelana per il paradiso caraibico di Los Roques, ultimo tra tutti il volo sul quale viaggiava Vittorio Missoni con la moglie Maurizia e una coppia di amici, i cui resti sono stati ritrovati 10 mesi dopo. Tornando indietro nel tempo, altri italiani sono rimasti vittime della "maledizione" del Triangolo delle Bermuda venezuelano. Nel 1997 un Cessna con a bordo i coniugi Mario Parolo e Teresa de Bellis, scompare mentre sta sorvolando la tratta per Los Roques e nel 2004 perdono la vita sempre nell'arcipelago venezuelano Antonio Buzzi, il genero Franco Rosetta e le figlie, Barbara e Betty Buzzi. E ancora nel 2006 svanisce nel nulla un altro Cessna, sul quale viaggiavano Vincenzo Efrain Rotunno, Franco Efrain Rotunno e Gabriel Venturi Ariza. Il mistero degli incidenti di Los Roques continua.
La tempesta e gli errori: lo schianto del West Caribbean Airways 708. Il volo West Caribbean Airways 708 è il peggior incidente aereo della storia del Venezuela con un tragico bilancio di vittime stimato in 152 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio. Massimo Balsamo il 23 Aprile 2023 su Il Giornale
Tabella dei contenuti
Il dramma del West Caribbean Airways 708
Le indagini
La svolta
Le conseguenze
Le indagini per ricostruire l’esatta dinamica di un incidente aereo sono spesso complicate, tra la difficoltà a recuperare indizi e le pressioni dei governi nazionali. L’inchiesta per la tragedia del volo West Caribbean Airways 708 è stata una delle più delicate del nuovo secolo, con ben quattro Paesi coinvolti.
Il volo charter della West Caribbean Airways si schiantò nelle prime ore di martedì 16 agosto 2005 in una regione montuosa nel nord-ovest del Venezuela, al confine con la Colombia. Bilancio tragico: morti gli 8 membri dell’equipaggio e i 152 passeggeri, tutti cittadini francesi della Martinica a eccezione di un tour operator italiano. Una sciagura avvenuta per il concatenarsi di numerosi fattori e che ha collezionato diversi tristi record: è il peggior incidente aereo della storia del Venezuela e con il coinvolgimento di un McDonnell Douglas MD-82.
Il dramma del West Caribbean Airways 708
Noleggiato dall'agenzia di viaggi martinicana Globe Trotters de Rivière Salée per una comitiva di turisti di ritorno da una gita al canale di Panama, il volo West Caribbean Airways 708 inizia l’imbarco con due ore di ritardo e deve fare i conti con l’overbooking, tanto da spingere due hostess a restare a Panama per la mancanza di spazio a bordo. Dopo la trafila del caso, il comandante Omar Ospina e il primo ufficiale David Munoz chiedono l’autorizzazione per il decollo alla torre di controllo: l’aereo parte per la Martinica all’1 di notte.
Dopo circa trenta minuti di volo a 9450 metri, le condizioni climatiche peggiorano. I piloti devono fare i conti con un uragano di bassa intensità proveniente dall’Atlantico. Ospina e Munoz chiedono una deviazione dalla rotta iniziale per le condizioni climatiche poco favorevoli, per poi salire a quota 10 mila metri. Emerge però un problema: il comandante si accorge che i motori non sembrano rispondere ai comandi. Ciononostante entrambi i piloti non sembrano molto preoccupati.
Con il passare dei minuti, la tempesta si intensifica e Munoz decide di accendere lo strumento antighiaccio. La turbolenza peggiora esponenzialmente e c’è un problema non di poco conto: la torre di controllo venezuelana non può contare sul radar e ogni comunicazione è legata indissolubilmente alle coordinate comunicate dai piloti. Data la situazione, il comandante disattiva il pilota automatico e l’aereo inizia a scendere a 9450 metri. La gestione però precipita: scatta l’allarme della barra di comando, la velocità si abbassa improvvisamente ed entra in stallo. Il volo West Caribbean Airways 708 perde quota velocemente e l’aereo è fuori controllo, fino a schiantarsi al suolo in un terreno isolato.
Le indagini
Sul luogo dell’incidente arrivano i sanitari, ma non c’è niente da fare: tutti e 160 gli occupanti del volo West Caribbean Airways 708 sono morti sul colpo. Uno scenario di devastazione, una tragedia che colpisce contemporaneamente il Venezuela, la Colombia, la Martinica e la Francia. Le indagini sono affidate al colonnello Lorllys Ramos, alle prese con una sfida piuttosto delicata: ricostruire la dinamica di una sciagura che vede protagonista uno dei jet più affidabili al mondo. Una responsabilità enorme, considerando le pressioni delle autorità per scoprire la verità nel minor tempo possibile.
Dopo aver escluso l’ipotesi di esplosioni o collisioni in aria – l’aereo è intatto, presenti tutti e quattro gli angoli del mezzo – gli investigatori accendono immediatamente sulla presunta perdita di potenza dei motori del West Caribbean Airways 708. La dinamica viene segnalata immediatamente dal controllore di volo e l’incarico viene affidato a Joseph Sedor dell’Ntsb (National Transportation Safety Board). Una delle prime tesi scartate è legata alle possibili contaminazioni nel carburante: i risultati sul test delle autocisterne che hanno riempito i serbatoi dell’aereo a Panama sono tutti negativi.
La tempesta, la stanchezza, le teorie alternative: così morirono in 90 sul volo
Le autorità recuperano le scatole nere e le inviano in Francia per le analisi del caso. Nel frattempo si cercano risposte sul funzionamento dei motori e viene a galla un dettaglio importante: entrambi i motori mostrano segni di una rotazione rapida al momento dell’impatto. In altre parole, la potenza non era molto elevata e le condizioni erano ottime: non si è mai verificata alcuna perdita, a differenza di quanto comunicato dalla cabina di comando prima dello schianto.
L’analisi delle scatole nere forniscono importanti risposte. La conversazione tra Ospina e Munoz rivela che l’aereo era entrato in stallo, un fatto insolito ad altitudini così elevate. La squadra guidata da Lorllys Ramos spera di rintracciare ulteriori indizi dal registratore di volo, ma ecco l’intoppo: molti dati sono inutilizzabili, a partire da quelli fondamentali come posizione dell’equilibratore e i parametri della pressione dei motori. L’Ntsb americano si offre di aiutare gli investigatori tramite sofisticati software per recuperare più dati possibili sui motori, una svolta per le indagini.
La svolta
Dopo aver escluso ulteriori tesi, gli investigatori provano a fare chiarezza sullo stallo del West Caribbean Airways 708 e ci riescono. Quando è acceso, il dispositivo antighiaccio prende energia dai motori e riduce la potenza della spinta, andando a intaccare le prestazioni dell’aereo a seconda di peso e altitudine. L’MD-82 volava perfettamente a 10 mila metri con l’antighiaccio spento, ma con il dispositivo acceso poteva volare solo fino a 9700 metri. In altri termini, i piloti colombiani avevano raggiunto un’altitudine troppo elevata per peso e condizioni climatiche. Con l’accensione dell’antighiaccio, la velocità aerodinamica ha iniziato a diminuire, riducendo la spinta dei motori.
Ma perché Ospina e Munoz non si sono accorti di nulla? In quel frangente era attivo il pilota automatico, che però non ha impedito all’aereo di andare in stallo. Le autorità scovano un documento risalente al 2002, in cui il costruttore dell’MD-82 descriveva un altro incidente avvenuto con il pilota automatico, raccomandando agli equipaggi di controllare la velocità nel caso lo avessero inserito per mantenere l’altitudine. Né Ospina né Munoz erano a conoscenza della reale causa del malfunzionamento. Inoltre l’analisi delle registrazioni conferma importanti difficoltà di comunicazione tra i due piloti. Il rapporto ufficiale conclude che il licello di consapevolezza situazionale era insufficiente in entrambi i piloti. Ma non è tutto.
Gli investigatori mettono nel mirino la compagnia aerea e scoprono una situazione finanziaria disastrosa. I membri dell’equipaggio non percepivano lo stipendio da quasi sei mesi, una condizione causa di stress ai piloti e agli altri addetti ai lavori. In particolare, il comandante Ospina aveva iniziato a fare un secondo lavoro in nero per poter affrontare le spese familiari.
Le conseguenze
Il dramma del West Caribbean Airways 708 spinge le autorità a stilare un lungo elenco di raccomandazione per fare sì che tragedie simili non si ripetano. Riflettori accesi sul miglioramento dell’addestramento dei piloti, in particolare sulla consapevolezza dell’uso del pilota automatico in un MD-82, e su misure di sicurezza ancora più efficaci. La sciagura in terra venezuelana pone inoltre fine all’esistenza della compagnia aerea, naufragata in una bancarotta.
Il disastro dell'aereo TransAsia 235: prima sfiora il taxi, poi s'inabissa nel fiume. Il volo TransAsia 235 decollò da Taipei nel febbraio 2015 con 58 persone a bordo. Ma dopo il decollo uno dei motori si spense, facendo precipitare il velivolo in un fiume, dopo aver urtato un taxi. Mariangela Garofano il 16 Aprile 2023 su Il Giornale
Tabella dei contenuti
La dinamica dell’incidente
Le indagini e le cause dello schianto
È il 4 febbraio 2015 e dall’aeroporto di Taipei, Taiwan, decolla il volo domestico TransAsia Airways 235, diretto a Kinmen, con 53 passeggeri e 5 membri dell'equipaggio a bordo. Il velivolo precipita subito dopo essere decollato nel fiume Keelung, a Taipei, uccidendo 43 persone. L’incidente del volo TransAsia 235 è il secondo in pochi mesi accaduto a un velivolo della compagnia taiwanese. Sette mesi prima infatti il volo TransAsia 222 era precipitato nel centro di un paese, uccidendo 48 delle 58 persone a bordo e distruggendo diverse abitazioni.
La dinamica dell’incidente
L’aereo del volo 235, un turboelica Atr 72-600 della compagnia taiwanese TransAsia, decolla il 4 febbraio 2015 alle 10.53 ora locale, dall’aeroporto Songshan di Taipei. La destinazione prevista per i 53 passeggeri è Kinmen, una località nello Stato di Taiwan. L’Atr è praticamente nuovo: ha volato per la prima volta appena un anno prima ed è stato consegnato alla TransAsia subito dopo il battesimo dell'aria, il 15 aprile 2014. Ma dopo soli trentasette secondi dal decollo del volo 235, il comandante Liao Chien-tsung lancia un mayday per segnalare alla torre di controllo lo spegnimento di uno dei motori.
Il velivolo sale fino a 1630 piedi (500 metri), quando il comandante, Liao Chien-tsung e il copilota, Liu Tze-chung, commettono l’errore di spegnere anche il motore numero 1, facendo precipitare inesorabilmente il velivolo, che si schianta nel fiume Kinmen, vicino al viadotto di Huandong.
Prima di inabissarsi in acqua, l’Atr colpisce con l’ala sinistra un taxi in transito sul viadotto, ferendo il conducente e il cliente a bordo. L’impatto uccide 43 delle 58 persone presenti sull'aereo, quasi tutte sedute nella parte anteriore del velivolo, mentre 15 fortunatamente si salvano.
Subito dopo l'incidente la polizia e i vigili del fuoco di Taipei riceveranno decine e decine di chiamate da persone che avevano assistito allo schianto, avvenuto in una zona centrale della città. I soccorsi arrivano dopo pochi minuti dall'incidente e i soccorritori riescono a mettere in salvo i sopravvissuti nel giro di 35 minuti. Anche le scatole nere vengono recuperate quella stessa sera, permettendo alle autorità di mettersi subito al lavoro, per scoprire cosa aveva provocato la sciagura.
Le indagini e le cause dello schianto
Le indagini sul disastro del volo TransAsia 235 vengono condotte dalla Aviation Safety Council di Taiwan (Asc), affiancata dal French Bureau of Enquiry and Analysis for Civil Aviation Safety (Bea), e dal Transportation Safety Board of Canada, le quali rappresentano i Paesi di produzione dell'Atr. Lo schianto, tragico quanto spettacolare, viene ripreso dalle dashcam di alcune automobili, che in quel momento transitavano lungo il viadotto. Una volta recuperate le scatole nere, gli investigatori rilevano che i piloti avevano lanciato un mayday per problemi al motore numero 2, appena decollati.
La causa principale della tragedia viene riscontrata in un problema a un sensore posto sul motore destro, il quale avrebbe inviato dati errati al ricevitore, a causa di un saldatura difettosa, mandando così il motore in avaria. Secondo la ricostruzione dell’incidente, una volta attivatasi la spia del motore destro a segnalare l’avaria, i piloti non seguirono la check-list corretta. "Mayday, mayday", comunicò alla torre di controllo il comandante, secondo le registrazioni, "motore in arresto".
A quel punto Il comandante disattivò il pilota automatico, assumendo i comandi manuali e, si presume per errore, diminuì la potenza del motore sinistro. Quando si accorse dello sbaglio commesso, Liao Chien-Lung provò in ogni modo a riavviare il motore sinistro, ma era troppo tardi. L’aereo era ormai in stallo e precipiterà dopo una manciata di secondi.
Lo yatch fantasma alla deriva senza equipaggio: ancora nessuna verità
Le autorità stabiliscono che neanche il copilota seguì la procedura standard, per venire in aiuto al comandante, che era andato in evidente confusione. L’Asc scopre inoltre che Chien-Lung non aveva passato un test al simulatore a maggio 2014, in parte a causa della sua scarsa preparazione su come comportarsi in caso di avaria a uno dei motori di un aereo. Tuttavia il pilota superò il test al secondo tentativo, il mese successivo.
A seguito della sciagura del volo 235, la compagnia TransAsia nei giorni seguenti all'incidente cancellò più di 100 voli e sospese i piloti che non avevano passato il test denominato "engine out", ovvero la procedura da adottare in caso di avaria di uno dei motori dell'aeroplano. Anche Il governo di Taiwan prese provvedimenti dopo l'incidente, ordinando alla TransAsia di "rivedere i protocolli di sicurezza". La compagnia aerea offrì a ogni famiglia delle vittime 475.000 dollari americani, sommati ai 44.000 già erogati, che non tutti i parenti accettarono. La compagnia TransAsia cessò la sua attività e chiuderà i battenti a novembre 2016.
British Airways 5390, così il pilota risucchiato fuori dal finestrino si salvò grazie allo steward. Il 10 maggio 1990 sul volo decollato da Birmingham e diretto a Malaga accadde qualcosa di spaventoso. Il parabrezza della cabina di pilotaggio andò in frantumi e il comandante fu trascinato fuori dal velivolo, restando illeso. Mariangela Garofano il 2 Aprile 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il decollo e l'esplosione del parabrezza
Le indagini
Era il 10 maggio 1990 e dall’aeroporto di Birmingham decollò il volo British Airways 5390, con destinazione Malaga. Il decollo avvenne senza problemi, ma di lì a poco su quell’aereo accadde qualcosa di incredibile: una parte del parabrezza della cabina di pilotaggio esplose, spingendo il comandante Tim Lancaster fuori dall’aereo con tutto il busto. Fortunatamente la forza dell’aria esterna lo tenne incollato al muso del velivolo, mentre gli altri membri dell'equipaggio si cimentarono in una lotta contro il tempo per trattenere Lancaster all’interno ed effettuare un atterraggio d’emergenza nell’aeroporto più vicino.
Il decollo e l'esplosione del parabrezza
Erano precisamente le 7.20 di mattina del 10 giugno 1990, quando il Bac One-Eleven, bireattore monoplano ad ala bassa dell'azienda britannica British Aircraft Corporation, decollò da Birmingham. Il volo, diretto a Malaga, con a bordo 81 passeggeri, era pilotato dal comandante Tim Lancaster e dal primo ufficiale Alastair Atchison. Una volta effettuato il decollo senza problemi, Atchinson cedette il controllo del velivolo a Lancaster per fare colazione. E fu proprio mentre una delle assistenti di volo sta servendo i pasti, che si verificò uno degli incidenti più insoliti della storia dell’aviazione.
Il Bac raggiunse quota 17.300 piedi (5.300 metri), quando dalla cabina di pilotaggio si sentì il fragore di un’esplosione. Il parabrezza di sinistra si frantumò e Lancaster, che era seduto proprio di fianco al vetro rotto, venne risucchiato fuori con il busto e la testa. La forza dell’aria lo tenne incollato al muso dell’aereo, mentre le gambe erano dentro la cabina.
L’esplosione fece accorrere immediatamente lo steward Nigel Ogden, il quale, dopo essersi allacciato la cintura di sicurezza del comandante, lo afferrò per le gambe, mentre Atchinson contattò la torre di controllo, spiegando di dover effettuare un atterraggio d’emergenza il prima possibile. Senza attendere la risposta dei controllori di volo, a causa del rumore assordante causato dal vento, il copilota si infilò la maschera d’ossigeno, inserì il pilota automatico e iniziò la discesa per mettere in salvo il collega e tutto il velivolo.
Lancaster cercò di resistere, tenuto stretto da Odgen, il quale a un certo punto iniziò a soffrire di un principio di congelamento dovuto all’aria gelida e venne prontamente sostituito da un altro steward, John Heward. “Tim era stato risucchiato fuori dal finestrino - ha raccontato Odgen al Sunday Morning Herald nel 2005 - quello che riuscivo a vedere da dentro erano solo le sue gambe. Mi sono precipitato ad afferrargli la vita, per evitare che venisse portato via completamente”.
Odgen raccontò di quei 20 minuti di terrore indescrivibile, in cui insieme ai colleghi riuscì però a mantenere la mente lucida e a salvare il comandante, che ormai stava perdendo conoscenza: “Tutto era stato trascinato fuori e sebbene tenessi Tim saldamente, ormai sentivo di non farcela più. John mi afferrò per i pantaloni, per evitare che venissi sbalzato fuori e mi infilò un'altra cintura di sicurezza intorno ad un braccio. Per fortuna Alistair [Atchinson] aveva ancora la cintura allacciata, altrimenti sarebbe volato via”.
Alle 7.55 l’aereo venne finalmente autorizzato ad atterrare all’aeroporto di Southampton, dove Lancaster fu soccorso e i passeggeri evacuati. Ricoverato al Southampton General Hospital, al comandante Tim Lancaster vennero riscontrate diverse contusioni, una frattura al pollice, una a un braccio e a un polso, danni da congelamento e stato di shock. Anche Nigel Odgen riportò alcune ferite: una spalla lussata, e un principio da assideramento a un occhio e al viso. Entrambi erano stati a contatto con l’aria gelida, la cui velocità sfiorava gli 800 chilometri all'ora e i meno 17 gradi centigradi.
La "maledizione" dei Lynyrd Skynyrd: quel volo che decimò la band
Le indagini
A occuparsi delle indagini riguardo a cosa avesse causato l’esplosione del finestrino del volo British Airways 5390 furono i funzionari dell'Air Accident Investigation Branch (Aaib), i quali rilevarono che il parabrezza andato in frantumi era stato montato solo 27 ore prima del volo. La procedura di montaggio era stata approvata dal responsabile della manutenzione, che venne in seguito accusato di aver lasciato che fossero installati ben 84 bulloni di fissaggio più piccoli di diametro di 0,66 millimetri e 6 più corti di 0,25 millimetri. Ma non è tutto: le autorità scoprirono che anche il parabrezza precedente era stato montato utilizzando bulloni errati.
Anche alla British Airways venne imputata una parte di responsabilità nella tragedia sfiorata, per non aver fatto visionare l'importante procedura del cambio del vetro a un secondo responsabile. Infine la direzione della gestione aeroportuale di Birmingham fu incolpata di non aver monitorato il responsabile della manutenzione della British Airways. Dopo soli sei mesi dalla brutta avventura vissuta a bordo del volo 5390, il comandante Tim Lancaster tornò a volare, mentre Nigel Odgen si dimise nel 2001 a causa del trauma dovuto all'incidente.
Non c'è carburante: e l'aereo scompare nel nulla sopra l'isola di Terranova. A settembre 1990 un aereo della compagnia peruviana Faucett Perù, dato in prestito ad Air Malta per la stagione estiva, scompare dai radar con 16 passeggeri, mentre sorvola l'isola di Terranova. Mariangela Garofano il 26 Marzo 2023 su Il Giornale
Tabella dei contenuti
La dinamica dell’incidente
Le ricerche e la scomparsa dell’aereo
Le indagini
11 settembre 1990. Un aereo della compagnia peruviana Faucett Perù scomparve nei pressi dell’isola di Terranova, nell’Oceano Atlantico, con a bordo 16 persone e non venne mai più ritrovato. Secondo le ricostruzioni dell’incidente, dal velivolo era partito un messaggio di soccorso, in cui i piloti comunicavano di aver esaurito il carburante e che sarebbero stati costretti ad ammarare.
La dinamica dell’incidente
Quell’11 settembre 1990 il Boeing 727-247 della compagnia Faucett Perù, noleggiato da Air Malta per la stagione estiva, stava rientrando in Perù dall’isola del Mediterraneo. A bordo del velivolo, che portava ancora i colori della livrea di Air Malta, c'erano sei membri dell’equipaggio e dieci passeggeri, tra dipendenti e i loro familiari, di rientro a casa. Ai comandi del Boeing quello sfortunato giorno c'erano i piloti Eduardo Dongo, Alfredo Saavedra, il primo ufficiale Varela e l'ingegnere di volo Ramirez. Dato il lungo volo che avrebbe dovuto affrontare, il Boeing effettuò alcune fermate intermedie prima di arrivare a Lima: Milano Malpensa, Keflavik in Islanda, Gander sull’isola canadese di Terranova, e Miami, in Florida.
Dopo il decollo dall’aeroporto islandese di Keflavik, l’aereo era in volo verso Gander, dove sarebbe dovuto atterrare per le 13.16, ora locale. Ma il Faucett Perù 727 non arrivò mai nell’aeroporto canadese e le sue tracce si persero nei cieli canadesi. L’unica comunicazione inviata dal Boeing venne intercettata dal volo Twa 851 e dal volo American Airlines 35, che stavano volando nella stessa zona del Faucett Perù.
Dopo aver ascoltato il messaggio, in cui il comandante Saavedra del volo 727 affermava di trovarsi a 10.000 piedi e di aver esaurito il carburante, i piloti di entrambi gli aerei, allarmati, trasmisero l’sos ai controllori del traffico aereo. Ma questi ultimi non riuscirono a mettersi in contatto con i piloti del Boeing, i quali non risposero più ad alcuna comunicazione. L'unica cosa che gli operatori sapevano, è che quando l'aereo scomparso inviò il messaggio di soccorso ricevuto dai due velivoli statunitensi, si trovava a circa 250 miglia a Sud Est di St. John’s, la capitale della provincia di Terranova e Labrador, molto lontana dalla rotta per Gander.
Le ricerche e la scomparsa dell’aereo
Trascorsero diverse ore senza ricevere notizie dal volo Faucett Perù 727: le forze armate canadesi decisero quindi di inviare diversi mezzi alla ricerca del velivolo, nell’area da cui era partita l’ultima richiesta di soccorso. Per le ricerche vennero impiegati tre aerei, tre elicotteri, tre navi della Guardia Costiera, un ciacciatorpediniere e due pattugliatori. Ma a parte un debole segnale captato da un satellite, del Boeing peruviano non c’era traccia.
Al momento della sparizione del volo il tempo e la visibilità erano buone, i soccorritori sperarono quindi che l’aereo fosse riuscito ad ammarare e che i passeggeri potessero essere rintracciati ancora vivi. Le ricerche continuarono per diverso tempo, ma alla fine le squadre di soccorso dovettero arrendersi: il volo Faucett Perù 727 venne dichiarato disperso e con esso, i suoi passeggeri.
Le indagini
Venne aperta un'indagine riguardo alla misteriosa scomparsa del volo Faucett Perù, ma fin dall'inizio ci fu molta confusione riguardo al numero di passeggeri a bordo del volo. Dapprima venne diffusa la notizia che a bordo c'erano 18 persone, ma in seguito funzionari della compagnia aerea peruviana dichiararono che 3 passeggeri erano scesi allo scalo islandese. Sul rapporto conclusivo si legge che i passeggeri erano 16 in totale, tra cui un neonato e 4 donne, tutti familiari dei dipendenti della Faucett Perù.
Durante le indagini venne inoltre asserito che quel tipo di aereo non fosse adatto a coprire un volo così lungo, motivo per il quale il viaggio prevedeva diversi scali per effettuare rifornimento di carburante. Nonostante i piloti del volo 727, durante il loro ultimo messaggio, affermarono di essere senza carburante, nel rapporto conclusivo Lily Abbass, la portavoce del 'Transportation Safety Board of Canada', affermò che il velivolo si era allontanato di centinaia di miglia dalla rotta stabilita, perdendosi e affondando infine nelle gelide acque dell’isola di Terranova.
Gli ultimi secondi del Boeing caduto in Cina: il gesto estremo e lo spettro della lite tra piloti. Leonard Berberi su Il Corriere della Sera il 21 Marzo 2023
Il volo China Eastern Airlines è precipitato un anno fa con 132 persone a bordo. Le scatole nere avrebbero registrato i suoni di uno scontro tra i piloti. Pechino: «Indagine complessa che richiede tempo»
Cinquantotto secondi prima dello schianto a oltre 600 chilometri orari il 21 marzo 2022, mentre l’aereo sta precipitando quasi in verticale, dentro la cabina del Boeing 737 di China Eastern Airlines oltre alle urla dei piloti ci sono suoni che appaiono come una lite. Non è chiaro a chi appartengano quelle voci e quei gesti, se ai due piloti ai comandi o anche al terzo collega presente lì come osservatore. L’unica certezza è che il velivolo subito dopo riprende quota. Ma solo per dodici secondi. Poi il muso torna di nuovo giù e l’aereo va a disintegrarsi in circa 50 mila pezzi lasciando una voragine sulla facciata di una collina uccidendo le 132 persone a bordo.
Le scatole nere
Quello che viene interpretato come uno «scontro» risulterebbe nel file estratto dal «Cockpit voice recorder» — una delle due scatole nere che registra gli audio — stando a quanto apprende il Corriere da due persone a conoscenza dei contenuti. Le stesse persone — che chiedono l’anonimato perché non autorizzate a parlarne con la stampa — ritengono che la spiegazione più plausibile è che quel «confronto» fisico sia stato il tentativo di un pilota di neutralizzare chi in quel momento, «probabilmente il collega», aveva deciso di far precipitare l’aereo.
Il primo anniversario
Un anno dopo l’incidente del volo MU5735 la comunità internazionale si ritrova ancora con diverse domande, nessuna risposta ufficiale e nemmeno una pagina del rapporto preliminare annunciato ma mai pubblicato. Il Boeing 737-800 si è schiantato poco dopo pranzo con una dinamica che solleva ancora oggi diversi dubbi. Chi è a conoscenza dei fatti sottolinea l’approccio «problematico» delle autorità cinesi che hanno chiesto il silenzio, in alcuni casi criticato la vicinanza ai media degli esperti occidentali — soprattutto americani — chiamati a dare una mano nelle indagini.
Il volo
Il 21 marzo 2022 il Boeing 737 di China Eastern Airlines — una delle più importanti aviolinee del mondo — decolla da Kunming alle 13.16 locali (le 6.16 del mattino in Italia, ndr) con destinazione Guangzhou: a bordo ci sono tre piloti, cinque assistenti di volo, un addetto alla sicurezza e 123 passeggeri. Ai comandi c’è Yang Hongda, 32 anni e 6.709 ore di volo. Alla sua destra siede Zhang Zhengping, 59 anni e 31.769 ore di volo, pluripremiato per la sua carriera ma «demansionato» a primo ufficiale per motivi non del tutto chiari e mai confermati. Dietro di loro c’è Ni Gongtao, primo ufficiale 27enne e con sole 556 ore di volo, presente come osservatore.
La discesa
Il volo procede come previsto sopra le campagne cinesi a 29.100 piedi di quota (8.869 metri, ndr) e a 735 chilometri orari di velocità. Un’ora dopo il decollo, le 14.17, l’aereo entra nella «Regione di informazioni di volo» di Guangzhou. Ma alle 14.20 e 50 secondi sul monitor del controllore a terra il Boeing — che è in fase di «crociera» — inizia a perdere sensibilmente altitudine. Nessuno, dall’interno, lancia alcun tipo di allarme. E nessuno risponde alle ripetute richieste dell’addetto del Centro di controllo designato a gestire quel volo.
Velocità estreme
Quaranta secondi prima dell’impatto il Boeing 737 riprende leggermente quota, passando da 2.255 a 2.621 metri. Ma poco dopo registra un’ulteriore brusca discesa e alle 14.23 si schianta contro una collina a sud di Wuzhou a 605 chilometri orari. Le telecamere a circuito chiuso di un edificio nell’area mostrano il jet cadere quasi verticalmente. L’impatto è così violento che il velivolo si disintegra. I soccorsi devono faticare non poco per trovare, in mezzo al fango e ai 50 mila detriti, le due scatole nere. Nei suoi ultimi istanti — come raccontato dal Corriere ai tempi — il Boeing 737-800 si avvicina alla velocità del suono, andando oltre i suoi limiti strutturali toccando i 1.125 chilometri orari: in quell’istante e a quella altitudine la velocità del suono è stimata in 1.190 chilometri orari secondo i parametri forniti dalla Nasa.
Gli scenari esclusi
Dopo il lutto nazionale si apre il capitolo delle indagini. E qui è tutta un’altra storia. «L’aereo era in ottime condizioni e tra i più sicuri al mondo, il tempo non era un problema, nessuno ha lanciato alcun mayday e tutto è avvenuto nella fase più sicura del volo, quella di crociera», spiegano gli esperti occidentali che fanno molta fatica ad ottenere dai colleghi cinesi i dati estratti dalle scatole nere. Anche perché — rivela chi è a conoscenza delle discussioni — si scopre molto presto che la causa non riguarda un difetto tecnico, lasciando così l’unica pista plausibile: il gesto volontario.
Le prestazioni del jet
Pochi giorni dopo l’incidente, spiega chi è a conoscenza dei dettagli, i dati preliminari degli «Acars» (il sistema automatico di trasmissione delle prestazioni del velivolo) sugli ultimi istanti dei due motori prodotti dalla società franco-americana Cfm International non mostrano alcuna anomalia. Il carrello di atterraggio e i flap nelle ali, poi, non risultano nella modalità prevista per la discesa, nemmeno di emergenza, perché nessuno ha dato quel comando. «Il velivolo è andato giù perché qualcuno ha voluto che precipitasse», spiegano gli esperti. «I suoi movimenti, per quanto è stato raccolto, sono coerenti con un atto deliberato di chi in quel momento aveva i comandi».
Le versioni
Quando Pechino non sembra condividere alcuni aspetti fondamentali dell’indagine gli occidentali iniziano a fare filtrare alla stampa internazionale — a partire dal Wall Street Journal — che il jet è precipitato su decisione di uno dei piloti. Una mossa che scatena l’ira dei cinesi che minacciano di interrompere ogni tipo di collaborazione sull’aviazione civile e costringono gli statunitensi a dire che non sono loro le «gole profonde». Il governo di Pechino definisce «molto buone» le prestazioni lavorative dei piloti e aggiunge che «la loro situazione famigliare era relativamente armoniosa». L’11 aprile, però, durante una conferenza stampa, uno degli esponenti dell’Amministrazione dell’aviazione civile della Cina (Caac) parla, genericamente, dell’importanza di «porre maggiore enfasi sulla valutazione dello stato psicologico degli equipaggi».
Il rapporto preliminare
Pochi giorni dopo Caac pubblica una sintesi del rapporto preliminare, ma senza mai rendere disponibile il documento integrale. Gli investigatori escludono anomalie ai comandi del Boeing, definiscono normali le comunicazioni tra l’equipaggio e i controllori del traffico aereo, ritengono «non avverse» le condizioni meteo e confermano che a bordo non c’erano merci pericolose. Caac non ha risposto alle continue richieste del Corriere negli ultimi mesi, nemmeno a quelle inviate via fax. Ma ha pubblicato una nota, in occasione del primo anniversario dell’incidente, in cui sostiene che le «indagini proseguono», che gli esperti stanno «esaminando i pezzi e i comandi dell’aereo» senza fornire dettagli. «A causa della complessità e della rarità di questo incidente l’indagine è ancora in corso», si legge. Pertanto «il team investigativo continuerà a svolgere analisi». Un portavoce di Icao replica che l’agenzia Onu per l’aviazione civile «non divulga i rapporti preliminari per conto degli Stati membri». Fonti interne a Icao dicono che nemmeno l’agenzia ha ricevuto il documento.
Le domande
Cos’è successo nei sei metri quadrati della cabina di pilotaggio del Boeing 737 di China Eastern Airlines? Chi (e per quale motivo) ha deciso di spingere giù il muso, quasi in perpendicolare? Che ruolo hanno avuto i tre piloti presenti? Gli esperti occidentali provano a rispondere con il (poco) materiale condiviso e ritengono che il principale indiziato sia il primo ufficiale ed ex comandante Zhang Zhengping. Le scatole nere, raccontano due di loro, avrebbero registrato un «disallineamento» dei due piani orizzontali di coda un minuto e 40 secondi prima dello schianto. Situati nella parte posteriore della fusoliera questi elementi servono a far scendere o salire il velivolo.
I «piani orizzontali»
I piloti consultati dal Corriere spiegano che i due piani sono «solidali», si muovono cioè nello stesso modo. «Ma se vengono applicate forze uguali e contrarie i due meccanismi si scollegano». Escluso il guasto meccanico la spiegazione più plausibile del team internazionale è questa: un minuto e 52 secondi prima dell’impatto uno dei due piloti dovrebbe aver spinto giù la cloche per far scendere in picchiata il velivolo, disattivando all’istante anche il pilota automatico inserito. Dopo qualche attimo — colto magari di sorpresa — l’altro pilota potrebbe aver tirato verso di sé la sua cloche nel tentativo di far rialzare il muso. Non è chiaro, al momento, quale piano sia stato messo nella modalità adatta alla discesa e quindi non è possibile attribuire con certezza una responsabilità al comandante o al primo ufficiale.
L’impatto
Cinquantotto secondi prima dello schianto le scatole nere registrano quello che viene considerato uno «scontro» tra i piloti, poco prima che il jet recuperi quota per qualche attimo. È probabile che il primo ufficiale «osservatore» abbia provato a neutralizzare il collega suicida, consentendo all’altro di contrastare meglio la discesa. In circostanze «normali», calcolano i piloti, per riportare su il jet il pilota deve applicare sulla sua cloche una forza che va dai 20 ai 40 chilogrammi. Ma con il velivolo in picchiata a quasi 90 gradi e una velocità oltre i 500 chilometri orari — come nel caso del Boeing 737 di China Eastern Airlines — per tornare al «volo livellato» sarebbe stato necessario uno sforzo «al di fuori dei parametri aerodinamici». Quello che sembra un tentativo estremo di recuperare la situazione non ha successo. Alle 14.23 il velivolo si schianta.
Le cautele
Diversi esperti preferiscono aspettare l’esito del rapporto finale prima di sbilanciarsi. Per questo Grant Brophy, un veterano nella sicurezza aere con oltre 25 anni di esperienza nelle indagini sugli incidenti, mette in guardia. «Devono essere le prove verificabili a guidare le analisi e a portare alle conclusioni», dice al Corriere. Quanto al volo China Eastern «sembra che l’incidente possa essere stato causato da una perdita di controllo in volo», ma solo la pubblicazione di ulteriori elementi «potrebbe aiutare a determinare le cause». Quanto alle accuse di scarsa trasparenza da parte della Cina Brophy spiega che «il Paese sta lavorando per rendere i rapporti più accessibili». «Non credo ci sia un obbligo alla loro pubblicazione — conclude — anche se molti Stati decidono di metterli a disposizione del pubblico».
Il mistero del comandante, le indagini, le ipotesi, il tonfo nell'oceano le 239 persone a bordo. La storia del volo MH370 Malaysia Airlines: il giallo del Boeing 777 sparito nulla l’8 marzo 2014 e mai ritrovato. Redazione su Il Riformista l’8 Marzo 2023
Era l’8 marzo del 2014 quando il Boeing 777-200ER di Malaysia Airlines sparì nel nulla. A bordo, su quel volo decollato da Kuala Lumpur e diretto a Pechino, viaggiavano 239 persone. Non se ne seppe più nulla, dopo la sparizione il velivolo non venne intercettato o visto da nessun radar. Il Corriere della Sera ha dedicato un longform, un lungo approfondimento a quello che viene considerato “il più grande mistero dei cieli” di sempre. A nove anni dalla scomparsa di quel volo non si sa ancora nulla. Le autorità malesi non hanno mai voluto rispondere alle domande del giornale.
Era cominciato tutto con il messaggio dal centro operativo di Malaysia Airlines, l’ultimo tentativo per mettersi in contatto con il Boeing 777-200ER. Dall’1:20 ogni collegamento con satelliti e la terraferma sono stati spenti, un minuto dopo il velivolo è sparito dai radar. Zaharie Ahmad Shah aveva 53 anni, era sposato e aveva tre figli, 18.423 ore di volo in carriera. Con lui ai comandi c’è il primo ufficiale Fariq Abdul Hamid, 27 anni, 2.813 ore di volo alle spalle. C’è abbastanza carburante nei serbatoi. I satelliti militari hanno ricostruito il percorso del Boeing 777: disattivato il pilota automatico, il velivolo ha virato bruscamente verso lo stretto di Malacca. Avrebbe virato per altre quattro volte fino al mare aperto. Sospetto il balzo in quota fino a 14.478 metri mentre il livello massimo per operare in condizioni di sicurezza è di 13.106 metri.
L’ultima volta che i radar individuano il Boeing sono le 2:22 e 12 secondi, sul mare delle Andamane. La stazione di rilevamento idroacustico HA01, nell’Australia Occidentale, registra a circa duemila chilometri di distanza, nell’Oceano Indiano, un’importante anomalia sonora alle 00.52. Un vero e proprio tonfo. Decine di navi, elicotteri e mezzi di ricognizione hanno setacciato 320 chilometri quadrati di mare dopo la richiesta della Malaysia all’Australia, che ha attivato l’Atsb, l’Ufficio australiano per la sicurezza dei trasporti. Alcuni pezzi saranno ritrovati in Africa. 33 pezzi in tutto sono stati recuperati.
Per 18 mesi nascoste le informazioni sul simulatore di volo che il pilota si era costruito in casa e con il quale si sarebbe addestrato per voli verso nessuna destinazione specifica di approdo. “Non è un giallo, a voler essere sinceri: è semplicemente una decisione governativa, cioè della Malaysia, di non ammettere che l’aereo è andato in fondo all’Oceano Indiano su decisione del comandante Zaharie Ahmad Shah”, ha spiegato al quotidiano uno degli analisti che ha contribuito al rapporto finale sull’incidente.
L’ex premier australiano Tony Abbott nel 2020, a Sky News, aveva rivelato che un alto funzionario malese aveva espresso il sospetto su un gesto suicida del comandante. Perché? Non esiste una risposta. Le ipotesi portano alla condanna in Appello, il giorno prima del volo, per sodomia a cinque anni di reclusione per Anwar Ibrahim, leader dell’opposizione e dal novembre 2022 primo ministro malese, parente di Shah. Una pista politica. L’altra ipotesi porta a problemi personali: secondo alcuni colleghi il comandante era “un po’ spento” negli ultimi tempi. “Questo mestiere può essere alienante se si fanno le stesse rotte”.
No comment dalle autorità e dal Camm, il Dipartimento dell’aviazione civile malese. Nessun commento neanche da parte di Abbott. Nessuna scatola nera è mai stata ritrovata, nessuna rivendicazione e nessun biglietto. “Due esperti in transazioni assicurative dicono al Corriere che nel caso venisse accertata la responsabilità del comandante Malaysia Airlines potrebbe essere chiamata a pagare circa 3 miliardi di dollari di risarcimenti ai famigliari“.
Leonard Berberi su Il Corriere della Sera l’8 marzo 2023.
Il Boeing di Malaysia Airlines sparì l’8 marzo 2014 con 239 persone a bordo. Il gesto del comandante, la telefonata riservata tra i premier e quel tonfo registrato in mezzo all’oceano. Nove anni di segreti e coperture
«Volo MH370, vi prego confermate di aver ricevuto il messaggio». Alle 2.41 nella notte asiatica, l’8 marzo 2014, dal centro operativo di Malaysia Airlines provano per l’ultima volta a mettersi in contatto con il Boeing 777-200ER decollato un paio d’ore prima da Kuala Lumpur e diretto a Pechino con 227 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio. Il velivolo dopo il decollo non ha mai parlato con la torre di controllo successiva e ha fatto perdere le sue tracce radar. Quel messaggio, quasi disperato, è al suo quarto tentativo di invio sulle frequenze riservate. Ma non viene mai recapitato. Qualcuno, all’interno della cabina, ha disattivato tutti gli strumenti per le comunicazioni con il mondo esterno. Dando così inizio al più grande mistero dei cieli. La scomparsa di un cilindro di metallo lungo 64 metri pieno di cavi, sensori e trasmettitori in un pianeta circondato di satelliti.
Il puzzle
Nove anni dopo del volo MH370 Kuala-Lumpur-Pechino non si sa ancora nulla. Ufficialmente. Dietro le quinte se i pezzi del puzzle non indicano con certezza dove si trova il velivolo, incrociando i documenti ufficiali con i rapporti riservati, i dati satellitari, le conversazioni confidenziali, le ricostruzioni degli esperti e le testimonianze con i piloti restano pochi dubbi sull’autore del gesto e sulle modalità. «Non è un giallo, a voler essere sinceri: è semplicemente una decisione governativa, cioè della Malaysia, di non ammettere che l’aereo è andato in fondo all’Oceano Indiano su decisione del comandante Zaharie Ahmad Shah», spiega al Corriere uno dei tanti analisti che ha contribuito alla stesura del rapporto finale dell’incidente. Un rapporto che, sostanzialmente, dice che non è possibile stabilire cosa sia successo. «Ma i dati ci sono già — prosegue l’analista —, basta solo volerli mettere in sequenza per vedere la dinamica». «Bisogna convincere il governo malese a tirare fuori dal cassetto tutta la documentazione raccolta», è l’invito. «E, soprattutto, fare in modo che questioni di orgoglio nazionale non vengano messe davanti alla verità».
Il team investigativo
In questi anni il Corriere ha provato a raccogliere tutto il materiale possibile per giungere alla ricostruzione più vicina alla realtà in assenza dei dati delle scatole nere che giacciono in fondo all’Oceano Indiano. Ha parlato con una decina di comandanti e primi ufficiali (o ex) di Malaysia Airlines e altri vettori che hanno conosciuto Zaharie Ahmad Shah e persone direttamente o indirettamente coinvolte nelle indagini delle autorità malesi. Le autorità malesi, contattate più volte anche negli ultimi giorni, non hanno mai voluto rilasciare dichiarazioni. No comment anche dal Caam, il Dipartimento dell’aviazione civile del Paese asiatico. Le altre agenzie e società occidentali coinvolte nell’inchiesta principale — chi direttamente, chi come consulente, chi per analizzare i dati — invitano a rivolgere le domande proprio a Caam, l’unico autorizzato a fornire un responso ufficiale come da normativa Icao, l’agenzia Onu per l’aviazione civile.
I preparativi
Alle 22.50 del 7 marzo 2014 il comandante-istruttore Zaharie Ahmad Shah, 53 anni, sposato e con tre figli, 18.423 ore di volo alle spalle, si presenta all’aeroporto di Kuala Lumpur. Venticinque minuti dopo arriva anche il primo ufficiale Fariq Abdul Hamid, 27 anni, single, 2.813 ore ai comandi. Ai due è stato assegnato il volo MH370 per Pechino e insieme svolgono un briefing negli uffici del personale sulla rotta autorizzata, sul meteo che troveranno. Hamid è al suo ultimo viaggio di addestramento sul Boeing 777 perché proviene dalla cabina dell’Airbus A330. Una volta a bordo Shah chiede di caricare 49.100 chili di cherosene, sufficienti a far volare l’aereo a doppio corridoio per 7 ore e 31 minuti — si legge nel rapporto ufficiale — a fronte di un viaggio per Pechino con una durata stimata di 5 ore e 34 minuti. Nei serbatoi dal precedente viaggio è rimasto carburante per ulteriori 20 minuti, dando così al velivolo un’autonomia complessiva di 7 ore e 51 minuti.
Il piano di volo (mai eseguito) Kuala Lumpur-Pechino approvato per l’equipaggio di Malaysia Airlines
Il decollo
Dieci passeggeri siedono in classe Business, gli altri 217 in Economy: tra loro ci sono anche gli iraniani Pouria Nour Mohammad Mehrdad, 18 anni, e Delavar Seyedmohammaderza, 29, che però s’imbarcano con passaporti falsi, uno italiano («Luigi Maraldi», 37 anni), l’altro austriaco («Christian Kozel», 30 anni). Alle 00.42 dell’8 marzo (le 17.42 del 7 marzo in Italia) il Boeing decolla dalla pista 32 destra. Un minuto dopo il controllore di volo di Kuala Lumpur chiama il collega del centro radar di Ho Chi Minh per comunicargli che all’1.22 di notte entrerà nello spazio aereo vietnamita il volo MH370. «Malaysia tre sette zero, contattate Ho Chi Minh sulle frequenze 120.9. Buonanotte», dice il controllore di Kuala Lumpur. «Buonanotte, Malaysia tre sette zero», si congeda il comandante Shah all’1.19 e 30 secondi. La voce è calma, l’aereo procede lungo la rotta prestabilita, alla quota e velocità fissate.
Lo spegnimento
Sono le ultime parole provenienti dal velivolo. All’1.20 e 36 il Modo S — utilizzato per la trasmissione dei dati — viene spento da chi, in quel momento, si trova in cabina. Vengono disattivati anche tutti gli altri sistemi di collegamento con i satelliti e la terraferma. All’1.21 e 13 secondi il jet sparisce dai radar. L’inizio di questo mistero lungo nove anni, spiegano gli esperti, è tutto in quei sessantasei secondi che passano tra il saluto e lo spegnimento del transponder. L’aereo, si scopre dopo, prosegue nel cuore della notte con una nuova rotta e isolato dal mondo esterno. All’1.39 e 6 secondi il controllore di Ho Chi Minh contatta il collega malese e gli chiede dove sia il volo MH370. Chiama anche i centri radar di Hong Kong e Phnom Penh (Cambogia) cercando di capire se lo abbiano avvistato, ma nessuno di loro ha informazioni o lo vede suo propri radar. In quegli stessi istanti viene sollecitato il centro operativo (Occ) di Malaysia Airlines che, sui propri schermi, ha senz’altro notato l’anomalia, spiegano gli addetti ai lavori. Succede, a volte, che un velivolo perda i contatti con i vari centri di controllo d’area, ma resta sempre un canale aperto con il proprio vettore. L’Occ di Malaysia Airlines prova a chiamare direttamente la cabina di pilotaggio. Invano. Quindi invia un primo messaggio utilizzando le frequenze riservate. Vengono svegliati anche i vertici del vettore. Non si avverte molta urgenza. E infatti l’allarme del centro di coordinamento delle ricerche aeronautiche di Kuala Lumpur viene ufficialmente lanciato soltanto alle 5.30 del mattino. Quasi cinque ore dopo l’ultimo segnale.
La salita repentina
Sono i satelliti militari dei Paesi asiatici a ricostruire il percorso del Boeing 777 dopo lo spegnimento del transponder. Chi è ai comandi ha disattivato il pilota automatico. Il velivolo vira bruscamente a sinistra e si dirige verso lo stretto di Malacca. Tra l’1.24 e l’1.37 procede tra i 726 e i 851 chilometri orari di velocità e a 9.500-11.900 metri di altitudine. Qualche minuto dopo, all’1.45, il radar «vede» il jet toccare la quota record di 14.478 metri. Secondo l’«Aircraft performance database» di Eurocontrol il livello massimo in fase di «crociera» con il Boeing 777-200ER per operare in condizioni di sicurezza — anche per i passeggeri — è di 13.106 metri. Nel rapporto ufficiale i malesi sostengono che i dati del volo MH370 forniti dai radar militari relativi alla velocità e alla quota non sono da considerare attendibili. Gli esperti non sono d’accordo.
L’ipotesi asfissia
Questo è un primo passaggio chiave, sostiene chi ha letto le informazioni confidenziali e pure qualche esperto. Tra questi c’è Victor Iannello, che ha lavorato nel gruppo indipendente e segue il caso dal primo giorno: lui ritiene che quel balzo di quota potrebbe essere servito per far perdere i sensi a tutti quelli a bordo. Superati i 40 mila piedi (12.200 metri, ndr), spiega, la cabina interna si depressurizza. I manuali di Boeing spiegano che se questo si verifica le maschere dell’ossigeno scendono in cabina per essere utilizzate dalle persone. Ma queste hanno un’autonomia massima di 22 minuti per i viaggiatori, contro le 13 ore per ciascun pilota (che salgono a 27 se a servirsene è solo uno dei due ai comandi). Finito l’ossigeno i passeggeri e gli assistenti di volo potrebbero essere morti lentamente. E il primo ufficiale? La «spiegazione più plausibile», ragiona Iannello, «è che il comandante lo abbia lasciato fuori dalla cabina con una scusa o lo abbia in qualche modo neutralizzato». Una dinamica che non sarebbe da escludere dal momento che una volta inserito il pilota automatico il primo ufficiale o il comandante escono per una sosta in bagno prima che arrivino i pasti.
Il segnale telefonico
Iannello, assieme ad altri, esclude un atto terroristico — come l’accesso non autorizzato in cabina di pilotaggio — «perché passa troppo poco tempo (cioè i 66 secondi, ndr) tra l’ultima comunicazione radio e lo spegnimento del transponder, cosa che rende poco probabile che qualcuno da fuori abbia preso i comandi». Poco dopo la salita repentina di quota dell’1.45 si verifica un’altra cosa che attira l’attenzione degli esperti, ma non di chi scrive il rapporto finale d’indagine. All’1.52 — quando il velivolo procede sopra lo stretto di Malacca — una delle celle delle antenne telefoniche installate a Penang, che affaccia sullo stretto, aggancia un telefonino che si trova a bordo del volo MH370. Il numero assegnato al cellulare è quello del primo ufficiale. Per gli investigatori malesi «non viene effettuata alcuna chiamata». Diversi esperti sono convinti che in quegli attimi, con le mascherine dell’ossigeno giù e un comandante fuori controllo, il primo ufficiale potrebbe aver tentato disperatamente di chiamare qualcuno a terra. Non è chiaro se sia riuscito a comunicare qualcosa o l’altitudine non lo ha consentito. Non si può escludere, però, che a usare il telefonino sia stato il comandante stesso. Questo lo sanno soltanto i gestori della società telefonica e gli esponenti dell’allora governo locale.
L’ultima traccia
Alle 2.22 e 12 secondi il Boeing 777 viene individuato dai radar militari nel mare delle Andamane. È l’ultima volta. Perché da qui in avanti ogni spostamento è presunto dai dati satellitari. L’aereo comunica con il satellite I-3 di Inmarsat e i dati vengono registrati dalla stazione di terra a Perth, ovest Australia, quindi trasmessi alla società Sita ingaggiata da Malaysia Airlines. È, ironia della sorte, la città più vicina al presunto punto in cui si dovrebbe essere inabissato il velivolo. Il contatto satellitare automatico avviene ogni ora, tranne due occasioni in cui la chiamata alla cabina di pilotaggio fa sballare di alcuni minuti la connessione. Il secondo contatto si verifica alle 3.41 e così via. Alle 8.19 e 29 secondi c’è l’ultimo «incontro» satellitare, seguito da una «conferma di accesso» otto secondi dopo. Ma è un contatto più debole dei precedenti. E infatti all’«appuntamento» con Inmarsat alle 9.15 il Boeing non risponde. Gli esperti australiani e i tecnici di Rolls-Royce — il produttore dei motori del Boeing — ritengono che il motore destro, più vecchio, si sia fermato per primo, attorno alle 8.33. Quello sinistro, sulla base delle precedenti prestazioni, dovrebbe aver funzionato per altri 15 minuti, prima di fermarsi alle 8.48. Tra i tanti documenti ce n’è uno di particolare interesse: la stazione di rilevamento idroacustico HA01, nell’Australia Occidentale, registra a circa duemila chilometri di distanza, nell’Oceano Indiano, un’importante anomalia sonora alle 00.52 Tempo coordinato universale, le 8.52 dell’8 marzo ora della Malaysia: è «altamente probabile», secondo gli esperti, che si tratti dell’impatto del Boeing.
Alle 00.52 Utc (le 8.52 ora della Malaysia) la stazione di rilevamento idroacustico HA01 di Cape Leuwin, Australia, un’anomalia sonora a circa 2 mila chilometri di distanza
Il «settimo arco»
L’ultimo contatto tra aereo e satellite avviene lungo il «settimo arco» che si può tracciare sulla superficie del globo tenendo in considerazione la posizione in quel momento dell’orbita dell’occhio elettronico di Inmarsat. Un «arco» non indifferente, perché va dall’Asia Centrale fino quasi all’Antartide. Ma la parte superiore viene esclusa subito perché gli esperti giudicano poco plausibile che il velivolo sia passato sopra la terraferma, solcando spazi di Paesi che di certo avrebbero individuato la presenza non prevista con i loro radar militari. Analizzando meglio i parametri gli analisti si concentrano quindi sulla fascia meridionale dell’«arco», duemila chilometri a ovest di Perth. La Malaysia chiede aiuto a Canberra che attiva l’Atsb, l’Ufficio australiano per la sicurezza dei trasporti. Parte una delle più grandi operazioni di ricerca della storia, con decine di navi, elicotteri e mezzi di ricognizione che setacciano circa 320 mila chilometri quadrati di mare.
Il sorvolo sopra l’Oceano Indiano, a circa 2 mila chilometri a ovest di Perth, per rintracciare eventuali pezzi del Boeing
Sotto il mare
In fondo all’oceano, a oltre quattro chilometri di profondità, trovano di tutto. Un’àncora secolare. Scheletri di vecchie imbarcazioni. Rifiuti. Pesci rarissimi. Tutto tranne un pezzo di metallo, una scheggia d’elica, un cilindro che appartenga al Boeing 777-200ER della Malaysia Airlines. Durante le ricerche — costate 135 milioni di dollari — dall’Università dell’Australia occidentale il professor Charitha Pattiaratchi, esperto di oceani, prevede che sulla base delle correnti marine qualche pezzo si potrebbe trovare in Africa. Non viene più di tanto ascoltato dall’Atsb, anche perché quelli sono i giorni in cui decine di persone forniscono le loro valutazioni sulla sparizione e si scatenano anche i complottisti. Ma Pattiaratchi, si scopre dopo, ha ragione. Un flaperon, un alettone posto dietro alle ali, viene trovato a La Riunione, dipartimento francese nell’Oceano Indiano. Altri pezzi, anche di fusoliera e di uno dei motori, vengono individuati in Madagascar, Tanzania, Mozambico, Sudafrica. Grazie soprattutto a Blaine Gibson, una sorta di «Indiana Jones» dei relitti, che a proprie spese ispeziona le coste orientali dell’Africa. Finora sono stati recuperati 33 pezzi del Boeing 777 scomparso o «quasi certamente» suoi: 23 di questi in luoghi previsti dal modello matematico di Pattiaratchi. Nel gennaio 2017 i governi di Malaysia, Australia e Cina decidono arrendersi e di interrompere le ricerche. «L’Atsb al momento non è coinvolto in alcuna operazione per il ritrovamento del volo MH370», dice al Corriere un portavoce dell’Ufficio australiano per la sicurezza dei trasporti. «Ogni eventuale futura ricerca sarà di competenza del governo malese». Nel 2018 Kuala Lumpur incarica la società Ocean Infinity di occuparsi delle ricerche offrendosi di pagare fino a 70 milioni di dollari, ma senza risultati. I parenti delle vittime, riuniti nell’associazione «Voice370», chiedono alla Malaysia di riprendere le operazioni per il ritrovamento. Due esperti in transazioni assicurative dicono al Corriere che nel caso venisse accertata la responsabilità del comandante Malaysia Airlines potrebbe essere chiamata a pagare circa 3 miliardi di dollari di risarcimenti ai famigliari.
Un flaperon, alettone posto dietro alle ali, viene portato via dalla spiaggia
L’altro approccio
Nel 2021 l’ingegnere aerospaziale britannico Richard Godfrey, un altro appassionato di questo mistero dei cieli, sostiene che l’aereo è precipitato in un punto diverso dell’Oceano Indiano, a 1.933 chilometri a ovest di Perth. E per arrivare a questa conclusione dice di essere in grado di tracciare il vero percorso individuando i disturbi prodotti dal Boeing 777 nelle frequenze radio in tutto il mondo sulla base del «Weak Signal Propagation Reporter». Secondo Godfrey alle 3.12 della notte e in pieno oceano il jet sarebbe entrato in uno «schema di attesa», roteando per 22 minuti. Come mai? «Per comunicare con le autorità malesi», dice Godfrey, che lascia intuire la possibilità di negoziati poi finiti male. Kuala Lumpur e il comandante si sono parlati? In ogni caso Shah sarebbe quindi andato dritto verso Sud, per inabissarsi nelle coordinate 33.177°S, 95.300°E in una zona decisamente accidentata. La metodologia non convince Iannello e altri. L’Atsb nel febbraio 2022 avvia un approfondimento, ma ad aprile comunica che «è altamente improbabile che ci sia un campo di detriti di aeromobili all’interno dell’area di ricerca» indicata da Godfrey.
La rotta che avrebbe effettuato il volo MH370 secondo la teoria di Richard Godfrey (non confermata dall’Atsb)
Il simulatore di volo
Per capire il «giallo» del volo MH370, spiega chi ha avuto accesso ai documenti confidenziali, bisogna concentrarsi su quanto accaduto il 15 e il 16 marzo 2014. Una settimana dopo la scomparsa del Boeing la polizia malese individua nel simulatore di volo che Shah si era costruito in casa — e con il quale realizzava diversi video per il suo canale YouTube — alcuni tracciati verso il sud dell’Oceano Indiano, senza una destinazione specifica, cioè un aeroporto, di approdo. Il comandante, «Ari» per i suoi amici e colleghi, si era addestrato facendo viaggi verso il nulla circa un mese prima del volo Kuala Lumpur-Pechino. Il tragitto è quasi identico a quello che, nella realtà, secondo i satelliti ha effettuato il Boeing. La notizia resta riservata per diciotto mesi, fino a quando filtra perché all’interno del gruppo investigativo internazionale — spiega chi ci ha lavorato — sono forti le tensioni tra chi (i malesi) preferisce una versione approvata dal governo locale e chi (gli occidentali) preme perché vengano diffuse tutte le informazioni raccolte. «Ma alla fine comandano gli accordi internazionali che mettono alla guida dell’indagine il Paese della compagnia aerea coinvolta», spiegano gli esperti.
Zaharie Ahmad Shah e dietro il simulatore di volo fatto in casa
La telefonata tra premier
Poi c’è il 16 marzo. Ma qui bisogna fare un salto in avanti. Nel febbraio 2020 parlando con Sky News l’ex premier australiano Tony Abbott rivela che un alto funzionario malese ha espresso il sospetto, condiviso da altri dell’establishment, che dietro alla tragedia ci fosse un gesto suicida del comandante. Le cose sono andate in modo leggermente diverso. Il 16 marzo, otto giorni dopo la sparizione, Abbott e l’omologo malese Najib Rizak si sentono al telefono, ricostruisce chi è a conoscenza della conversazione. Si tratta di una chiacchierata tesa. Abbott viene sollecitato da giorni dai suoi connazionali — a bordo del Boeing c’erano 6 australiani — a fare pressione su Kuala Lumpur. Rischia di essere l’ennesima telefonata senza novità. Ma è dopo una decina di minuti che proprio Rizak dice ad Abbott che l’unica pista è quella del gesto estremo di Zaharie Ahmad Shah, alla luce dell’analisi forense effettuata il giorno prima proprio sul simulatore di volo del pilota. Il Corriere ha contattato Abbott per un riscontro ma non ha ottenuto risposta al momento della pubblicazione dell’articolo.
La rotta che Zaharie Ahmad Shah ha provato al simulatore di volo fatto in casa: il percorso simulato è quasi identico al tragitto effettivo del Boeing l’8 marzo (foto dal rapporto finale)
La pista politica
Le indagini escludono da un lato il problema tecnico, dall’altro un atto terroristico da parte dei due passeggeri iraniani saliti con i passaporti falsi. Resta così soltanto l’attenzione sul comandante. Ma perché Zaharie Ahmad Shah ha — o meglio: avrebbe — fatto tutto questo? Una risposta non c’è. E forse non la potrebbero fornire nemmeno le scatole nere del velivolo, una che registra le conversazioni («Cockpit voice recorder») e l’altra che memorizza centinaia di parametri di volo («Flight data recorder»). Una delle piste è quella della protesta politica. Il giorno prima del volo la Corte d’appello in Malaysia aveva condannato per sodomia a cinque anni di reclusione Anwar Ibrahim, allora leader dell’opposizione e da novembre 2022 primo ministro malese, ribaltando una precedente sentenza di assoluzione di un altro tribunale. Shah è parente di Ibrahim e, secondo chi sostiene la tesi «politica», potrebbe aver deciso di manifestare così il suo dissenso. Ma è una tesi che non convince gli esperti perché il comandante non ha lasciato alcun messaggio per motivare il gesto.
La pista personale
Per questo la principale pista è quella personale. Negli ultimi anni il Corriere ha parlato con diversi tra comandanti e primi ufficiali delle compagnie asiatiche che hanno conosciuto il comandante. Alcuni di questi hanno anche avuto modo di bere qualche bicchiere negli alberghi dove di solito riposano per una notte gli equipaggi prima di riprendere servizio il giorno successivo. E sono loro a non escludere che a portare il Boeing in direzione Polo Sud e a farlo inabissare nel bel mezzo dell’Oceano Indiano possa essere stato proprio lui. Due di loro che dicono di conoscere bene Zaharie. Ed entrambi forniscono un resoconto quasi identico. «Ari l’ho incrociato diverse volte nei nostri hotel di appoggio. Negli ultimi tempi sembrava un po’ spento. Ma non capisci mai se c’è qualcosa che non va o è per l’ambiente. Come equipaggi riposiamo quasi sempre in strutture a cinque stelle, ma dopo la curiosità della prima volta, all’ennesima notte nelle stesse stanze subentrano apatia e solitudine». «Se non sei al bar a bere — e non puoi più di tanto —, te ne stai in camera perché magari la città l’hai già vista o non hai voglia o sei stanco, e allora ti ritrovi a fissare un muro o a fare zapping sulla tv ma non la stai guardando davvero. Questo mestiere può essere alienante se si fanno le stesse rotte».
Alcune delle persone che erano a bordo del volo MH370
Nove anni di silenzio
Chi ha avuto modo di leggere alcuni documenti confidenziali spiega che Zaharie Ahmad Shah era un grande conoscitore delle zone d’ombra nel tracciamento dei radar civili e militari nell’area. Quando il velivolo ha lasciato il segno per l’ultima volta sugli schermi dei controllori il comandante sapeva quindi dove muoversi con un bolide senza farsi notare più di tanto (cosa che confermano anche i due piloti che lo conoscevano bene). Per questo dopo aver virato cinque volte, fino a raggiungere il mare aperto, il jet è andato avanti alcune ore lungo un «sentiero» poco monitorato dai Paesi. Chi conosce bene le specifiche tecniche delle porte blindate delle cabine di pilotaggio dei Boeing e degli Airbus spiega al Corriere che queste non avrebbero mai resistito più di 2-3 ore ai tentativi di forzatura di decine di persone. Del resto, sottolineano, sono pensate per tenere alla larga i soggetti indesiderati e non autorizzati il tempo necessario ai piloti per virare verso l’aeroporto più vicino e atterrare in sicurezza. Con 238 persone dietro e in vita, insomma, il comandante Shah non avrebbe potuto procedere per così tanto tempo. Ecco perché acquista forza l’ipotesi dell’asfissia collettiva provocata salendo di quota dopo aver spento i transponder. Quando a Kuala Lumpur, in Asia e nel resto del mondo la notizia della scomparsa del jet diventa l’apertura di tutti i telegiornali e dei siti web il Boeing esaurisce il cherosene e si inabissa. Dove è ancora un mistero. E forse lo resterà per sempre.
"Abbiamo perso il controllo": la picchiata a un passo da Los Angeles. Il 31 gennaio 2000 il volo Alaska Airlines 216 decolla da Puerto Vallarta, in Messico, diretto verso Seattle, ma l'aereo finisce tragicamente in fondo al mare a poca distanza da Los Angeles. Paolo Mauri il 19 Marzo 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Un volo come tanti
L'equilibratore orizzontale non risponde
L'esito della commissione di inchiesta
Molti ricorderanno il film “Flight” uscito nel 2012. In quella pellicola, l'attore protagonista Denzel Washington è un pilota di linea – alcolista e cocainomane – che si trova a diventare improvvisamente eroe quando durante un volo di routine il suo aereo subisce un catastrofico guasto che lo immette in una picchiata irreversibile, che sembra destinata a far sfracellare al suolo l'aereo. Il pilota invece, con una manovra eccezionale, riesce a far atterrare il velivolo in un campo salvando la maggior parte dei passeggeri. Pochi forse sanno che quel film è liberamente ispirato a un fatto realmente accaduto, ma purtroppo dall'esito molto diverso: la tragedia del volo Alaska Airlines 261.
Un volo come tanti
È il 31 gennaio del 2000, quando un MD-83 della Alaska Airlines decolla dall'aeroporto internazionale di Puerto Vallarta, in Messico con destinazione Seattle-Tacoma, facendo scalo a San Francisco. La Alaska Airlines è una delle più grandi e importanti compagnie domestiche degli Stati Uniti che usa soprattutto la serie 80 dei bireattori McDonnell Douglas, tra i più famosi e venduti aerei al mondo derivati dal celeberrimo DC-9.
Ai comandi c'è il 53enne comandante Theodore "Ted" Thompson, con alle spalle più di 17mila ore di volo e proveniente dall'US Air Force, coadiuvato dal secondo ufficiale William "Bill" Tansky, 57enne, che nella sua carriera aveva accumulato più di 8mila ore di volo di cui la maggior parte su MD-80.
Quel giorno, il volo 261 trasportava, oltre ad altri tre membri di equipaggio, 83 passeggeri di cui 47 diretti a Seattle. L'MD-83 coi colori della Alaska Airlines parte dall'aeroporto Licenciado Gustavo Díaz Ordaz di Puerto Vallarta alle 13.37 ora locale (le 21.37 Utc) e se ne prevede l'arrivo a San Francisco per le 15.49 (23.49 Utc). La salita verso la quota di volo prevista, ovvero il livello 310 corrispondente a 31mila piedi (o 9400 metri) avviene inizialmente in modo assolutamente regolare, ma dopo appena 15 minuti dal decollo, a una quota di 28500 piedi (8600 metri), il comandante e il secondo si accorgono di un'anomalia: il trim dello stabilizzatore orizzontale (ovvero la parte orizzontale dell'impennaggio di coda a T del velivolo) è fuori uso.
Questa parte delle superfici aerodinamiche del velivolo è fondamentale per mantenerne l'assetto di volo, in particolare controlla il beccheggio: quando il pilota aziona la cloche tirandola a sé (o spingendola), si azionano gli equilibratori sullo stabilizzatore orizzontale. Il trim, invece, è una regolazione di assetto (sempre lungo l'asse di beccheggio) che si può fissare manualmente e che comporta l'azionamento di tutto il blocco dell'equilibratore, che si sposta leggermente (in alto o in basso) grazie a un “vitone” posto all'interno della deriva. I piloti intervengono sul trim in modo da mantenere meglio l'assetto orizzontale senza continuare a intervenire sulla cloche.
L'equilibratore orizzontale non risponde
Quel giorno di gennaio, i due piloti si accorgono che l'azionamento sia delle levette sulla cloche sia della ruota del trim dell'equilibratore orizzontale non ottiene risposta. A questo punto viene avviata la normale procedura per guasto meccanico all'equilibratore, assumendo il comando manuale del velivolo. L'MD-83 si era bloccato “trimmato” leggermente verso il basso, quindi con assetto a picchiare, e per controbilanciarne l'azione, Thompson deve azionare la cloche, tirandola leggermente verso di sé.
Alle 16.09 il velivolo improvvisamente entra in una ripida picchiata, che con estrema fatica viene recuperata dai due ufficiali. Il comandante avvisa di quanto accaduto il controllo del traffico aereo: “Centro... Alaska due sessantuno, siamo... uh... in una picchiata qui” e “Ho perso il controllo, picchiata verticale”.
Il controllore del traffico aereo di Los Angeles stenta a crederci rispondendo “Alaska due sessantuno, ripeta signore”, e a quel punto il comandante riporta che “Sì, siamo fuori dai ventiseimila piedi, eravamo in verticale... picchiata... non più in picchiata... ma... uh... abbiamo perso il controllo verticale del nostro aeroplano”, aggiungendo che hanno ripreso il controllo del velivolo ma il secondo risponde negativamente.
Alle 16.11 l'Atc (Air Traffic Control) di Los Angeles richiede la situazione, e Thompson riferisce che stanno volando a circa 26mila piedi “quasi stabilizzati”. A questo punto i piloti vengono messi in comunicazione col reparto manutenzione e assistenza a terra dell'Alaska Airlines, per cercare di risolvere il problema verificatosi, ma il personale di terra sembra non riuscire a poter far nulla, lasciando tutto nelle mani degli ufficiali e approvando le loro manovre per cercare di recuperare la stabilità orizzontale e atterrare a Los Angeles in emergenza.
Alle 16.14, mentre i due piloti cercano di trovare una procedura di atterraggio che eviti al velivolo di rientrare in picchiata, il comandante avvisa i passeggeri di quanto accaduto. “Gente, abbiamo avuto un problema con il controllo di volo qui davanti, ci stiamo lavorando... uh quella è Los Angeles laggiù a destra, è lì che intendiamo andare. Siamo piuttosto occupati qui, per sistemare questa situazione, non prevedo grandi problemi una volta che rimetteremo un paio di sottosistemi in linea. Ma ci dirigiamo a LAX (il nome dell'aeroporto di Los Angeles, ndr) e mi aspetto di parcheggiare lì tra circa venti o trenta minuti”. Il comandante ancora non lo sapeva, ma in quel momento si trovava a solo sei minuti dalla tragedia.
Alle 16.17,01 Thompson ordina agli assistenti di bordo di bloccare ogni cosa all'interno della cabina e di far allacciare a tutti le cinture di sicurezza e solo 8 secondi dopo viene avvertito un rumore sordo proveniente dalla coda (“big bang” come si sente nelle registrazioni). L'MD-83 entra nuovamente in una profonda picchiata. I piloti fanno di tutto per recuperare l'assetto, estendendo gli slat, aprendo gli aerofreni. L'avvisatore automatico di cabina ripete “altitudine” per 34 secondi a segnalare la perdita subitanea di quota.
Alle 16.19 e 29 secondi il comandante ordina di dare più slat dicendo “Questa è una s...”. Altri 14 secondi dopo viene dato il mayday. Alle 16.19,54 la scatola nera registra la voce in cabina di Thompson che afferma “Ok, siamo invertiti... e ora dobbiamo farcela...” e 31 secondi dopo “Stiamo volando?... stiamo volando... stiamo volando... digli cosa stiamo facendo...”.
Alle 16.20,49 si sente il rumore dello stallo ai compressori e immediatamente dopo dei motori che si spengono. Il volo Alaska Airlines 261 impatta nell'Oceano Pacifico 4,3 chilometri a nord dell'isola californiana di Anacapa alle 16.20 e 57 secondi. Le ultime parole del comandante sono state “Ah... ci siamo”. Tutti gli occupanti muoiono sul colpo.
L'esito della commissione di inchiesta
Il relitto dell'MD-83 si adagiò su un fondale di circa 80 metri e il suo recupero ha permesso di scoprire cosa avesse causato quel guasto irrecuperabile. Dopo un'indagine durata tre anni l'incidente è stato attribuito principalmente a carenze di manutenzione da parte della compagnia aerea a Oakland, in California.
Nove giorni dopo l'incidente lo stabilizzatore orizzontale veniva recuperato e con sgomento i tecnici dell'NTSB (National Transportation Safety Board) notarono che il dado del “vitone” sul gruppo del martinetto non era attaccato. È stata notata anche una “molla” di metallo avvolta attorno al “vitone” generata dall'usura dello stesso, usura che aveva quindi praticamente fatto sparire la filettatura del “vitone”.
L'indagine scoprì che la Alaska Airlines, senza obiezioni da parte della Faa (Federal Aviation Administration), aveva esteso l'intervallo di controllo di quella parte anni prima dell'incidente. Originariamente era fissato ogni 5mila ore di volo ma nel luglio 1988, la compagnia non utilizzava più il limite orario bensì uno temporale, posto ogni 26 mesi. Sulla base del tasso di utilizzo della compagnia aerea in quel momento, ciò equivaleva a 6400 ore di volo tra le ispezioni. Questo intervallo è stato nuovamente aumentato nell'aprile 1996 a 30 mesi, pari a circa 9550 ore di volo, ma la ditta costruttrice, diventata nel frattempo la Boeing, lo fissava ogni 30 mesi o 7200 ore di volo, a seconda dell'evento che si verificava per primo.
Cosa era materialmente successo quindi? Il consumo della filettatura del “vitone”, che non era stato lubrificato secondo i tempi previsti, aveva determinato il bloccaggio dell'equilibratore orizzontale in posizione a picchiare sotto gli sforzi aerodinamici determinati dal volo stesso con l'impossibilità, data l'usura, di poter correggerne l'assetto da parte dei piloti (il trim). Il dado di arresto poi non era stato progettato per sostenere tali carichi aerodinamici e pertanto si ruppe nove minuti dopo il decollo, consentendo al martinetto e al suo stabilizzatore di scivolare verso l'alto e fuori dal dado provocando la picchiata fatale. Non c'era niente che Tansky e Thompson avrebbero potuto fare per controllare l'aereo.
A seguito del risultato della commissione di inchiesta, la Faa emise una direttiva di emergenza affinché tutti gli operatori degli MD serie 80 ispezionassero i loro martinetti e riferissero eventuali risultati, scoprendo così che altri due aeroplani presentavano la medesima problematica del volo 261, entrambi dell'Alaska Airlines.
Ultimo viaggio. "Ha fatto il possibile": così si schiantò la Chapecoense. 73 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio: questo il tragico bilancio del volo LaMia 2933, schiantatosi il 28 novembre 2016 a sud di Medellín, in Colombia. Massimo Balsamo su Il Giornale il 26 Febbraio 2023
Tabella dei contenuti
La tragedia della Chapecoense
Le indagini
Le risposte della scatola nera
Le conseguenze
La partita della vita, il match per entrare nella storia. Un sogno infranto tragicamente, una sventura che rappresenta una delle tragedie peggiori della storia dello sport. Parliamo del dramma della squadra brasiliana di calcio della Chapecoense e del volo LaMia 2933, precipitato a sud di Medellín, in Colombia, il 28 novembre del 2016.
Formazione di seconda fascia del calcio brasiliano, la Chape era reduce da una stagione incredibile. Una famiglia più che una squadra, in grado di scalare le categoria del calcio sudamericano fino a raggiungere la finale di Copa Sudamericana contro i colombiani dell'Atletico Nacional. L’Independiente, il Junior Barranquilla e il San Lorenzo le tre "vittime" del Verdão do Oeste nella fase a eliminazione diretta. Un cammino da sogno, interrotto da un incidente aereo causato da gravi errori umani.
La tragedia della Chapecoense
Il volo LaMia 2933 è un volo charter in servizio tra l’aeroporto internazionale Viru Viru di Santa Cruz de la Sierra in Bolivia e l’aeroporto di Rionegro-Josè María Córdova in Colombia. Al comando dell’Avro RJ85 Miguel Quiroga e Fernando Goytia, due piloti esperti e con più di sei mila ore di volo ciascuno. Un aereo dalla struttura solida, un quadrimotore affidabile e con un ottimo design.
Reduce dal viaggio da Sao Paulo, la Chapecoense è pronta a raggiungere la Colombia per disputare la gara d’andata della finale di Copa Sudamericana contro l’Atletico Nacional. L’entusiasmo è palpabile: con una vittoria, si può scrivere la storia. A bordo calciatori, staff tecnico e giornalisti al seguito.
L’aereo decolla alle ore 18.18, in ritardo di un’ora rispetto al previsto. Tutto fila liscio fino alle ore 22, quando il controllore di volo Yaneth Molina dà istruzioni di attendere per la discesa finale perché ci sono altri aerei in coda per l’atterraggio. Ma una richiesta dei piloti coglie di sorpresa la torre di controllo: il comandante richiede la priorità per l’atterraggio a causa di un problema di carburante. Una grana non ravvisata prima, ma piuttosto allarmante.
Il controllore di volo inizia a dirottare gli altri aerei per fornire la priorità al volo LaMia 2933, ma dopo sette minuti la situazione peggiora. I piloti chiedono la discesa immediata, il carburante è finito. Per consentire l’atterraggio d’urgenza, la Molina fa allontanare gli altri aerei sulla rotta e ordina a Quiroga e Goytia di virare a destra. I due però virano a sinistra, senza seguire le istruzioni. L’aereo inizia a scendere a velocità piuttosto elevata, sfiorando lo scontro con un altro velivolo.
Momenti delicati, la paura cresce esponenzialmente. In cabina si spengono le luci, il rumore dei motori si silenzia di colpo, i passeggeri iniziano a temere il peggio. I piloti continuano a invocare indicazioni per la pista, ma l’aereo è scomparso dal radar della torre di controllo. Poi le comunicazioni si interrompono. L’epilogo è drammatico: il volo LaMia 2933 si schianta sulla cima di una montagna di 2600 metri chiamata Cerro Gordo, a pochi chilometri dall’aeroporto.
Le indagini
Il bilancio è drammatico: 70 vittime – conto che salirà a 71 pochi giorni dopo – e 6 sopravvissuti. La Chapecoense è scomparsa, solo tre sopravvissuti: il difensore Neto, il portiere Jakson Follmann (che subirà l'amputazione di una gamba) e il difensore Alan Ruschel. Il mondo dello sport si stringe attorno alla compagine biancoverde, mentre le autorità colombiane si mettono subito al lavoro: a capo delle indagini Julian Echeverri dell’ente di investigazione sugli incidenti aerei del Paese.
Sul luogo dell’incidente emerge subito un dettaglio: l’Avro RJ85 configurato per l’atterraggio. Ma non solo: stranamente, si avverte solo un leggero odore di carburante. Solitamente in caso di schianto si sente un odore molto più forte. Nel giro di poche ore arriva la prima importante risposta ai dubbi degli esperti, una scoperta choc: gli indicatori del livello di carburante segnano 0.
L’esame dei motori non segnala anomalie, l’obiettivo prioritario del team di Echeverri è fare chiarezza sul carburante. Guasto meccanico o errore umano? Gli investigatori spostano l’attenzione sul controllore di volo, l’ultima a comunicare con i piloti. Già al centro del dibattito pubblico – con tanto di insulti e minacce di morte – la Molina viene sentita per ore e i nastri della torre di controllo forniscono i riscontri sperati: lei non avrebbe potuto fare niente di diverso, gli errori sono stati commessi dalla cabina di volo. I piloti infatti non hanno seguito le procedure, né sulla dichiarazione d’emergenza né sulle virate. “Il controllore ha fatto il possibile per aiutare il volo”, la conclusione degli investigatori.
Il registratore di volo conferma l’assenza di guasti significativi: il consumo di carburante è stato normale per tutta la durata del viaggio. Ma non solo: la spia del carburante si è accesa alle 21.15, quando mancano circa 300 chilometri a Medellìn. Ma Quiroga e Goytia hanno dichiarato l’emergenza solo alle 21.52, 37 minuti dopo. Un comportamento a dir poco strano, confermato anche da altre importanti scoperte.
Le risposte della scatola nera
Gli investigatori si concentrano sul registratore di cabina, ma emerge un problema: la registrazione si interrompe a metà volo. Impossibile dunque scoprire cosa si sono detti i piloti poco prima dello schianto. Echeverri e i suoi collaboratori provano dunque a trovare risposte dai registri di addestramento di Quiroga e Goytia. Entrambi sono stati sottoposti da poco a controlli di professionalità: test superati, ma con tanto di note preoccupanti da parte degli esaminatori. Sia comandante che co-pilota avevano problemi con le procedure di emergenza.
Non è tutto. Gli esperti provano a cercare responsi dai dati di pianificazione del volo ed emerge un altro incredibile fattore: la quantità di carburante nei serbatoi non rispettava gli obblighi reali. Scavando nei registri di volo, viene a galla che la stessa situazione si era verificata altre tre volte. Ma perché non si sono fermati prima? Il registratore fornisce la lettura precisa: Quiroga e Goytia hanno preso in considerazione l’ipotesi di fare una tappa di rifornimento, scartata dopo aver ricevuto una rotta più diretta rispetto a quella pianificata, tale da ridurre tempo di volo e consumo di carburante. Il rapporto finale attribuisce l’incidente all’inappropriata pianificazione ed esecuzione del volo e al mancato rispetto degli obblighi di legge in materia di carburante.
Le conseguenze
I procuratori boliviani accusano il co-proprietario della LaMia di omicidio colposo e sospendono la licenza di esercizio della compagnia. Gli investigatori scoprono inoltre che il comandante Quiroga era tra i proprietari della LaMia – avrebbe deciso di mettere in pericolo decine di vita per risparmiare sul carburante – e che la compagnia versava in condizioni economiche disastrose, con due aerei costretti a terra. A completare il quadro, le lapalissiane carenze all’interno dell’aviazione civile boliviana: da qui la sospensione di Cesar Varela, direttore dell'autorità per l'aviazione civile boliviana (Dgac) e di Tito Gandarillas, presidente dell'Aasana.
Sul versante calcistico, la Copa Sudamericana è stata annullata e la Conmebol, su proposta dell'Atlético Nacional, ha assegnato la coppa alla Chapecoense. La compagine biancoverde attualmente milita nella Serie B brasiliana e punta a tornare a calcare i campi della massima serie. Per quanto riguarda i sopravvissuti: Neto è il commissario tecnico della Chapecoense, Alan Ruschel milita nel Londrina, mentre Jakson Follmann ha realizzato il sogno di diventare un cantante.
Estratto dell'articolo di Leonard Berberi per corriere.it il 25 febbraio 2023.
Un errore umano avrebbe fatto precipitare il 15 gennaio scorso in Nepal l’Atr di Yeti Airlines. Uno dei due piloti, peraltro il più esperto, avrebbe confuso le leve finendo per toccare quella che «spegne» entrambi i motori al posto dell’altra, di fianco, che muove i flap nelle ali. Il condizionale è ancora d’obbligo perché le indagini vanno avanti.
[…]
L’Atr 72-500 di Yeti Airlines era decollato a metà gennaio alle 10.32 (locali) dall’aeroporto di Kathmandu ed era diretto al nuovo scalo di Pokhara, approdo per i turisti diretti poi verso le vette più alte del mondo. Ma un minuto prima di atterrare l’aereo si è schiantato uccidendo 72 persone: 68 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio.
[…] Il rapporto preliminare scrive che ai comandi di quel volo c’era Anju Khatiwada, seduta quindi a sinistra, mentre a destra Kamal Kc di fatto «monitorava» in qualità di pilota-istruttore. Alle 10.51 e 36 secondi il velivolo inizia la sua fase di discesa verso lo scalo. Alle 10.56 e 12 secondi i flap delle ali vengono estesi a 15 gradi per facilitare l’avvicinamento alla pista. Le scatole nere registrano anche l’apertura del carrello di atterraggio e quindici secondi dopo Anju Khatiwada toglie il pilota automatico. Subito dopo la comandante indica a Kamal Kc di mettere i flap a 30 gradi e lui ripete l’indicazione. «Ma il “Flight data recorder” non mostra alcun movimento dei flap», scrivono gli investigatori.
Le eliche «in bandiera»
Quello che le scatole nere registrano, invece, è una diminuzione improvvisa e al di sotto del 25%, della potenza di entrambi i motori dell’Atr.
[…] Alle 10.56 e 36 secondi il «Cockpit voice recorder» memorizza nel file audio un primo segnale di anomalia a bordo. I due comandanti iniziano a consultare i manuali di volo per capire cosa succede. Alle 10.56 e 07 secondi Anju Khatiwada si sente dire per due volte che i motori non avevano potenza e undici secondi dopo i comandi passano a Kamal Kc. Khatiwada intanto ripete che non c’è alcuna potenza dai motori.
L’impatto
Alle 10.57 e 24 secondi, a 95 metri di quota, le cloche iniziano a vibrare perché il muso del velivolo ha superato i valori massimi di sicurezza. «L’Atr a quel punto inizia ad andare in stallo», spiegano gli esperti. La situazione diventa irrecuperabile: l’aereo vira a sinistra in modo improvviso alle 10.57 e 26 secondi — scena ripresa da una persona che in quel momento si trova sul terrazzo di casa sua — e sei secondi dopo l’Atr si schianta.
[…]
"Papà, posso girare?". E l'aereo col "pilota-teenager" cadde in Siberia. Il 23 ottobre 1994 il comandante del volo russo Aeroflot 593 diretto a Hong Kong, Jaroslav Kudrinskij, fa entrare i figli in cabina di pilotaggio. Una manovra accidentale del figlio disattiverà il pilota automatico, facendo precipitare l'aereo e uccidendo tutti i suoi occupanti. Mariangela Garofano il 12 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
L’incidente
Un gioco finito in tragedia
È il 23 marzo 1994. Dall’aeroporto Šeremet'evo di Mosca decolla il volo Aeroflot 593 diretto a Hong Kong, con a bordo 75 persone. Ma l’Airbus non giungerà mai a destinazione: si schianterà nella Siberia sud occidentale, senza possibilità di scampo per i suoi passeggeri.
L’incidente
Ai comandi dell’Airbus 310-304 c’è Jaroslav Kudrinskij, uno degli ufficiali della compagnia russa Aeroflot con più esperienza, mandato a tenere dei corsi sui nuovi sistemi operativi degli aeromobili della flotta della compagnia, ritenuti complessi e innovativi per l’epoca. Con lui sul volo 593 c'è il primo ufficiale Igor Vasilyevich Piskaryov, il quale vanta circa 5.800 ore di volo alle spalle.
È il 1994, e Aeroflot si adopera per rilanciare la propria immagine nel mondo attraverso l’acquisizione di nuovi e moderni aeromobili, in sostituzione della vecchia flotta d’epoca sovietica. In Russia inoltre, i piloti di linea godono del privilegio di far viaggiare la propria famiglia a metà prezzo su un volo da loro pilotato.
Quel giorno di fine marzo anche il comandante Jaroslav Kudrinskij decide di sfruttare quell’occasione e fa salire a bordo i figli Jana e Eldar, che avevano già volato con il padre in precedenza, ma solo entro i confini nazionali. Quello per Hong Kong quindi è il primo volo internazionale per i due giovani ragazzi, che vengono invitati dal padre a visitare la cabina di pilotaggio. Ma quel giorno il comandante Kudrinskij, violando il regolamento, non si limiterà a farli entrare in cabina.
Kudrinskij, per far divertire la figlia e darle l’impressione di essere lei stessa a compiere la virata del mezzo, attiva il pilota automatico e lascia che la figlia si goda lo spettacolo entusiasta. Dopo Jana arriva il turno del quindicenne Eldar di sedersi al posto di comando, il quale dà una spinta tale alla barra di comando, da riuscire a disattivare parzialmente il pilota automatico. Questo causa il passaggio degli alettoni sotto i comandi manuali, mentre gli altri sistemi di volo rimangono sotto il controllo automatico. Non suona nessun allarme di avviso, quindi l’equipaggio non si accorge di nulla, nemmeno della piccola spia che si accende per avvisare i due piloti della modifica in atto.
Ad accorgersi che qualcosa non va è proprio Eldar, il quale nota che il velivolo si sta inclinando verso destra. Quando i piloti, sorpresi, si accorgono di cosa sta accadendo, la strumentazione di bordo indica che l’Airbus si trova nella modalità “holding pattern”, ovvero in rotta di attesa. L’aereo stava compiendo la rotta circolare che solitamente viene percorsa dai velivoli che attendono l’autorizzazione ad atterrare.
I piloti sono confusi, l’aereo è ormai inclinato di 45 gradi e le forze gravitazionali rendono impossibile riprendere in mano i comandi. I corpi dei due uomini sono così pesanti, che fanno fatica a raggiungere la postazione che è occupata da Eldar, il quale è nel panico e non sa come rimediare al suo errore.
Il velivolo raggiunge un’inclinazione di 90 gradi, facendolo cabrare verticalmente. La situazione appare disperata e gli sforzi del copilota di riportare il muso dell’aereo verso il basso risultano vani, perché il mezzo è troppo vicino al terreno. Dopo pochi secondi il volo 593 si schianterà sulla catena montuosa di Kuznetsk Alatau, in Siberia, uccidendo passeggeri ed equipaggio.
"Ho un problema". La virata, l'esplosione, lo schianto contro il Pirellone
Un gioco finito in tragedia
Inizialmente l’Aeroflot nega le responsabilità del comandante, che aveva dato i comandi al figlio e dichiara che i ragazzi non si trovavano in cabina al momento dell'incidente. Ma dopo il ritrovamento della scatola nera e la trascrizione delle registrazioni degli ultimi istanti prima dello schianto da parte del quotidiano russo "Obozrevatel", la compagnia dovrà ammettere che la responsabilità fu del defunto pilota.
Dalle registrazioni della cabina di pilotaggio emergerà infatti che poco prima del disastro ai comandi c'era Eldar, il figlio di Kudrinskij, cosa che andava contro il regolamento."Papà, posso girare?", domanda Eldar al padre. E ancora: "Giralo, guarda il terreno mentre ti giri. Andiamo a sinistra. Gira a sinistra. L'aereo sta girando?", chiede il comandante al figlio, che entusiasta, esclama:"Fantastico!".
Ma a un certo punto, dopo una manciata di minuti, si sente il ragazzo chiedere: "Perché sta girando?" e il padre rispondere: "Gira da solo?". È in quel momento che l'aereo si lancia in picchiata, e dal nastro si sentono i drammatici tentativi dei due piloti di riprendere il controllo del velivolo. Ma gli sforzi non serviranno a nulla. Quello che era partito come un gioco innocente di un padre che, pur andando contro le regole, voleva far divertire i figli, credendo di avere tutto sotto controllo, si è trasformato nel giro di pochi minuti nella peggiore delle tragedie.
Nessuno sopravviverà al terribile schianto del volo Aeroflot 593. Gli inquirenti, dopo le dovute indagini, non riscontreranno alcun guasto tecnico nel velivolo e stabiliranno infine che se i piloti non avessero tentato di intervenire manualmente, l'autopilota avrebbe evitato che l'aereo andasse in stallo e forse le 75 persone a bordo si sarebbero salvate.
"Ho un problema". La virata, l'esplosione, lo schianto contro il Pirellone. Il 18 aprile del 2002 un aereo da turismo si schiantò contro la sede della Regione Lombardia. A pochi mesi dagli attacchi dell’11 settembre, tornò l’incubo del terrorismo. Francesca Bernasconi l’1 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Prima si avvertì un boato, poi una forte scossa fece tremare tutto il palazzo. Fiamme, detriti e polvere caddero dal ventiseiesimo piano del complesso della Regione Lombardia a Milano. Un aereo da turismo si era schiantato contro il Pirellone.
Era il 18 aprile del 2002, un giovedì, quando i fantasmi dell’11 settembre 2001 si risvegliarono, riportando nelle vite degli italiani la paura degli attentati terroristici. Ma dietro allo schianto si nascondeva, in realtà, un incidente, che costò la vita a tre persone e che, a distanza di vent’anni, ha lasciato nel cuore dei milanesi la memoria di quel terribile giorno, quando oltre al pilota persero la vita Alessandra Santonocito e Annamaria Rapetti, due avvocate al lavoro nel palazzo di Regione Lombardia al momento dello schianto.
Il disastro aereo
Erano le 16.20 di giovedì 18 aprile 2002. All’aeroporto svizzero di Locarno era parcheggiato un velivolo da turismo, un Rockwell Commander 112Tc, Hb-Ncx, pronto a decollare verso Milano Linate. Il pilota, il 68enne Luigi Fasulo, aveva appena inoltrato due piani di volo all’ufficio di Zurigo: il primo riguardava un volo da Locarno a Milano Linate, con decollo previsto alle ore 17.30, mentre il secondo esponeva la tratta contraria. Il motivo del viaggio, secondo alcuni conoscenti con cui il pilota si sarebbe confidato, sarebbe stata la necessità di un rifornimento di carburante.
Alle 17.15, il velivolo decollò dall’aeroporto svizzero. Per arrivare a Linate era possibile seguire due rotte: la prima prevedeva il passaggio sopra la trasmittente di Saronno e poi la torre Telecom di Rozzano, mentre la seconda passava per il Lago Maggiore, Varese e infine Milano. Fasulo optò per la prima opzione, che coincideva con il cosiddetto Cancello Ovest dello spazio aereo milanese.
Una volta arrivato nelle vicinanze dell’aeroporto, Fasulo contattò la Torre di Milano Linate, che gli diede istruzioni per l’atterraggio. Erano le 17.40. Solo cinque minuti più tardi, l’aereo si schiantò contro il ventiseiesimo piano del grattacielo Pirelli. Frammenti di vetro e detriti dell’aereo iniziarono a piovere dal cielo e il terrore si diffuse tra la gente. Fin da subito si parlò di terrorismo, poi di un gesto deliberato e infine di un incidente. Ma cosa era realmente successo sul velivolo da turismo? Cosa lo aveva portato allo schianto? Risposte a cui avrebbero dovuto rispondere gli investigatori.
L'incubo terrorismo
“Attualmente ho conferma che con molta probabilità si tratta di un attentato”. Furono queste, secondo quanto riportò il Corriere della Sera, le parole pronunciate dal presidente del Senato, Marcello Pera, dopo lo schianto, quando le prime voci ipotizzarono un’azione terroristica. “Non posso dire di più, perché obiettivamente nessuno in questo momento può dire di più”, aggiunse.
Le notizie, infatti, nei primi momenti dopo lo schianto erano confuse e la vicinanza temporale con l’11 settembre scatenò subito una connessione con quanto accaduto negli Stati Uniti qualche mese prima. La ferita causata dagli aerei dirottati che si erano schiantati contro le Twin Towers era ancora aperta e, quel giorno a Milano ricominciò a bruciare, mentre nei pensieri di tutti riaffiorò la paura di un attacco terroristico.
A pensare a un attentato fu anche il vicepresidente della Regione Lombardia, Piergianni Prosperini, che spiegò: “Eravamo dal lato di là e abbiamo sentito due fortissimi scoppi a ridosso uno dell’altro. Abbiamo creduto che fossero delle bombe. Era invece o un Piper o comunque un aereo da turismo, secondo me carico di esplosivo, visto il botto che ha fatto”. A insospettirlo fu anche la presenza stessa dell’aereo nei cieli sopra la città: “Tutto intorno a Linate ci sono prati e terreni agricoli, dove poter atterrare in caso di avaria. Che incidentalmente il velivolo abbia centrato proprio il Pirellone io non ci credo. Sono certo che si tratti di terrorismo islamico”.
Ma l’incubo di un attacco terroristico si sgonfiò poco dopo, quando il ministro dell’Interno Claudio Scajola rivelò che si era trattato di un incidente.
La tempesta, la stanchezza, le teorie alternative: così morirono in 90 sul volo
L'incidente
Il velivolo non si abbatté contro il Pirellone per un’azione deliberata del pilota. A stabilirlo fu la Relazione di Inchiesta condotta dall’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo che, nel dicembre del 2002 arrivò a riconoscere le motivazioni che avevano causato lo schianto.
Le comunicazioni analizzate mostrarono un collegamento radio tra il pilota del velivolo e l’operatore della Torre di Milano Linate alle 17.39. In quell'occasione l’Hb-Ncx venne autorizzato ad utilizzare la pista 36R per l’atterraggio. Fasulo aveva precedentemente chiesto di poter atterrare sulla pista 36L, che già aveva utilizzato in passato, ma dalla Torre gli risposero che quel giorno la pista 36L era riservata agli elicotteri. Per questo l’aereo venne inviato alla pista 36R, senza comunicare al pilota che l’avvicinamento alla pista doveva avvenire da Est, dando per scontata l’informazione. L’aereo, quindi, avrebbe dovuto effettuare una virata. Ma il Rockwell Commander procedette dritto.
L’operatore della Torre, notando la mancanza della virata, pensò che il pilota stesse arrivando alla pista in sottovento. Subito dopo Fasulo comunicò un problema di avere un problema al carrello: "Abbiamo un piccolo problema col carrello, stiamo mettendo a posto - disse Fasulo - Vi richiamo appena pronto". Per questo l’operatore della Torre lo indirizzò a orbitare sull’Ata, una rotta ellittica, corrispondente all’area del piazzale Ovest alla periferia di Milano, pensata per i velivoli in attesa di atterraggio. Il piccolo aereo però non si diresse verso l’Ata e, “dopo il sorvolo della parte occidentale dell’aeroporto di Linate”, proseguì verso la città di Milano, fino a schiantarsi contro il Palazzo della Regione Lombardia.
Erano le 17.45 quando l’Hb-Ncx infranse la vetrata Sud-Est del ventiseiesimo piano del Grattacielo Pirelli e penetrò all’interno dell’edificio. Nello schianto, “avvenuto in prossimità di alcune strutture portanti, vicino agli ascensori - si legge nella Relazione di inchiesta - circa 220 litri di carburante residuo nei due serbatoi alari si nebulizzano e si combinano con l’aria presente all’interno dell’edificio, e come dentro un’enorme camera di combustione esplodono violentemente, proiettando all’esterno materiali, suppellettili e parti del velivolo”.
L’incidente costò la vita al pilota Luigi Fasulo e a due avvocate che erano al lavoro nel palazzo, Alessandra Santonocito e Annamaria Rapetti. Secondo la Relazione, la causa più probabile dell’incidente "è da ricercare nell’incapacità del pilota di gestire in maniera adeguata la condotta della fase finale del volo in presenza di problematiche".
A contribuire allo schianto, inoltre, potrebbero essere intervenuti altri fattori, come “problema tecnico, disagio operativo dovuto a carenza di allenamento al volo, ambiguità, inadeguatezza e contraddizioni delle istruzioni e nelle comunicazioni radio”. Completamente esclusa invece “l’ipotesi di una azione autodistruttiva del pilota dell’aereo Hb-Ncx”, che inizialmente era stata presa in considerazione. Per l’Agenzia Nazionale della Sicurezza del Volo, lo schianto contro il Grattacielo Pirelli fu quindi un incidente.
"Venite a prenderci?". L'aereo "impazzito" che si capovolse nel Pacifico. Mariangela Garofano il 22 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Il 2 ottobre 1996 un Boeing della compagnia peruviana AeroPerù, diretto da Lima a Santiago del Cile, sorvola i cieli come "stregato", andandosi a schiantare inesorabilmente nell'Oceano Pacifico, e causando il decesso di tutti i passeggeri a bordo
È la sera del 2 ottobre 1996, quando un Boeing 727 della compagnia aerea peruviana AeroPerù atterra all’aeroporto "Jorge Chavez" di Lima. Molti dei passeggeri avrebbero dovuto terminare il loro volo, mentre i rimanenti 61 averbbero cambiato aeromobile diretti a Santiago del Cile. Ma dopo pochi minuti dal decollo la strumentazione di bordo sembra impazzita, i piloti non hanno più il controllo del mezzo, che precipita nell’Oceano Pacifico, portando con sé i passeggeri.
La dinamica dell’incidente
A capo del volo AeroPerù 603 c’è il capitano Erich Schreiber, capo della flotta aerea di bandiera e pilota di grande esperienza. L’ispezione esterna del Boeing 757 da parte dei supervisori e del verniciatore si conclude senza riscontrare alcun problema, quindi Schreiber effettua l’ultimo controllo prima della partenza, e alle 00.40 il Boeing decolla per raggiungere l’aeroporto "Arturo Merino Benitez" di Santiago.
Dopo un minuto di volo i piloti si accorgono che gli altimetri non stanno rilevando la reale quota del velivolo ma continuano a indicare un valore di quota pari a zero, sebbene l’aereo stia salendo. Il capitano Schreiber e il copilota David Fernàndez, turbati, si chiedono cosa stia accadendo, mentre gli allarmi in cabina iniziano a suonare. L’altimetro e l’indicatore di velocità mostrano valori incompatibili con il reale stato del volo. L’allarme di bassa velocità induce il capitano a effettuare una discesa per aumentare la velocità e recuperare portanza, ma subentra un altro problema: si attiva l’allarme cosiddetto di "rudder ratio”, che è solito attivarsi quando la velocità è troppo elevata.
I piloti sono del tutto disorientati dalla contraddizione segnalata dai due allarmi: cosa stava accadendo al velivolo? L’aereo sembra godere di vita propria, in cabina di pilotaggio regna il caos, ma ecco che si attiva l’ennesimo allarme: quello di overspeed. A questo punto i piloti contattano il controllore di volo dell’aeroporto di Lima, dichiarando lo stato d’emergenza e chiedendo un aiuto immediato. “Dichiariamo emergenza”, afferma il copilota Fernandez all’operatore di terra, “Non abbiamo strumentazione statica né altimetro né indicatori di velocità. Dichiariamo emergenza”.
Dalla torre di controllo di Lima si attivano per accompagnare il Boeing in un atterraggio strumentale, ovvero guidandolo elettronicamente nella fase finale di atterraggio. Ma da terra le indicazioni ricevute sono quelle errate fornite dalla strumentazione di bordo, ormai compromessa. Sull’aereo i piloti, ormai in completa confusione, chiedono un aereo di sostegno che li venga a prendere, perché la situazione è drammatica. “Abbiamo bisogno di un aereo”, si sente dalle registrazioni. “C'è un aereo che possa venire su a prenderci?". Dall’aeroporto di Lima decolla un Boeing 707 cargo, inviato per raggiungere il volo 603, ma anche quest'ultimo fallisce.
Le informazioni a disposizione del Boeing sono errate e il velivolo impazzito, che vaga senza meta, nel disperato tentativo di salvare i passeggeri, non viene avvistato. Alle ore 1.10 si attiva di nuovo il segnale di pericolo di prossimità del suolo, ma è troppo tardi. Il Boeing si trova troppo vicino all’acqua, e i piloti effettuano un’ultima manovra per rialzare il muso del velivolo, gridando: “Ci stiamo per capovolgere!”. E purtroppo è quello che accade. Il volo AeroPerù si schianta a 230 nodi di velocità sull’Oceano Pacifico, capovolgendosi nell’impatto.
Le ricerche del velivolo e le indagini
Su suggerimento della torre di controllo di Lima, che aveva seguito gli ultimi istanti del velivolo prima dell'impatto con l'acqua, i soccorsi vennero inviati lungo la costa di Chancay, dove si presumeva fosse ammarato il volo 603. Essendo notte fonda, sull'oceano era buio pesto e i mezzi di soccorso, pur avendo acceso tutte le luci, non riuscirono a trovare tracce del velivolo. Poco più tardi un pescatore riferì di aver notato un lampo di luce in mezzo al mare, cosa che confermò che purtroppo l'aereo si era schiantato in acqua e che le possibilità che vi fossero superstiti a bordo erano davvero esigue. Il mattino seguente i soccorritori rinvennero chiazze d'olio, alcuni pezzi di lamiera appartenenti all'aereo e poche decine di resti delle vittime.
Appena recuperate le scatole nere, gli inquirenti si misero al lavoro per capire lo svolgimento dei fatti e cosa aveva portato alla tragedia. Dapprima si pensò che a causare la sciagura fu un guasto all'avionica, ovvero alla strumentazione elettronica di bordo e che i due piloti non fossero stati addestrati adeguatamente dalla Boeing a far fronte a un'emergenza come quella che si trovarono ad affrontare. Ma quando fu recuperato un frammento della prua dell'aereo, si arrivò a una svolta cruciale per comprendere la reale causa dell'incidente.
Gli inquirenti notarono che le aperture verso l'esterno dei sensori che fornivano le informazioni riguardo alla quota e alle velocità del computer di bordo, erano ostruiti da del nastro adesivo, che di norma viene applicato dai tecnici durante la manutenzione di un aeromobile, come protezione dalla verniciatura e dalla pulizie. Si scoprì che il nastro adesivo era stato applicato all'aeroporto Chavez di Lima come da prassi, ma che l'addetto alla verniciatura non lo rimosse a fine manutenzione. Il nastro era color alluminio, quindi facilmente confondibile con il muso del Boeing, e complice la notte, non fu notato nemmeno dal capitano Schreiber.
L'ostruzione dei sensori mandò in tilt il sistema di bordo, inviando dati errati e creando confusione nei piloti. L'addetto alla verniciatura, il signor Chacaliaza, venne dunque imputato come unico responsabile della tragedia, con l'accusa di negligenza. La compagnia AeroPerù dichiarò fallimento per non pagare alcun risarcimento alle famiglie delle vittime, che ricevettero un indennizzo nel 2006 dalla Boeing, la quale si assunse la colpa di non aver formato adeguatamente i piloti a disattivare i sistemi elettronici di bordo e a proseguire il volo con la strumentazione analogica, evitando così la tragedia.
La Repubblica il 15 Gennaio 2023.
Lo ha riferito un portavoce della compagnia aerea Yeti Airlines. Tra i viaggiatori, una quindicina di stranieri. Almeno 40 i corpi recuperati
Un aereo con 72 persone a bordo si è schiantato in Nepal. Lo ha riferito un portavoce della compagnia aerea Yeti Airlines. "Ci sono 68 passeggeri a bordo e quattro membri dell'equipaggio", ha fatto sapere Sudarshan Bartaula, "i soccorsi sono a lavoro, al momento non sappiamo se ci siano sopravvissuti". Tra i passegeri molti stranieri stranieri: cinque indiani, 4 russi, un irlandese, 2 sudcoreani, un francese, un argentino, un australiano.
La televisione di stato ha riferito che intanto alcuni corpi sono stati recuperati dal luogo dell'incidente. L'aereo è precipitato tra il vecchio aeroporto e l'aeroporto internazionale di Pokhara, nel distretto di Kaski, a circa 200 km a nord-ovest di Katmandu.
Dalle prime notizie, non ancora confermate ufficialmente, ci sono numerosi feriti e almeno 40 morti. "Ci aspettiamo di recuperare più corpi", ha detto Krishna Bhandari alla Reuters. "L'aereo è andato in pezzi". Ci sono numerosi video sui social che mostrano l'aereo che perde la rotta un istante prima di precipitare
L'anno scorso un aereo con 22 persone a bordo si era schiantato sulle montagne del Nepal. Un altro incidente risale al 2018: in quel caso erano morte 49 persone.
Lo schianto sulla zona abitata: il disastro aereo in Nepal. Francesca Galici il 15 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Per cause ancora da accertare, un aereo della Yeti Airlines è precipitato a Pokhara: a bordo del velivolo ci sarebbero stati anche stranieri
Disastro aereo in Nepal, dove un aereo è precipitato in una zona abitata. Al momento il bilancio è di 40 persone rimaste uccise nell'incidente, che si è verificato a Pokhara, ma si teme che non ci siano sopravvissuti a bordo dell'aereo e che qualcuno possa essere morto a terra. L'aereo, che viaggiava sotto le insegne della Yeti Airlines, era partito da Kathmandu. "Sono stati recuperati ben 32 corpi. Si teme che il numero delle vittime sia più alto", ha riferito la polizia, secondo quanto riportato da Nepal Live Today. A bordo ci sarebbero stati anche cittadini stranieri tra i 68 passeggeri, ai quali vanno aggiunti i 4 membri dell'equipaggio, per un totale di 72 persone.
L'incidente è avvenuto tra il vecchio aeroporto di Pokhara e il nuovo scalo internazionale, da poco inaugurato. L'aereo era un ATR-72 e viaggiava a pieno carico. Al suo impatto al suolo, vicino al fiume Seri, l'aereo ha preso fuoco e altre immagini e video pubblicate dai media asiatici mostrano dense colonne di fumo provocate da parti del velivolo in fiamme. Il primo ministro, Pushpa Kamal Dahal, ha convocato una riunione di emergenza del Consiglio dei ministri e ha esortato le agenzie statali a lavorare alle operazioni di salvataggio. L'aeroporto di Pokhara è stato chiuso e gli inquirenti stanno già indagando sulle cause dello schianto.
La zona si trova a circa 200 km in direzione nord-ovest da Kathmandu. Oltre alle decine di morti, ci sarebbero anche numerosi feriti, probabilmente colpiti da detriti dell'aereo dopo lo schianto.
L’AIRBUS A320 DI EGYPTAIR PRECIPITATO POI IN MARE
L’INCHIESTA. Le sigarette, l’incendio in cabina e la fuga dei piloti: gli ultimi minuti del volo EgyptAir. Leonard Berberi su Il Corriere della Sera domenica 19 novembre 2023.
Le trascrizioni della scatola nera dell’Airbus A320 che il 19 maggio 2016 si inabissò nel Mediterraneo con 66 persone a bordo. L’urlo del comandante: «Fuoco! Fuoco! Fuoco!»
I SILENZI DELL’EGITTO
Da sette anni e mezzo le famiglie delle vittime e la comunità internazionale aspettano ancora il rapporto finale dell’indagine da parte delle autorità egiziane — che hanno giurisdizione sul caso — per capire cos’è successo. Un rapporto che non arriva. E forse non arriverà mai. Ora un faldone nelle mani della magistratura di Parigi che indaga per conto suo — c’erano diversi francesi a bordo — ricostruisce per la prima volta e nel dettaglio gli ultimi istanti attraverso la trascrizione delle registrazioni audio dei piloti estratte da una delle due scatole nere, il «Cockpit voice recorder». È un documento — di cui il Corriere ha ottenuto copia — lungo 105 pagine, redatto da tre esperti, accompagnato da test di laboratorio e che mette in evidenza la sequenza che ha portato al disastro. Soprattutto: conferma l’esito di un altro dossier — anticipato dal Corriere nell’aprile 2022 —: l’Airbus A320 è precipitato per una fuga di ossigeno dalla maschera del primo ufficiale che ha saturato la cabina facilitando l’incendio causato con ogni probabilità da una sigaretta accesa.
(grafico Corriere della Sera)
LE REGISTRAZIONI AUDIO
«La cabina di pilotaggio era considerata l’area fumatori del velivolo condivisa con hostess e soggetti terzi», scrivono gli esperti nel nuovo documento, uno dei tre rapporti d’indagine nelle mani della magistratura francese che indaga per omicidio colposo. «Questa situazione è catastrofica in caso di fuga di ossigeno puro». In diciassette secondi il fuoco divora la strumentazione. Nessuno usa l’estintore, anche dopo averne chiesto uno. Il Corriere ha avuto modo di ascoltare alcuni secondi del file audio: si percepisce tutto il caos ai comandi mentre alcuni suoni inconfondibili indicano l’incendio in corso. Ma a fare ancora più impressione è il «silenzio» umano pochi istanti dopo — mentre gli allarmi si moltiplicano — quando i piloti abbandonano la postazione. Chiudono la porta blindata dietro di loro sperando chissà cosa. Forse di fermare le fiamme. E il velivolo procede senza alcun controllo. «Erano tutti condannati: nessuno poteva fare più nulla», racconta uno dei tecnici che ha lavorato alle indagini della magistratura transalpina.
IL VOLO SOPRA L’ITALIA
Il volo MS804 decolla dal «Charles de Gaulle», lo scalo principale di Parigi, alle 23.21 del 18 maggio 2016. Non ci sono particolari criticità. Se non una maggiore vigilanza nei cieli europei dopo gli attentati a Bruxelles e la capitale francese. Alle 00.10 del 19 maggio — ora locale — il jet di EgyptAir entra nello spazio aereo italiano sopra a Livigno, quindi sorvola Treviso alle 00.23. In quel momento i due piloti e il terzo uomo stanno ascoltando musica attraverso un diffusore bluetooth portato dal comandante. Una volta sopra Pola, in Croazia — una decina di minuti dopo — un’assistente di volo entra e comunica che c’è un passeggero diabetico che chiede di farsi misurare il tasso di glicemia. Durante il viaggio — annotano gli investigatori — il via vai delle hostess è continuo: «Secondo il regolamento di notte il personale di volo dovrebbe entrare ogni quarto d’ora per assicurarsi che sia tutto a posto».
«NON AVEVI SMESSO DI FUMARE?»
Il clima, all’interno della cabina, è leggero, a tratti scherzoso.
«Mio Dio, ma non avevi smesso di fumare?», dice alle 00.48 e 16 secondi — quasi sopra Spalato — l’assistente di volo di nuovo in cabina.
«No», risponde secco il comandante.
«Non ancora?», chiede di nuovo l’hostess che intanto ha afferrato un pacchetto di sigarette.
«Ma non ho fumato quello che hai mano», precisa Ali Shoukeir. «Altrimenti come faccio ad andare all’inferno?», aggiunge come a dire che di qualcosa si dovrà pur morire.
«Però non sento odore di sigaretta», si stupisce l’hostess.
«Perché non fumo da un po’», chiarisce il comandante.
«Passamelo quello, pensavo fosse mio. Te lo giuro», prosegue l’assistente di volo, anche se non è chiaro a cosa si riferisca.
«Ho capito appena sei passata, ti ho vista, quello che volevi. Ladra!», scherza il primo ufficiale.
«Oh merda!», reagisce l’hostess.
Alle 00.53 e 47 l’assistente di volo — arrivata per parlare di un passeggero sofferente — se ne va dopo aver maneggiato una sigaretta e discusso di altre cose. In sottofondo continuano a susseguirsi le musiche egiziane. «Questo scambio conferma che è pratica comune per l’equipaggio fumare in cabina durante il volo», scrivono gli esperti francesi. Un divieto che, nel 2016, non c’è sugli aerei egiziani: secondo le regole dell’Autorità dell’aviazione locale è possibile fumare con il permesso del comandante. Nell’indagine francese emerge che sigarette e accendino si trovano sicuramente nel bagaglio a mano proprio del comandante.
La visuale della cabina di pilotaggio di un Airbus A320: a sinistra siede il comandante, a destra il primo ufficiale. Dietro ci sono due «strapuntini» dove far accomodare altre persone autorizzate
LE DISTRAZIONI
Seguono quasi dieci minuti di silenzio, con solo il diffusore bluetooth a trasmettere musica. All’1.01 e 53 secondi — quando l’Airbus costeggia Dubrovnik — si sente uno sbadiglio. All’1.03 e 23 il controllore di volo croato invita a inserire la frequenza per sentire il centro di controllo d’area di Belgrado. All’1.07 e 59 i tre in cabina chiacchierano amabilmente e vengono interrotti dal controllore che chiede di mettersi in contatto con la torre di Tirana alla frequenza 127.5 e proseguire verso il «punto di percorso» Kumbi dove inizia lo spazio aereo egiziano. «Kumbi!», esclama il primo ufficiale mentre sbadiglia. E poi inizia a cantare «Mia madre, l’Egitto è mia madre... Il suo Nilo è il mio sangue». All’1.12 e 27 secondi inizia una nuova canzone, mentre i due piloti sottolineano la loro fatica e la mancanza di sonno. Annotano gli investigatori: «Gli scambi operativi standard che riguardano il volo non vengono effettuati dall’equipaggio quando si passa da un punto all’altro di navigazione».
IL SOVRAFFOLLAMENTO IN CABINA
All’1.16 e 14 l’hostess entra di nuovo. E, ancora una volta, inizia una chiacchierata con i piloti e l’ospite (che nel documento non viene mai identificato, ma che non desta preoccupazione). Sono così attenti alla discussione che quando il controllore di Tirana chiede di cambiare frequenza per iniziare a parlare con il collega greco all’1.21 e 21 nessuno risponde. Anzi: quattordici secondi dopo il primo ufficiale propone all’assistente di volo di assistere in cabina all’atterraggio al Cairo. Subito dopo entra una seconda hostess per parlare di un passeggero malato. Ora in cabina sono in cinque. Un record. Il controllore albanese chiama un’altra volta: «Contattate Atene», esorta. E stavolta la risposta c’è, mentre la seconda assistente di volo se ne va e chiude la porta blindata. Restano l’altra hostess, il comandante, il primo ufficiale e l’ospite.
«Ma gliel’hai detto che fumi?», chiede l’hostess al primo ufficiale all’1.25 e 49 secondi indicando la collega appena uscita dalla cabina.
«Sì, se non ti dispiace», risponde lui.
«No, no», replica la donna.
«La domanda dell’hostess conferma che il pilota fuma nella cabina», sottolineano gli esperti francesi.
I due piloti del volo EgyptAir MS804
«ACCENDIAMOCI UNA SIGARETTA»
Il via vai prosegue. Alle 2.33 e 56 — l’orario locale è cambiato perché intanto l’aereo è sopra la Grecia — un rappresentante commerciale di EgyptAir entra in cabina. Un minuto dopo i piloti ribadiscono la loro fatica. E così l’hostess propone di portare i vassoi con il pasto. Il comandante intanto esce (torna pochi secondi dopo), mentre primo ufficiale e assistente di volo parlano di «questioni private». Poi inizia una chiacchierata con l’ospite seduto sullo strapuntino a proposito del cibo.
«Oh, mi metto a dormire», dice il primo ufficiale alle 2.46 e 23. L’aereo è poco a nord di Atene.
«Se mi abbandoni crollerò per la stanchezza, non ce la faccio più», reagisce il comandante.
È in questo momento che si innesca la sequenza che porta velocemente al disastro, secondo gli esperti.
«Fumiamoci una sigaretta adesso», propone agli altri il primo ufficiale alle 2.47 e 38. «Non sarebbe lo stesso se fumassi da solo — continua —. Una sigaretta».
«Chiamate i vostri compagni a fumare», propone l’ospite.
«Come?», chiedono i due piloti.
«Chiamate i vostri compagni a fumare», ripete l’uomo.
«HO FREDDO, VOGLIO UNA COPERTA»
Ma è una richiesta che non viene assecondata. I piloti fumano da soli. Alle 2.51 e 49 l’hostess arriva con i vassoi di cibo e propone di portare anche le bevande. Mentre mangiano comandante e primo ufficiale parlano della qualità del cibo, quindi allargano il tema al servizio di bordo della compagnia. L’ospite non partecipa alla chiacchierata. Alle 3.16 e 42 l’assistente di volo si riaffaccia per recuperare quel che resta sui vassoi.
«Vorrei una coperta», dice quattro minuti e otto secondi dopo il primo ufficiale.
«Cosa?», chiede il comandante.
«Vorrei una coperta, non ce la faccio più. Cosa posso farci? Ho freddo. Tu non hai freddo?», replica il primo ufficiale rivolgendosi al terzo uomo seduto dietro.
«No, normale», risponde l’ospite.
Subito dopo l’hostess entra in cabina.
«Posso avere una coperta?», le dice il primo ufficiale.
«Anche un cuscino?», chiede l’assistente di volo.
«Sì, d’accordo», risponde il pilota.
Una volta portati coperta e cuscino l’hostesse chiede: «Posso sedermi?». Cosa che fa subito dopo.
«FUOCO! FUOCO! FUOCO!»
Sullo sfondo — e sono le 3.25 e 13 — la canzone «Khayef» di Mohamed Mounir sta terminando. Undici secondi dopo il microfono della maschera dell’ossigeno del primo ufficiale registra un fruscio anomalo. Lo si può sentire perché c’è qualche istante di silenzio tra una musica e un’altra. È una fuga di ossigeno che non viene sentita da chi è in cabina e dura appena due secondi. Altri due secondi — alle 3.25 e 28 — e il fruscio riprende.
«Fire! Fire! Fire!», «Fuoco! Fuoco! Fuoco!» urla in inglese il comandante all’improvviso.
«Estintore!», aggiunge in arabo.
«Fuoco! Presto!», interviene l’hostess.
«Ah! Questo è pericoloso!», commenta l’ospite.
L’incendio si fa sempre più intenso.
«Chiudete la porta!», ordina il comandante.
Alle 3.25 e 56 secondi la scatola nera registra la chiusura della porta blindata. Ma all’interno non c’è più nessuno. L’estintore — confermano le analisi successive — non viene mai usato. Si ignora se ci sia o meno. Il sistema automatico dell’aereo (Acars) invia sette «dispacci»: segnalano problemi ai sensori antighiaccio, ai finestrini della cabina di pilotaggio, indicano la presenza di fumo nel bagno anteriore e nel comparto avionica (sotto all’abitacolo), lo stop al funzionamento di due sistemi cruciali per il volo e le ali. In cabina di pilotaggio le suonerie d’emergenza si moltiplicano.
Dove si trova, di solito, l’estintore. Subito sopra c’è la maschera per l’ossigeno del primo ufficiale
TUTTI IN FONDO AL VELIVOLO
I piloti, l’ospite, l’hostess vanno tra i passeggeri e tutti insieme si rifugiano in fondo, il più lontano possibile dalle fiamme. Lo spostamento di peso è tale che alle 3.26 e 51 il centro di gravità dell’intero velivolo inizia a scivolare verso il retro mano a mano che le persone si alzano dai sedili e corrono verso la coda. Per quattro volte — tra le 3.27 e 23 e le 3.28 e 37 — il controllore greco invita il volo MS804 a mettersi in contatto con il collega egiziano perché l’Airbus sta entrando nello spazio aereo del Paese africano. Ma non ottiene risposta. Non molto lontano — sopra il Mediterraneo — sta passando un altro aereo di EgyptAir: uno dei piloti prova a raggiungere i colleghi. «Mamdouh?», dice alle 3.29 e 21 secondi, chiamando il primo ufficiale Mohamed Mamdouh Assem. Nessuno risponde. La situazione non è più recuperabile: alle 3.29 e 40 la scatola nera memorizza l’indicazione audio che indica il distacco del pilota automatico. L’Airbus è ufficialmente fuori controllo. Alle 3.29 e 47 secondi il «Flight data recorder», una delle due scatole nere che registra migliaia di parametri di volo, smette di memorizzare dati. Otto secondi dopo si ferma anche il «Cockpit voice recorder».
L’ULTIMO SEGNALE RADAR
Un radar militare britannico nota che l’aereo vola per altri otto minuti virando prima a sinistra, poi subito a destra ma continuando a perdere quota. Alle 3.34 il velivolo sparisce per sempre dai monitor e si inabissa. Si apre una vicenda giudiziaria con tensioni continue. Il 16 e 17 giugno vengono recuperate le due scatole nere poi inviate in Francia per essere esaminate dall’ente investigativo Bureau d’Enquêtes et d’Analyses pour la sécurité de l’aviation civile (Bea). I risultati — come stabilito dalle norme internazionali — vengono consegnati ai responsabili dell’indagine al Cairo. Che da subito parla di atto di terrorismo. Parigi non concorda: i detriti recuperati escludono l’esplosione. Il braccio di ferro e l’assenza di collaborazione portano la polizia giudiziaria francese, nell’autunno 2018, a sequestrare al Bea i dati delle scatole nere. E si scopre che due giorni prima del volo l’addetto alla manutenzione di EgyptAir ha sostituito la maschera dell’ossigeno del co-pilota. Nel riporre la nuova maschera l’addetto ha lasciato il cursore che gestisce il flusso dell’aria nella posizione «emergenza» che secondo il costruttore farebbe uscire il gas. E i piloti non hanno effettuato il controllo prima di partire come previsto dal regolamento. L’ossigeno in sé non è infiammabile, ma favorisce la combustione. Il dito è puntato contro la sigaretta accesa dai piloti. Una pratica comune visto che in quel velivolo due mesi prima erano stati sostituiti i posacenere perché ormai troppo rovinati (l’azienda ha vietato il fumo in seguito). È questo — secondo il rapporto del 2022 — l’inizio della catena di eventi che ha poi portato all’inabissamento.
LE FRIZIONI TRA LE AUTORITÀ
Ad oggi non esiste un rapporto finale. Che, nel trasporto aereo, serve a evitare di ripetere gli errori e a migliorare la sicurezza del settore. L’allegato 13 del regolamento Icao (l’agenzia Onu per l’aviazione civile) prevede che «lo Stato che conduce l’indagine deve rendere disponibile al pubblico il rapporto finale il prima possibile o, comunque, entro dodici mesi dall’incidente». Se ciò non si può allora «lo Stato deve pubblicare un rapporto provvisorio in occasione di ogni anniversario dell’incidente». Cosa che l’Egitto non fa. Quando il Corriere, nella primavera 2022, rivela i risultati del rapporto investigativo, la stampa locale si affretta a far dire a parenti e amici dei piloti che nessuno dei due aveva mai fumato in via sua. Una ricostruzione smentita dalle scatole nere. Il Bureau d’Enquêtes et d’Analyses pour la sécurité de l’aviation civile ribadisce la posizione espressa nel 2018: l’ipotesi più probabile è «un incendio scoppiato nella cabina di pilotaggio durante la fase di crociera che ha portato alla perdita di controllo del jet». Dalla Corte d’Appello del Tribunale di Parigi non si espongono ufficialmente, ma fanno filtrare che i giudici hanno dato tempo fino a gennaio 2024 al Cairo per rispondere alla proposta di andare in Egitto per intervistare i tecnici della manutenzione dell’aviolinea. EgyptAir e il governo egiziano non hanno risposto alle domande del Corriere. No comment anche da Icao.
I famigliari di alcune delle vittime del volo EgyptAir precipitato davanti all’ambasciata dell’Egitto a Parigi (foto da Facebook)
I FAMIGLIARI DELLE VITTIME
Il 9 novembre 2023 alcuni parenti delle vittime sono stati convocati al Tribunale di Parigi dalla giudice Candice Daghestani per un aggiornamento sull’inchiesta. L’ultimo vertice di questo tipo risaliva al 2017. «È stato un incontro molto difficile per noi, per la prima volta, oltre sette anni dopo la tragedia, abbiamo ascoltato le ultime parole nella cabina di pilotaggio», racconta al telefono Julie Heslouin: suo fratello Quentin, 41 anni nel 2016, e papà Pierre, 75, erano in viaggio per visitare il sito archeologico di Abu Simbel. Julie è una delle anime del comitato che chiede di fare chiarezza. «Quando abbiamo iniziato a sentire l’audio è stato come essere lì, a bordo», ricorda la donna. Che parla di «brutalità» delle fiamme. «Tutti i soggetti coinvolti nell’inchiesta hanno sottolineato la mancanza di serietà e di rigore delle procedure di manutenzione di EgyptAir», prosegue. «Vogliamo la compagnia egiziana venga convocata dai giudici francesi per spiegare le carenze di sicurezza».
«È STATA UNA BRUTTA MORTE»
Racconta l’investigatore francese che non solo ha ascoltato («più volte») tutto il file audio, ma si è scontrato pure con l’«omertà dei colleghi egiziani»: «È stata una brutta morte, la loro. È avvenuto tutto in un momento “tranquillo” del viaggio, quello di crociera, dove la fase è gestita dal pilota automatico». I passeggeri, risvegliati bruscamente, «devono aver impiegato qualche secondo per capire cosa stava succedendo». Il primo a vedere le fiamme tra i viaggiatori è stato, con ogni probabilità, il geologo britannico Richard Osman, seduto nella seconda fila di sedili. Tutti hanno assistito alla corsa dei piloti lungo il corridoio. «Non c’è forse cosa peggiore del vedere comandante e primo ufficiale — professionisti ai quali ognuno affida la propria vita quando vola — abbandonare la postazione», prosegue l’investigatore. Ma ormai non c’era più nulla da fare. Non si saprà mai se è stata più colpa delle sigarette, della stanchezza, del via vai continuo, della musica ad alto volume o di quella maschera dell’ossigeno. L’ultima cosa ascoltata in cabina sono le parole finali della canzone di Mounir: «Ho paura che se dici che fa freddo / io ti coprirò con i miei sentimenti / ma tu non ti riscalderai». lberberi-corriere.it
Ultimo viaggio. "Sarà il tuo ultimo volo". E il Boeing precipitò nell'oceano.
La notte del 31 ottobre 1999 un Boeing 767 della compagnia egiziana EgyptAir si schianta senza alcuna richiesta di soccorso nell'Oceano Atlantico, uccidendo tutti i 217 passeggeri. Il sospetto di un suicidio. Mariangela Garofano l’8 gennaio 2023 su Il Giornale.
Il 31 ottobre 1999 un Boeing 767 della compagnia aerea egiziana EgyptAir, in volo da Los Angeles a Il Cairo, precipita a largo dell’isola di Nantucket, in Massachusetts. A causa della tragedia perdono la vita tutte le 217 persone a bordo. Sul volo sono presenti passeggeri di diverse nazionalità: statunitensi, egiziani, canadesi, sudanesi, tedeschi e un passeggero dello Zimbabwe.
La dinamica dello schianto
È la notte del 31 ottobre e il volo EgyptAir 990 partito da Los Angeles, dopo lo scalo a New York, sta sorvolando l’isola di Nantucket, in Massachusetts. Dopo aver lasciato l’isola, il Boeing inizia la traversata atlantica senza alcun problema.
L’equipaggio del volo 990 è composto dal 36enne Adel Anwar, da Ahmed El-Habashi, dal primo ufficiale Jameel El-Batouti e dall’ingegnere di volo Raouf Noureldin. L’aeromobile si è lasciato alle spalle Nantucket da circa 20 minuti, quando dalle registrazioni in seguito reperite, emerge che Jameel El-Batouti cerca di convincere il pilota più giovane, Adel Anwar, ad uscire dalla cabina di pilotaggio per il turno di riposo. Anwar, seppur sorpreso dall’insistenza del collega, che in quel momento aveva il turno di riposo, gli lascia il posto ed esce dalla cabina.
È l'1.49 del mattino, e ai comandi ci sono solo Ahmed El-Abashi e Jameel El-Batouti, mentre gli altri due riposano. A un certo punto anche El-Abashi esce dalla cabina, lasciando momentaneamente il collega da solo, il quale disattiva il pilota automatico senza un'apparente motivazione e spinge la barra di comando in avanti. Il Boeing inizia a scendere in picchiata verso l'Oceano Atlantico a tutta velocità, i passeggeri sono terrorizzati dai violenti sobbalzi dell’aereo, e dagli allarmi che risuonano per il velivolo, del tutto fuori controllo.
El-Habashi riesce in qualche modo ad entrare in cabina di pilotaggio, per capire cosa stia succedendo e prova a tirare a sé la barra di comando, ma El-Batouti continua a tirarla in avanti. La situazione è drammatica, El-Habashi riesce a diminuire la folle velocità del velivolo, ma servirà a poco. Dalle scatole nere rivenute dopo la tragedia, emerge che El-Batouti subito dopo spegne i motori, portando l’aereo in modalità “cutoff” e causando un distacco di corrente. Da quel momento in poi le registrazioni si interrompono, lasciando intuire cosa sia accaduto. Alle ore 1.50 il volo EgyptAir 990 precipita nell’Oceano Atlantico, a circa 97 chilometri dall’isola di Nantucket, portando sul fondo gelido del mare tutti i suoi occupanti.
Le indagini
A condurre le indagini sullo schianto del volo 990 furono il National Transportation Safety Board, affiancato dalla Federal Aviation Administration, la Boeing e la United States Coast Guard. Fin da subito apparve chiaro agli inquirenti che nessun guasto meccanico avrebbe potuto causare le manovre che vennero fuori dall’analisi delle scatole nere e che dal velivolo non partirono richieste di soccorso.
Nel rapporto conclusivo la Ntsb affermò che “la causa probabile dell'incidente del volo EgyptAir 990 fu la deviazione del velivolo dal normale volo di crociera e conseguente impatto sull'Oceano Atlantico dovuto all'intervento sui comandi dell'aereo effettuato dal primo ufficiale. Il motivo di tale azione non è stato ufficialmente riconosciuto”.
In base alle indagini quindi, l’incidente mortale sarebbe stato provocato da un atto suicida del pilota Jameel El-Batouti. Dalle registrazioni all'interno del cockpit si sentiva il pilota affermare più volte: “Adesso ho deciso” e "Affido la mia anima a Dio”, frasi che secondo gli inquirenti dimostrerebbero l’intento suicida del pilota. Nonostante la prova che, qualora si fossero verificati dei problemi meccanici, El-Batouti avrebbe potuto facilmente risolvere la situazione, le autorità egiziane rifiutarono l'ipotesi del suicidio, sostenendo che l’aereo si schiantò per una serie di guasti tecnici mai appurati.
La tesi di un atto suicida e le probabili motivazioni
Gli inquirenti scoprirono in seguito che Jameel El-Batouti aveva una figlia di 10 anni gravemente malata e che non riuscendo più a pagare le sue cure, avrebbe deciso di togliersi la vita. Secondo un’altra teoria, riportata in seguito dal Guardian, il pilota egiziano avrebbe mostrato una condotta non appropriata con ragazze minorenni e molestato le cameriere e le ospiti degli hotel in cui soggiornava.
A bordo del volo 990 quella notte viaggiava il dirigente della EgyptAir Hatem Rushdy, il quale durante il volo aveva comunicato a El-Batouti che quello sarebbe stato il suo ultimo volo negli Stati Uniti. Il dirigente disse al pilota che la sua condotta riprovevole costituiva motivo di imbarazzo per l'azienda.
Preso dalla disperazione quindi, il pilota avrebbe pensato di farla finita, mettendo in atto una vendetta personale nei confronti di Rushdy e trascinando con sé gli sfortunati e innocenti passeggeri. Stando alla testimonianza di un ex pilota della EgyptAir, il dirigente, prima del volo 990, avrebbe detto a El-Batouti: “Questo sarà il tuo ultimo volo” e il pilota, visibilmente alterato, gli avrebbe risposto: “Anche per te”.
Ma anche questa teoria non prese piede e le autorità egiziane continuarono a sostenere che non ci si poteva basare sulle parole pronunciate dal pilota prima dello schianto, per determinare che la causa della sciagura fosse un atto suicida e che le dicerie sul conto del loro connazionale erano un tentativo da parte degli Stati Uniti di screditare l’Egitto.
La scuola sovietica, i farmaci, l'inglese: così la morte giunse sul volo di routine. Sette passeggeri e tre membri dell'equipaggio: questo il bilancio delle vittime della tragedia del volo Crossair 498, schiantatosi due minuti dopo il decollo nel comune svizzero di Niederhasli il 10 gennaio 2000. Massimo Balsamo l’1 gennaio 2023 su Il Giornale.
Le indagini per accertare le cause di un incidente aereo sono sempre difficili. Tanti fattori in gioco, molta incertezza, pochi strumenti. Una delle inchieste più delicate della storia dell'aviazione civile fu sicuramente quella per stabilire la dinamica della tragedia del volo Crossair 498, volo passeggeri partito da Zurigo, in Svizzera, con destinazione Dresda, in Germania, schiantatosi due minuti dopo il decollo nel comune di Niederhasli il 10 gennaio 2000. A bordo del turboelica Saab 340B sette passeggeri e i tre membri dell’equipaggio, tutti morti.
Il dramma del Crossair 498
La disgrazia del Crossair 498 fu la prima della storia della compagnia aerea regionale svizzera Crossair, nata venticinque anni prima e specializzata nelle brevi tratte da una città all’altra. Quello da Zurigo a Dresda era uno dei voli più popolari tra i viaggiatori d’affari. L’aereo era un Saab 340B, un modello di fabbricazione svedese, dotato di autopilota digitale, capace di pilotare con grande precisione. Un mezzo facile da manovrare e proprio per questo molto amato dai piloti.
In cabina due piloti dell’Est Europa: l'equipaggio era composto dal Comandante moldavo Pavel Gruzin, 41 anni, dal Primo Ufficiale slovacco Rastislav Kolesár, 35 anni, e da un assistente di volo francese. Grande esperienza e ottima affidabilità. Eppure qualcosa andò storto: dopo appena due minuti dal decollo e un tentativo di virata a sinistra, l’aereo precipitò velocemente. Un’esplosione terribile, seguita da altre piccole esplosioni. Inutili i soccorsi: nessun sopravvissuto, uno scenario catastrofico.
Le indagini
Pochi, pochissimi frammenti dell’aereo esaminabili, scatole nere da rintracciare e pochi testimoni. Strada in salita per gli investigatori svizzeri, subito al lavoro per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. Il profondo cratere confermò una caduta veloce, con inclinazione pressoché verticale. Poco prima dello schianto, i controllori diedero l’ok per una virata a sinistra, verso Zurigo Est, una scorciatoia per abbreviare il viaggio di qualche minuto. Una consuetudine, nulla di strano.
Anziché virare a sinistra, l’aereo si inclinò verso destra. Vano ogni tentativo del comandante. Gli investigatori esaminarono subito le comunicazioni della torre e i tracciati radar, approfondimento conclusosi con un nulla di fatto. Le autorità decisero dunque di valutare eventuali guasti meccanici o difetti di fabbricazione. Subito esclusi possibili incendi pre-schianto, danni ai motori e flap mal funzionanti.
Un’altra pista valutata con attenzione dagli investigatori fu quella legata alla possibile interferenza di un telefonino. A scacciare ogni dubbio, i tabulati: i dati mostrarono che le chiamate in entrata e in uscita terminarono prima del decollo. Nessuna telefonata nel corso dei due minuti in volo, altra pista da scartare.
La svolta
Una prima svolta nelle indagini arrivò quasi per caso, grazie al bagaglio a mano del pilota Pavel Gruzin. All’interno furono ritrovati dei farmaci, per la precisione un potente calmante usato per trattare i disturbi di ansia. Le autorità approfondirono la vicenda e si scoprì che l’uomo ricorreva ai tranquillanti per gestire la sofferenza per la lontananza dai suoi cari, rimasti in Moldavia. Fu ciò a compromettere la sua lucidità? No, o almeno non solo, secondo il registratore di cabina: nulla di strano, comportamento normale, voce calma e pacata.
La seconda svolta arrivò grazie a un viaggio degli investigatori in Unione Sovietica, terra di formazione dei due piloti. Lì, infatti, i piloti imparavano a volare con un orizzonte artificiale molto diverso rispetto a quello utilizzato in Occidente. In Occidente il simbolo al centro che rappresentava l’aereo resta fermo, mentre lo sfondo si muoveva. Discorso diametralmente opposto in Unione Sovietica: una virata a sinistra su un display sovietico era molto simile a una virata a destra su un display occidentale. A ciò, bisogna aggiungere i possibili problemi di comunicazione - i due parlavano un inglese molto elementare, non sufficiente nelle fasi di pericolo – e un sistema computerizzato di navigazione dell’aereo di difficile comprensione per i meno avvezzi.
Le contromisure post-tragedia
Lo schianto del Crossair 498 spinse le autorità a intraprendere diverse contromisure. La compagnia aggiunse tre mesi di addestramenti per i piloti dell’ex blocco sovietico, con tanto di esame in lingue inglese. Inoltre tutti gli equipaggi della Swiss furono obbligati a inserire il pilota automatico immediatamente dopo il decollo, tutt’altro che una consuetudine per i piloti formati in Unione Sovietica, compresi i due deceduti nella tragedia di quasi 23 anni fa.
La tempesta, la stanchezza, le teorie alternative: così morirono in 90 sul volo. 82 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio: questo il drammatico bilancio del volo Ethiopian Airlines 409, schiantatosi il 25 gennaio 2010 a Beirut. Massimo Balsamo il 29 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Un incidente insolito e improbabile, una tragedia difficile da spiegare. Ed è per questo motivo che molte persone ancora oggi continuano a non credere alla versione fornita dalle autorità, sicure di un atto terroristico. Sono trascorsi tredici anni dal dramma dell’Ethiopian Airlines 409, volo internazionale programmato da Beirut, in Libano, ad Addis Abeba, in Etiopia, che si schiantò nel Mar Mediterraneo quattro minuti dopo il decollo. Nessun sopravvissuto, bilancio di 90 morti: a bordo dell'aereo - un Boeing 737-8AS - 82 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio.
La tragedia dell'Ethiopian Airlines 409
25 gennaio 2010, ore 2.30: dopo aver controllato carico e carburante, il Boeing 737-8AS accelera lungo la pista dell’aeroporto di Beirut Rafic Hariri e decolla. In cabina il comandante Habtamu Benti Negasa, da più di vent’anni nell’Ethiopian Airlines, e il ventitreenne Aluna Tamerat Beyene, appena uscito dall’accademia di volo. Le condizioni atmosferiche non sono favorevoli: formazioni nuvolose miste con temporali sparsi nella zona. E c’è una difficoltà da non sottovalutare: le montagne che sorgono a poca distanza dalla costa obbligano tutti i voli a decollare verso il Mediterraneo.
Dopo pochi minuti di volo, qualcosa va storto. Un allarme avvisa i piloti che l’aereo si sta inclinando pericolosamente, decisamente oltre i limiti operativi. Il comandante fatica a correggere il problema, nonostante il supporto del controllore di volo, preoccupato da possibili insidie legate al traffico in entrata. La situazione non migliora, anzi: un rumore allarma la cabina e l’aereo entra in stallo. Ogni tentativo di ripristinare la normalità risulta vano: dopo 4 minuti e 17 secondi dal decollo, il volo Ethiopian Airlines 409 precipita in mare.
Le indagini
Si tratta del primo incidente di un aereo commerciale in Libano in trentacinque anni. Una tragedia che sconvolge il Paese intero, complice il periodo storico. Il primo pensiero va a un attacco terroristico. L’indagine viene affidata all’ex pilota Hamdi Chaouk, affiancato da Mohammed Aziz. Le forze dell’ordine si attivano immediatamente per la ricerca di eventuali superstiti, ma risulta subito chiaro che le speranze sono ridotte allo zero. Parallelamente la prima mossa degli investigatori è localizzare in fretta i rottami.
Le pressioni non mancano. Chaouk racconterà ai microfoni del programma “Mayday” di un pressing politico insostenibile, complici le voci incontrollate di un atto terroristico. Le ricerche non sono delle più semplici, tra onde alte e mare agitato. Alcuni rottami arrivano a riva “spontaneamente”, altri vengono recuperati dalla Marina insieme ai resti umani. Per recuperare i registratori serve però una ricerca approfondita, resa possibile dal sostegno e dalle attrezzature delle autorità francese.
In attesa del registratore di volo e del registratore di cabina, gli investigatori ascoltano il controllore di volo. La sua testimonianza “sposa” la teoria del sabotaggio, parlando di uno strano bagliore. Impossibile non pensare a un’esplosione, ma la pista viene scartata dagli inquirenti: i rottami non evidenziano danneggiamenti, macchie nere o di fuliggine.
Recuperate le scatole nere, gli investigatori provano a scovare qualche traccia legata allo schianto. Depennate le ipotesi di guasti meccanici e malfunzionamenti, gli investigatori concentrano la loro attenzione su stabilizzatori (posizione un po’ troppo bassa) e compensatori (leggermente difettosi nei Boeing 737-8AS). Si recano dunque a Seattle per sfruttare il simulatore di volo della Boeing, ma i test non segnalano criticità.
La svolta
Un altro vicolo cieco, ma le pressioni aumentano. Gli investigatori tentano un’altra strada e provano a consultare il registratore di cabina per effettuare delle valutazioni sull’equipaggio. E notano qualcosa di strano nel dialogo tra comandante e primo ufficiale: una conversazione lenta, pesante. Nessun contrasto, ma segni evidenti di stanchezza, di difficile comprensione. E si fa strada l’ipotesi di “sottile incapacità”, status diverso dal classico errore del pilota e legato a determinati scenari come abuso di alcol o di droga.
“Non ti viene voglia di dormire qui?”, chiede il comandante al primo ufficiale. E ancora, un dialogo scherzoso sulla stanchezza, con tanto di riferimento alla marijuana. Gli investigatori decidono di ripercorrere le ultime ore dei due piloti, ma anche i loro stili di vita: nessun problema con l’alcol o con le sostanze stupefacenti. La pista dell’eccessiva stanchezza si rivela quella corretta: prima del volo Ethiopian Airlines 409, avevano mangiato pesante con relative ripercussioni sul sonno. Inoltre il comandante aveva lavorato pressoché ininterrottamente negli ultimi due mesi.
Allo sfiancamento va aggiunta la condizione di maltempo, tale da aggiungere pressione ai piloti. Un mix di fattori in grado di fare perdere consapevolezza: l’aereo ha deviato due volte dalla direzione assegnata, ha virato troppo rapidamente quattro volte, è andato in stallo in due occasioni e, ancora, è andato in retromarcia e ha superato la sua velocità massima. Tutto questo nel giro di tre minuti. La conclusione sulla tragedia dell'Ethiopian Airlines 409 degli inquirenti è netta: l’incidente è stato causato da un equipaggio troppo stanco e troppo confuso per porre rimedio alla prima virata sbagliata.
Leonard Berberi per corriere.it il 31 Dicembre 2022.
«Yehe endet new?», «Che sta succedendo?». Sono le 8.39 e 2 secondi del mattino del 10 marzo 2019 e la domanda, in amarico, del pilota Yared Getachew viene registrata nella scatola nera. A 29 anni è il più giovane comandante di Ethiopian Airlines, è appena decollato dall’aeroporto di Addis Abeba alla guida di questo nuovo Boeing 737 Max 8 con a bordo il primo ufficiale, il 25enne Ahmed Nur Mohammed Nur, 149 passeggeri (compresi 8 italiani), 5 assistenti di volo e un addetto alla sicurezza. Il volo ET302 è diretto a Nairobi. Ma in Kenya non ci arriverà mai.
L’IMPATTO
Quattro minuti e trentasette secondi dopo quelle parole del comandante Getachew il jet si schianta nelle campagne etiopi a 926 chilometri orari di velocità. L’impatto è così violento da creare un cratere profondo una decina di metri, largo 28 e lungo 40. Alcuni rottami vengono trovati a 300 metri di distanza. Poche ore dopo le autorità dell’aviazione civile fermano i 737 Max in tutto il mondo. È il secondo incidente di questo esemplare (e la stessa dinamica) dopo quello, di fine ottobre 2018, in Indonesia.
IL DOCUMENTO
Per la prima volta le parole dei piloti del volo Ethiopian Airlines, gli scambi con il controllore radar a terra, i tentativi di far risalire l’aereo, la sfida umana contro la macchina, gli ultimi istanti prima dello schianto e le urla di fronte a una situazione ormai compromessa vengono trascritte — così come registrate da una delle due «scatole nere» — nel rapporto finale d’inchiesta dell’incidente presentato alla vigilia di Natale ad Addis Abeba.
SCHIANTO DEL VOLO ETHIOPIAN AIRLINES
Nel documento, lungo 331 pagine, ci sono poche sorprese sulle cause: un sensore esterno si è staccato dal muso e ha inviato informazioni sbagliate al computer di bordo che ha attivato il «Mcas» (il sistema anti-stallo creato da Boeing) innescando la sequenza che ha portato alla caduta: il software era convinto che il muso del jet stesse puntando troppo in alto, quando nella realtà non era così. Il «Mcas», in quel volo, è scattato quattro volte, costringendo i piloti a riportare su il jet a ogni attivazione. Ma la quarta volta lo sforzo fisico richiesto per contrastare il software è stato così significativo da richiedere più di due persone.
I PREPARATIVI
«Pronti alla partenza», dice il comandante Getachew alle 8.37 e 14 secondi. «Torre, qui Ethiopian 308, pronti al decollo», comunica, quattro secondi dopo, il primo ufficiale Nur. «Volo 308 via libera sulla pista 07 destra. “Melkam menged” (buon viaggio, ndr)», replica il controllore salutando in amarico. I piloti iniziano la sequenza prevista, effettuano i controlli incrociati dei parametri e alle 8.38 e 34 secondi il bimotore si stacca dalla striscia d’asfalto.
IL DECOLLO
«Su il carrello», indica il comandante al suo primo ufficiale nove secondi dopo il decollo. Nello stesso istante si attiva, senza un motivo, lo «stick shaker»: è il dispositivo che fa vibrare rumorosamente la barra di comando per avvisare i piloti che c’è il rischio stallo. Un secondo dopo il sensore esterno sinistro (lato del comandante) che rileva l’angolo di incidenza del muso invia valori diversi rispetto a quello di destra.
Non è un problema da poco: il «Mcas», il sistema anti-stallo, funziona sulla base proprio dei valori dei sensori esterni. Quello di destra riporta (correttamente) un’angolazione di 14,94°, quello di sinistra oscilla tra 11,1° e 35,7°. Quando poi il sensore di destra indica 15,3°, quello di sinistra balza addirittura a 74,5°.
I PRIMI PROBLEMI
Sono momenti complicati. Diversi indicatori segnalano valori sballati o discordanti tra lato del comandante e del primo ufficiale. Ma il «Mcas» è stato impostato per lavorare sulle informazioni solo del sensore sinistro, quello sballato. Alle 8.38 e 54 secondi Getachew chiede di attivare il pilota automatico, ma due secondi dopo il sistema lo disconnette e i comandi tornano in modalità manuale.
Getachew chiede di nuovo di impostare il pilota automatico alle 8 e 39 che si disconnette ancora subito dopo. È qui che il comandante si chiede «Yehe endet new?», che sta succedendo? Altri quattro secondi e dà l’indicazione di «contattare il controllore radar».
L’ALLARME
Alle 8.39 e 23 secondi i piloti provano una terza volta a inserire il pilota automatico che si stacca, ancora, 33 secondi dopo. È in questo momento che, ufficialmente, scatta per la prima volta il «Mcas», per nove secondi, portando verso il basso il muso del Boeing 737 Max. «Abbiamo problemi di controllo del velivolo», dice il comandante alle 8.40 e un secondo.
Mentre lo dice scatta l’allarme che avvisa i piloti che invece di salire stanno perdendo quota e rischiano l’impatto col terreno. Alle 8.40 e 5 secondi il primo ufficiale comunica alla torre che non sono in grado di proseguire e il comandante chiede le indicazioni per la pista per l’atterraggio di emergenza.
LA DISCORDANZA
Nel frattempo i due piloti riescono a riportare su il muso del Boeing 737 Max. Ma per appena tredici secondi. Perché il «Mcas» scatta di nuovo. In quell’istante c’era una discordanza tra i sensori esterni sia sull’altitudine, sia sulla velocità. A bordo fanno fatica a capire quale dei valori sia giusto, se i 152 metri di altitudine del sensore sinistro o i 457 di quello destro (è il dato buono), se i 496 chilometri orari dell’angolo di incidenza sinistro o i 534 di quello destro (anche questo è il dato buono). Nelle registrazioni, come sfondo sonoro alle voci concitate in cabina, c’è l’alert «Don’t sink», non precipitare.
I TENTATIVI
Alle 8.40 e 43 secondi il sistema anti-stallo scatta per la terza volta. Il muso torna a puntare pericolosamente verso il basso. «Tiriamolo su, tiriamolo su», chiede il comandante. «Tiriamolo su», ripete il primo ufficiale. «Avvisa che abbiamo problemi ai comandi dell’aereo», dice Getachew. Il primo ufficiale esegue e ripete le indicazioni con il centro radar a terra. «Ripeti di nuovo», si accerta il controllore di volo. «Abbiamo problemi ai comandi», ribadisce il primo ufficiale.
LE MANOVRE
Per altri due minuti Getachew e Nur provano a stabilizzare l’aereo con azioni congiunte. «Alziamo il muso», dice il comandante. «Lo alziamo?», chiede il primo ufficiale. «Si, fallo con me», replica Getachew. La manovra dura una dozzina di secondi. «Yeseral?», «sta funzionando?», chiede in amarico il comandante. «Ayseram, wey beje lemokerew?», «Non sta funzionando, provo manualmente?», suggerisce Nur. La tensione porta i due a usare sempre più la lingua madre. Chi trascrive le conversazioni segnala anche gli sforzi.
L’EMERGENZA
Alle 8.42 e 44 secondi il comandante è quasi sorpreso da uno degli avvisi. «”Master caution”?», si chiede. Si tratta dell’indicatore che segnala una situazione di pericolo imminente e che richiede l’interveno. Alle 8.43 si tenta di affidare i comandi per la quarta volta al pilota automatico. Ma dopo appena un secondo si stacca di nuovo. Nur ci riprova. «No, no, lascialo, lascialo, è ok — gli ordina Getachew —, andiamo su, andiamo su». Sei secondi dopo si attiva per la quarta volta il «Mcas». «Alziamolo, alziamolo, alziamolo!!!». Stavolta il comandante urla.
LO SCHIANTO
Alle 8.43 e 36 secondi l’«Egpws» (il «sistema di consapevolezza e avviso del terreno») lancia l’allarme: «Terrain, terrain, pull up, pull up». Il velivolo sta andando a schiantarsi: viaggia, con il muso verso il basso, a 804,7 chilometri orari di velocità, comandante e primo ufficiale hanno esaurito le possibili contromisure. «Mayday, mayday, mayday!», urla Getachew alle 8.43 e 39 secondi. Sono le sue ultime parole, accompagnate dalle grida del primo ufficiale Nur al suo fianco. Alle 8.43 e 44 secondi l’aereo tocca il suolo e si disintegra.
LE ACCUSE
Nel puntare il dito contro il sistema anti-stallo gli investigatori etiopi — che si sono fatti aiutare da quelli francesi di «Bea» — non risparmiano critiche al costruttore statunitense. «L’indagine ha rilevato che le domande sollevate dalla compagnia erano fondamentali per la sicurezza — si legge nel rapporto finale —: se Boeing avesse risposto a chi si occupava del training dei piloti di Ethiopian Airlines direttamente o indirettamente attraverso una revisione del manuale di volo o un nuovo addestramento questo avrebbe cambiato in modo significativo l’esito del volo ET302».
LE OBIEZIONI
In realtà le colpe non stanno tutte nel nuovo velivolo di Boeing, secondo gli esperti europei di «Bea». «La mancanza di azioni da parte dei piloti per ridurre la spinta dei motori ha aggravato il problema incontrato dall’equipaggio durante il volo», si legge in una comunicazione firmata da Emmanuel Delbarre. Non solo. «Bea osserva che nei mesi precedenti l’equipaggio si era esibito in modo ricorrente formazione su eventi realmente accaduti durante il volo dell’incidente», ma poi non è chiaro perché a bordo del 737 Max non siano state eseguite le procedure richieste.
IL RUOLO DEL VETTORE
Gli investigatori di «Bea» parlano anche di «supporto insufficiente da parte del primo ufficiale» nelle fasi delicate del volo e, «più in generale, di entrambi i membri dell’equipaggio di condotta». E, concludono, «il processo di diffusione delle informazioni e l’addestramento dell’aviolinea sembrano essere stati insufficienti» perché non hanno «fatto acquisire ai piloti le conoscenze necessarie sul “Mcas” come descritto nel bollettino emesso da Boeing dopo l’incidente della Lion Air in Indonesia».
DOPO L’INCIDENTE
Nel gennaio 2021, dopo 22 mesi di blocco e diverse modifiche strutturali, il Boeing 737 Max viene autorizzato a volare in Europa. La decisione è arrivata dopo la luce verde delle autorità omologhe degli Usa, del Brasile e del Canada. Sempre a inizio 2021 il colosso aereonautico americano è stato sanzionato dal Dipartimento della Giustizia sui due incidenti, ha accettato di pagare 2,51 miliardi di dollari di multa per archiviare le accuse e ha ammesso la propria colpevolezza.
Nel settembre 2022 Boeing ha pagato 200 milioni di dollari per patteggiare con la Sec (la Borsa americana, ndr) a proposito dell’indagine sui 737 Max e l’accusa di dichiarazioni fuorvianti in merito agli incidenti in Indonesia ed Etiopia. Da allora nei cieli del Vecchio Continente sono centinaia i 737 Max volano tutti i giorni, a partire da quelli del gruppo Ryanair.
Da "ilmessaggero.it" 17 marzo 2019
Poco prima della manovra richiesta alla torre di controllo, il pilota urlò «break, break», indicando agli altri aerei e alla torre di controllo di interrompere le altre conversazioni non urgenti. Il pilota sembrava molto spaventato, ha aggiunto una fonte citata dall'agenzia internazionale Reuters. Si infittisce il mistero sull'aereo dell'Ethiopian Airlines, caduto ad Addis Abeba il 10 marzo con 157 persone a bordo.
Una fonte - che ha ascoltato la registrazione della conversazione con la torre di controllo - riferisce che il Boeing «andava a un'inusuale alta velocità dopo il decollo», quando «il pilota ha riferito di avere problemi e chiesto il permesso di prendere quota rapidamente».
Nella conversazione il pilota del Boeing 737 Max chiede di salire a 14 mila piedi sopra il livello del mare (6.400 piedi sopra l'aeroporto), ma a 10.800 piedi l'aereo scompare dai radar dopo aver cominciato a girare per tornare indietro, per quello che il pilota ha descritto come un problema al sistema di controllo del volo, ha aggiunto la fonte, che ha chiesto l'anonimato perché le indagini sul disastro sono ancora in corso.
Lavoro sulle scatole nere. A Parigi i tecnici hanno iniziato a lavorare sul cockpit voice recorder (Cvr) del Boeing 737 MAX 8 dell'Ethiopian Airlines, precipitato questa settimana poco dopo il decollo. L'Ufficio francese di inchiesta e di analisi per la sicurezza dell'aviazione civile (Bea) ha riefrito che il lavoro è già stato avviato anche sull'altro dispositivo recuperato, il flight data recorder (Fdr).
Il tempo dell'analisi dei dati dipenderà da quanto i due dispositivi sono rimasti danneggiati nel disastro che ha ucciso le 157 persone a bordo dell'aereo. A chiedere l'assistenza dell'ente francese sono state le autorità etiopi, che non dispongono degli strumenti tecnici per analizzare i dati delle scatole nere.
Da tg24.sky.it il 31 Dicembre 2022.
Due piloti della compagnia aerea Ethiopian Airlines si sono addormentati in volo, a 11 mila metri di altezza, nei cieli dell'Etiopia, mancando l'atterraggio programmato presso l'aeroporto di Addis Abeba. Il fuoriprogramma ad alta quota si è verificato il 15 agosto. Lo racconta la “Bbc” citando la testata The Aviation Herald.
Secondo quanto emerso, la torre di controllo dello scalo etiope ha cercato diverse volte di contattare l'equipaggio, ma i due piloti non hanno dato alcun cenno. Una volta sorvolata la pista, però, l'autopilota del Boeing 737 della compagnia aerea etiope si è disconnesso, consentendo di attivare un allarme che ha svegliato i due piloti, a quel punto abili nel riportare il velivolo verso la capitale etiope.
A testimoniare l’insolito episodio anche il radar del portale flightaware.com che ha evidenziato la rotta a forma di 8 comparsa nei pressi dell'aeroporto di destinazione. Il volo era partito dallo scalo sudanese di Khartum ed è arrivato a destinazione 25 minuti dopo aver sorvolato la pista per la prima volta.
La stanchezza dei piloti “una minaccia alla sicurezza aerea”
L'episodio, fortunatamente a lieto fine, ha messo però in allarme il comparto dell'aviazione civile che ha deciso di indagare sulle possibili cause. L'accaduto “profondamente preoccupante” ha coinvolto “la più grande compagnia aerea africana”, ha segnalato su Twitter l'esperto di aviazione Alex Macheras.
“La stanchezza dei piloti non è una novità e continua a rappresentare una delle minacce più significative alla sicurezza aerea a livello internazionale”, ha sottolineato ancora, ricordando una recente protesta portata avanti dai piloti britannici contro la compagnia aerea low cost “Jet2” considerata colpevole, secondo quanto riferito dal sindacato “Balpa”, di “non riconoscere” la problematica legata ai ritmi di lavoro troppo stressanti e faticosi per gli equipaggi stessi.
Lorenzo Pastuglia per corrieredelveneto.corriere.it il 29 Dicembre 2022.
Erano partiti da Trento e stavano volando verso Belluno con un aereo da turismo, prima che una perdita di potenza al motore costringesse tre ragazzi a un atterraggio di emergenza sul gruppo del Lagorai, in Trentino, circa 100 metri sotto al bivacco «Paolo e Nicola», nel comune di Predazzo e lungo il versante della Val di Fiemme, a una quota di 2.100 metri. Alla guida dell’aereo c’era Silvia de Bon, 22 anni, a bordo il fratello Mattia, 27 anni, e la sua fidanzata, Giorgia Qualizza, di 28, tutti e tre originari di Longarone (Belluno).
La prima, oltre al brevetto italiano, aveva da poco conseguito anche quello americano. Era appena tornata dagli Usa, e insieme agli altri due aveva optato per una gita post-natalizia in alta quota. I tre passeggeri, feriti ma coscienti dopo l’incidente delle 16.25 del 28 dicembre, sono riusciti a uscire dall’abitacolo — chiamando il numero unico per le emergenze del 112 — e sono poi saliti fino al bivacco per aspettare i soccorsi. Poco dopo è arrivato l’elisoccorso da Trento, su richiesta della Centrale unica di Trentino Emergenza, con il Coordinatore dell’Area operativa Trentino settentrionale del Soccorso Alpino e Speleologico.
Ferite per l’esplosione del vetro
I tre giovani, così, sono stati portati in codice rosso all’ospedale Santa Chiara, dove solo Silvia ha passato la notte in osservazione per alcune ferite, dovute all’esplosione del vetro dell’aereo (il titolare legale del mezzo è l’Aeroclub Belluno «Arturo Dell’Oro»): alcune schegge l’hanno colpito alla parte sinistra del volto, oltre ad abrasioni varie alla testa per il colpo subito. Gli altri due sono invece tornati a casa a Longarone dopo cena, riportati in auto dal papà di Mattia e Silvia, Ettore. «Abbiamo portato a casa la pelle tutti e tre — racconta il 27enne — L’esatta posizione dell’incidente l’ho ricavata dall’applicazione del 112».
Le noie al motore
«Quando mio figlio mi ha chiamato, chiedendomi se qualcuno potesse riportarlo a casa e che tutti stavano bene, allora ho capito tutto — dice Ettore — Silvia mi ha raccontato che l’aereo aveva già problemi di accensione a Trento, così ha chiamato il suo ispettore che le ha spiegato come dovesse fare».
E ancora: «Andando in alta quota, ha accusato altre noie— aggiunge — Mi ha raccontato che l’aereo è andato giù in picchiata e che si è salvata applicando le manovre di salvataggio. Ha perso i sensi per un attimo e non si ricorda gli istanti prima del botto. Quel tragitto mia figlia l’ha fatto diverse volte, lo conosceva bene. È appena tornata dalla Florida, dove ha conseguito il brevetto americano. Un miracolo che sia viva, spero tanto che lasci perdere i voli, anche se lei mi dice sempre che è più probabile morire in un incidente stradale piuttosto che in volo».
Alessia Forzin per “La Stampa” il 30 dicembre 2022.
«Mi sono vista la montagna davanti agli occhi. Dovevo scegliere se virare e schiantarmi contro i costoni laterali o trovare un modo per attutire la botta atterrando da qualche parte. E ci sono riuscita». Il volto è sorridente, le guance graffiate che spuntano da un collare ortopedico a protezione del collo, ma Silvia De Bon sta bene. E solo ieri ha iniziato a rendersi conto di aver salvato la vita a sé stessa, al fratello Mattia e alla sua fidanzata Giorgia.
I tre ragazzi, tutti di Longarone (Belluno) mercoledì erano decollati dall'aeroporto Arturo Dell'Oro di Belluno per un volo. Silvia ai comandi, gli altri a godersi il panorama.
Giunti sul gruppo del Lagorai, in Trentino, l'aereo ha improvvisamente iniziato a perdere quota e Silvia ha tentato un atterraggio di emergenza sulla neve. Perfettamente riuscito. Portati all'ospedale di Trento con l'elisoccorso, Mattia De Bon, 27 anni, e Giorgia Qualizza (28) sono stati dimessi già nella serata di mercoledì.
Silvia, che di anni ne ha appena 22, è stata tenuta in reparto perché aveva un forte mal di testa. «Ma mi sento bene, dovrebbero dimettermi domani (oggi per chi legge, ndr)», racconta dall'ospedale. «Ho alcune ferite sul volto, non so come me le sono fatte perché il vetro dell'aereo sembra intatto. Forse ho sbattuto sul cruscotto. Ho un po' di dolori alla schiena e alle costole, niente di grave».
Cosa ricorda della giornata di mercoledì?
«Con mio fratello e la sua fidanzata volevamo fare un volo, l'idea era di fare Belluno, Trento, Bolzano e rientrare per Cortina. Ma era tardi e abbiamo deciso di tagliare per Predazzo. Cosa sia successo sul Lagorai, non lo so. In questo momento non mi sento di dire nulla: ci sono verifiche da fare».
Cosa è capitato all'aereo?
«Ha perso quota e non sono riuscita a svalicare la montagna che avevamo davanti».
Cosa ha pensato in quel momento?
«Ero in un canalone. Per tenere su l'aereo ho tirato la cloche, la velocità è diminuita è l'aereo ha iniziato a scendere. Avevo davanti due possibilità: virare e finire contro il costone della montagna, che avevo a destra e a sinistra, o cercare il modo di attutire la botta atterrando da qualche parte. E di farlo cercando di provocare meno conseguenze possibili».
Aveva punti di riferimento o la neve permetteva di orientarsi?
«Vedevo questo posto in pendenza. Era l'unica possibilità per atterrare se non volevo schiantarmi, quindi ho tirato su l'aereo, ho cercato di farlo planare».
L'hanno aiutata le strumentazioni di bordo?
«Ero concentrata sulla montagna, non ho più guardato gli strumenti. Pensavo solo alla necessità di atterrare, senza conseguenze. Tutto quello che avevo intorno non esisteva più. Non so se mio fratello e la sua ragazza abbiano detto qualcosa, io pensavo solo ad atterrare. Ho usato l'istinto: in quei momenti hai pochissimi secondi per prendere una decisione. Non ricordo nemmeno l'atterraggio».
Usciti dall'aereo cosa avete fatto?
«Ci siamo diretti al bivacco "Paolo e Nicola", c'erano tre ragazzi che ci hanno aiutati. Mio fratello ha chiamato i soccorsi, io l'Aeroclub di Belluno per avvertirli di cosa era successo».
Si è resa conto di aver salvato la vita a tutti?
«Inizio a capirlo oggi. Sto ricevendo tanti messaggi, tanti complimenti. Mi dispiace per l'aereo, ma sono orgogliosa di essere riuscita ad atterrare in quel punto».
Si parla di problemi di accensione dell'aereo.
«È stato un fraintendimento. Quando siamo partiti da Trento il motore era freddo e faceva fatica a partire, ma questo fatto non è collegato o collegabile con quanto accaduto in volo».
Tornerà a volare?
«Assolutamente, non vedo l'ora. Il mio obiettivo non cambia, questo è solo un incidente di percorso».
E qual è il suo obiettivo?
«Diventare pilota di linea. Per il momento ho il brevetto di aviazione generale italiano e quello statunitense. Per diventare pilota di linea devo studiare ancora, ma sono pronta. Io voglio volare».
Smarriti.
Disagi.
Disgrazie.
Estratto dell’articolo di Gioia Locati per “il Giornale” il 20 giugno 2023.
Siamo distratti, non c'è dubbio. E forse viviamo anche circondati da troppe cose. Va però detto che bagagli, borse e telefoni sono diventati una parte importante del nostro mondo: ci sono le foto, le password, i documenti, tutti gli strumenti necessari per vivere e lavorare.
Ogni giorno nella Capitale si passano al vaglio 5.000 oggetti, «dopo tre mesi, se nessuno li rivendica sono messi all'asta, ma gli 8.770 documenti persi nel 2022 sono stati tutti restituiti» ha dichiarato Roberto Ricciotti, responsabile del servizio per il Comune di Roma.
L'articolo 928 del Codice Civile indica che ciò che si trova debba essere restituito al proprietario o consegnato al sindaco. E che ogni amministrazione riservare un ufficio per custodire gli oggetti e cercare di riassegnarli. «Ma quasi nessuno ne conosce l'esistenza - ha ammesso Marco Semplici, presidente dei Servizi alla Strada, la società fiorentina che dal 2000 si occupa del servizio.
Il 99% delle persone che perdono la chiave di casa rifà la serratura. Purtroppo tendiamo a non fidarci del prossimo ea temere un'incursione dei ladri». Combinazione, a Firenze, le chiavi sono in testa alla top ten degli oggetti persi. […]
Perché viaggiare in treno è molto più costoso dell’aereo. Gloria Ferrari su L'Indipendente mercoledì 16 agosto 2023.
Ogni giorno quasi sei milioni di persone prendono almeno un treno per spostarsi nelle Regioni e nelle città italiane, che sia per lavoro, necessità o divertimento. Negli ultimi anni, però, quella di viaggiare su rotaie è diventata una scelta piuttosto dispendiosa. Uno studio condotto da Greenpeace ha dimostrato che muoversi con un treno costa in media dalle due alle quattro volte il prezzo di un volo – che, tra l’altro, inquina almeno cinque volte in più.
Una conclusione a cui i ricercatori dell’organizzazione sono giunti confrontando il costo dei biglietti ferroviari e aerei – consultati in nove date diverse – per 112 tratte tra grandi città, tutte con un aeroporto internazionale e una stazione ferroviaria, in 27 Paesi europei, da quattro mesi a un paio di giorni prima della partenza (così da tenere conto anche delle offerte dell’ultimo minuto). L’analisi incrociata ha quindi scoperto che in sette rotte su dieci (79 su 112) i voli erano generalmente più economici. Anche in Italia, dove “il crollo dell’ex compagnia aerea ALITALIA ha spalancato le porte a quelle low cost, che gestiscono 14 delle 15 rotte analizzate nel Paese”, si legge nel rapporto.
“Su 13 delle 15 rotte analizzate i voli sono stati sempre o quasi sempre più economici, compresa la tratta interna da Palermo a Torino, meno cara in 7 viaggi su 9”. In media, tenendo conto di alcune eccezioni, per tutte le tratte che hanno compreso l’Italia, il treno è risultato 2,5 volte più costoso di un volo. Per andare da Roma a Parigi in aereo, per esempio, il costo minimo è di 29 euro, che diventano 73 in treno. Vale lo stesso per tratte come Roma-Vienna o Milano-Lussemburgo. In questi casi i costi sono anche dieci volte e tre volte superiori. Tant’è che, alla fine, il nostro Paese occupa il quinto posto nella classifica per maggiore differenza di costo tra viaggio in treno e viaggio in aereo.
Greenpeace crede che le motivazioni principali dietro a tale disparità siano da ricercare in due ambiti: quello delle risorse umane e quello normativo, la cui gestione “avvantaggia le compagnie aeree a basso costo a scapito del clima e dei diritti dei lavoratori”. Sul primo punto incidono le condizioni a cui sono sottoposti gli operatori del settore, ridotti quantitativamente al minimo e pagati sempre meno. Sul secondo, invece, pesano le normative vigenti, che permettono di risparmiare un enorme somma di denaro. Le compagnie aeree, infatti, non pagano tasse sull’acquisto del cherosene (un’imposta prevista solo da Norvegia e Svizzera, limitatamente però ai voli domestici), possono vendere i propri biglietti esenti da IVA (o con un’aliquota ridottissima) e sono obbligate a compensare economicamente le proprie emissioni inquinanti solo sui voli tra scali europei. Con l’attuale legislazione, nel 2022 i Governi europei hanno perso 34,2 miliardi di euro, soldi che basterebbero a costruire 1.400 km di infrastrutture ferroviarie ad alta velocità e che sarebbero finiti nelle casse statali se il settore non avesse beneficiato delle agevolazioni. Al contrario, gli operatori ferroviari devono pagare tasse sull’energia, IVA ed elevati pedaggi nella maggior parte dei Paesi europei.
“Serve prima di tutto un divieto di tutti i voli a corto raggio laddove esista un’alternativa ferroviaria ragionevole”, spiega l’organizzazione, così da rendere il trasporto ferroviario più conveniente. Poi, “basta sussidi per le compagnie aeree e gli aeroporti, a partire dalla graduale eliminazione delle esenzioni fiscali per il cherosene”, soprattutto perché “in una situazione di crisi climatica, concedere tali privilegi a un settore super inquinante è incompatibile con le sfide che dobbiamo affrontare”. [di Gloria Ferrari]
Perché i pendolari sono ostaggio dei treni e in 700 mila tornano a usare l’auto. Milena Gabanelli e Gianni Santucci su Il Corriere della Sera il 29 maggio 2023.
Per rendere la mobilità sostenibile, e dunque ridurre l’inquinamento prodotto dalla congestione del traffico, esiste una sola possibilità: offrire un’alternativa all’auto. Soprattutto in un settore chiave, i treni regionali. Per i milioni di pendolari che ogni mattina si riversano nelle città e devono raggiungere in orario il posto di lavoro, scuola e università, i treni devono essere efficienti e affidabili. A che punto siamo in questa transizione? Sui treni regionali, tra 2009 e 2019, in Campania i passeggeri sono crollati da 400 mila a 250 mila al giorno; tendono a diminuire i 500 mila del Lazio; in Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto sono cresciuti un po’. La Lombardia è un caso particolare: nello stesso decennio i viaggiatori sui regionali erano passati da meno di 600 mila a 820 mila al giorno (trascinando una crescita complessiva nazionale di circa l’1 per cento l’anno). Nel 2022 però sono scesi fra 630/650 mila al giorno, circa 200 mila in meno rispetto al 2019. E attenzione: quel numero si riferisce al trasporto ferroviario di tutta la Lombardia. A confronto, solo a Milano da fuori Comune entrano oltre 700 mila macchine al giorno.
La controrivoluzione
Il dato della Lombardia è rappresentativo: quella sui treni regionali è la porzione della mobilità che in tutto il Paese stenta di più a recuperare i livelli pre-pandemia. I passeggeri erano in tutto 3 milioni al giorno nel 2019: dopo il crollo del 2020, con la ripresa del 2022 sono risaliti a 2,3 milioni (nei primi tre mesi dell’anno c’era ancora qualche limitazione). Ancora il 23 per cento in meno. L’uso dell’auto, invece, è aumentato. L’Italia, dunque, è uscita dal Covid con una sorta di controrivoluzione nella mobilità sostenibile. Dietro a questo numero non c’è solo lo smart working, che ha indubbiamente ridotto una quota di spostamenti, ma questioni più strutturali. Ci sono undicimila chilometri di ferrovie (il 56 per cento) a binario unico. Quasi 6 mila chilometri (il 29 per cento) ancora con treni diesel. Le infrastrutture più «scadenti» riguardano quasi esclusivamente i collegamenti regionali, e soprattutto al Sud. Se dai binari si passa ai treni, il 43 per cento dei quasi 2.800 convogli regionali ha più di 15 anni, con punte di «anzianità» sopra il 70 per cento in Calabria e Campania. Nella quotidianità questo quadro si traduce in una serie di guasti, ritardi e soppressioni che tormentano la massa dolente dei pendolari. Che se devono arrivare puntuali al lavoro, rivalutano l’auto. Ed è proprio quel che è accaduto: una parte di chi aveva ripreso a spostarsi in macchina durante il Covid non sta tornando al treno. Se questa è la conseguenza, le cause sono più antiche.
Il cavallo e l’elefante
Il rapporto «Pendolaria» 2023 di Legambiente mostra che il monte di trasferimenti dallo Stato alle Regioni per il trasporto pubblico s’è ridotto di oltre un miliardo rispetto al 2009 (da 6,2, a 5,1 miliardi nel 2023), con le Regioni stesse che per i servizi ferroviari, in media, spendono meno dello 0,6 per cento del bilancio. Oltre alle province autonome di Trento e Bolzano, l’unica regione che impegna più dell’1% è la Lombardia. Legambiente calcola, inoltre, che tra 2010 e 2020 siano stati costruiti 78 chilometri di ferrovie nazionali e regionali (esclusa l’alta velocità). Nella stessa decade, i chilometri in più di autostrade sono stati 310.
Certo, il sistema ferroviario non è rimasto immobile, ma è cresciuto su due strade: da una parte camminava un elefante, dall’altra galoppava un cavallo. Basta vedere lo sviluppo dell’alta velocità: i passeggeri di Trenitalia sono saliti da 6,5 milioni del 2012 a 47 milioni del 2019; nello stesso periodo quelli di Italo sono passati da 4,5 milioni a 20,1. La flotta dei treni super veloci è quasi raddoppiata. Di fatto c’è quindi una separazione fra i tre mondi delle ferrovie: quello superiore (e redditizio) dell’alta velocità, il mondo di mezzo (gli Intercity) è già serie B, e in fondo quello sommerso dei regionali.
I tre mondi delle ferrovie
Per comprendere quanto siano lontani i tre mondi si può fare un esperimento. Fate conto di trovarvi davanti al tabellone delle partenze, alla stazione di Napoli Centrale, alle 8 del mattino (i dati sono frutto di prove di acquisto di biglietti per il 2 maggio scorso). Mettiamo che dobbiate andare a Roma. Il Frecciarossa parte alle 8.09; alle 9.25 è nella Capitale: 220 chilometri, un’ora e 16 minuti, costo 38,9 euro. Poniamo invece che dobbiate raggiungere Bari: partenza alle 8.12, su un regionale. Non avete scelta. Dovrete scendere a Caserta, cambiare treno, e sarete a Bari alle 12.11. La distanza è maggiore di soli 30 chilometri, ma il viaggio dura 2 ore e 43 minuti di più. In sintesi: Napoli-Roma in un’ora e 16; Napoli-Bari in 3 ore e 59. Ci sarà un risparmio? No. In Economy, il Napoli-Bari costa 43,6 euro, 4,7 euro in più del Frecciarossa per Roma. Esiste almeno un diretto nel corso della giornata? No. E questa è la distanza tra i primi due mondi. Il terzo mondo si vede restando a Napoli: sbarcano i pendolari che per poco più di 40 chilometri, tipo un Nocera Inferiore-Napoli o Sorrento-Napoli, impiegano da un’ora, a un’ora e 20. Quando va bene. Perché i 142 chilometri delle ex linee circumvesuviane sono da anni nella classifica delle peggiori tratte italiane nel rapporto «Pendolaria». Poter contare su un treno (abbastanza) puntuale è decisivo per chi deve raggiungere uffici o scuole. In Lombardia, che pure ha il servizio più esteso d’Italia, a febbraio scorso 9 linee su 42 non hanno rispettato lo standard di affidabilità per numero di treni soppressi e ritardi sopra i 15 minuti.
In 20 anni 7 milioni di auto in più
Definito il quadro dei treni, consideriamo le alternative. Napoli-Bari in autobus costa 12 euro, il viaggio dura 3 ore. Con una decina di euro in più rispetto al treno (35 di benzina e 20 di pedaggio) si arriva a Bari in macchina in 2 ore e mezza. Dunque, autostrada batte ferrovia. E questo è il risultato: rispetto a 20 anni fa, in Italia circolano in più 7 milioni di auto e 2 milioni di moto e motorini. Eccola la controrivoluzione, sta dentro al «19° Rapporto sulla mobilità degli italiani» dell’Isfort: nel 2021 il tasso di motorizzazione è salito a 67,2 veicoli ogni 100 abitanti (66,6 nel 2020). Reggio Calabria, Catania e Firenze hanno più di 70 auto ogni 100 abitanti; Roma, Bologna, Torino, Palermo e Napoli sono sopra 60. A Madrid circolano 48 auto ogni 100 abitanti, a Londra 36, a Berlino 35. E non è solo un fatto di senso civico, ma di investimenti e strategie. I servizi efficienti attraggono passeggeri, quelli scadenti arrancano. Questo valeva già prima, ma la pandemia ha aggravato il divario: sul totale degli spostamenti nelle aree urbane in Italia, nel 2022 l’uso dell’auto è salito al 64 per cento (più 1,5 rispetto al 2019), quello di tutti i trasporti pubblici arriva al 7,6 (-3,2). Le stime sono contenute nell’allegato all’ultimo Documento di economia e finanza del governo. La promessa, e la speranza di una vera trasformazione della mobilità è affidata al Pnrr.
Speranza Pnrr
Tra investimenti già avviati e Piano europeo in totale ci sono circa 53 miliardi dedicati a infrastrutture e trasporti ferroviari. La maggior parte (38) andrà all’alta velocità: quasi 5 miliardi per Napoli-Bari, Palermo-Catania e Salerno-Reggio; poi i grandi collegamenti con i corridoi del Nord Europa.
Sono previsti anche quasi 10 miliardi per le linee secondarie: 700 milioni per le stazioni al Sud, 800 per nuovi treni, 2,5 miliardi per le infrastrutture. Soldi da spendere entro il 2026. Un tempo incompatibile con i nostri processi amministrativi che devono essere riformati, ma ancora nessuno ci ha messo mano. Se continuiamo a dilungare i tempi significa che buona parte di questi fondi verranno depennati.
Le 38 ferrovie abbandonate che si possono riaprire a poco prezzo per migliorare l’Italia. Stefano Baudino su L'Indipendente il 16 maggio 2023.
In quasi tutte le Regioni italiane, sono tantissime le linee ferroviarie sospese e chiuse all’esercizio. A spiegarlo nel dettaglio è il nuovo dossier “Futuro sospeso”, curato dall’Alleanza per la Mobilità Dolce AMODO in collaborazione, tra gli altri, con Italia Nostra, Legambiente e UTP AssoUtenti. Dati alla mano, nel rapporto si sostiene che 38 di quelle linee, per un totale di 1200 chilometri, sarebbero meritevoli di “essere riaperte”: se recuperate al trasporto passeggeri, afferma l’organizzazione, esse potrebbero infatti “sviluppare un potenziale traffico ordinario (pendolare o anche escursionistico) senza spese eccessive” e, trattandosi di tracciati che hanno conservato buone condizioni, sarebbero “facilmente ripristinabili in tempi brevi”.
Il Piemonte, dove una decina di anni fa, in seguito a una crisi finanziaria, la giunta guidata dall’allora governatore Roberto Cota decretò la sospensione di una dozzina di tratti ferroviari, detiene il maggior numero di linee sospese: ben 14. Seguono Sicilia (5), Lombardia, Lazio e Puglia (3), Marche, Molise, Campania e Calabria (2), Toscana e Abruzzo (1). All’interno del dossier si parla anche delle linee interrotte in seguito a crolli di viadotti (l’esempio più noto è quello della Caltagirone – Gela) o di frane (come la Priverno – Terracina): l’organizzazione sottolinea come si sia avuto “modo di sospettare” che tali situazioni venissero “prese a pretesto per dilazionare sine die la riattivazione”, così da “porre le popolazioni interessate davanti al fatto compiuto”. A fare eccezione sono invece alcuni tratti ferroviari chiusi da molto tempo (come la Fano-Urbino o la Orte-Civitavecchia), oppure interessati da programmi di ricostruzione incerti (ad esempio, la Sangritana), per cui sono richiesti investimenti più consistenti.
La denuncia dell’organizzazione è molto chiara: “Molto spesso aleggia la malcelata speranza da parte di alcune Regioni – che continuano a considerare queste linee un fardello economico o anche solo gestionale, anziché una risorsa da sfruttare più razionalmente – di liberarsi di tali oneri, nell’indifferenza dei territori interessati, come del resto avvenne all’epoca delle massicce soppressioni degli anni Cinquanta e Sessanta”, si legge nel report. E, sebbene “in certi casi ci sono impegni abbastanza precisi da parte delle aziende o degli Enti territoriali competenti a procedere nella riapertura (per esempio, la Alcamo – Milo – Trapani ora inserita nel Recovery Plan, con nomina di un commissario ad acta)”, alla prova dei fatti “i tempi previsti rimangono spesso vaghi e condizionati da un corollario di vincoli finanziari o normativi”.
Nel dossier è presente un intero paragrafo riferito alla questione PNRR, che comprende importanti risorse per le ferrovie regionali interconnesse al fine di “migliorarne i livelli di sicurezza, potenziamento del sistema ferroviario utilizzato come trasporto pubblico locale, interventi per rafforzare il collegamento delle linee regionali con la rete nazionale ad alta velocità”. Pur riconoscendo al PNRR il merito di destinare “ingenti risorse al settore ferroviario” anziché a nuove autostrade, “raccogliendo così le indicazioni dell’Unione Europea” atte a “contrastare i cambiamenti climatici”, nel rapporto emergono una serie di criticità: alcune opere, prima tra tutte la realizzazione di una nuova linea ad Alta Velocità tra Salerno e Reggio Calabria, “sembrano concepite con tracciati molto audaci attraverso la catena appenninica” che implicano “enorme impegno finanziario e possibili pregiudizi ambientali”. In più vi è il rischio dell’“assalto alla diligenza” da parte di territori che si sentono trascurati, che sovente propongono soluzioni che “rischiano di penalizzare la fruizione del servizio ferroviario”, come dimostrerebbe ad esempio il caso dell’“arretramento della linea Adriatica nel territorio di Pesaro a monte dell’autostrada”. L’organizzazione ritiene invece che le risorse a disposizione “vadano spese oculatamente, a cominciare proprio da quei modesti interventi, come la riattivazione di infrastrutture ferroviarie già esistenti, che potrebbero fornire da subito una risposta alle esigenze di mobilità sostenibile per le popolazioni interessate”.
Nonostante tali evidenze, che insieme a molte altre fotografano un’Italia assolutamente poco propensa a investire sulla manutenzione ordinaria e straordinaria, governi di diverso colore si ostinano a puntare tutto sulla promessa della realizzazione di grandi opere. Gli esempi più eloquenti sono quelli del Tav, sulla cui costruzione Conseil d’orientation des infrastructures francese ha recentemente aperto la strada a uno slittamento in calendario (sebbene l’Esecutivo abbia rimarcato la priorità dell’opera), e del Ponte sullo Stretto, che il governo italiano è pronto a pubblicizzare con 7 milioni di euro nonostante manchi ancora di un progetto esecutivo. Con tanti saluti a una vera, ragionata e pervasiva cura del territorio. [di Stefano Baudino]
(ANSA il 20 aprile 2023) - Continua il caos alla Stazione Termini di Roma. I pendolari e i turisti sono da ore in un'odissea che sembra loro senza fine: "Purtroppo ho un funerale domani mattina. Ci hanno avvisato una mezz'ora prima della partenza. Siamo disperate", ha detto una signora diretta a Torino, tra le centinaia di persone ferme sulla banchina dopo la lunga attesa all'info point della Stazione Termini di Roma.
Il carro merci deragliato a Firenze sta continuando a creare molti problemi a chi cerca di partire o di arrivare nella Capitale. "Ho un colloquio a Milano domani mattina. Ho 400 numeri davanti a me. Non so cosa fare. Non mi rispondono al telefono", dice un uomo in fila.
"Qui è una vera odissea", sottolinea con tono rassegnato un signore diretto in Lombardia. "Di tre sportelli sono aperti solo due e non ci rispondono proprio al telefono. Noi siamo arrivati qui alle 7. Dovevamo festeggiare il nostro anniversario a Venezia. Abbiamo preso le ferie per farci questo weekend e nessuno è chiaro sulle soluzioni possibili, oltre l'attesa estenuante", dice una ragazza piangendo accanto al fidanzato, mostrando il foglietto con il numero preso alle 8 e 45 di questa mattina.
"Gli incidenti possono capitare. Ma com'è possibile che un treno deragliato blocchi tutta Italia", prosegue la giovane visibilmente provata. "Un treno che sul tabellone non c'è più. Destinazione Firenze. Dovevo partire alle 9.43 il problema è che sull'applicazione risulta ancora attiva la corsa, segnando che il treno è in ritardo solo di 50 minuti, ma dovevo partire due ore fa.
Quindi adesso non riesco a fare la cancellazione e per richiedere un rimborso devo fare una fila con centinaia di persone avanti", dice una romana, diretta a Firenze per una gita. "Io dovevo tornare a Lecce", dice invece una studentessa assieme ad altri due ragazzi di Barletta.
“I treni non sono partiti e attendiamo le soluzioni. Con mia mamma dovevo andare a Milano per fare visita a mia zia. Io dovrei rimanere lì. Spero di poter arrivare su, almeno per fine giornata”, dice un giovane con la sorellina e la madre affianco. “Stiamo cercando di capire come fare, ma la situazione, oltre che tutti i treni sono cancellati, non è chiara”, dice una famiglia di quattro persone.
(ANSA il 20 aprile 2023) - "In caso di rinuncia al viaggio è possibile richiedere il rimborso integrale del biglietto". Lo rende noto Trenitalia nel sito dedicato ai problemi alla circolazione dei treni. "Per i passeggeri dell'Intercity 797 è stato disposto il rimborso integrale del biglietto". E' invece detto sul sito Fsnews. Secondo quanto si è appreso, i 160 passeggeri del treno Milano-Salerno erano rimasti fermi dalle 2.30 della notte scorsa in seguito al deragliamento di treno merci tra Castello e Sesto Fiorentino.
(ANSA il 20 aprile 2023) - Durante la sosta forzata del treno Intercity Milano-Salerno, con 160 persone a bordo, vicino a Firenze per l'assenza di energia elettrica a causa del deragliamento di un carro merci sulla stessa linea, il 118 ha dovuto disporre il soccorso di due persone che hanno avuto malori.
Sono due interventi in codice verde di cui non risulta, al momento, necessità di ricovero al pronto soccorso. Tuttavia si è sentito male, prima, intorno alle 5.30, un uomo di 79 anni, per una crisi respiratoria, mentre più tardi, verso le 8, i sanitari sono intervenuti per un altro uomo, di 69 anni, colpito da una crisi metabolica.
I passeggeri viaggiavano di notte e sono rimasti bloccati sull'Intercity fermo dalle 2 a oltre le 10 quando il convoglio è stato trainato nella stazione di Prato e sono potuti scendere all'aperto. Poiché l'Intercity era fermo fuori banchina, per motivi di sicurezza i passeggeri non potevano scendere.
(ANSA il 20 aprile 2023) - "La nostra prima preoccupazione ovviamente è stata per il possibile coinvolgimento di persone, così non è stato e questa è la cosa più importante". Lo dichiara Alessio Muciaccia, ceo di Gts Spa, l'azienda ferroviaria coinvolta nell'incidente di Firenze. Il treno Gts 57034 era partito da Nola Interporto e diretto a Milano Segrate. Gts Rail trazionava una muta di carri e la società fa sapere che quello sviato non è di sua proprietà.
Inoltre, Gts non è responsabile della manutenzione del carro. Sull'itinerario di arrivo di Firenze Castello verso le 02.20 una parte del terzo carro in composizione è sviato (il carro è composto da due semicarri).
"Difficile poter definire - specifica Muciaccia - allo stato attuale, le cause: si può ipotizzare un danno strutturale al carro o un problema dell'infrastruttura". Sul semicarro sviato viaggiava una cassa con materiale vario non pericoloso. La cassa è danneggiata ma non c'è sversamento. "Siamo molto dispiaciuti per gli inconvenienti che si sono creati" - conclude Muciaccia - siamo a disposizione per verificare i motivi dell'incidente. I nostri servizi riprenderanno regolarmente a partire da domani".
(ANSA il 20 aprile 2023) - Dopo i deragliamento del treno merci a Firenze, "l'obiettivo è ripristinare la circolazione entro il primo pomeriggio". Lo si legge in una nota del Mit. "Il vicepremier e ministro Matteo Salvini sta seguendo con la massima attenzione la vicenda, anche per evitare che in futuro ricapitino situazioni simili. Nel nodo di Firenze c'è un problema legato alla presenza di binari normali vicini a quelli dell'alta velocità, situazione che verrà risolta da un sottopasso i cui lavori partiranno a maggio".
(ANSA il 20 aprile 2023) - "La circolazione sulla linea dell'alta velocità riprenderà gradualmente dalle 12": l'annuncio è stato dato dagli altoparlanti della stazione centrale di Milano dove si susseguono gli annunci di ritardi e cancellazione dopo il deragliamento di un treno merci a Firenze nella notte.
(ANSA il 20 aprile 2023) - E' stato da poco trainato via il treno Intercity notte Milano-Salerno, con 160 persone a bordo, che era rimasto fermo dalle 2 della notte scorsa, perché privo di elettricità, su un binario fuori banchina all'altezza della stazione di Zambra (Firenze). L'Intercity ha subito l'avaria a seguito del deragliamento di un carro di un treno merci sulla stessa linea, incidente che ha causato danni all'alimentazione elettrica ferroviaria. E' stato fatto arrivare un locomotore a gasolio, che ha trainato il treno rimasto fermo. Sul posto personale Rfi, Polfer, e polizia municipale.
Il treno Intercity, spiega David, uno dei passeggeri a bordo del convoglio rimasto fermo all'altezza della stazione di Zambra a Sesto Fiorentino (Firenze), è stato rimorchiato ed è giunto alla stazione di Prato, "finalmente stiamo scendendo dal treno e c'è una sensazione di liberazione. Che bella l'aria fresca dopo ore e ore al chiuso sul treno con l'aria ormai viziata".
"Il nostro viaggio è iniziato questa notte alle 1 - sottolinea -. Vediamo come si evolve la situazione e se riusciamo a raggiungere Firenze". A bordo dell'Intercity, aggiunge, "ci sono anche dei bambini e due neonati. Sono stati registrati due lievi malori, due persone anziane a cui mancava l'aria. Hanno chiamato l'ambulanza e poi sono state fatte tornare sul treno.
Il treno non aveva elettricità o riscaldamento e noi passeggeri non potevamo scendere. Alle 2.30 sono state distribuite acqua e una confezione di biscotti. Molti viaggiatori hanno perso il volo e alcuni a bordo erano preoccupati per un concorso Inps in programma stamattina".
Estratto da ilgiorno.it il 20 aprile 2023.
Il deragliamento di un carro merci sulla linea ferroviaria fra Firenze e Bologna sta provocando una serie di disagi su tutta la dorsale Nord-Sud dell’Italia. A essere colpita, in particolare, è la linea dell’alta velocità, con cancellazioni di corse e ritardi fino a cinque ore, come comunicato da FS.
Pesante la situazione anche alla Stazione Centrale di Milano che – complice anche la coincidenza con il Salone del Mobile – si è riempita di viaggiatori impegnati a scrollare compulsivamente i display del cellulare ma anche a scrutare i tabelloni elettronici con le partenze, per cercare di capire le sorti del loro treno. Adesso si attende di sapere se – come è stato annunciato dagli altoparlanti – la circolazione riprenderà davvero alle 12 oppure se si tratterà di attendere il primo pomeriggio, come previsto dal ministero dei Trasporti.
La situazione
I ritardi, così come appare sul tabellone delle partenze dello scalo principale di Milano, si attestano sulle due ore, ma si arriva anche alle cinque. Ma quello che più pesa è la raffica di cancellazioni dei treni di alta velocità cancellati.
Lunghe code alle biglietterie, tantissime persone davanti ai monitor e passeggeri a cui hanno cancellato i treni verso sud che cercano di salire sui pochi in partenza, mettendosi in una lunga coda ordinata. "C'è più gente di quando siamo partiti per il covid”, dice Carmine, tifoso dell'Inter di ritorno a Salerno dopo la partita contro il Benfica che è valsa ai nerazzurri la qualificazione alla semifinale di Champions League.
Le roulette delle partenze
I ritardi e le cancellazioni dovute al deragliamento di un merci nella notte a Firenze, si aggiungono alle tante presenze per il Salone del Mobile e anche a quelle dei tifosi arrivati in città per la partita di Champions. Tutti si assiepano davanti ai cartelloni guardando se il treno che devono prendere è fra quelli semplicemente in ritardo o partirà. "È un disastro totale. Ci aspettano per un congresso di oncologia a Roma ma non so se arriveremo - dice Gigi Merola, dipendente Novartis che si trova con alcune colleghe - Dalla regia ci dicono di guardare i tabelloni”. […]
Estratto dell’articolo di Leonardo Di Paco per “la Stampa” il 23 Febbraio 2023.
Via crucis, disagio, inadeguatezza, ritardi, lentezza. Sono i termini più utilizzati nell'ultimo rapporto Pendolaria 2023 di Legambiente per descrivere la quotidianità dei tre milioni di pendolari italiani. Dall'analisi emerge un Paese a due velocità: da una parte il successo dei Frecciarossa in termini di passeggeri, raddoppiati nel post pandemia, dall'altra i tagli a Intercity e treni locali, con una forte emergenza al Sud, anche a causa di politiche regionali troppo attendiste.
A conferma di un'infrastruttura ferroviaria dall'andamento lento, soprattutto sulle linee locali, basta sfogliare le tabelle di marcia disponibili sul sito della fondazione Fs. Il tempo pare essersi fermato: molti treni 30 anni fa percorrevano le distanze tra città in tempi non molto diversi da quelli attuali. Su alcune tratte c'è stato addirittura un peggioramento. […]
La causa di questi ritardi è da ricercarsi nella preferenza degli investimenti per il trasporto su gomma. Secondo i dati del Conto nazionale trasporti, dal 2010 al 2020 sono stati realizzati 310 chilometri di autostrade, migliaia di chilometri di strade nazionali ma appena 91 chilometri di metropolitane e 63 chilometri di tranvie. […]
[…] Messo particolarmente male è il Sud, che patisce ritardi doppi rispetto a quelli del Nord - in Sicilia le corse dei treni regionali sono 506 al giorno contro le 2.173 della Lombardia - ma che a livello di trasporti è ancora incagliato su altri dibattiti, ad esempio il ponte sullo Stretto di Messina. I casi eclatanti sono diversi, dall'assenza di un collegamento diretto fra Napoli e Bari fino alle numerose linee chiuse da anni, incluse quelle della tratta Corato-Andria, in Puglia, ancora inattiva dopo 6 anni e mezzo dall'incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti.
Nel rapporto Pendolaria 2023 torna anche la classifica delle 10 linee ferroviarie peggiori d'Italia. Nelle prime posizioni le ex linee Circumvesuviane, caratterizzate da numerosi incidenti, ritardi e soppressioni, la «Metromare» Roma-Lido e la Roma Nord-Viterbo, con ritardi medi di trenta minuti e una corsa saltata su tre, o la Catania-Caltagirone-Gela con aumenti tariffari che crescono di pari passo con i ritardi dei treni. Segue la Milano-Mortara, la linea più inaffidabile del Nord […]
Lecce, nel cuore della città il pozzo che alimentava i treni a vapore. Nei giorni scorsi l'ispezione di un gruppo di geologi dell'Università del Salento. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 Dicembre 2022
Lecce - Un pozzo nel cuore della città, che realizzato alle fine del 1800 serviva ad alimentare i treni a vapore.
È Stefano Margiotta, geologo di UniSalento, a pubblicare le foto del sopralluogo del pozzo che si è svolto qualche giorno fa. «Come ricercatori - spiega ci siamo occupati delle acque sotterranee della città di Lecce, e in questo contento il pozzo riveste un'importanza eccezionale».
La storia della scoperta del pozzo è presto spiegata: all'epoca mancava ancora l'acquedotto regionale, Lecce e provincia soffrivano la siccità. «Nel luglio 1886 - spiega il professor Margiotta - viene approfondito il pozzo della stazione ferroviaria sotto la direzione di Cosimo De Giorgi. Il pozzo si attesterà per oltre 14 m sotto il livello del mare e raggiungerà un importante falda acquifera dolce. Il successo dell'impresa consentì la realizzazione del successivo pozzo Cozza Guardati».
«Il pozzo della Ferrovia, dimenticato per decenni - dice il geologo - oggi costituisce una splendida testimonianza idrogeologica e archeologica industriale. Ai tempi era in grado di attingere 250 metri cubi di acqua al giorn0».
L'ispezione è stata possibile grazie alla disponibilità di Rfi.
Corigliano Calabro.
Lodi.
Andria-Corato.
Santiago de Compostela.
Eschede.
Corigliano Calabro
Incidente in Calabria, treno travolge camion fermo sui binari: 2 morti. Scontro tra treno e camion in località "Thurio" di Corigliano Calabro: hanno perso la vita Maria Pansini, 60 anni di Catanzaro Lido e Said Hannanaoi, 24 anni di origini marocchine, era alla guida del veicolo. Francesca Galici il 28 Novembre 2023 su Il Giornale.
Grave incidente ferroviario in Calabria, in provincia di Cosenza, dove un treno ha travolto un camion in località "Thurio" di Corigliano Rossano. Il treno ed il camion, subito dopo lo scontro, hanno preso fuoco. A condurre il treno era una donna. Sia lei che la persona che si trovava alla guida del camion sono morti sul colpo. Illesi i passeggeri. L'incidente si è verificato in una intersezione della ferrovia Catanzaro Lido-Sibari con una strada. Per cause ancora da accertare, il camion ha occupato la sede del passaggio a livello proprio al passaggio del treno, che non ha potuto evitare l'impatto ed è deragliato. Le vittime sono Maria Pansini, 60 anni di Catanzaro Lido, che lavorava da anni per Trenitalia e lascia una figlia. L'autista del camion, invece è un 24enne di origini marocchine, Said Hannanaoi.
La dinamica è ancora da accertare, ma dai primi rilievi risulta che il passaggio a livello fosse correttamente chiuso e che il camion sia rimasto incastrato nel tentativo di attraversarlo, venendo poi travolto dal treno che sopraggiungeva a 130 km/h. Sul posto sono intervenuti tempestivamente il personale del 118, i Vigili del Fuoco e le Forze dell'Ordine. La circolazione ferroviaria è attualmente sospesa fra Sibari e Corigliano Calabro. RFI e Trenitalia "esprimono il loro dolore e cordoglio per le vittime e la vicinanza ai feriti".
Matteo Salvini, con una nota, ha dichiarato: "Sono terribili le immagini che arrivano dalla Calabria, sulla linea Sibari - Catanzaro Lido, dove un treno ha impattato un camion che occupava il passaggio a livello. Stiamo monitorando costantemente la situazione". Poi, ha aggiunto il "cordoglio per il capotreno e l'autista del veicolo, deceduti sul colpo". Infine, spiega: "Insieme a Vigili del Fuoco, Forze dell'Ordine e soccorsi, sono sul campo anche i tecnici che stanno effettuando tutte le verifiche necessarie. Modernizzare e mettere in sicurezza con miliardi di euro di investimenti le ferrovie di tutta Italia è una priorità assoluta che stiamo portando avanti con il massimo impegno".
Lodi.
(ANSA lunedì 3 luglio 2023) - Tre anni di reclusione per due operai addetti alla manutenzione e dipendenti di Rfi e l'assoluzione del loro istruttore. Si è chiuso cosi, a Lodi, il processo in abbreviato per il deragliamento del Frecciarossa 9595 Milano - Salerno avvenuto il 6 febbraio 2020 nel Basso Lodigiano, in corrispondenza di uno scambio tra Livraga e Ospedaletto. Nell'incidente morirono due macchinisti e 32 persone rimasero ferite. Lo ha deciso il gup Francesco Salerno che ha anche rinviato a giudizio 5 imputati che hanno scelto il rito ordinario. Nel procedimento le accuse a vario titolo sono concorso in omicidio plurimo colposo e disastro ferroviario.
I due operai condannati, secondo la ricostruzione delle indagini coordinate dall'allora Procuratore di Lodi Domenico Chiaro, poche ore prima del deragliamento installarono sullo scambio numero 5 del Posto movimento Livraga un attuatore prodotto un anno e mezzo prima da Alstom Ferroviaria a Firenze e che si era rivelato difettoso: era stata accertata un'inversione dei fili numero 16 e 18 nel cablaggio interno.
Per questo sono stati rinviati a giudizio, in ambito Alstom, l'operaio interinale che si ritiene effettuò il cablaggio errato e l'operatore del banco di collaudo che firmò la scheda attestante la regolarità del prodotto, oltre a due quadri ritenuti responsabili dei processi di progettazione e di produzione di quel tipo di componenti.
Sul fronte di Rfi è stato invece rinviato a giudizio un funzionario che risulta avesse la responsabilità di sovrintendere ai protocolli delle procedure di manutenzione degli scambi, nei quali secondo l'accusa quel tipo di difetto non era stato previsto. Il processo si aprirà il prossimo 9 gennaio davanti al tribunale a Lodi.
Oggi erano presenti in aula alcuni parenti dei due macchinisti tra cui le due vedove. Il sindacato Filt Cgil Lombardia resta costituito parte civile (ma non nei confronti degli operai) a tutela dell'interesse diffuso della sicurezza dei trasporti. Nell'incidente del febbraio 2020 la carrozza di testa si era sganciata dal resto del convoglio e aveva finito la sua corsa su un binario morto, ribaltandosi e provocando la morte dei due macchinisti Mario Dicuonzo e Giuseppe Cicciù. Dieci delle 32 persone a bordo avevano riportato lesioni gravi.
Andria-Corato.
Il disastro ferroviario in Puglia sulla tratta Corato-Andria ed il Binario unico del giornalismo italiano.
Che fine hanno fatto la mamma e la figlia trovate morte avvinghiate?
La puntualizzazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sono 23 le vittime del disastro ferroviario avvenuto in Puglia il 12 luglio 2016 sulla tratta Corato-Andria; 52 i feriti transitati dai pronto soccorsi degli ospedali; 24 le persone attualmente ricoverate, otto dei quali in prognosi riservata, tra cui il piccolo Samuele che ha 7 anni appena compiuti e che era con la nonna, morta nell'incidente ferroviario. Non ci sono dispersi. I dati sono stati ufficializzati in una conferenza stampa che si è tenuta dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e dal professor Franco Introna, primario di Medicina Legale del Policlinico di Bari il 13 luglio 2016 alle ore 14.30. Otto cadaveri individuati da dettagli: anelli, fotografie o carte che gli infermieri hanno mostrato ai familiari. Per quasi tutti i giornali Giuseppe Acquaviva è lo sfortunato contadino morto sul suo campo. Per “Andria Live”, invece, Giuseppe Acquaviva, 59 anni, di Andria, era disoccupato e viaggiava con la sorella Serafina Acquaviva, detta Lella, 62 anni, anche lei morta nell'impatto. Per “La Repubblica”, invece, era un ragioniere. E poi la chicca. Da più fonti e con più interviste si è parlato che i soccorritori si sono ritrovati anche davanti ad una scena di due corpi esanimi abbracciati: una madre e sua figlia. I loro nomi, però, non risultano tra quelli comunicati dalle autorità come vittime riconosciute o non riconosciute. Sono state ritrovate senza vita una madre e sua figlia, avvinghiate l'una all'altra in quell'ultimo abbraccio istintivo e protettivo. Una scena drammatica che i soccorritori si sono trovati dinanzi agli occhi, non appena giunti sul luogo del disastro, su quel tratto ferroviario a binario unico che collega Bari a Barletta, in Puglia. A raccontarlo sono gli stessi soccorritori all'emittente locale Telenorba ed ad altre emittenti private. Testimonianze su cui hanno ricamato i loro commenti centinaia di giornalisti. "Erano contro un ulivo, la mamma con il suo corpo proteggeva la bimba piccola ed erano in posizione fetale. Sono le prime che ho trovato, in mezzo a teste, braccia, mezzi busti sparsi ovunque sotto gli ulivi", ha raccontato Marianna Tarantini, una volontaria del Ser di Corato, una delle prime ad arrivare sul luogo dell'incidente”. Che sia una bufala a cui tutti ci sono cascati?
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Strage dei treni Andria-Corato: condannati solo capotreno e capostazione. Sei anni e sei mesi di reclusione per il capostazione Vito Piccarreta, 7 per il capotreno Nicola Lorizio. Altre 14 assoluzioni. Le famiglie delle vittime: «Li avete uccisi due volte». LINDA CAPPELLO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 16 Giugno 2023
Sei anni e sei mesi di reclusione per il capostazione Vito Piccarreta, sette anni per il capotreno Nicola Lorizio, per disastro colposo, omicidio colposo e lesioni gravissime. Tutti assolti gli altri 14 imputati così come la società Ferrotramviaria, che tuttavia insieme ai due ferrovieri dovrà risarcire le vittime dell'incidente e le altre parti civili.
Questa la sentenza del Tribunale di Trani (presidente Carmen Corvino, a latere Marina Chiddo e Sara Pedone) per la strage dei treni del 12 luglio 2016, avvenuto lungo la tratta Andria-Corato delle Ferrovie del Nord Barese, un incidente che causò 23 morti e 51 feriti.
Il Tribunale ha assolto con varie formule Enrico Maria Pasquini, (difeso dagli avvocati Luigi Panella e Leonardo Iannone) all’epoca dei fatti al vertice di Ferrotramviaria; Massimo Nitti, direttore generale di Ferrotramviaria, Michele Ronchi, direttore di esercizio della società, Giulio Roselli, (difeso dagli avvocati Roberto Eustachio Sisto e Michele Vaira) dirigente a capo della divisione infrastruttura, Francesco Pistolato (avvocati Antonio Falagario e Nicola Di Cosola), dirigente coordinatore centrale, Vito Mastrodonato, dirigente della divisione passeggeri, macchinisti e capitreno, Francesco Giuseppe Michele Schiraldi, a capo unità organizzativa tecnica, Tommaso Zonno, della divisione passeggeri, Giandonato Cassano, ferroviere e istruttore, Virginio Di Gianbattista, all’epoca dirigente del Ministero delle Infrastrutture, Alessandro De Paola, direttore Ustif (Ufficio speciale trasporti a impianti fissi), Pietro Marturano anch’egli direttore Ustif.
Il pm aveva chiesto 15 condanne a pene comprese tra i 12 e i 6 anni di reclusione e un’assoluzione.
«È una vergogna». «Non è giustizia questa: li avete uccisi due volte». «Non si vergognano? Ne sono
morti 23». «Come fanno a dormire la notte?» Sono le parole di alcuni familiari delle 23 vittime del disastro di sette anni fa dopo la lettura della sentenza che ha condannato due persone e ne ha assolte 14.
Alle prime assoluzioni in aula, alcuni dei familiari sono scoppiati in lacrime, altri sono rimasti impassibili come Giuseppe Bianchino, papà di Alessandra morta a 29 anni. «Non è una sentenza giusta», ha detto in lacrime Anna Aloysi, sorella di Maria morta nel disastro.
IL SINDACO DI CORATO: «PRENDIAMO ATTO DELLA SENTENZA»
«Una sentenza di cui prendiamo atto - ha dichiarato il sindaco di Corato, Corrado De Benedictis - Certamente prendiamo atto del disappunto dei familiari delle vittime». «I nostri Comuni, Corato e Andria, si sono costituiti parti civili, e adesso attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza per le necessarie valutazioni conseguenti», ha concluso.
«Questa sentenza viene dopo un processo lungo, difficile a cui abbiamo contribuito tutti. È una vicenda terribile come è evidente dalle reazioni dei parenti. Però la giustizia va rispettata sempre». Ha detto Michele Laforgia, difensore assieme a Tullio Bertolino, di Ferrotramviaria.
«È stato ampiamente stato acclarato che non vi era alcuna responsabilità da parte della Regione Puglia che ha sempre cercato di fornire la massima efficienza possibile a quel servizio e oggi vediamo accertata questa esclusione di responsabilità da parte della Regione». Ha detto l’avvocato Vincenzo Zaccaro, legale della Regione Puglia a conclusione del processo.
Ai vertici della società erano state contestate una serie di violazioni dei doveri di coordinamento, organizzazione, direzione e controllo che avrebbero contribuito al verificarsi del disastro ferroviario. Per Ferrotramviaria era stata chiesta la sanzione amministrativa di 1,1 milioni, oltre alla revoca delle autorizzazioni, licenze e concessioni per l’esercizio dell’attività (fra cui il certificato per la sicurezza) per un anno, oltre alla confisca di 664.000 euro, somma che - secondo l'accusa - la società avrebbe dovuto investire per mettere in sicurezza la tratta con la realizzazione e l’uso del blocco conta assi sulla Corato-Barletta. Accuse che sono respinte dalle difese.
PM: 23 MORTI PER RISPARMIARE 664MILA EURO
«È insopportabile che siano morte 23 persone per un risparmio di 664mila euro. E’ insopportabile anche sentire dire alle difese che il pubblico ministero e i suoi consulenti vivono nel metaverso, perché nel metaverso non ci sono i morti». Così il pm Marcello Catalano ha concluso le repliche della pubblica accusa nel corso dell’udienza del processo.
La somma di 664mila euro è quella - secondo l’accusa - che Ferrotramviaria non investì per mettere in sicurezza la tratta con la realizzazione e l’uso del blocco conta assi che avrebbe impedito la tragedia perché avrebbe reso tecnologica quella parte della rete ferroviaria (fino ad allora affidata al solo controllo umano con il blocco telefonico) e avrebbe evitato lo scontro frontale tra i due treni. Ora tocca alle repliche delle parti civili e delle difese.
DIFESA: IRRICEVIBILE DIRE 23 MORTI PER RISPARMIO
«E' una suggestione davvero irricevibile sostenere, come ha fatto la Procura, che i 23 morti nel disastro ferroviario sulla Andria-Corato sono stati provocati dal mancato investimento di 664mila euro». Così il difensore del direttore generale e del direttore di esercizio di Ferrotramviaria, Andrea Di Comite, ha replicato ai pubblici ministeri al processo.
Appassionata anche la replica del difensore di Ferrotramviaria, Michele Laforgia che, rivolgendosi ai giudici, ha detto: «Non vi fate affabulare, come vi ha detto il pubblico ministero oggi, non è accettabile, è offensivo per il Tribunale e per noi avvocati perché significa che qui qualcuno sta raccontando delle favole».
I due avvocati hanno confutato nel dettaglio le tesi della pubblica accusa sulla responsabilità dell’ente ribadendo che Ferrotramviaria ha sempre operato all’interno delle regole mettendo la sicurezza del servizio al centro delle sue scelte. «Non basta dire - ha concluso Laforgia rivolgendosi al Tribunale - che il blocco telefonico era lecito, come ha detto poco fa, qui, la parte civile senza che nessuno si sia alzato per protestare, ma si deve dire se fosse doveroso il blocco conta assi (che se installato - secondo i pm - avrebbe fatto scattare il semaforo rosso, ndr)». A giudizio della difesa il ricorso del blocco telefonico in uso sulla linea non era contrario alla legge.
Strage dei treni sulla Andria Corato, condannati solo un capostazione e un capotreno. La rabbia dei familiari: «È una vergogna». Giuseppe Di Bisceglie su Il Corriere della Sera il 16 Giugno 2023
La sentenza per il disastro ferroviario del 12 luglio 2016, avvenuto lungo la tratta a binario unico Andria-Corato. Scagionati i manager di Ferrotramviaria
La lettura della sentenza
Quattordici assoluzioni e due sole condanne, quelle del capostazione di Corato e di un capotreno, sono state disposte dal Tribunale di Trani al termine del processo per il disastro ferroviario del 12 luglio 2016, avvenuto lungo la tratta a binario unico Andria-Corato delle Ferrovie del Nord Barese, gestita da Ferrotramviaria. Nello scontro frontale tra due treni, determinato - secondo l'accusa - da un errore umano e da mancati investimenti per la sicurezza, morirono 23 persone e altre 51 rimasero ferite.
I due condannati
È stato condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione il capostazione di Andria, Vito Piccarreta, e a 7 anni il capotreno dell'ET1021, il convoglio partito da Andria e diretto a Corato, Nicola Lorizzo. Entrambi dovranno risarcire le
parti civili. Tutti assolti gli altri imputati. È stato anche escluso l'illecito amministrativo di Ferrotramviaria «perché il fatto non sussiste».
La rabbia dei familiari delle vittime
In questo modo si realizza la previsione dei familiari delle vittime. «È una vergogna». «Non è giustizia questa: li avete uccisi due volte». «Non si vergognano? Ne sono morti 23». «Come fanno a dormire la notte?» Sono le parole di alcuni familiari delle 23 vittime dopo la lettura della sentenza. Alle prime assoluzioni in aula, alcuni dei familiari sono scoppiati in lacrime, altri sono rimasti impassibili come Giuseppe Bianchino, papà di Alessandra morta a 29 anni. «Non è una sentenza giusta», ha detto in lacrime Anna Aloysi, sorella di Maria morta nel disastro.
Le parole della difesa
«Questa sentenza viene dopo un processo lungo, difficile a cui abbiamo contribuito tutti. È una vicenda terribile come è evidente dalle reazioni dei parenti. Però la giustizia va rispettata sempre». Lo ha detto Michele Laforgia, difensore, assieme a Tullio Bertolino, della società Ferrotramviaria. «È stato ampiamente acclarato - ha detto da parte sua l'avvocato Vincenzo Zaccaro - che non vi era alcuna responsabilità da parte della Regione Puglia. La quale ha sempre cercato di fornire la massima efficienza possibile a quel servizio e oggi vediamo accertata questa esclusione di responsabilità».
L'errore umano
Fu dunque un errore umano, secondo la sentenza, a provocare lo scontro tra i due convogli che viaggiavano in direzione opposta. E non era doveroso, come sosteneva l'accusa, l'investimento di 664mila euro per mettere in sicurezza gli apparati. Secondo la procura quella somma doveva servire ad installare il sistema del blocco "conta assi", in sostituzione del vecchio blocco telefonico. Questo avrebbe fatto scattare elettronicamente il semaforo rosso in caso di pericolo. Invece la sentenza fa capire che la sciagura fu provocata dall'errore umano degli unici due condannati. I due imputati condannati, in solido con Ferrotramviaria (responsabile civile), dovranno risarcire i danni versando provvisionali per 800mila euro ai parenti delle quattro vittime costituitesi parte civile.
Il sindaco di Corato
«Una sentenza di cui prendiamo atto. Certamente prendiamo atto del disappunto dei familiari delle vittime». Lo ha detto il sindaco di Corato, Corrado De Benedittis, dopo la lettura della sentenza. «I nostri Comuni, Corato e Andria - ha detto ancora il primo cittadino - si sono costituiti parti civili. E adesso attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza per le necessarie valutazioni conseguenti».
Strage treni Andria-Corato, la rabbia dei parenti: «Dopo l’incidente non è cambiato nulla. Sapevamo che finiva così». Parla il padre di Iolanda Inchingolo, universitaria di Andria morta nell’incidente: «Stava andando a Bari per incontrare una persona». LINDA CAPPELLO su La Gazzetta del Mezzogiorno il il 17 Giugno 2023.
«È un’altra pugnalata. Volevamo giustizia, ma neanche quella abbiamo avuto». Le parole sono poche, la voce rotta dal dolore. Nicola Inchingolo, 67 anni, lavorava in una farmacia di Andria. Sua figlia Iolanda, 24 anni, quel maledetto 12 luglio era sul treno diretto a Bari. Bella, giovane, con un curriculum brillante. Dopo la sentenza di giovedì sera, quella sofferenza mai del tutto sopita si è riacutizzata.
Signor Inchingolo, come ha appreso la notizia del verdetto?
«Con il passaparola. Ci hanno avvisato per telefono, siamo sempre rimasti in contatto con le altre famiglie andriesi coinvolte nell’incidente. Poi abbiamo visto i servizi in televisione. Io purtroppo non ho potuto partecipare all’udienza per problemi di salute, ma ho seguito personalmente il processo fino a 15 giorni fa. Anche se non siamo più costituiti in giudizio, poiché abbiamo concluso una transazione con l’assicurazione».
Cosa l’ha spinta a seguire così da vicino la vicenda processuale, pur non essendo più direttamente interessato?
«Volevo rendermi conto fino in fondo di ciò che era successo. Ho seguito sempre tutte le udienze, non ne ho saltata una. Fino a ieri (giovedì, ndr)».
Cosa ha provato quando ha saputo delle assoluzioni?
«In fondo me lo aspettavo, per come sono andate le cose, ma avevo sempre la speranza che la giustizia avrebbe fatto il suo corso. È stato un duro colpo, non solo per me ma anche per tutti gli altri».
Come mai ha scelto di uscire dal processo?
«Gli avvocati della difesa erano molto agguerriti. Siamo andati avanti per due anni, poi il mio legale, Laura Di Pilato, ha iniziato ad avere il sentore che le cose forse non sarebbero andate come ci aspettavamo. E infatti ha avuto ragione. Si sapeva fin dall’inizio che alla fine sarebbe stata data la colpa solo al capotreno e al capostazione. Il fatto che la Regione, dopo quanto accaduto, abbia rinnovato la concessione a Ferrotramviaria ci ha deluso tutti. Ancora oggi, nonostante il doppio binario, nulla è cambiato. Non funziona niente, basta parlare con i ragazzi. Ritardi, treni cancellati. Mio figlio li prende ogni giorno. Anche lui doveva essere su quel treno».
Cosa ricorda di quel giorno?
«I miei ragazzi facevano l’Università a Bari, e andavano sempre in treno. Mio figlio quel giorno doveva fare un esame, ma non si sentiva preparato e così non si presentò. Mia figlia, invece, doveva incontrarsi con una persona. Frequentava il corso di Chimica, aveva la media del 30: era stata scelta insieme con un’altra studentessa per fare un corso al Cern di Ginevra: la convocazione è arrivata un anno dopo la tragedia».
Come ha appreso la notizia dell’incidente?
«Mia moglie era a lavoro, io mi ero pensionato da poco: ci chiamò l’altra figlia perchè aveva saputo la notizia. All’inizio non riuscivamo a sapere nulla: ci presentammo in tutti gli ospedali della zona, per capire se Iolanda fosse ricoverata. Quel pomeriggio doveva incontrarsi con una persona a Bari. Disse a mia moglie “mamma, ci vediamo stasera”. Non l’abbiamo più rivista. C’è tanto rammarico. Non è una questione di soldi, ma di giustizia. Volevamo solo giustizia».
Santiago de Compostela.
Santiago de Compostela, quando il treno deragliò sulla curva "maledetta". A luglio 2013 un treno ad alta velocità deragliò nei pressi della stazione spagnola di Santiago de Compostela, causando 79 morti e 140 feriti. Mariangela Garofano l11 Giugno 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La dinamica dell’incidente
Le indagini sul deragliamento
Il 24 luglio 2013 nei pressi della stazione spagnola di Santiago de Compostela, il treno Classe S730 deragliò su una curva denominata la "Grandeira". Il tremendo incidente causò il decesso di 79 persone e 140 feriti, molti dei quali gravi. Il disastro avvenuto nella stazione della città in cui si trova il famoso santuario spagnolo è considerato il peggior incidente ferroviario accaduto in Spagna, dopo quello di Torre del Bierzo del 1944, il cui numero di vittime resta a tutt'oggi imprecisato.
La dinamica dell’incidente
Il 24 luglio 2013 alle 20.41, lungo la tratta ad alta velocità Olmedo-Zamora-Galizia, nel tratto che collega Madrid a Ferrol, il treno Alvia dell’Ave (Alta Velocidad Espanola) stava transitando sulla famigerata curva detta la “Grandeira”, nei pressi della stazione di Santiago de Compostela. La curva, che costeggia il sobborgo di Algrois, è nota agli abitanti della zona come "la curva maledetta". La Grandeira fu responsabile di molti incidenti nel corso degli anni, tra cui quello di una bambina, che venne investita da un treno di passaggio, mentre giocava con alcuni amichetti. Proprio lì dietro infatti c’era un parco giochi ed era frequente che i bambini attraversassero i binari per andare a riprendere una palla andata troppo in là.
Secondo quanto riportarono gli abitanti della zona al sito Larioja, “i binari in quel punto non erano recintati”, al momento della tragedia che causò la morte della piccola. L’incidente, ultimo di una lunga lista, provocò l’immediata reazione degli abitanti di Angrois, che chiesero alla Xunta de Galicia e all'Amministrazione delle Infrastrutture Ferroviarie (Adif), di recintare la zona, affinché non si ripetessero più eventi luttuosi di quella portata in prossimità della pericolosa curva. Finalmente il pericoloso tratto fu recintato e i bambini tornarono a giocare sereni. Ma cosa provocò la sciagura del treno Alvia?
Il convoglio coinvolto nell'incidente era costituito da 13 vagoni, sui quali viaggiavano 218 passeggeri, alcuni dei quali si rovesciarono e due presero fuoco nel violento impatto dovuto al deragliamento del treno. Nell’incidente 78 persone persero la vita sul colpo, mentre una spirò in ospedale e 140 rimasero ferite. A seguito del disastro di Santiago de Compostela, vennero inviati un gran numero di poliziotti e soccorritori, che, arrivati sul posto, raccontarono di aver visto l'inferno. Quattro vagoni erano schiacciati uno dentro l'altro, come una "fisarmonica", e un'altra carrozza era in posizione verticale. Il giorno seguente il premier spagnolo Mariano Rajoy visitò il luogo della tragedia, per esprimere il suo cordoglio nei confronti dei passeggeri che avevano perso la vita. Il governo spagnolo dichiarò inoltre 3 giorni di lutto per ricordare le vittime del disastro.
Le indagini sul deragliamento
Le indagini sulle cause che portarono il treno a deragliare furono assunte dalla Comisión de Investigación de Accidentes Ferroviarios. Una volta esclusa la possibilità che si trattasse di un atto terroristico, gli inquirenti si concentrarono sui testimoni, i quali dichiararono che il treno stava viaggiando a una velocità spropositata quando deragliò. Il registratore dati presente a bordo rilevò infatti che il treno, prima di transitare lungo la curva maledetta, stava viaggiando a una velocità di 190 chilometri all'ora, sebbene il limite in quel tratto fosse di 80 chilometri all'ora. Interrogato dagli inquirenti, il macchinista Francisco José Garzón Amo ammise che il treno stava viaggiando proprio a 190 chilometri all'ora.
"Si scontreranno". Quel disastro ferroviario tra coincidenze ed errore umano
Dopo le prime analisi, già nei primi giorni dopo l'incidente, l'uomo fu accusato e in seguito condannato per omicidio plurimo, per negligenza professionale, e per aver causato gravi ferite ai 140 passeggeri rimasti feriti. Gli investigatori scoprirono che Garzón Amo, poco prima di imboccare la curva, stava parlando al cellulare con lo staff della Renfe, ovvero con le ferrovie statali spagnole. Inoltre, dai rumori di sottofondo emersi dalle registrazioni, si evinse che l'uomo stava consultando una mappa relativa al binario da imboccare alla stazione di arrivo.
Quando Garzòn Amo azionò i freni purtroppo era ormai troppo tardi. Il treno, ripreso da una telecamera a circuito chiuso, deragliò senza possibilità di scampo per i passeggeri. Per evitare che accadessero ancora incidenti simili, l'Amministrazione delle Infrastrutture Ferroviarie installò tre dispositivi elettronici tra i binari, detti "balise", che controllano la velocità dei treni e comandano la frenata d'emergenza, qualora il treno abbia superato la velocità consentita. I dispositivi furono posizionati a 1,9 chilometri dalla stazione di Santiago de Compostela.
"Il treno è deragliato a Eschede". Ma il macchinista non se n'era accorto. Nel giugno 1998 il treno ad alta velocità Intercity Express 884, partito da Monaco di Baviera, deragliò nei pressi del paese di Eschede, causando più di 100 morti e 88 feriti. Mariangela Garofano il 21 Maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il deragliamento
Le vittime e i sopravvissuti
Le cause del deragliamento
Le responsabilità e i risarcimenti alle vittime
Il 3 giugno 1998 l’Intercity Express 884 "Wilhelm Conrad Röntgen", partito da Monaco di Baviera e diretto ad Amburgo, deragliò in Bassa Sassonia, nei pressi del villaggio di Eschede. L’incidente, in cui morirono 101 persone e 88 rimasero ferite, è considerato il peggior disastro ferroviario accaduto in Germania negli ultimi 50 anni e il più grave mai occorso a un treno ad alta velocità.
Il deragliamento
Il 3 giugno 1998 da Monaco di Baviera, il treno ad alta velocità Intercity Express 884, con destinazione Amburgo, lasciò la stazione per iniziare il suo viaggio. Alle 10.30 il treno si fermò a Hannover per ripartire verso nord. Ma a sei chilometri dal paese di Eschede, lungo la linea ferroviaria Lehrte-Cuxhaven, accadde qualcosa di inaspettato. Il cerchione di una delle ruote del quarto vagone si ruppe e dopo essersi staccato, si conficcò nel fondo del vagone, creando una situazione a dir poco allarmante. A quel punto il treno passò sul primo di due scambi, dove il cerchione andò a colpire la rotaia, strappandola dalla massicciata. Le ruote del vagone, ormai deragliate, colpirono la leva di comando del secondo scambio e le rotaie cambiarono così assetto, facendo deragliare anche il terzo vagone, che si abbatté contro i piloni di un viadotto soprastante, distruggendoli.
Ma la tragedia sembrava non avere una fine: anche il quarto vagone deragliò e andò a schiantarsi a 200 chilometri all'ora, contro una banchina, uccidendo sul colpo due lavoratori. Il viadotto, gravemente danneggiato e dal peso di circa 300 tonnellate, crollò sulla quinta carrozza per metà. Una parte della carrozza infatti riuscì a superare il ponte, per poi arrestarsi 50 metri più in là. Le carrozze dietro la 5, ovvero la 6, la 7, il vagone ristorante, quello di servizio e le carrozze 10, 11 e 12, si scontrarono violentemente con le macerie lasciate dai vagoni precedenti.
Il macchinista nel frattempo - sembrerà assurdo - non si accorse del finimondo che si stava consumando dietro di lui. E fu solo quando notò lo spegnimento improvviso delle luci, che imputò a un guasto elettrico, che il capostazione gli comunicò la tragedia occorsa al treno da lui guidato. “Sei arrivato da solo! Il treno è deragliato!", urlò il capostazione all’ignaro macchinista, il quale dallo choc non riuscì a scendere dal treno per ore, dopo l’incidente.
Le vittime e i sopravvissuti
Nel violento incidente di Eschede, oltre ai due tecnici morti sulla banchina, 99 passeggeri persero la vita sul colpo o poco dopo in ospedale, mentre gli altri 88 rimasero gravemente feriti, alcuni riportando disabilità permanenti. Come riporta il sito tedesco DW, sul posto accorsero circa 2000 mezzi, tra ambulanze, vigili del fuoco e polizia. A molti soccorritori e superstiti venne riscontrata una forma di stress post traumatico, a causa dello choc e della difficoltà nel riuscire a mettere in salvo i passeggeri feriti dalle lamiere del treno. Jutta Helmerichs, all’epoca del team di psicologi e terapisti che aiutarono i sopravvissuti, affermò che diversi soccorritori si sentirono in colpa per non essere riusciti a salvare tutti i passeggeri, una cosa che accade spesso dopo incidenti così gravi.
Le cause del deragliamento
A occuparsi di ricercare le cause del deragliamento fu incaricato il Fraunhofer Institut, ovvero “la Società Fraunhofer per lo sviluppo della ricerca applicata", un insieme di 60 istituti di scienza applicata. L’istituto affermò di aver avvertito Deutsche Bahn, la società ferroviaria di riferimento per quel treno, fin dal 1992 del problema delle ruote di cui erano dotati i nuovi treni ad alta velocità. Le ruote, precedentemente, erano costituite da un unico pezzo di metallo e quindi rumorose per i passeggeri. Dato che questo tipo di ruota, detta a “monoblocco” causava vibrazioni udibili dai passeggeri in fase di crociera, vennero sostituite da ruote composte da un anello di gomma tra il mozzo e il bordo esterno. Il problema delle vibrazioni era stato così risolto, ma non furono eseguiti test del nuovo modello di ruota a una velocità maggiore rispetto a quella di crociera, né della sua resistenza.
"Si scontreranno". Quel disastro ferroviario tra coincidenze ed errore umano
Le responsabilità e i risarcimenti alle vittime
Fu scoperto che nei mesi precedenti al disastro di Eschede, anche l'autorità per i trasporti di Hannover avvisò le Ferrovie Federali Tedesche che i bordi metallici di quel tipo di ruota si consumavano troppo repentinamente. A questo andò ad aggiungersi un altro fattore, che venne scoperto e che fece dubitare delle ispezioni da parte di Deutsche Bahn. Una settimana prima del disastro, durante tre test automatici effettuati a bordo del treno, venne riscontrato un difetto a una ruota. Durante le indagini, gli inquirenti rilevarono dal computer di bordo che due mesi prima della tragedia erano stati effettuati diversi report, a causa di una vibrazione sospetta della stessa ruota.
Ma la compagnia ferroviaria aveva ignorato gli avvertimenti da parte dello staff incaricato di condurre i test sul treno, asserendo che le ispezioni condotte dai loro ingegneri non avevano rilevato alcun difetto. Subito dopo l'incidente, Deutsche Bahn risarcì le vittime con 30.000 marchi tedeschi ciascuno, ma nel 2002 due dipendenti e un ingegnere della compagnia vennero accusati di omicidio colposo. Durante il processo furono ascoltati esperti da ogni parte del mondo e alla fine i tre uomini se la cavarono con un patteggiamento, pagando una multa pari a 10.000 euro ciascuno, evitando così la reclusione. A seguito della tragedia di Eschede, tutti i treni tedeschi furono dotati di ruote a monoblocco.
Grecia, in fiamme il treno intercity degli studenti: «Era come un terremoto». I sindacati: turni massacranti. di Francesco Battistini su Il Corriere della Sera l’1 marzo 2023
Sotto accusa le ferrovie (ora in Trenitalia): sistema da modernizzare
«È come portare fuori mio figlio da un bombardamento. Sono tutti ragazzi giovanissimi. Un groviglio di corpi, di ferro, di plastica, di bagagli» (Yiannis Xanthopoulos, soccorritore). «Sto cercando notizie di mia cognata. Era nelle prime due carrozze. È sparita nel nulla. Non mi resta l’esame del Dna. E saremo fortunati se ci daranno un corpo da seppellire» (Nikos Makris, familiare). «C’erano sopra tre miei amici. Vagone 5. Li ho sentiti ieri sera, quando sono partiti. Ora aspetto. Non sono fra i feriti, non sono fra i morti. E non sai che cosa sia il peggio che possono dirti» (Kostantinos, 24 anni, studente).
L’ultimo intercity della sera era quello degli studenti: costava meno. Chi era andato a far carnevale ad Atene, chi tornava a Salonicco per la quaresima ortodossa, chi aveva salutato famiglia e amici prima di ributtarsi sugli esami della sessione di marzo. Niko, studente di medicina di 23 anni, era al telefono con sua mamma quando ha avuto solo il tempo d’imprecare, «ma che…», e la linea s’è interrotta. «Alcuni corpi sono completamente irriconoscibili», avverte un medico dell’ospedale di Larissa: inceneriti sui primi due vagoni a 1.300 gradi di temperatura, cancellati nella notte di Tempi. «Tutto quel che ricordo è un’inchiodata fortissima — racconta alla tv greca un sopravvissuto —. C’erano fiamme ai finestrini. Il panico. Mi sono gettato fuori, pensavo solo a scappare». Un altro ragazzo, Lazos, lo intervistano mentre cammina coperto di sangue, «ma non sono ferito, è il sangue di chi m’è morto vicino». «Dieci secondi da incubo — dice Stergios Minenis, 28 anni —. Ci siamo rovesciati su un fianco. Un casino assurdo». «Io sono uscito sfondando i vetri con la valigia e con la schiena — ha un filo di voce Angelos Tsiamuras —, all’inizio ho pensato fosse un terremoto».
La strage dei ventenni è nell’aria che sa ancora di bruciato, venti ore dopo. Due gru rosse smuovono il sepolcro di lamiere, il rosario d’una quarantina d’ambulanze che aspettano lampeggianti. Non bastano il lutto nazionale, le dimissioni del ministro dei Trasporti, il premier Mitsotakis che arriva in Tessaglia a promettere chiarezza, la presidente Sakellaropoulos che cancella una visita in Moldavia e dice «tragedia inimmaginabile». Era immaginabile, eccome. «Bastardi!», gridano davanti alla rianimazione di Larissa. Perché disastri ferroviari così, li ricordano solo in Spagna (2013) e in Germania (1998), scene del genere solo in India o negli Urali. E tutti ora pensano che ci siano responsabilità, gravi responsabilità: non solo l’ «errore umano» d’un capostazione agli arresti, che avrebbe sì premuto il tasto del cambio di binario e avvertito i colleghi al telefono, ma non si sarebbe accorto che il sistema elettronico non funzionava. La dinamica è simile al disastro di Andria, in Puglia, nel 2016.
«Quattro mesi fa avevamo denunciato i rischi», dice il sindacato greco dei ferrovieri: «I turni sono massacranti, 28 giorni al mese e molti straordinari, abbiamo 750 dipendenti quando ne servirebbero 2.100. Oggi non è più possibile che i capistazione si parlino al cellulare. Dev’essere tutto automatizzato». La Grecia ha sempre puntato sul trasporto aereo e su gomma ed è il Paese con le ferrovie più pericolose d’Europa: nell’ultimo decennio, 137 morti e 97 feriti gravi per deragliamenti, pedoni investiti, segnaletica inadeguata. Ci sono 1.263 passaggi a livello, quasi il doppio che nel resto dell’Ue, e la metà sono incustoditi.
Dal 2017, il gestore TrainOse (oggi Helleni train) è al 100 per cento controllato da Trenitalia e il sistema viene lentamente modernizzato. Ma corruzione e scandali hanno caratterizzato la storia ferroviaria greca di questi anni. E l’80 per cento della rete, fino a qualche anno fa, non aveva semafori funzionanti e marciava solo col cosiddetto blocco telefonico: «Lavoriamo senza sistemi elettronici — denunciò tempo fa un macchinista, Kostas Genidounias —. Tu sei sul treno e devi chiedere all’addetto fermate: ehi, Kostas, hai girato la chiave? Lui ti risponde di sì. Ma non puoi verificare se l’ha fatto davvero. Devi solo fidarti». Si fidavano anche i ragazzi dell’intercity Atene-Salonicco. Ieri mattina fra i campi, in mano il telefonino, la mamma di Niko vagava cercando suo figlio.
Grecia, scontro fra un treno merci e uno passeggeri: almeno 40 morti e 85 feriti. YOUSSEF HASSAN HOLGADO su Il Domani l’01 marzo 2023
Sulla tratta che collega Atene e Salonicco. A seguito dell'impatto, almeno tre vagoni sono stati avvolti dalle fiamme, su uno dei mezzi 350 passeggeri tra cui molti universitari che tornavano dalle feste di Carnevale. La presidente del parlamento Ue Metsola e la presidente Meloni esprimono le loro condoglianze
Le immagini dell’incidente ferroviario a Larissa, in Grecia, raccontano da sole la portata della tragedia avvenuta nelle prime ore della giornata di ieri. Alcuni passeggeri sono stati scaraventati fuori dai finestrini per via del forte impatto, altri sono usciti a fatica dai vagoni finiti a terra capovolti.
Sono almeno 40 le vittime accertate dalle autorità nazionali greche, ma i soccorsi e le ricerche sono ancora in corso e il bilancio delle vittime rischia di aumentare dato che mancano all’appello circa 50 passeggeri. Al momento sono 85 i feriti, di cui 66 sono stati trasferiti nell’ospedale più vicino. Sei di loro sono ricoverati in terapia intensiva.
A seguito dell’impatto, almeno tre vagoni sono stati avvolti dalle fiamme. «Le operazioni di evacuazione proseguono in condizioni difficili a causa della gravità della collisione tra i due treni», ha dichiarato il portavoce dei Vigili del fuoco, Vassilis Varthakoyiannis.
Quello avvenuto ieri è uno degli incidenti ferroviari più tragici della storia del paese e a pagarne la conseguenze politiche è stato il ministro dei trasporti che ha rassegnato le sue dimissioni con una lettera firmata nel tardo pomeriggio.
«Ci troviamo di fronte a una tragedia insensata», si legge in un comunicato della presidente greca, Katerina Sakellaropoulou, che ha deciso di interrompere la sua visita diplomatica in Moldavia e tornare nel paese. «Stiamo piangendo soprattutto i giovani», ha scritto istituendo tre giorni di lutto nazionali.
L’INCIDENTE
L’incidente si è verificato poco dopo l’uscita di un tunnel a circa 378 chilometri a nord di Atene, nello specifico sulla tratta che collega Atene e Salonicco, e ha coinvolto un treno merci e un treno passeggeri con circa 350 passeggeri a bordo, che viaggiavano in direzioni opposte.
Secondo i servizi di emergenza greci, sono stati mobilitati circa 150 vigili del fuoco e 40 ambulanze per i soccorsi. Sono stati impiegati anche gru e meccanici per cercare di rimuovere i detriti e sollevare le carrozze rovesciate.
Rubini Leontari, direttrice del Servizio forense dell’ospedale di Larissa, ha dichiarato che alcuni dei corpi rinvenuti dovranno essere sottoposti al test del Dna per essere identificati poiché risultano carbonizzati. Il governatore regionale Costas Agorastos ha confermato alla televisione di stato che l’impatto tra i due treni è stato «molto violento», e che la sezione frontale del treno passeggeri «è rimasta schiacciata».
Secondo quanto dichiarato dalle autorità locali, a bordo del treno c’erano numerosi studenti universitari che tornavano a Salonicco dopo un fine settimana prolungato a causa del Carnevale. Conferme arrivano anche da Leontari secondo cui la maggior parte dei corpi appartengono a giovani, ma non sono stati trovati minori tra loro.
LE CAUSE E LE DIMISSIONI
Il ministro dei Trasporti greco, Kostas Karamanlis, ha presentato le sue dimissioni. Ha detto che era «il minimo che potesse fare per onorare la memoria delle vittime» e ha lamentato i «fallimenti di lunga data» dello stato. «È una tragedia indicibile», ha detto ai giornalisti il portavoce del governo, Yiannis Oikonomou. «I nostri pensieri sono rivolti ai parenti delle vittime, ai dispersi e ai feriti». Visitando il luogo della tragedia, il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, ha detto: «C’è una sola cosa che posso garantire: scopriremo le cause della tragedia e faremo tutto ciò che ci passa per le mani perché una cosa del genere non si ripeta mai più». Al momento, secondo una prima ricostruzione, emerge che i due treni abbiano viaggiato sullo stesso binario per 2-3 chilometri prima dell’incidente, da imputare a un «errore umano».
La presidente del parlamento europeo Roberta Metsola ha espresso le sue condoglianze su Twitter: «Sono profondamente rattristata dal terribile incidente ferroviario vicino a Larissa in Grecia. Le mie sincere condoglianze a tutte le vittime, alle loro famiglie e ai loro amici. Sono grata a tutti i soccorritori e al personale medico sul posto. I nostri pensieri sono con il popolo della Grecia dopo questo tragico evento».
Nelle sedi istituzionali europee le bandiere saranno esposte a mezz’asta in segno di lutto. In mattinata ha dimostrato la sua vicinanza anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Profondo cordoglio e commozione al popolo greco e al governo di Atene per il terribile incidente ferroviario avvenuto questa notte». Dal governo italiano «le più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime e l'augurio di una pronta guarigione a tutti i feriti».
YOUSSEF HASSAN HOLGADO. Giornalista di Domani. È laureato in International Studies all’Università di Roma Tre e ha frequentato la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso. Fa parte del Centro di giornalismo permanente e si occupa di Medio Oriente e questioni sociali.
Tenere a freno. Perché sempre più treni merci in Europa stanno prendendo fuoco. Francesco Bertolucci su L’Inkiesta il 7 Febbraio 2023.
Un nuovo tipo di suola usata per fare meno rumore sta causando incendi alle locomotive. I sindacati hanno presentato un esposto all'Agenzia europea che non ha avuto risposta mentre i dati degli incidenti forniti dagli altri Stati membri potrebbero essere truccati
«La sicurezza della circolazione ferroviaria, dei lavoratori e della popolazione è stata messa a repentaglio da un uso indiscriminato di una tipologia di freni che, ancora oggi, vengono impiegati malgrado gli eventi di allarme e rischio». Gli eventi di allarme e rischio, sono traducibili in: possono prendere fuoco. È quanto emerge dall’esposto sulla normativa Ue “Noise Tsi” – riduzione del rumore generato dai treni – presentato dalla sezione trasporti della Confederazione Unitaria di Base (Cub) alla Commissione Europea e all’Agenzia per la sicurezza ferroviaria europea (Era) più di un anno fa, il 31 gennaio 2022. E che ad oggi non ha ancora ricevuto risposta. Solo in Italia, questo problema che riguarda le suole dei treni merci – per intendersi sono tipo le bacchette per i freni della bicicletta – si è verificato anche recentemente, il 3 febbraio del 2023.
A Viareggio in provincia di Lucca, dove nell’incidente ferroviario del 29 giugno 2009 persero la vita 32 persone a seguito del deragliamento di un treno trasportante Gpl partito da Trecate in provincia Novara e diretto a Gricignano in provincia di Caserta, l’impianto frenante di due vagoni di un merci appena arrivato in stazione si è surriscaldato e ha dato vita a un principio di incendio subito domato dai vigili del fuoco. Il rischio è stato alto. Il treno era partito dalla vicina Livorno ed era diretto a Volpiano in provincia di Torino. Tra il 2019 e il 2021 questo tipo di incidenti si era verificato addirittura più di 40 volte compreso l’incidente di Sarzana (La Spezia) del 22 ottobre 2021 quando un treno trasportante 951 tonnellate di Gpl ha visto prima surriscaldarsi e poi prendere fuoco il suo impianto frenante rischiando una catastrofe.
Non è un problema nato oggi. In Europa è accaduto molte volte e sempre sui treni che sulla rete ferroviaria europea trasportano materiali come Gpl, prodotti chimici, metallici, petroliferi o scorie nucleari per citarne qualcuno. Nel 2016 in Olanda si è rischiato altrettanto quando un treno merci trasportante Gpl ha proseguito la sua corsa per circa 6 chilometri con i freni che prendevano fuoco e rischiando di deragliare. L’Era all’epoca ha indicato come causa l’errore umano in fase di progettazione mentre per l’agenzia ferroviaria olandese (Ilt) la colpa era della nuova suola che ha sostituito quella in ghisa. Gli esempi da fare sarebbero numerosi. E tutti riguardanti incendi, principi di incendio, fusione dei freni alla ruota e deragliamenti. E nel momento in cui, per accelerare la transizione verde e migliorare la qualità dell’aria, il traffico delle merci su rotaia in Europa è destinato a raddoppiare nel giro di pochi anni passando dalle attuali 420 miliardi tonnellate per chilometro ai mille miliardi preventivati per il 2030 e considerando che quotidianamente questi treni attraversano paesi e città, non è una bella notizia.
Il problema freni: meno rumore e sicurezza “sulla percezione”.
L’8 luglio del 2008 la Commissione al Parlamento europeo – misure antirumore per il parco rotabile esistente, affermò che «il rumore è una delle più diffuse minacce alla salute pubblica nei paesi» specificando che la rumorosità del traffico ferroviario interessa almeno 12 milioni di abitanti dell’Unione Europea durante il giorno e 9 milioni durante la notte, principalmente distribuiti in Germania, Svizzera e Italia. Per provare a risolvere il problema ha poi erogato cospicui sussidi economici agli stati dell’UE per sostituire le suole in ghisa – che irruvidiscono la superficie della ruota in fase di frenatura generando rumore e vibrazioni – con equivalenti più silenziosi realizzati in materiale organico o sinterizzato, ovvero polvere metallica compressa. Il regolamento UE 1304 del 2014 ha reso poi obbligatorio questo cambio. Le suole da poter utilizzare in sostituzione di quelle in ghisa sono di 3 tipi: una chiamata di tipo K e due di tipo LL che differiscono tra loro per composizione.
La suola di tipo K ha caratteristiche molto simili a quelle in ghisa anche nel consumo, dà un maggior risultato nel contenimento del rumore ma necessita di adattare le ruote ai carri e risulta più costosa nel complesso di quelle LL. Quelle LL sono compatibili con la struttura di quelle in ghisa e, seppur più costose singolarmente rispetto alle K, risultano nel complesso più economiche visto che non necessitano di adattare le ruote. Come le cialde compatibili per le macchine del caffè. La maggior parte delle imprese europee ha scelto di dotare i propri carri con le suole LL sia per costi che per adattabilità. Il problema è che, come si legge nell’esposto, «la suola in ghisa ha come difetto principale il rumore mentre nelle suole anti-rumore K e LL si verificano problematiche non solo nella mescola ma anche nel tipo K o LL, meno nella prima, maggiori nella seconda. Alcune di queste problematiche investono il surriscaldamento/incendi, una bassa efficacia in fase di frenatura a basse velocità e l’elevato consumo della ruota».
Anche Ansfisa, l’Agenzia italiana per la sicurezza, ha confermato il problema. Il 29 ottobre 2021, pochi giorni dopo l’incidente di Sarzana, seguendo quanto fatto nel 2017 dall’autorità olandese e nello stesso anno da quella svedese, ha inviato un avviso di sicurezza all’Agenzia europea e il 2 novembre ha emanato una direttiva che imponeva varie accortezze per i treni merci che montavano suole LL di tipo organico tra cui una sensibile riduzione della velocità massima per quelli che viaggiavano in Italia: fino a 60 chilometri orari se trasportanti sostanze pericolose. Il 24 gennaio 2022, FerCargo, associazione imprese ferroviarie private italiane, prese posizione. «Va assolutamente risolto il nodo della drastica riduzione dei limiti di velocità imposti da Ansfisa», ha scritto in un comunicato Emanuele Vender, componente del consiglio direttivo, puntualizzando che le scelte dell’agenzia erano «eccessivamente conservative e non corroborate da adeguate giustificazioni tecniche o scientifiche» e che «la sicurezza è il fattore più importante e facciamo di tutto per migliorarla però non si può non tenere conto che i livelli di sicurezza in ferrovia sono già molto più alti che nell’autotrasporto. Ogni ulteriore restrizione, non giustificata, rischia di spostare merci sulla strada».
Il 10 febbraio 2022 i limiti d’urgenza imposti da Ansfisa sono stati annullati da nuove disposizioni date dalla stessa Era. L’Agenzia europea – che non sembra abbia intenzione di mettere in discussione l’utilizzo delle nuove suole – ha eliminato la riduzione di velocità e, tra le varie cose, richiesto alle imprese ferroviarie di monitorare l’esecuzione delle prove dei freni e porre attenzione al comportamento dei propri macchinisti mentre ai gestori, oltre all’aumento del personale di controllo nelle stazioni in attesa di un miglioramento tecnologico, l’abbassamento delle soglie di allarme dei sistemi che rilevano la temperatura dei freni dei convogli facendoli così scattare prima. «L’unica soluzione adottata dalle imprese ferroviarie, d’accordo con Ansfisa – si legge in un comunicato del Cub del 19 maggio 2022 – è aver attribuito ai macchinisti ogni responsabilità tramite il ‘Test di avviamento’. Nessun dispositivo tecnologico verrà adottato sui carri per registrare anomalie. Non ci sarà nessuna implementazione di personale nelle stazioni. La ‘prevenzione’ e qualsiasi evento negativo che riguarderà le suole LL sono calibrati unicamente sul test di avviamento, il quale consiste nel ‘percepire la presenza di eventuali rumori anomali o sensibili riduzioni di velocità».
Stando allo studio presente nell’esposto, dove hanno analizzato svariati eventi con surriscaldamento delle suole LL, nel 79,3 per cento dei casi i treni sono stati fermati grazie al fattore umano come gli stessi macchinisti o personale in stazione e sui binari. «Tante stazioni oggi sono automatizzate – spiega l’ex capostazione Rossana Pezzini – e questo fa diminuire l’intervento umano e di riflesso la sicurezza. È un processo di riduzione del personale iniziato anni fa per risparmiare, lasciando tante stazioni controllate a distanza. Già quando accadde l’incidente di Viareggio se ne sentì il peso: fossero state presidiate le stazioni precedenti, probabilmente quel treno sarebbe stato fermato prima». Ad oggi, le stazioni italiane presenziate – che hanno in genere presenze fisiche come il capostazione – sono circa una ogni 40 chilometri. Per il resto, a parte sporadici casi, sono gestite in remoto dalle stazioni centrali operative limitrofe.
In UE diminuiscono gli incidenti ma alcuni dati potrebbero essere taroccati
Problema delle suole a parte, dal 2009 ad oggi, si sono succeduti decine di incidenti di merci sulle linee europee, spesso di carattere internazionale. Nel solo 2010 i dati forniti dall’Agenzia per la sicurezza ferroviaria europea parlavano di 2230 incidenti gravi tra treni passeggeri e merci avvenuti in Europa con 1245 morti e 1226 feriti. Molti di più rispetto a quelli registrati nel 2020, dieci anni dopo, quando secondo il Report on Railway Safety and Interoperability in the EU 2022 si sono verificati 1331 incidenti significativi che hanno causato 687 morti, 469 feriti gravi e in 17 casi hanno comportato il rilascio delle sostanze pericolose trasportate oltre a costare, nel totale, 3,2 miliardi di euro come sottolineato nel rapporto. In Italia nel 2010 gli incidenti significativi sono stati 103 e hanno causato 71 morti mentre nel 2020, 89 incidenti gravi hanno causato 68 decessi. Nel mezzo, non vanno dimenticati i tragici incidenti come quello di Andria e Corato del 12 luglio 2016 quando la collisione tra due treni causò la morte di 23 persone e ne ferì 57, o quello di Pioltello del 25 gennaio 2018, dove il deragliamento di un regionale causò 3 morti e 46 feriti. «Gli incidenti ferroviari in Italia sono in costante diminuzione – afferma Pierluigi Giovanni Navone, dirigente di Ansfisa – Per fare un esempio dal 2014 al 2017 sono calati del 28 per cento e dal 2017 al 2020 sono diminuiti del 10 per cento. Anche i dati preliminari relativi al 2021 ci prospettano un panorama confortante. Possiamo dire che da Viareggio a oggi è aumentata la consapevolezza degli operatori ferroviari».
Nonostante i dati statistici generali sembrino in miglioramento, nel rapporto stilato dall’Era spicca un dato: l’Italia è tra i paesi col maggior numero di incidenti precursori avvenuti nel quadriennio 2016-2020. Nello specifico questi incidenti sono guasti alla segnaletica, ruote, rotaie deformate, disallineate o assi rotti e simili che sono chiamati precursori perché è stato stimato che tra i 7 e 17 di questo tipo, ne accada uno grave. In tutta Europa di precursori se ne sono contati più di 12mila. Per farvi capire l’impatto che ha l’Italia su questa classifica e il loro aumento esponenziale, nel 2010 i precursori furono 958. Nel 2020, 3732 stando al rapporto presente sul sito di Ansfisa. La maggior parte di questi, riguardanti binari rotti, deformati o disallineati. I freni che prendono fuoco, non sono presenti nelle voci.
Va detto che è plausibile, come sottolineato nel rapporto dalla stessa Era, che alcuni paesi possano dare indicazioni al ribasso in merito ai precursori e che i dati italiani potrebbero essere in linea se non migliori di quelli di altri stati: «La sottosegnalazione – si legge – non è infrequente nel caso di incidenti in generale e per alcuni precursori di incidenti in particolare». E questo potrebbe aprire un paragrafo inquietante sulla attendibilità dei dati forniti dai vari paesi europei e porre il quesito di come sia possibile che l’Italia sia, numeri alla mano, tra i paesi più sicuri d’Europa per gli incidenti gravi e tristemente in vetta nelle statistiche degli incidenti non significativi con ampio margine di ‘vantaggio’ su stati come Grecia, Romania e Portogallo, paesi in testa alla classifica del maggior numero di incidenti mortali conseguiti sulle proprie linee nel biennio 2018-2020 rispetto ai milioni di chilometri percorsi. Se è stato stimato che ogni tot di precursori ne accada uno grave, è quantomeno strano e singolare che negli altri paesi europei accadano pochissimi incidenti ‘avvisatori’ e solo incidenti con epiloghi drammatici.
«A differenza dell’industria aeronautica e marittima – precisa Josef Doppelbauer, direttore esecutivo di Era – le ferrovie non hanno ancora un modo sistematico di segnalazione degli eventi di sicurezza in tutta l’UE che ci consentirebbe di imparare non solo dagli incidenti gravi, ma anche da quelli senza vittime. Diverse aree in cui la sicurezza ha ristagnato, come sicurezza dei lavoratori, passaggi a livello o incendi del materiale rotabile, trarrebbero beneficio da una più ampia segnalazione e condivisione di informazioni tra paesi». Se vi chiedete perché questo tipo di incidenti potrebbero non essere segnalati dagli altri paesi, l’eventuale beneficio della non segnalazione sarebbe in teoria multiplo. In prima battuta registrarli li obbligherebbe a inserirli nel sistema gestione sicurezza con la conseguenza di dover prendere provvedimenti concreti e tracciabili monitorandone nel tempo l’efficacia. Poi ci sarebbero eventuali ritorni di immagine dati dal minor numero di incidenti, vantaggi sulle polizze assicurative e allo stesso tempo farebbe scendere la possibilità di responsabilità future in caso di incidenti “prevedibili”.
La situazione nel resto d’Europa e una possibile soluzione
Per quanto riguarda gli incidenti gravi, l’Italia è in una miglior luce rispetto alla“locomotiva d’Europa” Germania che ha chiuso il 2020 con 160 morti, circa un quarto di quelli avvenuti in tutta l’UE. «In Germania – spiegano dal sindacato dei trasporti e delle ferrovie tedesco (EVG) – c’è un problema con l’abuso di contratti subappaltati. Questo mette in competizione i lavoratori incidendo su orari e rispetto degli stessi, esponendo tutti a pericoli». Non se la passerebbero bene nemmeno in Francia che nel 2020 ha registrato 105 incidenti gravi, causa di 44 morti. Nell’ottobre 2022 la giustizia francese ha condannato la SNCF, società nazionale delle ferrovie francesi, a pagare una multa di 300mila euro per gravi mancanze nella gestione della linea nell’incidente di Brétigny-surOrge in cui il 12 luglio 2013 deragliò un Intercités causando la morte di 7 persone e più di 400 feriti.
«Qualcosa non va sulla rete francese ed europea – sottolinea Thierry Gomes, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di Brètigny (Edvcb) – sembra che il lucro e non la sicurezza sia la cosa più importante». La maglia nera europea rispetto al numero di persone che hanno perso la vita in relazione ai chilometri percorsi nel decennio 2010-2020, va invece alla Spagna che nel 2013 registrò il tragico incidente avvenuto a 3 chilometri dalla stazione di Santiago de Compostela dove un treno con 222 persone a bordo deragliò, comportando la morte di 79 persone. Secondo Giorgio Tuti, presidente della sezione ferroviaria della Etf, la federazione europea dei lavoratori dei trasporti, i problemi in Europa sarebbero dovuti alla «concorrenza spietata che fa scendere i costi in un primo momento ma poi li fa aumentare perché abbassa la qualità» e che insieme alla liberalizzazione «porta situazioni di pressione su investimenti e manutenzione del materiale e dei binari».
Restando sui binari, analizzando i dati, molti dei più gravi incidenti ferroviari accaduti negli ultimi anni in Europa, sono stati spesso dovuti a deragliamenti. Un modo per evitare o rendere meno gravi questo tipo di incidenti, potrebbe essere l’installazione dei rilevatori di deragliamento sui vagoni. In pratica si tratta di un meccanismo che impedisce al treno di deragliare e si attiva immediatamente bloccando tutti i suoi componenti se rileva movimenti anomali. In Svizzera è già presente su molti treni dal 1999 e dalla fine del 2018 è obbligatorio sui merci che portano sostanze pericolose come il cloro in aggiunta a una velocità massima di 40 chilometri orari. A giugno 2022, l’associazione Il Mondo che Vorrei composta dai familiari delle vittime dell’incidente di Viareggio insieme ai sindacati ha sfruttato la finestra aperta dall’Era in cui le parti sociali potevano proporre modifiche sulle condizioni di lavoro ferroviarie e ha presentato la proposta di rendere obbligatorio il rilevatore entro un anno sui treni che portano sostanze pericolose e due anni su tutti i merci.
«È un meccanismo che costa meno di 800 euro – spiega Marco Piagentini, presidente dell’associazione – non ha bisogno di accorgimenti tecnologici e aumenta la sicurezza in modo esponenziale. Per capirsi funziona come i vecchi flipper che si bloccavano se mossi in modo inconsueto. Fosse già stato in uso, tanti incidenti si sarebbero evitati. Vogliamo salvare vite, per questo vogliamo che il rilevatore di deragliamento sia obbligatorio. Speriamo ci ascoltino».
I Valichi.
I Passi Carrai.
La Segnaletica Stradale.
Le Buche.
Il Telepass.
Le Truffe.
Gli incidenti.
I controlli.
Le Auto.
I Pedoni.
I Ciclisti.
L’ASSEDIO DEI TIR AI VALICHI. Tunnel insicuri e nemici alla frontiera: l’Italia è bloccata in galleria da nord a sud. Francia, Svizzera e Austria mettono a nudo le debolezze del sistema dei trafori. Ma anche in Toscana, Abruzzo, Calabria, strade e ferrovie sono in difficoltà. Mentre i concessionari guadagnano sempre di più dai pedaggi. Gianfrancesco Turano su L'Espresso l'8 settembre 2023.
Il ministro Matteo Salvini tira un respiro di sollievo. Con il rinvio dei lavori sul traforo del Monte Bianco si eviterà la contemporanea chiusura di due passaggi alpini fondamentali per l’economia e i commerci, dopo la frana che in territorio francese ha bloccato il valico del Fréjus. Un rinvio è sempre una buona alternativa alla manutenzione, soprattutto dopo che la Val d’Aosta si era opposta in modo vibrante a fare slittare di una settimana gli interventi previsti sotto il Bianco dal 4 al 18 dicembre, con il rischio di compromettere la stagione natalizia. Così si lavorerà prima al Fréjus. Il blocco della più lunga galleria autostradale d’Italia (12,9 km) basterà a congestionare l’accesso da Ventimiglia, già penalizzato dai lavori che il gruppo Gavio e l’Aspi post-benettoniana stanno effettuando sulla rete ligure per la gioia dei turisti.
La fragilità dell’Italia è in parte nell’orografia ma molto nella politica che è più attratta dai nuovi progetti faraonici come il ponte sullo Stretto e dalle inaugurazioni che dal lavoro oscuro della manutenzione. Il risultato è un sistema di valichi, trafori e gallerie spesso fatiscente e sull’orlo del tilt per crolli, frane e incidenti come quello terrificante del marzo 1999 che fece 39 vittime nel tunnel del Bianco (11,6 km) e ha portato a condanne, tutto sommato, miti davanti al tribunale francese di Bonneville nel 2005.
A valle di quel disastro un consorzio internazionale realizzò vie di fuga sotto la pavimentazione stradale e canali di ventilazione, che oggi sono comunque fra le cose da adeguare quando i cantieri apriranno nel 2024. Le manutenzioni proseguiranno al ritmo di tre mesi ogni autunno per diciannove anni.
Il governo di Romano Prodi, con Antonio Di Pietro ministro delle infrastrutture, aveva provato a dare una svolta con il decreto legislativo 264 dell’ottobre 2006 che ordinava di mettere in sicurezza le gallerie della rete transeuropea dei trasporti (Ten). Fatta la legge, sono iniziati i rinvii. I tecnici sanno che certi tunnel della rete stradale e ferroviaria sono a fine vita. Andrebbero chiusi, smontati e rifatti secondo tecniche avanzate. Peccato che con l’aumento dei prezzi dell’acciaio i costi siano impazziti. Per gli scavi che richiedevano 30 milioni di euro a chilometro ora ne servono 60-80.
Sono cifre tali da mettere in crisi il rapporto tra i profitti del concessionario e i suoi costi di riparazione. La Sitmb, per esempio, è la partner italiana del Bianco (T1 in sigla) insieme alla francese Atmb. Nel 2022 la concessionaria controllata da Aspi con l’Anas e la regione ha prodotto ricavi per 58 milioni con 10 milioni di utile netto. Un ottimo risultato. Fa ancora meglio la Sitaf che gestisce l’autostrada A32 Torino-Bardonecchia e il traforo del Fréjus (T4 in sigla). Nel 2022 ha riportato profitti netti record di 48,8 milioni di euro, quasi raddoppiati rispetto ai 25,3 milioni di euro del 2021, con 173 milioni di pedaggi contro 148,5 dell’esercizio precedente. La società che il gruppo di Beniamino Gavio ha strappato al controllo dell’Anas (gruppo Fs) dopo un lungo contenzioso legale vanta risultati strabilianti non tanto per la ripresa post-pandemica quanto per le conseguenze delle politiche restrittive sui mezzi pesanti applicate dai vicini dell’arco alpino, Svizzera e Austria.
Sul Brennero, dove si sta costruendo la galleria ferroviaria di base lunga 64 km, lo scorso giugno Salvini non è riuscito ad arginare i nuovi divieti unilaterali imposti dall’Austria ai mezzi pesanti provenienti dall’Italia. Anche qui la situazione è stata aggravata dai lavori nei tunnel ferroviari sul versante austriaco che per gran parte di agosto hanno bloccato la linea e deviato il traffico verso Tarvisio. E anche qui, come al Fréjus, i tir hanno creato code infinite. Pochi mesi prima, a fine marzo, la delegazione italiana con il leader leghista e l’allora capo di Rfi Vera Fiorani aveva festeggiato il completamento della prima galleria del tunnel insieme ai colleghi austriaci, perché l’importante è inaugurare, anche a rate. Alla pioggia di blocchi si è aggiunto il fermo parziale sul fronte italo-elvetico del San Gottardo per un treno merci uscito dai binari il 10 agosto, con gli svizzeri che tartassano i camion per garantirsi una migliore qualità dell’aria.
Mentre le associazioni industriali calcolano i miliardi di pil e i milioni di tonnellate di merce che andranno perduti, si dimentica che il problema non riguarda solo il confine alpino. Sul fronte interno, ci sono le manutenzioni alla Bologna-Firenze dell’Av ferroviaria, che è fatta di gallerie per 80,5 km su 91,4 di percorso con il tunnel più lungo che supera i 18 km. Il peccato originale dell’opera è di non essere a doppio fornice. In questo modo, una galleria si poteva chiudere per riparazioni mentre l’altra funzionava a regime ridotto, magari ospitando i treni merci notturni che le Fs hanno fermato nel novembre 2022.
Sempre a Firenze è una telenovela il passante sotterraneo dell’alta velocità da circa sette km che dovrebbe attraversare la città con la fine lavori prevista nel 2028, in ritardo colossale rispetto ai programmi e con una serie di questioni societarie, giudiziarie, ambientali che rischia di portare ulteriori slittamenti.
Sul Terzo Valico dell’Av Milano-Genova i lavori, affidati al consorzio Cociv guidato da Webuild, che è impegnata anche sul Brennero, includono una galleria da 27 km e un’entrata a regime nel 2028, dopo ritardi e avvicendamenti societari.
In Abruzzo la galleria del Gran Sasso, la più lunga in territorio solo italiano (10,2 km), è in concessione alla Strada dei parchi del gruppo Toto, in causa con lo Stato. Nell’indagine della Procura dell’Aquila sulla sicurezza del tunnel, la chiusura del Gran Sasso sarebbe stata usata come minaccia efficace nei confronti della parte pubblica. Tuttavia a luglio Toto ha ottenuto un risarcimento di 2,34 miliardi di euro dopo la revoca della concessione stabilita un anno fa dal governo Draghi.
Nel can can del ministro Salvini intorno al ponte sullo Stretto è sfuggita la circostanza che dall’inizio del 2024 verrà bloccato uno dei principali collegamenti stradali della Calabria. Per almeno venti mesi, anche se alcuni tecnici pensano più realisticamente a cinque anni, l’Anas guidata da Aldo Isi spenderà 60 milioni di euro per intervenire in modo radicale sulla galleria Limina della statale 682, il valico aspromontano fra Rosarno, sul Tirreno, e Gioiosa Jonica. Il tunnel, lungo 3,2 km, è a canna singola con due corsie ed è sprovvisto del più elementare apparato di sicurezza. Eppure è vitale per alimentare il traffico merci tra il versante tirrenico, favorito dall’autostrada A2 e dalla linea ferroviaria principale, e la costa orientale, penalizzata da una linea ferroviaria ancora in parte attraversata da littorine diesel e dalla statale 106 Reggio-Taranto che è già un inferno di incroci abusivi, colli di bottiglia, svolte a mare, pizzerie con vista sui sorpassi e tir che dalle 5 di mattina attraversano i paesi. La chiusura della Limina aumenterà gli ingorghi anche perché le alternative predisposte dall’Anas per la durata dei lavori sarebbe l’angusta provinciale 5 che dalla piana di Gioia Tauro scollina attraverso il parco nazionale dell’Aspromonte.
È una soluzione insufficiente secondo il comitato di 42 sindaci della Locride che hanno organizzato la protesta contro l’opera dicendo di non essere stati coinvolti. A loro sostegno è arrivato il vecchio leone Aurelio Misiti, 88 anni, passato dal Pci e dalla Cgil ai governi di Silvio Berlusconi, dov’è stato viceministro e sottosegretario alle infrastrutture (2011).
Anche questa è la storia di un rinvio. I lavori dovevano partire prima dell’estate del 2023. Per non pregiudicare la stagione turistica il cantiere è stato rimandato, nella speranza che non accadano incidenti pure frequenti in uno dei tracciati più pericolosi d’Italia. Ribattezzata la statale della morte dopo un frontale con sei morti nel 2014, il 20 agosto scorso la 682 ha fatto altre tre vittime, fra le quali una bambina. Alla fine, nel 2023 in Italia la preghiera è sempre una buona alternativa alla manutenzione.
Strisce blu come deterrente. Guerra ai passi carrabili abusivi o privi di concessione. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 18 luglio 2023.
Strisce blu davanti ad un cancello
Il passo carrabile è un servizio che si paga. Lo stanno scoprendo dopo tanti anni moltissimi residenti delle marine manduriane che in queste ore si stanno vedendo occupare l’ingresso del proprio garage o cancello con le strisce blu della sosta a pagamento. Il comando della polizia municipale, ha dato il via alla creazione di nuove zone di sosta con ticket riempiendo tutti gli spazi liberi di San Pietro in Bevagna, compresi quelli davanti ai cancelli privi ti divieto regolarmente registrati al comune con relativo tributo versato.
Inutili quelli comprati in ferramenta perché solo quelli con il numero dell’ordinanza del comune è a norma. Abusivi quindi anche gli scivoli al marciapiede che senza regolare passo carraio dovrebbe essere ripristinato a carico del residente con una multa di 270. Inutili le proteste di tanti, perché i vigili, fanno sapere dal comando, non fanno altro che applicare specifiche norme del codice della strada. L’ingresso del garage per essere a norma deve ottenere il permesso carrabile e solo così le strisce blu potranno essere cancellate.
Molti ieri dopo iniziali proteste si sono già recati in comune per convalidare l’accesso carrabile del proprio garage. Giulia Dinoi
Estratto dell'articolo di Angelo De Nicola Federica Farda per “il Messaggero” l'11 luglio 2023.
Negli ultimi decenni, le strade italiane hanno subito un notevole miglioramento grazie all'ingegno e alla determinazione di un uomo di cui pochi conoscevano il nome. Si chiamava Michele Jocca ed è considerato il "padre" della segnaletica stradale italiana, ha lasciato un'impronta indelebile, e pure più creativa, sulla sicurezza e l'efficienza delle nostre strade. Jocca se ne è andato l'altro giorno a 97 anni, in una Rsa di Roma ma con l'Abruzzo sempre nel cuore. […]
LE IDEE
I cartelli, che nessuno immaginava potessero avere un autore, sono tutti ispirati dalla sua terrà natia: la mucca per segnalare il pericolo di attraversamento animali era la stessa vista tante volte nei paesi della Baronia di Carapelle, idem per il cervo che identifica l'analoga attenzione alla fauna selvatica, mentre l'alberello con il fiammifero si rifà ai bonsai naturali piegati dal vento che popolano il "piccolo Tibet d'Abruzzo".
Fin dai suoi primi anni di carriera, Jocca ha dimostrato un approccio innovativo nel campo della segnaletica stradale. Ha introdotto un sistema di cartelli con simboli chiari e facilmente comprensibili, che permettevano agli automobilisti di interpretare le indicazioni stradali in modo rapido ed efficiente. […]
Uno dei maggiori successi di Jocca è stata l'idea dei pannelli a messaggio variabile (Pmv), che forniscono informazioni aggiornate in tempo reale agli automobilisti. […]
LA SFIDA
Mentre era impiegato al Genio Civile, conoscendone le doti da disegnatore, a Michele Jocca venne chiesto di realizzare alla fine degli anni Cinquanta la nuova segnaletica stradale per il nuovo Codice della strada che sarebbe stato promulgato nel 1959. «Ma era Calascio - come ricorda il sindaco del paese, Paolo Baldi- la sua vera passione. È suo il primo rilievo della fortezza della Rocca come della Madonna della Pietà, lo studio delle relazioni delle varie torri e fortificazioni, la loro funzione e il perché del loro posizionamento in punti strategici. Sono suoi innumerevoli lavori che illustrano gli angoli del paese, uno studio rimasto unico sulle chiese di Calascio, studi di botanica e progetti museali. È sua anche una ricerca continua ed incessante sulla memoria storica e sulle cronache anche minori del paese. Tutto ciò che poi confluì nel volume, pubblicato alcuni anni fa e dedicato a Calascio». Funerale e tumulazione stamattina alle 11 nel borgo natìo.
Estratto dell’articolo di Gabriele Bassani per ilgiorno.it l'11 Maggio 2023
Quasi 900 euro di multa per avere riparato una buca in strada, gratis, ma senza autorizzazione. Claudio Trenta, 72 anni, abituale osservatore delle strade cittadine battute quotidianamente nelle sue passeggiate, con o senza il suo fedele cane Ubaldo, aveva segnalato la buca pericolosa in strada ma, vedendo che nessuno interveniva, dopo parecchio tempo, ha rimediato di persona con "mezzo sacco di bitume e 3 minuti di lavoro", documentando il tutto via social.
Ieri mattina , la beffa: al signor Trenta è stata recapitata a casa una multa da 882 euro, spese di notifica comprese, per la violazione dell’articolo 21 del Codice della strada, ovvero "eseguiva opere sulla strada comunale e sulla pertinenza della stessa, senza la preventiva autorizzazione della competente autorità". La competente autorità è il Comune, lo stesso che ha elevato il verbale.
[...]
Sulla pagina social "Succede a Barlassina e dintorni", creata dallo stesso destinatario della sanzione e dedicata alle denunce delle “magagne“ del territorio, che ha oggi oltre 5.200 iscritti, Trenta aveva raccontato tutto e proprio dalla "autodenuncia" ribadita anche attraverso un giornale online, prende spunto la sanzione notificata l’altra mattina al pensionato di Barlassina.
Se pagherà entro 5 giorni, scatterà, come per tutte le sanzioni del Codice della strada, una riduzione del 30% e Claudio Trenta potrà cavarsela con "soli" 622 euro, spese di notifica comprese. Ma Claudio Trenta ha già annunciato di non avere alcuna intenzione di pagare e anzi, di essere pronto a una denuncia per omissioni di atti di ufficio.
"Nessuno aveva mai provveduto a far riparare quella buca o almeno a segnalarla con dispositivi visivi, nonostante mesi di segnalazioni", afferma infatti Trenta, sottolineando di avere documentazione delle segnalazioni fatte, anche attraverso delle Pec.
Anche il racconto della multa ricevuta a casa è ovviamente finito subito sui social, raccogliendo la solidarietà accompagnata allo sconcerto di molti seguaci, specie per la sanzione accessoria contenuta nel verbale, ovvero, testualmente: "obbligo di rimozione delle opere abusive". Claudio Trenta, cioè, oltre a pagare la pesante sanzione, dovrebbe pure riaprire la buca che ha riparato. [...]
La multa per una buca riparata ci dice molto dell’Italia. Storia di Luciano Fontana su Il Corriere della Sera il 14 maggio 2024.
Caro direttore, ritengo sia degno di riflessione quanto accaduto a Claudio Trenta, un pensionato di Barlassina, in provincia di Monza e della Brianza, il quale, dopo avere segnalato più volte all’amministrazione comunale la presenza di una pericolosa buca sulle strisce pedonali, senza ottenere l’auspicato intervento, provvedeva personalmente ad eliminare l’insidia con materiale proprio, ricevendo, a lavoro finito la notifica di una multa di euro 882 per violazione del codice della strada. L’episodio insegna che è pericoloso sostituirsi all’inerzia della pubblica amministrazione che evidentemente si sente illegittimamente spogliata di una sua insostituibile prerogativa che si concretizza nel non ascoltare le richieste del cittadino ed intervenire non quando viene richiesta ma solo se e quando lo ritiene insindacabilmente giusto. Giuseppe Costarella
Caro Costarella, La vicenda di Barlassina getta sicuramente nello sconforto. Siamo abituati a subire i ritardi, i cavilli, le mille spiegazioni che ci vengono opposte per complicarci la vita: il regolamento è così, le carte non sono a posto, la domanda andava indirizzata a qualcun altro. È la quotidianità del nostro rapporto con la Pubblica amministrazione. Nel caso del pensionato Claudio Trenta si capisce anche qualcosa di più dall’intervista che ha dato il sindaco: Trenta è un cittadino che non accetta che il suo piccolo comune non funzioni. Una persona che, se possiamo dirlo, «rompe» in continuazione. Allora invece di tante giustificazioni, compresa quella che Barlassina non è Gotham city, la città del cattivo Joker e di Batman, sarebbe meglio che l’amministrazione si mettesse al lavoro per far funzionare tutto bene. Insomma se si apre una buca, subito la si ripara. E non si aspetta una lite per farlo. La multa da 900 euro per aver riparato privatamente una buca, con tanto di ingiunzione a riaprirla, è da film comico. Spero che tutti recuperino un po’ di buon senso. Per il signor Trenta il sindaco auspica la cancellazione della multa dandogli in alternativa un periodo di lavoro per i servizi sociali: quello che mi sembra il nostro pensionato già faccia.
Il sindaco di Barlassina e la multa da 900 euro per la buca coperta: «Questa non è Gotham City. Il pensionato doveva scrivere al Comune, non su Facebook». Federico Berni su Il Corriere della Sera il 12 maggio 2023.
Piermario Galli: «Anche a me la cifra pare esagerata, ma il comandante dei vigili mi ha confermato che non si poteva fare altrimenti: abbiamo solo applicato la legge»
Parola alla difesa: «La fotografia del paese che rappresento non è quella offerta da quel signore. Parliamo di Barlassina, non di Gotham City». Travolto da un’ondata di fama indesiderata, il sindaco del comune brianzolo Piermario Galli risponde alle polemiche scatenate dalla vicenda di Claudio Trenta, pensionato brianzolo che si è visto notificare un verbale da quasi 900 euro per aver riparato in proprio una buca sulle strisce pedonali, con l’obbligo di riportare la situazione allo stato originario.
Sindaco siete stati travolti dalle polemiche, che storia è questa della buca? «Parliamo di un avvallamento di 20 centimetri per 15, profondo 2. Non di una voragine, come è stato riportato».
Il signor Trenta parla di segnalazioni ripetute ai vostri uffici, prima di intervenire, ha verificato?
«Le segnalazioni sono fondamentali. La nostra è una realtà piccola, la collaborazione di tutti i cittadini è esemplare. E il signore in questione, lo dico a chiare lettere, non l’ha mai fatta questa “benedetta” segnalazione. Lui scrive nel suo gruppo Facebook privato, manda messaggi via WhatsApp a mezzo mondo, qui a Barlassina, ma non è la via ufficiale che intercettiamo noi. Ci sono gli indirizzi mail del Comune, abbiamo anche un'app chiamata Municipio facilmente scaricabile. Se non si parte da quello la collaborazione tra cittadino e amministrazione diventa complicata.».
Ma in un centro di 7mila abitanti non ci si riesce a parlare in faccia, piuttosto che via mail?
«Certo. Io sto sempre in mezzo alle persone, nasco tra le associazioni, sono al secondo mandato da sindaco. Ci si conosce tutti, qui. Se mi si incontra per strada non c’è bisogno di appuntamenti ufficiali in comune. Mi vengono dette le cose e noi giriamo subito l’informazione all’ufficio di riferimento».
E lei non ha mai avuto comunicazione diretta dal signor Trenta?
«Le dico la verità: no. Lui tende sempre a mandare segnalazioni con spirito polemico agli uffici, al prefetto ai carabinieri, ma anche solo per la lattina in strada, per dire. Può aver mandato messaggi privatamente agli impiegati comunali, non posso negare che sia andata così, ma non è il canale ufficiale».
Veniamo al verbale. Novecento euro. Non le pare troppo?
«Anche a me pare esagerata, la cifra, ma mi è stato confermato dal comandante della polizia locale: non si poteva fare altrimenti, è stato applicato il codice. Su un settimanale locale abbiamo letto un'intervista in cui il signor Trenta raccontava tutto quello che ha fatto, la riparazione e tutto il resto. La polizia locale è uscita, ha fatto i riscontri, e ha emesso il verbale. Abbiamo solo applicato la norma».
E ora la multa non si può cestinare giusto?
«Non si può. Potrà certo fare ricorso, magari convertire la multa in lavori socialmente utili, lo accetteremmo volentieri a lavorare in Comune».
Ma non è che tra lei e il signor Trenta c’è qualche ruggine? Magari per motivi politici?
«Ma no, questa è la barzelletta. Non c’è nulla fra noi. A lui piace attaccarci in maniera pretestuosa. A me piace il confronto. Ma qui non ci sono grandi scontri. Nella mia lista civica convivono molte anime. In consiglio comunale il clima è civile. Le dirò, da poco abbiamo pure chiuso con un altro bilancio virtuoso».
Che effetto le fa tutta questa notorietà?
«Non è un problema di critica al sindaco, mi amareggia il fatto che questa vicenda getti fango sull’intera macchina comunale, e mi spiace».
Ci sono molti problemi da voi, come sostiene il signor Trenta?
«Barlassina è un paese dove si vive bene. Tante realtà culturali, tanto verde pubblico. Almeno questa vicenda mi da l’opportunità di parlare bene del mio paese. Il 26 e il 27 maggio ci sarà un festival del libro qui, con il foodtruck dei ragazzi di PizzAut il secondo giorno. Venite pure a trovarci. Ho avuto molta solidarietà da chi ci conosce».
Facile immaginare, che siano state più le critiche, per usare un eufemismo. «Tanti insulti. Ma sono leoni da tastiera, proprio come fa a volte un nostro concittadino».
L'Italia si è persa in una buca (Ansa). Andrea Soglio su Panorama l'11 Maggio 2023
A Barlassina un uomo che aveva riparato una strada dopo diverse segnalazioni inutili alle autorità è stato multato dal comune mostrandoci il vero male di questo Paese
Mentre noi discutiamo di Pnrr, presidenzialismo ed altre questioni sulle quali viene giudicato ed osservato il nostro paese succedono cose, piccole, in una città, piccola, ce ci sbattono in faccia la verità, la gravità dei problemi veri dell’Italia. Siamo a Barlassina, piena Brianza, terra di mobilieri ed artigiani. Gente che la mattina, per dire, si pulisce il marciapiede davanti casa con la scopa per una questione di dignità personale e senso di responsabilità. Gente che non aspetta che siano altri a pulire, a fare, ma che si rimbocca le maniche ed agisce. Claudio Trenta è una persona di questo tipo. Tempo fa aveva segnalato al Comune e sui social la presenza di una buca lungo una strada vicino casa, nei pressi di un passaggio pedonale. Segnala oggi, segnala domani dopo un po’ il signor Trenta, stufo del silenzio del comune mentre la buca si allargava, ha deciso di acquistare del bitume e sistemare da solo la cosa. Ce ne sarebbe per un riconoscimento pubblico con la banda e la foto di rito invece dagli uffici dell’amministrazione comunale ecco arrivare una lettera, anzi, una multa: 622 euro, se paga subito, pronti tra pochi giorni a diventare 866. Con la seguente motivazione: «… poiché eseguiva opera sulla strada comunale e sulla pertinenza della stessa senza la preventiva autorizzazione della competente autorità. Nella fattispecie posava del bitume a freddo, su area destinata alla circolazione di veicoli e pedoni, senza avere né titolo e/o competenza di posa di bitume a freddo». Nella battaglia evidente tra il buon senso e la burocrazia siamo anche certi che il signor Trenta, pronto ad impugnare il verbale e a non versare nemmeno un euro di quanto richiesto, sarà sconfitto, perché il sistema come sempre preferisce difendere se stesso anche a rischio di cadere nel ridicolo piuttosto che chiedere scusa e fare la cosa giusta. Il tutto, ovviamente, restando dalla parte della legge. In questa vicenda comunque c’è un po’ tutto il paese. Parli di buche in strada e non ti può non venire in mente Roma, la capitale, dove i crateri nell’asfalto sono ormai parte integrante del paesaggio e sono un problema non risolvibile. C’è anche la giustizia ancora una volta forte con i deboli, ed un po’ meno dura con i forti, o quelli che abbaiano. E c’è un uomo, un cittadino italiano comune, oggi incavolato, sconsolato e che forse si è arreso ai mali cronici del suo stesso paese. Ma noi, sognatori ed ottimisti, speriamo invece che tanto clamore porti il sindaco di Barlassina a fare le due seguenti cose: cancellare la multa e riparare oggi stesso la buca, ovviamente con personale competente nella posa di bitume a freddo. D’altronde giorni fa qualcuno aveva lanciato in Parlamento l’ipotesi di modifica dell’organizzazione politica con l’introduzione della figura del Sindaco d’Italia. Cominciare dal Sindaco di Barlassina sarebbe già un primo importante passo in avanti, molto più di una Bicamerale.
Barlassina, il pensionato multato con 882 euro per aver riparato una buca: «Mia moglie mi ha sgridato ma non pagherò». Federico Berni su Il Corriere della Sera l'11 Maggio 2023
Claudio Trenta, 72 anni, ex tecnico informatico: mi hanno provocato e ora io presento controdenuncia al Comune per omissioni d’atti d’ufficio
Quando in casa hanno aperto la busta con il verbale, la sua unica preoccupazione, dopo aver letto l’importo – 882 euro – è stata la reazione della moglie: «Io ho sorriso, ma lei si è arrabbiata forte: “Non ti fai mai i fatti tuoi”, mi ha detto». No, Claudio Trenta, 72 anni («72 anagrafici, 30 fisici, perché sono in una forma strepitosa»), ex tecnico informatico presso una grossa azienda metalmeccanica, dal 1958 cittadino di Barlassina, il più piccolo comune della provincia di Monza, i fatti suoi non se li fa. Attivo su Facebook con un gruppo in cui segnala disagi e problemi sul territorio del suo comune (Succede a Barlassina e dintorni), ha riparato di sua iniziativa una buca stradale di 30 centimetri su un attraversamento pedonale tra le vie Monte Santo e Trieste, e si è visto notificare una multa da quasi 900 euro per violazione del codice della strada, riducibile a poco più di 600, se pagata entro 5 giorni dal ricevimento. Non solo, l’atto prescrive che l’uomo riporti lo stato della strada alla situazione originaria: in sostanza dovrebbe levare la toppa di catrame, a titolo di «obbligo di rimozione delle opere abusive».
Che intenzioni ha adesso signor Trenta, andrà a riaprirla questa buca?
«Se pensano che sia un pirla, mi passi il termine, si sbagliano di grosso, mi hanno provocato e ora io presento controdenuncia al comune per omissioni d’atti d’ufficio».
Ci racconta com’è andata?
«Da circa tre mesi mandavo segnalazioni al comune, mandavo foto all’ufficio tecnico e ai vigili, visto che non la riparavano ho scritto al Prefetto e ai carabinieri della stazione di Seveso via Pec, ho chiesto se questa mail poteva valere come denuncia per mancato rispetto di atti d’ufficio. Ho pensato che sarebbero andati di corsa a ripararla, ma dopo una settimana era ancora lì. Allora ho comprato un sacco di catrame, l’ho chiusa a fine aprile e ho fatto un post su Facebook, in pratica mi sono autodenunciato, ma l’ho fatto venti giorni fa e ora mi ritrovo 900 euro di multa. Pensano di mettermi in difficoltà ma non sanno cosa si sono tirati dietro».
Dicono che lei sia in rapporti turbolenti con il sindaco (Piermario Galli di centrosinistra) e l’amministrazione.
«Dico sempre la verità, sono stato denunciato per diffamazione per un’altra vicenda, ma io non sono in polemica con il comune, se non tagliano l’erba, non puliscono le strade, lo segnalo e basta. La gente in paese pensa che io sia l’unica opposizione».
Ecco, appunto, non c’entra la politica?
«Assolutamente no, io sono di indirizzo leghista ma se il sindaco mi chiedesse una mano io andrei a darla. Non sopporto il fatto che gente pagata per fare gli interessi dei cittadini poi non rispetti i cittadini stessi. So di gente che è inciampata nelle buche e che non è mai stata risarcita dalle assicurazioni, ho testimonianze».
Ma se ognuno si mettesse a riparare buche in proprio, o per esempio a disegnare strisce pedonali dove lo ritenesse necessario, non crede che sarebbe pericoloso? Una specie di anarchia?
«L’anarchia la crea chi non ripara una buca in strada, tutto qua, io non ho voluto fare le veci dell’ufficio tecnico, o dell’ente pubblico, io ho segnalato un disagio da tre mesi, ho scritto alle autorità, ho reso pubblica la mia denuncia».
Quindi ha fiducia nelle istituzioni?
«Certo, altrimenti non avrei scritto».
La sua pagina Facebook sta avendo un certo successo, per essere una piccola comunità. Le piace avere una certa fama?
«Ho dovuto allargarla chiamandola Succede a Barlassina “e dintorni”, perché mi seguono persone di altri comuni vicini. Ho 5250 iscritti. Comunico su Facebook perché penso sia giusto che queste denunce siano pubbliche perché riguardano tutti i cittadini».
Ma davvero un paese come Barlassina può avere tutti questi problemi?
«È uno dei comuni più piccoli della Brianza, potrebbe essere un giardino, ma non ha idea della sporcizia e del disordine. In centro c’è una piazza perfetta, poi fuori è diverso. Se vedo un lavoro fatto male, lo segnalo».
Ma lei era un tecnico informatico, un programmatore che competenze ha in fatto di lavori stradali?
«Ho sempre lavorato in aziende metalmeccaniche dove si respirava la ruggine, e si lavorava in un certo modo».
Insomma, lei questa multa non la paga, giusto?
«Assolutamente no. Mi hanno dato il massimo, ma come posso pagare una cifra simile per aver coperto una buca? Mica l’ho aperta, l’ho tappata! Così non vogliono darmi una lezione, mi prendono in giro».
Telepass: cosa è come funziona, tipologia di abbonamenti, come richiederlo. Da "semplice" dispositivo per il pagamento del pedaggio autostradale a sistema di mobilità integrata. Scopriamo come funziona il Telepass, come si è evoluto e quali sono le alternative. Dario Murri il 9 Maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Telepass: come funziona
Come si richiede il servizio
Per i privati
Senza abbonamento
Utilizzo simultaneo
Aziende, partite IVA e professionisti
Per i mezzi pesanti
Non solo Telepass
Per molto tempo espressione unica del telepedaggio in autostrada, con il suo dispositivo da tenere in auto che permette a milioni di automobilisti di saltare la fila al casello autostradale, il Telepass negli anni si è evoluto, passando da "semplice" strumento per il pedaggio a sistema di mobilità integrata: parcheggi, pagamento bollo, pagamento Area c, monopattini elettrici, bike sharing, treni, autobus, scooter, assicurazioni, auto a noleggio, ricarica di auto elettriche, rifornimento carburante, skipass, etc. Una vera e propria app di pagamento, estensione online del dispositivo da cui tutto è partito. Ma come funziona nella pratica il Telepass? Come si ottiene e gestisce? Quali le alternative? Lo raccontiamo qui di seguito.
Telepass: come funziona
Il funzionamento di questo dispositivo si basa sullo scambio di comunicazione tra alcuni reader (o boe) presenti in prossimità del casello e il dispositivo in auto (volgarmente detto “scatoletta”, ma che è in realtà un trasponder in grado di trasmettere solo quando viene interrogato dai reader). Il processo di transito è composto da tre fasi: riconoscimento tra trasponder e reader (che avviene durante l’avvicinamento del veicolo al casello), attivazione della transizione e sollevamento della sbarra grazie a una nuova comunicazione con il reader, pagamento e chiusura della sbarra dopo che un’altra boa registra l’avvenuto passaggio del veicolo. Il pagamento del pedaggio autostradale avviene in modo automatico, tramite addebito su conto corrente bancario.
Tramite il Telepass Europeo, i servizi di pedaggio funzionano anche in Francia, Spagna, Portogallo (per i privati), mentre per i mezzi pesanti i paesi dove si può utilizzare sono fra gli altri Croazia, Germania, Austria, Polonia, Svezia, Norvegia, Danimarca e Svizzera.
Come si richiede il servizio
Il modo più rapido per attivare il servizio Telepass è andare su telepass.com e aderire ad una delle offerte presenti. Verrà richiesto di scaricare l’app e bisognerà avere a disposizione: documento d’identità, codice fiscale, dati anagrafici, indirizzo di residenza, numero di cellulare (che servirà durante la registrazione), indirizzo di posta elettronica, username e password (da creare durante la registrazione), IBAN, targa del veicolo, firma digitale.
Chi volesse invece attivare l’offerta fisicamente si può recare, sempre con gli stessi dati e documenti, presso i vari Telepass point (tra cui anche numerose Eni Station), in particolare: ai Telepass Store (presenti solo a Milano e Torino), i centri servizi Telepass (carrozzerie e agenzie pratiche auto convenzionate, nei Punti blu ancora attivi, presso le Banche convenzionate o agli Uffici postali.
Se l’abbonamento è stato sottoscritto online, si riceve il dispositivo a casa nel giro di qualche giorno. In caso di richiesta presso uno dei punti della rete è possibile ritirare il dispositivo direttamente sul posto.
Per i privati
Per ottenere il dispositivo Telepass e, assieme a questo, i vari servizi connessi, si può optare per diverse tipologie di offerte, che prevedono in genere il pagamento di un canone mensile:
Telepass Base: nel canone mensile di 1.83 euro (zero per i primi 3 mesi), sono compresi 5 servizi, come pedaggio, pagamento parcheggi, sosta su strisce blu, pedemontana e traghetto sullo Stretto di Messina. Possono essere associate 2 targhe.
Telepass Easy: con un canone di 2,00 euro, oltre ai servizi offerti dal pacchetto Base, consente di pagare il carburante tramite l'app, il bollo auto e il costo della revisione periodica, nonché il lavaggio dell'auto e i parcheggi sulle strisce blu.
Telepass Plus: canone di 3,00 euro al mese (zero per i primi 12 mesi) per 20 servizi, tutti quelli dell’offerta Telepass come pedaggio, soste, mobilità e skipass etc. Targhe associabili, 2.
Telepass Pay X: il canone di 3,00 euro al mese (zero per i primi 24 mesi) comprende 21 servizi, cioè i 20 del Plus con in più la carta e il conto corrente BNL. 2 le targhe associabili.
È previsto un servizio Telepass anche per i motociclisti, con particolari agevolazioni sul canone. Per chi possiede sia auto che moto, possono essere associate entrambe le targhe.
In base alle promozioni e alla stagionalità su alcuni servizi è previsto un cashback.
Senza abbonamento
Per chi non utilizza il Telepass di frequente esiste l’opzione Telepass pay per use, un servizio che si paga a consumo. Con 10 euro di attivazione e 2.50 di canone mensile per ogni mese che lo si utilizza, si può usufruire di servizi di pedaggio, parcheggi, Area c, traghetto, mentre non si ha diritto all’utilizzo dei servizi di mobilità condivisa quali monopattini, scooter, bici etc.
Utilizzo simultaneo
Se non lo si utilizza in maniera contemporanea, normalmente in famiglia è sufficiente un dispositivo, associabile fino a due targhe. In caso di utilizzo simultaneo è consigliabile l’opzione Telepass twin, a un costo di 6.30 euro ogni trimestre (1.80 per l’apparato, e 4.50 per il canone trimestrale)
Aziende, partite IVA e professionisti
Diverse ed articolate le proposte, presenti nell'area Business del sito web, per partite IVA e professionisti, medie e grandi aziende, che comprendono una App dedicata e dispositivo per il pedaggio, una carta di credito personale per ogni dipendente, un portale per la rendicontazione delle note spese e la fatturazione, un conto di moneta elettronica, detrazioni e sconti grazie al cashback.
Per i mezzi pesanti
Il servizio Telepass Truck, pensato per i mezzi pesanti, presenta due opzioni: Kmaster, che oltre al dispositivo utile per il pedaggio in 14 paesi d’Europa, offre il pagamento di parcheggi in Italia, Francia e Spagna, il traghettamento dello Stretto di Messina e i servizi di geolocalizzazione e fleet management; Telepass SAT, che prevede tutti i servizi già elencarti, eccetto geolocalizzazione e fleet management.
Non solo Telepass
A seguito della recente liberalizzazione, il mercato registra l’ingresso (effettivo o imminente) di altri operatori, in grado di offrire servizi di telepedaggio alternativi. Vediamo quali sono.
UnipolMove: lanciato dal gruppo Unipol, oltre alla “scatoletta” offre, a fronte di un canone mensile che prevede un costo fisso di 1,00 euro, (dopo i primi sei mesi che invece sono gratis) pochissimi passaggi burocratici e una rete capillare di assistenza, in alternativa al canale online. Se il cliente desidera un secondo dispositivo associato allo stesso contratto, la spesa mensile aggiuntiva è di 0,50 euro. Oltre al telepedaggio, si può usufruire di servizi come il pagamento di multe e bollo, l’Area C a Milano, i parcheggi (per ora solo piccoli parcheggi cittadini con pagamento in-app, in futuro anche i grandi parcheggi con pagamento tramite dispositivo) e il rifornimento di carburante nella rete dei distributori Tamoil e IP. Si può sottoscrivere il contratto online e farsi spedire il dispositivo a casa, o recarsi presso le agenzie Unipol presenti su tutto il territorio nazionale. In caso di danneggiamento o malfunzionamento, inoltre, si può rispedire il dispositivo indietro (al momento a spese del cliente), o chiederne la sostituzione gratuita, sempre attraverso la rete di agenzie.
In arrivo, previsto per giugno, anche MooneyGo, proposto dalla banca specializzata in pagamenti elettronici Mooney. Come gli altri, il servizio consentirà di pagare il casello autostradale in via telematica, evitando code e rallentamenti. Rappresenta un’evoluzione dell’app MyCicero per il pagamento dei parcheggi e di altri servizi (taxi, trasporto pubblico, treni e bus, mobility sharing). Il dispositivo di telepedaggio (denominato Obu) potrà essere ritirato presso una rete di circa 45 mila punti vendita, fra bar e tabacchi sul territorio italiano, con costi che non dovrebbero differenziarsi molto dagli altri operatori.
Attesi poi anche soggetti specializzati nel telepedaggio già operanti su mercati esteri, fra cui gruppo tedesco DKV, per il quale nei mesi scorsi si era parlato di un possibile sbarco nel nostro Paese.
Truffe: i sei metodi usati in strada, a cosa stare attenti. Alessandro Ferro il 10 Aprile 2023 su Il Giornale.
Sono soprattutto gli anziani a rimanere, spesso, vittime di raggiri e truffe che si consumano per strada: ecco le più frequenti e come prestare attenzione
Tabella dei contenuti
La truffa dello specchietto
Le truffe sulle gomme delle auto
Cosa succede con i prelievi
Le truffe sugli occhiali
I maghi e santoni
La consegna del pacco
Oltre al web, il mondo delle truffe è vario e variegato e si consuma anche sulle nostre strade: vittime preferite sono anziani e fragili che spesso si trovano indifesi di fronte a gente senza scrupoli pur di estorcere un po' di denaro. Ecco quali sono le più consuete e alle quali prestare la massima attenzione.
La truffa dello specchietto
Ancora ai giorni nostri sono migliaia le persone che si fanno coinvolgere dalla cosiddetta truffa dello specchietto: al conducente dell'auto si fa credere che la sua macchina abbia urtato lo specchietto retrovisore della presunta vittima che in realtà è già stato danneggiato in precedenza. L'illusione sarà creata da un rumore secco sulla carrozzeria così da dare l'impressione che tutto stia accadendo sul serio: in questo modo, il truffatore potrà chiedere un risarcimento danni insistendo per avere una somma di denaro invece della constatazione amichevole. Per mettere in difficoltà le vittime, spesso giovani inesperti o anziani, ci sarà anche un complice che testimonierà l'avvenuto fatto provando a estorcere dei soldi.
Truffa dello specchietto: così agivano gli specialisti del raggiro
Le truffe sulle gomme delle auto
Per rimanere in tema di autovetture, sulle nostre strade sono tantissime le denunce per i raggiri nei confronti delle gomme bucate: anche in questo caso, con l'aiuto di un complice il truffatore ferma l'ignaro cittadino segnalando un problema a una o più gomme della sua auto. In questo modo la vittima scenderà a controllare e il complice potrà abilmente introdursi nell'abitacolo rubando borse, denaro e portafogli in pochi istanti, a volte le stesse chiavi inserite nel cruscotto. In altri casi, invece, mentre si assenta per un prelievo al bancomat, il malvivente buca appositamente la gomma dell'auto così da raggiare meglio la vittima mentre si trova in difficoltà con la sostituzione. "In entrambi i casi, è bene chiamare subito la Polizia", consiglia l'Unc, Unione Nazionale dei Consumatori.
Cosa succede con i prelievi
Vittime preferite, in questo caso, sono gli anziani: quando viene prelevato del denaro a uno sportello bancomat, subito dopo appare qualcuno che si spaccia per un dipendente della banca dicendo di voler verificare il numero seriale delle banconote affermando che "potrebbe esserci stato un errore". A quel punto, se l'anziano si fida e consegna i soldi avrà dato quelli veri che saranno sostituiti con banconote false. Da qui la raccomandazione di non dare ascolto a qualsiasi persona si avvicini dicendo di voler controllare i vostri soldi.
Le truffe sugli occhiali
Molte denunce sono arrivati da chi è stato raggirato dai truffatori degli occhiali che si avvicinano per strada alla vittima inventando di essere un amico del figlio o del nipote chiedendo di pagare gli occhiali acquistati in precedenza dal familiare. Chiaramente si presenta ben vestito, faccia pulita e aria tranquilla così da arrivare al suo scopo. "Sono l’amico di tuo figlio, mi riconosci, vero? Lo stavo aspettando per consegnargli questo pacchetto da parte dell’ottico, ma non arriva e io devo andare al lavoro. Posso lasciarlo a te e me lo paghi tu?", denuncia l'Unc che ha ricostruito una conversazione-tipo. A quel punto, la persona oggetto di truffa sborsa anche 200 euro scoprendo dell'inganno soltanto al rientro in casa quando il familiare afferma di non saper nulla degli occhiali.
I maghi e santoni
A volte capita che alcuni finti professionisti si spaccino per coloro i quali riescono a risolvere i problemi economici della persona intercettata. Le vittime non sono scelte a caso ma sono soprattutto i più fragili e anziani, più facili da adescare perché sanno su quali punti far leva. Ecco che il consiglio dell'Unc è di non incontrare mai, se non si è accompagnati, un "mago" o "santone" che promette di risolvere i problemi in cambio dei dati personali e del versamento di denaro per iscriversi ad associazioni fittizie o altre ragioni: anche in questo caso si ha a che fare con professionisti dell'inganno.
La consegna del pacco
Infine, un'altra truffa molto frequente è il finto corriere che deve consegnare il finto pacco in cambio di denaro pagaro immediatamente: anche in questo caso, al malcapitato di turno verrà fatto credere che è stato il figlio a ordinare un prodotto che non è stato precedentemente pagato online e, quindi, la vittima spesso consegna ignara una somma di denaro salvo scoprire successivamente che si trattava di un truffatore.
La Norma.
I Numeri.
La norma. Legge sull’omicidio stradale: ecco cosa prevede. La 41/2016, relativa ai casi di omicidio stradale, venne introdotta durante il Governo Renzi. Redazione su Il Riformista il 15 Giugno 2023
L’omicidio stradale rappresenta una grave forma di violenza che provoca la morte di persone innocenti a causa di incidenti automobilistici. Negli ultimi anni, i governi di diversi paesi si sono resi conto dell’importanza di affrontare questo problema in modo adeguato. In risposta a questa esigenza, sono state introdotte leggi specifiche per affrontare l’omicidio stradale e garantire giustizia per le vittime e i loro familiari.
L’omicidio stradale si verifica quando una persona perde la vita a causa di un incidente automobilistico causato da negligenza, imprudenza o violazione delle norme del codice della strada da parte di un altro individuo. È importante sottolineare che l’omicidio stradale si distingue dagli incidenti stradali ordinari, poiché implica un comportamento particolarmente negligente o pericoloso da parte del conducente responsabile.
Le leggi sull’omicidio stradale variano da paese a paese, ma hanno in comune l’obiettivo di fornire una giusta punizione per coloro che causano la morte di altre persone sulla strada. Queste leggi tengono conto dei fattori aggravanti, come la guida in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, la velocità eccessiva, la violazione intenzionale delle norme del codice della strada e la mancanza di attenzione.
In Italia, la legge sull’omicidio stradale è stata introdotta durante il Governo Renzi. Si tratta, infatti, della Legge 23 marzo 2016, n. 41.
La 41/2016 prevede pene minimali nel più frequente caso di lesioni colpose gravi (da un anno e 6 mesi a 3 anni) o gravissime (da 2 a 4 anni), causate da tasso alcolemico di 0,8 g/litro o da manovre pericolose (eccesso di velocità, guida contromano, passaggio col rosso agli incroci, inversione di marcia su intersezioni, curve e dossi, alcuni tipi di sorpasso). Inoltre, per pene detentive minori di 2 anni può essere concessa la sospensione condizionale della pena; un’ulteriore riduzione di un terzo spetta a chi accede al rito abbreviato, e infine può essere applicato l’art. 131-bis c.p. (non punibilità e archiviazione per tenuità del fatto) rientrando le lesioni dolose nell’elenco dei reati per i quali è ammissibile questo tipo di beneficio.
La 41/2016, inoltre, introduce nuovi strumenti di indagine. Diviene obbligatorio l’arresto in flagranza di reato per i casi più gravi (ebbrezza, droghe, mancato soccorso); vengono raddoppiati i tempi di prescrizione del reato; sono prorogabili una sola volta dal pubblico ministero i tempi delle indagini preliminari; vengono effettuate perizie coattìve per il prelievo di campioni biologici del dna. Il carcere, infine, è escluso per chi soccorre la vittima subito dopo l’incidente e si mette a disposizione della polizia.
Esistono, d’altro lato, aggravanti in caso di fuga del conducente. Infatti, la pena aumenta da uno a due terzi, e non può essere inferiore a 5 anni). Altre aggravanti sono la guida senza patente o senza assicurazione, per i conducenti di mezzi pesanti (camion e autobus).
La 41/2016 prevede anche drastico aumento delle pene nei casi di omicidio: rimane la pena che era già prevista nel caso base, da 2 a 7 anni, quando la morte sia stata causata da violazioni non gravi al codice della strada (i disegni di legge prevedevano tutti una pena minima da 6 a 8 anni, e massima da 12 a 16); per guida in stato di ebbrezza grave, con un tasso alcolemico oltre 1,5 grammi per litro (sopra i 2,5 è probabile il rischio di coma etilico), o sotto effetto di droghe, la pena varia da 8 a 12 anni di carcere. Alla stessa pena soggiace chi ha un tasso alcolemico compreso tra 0,8 g/L e 1,5 g/L, quando il conducente è un neo-patentato e per chi esercita professionalmente l’attività di trasporto di persone (più di 8 escluso il conducente) o di cose su mezzi pesanti; da 5 a 10 anni se il tasso alcolemico supera gli 0,8 g/L e, unitamente alla condizione precedente, se l’incidente è causato dalle condotte pericolose dette in precedenza. La pena aumenta della metà se muore più di una persona, fino a 18 anni. Invece, la pena viene diminuita fino alla metà quando l’omicidio stradale, pur cagionato dalle suddette condotte imprudenti, non sia esclusiva conseguenza dell’azione (o omissione) del colpevole.
Infine, si prevede la revoca della patente: la patente è revocata e non può essere ri-conseguita prima di 15 anni (omicidio) o 5 anni (lesioni). In caso di fuga o nelle altre ipotesi più gravi, dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca.
Estratto dell'articolo di Alessio Ribaudo per corriere.it domenica 3 dicembre 2023.
Quasi tremila vittime: è come se tutti gli abitanti di un piccolo comune italiano, negli ultimi 10 anni, fossero morti a causa di incidenti provocati da guidatori senza patente o perché mai conseguita o perché gli era stata revocata o sospesa. Senza considerare gli oltre 53mila che sono rimasti feriti: in pratica è come se tutti i residenti di Siena o di Agrigento fossero finiti in ospedale a causa di scontri.
Eppure, già dal marzo del 2016, non avere la patente e provocare incidenti gravi configura un’aggravante sia nel caso di omicidio stradale sia nel caso di lesioni personali stradali. Con buona pace di quanti pensano che solo inasprire le sanzioni del codice della Strada o di quello penale possa essere la panacea di tutti i mali. Invece serve, soprattutto, più educazione stradale.
Anzi, come nel caso della «patente a punti», sembra proprio che nel nostro Paese più passi il tempo e più questi giri di vite perdano efficacia. «Proprio l’anno scorso — spiega Giordano Biserni, presidente dell’Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale (Asaps) — si sono avuti i numeri peggiori con 342 morti e 7.568 feriti. Quasi 100 in più rispetto al 2019. Sono innegabilmente dati impressionanti. In pratica dai soli incidenti con conseguenze alle persone emergerebbe che il 10 per cento delle auto circolanti hanno alla guida un conducente privo di patente perché ritirata, sospesa, o mai conseguita. Un fenomeno perciò in crescita, nonostante l’inasprimento delle pene in casi simili».
[…] C’è di più. Secondo una ricerca di Anas il 10 per cento dei guidatori girare video con il cellulare mentre è alla guida. Il 3,1 per cento dei guidatori lo ammette mentre un altro 6,9 per cento è stato «inchiodato» dai passeggeri. Fra i trasgressori, per lo più nella fascia ta 24 e 44 anni, non c’è distinzione di genere. […]
Incidenti stradali, 420 morti solo nei fine settimana estivi. By adnkronos su L'Identità l'11 Settembre 2023
Sono 420 le vittime di incidenti stradali solo nei fine settimana di questa estate (da giugno a inizio settembre) secondo i dati di Asaps, l'Osservatorio della sicurezza stradale. Il bilancio più pesante si registra nel mese di luglio con ben 180 morti nei weekend sulle strade italiane. Spesso le vittime sono giovani, come accaduto ieri a Cagliari dove a perdere la vita sono stati quattro ragazzi tra i 19 e i 24 anni mentre altri due sono rimasti feriti nello stesso incidente avvenuto all'alba in viale Marconi.
Nel primo fine settimana di settembre (1-3 settembre 2023) Asaps ha registrato 27 decessi. Nelle 72 ore, sono stati 8 gli automobilisti deceduti, 17 motociclisti, un dato preoccupante, che rappresenta il 63% delle vittime totali, e 2 ciclisti. In aumento il numero delle vittime, 27 rispetto ai 16 decessi della settimana precedente. Due gli incidenti plurimortali che hanno causato 4 vittime Due gli incidenti che si sono verificati in autostrada. Diciassette i sinistri mortali sulle strade extraurbane principali. La fuoriuscita del veicolo senza il coinvolgimento di terzi è stata la causa di 15 incidenti fatali. Fra le 27 vittime 7 avevano meno di 35 anni. La vittima più anziana una donna di 85 anni, quelle più giovani due ragazzi di 18 anni. Sono state 6 le vittime in Piemonte e Veneto, 5 in Lombardia, 2 in Emilia-Romagna, Lazio e Puglia, 1 in Trentino Alto Adige, Toscana, Umbria e Campania. Nel 2022 sono 3.159 i morti in incidenti stradali in Italia (+9,9% rispetto all’anno precedente), 223.475 i feriti (+9,2%) e 165.889 gli incidenti stradali (+9,2%), valori tutti in crescita rispetto al 2021 ma ancora in diminuzione nel confronto con il 2019 per incidenti e feriti (rispettivamente -3,7% e -7,4%) secondo i dati Istat. Tra i comportamenti errati alla guida si confermano come più frequenti la distrazione, il mancato rispetto della precedenza e la velocità troppo elevata. I tre gruppi costituiscono complessivamente il 38,1% dei casi (82.857), valore stabile nel tempo. La guida troppo veloce è il comportamento più sanzionato, rappresenta infatti il 38,7% del totale. Diminuiscono le sanzioni per mancato uso delle cinture di sicurezza, dei sistemi di ritenuta per bambini e per mancato uso del casco. Rimane elevato il numero di sanzioni per uso improprio di dispositivi in auto e aumentano le sanzioni per guida sotto effetto di alcool e droghe. Il mercato dell’auto presenta una netta flessione nel 2022: le prime iscrizioni di autovetture sono diminuite del 12,1% rispetto al 2021, mentre quelle di motocicli sono pressoché stabili. Sulla rete autostradale le percorrenze medie annue dei veicoli registrano una crescita del 10,7% rispetto al 2021 e un calo dell’1,4% rispetto al 2019.
Estratto dell’articolo di Francesca Basso per il “Corriere della Sera” il 2 marzo 2023.
Partiamo dai numeri. Più di 20 mila persone sono morte sulle strade dell’Ue lo scorso anno e la maggior parte erano pedoni, ciclisti e utenti di scooter e motociclette. I giovani conducenti rappresentano l’8% di tutti gli automobilisti e il 16% di chi muore alla guida, mentre 2 incidenti mortali su 5 coinvolgono un giovane conducente o motociclista (di età inferiore ai 30 anni). Cifre che hanno spinto la Commissione Ue a presentare nuove norme per la patente di guida.
È prevista l’introduzione di una patente digitale valida in tutta l’Ue e i ragazzi potranno iniziare a guidare su auto e camion accompagnati a 17 anni ma solo dai 18 potranno condurre da soli. Ci sarà poi un periodo di prova di almeno due anni per i conducenti inesperti, superato il test. Per prevenire l’impunità tra i trasgressori stradali, sarà istituito un nuovo sistema per il ritiro della patente in tutta l’Ue quando uno Stato membro decide di escludere un conducente a causa di un’infrazione commessa sul suo territorio. L’obiettivo dell’Ue è «dimezzare i morti e i feriti gravi entro il 2030», ha spiegato la commissaria Ue per i Trasporti Adina Valean.
Per questo non ci sarà tolleranza per i neopatentati alla guida in stato di ebrezza nei due anni di prova. L’Ue non può imporre limiti di alcol alla guida validi per tutti gli Stati ma può decidere questa eccezione: «Abbiamo introdotto un periodo di due anni in cui non è possibile bere affatto, anche se il Paese che rilascia la patente ha un limite di 0,2 o 0,3 (g/l), quindi zero alcol», ha sottolineato la commissaria Valean. […]
Strade e incidenti, ancora emergenza. Una domenica con dodici vittime. Alessio Ribaudo su Il Corriere della Sera il 28 maggio 2023.
Gli schianti con più morti a Perugia e Foggia. Giordano Biserni (Asaps): «Sono morte almeno 30 persone, da venerdì a domenica, nel nostro Paese ed è il tragico record da Capodanno a oggi»
Emilio D’Avella e Pamela Mustone si amavano: lui 32 anni, un’attività avviata a Ariano Irpino, nell’Avellinese mentre lei, di 33, era originaria di Melito Irpino. Dal 2015 convivevano nel paese di Emilio, proprietario di un frequentato bar in paese. Ieri, avevano deciso di fare un giro in moto, nel Foggiano, insieme all’amico di sempre Emanuele che condivideva con loro anche la passione per le due ruote. Doveva essere una delle tante domeniche rilassanti fra amici: chiacchiere, due passi in spiaggia e tante risate. Dopo pranzo, si erano rimessi in sella sulle loro due moto e stavano rientrando percorrendo la Statale 90 la Foggia-Napoli quando, all’ingresso di Troia, è avvenuto un tremendo scontro con una piccola Suv guidata da un 41enne. I tre ragazzi sono morti sul colpo e nulla hanno potuto fare gli uomini dei vigili del fuoco e del 118 accorsi, pure con un’elisoccorso. L’automobilista, ferito in modo non grave, è stato trasportato al Policlinico Riuniti di Foggia e sarà determinante per la ricostruzione della dinamica che è affidata ai carabinieri del Provinciale di Foggia che sono già a lavoro per stabilire eventuali responsabilità.
In Umbria
In Italia, purtroppo, è stata la «solita» tragica domenica di sangue con dodici lenzuoli bianchi stesi sull’asfalto. Sempre in Puglia, un 22enne è morto ed una ragazza è rimasta gravemente ferita sulla strada 172 che collega i comuni di Fasano e Locorotondo tra le province di Brindisi e Bari. I due giovani erano in sella ad una moto che si è scontrata frontalmente con un’auto. Nel Perugino, in due scontri sono morti quattro giovani e un altro in gravi condizioni. Quello più grave è avvenuto all’alba a Torricella di Magione, lungo il raccordo autostradale Perugia-Bettolle dove è finita fuori strada un’utilitaria e si è ribaltata in un campo. A bordo c’erano quattro ragazzi di origini straniere ma residenti nel capoluogo umbro. A perdere la vita sono stati un 28enne, una 17enne e una 15enne mentre suo fratello, maggiore di 5 anni, è ora ricoverato all’ospedale di Perugia in prognosi riservata per le numerose gravissime fratture riportate. Sull’incidente ha aperto un fascicolo «esplorativo» la procura umbra. Il sostituto Paolo Abbritti e il procuratore capo Raffaele Cantone, che coordinano l’attività dei carabinieri, vogliono compiere indagini a 360 gradi per fare chiarezza sulle cause della tragedia. Per questo motivo, potrebbe essere disposte autopsie. Sempre in Umbria, a Gubbio poco dopo la mezzanotte, l’elettricista 25enne Alessio Gigli ha perso la vita mentre rincasava. Da una prima ricostruzione avrebbe perso il controllo dell’auto, sfondato il guardrail ed è volato da un cavalcavia della Statale 219 all’altezza dello svincolo di San Marco. «Era un bravo ragazzo dedito allo sport e molto conosciuto in città», ha ricordato il sindaco Filippo Stirati. Gigli era anche un pilota che correva nel campionato italiano di Pit bike «12 pollici» e, ieri, avrebbe dovuto gareggiare a Jesi.
Le altre vittime
Vittime si sono avute anche nel Lazio, Toscana, Lombardia e Veneto. Ad Acilia, alle porte di Roma, una donna di 62 anni è stata travolta e uccisa da un furgone mentre attraversa la strada. Il personale medico di un’ambulanza del 118 ha provato a rianimarla ma la donna è deceduta. Incidente mortale anche a Castiglion Fiorentino, nell’Aretino, dove di primo mattino mattino lungo la Provinciale 27, un’auto con due lavoratori è andata a sbattere contro la recinzione di una casa. Un 34enne di origine straniera è morto mentre un 36enne è rimasto gravemente ferito ed è ricoverato al policlinico di Siena. Sempre poco dopo l’alba a Bolzano Vicentino, all’altezza dello svincolo del casello dell’A31 Vicenza Nord, è avvenuto uno scontro frontale tra due auto. Natalino Guazzo, un autotrasportatore 62enne in pensione, è morto mentre l’altro conducente è stato ricoverato in ospedale. «L’incidente mortale di oggi è un duro colpo — spiega il sindaco di Bressanvido, Luca Franzè, dove viveva Guazzo — perché era una persona di grande disponibilità e sensibilità che da sempre si è speso per la comunità». Infine nel Lecchese, a Casatenovo, Simone Fumagalli, giardiniere di 19 anni, è morto in ospedale a Varese dopo che la sua auto è finita fuori strada andando a impattare contro una cancellata.
Le reazioni
«Anche questo fine settimana, in tutta Italia, troppi giovani hanno perso la vita al volante: futuri evaporati, famiglie distrutte — tuona il ministro dei trasporti Matteo Salvini — e a tutte loro va il nostro commosso pensiero. Fermare la tragica strage di ragazze e ragazzi sulle strade italiane è una mia priorità, da papà ancora prima che da ministro. In questi mesi il Mit ha lavorato per aggiornare il nuovo Codice della Strada e, presto, porteremo le proposte in consiglio dei Ministri e in Parlamento. Ne va della sicurezza e della vita di tanti». Va oltre il presidente dell’Associazione degli amici della polizia stradale Giordano Biserni: «Sono trenta i morti registrati nel fine settimana sulle strade italiane, secondo nostri dati provvisori, 17 dei quali motociclisti ed è il numero record di vittime nei fine settimana del 2023». Secondo Biserni il motivo è che «il ritorno del bel tempo ha favorito gli spostamenti su tutte le arterie del Paese, in particolare dei veicoli a due ruote». Il bilancio è davvero tragico: «Nove ragazzi sono morti nelle notti di venerdì e sabato; altri nove sono rimasti feriti, alcuni in modo molto grave — conclude Biserni — e intanto salgono a 153 i pedoni travolti e uccisi sulle strade da inizio anno, 102 uomini e 51 donne: 71 avevano più di
Estratto dell'articolo di Marco Grasso per ilfattoquotidiano.it il 14 febbraio 2023.
I controlli andavano fatti palmo a palmo, a vista. Invece gli ispettori di Spea Engineering, società controllata da Autostrade per l’Italia, sfrecciavano in macchina, a 70 all’ora, ridendo e cantando: “Non sono una signora!”. Il riferimento, alla hit della celebre icona del pop italiano Loredana Bertè è dovuta al fatto che la galleria, situata nel comune di Masone, sul tratto ligure della A26, si chiama Bertè.
Peccato che in quel punto, un mese e mezzo più tardi, il 30 dicembre 2019, siano crollate due tonnellate e mezzo di cemento, che solo per un soffio non hanno ammazzato due automobilisti. Il rapporto compilato da Spea garantiva che era tutto a posto: per cinque anni il tunnel non avrebbe avuto bisogno di interventi. Peccato che a quella velocità, al buio, e con l’ulteriore complicazione delle “onduline” (lamiere in teoria temporanee, che nelle gallerie controllate da Aspi rimanevano montate per decenni), secondo gli investigatori non si poteva vedere assolutamente nulla.
A riprendersi, con una telecamera appoggiata sul cruscotto, sono gli stessi tecnici di Spea. Il video – che documenta un’ispezione avvenuta il 18 novembre 2019 – è stato mostrato lunedì 13 febbraio nell’aula del tribunale di Genova, in cui si sta tenendo il processo per i 43 morti del crollo del Ponte Morandi. Per la Procura ligure è la dimostrazione che i controlli sulla rete autostradale erano sistematicamente falsificati, una pratica continuata anche dopo la strage di Genova.
Amaxofobia, la paura di guidare.
Le Multe.
I Furti.
Patente di guida.
Il numero.
Carta di circolazione.
Passaggio di proprietà.
Il Riscaldamento e la Partenza.
L’Aria Condizionata.
Gli Incidenti.
Amaxofobia, la paura di guidare. Come si supera? Qualunque sia la causa del disturbo lo si può superare con una serie di tecniche valide, adeguatamente scelte da uno psicoterapeuta. Maria Girardi l'11 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Le cause dell'amaxofobia
I sintomi dell'amaxofobia
Come sconfiggere l'amaxofobia
L'amaxofobia, dal greco "hàmaxa" (carro) e "phobos" (timore) è la paura irrazionale di mettersi al volante. Si tratta di un disturbo molto più diffuso di quanto si possa credere: riguarda infatti il 33% della popolazione (64% donne, 36% uomini). Chi ne soffre sperimenta ansia e panico prima e durante la guida e spesso rinuncia a spostarsi con l'auto preferendo i mezzi pubblici. Ma cosa teme di preciso l'amaxofobico? Il soggetto ha il terrore di:
Guidare da solo;
Guidare di notte;
Guidare in autostrada o su strade a scorrimento veloce;
Percorrere gallerie;
Valicare ponti;
Allontanarsi troppo da casa;
Rimanere bloccato in mezzo al traffico.
Si può ben capire quanto l'amaxofobia condizioni pesantemente la vita quotidiana ledendo l'autonomia. Scopriamo ora insieme quali sono le sue cause e in che modo è possibile superarla.
Le cause dell'amaxofobia
Spesso l'amaxofobia si sviluppa in seguito a momenti traumatici vissuti personalmente alla guida o dopo aver assistito ad un incidente stradale. L'esperienza non viene elaborata in maniera corretta e si trasforma in un sentimento di angoscia che attanaglia l'individuo tutte le volte che deve mettersi alla guida.
Altre volte la paura non ha origini facilmente identificabili. In linea di massima è possibile affermare che l'amaxofobico soffre di altri disturbi d'ansia (agorafobia, claustrofobia, ansia da separazione). Si tratta, dunque, di una persona già psicologicamente fragile, insicura e con una bassa autostima.
L'auto rappresenta simbolicamente l'indipendenza. Non è raro che chi sviluppi questa fobia abbia un rapporto di attaccamento morboso nei confronti della propria famiglia. Un'altra causa del disturbo possono essere le pulsioni inconsce aggressive che emergono quando ci si mette al volante. Gli scoppi d'ira impediscono di affrontare in serenità la strada e soprattutto gli altri utenti che la percorrono.
Non si devono poi sottovalutare i pregiudizi culturali che sono in grado di condizionare le donne cresciute in ambienti rigidi e sottoposte ad una continua svalutazione delle loro capacità. Infine l'amaxofobia può insorgere se si torna a guidare dopo un lungo periodo di inattività. Il timore, in questi casi, cresce in presenza di condizioni atmosferiche avverse.
I sintomi dell'amaxofobia
L'amaxofobico mette in atto vere e proprie strategie di evitamento. Si convince, ad esempio, che l'auto non sia indispensabile e che possa essere sostituita agevolmente con i mezzi pubblici. Tuttavia, nel momento in cui la necessità di guidare non può essere elusa, ecco che compaiono una serie di sintomi psicologici e somatici:
Estrema angoscia;
Attacchi di panico;
Crisi di pianto;
Derealizzazione;
Vertigini;
Nausea;
Tachicardia;
Bocca secca;
Sensazione di svenimento;
Sudorazione eccessiva.
Come sconfiggere l'amaxofobia
Quando amaxofobia è lieve e, ad esempio, si presenta dopo un periodo di inattività dalla guida, si può affrontare con le cosiddette tecniche di rilassamento. La respirazione corretta rallenta il battito cardiaco, induce uno stato di serenità e allontana i pensieri ansiogeni. Nel momento in cui il disturbo ha minato l'autonomia di chi ne soffre è indispensabile l'aiuto di uno psicoterapeuta che individua il percorso migliore per il paziente. Generalmente sono tre gli approcci più indicati:
Desensibilizzazione sistematica: l'amaxofobico affronta una alla volta le convinzioni errate associate all'idea di mettersi al volante;
Terapia cognitivo-comportamentale: l'amaxofobico viene esposto gradualmente agli stimoli paurosi in condizioni controllate e in questo modo acquisisce gli strumenti per superarli;
Ipnosi: lo stato di rilassamento indotto permette all'amaxofobico di riconoscere la causa del proprio timore e di vincerlo.
I Numeri.
Gli Autovelox speculativi.
L’Omissione di Soccorso.
L’alterazione psicofisica. L’Alcoltest e il Narcotest.
Le multe ingiuste: L’autotutela.
Come funzionano i punti patente.
Come funziona il Ritiro, la Sospensione e la Revoca della patente.
Rimozione forzata e blocco.
Sequestri, confische e fermi amministrativi di veicoli. Il Dissequestro del mezzo.
Quando l’Autorità merita l’elogio. Lecce.
Quando l’Autorità merita disprezzo. Taranto.
Quando l’Autorità non merita l’elogio. Roma.
Quando l’Autorità non merita l’elogio. Cosenza e Roseto.
Casal di Principe, niente multe dal 2019: "Mancano i vigili urbani". Gabriele Laganà il 9 Agosto 2023 su Il Giornale.
In un territorio vasto oltre 23 km quadrati che conta 21mila abitanti sono operativi solo sei vigili urbani mentre ne servirebbero dai 28 ai 38
Forse non tutti sanno che in Italia c’è un Comune dove non si fanno multe agli automobilisti indisciplinati. Il motivo, però, non dipende da un corretto comportamento degli stessi ma è legato a una mancanza di vigili urbani. Il Comune di cui stiamo parlando è Casal di Principe, nel Casertano.
Come riporta il Mattino l’ultima multa notificata dai vigili urbani per sosta vietata risale al 29 luglio del 2019. Su una popolazione di 21mila abitanti e un territorio vasto oltre 23 km quadrati sono operativi solo sei vigili urbani. Quattro in meno rispetto al 2019. E la situazione è destinata a peggiorare nel prossimo futuro perché nel 2024 è previsto un altro pensionamento.
"Sono quattro anni che non facciamo multe relative ad infrazioni del Codice della strada. Con cinque agenti e le molteplici attività da svolgere la viabilità è sicuramente trascurata. Nonostante gli sforzi miei di organizzare il personale e quelli dei miei collaboratori ad assecondare le richieste, non si riesce a far fronte alle esigenze della città. Questo mi rammarica tanto ma ho le mani legate", ha spiegato il comandante Maurizio Crotti.
Una situazione surreale. Per di più in base a una normativa regionale, una città delle dimensioni come Casal di Principe dovrebbe poter contare dai 28 ai 38 agenti. "Sono consapevole che c’è tanto da lavorare a Casal di Principe e sono dispiaciuto e rammaricato per non poter materialmente far fronte a tutto", ha proseguito Crotti che poi ha anche spiegato che "purtroppo non possiamo che restare spettatori perché a stento riusciamo a portare avanti il lavoro della Procure e della Prefettura ed eseguire accertamenti anagrafici". "Nonostante ciò - ha concluso il comandante - ho sempre garantito la mia presenza in ogni bando per la videosorveglianza e per la protezione civile che, grazie a ragazzi straordinari, sta diventando il fiore all’occhiello della provincia casertana e ci dà un valido supporto".
Sempre il Mattino ha evidenziato che il futuro appare incerto in quanto nuove assunzioni sembrano impossibili a causa della condizione deficitaria dell’ente. Il sindaco Renato Natale si è più volte rivolto alla Prefettura per sbloccare la situazione. Nel frattempo si fa quel che si può. "Stiamo aspettando l’approvazione del bilancio – ha annunciato il primo cittadino- per attivare un progetto di utilizzo di vigili di prossimità. Richiesta formalmente già approvata. Si tratta di due vigili a tempo determinato per due anni a part time, che devono svolgere solo ed esclusivamente attività di strada". Il sindaco ha infine spiegato che l’approvazione del bilancio è "importante perché il progetto prevede una nostra compartecipazione monetaria. Spero che possiamo votarlo in Consiglio a fine agosto così da poter procedere per le due assunzioni entro settembre. Sicuramente non risolverà tutto il problema, ma ci servirà da supporto".
Eppure quanto sta a accadendo a Casal di Principe non è un caso unico. Perché un quadro simile riguarda anche i Comuni limitrofi di San Marcellino, Frignano e San Cipriano d’Aversa con i rispettivi sindaci che lamentano l’esiguo numero di vigili a disposizione.
Multe in Puglia, a Lecce e Bari gli automobilisti più indisciplinati e sanzionati. Nella classifica seguono Brindisi, Trani e Taranto. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 9 Agosto 2023
Automobilisti indisciplinati in Puglia: rapportando le multe elevate ai conducenti pugliesi col numero di autoveicoli e motocicli in circolazione, Lecce è la provincia con le sanzioni individuali più alte; nel 2022, la “spesa pro capite” per multe è stata di 71 euro. Seguono nella graduatoria regionale i conducenti baresi (49 euro) e quelli brindisini (22 euro). Ai piedi del podio, a pari merito, Trani e Taranto (21 euro), seguite da Barletta (18 euro) ed Andria (14 euro); chiude la classifica pugliese Foggia (10 euro). Il dato emerge dall’analisi congiunta Facile.it – Assicurazione.it realizzata esaminando i rendiconti dei proventi delle violazioni del C.d.s.
Guardando al totale degli incassi, Bari, con più di 10,7 milioni di euro, è la città capoluogo di provincia pugliese che, nel 2022, ha ricavato i maggiori proventi, seguita da Lecce (quasi 5,7 milioni) e Taranto (2,7 milioni), mentre sul versante opposto della classifica troviamo due dei tre capoluoghi della provincia di Barletta-Andria-Trani, ovvero Trani, con quasi 845mila euro, ed Andria (poco meno di 904mila).
Nel 2022 l’importo complessivo raccolto nella regione ha superato i 24,3 milioni di euro.
Milano la città che incassa più multe, 194 milioni nel 2022. A Roma 133 milioni e a Napoli 'solo' 8,8 milioni ANSA AGENZIA su la Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Agosto 2023
I milanesi sono i guidatori che pagano le multe più alte in Italia, nel 2022 - hanno calcolato Facile.it - Assicurazione.it - la spesa procapite è stata di 174 euro e, esaminando i rendiconto dei proventi delle violazioni del Codice della Strada, Facile.it e Assicurazione.it fanno emergere che il comune di Milano ha incassato 151 milioni di euro. L'intera Lombardia poi è ai vertici della classifica nazionale per l'importo complessivo che ha portato nelle casse delle amministrazioni, quasi 194 milioni di euro. Per l'analisi Facile.it ha rielaborato i dati provenienti dal "Rendiconto proventi violazioni codice della strada "pubblicati dal Dipartimento degli Affari Interni e Territoriali e va ricordato che tra i comuni capoluogo di provincia analizzati non sono presenti i dati relativi ai seguenti comuni: Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Avellino, Pesaro, Campobasso e Alessandria. Lo ha consultato anche ANSA ed emerge che Roma ha incassato 'solo' 133 milioni di cui 6,15 milioni sono contravvenzioni per eccesso di velocità. Torino e Bologna hanno riscosso cifre simili (rispettivamente 40,5 e 43,3 milioni), a Palermi i milioni sono 25,5 e chiude la classifica delle grandi città Napoli con 8,85 milioni di multe incassate. Milano è anche la città dove si spinge di più sull'acceleratore, dove non si dovrebbe: nel 2022 le contravvenzioni per eccesso di velocità hanno portato nelle casse del capoluogo poco meno di 13 milioni. (ANSA).
Reato proprio (anche se qualifica: chiunque) e di pericolo.
Omissione di soccorso. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Delitto di Omissione di soccorso
Fonte Codice penale italiano Libro II, Titolo XII, Capo I
Disposizioni art. 593
Competenza tribunale monocratico
Procedibilità d'ufficio
Arresto non consentito
Fermo non consentito
Pena reclusione fino a un anno o multa fino a 2 500 euro
L'omissione di soccorso, nell'ordinamento giuridico italiano, è un reato contro la persona, e più specificamente contro la vita e l'incolumità individuale. Si configura come un reato omissivo, nel quale il legislatore vuole reprimere il mancato compimento di un’azione giudicata come doverosa, indipendentemente dal verificarsi o meno di un evento come conseguenza di tale omissione.
Disciplina normativa
Codice penale
Il diritto penale italiano prevede la fattispecie all'art. 593 del codice penale, ma in particolare prevede due distinte ipotesi:
Al primo comma, l'omissione consiste nel non dare avviso immediato all'autorità di aver trovato abbandonato o smarrito un fanciullo minore di anni dieci o altra persona incapace di provvedere a sé stessa.
In proposito, il termine utilizzato dal legislatore: "trovando" allude all'imbattersi nella persona in pericolo, attraverso un contatto materiale e diretto, solo un orientamento minoritario afferma la rilevanza della semplice conoscenza del fatto. La distinzione effettuata tra abbandono e smarrimento presuppone la volontarietà o meno del soggetto che sul minore ha un potere-dovere di custodia.
Al secondo comma, del suddetto articolo l'omissione penalmente rilevante è quella di non prestare assistenza o di dare avviso all'autorità di aver trovato un corpo umano che sembri inanimato ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo.
Le aggravanti di tale norma penale derivano da eventuali lesioni personali. La pena è aumentata ex art. 64 c.p. se dal comportamento omissivo colpevole derivano lesioni, mentre nel caso di morte del soggetto in pericolo la pena è raddoppiata.
I due obblighi di avviso o di prestare soccorso tuttavia non costituiscono la possibilità di tenere due condotte alternative in quanto l'obbligo di darne avviso all'Autorità ricorre esclusivamente qualora non sia possibile prestare effettiva assistenza.[senza fonte] Tali obblighi tuttavia cessano nel caso in cui un soggetto, per la sua età o per le sue condizioni sia impossibilitato a adempierli.
La norma ha subito una recente modifica dalla legge 9 aprile 2003, n. 72 tesa da un lato a un inasprimento del trattamento sanzionatorio, dall'altro sottraendone la competenza al giudice di pace.
Le novità introdotte dalla legge n. 72/2003
La legge 9 aprile 2003, n. 72 ha apportato le modifiche al codice penale italiano e al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di omissione di soccorso. Essa introduce l'allargamento della fattispecie nell'ambito della circolazione stradale. La norma è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2003.
Le principali modifiche possono essere così riassunte:
1. Al primo comma dell'art. 593 del Codice Penale, le parole: "è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila" sono sostituite dalle seguenti: "è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a duemilacinquecento euro".
2. All'articolo 189 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 5 è sostituito dal seguente: "5. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all'obbligo di fermarsi in caso di incidente, con danno alle sole cose, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da duecentocinquanta euro a mille euro. In tale caso, se dal fatto deriva un grave danno ai veicoli coinvolti tale da determinare l'applicazione della revisione di cui all'articolo 80, comma 7, si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da quindici giorni a due mesi, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI";
b) il comma 6 è sostituito dal seguente: "6. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all'obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Nei casi di cui al presente comma sono applicabili le misure previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti previsti dall'articolo 280 del medesimo codice, ed è possibile procedere all'arresto, ai sensi dell'articolo 381 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti di pena ivi previsti";
c) il comma 7 è sostituito dal seguente: "7. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI";
d) dopo il comma 8 è inserito il seguente: "8-bis. Nei confronti del conducente che, entro le ventiquattro ore successive al fatto di cui al comma 6, si mette a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del comma 6".
3. All'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, lettera a), le parole: "593, primo e secondo comma," sono soppresse; b) al comma 2, lettera q), le parole "e 189, comma 6," sono soppresse.
Nel codice della strada
Commento: l'art. 189 è stato modificato nel 2008, nel 2010 e nel 2014. incluso l'aumento delle sanzioni e la discrezionalità del giudice.
Sembra infatti che questa voce contenga informazioni superate e/o obsolete. Se puoi, contribuisci ad aggiornarla.
Delitto di Omissione di soccorso
Fonte Codice della strada Disposizioni art. 189
Competenza tribunale monocratico
Procedibilità d'ufficio
Arresto *(comma 6) facoltativo; (comma 7) non consentito
Fermo non consentito
Pena (comma 6) reclusione da 6 mesi a 3 anni; (comma 7) reclusione da uno a 3 anni
Il Codice della strada all'art. 189 regola il comportamento degli utenti della strada in caso di incidente (imponendo, in primo luogo, di fermarsi). Qualora qualcuno, a seguito dell'incidente, abbia riportato delle lesioni, l'inosservanza di tali obblighi è sanzionata penalmente.
I soggetti responsabili
Il vecchio Codice della Strada imponeva determinati comportamenti al “conducente, in caso di investimento di persona”. L'art. 189 del nuovo Codice – innovando positivamente la norma, in modo tale da estenderne la portata applicativa e da chiarire alcuni dubbi interpretativi – disciplina, viceversa, gli obblighi imposti a tutti gli utenti della strada in caso di incidente che sia comunque ricollegabile al loro comportamento. Tenuto conto della lettera della legge e seguendo l'evoluzione normativa e giurisprudenziale della fattispecie, il soggetto attivo del presente reato deve quindi individuarsi, in primo luogo, nel conducente del mezzo coinvolto in un incidente stradale in cui taluno abbia subito dei danni fisici (qualora il sinistro abbia provocato soltanto danni alle cose, permangono i medesimi obblighi, ma la loro violazione integra una semplice sanzione amministrativa).
Al conducente devono nondimeno aggiungersi tutti gli altri “utenti della strada”, ogni volta che un loro comportamento (peraltro, non necessariamente illecito) abbia dato causa a un incidente con feriti, e, quindi, anche il pedone (che, per esempio, abbia attraversato una strada urbana lontano dagli attraversamenti zebrati e abbia avuto uno scontro con un ciclomotore o una bicicletta, il cui guidatore sia rimasto ferito) e persino il trasportato a bordo di altro veicolo (ad esempio, il passeggero di un'auto o di una moto che, per scherzo o per imprudenza, sporgendosi o in altro modo, abbia colpito un pedone o abbia comunque causato il sinistro).
Benché la norma tenda a estendere la portata applicativa dell'obbligo di prestare soccorso, il requisito per cui l'utente della strada deve avere un comportamento (anche non illecito) riconducibile all'incidente, esclude dalle sanzioni amministrative e penali condotte degli utenti della strada non coinvolti e moralmente deprecabili: come quella di quanti "lasciano" i feriti per strada a loro volta (senza segnalarne la presenza e chiamare/prestare soccorso), già in presenza di omissione di soccorso da parte di chi ha una condotta riconducibile all'incidente.
Le condotte punite
L'art. 189, per quanto penalmente rilevante, disciplina obblighi di duplice natura (che rispondono infatti a due finalità distinte, come è chiaramente desumibile dalla previsione di due diverse norme incriminatrici – rispettivamente ai comma 6 e 7 – con due diverse pene edittali).
Da una parte, l'utente della strada (nel senso sopra meglio precisato) deve comunque fermarsi, al fine di permettere agli operanti di identificare lui e il suo veicolo (e, in genere, di procedere a tutti gli opportuni accertamenti di fatto). Dall'altra, è altresì necessario che costui faccia quanto in proprio potere per prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite (delitto più grave, anche come sanzione prevista, poiché evidentemente l'integrità fisica è protetta in maniera più stringente della efficacia delle investigazioni, anche se, dopo la novella del 2003, che ha irrigidito notevolmente le pene, questa differenza si è notevolmente ridotta, limitandosi soltanto a un più basso minimo edittale).
I due distinti reati normalmente concorrono (ma, secondo una minoranza di interpreti, il delitto più grave assorbe il minore); ad esempio, Tizio investe un pedone e si allontana, senza fermarsi, e così viola entrambe le disposizioni in esame. Non può escludersi, però, quantomeno in astratto, che sia commesso uno solo dei due delitti (ad esempio, Tizio si ferma e offre ogni utile indicazione agli operanti, ma si astiene immotivatamente dal soccorrere il ferito; oppure Tizio carica velocemente a bordo della propria vettura il pedone investito, si allontana velocemente e lo lascia davanti al pronto soccorso, poi dileguandosi senza farsi riconoscere).
L'elemento psicologico
Il legislatore del 1993 ha disegnato i due reati in argomento come delitti dolosi (mentre il Codice previgente prevedeva la fuga come contravvenzione e l'omessa assistenza come delitto). Occorre pertanto per integrare le due fattispecie la piena consapevolezza in capo al presunto autore del fatto stesso che ci sia stato un incidente, che questo sia a lui ricollegabile e che taluno abbia riportato lesioni personali e abbia conseguentemente bisogno di assistenza, unitamente alla volontà di non fermarsi e di non prestare soccorso.
Alcune pronunce, particolarmente rigorose (ma ragionevolmente fondate sulla argomentazione per cui la diversa interpretazione limiterebbe illogicamente l'ambito di operatività della fattispecie ai soli casi di macroscopica e immediata evidenza di lesioni o di morte), affermano tuttavia che, trattandosi di un reato omissivo di pericolo, il dolo debba investire il solo evento dell'incidente comunque ricollegabile al comportamento del conducente e non anche il danno alle persone (quale avvenimento esterno, distinto sia dalla condotta criminosa sia dall'evento tipico, che costituisce la condizione obiettiva di punibilità).
In ogni caso, quando il conducente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, a titolo di dolo eventuale, essendosi accettato il rischio che si siano verificati eventi lesivi. Resta quindi esclusa la punibilità soltanto per i casi di semplice responsabilità colposa, quando cioè l'allontanamento sia effetto di negligenza, imperizia, inosservanza di norme o addirittura di mancata percezione o di mancata conoscenza della situazione di fatto che è alla base dell'obbligo di fermarsi (ad esempio, il guidatore disattento o distratto non si avvede che, omettendo di dare la precedenza ad altro veicolo, ne ha costretto il conducente a una brusca frenata, seguita dal tamponamento da parte di un terzo soggetto).
Casistica
Avuto riguardo alla funzione della norma, non si può ritenere “fermato” o comunque ottemperante alle disposizioni di legge, chi si soffermi brevemente sul luogo del sinistro e poi se ne allontani, senza essere stato identificato ovvero senza che sia stata rilevata la targa del veicolo. Del pari, risponde del delitto in questione anche chi lascia sul posto l'autovettura (con i documenti) e si allontana a piedi, dal momento che, evidentemente, a séguito di un simile comportamento, permangono dubbi e difficoltà di non poco momento in merito all'identità del conducente e alla dinamica dei fatti (esclude però la punibilità del reato di cui al comma 7, permanendo quella di cui al comma 6, il fatto che il conducente deleghi ad altri – che siano idonei e che accettino – i compiti di assistenza, prima di darsi alla fuga).
È dubbio – ma in genere si propende per la risposta negativa – se il reato di cui al comma 7 sussista anche nel caso di assenza di lesioni (è stato ritenuto insussistente il reato dove l'infortunato si era rialzato subito, senza farsi identificare e mancava agli atti un qualsiasi certificato medico che attestasse le eventuali lesioni subite) oppure in cui l'assistenza sia stata immediatamente prestata da altri soggetti ovvero l'investito sia morto sul colpo (cosicché non sarebbe comunque stata di fatto possibile assistenza alcuna).
Poiché, però, tali fatti devono essere accertati prima che l'indagato si allontani dal luogo dell'incidente, il reato è configurabile tutte le volte che questi non si fermi e si dia alla fuga a nulla rilevando che in concreto l'assistenza sia stata prestata da altri, se l'investitore ignori la circostanza essendo fuggito. Non si è esonerati dall'obbligo di assistenza sulla sola base di una presunta carenza di cognizione mediche. Se è vero che maldestre cure sanitarie possono rilevarsi più nocive di una totale omissione di soccorso, si ritiene concordemente che l'assistenza imposta dalla norma possa essere prestata anche in modi diversi (richiedere o far richiedere l'intervento di professionisti, provvedere al loro trasporto in ospedale con mezzi propri o altrui, curare che i feriti intrasportabili non siano investiti da altri veicoli, ecc.). Il codice penale italiano prevede la pena della reclusione fino a un anno o con la multa fino a 2.500 euro “chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata” (art. 593, commi 2 e 3).
Appare evidente la diversa portata delle due norme e la precisa intenzione della legge speciale di intensificare la tutela della vita e della incolumità personale in un settore ad alto rischio come quello della circolazione stradale. In caso di sinistro stradale, si prescinde, infatti, dal “ritrovamento” (concetto in qualche modo ambiguo e in ogni caso non applicabile a chi abbia provocato direttamente o indirettamente la lesione) e, a ogni buon conto, è sensibilmente maggiore la pena prevista. Secondo la Suprema Corte, tuttavia, integra il reato di omissione di soccorso previsto dal codice penale la condotta dell'automobilista che, imbattutosi in un incidente stradale, si allontani da tale luogo dopo essersi fermato e avere avvisato telefonicamente la competente autorità di polizia, in quanto, ai fini della prestazione della “assistenza occorrente”, non è sufficiente contattare la polizia e le autorità sanitarie, ma occorre anche presidiare il luogo dell'incidente allo scopo di adottare tutte le cautele necessarie a limitare il danno riportato dalla vittima, e soprattutto a scongiurare la sua esposizione al pericolo di essere investito ulteriormente da parte di altri veicoli.
Fuga ed omissione di soccorso in caso di incidente stradale con feriti. Da difesaalcoltest.it.
Qual è il comportamento da tenere in caso di incidente stradale?
Fuga con danno alla persona (art. 186, comma 6 del cds): che cosa si rischia?
Omissione di soccorso a persona ferita (art. 186, comma 7 del cds)
Alcune massime della Cassazione sul reato di fuga (Art. 189, comma 6 del c.d.s.)
Alcune massime della Cassazione sul reato di omissione di soccorso (art. 189, comma 6 del c.d.s.)
Cosa prevede l’articolo 189 del c.d.s. in tema di comportamento in caso di incidente.
Cosa deve fare chi ha causato un incidente? Cosa si rischia in caso di fuga ed omissione di soccorso?
In caso di fuga e di omissione di soccorso sono previste delle sanzioni che sono via via più gravi a seconda della tipologia di incidente stradale (con danni alle sole cose o alle persone) e a seconda della violazione commessa dell’obbligo di evitare intralcio alla circolazione, dell’obbligo di fermata o dell’obbligo di assistenza alle persone ferite.
L’art. 189 del codice della strada è la norma che prevede e sanziona questi comportamenti e che sanziona il c.d. “pirata della strada”, ossia il conducente di un veicolo che, dopo avere investito qualcuno o cagionato dei danni a cose, si dà alla fuga senza fermarsi e prestare o chiedere soccorso e guadagnare così l’impunità dalle conseguenze penali e civili della sua condotta.
Qual è il comportamento da tenere in caso di incidente stradale?
Il codice della strada prevede all’art. 140, comma il seguente principio informatore della circolazione stradale:
“Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”.
Questo principio, in caso di incidente è ulteriormente esplicitato dal comma 1 dell’art. 189 che afferma:
“1. L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona”.
Pertanto, si impone all’utente della strada un comportamento collaborativo onde evitare conseguenze più gravi, anche mortali, in seguito all’incidente.
Al riguardo, sono previsti:
1) l’obbligo di fermarsi (in caso di inosservanza si commette il reato di fuga ai sensi dell’art. 189, comma 6 del cds) e
2) l’obbligo di prestare assistenza (in caso di inosservanza si commette il reato di omissione di soccorso stradale ai sensi dell’art. 189, comma 7 del cds)
Si tratta di obblighi che sono sanzionati in caso di inadempimento in maniera diversa da due norme diverse (cfr. art. 189 commi 6 e 7)
Sono poi previsti ulteriori obblighi in caso di incidente che devono essere posti in essere ai sensi dell’art. 189, commi 2,3, e 4 in base al quale:
“2. Le persone coinvolte in un incidente devono porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza adoperarsi affinchè non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità.
3.. Ove dall’incidente siano derivati danni alle sole cose, i conducenti e ogni altro utente della strada coinvolto devono inoltre, ove possibile, evitare intralcio alla circolazione, secondo le disposizioni dell’art. 161. Gli agenti in servizio di polizia stradale, in tali casi, dispongono l’immediata rimozione di ogni intralcio alla circolazione, salva soltanto l’esecuzione, con assoluta urgenza, degli eventuali rilievi necessari per appurare le modalità dell’incidente.
4. In ogni caso i conducenti devono, altresì, fornire le proprie generalità, nonchè le altre informazioni utili, anche ai fini risarcitori, alle persone danneggiate o, se queste non sono presenti, comunicare loro nei modi possibili gli elementi sopraindicati”.
Fuga con danno alla persona (art. 186, comma 6 del cds): che cosa si rischia?
In tal caso l’art. 189, comma 6 del cds prevede che chiunque, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena in caso di fuga del conducente in ipotesi di omicidio stradale o lesioni stradali gravi o gravissime è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni nel primo caso e tre anni nel secondo.
Tale norma tutela la SICUREZZA DELLA CIRCOLAZIONE STRADALE, imponendo al singolo utente l’attivazione di comportamenti atti a diminuire o comunque contenere gli effetti dell’incidente stradale.
Si potrà invocare la causa di giustificazione dello stato di necessità solo provando di essersi allontanato in quanto costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
In questo caso ai sensi dell’art. 189, comma 6 del cds possono essere applicate le seguenti misure cautelari:
Divieto di espatrio
Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria
Divieto e obbligo di dimora
Arresti domiciliari
È poi prevista la possibilità di un arresto facoltativo in flagranza.
Queste misure non si applicano nei confronti del conducente che, entro le ventiquattro ore successive al fatto, si metta a disposizione degli organi di polizia giudiziaria (ciò vale solo in caso di lesioni personali colpose e non di omicidio stradale).
Omissione di soccorso a persona ferita (art. 186, comma 7 del cds)
Al riguardo, l’art. 189, comma 7 del cds prevede che chiunque, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento con danno alle persone, NON OTTEMPERA ALL’OBBLIGO DI PRESTARE L’ASSISTENZA OCCORRENTE ALLE PERSONE FERITE, è punito con la reclusione un anno a tre anni.
Si applica pure la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni.
In tal caso si tutela la SICUREZZA DELLE PERSONE IN PERICOLO a seguito di un incidente stradale.
Il presupposto per la concretizzazione dell’obbligo di assistenza va individuato nell’effettività del bisogno dell’infortunato.
Infine, è bene sapere che i due reati di fuga e di omissione di assistenza a persona ferita possono concorrere tra di loro, ossia si può essere condannati per entrambi i reati contemporaneamente.
Alcune massime della Cassazione sul reato di fuga (Art. 189, comma 6
1. L'utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare l'assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona.
2. Le persone coinvolte in un incidente devono porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinchè non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l'accertamento delle responsabilità.
3. Ove dall'incidente siano derivati danni alle sole cose, i conducenti e ogni altro utente della strada coinvolto devono inoltre, ove possibile, evitare intralcio alla circolazione, secondo le disposizioni dell'art. 161. Gli agenti in servizio di polizia stradale, in tali casi, dispongono l'immediata rimozione di ogni intralcio alla circolazione, salva soltanto l'esecuzione, con assoluta urgenza, degli eventuali rilievi necessari per appurare le modalità dell'incidente.
4. In ogni caso i conducenti devono, altresì, fornire le proprie generalità, nonchè le altre informazioni utili, anche ai fini risarcitori, alle persone danneggiate o, se queste non sono presenti, comunicare loro nei modi possibili gli elementi sopraindicati.
5. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all'obbligo di fermarsi in caso di incidente, con danno alle sole cose, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 302 a € 1.208)). In tale caso, se dal fatto deriva un grave danno ai veicoli coinvolti tale da determinare l'applicazione della revisione di cui all'articolo 80, comma 7, si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da quindici giorni a due mesi, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI. (80) (89) (101) (114) (124) (133) (145) ((163))
6. Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all'obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Nei casi di cui al presente comma sono applicabili le misure previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti previsti dall'articolo 280 del medesimo codice, ed e` possibile procedere all'arresto, ai sensi dell'articolo 381 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti di pena ivi previsti.
7. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite, e` punito con la reclusione da un anno a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI.
8. Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall'incidente derivi il delitto di lesioni personali colpose, non è soggetto all'arresto stabilito per il caso di flagranza di reato.
8-bis. Nei confronti del conducente che, entro le ventiquattro ore successive al fatto di cui al comma 6, si mette a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del comma 6.
9. Chiunque non ottempera alle disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 87 a € 344)). (19) (29) (43) (52) (64) (80) (89) (101) (114) (124) (145) ((163))
9-bis. L'utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, da cui derivi danno a uno o più animali d'affezione, da reddito o protetti, ha l'obbligo di fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso agli animali che abbiano subito il danno. Chiunque non ottempera agli obblighi di cui al periodo precedente e' punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 421 a € 1.691)). Le persone coinvolte in un incidente con danno a uno o più animali d'affezione, da reddito o protetti devono porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso. Chiunque non ottempera all'obbligo di cui al periodo precedente e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 85 a € 337)).
Omissione di soccorso per chi tampona un'auto e poi fugge. Commette reato il conducente che, avendo causato un sinistro stradale, non si ferma per sincerarsi delle condizioni della persona offesa e si allontana non appena scatta il verde. Di Simone Marani, Avvocato, Pubblicato il 27/06/2023 su altalex.com
Risponde di omissione di soccorso il conducente che, avendo cagionato un sinistro stradale, non si ferma per sincerarsi delle condizioni della persona offesa, rimanendo all'interno della propria auto ed allontanandosi non appena scattato il verde. Questo è quanto emerge dalla sentenza 16 giugno 2023, n. 26012 (testo in calce) della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva un conducente della strada, dopo un tamponamento dal medesimo causato, non fermarsi per sincerarsi delle condizioni della persona offesa, allontanandosi dal luogo del sinistro, non appena scattato il semaforo verde. Per effetto del tamponamento la persona offesa aveva subito un politrauma contusivo nonché una distorsione cervicale.
Secondo gli ermellini, mentre non vi sono dubbi circa la configurabilità del reato di fuga, di cui all'art. 189, comma 6, cod. strad., non altrettanto può dirsi con riguardo alla inottemperanza all'obbligo di prestare assistenza di cui al comma 7 della medesima disposizione.
Secondo quanto disposto dall'art. 189, comma 1, cod. strad., l'utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito un danno alla persona. Qualora, in caso di incidente con danni alle persone, il successivo comma 6 dispone che per l'utente della strada che non ottemperi all'obbligo di fermarsi, è prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
Il prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene che il reato di omissione di soccorso sia un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo che deve investire essenzialmente l'inosservanza dell'obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone, e non anche l'esistenza di un effettivo danno per le stesse (Cass. pen., Sez. IV, 3 giugno 2009, n. 34335).
Per l'integrazione della fattispecie incriminatrice non basta la consapevolezza che dal sinistro possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell'integrità fisica; conseguentemente può affermarsi che il reato di mancata prestazione dell'assistenza esiga un dolo meramente generico, ravvisabile in capo all'utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, non ottemperi all'obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti ( Cass. pen., Sez. IV, 14 maggio 2008, n. 33294).
La condotta omissiva sanzionata dal comma 7 dell'art. 189 cod. strad., può considerarsi una ipotesi speciale del delitto di omissione di soccorso previsto dall'art. 593, comma 2, c.p., del quale condivide l'oggettività giuridica e la condotta dell'omessa assistenza della persona ferita, con l'aggiunta dell'elemento tipico del reato proprio mediante l'individuazione, nell'utente della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l'incidente, del soggetto sul quale grava l'obbligo di garanzia, e di un antefatto non punibile, concretato dall'essersi verificato un incidente stradale, idoneo a creare una situazione di pericolo attuale, da cui sorge l'obbligo di agire.
Il reato in esame trova il suo fondamento dell'obbligo giuridico di attivarsi, previsto dall'art. 189, comma 1, cod. strad., che attribuisce all'utente della strada, coinvolto in un sinistro comunque riconducibile al suo comportamento, una posizione di garanzia per proteggere altri utenti della strada coinvolti nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso, posto che i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepire le conseguenze dannose o pericolose e di evitare che il ritardato soccorso possa far derivare un danno alla vita o all'integrità fisica.
Nel caso di specie, i giudici del merito avrebbero dovuto chiarire se la situazione di pericolo scaturita dal tamponamento provocato dall'imputato fosse stata dal medesimo immediatamente percepita o percepibile, posto che la persona offesa, dopo il tamponamento, era scesa dall'auto per ottenere le generalità dell'uomo senza fare alcun cenno ad un mal di testa, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di cui all'art. 189, comma 7, cod. strad., per un nuovo giudizio sul punto.
Sussiste omissione di soccorso anche se non si hanno responsabilità nel sinistro – Cass. Pen. 15040/2014. Redazione Giurisprudenza Penale il 3 Aprile 2014
Cassazione Penale, Sez. IV, 1 aprile 2014 (ud. 7 marzo 2014), n. 15040
Presidente Zecca, Relatore Serrao, P. G. Geraci (concl. conf.)
Depositata il 1° aprile 2014 la pronuncia numero 15040 della quarta sezione in tema di circolazione stradale, relativa ai presupposti della fattispecie di cui all’art. art. 189 C.d.S., comma 7 ai sensi del quale “chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni”.
La pronuncia della suprema Corte trae origine dalla condanna – sia in primo grado sia in appello – nei confronti di un automobilista in relazione al reato di cui all’art. 189 C.d.S., commi 1 e 7, per non aver ottemperato all’obbligo di prestare assistenza alle persone ferite nel medesimo sinistro. Tra i vari motivi di ricorso presentati dal ricorrente figura – per ciò che qui rileva – la censura attraverso cui si osservava che la Corte territoriale avrebbe dovuto considerato che l’imputato non aveva alcuna responsabilità nel sinistro: dal momento che – sostiene il ricorrente – il comma 1 dell’art. 189 parla di “incidente comunque ricollegabile al suo comportamento“, dovrebbe concludersi per la necessità di una responsabilità da parte dell’imputato nell’aver provocato l’incidente, non potendo essere sufficiente il fatto di esservi rimasto coinvolto.
Prima di affrontare la questione centrale inerente al rapporto tra comma 1 e comma 7 dell’art. 189 – per chiarire, in altri termini, se sia o meno meritevole di accoglimento la censura difensiva secondo cui ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 189 C.d.S. comma 7 (non aver ottemperato all’obbligo di prestare assistenza alle persone ferite) costituisca antefatto necessario del reato anche l’aver dato causa all’incidente – la Corte svolge qualche considerazione di carattere generale sulla fattispecie di reato in questione.
Quella di cui all’art. 189 c.7 C.d.S. – osservano i giudici – è una disposizione che può essere considerata come una ipotesi speciale del delitto di omissione di soccorso previsto dall’art. 593 c.p., comma 2, del quale condivide l’oggettività giuridica e la condotta dell’omessa assistenza alla persona ferita, con l’aggiunta, tuttavia, di due elementi:
l’elemento tipico del reato proprio mediante individuazione, nell’utente della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l’incidente, del soggetto sul quale grava l’obbligo di garanzia, genericamente indicato nella norma generale in chiunque;
di un antefatto non punibile, concretato dall’essersi verificato un sinistro stradale, idoneo a concretare una situazione di pericolo attuale, da cui sorge l’obbligo di agire.
Nella materia della circolazione stradale, il legislatore ha introdotto, come si evince dal tenore dell’art. 189 C.d.S., comma 1, la presunzione che il verificarsi di un incidente determini una situazione di pericolo ed ha individuato nei soggetti coinvolti nel sinistro i titolari della posizione di garanzia, imponendo loro l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza. Assistenza significa quel soccorso che si rende necessario, tenuto conto del modo, del luogo, del tempo e dei mezzi, per evitare il danno che si profila.
Trattasi, in sostanza di reato istantaneo di pericolo, il quale ultimo va accertato con valutazione ex ante e non ex post, sicchè una volta verificatosi l’antefatto non punibile previsto dal comma 1 – da intendersi come sinistro connesso alla circolazione stradale – sarebbe incompatibile con l’oggetto giuridico del reato e con la natura di reato di pericolo asserire che l’obbligo di attivarsi sia escluso per colui che, pur coinvolto nel sinistro, non ne sia responsabile. Simile interpretazione della norma condurrebbe all’assurda conseguenza per cui il dovere di attivarsi sarebbe escluso per ogni altro soggetto coinvolto nel sinistro, ove l’incidente fosse attribuibile in via esclusiva alla persona ferita che necessiti di assistenza.
Il reato in esame trova, dunque, il suo fondamento nell’obbligo giuridico di attivarsi previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 1, che attribuisce all’utente della strada, coinvolto in un sinistro “comunque” riconducibile al suo comportamento, una posizione di garanzia per proteggere altri utenti coinvolti nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso.
La posizione di garanzia trova, nel caso in esame, la sua ratio nel dato di esperienza per cui i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepirne nell’immediatezza le conseguenze dannose o pericolose, dunque di evitare, indipendentemente dall’ascrivibilità agli stessi di tali conseguenze, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa derivarne un danno alla vita ed all’integrità fisica. Come già affermato da questa Sezione, il combinato disposto del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189, commi 1, 6 e 7, non lega l’obbligo di assistenza alla consumazione e all’accertamento di un reato, ma al semplice verificarsi di un incidente comunque ricollegabile al comportamento dell’utente della strada al quale l’obbligo di assistenza è riferito. Nella previsione incriminatrice manca qualsiasi rapporto che condizioni la esistenza dell’obbligo di attivarsi alla qualificazione come reato della condotta dell’utente.
All’evidenza, la sola condizione per la esigibilità della assistenza e la punibilità della sua omissione è posta nella generalissima relazione di collegamento (a qualsiasi titolo) tra incidente e comportamento di guida dell’utente della strada (Sez. 4, n. 34138 del 21/12/2011, dep. 6/09/2012, Cilardi, Rv. 253745).
In definitiva, l’art. 189 C.d.S., comma 1 nella parte in cui afferma che “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona“, deve essere letto nel senso che l’espressione “incidente comunque ricollegabile al suo comportamento” ha natura di antefatto non punibile idonea esclusivamente ad identificare il titolare della posizione di garanzia.
Ne consegue che, per l’utente della strada coinvolto in un sinistro, l’obbligo di attivarsi per prestare assistenza alle persone ferite sussiste indipendentemente dalla responsabilità nel sinistro.
La differenza tra i reati di fuga e omissione di soccorso. D.r Nicola De Rossi su studio3a.ne il 24.06.2023
Spesso si fa confusione tra i reati di fuga e di omissione di soccorso che, pur essendo strettamente collegati, non sono la stessa cosa. Al riguardo è utile a far chiarezza sulla diversità delle due fattispecie la sentenza n. 26012/23 depositata dalla Cassazione il 16 giugno 2923.
Automobilista condannato in appello per fuga e omissione di soccorso
Il reato di fuga è un reato omissivo di pericolo
Per l’omissione di soccorso occorre che il pericolo appaia essersi concretizzato
Incontestabile il reato di fuga ascritto all’automobilista che aveva tamponato
Non così l’omissione di soccorso, per la quale occorre la consapevolezza di aver causato lesioni
Automobilista condannato in appello per fuga e omissione di soccorso
La Corte d’Appello di Palermo, riformando parzialmente la pronuncia di primo grado del Tribunale di Marsala, aveva confermato la condanna di un automobilista per i reati di lesioni personali stradali (art. 590 c.p.) e fuga (art. 189 comma 6 del Codice della Strada), ma aveva aggiunto anche quello di omissione di soccorso (art. 189 comma 6 del Cds), rideterminandone quindi la pena.
A quanto ricostruito dal giudice di prime cure, una donna alla guida della sua vettura era stata tamponata con violenza a un semaforo dall’auto dell’imputato, persona che la malcapitata conosceva avendo i due frequentato entrambi, tempo addietro, la stessa scuola di ballo. La danneggiata era scesa dalla macchina per ottenere le generalità della controparte e i dati dell’assicurazione, ma questi le aveva risposto di conoscerla e di escludere che potessero esservi dei problemi. E quando al semaforo era scattato il verde, si era allontanato.
L’automobilista era comunque riuscita ad annotare il numero di targa del suo veicolo e, avendo iniziato ad accusare mal di testa, era stata aiutata da un collega di lavoro che si trovava casualmente a transitare dietro l’auto che l’aveva tamponata e che successivamente l’aveva accompagnata al Pronto Soccorso, dove le erano state refertate alcune lesioni.
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione lamentato la violazione degli artt. 192 e 546 c.p.p., per difetto di qualsivoglia prova, nonché manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del dolo eventuale con riguardo al reato di cui all’art. 189, commi 6 e 7, C.d.S.
Secondo l’imputato, era illogico affermare che egli si era fermato dopo l’impatto e, al contempo, ritenerlo responsabile del reato ascritto: l’automobilista “tamponante” ha asserito non solo di non essersi reso conto di aver provocato un incidente idoneo ad arrecare lesioni, considerato che il proprio veicolo aveva subito danni lievissimi e l’urto era stato minimo, ma di esser altresì sceso dalla sua auto, di aver riconosciuto la persona offesa, ed essere stato a sua volta da lei riconosciuto, e di averle chiesto se avesse bisogno di aiuto, indicandole, avendo urgenza di rientrare a casa, dove si trovava la sua abitazione.
La Suprema Corte gli ha dato ragione a metà, ritenendo fondato il ricorso solo con riguardo all’all’art. 189, comma 7, C.d.S., cioè l’omissione di soccorso, rigettando il resto. La Cassazione rammenta che l’art. 189, comma 1, C.d.S., dispone che “l’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona.”
Il comma 6, quindi, prevede che “chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Il reato di fuga è un reato omissivo di pericolo
La Cassazione chiarisce che il reato di fuga previsto dall’art. 189, comma 6, C.d.S., “è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone, e non anche l’esistenza di un effettivo danno per le stesse. Come tutte le norme incriminatrici volte alla tutela avanzata d’interessi, la concretezza dell’evento che giustifica la previsione non può giungere sino ad un’effettiva constatazione del tipo di nocumento procurato. Non a caso, infatti, la previsione utilizza il termine aspecifico di “danno”, volutamente ignorando il più preciso riferimento a quello di “lesione”.
Per l’omissione di soccorso occorre che il pericolo appaia essersi concretizzato
Il comma 7, proseguono poi i giudici del Palazzaccio, sanziona invece una “condotta ulteriore e diversa rispetto a quella repressa dal comma precedente: quella del conducente che, coinvolto in un incidente stradale, comunque ricollegabile al suo comportamento, non ottemperi all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite. In tale ultima evenienza, non basta la consapevolezza che dall’incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell’integrità fisica”.
Si può dunque affermare che il reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente dopo un investimento “esiga un dolo meramente generico, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti. Dolo che può ben configurarsi anche come eventuale”.
Incontestabile il reato di fuga ascritto all’automobilista che aveva tamponato
La sentenza d’appello aveva accertato che la persona offesa aveva subìto danni alla propria integrità psicofisica “direttamente riconducibili al tamponamento posto in essere dall’imputato”, come emergeva dal contenuto del referto medico, in cui si attestava che l’automobilista tamponata aveva riportato un “politrauma contusivo da incidente stradale”, nonché una distorsione cervicale. E la Corte territoriale aveva soprattutto sottolineato la circostanza che il ricorrente, dopo il tamponamento, non si era fermato per sincerarsi delle condizioni della persona offesa. Dalla ricostruzione dei fatti, emersa dall’istruzione dibattimentale, risultava infatti che era stata la stessa persona offesa a scendere dal veicolo, in seguito all’impatto tra le auto, avvicinandosi all’imputato (rimasto alla guida della sua autovettura ferma al semaforo) per acquisire le sue generalità, mentre questi, “lungi dal rispondere all’interlocutrice ovvero lungi dall’accertarsi delle sue condizioni di salute”, aveva la marcia non appena scattò il semaforo verde.
Dunque, secondo la Suprema Corte, “nessuna contraddittorietà attinge la sentenza impugnata perché l’imputato, dopo il tamponamento, non si fermò per prestare soccorso o aiuto alla persona che si trovava alla guida dell’auto tamponata ma, unicamente, per l’obbligo di arrestare la marcia proveniente dall’impianto semaforico”.
Non così l’omissione di soccorso, per la quale occorre la consapevolezza di aver causato lesioni
E tuttavia gli Ermellini osservano che, se la motivazione della sentenza impugnata appare “incensurabile” con riguardo alla consumazione del reato di fuga di cui al comma 6 dell’art. 189 C.d.S., “non altrettanto può dirsi relativamente alla inottemperanza all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente, di cui al comma 7 della medesima disposizione, con particolare riferimento alla consapevolezza, in capo all’imputato, delle conseguenze fisiche subite dalla persona offesa”.
Qui la Suprema Corte ricorda che la condotta omissiva sanzionata dall’art. 189, comma 7, C.d.S. “può considerarsi un’ipotesi speciale del delitto di omissione di soccorso previsto dall’art. 593, comma 2, c.p., del quale condivide l’oggettività giuridica e la condotta dell’omessa assistenza alla persona ferita, con l’aggiunta: dell’elemento tipico del reato proprio mediante individuazione, nell’utente della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l’incidente, del soggetto sul quale grava l’obbligo di garanzia, genericamente indicato nella norma generale in “chiunque”; di un antefatto non punibile, concretato dall’essersi verificato un sinistro stradale, idoneo a concretare una situazione di pericolo attuale, da cui sorge l’obbligo di agire”.
“Secondo la preferibile interpretazione della norma generale, il bene giuridico tutelato dal reato in questione (inserito tra i delitti contro la vita e l’incolumità personale) è da individuarsi in un bene di natura superindividuale, quello della solidarietà sociale, da preservarsi soprattutto quando siano in discussione i beni della vita e della incolumità personale di chi versa in pericolo – aggiungono i giudici del Palazzaccio – In particolare, lo stato di pericolo è espressamente previsto per la fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 593 c.p., e proprio la necessità di prevenire un danno futuro impone l’obbligo di un intervento soccorritore. Nella materia della circolazione stradale, il legislatore ha introdotto, come si evince dal tenore dell’art. 189, comma 1, C.d.S., la presunzione che il verificarsi di un incidente determini una situazione di pericolo e ha, conseguentemente, individuato nei soggetti coinvolti nel sinistro i titolari della posizione di garanzia, imponendo loro l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza. Si tratta, in sostanza, di reato istantaneo di pericolo, il quale ultimo va accertato con valutazione ex ante e non ex post”.
Il reato in esame trova, dunque, il suo fondamento “nell’obbligo giuridico di attivarsi previsto dall’art. 189, comma 1, C.d.S., che attribuisce all’utente della strada, coinvolto in un sinistro comunque riconducibile al suo comportamento, una posizione di garanzia per proteggere altri utenti coinvolti nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso La posizione di garanzia trova la sua ratio nel dato di esperienza per cui i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepirne nell’immediatezza le conseguenze dannose o pericolose, e di evitare, pertanto, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa derivare un danno alla vita e all’integrità fisica”.
Fatte tali premesse, la Cassazione spiega quindi che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare se, nel caso di specie, “la situazione di pericolo scaturita dal tamponamento provocato dall’imputato fosse dallo stesso immediatamente percepibile e percepita. E ciò proprio in considerazione del comportamento della persona offesa: questa, infatti, subito dopo il tamponamento era scesa dall’auto per ottenere le generalità dell’uomo e i dati dell’assicurazione, senza far cenno al mal di testa di cui riferiva poi al collega, quando già l’imputato si era allontanato a bordo della propria auto”. E’ appunto sotto questo aspetto che la sentenza impugnata appare carente di motivazione, di qui il suo annullamento limitatamente al solo reato di cui all’art. 189, comma 7, C.d.S., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Differenze tra il reato di fuga e di omissione di soccorso. Angelo Greco su laleggepertutti.it il 9 Agosto 2023
Comportamento in caso di incidente stradale: l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza sono sanzionati in modo diverso.
Il codice della strada impone ai conducenti coinvolti in un incidente stradale di fermarsi e non allontanarsi dal luogo del sinistro tutte le volte in cui ci sono feriti. Ciò non solo al fine di prestare soccorso alla vittima, ma anche per mettersi a disposizione della polizia onde eseguire i rilievi e le identificazioni.
La violazione di tale dovere viene punita con due diverse previsioni penali: il reato di fuga e quello di omissione di soccorso. La finalità del primo è impedire che i responsabili possano eludere le investigazioni o sottrarsi alle ricerche degli organi di polizia. La finalità del secondo è prestare aiuto alle persone che si trovano in una situazione di pericolo per la propria incolumità fisica.
In questo breve articolo vedremo qual è la differenza tra il reato di fuga e quello di omissione di soccorso.
Indice
Comportamento in caso di incidente
Obblighi in caso di incidente senza feriti
Obblighi in caso di incidente con feriti
Differenza tra il reato di fuga e l’omissione di soccorso
Il reato di fuga
Il reato di fuga
Si può essere incriminati per omissione di soccorso se ci si allontana?
Comportamento in caso di incidente
L’articolo 189 del codice della strada descrive quale deve essere il comportamento del conducente in caso di incidente. Egli ha l’obbligo di fermarsi per identificarsi e fornire i dati della propria polizza assicurativa e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona. L’obbligo ricade sul guidatore di un veicolo, a motore e non, ed anche sul pedone il cui comportamento abbia contribuito al verificarsi dell’incidente.
La norma si riferisce ad un incidente “comunque” ricollegabile al comportamento dell’utente e, quindi, anche nel caso in cui manchi l’urto diretto.
Obblighi in caso di incidente senza feriti
Se non ci sono feriti e i danni riguardano solo le auto, l’allontanamento dal luogo del sinistro senza comunicare i propri dati e quelli della Rc-auto è punito con una sanzione amministrativa da 302 a 1208 euro.
Obblighi in caso di incidente con feriti
Se invece ci sono feriti, l’allontanamento prima dell’arrivo della polizia è punito a livello penale, con il reato di fuga, per il quale è prevista la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la sospensione della patente da 1 a 3 anni.
Se risulta che i feriti siano in stato di bisogno e necessitano cure, non c’è solo l’obbligo di non andare via, ma anche quello di prestare soccorso ossia chiamare le autorità competenti. La violazione di questo ulteriore obbligo viene punita con il reato di omissione di soccorso. La pena è la reclusione da 1 a 3 anni, più la sospensione della patente di guida da 1 anno e 6 mesi ad un massimo di 5 anni. Per il reato di omissione di soccorso tuttavia non basta che ci siano semplicemente dei feriti ma che questi si trovino in una situazione di bisogno effettivo e non solo potenziale.
L’obbligo di fermarsi è personale e non può adempiuto lasciando sul posto una persona con l’incarico di fornire tutte le informazioni o lasciando alla vittima del sinistro dati parziali come il numero di targa del veicolo.
Invece l’obbligo di prestare assistenza, incombente non solo sul conducente ma su tutti gli utenti della strada compresi i trasportati sull’auto dell’investitore.
Differenza tra il reato di fuga e l’omissione di soccorso
Da quanto appena detto risulteranno chiare le differenze tra i due reati, quello di fuga da un lato e quello di omissione di soccorso dall’altro.
Il reato di fuga è previsto dall’art. 189 comma 6 del codice della strada. Il reato di omissione di soccorso è invece previsto dal comma 7 del medesimo articolo.
Il primo mira a evitare che le persone coinvolte nel sinistro risultino sconosciute e non si possa poi istruire la pratica assicurativa per il risarcimento. La presenza delle auto sul luogo del sinistro fino all’arrivo delle autorità serve anche a consentire a queste ultime di ricostruire la dinamica dell’incidente tramite la rilevazione della posizione dei veicoli coinvolti nello scontro.
Al contrario, il reato di omissione di soccorso serve a tutelare le persone in effettivo stato di bisogno e non ha alcuna incidenza sulla pratica risarcitoria. Per questo – ha stabilito la Cassazione – il reato di fuga è configurabile nei confronti dell’utente della strada coinvolto nel sinistro, anche se non responsabile del sinistro.
Nel caso di “omissione di soccorso”, presupposto necessario per il sorgere della responsabilità penale è che l’incidente stradale abbia causato “danno alle persone”. Se invece il sinistro ha causato solo danni materiali, pur sussistendo comunque l’obbligo di fermarsi per fornire i dati della propria assicurazione e patente, la violazione di tale norma è punita solo con sanzioni di natura amministrativa (che abbiamo visto sopra).
L’obbligo fondamentale a carico dell’“utente della strada” (per tale s’intende il guidatore di un veicolo, a motore e non, ed anche il pedone il cui comportamento abbia contribuito al verificarsi dell’evento) è contenuto nel primo comma del citato articolo; esso impone all’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona.
L’obbligo di “fermarsi” impone al soggetto di stare sul luogo del sinistro per il tempo necessario, non solo per prestare soccorso alla vittima, ma anche per mettersi a disposizione degli organi di polizia giudiziaria per i rilevamenti e per l’identificazione.
I delitti previsti dai commi 6 e 7 dell’art. 189 costituiscono ipotesi criminose distinte ed autonome, in quanto hanno diversa oggettività giuridica e risultano lesive di beni giuridici diversi. Pertanto è ben possibile un’incriminazione per entrambi i reati.
Il reato di fuga
Il reato di fuga mira a impedire che, verificatosi un incidente stradale, i responsabili possano eludere le investigazioni dell’Autorità o sottrarsi alle sue ricerche, per evitare la punizione dei reati eventualmente connessi al sinistro. Infatti, è imposto al conducente l’obbligo di fermarsi per prestare assistenza e mettersi a disposizione degli organi di polizia giudiziaria per i rilevamenti tesi ad assicurare la compiuta ricostruzione della dinamica di verificazione dell’incidente e l’identificazione.
Inoltre, i conducenti devono fornire ai danneggiati gli elementi necessari ai fini risarcitori.
Il reato risulta, quindi, ravvisabile anche nei casi in cui la persona si sia fermata (eventualmente anche prestando l’assistenza necessaria), ma si sia allontanata prima dell’arrivo degli appartenenti agli organi di polizia preposti all’accertamento dell’esistenza di eventuali reati o comunque agli accertamenti in materia di infortunistica stradale.
Il delitto si consuma nel momento in cui l’utente della strada si allontana dal luogo del sinistro proseguendo la marcia dopo la sua verificazione. Secondo la giurisprudenza, commette il reato di fuga anche chi, dopo essersi brevemente fermato dopo l’incidente (eventualmente anche prestando l’assistenza necessaria), si sia allontanato senza attendere l’arrivo degli organi di Polizia, dal momento che gli obblighi previsti dalla norma in questione sono finalizzati anche a rendere possibile l’accertamento immediato delle modalità e delle circostanze dell’incidente.
Il reato di fuga trae la sua giustificazione nel dovere di solidarietà sociale che impone la privata assistenza nei confronti delle persone ferite dal sinistro che, in quanto tali, si trovano in stato di pericolo concernente la vita o l’incolumità, evitando il protrarsi delle conseguenze dannose.
L’assistenza si sostanzia in quel soccorso che si profila necessario ed adeguato, tenuto conto del modo, del luogo, del tempo del sinistro, dei mezzi a disposizione e delle possibilità del soccorritore, per evitare il danno che si minaccia.
L’obbligo cessa, nel caso in cui il soggetto per la sua età, per le sue condizioni psicofisiche o per altre cause (essere l’investitore ugualmente bisognoso di soccorso), si trovi nell’assoluta impossibilità di adempierlo (ad impossibilia nemo tenetur).
Si può essere incriminati per omissione di soccorso se ci si allontana?
La Cassazione (sent. n. 33988/2023) ha assolto dall’omissione di soccorso l’automobilista che si allontana dal luogo del sinistro dopo essersi accertato delle condizioni delle persone coinvolte che non richiedono un ambulanza anche se poi queste, in un momento successivo, vanno in ospedale. La Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputata condannata per essersi data alla fuga e omesso di prestare assistenza ai danneggiati a seguito dell’incidente stradale, omettendo la sua identificazione, dopo aver constatato le lesioni delle due persone coinvolte nel sinistro. Sbagliano i giudici di merito a non considerare la diversità del reato di fuga rispetto a quello di omissione di soccorso.
Il reato di cui all’articolo 189 comma 7 Cs implica una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella del reato di fuga, previsto dal comma 6 dell’articolo 189, non essendo sufficiente la consapevolezza che dall’incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo, invece, che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell’integrità fisica. Il dolo eventuale è ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti.
Nel caso in esame, l’imputata si era accertata delle condizioni di salute delle persone offese e queste non avevano richiesto l’intervento di mezzi di soccorso. Infatti, la ricorrente era scesa dalla macchina e aveva interloquito con le occupanti del mezzo tamponato, una delle quali l’aveva anche redarguita, accusando solo dopo dei giramenti di testa, invitando al contempo l’imputata a prendere il modulo per la constatazione amichevole; le persone offese si erano recate solo successivamente e per conto proprio in ospedale.
Il reato di omissione di soccorso richiede che il bisogno dell’investito sia effettivo, sicché non è configurabile nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario, né utile o efficace l’ulteriore intervento dell’obbligato, ma tali circostanze non possono essere ritenute ex post, dovendo l’investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima del proprio allontanamento. Il reato di cui all’articolo 189 comma 7, codice della strada, contempla tra gli elementi costitutivi della fattispecie obiettiva, la necessità di assistenza alle persone ferite. Sicché, ove tale necessità sia insussistente, non rileva che l’autore del fatto ne abbia avuto contezza o meno, trattandosi di reato punibile esclusivamente a titolo di dolo, quantomeno eventuale, nel cui oggetto deve rientrare comunque anche il bisogno di assistenza delle persone ferite.
Antonio Giangrande: La tassa di passaggio.
Il problema della Sicilia? “Il traffico!” “Palermo ha un grande problema! Un problema intollerabile!”. “Quale?”. “Il traffico!”
Ricordate l’avvocato mafioso di “Jonny Stecchino” di e con Roberto Benigni?
Il film è del ’91, ma la battuta è sempre attuale
“Nel mondo siamo conosciuti anche per qualcosa di negativo, quelle che voi chiamate piaghe. Una terribile, e lei sa a cosa mi riferisco: l’Etna, il vulcano, ma è una bellezza naturale. Ma c’è un’altra cosa che nessuno riesce a risolvere, lei mi ha già capito. La Siccità. La terra brucia e sicca, una brutta cosa. Ma è la natura e non ci possiamo fare niente. Ma dove possiamo fare e non facciamo, perché in buona sostanza, purtroppo posiamo fare e non facciamo… Dov’è? È nella terza e più grave di queste piaghe che diffama la Sicilia e in particolare Palermo agli occhi del mondo. Eh… Lei ha già capito. È inutile che glielo dica. Mi vergogno a dirlo. È il traffico! Troppe macchine! È un traffico tentacolare, vorticoso, che ci impedisce di vivere e ci fa nemici famiglia contro famiglia, troppe macchine!”.
E' esemplare la celebre scena del film “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi. I due viaggiatori si trovavano ad attraversare il confine della Signoria fiorentina, e un integerrimo casellante continuava a domandare: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate? Un Fiorino!” ad ogni minimo movimento andirivieni alla dogana. Così ad ogni movimento dei poveri viaggiatori (una volta gli cadeva un sacco di farina, un’altra volta perdevano qualcos’altro), venivano richiamati e bloccati. Fino a che Troisi, spazientito dalla bizzarra e petulante circostanza con un vivace “Vaffa” risolve la situazione proseguendo il cammino.
La tassa di Passaggio. Da tripadvisor.it il 2020.
saveriodb Lecce, Italia
Gentile Forum di Roseto Capo Spulico,
ho ricevuto una multa per eccesso di velocità sulla SS106 Jonica a Roseto.
Vivendo a Lecce, chiederei a qualcuno del luogo, se possibile, un'informazione:
- La multa è per aver superato la velocità media in un tratto di 1,77 Km, in direzione Ovest (da Metaponto verso Villapiana per intenderci). Per quel che ricordavo, su quel percorso l'unico controllo della velocità media era a Montegiordano, ma non a Roseto. A Roseto mi sembrava fosse segnalato dai cartelli solo un controllo 'istantaneo', non medio. Sbaglio io?
Vi ringrazio per l'informazione! Saverio Di Benedetto
hildita nikita Catanzaro, Italia
Ciao, purtroppo in quel tratto ci sono sistemati ben 4 autovelox ognuno di un comune diverso, oltre quello di Roseto c'è del comune di Amendolara, Spezzano Albanese e non ricordo se c'è anche Trebisacce o Rocca Imperiale ... in due km ho preso 4 multe nello stesso giorno e non credo lo dimenticherò più quel tratto
L’Italia degli autovelox. ‘Fare cassa’ e ‘Tassa di passaggio’. Da aduc.it il 13 giugno 2022.
A novembre il decreto Infrastrutture (Dl 121/2021) ha imposto la pubblicazione sul web dei rendiconti comunali da proventi di multe. Il quotidiano ILSOLE24ORE ha spulciato i dati, ed ha rilevato cose interessanti. Soprattutto lo “zero” che si legge negli incassi 2021 da multe diverse da quelle per eccesso di velocità in luoghi come Roseto Capo Spulico (Cosenza) e Melpignano (Lecce). Quest’ultimo Comune ha rivitalizzato le entrate incassando 4,98 milioni e Roseto 728mila euro (che si aggiungono agli incassi delle vicine Montegiordano, Rocca Imperiale e Trebisacce). Dai dati del ministero si evince che qui i vigili non hanno visto nemmeno una cintura slacciata, un guidatore parlare al cellulare, parcheggiare in modo vietato, prendersi una precedenza non dovuta o qualsiasi altra infrazione stradale.
A Colle Santa Lucia (BL) succede lo stesso. Idem per la Provincia di Brescia, che pare non avere altre forme di vigilanza su strada e così risulta non incassare un euro nemmeno da chi è uscito fuori corsia rovinando un guard-rail.
Il quotidiano economico si chiede se, per esempio, i mutui che a Milano vengono ripagati anche con una parte dei cospicui incassi delle multe siano davvero attinenti alla sicurezza stradale.
“Tassa di passaggio” per locali o turisti che in alcune strade sono poco ligi al rispetto di limiti di velocità che, chiunque si sposta, sa che spesso sono un po’ troppo risicati rispetto a tipo di strade e di veicoli. Le norme risalgono a quando certi asfalti e certe caratteristiche infrastrutturali erano molto più precarie di oggi, mentre le auto più diffuse erano tipo la 500 Fiat con le portiere incernierate posteriormente che, per passare da una marcia all’altra, occorreva fare la doppietta, oltre che quando si andava a 90Kmh tremava tutta la carrozzeria.
Il mondo è cambiato, ma non le norme per far rispettare i limiti di velocità. E siccome alcuni autovelox erano proprio “indecenti” per dove erano piazzati, a luglio del 2020 fa è stata modificata la legge per consentire l’uso di macchinette automatiche ovunque, trasformando in regolarità le precedenti irregolarità.
Nel nostro Paese, quando ci sono i problemi, invece di affrontarli, spesso si fa come la polvere che finisce sotto il tappeto. A questo aggiungiamo che oltre “per fare cassa”, gli autovelox sono anche “tassa di passaggio”.
Nel frattempo, sicurezza a go-go e crescita della sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, con conseguente invenzione e applicazione di marchingegni per “fottere” o “non farsi fottere”.
Il sistema di controllo. Velocar, cos’è e come funziona il nuovo autovelox con cui è stato multato Pieraccioni. Redazione Web su L'Unità l'8 Settembre 2023
Leonardo Pieraccioni è soltanto l’ultimo a criticare l’autovelox di ultima generazione. “Ho preso una multa, non me la meritavo troppo: andavo a 58, ma poco importa ho sbagliato e la pagherò”, ha detto l’attore e regista in uno sfogo condiviso sui social. Il sistema si chiama Velocar. Secondo il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il sistema ha contribuito a ridurre il numero degli incidenti stradali morti del 10%, è stato tuttavia anche oggetto di dure critiche.
Il Velocar è un sistema di controllo della velocità utilizzato in Italia dal 2023, rileva la velocità media dei veicoli in un tratto di strada determinato. È installato in due unità di rilevazione, all’inizio e alla fine della tratta oggetto della misurazione. Le unità di rilevazione montano dei radar che misurano la velocità dei veicoli in transito. La differenza tra la misurazione in entrata e quella in uscita fanno la velocità media. Se quest’ultima supera il limite, l’autovelox scatta una foto del veicolo e della targa che viene inoltrata alle autorità che spiccano la multa.
Secondo l’articolo 142, comma 6 bis, del Codice della Strada, che disciplina la segnalazione delle postazioni di controllo per il rilevamento della velocità, la segnalazione si applica solo agli autovelox fissi e mobili. Il Velocar è un sistema di controllo continuo che non deve essere necessariamente segnalato. La norma prevede infatti la segnalazione di un sistema di controllo ma non la fine della tratta coperta.
Le critiche al Velocar ritengono soprattutto che il sistema sia troppo punitivo e che possa portare a multe elevate anche per infrazioni di lieve entità. E che non si capisca la tratta di competenza. E infatti è su questa linea che Pieraccioni ha criticato il Velocar. “Pare sia messo da un’entità astratta che ti guarda dall’alto: c’è chi dice che duri 30 metri, chi 50, mio zio è convito che ti segua fino a casa. Quando finisci nella bolla del velocar, e te ne accorgi perché ti ritrovi in presepe di 60 macchine che improvvisamente vanno a 12 km/h, quanto dura?”. Redazione Web 8 Settembre 2023
Estratto da video.corriere.it l'8 Settembre 2023
Leonardo Pieraccioni ancora una volta suoi social per denunciare una ingiustizia. L’attore ha preso una multa a Firenze: in una zona dove il limite era di 50 km/h, lui andava a 58. «Non me la meritavo troppo: andavo a 58, me l’hanno fatta per aver sforato di 3 km. Ma poco importa, ho sbagliato e la pagherò».
Ciò che Pieraccioni sottolinea è che la multa l’ha presa con il famoso velocar, l’ autovelox di ultima generazione attivo dallo scorso aprile: «Voi sapete come funziona il velocar? Quanto dura? Prima sapevi che c’era il bussolotto, tu rallentavi e sapevi che quella era la linea da non superare. È un’entità astratta. C’è chi dice che duri per trenta metri, mio zio è convinto che una volta che entri in questa bolla cosmica che è il velocar, lui ti segue fino a casa. Addirittura prima di andare a dormire lo saluta, tipo The Truman Show. Quando ti prende e quando lascia questo velocar?».
Estratto dell'articolo di Ignazio Stagno per liberoquotidiano.it mercoledì 6 settembre 2023.
Quante volte vi sarà capitato? “Attenzione limite di velocità a 90 km/h”, e poi subito dopo il flash dell’autovelox. Con tanto di multa a casa. I tempi di reazione di un automobilista, ad esempio lanciato su una statale o in tangenziale, per ridurre la velocità non sono certo immediati. E così più è vicino l’autovelox all’ultimo cartello che indica la massima velocità consentita, più sono alte le probabilità di beccare la multa. Ora una recentissima sentenza della Cassazione, pubblicata lo scorso 31 agosto, rimette a posto le cose con un verdetto “storico”.
Infatti gli ermellini hanno sentenziato che sono da ritenersi nulle sanzione e decurtazione dei punti nel caso i cui l’autovelox si trovi a meno di un chilometro dall’ultimo segnale che indica la velocità da rispettare.
[…] Il caso farà giurisprudenza. Perché il punto fissato dalla Cassazione è chiaro: non è importante il numero di avvisi sulla velocità che precedono l’ultimo cartello, conta solo la distanza tra quello finale e l’autovelox. E l’automobilista che ha contestato la sanzione in ogni sede di giudizio ha raggiunto un obiettivo non da poco: via la multa da ben 550 euro e annullato il taglio dei punti sulla patente.
In questa causa a ricorrere è stata addirittura l’Unione dei Comuni che in fase di dibattimento ha sostenuto la tesi, come ricorda Italia Oggi, che la distanza minima di un chilometro dovrebbe essere necessaria soltanto quando il segnale impone per la prima volta di abbassare la velocità. Tesi che però non è stata accolta in Cassazione. Insomma, il verdetto potrebbe spalancare le porte a una slavina di contestazioni su migliaia di multe. […]
Estratto dell’articolo di Serena De Salvador per ilmessaggero.it domenica 13 agosto 2023.
Non si placa la feroce polemica attorno agli autovelox della strada 307 a Cadoneghe, in provincia di Padova. I due apparecchi, installati poco più di un mese fa, hanno staccato oltre ventimila multe che nei giorni scorsi hanno cominciato a falcidiare gli automobilisti.
Nel malumore crescente, mercoledì sera la tensione è arrivata alle stelle. Uno dei due velox, all’incrocio con via Donizetti, è stato fatto esplodere. E risulta manomessa anche la telecamera del secondo, sfondata con un proiettile di una pistola a pallini. Mentre le indagini proseguono a tutto campo per individuare i responsabili, venerdì sera oltre 150 multati si sono dati appuntamento per discutere l’ipotesi di una causa collettiva. […]
Antonella Bordin vive all’Arcella (Padova) ed è medico di base a Trebaseleghe. Ogni giorno percorre la 307 per assistere i pazienti e nelle ultime settimane si è vista recapitare otto multe, per un costo di oltre 700 euro. Una situazione prostrante anche dal punto di vista emotivo e fisico, tanto che ha deciso di mettere la sua esperienza professionale al servizio di tutti i multati, offrendo loro supporto anche dal punto di vista medico, guardando pure all’ipotesi di muoversi per vie legali con una causa per i danni provocati dallo stress delle sanzioni.
«Sono allucinata – spiega –. Sto pagando quest‘ingiustizia con una gastrite e uno stress tremendi, che inficiano anche le mie prestazioni professionali. E come me ci sono tante, troppe, altre persone. Quella strada la percorro almeno due volte al giorno per assistere i miei 1.500 pazienti. E non lo faccio da poco: prima per dieci anni ho lavorato in guardia medica a Camposampiero, senza mai prendere una multa». […]
Per questo la dottoressa ha deciso di essere in prima linea a sostegno di chi, come lei, si è visto falcidiare dai verbali. «Mi metto a disposizione per chi ha bisogno di un consulto o di un aiuto medico a causa dello stress per la situazione – precisa –. Tachicardia, cefalea, disturbi gastrici sono condizioni debilitanti.
Curare le persone è la mia vocazione e ovviamente lo farò senza scopo di lucro, se qualcuno avrà bisogno di me. E poi non escludiamo le vie legali: le medicine e lo psicologo costano, se ci sarà margine agiremo per i danni psicologici e lo stress che tutto ciò ci causa».
Estratto dell’articolo di ilfattoquotidiano.it giovedì 10 agosto 2023.
Aveva suscitato molte proteste fra i residenti e ieri sera […], verso le 22, è improvvisamente esploso. Un gruppo di ignoti ha piazzato una miscela di polvere pirica alla base del tubo di sostegno del nuovo autovelox installato recentemente a Cadoneghe, in provincia di Padova, lungo la statale del Santo, […] provocando uno scoppio che è stato udito da molti residenti della zona.
Come riferisce Il Mattino di Padova, sull’episodio è in corso un’indagine dei carabinieri che sono intervenuti insieme ai vigili del fuoco. Nelle ultime settimane l’impianto aveva rilevato infrazioni a 24mila automobilisti per il superamento dei 50 chilometri orari di velocità.
Non è la prima volta che in Veneto si verificano episodi di sabotaggio e distruzione di autovelox. Negli ultimi due mesi, nel Polesine, sono stati almeno quattro gli impianti di controllo elettronico della velocità abbattuti lungo le strade della provincia di Rovigo.
I pali d’acciaio su cui sono montati i velox sono stati segati durante le ore notturne. Si pensa perlopiù che siano stati atti di ritorsione per le multe, piuttosto che atti vandalici.
[…] L’ultimo velox decapitato è stato quello di Taglio di Po, a Mazzorno Destro sulla provinciale 46. Stesse modalità: segato uno dei pali si supporto. In tutti i casi è stata fatta denuncia ai carabinieri.
Le follie umane e quelle del sistema. Non è proprio esatto che l'Italia sia così polarizzata tra destra e sinistra, che ciò che piace alla prima, schifi la seconda e viceversa. Marco Gervasoni l'11 Agosto 2023 su Il Giornale.
Non è proprio esatto che l'Italia sia così polarizzata tra destra e sinistra, che ciò che piace alla prima, schifi la seconda e viceversa. Vi sono ostilità, come si sarebbe detto un tempo, bipartisan. Non stiamo parlando delle tasse sugli extraprofitti delle banche, ma dell'antipatia verso gli autovelox. Prova ne sia che la notizia dell'esplosione dolosa della famigerata macchinetta misuratrice di Cadoneghe, in provincia di Padova, è stata accolta da un generale tripudio, almeno sui social. Un sentimento da condannare. Fare saltare, o comunque manomettere, un autovelox è un reato serio. Il misuratore di velocità è, infatti, essenzialmente, un dissuasore e rispettare i limiti di velocità è una tutela soprattutto per gli altri. Una volta ben chiaro questo banale ragionamento, bisogna tuttavia però anche stigmatizzare l'utilizzo economico delle colonnine. Come si sa, i proventi delle contravvenzioni finiscono nelle casse del Comune nel cui territorio il misuratore di velocità è stato collocato. Negli ultimi anni, questo ha spinto alcuni Comuni, soprattutto quelli di piccoli centri di provincia, le cui finanze soffrono, ma che hanno la fortuna di essere collocati in prossimità di strade ad alta frequenza di traffico, di utilizzare l'autovelox come solo strumento di raccolta entrate, nella maggior parte peraltro provenienti da persone non residenti in quel Comune. Non si tratta di contravvenzioni molto elevate, perché gli italiani sono indisciplinati ma non criminali, e quindi tendenzialmente il superamento del limite è di pochi chilometri. Ciò fa scattare comunque la multa, e se questa è moltiplicata per migliaia di volte in un anno, il gruzzoletto finale è importante. Fino al caso limite del Comune di Cagli, in provincia di Pesaro, 8000 abitanti, che ha raccolto tre milioni in contravvenzioni. Senza dimenticare che, in molti casi, la trasmissione della contravvenzione non è esattamente efficiente, cosa che fa aumentare vertiginosamente gli interessi di mora. Vi è infine da segnalare una sperequazione Nord/Sud, visto che le città che riescono ad incassare di più con gli autovelox sono Firenze, Milano e Genova, mentre Napoli in un anno ha raccolto solo 18mila euro. Ebbene, questo uso dell'autovelox, variante postmoderna della gabella medievale da pagare al passaggio sul territorio, è profondamente ingiusto.
Il ministro competente, cioè Salvini, e il governo, vogliono porsi la questione? Magari essendo più tolleranti con coloro che sforano di pochi chilometri e invece più draconiani con i veri criminali della strada. Oppure facendo in modo che il numero di autovelox in un territorio non possa proliferare ad libitum della giunta comunale. Altrimenti c'è il rischio che si diffondano i bombaroli dell'autovelox: meno pericolosi forse degli anarchici, ma che potrebbero riscuotere più simpatizzanti.
Autovelox selvaggio, e pare pure illegale… Egidio Lorito su Panorama il 10 Agosto 2023
Migliaia di automobilisti si sono rivolti alla magistratura che sta accogliendo i ricorsi e le sentenze dei Giudici di Pace. Succede in provincia di Cosenza, dove numerose importanti arterie sono state letteralmente disseminate di sistemi di rilevamento della velocità (Autovelox e tutor)
Succede in provincia di Cosenza, dove numerose importanti arterie sono state letteralmente disseminate di sistemi di rilevamento della velocità (Autovelox e tutor). Migliaia di automobilisti si sono rivolti alla magistratura che sta accogliendo i ricorsi e le sentenze dei Giudici di Pace parlando di postazioni non omologate. E così negli ultimi giorni sono stati addirittura sequestrati autovelox e tutor piazzati lungo la Statale 18 nei comuni di Belvedere Marittimo, Diamante, Fuscaldo, San Lucido e a San Fili, lungo la statale 107, verso Cosenza. Una paradossale vicenda. Un cortocircuito giuridico-amministrativo si è consumato in Calabria nelle ultime ore: gli agenti della Polizia stradale hanno eseguito numerosi sequestri preventivi a carico dei sistemi di rilevamento automatico della velocità lungo la trafficata Statale 18, un budello d’asfalto che percorre l’intera costa Tirrenica. In particolare l’azione della Polizia Stradale si è concentrata nel tratto che attraversa i comuni di Diamante, Belvedere Marittimo, Fuscaldo e San Lucido, dopo che nelle settimane precedenti era stata la Statale 107 (quella che collega la costa con Cosenza, capoluogo di provincia) ad essere interessata dal sequestro. Gli uomini della Polizia hanno agito su delega della Procura della Repubblica di Cosenza, sequestrando gli autovelox installati lungo la strada statale tirrenica, per verificare le lamentate violazione di Legge: le irregolarità, infatti, erano già da tempo al vaglio della Procura che aveva avviato le indagini sulle difformità dalla disciplina legale. Gli autovelox che presenterebbero irregolarità dal punto di vista penale potrebbero aver fatto realizzare un ingiusto profitto alle casse comunali ai danni degli automobilisti che si erano ribellati presentando migliaia di ricorsi. A vicenda ora appare più chiara: in uso a diversi Comuni della provincia, i sistemi di rilevamento della velocità erano stati noleggiati da una società privata, il cui titolare risulta indagato per il reato di truffa: e forte sarebbe il sospetto degli inquirenti sull’assenza di omologazione dei sistemi e sulla circostanza che gli stessi fossero stati installati illegittimamente su strade prive di banchine appositamente attrezzate per ospitare l’apparecchiatura. A finire sotto sequestro un sistema denominato “Scout speed”, installato a bordo di una autovettura privata, ingenerando un vantaggio economico per le casse dei comuni: la Fiat Punto incriminata era stata data in noleggio alle amministrazioni per il rilevamento dinamico del superamento dei limiti di velocità con modalità di contestazione differita, oltre a misuratori di velocità denominati T- exspeed V.2.0 con postazioni fisse per il rilevamento della velocità sia media che puntuale, ed era impiegata lungo le citate statali 107 e 18, che nel periodo estivo vedono decuplicare il volume di traffico. Ad accendere i riflettori sul caso erano stati i numerosi ricorsi, intentati e vinti da cittadini che avevano ricevuto multe da loro ritenute illegittime. Fra i Comuni che hanno utilizzato gli autovelox incriminati ci sono quelli di San Fili, San Lucido, Fuscaldo, Belvedere Marittimo e Diamante. Sulla paradossale vicenda, Panorama.it ha interpellato l’avvocato cosentino Adolfo Santoro del Foro di Paola, patrocinatore di numerosi ricorsi presentati da decine di automobilisti, tutti accolti dai Giudici di Pace competenti per territorio, ovvero quelli di Belvedere Marittimo e Paola. Avvocato, l’autovelox selvaggio era tornato a colpire… «È un vero e proprio affare quello dell’autovelox che coinvolge i comuni del cosentino. Si è partiti imponendo, da parte di questi ultimi, limiti di velocità di 50/70 km/h su tratti di strade statale di competenza ANAS che ricadevano nel rispettivo territorio amministrato, per procedere dapprima agli usuali “appostamenti” con postazioni mobili. Tuttavia la scarsa disponibilità di personale da dedicare a questa attività ha spinto i comuni a rivolgersi a soggetti privati sia per l’installazione di tutor di velocità media che per il controllo in modalità dinamica, il c.d. “scout speed”». E qui che si nasconde il vero affare per i comuni che adottano questa politica. «Esatto. Perché contrariamente a quello che si pensa, il comune dotato di autovelox privatizzato, la cassa la fa subito ed indipendentemente dalle multe elevate ai trasgressori. Come sappiamo le pubbliche amministrazioni sono tenute a redigere bilanci annuali e pluriennali di previsione; dunque, se un comune fa un accordo con un privato che gli fornisce le attrezzature necessarie per il servizio autovelox, giustificherà nel bilancio di previsione questo accordo come un vantaggio dal quale l’ente trarrà un certo beneficio economico esattamente quantificato». Il vantaggio economico per i comuni è evidente… «Quantificare un’entrata, seppure futura e soggetta a revisione nei bilanci successivi, dà al comune, immediatamente, la possibilità di fare impegni di spesa per ogni capitolo di bilancio. Questo significa, letteralmente, creare disponibilità economiche di cui nei fatti non c’è certezza futura e quindi significa creare debito». Voi avvocati state patrocinando centinaia di ricorsi… «I recenti sequestri di apparecchiature e automezzi di proprietà privata nascono dalla giurisprudenza dei Giudici di Pace del territorio (Belvedere Marittimo e Paola, nel cosentino, nda), i quali hanno costantemente rilevato l’assenza di omologazione degli strumenti utilizzati ovvero gravissimi difetti di segnalazione della presenza di tali dispositivi. Ricordiamo che la Corte di Cassazione ha ribadito di recente, con la sentenza 29595/2021, la necessità che a bordo degli autoveicoli addetti al controllo della velocità siano apposti specifici cartelli luminosi indicanti il servizio di rilevamento in corso». Molti comuni si erano spinti anche oltre… «Le autovetture private noleggiate dai comuni unitamente alla apparecchiatura c.d. “scout speed”, seppure dotate della livrea di Polizia Locale, possiedono una targa ordinaria come quella delle nostre automobili private, anziché quella assegnata specificamente dalla legge a quelle in dotazione alle polizie municipali che iniziano, come notorio, per YA. Anche su questo la Cassazione è intervenuta sostenendo che gli apparecchi di rilevamento possono essere installati solo su vetture destinate esclusivamente alla Polizia Municipale». Avvocato, a tanto erano giunti i comuni? «Estremizzando, per far comprendere meglio ai cittadini, sarebbe come se la Polizia Stradale o i Carabinieri appaltassero alle guardie giurate private i posti di blocco da fare con macchine della loro ditta…». Si tratta di un aspetto del tutto sconvolgente. «Le amministrazioni locali, per il tramite dei Comandi di Polizia Municipale riportano, all’interno dei verbali -per come abbiamo potuto constatare- che l’autovettura (privata) che ha effettuato il rilievo fosse nella completa disponibilità della Polizia Municipale: tuttavia, a bordo, oltre ad un Vigile urbano c’è anche il proprietario della ditta che ha vinto l’appalto o un “civile” suo dipendente. Ora, ci chiediamo, come sia possibile che un “civile” venga ammesso a bordo di una auto nella piena disponibilità della Polizia Municipale quando questo è espressamente vietato se non in caso di arresto in flagranza di reato?». La magistratura è finalmente intervenuta per far luce su questa intricata vicenda. «Vicenda che, ricordiamolo, nulla ha a che fare con la sicurezza stradale ma che invece appare finalizzata a ben altri interessi che accontentano le brame di spesa dei comuni e la scaltrezza imprenditoriale. Una politica questa che d’estate paralizza le nostre strade con limiti che sembrano non aver senso per la ridotta capacità di queste davanti all’enorme numero di autoveicoli e d’inverno appare ridicola imponendo la percorrenza a 50 km orari in luoghi deserti che originariamente avevano un limite prefissato di 90 km». Adolfo Santoro, avvocato iscritto al Foro di Paola (Cs) con studio in Diamante (nota località turistica della Riviera dei Cedri, in provincia di Cosenza) sta patrocinando numerosi automobilisti che si sono visti recapitare multe per migliaia di euro, con tanto di decurtazione dei punti dalla patente di guida.
I numeri di Assoutenti. Autovelox, la mappa delle strade più sorvegliate dell’estate: il ‘record’ della Statale da 3 milioni di euro di multe. Redazione su L'Unità il 18 Luglio 2023
L’estate, in particolare il mese di agosto, in Italia vuol dire vacanze. Milioni di italiani pronti a riversarsi su strade e autostrade del Paese per raggiungere la loro meta dell’agognato riposo: per molti Comuni è invece uno dei periodi migliori per “fare cassa” con uno dagli strumenti più odiati dagli automobilisti.
Parliamo degli autovelox, i dispositivi di rilevamento della velocità che, come rileva Assoutenti, sono addirittura aumentati sulle direttrici più utilizzate da auto, moto e camion.
Una delle arterie più a rischio sul fronte delle multe stradali è la strada statale 372 Telesina che inizia dal casello di Caianello della A1 Milano-Napoli e arriva a Benevento – spiega Assoutenti – Qui, in un tratto della lunghezza di circa 25 km, si contano, secondo le rilevazioni delle app di navigazione, ben 7 postazioni autovelox per senso di marcia, con limiti di velocità che sono stati modificati nel tempo creando confusione tra gli automobilisti e una raffica di sanzioni. E non a caso i 4 comuni interessati dagli autovelox installati sulla Telesina (Puglianello, Castelvenere, Paupisi e Torrecuso) hanno raccolto nel 2022 proventi per complessivi 2,8 milioni di euro grazie alle sanzioni elevate con tali strumenti, col record di 1,5 milioni di euro incassati dal comune di Paupisi, in provincia di Benevento.
Non va meglio in Salento, altra meta ambitissima per le vacanze estive degli italiani, i cui comuni hanno ottenuto lo scorso anno complessivamente circa 23 milioni di euro grazie alle sanzioni elevate tramite gli autovelox installati sulle strade che collegano i vari paesi della zona – spiega ancora Assoutenti – Qualche esempio? Il comune di Cavallino ha visto gli introiti degli autovelox passare da zero del 2021 ai 2.520.121 euro del 2022 grazie all’apparecchio di rilevazione della velocità installato sulla statale 16 Lecce-Maglie. L’amministrazione di Surbo ha incassato 309.580 euro, che salgono a 720.022 euro a Trepuzzi grazie ai tre autovelox installati sulla statale 613 Lecce-Brindisi. I maggiori introiti vanno però a Melpignano: 2.545.445 euro grazie agli autovelox sulla Statale 16 Lecce-Maglie.
C’è quindi lo strano caso del litorale sud del Lazio, dove esiste una strada, la statale 213 “Flacca” è disseminata di autovelox: in appena 13 km se ne contano 3 per senso di marcia, che hanno generato nel 2022 proventi per oltre 500mila euro.
Non va meglio a chi sceglie i laghi o la montagna: sulle Dolomiti il piccolo comune di Colle Santa Lucia (Belluno), coi suoi 340 abitanti, ha registrato 349.980 euro di incassi grazie all’autovelox, mentre tantissime proteste ha sollevato l’apparecchio di rilevazione della velocità installato a Torre del Benaco, costa veronese del lago di Garda: 275.519 euro di introiti nel 2022.
Se poi si prova a mettere sul navigatore il percorso Rovereto-Garda, si scopre che lungo il tragitto di appena 56 km sono oggi segnalati circa 15 postazioni autovelox, che senza dubbio faranno questa estate la felicità dei comuni. Nel tratto Bolzano-San Candido (circa 100 km) gli autovelox segnalati oggi sarebbero oltre 10.
“Purtroppo i dati dimostrano che si continua a confondere la sicurezza stradale con l’esigenza dei comuni di fare cassa – denuncia il presidente di Assoutenti Furio Truzzi – Disseminare una strada di autovelox, magari posizionandoli in modo poco visibile o abbassando improvvisamente e senza motivo i limiti di velocità, non equivale a garantire la sicurezza degli automobilisti, ma sembra più un comodo espediente per stangare i cittadini attraverso le multe stradali, ottenendo così risorse per ripianare i buchi di bilancio”.
Redazione - 18 Luglio 2023
Attenzione agli autovelox: la classifica dei Comuni dove si fanno più multe per eccesso di velocità. Emiliano Ragoni Corriere della Sera il 23 giugno 2023.
Il ddl del nuovo Codice della Strada secondo lo stesso ministro Salvini, «punta alla prevenzione», rivolgendosi in modo particolare a ciclisti, neopatentati e monopattini. Nei 18 articoli della bozza, emerge con evidenza la tolleranza zero contro gli abusi di alcol e droga e cellulare alla guida, che saranno oggetto di importanti inasprimenti. Salvini ha poi rivolto un’attenzione particolare all’impiego «consono» degli autovelox, che dovrebbero essere utilizzati per salvaguardare la sicurezza stradale e non per ingrossare le casse del comune. Queste le sue parole: «Sugli autovelox stiamo lavorando perché siano uniformati a livello nazionale e siano strumento di utilità nel salvare vite, e non siano unicamente usati per fare cassa per rimpinguare le case comunali. Un conto è tutelare la sicurezza stradale, un conto intervenire in situazioni non opportune sulla mobilità».
Le città italiane dove si fanno più multe
Ma quali sono le città dove si fanno più multe? A rispondere a questa domanda ci ha pensato il comparatore Facile.it, che ha analizzato i dati ufficiali, scoprendo i Comuni che nel 2022 hanno ottenuto maggiori proventi da multe legate alla violazione dei limiti di velocità. Al primo posto, c’è Firenze, con proventi pari a 23,2 milioni di euro, seguita da Milano (13 milioni euro) e Genova (quasi 11 milioni di euro). Tuttavia, rapportando le multe al numero di autoveicoli e motocicli in circolazione, la graduatoria cambia, con i guidatori più multati per eccesso di velocità in Italia che rimangono i fiorentini con una «spesa pro capite» di 85 euro, seguiti dai conducenti di Grosseto (78 euro) e da quelli di Rieti (54 euro). Allargando l’analisi a tutte le violazioni al Codice della Strada, i Comuni che hanno incassato di più lo scorso anno sono stati quelli di Milano (151 milioni di euro), Roma (133 milioni) e Firenze (46 milioni). Complessivamente, i 102 comuni capoluogo analizzati hanno incassato 793 milioni di euro. Rapportando le multe al numero di conducenti, invece, i più multati d’Italia sono risultati essere i milanesi, con una «spesa pro capite» di 174 euro, seguiti dai fiorentini (170 euro) e dai bolognesi (163 euro).
Multe in Puglia, si va a tutta velocità: ecco quanto incassano i Comuni. Bari sale e sfiora 11 milioni di euro (+22%), Foggia e Brindisi raddoppiano, Bat in calo. NICOLA PEPE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 06 Giugno 2023
Foggia è il capoluogo pugliese che ha più che raddoppiato gli incassi delle multe, passando da Bari che ha alzato l’asticella di circa un quarto, al contrario di Trani che nell’ultimo anno ha ridotto del 41% le entrate dalle sanzioni. Storia a sè fa Potenza che taglia ogni record più che triplicando le entrate grazie soprattutto agli autovelox che rappresentano oltre l’80% dei proventi. Sono alcuni numeri che si ricavano dalla consultazione della banca dati del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Viminale dove sono pubblicati, per legge dall’anno scorso, i dati ufficiali forniti dai Comuni su quanto incassano dalle multe. Ma, soprattutto, dove sono indicati i proventi che secondo il codice della strada devono avere una specifica destinazione (segnaletica, manutenzione strade, acquisto mezzi o attrezzature, costi del personale per il controllo, attività di formazione e così via). La Gazzetta ha preso in considerazione i dati dei capoluoghi di provincia, nonchè quelli della città metropolitana e delle province.
BARI SFIORA 11 MILIONI
Partiamo da Bari. A fronte di un calo registrato nel 2021, con un «bottino» di 8 milioni e 810mila euro, il capoluogo pugliese (comunicazione inviata il 31 maggio scorso) chiude i conti del 2022 con il segno positivo, aumentando del 22% i proventi: 10 milioni e 770mila euro, di cui oltre il 10% derivante dalle multe per eccesso di velocità (tra autovelox e telelaser) di cui non v’è traccia nel 2021. Di queste somme, oltre 2 milioni e mezzo se ne vanno per potenziamento delle attività di controllo, acquisto attrezzature e mezzi, poco più di 1 milione e 200mila euro in segnaletica, e un altro milione tra accesso alle banche dati, previdenza del personale, formazione dei vigili, acquisto testi e manutenzione di ponti radio. Una cifra consistente, oltre 1 milione e mezzo, viene assorbita dalla voce « Potenziamento attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale», cui si associano i 172mila per i costi delle divise e oltre 321mila euro per «Acquisto mezzi tecnici».
TARANTO E SALENTO
In linea con gli aumenti del capoluogo c’è anche Taranto (+24%) che porta nel suo bilancio oltre mezzo milione in più rispetto all’anno precedente: di tali somme circa 200mila euro sono frutto delle multe per eccesso di velocità. Nel Salento, invece, Lecce sfiora il 40% in più rispetto all’anno precedente mentre Brindisi supera il 100% in più. La città del barocco registra proventi pari a oltre 5 milioni e 600mila euro (rispetto ai 3,8 milioni del 2021); mentre Brindisi doppia il risultato passando da 665mila a oltre 1 milione e 300mila euro.
FOGGIA DA RECORD
Foggia è il capoluogo pugliese che strappa il record con un aumento intorno al 108%. Nel capoluogo dauno, ora commissariato, si è passati dai 468mila euro del 2021 ai 978mila euro dell’anno scorso. In questo caso, una buona parte dei proventi (oltre 180mila euro) se ne è andata con la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti semaforici sia singoli che del sistema automatico centralizzato di segnaletica verticale ed orizzontale. Altri 111mila euro per spese di funzionamento e 43mila euro per il «Fondo perseo».
NELLA BAT PIU’ BUONI
I comuni capoluogo della Bat strappano un record, in qualche modo favorevole per gli utenti della strada: merito delle politiche di educazione o di una maggiore tolleranza? Sta di fatto che a Barletta, Andria e Trani i dati sono tutti in calo. Nella città di Eraclio, il comune ha dichiarato proventi inferiori di poco meno di 90mila euro, passando da 1 milione e 183mila euro a poco meno di 1 milione e 100mila (-8%). Dato che migliora ad Andria che registra una flessione del 32%, portando il bottino delle multe da 1 milione e 321mila euro a poco più di 900mila euro. Chiude la serie positiva - un po’ meno per le casse municipali, evidentemente - Trani. Il Comune, secondo quanto ha dichiarato al Viminale, ha registrato nel 2022 proventi pari a 844mila euro, circa 600mila euro in meno rispetto al dato del 2021 che segnò un risultato di oltre 1 milione e 400mila euro.
26mila multe al mese: ecco dove si trova l'autovelox killer. Striscia la notizia indaga su quanto accaduto nel piccolo comune di Gambolò (Pavia), dove un autovelox ha mietuto fin troppe vittime. Ecco cosa dice il sindaco. Federico Garau il 9 maggio 2023 su su Il Giornale.
Infelice primato a Gambolò, comune in provincia di Pavia, dove in un mese un autovelox ha portato a far comminare ben 26mila sanzioni stradali. C'è chiaramente qualcosa che non quadra, e Striscia la notizia ha provveduto a mandare sul posto il simpaticissimo Capitan ventosa, che ha raccolto le proteste dei cittadini.
A parlare con l'inviato del tg satirico è Mario Gatto, presidente nazionale di Globoconsumatori, il quale ha spiegato che in un paese con soli 9.648 abitanti sono state inviate 26mila multe in un solo mese. Un ragazzo, ad esempio, racconta di averne ricevute ben 36. Un altro residente, invece, ne ha collezionate di più, ossia 40. Un uomo ci scherza su, dicendo di averne ricevute "solo" 23.
Multe a raffica
Ma come mai è arrivati a questo? La risposta dei cittadini è la più semplice, e sensata. "Se le persone hanno preso così tante multe in così poco tempo, significa che qualcosa non è chiaro nella segnaletica", afferma un giovane intervistato. "Inoltre le multe ci sono state notificate a distanza di qualche mese. Tutti insieme".
Non si tratta, però, solo di questo. Oltre ad esserci un autovelox poco visibile, sono stati imposti dei cambiamenti al limite di velocità, che è stato portato da 70 a 50 km/h. Una modifica che, a detta dei residenti, non è stata comunicata per tempo. I cittadini sono naturalmente infuriati. C'è chi ha preso 3 multe in un giorno, chi è stato chiamato a pagare 3mila euro di sanzione. Un uomo racconta di essersi visto recapitare una multa al giorno, arrivando al considerevole numero di 40. Sanzioni, fra l'altro, scattate quando lui andava a lavorare.
"Abbiamo il caso particolare di una persona anziana che ha ricevuto 80 verbali", dichiara il presidente di Globoconsumatori Mario Gatto. "Quest'uomo va avanti con 600 euro di pensione. Io posso citare il caso di un comune di Alessandria, dove, dopo i ricorsi che abbiamo presentato, accolti una trentina, il sindaco ha fatto una determina in cui ha annullato le multe di tutti di chi ha presentato ricorso".
La posizione del sindaco
A questo punto è toccato al primo cittadino di Gambolò, il sindaco Antonio Costantino, dire la sua. Raggiunto telefonicamente da Striscia, l'autorità ha spiegato che ci sono tutti i presupposti per procedere come nel caso citato dal presidente Gatto. "Il nostro scopo era la sicurezza, non di fare cassa", afferma. "Se il giudice di pace e il prefetto daranno un'opzione di questo tipo ci vedrà favorevoli".
Non solo, a Gambolò è partita una raccolta firme per chiedere il ritorno dei 70 km/h sul tratto di strada via Lomellina dove sono state effettuate le sanzioni.
Estratto dell’articolo di Silvia M.C. Senette per corriere.it il 4 maggio 2023
[…] La deputata Fdi Alessia Ambrosi - origini veronesi ma eletta in Trentino - negli ultimi mesi ha fatto molto parlare di sé: per un'interrogazione parlamentare contro l'autovelox del Garda che le è costato sette multe, per tweet per canzonare Elly Schlein e l'arcinota consulenza armocromatica, senza tralasciare il post dal retrogusto gaberiano su cos'è la destra e cos'è la sinistra. […]
Di lei hanno scritto «ama utilizzare i social, non teme le critiche e nemmeno le polemiche». Corrisponde?
«Le critiche non fanno mai piacere ma bisogna ascoltarle, con i complimenti invece ci si monta la testa e io sono e resto una persona semplice, una donna del popolo, una ragazza di campagna».
Cosa di quello che è stato detto l’ha divertita? E cosa l’ha indispettita?
«La permalosità della sinistra è davvero una cosa divertente. Indispettita, se devo dire la verità, nulla».
Ci racconta la famosa storia dell’autovelox?
«Mi sono arrivate sette multe e sono andata a chiedere spiegazione ai vigili, anche per essere sicura che non ci fossero ulteriori contravvenzioni. Così ho scoperto che questo autovelox è una vera e propria macchina mangiasoldi: 14mila contravvenzioni in 75 giorni, una miniera d'oro per il sindaco di Torre del Benaco.
Peccato che sia a danno della gente che passa di lì e che, con tutta evidenza, quell'autovelox non riesce a vederlo chiaramente. Lo stesso sindaco ha ammesso di aver preso due multe più di me, ben nove, e si è autodefinito "un pirla": affermazione che non mi sentirei di contestare». […]
C’è chi ha sollevato il conflitto di interesse per la sua iniziativa. Come risponde?
«Che è una scemenza. Intanto ho già pagato - salvo una differenza simbolica per tenere in piedi il ricorso - e, se alla fine dei gradi di giudizio si appurerà che le perplessità erano fondate, devolverò tutto in beneficenza. La mia è soprattutto una battaglia per famiglie e pendolari che queste cifre non le possono pagare: porto avanti il ricorso soprattutto per loro».
Nei giorni scorsi non è passato inosservato il suo intervento sull’armocromista di Elly Schlein.
«Ma era una semplice battuta! Prendere la politica anche con un po' di leggerezza farebbe così bene ogni tanto ai piddini...».
Si è offerta di dare consigli di stile alla Schlein “in amicizia”. Quali dritte le darebbe?
«È evidente che una donna come la Schlein non ha certo bisogno dei miei consigli. Se però vogliamo scherzarci su, spero che almeno sia gentile e umana con la servitù». […]
Estratto dell'articolo di Salvatore Dama per “Libero quotidiano” il 20 aprile 2023.
Matteo Salvini vuole togliere gli autovelox. Calmi, solo quelli che vengono utilizzati dai Comuni in modo improprio. Cioè per fare cassa a discapito degli automobilisti-contribuenti.
È il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ad annunciare le sue intenzioni. Lo fa alla Camera, rispondendo a un’interrogazione presentata dal deputato di Forza Italia Andrea Caroppo.
Il vice premier ritiene sia necessaria una nuova «regolamentazione sulla collocazione degli autovelox» per evitare «gli usi impropri», specie nei casi in cui essi «vengano usati solo per fare cassa». […]
Salvini ha avuto un incontro con i ministri Piantedosi e Valditara: «Stiamo lavorando a un pacchetto organico di revisione del codice della strada», che comprende anche «autovelox, photored e simili». Il decreto interministeriale, lo scorso ottobre, è stato esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni e «ora i tecnici del ministero delle Infrastrutture e dell’Interno stanno valutando gli adeguamenti alle richieste che arrivano dai Comuni».
[…]
È una storia vecchia. Nel 2010 il governo Berlusconi si fece promotore di una legge per regolamentare i velox, demandando l’attuazione a un decreto interministeriale. Che non è mai arrivato.
[…]
Sul tema intervengono anche le associazioni dei consumatori. «Troppo spesso in Italia gli autovelox vengono usati dagli enti locali come bancomat per prelevare denaro ai cittadini». Lo afferma il Codacons, che condivide la posizione di Matteo Salvini. «Solo nel 2021, in base ai dati ufficiali sui proventi delle sanzioni stradali pubblicati dagli enti locali, gli autovelox, nelle principali 21 città italiane, hanno generato incassi per 46,9 milioni di euro», dettaglia il Codacons.
Il record spetta a Milano che, grazie agli strumenti di rilevazione automatica della velocità, ha elevato sanzioni per 12,9 milioni di euro, seguita da Genova (6,2 milioni di euro) e Torino (5 milioni).
«Non mancano poi casi paradossali», sottolinea il presidente Carlo Rienzi, «come il Comune di Melpignano in provincia di Lecce che nel 2021, grazie agli autovelox installati sul suo territorio, ha generato incassi per 4.986.830 euro, più di Roma, Firenze e Bologna. O un piccolo comune delle Dolomiti, Colle Santa Lucia (Bl), che ha incassato grazie all’autovelox oltre 552mila euro in un anno, nonostante conti meno di 360 abitanti».
«Basta con il vizietto di alcuni sindaci di piazzare il semavelox e poi ridurre la durata del giallo sotto i 4 secondi, complice il vuoto normativo che non fissala sua durata minima o piazzare un autovelox e poi ridurre il limite di velocità in modo ingiustificato da 90 a 70 chilometri orari o 50 chilometri orari, tanto per fare cassa», dichiara Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. […]
Le prove orali da eliminare nei concorsi pubblici.
Spesso l’esito delle prove scritte a risposta multipla (veritiere ed oggettive), si scontrano e contrastano con i giudizi personali resi in sede di orale da commissari pregiudiziali e limitati nella preparazione.
Mi trovo ad affrontare le prove orali nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte commissari che ogni giorno usano gli stessi articoli dei codici di pertinenza alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di fronte un comandante in ruolo.
Lui ogni giorno usa il codice della strada, come si usano le stesse posate per mangiare. Ed è un modo per rendere truccato l’esame. Se vuole ti mette in difficoltà. E in difficoltà mette i candidati che a lui sono antipatici e non piacciono. Chiede ai candidati numero e contenuto di un articolo in particolare. Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno. L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo: il comandante dovrebbe essere preparato anche in diritto penale e di procedura penale, per evitare i numerosi ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame dei luoghi e responsabilità dei sinistri e psicologia per la relazione con l’utenza, la telematica per la formazione dei verbali e l’evoluzione della materia, sul diritto amministrativo per quanto riguarda la trasparenza e la collaborazione con l’utenza per la pronta autotutela in caso di errori, la sociologia per studiare l’impatto di certi comportamenti con l’utenza.
Su questo, anche, si dovrebbe interrogare.
Invece ti chiedono a memoria l’art. 186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo snoccioli. Però poi ci ritroveremo qualcuno che saprà recitare a memoria il codice della strada ed eleverà sanzioni a raffica, però poi si troverà sommerso da verbali annullati dalle autorità competenti per incapacità professionale e relazionale.
Antonio Giangrande: Il Codice Penale della Strada.
Parlare solo di Codice della Strada è riduttivo.
La circolazione stradale è il movimento, la sosta, la fermata, l’arresto di veicoli, persone ed animali, su strade, arredi e pertinenze.
Elementi costituenti sono la strada, il veicolo, l’ambiente e l’utente.
Agli inizi erano solo segnali e norme di comportamento. Tutto chiaro.
Il Codice della Strada aveva carattere Preventivo.
Poi tutto è cambiato: dalla velocità alla capacità psicofisica del guidatore tra alcool e stupefacenti sull’onda proibizionista.
Il Codice della Strada diventa così fonte repressiva e fondamentalmente di cassa. Si interviene fondamentalmente contro il cittadino: sul veicolo e sull’utenza.
Da martedì 1 luglio 2003 entra in vigore la norma sui punti sulla patente. Governo Berlusconi.
Dal 23 marzo 2016 la legge 41 (art. 589-bis c.p.) introduce l’omicidio stradale. Governo Renzi.
A seguire le norme di inasprimento sulla guida in Stato di ebbrezza e di velocità.
Se prevede la recidiva e la criminalizzazione di neo patentati per revoca o per età.
La patente va e viene, creando economia, e le sanzioni aumentano in qualità e quantità, creando fonte di finanziamento pubblico.
Il legislatore circola con la scorta e l’auto blu, cosa ne sa della circolazione.
Interventi sulla mobilità pubblica e sulle strade: nulla. Troppo oneroso anche se i proventi delle sanzioni sono a loro destinate.
In Italia ci sono tre tipi di criminali: i mafiosi meridionali, i contribuenti e gli utenti della strada.
Oggi non si può più parlare di Codice della Strada ma di Codice Penale della Strada.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: ASSIOMA CON INTERCALARE: Un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora è il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Guida in stato di ebbrezza: cenni storici.
In Diritto Penale lawyers4people.it 16 agosto 16 2022
Guidare un veicolo è un’attività comune a tanti di noi che si caratterizza per una sua intrinseca pericolosità. Basti pensare che nel 2020, nonostante le limitazioni alla mobilità imposte per contenere la diffusione dell’ormai tristemente noto virus SARS-CoV-2, in Italia si sono verificati circa 120.000 incidenti stradali con lesioni a persone, che hanno provocato 2.395 morti e circa 160.000 feriti.
Le maggiori cause di questa alta incidentalità sono ovviamente la disattenzione e l’imprudenza di alcuni conducenti, oltre alla violazione delle norme sulla circolazione stradale.
L’esperienza insegna che una delle condotte più pericolose per l’incolumità delle persone è la guida in stato di ebbrezza alcolica o in stato di alterazione psicofisica da uso di stupefacenti.
La guida in stato di ebbrezza nel codice del 1912
Del problema della conduzione di veicoli a motore da parte di persone dedite all’abuso di bevande alcoliche il legislatore italiano se ne occupò già nei primi anni del ‘900, ossia in un’epoca in cui il possesso di un’autovettura era ancora ad appannaggio di pochissime persone. La legge n. 739 del 1912, “concernente la circolazione degli automobili”, tra i casi di ritiro del certificato di idoneità a condurre automobili o motocicli contemplava infatti anche quello in cui “il conducente fosse notoriamente dedito all’ubriachezza”.
Nel codice del 1928
Di questa problematica si occupò anche il secondo codice della strada. Il Regio Decreto n. 3179 del 1928 prevedeva innanzitutto che non potessero essere ammessi all’esame di idoneità alla guida “coloro che siano stati condannati per due volte per ubriachezza” (il codice penale in vigore a quell’epoca puniva chiunque venisse “colto in istato di manifesta ubriachezza molesta o ripugnante”).
Quanto, invece, alle patenti già concesse, il Regio Decreto stabiliva che ne fosse disposto il ritiro “quando il conducente risulti dedito all’uso di bevande alcooliche, o di altre sostanze inebrianti, o di sostanze stupefacenti”. Oltre che per questo motivo, la patente che abilitava il “conducente in servizio pubblico” (patente di terzo grado) doveva essere ritirata anche nel caso in cui lo stesso fosse stato “sorpreso in servizio in stato di ebbrezza derivante dall’uso di bevande alcooliche o di altre sostanze inebrianti o di sostanze stupefacenti”. Quest’ultima disposizione è di particolare importanza perché con essa si inizia ad attribuire rilievo non solo ad uno stile di vita caratterizzato dal sistematico abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, considerato di per sé ostativo al rilascio della patente di guida, ma anche allo stato di ebbrezza in cui si fosse trovato, anche solo occasionalmente, il conducente.
Nel codice del 1933
In tema di guida in stato di ebbrezza la disciplina del 1928 fu nella sostanza confermata anche nel terzo codice della strada approvato con il Regio Decreto n. 1740 dell’8 dicembre 1933. Veniva infatti previsto che il certificato medico di idoneità alla guida dovesse attestare, tra l’altro, che l’aspirante conducente “non presenta sintomi che lo rivelino dedito all’uso di bevande alcooliche o di altre sostanze stupefacenti” e costituiva causa di indegnità al conseguimento della patente l’essere “stati condannati due volte per ubriachezza”. Il codice penale del 1933 puniva con l’arresto o con l’ammenda chiunque venisse colto in stato di manifesta ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico. Dal 1999 questa condotta è sanzionata solo amministrativamente.
Le patenti già concesse dovevano essere ritirate quando “il conducente risulti dedito all’uso di bevande alcooliche o di altre sostanze inebrianti o di sostanze stupefacenti” e, solo per i titolari di patenti abilitanti a “condurre automobili in servizio pubblico”, quando il conducente “sia colto in servizio in stato di ebbrezza”.
Nel codice del 1959
Con l’entrata in vigore del codice della strada del 1959, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 393 del 15 giugno 1959, fu introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento il reato contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza. L’articolo 132 di questo decreto prevedeva infatti il divieto di “guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche o di sostanze stupefacenti” e prevedeva che chiunque guidasse in stato di ebbrezza fosse punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire venticinquemila a lire centomila.
Con l’introduzione di questa fattispecie di reato il legislatore italiano manifestò una maggiore attenzione nei confronti del fenomeno della guida da parte di persone ubriache o sotto l’effetto di stupefacenti. Si trattava, tuttavia, di una norma generica destinata ad avere una limitata applicazione anche in ragione del fatto che, in quegli anni, non erano ancora diffusi gli etilometri, strumenti in grado di misurare sul luogo del controllo la quantità di alcool presente nel sangue.
In realtà, benché fosse possibile disporre un esame ematico, l’accertamento che veniva concretamente effettuato dalle forze dell’ordine era solo di tipo sintomatico e, pertanto, venivano represse solo le condotte più gravi, cioè quelle in cui il conducente si trovava in una condizione di grave ubriachezza.
La guida in stato di ebbrezza rientrava anche nell’elenco delle norme di comportamento la cui violazione comportava la sospensione della patente se il conducente di tali violazioni ne avesse commessa più di una.
Anche il codice del 1959, come i precedenti, prevedeva che non potessero conseguire la patente di guida le persone che risultavano essere dedite “all’uso di bevande alcooliche o di altre sostanze inebrianti o stupefacenti”.
La nuova disciplina del 1988 sulla guida in stato di ebbrezza
La genericità della norma penale sulla guida in stato di ebbrezza fu superata nel 1988. L’articolo 17 della legge n. 111 sostituì l’articolo 132 del codice della strada con un nuovo testo più articolato. In sintesi, la nuova disciplina dettata dal novellato articolo 132, così come integrato dai decreti ministeriali da esso previsti:
confermava il divieto di guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche o di sostanze stupefacenti;
stabiliva in 0,8 g/l la soglia oltre la quale il conducente doveva essere considerato in stato di ebbrezza alcolica;
puniva tale condotta con l’arresto fino ad un mese e con l’ammenda da lire duecentomila a lire cinquecentomila;
prevedeva che, all’atto dell’accertamento dell’infrazione, la patente venisse immediatamente ritirata per essere inviata al prefetto, il quale aveva la facoltà di sospenderla, entro quarantotto ore dal ricevimento, per una durata non superiore a tre mesi (nel caso in cui il titolare della patente avesse commesso di più violazioni del divieto nel corso di un anno, la sospensione era obbligatoria per una durata non superiore a sei mesi);
attribuiva alle forze dell’ordine la facoltà di effettuare l’accertamento mediante etilometro in caso di incidente o quando vi fosse motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovasse in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’influenza dell’alcool;
stabiliva che, in caso di rifiuto dell’accertamento, il conducente venisse punito con le stesse pene previste per la guida in stato di ebbrezza alcolica e che tali pene dovessero essere applicate congiuntamente se il rifiuto fosse stato opposto in occasione di un incidente stradale;
era previsto che, in caso di incidente o quando vi fosse ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovasse in uno stato di ebbrezza derivante dall’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, le forze dell’ordine potessero accompagnare il conducente presso i centri deputati alla cura delle tossicodipendenze per fare eseguire gli accertamenti del caso e che, l’eventuale referto sanitario positivo, dovesse essere tempestivamente inviato al pretore;
stabiliva, infine, che il prefetto, ove fosse stato accertato lo stato di ebbrezza derivante dall’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, ordinasse al conducente di sottoporsi ad una visita medica di idoneità alla guida e potesse disporre in via cautelare la sospensione della patente di guida fino all’esito dell’esame di revisione.
L’articolata disciplina introdotta con la legge n. 111 del 1988 segnò un notevole passo avanti nell’azione di contrasto al fenomeno della guida in stato di ebbrezza e avvicinò la normativa italiana a quella di altri stati europei. Essa costituì anche la base delle disposizioni in materia di guida in stato di ebbrezza contenute nel nuovo codice della strada del 1992, di cui ci occuperemo in un prossimo articolo.
Guida in stato di ebbrezza: il reato e le sanzioni. da consulenzalegaleitalia.it
Avv. Beatrice Bellato
La Guida in stato di ebbrezza – indice:
Cos’è
Sanzioni amministrative
Reato e sanzioni penali
I punti della patente
Con incidente stradale
La messa alla prova
Quando neopatentati
Nelle ore notturne
Accertamento del reato
Quando il fatto non è rilevante
I lavori socialmente utili
Decreto penale di condanna
Prescrizione del reato
Assistenza legale per la patente
Cos’è la guida in stato di ebbrezza
La Guida in Stato di Ebbrezza è una fattispecie prevista e sanzionata dall’articolo 186 del Codice della Strada. Si tratta di un reato contravvenzionale ed ha quindi rilevanza penale nel caso in cui venga accertato il superamento della soglia di 0,8 grammi per litro di sangue. È invece prevista una sanzione amministrativa quando il tasso alcolemico è compreso fra 0,51 e 0,8 grammi per litro di sangue.
Il tasso alcolemico per la sanzione amministrativa
Parliamo ora della circostanza in cui la Guida in Stato di Ebbrezza non sia reato. La fattispecie è quella compresa fra gli 0,51 e gli 0,8 grammi per litro di sangue. È naturalmente meno grave, e, per chi ne sia incorso, non si aprirà dunque alcun procedimento penale: non è reato.
Per tutti i casi in cui la fattispecie non abbia rilevanza penale, l’autorità giudiziaria competente è il Giudice di Pace. Il conducente potrà, a mezzo del proprio difensore, far valere vizi di carattere sia formale che sostanziale in seno al procedimento amministrativo di accertamento dell’infrazione (l’etilometro) ed irrogazione della sanzione.
Vediamo ora gli importi recentemente aggiornati della sanzione amministrativa. Il secondo comma, lettera a) dell’articolo 186 del Codice della Strada, infatti, prevede una sanzione pecuniaria che va da euro 543 a euro 2.170. La sanzione si applica a chi sia trovato alla guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico compreso fra 0,51 e 0,8 grammi di alcol per litro di sangue. L’interpretazione delle Cassazione in seguito meglio esposta, in merito alla facoltà di farsi assistere da un difensore, non avrà in questo caso alcun rilievo. Sarà in questo caso possibile promuovere solo un ricorso davanti al Giudice di Pace ove ne sussistano i presupposti.
Quando la guida in stato di ebbrezza è reato e quali sono le sanzioni penali
La lettera b) del secondo comma dello stesso articolo 186 del Codice della Strada, è una fattispecie a rilevanza penale. Si tratta di un reato contravvenzionale che prevede un’ammenda da 800 a 3200 euro nonché l’arresto fino a 6 mesi per il caso il conducente sia accertato con un tasso alcolemico compreso fra 0,8 e 1,5 grammi per litro di sangue. Avrà rilevanza penale anche la fattispecie prevista dalla lettera c) dell’articolo 186 (oltre 1,5 grammi per litro). In questo caso si prevede un’ammenda fra 1500 e 6000 euro e l’arresto fra 6 mesi e un anno. Anche qui si applicheranno certamente i principi del Codice di Procedura Penale così come interpretati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in riferimento all’ avvertimento sulla facoltà dell’indagato di essere assistito da un difensore.
Attenzione però alle conseguenze di tale avvertimento. La giurisprudenza costante sull’articolo 356 del Codice di Procedura Penale ha più volte fatto chiarezza sul punto. È stato stabilito come, fatto tale avvertimento all’indagato, la Polizia Giudiziaria, nel caso il difensore di fiducia dell’indagato non arrivi in tempi brevi sul luogo dell’indagine, potrà comunque procedere ai rilievi previsti, senza che alcuna nullità possa essere addebitata a tali rilievi. Il conducente potrà dunque contattare il proprio avvocato di fiducia per farsi assistere nel corso di tale accertamento. Il proprio avvocato dovrà arrivare sul posto in tempi molto brevi. Ove questi non arrivi in tempo utile, l’accertamento potrà essere effettuato anche in difetto della sua presenza.
I punti della patente
Le fattispecie sanzionate all’articolo 186 del Codice della Strada, e cioè in relazione ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro di sangue, prevedono la decurtazione di 10 punti dalla patente di guida. Per i neopatentati sanzionabili con un tasso inferiore a 0,5 grammi per litro di sangue, la decurtazione sarà invece di 5 punti della patente di guida (articolo 186-bis del Codice della Strada).
La guida in stato di ebbrezza con incidente stradale: sanzioni raddoppiate
Il comma numero 2-bis dell’articolo 186 del Codice della Strada prevede alcune fattispecie più gravi. Ferma restando la qualificazione di reato o di sanzione amministrativa in relazione alla quantità di alcol presente nel sangue, le sanzioni per la guida in stato di ebbrezza sono raddoppiate quando “il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale”. In caso di incidente “è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all’illecito”. L’incidente stradale è tale anche quando non ci siano feriti o soggetti infortunati. La presenza di questi servirà invece a modularne la gravità entro i minimi o i massimi edittali in ragione dell’accaduto.
Ancor più gravi le conseguenze giuridiche nel caso in cui il conducente alla guida in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore ad 1,5 grammi per litro di sangue provochi un incidente. In tale circostanza è prevista anche la revoca della patente e la confisca del veicolo ove di proprietà del conducente. La revoca della patente è una sanzione ben differente dal ritiro o dalla sospensione. In caso di revoca della patente il guidatore dovrà sostenere nuovamente l’esame di guida per essere abilitato a circolare. Tale provvedimento tuttavia consegue ad un giudizio penale ed è sanzione accessoria che sarà definitiva con il solo passaggio in giudicato della sentenza di condanna (o del decreto penale di condanna non opposto).
Le conseguenze processuali quando il guidatore ha provocato un incidente
Ulteriore conseguenza dell’aver causato un incidente guidando in stato di ebbrezza è quella del comma 9-bis dell’articolo 186 del codice della strada. In questo caso, quando la fattispecie sia prevista come reato (oltre 0,8 grammi per litro di sangue), il conducente non avrà la possibilità di estinguerlo con i lavori di pubblica utilità. L’indagato o imputato per guida in stato di ebbrezza avrà tuttavia a disposizione i differenti iter processuali previsti dall’ordinamento penale (rito abbreviato, patteggiamento, messa alla prova ecc.).
La messa alla prova per l’estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza
Nell’ipotesi di guida in stato di ebbrezza penalmente rilevante con incidente stradale, non essendo prevista la possibilità di estinguere il reato con i già menzionati lavori di pubblica utilità, è prevista la facoltà di richiedere, comunque, la cosiddetta “messa alla prova”. Tale istituto ha anch’esso l’effetto dell’estinzione del reato, fatte salve le sanzioni amministrative accessorie, quali la sospensione e la revoca della patente.
La messa alla prova consiste nella prestazione di ore di lavori di utilità sociale, oltre al versamento di una somma al fondo “Vittime della Strada” a titolo di condotta riparatoria del reato commesso.
L’aggravante delle ore notturne
Il comma numero 2-sexies dell’articolo 186 del Codice della Strada prevede un’aggravante per il caso in cui la guida in stato di ebbrezza avvenga in ore notturne. Per chi guidi in stato di ebbrezza fra le ore 22:00 e le ore 7:00 “l’ammenda è aumentata da un terzo alla metà”. L’aggravante è applicabile al solo reato, e dunque solo nella circostanza in cui il tasso alcolemico sia superiore a 0,8 grammi per litro di sangue. Quando infatti il tasso alcolemico è inferiore, la fattispecie è sanzionata solo con una sanzione amministrativa. Non si tratta dunque di un’ammenda e quindi non ne è previsto l’aumento in caso di ore notturne.
La Guida in stato di ebbrezza quando neopatentati o professionisti
L’articolo 186-bis del codice della strada prevedere delle sanzioni speciali per il caso in cui il guidatore sia un professionista od un neopatentato. Per neopatentato si intende il conducente “di età inferiore a ventuno anni” oppure “nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B”.
A tali soggetti non sarà possibile guidare nemmeno con un tasso alcolemico inferiore agli 0,5 grammi per litro di sangue. In questo caso “sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 163 ad euro 658”.
Nel caso di incidente tali sanzioni sono poi raddoppiate.
Per la soglia compresa fra gli 0,5 e gli 0,8 grammi per litro di sangue, neopatentati e professionisti soggiacciono invece alle stesse sanzioni previste per i guidatori “ordinari”, aumentate di un terzo.
Il reato di guida in stato di ebbrezza (oltre 0,8 grammi per litro di sangue) commesso da neopatentati o professionisti ha infine sanzioni aumentate da un terzo alla metà rispetto a quelle ordinarie.
L’accertamento penale della Guida in Stato di ebbrezza e l’assistenza di un avvocato
Parliamo ora del reato, quando dunque sia accertato un tasso superiore a 0,8 grammi per litro di sangue. L’accertamento della guida in stato di ebbrezza è effettuato solitamente a mezzo dell’etilometro. Meno spesso la guida in stato di ebbrezza è accertata con il prelievo del sangue. La giurisprudenza ha fino a tempi meno recenti oscillato in merito validità dell’alcoltest eseguito sul conducente in difetto dell’avvertimento di cui all’articolo 114 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale. Tale articolo sancisce il diritto del conducente di essere avvertito sulla possibilità di richiedere l’assistenza di un legale di fiducia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penale, con numero 5396 del 2 febbraio 2015, ha stabilito la nullità dell’alcoltest in difetto di tale avvertimento. La nullità in questione può essere validamente eccepita fino alla sentenza di primo grado.
Questa importante sentenza della Corte di Cassazione fissa il principio in base al quale il conducente sottoposto ad etilometro, oltre ad avere il diritto di essere assistito da un avvocato di fiducia che presenzi a tale rilievo, debba essere avvertito dalle forze di polizia in merito a tale facoltà. La pena, in difetto di tale avvertimento, è della nullità di tale rilevo (l’etilometro). La nullità in questione potrà poi essere rilevata utilmente fino al termine del giudizio di primo grado e non soltanto immediatamente dopo l’alcoltest.
Si applica dunque l’articolo 356 del Codice di Procedura penale. In base a detto articolo, il difensore della persona sottoposta ad indagini (il conducente) ha facoltà di assistere il conducente durante il compimento degli atti previsti (l’etilometro), senza il diritto di quest’ultimo ad essere preventivamente avvisato.
Il Rifiuto di sottoporsi all’etilometro e la particolare tenuità del fatto
Il reato di rifiuto di sottoporsi all’etilometro è stato oggetto di una interessante e recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, numero 13682 del 2016.
Questa sentenza ha ritenuto l’articolo 131-bis del codice penale (particolare tenuità del fatto) applicabile alla fattispecie del rifiuto di sottoporsi all’etilometro (reato previsto dall’articolo 186 del Codice della Strada).
Il giudice di legittimità ha ritenuto che la particolare tenuità del fatto debba ritenersi riferibile non soltanto ai reati commissivi ma anche a quelli omissivi. Il reato di rifiuto di sottoporsi all’etilometro è fra questi ultimi. Sarà compito dell’organo giudicante valutare la particolare inoffensività del rifiuto nel caso concreto, attraverso tre indici di valutazione.
Tali tre indici sono:
Le modalità in cui è stato manifestato detto rifiuto.
L’esiguità del pericolo o del danno.
Il grado di colpevolezza del rifiutante.
Ove il giudice ravvisi la particolare tenuità del fatto potrà pronunciare sentenza di assoluzione, con tutte le conseguenze connesse favorevoli all’imputato. Nessuna sanzione penale potrà in questo caso essere addebitata al conducente.
La pena sostitutiva dei lavori socialmente utili in caso di Guida in Stato di Ebbrezza
Nel caso in cui il conducente non abbia causato un incidente, è possibile sostituire la pena detentiva irrogata per questo tipo di reato in lavori socialmente utili. L’indagato “per la prima volta” avrà infatti la possibilità di richiedere che sia la parte di pena detentiva che quella pecuniaria irrogata dal Giudice siano convertite in lavori di pubblica utilità. I lavori hanno un tasso di conversione particolarmente favorevole. Potranno essere svolti presso gli enti convenzionati la cui lista è facilmente reperibile alla Procura della Repubblica del Tribunale competente per il reato.
Quando i lavori di pubblica utilità non sono ammessi
Non sempre però il Codice della Strada dà la possibilità di trasformare la pena in lavori di pubblica utilità. Il comma 9-bis dell’articolo 186 lo esclude infatti per tutti i casi previsti dal comma 2-bis dello stesso articolo. Il guidatore che abbia causato un incidente alla guida in stato di ebbrezza non potrà estinguere il reato mediante il lavori di pubblica utilità. In questo caso, nell’ambito del procedimento penale, saranno da valutare altre strade (ad esempio la messa alla prova).
Il decreto penale di condanna
Il reato di guida in stato di ebbrezza, ove l’indagato non faccia richiesta di riti alternativi, può essere definito mediante decreto penale di condanna.
Il decreto penale di condanna equivale ad una sentenza di condanna vera e propria, prevede soltanto una sanzione pecuniaria e non detentiva (anche in conversione dell’arresto, che è una pena detentiva), oltre alle pene accessorie quali ad esempio sospensione o la revoca della patente.
Sebbene il decreto penale di condanna preveda uno sconto di pena fino alla metà del minimo edittale (articolo 459 del codice di procedura penale), con la richiesta di definizioni alternative del procedimento penale è possibile finanché estinguere il reato e non avere conseguenze rilevabili nel casellario giudiziale.
Il termine di legge per proporre opposizione avverso al decreto penale di condanna e chiedere, ad esempio, la messa alla prova, il rito abbreviato o lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, è di quindici giorni a far corso dalla data di notifica del provvedimento (e cioè di concreta ricezione dell’atto).
In difetto di opposizione al decreto nei termini suddetti, il provvedimento, equivalente ad una condanna penale, passerà in giudicato. Nell’ipotesi in cui il decreto non preveda la sospensione della pena irrogata, il condannato dovrà versare all’Erario le somme corrispondenti che possono arrivare a decine di migliaia di euro.
Termini di prescrizione del reato
La riforma anti corruzione in vigore dall’1 gennaio 2019 prevede importanti novità in riferimento ai termini di prescrizione del reato di Guida in stato di ebbrezza (come abbiamo detto è reato solo quando il tasso è superiore agli 0,8 grammi per litro di sangue). La prescrizione è quell’istituto che rende un reato non più perseguibile, dando luogo all’estinzione. A partire dalla summenzionata data, sarà ben più difficile che detto reato si possa prescrivere. La prescrizione infatti non avverrà più in soli quattro anni o cinque anni tenendo conto degli atti processuali interruttivi. La nuova legge prevede la sospensione dei termini di prescrizione successivamente alla sentenza di primo grado. I quattro o cinque anni non potranno quindi più maturarsi in seguito alla sentenza di primo grado, e ciò accadrà sia nel caso si tratti di sentenza di condanna che di assoluzione.
Ecco come riavere la patente sospesa in poche settimane
Assistenza legale per riavere la patente sospesa per guida in stato di ebbrezza
Lo studio legale presta assistenza specifica per ottenere la sospensione del provvedimento del Prefetto di sospensione della patente. In caso di Guida in Stato di Ebbrezza che costituisca reato, l’assistenza è prestata anche peri il relativo procedimento penale. Spesso affiancando al ricorso (lo studio presta assistenza anche per la sola redazione del ricorso al Giudice di Pace) l’espletamento dei lavori socialmente utili è possibile riottenere la patente in poche settimane. Compilando il form è possibile essere contattati in poche ore lavorative.
Avv. Filippo Martini – diritto penale
Art. 186. * Guida sotto l'influenza dell'alcool.
1. E' vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche.
2. Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:
a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 543 a € 2.170)), qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi; (114) (124) (133) (145) ((163))
b) con l'ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l'arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l'arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 224-ter. (97)
2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell'articolo 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all'illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/1), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. E' fatta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 222.
2-ter. Competente a giudicare dei reati di cui al presente articolo è il tribunale in composizione monocratica.
2-quater. Le disposizioni relative alle sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2-bis si applicano anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall'interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.
2-sexies. L'ammenda prevista dal comma 2 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.
2-septies. Le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui al comma 2-sexies non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.
2-octies. Una quota pari al venti per cento dell'ammenda irrogata con la sentenza di condanna che ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui al comma 2-sexies è destinata ad alimentare il Fondo contro l'incidentalità notturna di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, e successive modificazioni.
3. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l'obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili.
4. Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo, in ogni caso d'incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza dell'alcool, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, anche accompagnandolo presso il più vicino ufficio o comando, hanno la facoltà di effettuare l'accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento.
5. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l'accertamento del tasso alcoolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate. Le strutture sanitarie rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, estesa alla prognosi delle lesioni accertate, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge. Copia della certificazione di cui al periodo precedente deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell'organo di polizia che ha proceduto agli accertamenti, al prefetto del luogo della commessa violazione per gli eventuali provvedimenti di competenza. Si applicano le disposizioni del comma 5-bis dell'articolo 187.
6. Qualora dall'accertamento di cui ai commi 4 o 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l'interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini dell'applicazione delle sanzioni di cui al comma 2.
7. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione. Con l'ordinanza con la quale è disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.
8. Con l'ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente ai sensi dei commi 2 e 2-bis, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell'articolo 119, comma 4, che deve avvenire nel termine di sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si sottoponga entro il termine fissato, il prefetto può disporre, in via cautelare, la sospensione della patente di guida fino all'esito della visita medica.
9. Qualora dall'accertamento di cui ai commi 4 e 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui ai commi 2 e 2-bis, il prefetto, in via cautelare, dispone la sospensione della patente fino all'esito della visita medica di cui al comma 8.
9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità' di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità' ivi previste e consistente nella prestazione di un'attività' non retribuita a favore della collettività' da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità'. In deroga a quanto previsto dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità' ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità'. In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità', il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà' della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione è' ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità', il giudice che procede o il giudice dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità' di cui all'articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità' e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della confisca. Il lavoro di pubblica utilità' può' sostituire la pena per non più' di una volta.
Tasso alcolemico da 0 a 0, 5 g/l:
recidivi 2-3 anni secondo il reato commesso + Alcol-lock
neopatentati (neopatentati con patente revocata)
neopatentati minori di anni 21
conducenti professionali
La guida in stato di ebbrezza. Da Studio Legale Gulino
È bene essere a conoscenza, anche se non sei mai stato colto in uno stato di alterazione alcolica, di cosa può capitare se viene accertato che stai circolando alla guida di un veicolo dopo aver bevuto, in ragione delle pesanti sanzioni amministrative e penali previste dall’ordinamento.
Indice dei contenuti
Art 186 Codice della Strada: guida in stato di ebbrezza
Guida in stato di ebbrezza per neopatentati, minori di anni 21 o conducenti professionali
L’accertamento dello stato di ebbrezza
Conseguenze penali ed amministrative: rimedi
Art 186 Codice della Strada: guida in stato di ebbrezza
L’art. 186 CdS prevede il divieto di guidare un veicolo quando ci si trova in stato di ebbrezza dovuto al consumo di bevande alcoliche. In caso di controlli positivi (eseguiti mediante etilometro o tramite esami del sangue) il soggetto che è stato colto in tale stato è sottoposto alle sanzioni amministrative previste dal D.L. 3 agosto 2007, n. 117, convertito nella Legge 2 ottobre 2007, n. 160, sempre che il fatto non costituisca reato.
Le sanzioni sono via via crescenti in base al tasso alcolemico accertato, alla condizione personale ed all’essere stati coinvolti in un incidente o meno.
Su tali presupposti possono verificarsi 3 situazioni:
se il tasso alcolemico è superiore a 0,5 ed inferiore a 0,8 grammi per litro (g/l), pagamento di una somma da euro 544 a euro 2.174 e sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
l’ammenda da euro 800 a euro 3.200 ed arresto fino a sei mesi, se il tasso alcolemico è superiore a 0,8 ed inferiore a 1,5 grammi per litro (g/l), con sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 grammi per litro (g/l) l’ammenda da euro 1.500 ad euro 6.000 ed arresto da sei mesi ad un anno con sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da 1 a 2 anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata.
Guida in stato di ebbrezza per neopatentati, minori di anni 21 o conducenti professionali
L’art 186 bis CdS impone la completa astensione dal consumo di bevande alcoliche ai soggetti che hanno meno di 21 anni e/o a coloro che sono in possesso della patente B da meno di tre anni. Medesima prescrizione viene adottata anche nei confronti dei conducenti che professionalmente trasportano cose o persone (come ad esempio i taxisti o autisti di autobus o autoarticolati).
Come detto i soggetti che rientrano in queste categorie non possono fare consumo neanche di una minima quantità di alcol e poi mettersi alla guida a pena di incorrere nelle seguenti sanzioni:
Nel caso in cui il tasso riscontrato nel sangue sia maggiore di 0 g/l, ma sotto i 0,5 g/l, la sanzione amministrativa va da 155 a 524 euro, e viene raddoppiata in caso incidente stradale;
Se in presenza di tassi alcolemici superiori a 0,5 g/l ed inferiori a 0,8 grammi per litro (g/l) sono previste le pene del co. 2 dell’art. 186 aumentate di un terzo, mentre se superiore a 0,8 grammi per litro aumentate da un terzo alla metà;
Il comma 5, inoltre, prevede la sanzione amministrativa accessoria obbligatoria della revoca della patente di guida per i conducenti di veicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate (anche se trainanti un rimorchio), i guidatori di autobus e di autoveicoli destinati al trasporto di persone con numero di posti a sedere maggiore di otto e i guidatori di autoarticolati e autosnodati ai quali sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l. Uguale sanzione scatta per i conducenti di età inferiore agli anni 21, che hanno conseguito la patente B da meno di tre anni o che esercitano l’attività di trasporto di cose o persone, qualora siano incorsi nel medesimo illecito nei tre anni precedenti.
Nel caso, invece, in cui il soggetto sottoposto a controllo si rifiuti di sottoporsi agli accertamenti del tasso alcolemico la pena prevista dalla lettera c) dell’art. 186 C.d.S. è aumentata da un terzo alla metà.
Ad essa si aggiunge la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida da sei mesi a due anni e la confisca del veicolo. Con l’ordinanza con la quale dispone la sospensione, il Prefetto ordina al conducente di sottoporsi a visita medica secondo le disposizioni di cui al co. 8 dell’art. 186 C.d.S.
Analogamente a quanto previsto dall’art. 186 C.d.S., se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
L’accertamento dello stato di ebbrezza
Momento fondamentale è quello dell’accertamento dello stato di ebbrezza da parte degli organi di Polizia che, specie se l’automobilista sottoposto a controllo presenta i tipici sintomi visivi e comportamentali di abuso alcolico, possono sottoporlo ad accertamenti qualitativi mediante strumentazione omologata (ad esempio etilometro) o accertamento ematico. Entrambe le tematiche sono state meglio approfondite in altro articolo.
Cosa succede, invece, se l’automobilista rifiuta di sottoporsi all’alcol test?
La Corte di cassazione, in epoca recente, si è pronunciata più volte sul tema statuendo che l’automobilista che si rifiuta di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici e/o a sottoscrivere il modulo del consenso informato all’accertamento del tasso alcolemico mediante analisi del sangue in ospedale, è assoggettato alla stessa penaprevista per chi guidi in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, oltre alla confisca del veicolo del condannato così come disposto dalla legge (D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito nella Legge n. 125 del 24 luglio 2008).
È bene precisare che se il conducente si trovi nell’impossibilità di sottoporsi agli accertamenti preventivi di cui sopra per cause connesse allo stato di ebbrezza o altre patologie non ricorre il reato di rifiuto in quanto manca l’elemento soggettivo del dolo, posto che l’incapacità di sottoporsi a tale accertamento ha natura colposa.
Conseguenze penali ed amministrative: rimedi
Come si è già avuto modo di evidenziare la guida in stato di ebbrezza viene punita con misure via via crescenti a seconda del livello alcolico presente nel sangue. In particolar modo le sanzioni possono essere di natura amministrativa: economiche, di sospensione e revoca della patente o penali: ammenda ed arresto.
Frequente è l’emissione di un decreto penale di condanna nel quale i giorni dell’arresto sono convertiti in pena pecuniaria.
Da tener bene in conto che se il decreto penale di condanna non viene opposto, con atto scritto entro 15 giorni dalla notifica avanti all’ufficio del G.I.P. che lo ha emesso, lo stesso diviene definitivo ed irrevocabile e dopo 5 anni (in caso di delitto) o dopo 2 anni (in caso di contravvenzione) il reato si estingue se il soggetto non commette altro delitto/contravvenzione della stessa indole.
Con l’atto di opposizione al decreto penale di condanna si possono chiedere:
il giudizio abbreviato tentando di essere assolti, si tratta di un giudizio in cui possono essere utilizzati solo gli atti presenti nel fascicolo del Giudice, Tale soluzione offre il vantaggio che in caso di condanna la pena viene diminuita di un terzo.
il patteggiamento che sconta sino ad un terzo della pena inflitta
Chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova presso un ente convenzionato (artt. 168 bis c.p. e 464 bis c.p.p.) il cui esito positivo estingue il reato, allegando il programma redatto dall’UEPE (Ufficio esecuzione penale esterna).
Esiste poi una ulteriore possibilità, praticabile solo se non è contestata l’aggravante dell’incidente stradale, che porta all’estinzione del reato
Il soggetto nei cui confronti è stato emesso un decreto penale di condanna deve dichiarare di non opporsi al decreto stesso chiedendo contestualmente che la pena a lui irrogata – a norma degli art. 186, co. 9 bis, o 187, co. 8, bis C.D.S. (a seconda che si tratti di guida in stato di ebrezza o sotto stupefacenti) – venga convertita in lavori di pubblica utilità.
I lavori di pubblica utilità possono essere eseguiti presso determinati enti che abbiano sottoscritto una convenzione con il Tribunale (la cui lista, di norma, si trova sul sito internet del Tribunale) per un tempo stabilito dal Giudice in relazione all’ammontare della pena pecuniaria (1 giorno di lavori di pubblica utilità equivalgono ad € 250,00).
Una volta eseguiti i lavori, se l’esito sarà stato positivo, il reato sarà estinto e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida dimezzata.
Riforma codice della strada: cosa cambia con le nuove norme. La riforma del codice della strada è ricca di novità. Il disegno di legge è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, ora approda in Parlamento dove potrà essere modificato o approvato integralmente. Scopri le novità che si prospettano nel seguente articolo. Clelia Tesone, Avvocato civilista, il 4 Luglio 2023 su dequo.it.
Clelia Tesone, Avvocato civilista. Laureatasi in Giurisprudenza con la votazione di 110 e Lode presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e con approfondita conoscenza delle materie del Diritto Civile e del Diritto Amministrativo. Ha brillantemente conseguito l’abilitazione alla professione di avvocato, a seguito dell’espletamento della pratica forense in diritto civile e il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Napoli Nord.
Il consiglio dei ministri ha approvato, la scorsa settimana, il disegno di legge per la riforma del Codice della strada.
La riforma è finalizzata ad inasprire le misure per i cittadini che guidano i veicoli in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.
La riforma del codice della strada ha introdotto anche alcune significative disposizioni per regolare l’uso di monopattini elettrici.
Negli ultimi mesi si è molto discusso circa l’esigenza di introdurre una riforma del codice della strada. Tale esigenza nasce dai molti fatti di cronaca e dal relativo aumento di alcuni fenomeni.
In particolare, si è constatato come l’uso di cellulari o la guida in stato di ebbrezza siano ipotesi sempre più diffuse e rischiose per i cittadini.
Nel presente articolo descriveremo quali sono le novità che saranno introdotte con la riforma del codice della strada. Cercheremo anche di fare un raffronto con le norme già attuali. In tal modo potrai renderti conto di come il legislatore, negli ultimi anni, abbia cercato di rendere le norme sulla circolazione sempre più severe, in modo tale da prevenire anche incidenti e garantire un’adeguata protezione del cittadino.
RIFORMA CODICE DELLA STRADA – INDICE
Riforma del codice della strada: cosa prevede
Stretta su uso di alcool e droga: il ritiro della patente
L’alcolock per i recidivi
Cosa succede ai minorenni alla guida?
Riforma codice della strada: cellulare alla guida
Multe e sospensione patente
Stretta su monopattino e biciclette
Nuovo Codice della strada e monopattino elettrico
Altre novità nuovo Codice della strada
Riforma codice della strada – Domande frequenti
Riforma del codice della strada: cosa prevede
La riforma del codice della strada giunge proprio in periodo storico in cui si discute moltissimo delle regole sulla circolazione in strada. Tanti sono i fatti di cronaca che hanno destato perplessità e dubbi circa l’efficacia delle norme ad oggi adottate. Da ultimo si ricorda il caso degli youtuber che a Roma hanno causato un incidente, uccidendo un bambino di soli 5 anni.
La riforma era già nei programmi dell’esecutivo, che è intervenuto tempestivamente, approvando il disegno di legge che giungerà a definitiva approvazione, all’esito dell’iter parlamentare, il prossimo autunno.
Nei fatti, la riforma del codice della strada è ancora alle fasi iniziali del procedimento per la definitiva approvazione ed entrata in vigore, ma ha già fatto molto discutere, destando varie reazioni dell’opinione pubblica.
L’intento principale perseguito è quello di rendere più gravose le sanzioni e le disposizioni, ma da altro canto ha pure l’obiettivo di sensibilizzare il cittadino, anche tramite l’educazione stradale nelle scuole. D’altronde, come è noto, le grandi evoluzioni passano solo attraverso cambiamenti culturali.
È proprio sul punto che il legislatore sta tentando di intervenire, per non introdurre solo strumenti repressivi, ma cambiare l’approccio alle regole della strada.
Stretta su uso di alcool e droga: il ritiro della patente
Una delle causa principali degli incidenti sulle strade italiane è legata all’uso di droghe e altre sostanze stupefacenti. Infatti, è proprio sulla questione che si cercherà di intervenire in modo più severo.
Il disegno di legge sulla riforma del codice della strada prevede il ritiro della patente automatico, se il conducente del veicolo è trovato in stato di alterazione dovuto all’uso di sostanze alcoliche o stupefacenti.
Attualmente, sono previsti dei limiti di tollerabilità, che saranno, in base al testo e salve modifiche, eliminati. Dunque, con la semplice positività scatta la sanzione della sospensione o della revoca della patente. Si introduce anche il divieto di conseguire di nuovo la patente per i tre anni successivi.
A questo proposito leggi Sospensione patente: quando avviene e come fare ricorso
I limiti attuali e le relative sanzioni sono:
LIMITE
SANZIONE
da 0,5 a 0,8 g/litro
Sanzione amministrativa da 532 a 2.127 euro, più sanzione accessoria di sospensione della patente da 3 a 6 mesi
da 0,8 a 1,5 g/litro
La violazione diventa reato, è prevista una sanzione amministrativa da 800 a 3.200 euro, più la sanzione accessoria della sospensione della patente da 6 mesi a un anno, e si potrà rischiare l’arresto fino a un massimo di 6 mesi
superiore a 1,5 g/litro
La sanzione amministrativa varia da 1.500 sino a 6.000 euro, è prevista una sanzione accessoria della sospensione della patente da uno a due anni, oltre a rischiare l’arresto da 6 mesi a un anno. In caso di recidiva, la patente viene revocata qualora l’infrazione sia commessa in un arco temporale di due anni
Per approfondire l’argomento ti consigliamo anche: Incidente stradale e aggravante della guida in stato di ebbrezza
L’alcolock per i recidivi
Per i recidivi, normalmente sono previste delle sanzioni più gravose. Per esempio, già l’attuale codice della strada prevede per i recidivi che compiono la stessa infrazione anche il ritiro della patente.
Con la riforma del codice della strada si introduce per il recidivo che viene sorpreso una seconda volta a guidare in stato di ebbrezza o alterazione da sostanze stupefacenti, l’obbligo di adottare l’acolock. Di cosa si tratta?
Questo, in sostanza, è un etilometro che viene collegato al sistema di avviamento dell’auto. Il guidatore deve soffiare all’interno di esso: se è superato il tasso alcolemico, l’automobile non si avvia. In alcuni casi, è anche possibile che sia previsto l’onere di soffiare durante la marcia. In questo modo, si evita che il guidatore faccia soffiare ad altri o beva dopo aver messo in moto il veicolo.
A partire 6 luglio 2024, tutte le nuove vetture devono obbligatoriamente essere predisposte in modo tale da consentire l’adozione dello strumento in questione. Con la riforma del codice della strada, l’adozione dell’acolock diventa una sanzione aggiuntiva per il recidivo che è trovato in stato di ebbrezza.
Potrebbe interessarti anche Multa, ammenda e sanzione amministrativa: che differenza c’è?
Cosa succede ai minorenni alla guida?
Uno dei fenomeni molto diffusi tra i minori, soprattutto in alcune aree del territorio italiano, è la guida senza patente. Ricordiamo che la patente di guida può essere conseguita, previo esame, solo al momento delle compimento del diciottesimo anno di età.
Prima di tale data, il minore può conseguire:
la patente AM, se ha più di 14 anni e meno di 18, o è un soggetto maggiorenne non è in possesso della patente B o un minorenne non in possesso della patente A1, cioè la normale patente di guida. Questa serve a guidare gli scooter o gli altri veicoli a quattro ruote con cilindrata inferiore a 50 cm cubi;
la patente A1, può essere conseguita dal minore con più di 16 anni, o dal maggiorenne che non ha la patente B, per guidare scooter o altri veicoli a quattro ruote che hanno una cilindrata massima non superiore ai 125 cc, una potenza non superiore agli 11 kW (15 Cv), e un rapporto potenza/massa inferiore o uguale a 0,10 kW/kg.
La riforma del codice della strada ha poi previsto una sanzione per i minorenni che guidano veicoli per i quali è necessario avere conseguito la patente B. In questo caso, infatti, il legislatore ha disposto che il minore non potrà conseguire la patente B fino al compimento dei 24 anni di età.
Riforma codice della strada: cellulare alla guida
Altra questione controversa è l’uso del cellulare alla guida, un fenomeno preoccupante che si tenta da tempo di estirpare. Attualmente, l’art. 173 del codice della strada prevede la possibilità di applicare una multa per un valore compreso tra i 165 e i 661 euro. Tuttavia, in caso di recidiva nei successivi due anni dall’applicazione della sanzione, è prevista la sospensione della patente.
L’articolo prevede che:
Chiunque viola le disposizioni di cui al comma 2 è soggetto alla sanzione amministrativa da pagamento di una somma da euro 165 a euro 661. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi, qualora lo stesso soggetto compia un’ulteriore violazione nel corso di un biennio.
Con la riforma del codice della strada, la sospensione scatta automaticamente alla prima violazione. Tuttavia, il periodo della sanzione è ridotto: può essere applicata per un tempo compreso tra i 7 e i 15 giorni.
Tale sanzione è stata prevista anche per:
passaggio con il rosso;
eccesso di velocità;
guida contromano,;
mancato allaccio delle cinture;
mancanza di seggiolini per i bambini.
Il numero di giorni è determinato anche in base ai punti della patente. Minori sono i punti, maggiori sono i giorni di sospensione.
Multe e sospensione patente
Già abbiamo citato più volte la sanzione della sospensione: questa implica l’impossibilità di guidare per un certo periodo di tempo, perché in tale arco temporale la patente perde di validità. Il legislatore ha anche previsto la possibilità di applicare delle multe, quindi sanzioni pecuniarie, quando è applicata la sospensione. La sanzione varia da 2.046 a 8.186 euro.
In caso di recidiva, poi, possono essere applicate altre due sanzioni, quali:
fermo amministrativo, che è una sorte di sequestro del veicolo, ha effetto sullo status giuridico del bene, che non è autorizzato alla circolazione. Se il soggetto è trovato alla guida di un veicolo sottoposto a fermo, non solo si paga un’ammenda apposita di 2.628,15 euro, ma il bene è automaticamente confiscato. È utilizzato anche come rimedio in caso di inadempimento alle cartelle esattoriali, per mancato pagamento delle multe;
revoca della patente: è un atto definitivo, che comporta la perdita della validità della patente, che non ha carattere temporaneo, come nel caso della sospensione. Il soggetto a cui è revocata la patente deve rifare l’esame, solo dopo che sia trascorso un certo lasso di tempo.
Potrebbe interessarti anche Cosa succede se non pago una multa?
Ad oggi, la revoca della patente è disposta per:
circolazione con patente sospesa;
guida contromano su autostrade o strade extraurbane;
guida in stato di ebbrezza (alcol e sostanze stupefacenti) di autobus, autocarri, complessi di veicoli o altri mezzi con massa complessiva superiore alle 3.5 t;
incidente stradale in stato di ebbrezza (alcol e sostanze stupefacenti).
Stretta su monopattino e biciclette
Una delle questioni più dibattute nell’ultimo periodo è relativa alla circolazione di monopattini elettrici e biciclette. In molte città italiane, è diventato frequente l’uso di questi mezzi, anche grazie alle c.d. app per noleggio in sharing, messe a disposizione da enti locali.
Quindi, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire sul loro utilizzo. Per quanto riguarda le biciclette, la principale novità è relativa al sorpasso. Questo deve essere effettuato garantendo una distanza di un metro e mezzo dall’altro veicolo.
Nuovo Codice della strada e monopattino elettrico
Il monopattino elettrico è uno strumento che deve avere alcuni specifici requisiti:
non deve avere posti a sedere;
il motore deve avere una potenza nominale continua non superiore ai 0,50 kW;
deve essere dotato di segnalatore acustico e regolatore di velocità;
da settembre 2022, deve essere dotato di indicatori luminosi di svolta e di freno su entrambe le ruote. Quelli già in circolazione, dovranno adeguarsi entro il 1° gennaio 2024.
Il legislatore già aveva previsto alcune regole. Questi potevano essere guidati dal minore di età superiore ai 14 anni, nel rispetto delle seguenti disposizioni:
rispettare il limite massimo di 20 km/h e di 6 km/h nelle aree pedonali;
non può trasportare altre persone, oggetti o animali;
non può trainare veicoli, animali o farsi trainare;
il guidatore deve reggere il manubrio con entrambe le mani;
di notte, devono essere indossati il giubbotto e le bretelle retroriflettenti.
Potrebbe interessarti anche Decurtazione punti patente: le tabelle
La riforma del codice della strada ha poi previsto:
l’assicurazione obbligatoria anche per i monopattini elettrici. Chi circola in assenza di assicurazione incorre in una sanzione pecuniaria compresa tra i 100 e i 400 euro;
il divieto di circolazione contromano e sui marciapiedi, salvo che il veicolo sia condotto a mano e non elettrico;
il divieto di sosta sui marciapiedi;
il divieto di circolazione nelle aree extraurbane. Se sono veicoli in sharing, è il gestore obbligato a bloccare da remoto il veicolo e a installare sistemi che impediscano la circolazione fuori dalle aree urbane;
sanzione pecuniaria compresa tra i 200 e gli 800 euro per tutti coloro che circolano senza frecce e freno.
L’argomento è stato trattato anche in: Nuove regole per i monopattini elettrici: obbligo di targa e assicurazione
Altre novità nuovo Codice della strada
Infine, elenchiamo brevemente le altre novità:
ai ragazzi che hanno frequentato corsi di educazione stradale a scuola, è attribuito un bonus di 2 punti sulla patente;
gli autovelox dovranno essere impiantati con modalità omogenee, che saranno individuate da un regolamento del Ministero dell’interno;
in caso di incidenti stradali, è introdotta su strada la safety car per rallentare il flusso dei veicoli.
PRONTUARIO CODICE DELLA STRADA AGGIORNATO E GRATUITO
Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285
D.Lgs. n. 285/1992
TITOLO V - NORME DI COMPORTAMENTO
Articolo 186
Guida sotto l'influenza dell'alcool
Articolo 186, comma 2 lettera a
Circolava alla guida del veicolo in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche, con valori compresi tra 0,5 e 0,8 g/l.
Sanzioni accessorie
- Sospensione della patente o CIG da tre a sei mesi
Note operative
* Competenza del Prefetto.
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* Veicolo: affidare il veicolo a terzi oppure trasgressore deve chiedere carro ACI a sue spese. Altrimenti chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
* Procedere al ritiro del titolo di guida.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: 543,00
ore notturne: 543,00
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne: non consentita
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne: non consentita
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
20 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
10 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Articolo 186, comma 2-bis
Circolava alla guida del veicolo in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche, con valori compresi tra 0,5 e 0,8 g/l *** RESPONSABILE D'INCIDENTE STRADALE ***
Sanzioni accessorie
- Sospensione della patente o CIG da sei a dodici mesi
- Fermo del veicolo per 180 gg
Note operative
* Competenza del Prefetto.
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* Veicoli:
Se trasgressore non è il proprietario: affidare il veicolo a terzi oppure trasgressore deve chiedere carro ACI a sue spese. Altrimenti chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
Se trasgressore è anche il proprietario: si applica fermo amministrativo di gg 180 ai sensi dell'art. 214 c.1 cds. Affidare il veicolo (e ne accetta la cusotidia) o in caso di rifiuti procedere con contestazione art. 214 comma 1 e richiedere il custode-acquirente.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: 1.086,00
ore notturne: 1.086,00
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne: non consentita
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne: non consentita
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
20 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
10 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Articolo 186, comma 2 lettera b
Circolava alla guida del veicolo in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche, con valori compresi tra 0,8 e 1,5 g/l.
Sanzioni accessorie
- Informativa all'A.G.
- Sospensione della patente o CIG da sei mesi a 1 anno
- Revoca della patente o del CIGNote operative
* Competenza del Tribunale
* Ammenda da euro 800 a 3.200 e arresto fino a sei mesi. Aumentata da un terzo a metà per i reati commessi dalle 22 alle 7.
* Informativa all'A.G. con elezione di domicilio.
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* Il soggetto deve essere informato della falcoltà di farsi assistere da un difensore, senza il diritto di preavviso, pena nullità. Non necessaria in casi di pre-test. La nomina del difensore deve avvenire solo all'esito positivo delle prove.
* Veicolo: Affidare il veicolo a terzi oppure chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
* Procedere al ritiro del titolo di guida.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: PMR con consentito
ore notturne: PMR con consentito
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne: non consentita
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne: non consentita
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
20 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
10 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Articolo 186, comma 2-bis
Circolava alla guida del veicolo in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche, con valori compresi tra 0,8 e 1,5 g/l. *** RESPONSABILE D'INCIDENTE STRADALE ***
Sanzioni accessorie
- Informativa all'A.G.
- Sospensione della patente o CIG da sei a 1 anno
- Revoca della patente o del CIG: ricorre la revoca in caso di recidiva nel biennio o quando trattasi di conducente che ha provocato un incidente stradale
- Fermo amministrativo art. 224-ter c.3 qualora trasgressore anche proprietario del veicolo. 180 giorni (Si applica provvisorio di 30 gg.)
Note operative
* Competenza del Tribunale
* Ammenda da euro 800 a 3.200 e arresto fino a sei mesi. Aumentata da un terzo a metà per i reati commessi dalle 22 alle 7.
* Informativa all'A.G. con elezione di domicilio.
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo.
* Il soggetto deve essere informato della falcoltà di farsi assistere da un difensore, senza il diritto di preavviso, pena nullità. Non necessaria in casi di pre-test. La nomina del difensore deve avvenire solo all'esito positivo delle prove.
* Veicoli:
Se trasgressore non è il proprietario: affidare il veicolo a terzi oppure trasgressore deve chiedere carro ACI a sue spese. Altrimenti chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
Se trasgressore è anche il proprietario: si applica fermo amministrativo provvisorio di gg 30 ai sensi dell'art. 224-ter c.3 cds. Affidare il veicolo (e ne accetta la cusotidia) o in caso di rifiuti procedere con contestazione art. 214 comma 1 e richiedere il custode-acquirente.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: PMR con consentito
ore notturne: PMR con consentito
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne:
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne:
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
0 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
0 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Articolo 186, comma 2 lettera c
Circolava alla guida del veicolo in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche, con valore superiore a 1,5 g/l.
Sanzioni accessorie
- Informativa all'A.G.
- Sospensione della patente o CIG da un anno a due anni
- Revoca della patente alla seconda violazione nel biennio: ricorre la revoca in caso di recidiva nel biennio o quando trattasi di conducente che ha provocato un incidente stradale
Note operative
* Competenza del Tribunale
* Ammenda da euro 1.500 a 6.000 e arresto da sei mesi a un anno. Aumentata da un terzo a metà per i reati commessi dalle 22 alle 7.
* Informativa all'A.G. con elezione di domicilio.
* Sospensione della patente raddoppiata se il proprietario del veicolo è estraneo al reato.
* Revoca in caso di recidività nel biennio
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* Il soggetto deve essere informato della falcoltà di farsi assistere da un difensore, senza il diritto di preavviso, pena nullità. Non necessaria in casi di pre-test. La nomina del difensore deve avvenire solo all'esito positivo delle prove.
* Veicoli:
Se trasgressore non è il proprietario: affidare il veicolo a terzi oppure trasgressore deve chiedere carro ACI a sue spese. Altrimenti chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
Se trasgressore è anche il proprietario:
1) affidare il veicolo a soggetto idoneo (altro obbligato in solido, o altro soggetto) ai sensi dell'art. 213 comma 1, con l'obbligo di custodirlo a proprie spese (richiesta carro aci compresa).
2) Qualora sia impossibile affidare, nell'immediatezza, per condizioni psicofisiche alterate (186 e 187 cds), e non vi sia la possibilità di delegare alcuno, come disposto dalla circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n° 300/A/559/19/101/20/21/4 del 21.01.2019, il veicolo viene affidato al custode-Acquirente o altro deposito autorizzato dal Prefetto. Non si procede al contesto del rifiuto di cui all' 213 cds.
* Procedere al ritiro del titolo di guida.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: PMR con consentito
ore notturne: PMR con consentito
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne: non consentita
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne: non consentita
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
20 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
10 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Articolo 186, comma 2 lettera c
Articolo 186, comma 2-bis
Circolava alla guida del veicolo in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcooliche, con valore superiore a 1,5 g/l. *** RESPONSABILE D'INCIDENTE STRADALE ***
Sanzioni accessorie
- Informativa all'A.G.
- Sospensione della patente o CIG da un anno a due anni
- Revoca della patente alla seconda violazione nel biennio
Note operative
* Competenza del Tribunale
* Ammenda da euro 1.500 a 6.000 e arresto da sei mesi a un anno. Aumentata da un terzo a metà per i reati commessi dalle 22 alle 7.
* Informativa all'A.G. con elezione di domicilio.
* Sospensione della patente raddoppiata se il proprietario del veicolo è estraneo al reato.
* Revoca in caso di recidività nel biennio
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* Il soggetto deve essere informato della falcoltà di farsi assistere da un difensore, senza il diritto di preavviso, pena nullità. Non necessaria in casi di pre-test. La nomina del difensore deve avvenire solo all'esito positivo delle prove.
* Veicoli:
Se trasgressore non è il proprietario: affidare il veicolo a terzi oppure trasgressore deve chiedere carro ACI a sue spese. Altrimenti chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
Se trasgressore è anche il proprietario:
1) affidare il veicolo a soggetto idoneo (altro obbligato in solido, o altro soggetto) ai sensi dell'art. 213 comma 1, con l'obbligo di custodirlo a proprie spese (richiesta carro aci compresa).
2) Qualora sia impossibile affidare, nell'immediatezza, per condizioni psicofisiche alterate (186 e 187 cds), e non vi sia la possibilità di delegare alcuno, come disposto dalla circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n° 300/A/559/19/101/20/21/4 del 21.01.2019, il veicolo viene affidato al custode-Acquirente o altro deposito autorizzato dal Prefetto. Non si procede al contesto del rifiuto di cui all' 213 cds.
* Procedere al ritiro del titolo di guida.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: PMR con consentito
ore notturne: PMR con consentito
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne: non consentita
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne: non consentita
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
20 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
10 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Articolo 186, comma 7
In qualità di conducente, rifiutava di sottoporsi all’accertamento dello stato di ebrezza alcolica a mezzo della determinazione del tasso alcolemico (Etilometro o Esami Clinici).
Sanzioni accessorie
Non previste
Note operative
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* La nomina del difensore deve essere effettuata.
* Competenza del Tribunale
* Ammenda da euro 1.500 a 6.000 e arresto da sei mesi a uno anno. Aumentata da un terzo a metà per i reati commessi dalle 22 alle 7.
* Informativa all'A.G. con elezione di domicilio.
* Ritiro della patente o CIG
* La prova etilometrica può essere effettuata solo a carico del conducente del veicolo
* Il soggetto deve essere informato della falcoltà di farsi assistere da un difensore, senza il diritto di preavviso, pena nullità. Non necessaria in casi di pre-test. La nomina del difensore deve avvenire solo all'esito positivo delle prove.
* Veicoli:
Se trasgressore non è il proprietario: affidare il veicolo a terzi oppure trasgressore deve chiedere carro ACI a sue spese. Altrimenti chiedere intervento ACI tramite c.o. a carico del proprietario.
Se trasgressore è anche il proprietario:
1) affidare il veicolo a soggetto idoneo (altro obbligato in solido, o altro soggetto) ai sensi dell'art. 213 comma 1, con l'obbligo di custodirlo a proprie spese (richiesta carro aci compresa).
2) Qualora sia impossibile affidare, nell'immediatezza, per condizioni psicofisiche alterate (186 e 187 cds), e non vi sia la possibilità di delegare alcuno, come disposto dalla circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n° 300/A/559/19/101/20/21/4 del 21.01.2019, il veicolo viene affidato al custode-Acquirente o altro deposito autorizzato dal Prefetto. Non si procede al contesto del rifiuto di cui all' 213 cds.
* Procedere al ritiro del titolo di guida.
* Procedere al ritiro della carta di circolazione, o contestare art 180 cds.
* Contestabile anche al conducente di velocipede, senza procedere al ritiro del titolo di guida.
Sanzione pecuniaria (euro)
ore diurne: PMR con consentito
ore notturne: PMR con consentito
riduzione 30% entro 5 giorni ore diurne: non consentita
riduzione 30% entro 5 giorni ore notturne: non consentita
Decurtazione punti patente di guida e/o titolo abilitativo (C.Q.C., etc.)
20 Punti (conducente neo patentato con patente conseguita da meno di 3 anni)
10 Punti (conducente esperto con patente conseguita da più di 3 anni)
Sezione curata da: Salvatore Palumbo e Dott. Claudio Molteni.
GUIDA SOTTO L'INFLUENZA DELL'ALCOOL. Art 186 cds aggiornato al 2023. Da studiolegalederosamistretta.it
Hai violato l’ art 186 cds in tema di guida in stato di ebbrezza e vuoi sapere quali sono le conseguenze aggiornate in caso di alcol test oltre i limiti?
Di seguito troverai l’ art 186 cds aggiornato al 2023 con dei paragrafi per agevolarne la lettura.
Art 186 cds
1. È vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche.
Le sanzioni a seconda del tasso alcolemico - art 186 cds
2. Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:
Tasso alcolemico superiore a 0, 5 g/l e non superiore a 0,8 g/l
a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 543 a euro 2.170, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
Tasso alcolemico superiore a 0, 8 g/l e non superiore a 1,5 g/l
b) con l’ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
Tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l
c) con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l).
All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata.
La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio.
Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.
Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’articolo 224-ter.
L'aggravante dell'aver provocato un incidente stradale - art 186 cds
2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell’articolo 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all’illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 222.
Tribunale competente per i casi di guida in stato di ebbrezza - art 186 cds
2-ter. Competente a giudicare dei reati di cui al presente articolo è il tribunale in composizione monocratica.
Sanzioni accessorie amministrative e patteggiamento - art 186 cds
2-quater. Le disposizioni relative alle sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2-bis si applicano anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
L'affidamento del veicolo - art 186 cds
2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.
L'aggravante dell'orario notturno - art 186 cds
2-sexies. L’ammenda prevista dal comma 2 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.
Divieto di equivalenza o prevalenza delle circostanze attenuanti concorrenti - art 186 cds
2-septies. Le circostanze attenuanti concorrenti con l’aggravante di cui al comma 2-sexies non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante.
Ammenda destinata al fondo di garanzia delle vittime della strada - art 186 cds
2-octies. Una quota pari al venti per cento dell’ammenda irrogata con la sentenza di condanna che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui al comma 2-sexies è destinata ad alimentare il Fondo contro l’incidentalità notturna di cui all’ articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 , convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160 , e successive modificazioni.
Accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili - art 186 cds
3. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all’ articolo 12 , commi l e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell’interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili.
Accompagnamento presso il più vicino ufficio o comando - art 186 cds
4. Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo, in ogni caso d’incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, gli organi di Polizia stradale di cui all’ articolo 12 , commi 1 e 2, anche accompagnandolo presso il più vicino ufficio o comando, hanno la facoltà di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento.
Accertamento da parte delle strutture sanitarie - art 186 cds
5. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l’accertamento del tasso alcoolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di Polizia stradale di cui all’ articolo 12 , commi 1 e 2, da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate. Le strutture sanitarie rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, estesa alla prognosi delle lesioni accertate, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge. Copia della certificazione di cui al periodo precedente deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell’organo di polizia che ha proceduto agli accertamenti, al prefetto del luogo della commessa violazione per gli eventuali provvedimenti di competenza. Si applicano le disposizioni del comma 5-bis dell’articolo 187.
Stato di ebbrezza - art 186 cds
6. Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 o 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l’interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma 2.
Il rifiuto dell'accertamento - art. 186 cds
7. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione.
Ordine di sottoporsi a visita medica in caso di rifiuto - art 186 cds
Con l’ordinanza con la quale è disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.
Sospensione della patente e visita medica - art 186 cds
8. Con l’ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente ai sensi dei commi 2 e 2-bis, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell’articolo 119, comma 4, che deve avvenire nel termine di sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si sottoponga entro il termine fissato, il prefetto può disporre, in via cautelare, la sospensione della patente di guida fino all’esito della visita medica.
Sospensione cautelare della patente quando il tasso sia superiore a 1,5 g/l - art 186 cds
9. Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 e 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ferma restando l’applicazione delle sanzioni di cui ai commi 2 e 2-bis, il prefetto, in via cautelare, dispone la sospensione della patente fino all’esito della visita medica di cui al comma 8.
I lavori di pubblica utilità - art 186 cds
9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’ articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000 , secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze.
Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’ articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
Durata
In deroga a quanto previsto dall’ articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000 , il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità.
Esito positivo degli LPU
In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente.
Violazione degli obblighi connessi allo svolgimento LPU
In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all’ articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della confisca. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta.
Art. 186 del cds e ultime sentenze
In caso di violazione dell’ art. 186 cds può essere utile soffermarsi sulle più recenti sentenze della Corte di cassazione per individuarne gli orientamenti sulle varie tematiche attinenti alla guida in stato di ebbrezza.
Di seguito, qui sotto, ho preparato una video lezione per spiegarti le sanzioni aggiornate al 2022 che si rischiano in caso di violazione dell’art. 186 del cds.
Ricorso avverso la sospensione della patente
Il modo più diretto per recuperare la patente è quello di proporre ricorso al Giudice di pace civile avverso l’ordinanza di sospensione della patente emessa dal Prefetto, per il tramite di un avvocato che si occupi di questa materia.
Ritiro e sospensione della patente (Cassazione civile sez. II - 23/06/2021, n. 17999)
In tema di sanzioni amministrative connesse alla guida in stato di ebbrezza, la sospensione della patente di guida ex art. 186 del codice della strada consegue a titolo di sanzione accessoria del reato è disposta dal giudice penale, anche se applicata in concreto dal prefetto, mentre la sospensione cautelare/preventiva disposta dal prefetto ai sensi dall’art. 223 del medesimo codice – la quale deve intervenire entro un tempo ragionevole, la cui valutazione in concreto è rimessa al giudice del merito – risponde alla necessità di impedire che, nell’immediato, il destinatario possa continuare a tenere una condotta pericolosa. (Nella specie la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva ritenuto legittima l’applicazione della sospensione cautelare a distanza di 19 mesi dall’accertamento del fatto, senza tuttavia chiarire le ragioni per le quali il provvedimento doveva considerarsi adottato in tempo ragionevole).
La sospensione della patente ex art 186 c.d.s. e l'obbligo di visita medica (Cassazione civile sez. II - 18/04/2018, n. 9539)
In tema di sanzioni amministrative connesse alla guida in stato di ebbrezza, la sospensione della patente di guida di cui all’art. 186 del codice della strada si fonda su presupposti diversi da quelli di cui all’art. 223 del medesimo codice; nel primo caso, infatti, che costituisce fatto penalmente rilevante, la sospensione può conseguire, a titolo di sanzione accessoria, a seguito dell’accertamento del reato, mentre nel secondo la misura ha carattere preventivo e natura cautelare e trova giustificazione nella necessità di impedire che, nell’immediato, prima ancora che sia accertata la responsabilità penale, il conducente del veicolo, nei cui confronti sussistano fondati elementi di un’evidente responsabilità in ordine ad eventi lesivi dell’incolumità altrui, continui a tenere una condotta che possa arrecare pericolo ad altri soggetti.
Cosa ne consegue?
Ne consegue che – in ragione del principio di necessaria corrispondenza tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata, di cui all’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 -, ove sia stata accertata, a carico del conducente, la contravvenzione di cui all’art. 186 del codice della strada, la sospensione della patente di guida, con contestuale obbligo di sottoporsi a visita medica, può essere irrogata, senza alcun automatismo, solo nella ricorrenza delle condizioni di cui al comma 9 del predetto articolo, ossia previo accertamento di un valore alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro.
Video lezione sul “ritiro patente alcol: come riaverla”
Inattendibilità dell'etilometro
l’etilometro è uno strumento tecnico che in assenza di revisioni periodiche o in presenza di altri vizi, può dare dei risultati inattendibili e inutilizzabili nel processo.
Guida sotto l'influenza dell'alcool e onere dell'organo della pubblica accusa di dimostrare la regolarità delle verifiche periodiche agli etilometri
Cassazione penale sez. IV – 08/06/2021, n. 24424
Ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l’influenza dell’alcool, spetta all’organo della pubblica accusa, nell’ambito della prova della corretta misurazione del tasso alcolemico mediante etilometro, dimostrare la regolarità delle verifiche periodiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti con cadenza annuale (si veda il decreto del ministero dei Trasporti n. 196 del 22 maggio 1990). Ma una volta che tale circostanza risulti dimostrata, il regolare funzionamento del misuratore non può essere messo in discussione sul mero rilievo formale che dalla data della sua omologazione in poi le verifiche non siano avvenute con esatta cadenza annuale, posto che l’attestazione dell’avvenuta taratura dell’apparecchio è funzionale a dimostrare il suo regolare funzionamento alla data in cui viene eseguito l’accertamento.
Fonte: Guida al diritto 2021, 31
Da “la Repubblica” martedì 19 settembre 2023.
Sui monopattini si cambia: il casco diventa obbligatorio anche per i maggiorenni. E tutti i veicoli, privati e in sharing, devono avere targa e assicurazione. Chi circola senza contrassegno o documenti rischia una sanzione dai 100 ai 400 euro. Obbligatorie anche le frecce e le luci dei freni, pena una sanzione tra i 200 e gli 800 euro. Multe anche per chi trucca il motore e per chi falsifica i dati del proprietario. Vietata la circolazione contromano e sui marciapiedi, a meno che i monopattini non siano condotti a mano.
Diventa proibito anche circolare nelle aree extraurbane: i veicoli in sharing devono dotarsi di un sistema automatico di bloccaggio che entra in funzione appena si mette piede, o ruota, fuori città. Più tutele, infine, per i ciclisti: gli automobilisti non potranno sorpassare le bici a meno di un metro e mezzo di distanza. E c’è un invito ad aumentare le piste ciclabili.
(ANSA martedì 19 settembre 2023) "Siamo totalmente favorevoli alle misure varate ieri dal Governo in tema di monopattini, e che prevedono finalmente casco, targa e assicurazione obbligatoria per tutti gli utilizzatori di tali mezzi, ma chiediamo che il Governo vigili con attenzione per evitare l'ennesima stangata a danno dei consumatori".
Lo afferma Assoutenti, commentando le novità al Codice della Strada approvate in Consiglio dei ministri. "In base alle ultime stime in Italia circolano circa 550mila monopattini elettrici, di cui 42mila appartenenti alle società di sharing e quindi già coperti da assicurazione. - spiega il vicepresidente Gabriele Melluso - Per tutti gli altri, con le nuove disposizioni, sarà necessario dotarsi di apposita copertura assicurativa, che determina inevitabili spese per i proprietari dei mezzi: una polizza per i monopattini ha infatti un costo che parte da un minimo di 40 euro all'anno ma può arrivare anche a 150 euro.
Considerato il crescente numero di incidenti che coinvolge in Italia i monopattini elettrici, con ben 14 vittime tra i guidatori registrate solo da inizio anno, è giusto prevedere una copertura assicurativa obbligatoria, ma temiamo che la misura voluta dal Governo possa aprire un nuovo business a solo vantaggio delle compagnie di assicurazioni. - prosegue Melluso - L'esperienza insegna che a fronte di un obbligo che comporta costi a carico dei cittadini possono crearsi forti squilibri del mercato Il rischio concreto è che le imprese assicuratrici sfruttino il nuovo quadro normativo per stangare i proprietari di monopattini, rialzando le tariffe che oggi, per tale tipologia di mezzo.
Il Governo deve quindi intervenire per tutelare gli interessi dei consumatori, stabilendo tariffe fisse per le assicurazioni ai monopattini e agevolazioni e sconti per chi ha già una copertura assicurativa su un altro mezzo di trasporto, bloccando sul nascere qualsiasi abuso o speculazione a danno degli utenti".
Fermato dalla polizia perché ubriaco chiama il padre, ma ha bevuto più di lui. Il padre ha raggiunto il figlio, fermato perché ubriaco alla guida, ma è risultato con un tasso alcolico doppio. Francesca Santi su Notizie.it Pubblicato il 16 Settembre 2023
Il ragazzo è stato fermato dalla polizia perchè si trovava alla guida di un veicolo con un tasso alcolemico superiore al limite consentito. Chiama il padre per farsi venire a prendere, ma l’uomo è risultato decisamente più ubriaco.
Fermato dalla polizia perché ubriaco chiama il padre
La polizia stradale ha fermato nella notte un 30enne, in via San Marco a Padova. Dopo un controllo è risultato avere un tasso alcolemico di 0,62, quindi 0,12 sopra il limite consentito dalla legge. Non potendo rimettersi al volante ha deciso di chiamare il padre per farsi venire a prendere. Una volta arrivato, tuttavia, gli agenti hanno potuto constatare che l’uomo era ben più ubriaco del figlio. Il suo tasso alcolemico, infatti, risultava quasi il doppio.
Ritiro della patente per il 30enne
I controlli di quella sera sono stati circa 23, con il triste bilancio di 7 patenti ritirate. Fra queste c’è anche quella del ragazzo, dal momento che è stato sorpreso a guidare con un tasso alcolemico di 0,62. La normativa attuale, infatti, stabilisce come valore limite legale il tasso di alcolemia di 0,5. Il vero paradosso, tuttavia, è stato il fatto che il padre, che avrebbe dovuto riaccompagnare a casa il figlio, aveva un tasso di 1.10, quasi il doppio.
Il governo cambia il codice della strada: ecco le novità. Stefano Baudino su L'Indipendente il 19 settembre 2023.
In seguito all’annuncio dello scorso giugno, il governo ha ufficialmente varato in Cdm l’inasprimento delle norme per gli automobilisti, approvando il testo del ddl e della legge delega per le modifiche al Codice della strada e nuove norme sulla sicurezza stradale. Molte le novità, dalla linea dura sull’utilizzo del cellulare alla guida alla regolamentazione più ferrea degli autovelox, dalle mancate precedenze ai posti per disabili alla stretta sui monopattini.
Le nuove norme sulla sicurezza stradale vedono un forte innalzamento delle sanzioni pecuniarie relativa all’utilizzo del cellulare. Le multe vengono infatti triplicate, passando dall’attuale fascia compresa tra i 165 e i 660 euro a quella 422-1.697 euro, prevedendo la sospensione della patente da 15 giorni a due mesi fin dalla prima infrazione. Se si è recidivi, la multa può arrivare fino a 2.500 euro. Alla prima violazione si rischia la decurtazione fino a 8 punti della patente, che diventano 10 se ne arriva una seconda.
Anche in caso di guida pericolosa o di superamento dei limiti di velocità in un centro abitato almeno 2 volte in un anno si potrà incorrere nella sospensione, che sale fino a 3 anni per chi viene trovato alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o in stato di ebbrezza. Se si è recidivi, poi, la soglia del tasso alcolemico diventa zero, e viene previsto l’obbligo di installare all’interno dell’automobile un sistema capace di bloccare il motore in caso di superamento del limite. Chi viene trovato alla guida drogato non dovrà più necessariamente essere in una condizione di alterazione psico-fisica: basterà che risulti positivo ai test perché scattino le sanzioni. Molti esperti hanno fatto notare come questo passaggio della norma – utile a “tranquillizzare” i cittadini – non tenga effettivamente conto di evidenze scientifiche, rischiando di violare i principi di legalità e ragionevolezza, essendo pacifico il dato della permanenza dei metaboliti di sostanze d’abuso all’interno dell’organismo dell’assuntore per molti giorni (in alcuni casi addirittura per settimane) dal momento dell’assunzione.
Ove vengano commessi reati gravissimi mentre si guida, come la fuga in seguito a un incidente, c’è la revoca a vita della patente. Sono state inasprite anche le sanzioni che colpiranno chi sosta nei posti riservati ai disabili, che passeranno dalla fascia 80-328 euro a quella 165-660 euro per i ciclomotori e i motoveicoli a due ruote e dalla fascia 165-660 euro a quella 330-990 euro per tutti gli altri veicoli. Saranno raddoppiate anche le multe previste per chi parcheggia nelle corsie dedicate allo stazionamento e alla fermata dei pullman e di tutti gli altri mezzi di trasporto pubblico.
Novità anche per i neopatentati, che dovranno aspettare 3 anni per poter guidare auto di grossa cilindrata (oggi il lasso di tempo previsto è di un solo anno). Inoltre, se un minorenne viene trovato a viaggiare senza patente e in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, dovrà attendere fino al compimento del 24esimo anno di età per mettersi alla guida.
Prevista poi una stretta sui monopattini: per quelli privati sarà indispensabile un’assicurazione e un numero di identificazione, nonché l’utilizzo del casco (obbligatorio anche per quelli in sharing). Per chi circola senza i documenti necessari la sanzione oscillerà tra i 100 e i 400 euro. Saranno obbligatori anche gli indicatori luminosi di svolta e freno, in mancanza dei quali è prevista una sanzione tra i 200 e gli 800 euro. Sarà inoltre vietato circolare su strade extraurbane con limiti superiori ai 50 km orari, sui marciapiedi e sulle isole pedonali. Il disegno di legge comprende poi maggiori specifiche sulle aree Ztl e omologazioni anti-truffa per gli autovelox, che non dovranno essere posizionati in punti strategici al solo fine di «fare cassa», come dichiarato dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini. [di Stefano Baudino]
Nuovo codice della strada, il pugno duro di Salvini: “2.600 euro di multa e patente sospesa per 3 mesi a chi chatta alla guida”. Viola Giannoli su La Repubblica il 19 Settembre 2023
Arriva il nuovo codice della strada che prevede una serie di sanzioni e poca o nulla prevenzione: Matteo Salvini mostra i muscoli per “fermare le stragi del sabato sera”, 200 morti sulle strade dall’inizio dell’anno. Con una "stretta sugli autovelox-selvaggi e linea dura per i recidivi che non rispettano le regole". Si innalzano pesantemente le sanzioni per chi telefona o invia messaggi dal cellulare mentre è al volante: multe fino a 2600 per i recidivi, patente sospesa e 10 punti in meno. Raddoppiano le multe per chi sosta nei posti riservati ai disabili o ai bus. «Tolleranza zero», dice il ministro, per chi si mette al volante dopo aver bevuto o ha assunto stupefacenti. E poi novità su monopattini, piste ciclabili e neopatentati.
Ma, sostiene l'avvocato Domenico Musicco, presidente dell'associazione vittime incidenti stradali e sul lavoro (Avisl onlus), commentando le nuove norme: "Bene la stretta su alcol e uso del cellulare alla guida. Tuttavia senza un aumento dei controlli e una vera politica di prevenzione le norme rischiano di rimanere delle grida manzoniane e norme che faranno la fine della patente a punti e altre riforme".
Il pacchetto ha avuto oggi un nuovo via libera dal Consiglio dei ministri che lo aveva già licenziato a giugno. Ma le misure erano poi passate al vaglio della Conferenza unificata che ha proposto una serie di modifiche. Ora manca solo il passaggio parlamentare: il decreto approderà in aula a ottobre, fa sapere il Mit.
Ecco cosa prevede:
Cellulari alla guida
Chi telefona o manda messaggi mentre è al volante dovrà pagare una multa più salata: la sanzione pecuniaria passa dalla fascia 165-660 euro a 422-1697 euro, con sospensione della patente di guida da quindici giorni a due mesi fin dalla prima violazione. In caso di recidiva nel biennio, oltre alla sanzione accessoria della sospensione della patente da uno a tre mesi, già prevista dal codice in vigore, si prevede il pagamento di una somma da 644 a 2588 euro, oltre ad una decurtazione dei punti dalla patente: 8 nell’ipotesi di prima violazione e 10 punti alla seconda violazione.
Eccesso di velocità
Su richiesta dei sindaci la sanzione amministrativa pecuniaria verrà elevata fino a 1.084 euro e la sospensione della patente di guida da 15 a 30 giorni nei casi in cui la stessa persona commetta la violazione dei limiti di velocità all’interno del centro abitato per almeno due volte nell’arco di un anno. La patente viene sospesa anche per chi viene scoperto a guidare contromano o con il rosso.
Autovelox
Nell’ottica di regolamentare l’utilizzo degli autovelox, si va verso una definizione stringente sulle specifiche tecniche degli apparecchi e sul loro posizionamento.
Al volante ubriachi o dopo aver assunto stupefacenti
Chi viene trovato in stato di ebbrezza alla guida o "dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti”: rischia la sospensione della patente fino a 3 anni. Per i recidivi, è vietato assumere alcolici prima di mettersi al volante: il limite di tasso alcolemico consentito si abbassa a 0 g/l, per tutti gli altri il limite è 0,5. Per quanto riguarda gli stupefacenti non ci sarà bisogno di mostrarsi in uno stato di alterazione psico-fisica, ma è sufficiente il sospetto che siano stati assunti per far scattare il test immediato: la positività comporterà la revoca della patenta e la sospensione fino a tre anni.
Alcol-lock per i recidivi
Diventa obbligatorio per i recidivi l’”alcol-lock”, un sistema che blocca il motore e impedisce all’auto di accendersi se rivela un tasso alcolemico sopra lo zero. Il dispositivo va installato a proprie spese in auto.
“Ergastolo della patente” per reati gravi
Nel nuovo codice è prevista anche la revoca a vita della patente nel caso vengano commessi reati gravissimi al volante ad esempio per gli automobilisti pirata che fuggono dopo un incidente stradale.
Sosta nei posti riservati ai disabili
Contravvenzioni più salate anche per chi si ferma o parcheggia negli stalli dedicati ai disabili: per i ciclomotori e i motoveicoli a due ruote vengono elevate a 165-660 euro (ora previste da euro 80 ad euro 328); per le auto, i furgoni e gli altri veicoli a 330-990 (ora prevista tra euro165 ad euro 660).
Sosta alla fermata del bus
Multe più pesanti anche se si parcheggia nelle corsie riservate agli autobus e a tutti i mezzi del trasporto pubblico locale: per i ciclomotori e i motoveicoli a due ruote tra 87 a 328 euro (ora tra 41-168 euro) e tra 165-660 euro per i restanti veicoli (ora tra 87 a 344 euro).
Neopatentati
Per i neopatentati passano a tre gli anni di guida obbligatoria prima di potersi mettere al volante di un’auto di grossa cilindrata. Se un minorenne viene scoperto alla guida senza patente e ubriaco o drogato dovrà aspettare fino ai 24 anni di età per ottenere la licenza alla guida.
In monopattino
Casco obbligatorio anche per i maggiorenni sia per quelli privati che per quelli in sharing, targhe e assicurazione per tutti i monopattini. Chi circola senza contrassegno o assicurazione dovrà pagare una multa tra 100 e 400 euro. Divieto di circolazione contromano e sui marciapiedi, a meno che i veicoli non siano condotti a mano. Divieto di sosta selvaggia e sui marciapiedi. E divieto di circolazione nelle aree extraurbane: in questo caso scatta il blocco da remoto per i veicoli in sharing e saranno i gestori a dover installare sistemi automatici che impediscano il funzionamento al di fuori delle aree della città in cui è consentita la circolazione dei monopattini. Multa da 200 a 800 euro anche per chiunque circoli con un monopattino privo di frecce e di freno su entrambe le ruote. Sanzioni anche per chi trucca il motore potenziandolo o per contraffazione dei dati del proprietario.
Accertamenti da remoto
Sarà possibile contestare attraverso gli accertamenti da remoto anche la violazione dell’obbligo di dare precedenza in corrispondenza degli attraversamenti a pedoni e ciclisti; nonché la violazione del divieto di fermata e della sosta riservata, nei soli casi in cui siano occupati gli stalli riservati a organi di polizia stradale, vigili del fuoco e servizi di soccorso, stalli rosa e stalli riservati a disabili, veicoli elettrici, al carico/scarico delle merci e ai servizi di trasporto pubblico.
Piste ciclabili
Infine la Conferenza unificata ha proposto di intervenire con regolamento per ampliare il novero delle strade adatte alla realizzazione di piste ciclabili. Per gli automobili scatta l’obbligo di mantenere un metro e mezzo di distanza dalle bici durante i sorpassi.
GIUSTE LE MODIFICHE AL CODICE DELLA STRADA? Si & No
Il messaggio che stiamo dando è chiaro. Il nuovo codice della strada tutela i cittadini e responsabilizza i giovani: così le strade sono più sicure. Gianluca Cantalamessa (senatore Lega) su Il Riformista il 29 Giugno 2023
Nel “Si&No” del Riformista spazio al nuovo codice della strada approvato in Consiglio dei Ministri i cui testi dovranno ora passare al vaglio del Parlamento. Giuste le modifiche al codice della strada? Favorevole il senatore della Lega Gianluca Cantalamessa secondo cui “il nuovo disegno di legge prevede maggiori tutele per i cittadini“. Contrario Andrea Marcucci, presidente Liberal Democratici Europei. “Già ci sono leggi severe, puntiamo su controlli e prevenzione” dichiara.
Qui il commento di Gianluca Cantalamessa:
Il disegno di legge voluto da Matteo Salvini nasce dall’esigenza di riportare sicurezza sulle nostre strade, attraverso regole chiare e tutele per tutti gli utenti della strada. In primis tolleranza zero per chi si mette al volante ubriaco o drogato. Assistiamo quotidianamente a incidenti mortali causati da alcool e droghe. Con il testo approvato in Consiglio dei ministri si interviene con il ritiro immediato della patente e il successivo divieto di conseguire il titolo di guida per tre anni se il conducente risulta positivo al test rapido, a prescindere dal grado di alterazione. Per i recidivi vigerà il divieto assoluto di assumere alcolici prima di mettersi alla guida per due o tre anni, a seconda del reato commesso. Sono introdotte per chi è stato già condannato per reati specifici misure preventive, come il cosiddetto “alcolock”, il dispositivo che blocca l’avvio del motore se il guidatore ha un tasso alcolemico superiore allo zero.
La cronaca ci riporta ogni giorno notizie di ragazzi coinvolti in incidenti stradali, di fatto la prima causa di morte tra i giovanissimi. Basta vedere le statistiche ISTAT relative al 2021, che ci confermano questo dato nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 29 anni, il 35% del totale. È importante responsabilizzare i più giovani, così come intende fare il governo attraverso la promozione di corsi di educazione stradale nelle scuole per insegnare fin da piccoli l’importanza di un utilizzo consapevole dei mezzi di trasporto, rilasciando anche un bonus di due punti sulla patente a chi li ha frequentati. Allo stesso tempo servono regole certe: con il nuovo testo si prevede il divieto assoluto di conseguire la patente fino al compimento dei 24 anni per i minorenni sorpresi alla guida senza patente e sotto effetto di sostanze stupefacenti. Inoltre i neopatentati non potranno guidare auto di grossa cilindrata prima dei tre anni dal conseguimento del titolo di guida.
Più responsabilità per i conducenti anche nell’utilizzo del cellulare, con la sospensione della patente per chi usa i dispositivi alla guida, e linea dura anche nei confronti di chi commette altre violazioni. Dalla conduzione contromano ai sorpassi non consentiti, al mancato utilizzo dei sistemi di sicurezza per bambini. Stop ai monopattini selvaggi. Regole certe per l’utilizzo dei veicoli a due ruote, prevedendo l’obbligo di casco, targa e assicurazione. Sanzioni più severe contro la sosta selvaggia e il mancato rispetto delle regole da parte degli utilizzatori, che molto spesso sfrecciano nelle nostre strade contromano o circolano in zone extraurbane, mettendo in pericolo gli altri utenti della strada e loro stessi. Regole anche per i servizi di sharing, da utilizzare soltanto in aree consentite per evitare il blocco da remoto.
Il provvedimento ha pensato a tutti, anche ai ciclisti e ai motociclisti. Maggiori tutele per i primi con i sorpassi sicuri sia su strade urbane che extraurbane, prevedendo una distanza di almeno 1 metro e mezzo nell’effettuare la manovra. Attenzione anche per i centauri, grazie ai guard rail salvavita. Si introducono misure di sicurezza come il Safety car, che in caso di incidenti in autostrada rallenterà il traffico ed eviterà ulteriori sinistri, e maggiori controlli in tratti pericolosi come i passaggi a livello, introducendo più segnaletica e anche le telecamere.
Il testo inaugura un nuovo approccio da parte delle amministrazioni alle multe: non più un sistema per fare cassa con lo stop agli autovelox mangiasoldi. Lo scopo è punire chi sbaglia, evitare i comportamenti pericolosi. Sono introdotte nuove norme per le Zone a traffico limitato, che dovranno rispettare criteri di buonsenso, lasciando ai sindaci la facoltà di gestirle nel rispetto dell’ambiente e delle esigenze dei cittadini. Oltre al disegno di legge è stata approvata in Consiglio dei ministri la legge delega per riformare il Codice della strada, che risale a trent’anni fa. Il messaggio che stiamo dando è chiaro: a nove mesi dall’insediamento del governo è una priorità ammodernare le norme italiane in materia di circolazione, prestando attenzione a tutti i fruitori, arrivando anche ai più giovani, come ha fatto il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, con l’obiettivo di rendere le nostre strade più sicure. Gianluca Cantalamessa (senatore Lega)
Misure veramente eccessive. Sbagliato il nuovo codice della strada, fare la voce grossa non serve: puntiamo su controlli e prevenzione. Andrea Marcucci (Presidente Liberal Democratici Europei) su Il Riformista il 29 Giugno 2023
Nel “Si&No” del Riformista spazio al nuovo codice della strada approvato in Consiglio dei Ministri i cui testi dovranno ora passare al vaglio del Parlamento. Giuste le modifiche al codice della strada? Favorevole il senatore della Lega Gianluca Cantalamessa secondo cui “il nuovo disegno di legge prevede maggiori tutele per i cittadini“. Contrario Andrea Marcucci, presidente Liberal Democratici Europei. “Già ci sono leggi severe, puntiamo su controlli e prevenzione” dichiara.
Qui il commento di Andra Marcucci:
Le leggi giustamente severe già c’erano e penso soprattutto a quella sull’omicidio stradale introdotta dal governo di Matteo Renzi nel 2016. Il punto è che le leggi, anche fossero draconiane, servono a poco. Il problema sono i controlli, le sanzioni, gli organici delle forze di polizia, gli input che vengono trasmessi agli agenti. Per la strada viaggiano troppi automobilisti che sanno di poterla fare franca nove volte su dieci. Nessuno li fermerà, nessuno li multerà. E non certo perché manchino le leggi, che sia prima di Salvini o dopo. E quindi sgombriamo il tavolo dagli equivoci. Fare la voce grossa, come sta facendo il ministro dei trasporti Matteo Salvini, non porterà automaticamente ai risultati desiderati da tutti.
Quello che rende funzionante un codice stradale, non sono tanto le norme, o meglio non solo, ma soprattutto gli operatori che le rendono reali, oltre che una vasta rete di prevenzione ed educazione a partire dalle scuole. Intervenire sulle leggi, magari sull’onda di drammatici casi di cronaca, renderle più pesanti, può essere congeniale alla popolarità di un ministro, ma non attenua purtroppo il fenomeno dei tanti pirati della strada, la sensazione diffusa di non incorrere in multe di alcun tipo. Perché poi in strada, non ci sarà nessuno a farle, pochi agenti a controllare. Così il vero limite del disegno di legge del governo è che rischia di essere aleatorio ed ingiusto verso i giovani, che sono i principali bersagli del Codice. Poi per l’appunto si tratta di un disegno di legge, passerà dalla lettura di Camera e Senato, in pratica sappiamo come entra, non sappiamo come uscirà.
Il suo limite è evidente, punitivo nelle intenzioni, evanescente nelle misure di controllo. Con una confusione di fondo, come fosse un patchwork di misure che non hanno in mente la realtà della strada e dei mezzi che vi circolano. Misure veramente eccessive per biciclette e monopattini, come se non esistessero alternative neanche nelle città per le auto private. L’unico risultato, in questo caso, sarà quello di ridurre allo stremo gli operatori economici del comparto. Introdurre casco e targa per i monopattini non ha proprio senso, bisognerebbe anche in questo caso sanzionare le persone che infrangono le regole, giovani che salgono sul mezzo in tre, che non rispettano i divieti, e via di seguito. Il ministro invece ha scelto di affossare un settore, così l’unico risultato che può ottenere sarà solo quello di congestionare ulteriormente le aree metropolitane, oltre che indebolire un comparto, mi riferisco alle bici, che vale 3,2 miliardi di euro.
Intervenire con mano dura sulla micromobilità, non attenuerà gli effetti delle stragi stradali, rischia piuttosto di allontanare le persone da scelte di diversa mobilità, che pure sono utili per fermare l’aumento delle morti su strada in città, per le quali l’Italia detiene il triste primato in Europa. Nelle città avvengono infatti oltre il 70% di tutti i sinistri stradali, ed è da qui che si dovrebbe partire. Ed allora che senso ha limitare, scoraggiare, le zone a traffico limitato? Qual è l’obiettivo? Un caso lampante di una legge che a parole si prefigge di essere a tolleranza zero, nei fatti rischia il cappotto di zero titoli. Il Codice della Strada avrebbe bisogno di una riforma strutturale, che si prenda la briga di riscrivere i cardini di una mobilità moderna, che rispetto al passato prevede più mezzi a disposizione. Ed ho già scritto che secondo me nelle città, la scommessa passa dall’offrire ed incoraggiare modalità alternative di trasporto a tutte le ore, rispetto alle autovetture. Cosa che il ministro Salvini si guarda bene da fare.
Il leader della Lega anzi sembra molto più attento a confermare un vecchio detto, non troppo amichevole nei nostri confronti, ma che ahimè contiene pure una qualche verità, soprattutto se si riferisce alla strada: «In Italia puoi avere tutte le leggi che vuoi. Purché non vengano applicate». Il codice Salvini da questo punto di vista può passare anche come modello. Andrea Marcucci (Presidente Liberal Democratici Europei)
Il CdM approva il nuovo codice della strada: ecco le nuove regole. Redazione su Il Riformista il 27 Giugno 2023
Approvato oggi in Consiglio dei Ministri il disegno di legge sulla sicurezza stradale e la delega per la riforma del codice della strada.
Il ddl esaminato oggi contiene molti dei suggerimenti e delle idee condivise in vari incontri con associazioni, enti, esperti e addetti ai lavori. “Si tratta di un progetto ambizioso che consta di più azioni: interviene su sanzioni, prevenzione e educazione stradale. Ma anche su ztl, autovelox e segnaletica”, spiega la nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato da Matteo Salvini. Nel corso del Consiglio dei ministri è stato inoltre esaminato e approvato il disegno di legge-delega per una riforma della disciplina sulla circolazione stradale, che riordina e razionalizza la materia anche nell’ottica dell’ammodernamento del testo normativo in vigore, che risale al 1992. I testi ora dovranno passare il vaglio del Parlamento.
ALCOOL E DROGHE
Il disegno di legge prevede un rafforzamento delle misure di contrasto alla guida sotto l’effetto di alcol e droghe, con l’introduzione del divieto assoluto di assumere alcolici per i conducenti già condannati per reati specifici e l’obbligo, per gli stessi, di installare il cosiddetto “alcolock”, che impedisce l’avvio del motore se il tasso alcolemico del guidatore è superiore allo zero: si tratta di un misuratore già adottato in diversi Paesi Ue. Sarà punibile, a prescindere dallo stato di alterazione psico-fisica, guidare avendo assunto droghe, e la positività al test rapido farà scattare immediatamente il ritiro della patente e successivamente anche il divieto di conseguire il titolo di guida per tre anni. Divieto assoluto di conseguire la patente fino al compimento dei 24 anni per i minorenni sorpresi alla guida senza patente e sotto l’effetto di droga
AUMENTANO I CASI DI SOSPENSIONE DELLA PATENTE
Stretta pesantissima sull’utilizzo del cellulare alla guida, “visto che il 15% degli incidenti è figlio della distrazione dovuta alle chat e ai whatsapp”, ha dichiarato il Ministro Salvini: non ci sarà solo la decurtazione dei punti dalla patente, ma ci sarà la sospensione. Stessa sanzione anche per la circolazione contromano, il sorpasso azzardato ed il mancato utilizzo dei sistemi di sicurezza dei bambini. La sospensione della patente va da 7 a 15 giorni a seconda del numero di punti posseduti al momento dell’accertamento. I giorni di sospensione raddoppiano in caso si sia causato un incidente.
NEOPATENTATI
I neopatentati non potranno mettersi alla guida di veicoli di grossa cilindrata prima dei tre anni dal momento del conseguimento della patente: coloro che hanno appena preso la patente potranno guidare vetture con il rapporto peso/potenza al massimo di 55 kw per tonnellata e comunque l’auto non potrà avere una potenza massima superiore a 70 kw (95 cavalli)..Ma sarà anche potenziata l’educazione in ambito scolastico, con corsi extracurricolari di educazione stradale che avranno una premialità finale: a ogni studente che li avrà frequentati verranno attribuiti due punti aggiuntivi all’atto del conseguimento della patente.
LIMITI DI VELOCITA’ E AUTOVELOX
È previsto che sui tratti autostradali più sicuri, con un tasso di incidenti molto basso, sia consentito superare il limite di 130 km/h. Maggiore chiarezza inoltre sugli autovelox: con successivo regolamento saranno uniformate le modalità di approvazione degli strumenti di rilevazione della velocità. “Sugli autovelox stiamo lavorando perché siano uniformati a livello nazionale e siano strumento di utilità nel salvare vite, e non siano unicamente usati per fare cassa per rimpinguare le case comunali. Un conto è tutelare la sicurezza stradale, un conto intervenire in situazioni non opportune sulla mobilità”, ha spiegato lo stesso Salvini.
MONOPATTINI
Sono previste nuove norme sui monopattini, con l’obbligo di casco, targa e assicurazione. Quelli in sharing non potranno funzionare al di fuori delle aree consentite. Vengono inoltre introdotti il divieto assoluto di circolazione contromano, il divieto di sosta selvaggia e sui marciapiedi e sanzioni per mancanza di frecce, freni, contraffazione dati del proprietario, potenziamento illegale del motore per modificare la velocità. Per chi circola senza assicurazione è prevista una sanzione da 100 a 400 euro, mentre per chiunque circoli con un monopattino privo di indicatori luminosi di svolta e di freno su entrambe le ruote viene comminata una multa da 200 a 800 euro.
SOSTA SELVAGGIA
Severe sanzioni per la sosta selvaggia, per la guida in contromano e su strade extraurbane particolarmente trafficate e pericolose.
CICLISTI
Maggiori garanzie anche per i ciclisti, con la disciplina del sorpasso in sicurezza sia su strade urbane che extraurbane, prevedendo – ove possibile – almeno 1,5 metri di distanza nell’effettuare la manovra. Nessuna complicazione burocratica per chi sceglie le due ruote, anche con pedalata assistita.
ZTL-ZONE A TRAFFICO LIMITATO
Infine vengono introdotte nuove norme sulla disciplina delle zone a traffico limitato, che dovranno essere usate con il criterio del massimo buon senso: stop a eccessive limitazione dannose e poco chiare, ai sindaci il compito di proporre soluzione equilibrate che tutelino ambiente, libertà di circolazione e lavoro.
ALTRE NORME
Viene introdotta la “Safety car”: in caso di incidenti sull’autostrada, entrerà il nuovo veicolo per rallentare la circolazione e prevenire altri sinistri. Più segnaletica e controlli infine sui passaggi a livello, anche con telecamere.
SICUREZZA STRADALE. Super multe, test antidroga e sospensione patente: le nuove regole alla guida. La stretta sulla sicurezza stradale. Valentina Iorio su Il Corriere della Sera il 27 Giugno 2023
Rafforzamento delle misure di contrasto alla guida sotto l’effetto di alcol e droghe, con l’introduzione del divieto di assumere alcolici per i conducenti già condannati per reati specifici. Sono alcune delle novità del disegno di legge sulla sicurezza stradale approvato dal Consiglio dei ministri di martedì 27 giugno. «Dobbiamo adottare una politica di tolleranza zero nei confronti di chi guida sotto l’effetto dell’alcol o di droghe, con il ritiro immediato della patente fino a 20 giorni per il primo episodio e, in caso di recidiva, il ritiro della patente fino a 30 anni», aveva detto il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, in mattinata a Rtl. «È inoltre previsto che sui tratti autostradali più sicuri, con un tasso di incidenti molto basso, sia consentito superare il limite di 130 km/h», ha aggiunto.
Super multe, test antidroga e sospensione patente: le nuove regole alla guida. Valentina Iorio su Il Corriere della Sera il 27 Giugno 2023
«Alcolock» e test antidroga
Scatta il divieto di assumere alcolici per i conducenti già condannati per reati specifici e l’obbligo di installare il cosiddetto «alcolock», il dispositivo che impedisce l’avvio del motore se il tasso alcolemico del guidatore è superiore allo zero. Si tratta di un misuratore già adottato in diversi Paesi Ue. Sarà punibile, a prescindere dallo stato di alterazione psico-fisica, guidare avendo assunto droghe, e la positività al test rapido farà scattare immediatamente la revoca della patente e successivamente anche il divieto di conseguire il titolo di guida per tre anni.
Giro di vite sui neopatentati
Le nuove regole proposte dal ministero prevedono che i neopatentati non potranno guidare auto di grossa cilindrata per i primi tre anni. Coloro che hanno appena preso la patente potranno guidare vetture con il rapporto peso/potenza al massimo di 55 kw per tonnellata e comunque l’auto non potrà avere una potenza massima superiore a 70 kw (95 cavalli).
Sospensione della patente in caso di super multa
Secondo quanto anticipato nei giorni scorsi, il ddl prevede anche che, in caso di super multa per eccesso di velocità o per altre infrazioni che comportano la decurtazione dei punti, la patente venga sospesa se si hanno già meno di 20 punti. Tra gli illeciti indicati, il mancato rispetto del senso vietato e del divieto di sorpasso. La sospensione della patente va da 7 a 15 giorni a seconda del numero di punti posseduti al momento dell’accertamento. I giorni di sospensione raddoppiano in caso si sia causato un incidente.
Casco obbligatorio in monopattino e assicurazione
Il ddl, aveva spiegato Salvini nei giorni scorsi, conterrà anche norme «a tutela dei ciclisti per evitare i sorpassi senza un metro e mezzo di spazio», per i «monopattini» sarà previsto l’obbligo di indossare il casco. Inoltre i mezzi a due ruote dovranno avere un codice identificativo ed essere coperti da assicurazione. Per chi circola senza assicurazione è prevista una sanzione da 100 a 400 euro, mentre per chiunque circoli con un monopattino privo di indicatori luminosi di svolta e di freno su entrambe le ruote viene comminata una multa da 200 a 800 euro. Inoltre i monopattini elettrici noleggiati nelle città italiane dovranno essere dotati di un meccanismo che li blocchi se escono dalle aree consentite.
Uniformità sugli autovelox
«Sugli autovelox stiamo lavorando perché siano uniformati a livello nazionale e siano strumento di utilità nel salvare vite, e non siano unicamente usati per fare cassa per rimpinguare le case comunali. Un conto è tutelare la sicurezza stradale, un conto intervenire in situazioni non opportune sulla mobilità», aveva spiegato Salvini. Nel testo del ddl compaiono anche modifiche in materia di sicurezza dei passaggi a livello ferroviari e nuove sanzioni per la sosta vietata e le ztl.
Due punti a chi fa corsi di educazione stradale
Saranno attribuiti due punti di credito al momento del rilascio della patente a seguito della partecipazione a corsi extracurriculari di educazione stradale organizzati da istituzioni scolastiche, statali o paritarie. L’obiettivo, è quello di «sensibilizzare gli utenti alle tematiche della sicurezza stradale e incentivare la partecipazione a corsi di formazione sulla materia», si legge nella relazione che accompagna il documento presentato dal governo.
Gli altri provvedimenti in discussione
All’ordine del giorno del Consiglio dei ministri c’è anche la proroga del bonus bollette per le famiglie meno abbienti e un decreto legge con disposizioni urgenti per la ricostruzione sui territori colpiti dall’alluvione di inizio maggio in Emilia Romagna. Verranno poi esaminati: un decreto legislativo sulla semplificazione dei controlli sulle attività economiche e un disegno di legge per l’abrogazione di norme prerepubblicane relative al periodo 1871-1890 e di altre norme del 1861-1870.
Bonus bollette altri tre mesi di proroga
Il bonus sociale per aiutare i meno abbienti a pagare le bollette dovrebbe essere prorogato per altri tre mesi. Il provvedimento dovrebbe far valere fino a settembre anche il taglio dell’Iva al 5% e l’azzeramento degli oneri generali di sistema solo per il gas. Non dovrebbe invece arrivare la proroga per i crediti di imposta. La misura, come spiegano fonti di governo, si sostiene con risparmi di spesa sulle somme già stanziate per gli aiuti contro il caro bollette nel primo semestre.
Figliuolo nuovo commissario per la ricostruzione
Nell’ambito della discussione sul decreto legge con disposizioni urgenti per la ricostruzione sui territori colpiti dall’alluvione in Emilia-Romagna, dovrebbe arrivare anche il via libera alla nomina del commissario per la ricostruzione. Il nome attorno al quale si è compattata la maggioranza è quello del generale Francesco Paolo Figliuolo. Figliuolo, comandante del Comando operativo di vertice interforze, è stato commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 da marzo 2021 a marzo 2022, su nomina del governo Draghi.
Iva al 5% per il gas
Anche per il terzo trimestre (dal primo luglio al 30 settembre 2023) è stata confermata la riduzione dell’Iva al 5% sulle somministrazioni di gas metano per usi civili e industriali. Prorogati anche l’azzeramento degli oneri di sistema per il settore del gas e l’aliquota Iva ridotta al 5% per il teleriscaldamento e per l’energia prodotta con il gas metano.
Cosa è l’alcolock previsto nel nuovo codice della strada. Redazione su Il Riformista il 27 Giugno 2023
L’alcolock – recentemente introdotto nel nostro ordinamento dal nuovo codice della strada approvato dal Consiglio dei Ministri, ora al vaglio del Parlamento -, noto anche come dispositivo di blocco dell’alcol o interlock, è un dispositivo elettronico progettato per prevenire l’avvio di un veicolo da parte di una persona sotto l’influenza dell’alcol. È un dispositivo di sicurezza installato nei veicoli, principalmente utilizzato per prevenire la guida in stato di ebbrezza.
Il funzionamento dell’alcolock si basa sulla rilevazione del livello di alcol nel respiro dell’individuo. Di solito, è installato sul cruscotto del veicolo e richiede all’utente di soffiare nell’apposito tubo di respirazione. Il dispositivo analizza il campione di alito per determinare la presenza e il livello di alcol nel sistema dell’individuo. Se il livello di alcol rilevato supera una soglia prestabilita, il dispositivo impedisce l’avvio del veicolo.
L’alcolock può essere utilizzato come misura di sicurezza per coloro che hanno commesso reati legati alla guida in stato di ebbrezza o per i conducenti con restrizioni legali sul consumo di alcol. Può essere richiesto dalle autorità come parte di una condanna penale o come condizione per il ripristino di una patente di guida sospesa a causa di reati correlati all’alcol.
L’obiettivo principale dell’alcolock è quello di proteggere la sicurezza stradale e prevenire incidenti causati dalla guida in stato di ebbrezza. Oltre a impedire l’avvio del veicolo, molti alcolock registrano anche i dati relativi ai test di alcol effettuati, che possono essere utilizzati per monitorare il rispetto delle restrizioni sull’alcol e fornire informazioni alle autorità competenti.
In Europa sono 17 i Paesi dove l’alcolock è equipaggiato sui veicoli oppure lo sarà a breve. La Svezia ha adottato volontariamente l’obbligo dell’etilometro sui veicoli per il trasporto pubblico con funzione di riabilitazione per chi viene sorpreso a bere al volante. La Finlandia, come la Svezia, ha introdotto spontaneamente l’obbligo dell’alcolock sui veicoli commerciali e scuolabus. In Polonia, Danimarca, Austria, Belgio, Francia, Regno Unito, Portogallo e Germania l’alcolock è presente su tutti i mezzi commerciali pesanti. Tra i Paesi dell’Unione Europea, l’Irlanda, la Germania, la Slovenia, Lettonia, Estonia e la Spagna stanno definendo norme ad hoc sull’uso dell’alcolock. Tra i Paesi in cui bisogna soffiare nell’alcolock per partire, la Lituania ha annunciato l’obbligo sui veicoli commerciali a scopo riabilitativo. Negli Stati Uniti, l’uso dell’alcolock è regolamentato a livello statale. Alcuni stati richiedono l’installazione di un alcolock come condizione per il ripristino della patente di guida dopo una condanna per guida in stato di ebbrezza. Altri stati possono richiederlo per i conducenti con una storia di reati correlati all’alcol o per i conducenti con restrizioni legali sul consumo di alcol. In Canada, l’uso dell’alcolock è regolamentato a livello provinciale. Ad esempio, la provincia dell’Ontario ha introdotto il programma “Alcolock Ignition Interlock Program” che richiede l’installazione di un alcolock per determinati conducenti condannati per guida in stato di ebbrezza. In Australia, infine, l’obbligo dell’alcolock varia da stato a stato. Ad esempio, nel Nuovo Galles del Sud è richiesta l’installazione dell’alcolock per determinati conducenti condannati per guida in stato di ebbrezza.
La difesa è diritto inviolabile.
Art. 24 della Costituzione. Testo in vigore dal: 1-1-1948
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Nemo tenetur se detegere. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La locuzione latina nemo tenetur se detegere (anche nelle forme nemo tenetur se ipsum accusare e nemo tenetur edere contra se) esprime il principio di diritto processuale penale in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale (auto-incriminazione).
Valore costituzionale
Tale principio trova accoglimento nel Codice di Procedura Penale di molti paesi, a partire dal V emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America, laddove si afferma che nessuno «può essere obbligato in qualsiasi causa penale a deporre contro sé medesimo».
L'ordinamento giuridico, nel bilanciamento degli interessi in gioco, accorda preferenza alla libertà personale - e, secondo una dottrina, all'onore della persona - piuttosto che all'interesse alla repressione dei reati. Se tutti i soggetti del procedimento penale fossero obbligati a collaborare incondizionatamente con la Giustizia fino al punto di incriminare se stessi, verrebbe infatti meno la libertà morale dell'imputato, che ha diritto di scegliere se e come difendersi anche quando colpevole: in Italia ciò fu riconosciuto dalla legge n. 932 del 1969, in base alla quale l’interrogatorio non fu "più considerato «narrazione obbligatoria e a titolo di verità cui è costretto l’indagato-imputato», ma concepito essenzialmente come strumento per l’esplicazione del diritto di difesa" accordato dall'articolo 24 della Costituzione.
Diversi sono gli istituti finalizzati a garantire i diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento penale. Fra questi, si ricorda in particolare il privilegio contro l'autoincriminazione, che viene riconosciuto all'indagato e all'imputato: essi non sono tenuti a rispondere alle domande che vengono loro poste, e possono perfino mentire. Non possono commettere in tal modo i reati di falsa testimonianza, false informazioni al Pubblico ministero e favoreggiamento.
Il privilegio contro l'autoincriminazione è riconosciuto altresì ai testimoni, i quali possono opporlo qualora dalle risposte alle domande loro poste potrebbe emergere una propria responsabilità penale.
Varianti
Common law
Nel diritto anglosassone il medesimo privilegio si articola in modo profondamente diverso: all'imputato è concesso il diritto di non rispondere, come si desume dal noto Quinto Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d'America, ma non quello di mentire. Nel caso egli decida di parlare, sarà tenuto a dire il vero, a pena di incriminazione per falsa testimonianza. Per questo motivo nel diritto anglosassone anche l'imputato è ritenuto teste attendibile, ma, di contro, sconta la propria perseguibilità qualora sia provato che menta.
CEDU
Le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo sono decisive per l'interpretazione e l'applicazione del principio nemo tenetur se detegere, per gli Stati membri del Consiglio d'Europa.
Nella sentenza Funke contro Francia la Corte ha stabilito per la prima volta che l'autorità investita della persecuzione penale non può obbligare nessuno a cooperare con la propria condanna, pena la violazione del diritto a un processo equo di cui all'articolo 6 della CEDU. Dopo questa sentenza, rimaneva però tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa un certo margine di dubbio circa l'esatto confine del principio così proclamato: temevano che non sarebbe stato più possibile controllare il rispetto di molte leggi e regolamenti, perché questo spesso richiede la collaborazione del cittadino (v. ad esempio la compilazione della dichiarazione dei redditi).
Nella sentenza Saunders contro Regno Unito queste ambiguità sono state chiarite. In quella sentenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il diritto di non cooperare con la propria condanna si applica solo alle prove (orali o scritte) che dipendono dalla volontà dell'imputato; al contrario, le prove che esistono indipendentemente dalla volontà dell'imputato non sono coperte dal diritto di non collaborare con la propria condanna. Per questi ultimi mezzi di prova, indipendentemente dal fatto che il sospettato lo voglia o meno, se richiesto egli è tenuto a presentare i relativi materiali all'autorità investita della persecuzione penale.
Processo amministrativo
Il principio del nemo tenetur se detegere vale anche nel processo amministrativo.
Estratto dell'articolo di Andrea Ossino per repubblica.it venerdì 1 settembre 2023.
La patente non può essere sospesa all’automobilista che rifiuta di sottoporsi all’alcol test. Non senza una visita medica. Non senza attendere un procedimento che accerti eventuali responsabilità. Lo sa bene un romano di 37 anni che il 24 luglio scorso ha vinto la causa davanti al giudice di pace di Roma Ugo Ferruta.
Una sentenza, quella ottenuta dall’automobilista, che farà sorridere migliaia di persone, ma non il diretto interessato. Perché nonostante la vittoria processuale, ha dovuto effettuare numerose telefonate e attendere oltre un mese per farsi restituire l’agognato documento.
[…]
Secondo il giudice di Pace infatti, l’articolo 186 del codice della strada “prevede espressamente la sospensione cautelare della patente di guida da parte del Prefetto nella sola ipotesi di cui all’articolo 186 comma 2 lettera c”, ovvero “qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro”.
Non è il caso del 37enne, che alle sette di sera del 29 marzo scorso, è stato fermato dai carabinieri dalle parti di Fiano Romano: «Rifiutava di sottoporsi all’accertamento dello stato di ebbrezza alcolica», si legge negli atti. Quindi: «La patente di guida è ritirata è sarà inviata alla prefettura di Roma», annotano i carabinieri.
[…] non è possibile sospendere la patente in via cautelare, ma solo con una sanzione amministrativa, che può essere emessa solo dopo una condanna (visto che si tratta anche di un reato penale) o un accertamento tramite visita medica.
A sostegno della sua tesi il legale ha prodotto una sfilza di sentenze. Da Torino a Verona, da Monopoli a Milano: secondo i giudici di Pace è possibile sospendere la patente solo a chi viene fermato con un elevato tasso alcolemico, almeno prima della conclusione di un procedimento.
[…]
La norma, insomma, genera confusione. E in queste ambiguità in molti potrebbero riavere la patente, almeno momentaneamente, dopo essersi rifiutati di sottoporsi all’alcol test.
PRELIEVO EMATICO FORZOSO: INTERPRETAZIONI INNOVATIVE PROPOSTE DALLE CIRCOLARI DI ALCUNE PROCURE DELLA REPUBBLICA I. Massimo Biffa su dippol.it.
I. In un mio precedente parere pubblicato su questo sito nel giugno 2012 ed intitolato “L’accertamento del tasso alcoolemico presso le strutture sanitarie. Problematiche inerenti l’attività di <>”, mi ero soffermato sul delicato problema - già allora ritenuto di particolare interesse nell’ambito della tematica relativa all’accertamento dello stato di ebbrezza con modalità diverse dall’accertamento sintomatico e da quello mediante etilometro - della utilizzabilità, a fini processuali, dei prelievi ematici effettuati senza il consenso dell’interessato. Nello scritto in questione davo conto del pressochè dominante orientamento della Cassazione secondo il quale “Ai fini dell’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito dell’incidente stradale sono utilizzabili, nei confronti dell’imputato, per l’accertamento del reato, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso ……. solo il prelievo ematico effettuato, in assenza di consenso, non nell’ambito di un protocollo medico di pronto soccorso – e dunque non necessario a fini sanitari – sarebbe inutilizzabile ex art. 191 c.p.p. per violazione del principio costituzionale che tutela l’inviolabilità della persona (art. 13 Cost.)”. (Cfr., in tal senso, Cass. Pen., Sez. IV, 9.12.2008, n. 4118). In definitiva, quindi, la Cassazione aveva distinto il prelievo ematico effettuato nell’ambito del normale protocollo medico, cioè per necessità curative, da quello richiesto dalla polizia stradale per soddisfare le esigenze probatorie in ordine all’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza. Nel primo caso, come visto, i risultati del prelievo possono essere utilizzati in sede processuale anche senza il consenso dell’interessato. Tale possibilità è dettata dal fatto che il suddetto prelievo costituisce un atto dovuto, perché preposto alla tutela dell’interessato e non all’accertamento del reato. I risultati ottenuti sono pertanto rispettosi dei principi previsti dal codice di procedura penale in materia probatoria ed è corretto escludere qualsiasi forma di abuso sulla persona. Nel secondo caso, invece, i risultati del prelievo ematico che fossero ottenuti senza il consenso dell’interessato sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 191 c.p.p. perché lesivi della libertà personale tutelata dall’art. 13 Cost.: la ragione dell’espletamento del prelievo ematico è legata, in questo caso, alle esigenze probatorie dell’organo inquirente – e non alla necessità di tutela della salute della persona – e contrasta pertanto con il diritto di rifiutare pratiche sanitarie invasive.
II. Di recente, l’entrata in vigore della legge 23 marzo 2016, n. 41, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 24 marzo 2016 e in vigore da 25 marzo 2016, che ha introdotto i nuovi reati di omicidio stradale (art. 589-bis c.p.) e di lesioni personali stradali (art. 590-bis c.p.), ha portato con sé una notevole quantità di problemi: la posta in gioco è così alta, con pene molto elevate, da richiedere la massima precisione nelle procedure. In particolare, con riferimento al delicato problema dell’accertamento dello stato di alterazione del guidatore dovuto ad assunzione di alcool o di sostanze stupefacenti, sono arrivate indicazioni da parte di alcune Procure della Repubblica sulla possibilità di procedere o meno al prelievo coattivo del sangue.
III. In ordine di tempo, per prima si è pronunciata la Procura di Trento secondo la quale non potrà ordinarsi il prelievo del sangue coattivo neanche al pirata della strada più incallito. Con la circolare n. 5 del 29 marzo 2016, infatti, nell’intento di fornire le prime indicazioni operative agli operatori di polizia giudiziaria, tale Procura, esponendo dubbi e perplessità sulla riforma dell’omicidio stradale, evidenzia come limiti insuperabili di rango costituzionale impediscano di fare ricorso al prelievo ematico coattivo per accertare lo stato di ebbrezza ed il tasso alcolemico anche in caso di incidente stradale che abbia cagionato morti o feriti. Il no della Procura di Trento al prelievo ematico forzoso discende infatti dalla rigorosa interpretazione dei principi contenuti nell’art. 13 della Costituzione e da quelli dettati dalla fondamentale sentenza della Corte Costituzionale, 9 luglio 1996, n. 238 per cui il prelievo ematico coatto viene considerato a tutti gli effetti una restrizione della libertà personale che invade anche la sfera corporale medica di ordinaria amministrazione (pur senza comprometterne l'integrità fisica, la salute psichica o la dignità). In buona sostanza, anche se sono state introdotte delle specifiche modifiche normative che consentono all'autorità giudiziaria la sottoposizione "coattiva" del soggetto al prelievo di liquidi biologici o ad accertamenti medici, la Procura considera che, comunque, tale disciplina deroga ai "principi costituzionali di cui all'articolo 13" e pertanto va interpretata in modo rigoroso e non estensivo. Per legge (ossia ai sensi dell’art. 224 bis c.p.p.) infatti, spiega la circolare, si può procedere al prelievo coattivo "di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale" e tale elencazione è tassativa, per cui non è legittimo imporre il prelievo ematico, anche se, in casi del genere, sarebbe il più attendibile per la verifica di uno stato di alterazione. In definitiva, quindi, il prelievo ematico non potrà mai essere imposto "coattivamente" neppure attraverso il ricorso allo strumentario di cui al combinato disposto degli articoli 224 bis (Provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale) e 359 bis c.p.p. (Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi).
IV. Una indicazione di segno opposto è invece venuta dal Procuratore della Repubblica di Udine che, con la circolare n. 1971/2016, ha chiarito gli aspetti della procedura di accertamento dello stato alterato del guidatore e ha detto si ai prelievi coattivi sostenendo che è legittimo, in caso di omicidio stradale, il prelievo coattivo del sangue per il controllo dell’alcolemia o dell’alterazione da stupefacenti. La posizione della Procura di Udine è sicuramente importante dato che, come appena visto, l’interpretazione restrittiva, fondata sulla pronuncia della Corte Costituzionale n. 238 del 9 luglio 1996, vorrebbe al contrario che la disciplina dei prelievi coattivi, in quanto derogativa dei principi costituzionali di cui all’art. 13, venga applicata in maniera rigorosa quanto ai “modi”, consistenti esclusivamente nel prelievo di capelli, peli e mucosa del cavo orale. Stando a questo approccio garantista, quindi, in caso di incidente non risulta legittimo imporre il prelievo ematico proprio perché tale tipo di prelievo non è ricompreso tra i mezzi espressamente codificati, la cui lista non sarebbe estensibile. Per la Procura di Udine, invece, “certamente il legislatore non ha previsto un così preciso ed apparentemente inesorabile meccanismo di prelievo coattivo, per permettere che esso venga aggirato solo perché può provocare una qualche sofferenza”. Quindi, ed è qui la novità, “deve ritenersi che il prelievo del sangue mediante la consueta puntura con una siringa sterile sia un operazione che, salvo casi assolutamente eccezionali, provochi una sofferenza di lieve entità, come tale compatibile con l’art. 224-bis”. In questi casi i sanitari – cioè l’infermiere che fa il prelievo ed il medico o tecnico di laboratorio che analizza il reperto - sono qualificati come ausiliari di polizia giudiziaria. E se l’autore del sinistro giunge in ospedale in stato di incoscienza, secondo la Procura di Udine potrà farsi applicazione analogica dell’art. 359 bis, comma 3 e considerare l’impossibilità di esprimere un consenso alla stregua di un rifiuto.
V. Sempre a favore del si al prelievo di sangue eseguito coattivamente si sono espressi il Procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi, e quello di Torino, Armando Spataro, ma sulla base di considerazioni del tutto diverse da quelle proposte dal collega del Friuli. Le due Procure in questione hanno infatti annunciato un'interpretazione rigida della normativa, con il prelievo del sangue coatto in caso di rifiuto di sottoporsi all'etilometro dopo un incidente con feriti gravi o morti. Cozzi, nelle linee guida della procura, ha esposto un principio: chi si rifiuterà di eseguire l'alcoltest, subirà un prelievo di sangue obbligatorio. Anche contro la sua volontà. Stop, quindi, al tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità rifiutandosi di eseguire il più semplice degli esami. La nuova legge lo prevede, anche se è obbligatorio il via libera di un magistrato, di un pubblico ministero. L'autorizzazione può arrivare anche "per via orale" (s'immagina per telefono) alle pattuglie che intervengono, anche se va poi confermato per iscritto. Il Procuratore di Torino, poi, scrive: “poiché il comma 3 bis dell’art. 339 bis del Codice di procedura penale opera esclusivamente nei casi di omicidio stradale e lesioni stradali, va da sé che i prelievi e gli accertamenti ivi citati non possono che essere quelli previsti dal Codice della Strada per l’accertamento dello stato di alterazione da alcol o stupefacenti”, tra i quali i commi 4 e 5 dell’art. 186 e il comma 3 dell’art. 187 del Codice della strada prevedono il prelievo ematico. Aggiunge quindi il Procuratore di Genova che l’esclusione del prelievo ematico dalla tipologia di accertamenti effettuabili coattivamente renderebbe “inutile” la modifica apportata all’art. 359 bis del Codice di procedura penale dalla Legge 46/2016, posto che “il prelievo salivare e pilifero è del tutto inidoneo a provare il tasso alcolemico. L'analisi del sangue è sicuramente una limitazione breve della libertà, ma non presenta rischi particolari, a meno che il sanitario non accerti il contrario ». Tanto che nella nuova direttiva anche le forze dell'ordine e i medici dei pronto soccorso, quando saranno chiamati a svolgere il prelievo, diventeranno a tutti gli effetti ausiliari di polizia. V.1. A seguito della circolare del Procuratore della Repubblica, il Consiglio dell'Ordine degli avvocati e la Camera penale di Genova hanno espresso dubbi sulla legittimità costituzionale del prelievo del sangue coatto in caso di rifiuto a sottoporsi al test con l'etilometro quando il conducente provoca un incidente con feriti gravi o morti e, sposando le ragioni che abbiamo visto poste alla base della diversa posizione assunta dalla Procura di Trento, hanno ritenuto che "La disciplina dei prelievi coattivi va interpretata in modo rigoroso, e non estensivo, visto che deroga a principi costituzionalmente garantiti. Non è legittimo il prelievo coattivo del sangue perché è una restrizione non solo della libertà personale, ma la travalica perché invade la sfera corporale".
VI. In conclusione, dunque, non si può non constatare la mancanza di un indirizzo univoco in materia: l’esempio della procura genovese, infatti, non è seguito in tutta Italia e si rischia un’applicazione di questa norma del codice penale a macchia di leopardo. La prima difformità viene dalla Procura di Trento: come visto, secondo la conclusione del Procuratore Amato è possibile disporre prelievi di capelli, di peli e di mucosa orale, ma non di sangue. Si va contro l'articolo 13 della Costituzione, quello sull'inviolabilità della libertà personale. Ma possiamo ritenerlo un caso isolato? Anche Adelchi D'Ippolito, Procuratore aggiunto a Venezia, incalza: "Ho molte perplessità su una legge passata sull'onda di emozioni fortissime.” Il procuratore della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, spiega: "La legge sull'omicidio stradale è scritta male e presenta profili di illegittimità costituzionale". Anche lui fa la sua circolare, e spiega che eventuali prelievi forzati devono essere eseguiti "nell'alveo della legittimità costituzionale e nel rispetto dei diritti della persona". In ogni caso, chi ha provocato l'incidente dev'essere avvisato della possibilità di esser assistito da un avvocato. Di fiducia, se è in grado di arrivare in un'ora, o d'ufficio. Altre procure si sono fatte, invece, minori rovelli. Via libera a Sondrio ("i problemi di conflitto con l'articolo 13 sono già stati risolti dalla nuova legge") e, appunto, a Genova. Esiste, quindi, la reale possibilità che di fronte a un incidente dalle gravi conseguenze chi si rifiuta di fare l'alcoltest si trovi ad affrontare conseguenze differenti, determinate dal luogo e dall'orientamento della relativa Procura. La direzione nazionale della Polizia Stradale, a Roma, sfodera in questo frangente la diplomazia: "In realtà siamo solo nella prima fase di applicazione delle norme sull'omicidio stradale ed è fisiologico che su alcuni dettagli ci siano delle interpretazioni differenti. L'impostazione generale delle nuove norme è però solida e non sta determinando particolari difficoltà". E sull'alcoltest rifiutato? "Per ora ci stiamo limitando a catalogare i vari orientamenti delle procure". Tradotto: il caso sarà proposto al governo solo quando la geografia interpretativa dei vari Procuratori della Repubblica sarà più ampia e più chiara. Più difficile, però, la situazione per chi deve operare sul campo. Anche perché, al di là dell'aumento delle pene, la precedente legge comportava minori difficoltà. Mentre se prima dell'omicidio stradale un automobilista si rifiutava di eseguire il test automaticamente aveva il massimo della pena, ora la polizia deve contattare l'autorità giudiziaria che dia l'ok per portare la persona in ospedale per il prelievo. Di fronte a un ulteriore rifiuto, si apre la questione di quanto sia il massimo di forza utilizzabile per obbligarlo al prelievo stesso, rischiando anche di violare la Costituzione. Un dilemma non ancora chiarito, anche se il personale auspicio è sicuramente quello di muoversi nel più assoluto rispetto dei fondamentali principi costituzionali a salvaguardia della inviolabilità e della libertà della persona. Massimo Biffa Roma, 21 settembre 2016
ALCOLTEST: BILANCIAMENTO TRA GARANZIE DIFENSIVE ED ESIGENZE DI ACCERTAMENTO. MARTINA JELOVCICH, Dottoranda di ricerca in Procedura penale presso l’Università degli Studi di Udine e di Trieste, su air.uniud.it1.
PREMESSA Diritto di difesa e disciplina probatoria individuano il loro fondamento razionale nella presunzione di innocenza. Questo principio rappresenta, infatti, «un concetto forza nel sistema del nostro processo, che non può non influire sulla metodologia dell’accertamento penale»
1 . È proprio su questa metodologia, soprattutto quando consiste in atti cognitivi condotti sul corpo umano, che l’ordinamento italiano trova difficoltà a definire un bilanciamento soddisfacente tra diversi beni giuridici
2 : la questione appare tanto più rilevante quanto più si considera che la tutela delle garanzie individuali e la salvaguardia della difesa sociale sono esigenze che vengono – o dovrebbero essere – garantite entrambe, sia pure indirettamente, da parte del processo penale.
Non sorprende che la disciplina degli accertamenti strumentali, calata nell’ambito di un più generale programma di prevenzione dei reati stradali, presupponga anch’essa un contemperamento tra i due valori di fondo cui si è fatto cenno: il primo valore è quello del “giusto processo”, dietro al quale si affacciano tutte le garanzie individuali preordinate alla salvaguardia della persona sottoposta a procedimento penale; il secondo valore è quello della “efficacia del processo”, intesa come funzionalità dei meccanismi processuali rispetto al conseguimento dello scopo che gli è proprio (accertamento della verità storica dei fatti oggetto dell’imputazione e delle responsabilità). Dopo una rapida ricognizione dei metodi per l’accertamento del tasso alcolemico, recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità confermeranno l’intangibilità di alcuni diritti fondamentali dell’individuo quale imprescindibile elemento per l’applicazione della legge penale e per la soddisfazione proprio di quelle esigenze di difesa sociale. Sullo sfondo verrà a delinearsi, inoltre, una delle questioni tra le più dibattute tanto a livello nazionale quanto sovranazionale: posto che, sempre più spesso e in molti settori dell’ordinamento, i legislatori nazionali ricorrono a meccanismi di collaborazione “forzata” tra i propri cittadini e i soggetti che conducono un’inchiesta, ci si chiede se sia possibile pretendere la partecipazione obbligatoria del conducente all’accertamento dello stato di alterazione psico-fisica oppure tale attività debba essere fatta rientrare nella sfera di tutela del diritto a non autoincriminarsi.
2. LA REGOLAMENTAZIONE DELL’ACCERTAMENTO ALCOLIMETRICO La completa riscrittura del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool di cui all’art. 186 cod. str. – avvenuta con la l. 1 agosto 2003, n. 214 – non ha coinvolto la definizione della fattispecie, ma ne ha significativamente mutato i presupposti e le modalità di accertamento. In particolare, la nuova formulazione consente all’organo di polizia di imporre al conducente accertamenti circa la presenza di alcool nel sangue, anche in assenza di evidenti indici sintomatici caratteristici. Al fine di uniformare le fasi procedurali e di incrementare il numero delle persone controllate, gli organi di polizia stradale possono sottoporre i conducenti a prove o indagini qualitative non invasive, senza pregiudizio per l’integrità fisica. Si tratta di accertamenti prodromici ma non necessari, di verifica dello stato di alterazione psico-fisica, finalizzati ad acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione del conducente a ulteriori verifiche. Questa «condizione preliminare all’accertamento» può fondarsi anche su una mera percezione sensoriale degli agenti verbalizzanti di atteggiamenti che appaiono compatibili con un’assunzione oltre limite di sostanze alcoliche. Ne consegue che questi accertamenti o prove non possono consistere in esami clinici o di laboratorio sul sangue prelevato al conducente, sia pure in presenza di personale medico opportunamente attrezzato con laboratori mobili. La gamma dei metodi utilizzabili è molto ampia: infatti, è consentito effettuare test comportamentali o utilizzare strumenti di screening veloci in grado di rilevare la presenza di alcool senza che ciò si accompagni alla quantificazione del valore.
Occorre precisare che, per tali strumenti, diversamente dagli etilometri, non è richiesta omologazione secondo le procedure previste dall’art. 379 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada (d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495). La Circolare del Ministero dell’Interno del 29 dicembre 2005 precisa, infatti, che «l’esito positivo degli accertamenti con apparecchi portatili non costituisce fonte di prova per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, ma rende solo legittimo il successivo accertamento tecnico più accurato mediante etilometro (strumentazione omologata), in grado di certificare, a fini legali, il valore del tasso alcolemico nel sangue». Il metodo di accertamento vero e proprio, secondo l’art. 379 del Regolamento sopra citato, consiste quindi nell’analisi dell’aria alveolare espirata con la misurazione in essa del tasso di concentrazione di alcool tramite apposito apparecchio denominato "etilometro" qualora il valore della concentrazione alcolemica corrisponda o superi 0,5 g/l il soggetto è ritenuto in stato di ebbrezza. La stessa disposizione, peraltro, oltre a indicare le caratteristiche tecniche e le modalità di omologazione degli apparecchi, stabilisce che la concentrazione di alcool deve risultare da almeno due determinazioni concordanti10 effettuate a un intervallo di tempo di cinque minuti: l’assenza di un “doppio controllo” imporrebbe un potenziamento dell’onere motivazionale. Non sfuggirà come le due tipologie di accertamento – l’uno per mezzo di prove o indagini preliminari, l’altro con etilometro – assumano un diverso valore sostanziale: il problema della validità a fini probatori di strumenti portatili diversi dall’etilometro è stato, peraltro, oggetto di una non lontana pronuncia della Cassazione. I Supremi Giudici hanno riconosciuto, pur se con un ridimensionamento del loro valore probatorio, che gli accertamenti qualitativi non invasivi effettuati mediante apparecchiatura portatile, rimangono comunque produttivi di taluni effetti penali: non a caso l’eventuale illegittimo rifiuto opposto dal conducente a sottoporsi a tale controllo continua a comportare conseguenze sia amministrative, che penali. Quando ricorrono le condizioni dell’esito positivo dei predetti controlli qualitativi preliminari o in ogni caso d’incidente stradale ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente si trovi in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’influenza dell’alcool, gli organi di polizia stradale hanno la facoltà di compiere direttamente sul posto l’accertamento con gli strumenti e le procedure indicati dal Regolamento, oppure, se questi non sono disponibili e non possono essere fatte giungere sul luogo unità attrezzate, possono disporre l’accompagnamento del conducente presso il più vicino ufficio o comando. Il riconosciuto potere di accertamento dell’organo di polizia non configura – anche per espressa puntualizzazione del Ministero dell’Interno – una misura restrittiva della libertà personale, poiché la norma non consente di disporre l’accompagnamento coattivo della persona che rifiuti l’esame: in quest’ultima ipotesi rimangono applicabili a carico del conducente le sanzioni previste per il rifiuto di cui al comma 7 dell’art. 186 cod. str.. Per completare il quadro delle modalità di accertamento, il comma 5 dell’art. 186 cod. str. stabilisce che, per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l’accertamento del tasso alcolemico sia effettuato, su richiesta della polizia stradale, dalle previste strutture sanitarie che ne rilasciano la certificazione. Copia di quest’ultima deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell’organo di polizia che ha proceduto agli accertamenti, al Prefetto del luogo della commessa violazione per gli eventuali provvedimenti di competenza. La richiesta concerne, quindi, la sottoposizione del conducente a un accertamento medico finalizzato a certificare lo stato di ebbrezza alcolica e configura un’attività di polizia giudiziaria svolta ai sensi dell’art. 354 c.p.p. Quest’attività può svolgersi, in primo luogo, con l’ausilio di un etilometro oppure con le metodologie cliniche e analitiche in uso nella struttura sanitaria; in secondo luogo, può fondarsi sull’esame dei liquidi biologici e del sangue ai fini della determinazione del tasso alcolemico.
3. IL PRELIEVO EMATICO E IL REVIREMENT DELLA CASSAZIONE Merita osservare il progressivo consolidamento dell’orientamento secondo il quale, il test in grado di quantificare la concentrazione di alcool nel sangue, in quanto potenziale accertamento di reato, imponga il rispetto di tutte le garanzie difensive previste dal codice di procedura penale. In materia di accertamenti corporali pronunce della Corte costituzionale e della giurisprudenza di legittimità hanno offerto spunti di riflessione di particolare interesse: è noto, infatti, che sul piano dell’elaborazione giurisprudenziale si assiste a una graduale specificazione delle concettualizzazioni operate dalla Consulta sul tema della coercibilità del prelievo ematico. La giurisprudenza costituzionale – nonostante una rilevata alternanza di opinioni – con una pronuncia che ha fornito le linee direttrici della successiva riforma peritale, si è definitivamente orientata sulla natura incoercibile del prelievo ematico. In questo modo il Giudice delle leggi, da un lato, ha confermato l’intangibilità dei valori dell’integrità fisica e psichica, della salute, della dignità e, dall’altro, ha specificato la necessità di individuare una dettagliata regolamentazione.
La tanto attesa riforma, introdotta con la l. 30 giugno 2009, n. 85, ha avuto il merito, attraverso l’introduzione di una più specifica disciplina in materia di perizie e di accertamenti coattivi, di colmare un vuoto normativo non privo di implicazioni pratiche. Invero, la stessa Corte Costituzionale nel momento in cui censurava l’allora genericità della disciplina peritale segnalava come nel contesto del nuovo codice della strada, il legislatore avesse operato, invece, un soddisfacente bilanciamento tra l’esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale. Il Codice della strada si pone, infatti, come modello normativo, giacché descrive presupposti e modalità tecniche di svolgimento degli accertamenti relativi allo stato di alterazione psico-fisica. Per citare la Corte si tratta di una «disciplina specifica (e settoriale) dell’accertamento […] della concentrazione di alcool nell’aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, (prevendendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell’accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità del conducente ad offrirsi e cooperare all’acquisizione probatoria)». Si è rilevato come tra le modalità di accertamento dello stato di ebbrezza alcolica, alternative all’analisi dell’aria alveolare espirata, si collochi il risultato di analisi eseguite a seguito di prelievo di materiale biologico. La Quarta Sezione penale della Cassazione si è più volte confrontata con la questione dell’inutilizzabilità probatoria dell’esito di esami clinici condotti sul conducente. Il consolidato orientamento dei giudici di legittimità individua nei risultati del prelievo ematico, effettuato nell’ambito di un protocollo medico di pronto soccorso e necessario a fini sanitari e diagnostici, «elementi di prova acquisiti attraverso documentazione medica utilizzabile in sede processuale senza che rilevi il mancato consenso dell'interessato». Al contrario, il prelievo effettuato in assenza di consenso e fuori dall’ambito di terapie sanitarie risulta inutilizzabile ex art. 191 c.p.p. per violazione del principio costituzionale che tutela l’inviolabilità della persona di cui all'art. 13 Cost.22 .
Attenta dottrina rileva, tuttavia, che questo orientamento è stato recentemente colpito da un revirement. La Suprema Corte ha affermato, infatti, che in presenza di due presupposti, da un lato, il coinvolgimento del conducente in un sinistro stradale; dall’altro, la sua sottoposizione a cure mediche da parte della struttura sanitaria, l’accertamento del tasso alcolemico richiesto da organi della polizia giudiziaria, è utilizzabile ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’interessato, indipendentemente dal consenso che costui abbia o meno prestato all’effettuazione del prelievo ematico. Lo schema argomentativo ha riproposto la distinzione tra prelievi compiuti "a fini terapeutici" e prelievi compiuti "a fini di accertamento penale". Nel primo caso, è rimessa ai sanitari la valutazione se si debba o meno sottoporre l'interessato a prelievo ematico, onde predisporre adeguate cure farmacologiche. A fronte di un prelievo già effettuato per tali fini, gli organi di polizia giudiziaria sono legittimati a richiedere la verifica del tasso alcolico, i cui risultati possono essere utilizzati a fini penali indipendentemente dal consenso prestato dal conducente. Peraltro, in questo caso – secondo il Collegio – poiché l’acquisizione del risultato dell’accertamento ematico è previsto ex lege, non è neppure necessario che l'interessato sia avvertito della facoltà di nominare un difensore. Nel secondo caso, ove i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre il conducente a cure mediche e a prelievo ematico, quest’ultimo può essere comunque richiesto dagli organi di polizia giudiziaria a fini penali. È proprio con specifico riferimento a tale seconda ipotesi che la Cassazione cambia rotta. Posto che esiste una netta distinzione tra "dissenso espresso" e "mancato consenso" dell'interessato, «l'inutilizzabilità dei risultati è sanzione processuale che riguarda la sola eventualità in cui il prelievo sia stato eseguito nonostante un esplicito rifiuto del soggetto, e non anche il caso in cui la persona, previamente informata delle finalità penali per cui è effettuato il prelievo, abbia tenuto un atteggiamento positivo, sebbene verbalmente non espresso». In quest’ultima ipotesi sembra, quindi, che la Quarta Sezione affermi l'esistenza di un mero obbligo di informare l'interessato delle reali finalità (penali e non mediche) cui è preordinato il prelievo, senza l’ulteriore esigenza di accertarne il consenso espresso; resta salvo l'obbligo di arrestarsi in presenza di un’iniziativa di esplicito dissenso manifestato dal soggetto. A fondamento di tali conclusioni, la Corte richiama il tenore letterale dell'art. 186, comma 7, cod. str., «laddove il legislatore ha specificamente utilizzato il termine "rifiuto" da parte del conducente, con riferimento all'accertamento del tasso alcolemico», sicché l'opposizione dell'interessato all'esecuzione del prelievo acquisirebbe rilevanza soltanto ove si concretizzasse in un "dissenso espresso", e non anche nel caso di "mancato consenso". Una tale soluzione risulta evidentemente preordinata alla conservazione e all’utilizzabilità dell’attività probatoria e ciò anche in considerazione del grave allarme sociale generato dalla diffusione di condotte particolarmente lesive dell’incolumità personale. Le motivazioni adottate dalla Cassazione sollevano tuttavia alcuni profili di criticità. Alcuni autori osservano che il dissenso manifestato espressamente individua un requisito privo di rilevanza sul piano processuale, ambito nel quale operano, invece, le nuove norme in materia di prelievi e accertamenti medici coattivi introdotte dalla l. 30 giugno 2009, n. 8528. Più precisamente, quando non vi è il consenso dell'interessato, ogni tipo di prelievo biologico o di accertamento medico deve seguire la nuova disciplina stabilita negli artt. 224-bis e 359-bis c.p.p. (cui si rinvia), a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità dei risultati acquisiti. Poiché la legge subordina l’applicabilità della nuova disciplina all’esistenza di un procedimento per delitto non colposo, consumato o tentato, punito con l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a tre anni – requisito evidentemente non soddisfatto nell'ipotesi in cui si proceda per il reato contravvenzionale di cui all'art. 186 cod. str. – nei procedimenti per il reato di guida in stato di ebbrezza, ove manchi il consenso dell'interessato, non vi sarebbe spazio neppure per un prelievo coattivo su autorizzazione del giudice. Nel contesto in esame, quindi, la legittimità del prelievo ematico, e conseguente utilizzabilità in sede processuale del relativo accertamento, presuppone in ogni caso la verifica del consenso. Pare preferibile ritenere, infatti, che sugli organi di polizia incomba sempre l’obbligo, sia di informare l’interessato delle finalità penali dell’accertamento, sia di accertare la presenza o meno del suo consenso. Quest’ultimo dovrà essere documentato per mezzo di processo verbale redatto nelle forme ordinarie.
4. LA PROVA DELLO STATO DI EBBREZZA NELL’ELABORAZIONE GIURISPRUDENZIALE Il Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada dispone che «nel procedere agli accertamenti, ovvero qualora si provveda a documentare il rifiuto opposto dall’interessato, i verbalizzanti devono in ogni caso indicare nella notizia di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p. le circostanze sintomatiche dell’esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida». Deve darsi atto che recenti pronunce della giurisprudenza hanno riportato l’attenzione sull’effettivo valore probatorio degli “elementi sintomatici” del conducente. È noto che il tema dell’accertamento dello stato di ebbrezza ha sempre rappresentato un nodo centrale ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 186 cod. str. nelle sue varie formulazioni: la problematica concerne non soltanto l’ipotesi in cui vi sia stato un rifiuto da parte del conducente di sottoporsi ad accertamenti, ma più in generale tutti i casi in cui non si sia potuto procedere a questi ultimi. Nella giurisprudenza di legittimità si è delineato il principio secondo il quale «lo stato di ebbrezza o di ubriachezza alcolica del conducente può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo e non necessariamente né unicamente, attraverso la strumentazione e le procedure indicate nell’art. 379 del Regolamento» citato. In forza del canone del libero convincimento, per un verso, si riconosce al giudice di merito la possibilità di desumere lo stato di alterazione psico-fisica da qualsiasi elemento sintomatico tra cui l'alito vinoso, l’equilibrio o l'eloquio sconnesso, l’andatura barcollante, le modalità di guida e così via; per altro verso, si concede il potere di disattendere l'esito fornito dall'etilometro, ancorché risultante da due determinazioni concordanti del tasso alcolemico ed effettuate a intervallo di cinque minuti, sempre che del suo convincimento fornisca una motivazione logica ed esauriente. Questi principi, peraltro, non possono estendersi fino a ritenere che qualunque manifestazione riconducibile all’uso di bevande alcoliche integri la fattispecie incriminatrice: si precisa che «in difetto dell’esame alcolimetrico, per poter ritenere provato lo stato di ebbrezza penalmente rilevante, occorre che gli elementi sintomatici di tale stato siano significativi, al di là di ogni ragionevole dubbio, di un’assunzione di bevande alcoliche in quantità tale che si possa affermare il superamento della soglia prevista dalla legge, non bastando al riguardo l’esistenza di elementi sintomatici di significato ambiguo». In altri termini, gli elementi sintomatici devono essere gravi, precisi e concordanti, caratteristiche queste assenti quando i verbalizzanti si siano limitati a riferire che il conducente presentava occhi lucidi e alito vinoso. Rispetto a questo consolidato orientamento, la giurisprudenza di merito ha cominciato a manifestare qualche perplessità quando si è dovuta pronunciare dopo le modifiche apportate in materia dal d.l. 3 agosto 2007, n. 117: la nuova formulazione dell’art. 186 cod. str. utilizza, infatti, per tutte e tre le fattispecie l’espressione «qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore […]» alle soglie previste. Secondo l’interpretazione subito proposta tra i difensori, ma anche presso qualche ufficio giudiziario, lo stato di ebbrezza obbliga a un accertamento con i mezzi previsti dal codice della strada (etilometro o esame del sangue). In difetto si dovrebbe assolvere per carenza di prova sull’elemento materiale del reato, giungendo persino a ipotizzare, ove si consideri l’accertamento tecnico come un elemento costitutivo del reato, una sorta di parziale abolitio criminis per tutti i casi in cui l’accertamento con i mezzi previsti non sia stato compiuto. Preso atto che tra i giudici del merito si sono registrate opinioni discordanti, la giurisprudenza di legittimità ha confermato il precedente consolidato orientamento: una volta riscontrato per indici sintomatici lo stato di ebbrezza e la conseguente sussistenza del reato, ove non sia possibile accertare il tasso alcolemico con ausilio di etilometro o di altro apparecchio di misurazione scientifica, la questione investe solo il trattamento sanzionatorio, che per il principio del favor rei dovrà essere quello più favorevole40 . Merita osservare che la Cassazione fa un ulteriore passo avanti: è possibile configurare il reato di guida in stato di ebbrezza solo da elementi sintomatici e pur in mancanza dell’accertamento strumentale, anche con riguardo alle ipotesi di reato caratterizzate da più alti livelli alcolimetrici, purché la decisione risulti da congrua motivazione. Ai fini di una pronuncia di condanna è necessario, quindi, che dagli elementi sintomatici emergano circostanze idonee a dimostrare che lo stato di ebbrezza sia tale da far rientrare la condotta di guida nell’ambito applicativo delle ipotesi di rilevanza penale di cui alle lettere b) e c) dell’art. 186 cod. str. Deve ravvisarsi l’ipotesi più lieve, priva di rilievo penale, quando gli elementi sintomatici descritti dai verbalizzanti non siano in grado di ricondurre la condotta del conducente oltre ogni ragionevole dubbio nell’ambito di una delle due fattispecie appena menzionate: il giudice, in questo caso, è tenuto ad assolvere l’imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
5. OBBLIGO DI SOTTOPORSI AD ALCOLTEST E PRIVILEGIO CONTRO LE AUTOINCRIMINAZIONI L’ordinamento italiano pare non aver approfondito il profilo della compatibilità tra il reato di rifiuto agli accertamenti di cui agli artt. 186, comma 7 e 187, comma 8 cod. str. e il privilegio contro le autoincriminazioni, sintetizzato nella massima giuridica nemo tenetur se detegere: una questione su cui ormai da tempo ci s’interroga attiene alla possibilità o meno per il reato in esame di convivere con quello che oggi viene concepito come un «corollario essenziale dell’inviolabilità del diritto di difesa». Si evidenzia la natura ambivalente di tale principio: da un lato, la tesi interpretativa che vorrebbe il privilegio circoscritto al mero diritto al silenzio; dall’altro, quella che lo descrive come un più generale diritto di «resistenza passiva» dell’imputato all’accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. Taluni autori individuano almeno due argomenti a favore della seconda tesi: il primo è costituito dal rilievo per cui l’art. 24 Cost., dal quale si ricava detto principio, non conosce limiti espressi; il secondo motivo parte dal presupposto che se si ritenesse il privilegio contro le autoincriminazioni circoscritto al mero diritto al silenzio verrebbe amputata almeno una delle tre espressioni del principio solitamente riconosciute nella letteratura. Vero fulcro della questione è capire se il diritto a rifiutarsi di produrre elementi contra se goda di cittadinanza anche nell’ambito delle prove non dichiarative. L’interrogativo fonda la sua ragion d’essere proprio perché la prova etilometrica, come anche lo screening tossicologico sulle urine, richiede un sia pur minimo comportamento “attivo” del conducente, tenuto a collaborare alla formazione di una prova comunque utilizzabile contro di lui; tuttavia, a differenza della maggior parte degli atti nei quali l’imputato riveste il ruolo di “organo di prova”, in questo caso il suo apporto non comporta alcun coinvolgimento della sfera conoscitiva: gli si richiede un mero facere. Esiste un nesso indissolubile tra evoluzione del processo, da un lato, ed evoluzione della concezione dell’imputato, dall’altro: a fronte degli sviluppi scientifici e tecnologici appare evidente la «crescente importanza dell’imputato quale “oggetto di prova”». Questa “nuova” situazione giuridica soggettiva ha condotto taluni autori a suggerire che il diritto a non collaborare concretizzi la facoltà di non effettuare neppure i movimenti corporei necessari a fornire la prova nel processo penale. La giurisprudenza, invece, rifiuta di riconoscere una simile estensione: resta ferma, in ogni caso, la considerazione che la facoltà di non cooperare con l’autorità nell’ambito di atti in cui l’imputato rivesta il ruolo di “organo di prova” non conosce confini netti. L’assenza di una netta definizione del principio in parola, in grado quindi di includere o meno gli atti non dichiarativi nel suo ambito di tutela, fa sì che le sue applicazioni pratiche ad opera della giurisprudenza di merito e di legittimità siano le più varie. La pretesa illegittimità della disposizione che sanziona il rifiuto di collaborare agli accertamenti, per violazione del diritto di difesa, è questione nota ai giudici di legittimità: il Supremo Collegio ha evitato, tuttavia, di prendere posizione circa l’ascrivibilità o meno di un facere – quale può essere la collaborazione all’alcoltest – nel novero degli atti coperti dal nemo tenetur se detegere.
Per completare il tema che qui ci occupa, si rende opportuno ampliare l’indagine sull’estensione attribuita al privilegio dalle disposizioni di rango sovranazionale: manca nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, al pari della Costituzione italiana, una formulazione espressa del principio in esame. Diverso è, invece, il tenore dell’art. 14, n. 3, lett. g) del Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’uomo, il quale assicura ad ogni individuo accusato di un illecito penale la garanzia di «non essere costretto a deporre contro se stesso o a confessarsi colpevole». L’operatività del diritto tutelato dal Patto appare però ristretta alle sole prove in cui all’imputato sia richiesto un dicere. Il diritto in esame, pensato per valutare la legittimità di dati probatori estrapolati attraverso sotterfugi, coazioni o pressioni in «spregio alla volontà dell’accusato», è implicitamente tutelato dall’art. 6 CEDU e non sembra limitato alle sole prove dichiarative: tuttavia, è necessario operare un bilanciamento tra questo e gli altri principi fondamentali riconosciuti dagli ordinamenti. Da alcune pronunce in materia sembra potersi ricavare che il principio in parola non si estende alle evidenze che preesistono all’indagine penale e che sussistono «indipendently of the will of the suspect», come documenti, campioni biologici o altri esempi di prove reali: se le modalità di acquisizione della prova non integrano trattamenti inumani e degradanti61, ottenere prove reali mediante l’imposizione di un comportamento collaborativo non comporterebbe una violazione della libertà contro le autoincriminazioni. In altri termini, i giudici di Strasburgo ribadiscono che il privilegio riguarda in via principale il diritto al silenzio e non si estende all’uso nel processo penale di materiali che potrebbero essere ottenuti dall’accusato attraverso l’uso di «compulsory powers». È chiaro che, se il privilegio contro le autoincriminazioni viene riferito anche agli atti privi di contenuto comunicativo, gli artt. 186, comma 7 e 187, comma 8 cod. str. devono ritenersi illegittimi per contrasto con l’art. 24 Cost.: tuttavia, una volta espunte dal sistema le disposizioni che si pretendono incostituzionali, l’intero meccanismo di acquisizione della prova analizzato nei paragrafi precedenti crollerebbe. Sprovvista di una risposta sanzionatoria, la disciplina vigente, oltre a non apparire congruente rispetto all’incremento sanzionatorio caratterizzante le recenti riforme, da un lato, rimarrebbe priva della forza necessaria per consentire l’acquisizione del dato probatorio; dall’altro, subordinerebbe l’accertamento del reato al consenso del suo autore. Si osserva che, esclusa la possibilità di obbligare l’interessato a cooperare con la polizia, non resta che individuare specifiche procedure coattive di acquisizione della prova. A tal fine, si prospettano due possibili soluzioni. La prima via – ritenuta effettivamente praticabile – prevede l’esperibilità coattiva del prelievo di sangue, individuando casi e modi di esecuzione dell’atto, oltre alle procedure da adottare per ottenere l’autorizzazione del magistrato; andrebbe pensato, poi, anche un congegno derogatorio che, in casi di comprovata necessità e urgenza, consenta alla polizia di ordinare il prelievo senza attendere il benestare del giudice. La seconda via ipotizza, invece, il possibile impiego da parte della polizia stradale di strumenti alternativi – sulla cui attendibilità occorre però particolare cautela – capaci di rilevare la presenza di alcool nell’organismo senza la collaborazione del conducente. Posto che l’esigenza di accertamento del reato, se considerata di per sé sufficiente a legittimare l’applicazione di misure restrittive, determinerebbe una distorsione dell’intero sistema processuale, non resta altro che constatare che «gli esiti probatori scientificamente solidi sembrano raggiungibili soltanto attraverso un ragguardevole sacrificio della libertà personale dell’individuo».
6. IRRIPETIBILITÀ DELL’ACCERTAMENTO: QUALI CONSEGUENZE? Per espresso riconoscimento della stessa giurisprudenza di legittimità, l’urgenza dell’attività della polizia stradale trae la sua legittimazione dalla «naturale alterabilità, modificabilità e tendenza alla dispersione degli elementi di fatto che sono oggetto dell’analisi alcolimetrica». In effetti, dal punto di vista processuale, la determinazione del tasso etilico di un conducente tramite etilometro o esame di laboratorio è comunemente inquadrata fra gli “accertamenti urgenti e indifferibili” sulle persone, diverso dalle ispezioni personali, che può essere compiuto dagli ufficiali di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 354, comma 3, c.p.p. Alla luce di quanto disciplinato dall’art. 356 c.p.p. si evince, inoltre, che in questi casi il difensore ha facoltà di assistere al compimento dell’atto, senza però «diritto a essere preventivamente avvisato», trattandosi di atto c.d. “a sorpresa”. L’omesso avviso all’interessato della facoltà di farsi assistere da un difensore, configurato come obbligatorio per gli accertamenti urgenti dall’art. 114 disp. att. c.p.p., dà luogo a una nullità di ordine generale a regime “intermedio”, dovendosi ritenere superate le diverse opzioni interpretative. Se la Cassazione, a più riprese, consolida la qualificazione dell’omessa informativa nel rango delle nullità “intermedie”, la stessa non fornisce – come vedremo – altrettanta certezza in punto di tempi di deduzione e di rilevazione. Poste queste premesse, in primo luogo, merita qualche ulteriore considerazione il profilo delle consequenziali garanzie difensive in merito alla recente pronuncia della Cassazione sulla legittimità dei prelievi ematici, già oggetto di alcuni rilievi critici nei precedenti paragrafi; in secondo luogo, va rilevato un contrasto giurisprudenziale quanto al limite temporale entro il quale è utilmente proponibile l’eccezione dell’invalidità in esame. Quanto al primo profilo, si osserva che la sfera applicativa della garanzia di cui all’art. 114 disp. att. c.p.p. è stata ridimensionata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto modo di precisare – nel campo della prova spirometrica per l'alcoltest – che «l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore non ricorre qualora l'accertamento venga eseguito in via esplorativa, risultando espressione di un’attività di polizia amministrativa», mentre «tale obbligo sussiste qualora la polizia giudiziaria al momento dell'accertamento ritenga già di poter desumere lo stato di alterazione del conducente da qualsiasi elemento sintomatico dell'ebbrezza». Se applichiamo lo stesso criterio alla materia dei prelievi ematici, è plausibile qualificare l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore come un atto obbligatorio in ogni caso di prelievo richiesto dalla polizia giudiziaria in seguito a sinistro stradale: in quest’ultima ipotesi, qualificare l’accertamento come “di semplice routine” o eseguito “in via esplorativa” pare una forzatura. La verifica del tasso alcolico richiesta nei confronti di un soggetto ospedalizzato configura, infatti, un atto investigativo di polizia giudiziaria effettuato, verosimilmente, a fronte di elementi che lasciano intendere l'avvenuta commissione del reato di guida in stato di ebbrezza. Alla luce di queste considerazioni è chiaro che il prelievo ematico, disposto per finalità di accertamento della responsabilità penale, deve essere circondato dalle ordinarie garanzie previste dal codice di rito per tutti gli accertamenti urgenti sulla persona . Il secondo profilo cui si è fatto cenno attiene, invece, alla varietà d’interpretazioni, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, quanto al limite temporale entro il quale è utilmente proponibile l’eccezione di nullità che deriva dall’omessa informativa da parte degli agenti operanti circa la facoltà del conducente di farsi assistere da un difensore. L’invalidità in esame è riconducibile alla disciplina dettata dall’art. 178, comma 1, lett. c) e dagli artt. 180 e 182 c.p.p.: si considera, pertanto, sanata se non dedotta prima, ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p. Sulla questione, però, sono ravvisabili due distinti orientamenti. Vi sono state pronunce – fondate su un’interpretazione più rigorosa della lettera dell’art. 182, comma 2, c.p.p. – che hanno fatto riferimento al tempo immediatamente successivo al compimento dell’atto: in particolare, si è sostenuto che detto termine non è posto dalla norma in relazione alla necessaria effettuazione di un successivo atto in cui intervenga la stessa parte o il difensore, «ben potendo la formulazione dell’eccezione aver luogo anche fuori dall’espletamento di specifici atti, mediante lo strumento delle “memorie o richieste” che, ai sensi dell’art. 121 c.p.p., possono essere inoltrate in ogni stato e grado del procedimento». Tale interpretazione permette, quindi, di considerare tardivamente proposta l’eccezione di nullità che deriva dall’omesso avviso previsto dall’art. 114 disp. att. c.p.p., allorché la parte, invece di sollevare l’eccezione immediatamente dopo il compimento dell’atto, abbia atteso il compimento di un successivo atto del procedimento. In altre pronunce si è guardato al momento in cui viene effettuata la nomina del difensore di fiducia ovvero il deposito degli atti. A questa interpretazione se ne affianca una meno rigorosa che muove da una lettura costituzionalmente orientata degli artt. 354, 356, 366 c.p.p. e dell’art. 114 disp. att. c.p.p.: l’eccezione sollevata con il primo atto procedimentale utile – ad esempio l’atto di opposizione al decreto penale di condanna – è da considerarsi tempestiva. Questo orientamento considera, infatti, non pertinente il richiamo all’art. 121 c.p.p. e non intempestiva un’eccezione di nullità sollevata in sede di opposizione, in ragione della brevità dei termini previsti dalla legge processuale per impugnare il provvedimento emesso inaudita altera parte. Prima di sottoporre al vaglio delle Sezioni Unite il ravvisato contrasto76, la Quarta Sezione, che in tre “casi fotocopia” aveva concluso per la sanatoria della suddetta nullità in quanto non eccepita dalla parte immediatamente dopo il compimento del test, ritenne utile approfondire il tema. I tre casi richiamati hanno identiche cadenze motivazionali: la nullità in parola può essere rilevata anche d’ufficio secondo quanto previsto dalla disciplina delle nullità a regime intermedio, «ma ciò non è possibile quando la parte sia decaduta dalla possibilità di proporre la relativa eccezione e comunque quando la nullità si sia sanata». In quelle occasioni la Corte ebbe modo di ribadire che nel rispetto del principio affermato dal Giudice delle leggi, «il vizio procedurale, sanato per volontà di chi avrebbe titolo per dedurlo, non impone al giudice alcun rilievo formale della verificata nullità». La risoluzione del vizio a seguito del prodursi dell’effetto decadenziale o della sanatoria – a parere del Collegio – preclude ogni ulteriore rivalutazione del tema, per evidenti ragioni di economia processuale. I Supremi Giudici osservavano che sul piano concettuale la giurisprudenza sembra dividersi sulla necessità che l’eccezione sia formulata soltanto dopo aver instaurato il rapporto con il difensore. Per un verso, vi sono linee interpretative che rimarcano la possibile condizione d’ignoranza incolpevole dell’indagato circa l’esistenza del diritto violato e considerano l’“avviso del deposito dell’atto” come il momento in cui il difensore, sia pure nominato d’ufficio, prende conoscenza della violazione avvenuta. Detto altrimenti, il predetto avviso mette il difensore nelle condizioni di dedurre la violazione tempestivamente, ovvero nei cinque giorni che l’art. 366 c.p.p. gli concede per l’esame degli atti80 . Connettere la decadenza in parola al previo instaurarsi della difesa tecnica significa garantire il rispetto sostanziale del diritto di difesa81 . Per altro verso, «le decisioni del diverso indirizzo non rilevano alcun pregiudizio del diritto di difesa derivante dalla pretesa che sia l’indagato medesimo a dover sollevare l’eccezione» 82 . Non sfuggirà che il nodo della questione riguardi la tutela del diritto alla difesa tecnica. Il tema, peraltro, è già stato preso in esame da alcune pronunce della giurisprudenza costituzionale: il diritto di difesa, inteso come effettiva possibilità di ricorrere all’assistenza tecnica del difensore, si considera violato nei casi in cui sia posto a pena di decadenza un termine decorrente dalla notificazione dell’atto, da cui conseguono specifiche facoltà tecnico-processuali, all’imputato, anziché al difensore83 . È proprio su questi rilievi che la Quarta Sezione àncora la verifica del rispetto di predetto diritto alla semplicità ovvero alla complessità delle cognizioni richieste per la proposizione dell’eccezione: sicché ben possono darsi «casi in cui la formulazione di un’eccezione di nullità intermedia richieda che il termine decadenziale abbia corso solo dopo la nomina di un difensore e casi in cui il termine prescinda dall’instaurazione del rapporto tra l’indagato o l’imputato e il difensore». Nell’ipotesi dei test previsti dall’art. 186, commi 3 e 4, cod. str. la Corte non ha ravvisato la necessità di coinvolgere il difensore ben potendo direttamente l’interessato sollevare l’eccezione. È chiaro, quindi, che l’avviso intende garantire la semplice conoscenza da parte del difensore del compimento dell’atto, che non deve essere ritardato in attesa che egli giunga.
L’atto cognitivo sulla persona effettuato ai fini dell’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, in altri termini, non consente di rilevare – a parere della Corte – «facoltà processuali che comportano la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore». Alla luce di queste argomentazioni, i tre ricorsi che riconducevano la nullità alle condizioni di deducibilità previste dall’art. 182, comma 2, c.p.p. e rimarcavano l’omessa o tardiva eccezione di parte quale causa della sanatoria dell’invalidità, vennero accolti. Questa tesi interpretativa, tuttavia, non ha fatto in tempo a consolidarsi: nell’arco di poche settimane, in presenza degli stessi presupposti di fatto e di diritto, i giudici di legittimità sono arrivati a una decisione opposta. Il procuratore generale presso la corte di appello – anche in questo caso – proponeva ricorso avverso la sentenza del giudice per le indagini preliminari emessa a seguito di richiesta del pubblico ministero di emissione di decreto penale. La violazione della disposizione di cui all’art. 114 disp. att., a parere del ricorrente, non era stata ricondotta alle condizioni di deducibilità previste dall’art. 182, comma 2, c.p.p. e conseguentemente l’imputato era stato assolto dalla contravvenzione per non aver commesso il fatto. Nell’ultimo caso sottoposto alla sua attenzione la Suprema Corte si è confrontata con il seguente interrogativo: se la parte, che ha interesse all’osservanza della disposizione violata, si astiene dall’eccepire la nullità entro i termini previsti dall’art. 182, comma 2, c.p.p., può il giudice rilevarla d’ufficio entro i più ampi termini previsti dall’art. 180 c.p.p.? Nel caso di specie – e in ciò sta l’elemento di differenziazione – la Cassazione ha ritenuto che «dalla lettura degli artt. 182 e 183 c.p.p. a cui si rinvia, non si evince in alcun modo che l’omessa eccezione della nullità comporti automaticamente la sua sanatoria. L’unico effetto è che la parte decade dalla possibilità di lamentare il vizio con correlata pretesa di una decisione del giudice sul punto». Il rinnovato orientamento della Cassazione permette di svolgere due considerazioni. Da un lato, in tema di nullità a regime intermedio, l’invalidità non s’intende sanata automaticamente per effetto della decadenza della parte dalla possibilità di eccepirla ai sensi dell’art. 182, comma 2, primo periodo c.p.p.: il giudice ha, infatti, pur sempre il potere di rilevarla d’ufficio nei più ampi termini di cui all’art. 180 c.p.p.; dall’altro lato, la parte che sia decaduta ha pur sempre la possibilità di sollecitare il giudice all’esercizio dei suoi poteri officiosi. La Corte puntualizza che «non essendovi per questi l’obbligo del rilievo della nullità, l’omessa sua declaratoria non è sindacabile». La Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso per la sua infondatezza e, in tal senso, ha contraddetto le sue precedenti pronunce: pare, quindi, si debba considerare la dichiarabilità d’ufficio di alcune nullità generali entro i limiti temporali descritti, quale «strumento per riportare il processo nei binari della legalità processuale», in questo modo viene assicurato un trattamento egualitario proprio nel caso di inerzia delle parti, alle quali la disciplina codicistica ha pure inteso attribuire un ruolo più pregnante e responsabile. Il radicale contrasto tra le prospettate soluzioni interpretative, afferenti un diritto di rilievo costituzionale quale il diritto di difesa, giustifica il recente interpello – peraltro, da tempo auspicato – delle Sezioni Unite della Cassazione.
7. RILIEVI CONCLUSIVI A questo punto, merita ricordare, quanto al diritto contro le autoincriminazioni, che i giudici di Strasburgo si sono espressi in modo puntuale: nessuno spazio in materia di accertamenti dell’ebbrezza e di alterazione alla guida. Più malleabile la giurisprudenza italiana, che ha mostrato maggiori aperture all’estensione del diritto in parola, pur tuttavia negando, quando chiamata a rispondere al quesito diretto, la riferibilità del principio agli artt. 186 e 187 cod. str. Evidenti, peraltro, le implicazioni processuali che derivano da una scorretta “gestione” in fase di accertamento da parte degli agenti operanti: nel procedimento per reato di guida in stato di ebbrezza l’informazione probatoria acquisita con l’analisi spirometrica o di laboratorio è di primaria importanza, sicché un’elusione delle garanzie difensive inficia la prova della penale responsabilità del conducente. La Quarta Sezione della Cassazione nell’ottobre del 2013 ha ritenuto che il giudice, titolare di un potere officioso, potesse rilevare la nullità dell’atto anche in caso di mancata tempestiva deduzione di parte: è chiaro, tuttavia, che la dichiarabilità ex officio della nullità derivante dall’omessa informativa dei diritti difensivi comporta inevitabilmente la perdita di un dato probatorio – il più delle volte decisivo – su cui fondare la pronuncia.
Preso atto di questo indirizzo, frutto di un’elaborazione interpretativa già nota in dottrina, ci si chiede, peraltro, come mai – nel caso di specie – si sia omessa qualsiasi tipo di considerazione circa gli elementi sintomatici del conducente così come risultanti dal verbale della polizia giudiziaria. Si osservi che la Corte, per mezzo di una rigida ma legittima applicazione delle garanzie previste dal codice di rito, aveva preferito un’interpretazione non propriamente coerente con l’intento del legislatore penale più volte intervenuto per rafforzare la tutela della sicurezza stradale. Le fattispecie di guida sotto l’influenza dell’alcool o in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti hanno mantenuto il loro carattere di illecito penale proprio perché condotte prodromiche rispetto a eventuali eventi lesivi dell’incolumità personale. Detto questo, però, la deducibilità dell’invalidità in esame è strettamente funzionale a un’effettiva tutela dell’intervento, dell’assistenza e della rappresentanza dell’indagato. Si tratta di garanzie individuali che non possono essere sacrificate per esigenze di giustizia ricollegabili al valore dell’efficienza del processo, nel senso già precisato. Non dimentichiamo, quindi, che la funzione processuale del diritto di difesa è anche quella di garantire un corretto accertamento95 . A seguito della recente pronuncia della Cassazione96 , posta in ogni caso un’intrinseca difficoltà di ottenere un equo bilanciamento tra i diversi valori cui si è fatto cenno, attendiamo l’intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite: se da un lato, si considera l’orientamento che accredita la capacità di eccezione diretta dell’interessato, emergono profili di dubbia corrispondenza con i principi del diritto di difesa; se dall’altro, si trascura l’esigenza di acquisizione della prova del reato quale «interesse pubblico primario», vengono meno gli obiettivi di prevenzione e di repressione del fenomeno dell’incidentalità stradale.
Cosa succede se rifiuti l'alcol test, le conseguenze che non ti dicono. Lorenzo Limardi su trend-online.com. Pubblicato il 13 set 2022
L'alcoltest rappresenta uno spauracchio per molti automobilisti, ma quando è obbligatorio sottoporvisi? Vediamo cosa succede in caso di rifiuto.
Secondo vari studi statistici condotti sul territorio italiano, nella classifica delle cause di morte più comuni rientra ai primi posti il decesso causato da incidente stradale.
Inutile aggiungere che spesso è il consumo di alcolici a provocare tali incidenti, specialmente tra i giovanissimi e i neopatentati che per immaturità sottovalutano i rischi di mettersi alla guida in stato di ebbrezza.
Al fine di evitare o quantomeno limitare questo fenomeno, il Codice della Strada prevede all’art.186 il reato di natura contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza.
Ma quando si può procedere ai controlli e in che modo? Il conducente di un veicolo può rifiutare di essere sottoposto ad alcoltest? Se sì, cosa rischia?
Cosa succede davvero se si rifiuta l’alcoltest
Come anticipato, qualora ne ravvedano l’esigenza o anche in caso di controlli a campione, gli agenti di polizia possono sottoporre il conducente del veicolo fermato ad alcoltest.
Quest’ultimo non è obbligato ad accettare il trattamento, ma un suo rifiuto viene inteso come ammissione di colpevolezza e dunque verrà punito in automatico con il regime sanzionatorio più severo.
In mancanza di test dell’etilometro, invece, gli organi di polizia possono proporre al conducente di effettuare il test presso il presidio ospedaliero più vicino, ma mai possono obbligarlo. In questo caso, infatti, il Codice della Strada non prevede alcun accompagnamento coattivo, e il soggetto fermato potrà opporre rifiuto.
In caso di incidente stradale, e di conseguente impossibilità nell’effettuare il test, gli agenti possono richiedere alla struttura ospedaliera di eseguire il test e di produrre apposita certificazione con il risultato. In questo caso i sanitari saranno liberi nella scelta del metodo di rilevamento del tasso alcolemico.
In ultima analisi, gli agenti hanno l’obbligo di informare il conducente che potrà essere assistito dal proprio difensore prima del test con etilometro, in mancanza di tale avvertimento l’eventuale test positivo non potrà essere utilizzato come prova e l’imputato sarà prosciolto per insussistenza del fatto.
Quando si può procedere ad alcoltest e come
Per poter effettuare il controllo sul tasso alcolemico dei guidatori, gli agenti di polizia possono effettuare il cosiddetto alcol blow test, analizzando il livello di alcol tramite il flusso respiratorio, e una volta risultato positivo questo ripetere il test con l’etilometro.
In caso di evidenti segni di ebbrezza da parte del conducente, gli agenti possono effettuare anche solo il test dell’etilometro, mentre nel caso di doppia misurazione è importante che queste avvengano in un ristretto limite temporale (5-10 minuti) per evitare risultati meno veritieri.
Per potersi avere un risultato valido, inoltre, gli agenti devono dimostrare l’omologazione dell’apparecchio usato per il rilevamento del tasso alcolemico, e il suo corretto funzionamento.
Le sanzioni, dalla multa alla sospensione della patente
L’art. 186 del Codice della Strada stabilisce i casi in cui si concretizza il reato di guida in stato di ebbrezza. A seconda del tasso alcolemico rilevato vi è una graduazione delle sanzioni:
La guida con un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro costituisce solamente un illecito amministrativo: è previsto il pagamento di una somma da 532 a 2.127 euro e la sospensione della patente di guida da tre a sei mesi, oltre alla decurtazione di 10 punti dalla patente
Se il tasso alcolemico è compreso tra 0,81 e 1,50 grammi per litro, si rischia invece: un’ammenda da 800 a 3.200 euro; l’arresto fino a 6 mesi; la sospensione della patente di guida da 6 mesi ad 1 anno. Decurtazione di dieci punti dalla patente
Se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 grammi per litro, è comminata: un’ammenda da 1.500 a 6.000 euro; l’arresto da 6 mesi ad 1 anno; la sospensione della patente di guida da 1 a 2 anni; la durata della sospensione è raddoppiata se il veicolo appartiene a persona estranea dal reato. È invece prevista la revoca della patente di guida nel caso di recidiva nel biennio la confisca amministrativa del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che appartenga ad un’altra persona. Decurtazione di dieci punti dalla patente, se non revocata.
Ancora più aspre le sanzioni per quanto riguarda alcune categorie come neopatentati e guidatori professionali.
Rifiuto del test alcolemico. Da siulp.it il 31 Agosto 2022. Ultimo aggiornamento 05/09/2022
La Corte di Cassazione con sentenza n. 22627/22 pubblicata il 10 giugno 2022, ha sancito che, non commette reato il conducente che, in un sinistro stradale senza feriti, rifiuta di sottoporsi al test alcolemico in quanto, non vi è la necessità di procedere alle cure mediche.
Nel caso di specie, il conducente di un autoveicolo rifiutava di sottoporsi agli accertamenti del tasso alcolico presso l’ospedale più vicino mediante prelievo ematico, poiché tale comportamento è escluso dal novero di quelli penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 186 comma 7 del CdS.
La Cassazione ha chiarito che, l’art. 186 comma 5 del CdS, prevede il prelievo ematico solo laddove, i conducenti coinvolti, necessitano di cure mediche tempestive. Infatti, sussiste il reato di cui all’art. 186, comma 7 CdS, nel caso di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti preliminari di cui al comma 3, mediante etilometro in loco o presso uffici o comandi della Polizia Stradale di cui al comma 4, laddove vengano riportate lesioni a seguito dell’incidente nonché necessaria sottoposizione alle cure mediche ospedaliere.
Rifiuto di sottoporsi all'alcoltest: quando è reato - sanzioni. Fare l'alcoltest è obbligatorio, purchè la richiesta della polizia sia legittima. In caso di rifiuto è previsto l'arresto e la confisca del veicolo. Antonella Pedone il 16 gennaio 2022
Il conducente non può rifiutare di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza, in presenza di una legittima richiesta degli organi accertatori.
Come si accerta lo stato di ebbrezza?
Le sanzioni in caso di rifiuto
Come si accerta lo stato di ebbrezza?
Il Codice della Strada prevede determinate modalità per accertare lo stato di ebbrezza.
Tale accertamento deve avvenire mediante l'analisi dell'aria alveolare espirata con un apparecchio denominato etilometro.
Questo deve visualizzare i risultati delle misurazioni e dei controlli propri dell'apparecchio stesso, e deve anche, mediante apposita stampante, fornire la corrispondente prova documentale.
Gli etilometri devono avere i requisiti stabiliti con disciplinare tecnico approvato con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione di concerto con il Ministro della sanità. I requisiti possono essere aggiornati con provvedimento degli stessi Ministri, quando particolari circostanze o modificazioni di carattere tecnico lo esigano.
Gli organi di Polizia stradale possono procedere all'accertamento mediante l'etilometro (anche accompagnando il conducente presso il più vicino ufficio o comando) quando:
abbiano sottoposto i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili, e tali accertamenti abbiano dato esito positivo;
in ogni caso d'incidente;
quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza dell'alcool.
Diversamente, se i conducenti sono coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l'accertamento del tasso alcolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di Polizia stradale, dalle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate. Le strutture sanitarie rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, estesa alla prognosi delle lesioni accertate.
Le sanzioni in caso di rifiuto
Se le condizioni per richiedere l'alcoltest sono rispettate, il rifiuto costituisce reato (articolo 186, comma 7, Codice della Strada).
Si applica la sanzione penale dell'ammenda da 1.500 a 6.000 Euro e dell'arresto da sei mesi ad un anno.
Si applica inoltre la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e la confisca del veicolo, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione.
In caso di recidiva nel biennio, ossia se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
Accompagnamento in caserma e rifiuto dell'alcoltest: è reato. Per la Cassazione penale è integrata la fattispecie di rifiuto di sottoporsi ad accertamento del tasso alcolemico (sentenza n. 12142/2021)
Di Anna Larussa Avvocato altalex.com Pubblicato il 16/04/2021
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, sez. IV penale, sentenza 16 dicembre 2020 - 31 marzo 2021, n. 12142 (testo in calce) è integrato il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamento del tasso alcolemico laddove il conducente, pur non opponendosi all'accompagnamento in caserma, rifiuti, ivi giunto, l'alcoltest.
Il fatto
Nel processo di merito, i giudici di secondo grado avevano confermato la sentenza di prime cure con cui il ricorrente era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamento del tasso alcolemico (art. 186 comma 7 CdS).
In ordine alla ricostruzione della vicenda criminosa era emerso che una pattuglia dei Carabinieri, estraendo da un furgoncino finito fuori strada il ricorrente in stato di ubriachezza, lo aveva accompagnato presso una caserma posta a 25 Km, dove questi aveva rifiutato di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico.
La Corte territoriale, pur riconoscendo che l'accompagnamento coattivo non fosse consentito, evidenziava come ad esso l'imputato non avesse opposto resistenza, manifestando il rifiuto all'accertamento solo una volta giunti nella caserma dotata dell'attrezzatura necessaria per l'esame.
Interponeva ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo l'illegittimità della richiesta delle forze dell'ordine di recarsi a oltre 20 km di distanza dal luogo di accertamento del fatto per la misurazione del tasso alcolemico, poiché tale richiesta non era riconducibile alle ipotesi di cui all'articolo 186 C.d.S., commi 3, 4 e 5: in particolare, non era riconducibile all'ipotesi di cui al comma 3, in quanto i militari che avevano sottoposto a controllo il ricorrente non erano in possesso di apparecchio portatile; non era riconducibile all'ipotesi di cui al comma 4, in quanto non era stato effettuato il preventivo accertamento qualitativo e il ricorrente non era stato accompagnato presso le più vicine stazioni, situate a distanza di pochi chilometri dal luogo del fatto; non era riconducibile all'ipotesi di cui al comma 5, in quanto il ricorrente non era stato ricoverato presso una struttura sanitaria, non necessitando di cure mediche.
Invocava a sostegno degli assunti il principio, espresso dalla sentenza n. 21192/2012 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, secondo cui il reato in contestazione non è integrato laddove il conducente si opponga all'accompagnamento in caserma, non trattandosi di condotta tipizzata dal combinato disposto dei commi 3 e 7 dell'art. 186 C.d.S.
La sentenza
La Corte ha ritenuto infondato il ricorso escludendo la pertinenza al caso concreto del precedente invocato dal ricorrente: tanto, sull'assunto secondo cui il ricorrente non si era opposto all'accompagnamento ma, solo giunto in tale luogo, si era rifiutato di sottoporsi ad alcoltest.
Senonchè, mette conto di rilevare come, trattandosi di materia penale sorretta dal principio di tassatività, affinchè possa dirsi integrata la contravvenzione contestata, è necessario che il conducente rifiuti l'accertamento così come specificamente previsto dai commi 3 4 e 5 della disposizione normativa che descrive la condotta tipica.
E non par dubbio che, con particolare riferimento alle modalità di espletamento degli accertamenti di cui all'articolo 186, comma 3, la disposizione non preveda la possibilità di accompagnamento coattivo del conducente. Nè può dirsi che tale potere sia implicito nella disposizione in quanto, costituendo l'accompagnamento una limitazione della libertà personale, esso deve essere espressamente previsto dalla legge.
L'assunto della sentenza non appare condivisibile in quanto è la modalità di integrazione della condotta contestata a non risultare corrispondente alla fattispecie legale tipizzata, indipendentemente dalla circostanza che in prima battuta il ricorrente non avesse opposto resistenza all'accompagnamento.
Rifiuto di alcoltest, non servono avvisi difensivi in caso di rifiuto all'accertamento (Cass. 21835/22)
L'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l'attuazione dell'alcoltest non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all'accertamento, in quanto la presenza del difensore è funzionale a garantire che l'atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini.
Corte di Cassazione Sez. 4 penale sentenza n.21835 Anno 2022
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: ESPOSITO ALDO
Data Udienza: 02/12/2021
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PG PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TRENTO BD nato il **/1981 in Bosnia
avverso la sentenza del 25/09/2020 della CORTE APPELLO di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ESPOSITO;
lette le conclusioni del PG dr.ssa DELIA CARDIA,
che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza della Corte di appello;
lette le conclusioni dell'avv. SS, nella qualità di difensore di fiducia dell'imputato, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trento, in riforma della sentenza del Tribunale di Rovereto del 28 novembre 2018, emessa a seguito di giudizio abbreviato, ha assolto BD in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cod. pen., 186, comma 7, e 187, comma 8, C.d.S., perché, in qualità di conducente di auto Mercedes, nel corso di un controllo di polizia, dopo essere incorso in un incidente stradale, rifiutava di sottoporsi agli accertamenti clinici dello stato di ebbrezza e dell'alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti - in Rovereto il 28 febbraio 2017.
In ordine alla ricostruzione della vicenda, va rilevato che dopo il coinvolgimento in un sinistro stradale, i sanitari chiedevano al B di sottoporsi ad accertamento della pregressa assunzione di alcolici o di stupefacenti e questi rifiutava i controlli.
Secondo la Corte territoriale, la richiesta derivava dal sollecito degli organi di P.G. e, pertanto, doveva escludersi che si trattasse di accertamenti clinico-sanitari ricompresi in un protocollo di cura. Il procedimento, pertanto, doveva seguire le modalità dettate in materia di accertamenti irripetibili svolti nella fase delle indagini, ai sensi degli artt. 354, 356 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen.. Nella fatt specie, invece, il B non era stato preventivamente avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore.
2. La Procura Generale presso la Corte di appello di Trento ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione degli artt. 114 disp. att. cod. proc. pen. e 356 cod. proc. pen..
Si deduce che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che, nel momento della richiesta degli operatori sanitari delegati dalla Polizia Giudiziaria, ci si trovasse già nella fase degli accertamenti, mentre in realtà si era ancora nella fase anteriore, presupposto dell'eventuale successiva acquisizione probatoria del dato diagnostico.
Secondo la Procura ricorrente, l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l'attuazione dell'alcoltest non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all'accertamento, in quanto la presenza del difensore è funzionale a garantire che l'atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Con riferimento all'unico motivo di ricorso, va rilevato che, secondo un primo filone interpretativo, in tema di guida in stato di ebbrezza, l'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen., deve essere rivolto al conducente del veicolo nel momento in cui venga avviata la procedura di accertamento strumentale dell'alcolemia con la richiesta di sottoporsi al relativo test, sì che tale obbligo opera anche nel caso in cui l'interessato rifiuti poi di sottoporsi all'accertamento (Sez. 4, n. 13493 del 22/01/2020, Dragna, Rv. 279003; Sez. 4, n.5314 del 08/11/2019, dep. 2020, Spera, Rv. 278621; Sez. 4, n. 10081 del 14/02/2019, Verderio, non massimata sul punto; Sez. 4, n. 57354 del 11/10/2018, Rivas Munoz, non massimata; Sez. 4, n. 14651 del 21/02/2018, Cairoli, non massi- mata; Sez, 4, n. 41178 del 20/07/2017, Rallo, Rv. 270772; Sez. 4, n. 34383 del 06/06/2017, Emanuele, Rv. 270526; Sez. 4, n. 49236 del 3/11/2016, Morello, non massimata; Sez. 4, n. 21192 del 14/03/2012, Bellencin, Rv. 252736).
Tale principio è affermato sul presupposto che il sistema di garanzie delineato dal combinato disposto degli artt. 114 disp. att. cod. proc. pen. e 354 cod. proc. pen. scatta nel momento in cui gli organi di P.G. procedono all'accertamento in via stru- mentale - avente natura indifferibile e urgente - del tasso alcolemico ovvero richiedono alla struttura sanitaria di sottoporre il conducente ai prelievi necessari alla verifica dello stato di ebbrezza.
La verifica tecnica, dunque, si avvia con la richiesta di sottoporsi al test strumentale ovvero alle analisi cliniche e, in tale scansione, l'avvertimento del diritto all'assi- stenza del difensore costituisce il presupposto necessario della relativa procedura, indipendentemente dall'esito della stessa e delle modalità con le quali il test venga concretamente effettuato.
In particolare, l'avvertimento ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen. deve essere dato quando gli organi di P.G., sulla base delle specifiche circostanze del fatto, riten- gano di desumere un possibile stato di alterazione del conducente, indicativo dello stato di ebbrezza; e, segnatamente, "prima di procedere" all'accertamento mediante etilometro (Sez. 4, n. 34383 del 06/06/2017, Emanuele, cit.).
Solo il conducente ritualmente avvisato della facoltà di avvalersi di un'assistenza difensiva, potrà poi determinarsi al rifiuto dell'accertamento e realizzare così la con- dotta prevista dalla fattispecie incriminatrice (Sez. 4, n. 14651 del 21/02/2018, cit.). Si tratta di una facoltà difensiva, il cui esercizio deve fronteggiarsi con l'urgenza e indifferibilità dell'alcoltest, dando vita a contemperamenti che si traducono, essen- zialmente, nell'esclusione del diritto del difensore nominato di essere previamente avvisato e del dovere degli organi di P.G. di attendere l'arrivo del difensore eventualmente nominato (Sez, 4, n. 41178 del 20/07/2017, Rallo, cit.). Ciò, tuttavia, non preclude all'indagato, preavvertito della facoltà, di mettersi in contatto con il difen- sore, di chiedere e ricevere i consigli del caso; né impedisce al difensore di essere presente all'accertamento, se, ad esempio, si trovi nelle vicinanze del luogo in cui si stia procedendo al medesimo e sia in grado di intervenire nello spazio di pochi minuti e di esercitare la difesa, ad esempio richiedendo la verbalizzazione di eventuali osservazioni riguardanti i presupposti e le modalità di esercizio del potere da parte degli organi di polizia, che potrebbero rendere legittimo il rifiuto di sottoporsi all'accertamento. L'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore, dunque, deve essere rivolto al conducente del veicolo nel momento dell'avvio della procedura di accertamento strumentale all'alcolemia con la richiesta di sottoporsi al relativo test. In tale momento agli organi di P.G. non è stata data ancora la possibilità di attestare se l'interessato si sottoporrà alla prova o rifiuterà di farlo.
La contravvenzione di cui all'art. 186, comma 7, C.d.S., infatti, si perfeziona col rifiuto dell'interessato e dunque nel momento in cui l'agente ha espresso la sua indisponibilità a sottoporsi all'accertamento, ma perché il rifiuto possa integrare detta contravvenzione deve trattarsi di accertamento legittimamente richiesto in presenza di alcuna delle condizioni previste dall'art. 186, commi 3, 4 e 5, C.d.S. (Sez. U, n. 46625 del 29/10/2015, Zucconi, Rv. 265025). L'art. 186 C.d.S., infatti, disciplina, ai citati commi 3 e 4, i presupposti e le modalità dell'esercizio del potere conferito agli organi di polizia. In difetto di tali presupposti, l'indagato può legittimamente rifiutarsi di sottoporsi all'accertamento e tale rifiuto non costituirà quindi reato perché quella condotta non potrà considerarsi integrare la fattispecie penalmente sanzionata (Sez. 4, n. 21192 del 14/03/2012, Bellencin, cit.). Laddove invece quei presupposti sussistano, non è previsto dalla norma, né ipotizzabile, un diritto di opporsi all'accerta- mento idoneo a scriminare il reato che quel rifiuto di per sé integra ex art. 186, comma 7, C.d.S.. Sicché l'inosservanza del dovere dell'avvertimento genera una nul- lità di ordine generale il cui regime di rilevabilità/deducibilità è quello contemplato dall'art. 180 cod. proc. pen..
3. Questo Collegio ritiene di aderire ad un secondo - più recente e prevalente - indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l'attuazione dell'alcoltest non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all'accertamento, in quanto la presenza del difensore è funzionale a garantire che l'atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini (Sez. 4, n. 18343 del 13/04/2021, Baumgartner, non massimata; Sez. 4, n. 33594 del 10/02/2021, Bru- nelli, Rv. 281745; Sez. 4, n. 16816 del 14/01/2021, Pizio, Rv. 281072; Sez. 4, n. 34753 del 12/11/2020, Errico, non massimata; Sez. 4, n. 29939 del 23/09/2020, Merlino, Rv. 280028; Sez. 4, n. 34355 del 25/11/2020, Cavalieri, Rv. 279920; Sez. 4, n. 4896 del 16/01/2020, Lachhab, Rv. 278579; Sez. 4, n. 40275 del 19/07/2019, Jaha, non massimata; Sez. 4, n. 29275 del 12/06/2019, Chatoubi, non massimata; Sez. 4, n. 34470 del 13/05/2016, Portale, Rv. 267877; Sez. 4, n. 25534 del 20/02/2019, Riso, non massimata; Sez. 4, n. 43845 del 26/09/2014, Lambiase, Rv. 260603; Sez. 4, n. 16553 del 26/01/2011, Pasolini, Rv. 250310).
Tale orientamento si fonda sul principio secondo cui l'avvertimento di cui all'art. 114 disp. att, cod. proc. pen. è funzionale a garantire che l'alcoltest, in quanto atto a sorpresa e non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini. Il procedimento, in altri termini è certamente in corso allorquando si registra il rifiuto dell'interessato di sottoporsi all'alcoltest, ma, a questo punto, e nel momento stesso del rifiuto, viene integrato il fatto reato sanzionato dall'art. 186, comma 7, C.d.S. (Sez. 4, n. 4896 del 16/01/2020, Lachhab, cit.).
D'altronde, l'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., riguardante l'avvertimento del diritto all'assistenza del difensore in caso di accertamenti urgenti compiuti dalla P.G., per individuare il momento in cui tale adempimento deve essere compiuto, adopera la locuzione «nel procedere al compimento degli atti». Col sintagma appena riportato, il legislatore fa riferimento al momento in cui ci si accinge a compiere l'atto, nella specie la rilevazione dell'alcolernia mediante etilometro, e, quindi, se ci si sta appre- stando a compiere l'atto, vuoi dire che l'interessato vi ha già acconsentito ed ha quindi superato la fase in cui poteva essere manifestato il rifiuto, e, quindi, commesso il reato di cui all'art. 186, comma 7, C.d.S.
Ove si obiettasse che, se l'imputato fosse stato reso edotto della facoltà di farsi assistere, reperito in tempo reale un legale, su consiglio di questi non avrebbe ricusato l'accertamento, si verserebbe in un ambito manifestamente congetturale, incompatibile col precetto di legge, che impone l'avvertimento solo allorquando debba farsi luogo al test (Sez. 4, n. 16816 del 14/01/2021, Pizio, cit ); d'altro canto, ritenere che informare della facoltà di farsi assistere da un difensore al momento della richiesta del consenso finirebbe per snaturare la funzione difensiva, che non è quella di consigliare se commettere o meno un reato (consenso no, consenso sì), ma solo di partecipare ad un atto probatorio per garantirne la legalità (Sez. 4, n. 16553 del 26/01/2011, Pasolini, cit.).
L'art. 354 cod. proc. pen., riguardante gli accertamenti urgenti demandati alla P.G., laddove adopera la locuzione "nel procedere al compimento degli atti", indica chiaramente che ci si accinge a compiere l'atto, nella specie di rilevazione dell'alcolemia mediante etilornetro, e dunque, se ci si sta apprestando a compiere l'atto si- gnifica che l'interessato vi ha acconsentito. Il rifiuto eventuale - e con esso il reato istantaneo di cui all'art. 186, comma 7, C.d.S. - integra un atto antecedente a quello della verifica del tasso alcolemico.
Deve poi rilevarsi che l'art. 379, comma 3, Reg. es. ed att. C.d.S. sull'accerta- mento della guida in stato di ebbrezza e sulle modalità di verbalizzazione da parte degli operanti, prevede quanto segue: "Nel procedere ai predetti accertamenti, ov- vero qualora si provveda a documentare il rifiuto opposto dall'interessato, resta fermo in ogni caso il compito dei verbalizzanti di indicare nella notizia di reato, ai sensi dell'articolo 347 del codice di procedura penale, le circostanze sintomatiche dell'esi- stenza dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida".
La lettera della norma regolamentare, oltre alle modalità di effettuazione del test (misurazione della concentrazione di alcool nell'area alveolare, a mezzo di due prove a distanza di almeno cinque minuti), chiarisce altresì, attraverso l'utilizzo della congiunzione disgiuntiva «ovvero», l'alternativa fra l'ipotesi dell'accertamento e quella, del rifiuto, sicché egt:i3tzlelito delle circostanze sintomatiche «Nel procedere agli accertamenti» ovvero in caso di «rifiuto opposto dall'interessato», significavil rifiuto precede l'inizio del compimento dell'atto, cui è rivolto il procedimento, e per il quale deve realizzarsi la garanza difensiva di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 29939 del 23/09/2020, Merlino, cit.).
La suesposta precisazione consente di accertare l'intenzione legislativa in ordine all'individuazione dell'inizio del «compimento dell'atto» assistito, come atto successivo alla constatazione dei sintomi ed al consenso di sottoporsi al test, essendo il rifiuto, che implica la sola constatazione dei sintomi, alternativo al compimento della procedura di accertamento tecnico, in quanto rifiutata; deve affermarsi che l'obbligo di dare avviso non ricorre allorquando il conducente abbia rifiutato di sottoporsi all'ac- certamento etilometrico, essendo il reato perfezionato nel momento dell'espressione della volontà di sottrarsi all'atto assistito dalla garanzia dell'avviso di farsi assistere da un difensore.
4. Alla luce di quanto esposto, deve affermarsi che, nella fattispecie in esame, non sussisteva l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per l'attuazione dell'alcoltest. Il B, infatti, aveva espresso la propria volontà di non sottoporsi all'accertamento, rifiuto da considerare atto antecedente a quello di verifica del tasso alcolemico, seconda e sola fase del procedimento in cui opera la garanzia di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. del necessario previo avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano, che dovrà riesaminare la fattispecie alla luce dei principi giurisprudenziali sopra illustrati.
P. Q. M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano.
Così deciso in Roma il 2 dicembre 2021
Stupefacenti: il conducente può rifiutare i test clinici se non ci sono indizi sul suo stato di alterazione. Da polizialocale.com.
Esaminiamo il caso di un uomo fermato per un controllo da un organo di Polizia Stradale. Gli agenti chiedevano al conducente di sottoporsi, presso una struttura sanitaria, a test clinici per rilevare l’eventuale presenza di stupefacenti in circolo nel sangue. L’imputato, avendo rifiutato di ottemperare alle richieste degli agenti, viene ritenuto responsabile del reato di cui all’art.187, comma 8, C.d.S..
La Cassazione è però di diversa opinione: non ci sussistendo elementi fattuali per sospettare che l’imputato fosse sotto l’effetto di stupefacenti, non vi erano le condizioni di fatto per considerare legittima l’intimazione rivolta dagli operanti al conducente, in quanto, contrariamente a quanto previsto dall’art.187 C.d.S. sopra ricordato, non erano stati acquisiti elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione alle analisi di laboratorio, sia perché non erano state effettuate prove attraverso strumentazione portatile, sia perché non esplicitati altri elementi sullo stato dell’imputato che lasciassero ritenere uno stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.
Non sussistono quindi gli estremi per confermare la condanna ai sensi del comma 8 dell’art. 187 C.d.S. (“reato di rifiuto”), poiché gli agenti non si sono attenuti alle procedure di legge e di conseguenze l’ordine intimato è illegittimo.
Corte di Cassazione, Sentenza n. 12197/17
Cosa succede se mi rifiuto di fare il test antidroga? Autore: Angelo Greco su laleggepertutti.it il 5 Settembre 2022
Narcotest: per la guida sotto effetto di sostanze stupefacenti, il processo penale non è scontato.
Farsi una canna e poi mettersi alla guida dell’auto non è consentito dalla legge. A maggior ragione se si tratta di droghe più pesanti. Se però il livello di Thc nell’organismo è ormai sceso perché l’assunzione della sostanza psicotropa è avvenuta nei giorni precedenti e non ha influito sulle capacità e sui riflessi del conducente, allora questi non può essere “multato”. Ma cosa succede se ci si rifiuta di fare il test antidroga? È opportuno fare dei chiarimenti in merito, tenendo conto di una recente pronuncia della Cassazione che offre anche la possibilità di ottenere l’assoluzione dal procedimento penale. Procediamo per gradi.
Indice
Dopo quanto tempo si può guidare dopo aver fumato?
Cosa succede se ci si rifiuta di fare il test antidroga?
Come difendersi se si è positivi al narcotest?
Dopo quanto tempo si può guidare dopo aver fumato?
Ci sono profonde differenze tra la guida in stato di ebbrezza e quella sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Nel primo caso, sono previsti tre scaglioni di sanzioni, graduati a seconda dell’entità di alcol nel sangue, ma le sanzioni scattano per il solo fatto che l’alcoltest abbia dato esito positivo, a prescindere quindi dalle effettive capacità reattive del conducente.
Viceversa, la guida sotto l’effetto di droghe è sanzionata sempre allo stesso modo (non sono cioè previste delle pene differenti a seconda del tipo di droga o di quanto esse abbiano influito sui riflessi del trasgressore); tuttavia, deve essere accertato l’effettivo stato di alterazione causato da tale assunzione. Quindi, chi ha fumato nei giorni precedenti, potrebbe ben risultare positivo al narcotest ma non è detto che possa essere sanzionato. Di tanto abbiamo già parlato nell’articolo Dopo quanto tempo posso guidare dopo aver fumato?
Dunque, nel caso di stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti è indifferente la quantità di sostanza assunta ma rileva l’alterazione psicofisica causata dall’assunzione di droga.
Cosa succede se ci si rifiuta di fare il test antidroga?
Se la polizia ferma l’automobilista e gli chiede di sottoporsi al narcotest (il test antidroga) per verificare l’eventuale guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, è dovere di quest’ultimo collaborare. Quali sanzioni scattano per chi si rifiuta? Le stesse per chi viene trovato con un tasso di alcol nel sangue superiore a 1,5 gr (quello cioè più alto ammesso dalla legge): l’ammenda da euro 1.500 ad euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, la sospensione della patente da 1 a 2 anni. L’ammenda è una sanzione penale, ragion per cui il conducente viene denunciato seduta stante e, successivamente, sottoposto a un procedimento penale.
Come difendersi se si è positivi al narcotest?
L’automobilista potrebbe anche rifiutarsi di sottoporsi al narcotest ma deve sapere che non potrà mai evitare le sanzioni amministrative ossia la sospensione della patente. Potrebbe tuttavia evitare la condanna penale e, quindi l’ammenda e l’arresto. Potrebbe scamparvi perché, secondo la Cassazione (così come succede per il rifiuto all’alcoltest), se non c’è stato un incidente, se l’auto non ha sbandato fuori dalla sede stradale, se non c’era particolare traffico tanto che la condotta del conducente poteva risultare pericolosa per gli altri automobilisti, se non vi è “abitualità”, il fatto può considerarsi in sé per sé “tenue”. E la tenuità del fatto è una condizione per ottenere l’assoluzione dal processo penale, ai sensi dell’articolo 131-bis del Codice penale.
Secondo la giurisprudenza, dunque, anche l’automobilista che rifiuta il narcotest, così come quello ubriaco, può risultare non punibile. Del resto, l’articolo 187, comma ottavo, del Codice della strada non punisce ogni astratto rifiuto a sottoporsi all’accertamento, ma il “no” connesso a “condotte di guida irregolari” al punto da diventare pericolose. Dunque, quando la polizia fa un semplice controllo su strada, non generato da una violazione delle regole che potrebbe denotare un comportamento imprudente, allora il rifiuto al narcotest può essere perdonato per la «particolare tenuità del fatto».
I principi affermati dalle Sezioni unite della Cassazione per la guida in stato d’ebbrezza possono essere applicati anche al conducente che non si assoggetta al controllo dei campioni biologici presso una struttura sanitaria per accertare lo stato di alterazione psicofisica da assunzione di stupefacenti. Non è di per sé dirimente che l’uomo abbia ammesso di aver fumato uno spinello durante il controllo di polizia. La particolare tenuità del fatto è applicabile a ogni tipo di fattispecie. Spetta al giudice ponderare gli elementi, mentre la valutazione sul danno e sul pericolo non basta a fondare o escludere la marginalità del fatto.
Se il giudice rifiuta la richiesta di archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto deve fornire adeguate motivazioni. La semplice pericolosità del comportamento non può essere presunta sulla base di circostanze non accertate, come la tenuta della strada, senza descrivere il reale contesto né la modalità della condotta; va invece motivata l’irregolarità della circolazione tale da diventare pericolosa. Come nel caso di condotta abituale. Ma, a tal fine, non conta la precedente condanna per guida in stato d’ebbrezza.
Semafori difettosi e zero strisce bianche. Così i Comuni spremono chi si mette al volante. Marcello Astorri il 4 Giugno 2023 su Il Giornale.
Le sanzioni fruttano fino al 2,5% delle entrate delle metropoli
Solo per le prime venti città italiane il tesoretto-multe vale oltre mezzo miliardo di euro. Gli incassi da questa voce, infatti, nel 2022 sono cresciuti del 37% a 547 milioni complessivi. Un discreto gruzzolo derivante da violazioni del Codice della Strada che, per alcune città, è anche una voce non trascurabile delle entrate di bilancio: prendendo Milano, prima in Italia con 151,5 milioni di euro di incassi da multe, vale circa il 2,5% delle entrate totali registrate nel 2022. La seconda piazza di questa speciale hit parade è occupata da Roma, che incassa 133 milioni (pari allo 0,8% delle entrate del Comune). Chiude il podio Firenze, con vigili urbani che dai loro taccuini hanno staccato contravvenzioni per 46 milioni di euro (il 2,3% delle entrate realizzate dal comune). La classifica oltre il podio prosegue poi con Bologna (43 milioni) e Torino (40 milioni circa). Tutti questi dati arrivano dal Codacons, che ha svolto una ricerca prendendo in esame la rendicontazione relativa ai proventi delle multe stradali che, per legge, gli enti locali devono presentare al governo entro il 31 maggio di ogni anno. Il peso sui bilanci, già di per sè non banale per i grandi centri, potrebbe essere anche superiore per comuni più piccoli. Basti pensare che, il gettito complessivo, è arrivato a quota 1,44 miliardi (+38,09% rispetto all'1,04 miliardi di un anno fa). L'attuale governo, con un provvedimento contenuto nell'ultima manovra di bilancio, ha imposto lo stop per il 2023 e il 2024 della rivalutazione delle multe all'inflazione. Tuttavia, a giudicare dagli ultimi dati, gli Enti locali non paiono inclini a diminuire queste linee di ricavo. Non sempre, però, questo modo di fare cassa è usato entro i limiti del buon senso. Negli anni sono aumentati a vista d'occhio nelle città i parcheggi con le strisce blu, anche in zone dove il Comune per legge dovrebbe riservare adeguate aree dedicate alla sosta gratuita. C'è sì il cavillo che permette ai comuni di non rispettare questa proporzione, in presenza di aree ztl o di particolare «rilevanza urbanistica», ma è una definizione che spesso viene applicata in senso estensivo dagli enti locali. A Milano, per esempio, l'Area B con i suoi 128,2 chilometri quadrati è la Ztl più ampia d'Italia e la seconda più estesa d'Europa dopo Bruxelles. Tante volte gli automobilisti italiani fanno i conti con semafori difettosi o autovelox nascosti, segnalati male o non a norma. Proprio contro quest'ultimi si batte da tempo, e sul cui tema ha scritto il libro Autovelox guida all'autodifesa, l'ex ufficiale in pensione Carlo Spaziani, che ha prestato servizio 44 anni nella Polizia locale di Roma. La posizione di Spaziani è che gli autovelox usati oggi sarebbero addirittura «illegali». Il motivo è che «il Codice della Strada prevede che gli autovelox debbono essere muniti di decreto ministeriale, ossia a firma di un Ministro e non di altri», spiega l'ex vigile, «mancando il Decreto e la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale i verbali rilevati dagli autovelox sono atti nulli». Spaziani, poi, è critico per la facoltà concessa ai Comuni di decidere i limiti di velocità: «In certi casi mettono limiti assurdi per poi utilizzare gli autovelox, questo potrebbe configurare un conflitto di interessi».
Boom incassi per le multe: nel 2022 aumento del 37%. Boom incassi per le multe: secondo il Codacons i più elevati si registrano a Milano. Top degli autovelox a Firenze. Marco Della Corte su Notizie.it il 3 Giugno 2023
Milano risulta essere la città con un vero e proprio boom di incassi per le multe rispetto agli altri comuni italiani. A renderlo noto è il Codacons che ha elaborato i dati della rendicontazione ufficiale che gli enti locali devono fornire ogni anno al governo per la pubblicazione sulla piattaforma web del Ministero dell’Interno. Codacons fa sapere tramite un’analisi riportata dall’Ansa: “Con oltre 151,5 milioni di euro di incassi incamerati nel 2022, Milano è la città italiana che guadagna di più grazie alle sanzioni per violazioni del Codice della Strada”. Nel 2022 gli incassi delle multe risultano essere pari a 54 milioni, con una crescita del 37%.
Boom incassi multe: Roma al secondo posto
Dal Sole 24 ore si viene a sapere che Roma risulta essere al secondo posto della classifica con 133 milioni di euro. Situazione diversa per Firenze, Bologna e Torino con rispettivamente 46 milioni, 43 milioni e circa 40 milioni. Posizioni molto più distaccate rispetto alla Capitale.
Firenze regina degli autovelox
La maggior parte delle multe stradali a Firenze provengono dagli autovelox, che nel 2022 hanno prodotto un incasso di 23,2 milioni di euro. Da questo punto di vista, Milano e Genova occupano il secondo e terzo posto, rispettivamente con 12,9 milioni di multe e 10,7 milioni.
Multe ingiuste, cosa fare per ottenere il rimborso. Presentare un ricorso in autotutela è il modo per tentare di recuperare somme già pagate a fronte di multe ingiuste. La legge permette il ricorso solo prima di pagare un’ammenda e recuperare le somme può essere complicato. Giuditta Mosca il 9 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Quali sono le sanzioni ingiuste
Costi e tempi per pagare le multe
Chi paga una multa dopo il quinto giorno dalla notifica, ma in ogni caso entro 60 giorni, non ha possibilità di opporre ricorso né al prefetto né al giudice di pace. Il Codice della strada, all’articolo 203, esplicita in modo chiaro che può ricorrere soltanto chi non ha proceduto con il pagamento dell’ammenda. Anche in questo caso, l'unica via percorribile è il ricorso in autotutela.
Come funziona il ricorso in autotutela
Ottenere il rimborso di una multa presuppone che la stessa sia già stata pagata e, da questo punto di vista, va anche preso in considerazione il fatto che un pagamento rapido coincide con uno sconto del 30% dell’ammenda. Ciò può indurre una specie di stress che annichilisce la riflessione e che spinge a pagare in tutta fretta senza porsi domande.
Quali sono le sanzioni ingiuste
Il tempo impiegato per pagare una multa costituisce elemento discriminante, ed è proprio da questo c c he partiamo per capire come ottenere un rimborso laddove una o più multe siano da considerare ingiuste. Per quanto possa sembrare improbabile, la quantità di multe elevate ingiustamente non è trascurabile. I motivi possono essere molti, a partire da un’infrazione mai veramente avvenuta, un vizio o un errore nell’iter di notifica della multa oppure a causa di irregolarità compiute dall’accertatore (polizia di Stato, locale oppure i carabinieri).
Costi e tempi per pagare le multe
Per approfondire la questione del rimborso delle multe ingiuste occorre considerare i termini di pagamento e la riduzione delle sanzioni:
nei primi 5 giorni dopo la ricezione della notifica si può pagare la sanzione con una riduzione del 30%. L’importo esatto della riduzione è indicato sul verbale,
tra il 5° e il 60° giorno si può pagare con una riduzione che, anche in questo caso, è indicata sul verbale,
a partire dal 61° giorno la multa va pagata interamente e, ogni sei mesi, scattano gli interessi del 10%.
Queste tre condizioni determinano ricadute sul rimborso di una multa tant’è che, chi paga entro 5 giorni, gode dello sconto del 30% in cambio di una tacita ammissione di colpa. Quindi, benché la multa sia stata elevata ingiustamente, non c’è modo di ottenere il rimborso. L'unica possibilità risiede nel ricorso in autotutela, vediamo di cosa si tratta.
Chi paga una multa dopo il quinto giorno dalla notifica, ma in ogni caso entro 60 giorni, non ha possibilità di opporre ricorso né al prefetto né al giudice di pace. Il Codice della strada, all’articolo 203, esplicita in modo chiaro che può ricorrere soltanto chi non ha proceduto con il pagamento dell’ammenda. Anche in questo caso, l'unica via percorribile è il ricorso in autotutela.
Presentare un ricorso oltre il 60esimo giorno dalla notifica della multa, anche se non la si è ancora pagata, è fuori dai termini imposti dal già citato articolo 203 del Codice della strada. Il cittadino ha infatti 60 giorni di tempo per presentare ricorso all’ente che ha elevato l’ammenda oppure 30 giorni per presentarlo al giudice di pace.
Come funziona il ricorso in autotutela
Le leggi vigenti sembrano sorridere poco agli automobilisti che hanno pagato una multa. Subentra lo strumento del ricorso in autotutela che va inviato per raccomandata con avviso di ricevimento o via Pec all’ente a cui l’ammenda è stata pagata. Va detto che questo ricorso può non essere accolto dall’autorità ricevente per la quale, tra l’altro, non esiste un limite di tempo entro il quale rispondere.
Non c’è un formulario per redigere un ricorso in autotutela, può essere quindi scritto liberamente e occorre dimostrare l’illegittimità della multa che si sta contestando. Vanno aggiunti alcuni documenti, ovvero:
copia del verbale di contestazione,
copia della ricevuta di pagamento della multa,
copia di un documento di identità in corso di validità,
l’Iban del conto sul quale si desidera ricevere il rimborso.
Come detto, non ci sono leggi che obbligano l’ente che ha elevato la multa ad affrontare la questione e a riconoscere un rimborso al cittadino. Dipende dalla volontà e dalla capacità organizzativa dei singoli enti i quali, va comunque detto, non hanno interesse nel trattenere somme derivate da multe ingiustificate e illegittime. Può essere necessario armarsi di pazienza e di cortese capacità di insistere.
Come funzionano i punti patente
Come funziona il punteggio della patente di guida? Come si fa a vedere quanti punti si hanno sulla patente? Scoprilo con questa guida quixa! Da quixa.it
I punti della patente sono un sistema con il quale sono penalizzate alcune violazioni del Codice della Strada, ma al contempo vengono premiati i conducenti che non commettono infrazioni e guidano nel rispetto delle norme. La patente a punti è stata introdotta a partire dal 2003, per promuovere la sicurezza e la prevenzione degli incidenti stradali, inoltre sono previste condizioni speciali per alcune categorie specifiche, come i neopatentati e i conducenti professionali. Vediamo come funzionano i punti patente esattamente, come controllarli e tutto ciò che bisogna sapere sul loro recupero per non rimanere a piedi.
Che cosa sono i punti della patente
Dal primo luglio 2003 è entrato in vigore il sistema di punteggio della patente di guida, come previsto dall’articolo 126 bis del Codice della Strada. Tuttavia, non è importante quando l’abilitazione di guida è stata conseguita, infatti a partire da questa data, a tutte le persone in possesso di una patente è stato applicato questo meccanismo obbligatoriamente.
Il numero di punti della patente inizialmente è uguale per tutti: all’abilitazione si parte da 20 punti. Ogni 2 anni è possibile ricevere un riconoscimento di ulteriori 2 punti che vengono sommati a quelli presenti sulla patente in quel momento, se non si commettono infrazioni.
In questo modo è possibile arrivare fino a un massimo di 30 punti patente, dopodiché il punteggio si blocca perché è stata raggiunta la soglia limite, quindi anche in caso di buona condotta non viene più aggiunto alcun punto. Se invece si sono persi dei punti a causa di un’infrazione avviene la decurtazione, tuttavia possono essere recuperati senza fare nulla in alcune circostanze.
In particolare, se nei due anni successivi non si commettono violazioni vengono reintegrati tutti i punti sottratti con l’infrazione, ad eccezione per chi arriva a 0 punti sulla patente di guida. Ad esempio, chi subisce la decurtazione di 3 punti nel mese di settembre del 2021 può riottenerli a settembre 2023, qualora in questo lasso di tempo non avvenga nessuna contravvenzione passibile di taglio dei punti.
Come avviene la decurtazione dei punti patente
Prima di capire come vedere i punti della patente vediamo come funziona il meccanismo di decurtazione, ovvero la sottrazione dei punti in seguito a un’infrazione grave. Il Codice della Strada disciplina le norme da seguire per la circolazione, indicando anche le sanzioni che le Forze dell’Ordine possono applicare in caso di violazione.
A seconda dell’infrazione la sanzione può essere appena di tipo amministrativo, quindi una multa, oppure essere abbinata ad altre penalizzazioni come la decurtazione di punti dalla patente di guida, la sospensione della patente oppure il sequestro del veicolo. Le sanzioni sono commisurate alla gravità della violazione, in base alla pericolosità del comportamento.
Per una sola singola infrazione si possono perdere fino a un massimo di 10 punti della patente, altrimenti in presenza di violazioni multiple realizzate simultaneamente è possibile arrivare ad una decurtazione massima di 15 punti. Se la sanzione viene applicata a distanza senza contestazione, ad esempio per eccesso dei limiti di velocità, in questo caso il proprietario del veicolo deve obbligatoriamente indicare il guidatore responsabile, al quale sarà applicata la decurtazione dei punti.
Principali infrazioni con decurtazione dei punti patente
1 punto – uso improprio dei fari
2 punti – sosta in corsia riservata
3 punti – mancato rispetto della distanza di sicurezza
4 punti – circolazione contromano
5 punti – mancato utilizzo delle cinture di sicurezza
6 punti – passaggio con semaforo rosso
8 punti – inversioni di marcia pericolose
10 punti – guida in stato di ebbrezza
Come vedere i punti della patente
Come posso sapere quanti punti ho sulla patente? Per verificare il punteggio dei punti della patente di guida basta utilizzare i servizi online del Portale dell’Automobilista, il sito web ufficiale del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili. Qui è possibile registrarsi e visualizzare il saldo dei punti patente, oppure bisogna chiamare il servizio automatico al numero 848 782 782 attivo 24/7.
In alternativa è possibile scoprire il numero di punti patente scaricando l’app iPatente, compatibile con smartphone e tablet Android, HarmonyOS (Huawei) e iOS, l’applicazione ufficiale del Dipartimento dei Traporti del Ministero. L’app consente di visualizzare sul telefono il saldo e lo storico dei punti della patente, inoltre si possono monitorare una serie di pratiche automobilistiche ed effettuare alcuni controlli su altri veicoli.
Punti patente: le regole per i neopatentati
Per i neopatentati valgono delle regole leggermente diverse per quanto riguarda i punti patente. Innanzitutto nei primi 3 anni dall’ottenimento dell’abilitazione si possono acquisire un massimo di 3 punti per buona condotta: se non si commettono infrazioni, ogni anno viene aggiunto un ulteriore “bonus” di 1 punto, il quale si aggiunge all’eventuale “bonus” di 2 punti dopo 2 anni senza infrazioni, quindi i neopatentati hanno la possibilità di ottenere un totale di 5 punti aggiuntivi dopo i primi tre anni di guida.
Allo stesso modo, ogni violazione del Codice della Strada che comporta la decurtazione di punti patente viene raddoppiata per i neopatentati, con l’applicazione di una sanzione maggiorata. Se ad esempio un’infrazione causa la perdita di 5 punti dalla patente, per una persona che ha preso l’abilitazione da meno di 3 anni la sottrazione diventa di 10 punti.
Cosa succede con zero punti sulla patente di guida?
Quando si arriva a zero punti sulla patente è necessario sostenere un esame presso la Motorizzazione, simile a quello affrontato per prendere l’abilitazione di guida la prima volta, con prova teorica e pratica. Nel frattempo la patente viene messa in revisione, ovvero viene sospesa, periodo durante il quale è possibile comunque guidare per 30 giorni dalla data di notifica
Se si supera la prova vengono ristabiliti i 20 punti, altrimenti la patente viene definitivamente revocata. In questo caso l’abilitazione è invalidata e viene annullata, inoltre sarà necessario attendere 2 anni prima di prendere di nuovo la patente, salvo indicazioni differenti delle Autorità. Dopo questo periodo si potranno sostenere gli esami e ricevere una nuova abilitazione, ma si verrà considerati a tutti gli effetti dei neopatentati per i primi 3 anni.
Le stesse condizioni si applicano a chi commette 3 infrazioni con decurtazione di 5 punti patente, ciascuna avvenuta nello stesso anno.
Come recuperare i punti patente
Per evitare di rischiare di azzerare i punti patente è possibile seguire un corso di recupero. Nelle scuole guida sono disponibili appositi corsi per riacquistare i punti persi dalla patente, con la possibilità di reintegrare fino ad un massimo di 6 punti per ogni corso.
I nuovi punti saranno sommati a quelli presenti sulla patente fino ad arrivare a 20 punti, soglia oltre la quale non è possibile aggiungere altri punti. Ciò significa che non vale la pena recuperare i punti con un punteggio superiore a 14, in quanto verranno accreditati appena quelli necessari per arrivare a 20 e gli altri non saranno conteggiati.
Come vengono decurtati i punti patente? Scritto da Michela Calculli il 04 Novembre 2021 su 6sicuro.it
Come vengono decurtati i punti patente?
La decurtazione dei punti della patente è una delle sanzioni previste dal nostro Codice della Strada. Come funziona?
La decurtazione dei punti patente comporta in una comunicazione dei dati del conducente, e se ciò non avviene rischiano ulteriori sanzioni. Vediamo cosa bisogna fare.
Decurtazione punti patente: come funziona
Da quando nel 2003 è stata introdotta la patente a punti nel nostro ordinamento, la decurtazione dei punti patente rientra tra le sanzioni previste dal Codice della Strada. I punti sottratti possono andare da 1 a 10, a seconda dell'infrazione commessa e dunque della relativa gravità. La decurtazione dei punti viene comunicata con l'atto di notifica della multa. L'organo accertatore deve inoltre comunicare la decurtazione all’Anagrafe Nazionale degli abilitati alla guida entro 30 giorni. Ma attenzione! Se la sanzione non è stata contestata immediatamente al trasgressore, ad esempio in caso di controllo elettronico, occorre procedere con la comunicazione dei dati del conducente. Questo perché in casi analoghi non è possibile procedere con il riconoscimento diretto di chi stava conducendo l'auto al momento dell'infrazione. Il proprietario del veicolo ha 60 giorni dalla notifica per comunicare i dati richiesti, in modo che la decurtazione dei punti venga assegnata alla persona corretta. Chi non comunica i dati della patente dell’effettivo conducente entro i termini di legge, rischia una seconda multa che va da un minimo di 292 euro a un massimo di 1.168 euro.
Quali infrazioni decurtano punti patente?
Le infrazioni che comportano la decurtazione di punti della patente, che come abbiamo visto possono andare da 1 a 10, sono davvero moltissime. Vediamo dunque le principali in base al numero di ppunti che è possibile perdere. Decurtazione 10 punti patente:
superare i limiti di velocità di oltre 60 km/h;
circolare contromano nelle curve o sui dossi;
sorpassare in situazioni gravi e pericolose, come in prossimità di curve, dossi o incroci.
Decurtazione 8 punti patente:
mancato rispetto della distanza di sicurezza e incidente con lesioni gravi;
comportamento irregolare o pericoloso nelle strade di montagna, che abbia causato gravi lesioni personali;
violazione dell’obbligo di precedenza ai pedoni.
Decurtazione di 6 punti patente:
superamento dei limiti di velocità di oltre 40 km/h, ma non oltre i 60 km/h;
violazione degli obblighi di comportamento ai passaggi a livello;
passaggio con semaforo rosso o in presenza di agente del traffico.
Decurtazione di 5 punti patente:
violazione degli obblighi di precedenza;
mancato rispetto delle regole di sorpasso;
circolazione a velocità non commisurata alle condizioni di circolazione.
Decurtazione di 4 punti patente:
circolazione contromano non in curva;
mancata occupazione della corsia più libera a destra, sulle strade con carreggiata a due o più corsie;
caduta o spargimento sulla carreggiata di materie viscide e infiammabili o che potrebbero causare pericolo.
Decurtazione di 3 punti patente:
superare i limiti di velocità di oltre 10 km/h e non oltre i 40 km/h;
mancata osservanza delle distanze di sicurezza nei confronti di determinate categorie di veicoli;
mancata osservanza delle distanze di sicurezza e sinistro con soli danni a cose.
Decurtazione di 2 punti patente:
sorpasso a sinistra di un tram in fermata in sede stradale non riservata;
cambiamenti di direzione o di corsia per inversione di marcia oppure svolte senza osservare le prescrizioni imposte;
sosta nelle corsie riservate al transito degli autobus e veicoli su rotaia, negli spazi riservati a veicoli con persone invalide, in corrispondenza di rampe, scivoli o corridoi di transito.
Decurtazione di 1 punto patente:
mancato utilizzo dei dispositivi di illuminazione o segnalazione visiva quando è prescritto;
uso improprio dei fari;
trasportare persone in sovrannumero.
Tabella punti patente. Da Quattroruote.it
Cos’è la patente a punti
Al momento del rilascio della patente viene attribuito un punteggio di venti punti. Questo punteggio è virtuale ed è annotato nei computer dell'Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (Anag), la banca dati delle patenti italiane gestita dalla Motorizzazione civile.
A ogni violazione delle norme di comportamento stradale corrisponde un punteggio da decurtare telematicamente dalla patente del conducente che ha commesso l’infrazione (ma alcune violazioni meno gravi, come il normale divieto di sosta oppure il superamento dei limiti di velocità fino a 10 km/h, non prevedono perdita di punteggio).
La legge stabilisce che i punti da decurtare siano raddoppiati nel caso in cui a commettere la violazione sia un neopatentato nei primi tre anni dal conseguimento della patente.
La legge stabilisce anche che nel caso in cui vengano accertate più violazioni contemporaneamente, possono essere decurtati un massimo di quindici punti. Ma questo limite non vale se una delle violazioni prevede la sospensione o la revoca della patente. In questa situazione tutti i punti previsti da ciascuna violazione si sommano.
La tabella che contiene, violazione per violazione, il punteggio da decurtare, è contenuta nel Codice della strada.
La decurtazione
La decurtazione del punteggio avviene solo quando il procedimento è concluso, ossia dopo che è avvenuto il pagamento della relativa multa oppure è trascorso il termine di 60 giorni per il pagamento oppure, se si è presentato ricorso, quando il ricorso sia stato respinto con esito definitivo.
Nel caso in cui il conducente non sia identificato, per esempio quando la violazione è stata accertata con apparecchiature elettroniche senza contestazione immediata su strada oppure nei casi di divieto di sosta più gravi (per esempio su uno stallo riservato ai disabili), il verbale viene inviato all’indirizzo di residenza del proprietario del veicolo e questi ha l’obbligo di comunicare al comando di polizia le generalità dell’effettivo trasgressore. Non effettuare questa comunicazione è una ulteriore violazione del Codice che prevede una ulteriore multa a carico del proprietario del veicolo. In questa situazione, però, non essendo stato identificato il trasgressore, i punti non vengono tolti a nessuno.
L’azzeramento dei punti
Alla perdita totale del punteggio, il titolare della patente deve sottoporsi a un nuovo esame di teoria e di guida. In pratica, l’azzeramento dei punti implica la necessità di conseguire ex novo la patente. C’è anche un’altra situazione in cui bisogna nuovamente fare gli esami di teoria e di guida: se dopo una violazione che comporta la perdita di almeno cinque punti se ne commettono altre due, nell’arco dei dodici mesi successivi, che comportino una perdita di almeno cinque punti.
Il recupero dei punti
La legge, però, dà anche la possibilità di recuperare punti, ma solo se il punteggio della patente non si è azzerato. Il recupero avviene in due modi: frequentando un corso di recupero punti oppure per buona condotta.
Frequentando uno specifico corso in autoscuola, i titolari di una normale patente possono recuperare sei punti, mentre i titolari di certificato di abilitazione professionale possono recuperarne nove;
La mancanza per due anni di violazioni da cui derivi la decurtazione del punteggio consente a chi ha meno di 20 punti di tornare automaticamente a quota 20 punti e a chi ne ha almeno venti di ottenere due punti-omaggio, diciamo così (ma ai neopatentati viene concesso solo un punto-omaggio all’anno per i primi tre anni dal conseguimento della patente). Questo meccanismo prevede un tetto massimo di trenta punti.
La tabella dei punti
L’articolo 126 bis del Codice della strada, quello che disciplina la patente a punti, contiene una tabella che indica, articolo per articolo, comma per comma (ossia violazione per violazione), i punti da decurtare.
Art. violato |
Comma |
Descrizione |
PUNTI |
141 |
8 |
Velocità non commisurata alle situazioni ambientali |
5
|
142 |
8 |
Superamento dei limiti di velocità di oltre 10 ma non oltre 40 km/h |
3
|
142
|
9
|
Superamento dei limiti di velocità di oltre 40 ma non oltre 60 km/h
|
6
|
142
|
9-bis
|
Superamento dei limiti di velocità di oltre 60 km/h
|
10
|
143
|
11
|
Circolazione contromano
|
4
|
143
|
12
|
Circolazione contromano in curve, dossi o con limitata visibilità
|
10
|
143
|
13, con riferimento al comma 5
|
Corsia da percorrere in carreggiata a due o più corsie per senso di marcia
|
4
|
145
|
5
|
Inosservanza dell’obbligo di arrestarsi (stop)
|
6
|
145
|
10, con riferimento ai commi 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 9
|
Omessa precedenza
|
5
|
146
|
2, a eccezione dei segnali stradali di divieto di sosta e fermata
|
Inosservanza di segnali stradali o degli agenti del traffico
|
2
|
146
|
3
|
Inosservanza del segnale semaforico o dell’agente del traffico
|
6
|
147
|
5
|
Obbligo di prudenza in prossimità dei passaggi a livello, attraversamento vietato di passaggio a livello, ingombro di passaggio a livello, inosservanza degli obblighi in caso di arresto forzato sui binari
|
6
|
148
|
15, con riferimento al comma 2
|
Inosservanza delle condizioni di sicurezza per il sorpasso
|
3
|
148
|
15, con riferimento al comma 3
|
Inosservanza modalità di sorpasso – sorpasso a destra, sorpasso non facendo uso dell’apposita corsia
|
5
|
148
|
15, con riferimento al comma 8
|
Sorpasso di tram o filobus in movimento
|
2
|
148
|
16, terzo periodo
|
Sorpasso a destra di tram o filobus fermi, sorpasso di velocipede, sorpasso in curva, dosso o con scarsa visibilità. Sorpasso di veicolo che sta a sua volta sorpassando, sorpasso di veicoli fermi ai semafori, ai passaggi a livello o incolonnati, sorpasso alle intersezioni, sorpasso ai passaggi o livello e agli attraversamenti pedonali, sorpasso per i veicoli pesanti
|
10
|
149
|
4
|
Omessa distanza di sicurezza tra i veicoli senza collisione o con danni lievissimi, omessa distanza di sicurezza tra veicoli soggetti a divieto di sorpasso, omessa distanza di sicurezza dalle macchine sgombraneve o spargitrici
|
3
|
149
|
5, secondo periodo
|
Omessa distanza di sicurezza tra i veicoli senza collisione o con danni gravi ai veicoli
|
5
|
148
|
6
|
Omessa distanza di sicurezza tra i veicoli senza collisione o con lesioni gravi alle persone
|
8
|
150
|
5, con riferimento all'art. 149, comma 5
|
Mancato arresto in caso di incrocio impossibile con collisione, mancato arresto su strada di montagna con collisione, omessa retromarcia in incrocio su strada di montagna con collisione
|
5
|
150
|
5, con riferimento all'art. 149, comma 6
|
Infrazioni con lesioni gravi alle persone
|
8
|
152
|
3
|
Uso dei dispositivi di segnalazione visiva dei veicoli a motore
|
1
|
153
|
10
|
Omessa commutazione dei proiettori di profondità (abbagliamento)
|
3
|
153
|
11
|
Dispositivi di segnalazione visiva in relazione alla visibilità, uso dei proiettori di profondità fuori dai casi previsti, omesso uso dei proiettori anabbaglianti su veicoli che trasportano feriti, uso dei dispositivi di segnalazione visiva durante la fermata e la sosta con scarsa visibilità, omessa segnalazione luminosa di pericolo, omesso azionamento luce posteriore per nebbia, uso di dispositivi di illuminazione o segnalazione visiva diversi da quelli prescritti, uso improprio dei dispositivi di segnalazione luminosa
|
1
|
154
|
7
|
Divieto di inversione di marci alle intersezioni, curve o dossi
|
8
|
154
|
8
|
Omesse cautele e segnalazioni nell’esecuzione di manovre, manovra di svolta a destra senza tenersi strettamente a destra, inosservanza delle prescrizioni per la manovra di svolta a sinistra, omessa precedenza nella retromarcia o nell’immissione nel flusso della circolazione, uso improprio delle segnalazioni di cambiamento di direzione, divieto di brusche frenate o rallentamenti improvvisi durante le manovre
|
2
|
158
|
2, lettere d) e h)
|
Sosta alle fermate dei mezzi pubblici, sosta nelle corsie o carreggiate riservate ai mezzi pubblici
|
2
|
158
|
2, lettera g)
|
Sosta negli spazi riservati alle persone con disabilità
|
4
|
161
|
1 e 3
|
Ingombro della carreggiata per avaria o altre cause, omessa segnalazione di ingombro della carreggiata
|
2
|
161
|
2
|
Omesse cautele in caso di caduta di sostanze viscide, infiammabili o pericolose
|
4
|
162
|
5
|
Omessa segnalazione di veicolo fermo, distanza non regolamentare del segnale mobile di pericolo (triangolo), veicolo privo del segnale mobile di pericolo (triangolo), veicolo con segnale mobile di pericolo (triangolo) non regolamentare, omessa segnalazione di veicolo fermo privo di triangolo, omesse cautele nella collocazione del triangolo, omesso uso di indumenti retroriflettenti
|
2
|
164
|
8
|
Carico mal sistemato, sporgenza longitudinale anteriore del carico, sporgenza longitudinale posteriore del carico, sporgenze laterali di oltre 30 cm, sporgenze laterali difficilmente percepibili, sporgenza degli accessori mobili, trasporto o traino di carichi striscianti, pannelli di segnalazione dele sporgenze longitudinali, omesse cautele nel trasporto di carichi sporgenti
|
3
|
165
|
3
|
Traino di veicolo in assenza di emergenza, traino di veicolo con collegamento inidoneo, omessa segnalazione di veicolo trainato, traino a mezzo di veicolo per soccorso stradale: omessa accensione dispositivo a luce gialla
|
2
|
167
|
2, 5 e 6, con riferimento a a) eccedenza di massa non superiore a 1t
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t, trasporti e veicoli eccezionali in eccedenza di massa rispetto all’autorizzazione
|
1
|
167
|
2, 5 e 6, con riferimento a b) eccedenza non superiore a 2t
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t, trasporti e veicoli eccezionali in eccedenza di massa rispetto all’autorizzazione
|
2
|
167
|
2, 5 e 6, con riferimento a c) eccedenza non superiore a 3t
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t, trasporti e veicoli eccezionali in eccedenza di massa rispetto all’autorizzazione
|
3
|
167
|
2, 5 e 6, con riferimento a d) eccedenza superiore a 3t
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t, trasporti e veicoli eccezionali in eccedenza di massa rispetto all’autorizzazione
|
4
|
167
|
3, 5 e 6, con riferimento a a) eccedenza non superiore al 10%
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t
|
1
|
167
|
3, 5 e 6, con riferimento a b) eccedenza non superiore al 20%
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t
|
2
|
167
|
3, 5 e 6, con riferimento a c) eccedenza non superiore al 30%
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t
|
3
|
167
|
3, 5 e 6, con riferimento a d) eccedenza superiore al 30%
|
Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t, Trasporto cose con veicoli isolati di oltre 10 t ad alimentazione diversa, trasporto di cose con autotreni o autoarticolati di qualunque massa o con motrice ad alimentazione diversa fino a 10 t, sovraccarico di autotreni a autoarticolati con motrice ad alimentazione diversa di massa oltre 10 t
|
4
|
167
|
7
|
Autoveicoli adibiti al trasporto di veicoli: limitazioni stradali, autoveicoli per trasporto container o animali vivi: limitazioni stradali
|
3
|
168
|
7
|
Eccedenza di massa con veicoli che trasportano merci pericolose
|
4
|
168
|
8
|
Trasporto di merci pericolose senza autorizzazione o in violazione della stessa
|
10
|
168
|
9
|
Prescrizioni ADR su idoneità veicoli e cisterne, pannelli di pericolo, etichette, sosta, ecc.
|
10
|
168
|
9-bis
|
Prescrizioni ADR su documenti, istruzioni scritte, equipaggiamenti individuali
|
2
|
169
|
8
|
Soprannumero e sovraccarico su veicoli adibiti abusivamente a uso di terzi
|
4
|
169
|
9
|
Soprannumero o sovraccarico in autovetture
|
2
|
169
|
10
|
Ostacoli alla libertà di movimento durante le manovre di guida, soprannumero di persone su determinati veicoli, inidonea sistemazione dei passeggeri e sporgenze nella sagoma trasversale, trasporto non regolare di animali domestici
|
1
|
170
|
6
|
Inosservanza delle modalità di guida di motocicli e ciclomotori, conducente maggiore di 16 anni che trasporta passeggeri su ciclomotore, trasporto in posizione errata di passeggeri su motocicli e ciclomotori, divieto di traino per motocicli e ciclomotori, trasporto di oggetti o animali su motocicli e ciclomotori
|
1
|
171
|
2
|
Conducente senza casco, conducente di veicolo che trasporta passeggero senza casco
|
5
|
172
|
10 e 11
|
Omesso uso delle cinture di sicurezza, trasporto di bambini di statura inferiore a 1,5 metri, utilizzo di dispositivi di ritenuta inefficienti, trasporto bambino con sistema di ritenuta privo di dispositivo di allarme, trasporto di bambini su veicoli sprovvisti di sistemi di ritenuta, trasporto di bambini su taxi o veicoli NCC, omesso uso delle cinture di sicurezza da conducente o passeggero maggiorenne di autobus, omesso uso dei sistemi di sicurezza da passeggero minorenne di autobus, alterazione del funzionamento delle cinture
|
5
|
173
|
3 e 3-bis
|
Omesso uso di lenti o altri apparecchi prescritti, uso di apparecchi radiotelefonici, tablet, computer eccetera o cuffie sonore durante la guida
|
5
|
174
|
5 per violazione dei tempi di guida
|
Superamento del periodo di guida giornalieri superiore al 10% fino al 20%
|
2
|
174
|
5 per violazione dei tempi di riposo
|
Incompleto riposo giornaliero superiore al 10% fino al 20%
|
5
|
174
|
6
|
Superamento del periodo di guida giornaliero superiore al 20%, Incompleto riposo giornaliero superiore al 20%
|
10
|
174
|
7 primo periodo
|
Superamento del periodo di guida settimanale per più del 10%
|
1
|
174
|
7 secondo periodo
|
Incompleto riposo settimanale per più del 10%
|
3
|
174
|
7 terzo periodo per violazione dei tempi di guida
|
Superamento del periodo di guida settimanale per più del 20%
|
2
|
174
|
7 terzo periodo per violazione dei tempi di riposo
|
Incompleto riposo settimanale per più del 20%
|
5
|
174
|
8
|
Inosservanza delle prescritte pause
|
2
|
175
|
13
|
Circolazione in autostrada con carico pericolante o sporgente, circolazione in autostrada con carico scoperto di materiale suscettibile di dispersione
|
4
|
175
|
14, con riferimento al comma 7, lettera a)
|
Traino di fortuna in autostrada
|
2
|
175
|
16
|
Circolazione in autostrada di veicoli non ammessi; circolazione in autostrada di veicoli con carico oltre i prescritti limiti di sagoma o massa, circolazione in autostrada di veicoli in condizioni tali da costituire pericolo, circolazione in autostrada di veicoli con carico non opportunamente sistemato e fissato, circolazione in autostrada di veicoli lenti, sosta prolungata in aree di servizio o di parcheggio, divieto di soccorso stradale e rimozione di veicoli in autostrada senza autorizzazione
|
2
|
176
|
20, con riferimento al comma 1, lettera b)
|
Retromarcia in autostrada
|
10
|
176
|
20, con riferimento al comma 1, lettere c) e d)
|
Circolazione sulle corsie di emergenza, circolazione sulle corsie di variazione di velocità
|
10
|
176
|
21
|
Immissione irregolare nella corsia di marcia, uscita irregolare dalla carreggiata, cambio di corsia non segnalato, non accostarsi alla striscia di sinistra in caso di arresto della circolazione, transito sulla corsia di emergenza in caso di ingorgo in autostrada, fermata e sosta di emergenza, omesso utilizzo di segnale mobile di pericolo per veicolo fermo, corsie non consentite per autoveicoli pesanti o ingombranti in autostrada, affiancamento nella stessa corsia nella marcia per file parallele, errata modalità di incolonnamento e di arresto alle barriere, omesso pagamento del pedaggio, uso imprudente di veicoli di servizio in autostrada, veicoli di polizia e di soccorso in autostrada senza lampeggiante blu
|
2
|
177
|
5
|
Non lasciare il passo ai mezzi di soccorso, accodarsi nella scia dei veicoli di soccorso
|
2
|
178
|
5 per violazione dei tempi di guida
|
Superamento del periodo di guida giornaliero per più del 10%
|
2
|
178
|
5 per violazione dei tempi di riposo
|
Incompleto riposo giornaliero per più del 10%
|
5
|
178
|
6
|
Superamento del periodo di guida giornaliero per più del 20%, Incompleto riposo giornaliero per più del 20%
|
10
|
178
|
7 primo periodo
|
Superamento del periodo di guida settimanale per più del 10%
|
1
|
178
|
7 secondo periodo
|
Incompleto riposo settimanale per più del 10%
|
3
|
178
|
7 terzo periodo per violazione dei tempi di guida
|
Superamento del periodo di guida settimanale per più del 20%
|
2
|
178
|
7 terzo periodo per violazione dei tempi di riposo
|
Incompleto riposo settimanale per più del 20%
|
5
|
178
|
8
|
Inosservanza delle prescritte pause
|
2
|
179
|
2 e 2-bis
|
Tachigrafo mancante o non omologato, tachigrafo non funzionante, circolazione con tachigrafo alterato, circolazione con tachigrafo avente sigilli manomessi, omesso inserimento del foglio di registrazione o della carta conducente, limitatore di velocità mancante o non idoneo, limitatore di velocità alterato, omessa regolarizzazione di tachigrafo o limitatore di velocità già accertati irregolari
|
10
|
186
|
2 e 7
|
Guida in stato di ebbrezza (tasso alcolemico maggiore di 0,5 g/l) (conducenti senza particolari specificazioni), Rifiuto dell'accertamento dello stato di ebbrezza
|
10
|
186-bis
|
2
|
Tasso alcolemico maggiore di 0 e fino a 0,5 g/l (conducenti neopatentati o professionali)
|
5
|
186-bis
|
3
|
Guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico maggiore di 0,5 g/l (conducenti neopatentati o professionali)
|
10
|
187
|
1 e 8
|
Guida sotto l'influenza di stupefacenti, Rifiuto dell'accertamento dell'uso di sostanze stupefacenti
|
10
|
188
|
4
|
Uso improprio dell’autorizzazione per persone con disabilità
|
6
|
188
|
5
|
Inosservanza delle prescrizioni nell’uso delle strutture per invalidi
|
3
|
189
|
5, primo periodo
|
Fuga dopo incidente con soli danni a cose senza revisione del veicolo
|
4
|
189
|
5, secondo periodo
|
Fuga dopo incidente con soli danni a cose con revisione del veicolo
|
10
|
189
|
6
|
Fuga dopo incidente con danni alle persone
|
10
|
189
|
9
|
Omessa cura della sicurezza della circolazione o modifica dei luoghi in caso di incidente, intralcio alla circolazione in incidente con soli danni a cose, omesse informazioni alla controparte in caso di incidente
|
2
|
191
|
1
|
Omessa precedenza ai pedoni in corrispondenza di strisce pedonali, omessa precedenza ai pedoni nelle svolte su strade con attraversamento pedonale
|
8
|
191
|
2
|
Omessa precedenza ai pedoni in attraversamento di strada senza strisce
|
4
|
191
|
3
|
Obbligo dei conducenti di arrestarsi davanti a invalido in attraversamento, condotta di guida inidonea in prevedibili situazioni di pericolo con bambini o anziani
|
8
|
192
|
6
|
Inottemperanza all’alt di funzionari o agenti, rifiuto di esibire documenti, rifiuto di consentire ispezioni sul veicolo, inosservanza dell’ordine di non proseguire la marcia impartito sul verbale, inosservanza dell’ordine di non proseguire la marcia per mancanza di mezzi antisdrucciolevoli, inosservanza delle segnalazioni del personale di convogli militari
|
3
|
192
|
7
|
Forzamento del posto di blocco
|
10
|
193
|
2
|
Circolazione con veicolo privo di assicurazione, circolazione con veicolo avente documenti assicurativi falsi
|
5
|
Ritiro, sospensione o revoca della patente, basta confusione: cosa sono e cosa comportano
Alcuni ritengono erroneamente che in caso di infrazioni di un certo peso al Codice le autorità possano disporre il ritiro, la sospensione o la revoca della patente. È vero solo per le ultime due: il "ritiro", infatti, c'è in entrambi i casi Giuseppe Biondo il 26 ottobre 2023 su Gazzetta.it.
La patente può essere ritirata per un'infrazione che preveda la sospensione o la revoca
Capita spesso di far confusione tra ritiro, sospensione e revoca della patente di guida, di non sapere con esattezza cosa significhi l'uno e cosa l'altro. Avviamo questa operazione "chiarezza" da un presupposto: ciascuno dei tre casi ha origine da un evento più o meno grave, sia una condotta alla guida potenzialmente dannosa, una violazione "pesante" del Codice della Strada o persino un reato.
È possibile che il recente dibattito sulla revisione del Codice abbia contribuito ad aggravare la confusione, a causa del fatto che il Governo ha proposto al Parlamento l'inasprimento di alcune sanzioni, parte delle quali prevedono la sospensione o la revoca della licenza di guida, cioè della patente. Abbiamo menzionato sospensione o revoca, ma quando allora si parla di ritiro?
Ritiro della patente
Sospensione della patente
Revoca della patente
Le modifiche al Cds in arrivo
RITIRO DELLA PATENTE —
Il ritiro della patente è l'atto pratico con cui gli agenti che accertano un'irregolarità per la quale è prevista una sanzione accessoria che implica il ritiro della patente procedono appunto al "ritiro", materiale, del documento. Nel caso in cui quindi un'infrazione, oltre la multa, preveda la sospensione o, peggio, la revoca della patente, si configura in entrambi i casi il ritiro della patente al conducente, la quale verrà trattenuta fino al termine della sospensione o permanentemente in caso di revoca.
SOSPENSIONE DELLA PATENTE — La sospensione della licenza di guida è prevista per una serie di infrazioni al Codice della strada. Sono parecchie e le abbiamo già elencate in questo articolo, per cui non torneremo nuovamente sulle violazioni che implicano la sospensione del documento per un periodo più o meno ampio. La sospensione, così come la revoca, è accompagnata da una sanzione pecuniaria, da una multa.
Sospensione della patente: quando si applica e per quanto tempo
Al termine del periodo di sospensione della patente stabilito dall'autorità, il documento viene riconsegnato al titolare. Durante la sospensione - è ovvio ma vale la pena specificarlo - non ci si può mettere alla guida. Con i trasgressori il CdS è per nulla indulgente, sanzione amministrativa da 2.046 a 8.168 euro, revoca della patente e fermo amministrativo del mezzo per 3 mesi. In caso di reiterazione il fermo amministrativo del veicolo si tramuta in confisca.
REVOCA DELLA PATENTE — La revoca è la più grave tra le sanzioni accessorie previste dal Codice della Strada. Implica che il soggetto destinatario del provvedimento di revoca trascorra almeno due anni senza patente, dopo i quali può ottenerla nuovamente rifacendo entrambi gli esami, sia quello teorico che quello pratico. Se vengono superati viene rilasciata una nuova patente. In alcuni casi invece (pochi, ma molto gravi) è prevista la revoca a vita della patente, la misura che impedisce per sempre di mettersi alla guida.
In caso di revoca della patente va presa una nuova patente, si devono superare sia l'esame teorico che quello pratico
LE MODIFICHE AL CDS IN ARRIVO — Recentemente ha ottenuto il via libera dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge del Governo, intervenuto sul Codice della Strada per inasprire, tra le altre cose, alcune sanzioni. Le revisioni contenute nel Ddl non sono ancora definitive, potrebbero esserlo entro fine anno se otterranno l'approvazione del Parlamento.
Codice della strada: pugno duro contro smartphone alla guida ed eccesso di velocità
Tra le novità che più hanno fatto discutere, la sospensione della patente fino a 15 giorni per l'utilizzo dello smartphone alla guida, fino a 3 anni in caso di esito positivo dell'esame tossicologico, o la revoca (a vita) per chi si rende protagonista di reati gravi, come il mancato soccorso in seguito a un'incidente. Ne riparleremo a tempo debito.
Sospensione della patente: quando si applica e per quanto tempo
Le violazioni al Codice della Strada non sono tutte uguali, quelle più gravi vengono sanzionate con maggiore severità sia in termini economici che come sanzioni accessorie. Tra queste, la sospensione della patente, che varia a seconda dei casi. Andrea Tartaglia il 29 luglio 2022 su Gazzetta.it.
La durata della sospensione dipende sia dalla gravità della violazione sia dal tipo di conducente. Per i neopatentati la durata è maggiore
La sospensione della patente come sanzione accessoria a quella pecuniaria è prevista per una serie di violazioni al Codice della Strada, quelle ritenute più gravi e dunque punite più duramente. Da non confondere con la revoca (che prevede il recupero del titolo dopo due anni attraverso un nuovo esame), la sospensione implica il ritiro temporaneo della patente per un periodo fissato in base all’infrazione, che può essere più lungo nel caso in cui il conducente sia neopatentato o per recidiva. Al termine del periodo di sospensione fissato il documento viene restituito dall’ufficio che ha provveduto alla notifica e, naturalmente, il titolare della patente sospesa non può mettersi alla guida nel periodo sanzionato. In caso contrario scatta una sanzione amministrativa da 2.046 a 8.186 euro, oltre alla revoca della patente e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi. Se la violazione della sospensione viene reitera si passa alla confisca amministrativa del veicolo.
La sospensione non va confusa con la revoca, che implica il riottenimento del titolo dopo due anni attraverso un nuovo esame
SOSPENSIONE PER ECCESSO DI VELOCITÀ —
L’eccesso di velocità, oltre certi parametri, porta alla sospensione della patente, la cui durata dipende dalla gravità della violazione e dal tipo di conducente. Se il limite viene superato di non oltre 40 km/h, oltre alla sanzione pecuniaria scatta la sospensione della patente da 1 a 3 mesi, ma se al volante c’è un neopatentato la durata sale ad un periodo compreso tra 3 e 6 mesi. Se la velocità eccede i 60 km/h rispetto al limite fissato la sospensione della patente varia dai 6 ai 12 mesi.
SOSPENSIONE PER STATO DI EBBREZZA — Anche la guida in stato di ebbrezza è un comportamento estremamente pericoloso e come tale sanzionato molto rigidamente. Un tasso alcolemico compreso 0,5 e 0,8 g/l comporta una sospensione compresa tra 3 e 6 mesi, se la presenza di alcol nel sangue è compresa tra 0,8 e 1,5 g/l la sospensione è da 5 mesi ad 1 anno. Nei casi più gravi, con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, la patente viene sospesa da 1 a 2 anni.
Il mancato soccorso in caso di incidente fa scattare la sospensione cautelativa della patente stabilita dal Prefetto
Altri casi di sospensione della patente
Violazione |
Durata della sospensione |
Guida contromano |
Da 1 a 3 mesi |
Mancata precedenza |
Da 1 a 3 mesi |
Guida sotto effetto di stupefacenti |
Da 1 a 2 anni |
Incidente in stato di abbrezza |
2 anni |
Passaggio con semaforo rosso |
Da 1 a 3 mesi |
Omissione di soccorso |
Fissato dal Prefetto |
Patente: revoca, ritiro e sospensione.
ECCO LA DIFFERENZA E I MOTIVI DELLA REVOCA, RITIRO E SOSPENSIONE DELLA PATENTE DI GUIDA. Da rattiauto.it il 4 aprile 2023.
Parlare di revoca, ritiro e sospensione della patente spesso genera confusione, ma non sono la stessa cosa.
Proviamo quindi a fare chiarezza sulle differenze e i motivi specifici per cui questi provvedimenti del Codice della Strada vengono attuati.
SOSPENSIONE DELLE PATENTE
La sospensione della patente è una misura che può essere disposta a seguito della violazione del Codice della Strada o in seguito alla perdita dei requisiti psicofisici necessari alla guida.
È una sanzione accessoria provvisoria che accompagna sempre una sanzione amministrativa.
Quando la patente viene sospesa non ci si può mettere alla guida per un determinato periodo di tempo che può andare da un minimo di 15 giorni fino a una massimo di 5 anni, a seconda della gravità dell’infrazione che è stata commessa, al termine del quale si potrà riottenere la patente.
Questa sanzione può essere disposta dagli Uffici di Motorizzazione Civile (UMC), dal Prefetto e dall'autorità giudiziaria ed è regolata dall'art.218 del Codice della Strada.
SOSPENSIONE DELLE PATENTE: MOTIVI
Ecco quando è prevista la sospensione della patente:
- Circolazione contromano e altre manovre pericolose;
- Inversione di marcia o circolazione sulla corsia d’emergenza, al di fuori dei casi previsti, in autostrada;
- Guida con auto sequestrata o con carta di circolazione sospesa;
- Trasporto merci pericolose senza autorizzazione;
- Guida contromano in curva;
- Sorpasso in corrispondenza di curve, dossi e in ogni altro caso di scarsa visibilità o di un veicolo in procinto di superarne un terzo;
- Superamento del limite di velocità di oltre 40 km/h;
- Non essere in possesso dei requisiti fisici e psichici idonei in fase di rinnovo o revisione della patente;
- Guida in stato di ebbrezza, sotto l’effetto di stupefacenti o in caso di rifiuto di accertamenti;
- Circolazione con una patente di categoria da quella richiesta;
- Nel caso di recidiva ovvero quando il conducente commette in 2 anni, due infrazioni identiche come: omettere la precedenza, mancata distanza di sicurezza, mancato uso delle cinture di sicurezza, uso del cellulare alla guida, ecc.
RITIRO DELLA PATENTE
Il ritiro della patente è un provvedimento amministrativo, applicato dalle Forze dell’Ordine che avviene in modo immediato e comporta la sottrazione materiale del documento da parte degli agenti a seguito di un'infrazione o nel momento in cui vengono riscontrate delle irregolarità.
In base alla loro entità, però, può essere richiesta la sospensione o la revoca della patente.
È la sanzione meno grave tra sospensione e revoca e si tratta di una situazione temporanea, risolvibile in tempi brevi.
Infatti, è sufficiente ottemperare a quanto richiesto dalle forze di Polizia per rientrare in possesso della propria patente.
RITIRO PATENTE: I MOTIVI
I casi in cui può avvenire il ritiro della patente sono:
- Guida in stato di ebbrezza: il periodo di ritiro dipende dal tasso alcolemico registrato al momento del controllo.
- Guida sotto l’effetto di stupefacenti;
- Guida con il cellulare;
- Mancata sistemazione scorretta oppure peso o sporgenza eccessiva di un eventuale carico sui veicoli;
- Guida con patente scaduta: in questo caso si potrà tornare a guidare soltanto dopo aver provveduto al suo rinnovo;
- Superamento limiti di velocità;
- In caso di incidente, se responsabili di lesioni gravi ad altre persone.
REVOCA DELLA PATENTE
La revoca della patente rispetto alla sospensione e al ritiro è la sanzione più grave, tramite la quale viene disposta la cancellazione del documento di guida qualora il titolare perdesse i requisiti psicofisici fondamentali necessari per essere idoneo alla guida.
Gli enti che possono ordinare la revoca della patente sono la Prefettura e il Dipartimento per i trasporti terrestri a seguito di accertamento eseguito dall’Unità Sanitaria Locale.
La patente revocata non può essere più recuperata, ammesso che non si sostenga nuovamente da zero l’esame di guida solo dopo due anni dalla revoca.
REVOCA DELLA PATENTE: I MOTIVI
Ecco i casi in cui può essere revocata la patente:
- Perdita dei requisiti fisici e psichici necessari;
- Non idoneità in fase di revisione della patente;
- Sostituzione del documento con un altro rilasciato da uno Stato estero;
- Guida durante il periodo di sospensione della patente;
- Guida contromano in strade extraurbane o autostrade;
- Guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe;
- Recidività se si superano i limiti di velocità o si guida in stato di ebbrezza.
Sospensione, revoca e revisione patente: le sanzioni accessorie. Da quattroruote.it
SOSPENSIONE
Nel caso in cui si violi una norma del Codice della strada che prevede la sospensione della patente, se la contestazione è immediata il documento è ritirato dagli agenti e trasmesso entro cinque giorni alla prefettura competente per il luogo dell’accertamento. Gli agenti rilasciano al conducente un permesso provvisorio per il tempo necessario a condurre il veicolo nel luogo da questi indicato.
Nei 15 giorni successivi il prefetto può disporre:
- la sospensione della patente, determinandone la durata, se ritiene fondata la contestazione;
- la restituzione della patente se ritiene infondata la contestazione.
Se però l’ordinanza di sospensione è emanata dopo il 15° giorno è possibile richiedere la restituzione del documento.
Se invece la violazione da cui consegue la sospensione è stata contestata successivamente e il trasgressore è identificato, in seguito all’ordinanza prefettizia il comando di polizia stradale da cui dipendono gli agenti che hanno accertato l’infrazione invita il titolare a consegnare il documento. Il periodo di sospensione decorrerà a partire dal momento della consegna del documento all’ufficio della polizia.
REVOCA
Vi sono cinque casi in cui la patente può essere revocata:
1. revoca amministrativa emessa dall’ufficio provinciale della Motorizzazione civile per:
a. cessazione permanente dei requisiti fisico-psichici;
b. inidoneità alla guida in seguito a revisione;
c. conversione della patente italiana in patente estera;
2. revoca amministrativa per cessazione dei requisiti morali emessa dal prefetto del luogo di residenza del titolare;
3. revoca come sanzione amministrativa accessoria per violazioni di norme del Codice della strada;
4. revoca per violazioni del Codice della strada che costituiscono reato;
5. revoca come sanzione amministrativa accessoria per violazioni di norme che non costituiscono reato ma dalle quali conseguono danni a persone.
Il titolare di una patente revocata non può conseguire una nuova patente prima di un anno.
Se la patente è revocata, è necessario conseguirla di nuovo. In questo caso si è considerati neopatentati? Dipende.
Se la revoca deriva da una sanzione accessoria la patente nuovamente ottenuta è considerata una nuova patente e, quindi, è soggetta alle limitazioni previste per i neopatentati.
Se, invece, la revoca è stata disposta per altri motivi (perdita dei requisiti fisici, psichici e morali) la data di conseguimento resta quella della patente originaria e, quindi, si è soggetti alle limitazioni di velocità solo se è passato meno di un anno e alle limitazioni di guida solo se sono passati meno di tre anni dal conseguimento.
REVISIONE
Nel caso in cui sussistano dubbi sulla persistenza dei requisiti fisici e psichici previsti dalla legge oppure sull’idoneità alla guida (o in entrambi i casi), l’ufficio provinciale della Motorizzazione civile (oppure il prefetto nel caso di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) può disporre la revisione della patente. Ciò può verificarsi in uno dei seguenti casi:
- incidenti;
- infrazioni gravi al Codice della strada;
- altri fatti o eventi non legati alla circolazione stradale quali comunicazioni da parte di autorità sanitarie, amministrative o di polizia in attività di prevenzione;
- accertamento di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o in stato di ebbrezza;
- perdita totale del punteggio.
Il provvedimento con cui è disposta la revisione può essere impugnato davanti al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti entro 30 giorni dalla data di notifica.
È ammesso anche il ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR) entro 60 giorni dalla data di notifica.
In assenza di impugnazione o ricorso, o nel caso in cui questi atti siano respinti, il titolare dovrà sottoporsi a visita medica presso la commissione medica locale oppure rifare l’esame di teoria e di pratica (o fare entrambe le cose nel caso in cui i dubbi siano sui requisiti psicofisici e su quelli “tecnici”).
Nel caso in cui sia necessario sostenere di nuovo l’esame, la prova di teoria dovrà essere sostenuta in Motorizzazione e il conducente avrà a disposizione, per ciascuna delle prove, solo una possibilità.
Al superamento dell’esame, la patente sarà confermata o ne sarà rilasciata una nuova declassata.
In caso di esito negativo, invece, la patente sarà revocata.
In ogni caso, non solo se la revisione avviene per perdita di tutto il punteggio, alla “nuova” patente sono assegnati i 20 punti iniziali.
SANZIONI PRINCIPALI
Violazione
|
Sanzione (€)
|
Sanzione accessoria
|
Esercitazione di guida senza autorizzazione (foglio rosa) ma con istruttore
|
422
|
|
Istruttore che accompagna conducente senza autorizzazione
|
422
|
|
Esercitazione di guida con autorizzazione ma senza istruttore
|
422
|
Fermo del veicolo per 3 mesi
|
Esercitazione con motocicli o ciclomotori in luoghi frequentati
|
85
|
|
Esercitazioni di guida con veicoli monoposto in luoghi frequentati
|
85
|
|
Mancanza di contrassegno P sul veicolo
|
85
|
|
Contrassegno irregolare
|
85
|
|
Esercitazioni in autostrada impegnando altra corsia anziché una delle due più vicine al bordo destro della carreggiata
|
81
|
|
Esercitazioni in autostrada marciando a velocità superiore a 100 km/h
|
81
|
|
Esercitazioni in strade extraurbane o in visione notturna con passeggeri a bordo
|
81
|
|
Incauto affidamento di veicoli a persona senza patente (o Cap, Cqc, Cfp)
|
389
|
|
Guida senza patente o con patente di categoria diversa
|
5.000
|
Fermo del veicolo per 3 mesi
|
Guida con patente diversa
|
1.001
|
Sospensione della patente da 4 a 8 mesi
|
Guida senza Cap o Cqc
|
400
|
Fermo del veicolo per 60 giorni
|
Guida senza Cfp
|
400
|
Fermo del veicolo per 60 giorni |
Guida con patente recante particolari codici relativi al veicolo
|
155
|
Sospensione della patente da 1 a 6 mesi
|
Guida con patente recante particolari codici relativi al conducente
|
80
|
|
Guida con patente speciale di veicolo diverso da quello indicato |
78
|
Sospensione della patente da 1 a 6 mesi
|
Patente, Cap, Cqc, Cfp scaduti
|
155
|
Ritiro del documento fino a esito positivo della visita di conferma
|
Titolare di patente C o CE di oltre 65 anni senza attestato medico
|
1.001
|
Sospensione della patente da 4 a 8 mesi
|
Titolare di patente D (o DE, D1, D1E) di oltre 60 anni senza attestato medico annuale
|
1.001
|
Sospensione della patente da 4 a 8 mesi
|
Omessa revisione di patente
|
|
Sospensione della patente fino al superamento degli accertamenti
|
Circolazione con patente non revisionata o in stato di temporanea inidoneità
|
163
|
Revoca della patente
|
Mancanza momentanea della patente di guida, Cap, Cqc, Cfp
|
41
|
|
ELENCO INFRAZIONI CHE COMPORTANO LA SOSPENSIONE DELLA PATENTE.
Da prefettura.it/belluno/
Articolo |
Violazione
|
Sanzione accessoria
|
Art. 6/1 ° e 12° |
In ottemperanza al divieto di circolazione dei veicoli adibiti al trasporto di cose (stabiliti con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti o del Prefetto) |
sospensione patente da 1 a 4 mesi; |
Art. 9 bis/5° |
Partecipare con veicoli a motore a competizioni non autorizzate |
sospensione patente da 1 a 3 anni; |
Art. 9 ter/3° (in relazione all' art. 141/9°) |
Gareggiare in velocità con veicoli a motore |
sospensione patente da 1 a 3 anni (in caso di incidente con lesioni gravi o gravissime o mortali è prevista la revoca della patente); |
Art. 10/24° |
Circolare alla guida di un veicolo eccezionale senza l'autorizzazione dell'Ente proprietario della strada, comprese le ipotesi di cui agli artt. 104 e 114 |
sospensione patente da 15 a 30 giorni; |
Art. 117/5° |
Circolare superando i limiti di guida e di velocità per i conducenti titolari di patente da meno di tre anni o, comunque, di età inferiore a 20 anni |
sospensione patente da 2 a 8 mesi; |
Art. 125/5° |
Circolare alla guida di un veicolo per il quale è richiesta una patente di categoria diversa da quella posseduta
|
sospensione patente da 1 a 6 mesi;
|
Art. 142/9° |
Superare di oltre 40 Km/h il limite massimo di velocità consentito e fino a 60 km/h |
sospensione patente: - da 1 a 3 mesi - in caso di recidiva nei due anni sospensione patente da 8 a 18 mesi;
|
Art. 142/9° -bis |
velocità oltre i 60 km/h. |
sospensione patente da 6 a 12 mesi - in caso di recidiva nei due anni sospensione patente da 8 a 18 mesi; da 3 a 6 mesi per i conducenti titolari di patente di guida da meno di tre anni - in caso di recidiva la patente viene revocata;. Per violazioni commesse alla guida di particolari categorie di veicoli le sanzioni sono raddoppiate.
|
Art. 143/12° |
Circolare contromano in corrispondenza delle curve, dei raccordi convessi o in altri casi di limitata visibilità ovvero percorrere la carreggiata contromano in una strada divisa in più carreggiate separate |
sospensione patente da 1 a 3 mesi - in caso di recidiva da 2 a 6 mesi; |
Art. 148/10° |
sorpasso in corrispondenza di curve o dossi e in ogni altro caso di scarsa visibilità |
sospensione patente da 1 a 3 mesi; |
Art. 148/11° |
sorpasso di veicolo che ne stia superando un altro, nonchè il sorpasso di veicoli fermi o in lento movimento ai passaggi a livello, ai semafori o per altre cause di congestione della circolazione, quando a tal fine sia necessario spostarsi nella parte della carreggiata destinata al senso opposto di marcia |
sospensione patente da 1 a 3 mesi; |
Art. 148/12° |
sorpasso in prossimità o corrispondenza delle intersezioni |
sospensione patente da 1 a 3 mesi; |
Art. 148/14 ° |
effettuare qualsiasi manovra di sorpasso alla guida di un veicolo di massa a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate |
sospensione patente da 2 a 6 mesi; |
Art. 168/8° bis |
Effettuare il trasporto di merci pericolose senza autorizzazione |
sospensione patente da 2 a 6 mesi; |
Art. 168/9° |
Effettuare il trasporto di merci pericolose in violazione delle disposizioni impartite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché dal Ministero dell'Interno |
sospensione patente da 2 a 6 mesi;
|
Art. 176/1° lett. a |
Invertire il senso di marcia nonché percorrere la carreggiata contromano in ambito autostradale |
revoca patente; |
Art. 176/1° lett. c e d |
Circolare, al di fuori dei casi previsti, sulla corsia riservata alla sosta di emergenza o sulla corsia di variazione di velocità in ambito autostradale |
sospensione patente da 2 a 6 mesi; |
Art. 179/9° |
Circolare alla guida di un veicolo munito di cronotachigrafo non funzionante, alterato o privo del foglio di registrazione |
sospensione patente da 15 giorni a 3 mesi; |
Art. 186 GUIDA IN STATO DI EBREZZA ALCOLILCA |
TASSO ALCOLICO da 0,51 fino a 0,80 g/l |
sospensione patente di guida da 3 a 6 mesi - sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 2.000 DECURTAZIONE 10 PUNTI |
Art. 213/4° |
Circolare abusivamente alla guida di un veicolo sottoposto a sequestro |
- sospensione patente da 1 a 3 mesi;
|
Art. 217/6° |
Circolare alla guida di un veicolo durante il periodo di sospensione della carta di circolazione |
sospensione patente da 3 a 12 mesi.
|
La patente inoltre viene sospesa quando il conducente commetta, nell'arco di un biennio, due identiche infrazioni (sospensione da 1 a 3 mesi). Esse sono:
■ Art. 145/10 - omettere la precedenza dovuta nelle intersezioni stradali e immettersi sulla strada principale da una secondaria;
■ Art. 146/3 bis in relazione al comma 3 del medesimo articolo (proseguire la marcia quando le segnalazioni del semaforo o dell'agente del traffico vietino la marcia stessa);
■ Art. 147/6 - non usare la massima prudenza nell'approssimarsi ad un passaggio a livello;
■ Art. 148/3 - effettuare il sorpasso senza superare rapidamente il conducente che lo precede sulla stessa corsia, senza mantenere un'adeguata distanza laterale, senza riportarsi a destra appena possibile, evitando di crare intralcio o pericolo;
■ Art. 149/5 - mancata distanza di sicurezza con collisione e grave danno ai veicoli tale da determinare l'applicazione della revisione di cui all'art. 80/7 del C.d.S.;
■ Art. 150 - mancato arresto del veicolo in caso di incrocio ingombrato o su strade di montagna;
■ Art. 172/8 - mancato uso delle cinture di sicurezze o dei sistemi di ritenuta;
■ Art. 173/3 bis - divieto di far uso durante la guida del cellulare;
Altre violazioni rivestono carattere penale e pertanto la sospensione della patente viene commiata in via provvisoria e cautelare nelle seguenti ipotesi (art. 223/1 del C.d.S.). Esse sono :
■ Art. 186/2 Lett. b e c
- TASSO ALCOLICO da 0,81 fino a 1,50 g/l sospensione patente di guida da 6 mesi a 1 anno - ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l'arresto fino a 6 mesi - (non è ammessa oblazione) - DECURTAZIONE 10 PUNTI
- TASSO ALCOLICO superiore a 1,50 g/l sospensione patente di guida da 1 a 2 anni - ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto da 3 mesi a 1 anno. DECURTAZIONE 10 PUNTI
■ Art. 186/7 RIFIUTO
- Nel caso in cui il conducente rifiuti l'accertamento dello stato di ebbrezza, si applicano le pene previste per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolico sup. a 1,50 (lett. c primo periodo). Sospensione patente per un periodo da 6 mesi a 2 anni. Con l'ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente, il Prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica, presso una Commissione Medica Provinciale, che deve avvenire nel termine di 60 giorni. DECURTAZIONE 10 PUNTI.
■ Art. 187/1 GUIDA IN STATO DI ALTERAZIONE PSICOFISICA PER USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI O PSICOTROPE.
- Ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto da 3 mesi a 1 anno. Il Prefetto dispone la sospensione della patente da 1 a 2 anno subordinandone la restituzione alla presentazione del certificato medico di idoneità, rilasciato da una Commissione Medica Provinciale.
■ Art. 187/8 RIFIUTO relativo all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 187/8), il conducente è soggetto alle stesse sanzioni di cui all'art. 186/7 del C.d.S.. Con l'o rdinanza di sospensione, il Prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica, presso una Commissione Medica Provinciale, che deve avvenire nel termine di 60 giorni. DECURTAZIONE 10 PUNTI della patente.
■ Art. 189/6° - Non ottemperare all'obbligo di fermarsi in caso di incidente stradale con danno alle persone ricollegabile comunque al proprio comportamento
- sospensione patente da 1 a 3 anni;
■ Art. 189/7° - Non ottemperare all'obbligo di prestare l'assistenza alle persone ferite in caso di incidente stradale ricollegabile comunque al proprio comportamento
- sospensione patente da 18 mesi a 5 anni.
Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Belluno.
Come funziona la Sospensione patente.
Sospensione patente 2023: durata, infrazioni, notifica, restituzione. Da soldioggi.it. Oggi è il 20/9/2023
Guide
Il Codice della Strada va assolutamente rispettato ogni qualvolta ti metti alla guida della tua auto. Le conseguenze di una violazione possono essere gravi e mettere in pericolo la tua incolumità e quella degli altri automobilisti. Proprio per questa ragione le sanzioni in caso di violazione sono molto severe.
In questa guida completa sulla sospensione patente ti spiego cos’è e come funziona, a quali infrazioni si applica, qual è la durata minima e massima, cosa fare, come avviene la restituzione alla scadenza, come presentare ricorso se la ritieni illegittima ed infine i casi di sospensione quale sanzione accessoria nel processo penale.
Indice
Cos’è e come funziona
Infrazioni
Durata
Notifica
Cosa fare
Ricorso
Restituzione
Dopo processo penale
Cos’è e come funziona
La sospensione della patente di guida è una sanzione che si applica in specifici casi di violazione del codice della strada e prevede il divieto di guidare.
Come avviene
Sei su strada e hai appena commesso una violazione. Un agente ti ferma e ti commina una multa + la sospensione della patente, chiaramente scrive tutti i dettagli sulla multa. L’agente stesso provvede a ritirarti la patente e ti consegna anche un permesso temporaneo di guida solo affinché tu conduca la tua auto presso il luogo di custodia stabilito.
Entro 15 giorni dalla multa, il prefetto emette l’ordinanza di sospensione precisandone anche la durata, che parte non dal giorno dell’ordinanza ma da quello del ritiro.
Infrazioni
Ecco le infrazioni, ossia i motivi per cui si rischia la sospensione della patente:
Passaggio con semaforo rosso;
Guida in stato di ebbrezza, dunque in stato di ubriachezza con tasso alcolico maggiore del limite;
Guida dopo aver fatto uso di droghe;
Omicidio colposo;
Per eccesso di velocità, quando la velocità è oltre 40 km/h rispetto al limite consentito;
Per incidente con feriti, indipendentemente dalla gravità, quindi sia in caso di ferite gravi che lievi;
Per recidiva, nello specifico se, non mantenendo la distanza di sicurezza (quindi per tamponamento) provochi per due volte in due anni un incidente con grave danno ai veicoli, anche senza aver provocato lesioni alle persone.
Per uso del cellulare alla guida, ma anche in questo caso solo per recidiva: se commetti la violazione almeno due volte nel biennio;
Guida senza patente.
Durata
L’agente ritira la patente nel momento in cui commina la multa. Entro 15 giorni, il prefetto ti invia per posta una notifica in cui indica la durata della sospensione della patente. Il prefetto decide la durata della sospensione in base a tre elementi:
Innanzitutto entro i limiti minimi e massimi previsti dal C.d.S. Il prefetto infatti non può superare questi limiti a suo insindacabile giudizio, ma deve attenersi alla durata minima e massima prevista per ogni tipo di infrazione;
La gravità dei danni causati;
L’eventuale pericolo per l’ulteriore circolazione.
Al termine della sospensione, la Polizia o i Carabinieri ti inviteranno a recarti in questura/caserma per il ritiro della tua patente.
Di seguito puoi scaricare la tabella completa con tutte le durate minime e massime previste dal codice della strada, per tutti i casi previsti, quali ad esempio:
Guida in stato di ebbrezza;
Guida oltrepassando i limiti di velocità;
Tamponamento;
Incidente stradale con danni a cose e persone;
Guida sotto effetto di droghe;
Recidive: ossia infrazione commessa almeno due volte in un biennio.
Tabella sulla durata
Scarica subito la tabella sulla durata della sospensione per ogni singola infrazione.
1 SOSPENSIONE DEFINITIVA DELLA PATENTE PER VIOLAZIONE ALLE NORME DI COMPORTAMENTO (art. 218 C.d.S.) |
|||
Art. violato |
Descrizione |
Durata minima |
Durata massima |
art. 6/1° e 12° |
Inottemperanza al divieto di circolazione dei veicoli adibiti al trasporto di cose (stabiliti con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti o del Prefetto) |
1 MESE |
4 MESI |
art. 10/24° |
Effettuare un trasporto eccezionale o guidare un mezzo classificato come eccezionale senza rispettare le prescrizioni previste o i limiti imposti dalle norme |
15 GIORNI |
30 GIORNI |
art. 86 |
Adibire, senza la prevista licenza (o con licenza sospesa o revocata), un veicolo a servizio di piazza con conducente o a taxi. In caso di recidiva (nel periodo di tre anni), revoca della patente |
4 MESI |
12 MESI |
art. 117/5° |
Circolare superando i limiti di guida e di velocità per i conducenti titolari di patente da meno di tre anni o, comunque, di età inferiore a 20 anni |
2 MESI |
8 MESI |
art. 125/5° |
Circolare alla guida di un veicolo per il quale è richiesta una patente di categoria diversa da quella posseduta |
1 MESE |
6 MESI |
art. 142/9° |
Superare di oltre 40 Km/h il limite massimo di velocità consentito e fino a 60 km/h |
1 MESE |
3 MESI |
art. 142/9° - bis |
Superare di oltre 60 km/h il limite massimo di velocità consentito Per violazioni commesse alla guida di particolari categorie di veicoli le sanzioni sono raddoppiate. |
6 MESI |
12 MESI |
art. 143/12° |
circolare contromano in corrispondenza delle curve, dei raccordi convessi o in altri casi di limitata visibilità ovvero percorrere la carreggiata contromano in una strada divisa in più carreggiate separate |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/9° |
divieto di sorpasso a destra di tram o filobus fermi in mezzo alla carreggiate per salita/discesa viaggiatori quando manca salvagente |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/10° |
sorpasso in corrispondenza di curve o dossi e in ogni altro caso di scarsa visibilità |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/11° |
- sorpasso di veicolo che ne stia superando un altro, nonchè il sorpasso di veicoli fermi o in lento movimento ai passaggi a livello, ai semafori o per altre cause di congestione della circolazione, quando a tal fine sia necessario spostarsi nella parte della carreggiata destinata al senso opposto di marcia |
1 MESE |
3 MESI |
• art. 148/12° |
sorpasso in prossimità o corrispondenza delle intersezioni |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/13° |
sorpasso in prossimità o corrispondenza di passaggi a livello senza barriere, sorpasso di veicolo arrestatosi o che rallenta in corrispondenza di attraversamento pedonale per consentire a pedoni di attraversare la carreggiata |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/14° |
• (*) - effettuare qualsiasi manovra di sorpasso alla guida di un veicolo di massa a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate |
2 MESI |
6 MESI |
|
* Per violazioni commesse dal conducente in possesso della patente da meno di tre anni la sospensione va da un minimo di 3 a un massimo di 6 mesi |
|
|
art. 168/8° - bis |
effettuare il trasporto di merci pericolose senza autorizzazione |
2 MESI |
6 MESI |
art. 168/9° |
effettuare il trasporto di merci pericolose in violazione delle disposizioni impartite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché dal Ministero dell'Interno |
2 MESI |
6 MESI |
art. 176/1° lett. c) e d) |
circolare, al di fuori dei casi previsti, sulla corsia riservata alla sosta di emergenza o sulla corsia di variazione di velocità in ambito autostradale |
2 MESI |
6 MESI |
art. 179/9° |
circolare alla guida di un veicolo munito di cronotachigrafo non funzionante, alterato o privo del foglio di registrazione |
15 GIORNI |
3 MESI |
art. 186° |
guida in stato di ebbrezza alcolica - tasso alcol. da 0,51 fino a 0,80 g/l |
3 MESI |
6 MESI |
art. 193/ comma 4 - bis - |
falsificare o contraffare documenti assicurativi |
1 ANNO |
|
art. 213/4° |
circolare abusivamente alla guida di un veicolo sottoposto a sequestro |
1 MESE |
3 MESI |
art. 213/ comma 2 - ter |
rifiutare di trasportare o custodire, a proprie spese, il veicolo sottoposto a sequestro, secondo le prescrizioni fornite dall'organo di polizia |
1 MESE |
3 MESI |
art. 214/1° |
rifiutare di trasportare o custodire, a proprie spese, il veicolo sottoposto a fermo, secondo le prescrizioni fornite dall'organo di polizia |
1 MESE |
3 MESI |
art. 217/6° |
circolare alla guida di un veicolo durante il periodo di sospensione della carta di circolazione |
3 MESI |
12 MESI |
La sospensione della patente è prevista anche nei casi in cui alcune norme siano state violate dal conducente per almeno due volte nel corso di un biennio. Si allega, a titolo esemplificativo, l'elenco delle violazioni |
|||
TIPOLOGIA INFRAZIONE |
|||
Art. violato |
Descrizione |
Durata minima |
Durata massima |
art. 7/1° lett. b) e comma 13 bis |
circolare in violazione delle limitazioni alla circolazione disposte con ordinanza del sindaco per prevenzione inquinamento |
15 GIORNI |
30 GIORNI |
art. 142/9° |
superare i limiti di velocità di oltre 40 km/h |
8 MESI |
18 MESI |
art. 143/12° |
circolare contromano in corrispondenza delle curve, dei raccordi convessi o in altri casi di limitata visibilità ovvero percorrere la carreggiata contromano in una strada divisa in più carreggiate separate |
2 MESI |
6 MESI |
art. 145/10° |
omettere la precedenza dovuta nelle intersezioni stradali e immettersi sulla strada principale da una secondaria |
1 MESE |
3 MESI |
• art. 148/ commi 3 e 15 |
sorpassare, dopo aver fatto l'apposita segnalazione, non osservando l'obbligo di portarsi sulla sinistra del veicolo o altro utente della strada che lo precede sulla stessa corsia, di superarlo rapidamente tenendosi da questo ad una adeguata distanza laterale e di riportarsi a destra appena possibile, senza creare pericolo o intralcio; |
1 MESE |
3 MESI |
|
- non osservare l'obbligo di effettuare il sorpasso sulla corsia immediatamente alla sinistra del veicolo che si intende superare, se la carreggiata o semicarreggiata sono suddivise in più corsie. Provocare collisione e grave danno ai veicoli, con conseguente necessità di revisione degli stessi, per non aver osservato le distanze di sicurezza |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/15° |
violare il divieto di sorpassare a destra, eccetto i casi in cui ciò sia consentito |
1 MESE |
3 MESI |
art. 146/3° - bis |
in relazione al comma 3 del medesimo articolo proseguire la marcia quando le segnalazioni del semaforo o dell'agente del traffico vietino la marcia stessa |
1 MESE |
3 MESI |
art. 147/6° |
non usare la massima prudenza nell'approssimarsi ad un passaggio a livello |
1 MESE |
3 MESI |
art. 148/3° |
effettuare il sorpasso senza superare rapidamente il conducente che lo precede sulla stessa corsia, senza mantenere un'adeguata distanza laterale, senza riportarsi a destra appena possibile, evitando di creare intralcio o pericolo |
1 MESE |
3 MESI |
art. 149/5° |
mancata distanza di sicurezza con collisione e grave danno ai veicoli tale da determinare l'applicazione della revisione di cui all'art. 80/7 del C.d.S. |
1 MESE |
3 MESI |
art. 150 |
mancato arresto del veicolo in caso di incrocio ingombrato o su strade di montagna |
1 MESE |
3 MESI |
art. 172/10° |
mancato uso delle cinture di sicurezze o dei sistemi di ritenuta |
15 GIORNI |
2 MESI |
art. 173/3°- bis |
divieto di far uso durante la guida del cellulare |
1 MESE |
3 MESI |
art. 189/ commi 1 e 5 |
non osservare l'obbligo di fermarsi in caso d'incidente con danno alle sole cose, per l'utente della strada, il cui comportamento sia stato causa dell'incidente stesso, se dal fatto deriva un grave danno ai veicoli coinvolti tale da determinare l'applicazione della revisione di cui all'art. 80 , comma 7 |
15 GIORNI |
2 MESI |
2 SOSPENSIONE PROVVISORIA DELLA PATENTE IN RELAZIONE ALLE IPOTESI DI REATO PREVISTE DAL CODICE DELLA STRADA ( art. 223 comma III C.d.S.) |
|||
TIPOLOGIA INFRAZIONE |
|||
Art. violato |
Descrizione |
Durata minima |
Durata massima |
art. 9 bis/5° |
partecipare con veicoli a motore a competizioni non autorizzate |
1 ANNO |
3 ANNI |
art. 9 ter/3° (in relazione all' art. 141/9°) |
gareggiare in velocità con veicoli a motore |
1 ANNO |
3 ANNI |
art. 186/2° lett b) - |
tasso alcolico da 0,81 fino a 1,50 g/l |
6 MESI |
1 ANNO |
art. 186/2° lett c) |
tasso alcolico superiore a 1,50 g/l |
1 ANNO |
2 ANNI |
art. 186 bis |
guida sotto l'influenza dell'alcool per i conducenti di età inferiore ad anni ventuno, per i neo - patentati e per chi esercita professionalmente l'attività di trasporto di persone e cose: rifiuto di sottoporsi all'accertamento |
6 MESI |
1 ANNO |
art. 186/7° |
guida sotto l'influenza dell'alcool rifiuto di sottoporsi agli accertamenti |
6 MESI |
2 ANNI |
art. 187/1° |
guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope |
|
|
art. 187/8° |
guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope : rifiuto di sottoporsi agli accertamenti |
1 ANNO |
2 ANNI |
art. 189/6° |
non ottemperare all'obbligo di fermarsi in caso di incidente stradale con danno alle persone ricollegabile comunque al proprio comportamento |
1 ANNO |
3 ANNI |
art. 189/7° |
non ottemperare all'obbligo di prestare l'assistenza alle persone ferite in caso di incidente stradale ricollegabile comunque al proprio comportamento |
18 MESI |
5 ANNI |
3 SOSPENSIONE DELLA PATENTE DI GUIDA PER LESIONI PERSONALI COLPOSE A SEGUITO DI INCIDENTE STRADALE |
|||
La patente di guida è sottoposta a sospensione quando, da una violazione delle norme del Codice della Strada, a seguito di incidente stradale, derivino lesioni alle persone. |
|||
In tal caso, il Prefetto del luogo della commessa violazione, ricevuti gli atti dall'agente o organo accertatore, in presenza di fondati elementi di evidente responsabilità, dispone la sospensione provvisoria del documento di guida, fino al massimo di tre anni. |
Notifica. Nel momento in cui l’agente ti ritira la patente, ha 5 giorni di tempo per inviarla al Prefetto, insieme a una copia del verbale. Nel momento in cui il Prefetto riceve i documenti, a sua volta ha 15 giorni di tempo per inviarti a casa la notifica di sospensione. Nel momento in cui ricevi la notifica quindi, controlla questi due termini di notifica nel documento:
I 5 giorni che hanno le forze dell’ordine per inviare multa e patente al Prefetto;
I 15 giorni che il Prefetto ha per inviare a te la notifica.
In caso di notifica tardiva, ossia dopo 20 giorni dall’infrazione, la sospensione non è più valida e il prefetto deve riconsegnarti la patente (sentenza del Tribunale di Arezzo n. 247 del 2016; vedi anche art. 218 C.d.s.). In tal caso rivolgiti al Giudice di Pace del luogo del Prefetto che ti ha inviato la notifica.
Quanto appena detto è valido non solo in caso di notifica tardiva, ma anche nei seguenti casi:
Mancata notifica;
La notifica non indica precisamente i termini di cui sopra.
Cosa fare
Se ti hanno sospeso la patente e hai ricevuto la notifica entro i termini corretti (5 + 15 giorni, per un totale di 20 giorni dall’infrazione) non puoi fare più nulla: la sospensione è valida a tutti gli effetti.
Istanza di permesso di guida per lavoro
Se la macchina ti serve per lavorare, puoi chiedere al Prefetto il permesso di poterla guidare per il tragitto casa lavoro casa, per un massimo di 3 ore al dì. Il Prefetto può concederti questa riduzione della sospensione della patente, solo se sussistono le seguenti condizioni:
Ti è impossibile o è molto difficoltoso andare al lavoro con i mezzi pubblici;
L’infrazione che hai commesso non ha causato un incidente stradale.
Per ottenere la riduzione della sospensione, ossia il permesso per motivi di lavoro, entro 5 giorni dall’infrazione devi inviare apposita istanza al Prefetto, che decide se concedertela o meno non solo in base alla tua necessità dell’auto, ma soprattutto considerando la gravità dell’infrazione e l’entità del danno che hai causato.
Se il Prefetto accoglie l’istanza, nella notifica di sospensione che ricevi entro 15 giorni, sono indicate espressamente le fasce orarie in cui ti è permesso guidare.
Attenzione
La riduzione non è uno sconto che ottieni “gratis”: il Prefetto allungherà la sospensione per un numero di giorni doppio rispetto alle ore che hai ottenuto. Tutto è indicato nella notifica di sospensione.
Di seguito ecco i documenti da presentare al Prefetto per fare istanza di riduzione per motivi di lavoro:
Dichiarazione sostitutiva atto di notorietà
Istanza riduzione per motivi di lavoro
Ricorso
Opposizione
Una volta ricevuta la notifica di sospensione della patente, se ritieni che il provvedimento sia illegittimo, puoi presentare ricorso al Giudice di Pace tramite un’ istanza di annullamento. Per esempio per i seguenti motivi:
Completa inesattezza dell’ordinanza di sospensione;
Assenza del verbale di accertamento;
Mancato rispetto dei termini previsti (5 + 15 giorni, come detto sopra);
Mancata indicazione del tasso alcolemico per guida in stato di ebbrezza.
Devi presentare ricorso necessariamente entro 30 giorni dal giorno in cui ricevi la notifica, alle condizioni e all’indirizzo indicato nella notifica stessa.
Il ricorso va presentato al giudice di pace, tranne specifici casi. Se la sospensione è una sanzione accessoria a seguito di:
Reato, puoi impugnare in Appello o in Cassazione la sentenza penale che ha emesso anche il ritiro della patente;
Misura cautelare amministrativa (per la perdita dei requisiti psicofisici) puoi presentare istanza di ricorso al T.A.R. (Tribunale amministrativo regionale) o al Ministero dei Trasporti, in questo caso hai 60 giorni di tempo.
Attenzione
Se ti hanno sospeso la patente per un mese o due, non ti conviene presentare ricorso: conoscendo i tempi della giustizia italiana, trascorreranno prima i due mesi di sospensione e poi arriverà la sentenza in merito al tuo ricorso. Tanto vale attendere la fine della sospensione.
Restituzione
Come riottenerla
Usando il servizio online Dov’è la mia patente puoi controllare in ogni momento la data di scadenza della sospensione e il luogo in cui si trova. Una volta finito il periodo di sospensione, potrai recarti presso la Caserma dei Carabinieri o il Comando di Polizia Locale affinché ti restituiscano la tua patente.
Puoi anche farla ritirare da un tuo delegato, purché sia in possesso di una tua delega e della fotocopia fronte retro del tuo documento di identità.
Se ti hanno ritirato la patente per motivi medici, la restituzione della patente avviene non presso la Caserma o il Comando, ma presso la Motorizzazione Civile, a cui dovrai esibire il certificato di visita medica che attesti il superamento dei problemi psicofisici che hanno determinato il ritiro.
Dopo processo penale
Se sei imputato in un processo penale, nella sentenza finale il giudice può ordinare, oltre alla pena principale, anche la sospensione della patente come pena accessoria. Può disporla anche se opti per il patteggiamento, che quindi non può “salvarti” dal ritiro della patente. La sospensione è efficace, ossia comincia a decorrere dal momento in cui la sentenza del giudice è esecutiva, quindi al termine dei tre gradi di giudizio.
Di solito, in materia penale, la sospensione della patente consta di due fasi:
1a fase istantanea; l’agente ti ritira la patente, per esempio per guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe; in questo caso il ritiro della patente rappresenta un provvedimento cautelare deciso dal Prefetto;
2a fase finale; il Giudice del emette la sentenza e, quale sanzione accessoria, applica la sospensione della patente. Del ritiro della patente se ne occuperà comunque il prefetto, ma su sentenza del giudice. In questo caso la sospensione della patente non ha più natura cautelare, ma punitiva/educativa.
Sospensione patente 2023: durata, infrazioni, notifica, restituzione
Il Codice della Strada va assolutamente rispettato ogni qualvolta ti metti alla guida della tua auto. Le conseguenze di una violazione possono essere gravi e mettere in pericolo la tua incolumità e quella degli altri automobilisti. Proprio per questa ragione le sanzioni in caso di violazione sono molto severe. In questa guida completa sulla sospensione patente […]
Sospensione mutuo 2023: difficoltà economiche, richiesta, fac simile, casa
Chiedere un mutuo rappresenta un momento molto importante: è il momento in cui si concretizzano i sogni di una famiglia, il momento in cui finalmente si diventa proprietari di una casa. Purtroppo però, ci sono momenti in cui la rata da pagare diventa insostenibile. In questa guida completa sulla sospensione del mutuo ti spiego cos’è […]
Rimozione forzata e blocco. Da Quattroruote.it
Cos’è
La rimozione forzata di un veicolo è una sanzione amministrativa accessoria a quella principale, che è sempre la sanzione pecuniaria, la cosiddetta multa. La rimozione forzata consiste nel prelevamento del veicolo con un mezzo specificamente attrezzato – il cosiddetto carro attrezzi - e il suo trasporto in uno specifico luogo di custodia autorizzato dall’ente proprietario della strada (comune, provincia, regione o stato).
Chi la dispone
La rimozione forzata è disposta dalle forze di polizia che accertano la violazione ed è indicata nel verbale di contestazione.
Limitatamente ad alcune particolari situazioni, il comune può conferire il potere di contestare le violazioni della sosta e di disporre la rimozione forzata anche a:
dipendenti comunali o delle società private e pubbliche che gestiscono la sosta di superficie a pagamento o dei parcheggi;
dipendenti comunali o a dipendenti delle aziende municipalizzate o delle imprese addette alla raccolta dei rifiuti urbani e alla pulizia delle strade.
Dove può avvenire
La rimozione forzata può essere disposta solo nelle seguenti situazioni:
nelle strade e nei tratti di esse in cui con ordinanza dell'ente proprietario della strada sia stabilito che la sosta dei veicoli costituisce grave intralcio o pericolo per la circolazione stradale e il segnale di divieto di sosta sia integrato dall'apposito pannello integrativo “rimozione forzata”;
nelle strade urbane a senso unico di marcia in cui la sosta è consentita anche lungo il margine sinistro della carreggiata se non vi è spazio sufficiente al transito almeno di una fila di veicoli e comunque inferiore a 3 m di larghezza;
in corrispondenza o in prossimità dei passaggi a livello e sui binari di linee ferroviarie o tramviarie o così vicino ad essi da intralciarne la marcia;
nelle gallerie, nei sottovia, sotto i sovrapassaggi, sotto i fornici e i portici, salvo diversa segnalazione;
sui dossi e nelle curve e, fuori dei centri abitati e sulle strade urbane di scorrimento, anche in loro prossimità;
in prossimità e in corrispondenza di segnali stradali verticali e semaforici in modo da occultarne la vista, nonché in corrispondenza dei segnali orizzontali di preselezione e lungo le corsie di canalizzazione;
fuori dei centri abitati, sulla corrispondenza e in prossimità delle aree di intersezione;
nei centri abitati, sulla corrispondenza delle aree di intersezione e in prossimità delle stesse a meno di 5 m dal prolungamento del bordo più vicino della carreggiata trasversale, salvo diversa segnalazione;
sui passaggi e attraversamenti pedonali e sui passaggi per ciclisti, nonché sulle piste ciclabili e agli sbocchi delle medesime;
sui marciapiedi, salvo diversa segnalazione;
negli spazi riservati alla fermata e alla sosta dei veicoli elettrici;
negli spazi riservati alla ricarica dei veicoli elettrici. Tale divieto è previsto anche per i veicoli elettrici che non effettuano l'operazione di ricarica o che permangono nello spazio di ricarica oltre un'ora dopo il completamento della fase di ricarica (ma questo limite temporale non trova applicazione dalle ore 23,00 alle ore 7,00, a eccezione dei punti di ricarica di potenza elevata;
allo sbocco dei passi carrabili;
dovunque venga impedito di accedere ad un altro veicolo regolarmente in sosta, oppure lo spostamento di veicoli in sosta;
in seconda fila, salvo che si tratti di veicoli a due ruote, due ciclomotori a due ruote o due motocicli;
negli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata degli autobus, dei filobus e dei veicoli circolanti su rotaia e, ove questi non siano delimitati, a una distanza dal segnale di fermata inferiore a 15 m, nonché negli spazi riservati allo stazionamento dei veicoli in servizio di piazza;
negli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata dei veicoli adibiti al trasporto scolastico;
sulle aree destinate al mercato e ai veicoli per il carico e lo scarico di cose, nelle ore stabilite;
sulle banchine, salvo diversa segnalazione;
negli spazi riservati alla fermata o alla sosta dei veicoli per persone invalide di cui all'art. 188 e in corrispondenza degli scivoli o dei raccordi tra i marciapiedi, rampe o corridoi di transito e la carreggiata utilizzati dagli stessi veicoli;
negli spazi riservati alla sosta dei veicoli a servizio delle donne in stato di gravidanza o di genitori con un bambino di età non superiore a due anni muniti di permesso rosa;
nelle corsie o carreggiate riservate ai mezzi pubblici;
nelle aree pedonali urbane;
nelle zone a traffico limitato per i veicoli non autorizzati;
negli spazi asserviti ad impianti o attrezzature destinate a servizi di emergenza o di igiene pubblica indicati dalla apposita segnaletica;
davanti ai cassonetti dei rifiuti urbani o contenitori analoghi;
limitatamente alle ore di esercizio, in corrispondenza dei distributori di carburante ubicati sulla sede stradale ed in loro prossimità sino a 5 m prima e dopo le installazioni destinate all'erogazione;
nelle aree riservate ai veicoli per il carico e lo scarico di merci, nelle ore stabilite.
in tutti gli altri casi in cui la sosta sia vietata e costituisca pericolo o grave intralcio alla circolazione;
quando il veicolo sia lasciato in sosta in violazione alle disposizioni emanate dall'ente proprietario della strada per motivi di manutenzione o pulizia delle strade e del relativo arredo.
Veicoli che non possono essere rimossi
È vietata la rimozione dei seguenti veicoli:
destinati a servizi di polizia, anche se privati;
ambulanze;
dei Vigili del fuoco;
di soccorso;
di medici in servizio in situazione di emergenza;
degli invalidi purché muniti di apposito contrassegno.
Il pannello integrativo “rimozione coatta”
Nelle situazioni in cui la rimozione forzata non è prevista in maniera generalizzata, il segnale di divieto di sosta o di fermata deve essere accompagnato dallo specifico pannello integrativo denominato “Zona rimozione coatta”.
Come avviene la rimozione
Come detto, il trasporto del veicolo dal luogo dell'infrazione al luogo del deposito è effettuato con appositi veicoli - i carri attrezzi - appartenenti all'ente proprietario della strada oppure - come avviene di solito - con veicoli appartenenti a ditte private o pubbliche a cui il servizio è stato concesso dall’ente proprietario della strada (la concessione ha durata biennale ed è rinnovabile). In ogni caso, i veicoli adibiti alla rimozione devono avere le caratteristiche prescritte dal Codice della strada.
Nel caso in cui l'interessato sopraggiunga durante le operazioni di rimozione del veicolo, è consentita l'immediata restituzione del veicolo previo pagamento delle spese di intervento e rimozione all'incaricato del concessionario del servizio di rimozione, che ne rilascia ricevuta.
Il carro attrezzi
Gli autoveicoli adibiti al soccorso o alla rimozione di veicoli, comunemente detti carri attrezzi, sono definiti autoveicoli a uso speciale per il soccorso stradale. Le loro caratteristiche costruttive e funzionali sono indicate nel Codice della strada. Devono essere dotati di un dispositivo di segnalazione visiva a luce lampeggiante gialla o arancione.
Dove è portato il veicolo rimosso
Il luogo in cui è trasportato il mezzo rimosso deve essere attrezzato in modo che i veicoli che vi sono depositati siano sicuri e siano affidati a un responsabile che assume la figura di custode. Nel caso in cui in una determinata località i depositi siano più d'uno, gli agenti o i militari devono scegliere quello più vicino al luogo della violazione, compatibilmente con la sua capienza.
La restituzione del veicolo
Per la restituzione del veicolo rimosso, l'interessato o la persona da lui delegata deve presentarsi al responsabile del luogo di deposito provando il titolo alla restituzione e versando le spese di intervento, rimozione e custodia secondo tabelle preparate ed annualmente aggiornate dall'ente proprietario della strada in cui è avvenuta la rimozione (comune, provincia, regione o stato). Dell’avvenuta restituzione è redatto verbale sottoscritto dal custode e dal proprietario del veicolo o persona da lui delegata che espressamente deve dichiarare, previo accertamento, che il veicolo non ha subito danni palesi od occulti a seguito della rimozione. Una copia del verbale è rilasciata all'interessato insieme alla ricevuta di pagamento delle spese.
L’alienazione del veicolo
Trascorsi centottanta giorni dalla notificazione del verbale contenente la contestazione della violazione e l'indicazione della effettuata rimozione o blocco, senza che il proprietario o l'intestatario del documento di circolazione si siano presentati all'ufficio o comando da cui dipende l'organo che ha effettuato la rimozione o il blocco, il veicolo può essere alienato, ossia venduto, o demolito. Nell'ipotesi di alienazione, il ricavato della vendita sarà utilizzato per pagare la multa e le spese di rimozione, di custodia e di blocco. L'eventuale residuo viene restituito al proprietario.
Il ricorso
Contro la sanzione amministrativa accessoria della rimozione forzata è ammesso ricorso al prefetto.
L’alternativa alla rimozione forzata: il blocco
In alternativa alla rimozione forzata è consentito, anche previo spostamento del veicolo, il blocco dello stesso con attrezzo a chiave applicato alle ruote, le cosiddette ganasce, senza onere di custodia. L'applicazione delle ganasce, tuttavia, non è consentita se il veicolo in posizione irregolare costituisce intralcio o pericolo alla circolazione.
Situazioni particolari
1. Veicoli abbandonati
Le forze di polizia possono procedere alla rimozione dei veicoli in sosta se, per il loro stato o per altro fondato motivo, si possa ritenere che siano stati abbandonati. Alla rimozione può provvedere anche l'ente proprietario della strada, sentiti preventivamente gli organi di polizia.
2. Aree portuali e marittime
Nelle aree portuali e marittime è autorizzato il sequestro conservativo degli automezzi in sosta vietata che ostacolano la regolare circolazione viaria e ferroviaria o l'operatività delle strutture portuali.
3. Incidenti stradali
In seguito a un incidente stradale, ove dall'incidente siano derivati danni alle sole cose, gli agenti di polizia eventualmente intervenuti possono disporre l'immediata rimozione dei veicoli (fatta salva la necessità di eseguire eventuali rilievi necessari per appurare le modalità dell'incidente.
Rimozione forzata e blocco. La rimozione forzata di un veicolo è una sanzione amministrativa accessoria a quella principale, che è sempre la sanzione pecuniaria, la cosiddetta multa. La rimozione forzata consiste nel prelevamento del veicolo con un mezzo specificamente attrezzato – il cosiddetto carro attrezzi - e il suo trasporto in uno specifico luogo di custodia autorizzato dall’ente proprietario della strada (comune, provincia, regione o stato).
Sequestro o fermo amministrativo in conseguenza di violazioni amministrative (artt. 213 e 214 C.d.S.)
Il sequestro amministrativo del veicolo è disciplinato dall'art. 213 C.d.S. ed è una misura cautelare con la quale si sottrae la disponibilità del bene all'avente diritto e lo si pone a disposizione dell'Autorità amministrativa per i provvedimenti di propria competenza (ad esempio, confisca amministrativa). Il sequestro può essere connesso a violazioni aventi carattere amministrativo ovvero penale.
Il fermo amministrativo del veicolo è disciplinato dall'art. 214 C.d.S.: è una sanzione accessoria con la quale si sottrae la disponibilità del bene all'avente diritto; la durata del fermo è prevista dalla norma di legge che lo stabilisce e che si assume violata. Nelle ipotesi in cui il codice della strada prevede la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo, l'organo di Polizia provvede a far ricoverare il medesimo in apposito luogo di custodia. Al termine del periodo di fermo amministrativo, il veicolo è restituito direttamente all'avente titolo (non è necessaria alcuna istanza di restituzione) previo pagamento delle spese di trasporto e custodia se dovute.
Sequestro o fermo amministrativo in conseguenza di violazioni amministrative (artt. 213 e 214 C.d.S.)
Le principali disposizioni che comportano il sequestro/fermo amministrativo sono le seguenti:
circolazione con veicolo per il quale non sia stata rilasciata la carta di circolazione (art. 93 C.d.S.) (vedasi, in fondo alla pagina, la modulistica per richiedere il dissequestro del veicolo avente i requisiti per l'immatricolazione);
fabbricazione, produzione, commercializzazione o vendita di ciclomotori che sviluppino una velocità superiore a quella prevista dall'art. 52 C.d.S. (45 km/h) oppure con un ciclomotore per il quale non è stato rilasciato il certificato di circolazione, se previsto (art. 97 C.d.S.);
esercitazione alla guida senza avere accanto, in funzione di istruttore, una persona provvista di patente di guida valida (art. 122 C.d.S.);
circolazione con ciclomotore o motociclo in violazione delle norme comportamentali previste (art. 170 C.d.S.);
circolazione con veicolo sprovvisto di idonea copertura assicurativa (art. 193 C.d.S.);
circolazione con veicolo sottoposto a fermo amministrativo (art. 214 C.d.S.);
circolazione con patente ritirata o sospesa (artt. 216 e 218 C.d.S.);
circolazione in violazione della normativa in materia di trasporto cose (artt. 26 e 46 della legge n. 298/1974 s.m.i.).
Sequestro o fermo amministrativo, o confisca di conseguenza di violazioni aventi natura penale (art. 224 ter C.d.S.)
Le principali disposizioni che comportano il sequestro/fermo amministrativo sono le seguenti:
divieto di gareggiare in velocità con veicoli a motore (es. art. 9ter C.d.S.);
guida senza patente o con patente revocata (art. 116 C.d.S.);
guida sotto l'effetto di alcool (art. 186 C.d.S.);
guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti (art. 187 C.d.S.).
Che differenza c'è tra la confisca il sequestro e il fermo?
Con il sequestro la Pubblica Amministrazione limita la disponibilità dell'auto a seguito di una violazione.
La confisca, invece, è il provvedimento con cui la Pubblica Amministrazione acquisisce la proprietà di un bene. L'auto diventa sua e il proprietario ne perde ogni diritto.
Il Fermo Amministrativo si differenzia dal Sequestro perché non ha natura cautelare, non è finalizzato ad altro successivo ed eventuale provvedimento (il sequestro infatti può comportare la confisca), e soprattutto perché ha una durata definita trascorsa la quale il veicolo va restituito.
Quando il sequestro amministrativo diventa confisca?
La legge 689/81 prevede che possa essere disposta, come sanzione amministrativa accessoria, la “confisca” delle cose che servirono a commettere la violazione o che ne sono il prodotto, sempre ché appartengono ad una delle persone cui è ingiunto il pagamento.
Sequestri, confische e fermi amministrativi di veicoli. Il Prefetto dispone il sequestro del veicolo per mancanza della copertura assicurativa e/o mancanza della carta di circolazione. Da VICEPREFETTO AGGIUNTO di Treviso :Dott. Giacomo TOMA
Premessa
Disciplina
Sequestro o fermo amministrativo in conseguenza di violazioni amministrative (artt. 213 e 214 C.d.S.)
Sequestro o fermo amministrativo di conseguenza di violazioni aventi natura penale (art. 224 ter C.d.S.)
Cosa succede al veicolo sequestrato o sottoposto a fermo (disciplina applicabile sia per le violazioni penali sia per le violazioni amministrative)?
Mancata assunzione della custodia del veicolo nel termine di 10 giorni: conseguenze
Ipotesi di dissequestro del veicolo per sequestri operati in conseguenza di ipotesi di reato (operati ai sensi dell'art. 224 ter C.d.S.)
Spese di custodia
Principali ipotesi di confisca obbligatoria del veicolo
Strumenti di tutela avverso i verbali di accertamento di violazioni amministrative
Strumenti di tutela avverso i verbali di accertamento (c.d. notizia di reato) di violazioni penali
Ricorso avverso il verbale di sequestro o di fermo amministrativo
Ricorso avverso il verbale di sequestro o di fermo in conseguenza di ipotesi di reato
SEQUESTRO DI VEICOLO A SEGUITO DI VIOLAZIONE DELL'ART. 193 C.d.S.
Cosa succede al veicolo sottoposto a sequestro ai sensi dell'art. 193 C.D.S.?
Cosa fare in caso di sequestro operato ai sensi dell'art. 193 C.d.S.?
Dissequestro
Demolizione
RICORSO
Rateizzazione
Limiti di reddito
Termini per la presentazione dell'istanza e possibili esiti
Tariffe per recupero e custodia del veicolo sottoposto a fermo o sequestro amministrativo
Modelli
Riferimenti normativi
Circolari Ufficio Sequestri
Circolari di interesse comune all'Area III
SEQUESTRO E FERMO AMMINISTRATIVO DI VEICOLI
Premessa
Vi sono violazioni a disposizioni del Codice della strada ovvero ad altre normative (ad esempio, la legge n. 298/1974 s.m.i. in tema di trasporto di cose in proprio o per conto terzi) che comportano non solo l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (somma di danaro) ma anche conseguenze sul veicolo utilizzato.
All'atto della contestazione della violazione, pertanto, l'organo di polizia stradale procede a redigere due atti: il verbale di accertamento e il verbale di fermo o di sequestro amministrativo del veicolo.
Disciplina
Il sequestro amministrativo del veicolo è disciplinato dall'art. 213 C.d.S. ed è una misura cautelare con la quale si sottrae la disponibilità del bene all'avente diritto e lo si pone a disposizione dell'Autorità amministrativa per i provvedimenti di propria competenza (ad esempio, confisca amministrativa). Il sequestro può essere connesso a violazioni aventi carattere amministrativo ovvero penale.
Il fermo amministrativo del veicolo è disciplinato dall'art. 214 C.d.S.: è una sanzione accessoria con la quale si sottrae la disponibilità del bene all'avente diritto; la durata del fermo è prevista dalla norma di legge che lo stabilisce e che si assume violata. Nelle ipotesi in cui il codice della strada prevede la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo, l'organo di Polizia provvede a far ricoverare il medesimo in apposito luogo di custodia. Al termine del periodo di fermo amministrativo, il veicolo è restituito direttamente all'avente titolo (non è necessaria alcuna istanza di restituzione ) previo pagamento delle spese di trasporto e custodia se dovute .
Nel caso in cui il sequestro o il fermo siano previsti da disposizioni aventi carattere penale la disciplina è dettata anche dall'art. 224 ter del codice della strada.
Sequestro o fermo amministrativo in conseguenza di violazioni amministrative (artt. 213 e 214 C.d.S.)
Le principali disposizioni che comportano il sequestro/fermo amministrativo sono le seguenti:
circolazione con veicolo per il quale non sia stata rilasciata la carta di circolazione (art. 93 C.d.S.) (vedasi, in fondo alla pagina, la modulistica per richiedere il dissequestro del veicolo avente i requisiti per l'immatricolazione);
fabbricazione, produzione, commercializzazione o vendita di ciclomotori che sviluppino una velocità superiore a quella prevista dall'art. 52 C.d.S. (45 km/h) oppure con un ciclomotore per il quale non è stato rilasciato il certificato di circolazione, se previsto (art. 97 C.d.S.);
esercitazione alla guida senza avere accanto, in funzione di istruttore, una persona provvista di patente di guida valida (art. 122 C.d.S.);
circolazione con ciclomotore o motociclo in violazione delle norme comportamentali previste (art. 170 C.d.S.);
circolazione con veicolo sprovvisto di idonea copertura assicurativa (art. 193 C.d.S.);
circolazione con veicolo sottoposto a fermo amministrativo (art. 214 C.d.S.);
circolazione con patente ritirata o sospesa (artt. 216 e 218 C.d.S.);
circolazione in violazione della normativa in materia di trasporto cose (artt. 26 e 46 della legge n. 298/1974 s.m.i.).
Sequestro o fermo amministrativo in conseguenza di violazioni aventi natura penale (art. 224ter C.d.S.)
Le principali disposizioni che comportano il sequestro/fermo amministrativo sono le seguenti:
divieto di gareggiare in velocità con veicoli a motore (es. art. 9ter C.d.S.);
guida senza patente o con patente revocata (art. 116 C.d.S.);
guida sotto l'effetto di alcool (art. 186 C.d.S.);
guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti (art. 187 C.d.S.).
Cosa succede al veicolo sequestrato o sottoposto a fermo (disciplina applicabile sia per le violazioni penali sia per le violazioni amministrative)?
Dal 25 febbraio 2008, nella provincia di Treviso è stato attivato il sistema informatico di affidamento in custodia dei veicoli sottoposti a sequestro (S.I.Ve.S.), fermo o confisca amministrativa per violazione al C. d. S.
Per i sequestri disposti fino a tale data si applica il sistema previgente.
Con il sistema S.I.Ve.S. il veicolo sequestrato o sottoposto a fermo viene generalmente affidato al proprietario o conducente o obbligato in solido, che ha l'obbligo di depositare e custodire il veicolo in luogo non soggetto a pubblico passaggio e di provvedere a proprie spese al trasporto in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale. Ogni variazione del luogo di custodia deve essere formalmente autorizzata dall'Ufficio o Comando che ha provveduto al sequestro.
Solo nel caso in cui i soggetti obbligati si rifiutino o non abbiano i requisiti per assumerne la custodia, il veicolo viene affidato al deposito giudiziario incaricato della custodia (c.d. " custode-acquirente ") .
Nel dettaglio, contestualmente al sequestro o al fermo, l'Organo accertatore avvisa il proprietario e il trasgressore che, decorsi dieci giorni, la mancata assunzione della custodia del veicolo determinerà l'immediato trasferimento in proprietà al custode-acquirente (art.213 C.d.S., comma 2-quater). In caso di notifica a mezzo posta, il termine di dieci giorni decorre dalla data della notificazione del verbale di sequestro al proprietario del veicolo.
Per i ciclomotori o i motocicli si applica la disciplina di cui all'art. 213, comma 2quinquies e art. 214 , comma 1ter C.d.S.: in tali casi il predetto termine di 10 giorni per il ritiro del veicolo decorre una volta scaduti i primi trenta giorni di custodia presso il c.d. custode-acquirente.
Mancata assunzione della custodia del veicolo nel termine di 10 giorni: conseguenze
Decorso inutilmente il termine di dieci giorni, ritenuto condizione sufficiente per presumere l'assenza di qualsiasi interesse del proprietario al recupero del veicolo, l'organo accertatore trasmette gli atti al Prefetto, il quale, senza ulteriore avviso al proprietario, dichiara il trasferimento in proprietà, senza oneri, del veicolo al custode-acquirente .
Ipotesi di dissequestro del veicolo per sequestri operati in conseguenza di ipotesi di reato (operati ai sensi dell'art. 224 ter C.d.S.)
Nell'ipotesi in cui il sequestro consegua a reato, il proprietario del veicolo può richiederne il dissequestro ai soli fini della radiazione per rottamazione qualora il veicolo risulti gravemente incidentato o immatricolato da oltre 10 anni. Tale possibilità sussiste sia nel caso in cui il veicolo sequestrato sia affidato in custodia all'interessato sia nel caso in cui il veicolo sia invece affidato al custode - acquirente. In tale ultimo caso l'istanza va in ogni caso formulata entro il termine di 10 giorni dalla notificazione del verbale, pena la vendita del veicolo al custode - acquirente.
Spese di custodia
Nelle ipotesi di mancato ritiro del veicolo sottoposto a fermo o sequestro amministrativo ovvero nelle ipotesi di confisca, le spese di recupero, trasporto e custodia del veicolo sono anticipate al custode dall'Autorità Amministrativa che successivamente provvede al recupero delle stesse tramite ingiunzione di pagamento nei confronti del trasgressore e dell'obbligato in solido (D.P.R. 22 luglio 1982 n. 571).
Principali ipotesi di confisca obbligatoria del veicolo
La confisca del veicolo è disposta obbligatoriamente nell'ipotesi di circolazione con veicolo non immatricolato (art. 93/7 C.d.S.), nell'ipotesi di circolazione con ciclomotore alterato (art. 97/5-7 C.d.S.) e nelle ipotesi di reiterazione/recidiva delle violazioni a cui consegue il fermo amministrativo (es. 100/11-12 C.d.S. circolazione con targa non propria o contraffatta; - 116/15° C.d.S. guida senza patente; art. 216 C.d.S. Guida con carta di circolazione o patente ritirata; art. 218/6 C.d.S. guida con patente sospesa etc.) e, altresì, per violazione di cui all'art. 193 C.d.S. in caso di mancato pagamento in misura ridotta.
Strumenti di tutela avverso i verbali di accertamento di violazioni amministrative
Avverso i verbali di accertamento di violazioni amministrative per le quali è ammesso il pagamento in misura ridotta (es. art. 193 C.d.S.) può essere presentato ricorso dal conducente o dal proprietario del veicolo, al Prefetto, per il tramite dell'organo accertatore, entro il termine di giorni 60 dalla notifica del verbale medesimo.
In alternativa, è previsto il ricorso, entro il termine di 30 giorni, al Giudice di Pace competente per territorio.
Nel caso in cui sia accertata, invece, una violazione per la quale non è ammesso il pagamento in misura ridotta, può essere presentato ricorso dal conducente o dal proprietario del veicolo al solo Prefetto, per il tramite dell'organo accertatore, entro il termine di giorni 60 dalla notifica del verbale medesimo.
Strumenti di tutela avverso i verbali di accertamento (c.d. notizia di reato) di violazioni penali
La difesa dovrà avvenire davanti all'Autorità Giudiziaria (penale) competente in ordine al reato contestato.
Inoltre, in caso di sequestro amministrativo a seguito di violazioni di articoli del C.d.S. aventi rilevanza penale - come ad esempio l'art. 186 C.d.S. (guida in stato di ebbrezza) e l'art. 187 (guida in stato di alterazione psicofisica dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti) - il dissequestro del veicolo potrà avvenire solo in caso di assoluzione o estinzione del reato pronunciata dall'A.G. competente. Qualora la sentenza sia invece di condanna, la Prefettura procederà alla confisca obbligatoria del veicolo.
La confisca del veicolo sarà adottata dal Prefetto, alla definizione del procedimento penale, a seguito di trasmissione, da parte della cancelleria del Giudice, della sentenza o del decreto penale di condanna divenuti irrevocabili ai sensi dell'articolo 648 del codice di procedura penale.
Ricorso avverso il verbale di sequestro o di fermo amministrativo
Avverso il verbale di sequestro amministrativo in ipotesi di violazione amministrativa, come previsto dall'art. 213, comma 3, C.d.S., è ammesso ricorso al Prefetto/Ufficio Territoriale del Governo di Treviso ai sensi dell'art. 203 comma 1 del C.d.S., entro 60 giorni dalla notificazione del verbale;
Avverso il verbale di fermo amministrativo in ipotesi di violazione amministrativa, come previsto dall'art. 214, comma 4, C.d.S. è ammesso ricorso al Prefetto/Ufficio Territoriale del Governo di Treviso ai sensi dell'art. 203 comma 1, C.d.S., entro 60 giorni dalla notificazione del verbale;
Ricorso avverso il verbale di sequestro o di fermo in conseguenza di ipotesi di reato
Avverso il verbale di sequestro amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato (sequestro ai sensi dell'art.224-ter, comma 1, C.d.S.), è ammesso ricorso , entro 60 giorni, al Prefetto/Ufficio Territoriale del Governo di Treviso, ai sensi dell'art. 203 comma 1 del C.d.S., come previsto dall'art. 213 comma 3 dello stesso codice, o opposizione ai sensi art. 205 del C.d.S., entro 30 giorni al Giudice di Pace, come previsto dal comma 5 dell'art. 224-ter dello stesso codice.
Avverso il verbale di fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato (fermo ai sensi dell'art. 224-ter, comma 3, C.d.S.) è ammesso ricorso , entro 60 giorni al Prefetto/Ufficio Territoriale del Governo di Treviso, ai sensi dell'art. 203 comma 1 del C.d.S., come previsto dall'art. 214 comma 4 dello stesso codice o opposizione , a sensi art. 205 del C.d.S., entro 30 giorni , al Giudice di Pace come previsto dal comma 5 dell'art. 224-ter dello stesso codice.
Quando il ricorso proposto al Prefetto è accolto ed è dichiarato infondato l'accertamento della violazione, l'ordinanza prefettizia estingue la sanzione accessoria ed importa la restituzione del veicolo all'avente diritto da parte dell'organo accertatore. Quando, invece, è stata presentata opposizione, ai sensi dell'articolo 205, la restituzione non può avvenire se non dopo il provvedimento dell'Autorità giudiziaria.
Di seguito si riporta più in dettaglio la disciplina del sequestro ai sensi dell'art. 193 c.d.s, violazione che costituisce il caso più frequente di applicazione della sanzione del sequestro amministrativo del veicolo.
SEQUESTRO DI VEICOLO A SEGUITO DI VIOLAZIONE DELL'ART. 193 C.D.S
L'art. 193 del Codice della Strada prevede che i veicoli a motore non possono essere posti in circolazione sulla strada senza la copertura assicurativa a norma delle vigenti disposizioni di legge sulla responsabilità civile verso terzi. I trasgressori sono soggetti ad una sanzione amministrativa che consiste nel pagamento della somma riportata sul verbale di contestazione e ad una sanzione accessoria che prevede il sequestro del veicolo.
L'art. 193, comma 4 bis prevede inoltre sempre la confisca amministrativa del veicolo, intestato al conducente e sprovvisto di copertura assicurativa, quando sia fatto circolare con documenti assicurativi falsi o contraffatti. E' prevista inoltre la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per una anno nei confronti di chi ha falsificato o contraffatto i documenti assicurativi.
Cosa succede al veicolo sottoposto a sequestro ai sensi dell'art. 193 C.d.S.?
In caso di sequestro amministrativo, come sopra evidenziato, il veicolo deve essere affidato in custodia al proprietario, al trasgressore o a persona scelta dal proprietario a condizione che l'affidatario abbia un luogo idoneo dove tenerlo. Per luogo idoneo si intende un luogo non sottoposto a pubblico passaggio. L'affidatario del veicolo, nel caso venga scelta per la custodia un'officina privata, si assume gli obblighi del pagamento delle spese di trasporto e custodia del veicolo.
In caso di rifiuto di trasportare o custodire il veicolo a proprie spese, l'organo di polizia provvede a dare avviso scritto che decorsi 10 giorni la mancata assunzione della custodia del veicolo determinerà la perdita della proprietà del veicolo ( Art. 213, 2 quater del Codice della Strada.) .
Il rifiuto comporterà l'immediata sospensione della patente di guida per un mese e l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
Cosa fare in caso di sequestro operato ai sensi dell'art. 193 C.d.S.
Dissequestro
Il dissequestro del veicolo deve essere richiesto dal trasgressore (intestatario del verbale di contestazione) oppure dal proprietario del veicolo.
L'istanza va formulata, in caso di sequestro conseguente alla violazione dell'art.193 del C.d.S., al comando che ha disposto il sequestro e può essere presentata solo dopo aver effettuato i seguenti pagamenti:
pagamento della sanzione indicata dal verbale di contestazione (sanzione in misura ridotta); se il rinnovo della polizza assicurativa (vedi punto seguente) viene effettuato entro trenta giorni dalla scadenza, la sanzione è ridotta ad un quarto. Inoltre, nel caso di pagamento entro cinque giorni dalla contestazione/notifica del verbale la sanzione viene ridotta del 30%* (vedere sotto N.B.).
pagamento del premio assicurativo con periodo di copertura assicurativa di almeno sei mesi
pagamento delle eventuali spese di prelievo, trasporto e custodia del veicolo;
N.B. * Il pagamento con la riduzione del 30 per cento ha effetto estintivo dell'obbligazione pecuniaria solo nel caso in cui, entro il termine di 60 giorni, il trasgressore dimostri di aver stipulato una valida polizza assicurativa. In caso contrario, invece, poiché il veicolo è oggetto di confisca amministrativa, la sanzione pagata con la riduzione non ha effetto sull'estinzione dell'obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria. In tale ipotesi, la somma pagata è trattenuta a titolo di acconto. Il restante ammontare verrà recuperato con le ordinarie procedure di riscossione coattiva.
Demolizione
Entro trenta giorni dalla data di contestazione/notificazione del verbale è prevista la riduzione ad un quarto della sanzione, qualora il proprietario esprima la volontà e provveda ad avviare a demolizione il veicolo.
L'interessato che decide di rottamare il veicolo sequestrato dovrà farne richiesta al comando che ha riscontrato l'infrazione appunto entro trenta giorni dalla data della contestazione/notifica del verbale . L'interessato, per rottamare il veicolo, dovrà quindi versare una cauzione pari all'importo indicato sul verbale. Ad avvenuta dimostrazione della demolizione certificata a norma di legge, l'organo accertatore restituirà i tre quarti della cauzione e tratterrà solamente un quarto, a titolo di definizione del verbale. La sanzione amministrativa, ridotta ad un quarto, viene ridotta di un ulteriore 30% se pagata entro 5 giorni dalla contestazione e se si procede a quanto indicato ai punti che precedono.
N.B. Le spese di rottamazione e di custodia sono addebitate all'interessato. In caso di demolizione non è richiesto il pagamento del premio assicurativo.
RICORSO
Avverso il verbale di accertamento della violazione può essere presentato ricorso dal conducente o dal proprietario del veicolo, al Prefetto, per il tramite dell'organo accertatore, entro il termine di giorni 60 dalla notifica del verbale medesimo.
In alternativa, è previsto il ricorso, entro il termine di 30 giorni, al Giudice di Pace competente per territorio.
Provvedimenti della Prefettura:
nel caso di accoglimento del ricorso, viene disposta l'archiviazione del verbale ed il conseguente dissequestro del veicolo. Nelle ipotesi di rigetto del ricorso, con ordinanza ingiunzione si ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale, da effettuarsi entro trenta giorni dalla notifica sotto pena della promozione della procedura esecutiva e della confisca del veicolo sottoposto a sequestro.
N.B. Qualora nei termini previsti il proprietario o uno dei soggetti indicati nell'art. 196 del C.d.S., non si avvalga delle suddette possibilità ovvero non proponga ricorso, secondo le modalità indicate nel verbale di contestazione, il verbale di contestazione stesso costituirà TITOLO ESECUTIVO ai sensi dell'art. 203/c.3 del C.d.S. ed il veicolo verrà CONFISCATO ai sensi dell'art. 213 della stessa legge.
Rateizzazione
La normativa vigente (art. 202 bis C.d.S.) ammette la rateizzazione della sanzione a beneficio di soggetti che versino in condizioni di disagio economico, a condizione che l'importo complessivo delle sanzioni indicate nello stesso verbale sia superiore a 200 euro. L'Ufficio Territoriale del Governo-Prefettura può concedere il pagamento rateale di una sanzione solo nel caso si tratti di una violazione accertata dalla Polizia Stradale, dall'Arma dei Carabinieri, o da altro organo statale (pertanto non per violazioni accertate da funzionari, ufficiali agenti delle Regioni, delle Province o dei Comuni, in relazione alle quali occorrerà rivolgersi rispettivamente al Presidente della Giunta Regionale, Provinciale o al Sindaco).
Limiti di reddito
Non può venir concessa la rateazione in caso di reddito familiare imponibile ai fini IRPEF, secondo l'ultima dichiarazione, superiore all'importo di 10.628,16 euro, elevato di 1.032,91 euro per ogni familiare convivente con l'interessato.
L'interessato deve documentare la propria situazione reddituale familiare compilando in ogni sua parte l'istanza di rateazione (vedi modulistica in basso).
Termini per la presentazione dell'istanza e possibili esiti
L'istanza di rateazione (vedi modulistica in basso) deve essere presentata in carta semplice , a mani o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, entro 30 giorni dalla contestazione o notificazione, e vale come rinuncia al ricorso al Prefetto o al Giudice di Pace .
Se si tratta di più verbali, occorre compilare distinte istanze di rateazione.
Entro novanta giorni dalla presentazione dell'istanza è adottato il provvedimento di accoglimento o di rigetto. Decorso tale termine, l'istanza si intende respinta.
Qualora la rateazione venga concessa, vengono applicati gli interessi stabiliti dalla legge.
Sulla base delle condizioni economiche del richiedente e dell'entità della somma da pagare, può disporsi la ripartizione del pagamento:
fino ad un massimo di dodici rate se l'importo dovuto non supera euro 2.000;
fino ad un massimo di ventiquattro rate se l'importo dovuto non supera euro 5.000;
fino ad un massimo di sessanta rate se l'importo dovuto supera euro 5.000;
L'importo di ciascuna rata non può comunque essere inferiore a 100 euro.
In ogni caso, il dissequestro del veicolo segue al completo integrale pagamento del dovuto (ultima rata compresa) da documentarsi unitamente alla prova dell'avvenuta copertura assicurativa per almeno sei mesi e da esibire al comando che ha eseguito l'accertamento.
In caso di violazioni amministrative per le quali non è ammesso il pagamento in misura ridotta, è inoltre possibile richiedere la rateazione della sanzione dovuta ai sensi dell'art. 26 della Legge 24 novembre 1981, n. 689
TARIFFE PER RECUPERO E CUSTODIA DEL VEICOLO SOTTOPOSTO A FERMO O SEQUESTRO AMMINISTRATIVO
Si riportano di seguito le tariffe di recupero e custodia del veicolo sottoposto a fermo o sequestro amministrativo a carico dell'interessato e da pagare al termine del periodo di fermo amministrativo (se dovute) o in seguito a cambio di custodia (da custodia presso il custode-acquirente a custodia presso l'interessato).
Tariffe previste per il recupero e la custodia dei veicoli
Le tariffe previste per il recupero e custodia dei veicoli sono le seguenti:
TABELLA A
Veicoli di massa complessiva fino a 1,5 tonnellate : orario diurno 06.00 - 22.00; orario notturno 22.00 - 06.00; festivo 00.01 - 24.00. Diritto di chiamata € 11,61 diurno; € 15,08 notturno o festivo. Operazioni connesse al carico ed allo scarico del veicolo € 17,40 diurno; € 22,62 notturno o festivo. Indennità chilometrica (dal luogo di stazionamento del veicolo adibito al recupero al luogo di intervento e, quindi, al luogo di deposito) € 2,50 diurno; € 3,25 notturno o festivo.
Tariffa massima giornaliera per la custodia € 3,00.
TABELLA B
Veicoli di massa complessiva oltre 1,5 tonnellate e fino a 3,5 tonnellate : orario diurno 06.00 - 22.00; orario notturno 22.00 - 06.00 e festivo 00.01 - 24.00. Diritto di chiamata € 14,50 diurno; € 18,85 notturno o festivo. Operazioni connesse al carico ed allo scarico del veicolo € 29,00 diurno; € 37,70 notturno e festivo. Indennità chilometrica (dal luogo di stazionamento del veicolo adibito al recupero al luogo di intervento e, quindi, al luogo di deposito) € 2,90 diurno; € 3,77 notturno e festivo.
Tariffa massima giornaliera per la custodia € 5,00.
Per i veicoli di massa complessiva superiore a 3,5 tonnellate si applicheranno le stesse tariffe della TABELLA B aumentate del 10% per ogni tonnellata, o frazione di tonnellata, superiore al valore di 3,5 tonnellate della massa complessiva del veicolo da prelevare-trasportare.
Ai fini dell'applicazione delle tariffe di recupero, per massa si intende la massa complessiva a pieno carico mentre per le tariffe relative alla custodia, per massa si intende la massa a vuoto.
Per il recupero dei ciclomotori e dei motoveicoli si applicano le tariffe previste per i veicoli fino a 1,5 tonnellate, mentre per la loro custodia le medesime sono ridotte al 50 per cento.
Le tariffe di custodia sono ridotte di un terzo a partire dal sessantesimo giorno di custodia.
Le tariffe previste per il recupero dei veicoli (diritto di chiamata, operazioni connesse al carico ed allo scarico del veicolo, indennità chilometrica) non sono soggette a ribasso.
Come richiedere il dissequestro del proprio veicolo. Storia di Andrea Proietti su Automobili10.it il 28 giugno 2023.
Tornare in possesso del proprio veicolo sottoposto a sequestro non è così difficile. Ci sono delle procedure da rispettare, come la presentazione di una documentazione specifica. In caso tutto sia in regola nel giro di poco tempo tornerete in possesso del vostro mezzo. Si può fare ricorso al Prefetto nel caso in cui si contestasse la sanzione del dissequestro che sarà prima di tutto economica.
Richiedere il dissequestro della propria vettura è un’operazione abbastanza facile. A volte è più difficile superare lo choc di tornare alla vettura e non trovarla più nel posto in cui la si era lasciata che ottenerla di nuovo indietro.
Diciamoci la verità. A moltissime persone è capitato di incappare in qualche violazione del Codice della Strada che ha portato al sequestro del mezzo o anche della carta di circolazione. Gli esempi non mancano: limite di velocità, eccessivi livelli di alcool presente nel sangue, mancanza dell’assicurazione così come della regolare revisione.
Il sequestro del mezzo, tra l’altro, è una sanzione accessoria a quella pecuniaria. Questo significa come facilmente immaginabile che per l’infrazione commessa ci sia stata anche una multa in denaro da dover pagare.
Insomma, oltre al danno, la beffa come si suol dire. Una maggiore attenzione al rispetto del Codice della Strada eviterà brutte sorprese in questo senso.
Prima del ritiro effettivo bisognerà provvedere al pagamento della multa di cui sopra, in soluzione unica o anche con la rateizzazione. Dovrà inoltre essere trascorso totalmente l’intero periodo di sequestro, anche se si paga subito la multa.
Se invece si ritiene che la sanzione sia eccessiva rispetto all’entità dell’infrazione si potrà fare ricorso al Prefetto della Repubblica al fine di accertare i fatti. Lo stesso dovrà essere presentato entro 60 giorni mentre il Prefetto ne avrà 90 emettere il provvedimento finale.
Una volta rispettate queste procedure si potrà procedere al dissequestro che sarà disposto dalla stessa istituzione che in precedenza aveva disposto il fermo: Polizia, Carabinieri, Polizia Municipale e così via. Si dovrà presentare una specifica domanda negli uffici preposti, in allegato le copie dei documenti della vettura con il pagamento della sanzione (con le rate sarà necessario presentare le ricevute).
L’organo competente accerterà la validità del tutto per il dissequestro che, in caso positivo, avverrà immediatamente. Se volessimo prendere un esempio specifico: se il sequestro avverrà per la mancanza dell’assicurazione allora bisognerà attestarne la riattivazione. Il tutto entro 30 giorni, in questo caso si potrà godere anche del 25% della sanzione pecuniaria.
Rispettare il Codice della Strada è l’assoluto obbligo per tutti. Tuttavia, con la giusta calma e rispettando i punti appena elencati si potrà tornare in possesso del proprio mezzo in maniera facile e veloce. Probabilmente però dopo aver pagato le varie sanzioni la prossima volta presterete maggiore attenzione a cosa si può fare o cosa non si può fare.
Martedì 28 marzo 2023 arriva la notifica della Sanzione amministrativa: 75 euro di sanzione ridotta da pagare, però, entro 5 giorni, a pena di aumento.
Giovedì 30 marzo 2023 si presenta il Ricorso in autotutela.
Venerdì 31 marzo 2023 si riceve risposta.
POSTA CERTIFICATA: RICHIESTA ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA VERBALE N. Z6257100 – DATA 15.03.2023 – N. RIF. 51590/2023 A CARICO DI DI VIGGIANO GIOVANNI
ALLEGATI:
Documento principale: Accertamento invalidità Giovanni Di Viggiano. Pdf.
Allegato N. 1: CARTELLINO INVALIDI – DI VIGGIANO GIOVANNI (Cartellino invalidi – Di Viggiano Giovanni pdf)
Allegato N. 2: RICHIESTA ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA VERBALE N. Z6257100 – DATA 15.03.2023 – N. RIF. 51590- 2023 A CARICO DI DI VIGGIANO GIOVANNI (Richiesta annullamento in autotutela verbale n. Z6257100 – data 15.03.2023 – n. rif. 51590- 2023 a carico di Di Viggiano Giovanni.pdf)
Allegato N.3: SANZIONE AMMINISTRATIVA DI DI VIGGIANO Giuseppe (Sanzione amministrativa di Di Viggiano Giuseppe.pdf.
Allegato N. 4: CORPO DEL MESSAGGIO.
Buongiorno, la presente per comunicarvi l’accoglimento della domanda e l’annullamento del verbale.
Cordiali saluti.
Comm. C. Doria
Visto il Dirigente Dr. Donato Zacheo.
L’arrogante ignoranza della Polizia Locale di Taranto sui diritti dei disabili. E la Procura dorme…Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 31 Marzo 2023
Siamo ben lieti di pubblicare questa lettera che conferma ancora una volta l'inadeguatezza ed incompetenza di diversi appartenenti al corpo di Polizia Locale di Taranto. Succede quando i concorsi nelle pubbliche amministrazioni sono "telepilotati" e non prevale il merito e la competenza.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera che contiene l’ennesima “follia” amministrativa del Comando di Polizia Locale di Taranto:
“Al Comandante Matichecchia,
voglio rappresentare alla Sua attenzione quanto inopinatamente accaduto al sottoscritto e cui davvero non si riesce a concepire il modus operandi e la professionalità di chi opera in questo settore come in oggetto indicato.
In data 28.03.2023 ho depositato presso il protocollo del Suo ufficio richiesta di annullamento di una sanzione in quanto priva di fondamento in fatto ed in diritto. Veniva contestato a cura di Kyma Mobilità la mancata apposizione del contrassegno di disabilità sul parabrezza, ebbene facevo presente che in attesa di ricevere detto contrassegno era esposto, ex adverso, il modulo pervenuto indicante il giorno per presentarmi presso l’ufficio competente per il ritiro del contrassegno.
Argomentavo che in data 04.01.2023 era sta presentata domanda e documentazione, dopo averne avuto contezza del diritto al contrassegno, ed indicata la successiva data del 23.03.2023 per il ritiro. In data di ieri venivo raggiunto da una simpatica vigilessa, dell’ufficio contrassegni, laddove mi faceva presente, con dispiacere, che la richiesta di annullamento in autotutela non poteva essere accolta perchè solo la esposizione del contrassegno dava diritto a quanto si richiedeva.
Facevo presente all’incauta vigilessa, non conoscendo il grado della cultura giuridica della medesima, che il diritto , nato dall’esito della visita presso la commissione della ASL , nasceva da quella data e successivamente dal giorno 04.01.2023, giorno di presentazione della domanda…….ricordavo che in diritto esiste il principio “ora per allora”, che tanto era anche annotato sul modulo fattomi pervenire e che avevo necessariamente esposto in attesa della sola formalizzazione della pratica.
La vigilessa insisteva “solo il contrassegno dava il diritto” spiegava alla prefata che per i problemi organizzativi del suo ufficio ( il contrassegno veniva consegnato dopo quasi tre mesi), il diritto sarebbe stato compresso, impedito e si presterebbe ad una valutazione presso la Procura della Repubblica.
Nulla da fare mi inviava una nota a firma di tale Comm. Sup. Calo’ Ferdinando su cui mi esimo di dare un giudizio in quanto ripete pedissequamente il testo del codice della strada ma non da alcuna motivazione plausibile e giuridicamente accettabile in quanto inesistente!!!
Peraltro proprio oggi viene inviata a nome di mia figlia Serena Depasquale (disabile grave con accompagnamento per sclerosi multipla), l’annullamento di una sanzione (che invio in allegato), a firma dell’Ispett.Capo Cigliola Virginia di annullamento in autotutela in una fattispecie del tutto similare ergo le pratiche hanno buon esito o meno in funzione delle conoscenze giuridiche ma anche pratiche e di buon senso di chi le tratta?
Dirmi quando arriva la multa faccia ricorso al Prefetto “tanto siamo sempre noi che trattiamo il ricorso………..” facevo presente alla vigilessa che probabilmente avevano tempo da perdere perchè la cosa andava risolta, rebus sic stantibus, e non inutilmente appesantire le pratiche ed i rapporti poi proprio con chi è portatore di disabilità………….incredibile!!!!!
In ogni caso chiedo che Lei tratti direttamente la “vexata quaestio“ e che possa risolverla nella migliore dei modi. Redazione CdG 1947
Lettera di Myrta Merlino al “Corriere della Sera” il 17 febbraio 2023.
Caro direttore, ti scrivo da cittadina di Roma, prima ancora che da giornalista. Ormai vivere nel centro storico della Capitale (quando ci sono arrivata da Napoli, oltre 20 anni fa, mi sembrava il più straordinario dei privilegi!) vuol dire fare i conti quotidianamente con la legge di Murphy: se qualcosa può andare storto stanne certo che lo farà… Abito a pochi passi dai grandi palazzi della nostra Repubblica, tra il Pantheon e il Parlamento - lo so, starete pensando «e ti lamenti pure!».
Ma posso garantirvi che, tenendo lo sguardo sulla strada, è tutta una gincana tra trappole e problemi. Perché se è vero che la bellezza che ci circonda l’abbiamo ereditata dalla storia, è vero anche che la sciatteria invece è tutta demerito nostro.
No, non voglio parlarvi della munnezza che spunta ovunque, tra gabbiani rapaci e ratti spudorati; del caos degli ingorghi e delle flotte turistiche all’arrembaggio; e neanche dei chilometri che faccio a piedi, con le feci dei miei cani nella bustina, alla ricerca di un cestino ormai destinato a «Chi l’ha visto».
Ma voglio invece condividere con i lettori una piccola vicenda personale che è esemplare dello stato di incuria e disagio nella quale versa la straordinaria città che tanto amiamo.
Venerdì sera tardi, dopo oltre 45 minuti di ricerca forsennata, riesco a parcheggiare l’auto di mio figlio (avendo da anni rinunciato alla mia per le difficoltà di cui sopra) nelle strisce blu riservate ai residenti perché possano parcheggiare tutti. Che sollievo, penso. Per una volta mi è andata bene. Badate bene che un cittadino residente nel centro di Roma da alcuni anni per poter tornare a casa con la propria auto deve pagare un permesso di accesso alla zona a traffico limitato. Sì, avete capito bene: per tornare a casa si deve pagare. Prima non era così. Almeno i residenti avevano un accesso gratuito per la propria autovettura. E sono sicura che pochi di voi sanno che invece un residente in un altro quartiere della città se ha un figlio che frequenta una scuola del centro storico ha un permesso per entrare nella Ztl. E sapete quanto lo paga? Nulla.
Ebbene, domenica e lunedì l’auto resta parcheggiata in piazza del Collegio Romano, correttamente posizionata all’interno delle apposite strisce blu.
Martedì mattina, il mio compagno, che la cerca per prenderla e svolgere alcune commissioni, si trova dinanzi una inaspettata sorpresa: l’auto è stata rimossa, la piazza è completamente chiusa e transennata per le riprese di un set cinematografico. Roma caput mundi. Il cinema reclama i suoi scorci da sogno e a noi semplici cittadini, colpevoli di non aver vigilato quotidianamente se le strisce blu avessero d’improvviso cambiato colore, non resta che metterci in contatto con il numero verde (auguri!) per cercare di conoscere il nostro destino.
In soldoni, tocca a nostre spese recuperarla al deposito, a decine di chilometri da casa, anche fuori dal Raccordo anulare, pagare l’ammenda, gestire la difficoltà e andare per tentativi. La cifra da pagare è salata: per lo stallo arriva a oltre 200€ (203 € nel nostro caso per un deposito in zona Corviale) alla quale si aggiunge una multa, nonché la logistica per il recupero, taxi compreso. E tutto questo per aver parcheggiato regolarmente, dopo una lunga ricerca, proprio su quelle strisce blu che sono poche e vanno a ruba e per le quali paghiamo centinaia di euro all’anno come titolari di permesso per l’ingresso nella Ztl. Cose piccole, si penserà.
Ci vogliamo lagnare? Ebbene sì, perché l’amaro che resta in bocca sa di vessazione arbitraria. Piccole vessazioni quotidiane che però accomunano nella rabbia milioni di residenti: trasporti pubblici inadeguati, cantieri perennemente aperti, buche assassine, eventi gestiti a danno di chi lavora in città, assenza di regole e di indicazioni. Siamo la Capitale, la città più ambita, la meta e il sogno di tutto il mondo. Eppure, scontiamo la sorte di tanta meraviglia per la sola colpa di viverci dentro. Ognuno ha la sua pena. Questa volta è toccata a me. Ma questa volta non sto zitta. Fatelo anche voi….
Ricorso in autotutela inviato il giorno 15/10/2022: Lettera morta.
ECC.MO PREFETTO DI COSENZA
RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA
Ai sensi dell’art. 203 Codice della Strada
(D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285)
PER RICORRENTE GIANGRANDE ANTONIO nato ad Avetrana (Ta) il 02/06/1963 e residente ad Avetrana in Via A. Manzoni, 51, in proprio. C.F: GNGNTN63H02A514Q Tel. 3289163996 giangrande.antonio@alice.it
CONTRO RESISTENTE COMUNE DI ROSETO CAPO SPULICO, in persona del Sindaco pro tempore, per quest’atto domiciliato presso la sede del Comando di Polizia Locale sito in Roseto Capo Spulico, via G.B. Trebisacce snc..
* * *
Oggetto: Ricorso in opposizione al verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022
Protocollo 00002704/A/22
Cronologico 0027030221502703
del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO,
consegnato per la spedizione con raccomandata n. 787200279345 il 22/09/2022
notificato in data 27/09/2022
per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento e in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
Contestazione: in presenza di limite di velocità di 90 km ora, si procedeva a 96 km ora, effettiva 91 km ora (96 meno la riduzione del 5%, minimo 5 km, vedi l’art 1, dm 29 ottobre 1997 ai sensi dell’art. 345 comma 2, DPR 16/12/1992 n. 495, mod. dall’art. 197 DPR 16/06/1996 n. 610)
PREMESSO CHE LA SANZIONE IN FATTO
E’ INOPPORTUNA, IRRAGGIONEVOLE E FISCALE. La velocità contestata è di 1 km in più di quello consentito. Si procedeva a 96 km ora, meno il 5%, minimo 5 km di riduzione, 91 km ora. Consentito 90 chilometri. L’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3698/2019 che non ammette giustificazioni è derogabile per inopportunità in presenza di uno stato di necessità.
E’ ANNULLABILE PER STATO DI NECESSITA’ E FORZA MAGGIORE ai sensi della sentenza n. 7198/2016 della Corte di Cassazione. Si procedeva a quella velocità per stato di necessità e forza maggiore, perché costretti ad inseguire l’auto dei carabinieri di Avetrana incaricati dell’accompagnamento coattivo del ricorrente per una testimonianza presso il Tribunale di Palmi, a pena di sanzioni penali.
PREMESSO CHE LA SANZIONE IN DIRITTO
E’ ANNULLABILE PERCHE’ NULLA ED ILLEGITTIMA PER TARDIVITA’.
L’infrazione è avvenuta il 13/06/2022.
Come in calce da verbale di contestazione e nota delle poste italiane:
La consegna per la spedizione del verbale di violazione alle Poste Italiane è avvenuta il 22/09/2022.
La consegna in mano dell’obbligato al pagamento della sanzione è avvenuta il 27/09/2022.
Il ritardo e di ben 9 giorni oltre i 90 giorni di notifica, senza tener conto che luglio ed agosto hanno 31 giorni: infrazione il 13 giugno; spedizione del verbale il 22 settembre.
La notifica quindi è nulla, perché tardiva, e nulla si deve all’organo contestatore a mo’ di sanzione. Dal momento in cui l’infrazione è stata commessa al momento in cui la notifica viene recapitata all’indirizzo di residenza dell’automobilista possono passare al massimo 90 giorni, così come disposto dall’articolo 201 del Codice della strada. Il periodo di 90 giorni durante i quali la notifica deve essere consegnata decorre dal momento in cui l’infrazione è stata commessa e non da quando è stata accertata. Può sembrare una sottigliezza linguistica ma non lo è, considerando che la questione è stata affrontata dalla Corte di cassazione la quale, con la sentenza 7066/2018, Corte di Cassazione Civile sez. VI, ord. 21 marzo 2018, n. 7066, che ha definitivamente chiarito che i 90 giorni decorrono dal momento in cui l’infrazione è stata rivelata e non accertata.
Tutto ciò premesso e considerato, il sottoscritto ricorrente
CHIEDE
Voglia l’Ecc.mo Prefetto adito, contrariis reiectis:
Dichiarare l’annullamento del verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022
Protocollo 00002704/A/22
Cronologico 0027030221502703
del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO, consegnato per la spedizione il 22/09/2022 e notificato in data 27/09/2022 per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
In subordine in caso di rigetto del ricorso, disporre il mantenimento della sanzione al minimo edittale, in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
In ogni caso, ordinare la sospensione provvisoria degli effetti della sanzione amministrativa in modo che, in attesa della conclusione del procedimento, l’amministrazione che l’ha emessa non possa pretendere il pagamento né possa chiederne la riscossione forzata facendo intervenire l’Agenzia delle entrate-riscossioni. E data la oggettiva nullità del verbale, per omissione o abuso, l’amministrazione intimante possa incorrere in una violazione penale.
Si producono i seguenti documenti in copia:
Copia del ricorso firmato 3 pagg.
Verbale di violazione del C.d.S: 2 pagg.
Intimazione di testimonianza coattiva.
Nota delle Poste Italiane.
Documento di identità
Con osservanza. Avetrana, lì
Firma del ricorrente _________________
Si prega di inviare qualsiasi comunicazione relativa al presente procedimento ai seguenti recapiti:
Via A. Manzoni 51 Avetrana Ta.
Ricevuta di accettazione
Il giorno 15/10/2022 alle ore 14:38:22 (+0200) il messaggio
"Ricorso in opposizione a sanzione amministrativa" proveniente da "giangrande.antonio@postecert.it"
ed indirizzato a:
vigile.comunerosetocs@asmepec.it
("posta certificata")
è stato accettato dal sistema ed inoltrato.
Ricevuta di avvenuta consegna
Il giorno 15/10/2022 alle ore 14:32:10 (+0200) il messaggio
"Ricorso in opposizione a sanzione amministrativa" proveniente da "giangrande.antonio@postecert.it"
ed indirizzato a "cds.comunerosetocs@asmepec.it"
è stato consegnato nella casella di destinazione.
Identificativo messaggio: 488EE897.006C2D28.DBA154FB.50C6E01F.posta-certificata@postecert.itRicevuta di accettazione
Il giorno 15/10/2022 alle ore 14:43:33 (+0200) il messaggio
"Ricorso in opposizione a sanzione amministrativa" proveniente da "giangrande.antonio@postecert.it"
ed indirizzato a:
protocollo.prefcs@pec.interno.it
("posta certificata")
è stato accettato dal sistema ed inoltrato.
Identificativo messaggio: 488FF7FE.006C25CB.DBABCE85.D3ACCF32.posta-certificata@postecert.it
Le auto più rubate in Italia: la classifica. Tommaso Giacomelli il 5 Luglio 2023 su Il Giornale.
In Italia aumentano sensibilmente i casi di furto d'auto. Le macchine rubate nel corso del 2022 sono state moltissime, la più bersagliata è la Fiat Panda
Tabella dei contenuti
Le auto più rubate in Italia
Le regioni maglia nera
I dati sono sconcertanti. In Italia nel 2022 c'è stata un'ondata di furti auto come non si vedeva da tempo, infatti - come riportato dal dossier di LoJack Italia - sono state oltre 123.000 le vetture rubate lungo lo Stivale, che equivalgono a un incremento del 18% rispetto al 2021. Tutte le categorie di veicoli sono stati coinvolte, dalle utilitarie alle berline, passando per SUV e crossover. A far sì che lo scenario risulti ancora più preoccupante è il tasso di recupero che resta fermo al 40%, a dimostrazione di come l'attività criminale operante in questo settore sia una centrale di smercio e/o di smontaggio dei veicoli sottratti e, di pari passo, la lotta tra forze dell’ordine e la criminalità sia una battaglia che si snoda sul tempo che trascorre tra l’episodio e la denuncia, e sulla tecnologia dei dispositivi a bordo del veicolo, così come su quella utilizzata dai ladri. Sono stati 73.465 veicoli i veicoli spariti nel nulla lo scorso anno.
“Il business dei furti è tornato a farsi sentire in modo deciso nel nostro Paese”, ha osservato Massimo Ghenzer, Presidente di LoJack Italia, “Non assistevamo a un tasso di crescita così significativo, anno su anno, da molto tempo. Lo scorso anno 73.465 veicoli sono spariti nel nulla. Due curiosità: secondo nostre stime, i ladri d’auto si muovono principalmente di notte (nel 65% dei casi), quasi sempre nei giorni lavorativi della settimana (nel 90% dei casi); non è vero che a essere rubate sono soprattutto le auto appena comprate. Le vetture mantengono un appeal per i ladri praticamente inalterato nei primi 3-4 anni, per poi iniziare a scendere sensibilmente dal 5 anno in poi. Per evitare di restare vittima della seconda violazione più temuta dagli italiani (dopo il furto in casa), soprattutto in alcune aree del Paese è necessario tutelarsi dotandosi di dispositivi hi-tech in grado di garantire maggiori chance di rilevamento e recupero dell’auto dopo il furto. Solo un intervento rapido ed efficace può ridurre le possibilità che del veicolo si perdano le tracce per sempre. Grazie alla nostra tecnologia e a un team di esperti che supporta sul campo le Forze dell’Ordine nella ricerca oggi possiamo contare su percentuali di recupero doppie rispetto a quelle del mercato. I veicoli equipaggiati con LoJack vengono ritrovati in 8 casi su 10, il doppio della media nazionale di recupero”.
Le auto più rubate in Italia
Auto di grande diffusione, di trasversale popolarità lungo le strade del Paese. Non deve stupire che nei primi posti di questa poco lusinghiera classifica ci siano le vetture più vendute in Italia nel corso degli ultimi anni. Di seguito vi segnaliamo le più rubate del 2022:
Fiat Panda (11.942 sottrazioni)
Fiat 500 (8.698)
Fiat Punto (5.444)
Lancia Ypsilon (3.918)
Alfa Romeo Giulietta (1.658)
Volkswagen Golf (1.427)
Smart ForTwo (1.408)
Renault Clio (1.388)
Ford Fiesta (1.157)
Opel Corsa (910)
Nella categoria SUV spiccano Nissan Qashqai, Land Rover Evoque, Hyundai Tucson e Toyota RAV4. I ladri dopo la sottrazione indebita, instradano questi mezzi lungo le redditizie rotte dell‘Est Europa o del Nord Africa dove vengono rivenduti.
Le regioni maglia nera
L’incremento dei furti di autoveicoli è distribuito quasi omogeneamente su tutta la Penisola, anche se alcune aree sono oltre la soglia di guardia. Il primato negativo va alla Campania, con 24.000 furti, seguita dal Lazio con 15.000 episodi. In crescita anche la performance della Puglia (+17%), che con 14.951 siede al terzo gradino del podio. Quarto posto per la Sicilia (12.638 casi e +37% sull’anno precedente) e quinto per la Lombardia (8.508).
In queste cinque Regioni si verificano 75mila furti complessivi. La Puglia si rivela un caso particolare perché, nelle sue campagne, ospita un significativo e imprecisato numero di centrali di smontaggio di vetture rubate in grado, nel giro di una notte, di cannibalizzare una vettura e renderla quindi introvabile alle Forze dell’Ordine. Il Lazio è, invece, la zona in cui gli autoveicoli, una volta sottratti, fanno più difficilmente ritorno a casa: meno di 1 su 3 (il 32%).
Estratto dell'articolo di Massimo Basile per repubblica.it il 3 Febbraio 2023.
[…] I vecchi modelli Kia e Hyundai sono così facili da rubare negli Stati Uniti che i due giganti sudcoreani hanno offerto kit a prezzi stracciati per limitare i danni, mentre le compagnie assicuratrici non sono più disposte a concedere polizze.
Secondo i dati pubblicati dalla Highway Loss Data Institute[…] i vecchi modelli prodotti dalle due compagnie sudcoreane hanno il doppio delle possibilità di essere rubate rispetto alle altre marche. Due grossi gruppi assicurativi hanno confermato alla Cnn che non copriranno la polizza furto. […] I modelli ambiti dai ladri ma non dagli assicuratori sono quelli prodotti tra il 2015 e i 2019, che non hanno sistemi elettronici antifurto, tipo il blocco automatico dell'accensione del motore.
Probabilmente nessuno avrebbe notato questa mancanza, se non ci fossero stati i 'Kia Boys', diventati virali su TikTok nel 2021, cioè una serie di giovani, con il viso coperto, che si facevano riprendere mentre forzavano la serratura di una Kia e la mettevano in moto, scappando. I furti, spesso, servono per poi fare una rapina. Le auto vengono abbandonate. Per azionare il motore basta un 'flash drive' o una chiave Usb. […]
A Los Angeles, California, i furti sono aumentati dell'85 per cento. A St. Louis, Missouri, addirittura del 1450 per cento. A Milwaukee su più di diecimila auto rubate nel 2021, il 66 per cento erano Hyundai e Kia. Le due compagnie sorelle hanno avviato una class action nei confronti della piattaforma social cinese, ma i dati tecnici sono impietosi: nelle auto di altre marche prodotte nel 2015 il blocco elettronico è stato installato nel 96 per cento dei modelli. Nei veicoli Hyundai e Kia solo nel 26 per cento. […]
Estratto da larena.it su Il Corriere della Sera lunedì 11 settembre 2023.
Procurava "patenti facili" in cambio di denaro, alterando il corretto iter degli esami di teoria per il conseguimento della patente di guida, attraverso l'utilizzo di apparecchiature elettroniche celate sotto i vestiti, con cui i candidati ricevevano suggerimenti dall’esterno alle domande d'esame. Un'organizzazione dedita a questo tipo di truffa è finita nella rete della Polizia di Brescia.
La Stradale di Brescia, coordinata dalla Procura della Repubblica di Brescia, ha eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare, una in carcere e tre agli arresti domiciliari emesse dal Gip di Brescia, oltre perquisizioni e sequestri a carico dei componenti l'organizzazione criminale. […]
A finire in carcere il presunto capo dell'organizzazione, che era riuscito a creare una serie di contatti soprattutto all'interno di comunità straniere, ma anche tra italiani e ha coordinato i suoi collaboratori che materialmente effettuavano il montaggio delle apparecchiature, sui candidati provenienti da tutto il territorio nazionale.
[…] Durante l'attività sarebbe stato accertato che i candidati pagavano all'organizzazione fino a 3.000 euro per avere “l'aiuto” all'esame di teoria per la patente di categoria B mentre per il conseguimento della patente C e della patente professionale CQC l'organizzazione chiedeva 5.000 euro per ciascuna, ragion per cui il candidato poteva arrivare a sborsare anche 10.000 euro. […]
Patente di guida, come farla da privatista e quanto costa. La patenta di guida B può essere ottenuta anche seguendo un percorso alternativo a quello canonico. Farla da privatista è semplice e riduce i costi, anche se può allungare i tempi necessari a conseguirla. Giuditta Mosca il 30 Gennaio 2023 su Il Giornale.
In Italia le patenti B emesse sono circa 36 milioni e costituiscono il 92% di tutti i permessi di guida (dati 2020).
Normalmente, per prendere la patente di guida, ci si rivolge a un’autoscuola e si segue tutto l’iter canonico il quale è certamente comodo e lineare ma può avere costi di rilievo.
La soluzione alternativa, ovvero quella di prepararsi da privatista, permette di studiare in modo indipendente e sopportare costi minori per accedere alle prove di teoria e di pratica. Mentre seguire i corsi presso un'autoscuola impone un ritmo preciso, i privatisti possono incorrere nel rischio di diluire un po' i tempi. Determinazione e auto disciplina hanno quindi un peso specifico.
La patente da privatista
La prima cosa da fare è rivolgersi alla Motorizzazione, presentando tutta la documentazione di rito, ovvero:
Codice fiscale
Documento di identità e, per gli extracomunitari, anche il permesso di soggiorno. Occorre esibire gli originali e depositarne una fotocopia
Due foto formato tessera
Certificato medico emesso al massimo tre mesi prima del momento in cui viene depositato. Anche in questo caso occorre presentare l’originale e depositarne una fotocopia
Modulo TT2112 opportunamente compilato. Questo documento, prelevabile qui, è la richiesta di conseguimento della patente.
Dal momento in cui i documenti sono stati depositati si hanno a disposizione sei mesi di tempo per fare l’esame teorico il quale, a partire dal mese di dicembre del 2021, ha subito alcune modifiche.
L’esame teorico
L’esame dura al massimo 20 minuti, durante i quali occorre rispondere con “vero” o “falso” a 30 quesiti compiendo al massimo tre errori. Il quarto errore coincide con una bocciatura.
Si tratta del medesimo test somministrato a chi consegue la patente seguendo il percorso canonico ma, al posto di avere luogo presso un’autoscuola, si tiene presso la sede o un distaccamento della Motorizzazione civile.
Superato l’esame si ottiene il foglio rosa per cominciare la preparazione pratica alla guida.
L’esame pratico
La preparazione prevede almeno sei ore di guida svolte con un istruttore di una scuola guida il quale rilascerà un attestato di frequenza. Le sei ore devono essere svolte in modo particolareggiato:
due ore di guida su strade urbane o extraurbane
due ore di guida in autostrada
due ore di guida in condizione di visione notturna.
Il resto della preparazione necessaria può essere effettuato con qualsiasi altra persona purché:
Non abbia compiuto i 65 anni di età
Abbia la patente B da almeno 10 anni
Si tratta di regole stabilite dal decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti del 20 aprile 2012.
L’esame pratico può essere sostenuto prenotandone la data presso la Motorizzazione e, come del resto per il test teorico, è sostanzialmente identico a quello che deve superare chi ha seguito un percorso di preparazione classico.
Tra il test teorico e l’esame pratico possono trascorrere al massimo sei mesi.
Quanto costa conseguire la patente da privatista
Il costo totale è di circa 400 euro, si tratta di una stima perché alcune voci di spesa possono variare. Nel dettaglio, occorre pagare:
26,40 euro per l’iscrizione (da versare sul conto corrente postale numero 9001)
32 euro per gli esami (ovvero 16 euro per quello teorico e 16 per quello pratico)
240 euro (stima) per le sei ore di guida con un istruttore abilitato
Ticket per la visita presso un medico abilitato (il costo varia in base alla Regione)
30 euro (stima) per il certificato medico, importo che può variare a seconda delle richieste del professionista
16 euro per la marca da bollo da applicare al certificato rilasciato dal medico
Il percorso tradizionale svolto presso un’auto scuola ha un costo più alto e può superare anche il doppio della cifra sborsata da un privatista.
Il sorpasso. Perché in Italia ci sono così tante automobili per persona. Gianni Balduzzi su L’Inkiesta il 18 Gennaio 2023.
Nella classifica per densità di auto il nostro Paese è da sempre ai primi posti a causa della distribuzione della popolazione nelle città e della carenza di mezzi pubblici
L’Italia è un Paese di santi, navigatori, poeti e automobilisti. Almeno stando alle classifiche sul possesso di auto, che vedono il nostro Paese nelle prime posizioni, dietro solo al Lussemburgo. Secondo i dati più recenti qui vi sono 670 veicoli ogni 1000 abitanti, in rialzo rispetto ai 619 del 2010, i 572 del 2000, i 483 del 1990. A contenderci il primato oggi è la Polonia, con 664, mentre in passato erano stati gli svedesi e i tedeschi. Mentre agli ultimi posti per numero di vetture in circolazione ci sono i rumeni, tra i più poveri dell’Est Europa.
Tuttavia, come la posizione della Polonia rende evidente, le ragioni di questi numeri non sono solo economiche, vi sono anche motivi geografici e sociali. L’Italia presenta una distribuzione della popolazione piuttosto decentrata, non abbiamo megalopoli come Londra e Parigi che da sole, contando i sobborghi, contengono il 20 per cento degli abitanti di tutto il Paese.
Il 46,7 per cento degli italiani vive in comuni con meno di ventimila abitanti. È un dato che spesso molti dimenticano, non da ultimo, per esempio, gli analisti politici, quando tendono a leggere i trend dall’andamento delle elezioni dei capoluoghi e delle grandi città. A essere multicentrica è anche la Germania, dove tra l’altro il reddito disponibile è più alto e la cultura automobilistica certo non manca.
Il primato italiano si può spiegare anche con la cultura più individualistica nel nostro Paese, o forse ad avere un peso decisivo è la carenza di mezzi pubblici. L’incapacità di Governo centrale, regioni e comuni di stare al passo con l’aumento della domanda di mobilità viene supplita dalle auto. Anche così si comprende come nella classifica per densità di automobili a scendere nel tempo siano stati Paesi del Nord come Svezia (dal quarto posto del 1990 al 21esimo del 2020) e Paesi Bassi (dal decimo al 20esimo), o anche la Spagna e la Francia, seppur in modo meno vistoso.
Al contrario, ha scalato le posizioni la Polonia, dove non si è ancora diffusa una cultura dell’uso del bus, del tram, della metropolitana analoga a quella di altre aree europee.
Di fronte a questi dati appare poco credibile lamentare una sorta di guerra alle auto, come sostengono alcuni riferendosi a nuovi provvedimenti per limitare il traffico su ruota e incentivare l’utilizzo di mezzi più puliti. Da ultimi, quelli sul limite di 30 km all’ora, che il Comune di Milano introdurrà dal 2024 e che già esiste in altre città, come Londra e Barcellona.
In nessun altro angolo d’Europa si muore come da noi proprio sulle strade urbane. Sono state 1.331 le vittime nel 2019, prima del Covid. Naturalmente se il calcolo fosse effettuato in proporzione agli abitanti risulterebbero ai primi posti alcuni Paesi dell’Est, ma certamente continueremmo a superare, e non di poco, i nostri vicini occidentali, come i francesi, i tedeschi, gli spagnoli, ecc.
Per fortuna nel tempo i decessi per incidente sono calati, grazie a migliori misure di sicurezza e al progresso della medicina. L’Italia continua a primeggiare nel numero di vittime sulle arterie cittadine, al contrario di quanto è accaduto per i morti sulle altre strade, dove siamo superati da Francia e Germania.
A differenza di quanto accade altrove, per esempio a Est, nel nostro Paese muoiono relativamente pochi pedoni. Questi sono il 16,8 per cento delle vittime di incidente. Sette su dieci, infatti, sono guidatori di auto.
La quota di pedoni tra le vittime dovrebbe essere ancora più bassa, come è in quasi tutta l’Europa Occidentale, visto che gli italiani si muovono a piedi meno di altri, ma in realtà forse è proprio l’intenso utilizzo dell’auto anche in città che uccide chi cammina. Dato rilevante, poi, nel nostro Paese è alta anche la percentuale di ciclisti e, soprattutto, motociclisti, tra le vittime.
Secondo l’Istat più dell’80 per cento dei morti in moto o in bici ha subito uno scontro con un veicolo. E questo ci dimostra due cose. Primo la relazione tra gli italiani e la propria macchina rimane intensissima, quasi morbosa. Anche secondo alcuni siamo di fronte a un ostracismo verso questo mezzo vista la presenza di Zone a traffico limitato o i sacrosanti limiti di velocità. Secondo, è necessario investire per potenziare le reti di mezzi pubblici a livello italiano ed europeo.
Carta di circolazione: a cosa serve, quali dati contiene e come leggerla. Dario Murri l’11 Aprile 2023 su Il Giornale.
Vera e propria “carta d’identità” della nostra auto, questo documento contiene tutto quello che c’è da sapere sul nostro veicolo e ne garantisce la regolarità ai fini del Codice della strada. È importante conoscerlo bene
Tabella dei contenuti
Che cos’è la carta di circolazione e quali dati contiene
Com’è composto il documento. Le voci nel dettaglio
Retro della Carta di circolazione
Differenza fra libretto auto ibrida ed elettrica
Alterazione o contraffazione, ritiro del documento
Cosa fare in caso di smarrimento o furto
Per molti di noi è ancora il vecchio Libretto o Carta di circolazione, anche se sarà gradualmente sostituito dal Documento Unico di circolazione e di proprietà (DU), introdotto nel 2021, e che includerà sia la Carta di Circolazione che il certificato di proprietà del veicolo. Nel frattempo però, è importante conoscere e saper leggere l’attuale versione, regolata da una specifica direttiva europea del 1999, che ne armonizza aspetto e dimensioni in tutta l’Unione, per non trovarsi in difficoltà in nessuna situazione. Scopriamo allora quali informazioni sono riportate nel documento e dove trovarle.
Che cos’è la carta di circolazione e quali dati contiene
La Carta di circolazione è il documento che raccoglie tutte le informazioni di un veicolo e viene rilasciata al momento della sua immatricolazione o reimmatricolazione, insieme con il numero di targa. La Carta conferma l’idoneità del mezzo a circolare su strada, purché contenga tutti i requisiti richiesti dalla Motorizzazione Civile.
Nel documento vengono riportate le informazioni principali della vettura quali marca, modello, anno di immatricolazione, classe di emissione, pneumatici omologati, consumi dichiarati e potenza massima, oltre ai dati anagrafici del proprietario del mezzo. Sul retro, oltre alla legenda dei vari codici, si trovano i trasferimenti di proprietà del veicolo e i risultati delle revisioni. Esaminiamoli voce per voce.
Com’è composto il documento. Le voci nel dettaglio
Leggere la Carta di circolazione può sembrare all’inizio un po’ macchinoso, ma tramite la legenda sul retro, si possono comprendere facilmente le varie voci e a cosa si riferiscono. Il documento è composto da quattro quadranti:
Facciata anteriore, quadrante 1: posizionato in alto a sinistra, riporta i dati che identificano il veicolo e il suo proprietario. La sigla è quella dello Stato membro che ha emesso il documento, a seguire il nome per esteso dello Stato e l’autorità competente. Nella parte inferiore troviamo il numero del libretto di circolazione, mentre in basso è presente il numero d’immatricolazione con un codice alfanumerico, identificativo della registrazione alla Motorizzazione Civile. Andando a scorrere le singole lettere, troviamo alla lettera A la targa del veicolo, alla B la data della prima immatricolazione; per la C, le sigle C 2.1, C 2.2 e C 2.3 sono riservate ai dati che riguardano il proprietario del veicolo, se questo è anche l’intestatario del libretto di circolazione auto; in caso i due soggetti siano differenti, il cognome, il nome e l’indirizzo sono indicati con i codici C.1.1, C.1.2, C.1.3. Il codice C.4 indica se l’intestatario del libretto è anche proprietario della vettura.
Facciata anteriore, quadrante 2: si trova in alto a destra e contiene i dati relativi alla casa costruttrice, al nome del modello, il numero di telaio, la data di immatricolazione, la categoria del veicolo, la massa, il numero di omologazione del modello, i dati inerenti il motore, le emissioni e il colore della carrozzeria. In particolare, alla lettera D troviamo i dati tecnici del veicolo nel dettaglio, come il nome del costruttore (accanto al codice D.1), il tipo di modello, attraverso un codice usato dalla casa costruttrice (accanto al D.2), il nome dell’auto (accanto alla dicitura D.3);
con la lettera E viene indicato il telaio dell’auto (fondamentale, come la targa, per identificare il veicolo in caso di smarrimento delle targhe ed eventuale reimmatricolazione, ma anche per cercare i pezzi di ricambio);
la lettera F indica i limiti di massa trasportabile in diverse condizioni di carico: la massa massima ammissibile a pieno carico (contrassegnata con F.1), la massa massima ammissibile a pieno carico in servizio (in corrispondenza di F.2), la massa massima ammissibile dell’insieme costituito dal veicolo a pieno carico e dal rimorchio, (indicata da F.3); Alla lettera I corrisponde la data di immatricolazione dell’auto;
la lettera J riporta la destinazione d’uso del mezzo (ad esempio autovettura per trasporto di persone – uso proprio), la destinazione d’uso nel dettaglio (alla voce J.1), il tipo di carrozzeria (alla voce J.2);
la lettera K riporta il numero di omologazione del veicolo, indicato con una sigla alfanumerica, la L il numero di assi, la M indica il passo dell’auto espresso in millimetri; per gli autocarri che superano le 3,5 tonnellate è prevista anche la voce N che riporta la massa per ogni asse, mentre alla O troviamo i limiti di massa trasportabile;
proseguendo, la lettera P è riservata al motore: nello specifico, P.1 indica la cilindrata, P.2 esprime la potenza massima in kilowatt, P.3 indica il tipo di alimentazione, P.4 (anche se non sempre presente) esprime il regime di rotazione, P.5 indica il numero di identificazione del motore;
ancora: la lettera Q indica il rapporto potenza/massa (solo per i motocicli), la R il colore della carrozzeria, la S i posti a sedere (S.1) ed eventualmente, in caso si tratti di autobus, anche i posti in piedi di cui dispone il mezzo (S.2); la T sta ad indicare la velocità massima;
alla lettera U viene specificata la rumorosità del motore: U.1 indica il livello espresso in decibel a veicolo fermo, U.2 il regime di rotazione del motore rispetto a cui viene misurato il valore di U.1, U.3 il rumore del veicolo in movimento;
la lettera V riguarda tutte le specifiche relative all’inquinamento, in particolare V.3 per gli ossidi di azoto, V.5 per il particolato nei motori diesel, V.7 per la CO2; V.8 riporta invece il consumo medio di carburante nei test su ciclo misto o combinato (espresso in litri per 100 Km); con V.9 viene indicata la classe ambientale di omologazione CE come Euro 6, Euro 5, Euro 4; sempre in questo quadrante, viene riportata la direttiva europea che regola l’omologazione (ad esempio 2003/76/CE-8 indica un veicolo Euro 4 con dispositivo antiparticolato). La lettera W indica la capacità in litri del serbatoio.
Facciata anteriore, quadrante 3: in basso a sinistra, riporta la casa costruttrice, le dimensioni del veicolo (la lunghezza e la larghezza), il rapporto potenza/tara, il tipo di cambio e le misure dei pneumatici omologati che è possibile montare sul mezzo e, per esteso, la classe di omologazione Euro (con la direttiva antinquinamento che il mezzo rispetta) compresa, eventualmente, quella come veicolo ibrido con alimentazione benzina o diesel, poi la massa a vuoto il limite massimo di peso con il traino di un rimorchio e il consumo di carburante.
Facciata anteriore, quadrante 4: è l’ultimo quadrante, quello inferiore destro: di solito viene lasciato vuoto, se non occorre riportare altri dati.
Retro della Carta di circolazione
La Facciata posteriore riporta, nel primo quadrante, la legenda del libretto di circolazione e di tutte le lettere sopra indicate; nel secondo quadrante i dati relativi alla revisione del veicolo: qui andranno apposti i talloncini adesivi relativi al superamento della revisione periodica del mezzo (dopo 4 anni dall’immatricolazione per i veicoli nuovi, poi con cadenza biennale, ad eccezione dei veicoli adibiti a trasporto persone, come taxi ed autobus, che devono effettuarla ogni anno). I due quadranti inferiori del retro del documento infine sono vuoti per consentire di apporvi i tagliandi relativi ad eventuali passaggi di proprietà o aggiornamenti della residenza.
Differenza fra libretto auto ibrida ed elettrica
L’indicazione dell’omologazione ibrida si trova nel terzo o quarto quadrante del libretto di circolazione, dove sono presenti le informazioni aggiuntive del veicolo. In particolare la classe ambientale di omologazione (ad esempio: Euro 6d-TEMP-EVAP-ISC o Euro 6d-ISC-FCM) ed eventualmente l’omologazione come veicolo ibrido con l’indicazione dell’alimentazione a benzina o diesel.
Per quanto riguarda le auto interamente elettriche, nel quadrante 3, oltre agli altri dati è espressamente indicato il tipo di trazione, la presenza di uno o più motori a seconda della marca, la loro tipologia e dove sono posizionati, il consumo di energia elettrica e l’autonomia.
Naturalmente alcuni dei dati indicati nel libretto di circolazione di una vettura elettrica sono sempre assenti, come ad esempio i punti V, che riportano le emissioni inquinanti, in quanto per le vetture elettriche non ne producono.
Alterazione o contraffazione, ritiro del documento
Caratteristica del libretto è di essere stampato su una carta particolare, in modo da renderne difficile la riproduzione e la contraffazione. A questo proposito è importante tenere presente che ogni modifica apportata al veicolo, o che vada ad alterare i valori riportati sulla Carta di circolazione (che dunque non corrisponderà a quanto dichiarato in fase di immatricolazione), esporrà il proprietario del veicolo, in caso di controllo da parte delle forze dell’ordine, al ritiro del documento stesso. Il veicolo dovrà essere fermato e sarà autorizzato a circolare nuovamente solo in seguito a revisione straordinaria, per poterne verificare conformità e idoneità alla circolazione.
Altri casi in cui è possibile che le forze dell’ordine procedano al ritiro della Carta di circolazione, quelli di revisione scaduta, mancato aggiornamento dei cambi di proprietà o residenza, utilizzo non autorizzato del mezzo (come il trasporto di più persone rispetto al numero di passeggeri per cui l’auto è omologata). Oltre al ritiro della carta di circolazione, verrà comminata una sanzione, da pagare entro i termini stabiliti, conservando la ricevuta di pagamento, necessaria per il ripristino del libretto.
Cosa fare in caso di smarrimento o furto
In caso di furto o smarrimento del libretto di circolazione è obbligatorio procedere con la denuncia agli organi di Polizia per ottenere un duplicato del documento entro 48 ore dallo smarrimento del documento. Al momento della denuncia l’organo di Polizia verifica se il la carta è duplicabile direttamente senza ulteriori richieste da parte dell’utente: in questo caso invia la richiesta di duplicato al al Ministero Infrastrutture e Trasporti e rilascia un permesso provvisorio di circolazione del veicolo; il nuovo documento sarà poi spedito all’indirizzo di residenza dell’intestatario del veicolo con posta assicurata, al costo di 10,20 euro più spese postali da pagare alla consegna.
Se, invece, la carta di circolazione non potrà essere duplicabile direttamente, l’interessato dovrà presentare richiesta di duplicato ad un ufficio della Motorizzazione civile, presentando la domanda su modello TT 2119, effettuare il versamento di 10,20 euro sul c/c 9001 ed allegare la denuncia di smarrimento presentata agli organi di Polizia, un documento di riconoscimento valido e il permesso provvisorio di circolazione rilasciato all’atto della denuncia. Se la Motorizzazione civile non risponde entro i 45 giorni previsti, è possibile rivolgersi al numero verde 800 23 23 23.
In entrambi i casi verrà rilasciato, come detto, un permesso provvisorio, fondamentale per poter circolare con il proprio veicolo. Dal momento del rilascio del permesso provvisorio, la Carta di circolazione identificata nella denuncia non è più valida e qualora venisse ritrovata o restituita, dovrà essere distrutta.
Il passaggio di proprietà dei veicoli usati avviene tramite una procedura specifica e un costo variabile che può anche raggiungere cifre di un certo rispetto. Ecco cosa sapere. Giuditta Mosca il 29 Dicembre 2022 su Il Giornale.
Non ci sono soltanto i concessionari a gestire la vendita di veicoli usati, pratica diffusa anche tra privati i quali, a differenza dei professionisti che sanno quali pratiche sbrigare, devono provvedere per conto proprio.
Se la procedura è univoca, i costi del passaggio di proprietà di veicoli sono composti da spese fisse e da spese variabili. Oltre alla tassa applicata dall’Automobile club d’Italia (Aci), all’Imposta di bollo e ai diritti della Motorizzazione civile, c’è anche l’Imposta provinciale di trascrizione (Ipt) che risponde a criteri diversi sia a seconda della Provincia, sia a seconda della potenza del veicolo.
Il passaggio di proprietà di veicoli usati
La procedura ha due iter diversi. Il primo è percorribile da chi possiede il certificato di proprietà del veicolo che vende ed è semplice. Chi cede il veicolo redige una dichiarazione di vendita che dovrà firmare di proprio pugno, chiedendo che venga autenticata, operazione che costa 16 euro e che, presentando un documento di identità, può essere svolta presso:
Il Comune di residenza
Uno Sportello telematico dell’automobilista (Sta)
Gli uffici provinciali della motorizzazione
Le agenzie pratiche auto
Le delegazioni dell’Aci
Un notaio (il quale richiede un compenso oltre all’Imposta di bollo di 16 euro.
Fatto ciò, il venditore ha a disposizione 60 giorni per trascrivere il passaggio di proprietà. Chi, per l’autenticazione della firma, si avvale di una delegazione Aci o di uno Sportello telematico dell’automobilista è tenuto a trascrivere l’atto seduta stante.
Restano valide le forme di vendita bilaterale che, come suggerisce il nome, prevedono l’autenticazione delle firme del venditore e del compratore. Si può anche procedere con un atto pubblico, come un contratto.
Chi non ha il certificato di proprietà del veicolo non può ricorrere a uno Sportello telematico dell’automobilista ma deve rivolgersi a una delegazione Aci per la registrazione del passaggio e poi alla Motorizzazione per l’aggiornamento della carta di circolazione.
In questo caso occorre compilare il Modello di istanza unificata (prelevabile sul sito dell’Aci). L’imposta di bollo per la registrazione è di 48 euro.
I documenti necessari
Per il passaggio di proprietà dei veicoli usati sono richiesti diversi documenti:
Documento di identità e codice fiscale sia del venditore sia del compratore il quale, se extracomunitario e residente in Italia, deve fornire anche copia del premesso di soggiorno
La carta di circolazione o il documento unico di circolazione
Il certificato di proprietà cartaceo o digitale (introdotto dal 2015)
L'atto di vendita del veicolo (con firma autentica)
Il modello TT2119 (prelevabile qui)
Il passaggio di proprietà ha un costo. Chi se ne occupa in prima persona spende meno di chi si avvale di un’agenzia di intermediazione.
I costi del passaggio di proprietà
Oltre a variare dalla Provincia di residenza dell’acquirente, il costo varia anche in base ai kilowatt (kW) / cavalli del veicolo. Qui un pratico strumento per fare la conversione.
A prescindere da ciò, ci sono costi fissi per un totale di 85,20 euro, così suddivisi:
L'Imposta di bollo per l’atto di compravendita e il rilascio del certificato di proprietà pari a 32 euro
L’imposta di bollo per l’aggiornamento della carta di circolazione, pari a 16 euro
L’emolumento Aci pari a 27 euro
I diritti della Motorizzazione civile, ossia 10,20 euro.
Secondo il sito dell’Aci, i pagamenti di competenza possono essere effettuati soltanto con carte del circuito Pagobancomat, quindi non in contanti né via bonifico o carta di credito.
A questi costi si vanno ad aggiungere quelli variabili che riguardano l’Imposta provinciale di trascrizione che varia dai 150, 81 euro (per i veicoli fino a 53 kW) per aumentare di 3,51 euro per ogni ulteriore kW. L’Imposta provinciale di trascrizione può essere aumentata fino al 30% a seconda delle politiche adottate da ogni singola Provincia.
Le esenzioni dall’Imposta provinciale di trascrizione
I veicoli per il trasporto di disabili, quelli intestati a enti di volontariato e i motocicli sono esenti. I veicoli storici godono di una riduzione dell’Imposta.
Motore termico, come scaldarlo nel modo corretto. È necessario stare fermi aspettando che l’auto vada in temperatura, oppure si può partire poco dopo aver avviato il motore? Scopriamolo in questo articolo. Edoardo Baldini il 25 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Quando le temperature esterne si abbassano durante il periodo invernale, è facile capire quanto può essere attraente entrare in un’auto già calda. Alcuni guidatori sono convinti che lasciare riscaldare l’auto prima di partire sia meglio anche per il motore, oltre che una questione di comfort termico. Ma è davvero una buona idea? Innanzitutto bisogna precisare quali sono le cause della sofferenza di un motore termico quando questo non lavora ad una temperatura corretta:
- Giochi/Tolleranze: nel motore ci sono vari accoppiamenti nei quali vogliamo ci sia un certo spazio (gioco) per permetterne il funzionamento. Per esempio il pistone per scorrere all’interno del cilindro necessita di una specifica tolleranza di accoppiamento. Il problema è che queste tolleranze sono progettate per avere il valore corretto quando il motore è caldo. Siccome tutti i materiali (i metalli in modo particolare) si contraggono al diminuire della temperatura, quando il motore funziona da freddo tutti i giochi sono ridotti. Quello che ne consegue è quindi una difficoltà di movimenti reciproci tra i vari componenti, fino al rischio più estremo di grippaggio.
- Stress termici: idealmente vorremmo che il motore si riscaldi in maniera uniforme. In un motore a combustione interna, invece, ci sono zone che si scaldano più velocemente di altre. Il calore, infatti, viene sviluppato all’interno della camera di combustione per poi, via via, scaldare le zone limitrofe. Inoltre nel motore abbiamo materiali diversi, che quindi si dilatano in maniera diversa al crescere della temperatura. Questi due fattori fanno si che due corpi vincolati tra loro che si dilatano in maniera differente, danno a luogo a delle tensioni indesiderate.
- Viscosità dell’olio: a freddo infatti l’olio di lubrificazione è molto più viscoso (denso) che a caldo. Per via dell’alta viscosità esso fatica a raggiungere tutti i componenti che necessitano di una corretta lubrificazione.
- Combustione: come tutte le reazioni chimiche, anche il processo di combustione è penalizzato alle basse temperature. Inoltre la benzina in queste condizioni fa fatica ad evaporare e tende a condensare sulle superfici fredde dei cilindri. Per questo motivo, quando il motore è ancora freddo, la centralina aumenta la quantità di benzina che viene iniettata (arricchisce la miscela) causando quindi un aumento dei consumi e delle emissioni.
Le auto elettriche soffrono il freddo?
A questo punto dovrebbe essere chiaro perché quando d’inverno avviamo l’auto la situazione è molto delicata. Se subito dopo l’avviamento si parte richiedendo le massime prestazioni, stiamo sfruttando il motore in una condizione di sofferenza e lo stiamo danneggiando.
Come bisogna comportarsi?
Al di là delle varie scuole di pensiero, quello che è certo è che il motore soffre durante il funzionamento a freddo. Bisogna quindi trovare il modo migliore per portarlo in temperatura impiegando il minor tempo possibile. La soluzione migliore è quella di portare in temperatura il motore guidando, e non lasciando l’auto ferma con il motore al minimo. In una giornata molto fredda, aspettare qualche istante prima di partire può essere un’idea intelligente, ma non c’è motivo di attendere tempi superiori ad un minuto. Il motivo è che al minimo il motore sviluppa poco calore per scaldare i componenti. Inoltre soltanto quando si è in marcia le pompe che gestiscono acqua e olio, che sono collegate all’albero motore, mettono in circolo i rispettivi fluidi, accelerando il processo di riscaldamento del motore. Concludendo quindi, la scelta corretta è quella di mettersi in marcia anche a motore freddo, avendo però a mente di non utilizzare il motore a regimi alti per i primi minuti di guida, fino a quando la lancetta non indica la temperatura corretta (all’incirca 90°C, di solito la posizione corretta è quando la lancetta è a metà della scala graduata).
Riscaldamento e aria condizionata in auto: come funzionano? In inverno vogliamo riscaldare l’abitacolo della nostra auto, mentre in estate vogliamo abbassare la temperatura al suo interno. Scopriamo come funzionano i sistemi che ne sono responsabili. Edoardo Baldini il 28 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Se mai qualcuno vi dovesse chiedere come funziona il sistema di condizionamento nelle auto, la maggior parte delle persone probabilmente risponderebbero: “Non so come funziona, l’importante è che svolga il suo lavoro!”. Questa potrebbe essere la più comune delle risposte. Se invece siete delle persone curiose, vi sarete chiesti almeno una volta come avviene e cosa c’è alla base di questo processo. Leggendo questo articolo troverete allora la risposta alla vostra domanda. La verità è che l’aria condizionata che abbiamo sulle nostre auto funziona esattamente come i condizionatori che troviamo nelle abitazioni e negli uffici. Inoltre, il principio termodinamico che sta alla base è lo stesso che spiega il funzionamento di un normalissimo frigorifero. Sì, avete letto bene! Sappiamo bene che normalmente il calore passa da un corpo più caldo ad uno più freddo. Motivo per cui la pasta si raffredda, mentre il gelato, se aspettiamo a mangiarlo, si scioglie. E questo non succede solo a volte, bensì è proprio impossibile fisicamente che accada il contrario, ossia che il calore si muova spontaneamente da un corpo più freddo verso uno più caldo. Invece il frigorifero fa proprio questo: preleva calore dall’interno (ambiente freddo) e lo rilascia nella stanza (ambiente caldo). L’aria condizionata dell’auto fa esattamente la stessa cosa, trasferendo calore dall’abitacolo verso l’esterno. Ma allora come è possibile questo processo che apparentemente viola le leggi della fisica? Tutto avviene tramite un ciclo termodinamico che permette di trasferire calore fornendo lavoro (energia) ad un gas refrigerante.
Come funziona l’aria condizionata?
Il sistema di aria condizionata di un veicolo è composto principalmente da 4 parti, che permettono al gas refrigerante di passare continuamente dallo stato gassoso allo stato liquido (e viceversa) rimanendo sempre all’interno di un circuito chiuso. Le quattro parti sono: compressore, condensatore, valvola di espansione ed evaporatore. La prima trasformazione è una compressione del gas. Un gas quando viene compresso tende a scaldarsi. La seconda fase è fare passare questo gas all’interno di un condensatore (un radiatore) in modo che possa rilasciare il calore che ha accumulato durante la compressione, passando così dallo stato gassoso allo stato liquido. A questo punto abbiamo un gas liquefatto a temperatura ambiente e ad alta pressione. La prossima fase è quella di rilasciare questa pressione attraverso una valvola di espansione. Un gas che si espande si raffredda molto velocemente. Per sfruttare questo fenomeno, basta far passare il gas freddo attraverso un altro radiatore, in modo che possa assorbire calore dall’aria circostante. Ed ecco così che, grazie ad una piccola ventola, abbiamo l’aria fredda che entra nell’abitacolo. Il gas quindi torna al compressore, e il ciclo si ripete. Ovviamente questo ciclo termodinamico richiede energia, che ovviamente ha un impatto negativo sui consumi.
E il riscaldamento invece come funziona? Influisce sui consumi?
Il sistema di riscaldamento nelle auto è un sistema molto semplice ma allo stesso tempo molto intelligente, siccome sfrutta a proprio vantaggio quella che è una delle debolezze del motore a combustione interna. Sappiamo che i motori termici hanno un rendimento abbastanza basso, il che significa che una grossa parte del calore generato dalla combustione va in qualche modo smaltito. Questo compito è affidato al circuito di raffreddamento, che assorbe il calore dal motore e lo rilascia nell’ambiente tramite il radiatore. Quello che fa il sistema di riscaldamento è semplicemente prendere parte del liquido di raffreddamento a temperature elevate e farlo passare in un piccolo radiatore posto all’interno del circuito di areazione. Ecco che abbiamo così l’aria calda che è pronta ad essere immessa nell’abitacolo. Ecco perché in un motore termico il riscaldamento non grava sui consumi, ma al contrario contribuisce al compito di smaltire il calore in eccesso. Discorso diverso va fatto invece per le auto elettriche, dove, per via dell’alto rendimento del motore, il calore da immettere nell’abitacolo bisogna generarlo attraverso apposite resistenze, che quindi gravano sull’autonomia delle batterie.
L’Omicidio Stradale.
La RCA. Responsabilità Civile Automobili.
La Constatazione amichevole.
In Pakistan.
In Svizzera.
In Spagna.
A Varese.
A Milano.
A Mestre.
A Verona.
A Treviso.
A Padova.
A Belluno.
Ad Asti.
A Novara.
Reggio Emilia.
Forlì-Cesena.
A Pescara.
A Frosinone.
A Roma.
A Cagliari.
A Napoli.
Ad Avellino.
A Cerignola.
A San Severo.
A Bitonto.
A Taranto.
La tragedia di Firenze e la determinazione di un genitore. Così l’omicidio stradale è diventato legge, la battaglia vinta dal papà di Lorenzo Guarnieri: l’intervista di Matteo Renzi. Stefano Guarnieri: “L’approccio italiano alla sicurezza stradale è sempre stato (e ancora lo è) ideologico e non scientifico”. Matteo Renzi su Il Riformista il 28 Giugno 2023
Stefano Guarnieri, tu sei considerato il vero padre della legge sull’omicidio stradale. Ma sei soprattutto il padre – anzi il babbo – di Lorenzo, che tredici anni fa fu ucciso da un pirata della strada. Ricordare ciò che accadde alle Cascine, il parco di Firenze, in quella terribile notte significa rinnovare un dolore che non avrà comunque mai fine. Ci racconti che cosa è successo?
«Quando meno te lo aspetti la vita può svoltare dove non vorresti mai andare. Ricevi una telefonata: “È successo un incidente a Lorenzo”. Corri sul posto e vedi un corpo a terra e dalle scarpe riconosci che è tuo figlio, la persona che ami più al mondo. All’inizio non hai tempo di pensare. Poi lentamente, a poco a poco, ti rendi conto che non è stato un incidente, ma un omicidio. Chi ha ucciso Lorenzo guidava contromano, in stato di ebrezza e sotto l’effetto di cannabis; 46 anni l’omicida, 17 Lorenzo ma non ci sono dubbi su chi fosse l’adulto».
Insieme a tua moglie Stefania e a tua figlia Valentina avete iniziato un lavoro incredibile. Io ero sindaco e sono rimasto senza parole. I primi ad aiutarti furono i tuoi colleghi di due importanti multinazionali, la Eli Lilly e Mc Kinsey.
«Uno dei primi pensieri che abbiamo avuto è stato: “Come possiamo fare per evitare che quello che è accaduto a Lorenzo accada ad altri?” Potrà apparire strano ma è un pensiero comune a tanti familiari di vittime di violenza stradale. Ci siamo messi quindi subito al lavoro e ho chiesto aiuto ad amici che sapevo avere grande cuore e grande cervello. Fra di loro cito per tutti Gioia Ghezzi, allora partner di McKinsey a Londra. Non potevamo accettare che quello di Lorenzo fosse chiamato “incidente”. Pur essendoci una chiara responsabilità personale, lo Stato, l’amministrazione, la comunità avrebbero potuto fare tante azioni diverse per prevenire l’omicidio di Lorenzo. E se vogliamo un cambiamento non possiamo aspettare che siano gli altri a farlo, ma dobbiamo in prima persona impegnarci affinché si avveri».
All’inizio non capivo il tuo taglio molto manageriale. Mi colpì una delle slide in cui insistevi per dare obiettivi numeri e monetizzare i costi degli incidenti…
«Se vuoi cambiare qualcosa devi darti un obiettivo. E l’obiettivo deve essere specifico, misurabile, raggiungibile, rilevante e definito nel tempo. Mi stupiva la totale assenza di obiettivi locali di questo tipo nell’ambito della sicurezza stradale. Si diceva dobbiamo ridurre i morti e i feriti gravi: di quanto? In quanto tempo? In quale dominio? L’obiettivo scelto fu quello di dimezzare i morti e feriti gravi in dieci anni a Firenze. Sul monetizzare, appena inizi a studiare il fenomeno della violenza stradale, ti accorgi subito di quanto grande è. Ogni anno si bruciano quasi due punti percentuali di PIL. Se avessimo i risultati sulla sicurezza stradale dei paesi del nord Europa o UK, avremmo ogni anno 15 miliardi di euro da spendere in più, ad esempio sulla sanità».
In realtà la prima volta che ci siamo sentiti, al telefono, ti lamentasti molto di come il Comune aveva gestito le drammatiche ore post incidente. Soprattutto l’assenza totale di supporto psicologico.
«Una delle cose che ti colpisce di più dopo l’evento è la contrapposizione fra la vicinanza della tua comunità, dei tuoi colleghi e amici e la lontananza dello Stato. Stupiva la totale assenza di supporto ai familiari, che si trovano ad affrontare un percorso difficile per chiunque, figurarsi per chi è biologicamente debole per aver perso in maniera traumatica, improvvisa ed evitabile un caro. Fortunatamente adesso le cose sono cambiate. Anche grazie alla nostra spinta iniziale la Fondazione ANIA mette a disposizione un servizio gratuito di pronto soccorso psicologico in tutta Italia. Il numero verde 800 893 501 è a disposizione per le vittime e i loro familiari».
Negli anni successivi hai usato la tua esperienza di manager internazionale per aiutare la città di Firenze a fare un salto di qualità sulla sicurezza stradale. I nostri concittadini non potrebbero essere più grati a te e alla tua famiglia per un impegno strepitoso. Ci racconti che cosa avete pensato e abbiamo fatto insieme.
«Ho provato solo ad imparare dai più bravi. Fra questi ci sono senza dubbio gli inglesi. Nell’ambito della “safety” da sempre dicono che occorre lavorare sulle 3E: Education, Enforcement ed Engineering. L’approccio italiano alla sicurezza stradale è sempre stato (e ancora lo è) ideologico e non scientifico. Ogni politico ha la sua soluzione unica: mancano i controlli. Oppure non c’è educazione nelle scuole. Oppure le infrastrutture sono pericolose e così via. La realtà è più complessa. Ci vogliono tutti questi elementi ma ben coordinati fra di loro e una visione strategica. Da questa idea nacque nel 2011 il progetto DAVID, piano strategico per la sicurezza stradale 2011-2020 che consegnammo a te, Sindaco di Firenze, come regalo dell’Associazione Lorenzo Guarnieri nel giugno del 2011».
Diamo dei numeri: che cosa è cambiato per Firenze, che obiettivi avete e abbiamo raggiunto.
«Delle 60 iniziative indicate nel piano DAVID alcune sono state effettuate (come, ad esempio, l’onda verde sui viali di circonvallazione, le modifiche per la sicurezza in via Pistoiese, la protezione dei passaggi pedonali, campagne di comunicazione ed educazione stradale alle superiori, la legge sull’omicidio stradale) e altre no, come spesso accade. I piani sono sempre diversi dalla realtà, ma il fatto di per sé di avere un piano aiuta. Perché indica una direzione. E questa direzione ha portato Firenze nel 2019 ad avere con 6 deceduti la mortalità più bassa per 100.000 abitanti fra le grandi città con una riduzione del 76% rispetto ai 25 morti del 2010 (fra cui Lorenzo). Una riduzione ben più alta del 23% registrata a livello italiano. Dal 2019 in poi è finito l’abbrivio iniziale e il COVID ha portato tutti gli altri problemi in secondo piano. Per cui adesso sarebbe necessario ripartire».
Quando abbiamo lanciato la proposta dell’omicidio stradale c’era il governo Monti. Sembrava impossibile raggiungere l’obiettivo. Io pensai: levati dalla testa l’idea che possiamo cambiare davvero qualcosa. Stiamo facendo una battaglia educativa utile per le nuove generazioni ma non cambierà nulla. E invece voi siete stati molto bravi e siamo stati fortunati. L’idea della legge è tua, anche se scegliesti di non venire alla foto perché avevi un impegno di lavoro ma soprattutto perché volevi far passare il messaggio che era una vittoria di tutte le associazioni. Io, nel frattempo, avevo lasciato Palazzo Vecchio per Palazzo Chigi, ricordo che la mano mi tremava nel firmare il testo.
«Direi che è stato un successo spiegabile così: tanta determinazione e tanto lavoro della nostra e di tante altre associazioni (fra tutte fammi citare l’Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale); altrettanta determinazione del tuo governo che ha messo per ben due volte la fiducia durante il percorso parlamentare. La fortuna è stata quella di poter sfruttare il momento in cui da Sindaco eri diventato Presidente del Consiglio. Da parte tua c’è stata la volontà di rispettare la promessa fatta alla festa dei 18 anni di Lorenzo, fatta di fronte a centinaia di ragazzi sgomenti per la perdita del loro amico».
Oggi ci sono in discussione nuove modifiche al codice. Stiamo andando nella direzione giusta?
«Bella domanda, a saperla la direzione. Al momento mi sembra un Pot-pourri di misure, alcune giuste e altre meno. Il Codice della Strada avrebbe bisogno di una riforma organica, basata anche sulla definizione di nuovi principi guida, adatti a una mobilità moderna. Al ministero dei trasporti potrebbero studiare il nuovo codice inglese dove viene definito chiaramente una priorità di utenti della strada. Pedoni e ciclisti, in quanto più vulnerabili, devono avere maggiori protezioni (anche di norme) e priorità sui mezzi a motore. La strada non è delle auto, è di tutti. Non è un concetto nuovo. In mare le barche a vela hanno sempre la precedenza su quelle a motore: il più debole in mare ha la precedenza da secoli».
Abbiamo discusso tra te e me tante volte, anche sugli autovelox a Firenze. Io ho detto che secondo me il Comune esagera a multare quelli che vanno a 51. Tu mi hai rimbrottato sulla stampa cittadina. Ma la verità è che siamo d’accordo sul fatto che i soldi andrebbero messi sulla sicurezza stradale. I comuni si stanno comportando bene?
«Siamo molto d’accordo su questo e purtroppo la sensazione è che non stia succedendo. Su questo la nostra associazione con ASAPS ha fatto uno studio su quanto dichiarato dalle 14 città maggiori in Italia. Vengono fuori molte stranezze. Su 309 milioni di euro dichiarati come destinati alla sicurezza stradale, circa un terzo (106) non sono correlati alla sicurezza stradale. Per l’educazione nelle scuole, campagne di comunicazione, formazione della Polizia Municipale si spendono solo le briciole (lo 0,027% del totale). Non mancano le stranezze come acquisto di armi, lezioni di tiro, ventilazione gallerie, spese veterinarie e tanto altro. Firenze non brilla per chiarezza dichiarando nel 2022 di aver intensificato i controlli su strada per 22 milioni di euro pari a due terzi del costo del personale della municipale. Difficile dire di averlo visto da cittadino. Non c’è progettualità e i proventi delle multe assorbono i costi fissi delle amministrazioni. Emblematici sono i proventi dedicati all’illuminazione: se le multe andassero a zero i nostri comuni sarebbero tutti al buio. Tanto lavoro da fare su questo tema. I soldi non mancherebbero, mancano volontà politica, competenze e leadership per investirli veramente in sicurezza stradale».
Sulla vicenda del piccolo Manuel in molti chiedono più regole per gli Youtuber e i social. A me sembra che il problema sia non mettersi alla guida drogati o ubriachi. Tu interverresti normativamente anche sui social?
«Sinceramente, a parte casi estremi che riguardano violenza e pedofilia ad esempio, vedo difficile definire delle forme di controllo sui contenuti social. Difficile indicare la linea su cosa è giusto e cosa no. La censura è sempre un atto pericoloso. Molto più semplice quando si ha a che fare con le regole della strada. Velocità, tasso alcolemico, droghe i limiti sono universalmente riconosciuti. È semplice capirli. E se non li rispetti è un gesto volontario che può facilmente ucciderti e uccidere».
Mia figlia Ester aveva 4 anni quando la vostra vita è stata ferita così drammaticamente. Oggi ha la stessa età che aveva Lorenzo quando è stato ucciso. E proprio ieri pensavo al fatto che il dolore che vivete voi genitori di vittime della strada è indescrivibile. Tecnicamente innominabile: ti muore il padre sei orfano, ti muore la moglie sei vedovo, ti muore il figlio non sei. Perché non ha un nome quel dolore lì. Avete avuto la forza di andare avanti e dai luoghi della città che lui ha frequentato fino al Brasile di Agata Smeralda avete fatto delle cose meravigliose per ricordarlo. Qual è il ricordo suo che ti torna in mente più spesso, se posso chiederti?
«Lorenzo è stato solo bambino e ragazzo. Quando ogni anno arrivava il primo caldo ci manca tanto la sua euforia per la fine imminente della scuola e l’inizio dell’estate. È difficile riuscire a raccontare come era contento quando indossava i suoi pantaloncini corti e usciva con gli amici. Chi lo ha conosciuto ricorda ancora quanta serenità e fiducia per la vita era capace di diffondere intorno a sé. Sicuramente si sentiva così anche quella sera, il 2 giugno 2010, che però è stata l’ultima della sua bellissima vita».
Matteo Renzi (Firenze, 11 gennaio 1975) è un politico italiano e senatore della Repubblica. Ex presidente del Consiglio più giovane della storia italiana (2014-2016), è stato alla guida della Provincia di Firenze dal 2004 al 2009, sindaco di Firenze dal 2009 al 2014. Dal 3 maggio 2023 è direttore editoriale de Il Riformista
Rc Auto, come funzionano le classi di merito. La classe di merito è uno dei fattori principali per determinare il costo annuo dell'assicurazione auto, perché calcola la sinistrosità di un'automobilista. Tommaso Giacomelli il 31 Maggio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Cosa sono le classi di merito dell'assicurazione auto
Come funzionano le Classi di merito
Come si calcola la classe di merito
Ereditare la CU
Gli automobilisti italiani ogni anno sono tenuti a pagare l'assicurazione al proprio veicolo. I pericoli sulle strade sono molteplici e le vetture devono essere coperte tramite questa forma di tutela, che privilegia tanto il guidatore in sé quanto gli altri. Tuttavia, la spesa per l'RC auto non è sempre uguale, ma muta perché alla sua determinazione concorrono diversi fattori, uno dei quali è la classe di merito, indicata generalmente come "CU". Questo parametro tiene conto del livello di esposizione al rischio di incidenti dell'automobilista titolare dell'assicurazione, avendo come riferimento i sinistri accorsi durante gli ultimi dodici mesi. Di conseguenza, più si dimostra di avere una buona condotta e più si ha la possibilità di entrare in una classe di merito migliore.
Cosa sono le classi di merito dell'assicurazione auto
Le CU, classi di merito universali, sono state redatte dall'ISVAP (istituto per la vigilanza delle assicurazioni) nel 2005. Questo favorisce una trasparenza più elevata e una concorrenza nel mercato assicurativo più chiara. Il livello di sinistrosità si basa su parametri oggettivi, identici per tutte le compagnie assicuratrici. Il cambiamento da una classe a un'altra è omogeneo e universalmente riconosciuto da tutte le assicurazioni. Secondo la legge n. 990/1969 le classi di merito per la stipula obbligatoria di una assicurazione RCA (responsabilità civile auto) sono un totale di 18. La prima è la più virtuosa e così via.
Come funzionano le Classi di merito
La classe di merito Bonus/Malus tiene di conto la sinistrosità dell'automobilista. In poche parole viene misurata la condotta su strada dell'utente che potrebbe comportare dei costi e dei rischi specifici legati alla polizza stipulata con l'agenzia. Per questo le compagnie assicurative sono obbligate a compilare l'Attestato di Rischio. La classe di merito è oggetto di aggiornamenti anno dopo anno, per dovere di precisione ogni 10 mesi. Questo sistema è utile per aggiornare l'attestato di rischio almeno 2 mesi prima della scadenza della polizza. Infine, tutti i dati vengono archiviati sui server dell'IVASS per poter calcolare la classe di merito corretta.
Come si calcola la classe di merito
Se il veicolo non viene coinvolto in nessun sinistro, la classe di merito diminuisce e il punteggio universale migliora;
Se il veicolo viene coinvolto in un sinistro con colpa, la classe di merito aumenta e il punteggio peggiora
Il Malus non viene assegnato per ogni tipo di incidente, ma soltanto per quelli in cui il veicolo risulta responsabile del sinistro, in maniera completa o parziale. La Classe di merito viene rinnovata di anno in anno, ma è possibile mantenerla invariata anche in presenza di sinistro o di furto del veicolo. Nei casi di incidenti con colpe meno gravi, è possibile rimborsare la propria compagnia per evitare la scure del Malus alla scadenza della polizza, in questa maniera il sinistro viene rimosso dall'Attestato di rischio e la Classe di merito rimane invariata. In caso di furto, invece, la classe di merito viene conservata per tutto il periodo di validità dell'Attestato di rischio, che ha una durati di 5 anni.
Ereditare la CU
Tramite la Legge Bersani o la RC Auto familiare è possibile trasferire da un veicolo all'altro la classe di merito, purché questo faccia parte dei veicoli a disposizione del nucleo familiare. Entrambi i decreti possono essere applicati in due momenti:
Acquisto di una nuova assicurazione
Rinnovo di una polizza esistente
Incidenti auto e assicurazioni, la sentenza della Cassazione cambia tutto. Si potranno risarcire i danni anche qualora il loro costo risulti superiore al valore di mercato della vettura. Federico Garau il 12 Maggio 2023 su Il Giornale.
Una recente decisione della Corte di Cassazione potrebbe stravolgere l'ambito dei risarcimenti in caso di incidenti automobilistici con danni particolarmente gravi o nei quali sono coinvolte vetture datate. Una situazione che peraltro, vista la vetustà del parco auto circolante nel nostro Paese (età media di 12 anni e 6 mesi) si viene a verificare piuttosto spesso.
Si fa riferimento, nello specifico, alla sentenza 10686/23 della terza sezione civile, in cui è stato sancito il divieto per le compagnie assicurative di rifiutarsi di erogare il risarcimento danni nel caso in cui questa risulti essere la volontà dell'automobilista. Generalmente le assicurazioni spingono i propri clienti a rottamare il mezzo in caso di incidente, qualora il costo delle riparazioni superi il valore commerciale della vettura. Secondo quanto deciso dalla Cassazione, le compagnie non potranno opporre un veto nel caso in cui l'intestatario dell'auto voglia riparare il danno riportato dal proprio mezzo a seguito di un sinistro.
La sentenza
A dare notizia della "clamorosa ordinanza pubblicata nei giorni scorsi dalla Corte di Cassazione", che "interviene a gamba tesa sul settore delle riparazioni auto, bacchettando di fatto le compagnie di assicurazioni" è Federcarrozzieri.
Ormai da tempo i giudici ritengono lecito effettuare risarcimenti per riparazioni il cui costo non supera in modo notevole il valore di mercato del mezzo, tuttavia la decisione della suprema Corte è andata oltre. In un caso in cui il danneggiato aveva richiesto" una somma pari quasi al doppio del valore del veicolo" gli Ermellini hanno infatti determinato che, pur dovendo "tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo, il limite per il risarcimento individuato dai giudici è che non vi sia un aumento di valore del veicolo".
Soddisfazione di Assoutenti
"Dalla Corte di Cassazione arriva un importantissimo assist in favore di milioni di automobilisti italiani che subiscono danni alle proprie autovetture a seguito di incidenti stradali", commenta con soddisfazione Assoutenti in un comunicato ufficiale, bollando come scorretta e lesiva la prassi fino ad ora seguita dalle assicurazioni.
"Finora gli automobilisti sono stati spinti dalle imprese assicuratrici a rottamare la propria vettura quando i costi delle riparazioni risultavano anti economici per le compagnie, poiché superiori al valore di mercato dell'auto danneggiata", dichiara il presidente Furio Truzzi. "Una prassi scorretta e lesiva dei diritti dei consumatori, costretti ad acquistare una nuova vettura pur potendo riparare quella incidentata".
"Ora la Cassazione mette fine a questa politica assurda delle compagnie di assicurazioni e, dunque, gli automobilisti potranno a buon diritto riparare l'auto anche se la compagnia sostiene che ha un valore commerciale troppo basso", conclude Truzzi, "evitando di ricorrere alla rottamazione e sostenere l'onere, sempre più impegnativo, di dover acquistare una nuova automobile".
La RCA. Sara uccisa in un incidente: la sua vita vale 30mila euro. Trentamila euro. La vita di Sara Rizzotto, la 26enne madre di due bambine piccole morta in un incidente sull'A28, tra Villotta di Chinos e Azzano Decimo (Pordenone) la sera del 30 gennaio 2022 non vale di più. Tiziana Paolocci l’8 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Trentamila euro. La vita di Sara Rizzotto, la 26enne madre di due bambine piccole morta in un incidente sull'A28, tra Villotta di Chinos e Azzano Decimo (Pordenone) la sera del 30 gennaio 2022 non vale di più. Almeno secondo la compagnia assicurativa di Dimitre Traykov, 61 anni, l'imprenditore bulgaro che l'ha uccisa al volante di un Suv a 180 all'ora ed è stato condannato in primo grado a 7 anni di reclusione per duplice omicidio stradale. Era risultato positivo all'alcol test.
Quella tragica sera Sara era nella sua Panda insieme alla cugina Jessica Frassago, 20 anni di Mareno di Piave, provincia di Treviso. Entrambe hanno perso la vita mentre le figlie di Sara, che erano con loro, rimasero ferite ma si salvarono e furono ricoverate in ospedale a Udine. A comunicare la cifra, che sembra una beffa più che un risarcimento, è stata la compagnia assicuratrice straniera con la quale si interfaccia il legale Alessandra Nava, l'avvocato chiamato ad assistere i nonni di Sara, per i quali sarebbero stato stanziati, in totale, non più di 40mila euro. «Si tratta di una cifra vergognosa, assolutamente inaccettabile che non tiene minimamente conto della dinamica che ha portato alla morte di Sara» spiega Nava sentito dal Corriere.it. Secondo il legale, la compagnia straniera avrebbe comunicato la proposta di liquidazione soltanto con una telefonata. «Una mancanza di rispetto per quello che è successo e di assoluta assenza di tatto. - sottolinea ancora -. Tutta la vicenda presenta dei contorni assurdi, a cominciare dalle difficoltà di comunicazione sulle quali la compagnia di assicurazioni, che è straniera, ha cercato di giocare. Faremo una segnalazione all'Isvap, l'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni». Dalle indagini della Procura è emerso che la polizza che copriva il furgone guidato da Dimitre Traykov era intestata ad un cittadino straniero conoscente del sessantunenne bulgaro. Le figliolette di Sara, invece, sono già state risarcite del 61enne in via extragiudiziale attraverso il papà.
Responsabilità Civile Automobili. Indennizzo assicurativo diretto: cos’è e come funziona. L’indennizzo assicurativo diretto è stato una rivoluzione nell’ambito assicurativo, perché permette di rivolgersi alla propria assicurazione e non a quella di chi guida l’altro veicolo. Cosa sapere. Giuditta Mosca il 6 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Cos’è l’indennizzo assicurativo diretto
Quando si applica l’indennizzo diretto
Come presentare la richiesta di indennizzo diretto
Le tempistiche del risarcimento diretto
Non è una cosa nuova, l’indennizzo assicurativo diretto è entrato in vigore a febbraio del 2007 ma non tutti ne conoscono le logiche e soprattutto i tempi entro i quali l’istituto di assicurazioni deve liquidare il sinistro stradale.
È vero che di norma è l’assicuratore di fiducia a seguire tutta la parte burocratica che porta alla liquidazione del danno, è anche vero che ogni consumatore ha il diritto di essere informato in modo chiaro e trasparente.
Cos’è l’indennizzo assicurativo diretto
Introdotto con il decreto del presidente della Repubblica 254/2006 consente, in caso di incidente stradale, di rivolgere la richiesta di indennizzo alla propria compagnia di assicurazioni e non a quella dell’altra persona coinvolta nell’incidente e questo vale tanto nei casi di ragione totale quanto in quelli di concorso di colpa.
Ci sono, tuttavia, dei paletti imprescindibili che delimitano l’esercizio dell’indennizzo diretto in ambito RCA Auto.
Quando si applica l’indennizzo diretto
Le condizioni che rendono possibile l’indennizzo diretto sono di tipo legale e territoriale:
La responsabilità del sinistro deve essere imputabile al massimo a due conducenti, i veicoli coinvolti possono essere anche più di due
I veicoli dei responsabili del sinistro devono essere identificati e la copertura assicurativa deve essere valida e in vigore
I veicoli dei responsabili devono avere targhe italiane, devono quindi essere stati immatricolati in Italia, nella Stato del Vaticano o nella Repubblica di San Marino
Le persone coinvolte nel sinistro non devo riportare danni per oltre 9 punti di invalidità.
Più in generale, l’indennizzo assicurativo diretto si applica ai danni ai veicoli, alle piccole lesioni delle persone e ai danni alle cose di proprietà degli assicurati.
Le persone diverse dai conducenti dei veicoli e dagli assicurati, ovvero le persone che per la legge sono “i terzi trasportati” sottostanno all’articolo 141 del Codice delle assicurazioni secondo il quale occorre che chiedano il risarcimento alla compagnia di assicurazioni che copre i sinistri del veicolo sul quale viaggiavano.
Come presentare la richiesta di indennizzo diretto
Lo si fa per raccomandata con ricevuta di ritorno, fax, via Pec, con consegna a mano o tramite procedura telematica prevista dagli istituti di assicurazione.
Per quanto riguarda i danni alle cose, i dati da inserire nella richiesta sono:
I nomi degli assicurati
I numeri di targhe di tutti i mezzi coinvolti nel sinistro
I riferimenti delle compagnie di assicurazione delle parti coinvolte
La descrizione dettagliata del sinistro
Se disponibili, i dati anagrafici e i recapiti dei testimoni
Le indicazioni relative alle forze dell’ordine eventualmente intervenute
La disponibilità di massima allo svolgimento della perizia assicurativa (indicando giorni e orari)
Per quanto attiene invece alle lesioni vanno inserite nella richiesta anche i dati anagrafici di chi ha riportato i danni fisici e l’entità degli stessi. Qui un esempio del tenore della comunicazione da inoltrare al proprio istituto di assicurazioni.
Le tempistiche del risarcimento diretto
Dal momento in cui ha ricevuto la richiesta di risarcimento, la compagnia di assicurazioni ha 60 giorni di tempo (90 giorni nel caso di danni alle persone) per comunicare l’offerta di indennizzo oppure per quali motivi non intende formularne una.
Questi termini vengono meno se chi ha subito lesioni non si sottopone a visita medico-legale o se l’assicurato si sottrae alla perizia delle cose danneggiate.
Se la proposta di indennizzo viene accettata, la compagnia di assicurazione ha 15 giorni di tempo per la liquidazione e la pratica si intende conclusa.
Nel caso in cui il danneggiato non comunica la sua accettazione o rifiuta l’indennizzo, la liquidazione deve avvenire comunque in 15 giorni ma può esercitare il suo diritto di ottenere maggiore soddisfazione mediante la procedura di negoziazione assistita che può essere avviata dall’assicurato soltanto nei confronti della propria compagnia.
Constatazione amichevole: a cosa serve, com’è composta, come compilarla correttamente. Dario Murri il 19 Aprile 2023 su Il Giornale
Più conosciuto come modulo blu, il documento serve a semplificare il processo di denuncia di un sinistro e velocizzare le pratiche per il risarcimento dei danni. È importante conoscerlo a fondo
Tabella dei contenuti
Prime azioni dopo un sinistro
Cos’è e a cosa serve
Com’è composto il documento
Se manca l’accordo tra le parti
Valore legale della CAI e cosa succede in caso di errata compilazione
Risarcimento dei danni e tempistiche
Per saperne di più
A quanti di noi, in qualità di automobilisti, sarà capitato di dover compilare, dopo un sinistro piccolo o medio, una Constatazione amichevole? Quanti possono affermare di averla “affrontata” e compilata con sicurezza e senza alcun dubbio? Se, come il sottoscritto, non siete fra quelli, allora questo articolo potrebbe essere d’aiuto. Cominciamo col dire che il documento ha come scopo di illustrare in maniera completa l’andamento dell’incidente, in modo da accelerare le pratiche e la ricostruzione dell’evento. Il consiglio è di tenerne una o più copie nel vano oggetti del proprio veicolo e avere qualche nozione di base sulle modalità di compilazione, per evitare perdite di tempo e spese aggiuntive.
Prime azioni dopo un sinistro
Se capita di essere coinvolti in un incidente stradale, bisogna valutare la situazione, per quanto possibile, con calma. In particolare, è necessario distinguere se si tratti di un incidente con feriti o di un incidente con danni ai mezzi. In caso di feriti, se non si possiede un’adeguata preparazione medica, bisogna chiamare subito il 118, per assolvere all’obbligo di prestare soccorso, come indicato dal Codice della Strada. È necessario inoltre contattare le Forze dell’ordine se non è possibile liberare la strada, per evitare intralci al traffico e condizioni di pericolo per altri automobilisti. Se la situazione è più tranquilla e ci sono solamente danni ai veicoli, è possibile procedere alla compilazione della CAI.
Cos’è e a cosa serve
La CAI (constatazione amichevole di incidente) o CID (convenzione indennizzo diretto, termine sempre meno utilizzato), è una pratica che si effettua dopo un incidente, tramite la compilazione di un modulo blu, i cui dati e informazioni servono a ricostruire la scena dell’incidente stesso, ad accertare le responsabilità dell’uno o dell’altro automobilista coinvolto e a indicare le cause e gli effetti di quanto accaduto. Certamente un incidente è un evento già particolarmente stressante, ma la CAI serve ad accelerare le pratiche di risarcimento e velocizzare il lavoro delle compagnie assicuratrici. La sua compilazione avviene non solo nel momento in cui le parti coinvolte siano concordi nell’attribuire le responsabilità del sinistro ma, come vedremo, anche in caso di disaccordo. Di solito il documento viene fornito dalla propria compagnia assicuratrice con il contratto, ma è anche possibile scaricarlo online. Una volta compilato, il modulo deve essere inoltrato alla propria assicurazione entro 3 giorni dall'incidente, altrimenti non sarà più valido. Fra le informazioni da inserire, fondamentali i dati di persone e veicoli coinvolti, quelli delle rispettive compagnie assicuratrici, la ricostruzione delle dinamiche dell’incidente, i danni riportati dalle vetture e, naturalmente, le dovute firme.
Attenzione: in caso di incidente in cui siano coinvolte due veicoli, si usa solo un modulo (costituito da 2 pagine in 4 copie), nel momento in cui i veicoli coinvolti nel sinistro siano più di due, è necessario aggiungere un modulo per ogni veicolo incidentato. Quindi, se ad esempio le vetture coinvolte nel sinistro sono 4, bisognerà utilizzare 3 moduli.
La CAI, si diceva, consente di semplificare e velocizzare le pratiche per il risarcimento dei danni: in caso di danno subito e di accordo tra le parti con sottoscrizione della Constatazione amichevole, infatti, la richiesta viene trasmessa direttamente alla propria assicurazione e non a quella del veicolo responsabile del sinistro, cosa che permette un risarcimento diretto e più veloce.
Com’è composto il documento
La CAI è composta da due pagine, presenti in quattro copie. Nella prima pagina troviamo 15 diversi campi, che è necessario compilare per poter chiarire la dinamica del sinistro.
In particolare, i campi con numerazione da 1 a 5 permettono di identificare rispettivamente: 1) data e ora in cui è avvenuto l’incidente; 2) luogo del sinistro (comune, provincia e indirizzo); 3) presenza di eventuali feriti; 4) ulteriori danni materiali che non riguardino i due veicoli coinvolti; 5) presenza di eventuali testimoni (di cui è necessario indicare generalità ed eventuale presenza su uno dei due veicoli).
Dal campo 6 al 12 il modulo si sdoppia in due sezioni speculari, una dedicata al veicolo A e l’altra al veicolo B. In particolare, nelle sezioni 6, 7, 8 e 9 è necessario specificare: 6) informazioni relative ai contraenti; 7) dati dei veicoli coinvolti (marca, modello, numero di targa, stato di immatricolazione); 8) dati delle compagnie di assicurazione (denominazione, numero della polizza, periodo di validità, eventuale filiale di riferimento); 9) generalità dei conducenti (dati anagrafici e della patente di guida in corso di validità).
I campi dal 10 al 12 riguardano, invece, altri elementi, tra cui: 10) tipologia dei veicoli coinvolti nell’incidente (auto o moto) e indicazione per gli stessi veicoli del punto d’urto iniziale; 11) danni riportati dai mezzi; 12) indicazione della circostanza del sinistro (segnando una delle 17 opzioni come, ad esempio, il sorpasso).
La sezione 13 ospita invece uno spazio comune in cui disegnare la dinamica dell’incidente, mentre gli ultimi due campi, 14 e 15, riguardano le osservazioni e le firme dei conducenti.
La seconda pagina del modulo prevede infine la compilazione della sezione Altre Informazioni. In questo spazio è necessario specificare l’eventuale intervento delle Forze dell’Ordine (polizia municipale, carabinieri o polizia stradale) e le informazioni relative al proprietario del veicolo, nel caso in cui il soggetto sia diverso dal contraente della polizza. Bisogna poi indicare la presenza di eventuali feriti, specificandone i dati anagrafici e le cure mediche prestate subito dopo il sinistro.
Se manca l’accordo tra le parti
In mancanza di accordo tra le parti, il modulo blu andrà comunque compilato, sottoscritto e consegnato alla propria assicurazione: in tal caso il documento varrà come denuncia di sinistro. Per tutelarsi maggiormente, è consigliabile corredarlo di ogni possibile altra prova che attesti la propria versione dei fatti: foto, testimonianze scritte, eventuale indicazione delle autorità intervenute a seguito dell’incidente.
Valore legale della CAI e cosa succede in caso di errata compilazione
Nel momento in cui la constatazione amichevole viene firmata da entrambi i soggetti, diventa vincolante per le parti. Qualora non li ritenga realistici, l’assicurazione può però contestare i fatti, misura necessaria per contrastare eventuali accordi e truffe da parte dei conducenti per estorcere denaro agli enti assicurativi. Allo stesso tempo, però, bisogna considerare che la CAI non ha un vero e proprio valore legale di fronte a un giudice, in quanto non è in grado di dimostrare il reale andamento dei fatti e potrebbe contenere delle incongruenze. Si tratta solo di dichiarazioni fornite dai soggetti o solo da uno di essi.
Può anche accadere che i conducenti commettano in buona fede errori nella compilazione e/o descrivano erroneamente i fatti: in questi casi il diritto al risarcimento non necessariamente è compromesso. Con una sentenza del 2014 la Cassazione ha affermato che l'errore nella compilazione del CAI non preclude il diritto al risarcimento dei danni. L'errore può essere inoltre superato con prove supplettive, consulenze tecniche, testimonianze, interrogatorio formale. La semplice smentita della parte potrebbe non essere sufficiente.
In assenza di tali elementi e in caso di giudizio, se nel processo non è dimostrato che i fatti si sono svolti diversamente e che le responsabilità sono differenti, il documento assumerà valore di piena prova ai fini della decisione del giudice. A questo proposito, una polizza di tutela legale può essere utile per far valere le proprie ragioni in tutte le fasi del giudizio, anche tramite perizie di parte, senza doversi sobbarcare le spese legali necessarie a sostegno della propria causa.
Risarcimento dei danni e tempistiche
La firma congiunta di entrambi i conducenti presuppone l’accordo sulla dinamica del sinistro. In questo caso, la CAI consente di velocizzare la gestione del sinistro, oltre a consentire l’attivazione del cosiddetto risarcimento diretto, che consente al danneggiato/assicurato di inviare la richiesta di risarcimento direttamente alla propria compagnia assicurativa. È bene però ricordare che il risarcimento diretto non potrà essere avviato quando siano coinvolti più veicoli responsabili e qualora il conducente abbia riportato gravi lesioni fisiche (con invalidità permanente superiore al 9%). In alternativa bisognerà attivare la procedura di risarcimento ordinario, presentando quindi la richiesta per il rimborso dei danni all’assicurazione del responsabile del sinistro.
Una volta inviata la richiesta di risarcimento, i tempi entro cui la compagnia dovrà proporre all’assicurato un'offerta sono 60 giorni in caso di danni riportati esclusivamente dai veicoli (che diventano 30 se il modulo blu è stato firmato da entrambi i conducenti), o 90 giorni nell’eventualità di danni alle persone.
Per saperne di più
Maggiori informazioni sono disponibili sui siti di Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), ad esempio quelle per il riscatto del sinistro (per evitare cioè l'aumento del premio conseguente all'attribuzione di una classe di merito superiore), o dell’UCI (Ufficio Centrale Italiano), dove è possibile reperire indicazioni sulle modalità di richiesta del risarcimento in caso di sinistro in Italia con un veicolo straniero, o per informazioni sui sinistri noCard (sinistri tra più di due veicoli, sinistri tra veicoli assicurati dalla stessa impresa, sinistri con lesioni al conducente che comportino invalidità superiore al 9%, incidenti con macchine agricole e natanti). Utile anche il sito di IVASS (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni).
"Stavano cucinando nel vagone". Così il treno esplose a Liaquatpur. Storia di Mariangela Garofano su Il Giornale il 22 ottobre 2023.
È il 31 ottobre 2019, quando il treno passeggeri Tezgam della Pakistan Railways prende fuoco, con 933 passeggeri a bordo, nei pressi della stazione ferroviaria di Liaquatpur, causando 75 morti. Il disastro di Liaquatpur è il secondo incidente ferroviario più grave mai avvenuto in Pakistan, dopo quello di Ghotki del 2005, in cui persero la vita più di 100 persone.
L’incendio
Pakistan, 31 ottobre 2019. Sono le 6:18 del mattino, quando un treno della Pakistan Railways, partito da Karachi e diretto a Rawalpindi, nella regione del Punjab, prese fuoco, distruggendo 3 vagoni del convoglio, su cui viaggiavano 933 persone. I sopravvissuti e i soccorritori, che arrivarono sul luogo della tragedia, raccontarono di aver assistito a scene a dir poco apocalittiche. “Potevamo sentire le persone urlare e piangere, mentre chiedevano aiuto”, rivelò il signor Shujaat, un passeggero sopravvissuto all’incendio, che si trovava in un altro vagone, al sito Abc Australia. “Molti di loro si sono gettati dai finestrini, mentre le fiamme avvolgevano le carrozze, credevo saremmo morti. La carrozza dopo la nostra era andata a fuoco”.
Anche un altro superstite dell’incendio, salito a bordo del treno nella città di Nawabshah, con la moglie e i figli, raccontò di aver assistito alla terribile scena dei passeggeri che si lanciavano fuori dai finestrini, con il treno ancora in movimento.“Scoprimmo solo dopo che molti di loro morirono”, aggiunse l’uomo. “Siamo stati così vicini alla morte, ma Allah ci ha salvati”, concluse la moglie.
Le cause dell’incendio e i responsabili
Sul luogo del disastro vennero impiegate dieci autopompe per domare le fiamme, e anche l’esercito pakistano prese parte alle operazioni di recupero delle vittime e al salvataggio dei feriti. Coloro che riportarono le ferite più gravi furono trasportati d’urgenza all'ospedale di Bahawal Victoria, nella città di Bahawalpur, e altri all'ospedale di Nishtar a Multan. I soccorritori impiegarono circa 20 minuti per spegnere l’incendio. Ma cosa scatenò quell’inferno di fuoco in cui morirono 75 persone? Nei giorni seguenti alla tragedia, il ministro federale per le ferrovie pakistano, Sheikh Rasheed Ahmad, affermò che a causare l’incendio fu l’esplosione di due fornelli portatili, utilizzati impropriamente da alcuni passeggeri per preparare la colazione. “Due fornelletti per cucinare sono esplosi”, dichiarò Ahmad.”Stavano cucinando con l’olio, che ha fatto da combustibile, facendo propagare l’incendio in poco tempo. Molti hanno perso la vita lanciandosi dal treno in corsa”.
Rasheed Ahmad dichiarò inoltre che secondo le indagini, i fornelli appartenevano ad alcuni membri della Tableeghi Jamaat, un'associazione islamica transnazionale missionaria di predicazione, con base principale in Pakistan. Quando il controllore chiese loro di spegnere i fornelli, questi obbedirono, ma appena il controllore se ne andò, li riaccesero per continuare a preparare la colazione, ignari della tragedia che stava per abbattersi su di loro e sugli altri passeggeri. Un funzionario delle ferrovie dichiarò in seguito all'emittente DawnNewsTv, che i passeggeri che portarono a bordo del treno i fornelli, "li avrebbero nascosti sotto i vestiti", poiché era severamente vietato salire su un treno con oggetti pericolosi.
Il ministro aggiunse che era frequente che nei lunghi viaggi in treno i passeggeri si cucinassero i pasti con fornelli di fortuna, provocando spesso disagi all’interno dei vagoni. Tuttavia, secondo altre testimonianze, l’incendio fu causato da un problema all’impianto elettrico, tesi mai confermata dalle autorità. Nel rapporto conclusivo delle indagini portate avanti dalle autorità pakistane, si evidenziò che, nonostante la cordicella per attivare i freni fosse stata tirata, il treno si fermò circa 20 minuti dopo, uccidendo i passeggeri nei vagoni incendiati e costringendo le altre vittime a lanciarsi nel vuoto, nel tentativo di sfuggire al fuoco. Il ministro Rasheed Ahmad tuttavia, rigettò le accuse secondo le quali il macchinista non fermò subito il treno, dopo che la cordicella fu tirata, altrimenti "il convoglio sarebbe andato completamente a fuoco".
Purtroppo, le fiamme resero irriconoscibili 57 delle vittime, per le quali fu necessario il test del Dna al fine di accertare la loro identità. il primo ministro pakistano, Imran Khan, che avviò l'inchiesta sulla sciagura, e il ministro delle ferrovie, Sheikh Rasheed Ahmad, stabilirono un risarcimento di 1,5 milioni di rupie per le famiglie dei deceduti, e 0.5 milioni per i feriti.
Ultimo viaggio. "I bambini, vivi e morti, mi guardavano": la gita e lo schianto senza colpevoli. Nel 2012 un terribile incidente stradale colpì una scolaresca di preadolescenti in Svizzera: morirono 28 persone, tra cui i due autisti e 22 ragazzini. Angela Leucci il 4 giugno 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
L’incidente choc
Le reazioni e il cordoglio
Nessuna responsabilità individuabile
Un incidente stradale è una delle peggiori paure dei genitori che mandano i loro figli in gita scolastica. Che siano solo dei bambini o si affaccino all’età adulta - come nel caso delle studentesse Erasmus morte in Spagna nel 2016 - l’ansia ha delle ragioni tangibili legate ai fatti di cronaca che nel tempo hanno raccontato di tragici incidenti d’autobus. Come quello occorso al pullman che si schiantò in un tunnel a Sierre, nei pressi del confine tra Italia e Svizzera nel 2012.
L’incidente choc
Il 13 marzo 2012, alle 21.15, un pullman con a bordo una scolaresca di ritorno da una settimana bianca nella Val d'Anniviers ebbe un terribile incidente. Come riportò Repubblica, la vettura trasportava 52 persone: di queste ne morirono 28, tra cui i due autisti e 22 bambini tutti all’incirca di 12 anni. Il bilancio dei feriti, tra cui alcuni gravi, fu di 24 persone, che però alla fine si ripresero tutte, sebbene alcune sul lungo periodo.
L’incidente avvenne in un tunnel sull’autostrada A9 nei pressi di Sierre nel Canton Vallese. I ragazzini con i loro accompagnatori avevano soggiornato a Lommel e Heverlee e stavano rientrando. Erano partiti da pochissimo, quando il bus ha impattato contro il guardrail, infrangendolo, e terminando la sua corsa contro una parete del tunnel.
I soccorsi sono stati allertati da una donna che si stava recando al lavoro, una madre che si è immedesimata nella tragedia, notando che c’erano moltissimi bambini a bordo. Dopo l’allarme sono intervenute 12 ambulanze e 8 elicotteri per i feriti, per un totale di 200 soccorritori. Chiamati a intervenire anche diversi psicologi, sia per i feriti sotto choc, sia per le famiglia delle vittime.
“C'era tanto sangue ovunque - ha raccontato la donna che ha dato l’allarme, Marielle, una guardia notturna a Le Nouveliste, nell’intervista poi riportata dalla Rai - e i bambini ancora vivi si agitavano per essere salvati. I sedili anteriori del pullman erano a pezzi, gli uni sugli altri. Era orribile. Vedo ancora tutti quei volti che mi guardavano, non so se erano vivi o morti. Ho pensato che era appena successo perché ho visto fogli volare ed il pullman ha iniziato a fumare. Non c'era ancora nessuno, né polizia, né vigili del fuoco. Mi sono resa conto che non potevo fare niente da sola e ho chiamato i soccorsi. Erano immagini atroci, degne di un film dell'orrore. Immagino il dolore dei genitori. Se fosse successo ai miei figli, non so cosa avrei fatto. Spero di aver fatto la cosa giusta”.
Le reazioni e il cordoglio
“Non abbiamo mai visto una cosa simile nel Vallese. È una situazione davvero orribile”, esclamò nell'immediatezza dell'incidente alla radio svizzera il portavoce della polizia del Canton Vallese. La maggior parte delle persone a bordo erano di nazionalità belga, ma c’erano anche alcuni olandesi. Il Belgio proclamò per l’occasione il lutto nazionale. “Un giorno tragico per il Belgio”, sentenziò il primo ministro belga Elio Di Rupo, cui fece eco il premier olandese Mark Rutte.
Di Rupo ricevette le condoglianze dall’allora presidente della Commissione Ue José Barroso, che scrisse: “Questo tragico evento assume una dimensione ancora più drammatica poiché la maggior parte delle vittime sono bambini”. Paola del Belgio con il marito, il re Alberto II andarono a trovare i genitori e i parenti delle vittime.
Nessuna responsabilità individuabile
Inizialmente si pensò a un malore, forse causato da una patologia coronarica da cui era afflitto il conducente, o forse da un colpo di sonno. In seguito emersero diverse ipotesi. Una avrebbe puntato a una presunta disattenzione: poco prima dell’impatto, l’autista avrebbe inserito un dvd nel lettore del pullman, secondo quanto riportò Il Secolo XIX.
Tuttavia, dopo queste speculazione, si pronunciò il procuratore generale di Sion, Olivier Elsig, con delle parole riportate dal Corriere della Sera: “Non abbiamo nessun testimone diretto che ha visto l'autista inserire il dvd. […] I bambini hanno detto cose sentite dire, ma nessuno ha visto con i propri occhi”. Fu accertato subito che la velocità del veicolo non era sopra i limiti e che il conducente non aveva assunto alcol.
"Ho perso il controllo". Quelle studentesse italiane ancora senza giustizia
Si è indagato anche sul fatto che l’autista assumesse un antidepressivo contenente paroxetina: il farmaco presenta tra gli effetti collaterali le pulsioni suicide, ma solo all’inizio del trattamento. L’uomo assumeva il farmaco invece da due anni, di recente aveva perfino dimezzato la dose e si avviava a eliminarlo dalle sue terapie, sotto supervisione medica. Quindi anche questa ipotesi si risolse in un nulla di fatto, tanto che a giugno 2014 venne chiesto di chiudere l’inchiesta penale contro ignoti per omicidio colposo e lesioni personali colpose, come riporta Swiss Info.
Alla fine si è proceduto comunque all’archiviazione da parte del Tribunale Federale nell’agosto 2015: non era infatti possibile individuare altra responsabilità penale che non ricadesse sull’autista, morto dell’incidente, e che quindi non poteva essere perseguito. Nelle motivazioni figurava infatti che “lo scopo dell'azione pubblica è strettamente limitato all'identificazione degli autori di infrazioni in vista della loro comparizione davanti alla giustizia penale”.
"Perso il controllo". Quelle studentesse italiane senza giustizia. Sette studentesse italiane persero la vita in un incidente d'autobus mentre studiavano in Spagna con il programma Erasmus: il processo inizierà alla fine del 2023. Angela Leucci su Il Giornale il 19 Febbraio 2023.
Tabella dei contenuti
La spensieratezza, poi la tragedia
Cosa si sa dell’incidente
A che punto è l’iter giudiziario
Un “gravissimo e assurdo incidente avvenuto in Spagna, che ha provocato la morte di tante giovani universitarie, soprattutto italiane”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella definì il tragico incidente stradale che coinvolse uno degli autobus che, in Catalogna nel 2016, riportava a casa degli studenti Erasmus. Nell’incidente persero la vita anche sette studentesse italiane.
La spensieratezza, poi la tragedia
È facile ma anche molto doloroso immaginare cosa oggettivamente sia accaduto - ma i dettagli e le responsabilità devono ancora essere chiarite dalla giustizia. Una carovana di 5 pullman compie una tratta da Valencia a Barcellona. A bordo ci sono in totale oltre 300 persone da tutto il mondo. Hanno trascorso una giornata spensierata: hanno partecipato alla Fiesta de las Fallas e ora stanno tornando ai loro alloggi di studenti Erasmus - il programma che permette agli studenti di frequentare alcuni corsi nelle università europee. È facile pensare alla loro gioia, quella stessa gioia che si sarà spenta in un attimo. Forse avranno mandato un messaggio a genitori e amici, dicendosi “stanchi ma felici”, scherzando su quest’espressione che si usava nei pensierini a scuola elementare.
Sono le 6 del mattino del 20 marzo 2016. È una domenica e albeggia. Gli autobus stanno attraversando la Ap-7 nel territorio di Tarragona. Uno di essi però perde il controllo, invade la corsia opposta e si schianta contro il guard rail: muoiono 13 giovani, ci sono 34 feriti tra cui alcuni in maniera molto grave. Tra i morti si registrano sette studentesse italiane: Francesca Bonello, Elisa Valent, Valentina Gallo, Elisa Maestrini, Lucrezia Borghi, Serena Saracino ed Elisa Scarascia Mugnozza. Come riporta Repubblica, nel bilancio tragico dei decessi si registrano quelli di altre studentesse: due tedesche, una rumena, una francese, un’austriaca e una uzbeka.
Cosa si sa dell’incidente
“Abbiamo riconosciuto a stento nostra figlia, era una ragazza bellissima”: fu il commento drammatico dei genitori di Serena Saracino a Pomeriggio 5 all’indomani dell’incidente. Intanto tra i feriti c’era anche un’amica delle scomparse, Annalisa Riba, che doveva essere operata per una grave lesione alle vertebre cervicali: non le fu detto nulla nell’immediato, per non addolorarla mentre si batteva per la propria vita.
Subito dopo l’incidente venne riferito che alcune studentesse fossero state sbalzate fuori dal bus perché non avrebbero allacciato la cintura di sicurezza. E venne scritto dalla stampa spagnola che l’autista, Santiago Rodriguez Jimenez, anche lui gravemente ferito, avrebbe pronunciato ai soccorritori le parole “Lo siento, me he dormido”, “Mi spiace, mi sono addormentato”, circostanza poi smentita dallo stesso autista, che attraverso il suo avvocato ha fatto sapere di aver “perso il controllo” del mezzo, come riportò l’Ansa. In ogni caso l’uomo è risultato negativo al test per alcol e droga.
Il colpo di sonno apparve l’ipotesi più plausibile dalla Mossos d’Esquadra, la polizia locale che stilò il rapporto sull’incidente. Ma l’ipotesi fu rigettata più volte dal gip, che ritenne che lo schianto non fosse nelle responsabilità dell’autista e scatenando la rabbia dei famigliari delle vittime. “Non è stata una tragedia casuale - commentò Paolo, padre di Francesca Bonello - ma nata da un viaggio organizzato in modo demenziale, perché imponeva una tabella di marcia massacrante: in 24 ore lo stesso conducente doveva guidare per 350 chilometri all’andata e 350 chilometri al ritorno”.
A che punto è l’iter giudiziario
Nel 2019 la corte d’appello di Tarragona ha stabilito che le responsabilità dell’incidente sarebbero state stabilite in un processo. Attualmente il suo inizio è previsto a ottobre 2023 e in quella sede, dopo vari rinvii - gran parte dovuti alla pandemia - verrà formulata l’ipotesi di reato ai danni di Santiago Rodriguez Jimenez, che è accusato di “omicidio imprudente”, come riporta La Stampa. Per lui saranno chiesti 4 anni di detenzione con rito abbreviato, misura che è stata definita dai famigliari delle vittime come una “richiesta simbolica”. Sarà stabilito anche un calendario di udienze.
Intanto i parenti delle studentesse scomparse scalpitano, tanto che Gabriele, il padre di Elena Maestrini ha scritto a Mattarella. “Purtroppo le nostre ulteriori preoccupazioni si sono avverate - ha scritto nel 2022 in una missiva pubblicata integralmente da RaiNews - non è bastato che tentassero per tre volte di archiviare questa tragedia motivando il tutto con la dicitura di un semplice incidente, avvalendosi della sola testimonianza falsa dell'autista e non considerando attentamente la relazione della Polizia Spagnola e le testimonianze degli studenti che si sono salvati”.
Papà Gabriele lamenta che l’autista abbia “sempre evitato di farsi interrogare, ha negato la dichiarazione riportata subito dopo i primi istanti dall’incidente” e che l’uomo abbia addebitato l’incidente ai freni e al fondo stradale bagnato di fronte ai giudici. Ma per il papà di Elena non finisce qui e si domanda se ci siano altre responsabilità di cui tenere conto, come per esempio quella del datore di lavoro di Jimenez, gli addetti alla sicurezza di quella strada, le infrastrutture autostradali e gli organizzatori della gita.
“Affrontando e approfondendo tutto questo ed altro - conclude Maestrini nella sua lettera - vorremmo far emergere la verità è le criticità nella speranza che tale tragedia non capiti mai più a nostri giovani che continueranno in queste esperienze di studio e di integrazione in questa Europa ancora troppo giovane. Oggi mi trovo nuovamente costretto a scrivere al nostro Presidente della Repubblica chiedendo solamente che lo Stato Italiano assuma una posizione ufficiale e che sia aperta una indagine parallela per approfondire le cause e concause materiali e/o morali avvenute a queste nostri connazionali”.
Estratto dell’articolo di Andrea Camurani per corriere.it il 2 luglio 2023.
Investita da un’auto e lasciata a terra priva di sensi: è successo sabato sera a Gemonio, […] in provincia di Varese. I carabinieri della compagnia di Luino stanno cercando l’auto pirata che non si è fermata a prestare soccorso alla vittima, una donna di 41 anni, residente in paese, morta in ospedale nonostante le cure dei medici […]
la donna è stata travolta e il veicolo investitore è scappato a tutta velocità attraversando la piazza della chiesa per dirigersi verso le scuole. L'auto avrebbe danneggiato anche una macchina su cui viaggiava una persona, già sentita dai militari. […]
Anche la dinamica dell’accaduto è al vaglio: le telecamere non hanno ripreso in maniera diretta l’evento. […] La vittima si chiamava Giuseppina «Giusy» Caliandro e viveva in una casa nel centro storico di Gemonio, dove si era trasferita da non molti anni. Aveva lavorato al bar della piazza ed era conosciuta in paese. Il punto dove è avvenuto l’incidente stradale mortale è a pochi metri da dove la donna abitava.
Testimoni riferiscono di aver sentito un forte rumore in strada al momento dell’incidente e che subito dopo l’investimento la donna era cosciente e parlava ai soccorritori. «Non sembrava neppure ferita, ha detto uno degli inquilini della casa di cortile dove la donna viveva. Poi il rapido peggioramento, lo stato di incoscienza e i tentativi di rianimazione da parte dei soccorritori prima della corsa in ambulanza a sirene spiegate.”
Estratto dell’articolo di Pierpaolo Lio per “il Corriere della Sera” il 19 luglio 2023.
«Ti prego, svegliati, non mi lasciare». Sull’asfalto ci sono due ragazzi. Hanno entrambi 15 anni. Lei apre gli occhi per un istante. Lui è immobile, in una pozza di sangue. Un uomo s’affanna, si dispera, piange e prega, e prova in qualche modo a rianimare il ragazzo in attesa dei soccorsi. È il guidatore del furgone che ha falciato i due giovani in bici, sulle strisce pedonali. Ha bevuto, ed è senza patente. Di nuovo.
Sono da poco passate le 22.30 di lunedì. Viale Kennedy, a Garbagnate Milanese, comune alle porte di Milano. L’impatto è devastante. Il Ford Transit bianco, intestato alla ditta per cui lavora l’uomo, Bogdan Pasca, romeno di 32 anni, ha metà cofano accartocciata, il parabrezza in frantumi. Il fragore dello schianto. L’urlo dei freni è solo successivo, secondo alcuni testimoni.
«È stata una scena straziante», racconta Maria, tra le prime ad accorrere. La bici è proiettata in un’aiuola. I corpi trascinati e sbalzati per 70 metri. Per il 15enne, Serafino Valentino Colia, per tutti Valentino, non c’è nulla da fare. Mezz’ora di rianimazione e la corsa disperata all’ospedale sono inutili. L’amica di Cesate, A.L., 16 anni oggi, viene trasportata al Niguarda: è in condizioni disperate, ma viva.
I ragazzi stavano uscendo per una serata con amici. Due di loro erano alle spalle di Valentino: hanno visto la scena mentre i coetanei attraversavano le strisce. Insieme ai rilievi, i loro racconti saranno utili a ricostruire la dinamica, vista l’assenza di telecamere. Pasca, invece, rientrava a Milano. Mancava mezz’ora alla scadenza che doveva rispettare: permesso d’uscita dalle 6 alle 23. Era in prova ai servizi sociali per reati precedenti. Lesioni e maltrattamenti.
Che si sommano a una lista fatta di minacce, detenzione ai fini di spaccio, ricettazione. E alla guida in stato di ebbrezza e senza patente, che Pasca avrebbe conseguito nel suo Paese, ma che non è stata trovata. E che di certo non ha mai convertito dopo il trasferimento in Italia. Di fatto, n’è sprovvisto. Come già successo in tre controlli: 2016, 2017, 2020.
In quest’ultima occasione aveva anche bevuto. Come lunedì. Tasso alcolemico doppio del consentito. […] Intanto, il sindaco di Garbagnate, Daniele Beretta, sottolinea: «Fatico a comprendere come il conducente, più volte denunciato, fosse ancora libero». […]
Incidente Garbagnate, chi è l'investitore Bogdan Pasca: fermato tre volte senza patente, era in prova ai servizi sociali. Matteo Castagnoli su Il Corriere della Sera il 18 Luglio 2023
L'ultima volta, nel 2020, il 32enne era stato bloccato mentre guidava in stato di ebbrezza. Aveva parecchi precedenti per lesioni, stupefacenti, ricettazione, minacce
Aveva precedenti ed era già stato fermato tre volte senza patente dal 2016 in poi. L'ultima nel 2020, quando le forze dell'ordine lo aveva scoperto mentre guidava in stato di ebbrezza. Come la sera di lunedì 17 luglio. Bogdan Pasca, 32enne romeno, si è messo di nuovo al volante sotto effetto di alcol. Un'ultima volta che è costata la vita a Valentino Colia, 15enne originario di Garbagnate, travolto poco dopo le 22.30 alla rotonda tra viale Kennedy e la provinciale 233 del Comune milanese mentre era in sella ad una bici con l'amica A. L., quasi 16 anni, residente in un Comune vicino, ora ricoverata in condizioni critiche all’ospedale Niguarda.
Quando ha colpito i due ragazzi, Pasca era alla guida del furgone Ford Transit intestato (e assicurato) alla società per la quale lavora, la Italiana strutture srls di Paderno Dugnano, un'azienda di costruzioni. Era solo sul mezzo. Poi è sceso. Non è andato via, ha provato a rianimarli: «Non mi lasciare», gridava. I carabinieri della compagnia di Rho lo hanno trovato lì dove tutto era successo.
Pasca oltre ad essere stato fermato già tre volte in passato, nel 2016, 2017 e 2020, aveva parecchi precedenti per lesioni, stupefacenti, ricettazione, minacce e, appunto, guida senza patente. Un documento che il 32enne avrebbe conseguito nel suo paese natale, ma che non è stato trovato. O perlomeno, non ha mai convertito dopo essersi trasferito in Italia. A Milano per la precisione, dove risiede.
L'uomo era inoltre affidato in prova ai servizi sociali proprio per alcuni di quei reati di cui s'era macchiato, in particolare per lesioni e maltrattamenti. Aveva permesso di uscita dalle 6 alle 23, una mezz'oretta prima dell'ora dello schianto. Possibile che stesse rientrando, dopo aver bevuto: il tasso alcolemico registrato era superiore a 1 grammo per litro, pari al doppio di quello consentito.
Sul luogo dell'impatto non ci sono telecamere, quindi gli investigatori stanno ancora ricostruendo la dinamica. Ci sono però dei testimoni: i due amici, anche loro in bici, dietro la vittima e la ragazza e che hanno assistito alla scena mentre si spostavano in un locale della zona per passare una serata estiva. Pasca è stato arrestato e portato al carcere di San Vittore. Il pm di turno Mauro Clerici nelle prossime ore inoltrerà al gip la richiesta di convalida dell'arresto e di custodia in carcere.
La quarta volta. Storia di Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 18 luglio 2023.
Lo fermano una prima volta senza patente, e va bene (si fa per dire). Lo fermano una seconda volta senza patente, e non va già più tanto bene. Ma lo fermano una terza volta, non solo senza patente, ma anche ubriaco, e non va bene per niente. Invece si prosegue fino all’altra sera, quando a Garbagnate lo fermano per la quarta volta, sempre ubriaco e sempre senza patente, ma ormai è tardi: al volante del furgone della ditta per cui lavora ha appena preso sotto due ragazzini che stavano attraversando le strisce pedonali in bici, e uno è morto sul colpo, l’altra è in prognosi riservata. Che cosa poteva fare la comunità per proteggersi da Bogdan Pesca e scongiurare il rischio che la sua reiterata tendenza a infischiarsene delle regole producesse prima o poi una tragedia? Quante volte si deve mettere in atto un comportamento pericoloso per essere posti nelle condizioni di non farlo più? Chi non riesce a prevenire il prevedibile finisce per trasformarlo in ineluttabile. Quest’uomo di trentadue anni ha una biografia costellata di piccoli reati, ammesso che lesioni e maltrattamenti possano essere definiti tali. La giustizia lo aveva affidato ai servizi sociali, però sarebbe interessante sapere se qualcuno avesse avvertito i suoi datori di lavoro che, tra i compiti che potevano affidargli, non andava assolutamente contemplata la guida di un furgone. Certo, parlare dopo è facile. Ma non fare mai nulla prima sta diventando insopportabile. Il Caffè di Gramellini vi aspetta qui, da martedì a sabato. Chi è abbonato al Corriere ha a disposizione anche «PrimaOra», la newsletter che permette di iniziare al meglio la giornata. Chi non è ancora abbonato le modalità per farlo e avere accesso a tutti i contenuti del sito, tutte le newsletter e i podcast, e all’archivio storico del giornale.
Da Report.
Da Leggo.
Da Il Corriere della Sera.
Da Il Corriere del Giorno.
Da Il Messaggero.
Da La Stampa.
Da la Repubblica.
Da Il Sole 24 ore.
Da Il Domani.
Da L’Identità.
Da Il Giornale.
Da Libero Quotidiano.
Da Il Riformista.
Da L’Unità.
Da Report.
Gli smemorati di Venezia. Report Rai PUNTATA DEL 29/10/2023 di Giulia Presutti
Collaborazione di Lidia Galeazzo e Andrea Tornago
Il 3 ottobre scorso un pullman con a bordo 35 turisti è precipitato da un cavalcavia di Mestre.
Nello schianto sono morte 21 persone mentre le altre 15 sono state portate in ospedale con ferite gravissime. Secondo i primi rilievi, il bus si è accostato a destra strusciando sul guard rail per quasi 50 metri. Poi è precipitato in corrispondenza di un varco di servizio. Ma perché la continuità della barriera era interrotta da un'apertura che si è rivelata fatale? E perché il bus, guidato da un autista esperto, sembra esser stato negli ultimi istanti privo di controllo? Il tratto di strada dove è avvenuto l'incidente è sottoposto alla gestione del Comune, che stava svolgendo dei lavori per la messa in sicurezza del viadotto, ma non li aveva ancora terminati. Il bus, invece, è di proprietà dell'azienda Martini Bus, controllata da La Linea Spa, e fa parte di una flotta di 20 pullman elettrici prodotti dal colosso cinese Yutong che sono l'avanguardia della mobilità a zero emissioni. Per l’incidente, intanto, la procura ha iscritto nel registro degli indagati due tecnici del Comune e l'AD di La Linea.
Comunicato stampa REPORT RAI 3, DEL 29.10.2023
PRECISAZIONI YUTONG Zhengzhou, Cina, 2 novembre 2023
Spettabile Redazione, in merito al servizio “Gli smemorati di Venezia” della trasmissione televisiva Report di Rai 3 andato in onda lo scorso 29/10, Yutong desidera fornire alcuni elementi di informazione. Manuale in cinese Con la consegna dei propri automezzi, Yutong fornisce un set completo di manuali per i servizi di bordo nelle lingue locali, tra cui l’italiano. I manuali comprendono, tra l’altro, manuale di manutenzione, manuale di garanzia della qualità, manuale di manutenzione per la sicurezza e gestione delle batterie e manuale di emergenza. Sistema di frenata E12 (ZK6128BEVG) L’E12 adotta la piattaforma Yutong ReCtrl che integra sistemi di controllo software e hardware sicuri e affidabili per garantire un funzionamento sicuro dei veicoli. I dati dei test sulle prestazioni di frenata di Yutong E12 sono superiori agli standard UE e agli standard del settore. L’autobus elettrico E12 Yutong adotta il sistema frenante WABCO EBS. Il sistema EBS non interviene in modo energico in condizioni di superfici stradali scivolose evitando di provocare il bloccaggio delle ruote. Questi veicoli circolano in diverse nazioni nel mondo e Yutong non ha mai ricevuto segnalazione di difetti di fabbricazione o problematiche di sicurezza per gli E12. Incidente 16 giugno 2023 e relativo guasto ai freni Verifiche successive hanno escluso malfunzionamenti e Yutong non ha ricevuto quindi segnalazioni specifiche. E12 (ZK6128BEVG) è un prodotto della linea di autobus elettrici a zero emissioni di Yutong riconosciuto dagli utenti di tutto il mondo. Grazie per l’attenzione. Maggiori informazioni su Yutong
GLI SMEMORATI DI VENEZIA di Giulia Presutti Collaborazione di Lidia Galeazzo e Andrea Tornago Immagini di Paolo Palermo e Davide Fonda Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi e Paola Gottardi Montaggio di Sonia Zarfati e Andrea Masella Grafica di Giorgio Vallati
SEBASTIANO BRUNEO - AUTISTA Ti svegli una mattina pensando che sia un giorno normale come tanti, ti svegli presto e vai a lavorare. Ma quando suona la sveglia senti anche la notizia che un collega e altre venti persone… l’ennesima tragedia.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Alberto Rizzotto aveva 40 anni e faceva l’autista da dieci. La sera del 3 ottobre scorso guidava un pullman elettrico con a bordo 35 turisti. Aveva preso servizio da nemmeno due ore. Se abbia avuto un malore, o non sia riuscito a frenare, non è chiaro, ma a destinazione il bus non è riuscito a portarlo.
GIULIA PRESUTTI Si puntano tutte le luci sull’autista e sulla condizione in cui era quando è successo l’incidente. Come la fa sentire questa cosa?
SEBASTIANO BRUNEO - AUTISTA Quello che ci dimentichiamo è che se in quel tratto di strada, che ho fatto tante volte, e dove il Comune di Venezia vuole trecentottanta, quasi quattrocento euro al giorno per entrare con i bus turistici, se ci fosse stata una protezione adeguata noi adesso non saremmo qui a parlarne.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Circa un mese fa un pullman elettrico di fabbricazione cinese, l’E12 Yutong, quelli che trasportano i turisti che vengono ad ammirare le bellezze della laguna, è precipitato da un cavalcavia, che è anche una delle maggiori arterie che collega Venezia con Mestre. A nulla è servito il guardrail, perché di vecchia costruzione, anni Sessanta, era troppo basso e anche interrotto. Ora da chi dipendeva metterlo a norma? Ora l’articolo 14 del Codice stradale dice che spetterebbe al gestore controllare l’efficienza tecnica della strada e anche delle barriere quindi anche del guardrail. Nel 2001 l’Anas che l’aveva costruito, passa la gestione in mano alla Provincia, nel 2015 passa al Comune. Bene, nonostante l’adeguamento fosse imposto da una legge del 1992 in trent’anni nessuno ha pensato di mettere a norma quel guardrail e, dopo l’incidente, è emerso anche che qualcuno aveva inviato dei documenti in Procura riguardanti il possibile degrado di quel cavalcavia. Insomma, sempre tutto dopo e anche dopo l’incidente comincia il gioco del passaggio del cerino acceso di mano in mano.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Sono le 19.38 a via Rampa Cavalcavia, un incrocio di rampe che collega il centro di Venezia a Mestre e Marghera. Una delle arterie principali della città. Sul ponte a destra si vede un bus della società lagunare Martini. Viaggia a circa trenta chilometri orari. A un certo punto si accosta a destra strusciando sul guardrail per alcune decine di metri. Poi vola giù per 15 metri schiantandosi sull’asfalto con autista e passeggeri. Ventuno vittime, la più giovane aveva appena un anno. Dai primi rilievi è emerso che la barriera in quel tratto di strada era alta appena 50 centimetri e, a un certo punto, era interrotta da un varco lungo circa un metro.
MEMBRO DEL CDA LA LINEA SPA Semplicemente bastava che non ci fosse quel buco in mezzo. Ha superato il guardrail, sicuramente quella è una transenna… forse serve per uno che passa a piedi.
GIULIA PRESUTTI L’autobus sale sopra la barriera praticamente.
FELICE GIULIANI - PROFESSORE DI STRADE, FERROVIE E AEROPORTI - UNIVERSITÀ DI PARMA La trancia, se la porta dietro.
GIULIA PRESUTTI E cosa determina poi la caduta?
FELICE GIULIANI - PROFESSORE DI STRADE, FERROVIE E AEROPORTIUNIVERSITÀ DI PARMA La barriera di fatto è una fune tesa. Lei ha mai visto una fune tesa che si taglia e continua a trattenere qualcosa? Direi proprio di no. Quella interruzione di continuo non solo non è prevista dalla legge ma sostanzialmente è un nonsenso ingegneristico.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Un nonsenso, forse messo lì per facilitare l’accesso a chi doveva fare la manutenzione. Una beffa perché per anni la manutenzione non è stata fatta.
GIULIA PRESUTTI Perché il cavalcavia, diciamo, aveva un guardrail che era interrotto in un punto, che comunque era inadatto?
RENATO BORASO - ASSESSORE ALLA MOBILITÀ COMUNE DI VENEZIA Perché il progetto realizzato da Anas, quando io sono nato, è stato realizzato con dei varchi, per accesso… non ce n’è uno ce n’erano tre.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO L’Anas nel 2001 ha ceduto la gestione di quel tratto di strada alla Provincia, poi è passata al Comune. La legge sulle barriere stradali è del 1992 e prevederebbe un guardrail più alto e continuo, ma il viadotto di Mestre è stato costruito trent’anni prima, e perciò a quella legge, non è soggetto. È rimasto lì senza che nessuno se ne preoccupasse.
GIULIA PRESUTTI Le competenze erano del Comune su quel tratto di strada.
RENATO BORASO - ASSESSORE ALLA MOBILITÀ COMUNE DI VENEZIA C’è un atto commissariale che ha definito che dal 2 aprile 2015 la manutenzione della strada, perché la proprietà è dello Stato, di questo cavalcavia, a noi è stata affidata la manutenzione.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Nei giorni dopo l’incidente è circolata la notizia di un misterioso incartamento che sarebbe arrivato in Procura già un anno fa, proprio dopo le dichiarazioni alla stampa dell’assessore Boraso, contenente le informazioni sullo stato di degrado in cui versava il cavalcavia
GIULIA PRESUTTI Si dice appunto che la Procura avesse già dei documenti.
BRUNO CHERCHI - PROCURATORE CAPO DI VENEZIA Mah, si dice…
GIORNALISTA Lo dice il Comune.
BRUNO CHERCHI - PROCURATORE CAPO DI VENEZIA Ah, lo dice il Comune. E allora lo accerteremo.
GIULIA PRESUTTI Però diciamo un assessore che lamenta un pericolo per l’incolumità pubblica…
BRUNO CHERCHI - PROCURATORE CAPO DI VENEZIA Mi faccia cercare il fascicolo però senza il fascicolo non le posso risponderle, tra l’altro il nostro archivio non è qua è a Marghera, quindi, bisogna mandare qualcuno a Marghera che deve cercare il fascicolo sperando che lo trovi…
GIULIA PRESUTTI Alla fine, l’ha trovato ma era stato archiviato. Intanto le indagini il procuratore le ha affidate ai vigili urbani, che stanno svolgendo delicatissimi rilievi sul tratto stradale dove è avvenuto l’incidente. Ma si tratta della polizia del Comune, che è l’istituzione coinvolta dalle indagini.
GIULIA PRESUTTI Noi ci siamo chiesti perché il procuratore abbia affidato a voi, visto che voi rispondete al sindaco.
MARCO AGOSTINI - COMANDANTE GENERALE POLIZIA STRADALE – COMUNE DI VENEZIA Il cento per cento degli incidenti stradali li rileviamo noi. E noi non rispondiamo al sindaco come ufficiali di polizia giudiziaria. Arrivederci.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Percorrendo il tratto di strada dove i vigili fanno le indagini, troviamo operai e un cantiere aperto. Sono i lavori iniziati dal Comune sul viadotto appena un mese prima dell’incidente e riguardano anche le barriere.
OPERAIO Questi praticamente vengono fino là dov’è l’incidente, tutto mi sa. Non so. Però là ancora non è cantiere.
GIULIA PRESUTTI Non avete fatto in tempo.
OPERAIO Per là? No. No.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Eppure, il progetto per sostituire i guardrail non a norma con quelli più performanti risale al 2018. Ma l’approvazione del finanziamento è arrivata solo nel 2022 e prevede l’utilizzo di 5 milioni e quattrocentomila euro di fondi Pnrr.
GIULIA PRESUTTI Voi avevate capito che quel guardrail andava sostituito perché avevate fatto anche un progetto.
RENATO BORASO - ASSESSORE ALLA MOBILITÀ COMUNE DI VENEZIA È un Paese in cui per arrivare ad affidare una gara ci vogliono dei tempi enormi.
GIULIA PRESUTTI Però potevate mettere almeno in sicurezza provvisoriamente.
RENATO BORASO - ASSESSORE ALLA MOBILITÀ COMUNE DI VENEZIA Non faccio il tecnico e ci sono dei periti del tribunale che fanno le valutazioni su questa cosa.
GIULIA PRESUTTI Quello che ci siamo chiesti noi e se non avete, diciamo, evitato di adottare misure impopolari che creassero traffico, no?
RENATO BORASO - ASSESSORE ALLA MOBILITÀ COMUNE DI VENEZIA Non dovrei neanche rispondere perché ci sono le indagini della Procura. Lasciate la Procura fare le proprie indagini.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO La Procura ha iscritto nel registro degli indagati anche due funzionari del Comune. Il Codice della Strada impone all’ente gestore la verifica dell’efficienza delle strade e delle barriere. Se l’efficienza non è garantita il Ministero poi obbliga a provvedere. Nel luglio 2023 il Comune di Venezia ha inaugurato un altro cavalcavia con 20 milioni di fondi del Mise. Ironia della sorte, si trova a poche centinaia di metri da quello incriminato che nel frattempo attendeva di essere sistemato e che invece presenta ancora oggi aperture sul guardrail.
GIULIA PRESUTTI Sindaco buongiorno, Giulia Presutti Report.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA No, Report no.
GIULIA PRESUTTI Come Report no? Avete parlato con tutti su questa storia dell’incidente Sindaco.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA No, non mi piace la vostra trasmissione.
GIULIA PRESUTTI Non vuole parlare con noi?
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA No. No.
GIULIA PRESUTTI Neanche nel caso di ventuno persone morte?
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA No, no. Non ho un bel giudizio della trasmissione.
GIULIA PRESUTTI Sì, ma al di là dei giudizi di qualità televisivi, diciamo, c’è stato un incidente gravissimo.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Scrivete pure che è una trasmissione faziosa, l’ho sempre detto e lo dichiaro ancora per cui…
GIULIA PRESUTTI Voi avete approvato e realizzato il progetto di un altro cavalcavia che è stato finanziato per venti milioni, quello di via Torino.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Non avete credibilità ai miei occhi. Potete leggere gli altri giornali e gli altri vostri colleghi meno faziosi che sanno le cose.
GIULIA PRESUTTI Io la risposta a questa domanda non l’ho trovata, io non ho capito perché il Comune…
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Ma voi no, perché siete una trasmissione faziosa.
GIULIA PRESUTTI No, i giornali però li leggo quindi non ho…
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Non lo so, se lei è faziosa li legge come vuole lei. Fuori dalla proprietà.
VIGILESSA Posso vedere il tesserino?
GIULIA PRESUTTI Certo. GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Oltre al viadotto di Via Torino, nel 2022 il Sindaco Brugnaro ha inaugurato fra gli applausi dei presenti anche l’arrivo in città dei pullman elettrici come quello caduto giù dal cavalcavia. Il modello è prodotto dal colosso cinese Yutong ed è l’avanguardia della mobilità a zero emissioni.
ALBERTO FRANCESCONI – GIORNALISTA IL GAZZETTINO Sono stati presentati 20 bus elettrici che vengono utilizzati nelle linee urbane. GIULIA PRESUTTI Sono stati una manna dal cielo.
ALBERTO FRANCESCONI – GIORNALISTA IL GAZZETTINO C’è stata anche la benedizione.
GIULIA PRESUTTI La benedizione del prete?
ALBERTO FRANCESCONI – GIORNALISTA IL GAZZETTINO Sì, erano stati benedetti.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Oltre all’ipotesi del malore dell’autista, per l’incidente del 3 ottobre la Procura ragiona anche su quella del guasto tecnico. I pullman E12 Yutong sono arrivati in Italia nel 2021 e diverse città li stanno testando. in Italia li commercializza la Powerbus, società riconducibile a Massimo Fiorese, amministratore delegato della Martini Bus, l’azienda del pullman precipitato dal cavalcavia. Martini Bus è controllata da La Linea, che fa capo per il 40% sempre a Massimo Fiorese.
GIULIA PRESUTTI Quindi La Linea compra da Powerbus, significa che Fiorese compra da sé stesso.
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Fiorese, come “La Linea”, compra da se stesso, come Powerbus. Sì, è tutto un giro di autobus fra di loro. La sua società Powerbus facendo questa operazione di compravendita guadagna parecchio perché l’ultimo bilancio ha fatto 10 milioni di ricavi e 800 mila euro di utili. Ma guadagna anche La Linea perché fa addirittura 20 milioni di fatturato e utili per 450mila euro. Anche la Martini, anzi guadagna molto bene perché fa sei milioni di fatturato e ottocentomila euro di utile.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Fiorese è ora indagato dalla Procura come atto dovuto per l’incidente del 3 ottobre. La sua Powerbus è riuscita a piazzare i bus, oltre che a Venezia, in diverse città italiane come Bergamo, Udine, Padova.
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO LA LINEA SPA Ne sono stati venduti solo lo scorso anno circa 450 in Europa. Ce ne sono un centinaio oggi in Italia, ce ne sono 175mila di questi al mondo.
GIULIA PRESUTTI Venezia si è accaparrata venti esemplari che La Linea utilizza come navette per i turisti ma anche come autobus per il trasporto pubblico. L’azienda ha infatti un contratto d’appalto con il Comune che vale tre milioni e mezzo all’anno, per nove anni.
ALBERTO FRANCESCONI – GIORNALISTA IL GAZZETTINO Gestisce otto o nove linee urbane di trasporto con i propri mezzi che sono assolutamente uguali, a vedersi, a quelli del servizio pubblico, hanno soltanto un logo che è diverso e ovviamente il personale che è il personale privato dell’azienda.
GIULIA PRESUTTI Questa società, quindi, copre il 10% di tutto il trasporto pubblico su terra…
GIANFRANCO BETTIN - CONSIGLIERE COMUNALE – GRUPPO VERDE PROGRESSISTA Sì, sono poco meno di un milione di chilometri di percorrenza annuali. Un servizio molto importante e complesso in cui il traffico è molto intenso e anche differenziato.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO E proprio in una di queste tratte urbane, a nemmeno venti giorni dalla tragedia del cavalcavia, un altro bus Yutong de La Linea, identico al primo, si è schiantato sul pilastro di un portico. Questo è il video inviato a Report da un testimone, mentre 15 passeggeri venivano portati in ospedale per ferite non gravi. L’autista ha dichiarato di aver avuto un malore e di aver visto tutto bianco, a differenza di un altro autista de La Linea che a giugno scorso aveva fatto un tamponamento sulla statale dichiarando poi che i freni del bus non avrebbero funzionato.
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO Se andiamo in un’altra azienda che fa il nostro lavoro i sinistri sono lo stesso, gli stessi numeri.
GIULIA PRESUTTI Secondo lei, quindi, sono stati tutti malori?
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO Ma non so perché io non c’ero.
GIULIA PRESUTTI Quindi non è sicurissimo neanche lei di questa cosa.
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO Non ho detto questo, ho detto che apprendo queste cose da quello che leggo.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Per capirne di più proviamo a prendere il bus, che non è più lo Yutong ultimo modello perché dopo i tre incidenti il Comune l’ha sospeso per verifiche.
AUTISTA Io vivo di questo mestiere qua. Questa ditta qui non ha mai mancato un giorno lo stipendio, al giorno 10 ti pagano tutto quanto.
GIULIA PRESUTTI Appunto non è che è facile andare a dire c’è un problema.
AUTISTA Tu ci credi alle coincidenze? Per me è stata solo una coincidenza.
GIULIA PRESUTTI Però tre incidenti in due mesi.
AUTISTA Il primo, se non mi sbaglio, dice che frenava e accelerava. Però gli altri due secondo me sono stati malori fisici. Sarà un caso.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Alla fine, veniamo allontanati. Nei mesi scorsi gli autisti de La Linea avrebbero segnalato all’azienda alcune difficoltà riscontrate mentre guidavano i bus. Riusciamo a raggiungere uno di loro, dipendente da oltre 20 anni.
AUTISTA LA LINEA SPA Per me il peso che ha il bus… sembrerebbe che l’impianto frenante non sia adibito al peso del bus. Più freni e meno frena, capisce? Col bagnato lo freni e via dritto.
GIULIA PRESUTTI A lei è capitato questo?
AUTISTA LA LINEA SPA È capitato sì, è andato via dritto. Queste anomalie che si accendevano, le spie, c’era un simbolo rosso, del volante rosso, quello per me, da ignorante, dico che manca l’idroguida. Se manca l’idroguida il volante si blocca. E bisogna vedere come facevano le manutenzioni.
GIULIA PRESUTTI Avete almeno un manuale di istruzioni se succede qualcosa? AUTISTA Ci sono questi libretti di manutenzione, però sono scritti tutti quanti in cinese.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Spulciando sul sito Yutong non si trovano riferimenti a difetti di fabbrica dei pullman. Le uniche precauzioni d’uso sono nella sezione francese e riguardano il deceleratore o retarder, un sistema che in aggiunta ai freni aiuta a rallentare. Secondo la casa cinese bisogna fare attenzione perché se molto sollecitato il retarder si può surriscaldare. Un autista esperto di bus elettrici ci spiega perché.
AUTISTA Le anomalie che abbiamo riscontrato sono soprattutto sui fondi scivolosi dove praticamente c’è un bloccaggio di un asse delle ruote perché a basse velocità, che è la velocità che si esegue all’interno del percorso cittadino, questo retarder interviene in maniera violenta facendo praticamente bloccare una parte del pullman e facendo allungare i tempi, gli spazi di frenata addirittura
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO È una guida complessa e servono autisti esperti. Quelli de La Linea e della Martini hanno alle spalle anni di esperienza e sono un vanto per l’azienda.
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO LA LINEA SPA Io non li conosco tutti i 280 autisti ma quello, quello che ha fatto il salto, lo conoscevo e anche bene perché era con noi da tanti anni, perché sono quelli, diciamo, d’élite.
GIULIA PRESUTTI Gli autisti sono in grado di guidare questi bus?
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO LA LINEA SPA L’autobus ha dei tipi di accortezza diversi nella guida e su questo gli viene fatta una formazione e gli viene spiegato: guarda che l’autobus è elettrico, prima di tutto. L’autobus ha un tipo di frenatura diversa.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Uno degli autisti però ci racconta una realtà diversa da quella che ci ha detto il manager del La Linea: i corsi di formazione su quegli autobus non sarebbero stati fatti.
AUTISTA Non ci hanno fatto né un corso né niente. Sono arrivati belli belli belli belli belli. Lo abbiamo solamente provato il giorno prima e il giorno dopo siamo andati lì, toh. Abbiamo fatto una riunione per come va, diciamo, adesso l’azienda e ci hanno spiegato un po’ l’impianto frenante, le batterie in alto, l’energia dove va, come se la prende.
GIULIA PRESUTTI Cioè voi avete fatto questa riunione dopo gli incidenti?
AUTISTA L’abbiamo fatta sì, il giorno 19.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Per fortuna La Linea è in attesa di prendere nuovi autisti altamente formati. A Venezia esiste una Academy di alto livello gestita dall’azienda Umana Forma che con un corso di 230 ore abiliterà alla guida nuovi autisti che in futuro potranno lavorare con le aziende del territorio come La Linea.
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO LA LINEA SPA Per formare nuovi autisti, come si dice, ci attiviamo anche con l’interinale.
GIULIA PRESUTTI Voi lo fate con Umana.
MASSIMO FIORESE - AMMINISTRATORE DELEGATO LA LINEA SPA E noi credo che lo facciamo con Umana ma che sia Umana o che sia Adecco, abbiamo utilizzato di tutto, chi se ne frega, basta che lo facciano.
GIULIA PRESUTTI FUORI CAMPO Umana a Venezia è l’impero fondato dal Sindaco Brugnaro. Lo controlla LB, una holding che porta le iniziali del primo cittadino. Per evitare conflitti di interesse nel 2017 Brugnaro l’ha passato ad un avvocato americano di nome Ivan Anthony Sacks
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Lui ha affidato le sue azioni a un fiduciario tramite un’operazione che chiamano di trust cieco nel senso che lui non può vedere cosa fa il fiduciario, il quale ha il possesso di queste azioni che gli sono state affidate, ma non ne ha la proprietà: la proprietà è di Brugnaro.
GIULIA PRESUTTI È una questione di apparenza quindi.
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO È una questione di apparenza sì.
GIULIA PRESUTTI Però non cambia l’interesse che ha nei confronti di questo gruppo.
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Beh, scusi, 34 milioni di utile netto…
GIULIA PRESUTTI Vanno a Brugnaro?
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI RICICLAGGIO Certo che vanno a Brugnaro, quindi lui dirà: lunga vita al gruppo, no?
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora l’incidente è avvenuto su un tratto di strada gestito dal Comune, indipendentemente dalle responsabilità, che dimostrerà la magistratura il guardrail non è stato adeguato alle norme e doveva farlo il Comune. Ora la magistratura sta indagando il manager della società dei pullman, due funzionari del Comune, l’ipotesi di reato: omicidio stradale, omicidio colposo plurimo. Però sarà dirimente la perizia che è stata affidata allo stesso tecnico che ha periziato il crollo de ponte Morandi. Ora, al di là di questo però i magistrati stanno anche valutando varie piste; il possibile malessere dell’autista o un guasto, un difetto possibile sul pullman, anche se la ditta cinese che li ha costruiti ha detto che non sono mai arrivati dei reclami, delle segnalazioni. Tuttavia, c’è chi non li fa circolare come a Padova, dove invece continuano a circolare come a Udine. A Venezia invece la società che gestisce il trasporto privato, le navette private come anche le linee pubbliche ne ha comprati venti costo 10 milioni di euro. Il Comune di Venezia, dopo un blocco del traffico totale di questi mezzi, ne ha rimessi in circolazione solo alcuni. Bene, la nostra Giulia Presutti ha raccolto la testimonianza di un autista che ha detto che non sono stati mai fatti corsi di formazione su questi mezzi e che non è neanche possibile conoscerne bene le caratteristiche perché i manuali sono in lingua cinese. Questo autista ha anche raccontato di una riunione avvenuta dopo gli incidenti nella quale si sarebbe anche parlato, per la prima volta, di come funziona il sistema frenante dei mezzi elettrici e anche, insomma, il sistema delle batterie. Dopo, sempre dopo. Quella di Mestre sembra il Bignami perfetto per creare il giusto contesto per la tragedia perfetta.
La misericordia di Brugnaro. Rai Report PUNTATA DEL 05/11/2023
di Walter Molino e Andrea Tornago
Saremmo lo schifo dell'Italia per aver posto delle domande.
Report racconta le ultime vicende che hanno interessato uno degli edifici storici più belli di Venezia: la scuola della Misericordia.
-02 novembre 2023
Riportiamo la precisazione della società SMV
Le informazioni fornite dalla società SMV non smentiscono le notizie contenute nel servizio. Continuiamo anzi a chiederci quale fosse il senso della presenza al 20% del consorzio Aedars nella società SMV, consorzio che senza aver investito un euro, e senza nemmeno aver versato integralmente il capitale sociale, avrebbe beneficiato degli utili della SMV per la sua quota parte. Sono domande che si pone lo stesso Tribunale per le misure di prevenzione di Roma nel decreto di confisca nei confronti di Pietro Tindaro Mollica, ritenendo la partecipazione del consorzio nella Misericordia una vicenda "anomala" e "inspiegabile". Ribadiamo pertanto la nostra richiesta alla società SMV di chiarire questo passaggio che riteniamo di interesse pubblico.
-05 novembre 2023
Poco prima della messa in onda la società SMV ci ha inviato una diffida visibile qui.
Spett.le REDAZIONE REPORT Via Teulada n. 66 00195 ROMA c.a. dott. Sigfrido Ranucci c.a. dott. Walter Molino Via PEC all’indirizzo: Via e-mail all’indirizzo:
Spett.le RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A. c.a. dott.ssa Marinella Soldi Presidente c.a. dott. Roberto Sergio Amministratore Delegato Venezia-Marghera, 4 novembre 2023 Oggetto: “La Misericordia di Brugnaro” e “Cosa Veneta” – dal sito rai.it/programmi/report/inchieste Diffida. Gentili Signori, invio la presente in qualità di legale rappresentante della società Scuola della Misericordia di Venezia S.p.A.. In merito alle notizie riportate sul vostro sito in data odierna sotto i titoli richiamati in oggetto, si rappresenta quanto segue. Abbiamo scritto alla Vostra Redazione dapprima in data 8 maggio 2023 e successivamente in data 26 settembre 2023, allegando documenti (anche pubblici) e fornendo informazioni, riferimenti e fatti puntuali e dettagliati. In data 13 ottobre 2023, da ultimo, abbiamo inviato alla Vostra Redazione la certificazione antimafia della Società, dopo essere stati sentiti il giorno 14 giugno 2023 presso gli uffici della Prefettura di Venezia alla presenza del Gruppo Interforze Antimafia (Vice Prefetto, Questura, Comando Provinciale dei Carabinieri, Comando Provinciale della Guardia di Finanza, DIA di Padova). Come da documento in Vostro possesso, per la Società e per tutti i soggetti di cui all’art. 85 del D.Lgs. 159/2011 sono state inoppugnabilmente escluse cause di decadenza, di sospensione o di divieto ai sensi del Codice Antimafia. Come ricostruito nelle comunicazioni già in Vostro possesso dell’8 maggio e del 26 settembre u.s., il Consorzio Aedars era stato invitato nel 2008 a partecipare al bando di gara per la concessione e la gestione della Scuola Grande della Misericordia da parte delle due società promotrici, la San Paolo Partecipazioni S.p.A. e la Realty Vailog S.p.A.. Lo stesso invito era stato rivolto, sempre da parte delle due società promotrici, a Umana S.p.A., in quanto titolare della squadra di basket Reyer Venezia Mestre – che aveva avuto in passato proprio la Scuola della Misericordia come edificio ospitante le partite disputate in casa – e che avrebbe dovuto occuparsi della gestione dell’immobile una volta terminati i lavori. All’evidenza, quindi, il Consorzio Aedars non è stato scelto da Umana S.p.A. ed era sconosciuto alla medesima fino a quel momento. E ancora: nel 2009, anno in cui viene costituita la compagine societaria che poi si aggiudicherà la gara per la concessione e gestione dell’immobile, il Consorzio Aedars era dotato della documentazione antimafia regolarmente presentata al Comune di Venezia, come verificato dagli organi di controllo. Il signor Pietro Mollica non ha mai fatto parte degli esponenti del Consorzio Aedars noti alla Società, e non ha mai ricoperto cariche all’interno del Consorzio dal 2009, anno a partire dal quale sono intercorsi i rapporti tra Umana e Aedars all’interno di Scuola della Misericordia di Venezia S.p.A.. Scuola della Misericordia di Venezia S.p.A. e i suoi esponenti presenti e/o passati hanno costantemente chiesto agli amministratori del Consorzio Aedars gli adempimenti societari necessari. E’ evidente che la vicenda si è chiusa finalmente e definitivamente in data 8 marzo 2023, con l’acquisto da parte della società Umana S.p.A. della quota di minoranza direttamente nella titolarità dell’Erario dello Stato (e in precedenza di proprietà del Consorzio Stabile Aedars S.c.a.r.l.), che dal 2019 l’ha amministrata per il tramite dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Non sarà quindi ammessa alcuna comunicazione che accosti alcuna società del Gruppo Umana ed esponenti delle medesime, presenti e/o passati, a società e/o persone colpite da provvedimenti antimafia. Non saranno parimenti ammesse ricostruzioni giornalistiche che non tengano conto delle informazioni e comunicazioni a Voi già rese. Diffido tutti i soggetti in indirizzo dal diffondere a mezzo televisione o stampa o con qualsiasi altro mezzo di comunicazione, notizie che accostino alcuna società del Gruppo Umana ed esponenti delle medesime, presenti e/o passati, a società e/o persone colpite da provvedimenti antimafia. Tutelerò il buon nome della Società e del Gruppo di cui fa parte e degli esponenti delle medesime, presenti e/o passati, in ogni sede e con ogni mezzo ritenuto opportuno. Distinti saluti Scuola della Misericordia di Venezia S.p.A. Il Presidente del Consiglio di Amministrazione Avv. Luca Gatto
---
Nella nostra inchiesta diamo conto con chiarezza dell'acquisto avvenuto l'8 marzo scorso delle quote "ex Aedars" di SMV (20%) da parte del socio Umana dall'Agenzia nazionale per i beni confiscati, e sottolineiamo il via libera dato dalla Prefettura. Noi cerchiamo di sollevare alcuni interrogativi rivolti a Luigi Brugnaro che - nella sua qualità di imprenditore prima e di sindaco poi - ha avuto un ruolo importante nella vicenda della Misericordia. La sua Umana infatti nel 2009 decide di costituire una società con il consorzio Aedars per il restauro della Misericordia. Le quote del consorzio Aedars vengono sequestrate dal tribunale per le misure di prevenzione di Roma nel 2015 ma - come riferisce la stessa SMV - la pratica antimafia viene aggiornata solo nel 2023 (anche se rispetto a questo SMV non ha alcuna responsabilità).
A partire dal 2015 Luigi Brugnaro diventa sindaco di Venezia e rappresenta l'Ente che possiede e dà in concessione, nell'ambito del project financing, la Misericordia. Come mai non viene aggiornata per anni la pratica antimafia? Riguardo all'ultimo paragrafo di diffida, nella nostra inchiesta abbiamo semplicemente riportato quanto risulta da documenti ufficiali
LA MISERICORDIA DI BRUGNARO di Walter Molino e Andrea Tornago Immagini di Davide Fonda, Cristiano Forti, Marco Ronca e Andrea Lilli Ricerca immagini di Paola Gottardi e Alessia Pelagaggi Montaggio di Andrea Masella, Giorgio Vallati e Sonia Zarfati
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Dentro questo palazzo si svolge il Ballo del Doge, l’evento più esclusivo del carnevale di Venezia. Si entra solo con abito d’epoca sartoriale e il biglietto costa fino a 5000 euro. Dal 2020 si tiene nella splendida cornice della Scuola Grande della Misericordia, edificio del ‘500 di proprietà del Comune di Venezia, restaurato e gestito dalla società SMV, che fa capo al gruppo Umana del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.
PRESENTATORE A brief welcome from another hostess, Martina Semenzato, who is the CEO of this extraordinary place.
MARTINA SEMENZATO Good evening dreamers…
WALTER MOLINO FUORI CAMPO A fare gli onori di casa è l’onorevole Martina Semenzato di Coraggio Italia, il partito di centrodestra lanciato da Brugnaro nel 2021. Ex dipendente del gruppo Umana, l’onorevole Semenzato è anche consigliera di amministrazione della società di gestione della Misericordia, la SMV. Il 20 per cento delle quote, quelle riferibili a Pietro Mollica, fino al marzo scorso risultava confiscato dal tribunale di Roma, e affidato all’Agenzia per i beni sequestrati alle mafie.
ANDREA TORNAGO Signor Mollica, buongiorno. Si fermi. Com’è entrato lei in società con Brugnaro? Non vuole fare chiarezza sull’operazione di Venezia, sul restauro della Misericordia? Per il tribunale lei avrebbe rapporti con Cosa Nostra.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Nel 2015 il Tribunale delle misure di prevenzione di Roma sequestra a Mollica un patrimonio di 171 milioni di euro. Nel 2019 la confisca definitiva. Per i giudici è un soggetto pericoloso in contatto con uomini legati alla camorra e a Cosa Nostra. Tuttavia, per anni né il sindaco Brugnaro né la Prefettura di Venezia si preoccupano di aggiornare la pratica antimafia. Solo nel marzo scorso, proprio mentre Report ha cominciato a fare domande sulla vicenda, la Umana di Brugnaro ha acquistato le quote riferibili all’ex socio Pietro Mollica dall’Agenzia dei beni confiscati, ottenendo il via libera dalla prefettura. Potrà gestire la scuola della Misericordia, un bene pubblico, fino al 2051.
WALTER MOLINO In quel progetto lei era socio con Pietro Mollica nella società Scuola Grande della Misericordia. Mollica è stato arrestato e gli è stato sequestrato il patrimonio.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Scusi, adesso non vorrei interromperla, stavamo parlando dell’investimento del Lido, se vogliamo parlare della Misericordia…
WALTER MOLINO Vorrei chiederle se lei poi da sindaco, dopo l’arresto di Mollica ha mai informato la Prefettura che era necessario aggiornare la pratica antimafia della Scuola Grande della Misericordia di cui lei è stato concessionario almeno fino a quando ha poi annunciato la creazione del blind trust.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Sì, la prefettura sa tutto di questo e credo che la questione sia assolutamente già risolta. Senta alla prefettura e vedrà che le diranno questo, senta l’antimafia e vedrà che è tutto quanto proprio risolto.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Grazie anche dell’intervento e della cortesia, stiamo presentando il progetto del Lido e lei si va a tirar fuori…ma d’altra parte siete Report voi, no? Siete lo schifo dell’Italia!
WALTER MOLINO È una conferenza stampa! Le domande le decidiamo noi, lei può decidere le risposte.
LUIGI BRUGNARO - SINDACO DI VENEZIA Lo schifo…siete lo schifo dell’Italia.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Saremmo lo schifo dell’Italia solo perché abbiamo un vizio irrinunciabile: quello di porre delle domande. Bene, che cosa è successo? Che l’imprenditore Brugnaro, prima di diventare sindaco nel 2009, si aggiudica, con altri, una gara: quella per il restauro e la gestione della Scuola della Misericordia, un meraviglioso palazzo storico del ‘500 dove si tengono avvenimenti ed eventi esclusivi, e dove giocava la sua squadra del cuore di basket, la Reyer, tra mezzi busti e affreschi meravigliosi. Dopo aver speso 11 milioni di euro per il restauro, nel 2017 un dirigente del Comune di Brugnaro, concede la gestione della Scuola della Misericordia all’imprenditore Brugnaro fino al 2051. Ora la Misericordia sembra un po’ una succursale del partito di Brugnaro, Coraggio Italia, avete visto che a fare gli onori di casa c’è la parlamentare Martina Semenzato, che è anche un’ex dipendente di Brugnaro, ed è anche nel consiglio di amministrazione di SMV, cioè la società che gestirà appunto la scuola della Misericordia. Ma non è questo il problema: perché la Smv è stata socia del consorzio Aedars, un socio ingombrante perché fa riferimento a Pietro Mollica, un imprenditore messinese coinvolto più volte in inchieste di mafia, assolto definitivamente nel 2011, ma dal 2015 e poi confermato nel 2019 il Tribunale delle misure di prevenzione gli ha sequestrato e poi confiscato definitivamente beni per 171 milioni perché provenienti dalla criminalità organizzata. Ora tra questi beni c’erano anche le quote del consorzio con cui era socio di Brugnaro. Ora la domanda è, ma come mai Brugnaro è diventato socio di Mollica e lo è stato per così tanto tempo? I nostri Walter Molino e Andrea Tornago.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Per capire chi è il socio del sindaco Brugnaro, Pietro Tindaro Mollica, siamo andati in Sicilia, in provincia di Messina. Enzo Basso è il fondatore del settimanale di inchiesta Centonove, chiuso nel 2017. I suoi giornalisti sono stati i primi a occuparsi dei fratelli Domenico, Pietro e Antonino Mollica, fin da quando negli anni ’90 vincevano decine di appalti con la Siaf.
ENZO BASSO – GIORNALISTA Fino a quando la Siaf finisce in una mega inchiesta con 250 persone inquisite, che significa metà degli amministratori della provincia di Messina. C’era molta attesa perché si toccavano i vertici della politica regionale e i maggiori esponenti della politica messinese.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma l’inchiesta non dà i frutti sperati. I Mollica vengono assolti dall’accusa di mafia, nonostante della loro società Siaf avesse parlato nei suoi verbali il collaboratore di giustizia Angelo Siino, considerato il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra e uomo di fiducia di Totò Riina.
ANDREA TORNAGO Il paese da cui provengono, Piraino, in provincia di Messina, nel 1991 viene sciolto per mafia.
ENZO BASSO - GIORNALISTA È stato sciolto per la presenza ossessiva del gruppo Mollica all’interno del consiglio comunale.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO La villa della famiglia Mollica, a Gioiosa Marea. Quattro piani, attico e piscina. Fino al 2015, qui sfilavano politici e notabili siciliani e si discutevano gli equilibri di potere dell’isola.
ANDREA TORNAGO Ha presente Pietro e Domenico Mollica, gli imprenditori?
VICINO DI CASA No.
ANDREA TORNAGO Sono proprio i suoi vicini!
VICINO DI CASA No, no, no, non lo so.
ANDREA TORNAGO Non li conosce.
VICINO DI CASA Non li voglio conoscere affatto.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Fallita l’esperienza con la Siaf, Pietro Mollica vince appalti milionari a Roma con il consorzio Aedars. E a Venezia diventa socio della Umana di Brugnaro per la ristrutturazione della Scuola della Misericordia. Una partecipazione che viene considerata “anomala e inspiegabile” dal tribunale che confischerà i suoi beni, visto che il consorzio di Mollica non investe un solo euro nella ristrutturazione e non versa integralmente nemmeno le sue quote sociali. Tuttavia avrebbe goduto della concessione del palazzo per 44 anni insieme alla Umana di Brugnaro, che invece ha messo nella società circa 11 milioni. Una possibile spiegazione, per gli investigatori, sarebbe da 4 ricercare nei rapporti tra Mollica e l’ingegner Flavio Zuanier, uno dei più importanti progettisti di Venezia.
ANDREA TORNAGO Ma è vero che lei ha aiutato Pietro Mollica a eludere la misura di prevenzione antimafia?
FLAVIO ZUANIER – INGEGNERE Scusi, non… io non so nulla.
ANDREA TORNAGO Lei è a processo a Roma proprio perché è accusato di intestazione fittizia di beni…
FLAVIO ZUANIER – INGEGNERE Andiamo, Baloo!
ANDREA TORNAGO Lei è stato anche consigliere di amministrazione della Scuola della Misericordia, della società, all’inizio. Com’è nata questa partnership tra la Umana e Pietro Mollica?
FLAVIO ZUANIER – INGEGNERE Oggi è una bellissima giornata, ha visto?
WALTER MOLINO FUORI CAMPO I giudici di Roma chiedono alla Guardia di finanza indagini approfondite sull’origine del rapporto tra Umana e il consorzio Aedars. Ma le Fiamme Gialle non si sentono libere di indagare, come racconta in esclusiva a Report una fonte investigativa.
WALTER MOLINO Perché Brugnaro si mette in società con un imprenditore collegato alla mafia?
EX INVESTIGATRICE GUARDIA DI FINANZA Non è mai stato chiarito. Si tratta di due realtà che hanno scopi diversissimi e non sono mai state date risposte convincenti.
WALTER MOLINO Voi informate la prefettura della vostra indagine?
EX INVESTIGATRICE GUARDIA DI FINANZA Allora, Brugnaro era già stato eletto sindaco di Venezia e aveva visibilità nazionale. Ogni vicenda che lo riguardava doveva essere partecipata alla scala gerarchica di Venezia. WALTER MOLINO FUORI CAMPO La Guardia di Finanza si limita ad acquisire una relazione scritta dalla stessa Umana. Intanto il Comune di Venezia, di cui Brugnaro è diventato sindaco, nel 2017 verifica l’avvenuto restauro e conferma la concessione della Misericordia fino al 2051. A firmare è un dirigente comunale nominato dal sindaco, l’ingegner Manuel Cattani.
ANDREA TORNAGO Avreste potuto valutare la revoca della concessione…
MANUEL CATTANI – DIRETTORE LAVORI PUBBLICI COMUNE VENEZIA 2010- 2016 Avevo un cantiere con un’impresa contrattualizzata per fare un lavoro da 10 milioni, 5 che ne aveva eseguiti magari 5, un imprenditore che aveva investito dei soldi per fare un’opera, un professionista che stava seguendo la direzione lavori, tutti quanti li mandiamo a casa scusandoci del disturbo?
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO L’imprenditore che ha investito è Brugnaro, che coincide con il suo sindaco. Comunque, tutto lecito. Il mistero semmai è come mai Brugnaro è rimasto socio di Mollica anche quando nel 2015 è stato arrestato, quando il Tribunale delle misure di prevenzione di Roma aveva prima sequestrato e poi confiscato beni per 171 milioni di euro, proventi che secondo la Guardia di Finanza sarebbero stati accumulati grazie ai rapporti di Mollica con la mafia messinese e i clan della camorra. Mollica è risultato in contatto con personaggi vicini ai clan Cesarano, Alfieri, ai Casalesi di Francesco Bidognetti. In particolare, con Antonio Cozzolino, uomo del clan Moccia, che plurindagato e pensate, pur sconosciuto al fisco è riuscito a movimentare la bellezza di 43 milioni di euro. Cozzolino oggi è in carcere perché pochi mesi fa ha puntato la pistola alla testa di Mollica chiedendo indietro 8 milioni di euro. Ma Mollica come è arrivato a investire a Venezia? Grazie ai suoi rapporti con uno studio di progettazione della Laguna, in particolare con l’ingegnere Zuanier, che è stato rinviato a giudizio perché secondo i magistrati in teoria si sarebbe intestato fittiziamente i beni proprio di Mollica. Noi a Brugnaro abbiamo chiesto: visto che sei diventato nel 2015 anche capo dell’ente aggiudicante il bando per la ristrutturazione della Scuola della Misericordia, perché non hai chiesto al tuo socio Mollica di investire almeno un euro in questo progetto? Anzi risulterebbe da questo documento che Report vi può mostrare in esclusiva che nel 2009 a versare anche la quota per conto del consorzio di Mollica, la quota del capitale sociale, sia stato un uomo di fiducia di Brugnaro, Derek Donadini, che oggi è vicecapo di gabinetto del sindaco e soprattutto segretario del suo partito, Coraggio Italia. Insomma, però, per Brugnaro lo schifo dell’Italia è Report. Al termine di quella conferenza stampa avevamo promesso che ci saremmo occupati del tema dell’infiltrazione mafiosa in Veneto. Siamo stati a Vicenza, Padova e Verona dove c’è anche un super pentito che sta facendo tremare l’intera ragione, e anche Roma, la Capitale. Ora però ci spostiamo di poco, andiamo ad Eraclea sul litorale veneziano.
Da Leggo.
Estratto da leggo.it venerdì 6 ottobre 2023.
Il nuovo capitolo dell'incidente di Mestre si concentra sull'attesa per i risultati dell'autopsia sul corpo di Alberto Rizzotto, l'autista del pullman. Eseguita ieri, l'esame autoptico è stato assegnato all'istituto di medicina legale di Padova. I tempi sui risultati non sono certi ma la stampa verrà convocata quando sarà il momento opportuno. Al momento i feriti, ricoverati in ospedale, non parlano. […]
Sono 27 i punti di contatto segnati sull'asfalto del cavalcavia di Mestre, in corrispondenza di altrettante «strisciate» compiute dal pullman precipitato martedì scorso, dopo una corsa apparentemente fuori controllo. I segni sono stati apposti dalla polizia locale di Venezia, nella prima ricognizione sul manufatto, che poi dovrà essere sottoposta a una perizia, su mandato della Procura della repubblica. Il guardrail, al centro delle polemiche per la sua vetustà e facilmente scavalcato dal mezzo pieno di turisti, appare divelto proprio in corrispondenza dell'altrettanto famigerato «varco di servizio», lungo circa tre metri.
Le strisciate del bus si interrompono giusto in corrispondenza dell'interruzione della barriera. Da lì in poi il resto del guardrail è accartocciato per alcuni metri, e la ringhiera esterna è completamente divelta. La pavimentazione del passaggio esterno, sotto la quale scorrono cavi e servizi, è sfondata subito dopo il varco e in un altro punto successivo. Il punto è pieno di vetri rotti. Sarà anche questo uno dei punti al centro dell'attenzione dei tecnici: da capire se sia stato sfondato dal peso dell'autobus, oppure se lo era già in precedenza, e se abbia causato lo sbilanciamento del mezzo verso il precipizio mortale.
I parenti delle vittime potrebbero non essere risarciti. L'indennizzo potrebbe esserci se venisse riscontrata una responsabilità relativa al guardrail e a quel «buco» di un paio di metri da cui potrebbe essere caduto il mezzo. Se l’indagine penale dovesse dimostrare una responsabilità del Comune di Venezia – attuale gestore di una strada che però non ha costruito (altra variabile da considerare) in quanto le è stata affidata una quindicina da anni fa dall’Anas – potrebbe essere chiamata a pagare l’assicurazione dell’ente, che però ha un massimale per singolo sinistro di 10 milioni di euro. E dunque le somme in più dovrebbe metterle dalle proprie casse.
Tra i cosiddetti «casi fortuiti» c’è il malore del conducente, che ovviamente esclude una negligenza sua e anche del vettore. Se dovesse essere dimostrato che l’autista ha avuto – per fare un esempio – un infarto o un ictus, l’assicurazione del vettore potrebbe essere esonerata dal pagamento dei danni ai famigliari delle vittime e dei feriti. La giurisprudenza, peraltro, dice che potrebbe restare la colpa qualora il conducente si fosse messo alla guida sapendo di non stare bene. […]
Da Il Corriere della Sera.
Frattura al cranio: «Mai avuto problemi al cuore». Gloria Bertasi su Il Corriere della Sera l'8 novembre 2023.
L'autobus precipitato dal cavalcavia il 3 ottobre provocando 21 morti e 15 feriti: era ancora vivo nel volo dal viadotto. I documenti sanitari in Procura a Venezia, inizia il recupero dei video dalla scatola nera
Alberto Rizzotto, il conducente del bus-navetta de La Linea precipitato il 3 ottobre dal cavalcavia di Mestre, era ancora vivo quando il veicolo è volato dal viadotto. L’autista quarantenne del Trevigiano è infatti morto nello schianto a terra, per una frattura al cranio. «È l’unica certezza che c’è — sottolinea l’avvocato della famiglia Rizzotto Francesco Stilo — in attesa degli esami autoptici». Sul cuore dell’autista saranno eseguiti nuovi accertamenti dopo la prima analisi eseguita da Guido Viel, medico legale che si è occupato anche dell’autopsia: la pm Laura Cameli ha affidato una seconda verifica a Cristiana Basso, docente dell’Università di Padova. Un accorgimento aggiuntivo, in un’inchiesta complessa che richiederà mesi di lavoro, alla luce della tragedia che ha provocato la morte di ventuno persone, tra cui lo stesso Rizzotto, e quindici feriti.
La famiglia e l'avvocato: «Mai sofferto di problemi al cuore»
Il sospetto di alcuni che il conducente potesse avere patologie cardiache o che avesse eseguito screening medici a seguito di un qualche malore afferente al cuore è presto smentito dalla stessa famiglia. «Prima della tragedia nessun accesso ospedaliero era stato necessario a causa di ipotetici problemi cardiovascolari — sottolinea l’avvocato —. Alberto è stato in ospedale nel giugno scorso per motivi che restano riservati ma che nulla hanno a che fare con problemi al cuore e, negli anni precedenti, gli ingressi ospedalieri erano avvenuti per motivi di routine, o per controlli legati alla sua professione». E l’esito di questi accertamenti sono stati consegnati agli inquirenti. «Tutta la documentazione sanitaria — conclude Stilo — è a disposizione della procura e fa parte del materiale dell’autopsia che entrerà anche nel nuovo esame al cuore». Quello che sarà eseguito, appunto, dalla professoressa del Bo Basso.
Intanto inizierà il lavoro di estrazione e acquisizione del filmati che sono archiviati su un Cloud gestito da Amazon. O come è più probabile saranno innanzitutto definite le modalità con cui il perito nominato dal tribunale dovrà operare sui video registrati dalle telecamere dell’autobus elettrico Yutong in uso a La Linea. A eseguire l’operazione sarà l’ingegnere Nicola Chemello, lo stesso che si è occupato di eseguire una copia forense del cellulare di Rizzotto con l’obiettivo di verificare se stesse usando lo smartphone nel momento dell’incidente. Ogni mezzo ha a bordo quattro telecamere per supportare le manovre di guida, più altre tre interne e una quarta che punta sull’esterno e solo di queste sono conservate le registrazioni: saranno recuperati i loro video nella speranza che possano aggiungere elementi utili alle indagini che, come ha rilevato il procuratore Bruno Cherchi qualche giorno fa, si preannunciano «lunghe e complesse».
Un nuovo sopralluogo sul cavalcavia
Il 9 novembre, dalle 13, ci sarà quindi il secondo sopralluogo al cavalcavia da parte dell’esperto di infrastrutture incaricato sempre dalla procura. Si tratta dell’ingegnere Placido Migliorino che si è occupato anche del crollo del ponte Morandi a Genova. Migliorino ha chiesto (e ottenuto) 120 giorni di per il suo responso sulla condizione del manufatto che collega Mestre a Marghera. In vista della nuova perizia sul posto, il Comune ha emesso un’ordinanza che vieta il transito sul viadotto per il tempo necessario alle verifiche che il perito riterrà necessarie.
Il pullman che precipita dal cavalcavia, le urla, il fumo, il papà che tira fuori la figlia dal finestrino: cosa è successo a Mestre. Andrea Priante su Il Corriere della Sera il 4 ottobre 2023.
Il mezzo elettrico è precipitato da un viadotto: 21 morti, diversi feriti. Uno dei soccorritori: «Mai visto niente del genere»
«Un’apocalisse». Il sindaco Luigi Brugnaro arriva sotto il cavalcavia di Mestre poco dopo le 20. Davanti a lui, la più grande tragedia automobilistica a memoria d’uomo in provincia di Venezia: un autobus che da Venezia trasporta i turisti in un campeggio all’inizio della strada Romea, a Marghera, è capovolto, avvolto tra le fiamme. Urla, fumo, soccorsi. È precipitato dal cavalcavia, da una altezza di quindici metri, a bordo un gruppo di turisti tedeschi, francesi, croati e ucraini.
Scene drammatiche. Chi ripete «Help! Help!» implorando aiuto, chi piange, chi prova a salvarsi da solo. In uno dei tanti video girati da chi era presente e finiti sui social, si vede un papà che riesce a mettere al sicuro sua figlia, una bambina piccola, uscendo dal finestrino.
La macchina dei soccorsi
Più di quaranta ambulanze convergono sotto il tratto di guard-rail abbattuto. Accanto al sindaco, il capo dei vigili urbani Marco Agostini cerca di ricostruire cosa sia potuto accadere, come abbia fatto un mezzo elettrico, pare nuovo, a finire lì sotto, a due passi dalla ferrovia. La città si ferma attonita, migliaia di telefonate mandano in tilt la rete: tutti cercano notizie dei loro famigliari, perché quel tratto di strada è il più battuto della città, quello che collega la terraferma al centro storico di Venezia, il cordone ombelicale tra laguna e terraferma, percorso a tutte le ore da pendolari e turisti.
Sgomento in città
I vigili del fuoco arrivati in massa tagliano le lamiere del bus di cui non si
riesce a distinguere nemmeno più il colore. Tagliano e scavano, lavorano veloci perché ci sono adulti e bambini tra il fumo e le fiamme, e ogni minuto è prezioso per salvarli. Si trovano i primi documenti, mentre in città si sentono solo le sirene delle ambulanze.
Scatta il Peimaf, il piano di emergenza per afflusso massiccio di feriti, e coinvolge gli ospedali di Mestre, Padova, Treviso e Mirano. Vengono richiamati in servizio tutti i chirurghi, gli anestesisti e gli infermieri. Arrivano sul luogo della tragedia il prefetto Michele di Bari, il questore Gaetano Bonaccorso, il patriarca Francesco Moraglia, che si raccoglie in preghiera e benedice le salme coperte da teli bianchi su cui qualcuno ha posato mazzi di fiori rossi. C'è anche il capo della Procura di Venezia, Bruno Cherchi: è già stata aperta un'inchiesta.
Il bilancio e la prima ricostruzione
L'autobus è finito sui binari, proprio all'ingresso della stazione di Mestre, il traffico ferroviario viene bloccato. L'autista, Alberto Rizzotto, trevigiano di 40 anni, viene estratto e per lui non c'è più nulla da fare. Sull'asfalto, secondo i rilievi, non ci sono segni che facciano pensare a un tentativo di frenata. «È l'inferno», dice quasi piangendo un vigile del fuoco. E nell'inferno ci sono 19 corpi stesi uno accanto all'altro. Almeno due sono di bambini, un altro è quello di un'adolescente.
Quando ormai il buio ha avvolto Mestre e Venezia, è il momento del bilancio e della prima ricostruzione. Eccola, ancora provvisoria. La tragedia è avvenuta alle 19.50, l'autobus precipitato trasportava una quarantina di turisti stranieri che da Venezia stavano raggiungendo un campeggio di Marghera. Si trovava sopra un ponte - il cavalcavia «Della Vempa» dal nome di una vecchia concessionaria d'auto che ha lasciato il posto a hotel e ostelli - quando l'autista ha perso il controllo. Forse un malore, forse (ma pare meno probabile) un principio di incendio partito dal motore elettrico. Di certo c'è solo il volo di 15 metri che ha provocato una strage.
Le vittime e i tedeschi salvi per caso
I residenti della zona - gente che abita nelle case popolari, soprattutto
stranieri che lavorano in fabbrica a Marghera - raccontano di un botto tremendo. Il bilancio è drammatico: ai 19 morti sul colpo, se ne aggiungono due durante il trasporto in ospedale. I feriti sono 15 , alcuni ustionati perché il mezzo ha preso fuoco con i passeggeri ancora imprigionati tra le lamiere. Cinque sono gravi.
«In venticinque anni di servizio, mai visto niente del genere», dice Andrea Bonucci, un soccorritore del Suem 118. A una manciata di metri da lì i tossicodipendenti, che da anni scelgono quel luogo per bucarsi, restano accampati come se nulla fosse. Le vittime erano dirette a una struttura ricettiva della zona, il campeggio «Hu» di Marghera.
Quattro giovani tedeschi si sono salvati per un caso: «Ci siamo attardati. Dovevamo prendere l'autobus successivo. Ma non arrivava. Poi abbiamo saputo...». I vigili del fuoco hanno lavorato ore per estrarre i corpi. «Ci sono tanti morti, troppi», sussurra uno di loro. Sono passate da poco le 2 di notte quando dell'incubo che ha avvolto Mestre restano solo le tracce sotto il cavalcavia e tra i binari. I primi treni si preparano a ripartire.
Alberto Rizzotto, chi è il conducente del bus di Mestre. L'ipotesi di un malore. «Aveva preso servizio 90 minuti prima». Antonella Gasparini su Il Corriere della Sera martedì 3 ottobre 2023.
Alberto Rizzotto, 40 anni, trevigiano, lavorava per la ditta La Linea da cinque-sei anni. L'amministratore delegato: «L'autobus era nuovo e lui era bravo»
Un autobus «nuovo, di neanche un anno». Un autista «bravo, con noi da cinque o sei anni». È distrutto Massimo Fiorese, amministratore delegato della ditta La Linea, della cui flotta faceva parte l’autobus elettrico precipitato dopo le 20 dal cavalcavia di Mestre (Venezia), vicino alla stazione ferroviaria facendo 21 vittime. Non sembra possa essere stata la stanchezza a tradire Alberto Rizzotto, 40 anni, l’autista morto nell’impatto, originario di Conegliano, in provincia di Treviso, e residente a Tezze di Vazzola, sempre nel Trevigiano, dove il sindaco lo conosceva bene e dove lascia un fratello più piccolo: «L’autista - spiega ancora Fiorese - aveva preso servizio nel pomeriggio poco prima dello schianto, penso intorno alle 18. Ha preso le persone da piazzale Roma e le stava riportando in campeggio, a Marghera, in quello che una volta si chiamava Jolly. Avevano prenotato la corsa in 16, ma evidentemente sfortuna ha voluto che sia salito anche qualcuno che non aveva prenotato e quando ha visto l’autobus arrivare, bello grande, con tanti posti, è montato lo stesso».
Sul posto dove tutto ora è tragedia, in mezzo ai tanti mezzi di soccorso arrivati da tutto il Veneto, Fiorese prova a ricostruire gli attimi che hanno portato all’incidente: «C’è un video dell’autobus poco prima della caduta - racconta -. Il mezzo arriva, rallenta, frena. È quasi fermo quando sfonda il guardrail. Penso che l’autista abbia avuto un malore, perché altrimenti non me lo spiego. Nel video si vede che il bus è quasi fermo, il guardrail è fino, non è di quelli più moderni e più strutturati, e l’autobus pesava tanto perché era di quelli elettrici. L’impatto è stato fatale».
Mestre, spunta un video: ipotesi malore o colpo di sonno dell’autista del bus. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 4 2023.
Nel filmato dell’incidente del bus si vede una manovra strana del mezzo elettrico
Le auto in coda sul cavalcavia e fra loro l’autobus che all’improvviso si muove. Fa un movimento strano, le telecamere piazzate sulla strada lo registrano mentre è sulla parte destra della carreggiata e si muove con «una manovra eccessiva», dice chi ha visionato quel video. E alla fine precipita proprio sulla sua destra.
Una manovra impropria: è la stessa impressione descritta anche da un testimone che era alla guida di un’auto dietro il bus. Qualcosa di strano, insomma. Che non aveva senso fare in quel punto e con quel mezzo. Qualcosa che apre le porte all’ipotesi della prima ora: un malore o un colpo di sonno dell’autista. Ancora troppo presto per dirlo, ovviamente. Si potrà sapere con certezza dalla scheda video che si trova sul mezzo e che i vigili del fuoco a mezzanotte stavano ancora cercando di estrarre.
Fra le tante informazioni incontrollate della serata c’è poi un audio diffuso via WhatsApp nella zona di Venezia e Mestre: la voce di una donna dice di sapere chi è l’autista e dove lavorava. E dice che «qualche testimone ha visto l’autobus prendere fuoco nella rampa di salita del cavalcavia», però il conducente «non poteva fermarsi perché era stretto fra altre macchine in coda».
Sarebbe stato a quel punto che nel fare una manovra avrebbe perduto il controllo uscendo di strada e precipitando. Del mezzo già in fiamme prima della caduta, però, non ci sono riscontri fra le prime testimonianze raccolte dagli inquirenti.
Il comandante dei vigili del fuoco di Venezia, Mauro Luongo, è arrivato sulla scena drammatica dell’autobus in fiamme pochi minuti dopo lo schianto. Alle undici di sera è lì davanti alla fila dei cadaveri sotto il cavalcavia. Non vuole sbilanciarsi riguardo alle ipotesi sulla dinamica ma prova a trovare le parole per descrivere quel che ha visto e vede.
«Siamo qui in più di sessanta», dice. «Credo che una scena così tragica, con così tanti morti in quelle condizioni, la maggior parte di noi non l’abbia mai vista, nemmeno i più anziani. Anche se ogni vita ha il suo peso, il numero conta. Ne abbiamo visti di corpi accartocciati fra le lamiere, nei nostri interventi, ma vederli tutti lì, ammassati in mezzo alle fiamme... C’erano anche una ragazza e una bambina che adesso sono qui, sotto il ponte, coperte dai teli».
Estratto dell’articolo di Marco Imarisio per il “Corriere della Sera” mercoledì 4 ottobre 2023.
La schiuma bianca degli estintori delimita una perfetta sagoma rettangolare. Gli autoarticolati e i tir che arrivano dalla zona industriale di Marghera ci passano accanto, stando bene attenti a non invadere con le ruote quel perimetro d’asfalto divenuto la scena di un crimine da ventuno morti. Esistono tragedie dove tutto quel che è potuto andare male, lo ha fatto.
Guardando dalla via Pila che in basso scorre parallela al Cavalcavia superiore di Marghera, questo il nome ufficiale dell’infrastruttura dalla quale è precipitato il bus elettrico, colpisce quella figura geometrica dai contorni così netti. [...]
Il corpo del reato invece è custodito in un deposito dismesso poco distante. Aveva una altezza dichiarata al Pubblico registro automobilistico di tre metri. Adesso misura un metro e quaranta. Sotto alle ruote esposte all’aria, un ammasso di lamiere contorte alle quali è impossibile dare nome e forma.
[…] Il bus è caduto di piatto, sul proprio tetto. Da una altezza misurata di 9,40 metri. Ci vorranno settimane per stabilire la causa di ogni decesso. Ma quasi tutti i corpi presentano segni evidenti di schiacciamento. Il peso del mezzo sul quale stavano tornando in campeggio dopo una giornata di vacanza a Venezia si è completamente riversato su di loro, agendo come una pressa.
È un dettaglio macabro, del quale ci scusiamo. Ma purtroppo è anche utile per capire un bilancio di vite umane perdute che nonostante tutto appare spropositato. «Se l’impatto con il terreno fosse avvenuto su una fiancata, non ci sarebbero stati così tante vittime e feriti gravi» dice uno dei Vigili del fuoco che ha coordinato i primi aiuti.
Ma come è potuto succedere, cosa è davvero accaduto. Le ineludibili domande sono queste, quando accade una sciagura del genere, su una strada sempre trafficata che tutti abbiamo percorso almeno una volta nella vita. Perché gli 830 metri di quel cavalcavia sono la porta d’ingresso a Venezia, il lembo d’asfalto che collega l’isola dei turisti alla terraferma di Mestre e Marghera, dove ogni cosa ricorda un Novecento industriale che non tornerà più.
Qualche parziale risposta è possibile camminando lungo i cinquanta metri di cavalcavia immortalati nei video delle telecamere di sorveglianza. Il bus della società Linea spa, modello E-12 della cinese Yutong, emerge dalla salita iniziale. Fino a quel momento nessuna deviazione improvvisa, nessun scarto. Nessuna avvisaglia di quel che da lì a poco avverrà.
Alla guida c’è Alberto Rizzotto, quarant’anni, figlio di Maria Adele Roma, catechista e maestra elementare, e di Luigi, generale dell’aeronautica in pensione. Fa questo mestiere dal 2011, e gli piace. Agli amici che gli chiedevano perché non chiedeva l’assunzione nel settore pubblico, rispondeva che preferiva lavorare con i turisti, che danno meno grattacapi.
[…] Alle 19.48 il bus compie una manovra strana, abbandonando la corsia sulla quale stava viaggiando e stringendo lentamente alla sua destra. Percorre una trentina di metri sfregando contro il guardrail arrugginito. Le tracce lasciate dall’attrito sono evidenti. La protezione sembra reggere. Solo che ne manca un pezzo.
È un buco nella barriera di sicurezza che misura due metri, nel quale il pullman che continua a spingere verso destra, come se non rispondesse più ai comandi, o non ci fosse più nessuno al volante, si infila. Una volta li chiamavano punti di sfogo. I parapetti venivano costruiti così. Ce ne sono ancora tantissimi in giro.
A quel punto il bus è come se fosse su una rotaia, con le ruote esterne che ormai viaggiano sulla passatoia lambendo la ringhiera del cavalcavia e le altre sul ciglio esterno della strada. Percorre ancora una dozzina di metri schiacciando con la sua plancia un’altra porzione di guardrail e le putrelle che lo sostengono. Sembra quasi fermarsi, in bilico. Poi precipita sfondando la ringhiera, composta da tre tubi di ferro dalla sezione di tre centimetri ognuno. Ma in quel momento, il suo destino era già segnato. Perché quell’ultimo ostacolo non è certo concepito per fermare un veicolo di quella stazza.
Impossibile capire oggi se il parapetto avrebbe continuato a reggere. Ma la deviazione causata da quel varco «spinge» il bus ancora più verso l’esterno, e lo priva del suo ultimo argine prima del vuoto. L’urto del pianale con le putrelle e il guardrail ne altera il già precario equilibrio, provocandone il ribaltamento durante la caduta, con le tremende conseguenze che ne sono poi derivate.
«Quelle barriere non sono a norma secondo le leggi vigenti, ma lo erano all’epoca in cui vennero progettate» dice Renato Boraso, assessore alla viabilità del Comune di Venezia, che ha ereditato dall’Anas la gestione di quel tratto di strada. I varchi sarebbero stati chiusi l’anno prossimo con i lavori strutturali già decisi e finanziati dal Pnrr. L’infrastruttura rientra infatti nelle opere considerate «vie strategiche di comunicazione ai fini della protezione civile».
A Tezze di Vazzola, la villetta della famiglia Rizzotto ha le finestre sbarrate. L’errore umano, o il malore, o il colpo di sonno, sono il principio e non la fine di questa storia. Intanto, sul cavalcavia il traffico ha ricominciato a scorrere, come sempre.
«Dove sono i pompieri? Ci sono 50 persone che stanno morendo», le urla disperate di un uomo davanti al bus in fiamme. Il Corriere della Sera mercoledì 4 ottobre 2023.
È un video che mostra tutta la drammaticità del momento. Un pullman è appena caduto dal cavalcavia di Mestre e le fiamme già lo avvolgono. Un uomo che ha assistito alla terribile scena, corre trafelato verso un poliziotto e gli chiede urlando: «Dove sono i pompieri? Ci sono 50 persone che stanno morendo».
I 21 morti nell’incidente di Mestre: le piccole Charlotte e Daria, la famiglia rumena distrutta, la sposa incinta. Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 5 ottobre 2023.
Le 21 vittime sono state tutte identificate. Oltre a una bambina di 17 mesi, ci sono quattro adolescenti tra gli 8 e i 13 anni
La piccola Charlotte Frommherz , un anno e cinque mesi, tedesca. Oppure Daria Lomakina, una bimba ucraina di 10. Poi la famiglia Ogrezeanu, tutti rumeni: Aurora Maria, 8, Georgiana Elena, 13, Mihaela Loredana, 42 e Mircea Gabriel, 45: questi ultimi due sarebbero i genitori. Condizionale obbligatorio, visto che la ricostruzione delle parentele risulta ancora complicata.
L’obitorio dell’ospedale dell’Angelo è una costruzione scavata dentro una collina a circa trecento metri dall’ingresso del pronto soccorso. Tutti i 21 corpi sono qui, nella fila di camere mortuarie visibili da lontano grazie a un’ampia vetrata. Vi si accede da un sentierino che si fa largo da un prato curato ed è qui che verso le 19, quando il cielo su Marghera si sta già facendo scuro, compaiono i parenti di alcune delle vittime. Sono in sei, uomini e donne tra i trenta e i sessant’anni e devono essere arrivati qui in fretta e furia perché indossano bermuda, short, magliette e calzano infradito e zoccoli. Vengono dall’Europa dell’Est, difficile stabilire da dove. Accompagnati da due psicologi della Ulss 3 «Serenissima», entrano nell’obitorio. Poi scompaiono alla vista.
Dopo cinque minuti una delle donne, forse la più anziana, si riaffaccia nel corridoio sorretta da un uomo. Piangono entrambi, lei grida. Lui la tiene tra le braccia. Poi rientrano nella camera mortuaria.
In serata tutte le vittime sono state identificate . Oltre ad Alberto Rizzotto,il 40enne del Trevigiano che era alla guida del pullman, si sa che, tra i 21 morti, c’erano nove ucraini. Ecco i loro nomi, oltre alla piccola Daria: Vasyl Lomakin, 70 anni, Anastasia Morozova, 12, Yuliia Niemova, 10, Iryna Pashchenko, 20, Liubov Shyshkarova, 20, Dmytro Sierov, 33. Hanno il passaporto di Kiev anche il cinese Serhii Beskorovainov, 70, e la moldava (probabilmente la moglie) Tetiana Beskorovainova, 69. Poi i quattro romeni della famiglia Ogrezeanu
Altri due tedeschi, oltre alla piccola Charlotte: Anne Eleen Berger, 32 anni, e Jonathan Siddharta Grasse, 28. Poi due portoghesi: Maria Fernanda Maciel Arnaud, 56, e Gualter Augusto Carvahalido Maio, 58. E ancora: la croata Antonela Bakovic, 26 anni. Infine una sudafricana: Annette Pearly Arendse, 58. Quest’ultima era arrivata a Venezia con due amiche martedì mattina. Proprio loro, all’ingresso del camping Hu, raccontano al Corriere che la Sera «Annette aveva deciso di andare a fare un giro a Venezia con il bus. Noi abbiamo preferito restare nel bungalow dato che eravamo stanchissime». Quando la donna non è tornata le due amiche si sono preoccupate «e poi, guardando la tv, abbiamo capito che era successo qualcosa di grave».
L’identificazione è stata un’opera difficile. Dalle lamiere della corriera in fiamme, i soccorritori martedì sera avevano estratto corpi carbonizzati e straziati. «Molte delle vittime — ha raccontato il procuratore di Venezia Bruno Cherchi — non avevano appresso i documenti» dato che avevano raggiunto Venezia per una gita che non preventivava visite particolari.
Aiuti sono arrivati all’obitorio dai pochi familiari giunti ieri. E chi era lì ha detto che «è stato straziante».
I fratellini tedeschi rimasti senza mamma, a Mestre: «Il mio patrigno ci ha protetti». Andrea Priante e Silvia Madiotto su Il Corriere della Sera il 5 ottobre 2023.
Storie di famiglie spezzate: «Chiedono dei loro cari». Quindici le persone ferite, tra cui tre bambini: nove sono ricoverati in terapia intensiva
«Come sta il nonno?», «La mamma è viva?». «E la mia amica?». Il dramma dei morti è anche quello dei vivi. Perché dalla tragedia che si è consumata martedì sera a Venezia, con l’autobus precipitato dal cavalcavia che collega Mestre a Marghera, emergono storie di famiglie spezzate. Si leggono sui volti e nelle domande dei sopravvissuti, ricoverati negli ospedali di mezzo Veneto. E ora i medici si interrogano su quale sia il momento più opportuno per dire loro la verità.
I fratellini in ospedale
Sono quindici le persone estratte ancora vive dai rottami del bus. Tutti stranieri, turisti che si erano concessi una vacanza in Italia. Tra i feriti anche tre minori, compresa una bimba ucraina di 4 anni ricoverata nel centro grandi ustionati di Padova assieme a una spagnola di 52. La storia più drammatica è quella dei due fratellini tedeschi di quattro e tredici anni, che si trovano nel reparto di Pediatria a Treviso. Lei è stata operata nella notte per una frattura al femore, mentre il maggiore ha lesioni vertebrali ma non rischia di perdere l’uso delle gambe. «Se la caveranno» assicura un medico.
La più piccola potrebbe essere la bambina salvata da Boubakar Toure e Godstime Erheneden, i due operai africani che per primi si sono intrufolati tra le lamiere per estrarre i feriti. «Temevo fosse morta. Spero proprio sia lei», dice Toure, che poi aggiunge un altro dettaglio: «Abbiamo tirato fuori dal bus anche un cagnolino».
Mamma non c'è più
È lo stesso animale che ora scodinzola nella camera d’ospedale (“Il direttore generale ha fatto un’eccezione e ci ha permesso di accoglierlo: la pet therapy è nell’interesse del paziente” riflette il responsabile di Psicologia, Sergio Cassella) e non si stacca un attimo dai padroncini che martedì erano in viaggio con la madre e il nuovo compagno di lei, che è anche il papà della bambina. La mamma è morta nello schianto mentre l’uomo è sopravvissuto. E proprio lui potrebbe aver contribuito a salvare la vita ai due piccoli superstiti. «Il mio patrigno ci ha protetti» ha infatti sussurrato il ragazzino ai soccorritori. Poche parole, per un trauma difficile da affrontare. I fratellini vengono seguiti da una psicologa, e in queste ore da Lipsia sta arrivando il padre del tredicenne.
Gli altri superstiti
A Treviso, oltre a loro, sono ricoverati altri tre superstiti dell’inferno del cavalcavia: un tedesco di 33 anni (il compagno della mamma dei due bimbi) e una sua coetanea ucraina in terapia intensiva, mentre un cinquantenne spagnolo (probabilmente un familiare della donna portata al centro ustionati di Padova) è stato operato nella notte per diversi traumi. «Sono tutti e cinque casi importanti, di diversa gravità, e per tutti è richiesta un’attenzione particolare» sottolinea Cassella. All’ospedale di Dolo si trova un turista francese di 20 anni, mentre è in gravi condizioni, a Mirano, il ventiquattrenne croato che martedì era arrivato a Venezia con la coetanea sposata tre settimane fa a Spalato. Un’altra famiglia spezzata: erano in luna di miele e lei è tra le vittime non ancora identificate.
Ricordi confusi e ansia per i familiari
«I feriti hanno ricordi confusi non sono ancora nella fase della consapevolezza di quello che è successo o di quello che potrebbero aver perso» spiega Rita Lorio, responsabile della Psicologia dell’ospedale dell’Angelo di Mestre. Lì sono ricoverati cinque superstiti: tre ucraine di 29, 43 e 40 anni, con quest’ultima che quasi certamente è parente di un altro paziente, un 39enne. E sempre a Mestre si trova anche una 27enne tedesca che potrebbe essere (non è ancora certa la sua identità) la madre di Charlotte, la bimba di un anno che è la più giovane vittima della strage. «Dicono molte cose - racconta Chiara Berti, la direttrice medica della struttura - chiedono informazioni dei cari che erano insieme a loro. C’erano nonni, nipoti, coniugi... E ognuno chiede della propria famiglia».
Marko Bakovic e Antonela Perkovic, la coppia di sposi sul bus di Mestre: lei è morta, «era incinta, si amavano da quando erano ragazzini». Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 5 ottobre 2023.
Lei di 25 anni, ha perso la vita. Lui di 24 in Rianimazione: si conoscevano fin da piccoli. Erano in viaggio di nozze in Italia ed erano stati anche a Roma e Firenze
Lui, il marito, Marko Bakovic, 24 anni, operaio edile e calciatore in una squadra dalle parti di Spalato, lo Sloga Mravince: è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Mirano. Lei, la moglie 25, Antonela Perkovic, incinta di due mesi. È morta tra le lamiere arroventate del pullman precipitato martedì sera dal cavalcavia Vempa di Mestre.
Le foto sui profili social di entrambi li ritraggono felici dopo le nozze celebrate lo scorso 11 settembre. Antonela radiosa nell’abito bianco e i capelli neri, raccolti da una specie di coroncina di perle, che le scendono sulle spalle. Lui, sorridente e impettito, giacca e farfallino al collo. In un’altra foto si guardano, abbracciati, innamorati.
A Venezia erano in luna di miele. Cinque giorni fa Marko fa ha giocato la sua ultima partita con la sua squadra e poi sono partiti in auto per il viaggio di nozze, alloggiando anche loro, come le altre vittime, al camping Hu di Marghera. Un giro lungo, scendendo per l’Italia sino a toccare Roma, il giro di boa per poi risalire: Firenze, Bologna. E la tappa finale sulla Laguna.
Quello che si sa dei due sposi è emerso da un sito online croato, 24Sata.hr, che ieri ha inviato una giornalista a Venezia, Meri Tomljanovic. È stata la sua redazione a trovare le foto dei due ragazzi — contattando dei loro carissimi amici — ma decidendo di tardare sino all’ultimo la loro pubblicazione «perché non siamo ancora sicuri che i loro genitori abbiano saputo quel che è success». Poi, in serata, dalle autorità diplomatiche, è arrivata la conferma: i familiari erano stati avvertiti. L’articolo, con la gallery delle 76 foto del matrimonio, è stato condiviso in ogni angolo della Croazia. Con ogni probabilità — raccontano all’ospedale dell’Angelo di Mestre — sia i genitori di Marko che di Antonela saranno accolti stamane dal comune di Venezia e dal personale della Ulss 3 «Serenissima» che sta mettendo a disposizione di tutti i familiari delle vittime un team di psicologi.
Marko, diplomato in una scuola alberghiera, tifosissimo dell’Hajduk, giocava come centrocampista nello Sloga Mravince (aveva militato anche nell’Rnk Spalato) dopo un passato che lo aveva visto girare diverse squadre, tra cui anche una tedesca. Si divideva tra la passione per il pallone e il lavoro in cantiere. «Antonella era incinta — è il racconto che i loro amici hanno fatto alla redazione del sito croato — ed era felicissima per la sua gravidanza. Non pensava ad altro che al bimbo che sarebbe nato e a quel recente matrimonio che aveva coronato una storia d’amore sbocciata quando entrambi erano poco più che adolescenti». Sulle foto dei profili ora compaiono i messaggi dei loro amici, cuoricini, altre foto che li ritraggono assieme da fidanzati.
Martedì sera i due sposi sono andati a Venezia lasciando l’auto al camping. Poi sono saliti sulla corriera di ritorno dal «Tronchetto». Hanno di certo scambiato qualche chiacchiera con gli altri turisti a bordo, tutta gente proveniente chi dal Sudafrica, chi dalla Francia, chi dalla Germania o dall’Uçraina. Ma quando mancava poco alle 20, la loro storia d’amore è terminata nello spaventoso incidente che ha provocato 21 morti, un bilancio che potrebbe salire visto che sono almeno 10 i feriti ricoverati in gravissime condizioni nei reparti di Terapia intensiva. Marko è in quello di Mirano dai cui medici trapela poco o nulla. Il 24enne è sedato, grave, ma non sarebbe in pericolo di vita. E non sa ancora che la sua Antonela, conosciuta da ragazzino e sposata da neanche tre settimane, non c’è più.
Mestre, «cinquanta metri prima di precipitare, il bus si è accostato strisciando»: escluso l’urto con altri veicoli. Andrea Pasqualetto su Il Corriere della Sera il 5 ottobre 2023.
Prima di tutto, l’autista. La Procura di Venezia parte da qui per cercare le cause . E dunque disporrà subito l’autopsia sul corpo di Alberto Rizzotto, 40 anni, trevigiano di Conegliano, una vita alla guida degli autobus, una fine tragica. Ha avuto forse un malore, un colpo di sonno? Era nelle condizioni di mettersi al volante? O ha piuttosto fatto una manovra azzardata, magari per evitare l’incidente con il pullman che gli stava a fianco? O nulla di tutto ciò e si è solo distratto? Il medico legale potrà rispondere solo in parte a questi quesiti, che mirano a stabilire se e in che termini l’autista abbia delle responsabilità sulla strage di Mestr C’è poi da capire se il cavalcavia di Mestre era a norma. E qui i riflettori si spostano necessariamente sulle barriere protettive, su quel guardrail che, a vederlo così, non sembra in grande salute. «Faremo accertamenti», assicura il procuratore capo Bruno Cherchi che al momento ha aperto un fascicolo per omicidio stradale plurimo contro ignoti.
Le certezze
Cherchi ha due certezze: «È innanzitutto escluso l’urto con il pullman che affiancava l’autobus». Lo precisa perché dalle immagini di un video circolato ieri (ce n’è anche uno della Smart control room), sembra che quel mezzo, fermo e con la freccia a sinistra, scarti improvvisamente sulla destra, cioè dalla parte dove stava sopraggiungendo il bus dei turisti. «Ho subito chiesto alla Polizia locale di verificare la circostanza ma quel mezzo non ha alcun segno sulla fiancata». Gli stessi superstiti hanno dichiarato di non aver sentito rumori da quel lato. L’altra certezza riguarda il punto d’impatto con il guardrail: «Cinquanta metri prima di precipitare, si è accostato strisciando». È uscito di strada in un punto in cui la barriera si interrompe per un paio di metri, andando a travolgere il parapetto pedonale che ha piegato come un grissino.
Le polemiche
Sul punto è montata una polemica. «Troppo sottile quel guardrail», ha lanciato il sasso l’amministratore delegato della società La Linea che effettua il collegamento fra Venezia e il campeggio dei turisti. In questo periodo sono in corso i lavori di rifacimento del cavalcavia, che risale alla fine degli anni Sessanta ed è passato di mano più volte: dall’Anas a Veneto Strade al Comune di Venezia. «Uno scaricabarile», dicono in Comune. Perché i lavori costano e di soldi non ce ne sono. Il Comune ha stanziato 6,5 milioni di euro, attingendo in parte ai fondi del Pnrr. «Sapevamo di dover mettere in sicurezza il cavalcavia, nel piano era prevista anche una nuova barra di protezione, sui tempi non ci sono però date certe», riconosce l’assessore ai Trasporti Renato Boraso. Nel frattempo si è schiantato un bus e sono morti 21 turisti.
Il guardrail che non regge: il precedente choc di Avellino. La condanna solo una settimana fa. Storia di Fulvio Bufi su Il Corriere della Sera mercoledì 4 ottobre 2023.
Un incidente per certi versi analogo a quello di ieri avvenne la sera del 28 luglio 2013 sull’autostrada A16 Napoli-Canosa nei pressi di Monteforte Irpino. Intorno alle 20,30 un bus turistico proveniente da Pietrelcina e diretto a Pozzuoli precipitò dal viadotto Acqualonga, dopo aver sbandato tamponando numerose auto ferme in coda a causa di un rallentamento, e sfondato le barriere di contenimento poste in quel tratto autostradale. Il bilancio fu ancora più grave rispetto alla sciagura di Mestre: delle quarantotto persone che viaggiavano sul bus ne morirono trentotto, compreso il conducente. A queste, dopo circa una settimana, se ne aggiunsero altre due, le cui condizioni erano apparse sin da subito gravissime.
Secondo quanto stabilirono le indagini, il bus non avrebbe potuto circolare in quanto il certificato di revisione risultò truccato. E a conferma delle pessime condizioni del mezzo, la perizia tecnica stabilì che a provocare l’incidente fu innanzitutto un guasto meccanico: l’impianto frenante risultò tranciato in conseguenza della rottura di un giunto cardanico dell’albero di trasmissione. Alcuni sopravvissuti dichiararono che durante gli ultimi chilometri di marcia prima dell’incidente ci furono passeggeri che avvertirono un rumore sospetto e lo comunicarono all’autista, ma questi decise di ugualmente di proseguire. Quando, giunto in prossimità della coda di veicoli fermi sul viadotto, ebbe bisogno di frenare, i comandi non risposero. Il bus carambolò tra auto e furgoncini, urtò il guardrail, rientrò in carreggiata ma dopo pochi metri impattò nuovamente contro le barriere, che stavolta non ressero. Fu poi accertato dagli investigatori che a causa della pressoché totale assenza di manutenzione, e che per lo stesso motivo i tirafondi erano stati resi fradici dalle intemperie.
La Procura sostenne che tra il 2008 e il 2009 Autostrade per l’Italia attuò un piano di manutenzione delle barriere di contenimento disposte lungo i circa tremila chilometri della A16, ma per motivi economici escluse dagli interventi alcuni tratti, compreso quello dove poi sarebbe avvenuto l’incidente. Dal canto loro i periti sostennero che «la situazione di potenziale pericolo» dell’Acqualonga «durava da più di un decennio». In origine, spiegarono i consulenti tecnici nella loro relazione, i new jersey posti tra il 1988 e il 1989 sul viadotto erano all’avanguardia e adeguati al tipo di traffico automobilistico. Ma successivamente non era intervenuto «alcun controllo né intervento manutentivo», lasciando che si diffondesse «una estesa corrosione» dei tirafondi. «Di certo — si concludeva — la stessa barriera con tutti i tirafondi integri durante l’incidente avrebbe contenuto agevolmente l’autobus sul viadotto».
La sentenza del processo di primo grado, emessa nel gennaio del 2019, fu duramente contestata dai familiari delle vittime in quanto il giudice condannò per disastro colposo e omissione di atti d’ufficio il titolare dell’agenzia di noleggio del bus e diversi funzionari di Autostrade per l’Italia che nel corso degli anni avevano avuto la responsabilità del tronco comprendente anche il viadotto Acqualonga, ma non accolse la richiesta della Procura di Avellino che avrebbe voluto una condanna a dieci anni per l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, ritenendolo responsabile delle appurate condizioni di insicurezza di quel tratto della A16. Con il manager furono assolti anche altri dirigenti di Aspi perché, secondo il Tribunale, dagli atti e dalle delibere a loro attribuibili non emergeva «nessuna violazione di una regola cautelare» relativa alla gestione «dello specifico rischio per la sicurezza e l’incolumità degli utenti della strada».
Ma proprio pochi giorni fa, il 29 settembre, la Corte d’appello di Napoli ha ribaltato quel verdetto condannando Castellucci a sei anni di reclusione e condannando anche gli altri dirigenti assolti in primo grado. Una sentenza che l’ex ad di Aspi ha commentato attribuendola alla «necessità di trovare un capro espiatorio». Ma per capire davvero che cosa ha spinto i giudici a emettere un verdetto diametralmente opposto rispetto a quello precedente bisogna attendere le motivazioni, che ovviamente non sono state ancora depositate.
Incidente Mestre, il dossier dei tecnici nel 2017: «Il guardrail va cambiato». Marco Imarisio e Andrea Pasqualetto su Il Corriere della Sera il 6 ottobre 2023.
Il buco di 2 metri nella barriera fu lasciato come accesso a una scaletta che non c’è più da oltre 20 anni. La Procura ordina una perizia
L’unità di misura dell’urgenza è sempre il denaro. Correva l’anno 2017, quando «le indagini conoscitive sulla struttura» indicavano «la necessità» di sostituire i guardrail su entrambi i sensi di marcia del Nuovo cavalcavia superiore di Marghera, citando non solo l’esigenza dell’adeguamento normativo delle barriere di sicurezza, in ossequio alla raccomandazione dell’Unione europea varata nel 2012 che prevede criteri unici per tutti Paesi membri, tra i quali è viene citato l’innalzamento e l’ispessimento dei parapetti sulle strade ad alta circolazione.
Il parere
Nel parere depositato da un gruppo di tecnici scelti per l’occasione dal Comune di Venezia erano stati segnalati anche casi di «ammaloramento delle fasce metalliche dovuto agli effetti degli agenti aggressivi esterni». Alla ruggine, insomma. Erano vecchi, e andavano cambiati. Per farlo, procedendo all’adeguamento auspicato dagli esperti, serviva un intervento di manutenzione straordinaria, che avrebbe previsto il rifacimento delle solette sulle quali si reggono le putrelle di sostegno dei parapetti, e il parziale rifacimento della pavimentazione, che avrebbe dovuto sopportare il peso di barriere più moderne, ma più pesanti.
Quello di Bruxelles era un gentile invito, come tanti altri che vengono formulati dal governo europeo agli Stati membri. Solo in seguito è diventato un regolamento, accompagnato da un testo esplicativo che però, data la materia trattata e l’impossibilità di procedere all’intervento immediato su tutta la rete stradale, lasciava alla discrezione di ogni singolo Paese il tempo e il modo per mettersi a norma. Nella classifica dei Paesi virtuosi in tema di sicurezza stradale stilata dall’Ue e aggiornata ogni anno, comandano i Paesi nordici. L’Italia non compare.
L’inchiesta
Quei cinquanta metri di lamiera divelta e il varco nel quale si è infilato il bus elettrico sono il punto di partenza dell’inchiesta giudiziaria. «Disporremo una consulenza tecnica sul guard rail». Il procuratore capo di Venezia ha rivelato quel che sembrava fin da subito inevitabile. Verranno cercati i soggetti adeguati ai quali affidare l’incarico, parole sue. «Valuteremo con calma anche chi e come sentire del Comune» è l’unica altra frase lasciata in dote ai giornalisti. Ma saranno comunque necessari mesi per ottenere un responso su quel tratto di parapetto e sui suoi detriti, da ieri sotto sequestro.
Il progetto esecutivo
Ci si perde nei meandri della burocrazia e nella notte dei tempi per ricostruire la storia del cavalcavia dal quale è precitato il pullman uccidendo ventuno passeggeri. «Completato alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, non è stato oggetto di interventi di manutenzione straordinaria e rinforzo strutturale successivi alla sua realizzazione». Così si legge nel progetto esecutivo dei lavori che sarebbero cominciati a breve, dopo avere ottenuto il via libera al finanziamento con i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il titolo esprime una certa consapevolezza. «Adeguamento normativo e consolidamento» del cavalcavia.
Causa ed effetto
Nel documento sono riprodotti anche gli elaborati di progetto originali dell’intero cavalcavia, redatto dalla Società autostrade di Venezia e Padova e risalente al 1967. In una delle figure, appare anche il disegno di una scaletta che dalla strada sottostante conduce al marciapiede di servizio che costeggia la carreggiata nel punto in cui lunedì sera è caduto il bus elettrico. Può sembrare un dettaglio, ma forse è qualcosa di più. Perché quell’accesso era l’unica ragion d’essere del «buco» di due metri nel nastro d’acciaio, che ha di fatto privato il bus elettrico dell’unica difesa dal disastro.
C’è un r apporto di causa ed effetto evidente, testimoniato dalle strisciate degli pneumatici sulla linea bianca esterna, che si interrompono proprio quando il guardrail si apre. Con la scaletta, quel punto di passaggio tecnico comune a tutte le infrastrutture realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta avrebbe ancora un senso. Ma la sua rimozione risale a quando ancora l’intero tratto di strada era gestito dall’Anas, che lo ha ceduto al Comune nel 2001, così sostengono i tecnici veneziani. Se fosse davvero così, quel varco risultato poi fatale sarebbe rimasto aperto per oltre vent’anni senza che nessuno sentisse la necessità di chiuderlo aggiungendo due metri di barriera e tappando così un buco potenzialmente pericoloso per chi perdesse il controllo dell’auto in quella zona. Oggi si accede al cavalcavia sfruttando due rampe metalliche costruite dalle Ferrovie dello Stato, che distano quasi cento metri dal passaggio, e obbligano eventuali avventori a camminare rasente le macchine in movimento. Il buco era inutile, e non da ieri.
Le schede tecniche del Comune allegate al Progetto definitivo rivelano anche una sorta di «vorrei ma non posso» che si protrae nel tempo. Il piano di Fattibilità Tecnico Economica viene approvato nel settembre del 2018, dopo i rilievi e le indagini conoscitive sulla struttura effettuati nel 2017. L’approvazione del Progetto definitivo risale al giugno del 2020. Pronti, via. «Risanamento cordoli e sbalzi laterali, rifacimento pavimentazione, sostituzione barriere a parapetti». Ma non se ne fa nulla.
Il costo previsto tra manutenzione ordinaria e straordinaria supera i sei milioni di euro. L’apertura dei cantieri per i lavori di rafforzamento strutturale viene differita al 2021. Poi al 2022, «quando saranno disponibili i 6.3 milioni necessari come di seguito dettagliato». Passa un altro anno. Il 4 settembre 2023 si apre il primo cantiere, durata prevista dei lavori venti mesi. Quelli sul tratto dove è avvenuto il disastro sarebbero cominciati all’inizio dell’inverno.
Mestre, la caduta del bus e le fiamme. I soccorritori: «I corpi non erano carbonizzati». Storia di Andrea Pasqualetto su Il Corriere della Sera giovedì 5 ottobre 2023.
«Non è stato ritenuto necessario fare le autopsie sui cadaveri dei turisti perché la causa della morte è assolutamente evidente e concatenata alla caduta del mezzo, per cui dal punto di vista penale sarebbero inutili». Il procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, anche perché i consolati spingono per il rimpatrio: «Non sono più a disposizione dell’autorità giudiziaria». E così non conosceremo mai le cause esatte di morte di quelle venti vittime della strage di Mestre. Sono decedute a causa dell’incidente, punto. Sarà pertanto deluso chi avrebbe voluto sapere se le batterie al litio dell’autobus precipitato c’entrino qualcosa con il pesante bilancio. Un’idea se l’è però fatta chi ha soccorso e investigato : vigili del fuoco, polizia scientifica, medico legale. «Innanzitutto si è trattato solo di un piccolo incendio, molto meno importante di quanto ci aspettavamo quando siamo partiti con le autobotti. Il bus non era avvolto dalle fiamme, lo si vede anche dalla carcassa — premette Mauro Luongo, il comandante dei vigili del fuoco di Venezia — Dei corpi che ho visto alcuni avevano solo qualche ustione. Penso che non sarebbe stato molto diverso se il bus avesse avuto un’alimentazione a gasolio. Non demonizziamo queste batterie, per noi non incidono sulla pericolosità dei mezzi di trasporto». Lo stesso sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha invitato, seppur indirettamente, alla prudenza: «Io li ho visti quei corpi e mi sembravano integri». Sul luogo dell’incidente c’erano anche gli agenti della polizia scientifica: «Qualche anno fa a Verona un pullman si schiantò contro un pilone e prese fuoco, morirono 16 ragazzi. Io c’ero — ricorda un agente che preferisce mantenere l’anonimato — Quei corpi erano in condizioni pietose, qui no, è diverso, ci sono stati fiamme e fumo ma sostanzialmente è bruciato poco». A proposito di fumo, ieri l’autista del pullman che affiancava il bus si è detto convinto di averlo visto: «Qualcosa di simile, che usciva dalla parte posteriore dell’autobus... l’ho visto sopraggiungere alla mia destra, correva a una velocità ragionevole per quel tratto di strada. Poi il retrotreno si è alzato ed è precipitato».
Massimo Fiorese, amministratore delegato de La Linea, la società che faceva il servizio di navetta dal campeggio dei turisti a Venezia, invece difende i suoi mezzi: «Chiediamoci cosa sarebbe successo se il bus fosse andato a idrogeno o a metano. Ci sarebbe stata una esplosione». quindici feriti, dei quali nove in terapia intensiva, tre ustionati. Nel frattempo è stata eseguita la sola autopsia disposta dalla Procura: quella sul corpo dell’autista, Alberto Rizzotto. Sull’esito le bocche sono per il momento cucite. «Stiamo anche sentendo i feriti per vedere se qualcuno aveva colto dei segnali di malessere», ha aggiunto Cherchi. «Prima sentiremo un po’ tutti e poi valuteremo eventuali iscrizioni nel registro degli indagati». Malore, distrazione, guardrail inadeguato. Le ipotesi rimangono quelle. Cause e concause.
Estratto dell’articolo di Marco Imarisio e Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera” venerdì 6 ottobre 2023.
L’unità di misura dell’urgenza è sempre il denaro. Correva l’anno 2017, quando «le indagini conoscitive sulla struttura» indicavano «la necessità» di sostituire i guardrail su entrambi i sensi di marcia del Nuovo cavalcavia superiore di Marghera, citando non solo l’esigenza dell’adeguamento normativo delle barriere di sicurezza, in ossequio alla raccomandazione dell’Unione europea varata nel 2012 che prevede criteri unici per tutti Paesi membri, tra i quali è viene citato l’innalzamento e l’ispessimento dei parapetti sulle strade ad alta circolazione.
Nel parere depositato da un gruppo di tecnici scelti per l’occasione dal Comune di Venezia erano stati segnalati anche casi di «ammaloramento delle fasce metalliche dovuto agli effetti degli agenti aggressivi esterni». Alla ruggine, insomma. Erano vecchi, e andavano cambiati.
Per farlo, procedendo all’adeguamento auspicato dagli esperti, serviva un intervento di manutenzione straordinaria, che avrebbe previsto il rifacimento delle solette sulle quali si reggono le putrelle di sostegno dei parapetti, e il parziale rifacimento della pavimentazione, che avrebbe dovuto sopportare il peso di barriere più moderne, ma più pesanti. […]
Quei cinquanta metri di lamiera divelta e il varco nel quale si è infilato il bus elettrico sono il punto di partenza dell’inchiesta giudiziaria. «Disporremo una consulenza tecnica sul guardrail». Il procuratore capo di Venezia ha rivelato quel che sembrava fin da subito inevitabile. Verranno cercati i soggetti adeguati ai quali affidare l’incarico, parole sue. […]
Ci si perde nei meandri della burocrazia e nella notte dei tempi per ricostruire la storia del cavalcavia dal quale è precitato il pullman uccidendo ventuno passeggeri. «Completato alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, non è stato oggetto di interventi di manutenzione straordinaria e rinforzo strutturale successivi alla sua realizzazione».
[…] Così si legge nel progetto esecutivo dei lavori che sarebbero cominciati a breve, dopo avere ottenuto il via libera al finanziamento con i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il titolo esprime una certa consapevolezza. «Adeguamento normativo e consolidamento» del cavalcavia.
Nel documento sono riprodotti anche gli elaborati di progetto originali dell’intero cavalcavia, redatto dalla Società autostrade di Venezia e Padova e risalente al 1967. In una delle figure, appare anche il disegno di una scaletta che dalla strada sottostante conduce al marciapiede di servizio che costeggia la carreggiata nel punto in cui lunedì sera è caduto il bus elettrico. Può sembrare un dettaglio, ma forse è qualcosa di più. Perché quell’accesso era l’unica ragion d’essere del «buco» di due metri nel nastro d’acciaio, che ha di fatto privato il bus elettrico dell’unica difesa dal disastro.
C’è un rapporto di causa ed effetto evidente, testimoniato dalle strisciate degli pneumatici sulla linea bianca esterna, che si interrompono proprio quando il guardrail si apre. Con la scaletta, quel punto di passaggio tecnico comune a tutte le infrastrutture realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta avrebbe ancora un senso. Ma la sua rimozione risale a quando ancora l’intero tratto di strada era gestito dall’Anas, che lo ha ceduto al Comune nel 2001, così sostengono i tecnici veneziani.
Se fosse davvero così, quel varco risultato poi fatale sarebbe rimasto aperto per oltre vent’anni senza che nessuno sentisse la necessità di chiuderlo aggiungendo due metri di barriera e tappando così un buco potenzialmente pericoloso per chi perdesse il controllo dell’auto in quella zona.
Oggi si accede al cavalcavia sfruttando due rampe metalliche costruite dalle Ferrovie dello Stato, che distano quasi cento metri dal passaggio, e obbligano eventuali avventori a camminare rasente le macchine in movimento. Il buco era inutile, e non da ieri.
Le schede tecniche del Comune allegate al Progetto definitivo rivelano anche una sorta di «vorrei ma non posso» che si protrae nel tempo. Il piano di Fattibilità tecnico economica viene approvato nel settembre del 2018, dopo i rilievi e le indagini conoscitive sulla struttura effettuati nel 2017. L’approvazione del Progetto definitivo risale al giugno del 2020. Pronti, via. «Risanamento cordoli e sbalzi laterali, rifacimento pavimentazione, sostituzione barriere a parapetti».
Ma non se ne fa nulla. Il costo previsto tra manutenzione ordinaria e straordinaria supera i sei milioni di euro. L’apertura dei cantieri per i lavori di rafforzamento strutturale viene differita al 2021. Poi al 2022, «quando saranno disponibili i 6.3 milioni necessari come di seguito dettagliato». Passa un altro anno. Il 4 settembre 2023 si apre il primo cantiere, durata prevista dei lavori venti mesi. Quelli sul tratto dove è avvenuto il disastro sarebbero cominciati all’inizio dell’inverno.
Da Il Corriere del Giorno.
Un pullman precipita da un cavalcavia a Mestre e si incendia. 21 le persone decedute. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 4 Ottobre 2023
L'incidente vicino alla ferrovia. Vigili del fuoco e diverse ambulanze sul posto per le operazioni di soccorso. Viabilità interrotta. Il sindaco Brugnaro conferma la prima stima sul numero dei deceduti: "Una scena apocalittica". Tra le vittime anche 2 bambini.
Erano da poco trascorse le 19,40 quando un bus della linea di linea Actv adibito al trasporto di turisti con diversi passeggeri a bordo è precipitato da una rampa del cavalcavia Rizzardi a Mestre, per cause ancora non chiare, e ha preso immediatamente fuoco. Il guardrail non ha retto l’impatto e l’autobus è caduto sulla strada sottostante da circa 10 metri di altezza. C’è un malore dell’autista tra le prime ipotesi sulle cause dell’incidente del pullman a Mestre. Parlando con i cronisti sul luogo del disastro, il comandante della Polizia municipale di Venezia, Marco Agostini, ha riferito che dai rilievi fatti non vi sono tracce di frenata sull’asfalto. Il pullman, un mezzo elettrico – ha spiegato – ha divelto il guardrail ed è finito nella scarpata, “incendiandosi nell’impatto al suolo. Che vi sia stato un malore dell’autista è una ipotesi – ha detto Agostini – altre andranno verificate“.
Dalle prime notizie fornite dai vigili del fuoco e dai media locali, sarebbero una ventina le vittime (21 secondo l’ultimo aggiornamento della Prefettura), ma diversi sarebbero i feriti. L’ultimo a essere estratto dalle lamiere è stato l’autista morto, originario di Treviso La circolazione dei treni è stata immediatamente bloccata e gli ospedali vicini sono stati allertati.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, al Tg1 ha aggiornato il bilancio della tragedia in tempo reale: “Ci sono 21 morti, il numero potrebbe aumentare. Il pullman ha fatto un volo di 30 metri, tra i feriti ci sono persone in condizioni gravi”.
Il bilancio ufficiale: 21 morti e 15 feriti
Il bilancio ufficiale dell’incidente del pullman avvenuto a Mestre ieri sera è di 21 vittime e 15 feriti, 5 dei quali in gravi condizioni. Lo ha comunicato nel corso della notte il prefetto di Venezia, Michele Di Bari, dopo aver ricevuto le ultime informazioni dai dirigenti sanitari.
Tra i feriti ricoverati in vari ospedali, con 5 persone in condizioni gravi, cittadini ucraini, un francese, un tedesco e un croato. Feriti anche 4 minori, 2 ragazzi di 16 anni e 2 bambini. In particolare, una bambina di 4 anni è ricoverata presso l’Azienda ospedaliera universitaria di Padova. “È molto grave, si trova in Pronto soccorso dove è arrivata intubata, sola, senza famiglia né documenti”, fanno sapere fonti dell’ospedale preannunciando il trasferimento in rianimazione “perché le sue condizioni sono preoccupanti: presenta politraumi e ustioni. Di lei non sappiamo neanche la nazionalità“.
Con l’avvio delle operazioni di soccorso, è stata sospesa la linea ferroviaria Mestre-Venezia, poi ripristinata con ritardi per i treni intercity e alta velocità. “Un’immane tragedia ha colpito questa sera la nostra comunità. Ho disposto da subito il lutto cittadino, in memoria delle numerose vittime che erano nell’autobus caduto. Una scena apocalittica, non ci sono parole”, scrive su Facebook il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che ha ricevuto la telefonata del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. I feriti sono stati trasferiti negli ospedali di Mestre, Mirano, Treviso, Dolo e Padova. La prefettura di Venezia ha immediatamente attivato il centro coordinamento soccorsi.
Le parole del sindaco Brugnaro
“La novità dell’ultima ora è che sembra trattarsi di un pullman di linea ma adibito al trasporto dei turisti in un campeggio. Sembra fossero a bordo molti stranieri, anche dei bambini. Abbiamo trovato documenti ucraini. Ora stiamo ancora estraendo gli ultimi corpi, molti sono ancora incastrati. Una tragedia immane”. ha detto il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro in collegamento su RaiNews24 dal luogo della tragedia.
Un’immane tragedia ha colpito questa sera la nostra comunità.
Ho disposto da subito il lutto cittadino, in memoria delle numerose vittime che erano nell’autobus caduto.
Zaia: “Feriti e vittime di varie nazionalità”
“Èuna tragedia dalle enormi proporzioni: il bilancio, provvisorio, parla di almeno 21 vittime e di 18 persone ricoverate negli ospedali del Veneto molte delle quali in gravissime condizioni. Purtroppo l’incidente ha coinvolto anche alcuni minori”. ha reso noto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia.
“È stata immediatamente attivata l’intera rete del SUEM 118 del Veneto. I feriti sono stati trasportati negli ospedali di Mestre, Mirano, Padova e Treviso – prosegue – Sono state impiegate più di 20 ambulanze e sul posto è stato fatto convergere anche l’elisoccorso di Treviso”.
“Esprimo sin da ora il cordoglio dell’intera Regione Veneto a tutte le famiglie che in queste ore stanno vivendo un pesantissimo lutto o sono provate dalle condizioni dei loro cari feriti – ha infine aggiunto il presidente della Regione Veneto – Ho chiesto all’intera nostra sanità di mettere in campo ogni risorsa possibile per prestare il massimo dell’assistenza”.
Il cordoglio della Meloni e Mattarella
“Sono in stretto contatto con il sindaco Luigi Brugnaro e con il ministro Matteo Piantedosi per seguire le notizie su questa tragedia” afferma in una nota il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, riferendosi all’incidente. “Esprimo il più profondo cordoglio, mio personale e del Governo tutto, per il grave incidente avvenuto a Mest” aggiungendo “Il pensiero va alle vittime e ai loro famigliari e amici“.
Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha telefonato al sindaco Brugnaro per esprimere il suo cordoglio per quanto accaduto.
I primi soccorsi
Sul posto sono intervenute decine di ambulanza, squadre di vigili del fuoco e forze dell’ordine. L’Usl 3 di Venezia ha attività il protocollo delle grandi emergenze, ovvero messo in allerta tutti i pronto soccorso della zona con il richiamo del personale. Molti feriti, di diversa gravità, sono stati già evacuati da luogo dell’incidente sono stati trasportati negli Ospedali di Mestre, di Padova, di Treviso, di Mirano e di Dolo.
Il pullman precipitato dal cavalcavia di Mestre, nel quale sono morte una ventina di persone, non svolgeva servizio di linea – come appreso in un primo tempo – ma era un mezzo Ncc, noleggiato per i proprio ospiti da un campeggio di Marghera. È un pullman della società «La Linea», che normalmente effettua il collegamento tra il campeggio “Jolly” di Marghera e Venezia.
La solidarietà dell’Europa
Molti i messaggi di vicinanza e dolore che sono arrivati da Bruxelles e dai principali esponenti dei governi europei. Molti di questi “tweet” sono stati scritti in lingua italiana.
Von der Leyen: “Le mie più sentite condoglianze”
“Le mie più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime e ai feriti del grave incidente di Mestre. Sono vicina al Presidente Mattarella, al Presidente Meloni e al sindaco di Venezia Brugnaro in questo momento di profondo dolore”. Queste le prime parole, sempre su X, della presidente della Commissione europea.
Michel: “Profondamente addolorato”
“Sono profondamente addolorato per il terribile incidente di questa sera di un bus a Mestre. Porgo le mie piu’ sentite condoglianze alle famiglie e i cari delle vittime in questo triste momento. Vi sono vicino”. Lo scrive in italiano, sui suoi profili social, il presidente del Consiglio europeo.
Roberta Metsola: “Vicina ai veneziani”
“Il mio pensiero stasera è rivolto alle famiglie e agli amici delle vittime del grave incidente di Mestre. Troppe persone hanno perso la vita in questa tragedia. Auguro una pronta guarigione a tutti i feriti e sono vicina ai cittadini veneziani”. Lo scrive su X (ex Twitter) la presidente del Parlamento europeo.
Macron: “I nostri pensieri sono per l’Italia”
“I nostri pensieri accompagnano stasera il popolo italiano, le famiglie e i familiari delle vittime del terribile dramma di Venezia”. Lo scrive il Presidente francese, Emmanuel Macron.
Baerbock: “Terribile tragedia”
“Profondamente rattristata dalla terribile tragedia dell’autobus a Mestre. In questa notte di dolore, il mio pensiero va alle vittime, alle loro famiglie e ai loro amici”. scrive la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock.
La Procura di Venezia apre un’inchiesta
La Procura della Repubblica di Venezia ha aperto un fascicolo d’inchiesta sul terribile incidente del pullman a Mestre, costato la vita a 21 persone. Nelle prossime ore verranno analizzate le immagini delle telecamere di sicurezza puntate sul cavalcavia, per capire meglio la dinamica dello schianto. Sul logo del disastro è giunto in serata anche il procuratore capo, Bruno Cherchi. Redazione CdG 1947
Da Il Messaggero.
Estratto dell'articolo di Roberta Brunetti Nicola Munaro per “il Messaggero” martedì 7 novembre 2023.
L'autopsia sul corpo di Alberto Rizzotto, l'autista dell'autobus volato dal cavalcavia Superiore di Marghera il 3 ottobre causando 21 morti (Rizzotto compreso) e 15 feriti, non ha evidenziato tracce di malori. Ma gli accertamenti sul cuore che la procura ha conferito ieri mattina - e che dovranno tramutarsi in una relazione da depositare entro il 10 gennaio - si sono resi necessari da un esame del quadro clinico del quarantenne autista. È emerso infatti che nelle settimane prima della strage del cavalcavia, Rizzotto avesse avuto diversi accessi ai Pronto soccorso lamentando problemi cardiaci.
[…] La procura infatti ha affidato l'incarico a una luminare di quelle che sono definite "morti invisibili" e che fino a una quindicina di anni fa rimanevano irrisolte, causate cioè da problemi cardiaci che sfuggono anche ai normali esami. Tra i casi più eclatanti affrontati - e risolti - dalla dottoressa Basso, quello del calciatore Piermario Morosini, morto su un campo di calcio a Pescara nel 2012 mentre inseguiva il pallone indossando la maglia del Livorno. Ed è a lei che la pm chiede di dare una risposta alla domanda su un eventuale malore di Rizzotto.
[…]. Quello che si profila a partire dal 28 novembre - data in cui il cuore verrà sezionato di nuovo - è, quindi, un confronto-scontro tra massimi esperti di cuori a rischio. Da quel momento ecco tre mesi di tempo per capire se ad innescare la strage del 3 ottobre sia stato un malore del conducente.
Poi restano gli altri quesiti: il ruolo giocato dalle condizioni del guardrail, con quel varco di servizio di oltre 2 metri che ha innescato la caduta; l'eventuale utilizzo del telefonino da parte dell'autista e ciò che hanno ripreso le tre telecamere interne all'autobus (l'esito della consulenza affidata all'ingegner Nicola Chemello è attesa per il 5 dicembre), fino allo stato di salute del mezzo. […]
Estratto dell'articolo di Marta Gasparon per "il Messaggero" venerdì 6 ottobre 2023.
Mentre i feriti, ai piedi del cavalcavia di Marghera, venivano via via soccorsi ed estratti dall'autobus precipitato dopo un tremendo volo di circa 15 metri, martedì sera c'erano anche tanti, forse troppi passanti che si sono fermati per immortalare la scena con il proprio smartphone. […]
INDIFFERENZA
Accanto alle storie del gambiano Boubacar Toure e dell'amico nigeriano Godstime Erheneden, che hanno estratto dalle lamiere una bambina, entrando nella carcassa del pullman, e a quella del kosovaro Bujar Bucaj, precipitatosi sul luogo della tragedia non appena resosi conto dell'accaduto, ci sono anche i profili di quanti non sono intervenuti nonostante le grida di aiuto. […]
Lo stesso Bucaj non ha nascosto lo sconcerto di fronte a quanti hanno raggiunto in fretta e furia la postazione migliore per inquadrature e riprese più dettagliate. Qualcuno estraendo anche obiettivi professionali. «Nessuno è venuto a darmi una mano», dice il 43enne Bucaj[…]
Nonostante le sue richieste d'aiuto, nessuno è intervenuto in quei primissimi istanti in cui il pullman doveva ancora essere avvolto dalle fiamme. «Continuavano a scattare foto e a girare video con il cellulare piuttosto che accorrere - riflette l'uomo . Mi chiedo come possano sentirsi ora, consapevoli che avrebbero potuto intervenire ma che in realtà non l'hanno fatto. E questo è per me un dolore grande: potevano fare di più e chissà, magari salvare qualche vita». […]
Riprendere tutto con lo smartphone: perché ora non si è più capaci di fermarsi nemmeno di fronte alla morte? Questo l'interrogativo di fondo dell'imprenditore veneziano Stefano Gavazzi - presente martedì proprio nel ristorante di Bujar Bucaj - […] che ha contattato per primo il 118, lanciando l'allarme.
LE FOTOGRAFIE
«Bujar gridava di andare a dargli una mano, ma tutti stavano fermi, con il cellulare in mano», riferisce Gavazzi. «Evidentemente è più importante riprendere e farsi un bel selfie sul luogo della tragedia, anziché salvare una vita. Piuttosto che fare qualcosa di realmente utile per gli altri. Meglio una fotografia macabra, invece che poter dire: "Ho fatto il possibile per salvare qualcuno"». […]
«Un'esposizione e vetrina dell'orrore, che non fa che ritorcersi contro a chi per primo la produce. Non mi sarei mai aspettato una situazione del genere ammette Gavazzi C'era la gara a chi aveva il cellulare più vicino al luogo dello schianto. Solo una persona, dal cavalcavia, ha lanciato un estintore. Per il resto tutti lì, immobili». […]
Da La Stampa.
Estratto dell’articolo di Monica Serra per lastampa.it il 7 Ottobre 2023
Lo pensano anche i colleghi dell’autista Alberto Rizzotto, di 40 anni. «Stava bene, sembrava in salute. Per me può essere stato un guasto meccanico del mezzo», dice uno di loro al Tg1. C’è chi, chiedendo di restare anonimo, aggiunge che ogni tanto, anche se nuovissimi, quei bus elettrici avrebbero dato qualche problema «con lo sterzo».
[…] La verità si attende dalla scatola nera, già estratta dal bus sotto sequestro da martedì sera. Nessun aspetto può essere tralasciato nell’inchiesta della procura di Venezia che, però, sempre di più si concentra su tutte le carenze dell’infrastruttura: il cavalcavia superiore di Marghera che in oltre sessant’anni non ha visto un intervento di manutenzione straordinaria.
Perché, partendo dal dato certo della graduale riduzione della velocità del pullman ormai fuori controllo, che dai 36 chilometri orari al primo punto di contatto col guard rail scende fino a 6 nel punto del precipizio, sempre più dirimente appare l’assenza di quel tratto di fascia metallica: il «buco» di un metro e mezzo, in cui il bus si è conficcato.
Ma c’è di più. E sta emergendo da quei cinquanta metri di barriere vecchie, arrugginite, a tratti rattoppate in «manutenzione ordinaria», che sono finite sotto sequestro la sera della strage. […]
Non c’era solo il varco di un metro e mezzo nel guard rail. Anche la banchina tra la fascia metallica e la ringhiera non ha retto. E il suo cedimento permetterebbe di chiarire meglio la dinamica della caduta del bus, che si è capovolto ed è precipitato sull’asfalto con il tetto, uccidendo ventuno persone. Sotto il peso della ruota destra del mezzo, la banchina si sarebbe affossata.
Quel bordo, infatti, non è stato pensato, all’epoca, quando è stato costruito, per reggere un bus turistico di 13 tonnellate vuoto, che raggiunge le 19, 5 tonnellate quando è pieno, lungo 12 metri e alto 3, 40. Per questo, al passaggio del mezzo, la banchina che ha tenuto nei primi metri ha poi iniziato a cedere sbilanciando il pullman che a quel punto si è sollevato nella parte posteriore, iniziando a girarsi su se stesso. Ha perso l’equilibrio. È caduto nel vuoto schiantandosi al suolo.
Nell’intervento di manutenzione straordinaria del viadotto, che era stato avviato solo la notte del 5 settembre scorso, anche la banchina sarebbe stata rinforzata, con i piloni, i giunti, le barriere. Proprio come invece già da anni è stato fatto nei tratti urbani del cavalcavia, da molto tempo di competenza del Comune di Venezia.
Basta percorrere qualche decina di metri dal punto della strage per vedere la differenza. Anche grazie a tutte le battaglie delle associazioni ambientaliste, svoltando a sinistra, verso Mestre, si notano subito i guard rail più solidi e ci sono anche le barriere fonoassorbenti. Le diverse gestioni dell’infrastruttura sono lampanti.
La prima affidata al Comune, la seconda passata dall’Anas alla Provincia nel 2001, e dalla Provincia al Comune nel 2014, un anno prima dell’insediamento del sindaco Luigi Brugnaro. «In questi otto anni nulla è stato fatto», continuano ad accusare le opposizioni comunali che in questi giorni non riescono neppure ad accedere a tutta la documentazione sulla storia del viadotto.
Per capire che cosa sia successo nel bus della Linea, carico di turisti stranieri, alle 19, 38 di martedì, si attendono dal medico legale anche gli esiti dell’autopsia sul corpo dell’autista, mentre sono stati esclusi esami più approfonditi sulle salme delle altre vittime che presto saranno rilasciate ai parenti venuti a Venezia da sette Paesi diversi. […]
Da La Repubblica.
Mestre, pullman precipita da un cavalcavia e va in fiamme: 21 morti, due sono bambini, 15 feriti di cui 5 gravi. Laura Serloni, Tiziano Toniutti su La Repubblica il 3 Ottobre 2023
Il bus dell’azienda di trasporti La Linea, caduto vicino ai binari della ferrovia tra Mestre e Marghera, era stato noleggiato dai turisti del campeggio Hu. Malore del conducente o manovra sbagliata: ecco le ipotesi al vaglio dell’incidente
E' di 21 morti, due sono bambini, e 15 feriti, di cui 5 gravi, il bilancio dell'incidente avvenuto a Mestre. Il pullman, precipitato dal cavalcavia, era stato noleggiato da 40 turisti, molti stranieri, che si trovavano nel camping Hu di Marghera.
Il bus stava percorrendo il cavalcavia della bretella che da Mestre porta verso Marghera e l'autostrada A4 quando per cause ancora da accertare è precipitato, poco prima delle 20, facendo un volo di circa 15 metri. Nel primo tratto in discesa il pullman ha sfondato il parapetto ed è caduto giù finendo tra un magazzino e i binari della stazione di Mestre, poi ha preso fuoco. Alcune delle prime vittime recuperate sarebbero morte carbonizzate.
Il mezzo, ad alimentazione ibrida metano-gasolio, potrebbe aver preso fuoco dopo aver toccato i cavi dell’elettricità. Il sindaco Luigi Brugnaro: “Un’immane tragedia. Il pullman coinvolto nell'incidente stava andando da Venezia a Marghera. È uscito completamente di strada, è volato giù dal ponte. Siamo in lutto".
Ancora non è chiara la dinamica dell’incidente: potrebbe essersi trattato di un malore del conducente che è morto nello schianto oppure di una manovra sbagliata in un punto in cui erano in corso dei lavori di rifacimento del cavalcavia. Gli inquirenti sono al lavoro per capire le cause. La polizia stradale sta effettuando i rilievi: c'è da verificare la traiettoria della caduta, le condizioni del manto stradale. Segni di frenata sull'asfalto pare non ce ne siano. E per ora il malore sembra l'unica spiegazione di questa tragedia.
20:52 Sospesa la linea ferroviaria
La linea ferroviaria tra Mestre e Venezia è stata sospesa a causa dell'incidente.
21:03 Attivato il protocollo per le grandi emergenze
Sono accorse numerose ambulanze sul posto ed è stato attivato il protocollo per le grandi emergenze che prevede la messa a disposizione di tutti i pronto soccorso degli ospedali ed il richiamo al lavoro di personale di rinforzo.
21:07 Brugnaro: “Immane tragedia, scena apocalittica”
"Un'immane tragedia ha colpito questa sera la nostra comunità. Ho disposto da subito il lutto cittadino, in memoria delle numerose vittime che erano nell'autobus caduto. Una scena apocalittica, non ci sono parole". Lo scrive il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro su Twitter parlando del tragico incidente che ha visto un bus precipitare da un cavalcavia a Mestre (Venezia).
21:15 Richiamati in servizio i medici e il personale dei pronto soccorso
Dalle prime notizie dell'incidente la direzione dell'Azienda sanitaria, in contatto con la centrale operativa del Suem118, ha fatto scattare il PEIMAF, Piano Emergenza Interno Massiccio Afflusso di Feriti. Sono quindi richiamati in servizio i medici e il personale dell'emergenza-urgenza, sono messi a disposizione tutti i mezzi dai diversi presidi ospedalieri. I pronto soccorso di tutti gli ospedali si sono allertati secondo precisi protocolli allestendo aree destinate ad accogliere un numero elevato di feriti.
21:25 Meloni: profondo cordoglio, seguo gli sviluppi
"Esprimo il più profondo cordoglio, mio personale e del governo tutto, per il grave incidente avvenuto a Mestre. Il pensiero va alle vittime e ai loro famigliari e amici. Sono in stretto contatto con il sindaco Luigi Brugnaro e con il ministro Matteo Piantedosi per seguire le notizie su questa tragedia". Così il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
21:40 Piantedosi: “21 morti, il bilancio potrebbe crescere"
21:44 Mattarella telefona a Brugnaro, cordoglio per le vittime
A quanto si apprende, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro per esprimergli il suo cordoglio per la gravissima tragedia di Mestre, che ha causato 21 vittime accertate.
21:50 Pullman era stato noleggiato da un campeggio per gli ospiti
Il pullman precipitato dal cavalcavia di Mestre, nel quale sono morte una ventina di persone, non svolgeva servizio di linea - come appreso in un primo tempo - ma era un mezzo Ncc, noleggiato per i proprio ospiti dal camping Jolly di Marghera. È un pullman della società "La Linea", che normalmente effettua il collegamento tra il campeggio e Venezia.
21:50 Piantedosi: “Il bus era alimentato a metano e ha fatto un volo di 30 metri”
"Il bilancio" delle vittime "è destinato probabilmente a crescere. Alle 19.45, mentre attraversava il cavalcavia, l'autobus per una situazione da accertare ha sfondato il guardrail, sembra sia alimentato a metano. Sono circa 30 metri di volo. È un bilancio molto tragico e drammatico ma temo che possa essere destinato a crescere". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, in collegamento con l'edizione straordinaria del Tg1. "Le cause sono da accertare. Oltre al volo e all'impatto notevole che ha avuto il mezzo, sembra che il fattore di aggravio sia stato l'alimentazione a metano con il fuoco che si è poi sviluppato". Alla domanda se ci siano persone ancora intrappolate, Piantedosi ha risposto: "Potrebbe essere di sì".
21.58 La testimone: "E' appena caduto un autobus da un ponte, un disastro”
“E’ un disastro!". E' la prima reazione di una donna che subito dopo l'incidente del pullman a Mestre-Marghera ha ripreso con il suo telefonino le immagini di quanto avveniva. Il mezzo brucia con tanto fumo, e si vedono anche i bagliori delle fiamme, è rovesciato di lato con i finestrini dalla parte del guidatore verso l'alto.
Nelle primissime immagini affidate ai cellulari dei testimoni, tanto che non sono ancora arrivati i soccorsi ma si sentono le sirene di decine di mezzi che stanno convergendo sul luogo dell'incidete, si vedono alcune persone che sono attorno al pullman ma non si possono avvicinare per le fiamme e per il calore sviluppato dalle lamiere incandescenti.
22:00 Brugnaro: “Tra le vittime turisti stranieri”
"Sembra che si tratti di un pullman di linea ma adibito al trasporto dei turisti a un campeggio. Sembra che ci fossero a bordo molti stranieri, anche dei bambini. Abbiamo trovato dei documenti ucraini. Stanno estraendo gli ultimi corpi". L'ha detto ai microfoni di RaiNews il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, in merito all'incidente di Mestre. "Sembra che alcuni si siano salvati", ha aggiunto.
22:05 Diversi bambini tra i feriti
Ci sono anche tre bambini tra i 15 feriti del tragico incidente di Mestre, dove un bus in servizio navetta da un campeggio è precipitato dal cavalcavia facendo almeno 21 vittime.
Anche se sono 21 i corpi estratti dalle lamiere del pullman, un mezzo alimentato a metano che si è completamente accartocciato su se stesso, non si escludono possibili ancora corpi da estrarre. Dei 15 feriti, 5, tra i quali due minori, si trovano all'ospedale di Treviso, mentre un altro minore è stato trasportato all'ospedale di Padova in elisoccorso. Gli altri 12 si trovano a Mestre. Le vittime al momento non sono ancora state identificate, ma si tratterebbe di turisti stranieri di diversa nazionalità.
22:20 Zaia: “Coinvolti minori, vittime anche straniere”
"L'incidente ha coinvolto anche alcuni minori. Le vittime ed i feriti sono di varie nazionalità, non solo italiani: sono ancora in corso le operazioni di estrazione e riconoscimento delle salme, ad opera dei Vigili del Fuoco, della questura e dei sanitari, che ringrazio per i loro sforzi". Così in un post il presidente della Regione Veneto Luca Zaia.
"I feriti dell'incidente a Mestre – continua Zaia – sono stati trasportati negli ospedali di Mestre, Mirano, Padova e Treviso. È stata immediatamente attivata l'intera rete del Suem 118 del Veneto. Sono state impiegate più di 20 ambulanze e sul posto è stato fatto convergere anche l'elisoccorso di Treviso. Esprimo sin da ora il cordoglio dell'intera Regione Veneto a tutte le famiglie che in queste ore stanno vivendo un pesantissimo lutto o sono provate dalle condizioni dei loro cari feriti. Ho chiesto all'intera nostra sanità di mettere in campo ogni risorsa possibile per prestare il massimo dell'assistenza", termina il presidente.
22:30 Riattivata la linea ferroviaria
"La linea ferroviaria era stata interrotta per motivi di sicurezza ma l'abbiamo riattivata una ventina di minuti fa". Lo ha detto Mauro Luongo, comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Venezia ai microfoni di SkyTg24.
22:35 A bordo anche cittadini ucraini e tedeschi. L'autista era italiano
A bordo del bus precipitato a Mestre ci sarebbero stati anche un gruppo di cittadini ucraini e alcuni cittadini tedeschi. La circostanza è emersa dopo il rinvenimento di passaporti relativi alle due nazionalità. Secondo quanto si apprende l'autista era di nazionalità italiana.
22:50 Tra prime ipotesi un malore dell'autista
C'è un malore dell'autista tra le prime ipotesi sulle cause dell'incidente del pullman a Mestre. Il comandante della polizia municipale di Venezia, Marco Agostini, ha riferito che dai rilievi fatti non vi sono tracce di frenata sull'asfalto. Il pullman, un mezzo elettrico - ha spiegato - ha divelto il guard rail ed è finito nella scarpata, "incendiandosi nell'impatto al suolo". "Che vi sia stato un malore dell'autista è una ipotesi - ha detto Agostini - altre andranno verificate".
22:58 Ambasciata Kiev conferma vittime ucraine a Mestre
L'ambasciata di Kiev a Roma conferma la presenza di vittime ucraine nella tragedia di Mestre. "Sì, secondo le informazioni a noi disponibili sono stati trovati i documenti di cittadini ucraini", riferiscono all'Ansa fonti dell'ambasciata aggiungendo di non avere altre informazioni al momento.
23:00 Il direttore del 118 Veneto: “I feriti sono 18 ma con il bus rovente è difficile operare”
"I feriti finora accertati sono 18, con ustioni e politraumi. Pensiamo che con i 21 morti chiudano un bilancio definitivo ma è presto per dirlo. Il bus è ancora ribaltato e soprattutto rovente per le fiamme divampate a causa di un incendio all'interno del mezzo. In queste condizioni è difficile operare. Non possiamo fare altro". Così Paolo Rosi, direttore 118 Regione Veneto sull'incidente di Mestre.
"A vedere la scena viene un malore, perché il bus è precipitato uscendo di strada su un rettilineo. Sono quattro i bambini ricoverati in ospedale, 2 quelli deceduti ma potrebbero essere di più. In molti sono senza documenti e questo fa pensare che siano minori. Ne ho viste tante nella mia vita professionale ma questa scena è davvero impressionante, è uno strazio".
23:05 Ursula von der Leyen: “Vicina a Italia nel dolore”
"Le mie più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime ed ai feriti del grave incidente di Mestre. Sono vicina al presidente Mattarella, al presidente Meloni ed al sindaco di Venezia Brugnaro in questo momento di profondo dolore". Così la presidente della commissione europea Ursula Von der Leyen su X esprime cordoglio per la tragedia di Mestre.
23:10 Tra le vittime c'è anche l'autista del mezzo
Ha perso la vita nello schianto l’autista del bus: si chiamava Alberto Rizzotto, aveva 40 anni ed era originario di Tezze di Piave in provincia di Treviso.
23:15 Prefettura, tra vittime 5 ucraini e un tedesco
Tra le vittime già identificate dell'incidente del pullman a Mestre vi sono cinque cittadini ucraini, un tedesco, e l'autista del mezzo, un italiano. Così il prefetto di Venezia, Michele Di Bari. I superstiti del disastro sono i 18 passeggeri rimasti feriti, e dislocati in vari ospedali del Veneto: tra questi, 9 a Treviso (di cui due minori), 4 a Mestre, uno a Mirano ed uno a Dolo. All'ospedale all'Angelo di Mestre la Prefettura ha creato un punto di accoglienza per i familiari delle vittime composto da 4 psichiatri e 2 psicologi.
23:20 Cinque feriti sono in gravi condizioni
Delle 18 persone rimaste ferite nell'incidente che ha coinvolto un bus a Mestre 5 sono in gravi condizioni. A bordo oltre a cittadini ucraini e tedeschi c'erano anche cittadini francesi. L'autista, morto, era originario di Treviso.
23:30 Gravissima una bambina di 4 anni
Il bilancio provvisorio dei feriti è di 1 bambino elitrasportato a Padova e di una bambina di 4 anni ustionata gravemente ed in pericolo di vita trasportata a Padova in rianimazione. Tra i feriti gravi anche una donna di 50 anni con gravi ustioni e traumi in varie parti del corpo. Sia la bambina che la 50enne sono di nazionalità ucraina. Altri 6 feriti meno gravi sono stati portati a Mestre di cui 3 in codice rosso e 3 in giallo. Un altro ferito piuttosto grave si trova all'ospedale di Mirano, uno a Dolo, 9 feriti sono a Treviso tra cui 2 in codice rosso, 2 in codice giallo, e altri due 2 bambini.
00.43 Bilancio ufficiale, a Mestre 21 morti e 15 feriti
Il bilancio ufficiale dell'incidente del pullman avvenuto a Mestre ieri sera è di 21 vittime e 15 feriti, 5 dei quali in gravi condizioni. Lo ha comunicato poco fa il prefetto di Venezia, Michele Di Bari, dopo aver ricevuto le ultime informazioni dai dirigenti sanitari.
00.48 Bus sarà sollevato dopo raffreddamento batterie per verificare eventuali altre vittime
Sarà sollevato e portato via solo dopo il raffreddamento delle batterie il pullman precipitato ieri sera dal cavalcavia di Mestre. Lo ha riferito ai giornalisti il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Venezia, Mauro Luongo. "Abbiamo alzato poco fa il mezzo - ha proseguito Luongo - per essere sicuri che non vi fossero altri corpi sotto la vettura, e non c'erano. A complicare la situazione è stato il fatto che si trattava di un bus elettrico, e che quindi le batterie hanno preso fuoco subito dopo l'impatto".
00.58 Pazienti distribuiti in vari ospedali. All'Angelo sei feriti più due deceduti
Sono stati distribuiti negli ospedali di Mestre, Dolo, Mirano, Treviso e Padova i pazienti rimasti coinvolti a Mestre nell'incidente del bus, costato la vita ad almeno 21 turisti. L'Ulss 3 veneziana conferma che il piano di allarme previsto in questo casi è scattato immediatamente come progettato quando vi è un alto numero di feriti. All'ospedale all'Angelo di Mestre sono state ricoverate sei persone oltre a due deceduti (un bambino e un adulto). Dei sei, quattro sono in codice rosso e due presentano lesioni minori. Per tutti sono stati riscontrati traumi e ferite gravi da ustioni. Per supportare i medici, sono giunti a Mestre da Chioggia i primari di pediatria, cardiochirurgia, neurologia e chirurgia generale. Gli arrivi di parenti nella sala d'aspetto del nosocomio per ora sono molto limitati. È stato anche attivato un servizio di traduzioni in ucraino e russo.
01.12 Un operaio: “Ho salvato una bambina dalle fiamme”
Un operaio gambiano che, assieme ad un collega, si è trasformato ieri sera in uno degli eroi dei soccorsi ai turisti del pullman precipitato dal cavalcavia di Mestre. Boubacar Toure ha raccontato al 'Gazzettino' di aver aiutato i vigili del fuoco intervenuti per primi sul mezzo in fiamme a portar fuori dal mezzo quattro persone, tra le quali una bambina, che poi ha affidato ai sanitari del 118. "Oltre a loro sono riuscito a portar fuori anche un cagnolino" ha detto il giovane.
I due operai, terminato il turno - la fabbrica dista qualche centinaio di metri dal luogo dell'incidente - hanno visto quasi in diretta la scena dello schianto, e subito sono corsi verso il pullman che si era incendiato, per cercare di dare un aiuto. "Ho visto l'autista, nella cabina del pullman, ma era già morto - ha raccontato Boubacar -. Il vigile del fuoco allora mi ha detto che dovevamo pensare ai vivi, ai feriti, così l'ho aiutato ad estrarre quelle persone, per portarle all'esterno".
01.20 Esclusa la presenza di altre vittime sotto il bus
Esclusa la presenza di altre vittime sotto il bus. Intanto le salme estratte dalle lamiere del pullman che si è accartocciato su se stesso, dopo essere state benedette da un sacerdote, sono state trasferite dal luogo del disastro.
01.41 I soccorritori, “Una tragedia di giovani”
"L'impressione visiva, dopo la rimozione delle salme, è che ci troviamo di fronte ad una tragedia di giovani, se non giovanissimi, salvo qualche adulto". A parlare è uno dei capi soccorritori che si trova ancora sul luogo dopo è precipitato a Mestre il bus. Il mezzo non è stato ancora rimosso perché si deve raffreddare. "Respiriamo una situazione surreale - dice ancora il soccorritore - non ho mai visto tante persone pronte a dare una mano". Sul posto si è recata una sessantina di mezzi dei vigili del fuoco e 20 automezzi. Molti dei pompieri non hanno voluto riposare alla fine del turno e hanno chiesto di continuare a lavorare.
06.20 Rimosso bus da sotto al cavalcavia
Il Centro di coordinamento dei soccorsi ha informato che alle 5 di questa mattina sono terminate le operazioni di rimozione della carcassa dell'autobus da sotto il cavalcavia. Lo riferisce il Comune di Venezia in un post pubblicato sul social X. "La viabilità su Rampa Rizzardi direzione Marghera è ancora interrotta per consentire la messa in sicurezza dell'area", si legge nel post.
06.46 Colleghi dell'autista sotto shock, “Era esperto”
I colleghi lo definiscono un autista esperto che svolgeva l'attività da 7 anni. Sono tanti i messaggi che in queste ore stanno comparendo in rete per ricordare Alberto Rizzotto, il 40enne originario di Conegliano ma residente a Tezze sul Brenta che si trovava alla guida del bus precipitato ieri sera a Mestre. Un indicente costato la vita a 21 persone. "Così orgoglio del tuo lavoro, dovevi portarci tutti nel tuo autobus alla festa della classe", le parole di Laura. Rizzotto era dipendente della Martini Bus che aveva noleggiato il mezzo alla società La Linea con una quale aveva un contratto per il trasporto dei turisti a Venezia.
Tragedia a Mestre: identificati i corpi. Tutti i nomi delle vittime. Andrea Medda il 5 Ottobre 2023 su newsmondo.it
Il prefetto di Venezia ha comunicato che sono state identificate tutte le vittime della tragedia a Mestre. I nomi dei 21 morti.
Le indagini del caso sono ancora, ovviamente, in corso. Ma è già possibile fare un primo, terribile, bilancio su quella che è stata la tragedia a Mestre. Sono stati resi noti, infatti, i nomi dei 21 morti nell’incidente che ha visto un bus cadere giù dal cavalcavia per cause ancora tutte da accertare. Il prefetto di Venezia ha comunicato, ad ogni modo, che i corpi delle vittime sono stati tutti identificati.
Tante le domande a cui bisogna trovare una risposta a proposito dell’incidente a Mestre. Come tanti saranno i quesiti delle famiglie delle vittime. Sono ben 21 i morti a seguito della tragedia del bus caduto dal cavalcavia e tutti sono stati, ora, idenfiticati.
A renderlo noto, infatti, è stato prefetto di Venezia. La triste conta vede purtroppo 9 ucraini, 4 rumeni, 3 tedeschi, un italiano (l’autista Alberto Rizzotto), una croata, due portoghesi, una sudafricana, come vittime di quanto accaduto.
Tutti i nomi
Nello specifico sono stati resi noti i nomi di tutti e 21 i corpi senza vita idenfiticati: Alberto Rizzotto (1983, italiano, l’autista, Antonela Perkovic (croata), Annette Pearly Arendse (1965, sudafricana), Maciel Arnaud (1967, portoghese), Antonela Bakovic (1997, croata), Anne Eleen Berger (1991, croata), Serhii Beskorovainov (1953, cinese con cittadinanza ucraina), Tetiana Beskorovainova (1954, moldava con cittadinanza ucraina), Gualter Augusto Carvalhido Maio (1965, portoghese), Charlotte Nima Frommerherz (2022, tedesca), Siddharta Jonathan Grasse (1995, tedesco), Vasyl Lomakin (1953, ucraino), Daria Lomakina (2013, ucraina), Anastasiia Morozova (2011, ucraina), Aurora Maria Ogrezeanu (2015, romena), Georgiana Elena Ogrezeanu (2010, romena), Mihaela Loredana Ogrezeanu (1981, romena), Mircea Gabriel Ogrezeanu (1978, romeno), Iryna Pashchenko (1993, ucraina), Liubov Shyshkarova (1993, ucraino), Dmytro Sierov (1990, ucraino).
La famiglia romena distrutta. “In gita premio con le figlie dopo una vita sempre in fuga”. Giuseppe Baldessarro e Paolo Berizzi su La Repubblica il 06 ottobre 2023
La famiglia romena con Mircea Gabriel Ogrezeanu, la moglie Mihaela Loredana e le due figlie di 8 e 13 anni Aurora Maria e Georgiana Elena
Mircea con Mihaela e le due bambine si erano stabiliti in Germania. La disperazione dei parenti delle nove vittime ucraine
Ci sono immagini che, viste adesso, mettono i brividi. Una l’ha postata Mircea Ogrezeanu il 18 febbraio 2021 sul suo profilo Facebook: è un fotomontaggio. Al centro c’è una famiglia in mezzo alle nuvole, e dunque in cielo. Ecco il capo famiglia, Mircea, con la moglie e le due figlie e la sorella di lui. Che è morta pochi giorni prima di cancro. «Non ti dimenticheremo mai», recita la scritta in romeno sotto la grafica. È il tenero pensiero dedicato alla zia. Ecco: quella famiglia che sul social network si è “dipinta” in cielo, oggi non c’è più. Tutti morti. Dentro il bus volato dal cavalcavia a Mestre e bruciato durante lo schianto. Sono loro: Mircea Gabriel Ogrezeanu, 45 anni, la moglie Mihaela Loredana, 42 anni, e le due figlie Aurora Maria, 8 anni, e Georgiana Elena, 13 anni. Romeni. Ma si erano trasferiti in Germania e da lì una settimana fa erano arrivati in pullman al Camping Hu in Town di Marghera per una vacanza a Venezia. Dovevano essere giorni di relax dopo un’estate di lavoro.
Le salme, ieri pomeriggio, erano ancora nell’obitorio dell’ospedale mestrino “dell’Angelo”. Adesso che la magistratura ha dato il nulla osta per la restituzione alle famiglie, gli Ogrezeanu verranno rimpatriati. Ci sono voluti una notte e un giorno per identificarli insieme alle altre diciassette vittime della strage del ponte. La conferma dell’identità della famiglia distrutta è arrivata dall’Ambasciata di Romania a Roma e dal consolato generale di Romania a Trieste. Martedì sera sono morti tutti e quattro sul colpo, dilaniati dall’impatto della navetta sui binari della stazione di Mestre dopo il salto nel vuoto.
Originaria dei distretti di Arges e Dambovita, la famiglia proviene da Targoviste, città di 88mila abitanti e capoluogo della Dambovita, nella regione storica della Muntenia. Poi aveva scelto di lasciare la Romania e di trasferirsi in Germania in cerca di una vita migliore: per i due genitori e per le due bambine. Diploma industriale, papà Mircea lavorava come operaio; la moglie, che in passato aveva aperto un negozio di toner, era commessa. «L’anziana mamma di lui non sa ancora della tragedia — dice George Isac, romeno, manager della Legal Service, che potrebbe ricevere un mandato ufficiale dai parenti degli Ogrezeanu per seguire l’aspetto risarcitorio — Credo che appena le parleranno, arriverà il momento di riportare le salme a Targoviste».
Romania. Ucraina. La spoon river di Mestre ha devastato intere famiglie. Ed è proprio lo Stato sovrano invaso dalla Russia — già piegato dalla guerra — a pagare il tributo di vite più alto. Nove morti e sei feriti. Storie, altre storie strazianti. «Li ho salvati dalla guerra per farli morire su un autobus». Non si da pace il papà di Daria. Lui aveva deciso di restare in Croazia, dove da oltre un anno era ospite con l’intera famiglia, mentre il resto del gruppo si era unito a degli amici per fare due giorni di vacanza a Venezia. Nell’incidente di martedì sono morti i suoceri e la figlia di 10 anni, mentre la moglie combatte ancora per la vita in un reparto di terapia intensiva.
La vicenda è stata raccontata ieri dal console generale d’Ucraina a Milano, Andrii Kartysh, in visita all’ospedale dell’Angelo di Mestre: «Ho incontrato il padre, ed è disperato. Non riesce a darsi pace e per quel che possiamo stiamo facendo di tutto per sostenere lui e gli altri nostri connazionali». La tragedia si è sommata al dramma di persone fuggite dalla guerra in cerca di pace; di un luogo nel quale vivere in attesa della fine del conflitto.
In Croazia si erano adattati e legati a una seconda famiglia di profughi. Per la prima volta, assieme ai nuovi amici, si erano voluti regalare un piccolo viaggio per vedere l’Italia. È finito in un dramma. Otto delle nove vittime ucraine facevano parte di due nuclei familiari fuggiti dall’area di Kherson e Donetsk. Cinque di loro sono decedute, altre 3 sono ricoverate. Spiega ancora il console: «Abbiamo ricevuto le telefonate dei parenti che stanno ancora a Kherson. Parlando con uno di loro, per dire che una signora era morta, la linea è caduta perché è cominciato un bombardamento». Tra i feriti ucraini anche una bambina di 4 anni ricoverata in condizioni gravissime al reparto grandi ustionati dell’ospedale di Padova, sua madre è in terapia intensiva a Treviso. Il padre è morto. All’ospedale dell’Angelo c’è anche Alexander Lomakin che nell’incidente ha perso il padre e il figlio. Ora chiede continuamente della moglie, sopravvissuta come lui e ricoverata in terapia intensiva in un’altra struttura veneta.
Da Il Sole 24 ore.
Estratto dell’articolo di Marco Morino per “Il Sole 24 Ore” venerdì 6 ottobre 2023.
Il terribile incidente di Mestre ripropone con forza il tema della sicurezza passiva lungo le strade italiane. Tecnicamente si definisce sicurezza passiva tutto ciò che sta al di fuori del veicolo, ma impatta sulla sicurezza dei trasporti. I guardrail rientrano a pieno titolo nel concetto di sicurezza passiva.
[...] c’è un primo dato che dovrebbe spingere i decisori pubblici e il mondo politico in generale a effettuare una profonda riflessione: in Italia, parlando di barriere di sicurezza, ci sono almeno 600mila chilometri di strade comunali, provinciali e regionali a rischio in quanto le amministrazioni locali, a cui è affidata la gestione di queste infrastrutture, non hanno né le risorse finanziarie, né gli obblighi di legge e neppure la competenza tecnica per adeguare le barriere ai più moderni standard di sicurezza.
Se poi aggiungiamo il fatto che la normativa sulle barriere di sicurezza, a livello europeo e non solo italiano, è vecchia di 30 anni, si comprende quali rischi si corrano quotidianamente lungo le strade.
A lanciare un simile allarme è un’autorità in materia: la società Aisico, attraverso il suo amministratore delegato Stefano Calamani. Aisico è un’eccellenza del made in Italy nei crash test e nelle prove di impatto dei veicoli contro barriere di sicurezza stradali e attenuatori ferroviari. Spiega Calamani: «Ciò che è accaduto a Mestre ci deve spingere a ragionare sul sistema globale della sicurezza stradale in Italia. Ci sono tre criticità: i guardrail, i ponti e le gallerie. Ora si parla continuamente di veicoli elettrici. Bisogna sapere che questi veicoli pesano molto di più di quelli tradizionali. Le norme di crash, inoltre, risalgono a circa trent’anni fa, quando i mezzi in circolazione erano assai diversi rispetto a oggi.
Quindi, in caso di impatto con un veicolo elettrico, gli attuali guardrail, anche quelli di ultima generazione, non sono in grado di contenerlo, proprio perché pesa assai di più e, in caso di incendio, i motori elettrici sono molto più difficili da spegnere». [...]
Continua Calamani: «Lei sappia che questi pullman a doppia altezza nessuna barriera al mondo li può contenere, perché hanno un baricentro talmente alto che appena sbattono contro la barriera si ribaltano. Se noi consentiamo di mettere sulle strade dei veicoli alti, che pesano di più, che hanno velocità più elevate rispetto agli standard di trent’anni fa e poi non adeguiamo le norme sulle barriere, abbiamo un enorme problema». E così, stante l’immobilismo della politica, spetta ai privati come Aisico farsi avanti.
La società italiana, in collaborazione con il mondo accademico, è impegnata a presentare alla Commissione europea una proposta di revisione delle norme sulle barriere di sicurezza. Le quali, a loro volta, devono evolvere verso un concetto smart: non più un semplice pezzo di ferro montato a bordo strada, ma installazioni dotate di sensori, luci integrate e così via.
Prosegue il ceo di Aisico: «La responsabilità della revisione delle norme non può certo ricadere sulle spalle dei privati. Deve essere innanzi tutto l’Europa a ridefinire le regole, oggi del tutto obsolete. In particolare, non è previsto alcun obbligo per i gestori delle strade di adeguare le barriere ai nuovi standard. Qui però bisogna distinguere: lungo i 6mila chilometri della rete autostradale a pedaggio, gli investimenti in sicurezza sono adeguati.
Anche lungo la rete Anas (25mila chilometri) c’è attenzione. Il problema si pone per tutto il resto della viabilità ordinaria, che fa capo agli enti locali, ovvero ai circa 600mila chilometri di strade comunali, provinciali e regionali, dove la situazione è nel complesso disastrosa, anche perché le amministrazioni non hanno alcun obbligo di sostituzione dei guardrail». Al riguardo, esiste solo una norma molto generica del Codice della strada, là dove si dice che un ente che gestisce una strada deve tenere in ordine la propria rete stradale. Niente di più.
«Ma anche ammesso che ci sia un obbligo – sottolinea Calamani – mancano sia le risorse finanziarie sia le capacità tecniche per adeguare le proprie barriere. L’amara verità è che siamo stati fortunati, dopo il caso di Avellino, dove si è verificato un incidente più o meno analogo a quello di Mestre, che per 10 anni non sia più accaduto niente del genere. Ma se avessimo incidenti del genere anche tre, quattro, cinque volte l’anno non ci sarebbe da sorprendersi».
Da Il Domani.
Incidente bus Mestre, chi sono le vittime. Il Domani il 04 ottobre 2023
Le operazioni per le estrazioni procedono lentamente. Al momento sono state identificate 11 vittime su 21. «Ci troviamo di fronte ad una tragedia di giovani, se non giovanissimi, salvo qualche adulto», ha detto alle agenzie stampa uno dei capi soccorritori
La maggior parte dei deceduti nell’autobus caduto dal cavalcavia a Mestre sono cittadini di origine ucraina. Al momento sono state identificate 11 vittime su 21, contando anche l’autista 40enne Alberto Rizzotto. Tra questi ci sono: 4 ucraini, 1 tedesco, 1 francese, 1 croato, 2 spagnoli e 2 austriaci. Altre 15 persone sono gravemente ferite, di cui cinque sono in gravissime condizioni.
«L'impressione visiva, dopo la rimozione delle salme, è che ci troviamo di fronte ad una tragedia di giovani, se non giovanissimi, salvo qualche adulto», ha detto alle agenzie stampa uno dei capi soccorritori.
Le operazioni per l’estrazione dei corpi procedono lentamente. Il comandante provinciale dei Vigili del fuoco, Mauro Luongo, ha spiegato all’Ansa che è dovuto anche al fatto «che il pullman era elettrico quindi con le batterie». Di conseguenza: «Hanno preso fuoco con l'impatto. Le batterie hanno delle criticità quando sono calde. Ecco perché le operazioni sono state un po' più lunghe per rimuovere il mezzo». Nelle prime ore della mattinata il mezzo è stato rimosso dalla strada, ma il cavalcavia è rimasto chiuso al traffico.
COSA SAPPIAMO
L’autobus stava trasportando i turisti da Venezia al camping “Hu” di Marghera. Al momento sono diverse le ipotesi sul campo secondo cui anche che il conducente sia stato colpito da un malore, visto che non sono evidenti segni di frenata sull’asfalto. I dirigenti e i colleghi di Alberto Rizzotto hanno confermato che era un autista provetto.
Il governatore della regione, Luigi Zaia, ha definito l’incidente una «tragedia» e chiesto che siano eseguite le indagini il prima possibile.
Da L’Identità.
Il dramma delle 21 vittime del bus: dalla sicurezza al rischio elettrico. Rita Cavallaro su L'Identità il 4 Ottobre 2023
I familiari di quei 21 turisti morti sul bus precipitato dal cavalcavia di Mestre dovranno attendere i risultati di un’indagine complicata per conoscere la verità sulla fine dei propri cari. Perché l’incidente avvenuto alle 19.38 di martedì scorso appare così inspiegabile da aprire scenari che vanno dal malore dell’autista a un guasto tecnico. E più si raccolgono gli elementi, meno si restringe il campo delle ipotesi al vaglio della Procura di Venezia, che ha aperto un fascicolo sulla strage, al momento contro ignoti, e che attende l’autopsia sul corpo di Alberto Rizzotto, 40 anni e autista esperto.
Quello che gli investigatori dovranno accertare è il motivo per cui il conducente del bus sia sopraggiunto sul cavalcavia senza frenare, abbia effettuato una manovra azzardata e sia volato giù per una quindicina di metri. Le batterie del mezzo elettrico, prodotto da una società cinese e con meno un anno di vita, hanno preso fuoco nell’impatto e l’incendio non ha dato scampo ai viaggiatori: in 21, tra cui una bambina e un neonato, sono morti. Erano saliti sullo shuttle a mezz’ora dalla strage. Rizzotto, che aveva preso servizio circa 90 minuti prima, li aveva prelevati a piazzale Roma. Direzione un camping fuori città, ma nel tragitto qualcosa è successo, forse ancora prima di raggiungere quel cavalcavia da dove il bus è volato giù.
Gli inquirenti stanno studiando con attenzione il filmato delle telecamere di sorveglianza, che mostra l’autobus sopraggiungere spedito, affiancarsi ad altri mezzi fermi nel traffico ma senza frenare, sfondare con una manovra azzardata almeno due lampioni che si spengono e precipitare nel vuoto in un punto in cui il guardrail era interrotto. I soccorritori hanno recuperato le due scatole nere e le telecamere interne del mezzo e stanno visionando gli ultimi momenti di guida di Alberto Rizzotto, per capire se davvero il 40enne sia stato colpito da malore o abbia tentato in tutti i modi di evitare l’incidente. Quello che sarà fondamentale escludere, per chiudere il cerchio, e bloccare sul nascere le polemiche riguardo alla sicurezza dei veicoli elettrici ormai ritenuti indispensabili per la transizione ecologica, è se la strage sia stata causata da un guasto tecnico.
Ad alimentare questa probabilità un whatsapp di una cittadina che parla di alcuni testimoni che avrebbero visto lo shuttle prendere fuoco “nella rampa di salita del cavalcavia” e aggiunge che il conducente non poteva fermarsi “perché era stretto tra le altre auto in coda”. Una ricostruzione che potrebbe essere compatibile con la dinamica, in quanto sull’asfalto non ci sono tracce di frenata ma sul guardrail sono rimasti i segni neri delle gomme del bus, che avrebbe strusciato sulle lamiere finché il paracarro non si è interrotto, nel punto in cui è precipitato. Non è escluso che, in presenza di un incendio nel vano batterie, il sistema elettronico possa aver bloccato l’alimentazione e, a quella velocità, Rizzotto non abbia potuto fare nulla per fermare il bus, se non il tentativo disperato di utilizzare il guardrail per arrestare la marcia. Peccato che la ringhiera fosse interrotta in quel tratto. Senza contare che l’incendio provocato dalle batterie ha complicato fin da subito le operazioni di soccorso. E forse, qualche vittima in più poteva essere salvata. Sotto la lente, dunque, l’azienda produttrice cinese Yutong, che ha fornito 20 bus elettrici a La Linea Spa, che garantisce il sistema di navette a Venezia. La stessa Yutong avrebbe dovuto fornire 100 bus elettrici alla città di Torino, dopo che nel 2020 si era aggiudicata la gara indetta dall’operatore del trasporto pubblico locale Gtt. Ma il contratto da 72 milioni di euro era stato “annullato dopo la verifica” perché sarebbe emerso che l’azienda, “è risultata non avere i requisiti necessari”.
Principalmente quelli della sicurezza, che il Comune ha ritenuto insufficienti nella verifica del processo di assemblaggio. Secondo le indiscrezioni, per tagliare i costi di produzione, i mezzi elettrici non sarebbero partiti da Hong Kong già pronti, ma sarebbero stati assemblati sulla nave durante il tragitto dalla Cina all’Italia. Un caso passato sotto traccia, l’ennesima noiosa storia di burocrazia e appalti, ma che oggi assume contorni inquietanti di fronte alla strage di Mestre, almeno finché l’analisi delle scatole nere non escluderà l’ipotesi di un guasto tecnico dello shuttle. Perché la rivoluzione green senza se e senza ma non può prescindere dalla sicurezza dei cittadini. Mancanza di sicurezza che si affianca al danno previsto per le aziende europee e i produttori italiani a seguito della decisione dell’Ue sullo stop ai motori a combustione entro il 2035. Un boomerang, con il mercato dell’auto sotto il monopolio della Cina, che avrà un doppio binario di guadagno. La superpotenza cinese non solo resterà tra le poche a produrre le auto diesel e benzina, ma già oggi è il Paese tra i maggiori esportatori delle batterie al litio, quelle che vanno installate sulle vetture elettriche. Forse le stesse che hanno contribuito alla strage di Mestre.
Mestre: si indaga sui rischi dell’elettrico. Spunta il “Thermal Runaway”. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità il 4 Ottobre 2023
Incidente di Mestre: sotto accusa guardrail e batterie, sii indaga sui rischi dell’elettrico, e spunta il “Thermal Runaway”.
“Stiamo lavorando sulla dinamica dell’incidente che ha visto il bus toccare e scivolare lungo il guardrail per un cinquantina di metri, e infine, con un’ulteriore spinta a destra, precipitare al suolo” ha detto il Procuratore di Venezia Bruno Cherchi. È questa la ricostruzione, chiara, degli ultimi attimi prima dell’incidente che a Mestre è costato la vita a 21 persone. Al vaglio degli inquirenti ci sono le immagini delle telecamere di sorveglianza, ma anche la scatola nera del mezzo: quel che è ad ora possibile accertare è che “Non ci sono segni di frenata, né contatti con altri mezzi”, ma soprattutto “Non si è verificato alcun incendio” all’interno del mezzo prima dell’impatto con il terreno, “Né c’è stata una fuga di gas delle batterie a litio che ha provocato fuoco e fumo”. Eppure, pur avendo sgombrato il campo dalle possibili illazioni sulla responsabilità di quanto accaduto, emergono altri, significativi dubbi, strutturali e tecnici. Intanto, le indagini si interrogano su come sia stato possibile che l’autobus sia potuto precipitare abbattendo facilmente le barriere di protezione del cavalcavia. Il cosiddetto guardrail è stato posto sotto osservazione in primis dall’ad della società del bus: “Quel guard rail sembra una ringhiera” ha dichiarato Massimo Fiorese; dichiarazioni che sembrerebbero supportate anche dalle immagini delle telecamere che riprendono il bus mentre si “appoggia” sulle barriere che, sotto il peso del bus non reggono e vengono sfondate. Inoltre, il mezzo procedeva a velocità ridotta e non sembra impattare contro le barriere con forza: e su questo Fiorese rincalza “Purtroppo non è un guard rail… tanto è vero che mi sembra che lo stanno sostituendo e ci sono i lavori in corso, giusto poco prima”. Tra le altre segnalazioni, anche un pezzo di guard rail mancante “già dalle immagini di Google Maps del 2022”.
Gli inquirenti dovranno fare luce sull’infrastruttura, mentre un secondo dubbio si cela dietro l’incidente: le fiamme divampate dal mezzo a seguito della caduta dall’alto sui binari della ferrovia. La questione riguarda la sicurezza del motore elettrico dell’autobus: non tanto sulla falsa credenza di una batteria surriscaldabile più facilmente infiammabile di un motore endotermico – sfatata dallo studio del National Fire Protection Association – quanto sulle problematiche specifiche delle batterie al litio che presentano reattività dei materiali ed elevata densità di energia coinvolta. Un sistema che può essere soggetto a guasti e a un fenomeno cosiddetto “Thermal Runaway” che implica un rapido aumento della temperatura delle celle della batteria con rilascio di gas infiammabili. A confermare questo tipo di reazione, che può innescarsi in presenza di queste batterie è Francesco Vellucci, ricercatore Enea impegnato da tempo sullo studio dei nuovi possibili materiali per queste batterie, nel laboratorio di Casaccia a Roma del Dipartimento Tecnologie energetiche e Fonti rinnovabili. “Sì, l’abuso prolungato può provocare problemi alle batterie al litio utilizzate sugli automezzi elettrici, fino ad arrivare a provocarne l’esplosione”. Esplosione, secondo alcuni studi, che potrebbe essere provocata anche da una caduta da grande altezza innescando il thermal runaway: “È anche quello meccanico” ci spiega Vellucci, “Causato per la compressione della batteria in una caduta. Anche solo in una sua parte, in una delle sue celle. Si provoca quello che chiamiamo ’venting’, l’uscita degli aeriformi che può innescare poi pure un’esplosione”. Per questo, racconta, “La ricerca e gli studi vengono attualmente declinati sui materiali che meglio possono favorire la sicurezza delle batterie.
Sicurezza che, questo va precisato, in un settore industriale abbastanza recente è da costruire e migliorare giorno per giorno. Ciò da tempo, negli automezzi di più avanzata produzione, viene già comunque assicurato dai sempre più perfezionati sistemi di diagnostica e controllo, perché questi fenomeni possono attuarsi anche senza effetti traumatici, durante la marcia. Proprio per questo, vi sono dei meccanismi di sicurezza. Vellucci sottolinea la presenza di “Alert che avvisano da un lato il conducente tanto da poterlo indurre anche al fermo del veicolo e, dall’altro, consentono di escludere il funzionamento della parte della batteria aggredita dall’accaduto”. E non solo: “Ogni produzione di batterie di questo tipo è sempre preceduta da una serie di test, compresi quelli ne provocano la compressione per caduta dall’alto”. Anche sulla causa delle fiamme e sul funzionamento del bus indagheranno gli inquirenti, mentre torna a galla la questione sulla sicurezza sui moderni mezzi elettrici che aumentano sulle strade.
Il viadotto sul futuro. Tommaso Cerno su L'Identità il 5 Ottobre 2023
Non facciamo gli ipocriti. La strage di Mestre ci colpisce, come è ovvio, ma è un viadotto della morte che ci parla del futuro. Ci interroga, anche se non vogliamo ammetterlo, su quella maledetta parola che ormai è entrata nelle nostre vite: elettrico. Perché si può provare a dissimulare finché si vuole, a ripetere che tutta la nostra attenzione va alle vittime e ai feriti, ma dai primi minuti dopo quella tragedia che sembra la scena di un film la domanda che circola e che spacca in due, come al solito, il paese del giudizio immediato e delle perizie in ritardo è se quel bus elettrico, di ultima generazione, abbia contribuito all’incendio per colpa della sua tecnologia o se sarebbe avvenuta la stessa cosa con il vecchio motore a scoppio.
E il problema è che se la rissa mediatica è già in atto, colpevole anche una frase bislacca del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che si è cimentato in una capriola fra le colpe del guardrail che ha ceduto, e su cui serviranno perizie tecniche precise, e la voce (“mi dicono”, ha usato queste parole) di un rischio legato alle batterie del motore, anche fra gli esperti si è aperto un dibattito che ha il sapore della politica più che dell’ingegneria meccanica o elettrica. E dai social alla strada, ormai giriamo intorno a questo dubbio: ma davvero questi motori elettrici nascondono pericoli che non immaginiamo?
Il fatto è che la domanda è lecita. Anzi è perfino imperativa, visto che da anni ormai parliamo di una transizione verso l’elettrico che riguarderà gran parte delle tecnologie del nostro quotidiano. Ciò che è strano è che non ce la facessimo prima, ciò che davvero colpisce è che sia servita una strage di quelle dimensioni e con quella precisa dinamica per portare la questione alla luce. E non si tratta solo di sicurezza, si tratta della nostra fideistica tendenza a buttarci nel futuro senza porci interrogativi, surfando sulle onde della politica anziché su quelle del dubbio, della curiosità, della precauzione, che sono i pilastri del metodo scientifico su cui si fonda l’Occidente che tiriamo spesso in ballo a sproposito.
Anche stavolta, proprio come succede con l’allarme immigrazione, è sempre e solo la cronaca che ha la forza di imporci le domande dei nostri tempi.
Eppure la politica dovrebbe essere quella che le anticipa e che ci fa trovare preparati di fronte a ciò che accade, dimostrando di avere già le risposte agli interrogativi che i cittadini si trovano di fronte quando qualcosa di grave accade o qualcosa va storto. Perché dal Covid fino alla guerra in Ucraina, sono state tante le prove per capire che una visione monocolore e lineare non contiene la risposta ai fatti complessi, a ciò che cambia nel profondo le nostre vite, la nostra quotidianità e le nostre aspettative.
Dovremmo avere imparato a farci delle domande. E non esaurire in un no o in un sì ogni questione. Anche se ci fa sentire molto più al sicuro dirci che abbiamo capito tutto e che, se per caso compare un dubbio, c’è sempre qualcuno che ci può rispondere facendoci sentire nella ragione. Perché basta andare a cercare la voce più simile alla nostra, che tanto la troveremo, per essere sicuri che non siamo soli. Anche se ignari di cosa davvero ci stia capitando.
Da Il Giornale.
Strana manovra, malore o colpo di sonno: cosa è successo davvero a Mestre. Un video mostrerebbe le auto in coda sul cavalcavia, compreso l'autobus che, all'improvviso, effettuerebbe una "manovra eccessiva". Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire l'esatta dinamica dell'incidente. Federico Giuliani il 4 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La manovra eccessiva dell'autobus
L'audio diffuso su WhatsApp
"Blackout" fisico
Le indagini della Procura
Tutte le ipotesi sono ancora sul tavolo. Impossibile, in questa fase, affermare con certezza che cosa abbia provocato l'incidente di Mestre, dove un bus è precipitato da un cavalcavia causando la morte di 21 persone, di cui due bambini, e il ferimento di 15. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire gli istanti precedenti allo schianto del mezzo, raccogliendo prove, ascoltando testimoni e unendo più punti possibili. Nelle ultime ore è spuntato un video che potrebbe aiutare a fare luce sull'accaduto. La Procura di Venezia, che ha escluso contatti del pullman con altri mezzi, ha avviato un'inchiesta ed ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di omicidio stradale plurimo. "Stiamo lavorando sulla dinamica dell'incidente che ha visto il bus toccare e scivolare lungo il guardrail per un cinquantina di metri, e infine, con un'ulteriore spinta a destra, precipitare al suolo", ha detto il Procuratore di Venezia Bruno Cherchi.
La manovra eccessiva dell'autobus
Il Corriere della Sera ha parlato di un video nel quale si vedrebbero le auto in coda sul cavalcavia, compreso l'autobus che, all'improvviso, effettuerebbe un movimento strano. Le telecamere nell'area avrebbero ripreso la scena e un video mostrerebbe il mezzo trovarsi sulla parte destra della carreggiata. Chi ha visto quelle immagini ha sottolineato la manovra "eccessiva" del veicolo.
Qualcosa di incomprensibile per un autista esperto come era Alberto Rizzotto, che peraltro era entrato in servizio circa 90 minuti prima dell’incidente. Un'informazione non da poco, che dovrebbe esser utile ad escludere l'ipotesi di un colpo di sonno. E allora i riflettori sono puntati sulla richiamata manovra sospetta e apparentemente senza senso. La stessa che avrebbe spinto l'autobus nel vuoto, come descritto anche da un testimone alla guida di un'auto dietro al mezzo.
In uno scenario del genere riprende quota l'ipotesi della prim'ora, coincidente con un possibile malore di Rizzotto. Gli investigatori sottolineano però che è ancora presto per sbilanciarsi. Sarà possibile sapere qualcosa in più visionando la scheda video che si trova sull'autobus e che i vigili del fuoco, a notte fonda, stavano cercando di estrarre.
L'audio diffuso su WhatsApp
Tra le prime informazioni consultate ci sarebbe anche un audio diffuso via WhatsApp nella zona di Venezia e Mestre. Nella registrazione una donna affermerebbe di sapere chi è l'autista e dove lavorava. "Qualche testimone ha visto l’autobus prendere fuoco nella rampa di salita del cavalcavia", però il conducente "non poteva fermarsi perché era stretto fra altre macchine in coda", proseguirebbe il messaggio. A quanto pare, sarebbe stato in quel preciso momento che, nel fare una manovra, il mezzo sarebbe uscito di strada precipitando nel vuoto.
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha parlato delle cause dell'incicente al Corsera. "È troppo presto per avere informazioni precise. Si rincorrono diverse voci. Il pullman pare che fosse nuovo. A bordo viaggiava un gruppo di turisti che stavano trascorrendo una vacanza in campeggio", ha dichiarato, aggiungendo che il luogo dove è accaduto l'incidente era un cavalcavia su cui passano ogni giorno migliaia di veicoli. "Non mi pare fosse particolarmente pericoloso. Come si può pensare che possa succedere una cosa del genere? È una disgrazia tra le più gravi a livello internazionale", ha chiarito lo stesso Zaia.
"Blackout" fisico
In queste ore, dunque, le autorità stanno lavorando per chiarire le cause del disastro di Mestre. Accanto alla teoria del guasto dell'autobus c'è chi ipotizza un malore del conducente. Già, perché il citato video, al vaglio degli inquirenti, dimostrerebbe come il mezzo sarebbe stato quasi fermo prima di sfondare il guardrail.
La dinamica dovrà essere ricostruita nei minimi dettagli. Da non escludere, quindi, la pista di un eventuale blackout fisico dell'autista, di un problema fisico improvviso che potrebbe essere compatibile con quanto descritto da chi ha visionato i primi filmati disponibili.
Massimo Fiorese, amministratore delegato de La Linea, ha spiegato che "l'autobus era nuovo e lui (l'autista ndr) era bravo". "Si vede il pullman, un mezzo molto pesante perché elettrico, poco prima di cadere dal cavalcavia. Il mezzo arriva, rallenta, frena. È quasi fermo quando sfonda il guard rail", ha aggiunto riferendosi al video.
Le indagini della Procura
La Procura di Venezia ha avviato un'inchiesta per fare luce sull'incidente. Nelle prossime ore verrano analizzate le immagini delle telecamere di sicurezza puntate sul cavalcavia, per capire meglio la dinamica dello schianto. Nel frattempo è stato aperto un fascicolo con l'ipotesi di omicidio stradale plurimo. "Non ci sono allo stato indagati - ha dichiarato il Procuratore Cherchi - mentre il guardrail, la zona di caduta del bus e lo stesso mezzo sono sotto sequestro".
Le autorità hanno inoltre acquisito la "scatola nera" del mezzo "che sarà esaminata - ha sottolineato lo stesso Cherchi - solo quando si saprà che non è un'operazione irripetibile altrimenti aspetteremo lo sviluppo dell'inchiesta, affinchè tutte le parti coinvolte possano avere le perizie di parte". Il Procuratore ha quindi aggiunto ulteriori dettagli: "Non ci sono segni di frenata, nè contatti con altri mezzi. Non si è verificato alcun incendio nè dal punto di vista tecnico nè c'è stata una fuga di gas delle batterie a litio che ha provocato fuoco e fumo". Federico Giuliani
Bus precipitato a Mestre. Autista esperto e prudente. Un post, poi lo schianto. Patricia Tagliaferri il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Alberto Rizzotto aveva preso servizio da poco. La frase social un'ora prima dell'incidente: "Shuttle to Venice"
Non era stanco e non stava correndo l'autista dell'autobus volato giù dal viadotto di Mestre. Sono due dei punti di partenza dell'indagine sulla tragedia, che necessariamente ruota intorno alla figura del conducente, Alberto Rizzotto, 40 anni, originario di Conegliano, in provincia di Treviso, e residente a Tezze di Vazzola, sempre nel trevigiano. È stato il suo, lunedì sera, l'ultimo corpo estratto dalle lamiere del bus avvolto nelle fiamme. Rizzotto lavorava per la ditta La Linea da circa sei anni ed era considerato un autista esperto, una bravissima persona.
«Shuttle to Venice» aveva scritto nell'ultimo post su Facebook alle 18.30 di lunedì, un'ora e mezza prima dell'incidente, mentre stava riportando i turisti allo «Hu Camping» di Marghera. Ma al camping il suo autobus elettrico, in strada da neanche un anno, non è mai arrivato. Quando la notizia del disastro ha cominciato a circolare, sotto al post sono comparsi i messaggi degli amici di Alberto, sempre più preoccupati: «Rispondi», «Fatti sentire per favore». Messaggi rimasti senza risposta.
Ma perché quella manovra improvvisa dell'autobus di cui hanno parlato alcuni testimoni e che si intravede da un video ripreso da una telecamera di videosorveglianza? Un movimento strano che fa pensare ad un malore del conducente. Rizzotto potrebbe essersi sentito male mentre imboccava il cavalcavia della bretella che da Mestre porta verso Marghera e il pullman, fuori controllo, è finito così contro il guard rail, sfondandolo e precipitando nei pressi della ferrovia sottostante. Per questo sul corpo di Rizzotto è stata disposta l'autopsia, dalla quale gli investigatori si aspettano risposte utili alla ricostruzione della dinamica di un incidente che al momento appare altrimenti inspiegabile. Questa mattina verrà conferito l'incarico. Nessun preconcetto da parte del procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, solo la necessità di raccogliere tutti gli elementi necessari a fare chiarezza. Il colpo di sonno è un'altra possibilità, ma l'autista non aveva preso servizio da molto. «Stava guidando da tre ore e mezza, peraltro non continuative», spiega il direttore operativo della compagni La Linea, Tiziano Idra. «Non lavorava dal giorno prima, quindi aveva goduto abbondantemente delle ore di riposo previste. Non era certo stanco». «Tutto fa pensare a un malore, però è prudente non avanzare ipotesi e usare il condizionale», azzarda anche il governatore del Veneto, Luca Zaia. Gli inquirenti hanno disposto accertamenti sul telefonino di Rizzotto, anche per escludere l'ipotesi di una distrazione fatale e seguire tutte le piste. «Si sta provvedendo anche all'esame del cellulare del conducente e di quanto possa permettere di dare certezze su quanto è accaduto», dice il procuratore in conferenza stampa.
I colleghi dell'azienda La Linea, proprietaria del pullman, sono sotto shock. Tutti ricordano Rizzotto come un autista esperto, una persona che amava il suo lavoro. «La cosa che più si notava di lui era il forte attaccamento al lavoro: si faceva un'ora di strada ogni giorno per essere in servizio», racconta Nicola. «Alberto era una persona buonissima», aggiunge Emma. Anche Silvano ne ricorda la bontà: «Non aveva malizia, secondi fini, era un puro. Se si dimenticava di pulire un bus diceva hai ragione ho sbagliato, la prossima volta cercherò di fare meglio».
La famiglia dell'autista, che risiede a Tezze sul Brenta (Vicenza) è chiusa in casa, con tutte le tapparelle abbassate e non vuole parlare con nessuno. Il padre è un generale dell'aeronautica, la madre maestra elementare e catechista, il fratello è dipendente di un'azienda manifatturiera locale. Patricia Tagliaferri
Il malore dell'autista e il guardrail fragile: nella scatola nera i metri finali del bus. Un malore. È l'ipotesi più accreditata che solo l'autopsia potrà confermare o meno per il drammatico incidente accaduto martedì sera sulla Vempa, il cavalcavia di Mestre. Stefano Vladovich il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Un malore. È l'ipotesi più accreditata che solo l'autopsia potrà confermare o meno per il drammatico incidente accaduto martedì sera sulla Vempa, il cavalcavia di Mestre. Bassa velocità, nessun segno di frenata, nessun altro mezzo coinvolto, nessun incendio o fuga di gas a bordo. E l'autista, Alberto Rizzotto, 44 anni, fra le 21 vittime, aveva iniziato il turno solo da tre ore. A raccontare gli ultimi istanti prima che il pullman de La Linea precipitasse dallo snodo sopraelevato che collega Mestre a Venezia, a Marghera e alla tangenziale, le telecamere di sicurezza della Smart Control Room, già acquisite dai pm.
Non solo. Agli atti della Procura di Venezia, che ha aperto un fascicolo per omicidio stradale plurimo senza indagati, la scatola nera del mezzo, ovvero la registrazione dell'impianto interno che «congela» ogni dato utile all'inchiesta. «Velocità, posizione, frenatura, restano sul cloud per sei mesi» spiega Massimo Fiorese, ad della società proprietaria del bus. «La scatola nera mantiene in memoria registrazioni continue di quello che accade all'interno e all'esterno», conclude. Ma è polemica sulle protezioni a dir poco inadeguate della sopraelevata. «Una ringhiera, non un guard rail», dice Fiorese. Per Giordano Biserni dell'Asaps, Associazione amici polizia stradale, «un guard rail a unica onda alto un metro e mezzo e non il triplo, come sarebbe stato necessario per veicoli che possono raggiungere le 18 tonnellate». Dalle immagini delle telecamere si vede il pullman salire lentamente lungo la parte destra della rampa, sbandare per 50 metri e sfondare il parapetto precipitando prima sui cavi elettrici, per poi finire lungo la ferrovia dove si capovolge e prende fuoco. Com'è possibile che un pullman, per quanto dal peso di 13 tonnellate perché elettrico, possa aver spazzato via la barriera di protezione tagliandola come fosse burro?
Già dalla notte della tragedia sul punto dell'incidente sono stati posti dei jersey in cemento. «Certo, non è stato il guard rail ad andare addosso al pullman, però sicuramente quel guard rail», prosegue l'ad de La Linea. La Vempa, un'infrastruttura vecchia e disastrata ma fondamentale per la viabilità locale, da tempo è in fase di ristrutturazione. «Un progetto - spiega l'assessore comunale ai trasporti Renato Boraso - del costo di oltre 6 milioni di euro. Nel piano è compresa anche una nuova barra di protezione a difesa dalle uscite di strada». Sul fine lavori, però, nessuna data certa. «Quel guardrail è vetusto - conclude l'assessore -. Sapevamo di dover mettere in sicurezza il cavalcavia». Ma nel tratto in cui il mezzo pesante è uscito di strada i lavori non erano ancora iniziati. Realizzata nei primi anni del 900 e più volte ristrutturata, la Vempa è un grande incrocio a «T» sopraelevato che collega il centro di Mestre al Petrolchimico attraverso la tangenziale che raggiunge, poi, il resto della provincia. Venendo dal centro è il proseguimento di corso del Popolo. Dalle altre direzioni vi si accede, invece, attraverso una serie di rampe, ognuna con un nome. È sulla rampa Giorgio Rizzardi che è accaduto il dramma, sopra via dell'Elettricità.
Presi a verbale anche i vari testimoni che hanno prestato aiuto ai feriti. «Il bus andava piano», giurano. Il primo ad accorrere è l'autista di un altro bus che lancia un estintore. Un secondo mezzo che aveva affiancato, ma non toccato, il pullman. «Rizzotto guidava da 3 ore e mezzo, peraltro non di continuo - precisa Tiziano Idra, direttore della compagnia -. Non lavorava dal giorno prima, quindi aveva goduto delle ore di riposo previste. Non era certo stanco». Ventuno le vittime delle quali solo otto identificate, due bambini, il più piccolo di un anno e mezzo. Una strage di giovani turisti. Fra gli otto identificati una ragazzina di 11 anni, una ragazza di 28 anni, due donne di 30, una di 38 e due signore di 65 e 70 anni. Senza documenti le altre 13 vittime, quasi tutte morte carbonizzate. Per la loro identificazione sarà necessario il test del Dna.
I due operai immigrati al fianco dei pompieri. "Bimbi estratti dai finestrini". Ci sono anche storie eroiche nella tragedia del cavalcavia. Redazione il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Ci sono anche storie eroiche nella tragedia del cavalcavia. Come quella di un operaio gambiano di 27 anni che lavora in una società di impiantistica di Porto Marghera legata a Fincantieri e che, assieme ad un collega, lunedì sera non ha esitato a gettarsi tra i rottami del pullman precipitato dal viadotto per salvare i sopravvissuti. Boubacar Tourè ha spiegato al Gazzettino di aver aiutato i vigili del fuoco intervenuti per primi sul mezzo in fiamme a portare fuori quattro persone, tra le quali una bambina, poi affidata ai sanitari del 118. «Oltre a loro sono riuscito a salvare anche un cagnolino», ha detto il giovane. I due operai, terminato il turno - la fabbrica dista qualche centinaio di metri dal luogo dell'incidente - hanno visto quasi in diretta la scena dello schianto e subito sono corsi verso il pullman che si era incendiato per cercare di aiutare. «Ho visto l'autista, nella cabina del pullman, ma aveva la testa insanguinata ed era già morto. Il vigile del fuoco allora mi ha detto che dovevamo pensare ai vivi, ai feriti, così l'ho aiutato ad estrarre quelle persone, per portarle all'esterno», ha raccontato. «C'era una donna che voleva uscire ma sua figlia era dentro - prosegue il racconto -. Non parlava italiano, ha detto my daughter, mia figlia. Le ho dato una mano, l'ho tirata fuori, poi ho tirato fuori la figlia. Ho preso l'estintore per spegnere il fuoco, ma non bastava, poi sono arrivati i carabinieri e i vigili del fuoco». Boubacar ha spiegato di aver avuto paura solo dopo, quando la gente chiedeva aiuto non ne aveva: «Non avevo mai visto una cosa del genere, gente che moriva con i vestiti bruciati». Il suo collega, Odion Egboibe, nigeriano di 26 anni, ha ringraziato i vigili del fuoco: «Ci hanno dato dei vestiti nuovi, erano tutti sporchi di sangue. Non ho pensato a morire, volevo solo salvare le persone».
La strage dei giovanissimi: il bambino di 18 mesi, i fratellini senza la mamma. È una strage di giovanissimi: 21 morti e 15 feriti, tre bambini tra le vittime, uno di un anno e mezzo, un dodicenne e una ragazza minorenne. Redazione il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
È una strage di giovanissimi: 21 morti e 15 feriti, tre bambini tra le vittime, uno di un anno e mezzo, un dodicenne e una ragazza minorenne. Ma anche le altre persone decedute erano tutte sotto i 50 anni.
Otto le persone in terapia intensiva, di cui due in condizioni molto critiche. A destare preoccupazione in particolare è una bambina di 4 anni ricoverata all'ospedale di Padova in condizioni disperate con ustioni gravi su tutto il corpo. In serata sono state identificate tutte le vittime: sono nove ucraini, quattro romeni, tre tedeschi, un italiano (l'autista), un croato, due portoghesi e un sudafricano. Ancora una giornata piena di angoscia, quella di ieri, con padri che cercavano figli, figli che chiedevano delle madri, mariti che domandavano delle mogli. Alcuni hanno saputo che i loro cari sono morti, altri che si trovano in condizioni gravissime. Altri ancora non ne conoscono con certezza il destino. A tutti viene fornito il necessario supporto psicologico. «I feriti che sono in grado di comunicare - spiega Rita Lorio, responsabile della Psicologia dell'ospedale dell'Angelo di Mestre - sono in quella fase che noi chiamiamo shock, quindi hanno ricordi confusi e sono in stato di agitazione. È la fase tipica dell'evento traumatico. Non sono ancora nella consapevolezza di quello che è successo o di quello che potrebbero aver perso».
Tra le vittime c'è una donna austriaca che si ritiene sia la mamma di due bambine, di 13 e 3 anni, ricoverate a Treviso, in condizioni non gravi. Due fratellini austriaci di 7 e 13 anni, che hanno riportato fratture del femore e traumi lombari, sono stati operati e sono fuori pericolo, ma adesso dovranno affrontare il trauma della morte della madre e del suo compagno.
La luna di miele maledetta e gli sposi divisi dal destino. Antonela muore, Marco vive. Avevano scelto Venezia, una delle città più belle del mondo, per coronare il loro sogno d'amore. Redazione il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Avevano scelto Venezia, una delle città più belle del mondo, per coronare il loro sogno d'amore. Ma il destino ha scombinato i piani di una coppia di giovanissimi croati in Italia in viaggio di nozze. Lei, Antonela Perkovic, una ventina d'anni, è tra le vittime del disastro. Il marito, Marco Bakovic, è uno dei feriti: sarebbe ricoverato in un ospedale veneto, ma non si conoscono con precisione le sue condizioni. Sorridono felici nella foto del giorno del matrimonio, la sposa con un vestito ricamato, lo sposo in completo azzurro damascato e papillon nero. È il sito croato di informazione 24Sata.hr a raccontare la storia dei due giovani provenienti dalla zona di Spalato, in Dalmazia. Dopo il matrimonio, celebrato una ventina di giorni fa, avevano deciso di partire per la città lagunare. Un viaggio da cartolina sognato da chissà quanto tempo, finito in una tragedia che nessuno si sa ancora spiegare. All'ospedale dell'Angelo di Mestre ci sono anche cronisti croati, per avere informazioni sulle condizioni dei loro connazionali. I due giovani sposi avevano partecipato alla gita dal campeggio Hu di Marghera, dove soggiornavano anche gli altri turisti morti e feriti nell'incidente stradale. Il gruppo era composto di persone di diverse nazionalità: tedeschi, ucraini, austriaci, almeno un francese e spagnoli. Alcuni nuclei erano in vacanza insieme, altri non si conoscevano e sono stati uniti dal tragico destino. Di alcuni di loro sono proseguite per tutto il giorno le operazioni di identificazione, mentre i primi parenti hanno cominciato ad arrivare all'ospedale dell'Angelo. Portati in una stanza, presidiata anche dalla polizia, hanno avuto il supporto dall'equipe di psichiatri e psicologi dell'ospedale.
"Non ha frenato", "Solo una ringhiera". È scontro sul guardrail a Mestre. Da un video si vedrebbe l'autobus che arriva a poggiarsi sul guard rail prima di cadere: la velocità era ridotta e il suo grande peso potrebbe aver contribuito alla tragedia. Francesca Galici il 4 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Con la luce del giorno, dopo aver rimosso la carcassa del bus elettrico che cadendo ha preso fuoco, è tempo di iniziare a cercare di capire come si sia potuta sviluppare una simile tragedia. Le immagini che arrivano da Mestre sono agghiaccianti, gli stessi soccorritori parlano di "scene apocalittiche" alle quali mai avevano assistito. Le vittime sono 21, i feriti 15 e non tutti sono stati ancora riconosciuti. Una telecamera di sorveglianza avrebbe ripreso l'intera sequenza prima del tragico volo di una decina di metri: "Si vede il pullman, un mezzo molto pesante perché elettrico poco prima di cadere dal cavalcavia. Il mezzo arriva, rallenta, frena. È quasi fermo quando sfonda il guard rail".
Strana manovra, malore o colpo di sonno: cosa è successo davvero a Mestre
Così spiega la dinamica di quanto accaduto Massimo Fiorese, amministratore delegato de La Linea, società proprietaria dell'autobus. Ma segni di frenata non ce ne sono sull'asfalto, forse proprio perché la velocità del mezzo era bassa e l'autista non ha inchiodato, lasciando i segni degli pneumatici sul selciato. Ma ora nel mirino c'è proprio quel dispositivo di sicurezza che, stando proprio alle ipotesi di Fiorese, non sarebbe stato adeguato. "Le immagini dei filmati che abbiamo visto mostrano il pullman che si appoggia al guardrail che è quasi una ringhiera", spiega il manager. L'autobus coinvolto nell'incidente, proprio perché elettrico e alimentato a batterie, ha un peso superiore rispetto a un mezzo tradizionale, che si avvicina alle 13 tonnellate.
Ora bisognerà accertare se l'autista sia stato vittima di un colpo di sonno o da un malore, ma nel frattempo sono già state acquisite le due scatole nere del bus. Ma il guard rail è finito al centro dell'attenzione, perché, come spiega anche l'avvocato Domenico Musicco, presidente della onlus "Associazione Vittime Incidenti Stradali sul Lavoro e Malasanità", quel dispositivo "a prima vista appare di tipo 'vecchio' e comunque totalmente inidoneo a garantire la sicurezza su un tratto di strada pericoloso come quello". Il ministro Matteo Salvini, ospite dell'evento per i 20 anni di Sky, ha dichiarato: "Non è un problema di guardrail".
L'assessore comunale ai trasporti, Renato Boraso, ha spiegato che "nel progetto da oltre 6 milioni di euro di rifacimento del cavalcavia erano compresi anche un nuovo guard rail e la modifica del parapetto". Lo stesso assessore, in una successiva intervista all'Adkronos avanza un'ipotesi: "O è un malore o è una dinamica legata al momento di grande traffico". Infatti, dice Boraso, dalle immagini si noterebbe che "era un momento di grandissimo traffico". Ma tutto ora dovrà essere chiarito dalla procura.
La caduta, le batterie e il "thermal runaway": l'ipotesi sull'incendio del bus. Per la procura "non risultano particolari fiamme o un incendio in senso tecnico del bus precipitato, ma che c'è stata una fuoriuscita di gas dalle batterie di litio su cui stiamo facendo accertamenti". Ecco dunque perché l'ipotesi del Thermal Runaway non è da escludere. Di cosa si tratta e quali sono le batterie presenti sul mercato. Domenico Ferrara il 4 Ottobre 2023 su Il Giornale.
È colpa delle batterie? Nel tremendo e tragico incidente di Mestre, che ha causato la morte di 21 persone, sono finite subito sul banco degli indiziati. Il bus dell'azienda cinese Yutong era il modello E12, diciotto tonnellate e mezzo di stazza con batterie di tipo FLP da 422,87 kWh e raffreddate a liquido. Ma cosa vuol dire LFP? Proviamo a fare chiarezza.
Partiamo innanzitutto dal dire una cosa: i veicoli elettrici non sono maggiormente soggetti a incendi. Infatti, secondo uno studio del National Fire Protection Association, il rischio di incendio è 64 volte inferiore rispetto alle vetture con motore endotermico. È vero invece che quando una batteria prende fuoco è più difficile da spegnere, seppur la propagazione dell'incendio sia più lenta. A volte è necessario monitorare fino a 48 ore la batteria per scongiurare la riattivazione della combustione.
Da non sottovalutare poi il cosiddetto "thermal runaway", una fuga termica che si alimenta in maniera autonoma quando vi è un eccessivo aumento della temperatura, provocando l’incendio dell’elettrolita liquido che di per sé è molto infiammabile. E cosa può innescare questo tipo di esplosione? Tra le cause ci possono essere un cortocircuito interno o esterno provocato per esempio da un incidente o da un forte impatto meccanico, come per esempio una caduta da grande altezza. L'impatto può così deformare la batteria esternamente o anche internamente così da rompere il separatore (una sorta di filtro) tra anodo e catodo. Quando i due terminali si toccano, ecco che avviene il corto circuito interno a cui l’elettronica di sicurezza non può pore rimedio. Ecco dunque che il calore aumenta sempre di più fino a incontrare l’effetto Thermal Runaway. Il procuratore di Mestre, Bruno Cherchi, ha affermato che "non risultano particolari fiamme o un incendio in senso tecnico del bus precipitato, ma che c'è stata una fuoriuscita di gas dalle batterie di litio su cui stiamo facendo accertamenti". Ecco dunque perché l'ipotesi del Thermal Runaway non è da escludere.
Detto questo, cosa vuol dire LFP?
L'acronimo indicata la composizione della batteria, in questo caso litio-ferro-fosfato. Ma sul mercato ci sono altri tipi di batterie, come quelle NMC (nichel-manganese-cobalto) e NCA (nichel-cobalto-ossido di alluminio).
Le batterie LFP in teoria rispetto alle altre sono quelle sono più resistenti e meno suscettibili a problemi di surriscaldamento. Una variante delle LFP, ancora più sicura, è quella che monta l'architettura Blade e che se viene perforata non esplode.
Le batterie NMC sono meno sicure delle LFP perché presentano un rischio maggiore di fuga termica in caso di sinistro anche se hanno prestazioni in termini di densità energetica e accumulo.
C'è un video in cui si vede un test di penetrazione effettuato su una batteria NCM che esplode e si incendia nel giro di tre secondi e su una LFP con architettura Blade che invece rimane stabile, non esplode e non si incendia. Le LFP invece si perforano ma sono meno soggette a incendio rispetto alle NMC.
Barriera sotto accusa: "Vecchia e usurata". I dubbi sul pullman e le batterie a rischio. Polemica sul guardrail che ha ceduto. Salvini: "Non c'entra". Il mezzo bocciato dall'azienda dei trasporti di Torino: "Qualità molto bassa". Il possibile cortocircuito nel sistema elettrico. Enza Cusmai il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Le telecamere confermano la dinamica dell'incidente ma non le cause: il pullman guidato da Alberto Rizzotto sale lentamente lungo la parte destra della rampa del cavalcavia, striscia contro il guardrail per 30 metri, poi esce di strada e precipita. Ora tutti si fanno la stessa domanda: come ha fatto il pullman elettrico, anche se di 13 tonnellate, a spazzare via la barriera di protezione tagliandola come fosse un coltello nel burro? E sono piovute molte risposte, tutte a sfavore di quella barriera di protezione che era vecchia, bassa, arrugginita, inadeguata, poco più di una ringhiera, che, nel punto di caduta e bus, sembra fosse interrotta per un paio di metri.
L'unica voce fuori dal coro delle critiche è di Matteo Salvini, responsabile delle Infrastrutture che taglia corto: «Non è un problema di guardrail». Il ministro ipotizza che la causa dell'incidente sia un fattore umano, tanto che parla di «malore su cui nessun codice della strada può intervenire». Ma anche sulla qualità del mezzo di trasporto Salvini adombra dubbi. «Ho sentito che i Vigili del Fuoco parlavano delle batterie elettriche che prendono fuoco più velocemente, più rapidamente di altre forme di alimentazione. Questo spiega il ministro - non so se c'entri o non c'entri, lascio ai tecnici la risposta ma in un momento in cui qualcuno dice tutto elettrico forse uno spunto di riflessione si deve fare». Anche il procuratore di Mestre, Bruno Cherchi, non esclude problemi del bus elettrico. «Non risultano particolari fiamme o un incendio in senso tecnico del bus precipitato precisa- ma che c'è stata una fuoriuscita di gas dalle batterie di litio su cui stiamo facendo accertamenti». Gli inquirenti dunque, non stanno sottovalutando il cosiddetto effetto «thermal runaway», una fuga termica che si alimenta in maniera autonoma quando vi è un eccessivo aumento della temperatura, provocando l'incendio dell'elettrolita liquido che di per sé è molto infiammabile. E cosa può innescare questo tipo di esplosione? Tra le cause ci possono essere un cortocircuito interno o esterno provocato per esempio da un incidente o da un forte impatto meccanico, come per esempio una caduta da grande altezza. L'impatto può così deformare la batteria esternamente o anche internamente così da rompere il separatore (una sorta di filtro) tra anodo e catodo. Quando i due terminali si toccano, avviene il corto circuito interno a cui l'elettronica di sicurezza non può porre rimedio. Ecco dunque che il calore aumenta sempre di più fino a incontrare l'effetto «Thermal Runaway».
Un bus inaffidabile, dunque? Forse ha un fondamento la decisione della Gtt, gruppo torinese trasporti, che nel 2020 ha annullato una commessa da 72 milioni per l'acquisto degli stessi pullman di Venezia, fabbricati in Cina. Secondo i tecnici la qualità dei mezzi era molto bassa perché assemblati in nave. Ma per il momento sono solo illazioni. Sarà l'inchiesta chiarirà molti interrogativi. Solo quella barriera di protezione del cavalcavia di Mestre è già sotto accusa. «È degli anni '50, è quasi una ringhiera e potrebbe essere stato una concausa dell'incidente», accusa Massimo Fiorese, l'ad della società «La Linea», proprietaria del bus precipitato. E che fosse da sostituire lo ha confermato anche l'assessore comunale ai trasporti di Venezia, Renato Boraso: «Quel guardrail è vetusto. Nel progetto da oltre 6 milioni di euro di rifacimento del cavalcavia erano compresi anche un nuovo guardrail e la modifica del parapetto».
Il presidente dell'Asaps, Giordano Biserni offre un lapidario giudizio tecnico: «Quello era un guardrail a unica onda alto un metro e mezzo e non il triplo, come sarebbe stato necessario per il contenimento di un veicolo che può raggiungere le 18 tonnellate. Un guardrail così può contenere un'auto ma un bus del genere è difficile». Enza Cusmai
"Tempi più lunghi per spegnere i motori elettrici. L'impatto violento causa dell'incendio". "L'incendio di un pacco batterie elettriche, rispetto a un veicolo tradizionale che prende fuoco, comporta tempi di spegnimento molto più lunghi". Pierluigi Bonora il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
«L'incendio di un pacco batterie elettriche, rispetto a un veicolo tradizionale che prende fuoco, comporta tempi di spegnimento molto più lunghi. Le batterie, quelle agli ioni di litio in particolare, autoproducono infatti ossigeno, con la conseguenza che l'incendio si auto-sostiene. Ne deriva una maggiore difficoltà nel domare le fiamme».
Roberto Gullì, comandante vicario dei Vigili del fuoco di Firenze e referente del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco per la sicurezza stradale e gli incidenti, spiega quale deve essere il comportamento dei soccorritori sul luogo di una sciagura della strada, nel caso specifico se a essere coinvolto è un veicolo elettrico, sia un'auto sia un mezzo di trasporto delle persone, come nella tragedia di Mestre.
Comandante Gullì, per debellare le fiamme determinate dal surriscaldamento delle batterie di un automezzo, i tempi sono molto lunghi, in alcuni casi anche di giorni.
«Anche le dimensioni della batteria incidono sui tempi impiegati per spegnere l'incendio. Il mezzo, comunque, viene monitorato fino a 72 ore anche dopo l'apparente spegnimento delle fiamme. E questo per vedere se ci sono nuovi punti di accensione. Ecco perché il bus coinvolto nell'incidente è stato portato in un luogo isolato: le temperature, anche a distanza di tempo, possono innalzarsi».
Il bus precipitato portava i pacchi batterie, molto pesanti, sul tetto. L'incendio potrebbe essere divampato a causa dell'impatto violento?
«L'impatto può essere all'origine dell'incendio, anche se le batterie, che nel caso di un mezzo pesante posso arrivare a pesare quintali, sono chiuse in un contenitore che viene testato proprio per gli urti. Ma potrebbe esserci stato anche il malfunzionamento delle celle, come capita per la batteria di uno smartphone che subisce uno schiacciamento».
Esiste un problema di esalazioni nocive per l'uomo e per l'ambiente, suppongo.
«Sì. Nel caso delle batterie agli ioni di litio viene prodotto acido fluoridrico, molto tossico. Ma anche la combustione di una tappezzeria all'interno di un appartamento produce sostanze dannose. Bisogna, quindi, allontanarsi immediatamente. Chi interviene, inoltre, dev'essere munito di dispositivi a protezione delle vie aeree».
Il rischio di intossicazione è elevato perché chi accorre sul posto non sa che le fiamme si sprigionano da un mezzo elettrico.
«I Vigili del fuoco sono muniti di autorespiratore. Le ambulanze attendono il nostro primo intervento sul veicolo e gli agenti hanno il compito di mettere l'area in sicurezza».
Esperienze personali?
«Poche, se relative a veicoli elettrici, molte di più nel caso di mezzi alimentati da combustibili tradizionali. In Italia, la diffusione di veicoli 100% elettrici è ancora limitata e, di conseguenza, gli incidenti sono rari. Da parte nostra, come Corpo nazionale, abbiamo in corso un aggiornamento continuo con le Case automobilistiche allo scopo di saper intervenire correttamento e in sicurezza in occasione di incidenti, come quello di Mestre. È una rincorsa continua visto l'avanzamento delle tecnologie riguardanti proprio le batterie».
L'operazione di ricarica deve essere sempre fatta correttamente.
«L'utilizzo di sistemi non certificati può pure generare il surriscaldamento delle batterie».
E la proposta di vietare l'accesso delle auto elettriche ai piani interrati delle rimesse?
«Le automobili a Gpl non potevano essere parcheggiate; ora, se munite di sistemi di sicurezza adeguati, non hanno problemi... ».
Bus precipitato a Mestre. "Il bus viaggiava a 6 all'ora". Sequestrato il guardrail: mai spesi i fondi per i lavori. Malore o manovra azzardata. Sono le due piste seguite dagli inquirenti sul dramma avvenuto a Mestre anche se la più accreditata resta sempre la prima. Stefano Vladovich il 6 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Malore o manovra azzardata. Sono le due piste seguite dagli inquirenti sul dramma avvenuto a Mestre anche se la più accreditata resta sempre la prima. La Vempa maledetta e disastrata, la «ringhiera» di protezione, le batterie al litio del bus elettrico. Queste, invece, le cause indirette che martedì sera hanno provocato la morte dei 20 turisti di rientro al camping Hu, 21 con l'autista, arsi vivi nello schianto. Ventuno persone, tra le quali un bimbo di un anno e mezzo, morte carbonizzate. E dei 15 feriti cinque restano in condizioni critiche, con ustioni sul 90% del corpo.
La strage dei giovani in vacanza in Italia, sulla quale la Procura di Venezia ha aperto un fascicolo per omicidio stradale plurimo alla ricerca di responsabili. In attesa della superperizia, sequestrata la protezione in ferro abbattuta dal pullman, assieme all'intera area in cui si è schiantato sulla ferrovia incendiandosi dopo il volo. I consulenti che dovranno esaminare il guardrail non sono ancora stati nominati: «Sono pochi gli esperti con le competenze adeguate ma li troveremo il più presto possibile» chiosano a Palazzo di Giustizia. «Per ora - spiega il procuratore capo Bruno Cherchi - non abbiamo ancora acquisto le carte in relazione alla questione del guardrail». La scatola nera del mezzo, il sistema interno di registrazione durante la marcia, verrà esaminata solo quando si saprà che non sarà un'operazione irripetibile perché tutte le parti coinvolte possano nominare i loro periti.
Ma cosa è accaduto esattamente ad Alberto Rizzotto, l'autista del bus precipitato giù dal cavalcavia? Perché si è accostato per oltre 30 metri al vecchio guardrail appena imboccata la rampa Giorgio Rizzardi? I risultati dell'esame autoptico non saranno noti che fra qualche giorno, quando la relazione del medico legale sarà sul tavolo del pm. L'uomo, sette anni di esperienza sui bus della compagnia La Linea, da amici e colleghi ricordato come una persona corretta e pacata, andava piano e probabilmente non era nemmeno al telefono, visto che l'ultimo post su Fb è di un'ora e mezza prima del disastro, prima della partenza. Quando imbocca la rampa che porta alla tangenziale, Rizzotto viaggia a 36 chilometri orari, spiega Massimo Fiorese, ad de La Linea. È in salita e quelle 13 tonnellate dal motore elettrico arrancano. Improvvisamente, dopo aver affiancato un altro bus, Rizzotto esce lentamente dalla linea di carreggiata e percorre decine di metri rallentando fino a toccare i 6 km orari quando oltrepassa il «buco» nel guardrail, ovvero il varco di servizio lungo un metro e 50 utilizzato dai tecnici per l'ispezione della sopraelevata. Insomma Rizzotto va piano, come del resto confermano tutti i testimoni e le immagini delle telecamere, sempre più piano fino ad appoggiarsi alla protezione che, invece di contenerlo, si «accartoccia» facendolo precipitare assieme ai 35 passeggeri. «Io sono quello che nel video dell'incidente è fermo al semaforo racconta l'autista di un altro bus - L'ho visto sopraggiungere alla mia destra, poi l'ho visto cadere nel vuoto. Era sulla sua traiettoria, mi sembrava avere un moto costante. Sulla parte posteriore, a sinistra, ho visto del fumo, o qualcosa di simile».
Certo è che la barriera non era in grado di sostenere il peso del pullman, tanto che nei 6 milioni stanziati dall'amministrazione comunale per la ristrutturazione dei piloni della Vempa, è prevista la sua sostituzione. «Perché dopo decine di metri che il bus striscia lungo il guardrail - domanda Renato Boraso, assessore alla mobilità di Venezia -, non c'è una frenata e una controsterzata?». Come se il guidatore del bus accusasse un malore o avesse perso i sensi? «Sulla dinamica non mi esprimo - dice il prefetto Michele Di Bari - L'autorità giudiziaria sta conducendo indagini serrate e molto certosine. Il nostro compito ora è rimpatriare le salme. Le istituzioni devono rappresentare la vicinanza dello Stato alle famiglie». Fra i 15 feriti, nove (8 adulti e un minore) sono nei reparti ad alta intensità di cura, 5 in chirurgia, uno in pediatria. Stefano Vladovich
Il Paese senza barriere: "Fuori norma 20mila km". Non solo Mestre: la mappa della rete a rischio. Bandi e procedure senza fine. Da 12 anni strutture irregolari. Maria Sorbi il 6 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Guardrail fatiscenti? Il procuratore capo di Venezia ha predisposto una perizia nel tratto dell'incidente del bus. Ma basta poco per capire che le protezioni non fossero adeguate. Arrugginite, deteriorate, fuori norma da parecchio tempo: e con una manutenzione totalmente assente, come testimoniano le immagini di Street View degli ultimi 15 anni.
Il problema è che gli stessi problemi del tratto della tragedia di martedì si replicano per 20mila chilometri di autostrade, escluse statali e provinciali. Le stesse che percorriamo per andare al lavoro e in vacanza. «L'Italia è piena di barriere inadeguate - spiega Pietro Gimelli, direttore generale Unicmi, l'unione nazionale delle industrie delle costruzioni metalliche - Non solo i chilometri dichiarati da Anas e Autostrade. Il problema è che le competenze sulle strade sono così frazionate tra enti che il rimpallo di responsabilità è una costante».
E infatti il copione si replica anche stavolta. «La città di Venezia ha ereditato il cavalcavia dalla Stato, qualcuno potrebbe andare al Ministero a chiedere come mai questo progetto è fatto così» accusa l'assessore alla Mobilità di Venezia Renato Boraso. A dire che le protezioni ai lati delle nostre strade non vanno bene era stato, nel 2019, anche il gip di Avellino Fabrizio Ciccone. Mentre si stava occupando delle indagini sul bus precipitato del viadotto Acqualonga e sulla morte di 40 passeggeri, ha voluto lanciare un allarme a tutto il Paese: «La maggior parte delle barriere a bordo ponte delle autostrade italiane - aveva scritto a pagina 27 della sua ordinanza - sono da inserire nel gruppo di priorità numero uno, in cui è massima l'urgenza di intervento». Ma le cose non sembrano poi così diverse oggi.
La legge c'è. E ci sono anche i soldi stanziati per i lavori di ammodernamento del varco, 6,5 milioni di euro. Quel pezzettino di barriera aspettava di essere messo a norma (come altri 20mila chilometri di protezioni): la legge nel corso degli anni ha regolato la progettazione, la validazione e l'installazione delle barriere stradali di sicurezza attraverso diversi decreti. Nel 1992 con un decreto ministeriale e nel 2004 con diverse circolari. E poi nel 2011 è arrivato il regolamento Ue stabilendo parametri uguali per tutti: sui materiali, sulle misure, sulle distanze.
Fa male dirlo ora ma «se su quel varco ci fosse stata una barriera costruita con i parametri di oggi, quell'incidente non sarebbe avvenuto» constata Gimelli - Ora le barriere di acciaio sono più alte, hanno due o tre fasce orizzontali e hanno una maggior solidità - spiega il presidente Unicmi - Non solo, non ci sono più buchi, nemmeno quando serve un passaggio per poter fare manutenzione. Per far passare gli addetti ai lavori si affiancano due barriere, una più avanti e una più indietro. Così è più sicuro».
La norma sugli appalti pubblici prevede anche una serie di controlli pro sicurezza che un po' di anni fa non c'era: chi realizza la barriera deve rilasciare un certificato con cui attesta la «corretta posa» e si assume la piena responsabilità del lavoro. Questo dovrebbe assicurare verifiche capillari sui materiali e sui cantieri. Ma spesso si scivola in facilonerie. Come mai? In un certo senso è l'unico modo che un produttore del settore ha per districarsi da burocrazia paludosa e lungaggini. I progetti, prima del certificato finale, vengono infatti depositati al Ministero e lì restano fermi, impilati in attesa del timbro che autorizzi a procedere. Eppure gli stanziamenti non mancano: Aspi ha investito 1,2 miliardi per ammodernare 3.100 km di barriere e aumentare le ispezioni, Anas investirà 64 miliardi da qui al 2032 e parte di questi soldi serviranno anche ad aumentare la sicurezza.
Il meccanismo appalti andrebbe oliato evitando che le soluzioni restino lettera morta. Pena la nostra sicurezza sulle strade. E la consapevolezza degli errori sempre e solo dopo la tragedia.
Da Libero Quotidiano.
Mestre, l'ultimo post su Facebook dell'autista: tre drammatiche parole. Libero Quotidiano il 04 ottobre 2023
Alberto Rizzotto aveva preso servizio sul suo pullman un’ora e mezza prima dello schianto e alle 18.30 aveva scritto su Facebook il suo ultimo post "Shuttle to Venice" (navetta verso Venezia, ndr) e aveva condiviso la sua geolocalizzazione all'hotel "Hu Camping" di Marghera. Un’ora e mezza dopo, l’incidente ha messo fine alla sua vita insieme e a quella di altre 20 persone che si trovavano a bordo del mezzo. Alberto Rizzotto, 40 anni, era l’autista che era alla guida del pullman precipitato ieri sera, martedì 3 ottobre, dal cavalcavia a Mestre. Un autista esperto, dicono di lui amici e colleghi.
Nato a Conegliano ma residente a Vazzola, Tezze di Piave, in provincia di Treviso, su Facebook aveva scelto di definirsi "single", con una foto alla guida di un pullman come immagine del profilo. Aveva più di dieci anni di esperienza nel settore dei trasporti: dal 2011 alla Veneta Autobus, dal 2014 alla Martini Bus, azienda che aveva un contratto con la società La Linea, suo il bus bianco elettrico dello schianto, proprio per il trasporto dei turisti. "Lavoro a Mestre adesso, faccio l’autista di pullman, navetta Casinò Cà Noghera-Piazzale Roma", diceva a una ex collega sui social.
Una passione quella del lavoro. "Aveva trovato il lavoro della sua vita, gli piaceva moltissimo. Non era sposato, abitava qua con i genitori. Girava sempre con il pullman - racconta al Gazzettino Rossella, vicina di casa della famiglia Rizzotto a Vazzola - Faceva la zona di Marghera, Venezia, portava i turisti, al Casinò a Venezia. Agli inizi io me lo ricordo con il furgone della Bofrost, poi sono arrivati i pullman. Era un autista esperto, appassionato del suo lavoro".
Nelle ore seguenti all’incidente, gli amici di Alberto in preda all'angoscia hanno provato, invano, a mettersi in contatto con lui: "Fatti sentire per favore, rispondi". Poi, quando il timore che fosse successo qualcosa si è fatto realtà, le sue bacheche sui social si sono riempite di messaggi commoventi dei suoi colleghi e amici. "Mi dispiace tantissimo, riposa in pace", "Ciao Alberto", si legge ancora, "che la terra ti sia lieve"; "Ciao caro...".
Mestre, la storia nera del cavalcavia: il Conte della Vempa e il palazzo maledetto. Libero Quotidiano il 05 ottobre 2023
Il viadotto della Vempa, dove martedì 3 ottobre un pullman è precipitato provocando la morte di 21 persone, sembra maledetto. Il cavalcavia, racconta il Corriere della sera "si chiama così perché dal 1949 sulla sommità troneggiava una concessionaria della Lancia, con un distributore di benzina. Era, appunto, il palazzo della Vempa, demolito 8 anni fa per lasciare il posto ad un ostello di 320 camere. Il proprietario della concessionaria era un conte, Fabrizio Sardagna Ferrari von Neuburg und Hohestein. Negli anni 80 era un protagonista della dolce vita, tra modelle, elicotteri e fuoriserie. Poi comprò Ca’ Dario sul Canal Grande. Secondo la leggenda, un 'palazzo maledetto', perché da 5 secoli la sua storia si intreccia con morti tragiche".
A partire dal 1970 quando il conte Filippo Giordano delle Lanze fu ammazzato proprio a Ca’ Dario. Poi lo acquistò Kit Lambert, manager degli Who, che nel 1978 riuscì a venderlo a Ferrari. Il quale "andò ad abitarci con la sorella, morta in un misterioso incidente stradale. Ferrari inciampò in un crac. E l’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, indagò su feste e droga a Ca’ Dario". Quindi nel 1985 lo cedette a Raul Gardini che otto anni dopo si tolse la vita a Milano.
"Da allora il palazzo è rimasto chiuso, mentre Ferrari ha sposato due principesse, Elisabetta Czarnocki e Sofia Borghese, prima di separarsi da entrambe. Nel suo castello di Tor Crescenza a Roma si tenne il banchetto di nozze di Francesco Totti e Ilary Blasi. Sette anni fa la Finanza accusò il conte di aver evaso 12 milioni di euro. 'Falsità del nuovo marito di Sofia, per sottrarmi il patrimonio', si difese Ferrari". Insomma, "iI regno svanito di Ferrari alla Vempa fronteggiava un altro mondo che non c’è più: dall’altra parte della strada c’era il cuore delle lotte operaie, il palazzone di Cgil, Cisl e Uil. Il cavalcavia venne costruito nei primi del Novecento proprio per collegare la Marghera delle fabbriche e poi del Petrolchimico. Verso Nord si congiungeva con Corso del Popolo, un tempo la via borghese di Mestre. Ora il cavalcavia rispecchia il destino di quella parte della terraferma veneziana: un dormitorio per turisti diretti a Venezia, tra ostelli e immensi alberghi".
Da Il Riformista.
Ipotesi malore, l'autopsia chiarirà ogni dubbio. Incidente Mestre, il guardrail col buco di quasi due metri, i lavori mai partiti e l’estintore lanciato verso il bus schiacciato. Redazione su Il Riformista il 5 Ottobre 2023
Il presunto malore dell’autista Alberto Rizzotto, il guardrail-ringhiera (con qualche buco) e i lavori di ammodernamento in programma da anni e non ancora partiti, il lancio dell’estintore da una altezza di circa dieci metri verso l’autobus precipitato e in fiamme. Sono ancora diversi gli aspetti da chiarire da parte della procura di Venezia che procede nelle indagini sulla strage di Mestre dove martedì sera, 3 ottobre, un bus che trasportava turisti è precipitato da un cavalcavia provocando la morte di 21 persone e il ferimento di altre 15 di cui 6 in gravi condizioni. A perdere la vita nove ucraini, quattro rumeni, tre tedeschi e due portoghesi, a cui si aggiungono un croato, un sudafricano e un italiano, ovvero l’autista Alberto Rizzotto.
Proprio l’autopsia sul corpo dell’autista chiarirà l’ipotesi malore del 40enne. “Il primo a dare i soccorsi è stato l’autista di un altro bus che è stato affiancato, non toccato, dal mezzo precipitato” ha detto ieri, 4 ottobre, il procuratore di Venezia Bruno Cherchi sull’incidente di ieri a Mestre. “Nel dare l’allarme – ha sottolineato – ha anche lanciato un suo estintore verso il mezzo precipitato, che sprigionava fiamme”. Estintore lanciato da un’altezza di circa dieci metri dopo che il bus, precipitato vicino ai binari della stazione di Mestre, si è capovolto, ‘schiacciato’ su se stesso e ha preso immediatamente fuoco, probabilmente, per il tipo di alimentazione ibrida metano-gasolio del mezzo.
Proprio le testimonianze, oltre alle immagini della videosorveglianza, escludono che il bus precipitato andasse veloce. Così come escludono contatti con altri mezzi. Nel filmato si vede l’autobus bianco superare un altro mezzo per poi costeggiare il guardrail per diversi metri prima di precipitare nel vuoto. “I testimoni – ha aggiunto Cherchi – hanno detto che andava piano, il tratto stradale prima è in salita e comunque, oggettivamente, non permette alte velocità. Comunque ci arriveranno i dati a certificare anche questo”, ha concluso.
Focus su manutenzione e lavori mai partiti
Da chiarire anche le condizioni dello stesso guardrail e gli interventi di manutenzione cui è stato (o meno) sottoposto nel corso degli anni. Tra l’altro è emerso che mancava una parte della protezione (circa due metri) lungo il tratto dove è avvenuto l’incidente. Un’immagine satellitare del 2022 di Google Maps restituisce che lungo il cavalcavia di Mestre in cui è precipitato il bus manca un tratto di guardrail. Per l’assessore alla Mobilità del capoluogo veneto Renato Boraso, però, quella ‘mancanza’ “di un metro e cinquanta è un punto di passaggio, un varco di accesso per motivi di sicurezza, per la manutenzione” spiega all’Adnkronos. “Si tratta – aggiunge- di una piccola interruzione che si trova, talvolta, lungo i guardrail. Non vorrei che qualcuno pensasse che 13,5 tonnellate (il peso del bus precipitato, ndr) si sarebbero fermate per un metro e cinquanta” in più di barriera. “Bisogna capire perché in un rettilineo in discesa questo bus ha perso il controllo, il guardrail non è neanche una concausa perché siamo in un rettilineo” evidenzia Boraso, ammettendo che “sicuramente la doppia fila di guardrail è vetusta perché così abbiamo ereditato questo cavalcavia”, ora al centro di un progetto di ammodernamento da 6,5 milioni di euro. “Non è che un metro e mezzo impedisce la caduta”, dice Boraso, assicurando che il bus è precipitato “25 metri dopo”.
“Purtroppo non era un guardrail ma una ringhiera” sottolinea Massimo Fiorese, amministratore delegato di “La Linea”, la compagnia di trasporti cui appartiene il bus precipitato. “C’è una telecamera fissa sopra il cavalcavia di cui ho visto solo frammenti di immagine: si vede l’autobus che a una velocità minima si appoggia su un guardrail – spiega Fiorese all’agenzia di stampa Ansa – che purtroppo non è un guardrail ma una ringhiera. Mi sembra che lo stiano sostituendo e ci sono dei lavori in corso, giusto poco prima” del punto dell’incidente.
Le indagini: al momento nessun indagato
Quel che è emerso in questa prima fase di indagini è che il bus precipitato non ha avuto contatti, in precedenza, con altri mezzi. E’ stata acquisita la scatola nera presente nell’autobus. Il fascicolo aperto dalla procura di Venezia è per omicidio stradale plurimo. “Non ci sono allo stato indagati – ha detto il capo dei pm Bruno Cherchi – mentre il guardrail, la zona di caduta del bus e lo stesso mezzo sono sotto sequestro”. Le ipotesi dell’incidente restano sempre la manovra azzardata o il malore.
Le vittime
Le vittime tutte identificate, sei feriti gravi
A perdere la vita, come detto, nove ucraini, quattro rumeni, tre tedeschi e due portoghesi, a cui si aggiungono un croato, un sudafricano e un italiano, ovvero l’autista Alberto Rizzotto.
Al momento sono 8 le vittime di cui è stato possibile accertare l’identità. Sette di queste sono femmine. L’unico maschio è un bambino di un anno e mezzo. La maggior parte sono giovani: una ragazzina di circa 11 anni, una ragazza di 28 anni, due giovani di 30, una di 38 anni e due donne di 65 e 70 anni. L’identificazione sta risultando complicata dal fatto che in molti non avevano documenti e anche perché i corpi sono irriconoscibili perché in parte carbonizzati. Per identificarli sarà usato il test del Dna. Critiche le condizioni di almeno 6 dei 15 feriti. Tra loro una coppia di fratelli, tre anni e 13 anni, austriaci e ricoverati a Treviso. La loro madre e il compagno sono morti nello schianto.
Da L’Unità.
Cosa è successo a Mestre, l’incidente del bus e le possibili cause: dall’ipotesi malore al video della “strana manovra”. Redazione su L'Unità il 4 Ottobre 2023
A fare chiarezza potrà essere solo l’inchiesta già aperta dalla Procura di Venezia, ma sull’incidente avvenuto poco prima delle 20 di martedì sera a Mestre, quando un autobus elettrico della ditta La Linea è precipitato dal cavalcavia Vempa, con un volo di una ventina di metri per terminare la sua corsa sul sedime ferrioviariio che scorre a fianco della strada, tra un magazzino e i binari della stazione di Mestre, incendiandosi, sono diverse le ipotesi in ballo.
Tra le prime, emerse già nella serata di ieri, quella di un malore dell’autista del mezzo, Alberto Rizzotto, 40enne originario di Tezze di Piave, in provincia di Treviso.
Anche lui è tra le 21 vittime dell’incidente: a bordo c’erano in larga parte persone dirette al campeggio ‘Hu’ di Marghera, molti di nazionalità straniera. A bordo c’era una comitiva di ucraini ma c’era anche un gruppo di tedeschi, francesi e croati. Tra le vittime accertate c’è un bambino.
A parlare dell’ipotesi di un malore era stato già ieri sera il comandante della Polizia municipale di Venezia, Marco Agostini, sottolineando che dai rilievi fatti non vi sono tracce di frenata sull’asfalto. Il pullman, un mezzo elettrico – ha spiegato – ha divelto il guard rail ed è finito nella scarpata, “incendiandosi nell’impatto al suolo“. “Che vi sia stato un malore dell’autista è una ipotesi, altre andranno verificate“, aveva detto Agostini.
Al momento appare invece difficile credere all’ipotesi di un colpo di sonno del conducente. Come spiegato al Corriere della Sera da Massimo Fiorese, amministratore delegato della ditta La Linea, della cui flotta faceva parte l’autobus elettrico protagonista dell’incidente di meste, Rizzotto “aveva preso servizio nel pomeriggio poco prima dello schianto, penso intorno alle 18. Ha preso le persone da piazzale Roma e le stava riportando in campeggio, a Marghera, in quello che una volta si chiamava Jolly. Avevano prenotato la corsa in 16, ma evidentemente sfortuna ha voluto che sia salito anche qualcuno che non aveva prenotato e quando ha visto l’autobus arrivare, bello grande, con tanti posti, è montato lo stesso”.
C’è anche un video che mostra l’incidente del bus. Immagini che immortalano una manovra definita “strana” nella sua dinamica da chi ha potuto visionare quel filmato.
Le telecamere lo registrano mentre si trova sulla parte destra della carreggiata del cavalcavia della Vempa. Chi lo ha visto dice che l’autobus elettrico della ditta La Linea effettua una manovra “eccessiva” o “impropria”.
Sembra confermarlo anche Fiorese, amministratore delegato della ditta La Linea: “Il bus è quasi fermo quando sfonda il guardrail. Penso che l’autista abbia avuto un malore, perché altrimenti non me lo spiego. Nel video si vede che il bus è quasi fermo, il guardrail è fino, non è di quelli più moderni e più strutturati, e l’autobus pesava tanto perché era di quelli elettrici. L’impatto è stato fatale”, le sue parole al Corriere. Redazione su L'Unità il 4 Ottobre 2023
I drammi del passato. Quali sono stati gli incidenti in autobus più gravi avvenuti in Italia, precedenti alla strage di Mestre. I casi di Verona e Avellino. Era il gennaio del 2017 quando un bus con a bordo un gruppo di studenti e insegnanti ungheresi, di ritorno da un viaggio in Francia, si schiantò contro un pilone di un cavalcavia e prese fuoco. Diciotto le persone che persero la vita. Nel luglio del 2017, invece, un autobus di pellegrini cadde da un viadotto in Irpinia: 40 le vittime. Redazione Web su L'Unità il 4 Ottobre 2023
L’autobus volato giù da un cavalcavia a Mestre, per almeno 30 metri, provocando 21 vittime e 15 feriti, non è il primo caso di incidente che vede coinvolto un pullman. Quali sono stati gli incidenti in autobus più gravi avvenuti in Italia? Prima vi sono le stragi di Verona e di Avellino. Nel gennaio 2017, un autobus stava riportando a casa, in Ungheria, un gruppo di studenti del liceo classico Szinyei Merse Pal Gimnazium di Budapest. I ragazzi stavano tornando a casa dopo una gita in Francia. Poco prima di mezzanotte, stando alla ricostruzione della procura di Verona, il conducente avrebbe perso il controllo del mezzo, per un colpo di sonno. Dopo la sbandata, il bus ha terminato la sua corsa contro il pilone del cavalcavia dello svincolo, che si incunea per circa otto metri nell’autobus – pari a sette file di sedili – distruggendo anche il serbatoio. L’incendio si sviluppò in pochi secondi.
Quali sono stati gli incidenti in autobus più gravi avvenuti in Italia
Morirono 16 passeggeri: 11 studenti tra i 14 e i 18 anni e 5 adulti (tra cui 4 accompagnatori e il secondo autista). Feriti gravemente altri quattro ragazzi. Salve 25 persone, se la cavarono con 30 giorni di prognosi. Nel marzo di quello stesso anno, morì anche un altro passeggero dell’autobus, per le conseguenze delle ferite. Mentre, due anni più tardi, nel 2019, morì anche un’altra persona: il professore Vigh Gyorgy, che, pur essendo rimasto ferito nell’incidente, aveva aiutato molti studenti a uscire dall’autobus. La sera del 28 luglio 2013, un pullman pieno di pellegrini di ritorno da Pietrelcina, a causa di un guasto all’impianto frenante e alla mancata resistenza del guardrail autostradale, precipitò dal viadotto di Acqualonga, lungo la A16, a Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, provocando 40 vittime.
Verona e Avellino
Il più grave incidente stradale in Italia. A bordo vi erano 48 persone compreso l’autista. Durante il tragitto, dopo aver superato i caselli di Avellino Est e Avellino Ovest, molti passeggeri avvertirono strani rumori provenire dall’interno del mezzo. L’autista, nonostante fosse stato avvisato più volte dai passeggeri, continuò a guidare. Dopo la galleria Quattro Cupe di Monteforte Irpino, un giunto cardanico dell’albero di trasmissione si ruppe tranciando l’impianto frenante. L’autobus, divenuto ingovernabile e senza alcun tipo di freno utilizzabile e il veicolo cominciò a sbandare, urtando varie automobili e furgoncini bloccati nel traffico dell’autostrada a causa di un cantiere, dopodiché vi fu un primo impatto con il guardrail del viadotto Acqualonga. L’autista cercò di far rientrare il bus in carreggiata, ma urtando altri veicoli, il pullman impattò per la seconda volta con il viadotto. I new jersey esterni, che dopo molte ispezioni e sentenze, sono risultati non sicuri, non resistettero all’impatto del pullman, lasciando che il bus precipitasse dal viadotto per circa 30 metri in una vallata. Redazione Web 4 Ottobre 2023
Chris travolto e ucciso a 13 anni, fermato pirata della strada grazie alle telecamere: “Poteva essere salvato”. Redazione su L'Unità l'1 Agosto 2023
Investito poco prima della mezzanotte di lunedì, è morto dopo una lunga agonia e tentativi di salvarlo questa mattina, alle 8:30, nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Borgo Trento. Ha perso la vita così Chris Abom, 13enne con la passione del calcio, investito da un’auto pirata mentre camminava sul ciglio della provinciale 12 dell’Aquilio, in provincia di Verona.
Chris avrebbe compiuto 14 anni tra un mese, il 2 settembre: è stato investito mentre stava rientrando a casa, a San Vito di Negrar, dove viveva assieme ai familiari di origini ghanesi ma perfettamente integrati nel territorio. Il padre, scrive il Corriere del Veneto, lavora come pavimentista per una ditta modenese, il fratello di 12 anni e la sorellina di 8 sono nati e cresciuti nel piccolo centro del Veronese.
Il pirata della strada è stato individuato dopo indagini lampo dei carabinieri di Negrar di Valpolicella e del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Caprino Veronese. Il proprietario della vettura è un operaio veronese di 39 anni, per il momento denunciato a piede libero: ha piccoli precedenti, fra cui spaccio di stupefacenti e guida in stato di ebrezza. A lui i carabinieri sono arrivati grazie a sistema di videosorveglianza comunale ed ai rottami dell’autovettura rinvenuti sull’asfalto dai militari.
La sua fuga è stata “decisiva”, come sottolineano i medici della terapia intensiva e d’emergenza dell’Azienda Ospedaliera universitaria di Verona, che la notte scorsa avevano accolto la giovane vittima tentando più volte di rianimarla, fino al tragico epilogo di stamani quando il cuore di Chris non ha retto.
Il 13enne “poteva essere salvato se fosse stato soccorso” dopo l’incidente, scrivono i medici in una nota. Secondo i sanitari le lesioni riportate dal giovane non sarebbero da sole “compatibili con il decesso“, causato invece da “arresto cardiaco per ipossia da schiacciamento“. In sostanza, prima di essere notato da un passante che ha dato l’allarme, il 13enne è rimasto a terra per un periodo di tempo che potrebbe essere risultato fatale.
Chris sognava di fare il calciatore, era tesserato con le giovanili del Negrar, che con la formazione maggiore partecipa al campionato di terza categoria. Dolore e sconcerto anche dalla scuola che frequentava il 13enne, l’Istituto Comprensivo di Negrar di Valpolicella: “Non ho parole e lacrime, ho tanta rabbia, la vita del nostro carissimo alunno Abom Chris è stata falciata da una auto pirata, non hanno avuto pietà, lo hanno lasciato solo e morente sul ciglio della strada, gioia di vivere, speranze, riscatto falciati in pochi attimi. Il tuo abbraccio con il mazzo di fiori, a conclusione del concerto di fine anno scolastico, rimarrà indelebile nei miei ricordi”, è il ricordo della scuola affidato a Facebook, in cui “tutta la comunità scolastica si stringe al dolore della tua famiglia. Addio Chris, continua a calciare fra le nuvole”, conclude il messaggio. Redazione - 1 Agosto 2023
Estratto da corriere.it giovedì 3 agosto 2023.
È stato arrestato, dai carabinieri di Negrar di Valpolicella, a Verona, il 39enne che la sera del 31 luglio scorso ha investito Chris Abom, 13 anni, fuggendo dopo l'incidente: si chiama Davide Begalli. I carabinieri hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Verona, Carola Musio, che ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti dell’automobilista che non ha prestato soccorso al ragazzino. L'automobilista era rimasto finora indagato, in stato di libertà, con le accuse di omicidio stradale, fuga in caso di incidente, e omissione di soccorso. Una decisione che aveva creato polemiche.
[…]
La lettera di Davide Begalli ai genitori di Chris Abom
«La mia vita è finita nell'istante in cui è finita quella di vostro figlio. Quello che mi rimane merito di viverlo nel tormento e nel dolore per quello che è successo». È l'incipit della lettera aperta, di poche righe, che Begalli ha indirizzato ai genitori del ragazzino. Il testo è stato diffuso dal suo avvocato difensore. «Non vi chiedo perdono - aggiunge l'uomo - Vi supplico di non odiarmi e di credere che non ho potuto impedire questa tragedia. Vi auguro di trovare la pace che io non avrò mai».
Estratto dell’articolo di Andrea Priante per il “Corriere della Sera” giovedì 3 agosto 2023.
Steso sull'erba, ferito, sanguinante. E solo. Così, Chris Abom, il tredicenne che lunedì è stato travolto da un pirata della strada a Negrar (Verona), è rimasto per un tempo che pare infinito: quasi due ore.
Le indagini portano a indicare l'ora dell'investimento alle 21.50, mentre l'allarme è arrivato solo alle 23.30, quando alcuni passanti hanno trovato il ragazzino agonizzante. Secondo i medici, se l'investitore avesse chiamato subito i soccorsi, Chris sarebbe riuscito a salvarsi.
Un «buco» di un'ora e quaranta. O forse anche di più, se dovesse venir fuori che Davide B., il 39enne indagato per omicidio stradale e omissione di soccorso, dice la verità quando sostiene che alle 21.40 l'incidente si era già consumato […]
«Non sapevo di aver investito una persona — sostiene —. Ho percorso quella strada dove non c'è illuminazione e nemmeno il marciapiede, ea un certo punto ho sbattuto contro qualcosa. Pensavo fosse un cartello stradale, perché poco lontano ce n'è uno tutto accartocciato. Io il ragazzo non l'ho proprio visto: né prima, né durante, né dopo l'incidente».
Nega perfino di essere fuggito: «Mi sono fermato, sono sceso e mi sono guardato intorno». In quel punto la strada costeggia un vigneto che si trova un metro più in basso rispetto al livello della carreggiata: il tredicenne era stato sbalzato lì, a pochi metri da lui. «Ma c'è l'erba alta e, a quell'ora, è buio pesto. Non si vedeva niente. Non ho sentito nulla, per questo sono salito in auto e sono ripartito».
I danni alla vettura sono tali che, secondo i carabinieri, non può non essersi reso conto di aver investito qualcosa di ben più grosso di un segnale stradale. Ad ogni modo, Davide B. ora si dice sconvolto: «Mi dispiace. Vivrò sempre il rimorso ei sensi di colpa».
I genitori del ragazzino, originari del Ghana, chiedono giustizia. «Chris era intelligente, giocava a calcio e sognava di fare l'ingegnere — racconta il papà, Emmanuel Abom —. Ringrazio i carabinieri per aver trovato l'investitore, ma non capisco perché non sia in galera. In Ghana sarebbe già così».
D'accordo anche il deputato veronese Flavio Tosi che sostiene sia «vergognoso che l'investitore segno a piede libero. La giustizia italiana ha storture evidenti».
[…]
Non è escluso che il pm possa chiedere una misura cautelare che dovrà poi essere valutata dal giudice.
Omicidio stradale. Morte Chris Obeng Abom, Davide Begalli ai domiciliari: “Dopo l’impatto mi sono fermato, la strada era vuota”. Un arresto avvenuto soltanto 48 ore dopo, perché in assenza di flagranza di reato. Nel tempo intercorso, l’avvocato dell’indagato aveva diffuso una lettera rivolta ai genitori della vittima: “La mia vita è finita nell’istante in cui è finita quella di vostro figlio”. Redazione su Il Riformista il 3 Agosto 2023
Davide Begalli, è stato arrestato nel tardo pomeriggio di oggi dai carabinieri di Negrar, su ordine del gip di Verona.
L’automobilista 39enne che la notte dello scorso 31 luglio aveva investito il tredicenne Chris Obeng Abom, senza prestare soccorso, è stato posto agli arresti domiciliari non esistendo pericolo di fuga dell’indagato.
Begalli, un piccolo imprenditore edile della Valpolicella, nelle prima dichiarazioni ha sostenuto di non essersi reso conto dell’impatto con la vittima. “Non l’ho visto quel ragazzino sulla strada. lo giuro. Non l’ho visto né prima né dopo. La strada è buia, non ha illuminazione. Lui, mi hanno detto, indossava abiti neri. Come facevo…? Dopo l’impatto mi sono fermato. La strada era vuota, non si udiva niente”, aveva detto ai giornalisti poco prima che i carabinieri lo raggiungessero in casa.
Un arresto avvenuto soltanto 48 ore dopo, perché in assenza di flagranza di reato. Nel tempo intercorso, l’avvocato dell’indagato aveva diffuso una lettera rivolta ai genitori della vittima: “La mia vita è finita nell’istante in cui è finita quella di vostro figlio. Quello che mi rimane merito di viverlo nel tormento e nel dolore per quello che è successo. Non vi chiedo perdono – aggiunge l’uomo – Vi supplico di non odiarmi e di credere che non ho potuto impedire questa tragedia. Vi auguro di trovare la pace che io non avrò mai” aveva scritto Begalli.
Quella sera il giovane trovato agonizzante e portato d’urgenza all’ospedale veronese di Borgo Trento, dove era deceduto martedì 1 agosto. Il parroco di Negrar ha già concordato con la famiglia la data del funerale, sabato 12 agosto nella chiesa del comune della Valpolicella.
"Mi hanno chiesto 183 euro per pulire il sangue di mio figlio". La madre del ragazzo investito e ucciso dal poliziotto ubriaco: «Volevano i soldi per bonificare la zona». Antonio Borrelli l'11 Settembre 2023 su Il Giornale.
L’8 maggio del 2022 il 17enne Davide Pavan (foto), originario di Paese (nel Trevigiano) viene travolto e ucciso dal poliziotto Samuel Seno, che si trova alla guida della sua auto ubriaco.
Sta rientrando da una partita di rugby dopo aver bevuto, quando invade la corsia di marcia opposta e investe un ragazzino in sella al suo scooter. Dopo 16 mesi di procedure legali, udienze in tribunale e accertamenti sull’incidente mortale la dolorosa vicenda si è conclusa il 7 settembre scorso col patteggiamento del 32enne a 3 anni e 6 mesi per aver causato l’incidente mortale in stato di alterazione. Ma le sorprese per i genitori di Davide non erano finite.
Barbara Vedelago ha ricevuto richiesta di pagare i costi della pulizia del luogo dell’incidente dove l’asfalto è rimasto sporco di sangue. Il pagamento di 183 euro per «togliere i rottami e spargere della segatura sul sangue di Davide e sui liquidi del motore rimasti sull’asfalto», spiega in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera.
«All’inizio pensavamo a un errore o a un brutto scherzo - racconta la mamma di Davide - invece è la burocrazia che non si ferma di fronte a nulla» e manda a casa di una famiglia distrutta per la morte di un ragazzo una fattura per i costi di «bonifica dell’area con smaltimento dei rifiuti e assorbente per sversamento liquidi», così riporta il freddo documento. I genitori del ragazzo morto hanno dovuto pagare di tasca propria per ripulire la «scena del crimine».
Un ulteriore colpo difficile da metabolizzare: «Io, mio marito e il fratellino di Davide ci siamo sentiti abbandonati, come se il nostro dolore non contasse», confessa Barbara. Ma non si tratta dell’unica bizzarria subita dalla famiglia: «Ci è arrivata una raccomandata per avvisarci che il rottame dello scooter era stato dissequestrato e che dovevamo andare subito a ritirarlo, altrimenti avremmo dovuto pagare una penale per ogni giorno di ritardo».
E poi c’è il caso della fidanzatina, che quel giorno Davide aveva appena riaccompagnato a casa. Era stata la prima ad accorrere sul luogo dell’incidente: con una app di geolocalizzazione sul telefonino, aveva notato che mio figlio era fermo ormai da dieci minuti e quindi si è fatta accompagnare dai genitori per capire cosa stesse succedendo. «Quando sono arrivata era distesa sopra di lui, lo abbracciava come volesse riscaldarlo con il suo corpo. È stato tremendo e ancora oggi quella ragazza deve fare i conti con ciò che ha vissuto quel giorno. Eppure il giudice le ha negato la possibilità di costituirsi parte civile: la Legge non lo prevede, perché non erano sposati e lei non è una parente».
Poche ore prima della singolare raccomandata, all’agente sono state riconosciute le attenuanti generiche e intanto i suoi difensori si preparano a chiedere gli sia concessa una misura sostitutiva del carcere. Per effetto dell’applicazione della pena, Seno che dopo una sospensione è tornato in servizio sia pur con compiti di ufficio – quasi certamente potrà evitare il licenziamento. Intanto i genitori di Davide e Samuel Seno si sono incontrati e parlati. «Era molto scosso, gli occhi lucidi.
Già in una lettera, scritta alcuni mesi fa, ci aveva chiesto perdono».
Ma la donna non sa se riuscirà mai a perdonare l’agente: «magari un giorno. Forse, prima o poi, anche lui diventerà papà. In quel momento, guardando suo figlio, finalmente capirà cosa mi ha tolto. E allora sì, troverò la forza di perdonarlo».
La donna: "Anche una raccomandata: venite a ritirare rottami o pagate penale". La mamma di Davide Pavon, ucciso da un poliziotto a 17 anni: “Fattura di 183 euro per pagare la pulizia del luogo dell’incidente”. Redazione su Il Riformista il 10 Settembre 2023
La morte del figlio, travolto da un poliziotto ubriaco, e la beffa per i genitori che 16 mesi dopo ricevono una fattura dal costo di 183 euro per pulire il luogo dell’incidente dove ha perso la vita Davide Pavan. Era l’8 maggio 2022 quando il 17enne venne travolto, mentre si trovava in scooter, dall’auto guidata da Samuel Seno, 31 anni, in forza all’Ufficio Stranieri della questura di Treviso.
Il poliziotto pochi giorni fa ha patteggiato 3 anni e 6 mesi: gli sono state riconosciute le attenuanti generiche e i suoi difensori si preparano a chiedere gli sia concessa una misura sostitutiva del carcere. In una lunga intervista al Corriere Veneto, Barbara Vedelago, madre di Davide, denuncia l’orrore della burocrazia italiana che continua, anche a distanza di tempo, a far ripiombare i due genitori in quella drammatica gioranata.
Quando è arrivata la fattura “all’inizio pensavamo a un errore. Oppure a un brutto scherzo…”. Sopra c’era scritto “bonifica dell’area con smaltimento dei rifiuti e assorbente per sversamento liquidi”. La cifra di 183 euro “ci è stata chiesta per la pulizia del luogo dell’incidente, per togliere i rottami e spargere della segatura sul sangue di Davide e sui liquidi del motore rimasti sull’asfalto”.
Insomma lo Stato ha addebitato alla famiglia della giovane vittima i costi di pulizia della scena del crimine. Ma non solo. Purtroppo la lenta burocrazia italiana ha sempre la memoria corta. “Ad esempio – racconta la donna – ci è arrivata una raccomandata per avvisarci che il rottame dello scooter era stato dissequestrato e che dovevamo andare subito a ritirarlo, altrimenti avremmo dovuto pagare una penale per ogni giorno di ritardo”.
La madre di Davide racconta anche lo strazio vissuto dalla fidanzatina, la prima ad accorrere sul luogo dell’incidente: “Quel giorno Davide l’aveva appena riaccompagnato a casa”, lei “con una app di geolocalizzazione sul telefonino, aveva notato che mio figlio era fermo ormai da dieci minuti e quindi si è fatta accompagnare dai genitori per capire cosa stesse succedendo. Quando sono arrivata era distesa sopra di lui, lo abbracciava come volesse riscaldarlo con il suo corpo. È stato tremendo e ancora oggi quella ragazza deve fare i conti con ciò che ha vissuto quel giorno. Eppure il giudice le ha negato la possibilità di costituirsi parte civile: la Legge non lo prevede, perché non erano sposati e lei non è una parente”.
Barbara racconta dell’incontro avuto con il poliziotto, dopo la sentenza dei giorni scorsi: “È dal giorno dell’incidente che volevo chiedergli una cosa: se mio figlio è morto sul colpo, come ha stabilito anche l’autopsia, oppure se è sopravvissuto per qualche minuto. Questa dubbio mi tormentava: l’idea che fosse rimasto agonizzante, da solo, su quella strada…”. L’agente ha spiegato “che è sceso subito dall’auto e che ha cominciato a praticargli le manovre di rianimazione, ma che Davide era già morto. Poi ci ha detto che vive ogni giorno nel rimorso, che gli dispiace. Era molto scosso, gli occhi lucidi. Già in una lettera, scritta alcuni mesi fa, ci aveva chiesto perdono”.
Un calvario, quello di un genitore che perde il figlio, che andrà avanti per tutta la vita: “Il fratellino di Davide, ad esempio, ha 15 anni e vorrebbe il motorino. Ma io e mio marito gli abbiamo risposto di no. E anche se lui comprende i motivi di questo rifiuto, noi lo sappiamo che è un’ingiustizia ma ancora non riusciamo ad affrontare l’idea che possa accadergli qualcosa di brutto”. Barbara spiega infine che potrà perdonare il poliziotto solo quando diventerà padre: “In quel momento, guardando suo figlio, finalmente capirà cosa mi ha tolto. E allora sì, troverò la forza di perdonarlo”.
Treviso, incidente a Gorgo al Monticano: morte due ragazze. Lo schianto dopo un sorpasso a 140 chilometri all'ora. Rashad Jaber 1947 su Il Corriere della Sera il 5 Marzo 2023.
Auto contro platano, le vittime hanno 19 e 17 anni. Gravemente feriti i fidanzati, entrambi di 19 anni. Sentiti altri quattro amici che erano a bordo di un secondo veicolo, sorpassato e toccato a folle velocità
Eralda Spahillari, 19 anni, e Barbara Brotto, 17
Un sorpasso azzardato a oltre 140 chilometri all'ora, lungo una strada in cui il limite di velocità è fissato a 50 chilometri orari. Potrebbe essere questa la causa che ha portato alla morte di due ragazze di 19 e 17 anni, sedute una davanti, sul posto del passeggero, e una dietro, su una Bmw guidata da un diciannovenne che lotta tra la vita e la morte all'ospedale di Treviso. L'incidente è successo lungo via Sant'Antonino a Gorgo al Monticano, nel Trevigiano, nella strada che segna il confine con il comune di Motta di Livenza. Le auto coinvolte sono due, ma a schiantarsi contro un platano sul lato sinistro della carreggiata è stata una Bmw in cui viaggiavano quattro persone: davanti. Per le due ragazze non c'è stato niente da fare, il violento schianto le ha uccise sul colpo, mentre i due ragazzi nell'auto insieme a loro sono stati estratti ancora vivi dall'abitacolo, ormai deformato in un ammasso di lamiere e vetri infranti. Il magistrato di turno, Gabriella Cama, ha fatto sequestrare sia il veicolo distrutto, una Bmw, che una Volkswagen Polo, a bordo della quale c'erano altri quattro giovani, amici delle vittime. I due veicoli si stavano dirigendo nello stesso locale per trascorrere la serata. La Polo è stata superata dalla Bmw che l'ha toccata, tanto che si è rotto lo specchietto retrovisore. Questo urto e l'alta velocità sarebbe all'origine dell'incidente. La Bmw aveva il tachimetro fermo a 140 chilometri all'ora. I quattro amici della seconda auto sono stati sentiti dagli inquirenti.
Le vittime e i feriti
Le due giovani vittime si chiamavano Eralda Spahillari e Barbara Brotto. La prima aveva diciannove anni, era originaria di Durazzo, in Albania e viveva a Ponte di Piave (Treviso); frequentava la scuola «Lepido Rocco» di Motta di Livenza e voleva diventare estetista. Barbara invece aveva appena diciassette anni e veniva invece da Oderzo, sempre nel Trevigiano, sedeva dietro il conducente, sul lato sinistro dell'auto che si è schiantata contro il platano. Viaggiavano a bordo di una Bmw 420 insieme ad altri due ragazzi, quasi della stessa età. Un neo maggiorenne di Motta di Livenza e un altro giovane di diciannove anni, di Pravisdomini (Pordenone), seduto al posto di guida, accanto a Eralda Spahillari. C’è apprensione in queste ore anche per le sorti di quest’ultimo, ricoverato in condizioni disperate all’ospedale di Treviso, mentre il più giovane dei due è stato ricoverato a Mestre, sempre con lesioni estremamente gravi ed estese.
Gli altri feriti
I vigili del fuoco hanno dovuto fare del proprio meglio con martelli idraulici e divaricatori per liberarli, prima di consegnarli alle cure del personale medico, che ne ha ordinato i ricoveri in codice rosso, rispettivamente all'ospedale di Mestre e di Treviso. Nonostante siano stati stabilizzati sul posto, le loro condizioni sono molto gravi e non è ancora possibile escludere del tutto il pericolo di vita. I carabinieri del distaccamento locale hanno dovuto deviare il traffico fino a dopo l'alba, per dare modo ai vigili del fuoco di mettere in sicurezza l'area e per svolgere i primi rilievi sul luogo di questa ennesima tragedia della strada.
Le indagini
I militari vogliono ricostruire con esattezza le ore e i minuti precedenti allo schianto, e soprattutto verificare se chi si trovava alla guida potesse essere sotto l'effetto dell'alcol i di sostanze stupefacenti.
Estratto dell’articolo di Federico Cipolla per lastampa.it Il 6 marzo 2023.
La strada rettilinea, libera, solo l’auto degli amici davanti. Lo scarto sulla sinistra e il piede, pesante, sull’acceleratore per lanciare la Bmw a folle velocità e sorpassarla. Un copione per provare un brivido.
Un copione che porta a una tragedia. Eralda Spahillari, 19 anni, e Barbara Brotto, 17 anni, sono morte così. Sabato a mezzanotte. Contro un platano in via Sant’Antonino a Gorgo al Monticano.
Altri due giovani sono gravissimi, Mikele Tatani, diciannovenne di Pravisdomini (Pordenone), fidanzato di Eralda, e un diciottenne di Motta. Quattro famiglie distrutte dal dolore in un’altra, ennesima, strage sulla strada.
La compagnia arrivava da Motta di Livenza. Gli otto si erano incontrati in paese per poi andare a fare tardi in qualche locale di Oderzo. Poco prima della mezzanotte si erano divisi in due auto: quattro in una Volkswagen Polo, guidata da un 18enne di Motta, e dove sedevano altre tre ragazze; e la Bmw 420 guidata da Mikele Tatani, 19enne di Pravisdomini. Al suo fianco la fidanzata Eralda Spahillari, seduti dietro altri due amici, Barbara Brotto, e un diciottenne di Motta di Livenza, D.C. le sue iniziali. Poche centinaia di metri dopo la partenza, lo schianto.
In via Sant’Antonino, davanti alla villa tristemente nota per il duplice omicidio di Gorgo, la Bmw 420 finisce dritta contro un platano sul lato opposto della carreggiata. Un impatto devastante, frontale: la vettura dopo lo schianto non è più riconoscibile, la carrozzeria è “abbracciata” all’albero, il motore staccato. Immediata la richiesta di aiuto, a quanto pare - si capirà successivamente - da un amico che si trovava a bordo della Volkswagen Polo.
Dopo il botto, il silenzio. Pochi istanti e in via Sant’Antonino è il caos. Accorrono alcuni residenti svegliati dal botto, «era come una bomba», hanno detto. A loro si presenta una scena drammatica: all’interno della Bmw ci sono quattro ragazzi, sembrano tutti morti.
Non c’è però, a quanto si apprende dalla prime informazioni, la Polo degli amici. Arrivano le ambulanze, l’elicottero del Suem118, i carabinieri della compagnia di Conegliano e i vigili del fuoco. […]
I carabinieri di Conegliano sono rimasti in via Sant’Antonino per cercare di ricostruire la dinamica dell’incidente. I giovani che erano al volante della Volkswagen Polo sono stati rapidamente rintracciati: non è dato al momento sapere se siano stati trovati poco dopo l’incidente, o se siano stati loro stessi a tornare indietro.
Avrebbero chiamato i soccorsi subito, ma poi per lo shock e la paura delle conseguenze avrebbe deciso di allontanarsi, per tornare indietro poco dopo. Sono in corso ancora accertamenti sul punto.
La Bmw correva, molto. La vettura in carrozzeria ha il contachilometri fermo sui 140 km/h. È stata posta sotto sequestro anche la Polo bianca su cui viaggiavano gli amici, ha lo specchietto del lato guidatore danneggiato, e uno striscio nero sulla fiancata vicino alla ruota anteriore.
Un dettaglio questo determinante a ricostruire la dinamica dell’incidente. L’ipotesi su cui stanno lavorando gli inquirenti è quello di un sorpasso azzardato, una sorta di gara su quel rettilineo. […]
Estratto da today.it il 7 marzo 2023.
Solo poche settimane prima dell'incidente mortale che le è costato la vita, la 17enne Barbara Brotto aveva pubblicato un video animato su Tik Tok nel quale raccomandava al suo fidanzato di non correre in auto. Nel filmato si vede una macchinina blu che sta per sorpassarne un'altra rossa e compie varie peripezie. "Mamma mia, che paura" scriveva la giovane immaginando "un tipico tragitto in macchina con il mio moroso". Nella sua storia la 17enne rimproverava il fidanzato dicendogli: "Non salirò mai più con te in auto", salvo poi perdonarlo.
Un video che alla luce di quanto accaduto fa molto riflettere, anche se va detto, a scanso di equivoci, che la Bmw 420 che sabato notte è finita contro un platano nel Trevigiano non era guidata dal fidanzato della 17enne, bensì da un altro giovane, Mikele Tatani, fidanzato dell'altra ragazza morta, Eralda Spahillari, che ora si trova ricoverato in rianimazione all'ospedale Ca' Foncello di Treviso. […]
Estratto dell'articolo di Federico Cipolla per “La Stampa” il 7 marzo 2023.
La strada rettilinea, libera, solo l'auto degli amici davanti. Lo scarto sulla sinistra e il piede, pesante, sull'acceleratore per lanciare la Bmw a folle velocità e sorpassarla. […] Eralda Spahillari, 19 anni, e Barbara Brotto, 17 anni, sono morte così. Sabato a mezzanotte.
Contro un platano in via Sant'Antonino a Gorgo al Monticano. Altri due giovani sono gravissimi, Mikele Tatani, 19enne di Pravisdomini, fidanzato di Eralda, e un 18enne di Motta. […]. Il conducente 19enne della vettura, e l'amico, coetaneo, che guidava l'altra macchina sulla scena dello schianto, una Volkswagen Polo, sono indagati dalla Procura di Treviso per omicidio stradale. Nei confronti del secondo si ipotizzerebbe anche l'omesso soccorso perché l'utilitaria, su cui si trovavano quattro giovani, dopo aver dato l'allarme si è allontanata dal luogo dello scontro.
[…] Gli otto si erano incontrati in paese per poi andare a fare tardi in qualche locale di Oderzo. Poco prima della mezzanotte si erano divisi in due auto: quattro in una Volkswagen Polo, guidata da un 18enne di Motta, e dove sedevano altre tre ragazze; e la Bmw 420 guidata da Tatani, […] Poche centinaia di metri dopo la partenza, lo schianto.
[…]Immediata la richiesta di aiuto, a quanto pare - si capirà successivamente - da un amico che si trovava a bordo della Polo. Accorrono alcuni residenti svegliati dal botto, «era come una bomba», hanno detto.
[…] Intanto, i carabinieri di Conegliano ricostruiscono l'accaduto: la Polo si trovava sulla carreggiata destra, mentre la Bmw 420 ha scartato sulla sinistra per sorpassarla. Una bravata a 140 km/h che si è rivelata mortale. I giovani al volante della prima auto avrebbero chiamato i soccorsi, ma poi per lo shock e la paura delle conseguenze avrebbe deciso di allontanarsi. Rintracciati alcune ore dopo, ora sono indagati per omissione di soccorso.
Estratto dell’articolo di Andrea Priante per “il Corriere della Sera” l’8 marzo 2023.
La corsa sfrenata, il tentativo di sorpasso, le auto che sfrecciano l’una accanto all’altra. E poi lo schianto, che uccide due ragazze trevigiane - la diciannovenne Eralda Spahillari e Barbara Brotto, di 17 anni - e riduce in fin di vita i loro fidanzati, Daniel Castelli, 18 anni di Motta di Livenza, e Mikele Tatani, il diciannovenne di Provisdomini (Pordenone) che si trovava alla guida della Bmw del padre. C’è tutto questo nel racconto che Gezim Qerosi ha fatto agli amici il giorno dopo l’incidente di Gorgo al Monticano.
Origini albanesi, 18 anni, Qerosi ora è indagato per omicidio stradale dalla procura di Treviso: la notte tra sabato e domenica era al volante della Polo bianca sulla quale viaggiava assieme ad altri tre amici di Motta di Livenza. Da giorni vive barricato in casa ad Annone Veneto (in provincia di Venezia), protetto dai familiari.
Raggiunto al telefono dal Corriere del Veneto, ha detto poche parole: «Ho visto il mio nome sui giornali, sono state scritte cose non vere, come il fatto che stavamo facendo una gara di velocità. Ma il mio avvocato ha detto che non posso rilasciare dichiarazioni. E in questo momento neppure me la sentirei». […]
«L’abbiamo incontrato il giorno dopo l’incidente e ci ha spiegato com’è andata» confida un suo amico. Ai suoi coetanei Qerosi avrebbe raccontato che «io ero davanti, con la mia macchina lungo lo stradone, e Mikele dietro. Poi lui ha tentato di superarmi sulla sinistra. Andava veloce. La sua auto ha toccato la fiancata della mia e subito dopo ha perso il controllo». È in quel momento che la Bmw si sarebbe schiantata contro uno dei platani che costeggiano il rettilineo che da Motta porta a Gorgo al Monticano.
«In macchina ci siamo messi tutti a urlare - prosegue il racconto - e uno degli altri ragazzi che erano con me ha telefonato al 118, mentre tornavamo indietro. Siamo scesi e c’era l’auto di Mikele distrutta...». […]
Per capire come siano andate realmente le cose e se sia stato quel contatto tra i due veicoli a causare la fuoriuscita, occorrerà attendere la super-perizia che verrà disposta dalla procura di Treviso, e che si baserà sui rilievi fatti quella notte dai carabinieri e sui segni presenti sulle carrozzerie della Bmw e della Volkswagen Polo, che effettivamente ha lo specchietto laterale sinistro rotto (un frammento sarebbe stato recuperato a pochi metri dal platano) e la fiancata graffiata. La versione del ragazzo sembra quindi plausibile.
[…]C’è poi l’altro mistero: perché i quattro ragazzi si sono allontanati dal luogo dell’incidente, lasciando gli amici agonizzanti? […]
Estratto dell’articolo di Stefano Vladovich per ilgiornale.it il 5 marzo 2023.
Stringeva ancora a sé l'anziano estratto dall'auto finita nel canale. Recuperati i corpi dell'agente eroe e dell'automobilista intrappolato nelle acque gelide del Gorzone, ad Anguillara Veneta. Una tragedia per la piccola comunità in provincia di Padova, per la questura in cui il poliziotto prestava servizio e per l'intero corpo della polizia di Stato. Tardo pomeriggio di venerdì.
Fa jogging Domenico Zorzino, 48 anni, sposato e padre di un ragazzo di 17 anni. Corre assieme ai suoi due cani sull'argine del canale artificiale che attraversa le province di Padova e Venezia.
Zorzino, assistente capo del Reparto prevenzione crimine, vede il tetto di un'auto galleggiare. È una Ford Fusion che sta per inabissarsi. Non ci pensa due volte Zorzino, lascia il telefono cellulare a terra dopo aver allertato il 115, molla i cani e si getta in acqua.
I soccorsi scattano immediatamente ma da quel momento dei due non si ha più notizia. I sommozzatori dei vigili del fuoco individuano l'auto sul fondale ma quando la tirano su si rendono conto che dei corpi non c'è traccia. Le ricerche continuano, ma senza speranza, per tutta la notte. La temperatura proibitiva e la visibilità azzerata fanno il resto.
È mezzogiorno di ieri quando i sub li trovano a una decina di metri dal punto in cui si è adagiata l'auto. «Erano abbracciati, in un tratto seminascosto del fondale» spiegano i soccorritori. Zorzino, probabilmente, dopo aver liberato l'automobilista, Valerio Buoso, 75 anni, prova a risalire in superficie trascinandolo con sé. Risucchiato dalla corrente non ce la fa e annega. […]
Padova, poliziotto si getta nel fiume per salvare pensionato di Anguillara: trovati morti entrambi nel Gorzone. Roberta Polese su Il Corriere della Sera il 4 Marzo 2023.
La macchina di Valerio Buoso è finita nel fiume: Domenico Zorzino, dell'anti-crimine, si è tuffato per salvarlo: erano ancora abbracciati. Il ministro Piantedosi: «Gesto altruistico e coraggioso»
Sono stati ritrovati senza vita i corpi del pensionato Valerio Buoso, 75 anni, e del poliziotto Domenico Zorzino, 48, finiti entrambi nel fiume Gorzone, all’altezza del comune di Anguillara (Padova), il pomeriggio di venerdì 3 marzo. I due erano ancora abbracciati in un punto del fondale particolarmente fangoso a una decina di metri da dove si era inabissata la vettura.
La dinamica dell'incidente
L’incessante lavoro dei vigili del fuoco, che si sono rimessi alla ricerca dei due uomini sabato, di prima mattina, ha messo fine all’agonia delle due famiglie, i Buoso e i Zorzino, che abitano a qualche centinaio di metri di distanza. Sull’argine del Gorzone sin dall’alba, oltre ai soccorritori, c’erano anche i parenti di Valerio e la moglie di Domenico. Stando alla ricostruzione fatta dai carabinieri, cui per primi è giunta la richiesta di soccorso fatta proprio da Domenico, la Ford Fusion rossa di Buoso, secondo cugino della sindaca di Anguillara Antonella Buoso, si sarebbe inabissata nel Gorzone alle 17 di venerdì. Dentro l’auto c’era Valerio che, probabilmente colto da malore, non è riuscito a fermare l’auto precipitata dal ripido pendio dell’argine.
Libero dal servizio
Domenico, agente dell’anticrimine della questura di Padova, era libero dal servizio e si trovava insieme alle sue due border collie. Il poliziotto era uscito per andare a correre, come spesso faceva, lungo l’argine. È stato proprio lui a vedere la macchina cadere nel fiume, e senza pensarci due volte ha chiamato i soccorritori, poi ha legato le due cagnette all’albero, forse per evitare che lo seguissero, ha lasciato uno zainetto e il cellulare a terra ed è corso a cercare di salvare l’anziano. Pensava di riuscire ad estrarlo vivo dall’auto in acqua e probabilmente sulle prime ci era anche riuscito, dal momento che la macchina è stata estratta dal fiume senza nessuno dentro. Ma la corrente ha avuto la meglio: due uomini sono stati trascinati a fondo.
Sul posto il personale della questura, oltra a carabinieri e vigili del fuoco.
Benvoluto da tutti
Zorzino era amato e stimato dai colleghi e tutto il personale della polizia di Padova è in lutto. La tranquilla località di Ca’ Matte, dove abitavano i due uomini che hanno perso la vita, è stata travolta dal dolore. Nelle poche case di campagna, tra gli argini dell’Adige e quello del Gorzone, dove si respira già un’aria di primavera, negli ultimi due giorni è piombato un silenzio assordante rotto solo dal rumore dell’elicottero dei vigili del fuoco, che ha aiutato i soccorritori a individuare i due corpi. Sull’argine c'era la moglie di Domenico e suo padre Giovanni: la coppia ha un figlio appena diciassettenne, tutti erano presenti quando è stato portato fuori dall’acqua il corpo del loro padre, marito e figlio.
Il cordoglio del ministro Piantedosi e della polizia
«Esprimo il mio cordoglio e vicinanza alla famiglia di Domenico Zorzino - ha dichiarato il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi - Il gesto altruistico e coraggioso compiuto dal poliziotto testimonia ancora una volta l’alto senso del dovere degli uomini e delle donne delle Forze di polizia che operano quotidianamente a servizio dei cittadini anche mettendo a rischio la loro incolumità. A loro va la mia più profonda gratitudine e riconoscenza». Appena saputa la tragedia, la polizia di Stato ha espresso il suo cordoglio. Il Capo della polizia Lamberto Giannini e le donne e gli uomini della polizia di Stato «si stringono intorno alla famiglia del poliziotto eroe assistente Capo Coordinatore Domenico Zorzino, in servizio nel Reparto Prevenzione Crimine Veneto che ha sacrificato la propria vita nel prestare soccorso ad un anziano automobilista». «Il poliziotto, esempio di eccezionale altruismo, libero dal servizio - viene ricordato in una nota - ha notato un'auto che si stava inabissando nel canale Gorzone ad Anguillara Veneta, e dopo aver chiamato i soccorsi, non ha esitato a gettarsi in acqua per salvare il conducente». Il Capo della Polizia Giannini ha sottolineato «il proprio cordoglio per la grave perdita che addolora tutti i poliziotti che quotidianamente operano per la sicurezza dei cittadini».
Nessuna frenata. Belluno, la famiglia in vacanza a Cadore falciata da una 30enne tedesca: stavano passeggiando sul marciapiede. L’auto ha sfiorato l’altro bambino per piombare sul fratellino, il papà e la nonna. Redazione su Il Riformista il 6 Luglio 2023
E’ finita in tragedia la vacanza di una famiglia di Mestre che a Santo Stefano di Cadore, nelle Dolomiti bellunesi, stava trascorrendo alcuni giorni di riposo nella seconda casa in montagna. A morire sono stati il papà di 48 anni, la nonna di 65 e un bimbo di due anni, travolti da un’automobilista tedesca trentenne. L’impatto, violentissimo, è avvenuto in pieno centro del paese: il gruppo – con nonni, genitori e due bambini, uno nel passeggino e l’altro sulla biciclettina – stava camminando lungo un marciapiede stretto della strada regionale 355 che conduce a Sappada quando è stato falciato dalla vettura.
Sono morti praticamente sul colpo il papà Marco Antoniello, e la nonna, Maria Grazia Zuin, mentre il piccolo di due anni è deceduto dopo il trasporto in elicottero all’ospedale di Belluno. Ricoverati ma non gravi nello stesso nosocomio la mamma e il nonno. Quest’ultimo è stato colto da malore dopo aver assistito all’incidente. Secondo i testimoni, l’Audi nera condotta dalla 30enne ha prima sfiorato il piccolo in bicicletta e la mamma per poi centrare il papà, il figlioletto più piccolo e la nonna.
In centro a Santo Stefano in quel momento c’erano molte persone, visto che si stava celebrando una funzione funebre. L’allarme è stato dunque immediato: sul posto i sanitari del Suem 118, l’auto medica di Pieve di Cadore e l’ambulanza di Auronzo, i vigili del fuoco e i carabinieri. Dai rilievi compiuti dai militari sembrerebbe che l’auto viaggiasse a forte velocità e che non siano stati riscontrati segni di frenata. Dal punto dell’impatto al luogo in cui sono stati ritrovati i corpi vi è una distanza di quasi 30 metri. Anche la conducente dell’automobile investitrice è stata condotta in ospedale a Pieve di Cadore in stato di choc e per lievi ferite riportate nell’impatto.
Agli investigatori, dopo essere stata sottoposta agli esami del sangue per valutarne l’eventuale positività a droghe o alcol, ha riferito di aver perso improvvisamente il controllo della vettura. Le forze dell’ordine stanno valutando per lei l’accusa di omicidio stradale. Immediato il cordoglio del Presidente del Veneto, Luca Zaia. “E’ una di quelle notizie che non vorresti mai leggere e che lascia completamente senza parole – sottolinea -. Una tragedia che colpisce una famiglia, ma anche un’intera comunità. Mi stringo al dolore dei familiari ai quali porgo le più sentite condoglianze personali e istituzionali”.
La tragedia di Cadore, per Luigi Altamura, comandante della Polizia municipale di Verona e e componente del tavolo di coordinamento delle Polizie locali in Anci, riporta l’attenzione sulla tutela del pedoni, gli utenti più vulnerabili sulla strada. “In Italia, grazie ai dati Asaps, sono stati già segnalati oltre 200 decessi da inizio anno con la geolocalizzazione di ogni incidente – osserva -. Prima del Covid nel 2019 erano morti 534 pedoni. Ora si rischia di superare questo triste dato”. Alta velocità, distrazione e guida alterata, conclude Altamura, “hanno provocato morti soprattutto sulle strisce pedonali e sui marciapiedi, i luoghi che dovrebbero essere più sicuri. Servono più controlli sull’alta velocità e l’approvazione urgente di un decreto-legge sulla sicurezza stradale”.
(ANSA venerdì 7 luglio 2023) - Hanno dato esito negativo gli esiti alcolemici e tossicologici sul sangue prelevato ad Angelika Hutter, la cittadina tedesca arrestata per omicidio stradale dopo aver travolto e ucciso tre persone a Santo Stefano di Cadore (Belluno). Il prelievo era stato effettuato ieri sera durante il fermo - poi tramutato in arresto - della donna, e il campione era stato inviato a Padova per gli esami. L'esito non esclude comunque la gravità del quadro indiziario a carico della donna, che ha causato l'incidente viaggiando ad alta velocità e la violenza dell'urto, sulla base delle testimonianze raccolte sul posto dai carabinieri. (ANSA).
Estratto da blitzquotidiano.it venerdì 7 luglio 2023.
Era stata fermata e denunciata qualche giorno fa a Bolzano, perché trovata in possesso di oggetti atti ad offendere, Angelika Hutter, l’automobilista tedesca 31enne originaria di Deggendorf, un comune della Baviera, che ieri a Santo Stefano di Cadore (Belluno) ha ucciso travolgendoli con l’auto sul marciapiede Marco Antonello, 48 anni, il figlio Mattia di 2 anni e la nonna Mariagrazia Zuin di 65, tutti di Favaro Veneto (Venezia).
Ai Carabinieri non ha mostrato nessun segno di pentimento o un accenno di rimorso per tre vite spezzate, stupendo persino i militari che la interrogavano prima di arrestarla per omicidio stradale per la sua insensibilità. Gli investigatori stanno vagliando l’ipotesi dell’uso improprio del cellulare da parte della donna tedesca. […]
"Inveiva contro i corpi". Sequestrato il cellulare alla donna che ha falciato la famiglia in vacanza. Gli investigatori hanno sequestrato il cellulare della donna tedesca che ha travolto e ucciso il piccolo Mattia, il papà e la nonna. Si ipotizza che la conducente possa essersi distratta col telefonino oppure fosse sotto l'effetto di droga e alcol. Rosa Scognamiglio su Il Giornale il 7 luglio 2023.
Tabella dei contenuti
"L'auto correva. Quella donna ha inveito contro mia madre morta"
Le ipotesi sull'incidente
La dinamica dello schianto
L'investitrice arrestata per omicidio stradale
È stato sequestrato il cellulare dell'investitrice tedesca che, ieri pomeriggio, ha trovolto e ucciso con l'auto un'intera famiglia che si trovava in vacanza a Santo Stefano di Cardone, nel Bellunese. Gli investigatori intendono accertare se la donna si fosse distratta col telefonino mentre era alla guida della vettura oppure fosse sotto l'effetto di sostanze psicotrope. L'esito degli esami tossicologici a cui è stata sottoposta la conducente dell'Audi A3, arrestata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Belluno per omicidio stradale, sono attesi per oggi pomeriggio. Nello schianto sono morti il piccolo Mattia Antoniello, di soli due anni, il papà Marco, di 47 anni, e la nonna del bimbo, Maria Grazia Zuin, di 64. Salvi, ma ancora sotto choc, la mamma e il nonno del piccino, Elena (42 anni) e Lucio Potente (67 anni). "Quell'auto andava a 160 all'ora", racconta al Gazzettino Marco Potente, parente delle vittime.
"L'auto correva. Quella donna ha inveito contro mia madre morta"
"Siamo distrutti. Non ha senso morire in questo modo, falciati in vacanza da un'auto piombata alle spalle". È sotto choc Marco Potente, lo zio del piccolo Mattia nonché figlio di Maria Grazia Zuin e cognato di Marco Antoniello. In una frazione di secondo ha perso metà delle persone a lui più care, tra cui il nipotino di due anni. "Dai primi rilievi, da quanto ci hanno detto le forze dell'ordine, pare che quell'Audi stesse viaggiando a 160 chilometri all'ora - dice -,mio padre mi ha raccontato che la donna alla guida sembrava fuori di sé, non so dire perché sotto choc o sotto l'effetto di qualche sostanza". Sopraffatto dalla disperazione, si lascia andare a uno sfogo: "Quella donna donna inveito contro il corpo di mia madre sotto a quel lenzuolo bianco. Mi sembra qualcosa di incredibile". "Sono morti mia madre, mio nipote e mio cognato, mia sorella è ricoverata in ospedale, mio padre è ancora sotto choc. - conclude - Quella donna ci ha condannati per sempre a una vita orribile".
Le ipotesi sull'incidente
Non sono ancora chiare le cause del terribile incidente. L'investitrice non è riuscita a spiegare il motivo per cui abbia perso il controllo dell'auto, un Audi A3 di colore scuro. La donna, rimasta illesa, è stata sottoposta ai test di alcol e droga e agli esami tossicologici. Diverse le ipotesi al vaglio degli investigatori: dalla guida sotto l'effetto di sostanze psicotrope, all'alta velocità o ad una distrazione dovuta all'uso del telefonino mentre era al volante. I primi riscontri potrebbero arrivare già nel pomeriggio di oggi con l'esito degli esami del sangue. Per gli accertamenti tecnici sul cellulare, invece, bisognerà aspettare qualche giorno.
La dinamica dello schianto
L'incidente è avvenuto attorno alle ore 15.45 di ieri pomeriggio. La famiglia, originaria di Mestre, stava camminando sul marciapiede che costeggia via Udine, la strada che da Comelico conduce verso il centro di Santo Stefano di Cardore, nel Bellunese. All'improvviso, un Audi A3 ha sbandato finendo per travolgere il piccolo Mattia, che si trovava nel passeggino, il papà e la nonna. I due adulti sono stati sbalzati a circa 30 metri di distanza morendo sul colpo. Le condizioni del bimbo, invece, sono apparse subito disperate. Soccorso con un elicottero del 118, il piccolo è stato trasportato all'ospedale di Belluno, dove è morto poco dopo. L'investrice ha proseguito la folla corsa finendo per schiantarsi contro un palo dell'illuminazione stradale. Anche lei è stata soccorsa ma non ha riportato ferite. Elena e Lucio Potente sono stati portati nel vicino ospedale e dimessi nella tarda serata con una prognosi di pochi giorni.
L'investitrice arrestata per omicidio stradale
La turista tedesca che era alla guida dell'auto è stata arresta dai carabinieri del Nucleo investigativo per omicidio stradale. L'arresto, precisa l'Ansa, è stato deciso sulla scorta del quadro indiziario raccolto dopo l'incidente, ossia l'alta velocità del veicolo, le testimonianze e la violenza dell'urto, per cui le vittime sono state scagliate a diversi metri di distanza.
Estratto dell'articolo di Antonella Gasparini per il "Corriere della Sera" sabato 8 luglio 2023.
«Adesso abbiamo paura che vada via. Se è risultata negativa all’esame tossicologico e al test dell’alcol, e la rilasciano, quella donna potrebbe allontanarsi dall’Italia». Luigi Antoniello lo dice chiaramente, la sua grande paura ora è che non venga fatta giustizia. Ha perso suo figlio Marco, 48 anni, il nipotino Mattia di neanche due anni e la «consuocera» Maria Grazia.
La sua famiglia e quella di Lucio Potente hanno perso tre dei loro cari, tra cui il nipote Mattia di neanche due anni. Il figlio Marco, quasi 48enne, è stato travolto in via Udine a Santo Stefano di Cadore giovedì. E con lui, contemporaneamente, è rimasta uccisa la suocera Maria Grazia, di 65 anni, mamma della compagna Elena. Sono le vittime dell’Audi guidata dalla 32enne tedesca che è stata arrestata.
«Elena ha perso tutti, ha una voragine sotto i piedi»
«Si dice in paese - afferma Luigi Antoniello, che assieme alla moglie è nel Bellunese per poter vedere figlio e nipote, i cui corpi sono sotto sequestro - che in macchina la conducente avesse coperte, abiti e tutto il necessario per viaggiare e stare via. Se è una girovaga, dove andremo noi a rintracciarla? - Si domanda Luigi - Oltre al dolore della perdita - singhiozza - dobbiamo accollarci anche la preoccupazione che non venga fatta giustizia».
Elena Potente, compagna di Marco e mamma di Mattia, è rimasta ferita ma si è salvata e viene tenuta costantemente sotto controllo. «Non si può lasciare un attimo, ha bisogno di supporto psicologico continuo - dice Luigi - Ha perso i suoi tre punti di riferimento: l’unico figlio avuto da poco, il marito e sua madre. Ha una voragine sotto ai piedi».
«Non deve succedere come al solito in questi casi»
Antoniello è perplesso riguardo alle notizie sulla presunta velocità a 70 chilometri orari dell’Audi al momento dello schianto contro le tre vittime. «Ma se mio figlio pesa novanta chili, com’è stato possibile far sbalzare il corpo a oltre trenta metri di distanza a quella velocità?». È sconvolto il fratello di Elena. «Neanche facendo giustizia si riporterebbe in vita la mia famiglia - l’amaro commento di Marco Potente - Chi è responsabile deve marcire in galera.
Non deve succedere come al solito, che chiedono l’estradizione o scontano un paio di anni e poi sono liberi. Di queste tragedie ne accadono a bizzeffe e non è possibile morire per gesti incoscienti. Correre in centro città a oltre cento all’ora con il limite dei cinquanta, e perdere il controllo del mezzo falciando i pedoni». […]
Schianto causato da invasione di carreggiata. Strage di Pasqua ad Asti, incidente frontale tra due auto: morti quattro giovani. Redazione su Il Riformista il 10 Aprile 2023
Una Pasqua macchiata di sangue sulle strade italiane. È di quattro morti il bilancio del drammatico incidente avvenuto poco dopo le 22 di domenica 9 aprile a Nizza Monferrato, in provincia di Asti.
Lo scontro frontale si è verificato lungo la provinciale 456, sulla strada del Turchino che collega la Liguria al Monferrato, nel tratto dove prende il nome di strada Ponteverde. Le vittime sono un 23enne di Asti di origini marocchine, che viaggiava da solo in auto, e tre trentenni macedoni residenti nell’Astigiano.
Sulla dinamica dell’impatto sono in corso accertamenti da parte della polizia stradale di Asti per ricostruire quanto accaduto: dato l’impatto frontale è probabile che una delle due vetture avesse invaso la corsia opposta di marcia.
Le due auto sono andate completamente distrutte, una delle quali è finita contro il guardrail, e i tentativi di soccorso da parte dei sanitari del 118, giunti sul posto insieme alle due squadre dei vigili del fuoco di Asti e di Nizza Monferrato, sono risultati vani. Le quattro vittime sono morte sul colpo.
Il sindaco di Nizza Monferrato, Simone Nosenzo, ha commentato così l’accaduto: “E’ una tragedia che ha spezzato quattro giovani vite. Ci stringiamo al dolore delle loro famiglie, che si trovano improvvisamente senza più un ragazzo giovane in casa“. “Non ci sono parole – ha scritto sui social l’assessore regionale ai Trasporti Marco Gabusi, astigiano -. La Pasqua è terminata nel peggiore dei modi“.
Laura Amato, la tragedia dopo la festa di compleanno: tamponata con un'amica da un'auto a 150 all'ora. Sara Bettoni e Cesare Giuzzi su il Corriere della Sera il 19 Febbraio 2023.
Laura Amato, 54 anni, operatrice socio sanitaria alla Macedonio Melloni, due figli, tornava a casa dopo la festa con l'amica Claudia Turconi. L'investitore andava a zigzag: il terrore degli automobilisti nei video
Tornava dal party che aveva organizzato per festeggiare i suoi 54 anni, compiuti il 25 gennaio. Una serata a cui aveva invitato amici e colleghi della Macedonio Melloni, la clinica parte dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco dove lavorava da 5 anni come operatrice socio-sanitaria. Ore di spensieratezza, di foto scattate e condivise sulle chat, di musica. Poi, sulla strada del rientro verso casa, l’incidente attorno alle 2.30 di notte. Laura Amato era a bordo di una Lancia Ypsilon con l'amica Claudia Turconi, 59 anni (foto in basso), madre di quattro figli.
Ad investirle una Lancia Musa guidata da un marocchino di 39 anni lanciata come un proiettile. Secondo una prima ricostruzione della polizia Stradale della sottosezione di Novara, che a quell’ora aveva competenza del tratto autostradale cittadino dell’A4, la Musa viaggiava a più di 150 chilometri orari. Sul sedile del passeggero gli inquirenti hanno trovato un braccialetto ospedaliero, sembra di una struttura psichiatrica. Su questo elemento sono in corso gli accertamenti degli investigatori, coordinati dal pm Paolo Filippini, che stanno verificando eventuali ricoveri del 39enne. Gli investigatori aspettano l’esito degli esami tossicologici e alcolemici effettuati al San Carlo.
La sua posizione potrebbe cambiare nelle prossime ore. Anche perché dall’esame dei filmati delle telecamere gli inquirenti hanno ricostruito oltre due chilometri di «terrore» con la macchina guidata dal 39enne che viaggia a tutta velocità zigzagando tra le auto, tanto che diversi automobilisti rallentano fino a quasi fermarsi per paura. Poi l’ultima terribile scena con la vettura che arriva al casello Ghisolfa in direzione Torino e si schianta contro la Ypsilon delle due donne. Un urto violentissimo che fa sbalzare l’auto di quasi cento metri. Nessuna speranza per le vittime, morte sul colpo. Per estrarre il 39enne è stato invece necessario l’intervento dei vigili del fuoco. Poi la corsa al San Carlo in codice giallo. «Che dio mi aiuti»: ha ripetuto solo questo ai soccorritori.
Laura Amato era originaria di Catania e viveva nell’hinterland. Da sei-sette mesi lavorava in sala operatoria, dopo la precedente esperienza in sala parto. «Una persona adorabile, educata, gentile e disponibile — dice di lei Michele Antonio Vignali, alla guida dell’Ostetricia e della ginecologia alla Macedonio Melloni e responsabile della Chirurgia endoscopica ginecologica —. Una di quelle persone che tutti vorremmo avere al nostro fianco». Anche Vignali era stato invitato alla festa, in un locale a Milano, a cui però non aveva potuto partecipare. Poi, sabato mattina attorno alle 9, la telefonata dai medici che erano di guardia in ospedale: «Laura è morta».
La notizia è rimbalzata sulle chat. «Era ineccepibile come professionista — continua il primario —. Ci mancherà non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche umano. Era capace di trasmettere affetto e umanità ai pazienti. Una persona così lascia il segno». Sui social, tanti i messaggi di vicinanza dei colleghi che l’hanno incontrata in corsia. «Non possiamo che ricordarti sempre sorridente». Anche tra i famigliari dei pazienti c’è chi le dedica un pensiero. «Curava mia mamma — scrive uno di loro —. Era una donna in gamba molto umana e dolcissima con gli anziani».
In ospedale già si pensa a come ricordarla. «Sicuramente faremo una raccolta fondi in favore dei suoi familiari — dice ancora il professor Vignali —, so che era madre. E faremo in modo che tutto il reparto possa partecipare ai funerali. L’unica consolazione in questa tragedia è che i suoi cari hanno potuto salutarla un’ultima volta alla festa di compleanno».
Incidente A4, l'uomo al volante sotto droghe e farmaci, nessuna frenata: «Come se guidasse bendato». Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 21 febbraio 2023.
Lo schianto al casello della Ghisolfa: il 39enne positivo a cannabis e benzodiazepine. Sono morte Laura Amato e Claudia Turconi
Guidava sotto effetto di droghe e psicofarmaci. Quando la sua Lancia Musa arriva in direzione del casello Ghisolfa, le telecamere che puntano sull’autostrada non mostrano segni di frenata né alcuna manovra per evitare l’impatto. Un missile lanciato a più di 150 all’ora, un proiettile che colpirà senza scampo la Ypsilon ferma mentre Laura Amato, al posto di guida, ritira il biglietto del pedaggio.
Una corsa folle: «Come se l’autista non avesse visto il casello o guidasse bendato», dicono gli inquirenti. O forse chi era alla guida era distratto dal telefono. Per questo motivo il pm Paolo Filippini ha disposto il sequestro del cellulare dell’italo-marocchino di 39 anni che nella notte tra venerdì e sabato ha ucciso Laura Amato, 54 anni, e l’amica e collega, anche lei operatrice socio sanitaria, Claudia Turconi, 59. Saranno ora gli esami informatici sullo smartphone a chiarire se in quel momento chi guidava stesse usando il telefono e per quante volte, nel corso degli oltre due chilometri di strada in cui le telecamere lo riprendono a zig zag tra gli automobilisti, abbia attivato il dispositivo.
La questione fondamentale ruota però intorno alle analisi delle urine e del sangue effettuati al San Carlo e da cui potrebbe dipendere nelle prossime l’aggravarsi della posizione del 39enne. Nei primi esiti sono state riscontrare tracce di Thc, il principio attivo della cannabis, e di benzodiazepine. Gli inquirenti stanno verificando il percorso clinico del 39enne. Giovedì scorso, il giorno prima dell’incidente, era stato ricoverato in un reparto psichiatrico di un ospedale vicino a Piacenza. L’uomo vive a Pontenure, insieme alla moglie. Era stata lei dopo una «forte crisi di nervi» a convincerlo a presentarsi in ospedale. Durante i rilievi sull’incidente gli agenti della Stradale hanno sequestrato un braccialetto ospedaliero con i dati del 39enne riferito appunto a un ricovero in psichiatria.
Ora la procura ha chiesto di acquisire le cartelle cliniche per capire se sia stato dimesso dai medici dell’ospedale o se sia uscito di nascosto. Al momento la sola certezza è che sia stato il 39enne a strapparsi il braccialetto mentre era in auto. Ma cosa ci faceva alle 2.30 di notte a Milano? Nessuno lo sa. Nel suo percorso sanitario ci sono altri episodi psichiatrici. Mai però era stato sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori (Tso) o gli era stata revocata la patente. C’è poi da capire se siano stati i medici dell’ospedale a prescrivergli e somministrargli le benzodiazepine o se l’uomo fosse in cura da tempo con questi farmaci che hanno un effetto pericoloso sulla guida. Rischi che aumentano ancora di più se agli psicofarmaci si aggiungono gli effetti della cannabis. Il mix di sostanze potrebbe aver avuto effetti devastanti.
Ora il 39enne è ricoverato in Psichiatria al San Carlo, nell’incidente non ha riportato gravi traumi ma le sue condizioni psichiche vengono definite ancora problematiche dai medici. La moglie è stata sentita e ha ricostruito i precedenti episodi di crisi. Ma ora saranno interrogati anche i medici che lo hanno visitato e quello curante. Sul corpo di Laura Amato e Claudia Turconi nei prossimi giorni sarà eseguita l’autopsia. Entrambe sono morte sul colpo nello schianto. Nell’impatto la loro auto è stata sbalzata a quasi cento metri dal casello.
Stavano tornando a casa dopo la festa di compleanno di Laura, che aveva compiuto gli anni il 25 gennaio, e aveva deciso festeggiare in un locale di Milano. Lei, due figli, lavorava come Oss alla clinica Macedonio Melloni, l’amica Claudia, quattro figli, alla Fondazione Colleoni di Castano Primo. «Non so nemmeno cosa dire se non che avevamo davanti ancora mille avventure da vivere tutti insieme, come ci hai insegnato tu — ricorda commossa la figlia Roberta —. Eri una mamma, un papà, un’amica, una sorella, una zia, eri il nostro mondo. Ti ameremo all’infinito mamma».
La corsa a "zig zag" sulla A4 e quel sospetto sull'uomo che ha ucciso due donne. Si indaga sul profilo del 39enne italo-marocchino che ha travolto e ucciso due donne al casello sull’autostrada Milano-Ghisolfa, in direzione di Torino. Secondo quanto trapela, era uscito da poco da una struttura psichiatrica. Ignazio Riccio il 20 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Le immagini delle telecamere di videosorveglianza sono spaventose: il 39enne italo-marocchino che, l’altra notte, ha ucciso con la sua auto, una Lancia Musa, due donne, nei minuti precedenti al terribile incidente stradale aveva percorso diversi chilometri ad alta velocità, procedendo a zig zag e sfiorando altre vetture. Solo il caso ha voluto che la folle corsa dell’uomo, adesso indagato per duplice omicidio, finisse sulla Lancia Y di Laura Amato, 54 anni, e Claudia Turconi, 59 anni, entrambe morte in seguito al forte impatto. Le donne erano ferme al casello sull’autostrada Milano-Ghisolfa, in direzione di Torino, quando sono state travolte dal 39enne che è in ospedale ma non è in pericolo di vita. Per loro, invece, non c'è stato nulla da fare.
Chi è l’italo-marocchino indagato
L’italo-marocchino che è finito nelle maglie della giustizia ha la doppia cittadinanza e la doppia patente. Come riporta il Corriere della Sera, molto probabilmente, era uscito da poche ore da una struttura psichiatrica, dato che le forze dell'ordine hanno trovato un braccialetto ospedaliero sul sedile del passeggero. La sua guida spericolata conferma lo stato di alterazione in cui si trovava mentre era al volante in autostrada. La procura è in attesa degli esami tossicologici e alcolemici effettuati all’ospedale San Carlo dove l’uomo è stato ricoverato. Gli inquirenti sono certi che il 39enne non si è sentito male; l’ipotesi più probabile è che era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, di farmaci, o dell’alcol. Per questo nelle prossime ore verranno eseguiti gli esami tossicologici. Domenica verrà effettuata anche l’autopsia ai corpi delle due donne, mentre le vetture sono ancora sotto sequestro in attesa della relazione della polizia stradale.
Il profilo delle vittime
Laura Amato, che aveva da poco festeggiato il suo compleanno, era impiegata come operatrice socio sanitaria alla clinica Macedonio Melloni di Milano. Claudia Turconi faceva lo stesso lavoro, ma alla Fondazione Colleoni di Castano Primo. Laura aveva due figli, mentre Claudia ne aveva quattro. Gli amici sono ancora increduli per la tragedia e hanno lasciato una serie di messaggi commossi sui social media.
Estratto dell’articolo di Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” il 20 febbraio 2023.
È un italo-marocchino l’uomo che, venerdì notte, ha investito e ucciso due signore ferme al casello di Milano - Ghisolfa, all’imbocco della A4. […] Le telecamere […] riprendono […] la Lancia Musa del marocchino: ha 39 anni, lui. Un doppio passaporto e pure una doppia patente.
Sta zigzagando tra le corsie a una velocità folle, probabilmente intorno ai 150 chilometri orari. Tanto. Troppo persino per stare sulla carreggiata normale (il limite, quando non ci sono intoppi, è di 130): figurati qui, ché le auto rallentano per forza, per prendere il tagliandino, per incolonnarsi sotto il cartello del telepass. Infatti gli altri automobilisti cercano di schivare la Musa, qualcuno addirittura si ferma.
Dura almeno due chilometri la corsa matta del 39enne. Due chilometri prima di quello schianto, violentissimo, contro la Y su cui viaggia Laura Amato assieme a un’amica. Ha solo 54 anni, Laura. […[ Muore sul colpo. Muore sul colpo anche l’amica 59enne che è con lei. La Y rossa viene sbalzata in avanti per quasi cento metri, l’incidente è devastante.
Ma come è potuto succedere? Perché quell’uomo continuava a pigiare sul pedale dell’acceleratore, perché non si è fermato prima? Lui non riporta ferite gravi, per estrarlo dalla Musa è necessario l’intervento dei vigili del fuoco: all’ospedale San Carlo (sempre di Milano) ci arriva in codice giallo. «Che dio mi aiuti», continua a ripetere ai paramedici che gli prestano soccorso.
[…] Le forze dell’ordine vogliono vederci chiaro. Per prima cosa perlustrano la macchina del marocchino e sul sedile del passeggero trovano un braccialetto. È un braccialetto ospedaliero: forse uno di quelli che si usano nei pronto soccorso, forse viene da una struttura psichiatrica. Che ci fa, lì? È del 39enne? E se si, significa che prima di mettersi al volante è stato in cura in un reparto psichiatrico?
Gli investigatori, coordinati dal pm Paolo Filippini, si mettono al lavoro: cercano cartelle cliniche, cercano i documenti di eventuali ricoveri, cercano di ricostruire quella folle notte finita nel sangue, a bordo di un’automobile trasformata in un proiettile da dodici quintali, alla barriera di un’autostrada pure non troppo trafficata (vista l’ora), in una notte di metà febbraio del 2023. Si aspettano anche gli esami tossicologici e alcolemici: gli hanno effettuati i sanitari del San Carlo, saranno disponibili nelle prossime ore. […]
Estratto da tgcom24.mediaset.it il 21 febbraio 2023.
Le ha travolte con la sua auto alla barriera autostradale A4 Torino-Milano (Ghisolfa). Ora l'automobilista di 39 anni, italiano di origine marocchina, è risultato positivo alla cannabis e alle benzodiazepine: è indagato per omicidio stradale plurimo per essersi schiantato ad altissima velocità contro una vettura ferma al casello e aver ucciso due donne.
Sono questi gli esiti degli esami di primo livello disposti dal pm milanese Paolo Filippini, titolare dell'inchiesta che punta a ricostruire la vita dell'uomo e capire se abbia o meno problemi psichiatrici. A questo proposito il magistrato ha incaricato la polstrada di Novara di sentire la moglie del 39enne di Pontenure, paese del Piacentino, dove risiede e di acquisire le cartelle cliniche dell'ospedale di Piacenza dove era entrato giovedì scorso dopo aver dato in escandescenza.
Le cartelle cliniche - Proprio dalle cartelle cliniche e dalle testimonianze dei medici, gli inquirenti e gli investigatori puntano ad accertare se le benzodiazepine gli sono state somministrate dal personale sanitario e, inoltre, se è stato dimesso oppure se ha lasciato volontariamente l'ospedale. All'uomo, che ora è ricoverato in psichiatria al San Carlo di Milano e che non è mai stato sottoposto a Tso, è stato sequestrato anche il cellulare per capire se negli istanti prima dell'incidente mortale fosse al telefono o stesse inviando messaggi.
[…] Secondo una prima ricostruzione della polizia Stradale della sottosezione di Novara, che a quell’ora aveva competenza del tratto autostradale cittadino dell’A4, la Musa viaggiava a più di 150 chilometri orari. Dall’esame dei filmati delle telecamere gli inquirenti hanno ricostruito oltre due chilometri di "terrore" con la macchina guidata dal 39enne che viaggia a tutta velocità zigzagando tra le auto, tanto che diversi automobilisti rallentano fino a quasi fermarsi per paura.
Le vittime - Sono Laura Amato e Claudia Turconi le due vittime del drammatico incidente avvenuto intorno alle 2.30 della notte tra venerdì 17 febbraio e sabato 18 febbraio alla barriera Milano Ghisolfa in direzione di Torino.Amato, originaria di Catania, 54 anni, lavorava da cinque anni come operatrice sanitaria alla clinica Macedonio Melloni di Milano, aveva due figli e abitava a Robecchetto con Induno. Nata il 25 gennaio, non era risucita ad organizzare prima la sua festa di compleanno e aveva deciso di festeggiare venerdì 17. Quella sera aveva infatti trascorso una serata in un locale a Milano e stava rientrando a casa. Insieme a lei c'era l'amica Claudia, di 59 anni, residente a Rescaldina, madre di quattro figli. La donna lavorava come Os alla Fondazione Colleoni di Castano Primo. Avevano trascorso una serata di festa insieme a tanti amici. Sulla strada del ritorno il tragico destino.
Incidente Ghisolfa, la settimana di follia dell'automobilista: dai ricoveri in Psichiatria al tentato imbarco per il Marocco. Redazione Milano su Il Corriere della Sera il 21 Febbraio 2023.
Il 39enne che ha ucciso Laura Amato e Claudia Turco al casello dell'A4 era in cura da più di vent'anni. Negli ultimi giorni l'escalation: due ricoveri e un blitz a Malpensa
Era in cura per disturbi psichiatrici già dalla fine degli '90. È quanto emerge dalle prime indagini sul 39enne italo-marocchino che nella notte del 18 febbraio al casello della Ghisolfa dell'A4 ha tamponato senza tentare alcuna frenata Laura Amato, 54 anni, e Claudia Turconi, 59, uccidendole sul colpo. L'uomo guidava sotto l'effetto di cannabis e benzodiazepine.
Dalle testimonianze e acquisizioni di documenti, raccolte dalla Polizia stradale di Novara e dal pm di Milano Paolo Filippini, risulta che la settimana prima dell'incidente l'uomo è entrato e uscito dall'ospedale di Piacenza (vive con la moglie a Pontenure) e da quello di Gallarate. Giovedì il 39enne, che aveva interrotto le terapie lo scorso anno, avrebbe avuto una crisi: da qui il suggerimento della la moglie di andare in ospedale per farsi prescrivere dei farmaci. Dopo essersene andato dall'ospedale di Piacenza si sarebbe poi palesato venerdì all'aeroporto di Malpensa, nel tentativo di prendere un volo con destinazione Marocco.
Vedendo le sue condizioni, all'imbarco gli operatori avrebbero chiamato un'ambulanza: nuovo ricovero a Gallarate (un braccialetto del ricovero strappato è stato trovato nella sua auto), ennesimo abbandono della struttura ospedaliera. Avrebbe dunque tentato di riprendere la macchina a Malpensa facendosi accompagnare da un cugino, che gli ha consigliato di raggiungerlo a casa sua a Milano e di dormire da lui. L'uomo però a quel punto era stanco: si sarebbe fermato in una piazzola di sosta riprendendo poi a guidare fino allo schianto. Gli investigatori stanno verificando se nel corso di quel ricovero a Gallarate abbia assunto le benzodiazepine trovate nel suo sangue (è risultato positivo anche alla cannabis). Verifiche saranno effettuate anche in relazione al fatto che avesse ancora la patente valida, nonostante fosse seguito per i suoi problemi mentali.
L'incidente. Reggio Emilia, furgone perde carico che investe auto: morti due giovani, autista in fuga arrestato. Redazione su L'Unità il 18 Novembre 2023
Il carico a bordo del suo furgone, decine di tubi in acciaio destinati ai ponteggi, perso per cause ancora da chiarire travolgendo tre auto e provocando due morti, un ferito gravissimo e altri quattro feriti meno gravi in provincia di Reggio Emilia.
Quindi la fuga dell’autotrasportatore al volante, terminata però nelle scorse ore dopo la fuga. È il bilancio del drammatico incidente avvenuto intorno alle 18:30 di venerdì 17 novembre in via via Razza Lago, una strada nella campagna che corre parallela all’A14 tra Campegine e Sant’Ilario d’Enza, nel Reggiano.
Il bilancio delle vittime
Il carico perso dal furgone ha colpito tre auto: ad avere la peggio le persone a bordo di una Citroen Picasso che viaggiava in senso opposto rispetto al furgone. Colpita dalle impalcature, due delle tre persone a bordo sono morte: si tratta del conducente 19enne e di un amico 21enne, mentre un terzo 21enne a bordo è gravemente ferito e si trova in prognosi riservata in ospedale a Parma. Il carico ha investito anche altre due auto, una Bmw con il conducente rimasto illeso e una Peugeot 208 con quattro persone a bordo, lievemente ferite.
Le vittime sono Anuar Mastaki, 19 anni, nato a Montecchio e residente a Reggio Emilia, e Hicham Outtas, nato in Marocco, 21 anni, e residente a Reggio Emilia.
La fuga e l’arresto
L’autotrasportatore subito dopo l’incidente è fuggito senza prestare soccorso. Dopo diverse ore di ricerche è stato rintracciato e arrestato dai carabinieri di Guastalla, che lo hanno identificato grazie alla visione di filmati dei varchi di lettura targhe. L’uomo è stato trovato a casa mentre dormiva.
L’uomo, reggiano di 39 anni, si è rifiutato di sottoporsi all’alcol-test. Era alla guida con patente sospesa: gli era stata ritirata ad agosto per guida in stato d’ebbrezza. E’ accusato di omicidio stradale, lesioni personali gravissime e fuga da incidente in caso di omicidio e lesioni. All’uomo, abitante a Montecchio Emilia, è stata contestata anche la guida in stato d’ebbrezza, essendosi appunto rifiutato di sottoporsi agli accertamenti, e guida con patente sospesa.
Gli inquirenti, i quali stanno comunque cercando di ricostruire con certezza la dinamica, ritengono difficile che l’uomo possa non essersi accorto della perdita del carico trasportato. Redazione - 18 Novembre 2023
Reggio Emilia, i giovani travolti dal carico del camion: uno ex campione di boxe, l'altro operaio da pochi mesi. Chiara Corradi su Il Corriere della Sera sabato 18 novembre 2023.
Morti nell'incidente Hicham Outtas e Anuar Mastaki, 21 e 19 anni: la loro auto colpita dal materiale caduto dal mezzo pesante. Un terzo amico grave in ospedale
Hicham Outtas è uno dei due ragazzi che nel tardo pomeriggio di venerdì ha perso la vita nell’incidente stradale a Caprara di Campegine. Con lui, nell'auto che è stata travolta dal carico caduto da un camion, è deceduto anche l'amico Anuar Mastaki. Si conoscevano fin dalle elementari, da bambini avevano frequentato la stessa scuola in una frazione di Reggio Emilia. Avevano due anni di distanza. Hicham, 21 anni, viveva a Reggio Emilia: viene descritto come un ragazzo responsabile, che con il suo stipendio da operaio - lavorava alla Kohler Lombardini - aiutava la famiglia. Lascia i genitori, una sorella e due fratelli.
Hicham ex campione regionale, Anuar al lavoro da pochi mesi
Intorno ai quindici anni aveva iniziato a muovere i primi passi nel mondo del pugilato, frequentando gli allenamenti nella palestra della Boxe Tricolore. «Hicham era una giovane promessa della Boxe - racconta il presidente di Boxe Tricolore, oggi Reggiana Boxe, Emiliano Martinelli - e con noi aveva vinto sia il campionato regionale che quello interregionale nella categoria 52kg. Quello che è successo ci ha lasciato senza parole, sia per la dinamica dell’incidente sia per la scomparsa di Hicham, un ragazzo di soli 21 anni». Martinelli ricorda anche l’impegno e la perseveranza del giovane: «Era sempre puntuale agli allenamenti e praticava la boxe con passione. Quando ha dovuto smettere, per motivi legati al lavoro, era molto dispiaciuto». Il lavoro impegnava anche Anuar Mastaki, che da pochi mesi era stato assunto in un’altra azienda metalmeccanica della zona. Anche lui lascia, oltre al papà e alla mamma, due sorelle e un fratello. Viveva nella zona del Mirabello, un quartiere di Reggio Emilia.
I messaggi di dolore
Sui social il ricordo di un’amica di Hicham, sgomenta di fronte alla morte del giovane: «Non ci credo ancora. Che Dio abbia pietà di voi e che possiate riposare in pace. Un dolore enorme, proteggi la tua famiglia da lassù». Anche il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, ha espresso la sua vicinanza alle famiglie dei due ragazzi vittima dell’incidente: «Una tragedia che ha colpito tutta la nostra Comunità. Quelle di Hicham e di Anuar sono due giovani vite che si sono spezzate troppo presto e in una dinamica che ci deve far riflettere su quello che accade sulle strade».
Estratto dell’articolo Mauro Evangelisti per “il Messaggero” l’8 aprile 2023.
[…] Una disgrazia, un incidente stradale differente dai soliti, più frutto della fatalità che dell'imprudenza. Avevano 18, 14 e 10 anni, originari del Marocco, erano cresciuti in Romagna. Un silos pieno di mangime è crollato su un'automobile e li ha schiacciati.
Non c'è stato nulla da fare perché la struttura era alta cinque metri, aveva un volume di 20 metri cubi. Ha colpito in pieno la macchina, una Opel Zafira[…] Alla guida c'era la diciottenne, che aveva da poco preso quello che un tempo avremmo chiamato "foglio rosa": stava esercitandosi alla guida in vista dell'esame per la patente.
Con lei c'erano i due fratellini. Deve avere colpito, senza accorgersene, uno dei supporti del silos, che è caduto proprio sulla parte anteriore dell'automobile. Il magistrato non ha disposto il sequestro: difficilmente saranno individuate delle responsabilità in questa tragedia.
Venerdì pomeriggio. Siamo in provincia di Forlì-Cesena, in Romagna, in un allevamento di pollame […] a San Pietro in Guardiano, […] Nell'azienda lavora uno degli zii dei tre ragazzini, il loro padre è in Marocco. La famiglia abita in un altro comune, a Meldola, a quindici chilometri. L'uomo ha accompagnato i tre ragazzini nell'allevamento, dove l'altro zio lavora come custode.
C'è una macchina vecchia nel piazzale, […] che viene usata normalmente per lavoro, […] diciottenne vuole esercitarsi per guidare, ha l'attestato che glielo consente e poi l'area è isolata, all'interno dell'azienda, non ci sono altre macchine che passano. Non c'è pericolo, pensano tutti. Per questo salgono anche i due fratelli, felici, entusiasti per quel pomeriggio in famiglia con la sorella che mostra loro che sa già guidare l'automobile.
[…]. Succede però qualcosa di imprevisto: forse un errore, forse l'inesperienza, forse solo la sfortuna (succede anche ad automobilisti esperti di danneggiare la macchina perché non vedono un ostacolo), la Zafira tocca uno dei sostegni di uno dei quattro silos che contengono il mangime per il pollame.
[…] Un boato spaventoso. Accorrono i due zii che in quel momento erano in un'altra area dell'azienda, Disperati, chiamano il 112. […] arrivano le ambulanze del 118, i mezzi dei vigili del fuoco, i carabinieri della compagnia di Meldola con il capitano del Nucleo radiomobile Gino Lifrieri.
Si lavora a lungo per sollevare il relitto del silos, sotto ci sono solo i cadaveri. […] Il dolore delle comunità delle due cittadine coinvolte - Bertinoro sede dell'azienda, Meldola dove abitavano i tre fratelli - è riassunto dai due sindaci. […]
Grottammare, l’incidente sulla A14: parla la moglie del tennista paralimpico Andrea Silvestrone: «L’ho scoperto sul web, ora mi resta solo il piccolo Diego». Claudio Arrigoni su Il Corriere della Sera il 4 Febbraio 2023.
Barbara Carota ha avuto un presentimento «dopo qualche telefonata andata a vuoto». «Ho digitato il nome di Andrea insieme alla parola “incidente” su un motore di ricerca e ho appreso da Internet quello che era successo». La sfida del marito alla sclerosi
Un presentimento. Dopo qualche telefonata a vuoto. È stato quello a muovere le sue dita: «Ho digitato il nome di Andrea insieme alla parola “incidente” su un motore di ricerca e ho appreso da Internet quello che era successo. È stato orribile». Barbara Carota ha saputo così che suo marito Andrea Silvestrone e due dei suoi figli, Nicole e Brando, erano morti, con un altro, Diego, in ospedale aggrappato alla vita: «Aspetto notizie. Prego e spero. Mi resta solo lui, adesso vivrò per lui». Ha raccolto le sue parole un amico di famiglia, il sindaco di Montesilvano Ottavio De Martinis.
Straziante. E il termine non rende quello che Barbara ha vissuto e sta vivendo. Una famiglia ora distrutta e nata dopo quella diagnosi giunta quando Andrea aveva già 33 anni: sclerosi multipla. Lo sottolineava spesso: «Barbara mi ha scelto conoscendo la mia condizione». Non si era fermato dopo che i medici gli avevano detto quelle due parole, anche quando, anni dopo, arrivò quel mezzo per aiutarlo a muoversi: «Su questa carrozzina ci sono arrivato un po’ per volta. Ci siamo conosciuti e ci siamo piaciuti». E con quella sedia con le ruote era diventato anche un campione nello sport, lui che suonava il piano divinamente ed era diventato avvocato. Assaporando ogni momento di vita. Amando Nicole, Brando e Diego sopra ogni cosa e sempre. «Sono un grande collezionista». Pausa. «Colleziono attimi».
Gli stavano conferendo una laurea honoris causa in Tecnica e Metodologia dell’allenamento alla facoltà di Scienze e Tecniche dello Sport di Isfoa. Amava lo sport, che aveva iniziato tardi, quasi otto anni dopo quella diagnosi. Aveva cominciato quasi per sfida: mostrare che poteva farcela. Anche per chi vive la sua stessa condizione. Era arrivato a essere il numero 29 del ranking mondiale e per qualche settimana anche il numero 1 in Italia della sua categoria, quad, cioè coloro che hanno problemi di movimento a tutti gli arti. Sognava di partecipare alla Paralimpiade di Tokyo. Su Twitter si definiva così: «Tennista paralimpico, avvocato, pianista, figlio, marito, papà di tre piccole meraviglie, vulcanico, imprevedibile e “in guerra contro la sclerosi multipla”!!!». Con le ultime parole scritte in maiuscolo perché risaltassero bene. Aveva lasciato i social nel 2015 per il troppo odio che vi trovava, specie dopo parole sue scettiche verso i vaccini, scritte ben prima del Covid.
Tre anni dopo era tornato a usarli: «Mi sono cancellato da Twitter quando camminavo a fatica, ora ci rientro in carrozzina. Mi sbagliavo. La vita non è bella, è meravigliosa!». Erano i suoi figli a farglielo comprendere sempre più. Come quel giorno di febbraio in cui per la prima volta lo videro esibirsi: «Salire su un palco e suonare, sapendo che i tuoi figli sono orgogliosi del proprio papà è meraviglioso...». Eppure la vita gli aveva sempre posto ostacoli. Era l’inizio del 2019, si ritrovò completamente paralizzato. «Per due mesi muovevo solo la testa e a volte facevo fatica anche con gli occhi. Deglutivo e respiravo male. Poi mi ripresi, con lentezza».
Un’altra patologia dopo la sclerosi multipla e lui lo raccontava con il sorriso: «Si sono alleate per attaccarmi. Magari tornerò a guardare il soffitto, ma se è il prezzo da pagare va bene così. Sono ancora più consapevole di prima di quanto troppo spesso dimentichiamo quanto sia bello ciò che abbiamo». Era esuberante, solare, generoso. Impegnato nel sociale, specie per i diritti di chi aveva disabilità. Partecipava a ogni evento che poteva, raccontando una vita a ostacoli: «Sono un taxista di positività. Cominciamo a vivere la vita in maniera larga, fatta di affetti, amici, amori, e non lunga. Riempiamola di cose belle».
Chi è Andrea Silvestrone, il tennista paralimpico morto nell’incidente sull’A14. Storia di Claudio Arrigoni su Il Corriere della Sera il 5 febbraio 2023.
«Su questa carrozzina ci sono arrivato e non sono nato. Un po’ alla volta ci siamo conosciuti e ci siamo piaciuti»: Andrea raccontava così la vita degli ultimi anni. Perché non aveva dovuto utilizzare quella sedia a ruote subito dopo la diagnosi di sclerosi multipla, nel 2007. Un percorso a tappe, non facile, ma affrontato sempre con il sorriso. Lo stesso per il quale Barbara, poi diventata sua moglie, si era innamorata di lui e che i loro tre figli, Nicole, Brando e Diego, vedevano spesso sul viso di papà.
Un sorriso spento all’improvviso dentro quella galleria della A14, insieme a quelli di Nicole e Brando, mentre Diego dall’ospedale tiene accese le speranze di mamma, l’unica che non era salita in auto e che ha saputo dell’incidente cercando in rete dopo tante chiamate senza risposta. Grazie a quella carrozzina Andrea è anche diventato un campione nello sport iniziato quasi per sfida qualche anno dopo la diagnosi, il tennis in carrozzina.
Come aveva iniziato con il tennis in carrozzina
«Voleva dimostrare di potercela fare, anche per gli altri come lui»: Antonio Cippo è stata la prima persona alla quale Andrea si è rivolto per cominciare a usare racchette e palline nel circolo di Sulmona. Era il 2016 e sul campo era insieme a Giancarlo Bonasia, commissario tecnico della Nazionale. «Come se un principiante chiedesse di allenarsi a Mancini e Immobile», scherzava Andrea. Poi era arrivato a essere il numero 29 del ranking mondiale e per qualche settimana anche il numero 1 in Italia della sua categoria, quad, cioè coloro che hanno problemi di movimento a tutti gli arti. Con Giuseppe Polidori vinse nel 2018 il titolo italiano di doppio. Aveva un sogno, quello di partecipare alla Paralimpiade di Tokyo, fermato anche dal posticipo dovuto alla pandemia. Nel 2021 aveva smesso con i tornei e aveva cominciato a divertirsi con il padel.
Antonio ha saputo la notizia dell’incidente a Sassuolo in ritiro con la Nazionale: «Abbiamo pianto». Perché Andrea non era solo un campione sul campo, ma una persona alla quale voler bene. Era esuberante, solare, generoso, impegnato nel sociale, specie per i diritti di chi aveva disabilità. Partecipava a ogni evento che poteva, raccontando una vita a ostacoli: «Sono un taxista di positività. Cominciamo a vivere la vita in maniera larga, fatta di affetti, amici, amori, e non lunga. Riempiamola di cose belle». La sua vita non era mai ferma. Su twitter si definiva così: «Tennista paralimpico, avvocato, pianista, figlio, marito, papà di tre piccole meraviglie, vulcanico, imprevedibile e ‘in guerra contro la sclerosi mutipla’!!!». Con le ultime parole scritte in maiuscolo perché risaltassero bene.
Anche pianista
Aveva lasciato i social nel 2015 per il troppo odio che vi trovava, specie dopo parole sue scettiche verso i vaccini, scritte ben prima del Covid. Tre anni dopo era tornato a usarli: «“Mi sono cancellato da twitter quando camminavo a fatica, ora ci rientro in carrozzina. Mi sbagliavo. La vita non è bella, è meravigliosa!». Erano tre le meraviglie particolari a farglielo comprendere sempre più. Come quel giorno di febbraio in cui per la prima volta i suoi figli lo videro esibirsi: «Salire su un palco e suonare, sapendo che i tuoi figli sono orgogliosi del proprio papà è meraviglioso...». Sport o musica li portava con sé appena poteva. Nicole era ancora piccola, ma già le insegnava la musica che amava: «Suonare Overjoyed di Stevie Wonder con mia figlia di 6 anni appena compiuti, non ha prezzo!!!». Era anche un pianista delizioso, ma non faceva mai pesare agli altri i suoi talenti.
L’impegno nel sociale era su mille fronti. Aveva coinvolti i figli nelle campagne «plastic Free» in Abruzzo. Girava l’Italia a raccontare e raccontarsi, perché ognuno potesse affrontare la malattia senza scoraggiarsi e sapendo di non essere solo: «La sclerosi multipla mi ha dato la spinta per spiegare che qualunque cosa accada nella vita può diventare una grande opportunità». : si ritrovò completamente paralizzato. «Per due mesi muovevo solo la testa e a volte facevo fatica anche con gli occhi. Deglutivo e respiravo male. Poi mi ripresi, con lentezza». Un’altra patologia dopo la sclerosi multipla e lui lo raccontava con il sorriso: «Si sono alleate per attaccarmi. Magari tornerò a guardare il soffitto, ma se è il prezzo da pagare va bene così. Sono ancora più consapevole di prima di quanto troppo spesso dimentichiamo quanto sia bello ciò che abbiamo. Ringrazio la vita, quello che mi dà è molto di più di quello che mi ha tolto. Mentre in quelle settimane potevo solo guardare il soffitto ho pensato che le malattie mi possono togliere tutto, ma non le idee, i pensieri, l’amore, l’amicizia e gli affetti. Questo è quello che conta».
Lo sport era stato un mezzo, per lui e per quello che ha dato a tanti altri, per dimostrare anche questo e non fermarsi. Emblema dello sportivo paralimpico. Luca Pancalli, il presidente del Comitato Paralimpico, ha espresso la tristezza di tutti coloro che amano lo sport: «Sono sconvolto e senza parole. A lui si stringe tutto il movimento paralimpico». Fabian Mazzei è il più grande campione di tennis in carrozzina italiano: «Lo ricordo solare, sempre con i suoi bimbi, non mollava mai». La carrozzina è stata fedele compagna non solo nello sport, aiuto nel passaggio difficile della vita. Claudio Ferrante, presidente dell’associazione Carrozzine Determinate Abruzzo, con la quale Andrea collaborava, realtà simbolo delle battaglie per la tutela dei diritti umani e di tutte le libertà fondamentali delle persone con disabilità, ricorda il momento: «Quando aveva saputo della malattia si era confidato con me e immediatamente aveva visto il lato positivo della vita. Gli diedi una carrozzina e lui fu straordinario. Non ebbe un rifiuto, ma imparò subito ad assaporare quella percezione di libertà che la carrozzina ti dà».
Gli conferirono una laurea honoris causa in Tecnica e Metodologia dell’allenamento alla facoltà di Scienze e Tecniche dello Sport di Isfoa. La stava ricevendo. Disse parole che racchiudono quella sua vita dove nulla si perdeva: «Sono un grande collezionista». Pausa. «Colleziono attimi».
"La vita mi ha dato più di quanto mi ha tolto": chi era il papà morto sulla A14. Affetto da sclerosi multipla, Andrea Silvestrone era un giocatore di tennis in carrozzina. Tanti i traguardi raggiunti malgrado la malattia. Sconcerto nel mondo dello sport dopo la notizia dell'incidente mortale. Federico Garau il 5 Febbraio 2023 su Il Giornale.
Lutto nel mondo dello sport dopo l'incidente mortale che questa mattina ha letteralmente devastato una famiglia: a perdere la vita insieme a due dei suoi figli è stato infatti l'atleta 49enne Andrea Silvestrone, giocatore di tennis in carrozzina. L'uomo combatteva da tempo contro la sclerosi multipla, malattia insorta quando aveva 33 anni. Silvestrone, residente a Montesilvano (Pescara), era molto conosciuto e benvoluto dalla comunità, oggi sconvolta per la tragedia.
Sul suo profilo Twitter Andrea Silvestrone si presentava come "Tennista paralimpico, avvocato, pianista, figlio, marito, papà di tre piccole meraviglie, vulcanico, imprevedibile e in guerra contro la sclerosi multipla".
Dopo la diagnosi di scelorosi multipla, una seconda patologia, simile alla prima. Anche in quell'occasione, però, Silvestrone non si lasciò abbattere, anzi. "Non mi sono mai chiesto perché a me, e quando i medici mi spiegarono la seconda malattia risposi che per fortuna era venuta a me. Essendo molto simile alla sclerosi, ho pensato: meglio a me, che già sono sulla sedia a rotelle, che a un'altra persona normodotata", dichiarò, come ricordato da Il Gazzettino.
Nel 2017 il suo esordio in una gara internazionale di tennis in carrozzina. Nel 2018 arriva il 29 posto nel ranking ITF, in categoria quad. Sempre nel 2017 il titolo Maserà Trophy, nel 2019 il Gyor Cup. Pluricampione italiano di tennis paralimpico, nel 2022 arriva anche la laurea ad honorem.
Malgrado la malattia, Silvestrone era solito ringraziare la vita per ciò che gli era stato dato. "Molto più di quello che mi ha tolto", ci teneva a precisare.
"La scomparsa dell'amico e campione paraolimpico Andrea Silvestrone rappresenta un colpo durissimo non solo per il mondo dello sport, ma anche per tutto quel mondo dell'associazionismo che opera nel campo della prevenzione e della tutela della salute", è il commento all' Ansa rilasciato da Marco Lombardo, presidente della sezione di Pescara della Lega Italiana Lotta contro i Tumori (Lilt) e membro del Consiglio Direttivo della Lilt nazionale.
Lombardo ricorda Andrea Silvestrone come un uomo con una voglia di vivere e un entusiasmo strardinari. Un atleta che aveva saputo trasformare la sua disabilità in un punto di forza. "I nostri pensieri sono ora vicini ad Andrea, ai suoi due bambini, morti con lui nello schianto, e ci stringiamo al dolore della moglie Barbara continuando a pregare per la salvezza del terzo figlio", aggiunge.
Tante le iniziative, i dibattiti pubblici, anche relativi alla propria malattia, a cui aveva partecipato Silvestrone, che non si tirava mai indietro.
La tragedia in galleria: famiglia distrutta. Schianto in autostrada, la moglie di Silvestrone: “Sul web ho letto della morte di Andrea e dei miei figli”. Redazione su Il Riformista il 5 Febbraio 2023
“Ho digitato il nome di Andrea insieme alla parola “incidente” su un motore di ricerca e ho appreso quello che era successo”. A parlare è l’ex moglie di Andrea Silvestrone, Barbara Carota che commenta così la tragedia avvenuta sabato 4 febbraio lungo l’autostrada A14 quando nei pressi di un cantiere all’interno di una galleria l’auto guidata dall’avvocato-tennista disabile si è scontrata frontalmente con un tir. A perdere la vita Silvestrone, 50 anni, e due dei tre figli che viaggiavano con lui (oltre al cagnolino): la primogenita Nicole di 14 anni e il più piccolino di 8, Brando. Ricoverato in ospedale per fratture multiple, Diego, l’altro figlio di 12.
La donna racconta di aver iniziato a cercare su internet notizie dei suoi cari dopo qualche telefonata andata a vuoto. A raccogliere le sue parole il sindaco di Montesilvano, Ottavio De Martinis, amico di famiglia e molto legato a Silvestrone.
Una famiglia distrutta quella di Andrea. Una famiglia nata dopo la terribile diagnosi, sclerosi multipla, che Silvestrone ha ricevuto a 33 anni. Da allora è iniziato un nuovo percorso dell’istruttore di tennis poi diventato avvocato, pianista e tennista paralimpico.
Non mancano le polemiche dopo la tragedia. “L’ennesimo incidente” mortale sull’autostrada tra Marche e Abruzzo con i governatori Francesco Acquaroli e Marco Marsilio che chiedono di rivedere in cantieri: “abbiamo convenuto – riferisce Acquaroli – di richiedere un ulteriore incontro urgente con Aspi per provvedere a garantire la massima sicurezza possibile anche rimodulando i cantieri”. “Questa situazione è diventata insostenibile e inaccettabile, sotto tutti i punti di vista, prima di tutto la perdita di vite umane per le quali esprimo profondo dolore e cordoglio”. Autostrade per l’Italia, ha espresso “profondo cordoglio ai familiari delle vittime e vicinanza alla comunità”.
L’incidente è avvenuto nei pressi di un cantiere, all’interno della galleria Castello a Grottammare, dove si sono scontrati frontalmente l’auto a noleggio, proveniente dall’Abruzzo, su cui viaggiavano le vittime e il bimbo trasportato all’ospedale di Torrette (Ancona), e un tir il cui conducente è rimasto illeso. Secondo una prima ricostruzione della dinamica dell’incidente, perdendo il controllo del mezzo Silvestrone avrebbe invaso la corsia opposta trovandosi davanti a un camion.
A 200 all’ora con una mano. Storia di Massimo Gramellini il 12 Settembre 2023 su Il Corriere della Sera.
È ormai evidente che, appena usciamo di casa, ci trasformiamo nelle pedine inconsapevoli di qualche «challenge». Penso alla madre, con due figlie piccole a bordo, che sulla provinciale di Alatri si è vista piombare addosso l’Audi di un tizio impegnato a sfrecciare in curva a velocità folle durante una diretta Facebook. O agli automobilisti napoletani che, due notti fa, si sono imbattuti in un Verstappen dei poveri che guidava a 200 all’ora con una mano sola, essendo l’altra occupata a puntare la telecamera del telefonino sul contachilometri per documentare sui social la storica impresa. Negli universi paralleli del web si svolgono continuamente centinaia di sfide, alcune pericolose solo per chi vi partecipa (l’altra settimana un ragazzino è morto dopo avere mangiato «la patatina più piccante del mondo»), ma la maggior parte gravide di implicazioni anche per il mondo circostante, cioè per noi. I «giocatori» ci ignorano o al più ci considerano effetti collaterali, bersagli mobili e inanimati come i personaggi dei videogiochi, dove alla fine nessuno si fa male davvero. Vorrei entrare nella testa di queste persone per informarle che noi esistiamo, siamo creature reali e non abbiamo firmato alcun contratto né sottoscritto alcuna assicurazione per apparire, per di più gratis, nel ruolo di comparse delle loro bravate. Ma, di tutte le «challenge», temo che quella di infilarsi in certe teste rimanga di gran lunga la più difficile.
Gianluigi Nuzzi, pugno di ferro sul caso Alatri: "Arrestato e processato". Libero Quotidiano l'11 settembre 2023
Si parla del caso di Alatri a Pomeriggio 5, dove ospite della puntata di lunedì 11 settembre c'è Gianluigi Nuzzi. Il giornalista ricorda che "questo non è un incidente, è uno scontro. L'incidente è fatalità, mentre lo scontro è volontà e questo signore andava in giro sparando a caso". Parole che trovano d'accordo Myrta Merlino. "La sua auto era un proiettile, per fortuna non ha ucciso nessuno - prosegue -. Potevo esserci io coi miei figli, quella signora era coi suoi figli, faceva la mamma. Tutto questo è indecente". Da qui la stoccata: "Questo signore deve essere arrestato e processato per tentato omicidio stradale".
L'uomo nel pomeriggio di domenica ha travolto un'auto con a bordo una mamma e i suoi due figli mentre stava guidando e girando un video sui social. Ma non solo, perché successivamente è risultato positivo all'alcoltest e al test antidroga.
Intanto la Procura della Repubblica di Frosinone, che indaga per lesioni stradali aggravate ha acquisito le immagini del filmato postato su Facebook, acquisito agli atti, dove si vede l'Audi, condotta dall'indagato, transitare a velocità molto elevata. Le analisi che hanno evidenziato la presenza di droga nel sangue del 30enne, sono state effettuate all'ospedale di Alatri subito dopo il ricovero, dove sono state trasportate anche la madre e il fratello della bambina rimasta ferita. I rilievi e le indagini sono stati delegati ai Carabinieri.
«Mia figlia era tra le lamiere, è stato tremendo»: lo choc di Irene Savelloni, la mamma che era alla guida ad Alatri. Fulvio Fiano il 12 Settembre 2023 su Il Corriere della Sera.
La 36enne dimessa assieme al figlio dall'ospedale, non le hanno mostrato il video dello scontro. I sensi di colpa del primogenito: «Erano venuti a vedere la mia partita»
Era appena uscita dalla partita del figlio maggiore, che ha 16 anni. Irene Savelloni era in auto assieme ai due piccoli della famiglia, su un’auto diversa da quella del marito Orlando Corsi, perché erano arrivati separati al campi (l’uomo in anticipo per accompagnare il giocatore). Poche decine di metri e il loro pomeriggio da famiglia unita poteva finire in tragedia. «Eravamo appena partiti, avevo appena messo la terza», racconta la donna tra le lacrime, ricordando il momento in cui sulla sua Nissan è piombata frontalmente l’Audi guidata dal 29enne Abdel Afid El Idrissi, mettendo a rischio la sua vita e quella dei due figli. Il più grande 14 anni seduto davanti, la piccola di 9 nel suo sediolino posteriore.
«Era tra le lamiere, è stato tremendo», sono le poche parole che riesce a dire la 36enne a chi le sta vicino in queste ore (e sono tanti) prima di ripiombare in un pianto incontrollato. Lei e il figlio sono state dimesse nel pomeriggio di lunedì, ma dovranno tornare in ospedale appena possibile per sottoporsi a piccoli interventi di riduzione delle fratture riportate. La bambina che era sul sedile posteriore ha avuto le ferite più gravi, ma se la caverà con una prognosi molto migliore di come si era temuto in un primo momento.
La paura più forte del sollievo
Più forte del sollievo per il pericolo scampato è però lo shock per il dramma che poteva esserci se solo l’urto fosse avvenuto più in diagonale, se solo le cinture non avessero protetto anche dallo scoppio degli airbag, se per una delle tante possibili variabili in uno scontro avvenuto senza neanche il tempo di rendersene conto, oggi staremmo parlando di un caso ancora più sovrapponibile a quello di pochi mesi fa con la morte del bambino Manuel a Casal Palocco. Come se la sua mente fosse rimasta agli attimi in cui lei stessa urlava disperata le richieste di aiuto (l’audio è stato registrato dallo stesso telefono con cui il 29enne postava la sua diretta sui social con il nick Ivan Marocco 93).
Le dimissioni e l'abbraccio col figlio
Irene non ha visto il video dell’impatto girato dal loro investitore e che sta circolando su tutti i social vorticosamente. Non lo ha chiesto, non glielo hanno neanche detto, non sarebbe in nessun modo utile per farle ricordare quello che da un punto di vista legale, e non solo, è già evidentissimo. Il suo unico pensiero, quando era in ospedale e poi a casa, è stato per i suoi figli. Anche per questo, compiuti tutti gli accertamenti, sono state accelerate le sue dimissioni dall’ospedale di Alatri e del figlio da quello di Frosinone.
L’abbraccio reciproco, in attesa di riavere anche quello della piccola, è la cura migliore per superare questo trauma. E mentre Orlando Corsi, il marito di Irene e padre dei ragazzi, correva da un ospedale all’altro per stare vicino a tutti e tre (la piccola è al Bambino Gesù), i nonni materni e paterni, le zie, i cugini, tutti i parenti si stringevano attorno anche al primo figlio, il 16enne, lacerato da sensi di colpa irrazionali ma incontrollabili per il fatto che tutto è successo dopo la sua partita: «Erano lì per me», continua a ripetere. Negli occhi l’immagine di quell’auto che conosce così bene, distrutta sulla strada che lo riportava a casa col padre per commentare tutti assieme la partita appena giocata.
«Giustizia significa pene esemplari»
La notizia della positività di El Idrissi all’alcol e agli stupefacenti non fa che moltiplicare questi sentimenti: «Potevano essere tutti morti, siamo stati fortunati», commentano una zia e una cugina di Irene rientrando a sera nella loro abitazione di fianco al deposito di forniture di materiali edili della famiglia, nella frazione di Supino.«La richiesta che mi viene rivolta dalla famiglia è stata subito chiara - spiega invece Cristina Corsi, avvocato della famiglia (non è parente del marito di Irene)— : questo caso sia di esempio perché non si ripetano più cose del genere. E non parliamo di risarcimenti, per quelli ci sono le assicurazioni, ma di punire chi con i propri comportamenti scellerati mette a rischio la vita altrui».
Estratto dell’articolo di Romina Marceca per “La Repubblica – ed. Roma” martedì 12 settembre 2023
Piange e quel video non vuole assolutamente vederlo. «Come sta la mia Giorgia?», questo chiede continuamente la mamma di Alatri dal suo letto di ospedale di Alatri. Ieri pomeriggio ha incontrato la sua avvocata Cristina Corsi e con lei hanno ripercorso insieme la domenica di paura a pochi passi da casa. «Non riesco a scacciare quelle immagini.
La macchina che arriva come un proiettile verso di me, l’impatto che non potevo evitare in nessun modo, i miei figli feriti e Giorgia svenuta. Ho temuto il peggio per lei» , è il racconto della donna. Fatica a parlare, è ancora dolorante, non si dà pace per quella dinamica così assurda. «Voglio giustizia - ha la forza di dire - e andrò avanti perché si deve fermare tutto questo. Non si può rischiare di uccidere per un video una famiglia che tranquillamente si trova nella sua auto». […]
Quando la Audi A4 ha invaso la corsia opposta, la donna al volante ha pensato «che fosse un automobilista che si era sentito male. Ho frenato ma non potevo far altro». Dopo lo schianto Abdhelafid El Idrissi è sceso dall’auto. Nella diretta si sente che risponde a chi gli chiede come sta: «Normale, andavo un po’ veloce. Avevo appresso il cellulare». Ma non ha prestato il suo aiuto per la piccola Giorgia.
«È rientrato in auto e ha aspettato l’arrivo dei vigili del fuoco, sembrava lui la vittima - dice adesso la mamma della Nissan -. Non ci ha dato una mano per soccorrere la mia bambina».
Sotto shock c’è anche il figlio di 16 anni che è arrivato sul luogo dell’incidente con il padre e ha visto la sorellina priva di sensi. «Siamo increduli, miracolati e non riusciamo a farci una ragione di quanto ci è accaduto» , è quanto riferisce alla legale. […]
Estratto dell’articolo di Emiliano Papillo, Giovanni Del Giaccio per "Il Messaggero” martedì 12 settembre 2023
È risultato positivo al test dell'alcol e della droga il giovane che domenica ad Alatri si è schiantato mentre trasmetteva un video in diretta Facebook contro l'auto sulla quale viaggiavano una donna e suoi figli. Si trova ricoverato all'ospedale "Spaziani" di Frosinone, non ha mai perso conoscenza e - secondo quanto riferito dai medici - è stato operato a causa di un "versamento" toracico.
Al personale sanitario avrebbe raccontato di non essersi accorto di nulla. Per lui, al momento, l'ipotesi di reato è quella di lesioni colpose gravi, mentre sarà denunciato anche per guida in stato di ebbrezza e sotto l'effetto di stupefacenti. La situazione dal punto di vista dell'inchiesta è comunque in evoluzione. La Procura ricorda le norme sulla presunzione d'innocenza e non rilascia dichiarazioni, idem i carabinieri.
Abdelhafid El Idrissi, 30 anni, per tutti "Ivan il Marocco" (così si fa chiamare anche sul suo profilo social) è un appassionato di motori e sul suo telefono cellulare c'erano numerosi video di "corse" simili a quella che domenica ha fatto ad Alatri, in località Tecchiena, prima di andarsi a schiantare sull'auto su cui erano a bordo madre e due figli piccoli. La donna è ricoverata all'ospedale di Alatri con diverse fratture ed è quella che ne avrà per più giorni, mentre il figlio è in ortopedia allo "Spaziani".
[…] A parte i video sul telefono, in cui si riprendeva alla guida della sua automobile, Abdelhafid El Idrissi postava foto con riferimenti ai motori. Una è del 6 settembre e recita «ieri sera eravamo ubriachi, come diavolo siamo tornati?». Compare anche un diavolo che "suggerisce" a un anziano «ora che sei in autostrada a 50 all'ora, vai sulla corsia di sinistra». La velocità è la sua passione, in un video sul quale scorrono frasi in francese si legge «io e te balliamo con la macchina da corsa» e ancora «c'è chi prova a corteggiarti, chi vuole fare l'amore con te, io ti voglio per sempre, vieni con me, dove ti porterò non te ne pentirai». […]
Alatri, il video di «Ivan Marocco» sullo scontro in diretta Facebook. Il manovale marocchino 29enne era solito postare video in cui guidava a velocità. Ivan Marocco, chi è il 30enne che si è schiantato in diretta social ad Alatri: su Instagram decine di video mentre guida a tutta velocità. Il Messaggero Lunedì 11 Settembre 2023
Sul suo profilo Facebook spicca l'immagine del cruscotto della sua Audi. L'auto, una delle passioni di Ivan il Marocco, così come viene chiamato dagli amici il 30enne di origine marocchina che ieri pomeriggio si è schiantato in diretta social ad Alatri contro la Nissan guidata da una donna con a bordo i figli. Il vero nome è Abdelhafid El Idrissi e oggi è risultato positivo all'alcol test e alla droga. Su Instagram emerge come filmarsi mentre guida fosse un'abitudine. Sono tantissimi infatti filmati pubblicati che mostrano il cruscotto della sua auto mentre procede a tutta velocità. Non un fatto isolato quindi, ma una vera e propria passione che ieri è culminata nel tremendo frontale.
Incidente Sora Avezzano, schianto tra un Doblò e un furgone: morti due fratelli, gravi mamma e figlio. Aldo Simoni su Il Corriere della Sera il 4 Febbraio 2023.
Alle 7 di sabato, l’impatto tra i due mezzi è stato fatale per Massimo e Emanuele Nicoletti, elettricisti di 27 e 42 anni
Andavano al lavoro: una coppia di fratelli era diretta in un cantiere edile. Mamma e figlio invece nel loro negozio di frutta e verdura. I loro destini si sono incrociati al chilometro 40 della superstrada del Liri (Sora-Avezzano) che, ancora una volta, si conferma una delle arterie più pericolose del Lazio. Lo schianto, tra un Doblò Fiat e un furgone, è avvenuto intorno alle 7.
L’impatto tra i due mezzi è stato violentissimo ed è avvenuto poco dopo l’uscita di Balsorano (L’Aquila), lì dove c’è un segnale che avverte della presenza di un dispositivo di controllo elettronico della velocità. Sul furgone, carico di frutta e verdura, c’erano mamma e figlio che da Sora si stavano recando a Civitella Roveto dove hanno un’attività commerciale. Sul Doblò viaggiavano due fratelli che andavano in direzione opposta, verso Sora: Emanuele e Massimo Nicoletti, 27 e 41 anni, di Balsorano, sono morti sul colpo.
I corpi sono stati estratti dai vigili del fuoco tra le lamiere contorte. I due fratelli, esperti elettricisti, stavano raggiungendo un cantiere alla periferia di Sora. Mamma e figlio, invece, sono stati soccorsi da un equipaggio del 118 che li ha trasportati in codice rosso nell’ospedale di Sora. Sul posto sono intervenuti i carabinieri e i vigili del fuoco che, oltre a eseguire i rilievi e recuperare le lamiere, hanno provveduto alla pulizia e messa in sicurezza della carreggiata. Pesanti rallentamenti sulla superstrada che collega la Ciociaria e l’Abruzzo, particolarmente trafficata di mattina.
Questo è l’ennesimo incidente su una arteria che da anni è teatro di sinistri, spesso mortali, e oggetto di un progetto di raddoppiamento delle corsie. In pochi minuti la notizia del tragico incidente ha raggiunto la Valle di Roveto dove i due fratelli erano molto conosciuti. E il sindaco di Balsorano, Antonella Buffone, ha inviato un messaggio di cordoglio alla città: «Sgomento, dolore e tristezza hanno pervaso l’intera comunità che si stringe alla famiglia tutta, esprimendo le più sentite condoglianze».
Le salme di Massimo ed Emanuele Nicoletti sono state poi trasferite all’ospedale di Cassino in attesa del nulla-osta della Procura per i funerali. Sulle cause dell’incidente indagano i carabinieri: non si esclude un ostacolo improvviso (il passaggio di un animale selvatico), l’alta velocità oppure un improvviso guasto al motore che potrebbe aver fatto perdere il controllo di uno dei due mezzi.
Estratto dell’articolo di Filippo Fiorini per “la Stampa” lunedì 3 luglio 2023.
«La Tesla correva a velocità folle contromano. Ha sfiorato noi e, 20 secondi dopo, ha ammazzato una persona». Quanto scritto su Facebook da Sara Fusi Serangeli a proposito dell'incidente avvenuto sabato pomeriggio al km 21 della provinciale Laurentina, sud di Roma, lascia pochi dubbi sulla responsabilità di E. E., 20 anni, accompagnato da quattro coetanei al momento dello schianto che è costato la vita alla sessantasettenne Simonetta Cardone.
Per questo, il ragazzo ora è accusato di omicidio stradale e, sebbene sia risultato negativo al test per alcol e droga, la polizia sta verificando se quando questi ha invaso la corsia opposta, qualcuno tra gli altri a bordo stesse girando un video con i cellulari, come avvenuto nel caso di Casal Palocco, dove la realizzazione di una challenge destinata ai social è costata la vita a un bambino di 5 anni.
Diverse le analogie, ma anche numerose […] le differenze […]. Ieri l'altro, come il 14 giugno, a provocare l'impatto è stato un veicolo straordinariamente potente, il cui utilizzo è proibito per legge a chi ha superato l'esame di guida da meno di un anno. Con un limite imposto di 90 cavalli per i neopatentati, sono 660 quelli segnati a libretto dalla Lamborghini Urus con cui Matteo Di Pietro ha azzardato un sorpasso e investito la Smart su cui viaggiavano il piccolo Manuel, la madre e la sorellina.
Sono 670, invece, quelli della versione base della Model X condotta dal giovane che ha colpito frontalmente e distrutto la Lancia Y di una donna che ora tutta Pomezia piange ricordandone l'attività di volontariato con gli animali randagi, organizzando staffette per prendersi cura dei suoi gatti. […]
[…] Gli estremi per ipotizzare l'omicidio stradale, tuttavia, restano. Infatti, l'articolo 589 bis del codice penale (introdotto nel 2016), dice chiaramente di essere rivolto anche contro chi «circolando contromano, cagioni la morte di una persona». Su questa stessa strada, in punti prossimi a quello in cui ha perso la vita Simonetta Cardone, sono di recente avvenuti molti altri incidenti altrettanto gravi. Per questo, i residenti ora chiamano in causa la Città Metropolitana, protestando per il fatto che la segnaletica orizzontale sia deteriorata e, più in generale, la carreggiata pericolosa. Da qualche mese l'Anas ha aperto un cantiere per mettere in sicurezza il tratto, ma i lavori procedono a rilento. Questo potrebbe essere uno degli argomenti per reclamare un'attenuante […].
Dove la Tesla ha colpito la Lancia, fino alla fine dei rilievi tecnici della Municipale sono rimasti gli oggetti personali di Simonetta. […] Lì, in quello stesso punto, la linea di mezzeria […] è comunque visibile. Stando a quanto riferito da altri testimoni, il ragazzo l'ha oltrepassata perdendo il controllo del mezzo ed è poi riuscito ad evitare alcune macchine che procedevano in senso opposto, travolgendo infine la donna. Lui stesso, ha dichiarato: «È vero, stavo correndo. Ho travolto quell'auto perché ho tentato di scartarla».
Voluminosa, potente, solida, con un prezzo di listino oltre i 100 mila euro, la Model X in questione è risultata essere intestata all'attività di pulizia e rifinitura auto del padre del ventenne, che come anche gli altri genitori dei giovani coinvolti, si è presentato sul luogo dell'incidente poco dopo il fatto. […]
Estratto dell’articolo di Marco Carta per “la Repubblica - Edizione Roma” lunedì 3 luglio 2023.
Un suv Tesla contromano a velocità folle: «Correvano come matti». Simona Cardone, sabato pomeriggio, se l’è ritrovato davanti all’improvviso, mentre percorreva la via Laurentina, a ridosso dello svincolo per Selvotta. Ha provato a evitare l’impatto, ma è stato inutile. È morta praticamente sul colpo, rimanendo incastrata nella sua vecchia Lancia Y.
La donna, 67 anni, è la 78esima vittima della strada tra Roma e provincia. Una strage silenziosa che sembra inarrestabile. A pochi chilometri di distanza in linea d’area, nella zona di Casal Palocco, lo scorso 14 giugno aveva perso la vita Manuel Proietti, il bambino di 5 anni morto nell’incidente con una Lamborghini. […]
Sono tante le similitudini con l’incidente di Selvotta. A uccidere Simona Cardone, infatti, è stata un’automobile potente, guidata da un ventenne, che era in auto insieme ad altri coetanei. Emanuele Esposito, il giovane alla guida, è risultato negativo ai test tossicologici, ma ora è indagato per omicidio stradale. «Non ho fatto in tempo a schivarla», avrebbe detto il ragazzo ai vigili del gruppo Eur giunti sul posto per gli accertamenti subito dopo lo scontro.
Un impatto violentissimo: per la donna non c’è stato nulla da fare. I vigili del fuoco hanno estratto il suo corpo dalle lamiere, ma gli operatori del 118 non hanno potuto far niente per salvare la 67enne.
[…] Sono stati disposti accertamenti sui telefonini dei cinque ragazzi per verificare se stessero filmando o erano impegnati in dirette social o chat. Negli smartphone sequestrati ci sarebbero infatti alcuni video di auto di grossa cilindrata che sfrecciano anche a 250 chilometri orari sul Raccordo e sulla Colombo. I vigili lavorano per capire se siano stati girati dal conducente della Tesla. «Ho visto quella Tesla che correva a velocità folle contromano. Ha superato anche me » . Sono diversi i testimoni che hanno visto sabato quella macchina correre a tutta velocità in direzione Pomezia.
« Mi ha superato pochi istanti prima dell’incidente in una curva cieca — ricorda Claudio S. — E poi un’altra auto, tutte e due siamo stati superati contromano. E lo stesso è accaduto nella curva successiva dove ha fatto il frontale, ad una velocità tale da non poter vedere». Claudio insieme ad altri automobilisti si è poi fermato a prestare soccorso. «Ho visto due ragazze appena uscite dalla Tesla che erano chiaramente sconvolte. Poi quella povera donna per una frazione di secondo. Non riesco a togliermela dalla memoria. In terra c’erano cd, lettere, un guinzaglio del cane, un ombrellino. Tutte cose che tutti dimentichiamo per mesi in auto. Lei con una vecchia Y, gli altri con ogni innovazione tecnologica illesi. C’ho visto la morte del più povero » . […]
Morto un bambino di 5 anni. Chi sono i TheBordereine, gli youtuber dell’incidente di Roma: l’ipotesi della challenge video sulla Lamborghini. Redazione su L'Unità il 15 Giugno 2023
Si chiamano Vito Loiacono, Matteo Di Pietro, Marco Ciaffaroni: sono i giovanissimi dietro il collettivo TheBorderline, canale YouTube da 600mila iscritti specializzato in challenge e sfide social estreme. I quattro amici erano all’interno della Lamborghini noleggiata all’autosalone SkyLimit di Roma schiantatasi nel pomeriggio di mercoledì 14 giugno contro la Smart su cui viaggiava il piccolo Manuel, il bambino di 5 anni morto nell’incidente sotto gli occhi di sua madre e della sorellina di 4 anni, entrambe rimaste ferite (la bambina è stata dimessa questa mattina dimessa dall’ospedale Bambin Gesù).
L’incidente è avvenuto a Casal Palocco: la madre e la sorellina della vittima sono state ricoverate nel pomeriggio di mercoledì, in gravi condizioni ma non in pericolo di vita. La bambina è stata già dimessa questa mattina dimessa dall’ospedale Bambin Gesù.
Le forze dell’ordine hanno sequestrato i telefonini dei giovani per capire se i cinque giovani a bordo (oltre ai quattro youtuber c’era anche una ragazza) stessero effettivamente girando un video al momento dell’impatto. I quattro “influencer” dopo aver noleggiato il potente Suv Lamborghini si sarebbero messi al volante per realizzare l’ennesima challenge: alternarsi al volante dell’auto per 50 ore consecutive.
La city car, in una dinamica ancora da chiarire, si è scontrata frontalmente con la Lamborghini: un impatto terribile, sulla strada non ci sono, infatti, segni di frenata
“Non siamo ricchi ma ci piace spendere per farvi divertire. Tutto quello che facciamo si basa su di voi. Più supporto ci date e più contenuti costosi e divertenti porteremo, tra sfide challenge e scherzi di ogni tipo cercheremo di strapparvi una risata in ogni momento”, si legge nella descrizione del canale YouTube.
I video che si trovano sul canale, tutti con centinaia di migliaia di visualizzazioni, documentano le sfide a cui il gruppo si sottopone: 24 ore sulla mini zattera, Nascondino al luna park per 1.000 euro, L’ultimo che esce dal quadrato vince 1.000 euro, 24 ore sulla ruota panoramica senza scendere, sono alcuni dei titoli dei video che si trovano sul canale.
Nell’ultimo filmato pubblicato sul loro canale TikTok, altro social dove il gruppo è particolarmente seguito, uno dei ragazzi di The Borderline bacia la Lamborghini appena noleggiata. “Rega, ‘sta macchina va più veloce de Saetta McQueen. Mamma mia, me sembra de cavalcà un drago”, dice il ragazzo nel video. Poi simula un siparietto con un altro automobilista immaginario: “Ma questo con la Smart che sta facendo? Bello, la macchina tua costa 300 euro alla Conad, la mia vale un miliardo”, si vanta il ragazzo. Soltanto poche ore dopo i quattro influencer saranno protagonisti dell’incidente mortale propri contro una Smart, quella guidata da Elena, 29 anni, con a bordo i due figli.
“Ho sentito il botto, è stato tremendo, sono uscita di corsa e ho visto ancora la madre dentro la Smart. Sono andata subito a tirarla fuori, era semi cosciente, piangeva e ripeteva di andare a soccorrere i suoi figli. Diceva di pensare a loro, non a lei”, racconta a Repubblica Camilla, 30enne di Casal Palocco con un negozio a pochi metri dal luogo dell’impatto, che per prima ha provato a soccorrere le vittime dell’incidente.
Alcuni testimoni hanno inoltre riferito che con quella stessa Lamborghini i giovani stessero circolando per il quartiere già da un paio di giorni, filmandosi con il telefonino forse per postare poi le immagini sui social.
Sullo schianto avvenuto in via di Macchia Saponara, tra Casal Palocco e Acilia, la procura di Roma ha aperto un’inchiesta per omicidio stradale. I magistrati affideranno una consulenza tecnica al fine di accertare a che velocità stesse viaggiando il Suv Lamborghini coinvolto nell’incidente.
Il reato di omicidio stradale e di lesioni stradali aggravate sono contestati al 20enne che era alla guida del Suv: al vaglio degli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Michele Prestipino, anche la posizione degli altri quattro presenti nell’auto, nei loro confronti potrebbe essere contestato il concorso nel caso in cui venisse accertato che nelle fasi precedenti allo schianto stessero girando un video da postare sui social.
Uno dei ragazzi del collettivo, Vito Loiacono, sui social ha risposto al mare di insulti che da ore compaiono sotto i loro video nelle varie piattaforme social: “Il trauma che sto provando è indescrivibile, ci tengo solo a dire che io non mi sono mai messo al volante e che sto vicinissimo alla famiglia della vittima”, scrive il giovane.
Distrutto anche il noleggiatore, il titolare della Skylimit Gabriele Morabito. “Esprimo cordoglio alla famiglia del bimbo. Sono distrutto. Ricordo a tutti però che la dinamica è ancora poco chiara e che insultare noi solo perché noleggiamo auto a persone che possono incorrere o causare incidenti non serve a nulla. Le responsabilità verranno accertate da chi di dovere e chi ha sbagliato pagherà. Un bacino piccolo”.
Estratto da ilmessaggero.it il 15 Giugno 2023.
[…]
«Ero in casa quando ho sentito un botto terrificante e sono uscita, in pochi minuti è accorsa molta gente e c'era un ragazzo che prestava i primi soccorsi al bambino, provando a fargli la respirazione bocca a bocca. Non riuscivo ad avvicinarmi perché era una scena raccapricciante», è ancora scossa Lucia, una donna di 50 anni che abita a pochi metri da dove c'è stato l'incidente in cui è morto un bambino di 5 anni, ieri nel quartiere Casal Palocco. […]
«Abito qua da 45 anni, la macchina proveniva da una strada da cui non c'è molta visibilità - racconta ancora la donna -. Da quello che mi hanno raccontato alcuni vicini, i ragazzi sul suv hanno provato a superare una macchina, andavano a grande velocità e hanno investito l'auto della signora che stava aspettando fuori dall'asilo. È allucinante, ancora non riesco a crederci».
La madre e la sorellina di Manuel non sono in pericolo di vita
Non sono in pericolo di vita la madre e la bimba di quattro anni coinvolti nel tragico incidente di Casal Palocco in cui è morto il fratellino, Manuel Proietti di cinque anni. In base a quanto si apprende la piccola oggi è stata trasferita dall'ospedale Sant'Eugenio al Bambino Gesù. Le sue condizioni generali sono buone ma resta in osservazione. La madre, Elena Uccello 28 anni, invece, resta ricoverata al Sant'Eugenio: ha contusioni ed è ancora in forte stato di shock. Con lei c'è il padre del piccolo Manuel Proietti, e gli altri familiari accorsi dopo l'incidente.
Alla guida, a differenza di quanto emerso in un primo momento, ci sarebbe stato Matteo Di Pietro, ventenne indagato per omicidio stradale e non Vito Loiacono. Il quale infatti aveva dichiarato sui social la propria estraneità con un commento sotto l'ultimo post Instagram: «Il trauma che sto provando è indescrivibile. Ci tengo solo a dire che io non mi sono mai messo al volante e che sto vicinissimo alla famiglia della vittima».
La procura di Roma ha aperto un'inchiesta per omicidio stradale dopo il grave incidente stradale di ieri pomeriggio in zona Casal Palocco in cui ha perso la vita un bambino di 5 anni. […] Il giovane alla guida dell'auto, che era stata presa a noleggio, è ora indagato mentre le posizioni degli altri quattro giovani sono al vaglio dell'autorità giudiziaria nell'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino.
Redazione - 15 Giugno 2023
Estratto dell'articolo di Erika Della Pasqua per corriere.it il 15 Giugno 2023.
Vito Loiacono, Matteo Di Pietro, Marco Ciaffaroni, Giulia Giannandrea: i TheBorderline. Sono i quattro youtuber che mercoledì, dopo essersi alternati per 50 ore alla guida di una Lamborghini noleggiata, alla fine si sono schiantati contro la Smart ForFour su cui viaggiava il piccolo Manuel, di 5 anni, morto sotto gli occhi della mamma, che guidava, e del sorellina di 3 anni.
I ragazzi hanno noleggiato l'auto, una Lamborghini, all'autosalone SkyLimit di Roma, e poi si sono messi alla guida, alternandosi: 50 ore al volante, a turno, prima uno e poi un altro e poi un altro ancora. Lamentando anche la stanchezza, nei vari video che di volta in volta hanno pubblicato su Instagram.
Non è chiaro, ancora, se l'auto a un certo punto sia finita contromano. In ogni caso, alle 15.45, è finito tutto. Con lo scontro. E la morte di Manuel.
[…] una sfida, una challenge, in cui i ragazzi si cimentano in prove sempre più pericolose. E stupide, scrivono ora i commentatori sui social.
Dei "Jackass" di Casal Palocco, in pratica: come nel programma televisivo statunitense in cui un gruppo di giovani si confrontava in una serie di stunt, eccessivi o ridicoli, anche questi quattro amici di Roma avevano ideato un loro canale youtube e TikTok - TheBorderline - dove pubblicare appunto quelle che loro ritenevano imprese: l'ultima, devastante, guidare appunto per 50 ore consecutive.
Si sono conosciuti sui banchi di scuola, il liceo classico e scientifico Democrito, l'unico di Casal Palocco, vicino Roma. Leonardo, il quinto youtuber che di solito condivide video e sfide, mercoledì non c'era, diretto a Milano alla Bocconi, dove studia. Gli altri, invece, erano "in azione". Matteo e Giulia, fidanzati, e Vito.
La procura di Roma ha poi indagato per omicidio stradale e lesioni aggravate proprio Matteo Di Pietro, ritenendolo dunque al volante al momento dello scontro.
Vito Loiacono, che si fa chiamare "er motosega" ha negato con un messaggio su Instagram di trovarsi alla guida, si distingueva per i suoi video esagerati, anche nei toni: urlati, arrabbiati. «Ah rega' - dice baciando il cofano di una Lamborghini blu - quest'auto va più veloce di una Saetta McQueen», l'auto delle gare di Cars. «Annamo', me sembra di caricare un drago, daje Jessica che sono il protagonista di Fast & Furious, meeeeeeee».
E ancora: «Questa levetta a cosa serve, ad andare nell'idrospazio000000». Tanti video, anche girati nelle camerette di casa, vicino ad Ostia, nei pomeriggi di noia: «Il coccodrillo come fa, non c'è nessuno che lo sa», gridano Vito e l'amico Matteo Di Pietro, insieme a torso nudo col microfono in mano.
Quello di youtuber, però, nel tempo sembra diventare una "professione" a tutti gli effetti: «Non siamo ricchi - scrivono sul loro profilo - ma ci piace spendere per farvi divertire a voi! Tutto quello che facciamo si basa su di voi, più supporto ci date più contenuti costosi e divertenti porteremo, tra sfide, challenge e scherzi di ogni tipo cercheremo di strapparvi una risata in ogni momento» […]
E così, eccoli costruire i video, per un canale che nel tempo ha guadagnato 600 mila iscritti. Una volta, Vito Matteo e gli altri, hanno vissuto per 50 ore in una scatola di cartone come cani, sotto al sole, mangiando e bevendo nelle ciotole degli animali. Oppure, prova di resistenza immersi in una piscina colma di ghiaccio (chi "dura di più...").
Sfide anche fuori Roma: per 50 ore su una 500, che hanno poi guidato interrottamente fino a Milano raccontano nel video: «25 minuti per fare 4 chilometri, ragazzi Milano è assurda eh!!!». […]
Ecco chi sono i TheBorderline, gli youtuber a bordo della Lamborghini che ha ucciso il bambino. Pietro Forti su La Repubblica il 15 Giugno 2023
Gli youtuber Marco Ciaffaroni, Matteo Di Pietro e Vito Loiacono
Matteo Di Pietro detto "Dp", alla guida, è fondatore e leader del gruppo. Il suo compagno di sfida Vito Loiacono ha noleggiato il suv
La comitiva che ha travolto la Smart dove viaggiava il piccolo Manuel è composta da YouTuber e TikToker di successo. I video in cui si sfidano sono tutte caricate sul canale dei TheBorderline, gruppo comico che si lancia in "challenge" di ogni tipo. L'ultima, quella che ha portato all'incidente, prevedeva di restare 50 ore dentro il suv Lamborghini Urus.
Matteo Di Pietro, alla guida al momento dell'incidente, è indagato per omicidio stradale. Leader del gruppo, "founder e CEO" dei TheBorderline, "Dp" (questo il nome d'arte del 20enne) dopo gli accertamenti è risultato positivo alla cannabis.
Vito Loiacono è un volto noto sul canale delle challenge ma ha raggiunto più successo come TikToker, dove è soprannominato "Er Motosega". Il ragazzo ha dichiarato in un commento su un post Instagram di non essere al volante al momento dell'impatto, ma è lui ad aver noleggiato il suv su cui viaggiavano. A bordo della macchina aveva già girato un video, prima di partire con la sfida, in cui prendeva in giro la "povertà" di chi ha una Smart, proprio come la madre della vittima: "La macchina tua costa 300 euro usata al Conad".
Tra gli altri a bordo c'erano anche "Ciaffa", soprannome di Marco Ciaffaroni e co-fondatore dei TheBorderline, e Giulia Giannandrea, amica del gruppo. La comitiva, originaria dell'Infernetto, era già stata vista sfrecciare a Casal Palocco nelle ore precedenti allo schianto.
Bambino morto nell'incidente a Roma, il giallo del noleggio: "Si poteva dare quel fuoristrada a quei ragazzi?" Romina Marceca su La Repubblica il 15 Giugno 2023
"Siamo dispiaciuti per Manuel ma non abbiamo responsabilità" commenta il titolare della Skylimit. Ma il codice della strada prevede chiare restrizioni per i neopatentati
Alla Skylimit nessuno vuole parlare. Soltanto l'amministratore unico, Gabriele Morabito, dice al telefono: "Sono dispiaciuto per quel bambino, noi non c'entriamo nulla". La Skylimit è la concessionaria di auto che ha noleggiato la Lamborghini Urus azzurra ai cinque youtuber che hanno travolto e ucciso Manuel, il bambino di 5 anni che si trovava in auto con la mamma e la sorellina di 4.
Estratto dell'articolo di Ilaria Sacchettoni per corriere.it il 16 giugno 2023.
A 48 ore dalla tragedia, la famiglia di Matteo Di Pietro, il guidatore della Lamborghini indagato per omicidio stradale, tenta un contrattacco. «Matteo è figlio di una famiglia per bene, il papà è un dipendente del Quirinale», fa presente l'avvocato Francesco Consalvi, nominato dal padre, Paolo, dipendente della Presidenza della Repubblica, con mansioni amministrative presso la Tenuta di Castel Porziano.
La difesa arriva mentre monta l’odio sui social. Il giovane Di Pietro, è stato raggiunto da minacce di morte, minacciato «di fare una fine orribile».
Intanto sono scattate le perquisizioni dei carabinieri sia nell'abitazione di famiglia sia nella sede della società "Theborderline", fondata dal gruppo di Youtuber appassionati di sfide sul filo del 100 chilometri orari. Al centro dell'attenzione della Procura di Roma, in particolare, il telefono cellulare del ventenne alla guida della Lamborghini: nelle prossime ore sarà affidato l'incarico ad un consulente con l'obiettivo di verificare se, sullo smartphone, ci siano video girati nei momenti dell'impatto, o in quelli immediatamente precedenti o successivi.
Matteo di Pietro è indagato per omicidio stradale con l'accusa di aver ucciso il piccolo Manuel Proietti, di appena 5 anni. L'avvocato Consalvi aggiunge alcune precisazioni: «È giusto fare chiarezza su alcuni punti. Il primo tra tutti, immortalato nelle foto dell’incidente è che la guidatrice della Smart viaggiava nella corsia opposta a quella su cui marciava la Lamborghini e che a lei sarebbe spettato dare la precedenza.
In secondo luogo c’è la questione relativa al test sulle sostanze stupefacenti e alcol. Non vi erano tracce nel mio cliente di eccitanti o simili, diversamente l’autorità giudiziaria sarebbe pesantemente intervenuta con qualche misura cautelare. Così non è stato». […]
Estratto dell’articolo di Michela Rovelli per il "Corriere della Sera" il 16 giugno 2023.
Cinquanta ore in auto, senza mai scendere.
Era questa la sfida che aveva lanciato — per gli oltre 600 mila follower — il gruppo di cinque youtuber noti con il nome di «TheBorderline». I ragazzi che hanno causato l’incidente in cui è morto Manuel Proietti hanno sposato a pieno una delle mode più virali dei social: le challenge. Una moda che nasce lontano e con obiettivi diversi
[…] Ci sono poi tanti esempi di challenge il cui unico scopo è solleticare l’agonismo — nonché il protagonismo — nascosto in noi. Semplicemente per divertire e divertirsi. Un esempio tutto italiano, in questo senso, sono i «Mates», il gruppo di youtuber che insieme raccoglieva più di 15 milioni di follower (si sono sciolti nel 2021) e che sulle sfide aveva pubblicato un libro.
Ma ci sono anche i «Me contro Te», che propongono challenge a suon di slime (la sostanza da manipolare amata dai bambini) o di cibi misteriosi ai loro oltre 6 milioni di piccoli fan.
«Il mondo delle challenge ha tante fisionomie — spiega Nicoletta Vittadini, professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttrice del Master in Digital communications specialist all’Università Cattolica di Milano —[…] c’è meno senso comunitario e più rappresentazione individuale. Quello che vediamo mettere in scena è una sfida contro se stessi, contro i propri limiti. […]».
D’altronde i più popolari youtuber al mondo hanno fatto la loro fortuna proprio grazie alle «challenge». «MrBeast», il più seguito a livello globale con 160 milioni di fan, ne è il principale promotore (ed è proprio lui ad aver ispirato i «TheBorderline», per loro stessa ammissione). Ma anche il secondo in classifica, «PewDiePie» (qui i fan sono 111 milioni) gioca tantissimo sulle sfide. Entrambi, oltre che spingere se stessi ai limiti, mettono in palio premi in denaro per chi vuole cimentarsi in un’azione impossibile: «A contare non è solo il numero di follower, ma anche il livello di ingaggio: i like, i commenti e le azioni — continua Vittadini —. È un elemento che dà valore anche in come questi creator si presentano alle aziende con cui stringono partnership. Si è sempre detto che sui social siamo chiamati a lavorare gratis per produrre contenuti. In questo caso gli youtuber pagano questo contenuto. Anche questa è un’evoluzione».
Il video che i «TheBorderline» stavano girando era una forma di collaborazione con l’autosalone Skylimit, che aveva fornito loro la Lamborghini su cui viaggiavano. Perché le challenge, oggi, fanno gola anche a chi si occupa di social marketing […]
Rimane il tema della pericolosità nello spingersi ai limiti mentre si tiene in mano una telecamera. Pericolosità nel perdere il contatto con la realtà e provocare incidenti, come è stato il caso dei «TheBorderline» ma anche come il noto caso dello youtuber americano Trevor Jacob che fece schiantare apposta sulle alture della California un aereo solo per girare un video. […]
Sono tante le sfide dannosissime che circolano soprattutto su TikTok: un esempio è la Blackout challenge diffusasi nel 2021 — consisteva nel provocarsi il soffocamento — che ha portato alla morte di due bambine. […]
Estratto da roma.repubblica.it il 16 giugno 2023.
Subito dopo lo scontro, un video ha cominciato a girare a Casal Palocco di chat in chat. Un uomo urla, la folla lo trattiene, si vedono la Smart accartocciata, la Lamborghini distrutta. E un ragazzo di spalle, in primo piano, con la t-shirt della crew di youtuber TheBorderline. È in un angolo, defilato, con un telefonino rosso stretto in mano, si tratta di Vito Lojacono, 23 anni. Un altro occupante della Lamborghini viene invece tenuto fermo da una poliziotta.
In particolare da quelle immagini si vedono due uomini che con altri adulti affrontano i ragazzi scesi dal Suv. Sono Elio Sciurpi, un ex dirigente Alitalia ora direttore dell'asilo dove andava Manuel e Valerio, suo figlio e papà di un compagno di classe del piccolo scomparso. "Quella degli youtuber è stata una reazione inconcepibile, dobbiamo fare emergere la verità", spiega Alessandro Milano padre di un altro bimbo della stessa classe.
[…] Il padre di Manuel: "Non ti dimenticheremo mai"
"Ti ameremo per sempre!", scrive sul suo profilo Instagram, Marco Proietti, il padre del bimbo di 5 anni morto nell'incidente di Casal Palocco, a Roma, il 14 giugno. "Volevo esprimere con quel che resta del cuore mio di Elena e della piccola Aurora un ringraziamento a voi che avete pregato donato e anche solo pensato al nostro Manuel strappato da 'sto mondo infame", aggiunge. "Chiedo umilmente di condividere questo post per fare arrivare il mio ringraziamento il più lontano possibile".
[…]
Estratto da ilgiornaleditalia.it il 16 giugno 2023.
È scioccante quanto raccontato da alcuni testimoni presenti subito dopo lo schianto tra un suv Lamborghini e una Smart ForFuour, al seguito del quale ha perso la vita il piccolo Manuel Proietti di soli 5 anni.
Alcuni di loro hanno infatti raccontato, che subito dopo l’incidente, gli youtuber della crew “The Borderline” hanno continuato a filmare le auto distrutte e pensavano solo ai follower, non curandosi delle gravi condizioni del piccolo Manuel che di lì a poco sarebbe morto in ospedale. “Ridevano, senza ritegno. Ridevano e filmavano le auto distrutte” ha raccontato un testimone.
[…]
“La vergogna più grande è che mercoledì il ragazzo alla guida del Suv è stato qui, sul luogo dello schianto, per quattro ore e non ha versato una lacrima. Non ho visto nessuno disperato, né lui, né i suoi amici: erano tutti sereni, perfino strafottenti. Pensavano ai follower. Hanno avuto una reazione davvero schifosa: sorridevano, hanno iniziato a fare video. Quando un altro genitore ha visto quello che stavano facendo, gli ha fatto notare che c’era un bambino che stava morendo in ospedale. Non hanno avuto alcuna reazione nemmeno in quel momento, e lì è scattato il parapiglia. Solo che poi alla fine il padre è stato addirittura denunciato per aggressione”, ha raccontato ancora un testimone, così come ricostruito dal Corriere. […]
Estratto dell'articolo di Marco Carta, Romina Marceca per “la Repubblica – ed. Roma” il 16 giugno 2023.
[…] Un secondo, 150 metri dall'asilo, e Manuel non c'era più. La Lamborghini Ursus con a bordo quattro amici Youtuber e TikToker è piombata sulla Smart della sua mamma. […] Manuel è morto a 5 anni per una challenge da riprendere con telecamere e telefonini, lanciata da TheBorderline, il canale fondato e di cui è leader Matteo Di Pietro.
Vent'anni, universitario e adesso indagato per omicidio stradale. È risultato positivo ai cannabinoidi. C'era lui alla guida della supercar e sempre lui l'ha noleggiata alla concessionaria Skylimit per 1.500 euro al giorno. Salve la madre di Manuel e la sorellina di 4 anni che proprio mercoledì si era seduta sul seggiolino del fratello e non nel suo rosa.
[…] la Lamborghini utilizzata per la challenge "50 ore su una supercar" stava correndo a 110 chilometri orari. Questo dicono i primi rilievi della polizia locale […] Le strumentazioni di bordo del Suv forniranno il picco esatto e quante ore sono rimasti a bordo gli occupanti, […]
E proprio in quel punto, raccontano i testimoni, dopo lo scontro sono arrivati i genitori dei ragazzi della Lamborghini. "Abbiamo sentito che rassicuravano i figli - è incredulo Valerio, dirigente dell'asilo nido che frequentava Manuel - e gli ripetevano che era stata solo una bravata, che si sarebbe risolto tutto".
[…]
Le indagini potrebbero arrivare presto a una svolta. L'arresto del conducente non è scattato perché la positività ai cannabinoidi non è alta, cioè Matteo Di Pietro avrebbe potuto consumare la droga nei giorni precedenti. Gli accertamenti procedono anche per comprendere se quei ragazzi potevano noleggiare quel bolide e da quanto avevano preso la patente[…]
I testimoni raccontano che una macchina si è fermata per fare svoltare la Smart e la Lamborghini l'ha superata schiantandosi sulla citycar. La versione degli youtuber, invece, è che la donna abbia fatto una manovra azzardata e che loro non stavano correndo. A dare una mano alle indagini saranno anche le immagini riprese dalla telecamera interna all'auto installata dai quattro ragazzi, tutti tra 20 e 22 anni, e i video nei loro cellulari già sotto sequestro. […]
Estratto da ilfattoquotidiano.it il 16 giugno 2023.
Omicidio stradale aggravato e lesioni. Sono le accuse che la Procura di Roma contesta a Matteo Di Pietro, […] Di Pietro è risultato positivo ai cannabinoidi: nel suo sangue sono state trovate tracce di stupefacenti mentre è risultato negativo all’alcol test. Un quadro indiziario pesante per il giovane che era al volante del bolide preso a noleggio per compiere una sfida social assieme ad un gruppo di youtuber, “The Borderline”: restare a bordo della Lamborghini per 50 ore di fila. Una challenge che era stata annunciata anche da un video sul loro canale da 600 mila follower.
Si indaga sulle modalità del noleggio e si sta verificando se nelle fasi precedenti al tragico schianto gli altri quattro (tre ragazzi e una ragazza tutti della crew “The Borderline” specializzati in challenge sul web) a bordo della Lamborghini blu stessero effettuando dei video, con i cellulari, o stessero incitando il loro amico alla guida. Elementi che se confermati potrebbero portare all’iscrizione “in concorso” nel registro degli indagati. […]
Gli agenti della polizia locale di Roma Capitale stanno, intanto, mettendo in fila i tasselli dell’indagine: sono stati ascoltati testimoni e analizzate le telecamere presenti in zona che potrebbero avere ripreso le fasi precedenti lo schianto e chiarirne la dinamica. L’unica certezza, al momento, è che sull’asfalto non sono stati individuati segni di frenata. […]
Su quanto avvenuto stanno emergendo anche altri dettagli. Secondo un testimone “i ragazzi hanno continuato a filmare anche dopo lo scontro, tanto che un uomo ha urlato ‘Ma che cazzo state facendo’”. […]
Estratto dell'articolo di Riccardo Luna per “la Stampa” il 16 giugno 2023.
Quello che colpisce davvero nella tragedia capitata l'altro giorno a Roma in cui ha perso la vita un bimbo di 5 anni, è il contesto in cui è avvenuta. Non l'incidente stradale in sé […] E nemmeno il fatto che siano coinvolti dei ragazzi […]
È il contesto a lasciare sgomenti perché ci dice molto di noi, di quello che siamo diventati. Mi riferisco alle […]"sfide" per alimentare il proprio canale di video in cui si superano prove più o meno incredibili; e – in questo modo – guadagnare soldi. Qui quattro ragazzi che gestiscono un canale YouTube di medio successo – TheBorderline – affittano una Lamborghini […] per viverci «per 50 ore di fila».
[…] A spiegare meglio il contesto è un video pubblicato su TikTok qualche istante prima dello scontro con la Smart in cui era a bordo il bimbo con la mamma e la sorellina: qui uno di loro si vanta della potenza e del costo della sua auto («vale un miliardo! Vale quanto Amazon!»; […]); mentre l'altra auto, la Smart, «costa 300 euro usata» al supermercato. Il costo, i soldi, sono la misura di tutte le cose.
Quel ragazzo fa il coatto insomma, si vede che recita, che esagera, ma in questo modo i follower del canale YouTube crescono e crescono i guadagni del gruppo che così è incentivato a fare challenge ancora più estreme e coatte per avere più successo.
Chiariamo, i coatti, come gli incidenti stradali, ci sono sempre stati […] Ma prima almeno c'erano dei filtri: non potevi andare in tv o sui giornali soltanto facendo il coatto. Potevi farlo con gli amici al muretto sotto casa. O al bar. Finiva lì. Eri al massimo un coatto di quartiere.
Ora grazie al web uno ha per palcoscenico, teoricamente, il mondo intero: puoi diventare un coatto planetario. Inoltre se un tempo ti piacevano le auto da corsa e avevi un disagio giovanile serio dentro dovevi essere James Dean per permetterti di morire guidando una spider su una strada della California a 23 anni. Per incarnare «la gioventù bruciata», insomma, dovevi essere in qualche modo «un gigante». Ora invece possono farlo tutti.
Con i social network non sono soltanto crollati i filtri per diventare famosi ma in più gli algoritmi delle società tecnologiche, per massimizzare i loro profitti, premiano contenuti con comportamenti estremi e li fanno diventare «virali». E gli inserzionisti fanno lo stesso: allergici ad ogni possibile recensione critica, ormai preferiscono gli influencer ai giornalisti […]
Fare il coatto insomma è diventato prima un modello di business – guadagno con le visualizzazioni e i like – e poi anche un modello culturale. Gli youtuber e i tiktoker delle sfide impossibili non si limitano a fare soldi con i like ma in ogni gesto, in ogni frase trasmettono agli altri il messaggio che per fare i soldi non serva più lavorare; anzi, se studi, lavori e fatichi sei un mezzo deficiente, perché i soldi si fanno più facilmente facendo, appunto, il coatto. Va detto che in rete ci sono anche challenge innocue e alcune a fin di bene, ma in generale quest'epoca sarà ricordata come quella che ha consentito di elevare il coatto a una impresa e poi a un modello. È questo il vero problema dei social, e quindi la loro colpa. Ma anche, un po', la nostra.
Estratto dell'articolo di Raffaella Troili per "il Messaggero" il 16 giugno 2023.
«Maledetto, maledetto, maledetto...». L'ha gridato al cielo, l'ha gridato al mondo. La voce straziata di un giovane uomo disperato che ha appena perso il figlio di 5 anni riecheggia all'esterno del pronto soccorso dell'ospedale Sant'Eugenio. […] «Ho perso un figlio per una bravata». […] le grida e i singhiozzi di Marco Proietti accorso al capezzale dell'ex moglie Elena Uccello, scuotono l'atmosfera triste e ovattata di chi è in attesa di visitare i propri cari.
[…] Quando il padre di Manuel arrivato sul luogo dell'incidente, in preda a rabbia e dolore, ha provato a farsi giustizia da solo, cercando di aggredire lo youtuber dei The Borderline alla guida del Suv Lamborghini che si è scontrato contro la Smart guidata dalla ex moglie, la 29enne ricoverata fino a ieri al Sant'Eugenio. A fermarlo, davanti ai rottami dell'auto, agenti della Municipale, poliziotti e quanti erano presenti in via di Macchia Saponara, a Casal Palocco.
[…] Una Smart Forfour "schiacciata" da una Lamborghini usata per una "challenge". Un gioco, una sfida di velocità che era un modo di vivere e guadagnare si scoprirà. E un figlio che non c'è più. Quanto basta per scatenare il dolore più nero, amaro, profondo. E far pronunciare frasi che solo un genitore può permettersi in preda allo sconforto di mormorare ad alta o bassa voce.
«Se lo prendo... non mi costringano a farmi giustizia da solo». Marco Proietti si è sincerato delle condizioni della piccola Aurora che dopo un breve passaggio al Bambino Gesù è stata dimessa ed affidata alla nonna. È tornato anche ieri dalla ex moglie, uniti da un dolore che non li lascerà più[…]
La mamma ha riportato solo contusioni anche lei è stata dimessa ieri, ma ancora molto provata non ricorda niente dell'impatto mortale. Era andata a prendere i figli all'asilo nido, erano entrambi ben seduti sui seggiolini nei pressi di Casal Palocco. Un pomeriggio come tanti. Poi lo schianto e la tragedia. «I miei bambini, vi prego, andate da loro, ditemi che stanno bene», gridava mentre era incastrata tra le lamiere, «pensate a loro, non a me».
[…]
Estratto dell'articolo di Camilla Mozzetti, Valentina Errante per "il Messaggero" il 16 giugno 2023.
Dovrà rispondere di omicidio stradale ma è libero di lasciare il Paese in qualunque momento voglia. Mentre a Casal Palocco, quartiere a sud della Capitale, si piange la morte del piccolo Manuel (cinque anni appena), la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati Matteo Di Pietro.
È lui, 21 anni il prossimo dicembre, ad aver noleggiato dalla società "Skylimit" e poi guidato la lussuosa Lamborghini Urus che mercoledì pomeriggio ha travolto la Smart "Four Four" su cui viaggiava Elena Uccello (28 anni) e i suoi due figli. Uno di loro, Manuel Proietti, è morto sul colpo. […]
La sua società - "The Borderline" - vanta milioni di followers e stando ai risultati tossicologici, arrivati dopo l'incidente, non è risultato negativo ai cannabinoidi. L'arresto non è scattato solo perché i valori erano sotto soglia e questo significa che aveva assunto sì hashish o marjiuana ma nei giorni precedenti all'incidente. […] dovrà rispondere di quanto accaduto con una dinamica ancora da chiarire e diversi accertamenti da svolgere, a partire da quella società che ha messo nelle mani di un ventenne un bolide da 660 cavalli. Di Pietro non è un neopatentato, condizione che blocca il noleggio di veicoli così potenti.
La "Skylimit" è una società di noleggio auto, comprese quelle di lusso, amministrata da Gabriele Morabito, classe 1988. Dalla sede centrale che si trova alla periferia est di Roma un dipendente ha finora risposto che il contratto di noleggio era regolare ma tutte le carte sono state acquisite dai vigili urbani del Gruppo Ostia che stanno indagando sul caso sotto il coordinamento dell'aggiunto Michele Prestipino. Noleggiare un veicolo come la Lamborghini Urus costa 1.500 euro al giorno, a cui andrebbe sommata una cauzione di 10 mila euro.
Il costo raddoppia per ogni 24 ore di noleggio extra. La "The Bordeline", costituita con un capitale di 10 mila euro, ha approvato l'ultimo bilancio con un'utile di 46 mila euro, per 188 mila euro di ricavi e 53 mila euro di debiti. Da accertare anche se al momento dell'impatto il gruppo - in auto c'erano oltre a Di Pietro altri tre ragazzi e una ragazza (Vito Loiacono, 20 anni, Alessio Ciaffaroni 21 anni, Simone Dutto 20 anni e Gaia Nota 20 anni) - stesse registrando un video per quella "challange" (tale era la sfida) che li avrebbe portati a girare a bordo della Lamborghini per 50 ore filate. La ragazza sarebbe l'unica estranea al progetto: il padre ieri sera diceva che la figlia aveva soltanto accettato un passaggio dagli amici per tornare a casa a studiare.
Tuttavia, resta da chiarire cosa sia accaduto dentro l'abitacolo prima dell'impatto. Escludere o accertare, ad esempio, che si stesse girando un video o che i passeggeri stessero incitando il guidatore a premere di più l'acceleratore. Se la risposta fosse affermativa, per gli altri quattro passeggeri si potrebbe prefigurare l'iscrizione in concorso sul registro degli indagati. […]
Estratto dell’articolo di Pietro Forti per “la Repubblica – edizione Roma” il 17 giugno 2023.
L’incidente in cui ha perso la vita il piccolo Manuel non frena la crescita social dei TheBorderline, il gruppo di youtuber che si lanciava nelle sfide più assurde per qualche visualizzazione in più. Anzi, i nomi e le facce dei suoi membri hanno preso a girare talmente tanto su siti, quotidiani e telegiornali che i loro numeri social non hanno fatto che crescere. Fino a raddoppiare su Instagram.
Matteo Di Pietro, il ragazzo alla guida del suv indagato per omicidio stradale, ha reso privato il suo profilo, rimosso tutti i post e la foto profilo. Ogni nuovo follower adesso deve passare la sua approvazione. Misure che, però, non hanno impedito a “Dp” (questo il nome d’arte del ragazzo) di guadagnare comunque la bellezza di 15 mila seguaci in soli tre giorni. Il giorno prima dell’incidente era seguito da quasi 30mila persone, ora il conto si è fermato a pocomeno di 45mila.
Il 21enne, “founder & Cei” dei The-Borderline, però, puntava tutto sulla monetizzazionie delle visualizzazioni su YouTube. Se su TikTok e Instagram i follower del gruppo non arrivavano ai 100mila, i numeri sulla piattaforma video di Google erano da capogiro: 600 mila iscritti raggiunti proprio il giorno dell’incidente, oltre 150 milioni diviews.
I numeri di YouTube, tuttavia, hanno risentito dell’incidente. Non certo a causa della mancanza di attenzione. Il calo dipende infatti dalla rimozione di alcuni video dal canale: i TheBorderline hanno perso la bellezza di 5 milioni di views. Non è chiaro chi abbia rimosso i contenuti, se loro stessi o la piattaforma. Intanto sui social centinaia di utenti chiedono di chiudere una volta per tutte il canale.
Chi non sembra essere preoccupato dalle conseguenze dell’incidente sui numeri dei propri canali social è invece Vito Loiacono, il compagno di sfide di Di Pietro su YouTube e tiktoker di successo. È proprio sul social network nato in Cina che Loiacono (nickname “Er Motosega”) è cresciuto di più: negli ultimi giorni ha guadagnato più di 50mila follower. […]
Anche su Instagram Loiacono è passato all’incasso. È l’unico membro di spicco dei TheBorderline a non aver serrato il profilo e i suoi seguaci sono raddoppiati: martedì 13 giugno erano 19mila, giovedì 16 arrivavano quasi a 38mila. Una crescita del +100%.
Quel che è meno noto è che Loiacono ha due canali YouTube suoi, dove il resto dei TheBorderline a malapena sono coinvolti. […] In totale, si parla di ulteriori 300mila iscritti e 120 milioni di visualizzazioni.
Nel 2022, il team di youtuber ha persino fatto il loro primo ingresso in Rai. Tra giugno e luglio dello scorso, infatti, Loiacono ha preso parte al programma Imperfetti Sconosciuti, un “talk show generazionale” di scontro tra adulti e adolescenti, in seconda serata su Rai3 e condotto da Cesare Bocci e dalla figlia Mia.
La popolarità e i numeri del gruppo hanno un risvolto finanziario non trascurabile. Ogni giorno la The-Borderline srl aperta da Di Pietro e da Leonardo Golinelli (socio al 50%, non era in macchina al momento dell’incidente) poteva incassare fino a 3 mila euro solo grazie alle visualizzazioni.
Sui video caricati dalla comitiva di youtuber dell’Infernetto era anche possibile donare con il thank you button e non è raro che i giovani fan lascino anche decine di euro. Un tempo c’erano anche gli sponsor, come la Sony, che si faceva pubblicità con i loro video «da pazzi».
Dopo l’incidente i post della collaborazione sono stati cancellati dal colosso dell’elettronica. Quello dei TheBorderline, però, rimane un piccolo impero da quasi 200mila euro di ricavi annui. Di qui le spese pazze, tra premi in denaro e per il noleggio di barche, elicotteri e carrarmati. E, ovviamente, di macchine lussuose.
Estratto dell'articolo di lastampa.it il 17 giugno 2023.
«Il trauma che sto provando è indescrivibile. Ci tengo solo a dire che io non mi sono mai messo al volante e che sto vicinissimo alla famiglia della vittima». Lo ha scritto su Instagram Vito Loiacono, uno dei giovanissimi YouTuber a bordo della Lamborghini che mercoledì pomeriggio si è scontrata con una Smart for Four provocando la morte di Manuel, 5 anni ancora da compiere.
Intanto, sempre via social Gabriele Morabito il titolare dell'autonoleggio Skylimit rent dove è stato preso a nolo il suv Lamborghini dai cinque ventenni youtuber coinvolti nell'incidente di Casal Palocco scrive che «Il nostro codice della strada (nello specifico l'art. 117) permette a chi ha la patente da più di un anno di guidare qualsiasi tipo di auto senza alcuna restrizione.
E noi abbiamo effettuato i controlli per garantire il rispetto di tale condizione anche in questa occasione […] non siamo in alcun modo co-responsabili o, peggio ancora, complici di ciò che è accaduto poiché il compito della nostra società è offrire servizi, il ruolo di educatori spetta ai genitori […]», conclude il post.
[…]
Incidente Casal Palocco, titolare autonoleggio: “Io minacciato di morte ma non siamo complici”. By adnkronos su L'Identità il 17 Giugno 2023
(Adnkronos) – "Tutti sanno quanto generalmente siamo attivi sui social, questi giorni di silenzio sono motivati dal forte dolore che proviamo per quanto accaduto. Siamo scossi e addolorati della tragedia consumatasi, e il nostro pensiero è rivolto alla famiglia del piccolo. Ci rincresce constatare, però, che l'opinione pubblica sia stata fuorviata da una cattiva informazione normativa, che sta mettendo pesantemente in dubbio la professionalità e la diligenza del nostro operato". E' la presa di posizione di Gabriele Morabito, titolare del noleggio auto Skylimit dove i ragazzi di TheBorderline hanno affittato l'Urus Lamborghini con la quale hanno fatto l'incidente mercoledì scorso e dove presero anche la Fiat 500 per un'altra challenge. "Il nostro codice della strada (nello specifico l'art. 117) permette a chi ha la patente da più di un anno di guidare qualsiasi tipo di auto senza alcuna restrizione. E noi – sottolinea sui social – abbiamo effettuato i controlli per garantire il rispetto di tale condizione anche in questa occasione. Questo, ovviamente, non ci esime dal prendere le distanze e dal condannare ogni comportamento irresponsabile al vaglio delle Autorità. Ma non siamo in alcun modo co-responsabili o, peggio ancora, complici di ciò che è accaduto poiché il compito della nostra società è offrire servizi, il ruolo di educatore spetta ai genitori". "Sicuramente, come è giusto che sia, il nostro problema passa in secondo piano, ma – conclude – continuare a ricevere minacce di morte nei confronti nostri e dei nostri figli, crediamo sia qualcosa di intollerabile. Colgo, infine, l'occasione per ringraziare chi, invece, ci sta dimostrando la propria vicinanza, non per partito preso, ma perché, prima di giudicare o di condannare, si è informata".
Roma, l'avvocato dello youtuber: "La colpa è della Smart". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 17 giugno 2023
L’avvocato Francesco Consalvi è il difensore, nonché zio (da parte di madre) di Matteo Di Pietro, indagato per omicidio stradale. Matteo è lo youtuber al volante della Lamborghini al momento dell’impatto con la Smart, guidata da Elena Uccello, in seguito al quale ha perso la vita il figlio, Manuel Proietti, 5 anni. Consalvi vuole fare chiarezza.
Ci dica...
«Visto il clamore della vicenda, è giusto che vengano alla luce tutte le versioni dei fatti e l’esatta dinamica dell’accaduto affinché ci siano le condizioni per poter affrontare un processo penale ordinario senza il condizionamento di processi mediatici e politici come sta avvenendo. Anche il ministro Salvini si è molto esposto aprendo una finestra politica sul caso. Credo che sia giusto aggiungere al racconto di parte particolari che non sono emersi».
Per esempio?
«Innanzitutto dalle immagini delle autovetture incidentate emerge in maniera inequivocabile che la Smart su cui viaggiava il piccolo Manuel ha riportato danni sulla fiancata destra. Alla luce di questo non si riesce a comprendere come si possa parlare di un impatto frontale come viene riportato».
La sua tesi è supportata da rilevamenti stradali?
«La signora Uccello, alla guida della Smart, per impegnare una via alla sua sinistra ha necessariamente dovuto passare per la traiettoria di Matteo che procedeva a destra. Mi spiego meglio. La Smart avrebbe dovuto dare la precedenza alla Lamborghini, tagliando di fatto la strada all’autovettura guidata da Matteo».
Si dice però che l’impatto sia avvenuto perché suo nipote Matteo stesse effettuando un sorpasso andando lui ad impegnare la corsia dove procedeva la Smart...
«Nego categoricamente che la Lamborghini stesse effettuando un sorpasso. È una circostanza inventata. L’autovettura di Matteo procedeva nella sua corsia di marcia, non stava effettuando manovre azzardate. A lui non è stata data la precedenza. Lo dimostra il fatto che lo scontro è avvenuto nella corsia di competenza della Lamborghini che a seguito dell’impatto ha riportato i danni nella parte anteriore e la Smart ha riportato i danni nella parte laterale destra. È fuori di dubbio che la conducente della Smart stesse effettuando una manovra per svoltare, come ha lei stessa dichiarato».
La Lamborghini procedeva però ad una velocità superiore ai limiti...
«La velocità precisa andrà accertata. Mi sento di dire che viaggiasse tra i 60-80 km orari».
Il limite massimo consentito è però di 30 km orari...
«Questo sarà di certo un elemento che in sede di processo gli potrà essere contestato».
Matteo è risultato positivo ai cannabinoidi...
«Va fatta chiarezza. Dal referto del Pronto Soccorso emerge che, nel momento in cui era alla guida, non era sotto l’effetto di alcuna sostanza che potesse alterare la sua capacità cognitiva e reattiva. La sua non negatività ai cannabinoidi non si riferisce a quel momento e può essere riferito anche a sostanze farmaceutiche. È risultato negativo a cocaina e alcol e lo dimostra il fatto che non è stata ritenuta necessaria alcuna misura cautelare».
Non si può negare che ci fosse una challenge in corso da postare sui canali YouTube. Si è detto stessero facendo una sfida di velocità...
«Non è vero che la challenge o la sfida o il video in questione riguardasse una gara di velocità o una performance dell’autovettura. La sfida era di vivere per 50 ore all’interno di una macchina: dormire, mangiare, guardare la tv, urinare, e l’obiettivo era quello di non produrre briciole e riconsegnare la macchina nelle stesse identiche condizioni di quando era stata noleggiata. E non si trattava di 50 ore di guida consecutive: la maggior parte dei video venivano realizzati da fermi».
Ma perché proprio una Lamborghini se cilindrata e velocità non erano elementi utili alla sfida?
«La scelta della Lamborghini nasce da una mera opportunità di parola chiave che l’utente può avere nella ricerca sul web. Lamborghini è una parola cliccatissima. La cilindrata non c’entra. Video analoghi erano stati girati in precedenza con una Tesla e una Fiat 500».
Ci dice qualcosa sui contenuti dei video che la “The Borderline”, società si cui lei cura contrattualistica e aspetti legali, produce?
«La “The Borderline” sono un gruppo di ragazzi riuniti con lo scopo di realizzare video accattivanti per un target di età che va dai 5 ai 15 anni. Lo scopo è solo quello del divertimento attraverso un linguaggio chiaro, spedito, diretto, non volgare o scurrile, e facilmente comprensibile. I contenuti non sono mai diseducativi o violenti. Nell’oggetto dello statuto della società c’è specificato che i contenuti pubblicati in rete non devono contenere messaggi pericolosi. Il guadagno deriva dagli sponsor e dipende ovviamente delle interazioni che i video producono».
Nell’auto, per realizzare i filmati, immagino venissero utilizzati telefoni o strumenti di ripresa. Si sente di escludere che suo nipote possa essere stato distratto al momento dell’impatto?
«I video all’interno dell’autovettura vengono realizzati tramite una telecamera fissata alla macchina. Questa telecamera non riprende quasi mai l’autovettura in movimento bensì quando i ragazzi sono fermi, durante la notte, quando si stanno per coprire, quando mangiano, quando guardano la tv. Matteo Di Pietro, in tutti i video girati all’interno dei veicoli non ha mai il telefono o una telecamera in mano».
Da quante ore stava guidando Matteo, prima dell’impatto? Può essere considerato il fattore “stanchezza” nella dinamica dei fatti?
«I ragazzi erano ripartiti da circa mezz’ora. Avevano fatto una sosta perché ribadisco che questi video per il 99 per cento del tempo vengono realizzati a macchina ferma. Anche perché nel contratto di affitto meno km fai meno paghi. A loro interessa stare nell’auto, non su strada».
Se la sente di dire che suo nipote e i ragazzi coinvolti, Vito Loiacono, Marco Ciaffaroni, Gaia e Simone Dutto, non hanno alcuna responsabilità sull’incidente di Casal Palocco?
«Questo non lo posso dire. Quello che posso dire come avvocato difensore è che come emergerà dalle operazioni cinematiche, nonché dalle dichiarazioni testimoniali escusse, l’incidente non si sarebbe verificato se la conducente della Smart non avesse impegnato la traiettoria occupata da Matteo Di Pietro e rispettato la precedenza».
Ha letto il virgolettato di Repubblica dove risulta che i genitori dei ragazzi coinvolti avrebbero definito una “bravata” l’accaduto?
«Repubblica sarà querelata per questo. I genitori di questi ragazzi sono devastati dal dolore. Come si può anche solo pensare che abbiano detto una cosa del genere? Nessuno di loro ha rilasciato alcuna dichiarazione. Sono virgolettati inesistenti. Questa con lei è la prima dichiarazione che viene rilasciata. Mia sorella, la mamma di Matteo, appena ha appreso la notizia è stata irreperibile per ore. Temevamo il peggio, che si fosse suicidata. Era invece corsa in Chiesa dove è stata ore a pregare per Manuel e per sua madre Elena e la sorellina Aurora in ospedale. La sofferenza dei genitori di questi ragazzi è enorme, ovviamente non paragonabile a quella di genitori che perdono il proprio figlio. È da sciacalli anche solo pensare cose come quelle riportate da Repubblica».
Matteo cosa le ha detto, come sta vivendo questo momento?
«Matteo, Vito, Marco, Simone e Gaia, sono devastati dal dolore. Vorrebbero andare ai funerali, alla fiaccolata, vorrebbero partecipare in prima persona ma non sanno come comportarsi. Tutti gli stanno consigliando di allontanarsi anche perché sul web stanno arrivando minacce di morte rivolte a loro e ai genitori di Matteo. Ricordo che le prima persone che hanno soccorso i due minori all’interno della Smart sono stati mio nipote Matteo Di Pietro e Gaia. Il piccolo Manuel era stato rianimato, il suo cuore aveva ricominciato a battere, respirava, aveva ripreso colorito. I ragazzi mi hanno riferito che l’ambulanza è arrivata dopo circa un’ora e il bambino è deceduto in ambulanza».
È un’accusa nei confronti dei soccorsi?
«Ribadisco quello che mi hanno riferito i ragazzi. Se veramente l’attesa è stata di un’ora, una riflessione va fatta».
Ha altro da aggiungere?
«Sì, questi ragazzi non sono i mostri che stanno dipingendo tutti e sono certo che emergerà la verità. Intanto, come avvocato, ma a nome di tutta la famiglia di Matteo, di esprimere tutta la nostra più sincera vicinanza alla famiglia del piccolo Manuel».
Estratto dell’articolo di Marco Carta per “la Repubblica – edizione Roma” il 18 giugno 2023.
Hanno continuato a guadagnare migliaia di euro anche dopo la morte del piccolo Manuel. Anzi forse proprio grazie all’ondata di notorietà negativa dovuta all’incidente. Almeno due milioni di visualizzazioni. E un incasso stimato fino a 6mila euro solo nell’ultima settimana.
Forse maggiore, ma i numeri del canale YouTube dei The Borderline, disponibili attraverso il tool Socialblade, parlano chiaro: YouTube non ha mai interrotto le pubblicità e quindi anche le monetizzazioni sui video, che tuttavia nel giro di due giorni si sono praticamente dimezzati. Erano 118 fino a giovedì, ieri appena 51.
L’ipotesi più probabile è che siano stati cancellati, o resi privati, per tutelare anche gli sponsor che avevano investito nel gruppo, tra cui Sony, che ai The Borderline aveva messo a disposizione camere mirrorless per girare le loro sfide estreme. […]
Nonostante l’aumento costante dei visitatori (+ 45% negli ultimi 30 giorni) le visualizzazioni del canale, tra giovedì e oggi, sono passate da quasi 153 milioni a 86 milioni. Il crollo, di quasi 64 milioni, è dovuto proprio all’eliminazione della metà dei video, che ha destato sospetti anche negli investigatori, che non a caso vogliono analizzare a fondo tutti i dispositivi e le schede di memoria in possesso degli youtuber.
Attraverso i dati di Socialblade è comunque evidente la crescita del gruppo dal giorno dell’incidente su tutti i social network. Anche su Tik Tok, dove sono stati eliminati ieri ben 48 video, sono oltre 20mila i nuovi followers. Non importa che a visualizzare il canale siano nuovi fan, o utenti pronti a insultare il gruppo di giovani. Per l’algoritmo che determina le monetizzazioni su YouTube il risultato è lo stesso: soldi su soldi.
La The Borderline, la società che cura i rapporti commerciali del gruppo, nel 2022 aveva fatturato quasi 200mila euro. Sono cifre da capogiro se si pensa che i protagonisti sono poco più che ventenni. Soldi facili guadagnati grazie alle challenge estreme. […]
Estratto da lastampa.it il 18 giugno 2023.
Giulia Giannandrea, fidanzata dello youtuber Matteo Di Pietro, indagato per l'incidente di Casal Palocco, alle porte di Roma in cui è morto Manuel Proietti, di 5 anni, ha deciso di chiudere i suoi profili social per le troppe minacce ricevute. Lo ha annunciato la stessa giovane precisando di non aver nulla a che fare con lo schianto.
«Dopo due giorni molto difficili di minacce ed insulti aspettando che i fatti si chiarissero, sono costretta ad intervenire per dire che io non ero presente nell'auto dell'incidente, che non sono una youtuber e che sono totalmente estranea ai fatti. Il mio nome e la mia foto sono stati ingiustamente e ripetutamente pubblicati su tutti i principali quotidiani nazionali e telegiornali esponendomi ad accuse e minacce di ogni tipo alle quali darò seguito con opportuni procedimenti legali», scrive in un post. […]
Estratto dalla rubrica delle lettere de “la Repubblica” il 18 giugno 2023.
Caro Merlo, perché continuare a definire solo “youtuber” un imbecille criminale?
Pino Galbo
Risposta di Francesco Merlo:
Il chiodo fisso dei “professori” di cronaca nera è che ogni volta che accade un delitto il vero colpevole sia la città o il quartiere dov’è accaduto, l’attività, il mestiere e gli hobby di chi l’ha commesso, e se è giovane bisogna biasimare la solita gioventù bruciata, e poi ci sono i soldi facili, la noia, i social e quel diavolo moderno che si chiama YouTube. La sociologia applicata alla cronaca nera si degrada subito in sociologismo cretino.
Estratto dell’articolo di Andrea Ossino, Marco Carta per “la Repubblica” il 18 giugno 2023.
Rombo di motori, mani sullo sterzo e si parte a bordo di una Ferrari Portofino da 250 mila euro: «Bianca, cabriolet, en plein air, straordinaria», ripete Paolo Di Pietro. Giacca, cravatta e capelli al vento. Così si presenta su YouTube il padre di Matteo, indagato per omicidio stradale per lo schianto che mercoledì è costato la vita a Manuel Proietti, 5 anni, alla periferia sud di Roma. In un video caricato online sette mesi fa e visto 1,5 milioni di volte, il papà dell’influencer partecipa alla challenge-regalo organizzata dal figlio e, senza cinture, si mette al volante della supercar.
Paolo Di Pietro accelera e per una giornata si lascia indietro i pensieri. E con quelli anche i ricordi delle vecchie avventure giudiziarie. Quando il padre dello youtuber, qualche anno fa, è stato coinvolto in un’indagine per distrazione di denaro dalle casse della Presidenza della Repubblica, dove l’uomo ha prestato servizio. Paolo Di Pietro ne è uscito indenne e può dunque godersi un giro in Ferrari. Un sogno che, racconta suo figlio al popolo di YouTube, il suo “Papo” aveva da quando è piccolo.
[…]
Lavorava infatti come cassiere per la Presidenza della Repubblica. Ed è in questa veste che secondo i pm di Roma, avrebbe aiutato un gruppetto di dipendenti presidenziali a far sparire oltre 4 milioni e mezzo di euro.
Al centro del sistema c’era Gaetano Gifuni, consigliere di Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Secondo le accuse iniziali tutti gli introiti della Tenuta presidenziale di Castel Porziano venivano custoditi anche in una sorta di forziere gestito da due cassieri e dal direttore. E da quella cassaforte sarebbero state sottratte cifre importanti. Schivati i processi penali, Di Pietro senior era stato condannato per ben due volte dalla Corte dei conti a risarcire oltre 400 mila euro. Poi la Consulta ha annullato i verdetti sollevando una questione di conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato.
Quindi il pieno proscioglimento per Di Pietro e le rimostranze del giudice della Corte dei Conti che si era occupato del caso. Il magistrato Stefano Imperiali, ricordava il Fatto Quotidiano , aveva denunciato di aver subito pressioni prima di emettere la sentenza.
[…]
Estratto dell'articolo di open.online.it il 18 giugno 2023.
Matteo Di Pietro, lo youtuber che era al volante al momento del tragico incidente di Casalpalocco dove ha perso la vita un bimbo di 5 anni, è cresciuto all’interno del Quirinale, in una casa denominata “Coventino” all’interno della splendida Tenuta Presidenziale di Castelporziano. Il papà Paolo Di Pietro ebbe diritto a quell’alloggio quando divenne il vice dell’allora cassiere della stessa tenuta Gianni Gaetano, all’epoca di Carlo Azeglio Ciampi presidente della Repubblica e di Gaetano Gifuni segretario generale del Quirinale.
Oggi il padre dello youtuber è al centro delle polemiche social dopo la diffusione di un video in cui partecipando a una delle challenge del figlio (che voleva realizzare 10 sogni di suoi amici e familiari) guida una Ferrari a Roma spingendo sull’acceleratore, ma rigorosamente senza cintura di sicurezza. […]
Quando Matteo aveva poco più dell’età del bimbo ora morto nell’incidente di guida, la mattina del 30 ottobre 2009 i finanzieri all’alba bussarono a quella “casa Coventino” della tenuta presidenziale con in mano un mandato di perquisizione per rovistarla da cima a fondo. Papà Paolo era infatti indagato per una brutta storia a lungo tenuta segreta che riguardava una gestione assai allegra della cassa di Castelporziano.
L’unica cosa che poi la magistratura avrebbe accertato con sicurezza è che nel giro di pochi anni in quella cassa c’era un ammanco di quasi 5 milioni di euro. Ogni anno dei 2,5 milioni di finanziamento del Quirinale per pagare i costi della tenuta ne sparivano almeno 500 mila euro. Un anno anche più di 800 mila euro.
L’inchiesta fece tremare Roma, perché fra gli indagati e condannati in primo grado oltre al cassiere titolare e ad altri funzionari ci fu il potentissimo segretario generale del Quirinale Gifuni […] Le condanne di primo grado furono pesanti, il cassiere ammise gli ammanchi e patteggiò la pena, poi nel corso degli anni sia Gifuni che il nipote e gli altri funzionari sarebbero usciti dagli altri gradi del processo in parte per intervenuta prescrizione dei reati di cui erano accusati, in parte per assoluzione da altri capi di accusa.
Le accuse nei confronti di Paolo il papà dello youtuber furono invece archiviate già durante l’udienza preliminare su richiesta della stessa pubblica accusa, che chiese di procedere nei suoi confronti solo per omessa denuncia (ma il gip decise di non farlo). L’indagine però durò molti mesi e scosse la famiglia Di Pietro. Alla fine, però, provata la sua innocenza mantenne il posto al Quirinale e il diritto a risiedere a “casa Coventino”.
[…]
Estratto dell'articolo di Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani per corriere.it il 18 giugno 2023.
Sono tutti sotto indagine gli occupanti del Suv che mercoledì a Casal Palocco ha travolto la Smart con a bordo il piccolo Manuel, di 5 anni, uccidendolo. Gli accertamenti dei carabinieri si concentrano non solo su Matteo Di Pietro, che era alla guida e risponde di omicidio stradale e lesioni, ma anche sugli altri quattro ragazzi sulla Lamborghini Urus, noleggiata per una challenge che prevedeva di restare nell’auto per 50 ore di fila.
A tutti potrebbe essere contestato il concorso nelle accuse mosse a Di Pietro […]
A Casal Palocco e all’Infernetto intanto dei quattro del Suv si sono perse le tracce. Alcuni sono chiusi in casa, altri sono andati via per sottrarsi alle attenzioni dei media e al giudizio dei residenti, dopo essersi ulteriormente esposti sul web. Come Vito Loiacono, ripreso più volte in video sulla stessa Lamborghini poche ore prima della morte di Manuel, che ha postato un messaggio in cui chiedeva di comprendere la sua sofferenza.
Lui e gli altri mercoledì sono stati però visti dai testimoni stringere in mano gli smartphone per girare video alle auto incidentate. Comportamento che ha scatenato il parapiglia con i papà di bimbi amici di Manuel: un testimone ha perfino sentito da uno degli youtuber la frase «Tranquillizzati, daremo un sacco di soldi alla famiglia (del bimbo) e si sistemerà tutto».
L’indignazione generale nei loro confronti ha fatto tuttavia aumentare i follower sui profili social: 86 mila per il gruppo «TheBorderline», oltre 44 mila per Di Pietro, quasi 56mila per Loiacono. Il sospetto è che si tratti di utenti incuriositi dalle figure dei protagonisti di un caso mediatico, più che di «fan». Pochi gli amici che li difendono, molti di più i commenti con battute e condanne. «Prossima sfida: 30 anni in carcere», è uno dei post lasciati anche sul canale YouTube «TheBorderline. Proprio lì gli iscritti hanno cominciato a calare, dai 601mila di pochi giorni fa ai 599mila. […]
Estratto dell’articolo di Stefano Vladovich per il Giornale il 20 giugno 2023.
Dramma di Casalpalocco. La richiesta di arresto per Matteo Di Pietro ferma da giorni sul tavolo del gip, gli esami tossicologici di secondo livello disposti dal pm, la «fuga» dall'Infernetto dei quattro youtuber indagati, la Lamborghini Urus che avrebbe superato l'incrocio a una velocità folle.
Almeno a 160 chilometri orari, stando ai primi calcoli tra la distanza percorsa da un punto all'altro del quartiere in pochi secondi come registrano le telecamere piazzate nel quartiere. E poi c'è l'autista dell'Atac, il supertestimone che segue a qualche decina di metri la FourFour di Elena Uccello, sventrata dalla Lamborghini blu elettrico dei The Borderline in quel maledetto pomeriggio di mercoledì scorso. Una testimonianza importante, la numero uno, per ricostruire una dinamica tutta ancora da chiarire.
Ad affiancare i vigili urbani nell'inchiesta sulla morte del piccolo Manuel Proietti, 5 anni, i carabinieri di piazzale Clodio che hanno già perquisito l'abitazione di Di Pietro a caccia di droga e video. Sotto esame da giorni i telefoni cellulari dei quattro a bordo della supercar, oltre a Di Pietro, Vito Loiacono er Motosega, Marco Ciaffa Ciaffaroni e Gaia Nota, un'amica estranea alla sfida che ha chiesto un passaggio 500 metri prima dell'impatto. Non erano con loro, come era uscito in un primo momento, la ragazza di Di Pietro, Giulia Giannandrea e il quinto socio della The Borderline srl, Leonardo Golinelli.
Da valutare la posizione del concessionario - sponsor, l'amministratore della Skylimit Rent Car, che era a conoscenza della nuova sfida estrema lanciata dai quattro, guidando 50 ore di fila il Suv noleggiato per 1.500 euro al giorno. Il pm titolare delle indagini, Michele Prestipino, in particolare chiede di verificare il quantitativo di droga, cannabis, assunta da Di Pietro e, soprattutto, quando. Dettagli che solo un'analisi più approfondita del drug test svolta al Grassi nell'immediato, potrà stabilire
(...)
Estratto da liberoquotidiano.it il 20 giugno 2023.
L’avvocato Francesco Consalvi è il difensore, nonché zio (da parte di madre) di Matteo Di Pietro, indagato per omicidio stradale. Matteo è lo youtuber al volante della Lamborghini al momento dell’impatto con la Smart, guidata da Elena Uccello, in seguito al quale ha perso la vita il figlio, Manuel Proietti, 5 anni. Consalvi vuole fare chiarezza.
[…]
«Innanzitutto dalle immagini delle autovetture incidentate emerge in maniera inequivocabile che la Smart su cui viaggiava il piccolo Manuel ha riportato danni sulla fiancata destra. Alla luce di questo non si riesce a comprendere come si possa parlare di un impatto frontale come viene riportato».
[…]
Si dice però che l’impatto sia avvenuto perché suo nipote Matteo stesse effettuando un sorpasso andando lui ad impegnare la corsia dove procedeva la Smart...
«Nego categoricamente che la Lamborghini stesse effettuando un sorpasso. È una circostanza inventata. L’autovettura di Matteo procedeva nella sua corsia di marcia, non stava effettuando manovre azzardate. A lui non è stata data la precedenza. Lo dimostra il fatto che lo scontro è avvenuto nella corsia di competenza della Lamborghini che a seguito dell’impatto ha riportato i danni nella parte anteriore e la Smart ha riportato i danni nella parte laterale destra. È fuori di dubbio che la conducente della Smart stesse effettuando una manovra per svoltare, come ha lei stessa dichiarato».
La Lamborghini procedeva però ad una velocità superiore ai limiti...
«La velocità precisa andrà accertata. Mi sento di dire che viaggiasse tra i 60-80 km orari».
Il limite massimo consentito è però di 30 km orari...
«Questo sarà di certo un elemento che in sede di processo gli potrà essere contestato».
[…]
Non si può negare che ci fosse una challenge in corso da postare sui canali YouTube. Si è detto stessero facendo una sfida di velocità...
«Non è vero che la challenge o la sfida o il video in questione riguardasse una gara di velocità o una performance dell’autovettura. La sfida era di vivere per 50 ore all’interno di una macchina: dormire, mangiare, guardare la tv, urinare, e l’obiettivo era quello di non produrre briciole e riconsegnare la macchina nelle stesse identiche condizioni di quando era stata noleggiata. E non si trattava di 50 ore di guida consecutive: la maggior parte dei video venivano realizzati da fermi».
Ma perché proprio una Lamborghini se cilindrata e velocità non erano elementi utili alla sfida?
«La scelta della Lamborghini nasce da una mera opportunità di parola chiave che l’utente può avere nella ricerca sul web. Lamborghini è una parola cliccatissima. La cilindrata non c’entra. Video analoghi erano stati girati in precedenza con una Tesla e una Fiat 500».
[…]
Da quante ore stava guidando Matteo, prima dell’impatto? Può essere considerato il fattore “stanchezza” nella dinamica dei fatti?
«I ragazzi erano ripartiti da circa mezz’ora. Avevano fatto una sosta perché ribadisco che questi video per il 99 per cento del tempo vengono realizzati a macchina ferma. Anche perché nel contratto di affitto meno km fai meno paghi. A loro interessa stare nell’auto, non su strada».
[…]
Ha letto il virgolettato di Repubblica dove risulta che i genitori dei ragazzi coinvolti avrebbero definito una “bravata” l’accaduto?
«Repubblica sarà querelata per questo. I genitori di questi ragazzi sono devastati dal dolore. Come si può anche solo pensare che abbiano detto una cosa del genere? Nessuno di loro ha rilasciato alcuna dichiarazione. Sono virgolettati inesistenti. Questa con lei è la prima dichiarazione che viene rilasciata. Mia sorella, la mamma di Matteo, appena ha appreso la notizia è stata irreperibile per ore. Temevamo il peggio, che si fosse suicidata. Era invece corsa in Chiesa dove è stata ore a pregare per Manuel e per sua madre Elena e la sorellina Aurora in ospedale. La sofferenza dei genitori di questi ragazzi è enorme, ovviamente non paragonabile a quella di genitori che perdono il proprio figlio. È da sciacalli anche solo pensare cose come quelle riportate da Repubblica».
Matteo cosa le ha detto, come sta vivendo questo momento?
«Matteo, Vito, Marco, Simone e Gaia, sono devastati dal dolore. Vorrebbero andare ai funerali, alla fiaccolata, vorrebbero partecipare in prima persona ma non sanno come comportarsi. Tutti gli stanno consigliando di allontanarsi anche perché sul web stanno arrivando minacce di morte rivolte a loro e ai genitori di Matteo. Ricordo che le prima persone che hanno soccorso i due minori all’interno della Smart sono stati mio nipote Matteo Di Pietro e Gaia. Il piccolo Manuel era stato rianimato, il suo cuore aveva ricominciato a battere, respirava, aveva ripreso colorito. I ragazzi mi hanno riferito che l’ambulanza è arrivata dopo circa un’ora e il bambino è deceduto in ambulanza».
[…]
Estratto dell'articolo di Rinaldo Frignani e Ilaria Sacchettoni per corriere.it il 20 giugno 2023.
Una ventenne senza particolare inclinazione per i social è la supertestimone dell’incidente di Casal Palocco nel quale è rimasto ucciso il piccolo Manuel, di 5 anni. Si chiama Gaia Nota e viaggiava a bordo della Lamborghini Urus che il 14 giugno scorso ha centrato la Smart lungo via di Macchia Saponara. Ad una prima ricostruzione dei fatti la giovane si sarebbe trovata in prima fila nell’abitacolo, sul sedile accanto a quello del guidatore (Matteo Di Pietro), quando è avvenuto lo schianto. Una partecipazione quasi casuale perché la ragazza si sarebbe aggiunta, in qualità di amica, solo un chilometro prima dell’impatto e su insistente richiesta dello stesso Di Pietro.
[…] Nota è estranea al circuito della società virtuale «TheBorderline» e ciò che più conta è ritenuta attendibile. La sua testimonianza è considerata altrettanto utile quanto gli approfondimenti degli esperti che faranno luce su dinamica, velocità e cause dell’incidente. […]
Molto dirà l’analisi dei supporti informatici sequestrati ai quattro giovani youtuber a bordo della Lamborghini. Videocamere — compresa quella che in un primo momento uno dei ragazzi avrebbe tentato di nascondere sotto un sedile del Suv —, hard disk e altra strumentazione è stata acquisita venerdì scorso dai carabinieri. […] Infine, i cellulari[…]
E con esse anche i video pubblicati su Youtube che contengono altre sfide organizzate nei mesi scorsi. Molti quelli cancellati dalla piattaforma, chiusa nella serata di domenica in segno di lutto per Manuel[…]
Estratto dell'articolo di Romina Marceca per “la Repubblica - Edizione Roma” il 22 giugno 2023.
La musica è finita. Niente più party a bordo piscina nei fine settimana o nei giorni di festa con musica a profusione « che arrivava in tutte le case » , racconta Maria. Si percepisce solo il verso dei gufi adesso in questa stradina nelle campagne laziali. Ai lati ville più o meno lussuose, un maneggio, distese di ulivi. Ma la villa più bella, color cotto, « la più grande » , dice una vicina, è il covo dove i TheBorderline si rifugiavano per realizzare i lanci delle loro challenge.
È da qui che arrivava la voce strozzata in gola e modulata di Vito Lo Iacono mentre guardava dritto in telecamera. E non ci sono più le Go- pro piazzate ovunque nel giardino con un nasone, il roseto e i cipressi ai lati.
Una residenza maestosa di proprietà di Paolo Di Pietro, il papà di Matteo l’unico indagato nella tragedia di Casal Palocco. È qui che Matteo Di Pietro, accusato di omicidio stradale per avere travolto e ucciso al volante di una Lamborghini Urus il piccolo Manuel di 5 anni, aveva il suo set per le sfide più improbabili come quella della permanenza dentro una cella.
«Non li vedo da almeno dieci giorni — spiega Maria che in questa strada con l’erba alta ai margini abita dal 2018 — ma soprattutto li seguiva mia figlia di 9 anni che da dietro le piante ascoltava in diretta le riprese. E mi raccontava che sono youtuber. È lei che ha riconosciuto la voce di Lo Iacono nei video diffusi dopo quel terribile incidente. Siamo sconvolti da quanto è accaduto. A noi non davano fastidio le loro musiche, alla fine erano qui a settimane alterne. Arrivavano macchine in continuazione, suonavano il clacson e gli aprivano il cancello».
(...)
Estratto dell’articolo di Rinaldo Frignani e Ilaria Sacchettoni per corriere.it il 22 giugno 2023.
Di spalle Vito Loiacono, uno degli youtuber sul Suv che ha ucciso il piccolo Manuel, mentre riprende il parapiglia fra i suoi colleghi e i papà degli amichetti della vittima
Proprio nel giorno dei funerali di Manuel, celebrati in forma riservata in una parrocchia di Roma sud, con la partecipazione dei genitori e dei parenti più stretti, emerge che il 14 giugno scorso a Casal Palocco nessuno dei cinque ragazzi sulla Lamborghini ha telefonato per richiedere subito l’intervento dei soccorsi per il bambino, la mamma e la sorellina ancora bloccati nella Smart dopo l’impatto. Un comportamento che sarà valutato nel prosieguo delle indagini.
Per sciogliere i molti dubbi che ancora resistono sull’omicidio stradale del piccolo, i magistrati si sono inoltre affidati all’ingegner Lucio Pinchera, l’esperto di ingegneria forense che nel 2020 con la sua perizia di parte civile sconfessò il figlio del regista Paolo Genovese, Pietro, sulla velocità alla quale viaggiava la notte in cui travolse a corso Francia Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli (93 km orari contro i 60di cui parlava la difesa del guidatore). Pinchera ha ora due mesi di tempo per rispondere al maxi quesito del pm
L’interrogativo al quale l’ingegnere deve rispondere è ampio e dettagliato. Riguarda essenzialmente tre punti: il primo, cruciale, è la direzione di marcia delle due vetture coinvolte, ossia la city car con Elena Uccello e i due figli, e la Lamborghini Urus guidata dallo youtuber Matteo Di Pietro. Quale delle due aveva la precedenza? Il secondo interrogativo interpella l’esperto sulla velocità di marcia delle vetture. A quanto viaggiavano veramente? Infine, c’è un terzo aspetto da sciogliere: Di Pietro, protagonista dei «Theborderline», stava utilizzando lo smartphone al momento dello schianto nonostante fosse al volante? Quesiti complessi in una vicenda che nasconde una forte conflittualità fra le parti (basti pensare al contrasto sulla velocità e sulla precedenza), ma anche basilari per affrontare in futuro il processo penale.
Per l’accusa infatti il 20enne andava a circa 110 chilometri orari mentre la difesa del ragazzo ammette sì la violazione del limite di 30 km/h, ma con la Lamborghini che non avrebbe mai superato gli 80. Forse perché Di Pietro, neopatentato con meno di tre anni di esperienza alla guida, per legge non avrebbe potuto andare oltre i 90 all’ora. In parallelo si attendono i risultati delle analisi sui supporti informatici. (…)
Lo youtuber indagato. Incidente di Casal Palocco, arresti domiciliari per lo youtuber Matteo Di Pietro. Per l'incidente di Roma in cui è morto Manuel, un bambino di 5 anni, lo youtuber 20enne è indagato per omicidio stradale e lesioni. Antonio Lamorte su L'Unità il 23 Giugno 2023
Agli arresti domiciliari Matteo Di Pietro. Le forze dell’ordine hanno eseguito l’ordinanza per lo youtuber 20enne che mercoledì 14 giugno sarebbe stato alla guida del Suv Lamborghini coinvolto nell’incidente di Casal Palocco, a Roma, in cui era morto Manuel, un bambino di cinque anni. Ferite nello schianto la madre e la sorellina della vittima, di tre anni. Lo youtuber è indagato per omicidio stradale e lesioni. Alcune voci raccolte da Il Corriere della Sera nel quartiere avevano raccontato che “Matteo e il suo amico Vito Loiacono sono all’estero, il primo in Spagna, il secondo in Turchia”. Notizie non confermate.
La Procura di Roma ha disposto una serie di consulenze sull’incidente. La ricostruzione della dinamica con verifica della velocità cui viaggiava il Suv e l’analisi dei cellulari delle cinque persone che erano a bordo. Gli inquirenti vogliono anche chiarire l’eventuale esistenza di video, foto o comunicazioni utili alle indagini. L’attenzione, anche dei media, si è infatti concentrata sulla pista della presunta challenge social da postare sui canali del gruppo degli youtuber.
Il gruppo “TheBorderline” era stato aperto nel 2020 da cinque giovani, aveva 600mila iscritti. Si ispirava alle azioni del popolare youtuber e imprenditore statunitense MrBeast che in genere realizzava video in cui portava a termine delle sfide. La scorsa settimana i ragazzi avevano regolarmente fittato un suv Lamborghini Urus, forse per confezionare altri contenuti da postare sulle loro pagine. Il gruppo si è sciolto domenica 18 giugno, quattro giorni dopo l’incidente. La decisione era stata annunciata con un messaggio sul canale Youtube.
“I TheBorderline esprimono alla famiglia il massimo, sincero e più profondo dolore. Quanto accaduto ha lasciato tutti segnati con una profonda ferita, nulla potrà mai più essere come prima. L’idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo interrompe ogni attività con quest’ultimo messaggio. Il nostro pensiero è solo per la vittima”.
A bordo dell’automobile al momento dello schianto ci sarebbero state cinque persone. La velocità consentita in quel tratto di strada è fissata sul limite dei 30 chilometri orari. La Municipale sta ancora ricostruendo quanto successo. Compito dei carabinieri del Nucleo di Palazzo di Giustizia acquisire documenti e telefonini dei passeggeri. Almeno venti i verbali delle persone ascoltate dalla polizia giudiziaria, un dato che potrebbe anche salire.
“Matteo è figlio di una famiglia per bene, il papà è un dipendente del Quirinale”, ha fatto sapere giorni fa l’avvocato Francesco Consalvi. Il padre del ragazzo, Paolo di Pietro, è dipendente della Presidenza della Repubblica, con mansioni amministrative presso la Tenuta di Castel Porziano. Il legale racconta delle minacce arrivate al ragazzo, di morte, di “fare una fine orribile”. Il legale si era concentrato anche su alcuni dettagli della dinamica: “È giusto fare chiarezza su alcuni punti. Il primo tra tutti, immortalato nelle foto dell’incidente è che la guidatrice della Smart viaggiava nella corsia opposta a quella su cui marciava la Lamborghini e che a lei sarebbe spettato dare la precedenza. In secondo luogo c’è la questione relativa al test sulle sostanze stupefacenti e alcol. Non vi erano tracce nel mio cliente di eccitanti o simili, diversamente l’autorità giudiziaria sarebbe pesantemente intervenuta con qualche misura cautelare. Così non è stato”. Antonio Lamorte 23 Giugno 2023
Casal Palocco, incidente youtuber: il Suv Lamborghini viaggiava a 124km/h | Gli amici chiesero di rallentare. Arresti domiciliari per Di Pietro
1. I dati del Gps montato sul Suv Lamborghini parlano chiaro 2. Di Pietro ha noleggiato il Suv “solo per aumentare i suoi guadagni dalla pubblicità su Youtube” 3. Sparite da Suv telecamere per fare video 4. Pericolo di reiterazione del reato 5. Matteo Di Pietro positivo ai cannabinoidi. Redazione su Il Riformista il 26 Giugno 2023
I dati del Gps montato sul Suv Lamborghini parlano chiaro: l’auto “al momento di imboccare Via di Macchia Saponara alle ore 15:38, raggiungeva in soli 14 secondi la velocità di 124 km/h immediatamente prima dell’impatto”.
È quanto emerge dall’ordinanza con cui il gip di Roma, Angela Gerardi, ha disposto gli arresti domiciliari per Matteo Di Pietro. Il giovane youtuber, indagato per omicidio stradale aggravato e lesioni, era alla guida del suv Lamborghini che ha causato l’incidente in cui ha perso la vita il piccolo Samuele e in cui sono rimaste ferite anche la mamma e la sorellina di 4 anni.
“I dati tratti dal gps hanno segnalato l’accelerazione repentina del mezzo che, una volta immessosi su Via di Macchia Saponara, passava in poco più di dieci secondi, da 0 km/h a 124 km/h, poco prima dell’impatto. L’assenza di tracce di frenata dimostra verosimilmente che la decelerazione improvvisa e rapidissima è stata conseguenza dell’avvistamento dell’auto in prossimità del punto in cui si è verificato l’incidente”, si legge ancora nell’ordinanza.
Secondo il Gip Gerardi, che ha disposto gli arresti domiciliari per Matteo Di Pietro, lo youtuber ha noleggiato il Suv Lamborghini con “l’unico ed evidente fine di impressionare e catturare l’attenzione di giovani visitatori del web per aumentare i guadagni della pubblicità, a scapito della sicurezza e della responsabilità e di conseguenza a procedere ad una velocità superiore ai limiti indicati. Tanto più che alcuni dei passeggeri presenti all’interno della Lamborghini avevano più volte invitato a ridurre la velocità”.
Sparite da Suv telecamere per fare video
“Sussiste il pericolo di inquinamento delle prove, così come ritenuto dal Pubblico Ministero, tenuto conto del mancato rinvenimento, all’interno della Lamborghini, delle due telecamere utilizzate per la registrazione dei video che, per come riferito dagli amici di Di Pietro erano in funzione e al momento dell’incidente utilizzate da uno di loro”.
Per quanto riguarda la personalità dell’indagato, il giudice afferma che “non appare tranquillizzante, tenuto conto che la sua principale fonte di reddito sembrerebbe rappresentata proprio dalla realizzazione di video da pubblicare su siti web riferibili alla società The Borderline srl, di cui l’indagato è socio oltre che amministratore delegato e che ha già in precedenza realizzato altri video e challenge a bordo di autovetture, proponendo sfide analoghe, con il rischio di mettere in pericolo l’incolumità propria e degli altri utenti della strada”.
Pericolo di reiterazione del reato
A proposito dei gravi indizi di colpevolezza per il giudice “ricorrono, nel caso in esame, specifiche esigenze cautelari e, in particolare, si ravvisa il concreto e attuale pericolo che l’indagato possa commettere ulteriori reati della stessa specie di quelli per cui si procede, desumibile dalle modalità della condotta, gravemente imprudente, poiché sostanziatasi nella guida di un’auto di grossa cilindrata a velocità sostenuta e comunque certamente superiore al limite massimo imposto nei centri urbani, peraltro in pieno giorno e nonostante la presenza di attraversamenti pedonali”.
Matteo Di Pietro positivo ai cannabinoidi
Inoltre la “riscontrata positività ai cannabinoidi poi, sebbene non vada ad integrare la circostanza aggravante dell’omicidio stradale, che infatti il Pubblico Ministero non ha contestato potendo essa riferirsi ad assunzioni risalenti a diversi giorni prima, rimarca ulteriormente un tratto trasgressivo dell’indole dell’indagato, che conferma il quadro sopra delineato. Si rende dunque indispensabile l’adozione di una misura cautelare che sia adeguata a fronteggiare tale pericolo di reiterazione”, scrive il gip.
Estratto dell’articolo di Valentina Errante per ilmessaggero.it il 27 giugno 2023.
«Vorrei tornare indietro nel tempo e che tutto questo non fosse successo». Così Matteo Di Pietro, lo youtuber che ha travolto e ucciso il piccolo Manuel Proietti, che il 14 giugno scorso viaggiava con la mamma su una smart, ha detto al gip Angela Gerardi al termine dell'interrogazione.
Di Pietro, accusato di omicidio stradale aggravato e lesioni e da venerdì ai domiciliari, ha risposto a tutte le domande per oltre un'ora nel corso dell'interrogatorio di garanzia. Gli youtuber che erano a bordo del Suv già il giorno precedente avevano chiesto a Di Pietro «di andare più piano» con la Lamborghini a bordo della quale «lui sapeva di essere ripreso ma non interagiva con la telecamera». […]
«Emerge che al momento di imboccare via di Macchia Saponara alle 15,38 il Suv si fermava. Poi riprendeva velocità raggiungendo in soli 14 secondi i 124 chilometri immediatamente prima dell'impatto. L'assenza di tracce di frenata - scrive nell'ordinanza il giudice - dimostra verosimilmente che la decelerazione improvvisa e rapidissima è stata conseguenza dell'avvistamento dell'auto in prossimità del punto in cui si è verificato l'incidente».
Estratto dell’articolo di Valentina Errante per il Messaggero il 28 giugno 2023.
«Andavo a circa 65 chilometri orari, ma la Smart ha girato all'improvviso. Me la sono trovata davanti e ho tentato di frenare». Così Matteo Di Pietro, il ventenne che da venerdì si trova ai domiciliari ed è indagato per omicidio stradale aggravato e lesioni per la morte del piccolo Matteo Proietti, ha ricostruito davanti al gip Angela Gerardi, l'incidente dello scorso 14 giugno a Casal Palocco.
Un'ora per raccontare la sua versione, smentita dai primi rilievi degli inquirenti che nell'ordinanza di arresto gli contestano di avere spinto il pedale dell'acceleratore del Suv Lamborghini fino a 124 chilometri orari in una strada urbana.
Ma Di Pietro ha anche voluto esprimere al giudice il suo dolore per quanto accaduto e presto, con ogni probabilità, scriverà una lettera alla famiglia del bambino: «Vorrei tornare indietro, vorrei che tutto questo non fosse accaduto. Sono distrutto». E anche il nuovo legale del ragazzo, Antonella Benveduti, sottolinea: «Questa è una tragedia per tutti - il mio assistito è distrutto, sconvolto, così come la famiglia di Manuel: ci sono due famiglie distrutte».
LA VELOCITÀ L'inchiesta si baserà tutta sulla velocità della Lamborghini, che sarà definita con certezza dalle perizie. La difesa punterà sul fatto che la Smart abbia girato repentinamente, ma anche questa circostanza sarà secondaria rispetto alla rapidità con la quale il Suv sia arrivato, mentre l'utilitaria girava a sinistra. E così ieri davanti al giudice, pur confermando la dinamica, Di Pietro ha negato di viaggiare a 124 chilometri orari al momento dell'impatto.
(...)
LE TESTIMONIANZE Anche un altro ragazzo che era a bordo del suv si era raccomandato con Matteo di andare piano sia pochi minuti prima dell'impatto, sia nei giorni precedenti. «Al momento dell'incidente stavo registrando con la camera piccola mentre un altro amico stava utilizzando quella grande». Nell'auto erano in cinque e almeno due erano intenti a registrare i video utilizzando il cellulare e una GoPro, poi sparite. «Lui sapeva di essere ripreso ma non interagiva con la telecamera», hanno raccontato ai carabinieri e agli agenti della polizia gli youtuber.
«Ho chiuso gli occhi per la paura e l'ultima immagine che mi è rimasta impressa è quella della macchina orizzontale ferma davanti a noi. Matteo non andava sicuramente a 40 chilometri orari ma nemmeno eccessivamente veloce e una volta che aveva visto la Smart ha provato a frenare. Dopo l'impatto sono scoppiati entrambi gli airbag. Sono scesa per ultima dalla macchina, perché la portiera era bloccata dalla Smart e immediatamente ho prestato assistenza al piccolo Manuel», così l'unica ragazza che si trovava sul suv ed era salita appena un chilometro prima, a verbale, ha ricordato il momento dell'impatto.
(...)
Estratto dell'articolo di Ilaria Sacchettoni e Rinaldo Frignani per il “Corriere della Sera” il 29 giugno 2023.
I soccorsi che arrivano «un’ora dopo l’incidente». Il Suv (la Lamborghini Urus azzurro metallico) allestito come un set al suo interno. Gli youtuber-attori e la sfida social organizzata alla maniera di una sceneggiata. Dieci verbali di altrettante persone informate sui fatti ricostruiscono quello che è accaduto alle 15.45 del 14 giugno scorso in via di Macchia Saponara, a Casal Palocco, fra Roma e Ostia, denunciando ritardi e facendo luce su tecniche, metodi e mezzi a disposizione di Matteo Di Pietro e degli altri sotto inchiesta per l’omicidio stradale di Manuel, bambino di 5 anni.
I soccorsi
Il racconto di Maria Antonietta L.L, una testimone che era a bordo di una Mercedes e si è fermata subito dopo l’incidente è citato nell’ordinanza di custodia cautelare del gip che ha mandato Di Pietro ai domiciliari per omicidio stradale e lesioni: «Dopo quaranta minuti dalle richieste di soccorso arrivava l’automedica e dopo ulteriori venti minuti arrivava l’ambulanza. La donna che era alla guida della Smart (Elena Uccello, ndr) presentava un taglio sulla palpebra sinistra e perdeva sangue dal naso».
Secondo i registri delle chiamate all’Ares 118 di quel pomeriggio, dirottate dal numero unico di emergenza 112 al quale sono giunte numerose segnalazioni dello schianto — non risultano telefonate dai ragazzi a bordo del Suv —, due mezzi di soccorso sono stati invece inviati sul posto dalla centrale operativa: il primo alle 15.45 e 43 secondi, con partenza dalla postazione di Casal Palocco alle 15.46 e arrivo sul posto alle 15.53 (quindi sette minuti più tardi), e il secondo un minuto più tardi, con partenza dalla base di Casal Bernocchi (Acilia) alle 15.47 e arrivo alle 15.51.
Nei giorni successivi all’incidente l’avvocato Francesco Consalvi, zio di Di Pietro, aveva riferito in un’intervista anche il fatto che il nipote e Gaia Nota avrebbero non solo soccorso ma anche rianimato il bambino prima di affidarlo alle cure dei medici del 118. «I ragazzi mi hanno riferito che l’ambulanza è arrivata dopo circa un’ora e il bambino è deceduto in ambulanza», aveva detto.
Quindi uno scenario che deve essere ancora definito, tenendo presente che i verbali di risposta e d’intervento di 112 e 118 sarebbero già stati acquisiti come sempre da chi indaga.
Punto fermo invece di questa storia di velocità e imprudenza è la tecnica professionale con la quale i ragazzi si approcciarono alla challenge sui social.
[…]
Riferisce Gabriele Morabito, amministratore della società di autonoleggio Skylimit, che i TheBorderline (la società dei giovani youtuber) noleggiarono la vettura versando 10 mila euro cash («tramite bonifico») e concordando la tariffa di 3.500 euro al giorno per tre giorni.
«Ai fini delle riprese — sottolinea il giudice — all’interno del veicolo Lamborghini Urus erano state collocate due telecamere di marca Sony non risultanti tra gli oggetti sequestrati dalla polizia di Roma Capitale (ma acquisite successivamente dai carabinieri, ndr ) una tenuta in mano da Simone Dutto (passeggero del Suv, ndr ) l’altra piccolina, GoPro».
I video
Sulla Lamborghini viaggia anche Vito Ramon Lo Iacono che ai magistrati riferisce «di lavorare con la TheBorderline come attore, personaggio nei video girati per i loro canali». La clip è una simulazione, «l’insieme di scene registrate e poi montate simulando la permanenza all’interno della Lamborghini per tutto il periodo sopraindicato». […]
«Velocità eccessiva»
Uno dei vigili urbani impegnati nei rilievi scrive nella sua relazione che, sulla base dei danni sulle carrozzerie della Lamborghini e della Smart, e dell’esame del fondo stradale, emerge come «la velocità eccessiva della Lamborghini e la violenza dell’impatto contro la Smart sono avvalorate dall’assenza di tracce di frenata prima dello stesso, e dalla presenza invece di segni di scarrocciamento dopo la collisione, impresse dalla Smart per metri 21,70», così da evincere la forza di spostamento e trascinamento ricevuta dalla city car da parte del Suv.
Da chiarire c’è tuttavia la manovra compiuta dalla madre di Manuel per svoltare a sinistra e se avesse inserito la freccia: per un autista dell’Atac che ha assistito all’incidente la luce era lampeggiante, per Gaia Nota, che era a bordo del Suv, invece no.
Estratto dell'articolo di Giulio De Santis per video.corriere.it il 5 Luglio 2023.
C’è un video che riprende i drammatici attimi dell’incidente mortale in cui ha perso la vita il piccolo Manuel, cinque anni, il 14 giugno scorso a Casal Palocco. Le immagini sono state recuperate da una telecamera di proprietà del Comune piazzata su un palo in via di Macchia Saponara, poco distante dalla rotatoria in via dei Pescatori.
Sono fotogrammi in perfette condizioni, dove le due macchine protagoniste della tragedia – la Lamborghini guidata dallo youtuber dei The Borderline Matteo Di Pietro, indagato con l’accusa di omicidio stradale, e la Smart condotta dalla mamma di Manuel - sono filmate senza contorni sgranati. La ricostruzione di quei secondi scioccanti, pertanto, non sarà esposta a questioni sulla qualità delle immagini.
Ma cosa mostra il filmato? L’obiettivo - riferisce chi ha visto il video - inquadra la parte posteriore della Lamborghini qualche secondo dopo che si è immessa in via di Macchia Saponara. Passano pochi secondi e si vede l’impatto.
Il ruolo di un'auto nera
Terrificante. Con l’auto guidata da Di Pietro che travolge la Smart. Qualche istante prima la mamma di Manuel, con la freccia a sinistra, si apprestava a girare da via di Macchia Saponara in via Archelao di Mileto. Una manovra fluida, senza violazioni del codice della strada. Come è evidente nel video. Come già riferito da un testimone.
Da chiarire quale ruolo abbia avuto una macchina nera in via di Macchia Saponara posta tra la Lamborghini e la Smart. Potrebbe aver rallentato di un istante infinitesimale la frenata assistita della Lamborghini. Tuttavia si tratterebbe di un dettaglio. Perché era tale la velocità a cui Di Pietro quel pomeriggio aveva lanciato l’auto, che un lieve rallentamento all’ultimo momento non avrebbe mutato il tremendo destino di Manuel. Come infatti ha scritto il gip che ha disposto l’arresto dello youtuber, la Lamborghini avrebbe toccato i 124 chilometri orari qualche attimo prima dell’incidente. Per poi terminare la corsa contro la fiancata destra della Smart con il tachimetro che dovrebbe aver segnato un po’ più di 110 chilometri orari.
La velocità elevata della macchina sportiva
La macchina nera potrebbe aver oscurato la visuale di entrambi i guidatori? La risposta la si leggerà nella relazione del consulente dell’accusa, l’ingegner Lucio Pinchera, che ha ricevuto dal pm
Indignazione perpetua. Il Truman Show giustizialista del tribunale popolare dell’Internet. Umberto Bertonelli su L'Inkiesta il 30 Giugno 2023
L’incidente a Casal Palocco ha scatenato una forte reazione. E mentre si richiedono nuove leggi che limitino l’uso delle piattaforme, la gogna digitale ha già condannato i due accusati senza che un regolare processo ne abbia accertato la responsabilità
Un Paese dove la forca mediatica si sostituisce alla giustizia penale. Un Paese dove si condanna aprioristicamente la cultura del social, ma ne si mutua il modello, emettendo sentenze sommarie con la velocità di un like o di un tweet. Un Paese dove si confonde il giudice delle indagini preliminari con un conduttore televisivo. E in cui ognuno di noi domani può trovarsi protagonista del Truman Show giustizialista a reti unificate.
L’incidente di Casal Palocco ha scosso la coscienza di tutti, con la plasticità dell’innocenza e della colpevolezza esteticamente rappresentante dalle due parti in causa. Da un lato una madre a bordo della sua automobile con due bimbi a bordo, uno dei quali resta vittima dell’incidente. Dall’altro i mostri per definizione: alcuni ragazzi intenti a realizzare un video per il loro canale YouTube, TheBorderline, nel quale si cimentavano nella sfida di restare su una Lamborghini per cinquanta ore di fila.
Come sottolinea Alessandro Luna de Il Foglio, il fatto ha la peculiarità di coinvolgere una serie di elementi e terminologie che in Italia appartengono ormai al campo semantico dell’indignazione generale. Si tratta di veri e propri topoi del pregiudizio generazionale: dal termine youtuber, che qualifica una professione intrinsecamente urticante per chi non è avvezzo al mondo della creazione di contenuti online, passando all’espressione challenge. Così anche molti titoli di giornale lascerebbero intendere proprio che una spericolata challenge avrebbe indotto questi ragazzi a schiantarsi contro la smart.
Ma mentre se ne discute pubblicamente, la dinamica rimane tutta da accertare. Inoltre, dai titoli dei precedenti lavori dei TheBorderline si può notare come i contenuti del canale siano tutt’altro che violenti: “24 ore sulla mini zattera”, “Nascondino al luna park per 1000€”, “24h sulla ruota panoramica senza scendere”. Anche nei video realizzati in auto si nota come la stragrande maggioranza delle riprese siano svolte in momenti di sosta.
C’è chi, come Adinolfi e Giubilei, ha posto l’attenzione sulla non negatività alla cannabis – altra parola chiave nel creare clamore – risultata in Matteo Di Pietro, che era alla guida della Lamborghini. Eppure, non risulta quanto tempo prima di mettersi alla guida ne avrebbe fatto uso, poiché la sostanza resta presente nel sangue del soggetto anche dopo giorni, senza che questo necessariamente ne comprometta le capacità psicofisiche.
La gogna non si placa nemmeno prima degli accertamenti ed è seguita dalla consueta shitstorm sui social, con insulti riservati persino ai genitori, minacce di morte e condanne in diretta tv. Una reazione scomposta e aggressiva del pubblico, parte di uno schema ormai consolidato nel quale la massa finisce nella trappola della lapidazione pubblica. I giusti del web e i magistrati televisivi non si curano del fatto che per giorni si è discusso senza sapere, ad esempio, chi avrebbe avuto la precedenza e quale fosse la velocità delle auto.
E così il grande nemico diventano non solo i soggetti coinvolti, ma le piattaforme social stesse, secondo l’accusa pericolose in quanto accessibili anche ai giovanissimi e poco regolamentate. La realtà, naturalmente, è ben diversa.
Scostato il velo dello scandalo, emerge infatti che non siamo davanti ad alcuna epidemia di challenge violente. Anzi, YouTube, come la maggior parte delle altre piattaforme, per tutelare la propria reputazione e garantire la migliore esperienza possibile all’utente, si è dotato da tempo di un contesto di regole piuttosto stringenti che, in caso di violazioni, possono comportare anche la cancellazione dei contenuti o del canale. Non a caso in tutti i video dei TheBorderline è stata già rimossa la pubblicità, negando così la possibilità di guadagnare dai contenuti – quello che viene definito “demonetizzare” – senza la necessità di nessuna nuova legge.
Tra chi si è esposto sulla vicenda c’è stato anche l’attore Alessandro Gassman – salvo poi scusarsi – chiedendo una legge che vieti di guadagnare da YouTube e costringa chi posta a «mettere sempre faccia e indirizzo mail». Ma non permettere più di guadagnare tramite un sito perché dei creatori di contenuti potrebbero aver commesso un reato mentre stavano preparando un video sarebbe come vietare l’uso dei coltelli nella ristorazione perché è avvenuto un accoltellamento. Tra l’altro, risulta molto difficile pensare di aumentare le regolamentazioni quando esistono sistemi come le VPN capaci di eludere eventuali blocchi nazionali.
La strada maestra dovrebbe invece rimanere quella di educare e sensibilizzare in merito al corretto utilizzo di queste piattaforme, senza proibizionismi inutili e divieti non applicabili. YouTube è già oggi il luogo dove milioni di giovani si informano, anche tramite creatori di contenuti professionali, da Alessandro Masala a Ivan Grieco, che nei propri video ospitano i più noti giornalisti e politici italiani.
Fermandosi agli stereotipi non si comprende che quello di chi crea contenuti sul web è un lavoro a tutti gli effetti, non un hobby di giovani scansafatiche. Influencer e creatori di contenuti non andrebbero pertanto puniti, ma anzi giuridicamente riconosciuti.
Per accontentare l’ondata inaudita di violenza scatenata da questa tragedia, il governo starebbe pensando invece a una «stretta sugli YouTuber» per punire chi «istiga alla violenza» sui social con una pena fino a cinque anni. Il provvedimento potrebbe essere inserito nella legge «anti baby gang» voluta da Matteo Salvini. Peccato che le norme per condannare eventuali comportamenti scorretti che coinvolgono anche i social siano già in vigore.
Assistiamo oggi così a una curiosa inversione tra causa e effetto delle leggi penali, oltre che ad una certa confusione circa il ruolo svolto dal legislatore, che non si occupa più di partorire nuove disposizioni generali atte a prevenire il verificarsi di situazioni delittuose, bensì interviene per reagire a situazioni sì delittuose, ma spesso molto particolari e già avvenute. Si tratta di un fraintendimento enorme che rischia di incrementare l’inflazione penale che in questo paese si è cercato, invano, di arginare con le depenalizzazioni ma che, negli ultimi anni, sta riprendendo piede a causa delle aspirazioni punitive di maggioranze sempre più giustizialiste. Ad ogni nuova tragedia la politica è pronta a sfornare un nuovo reato.
I TheBorderline sono innocenti? Sì, fino a prova contraria. Sono le sentenze, quelle nelle aule dei tribunali, che decretano la colpevolezza. Quelle in piazza e sulla rete distruggono le vite e la dignità delle persone. Ai giusti del web e ai magistrati della tv, però, il verdetto non interessa e quasi non ne daranno notizia, impegnati già nell’allestimento del prossimo Truman Show.
L'incidente a Casal Palocco. La cronaca e quell’irresistibile corsa a creare mostri: senza linciaggio vi sentite meno buoni?
La morte di un bambino piccolo, strappato via ai genitori, commuove chiunque. Ma che bisogno c’è di disegnare come creature del demonio le figure di ragazzi dei quali non sappiamo niente? Piero Sansonetti su L'Unità il 18 Giugno 2023
Ma proprio non ce la fate a vivere senza mostri? Qual è il problema? Vi sentite un po’ scadenti e avete voglia di essere sicuri che esista gente molto peggiore di voi? Oppure – e questo per quel che riguarda i giornalisti – avete bisogno di vendere qualche copia in più e non trovate nessun altro sistema se non quello di accarezzare il linciaggio?
Noi sappiamo in realtà pochissimo dell’incidente, a Roma, che è costato la vita a un bambino piccolo. Manuel, 5 anni. Naturalmente la morte di un bambino piccolo, strappato via ai genitori, commuove chiunque. I santi come gli sciagurati. Tocca i nostri sentimenti più semplici e più giusti. Questo va bene. Ma che bisogno c’è di disegnare come creature del demonio le figure di ragazzi dei quali non sappiamo niente? I giornali di questi giorni e le loro ancor più “assetate” versioni online sono impressionanti: una corsa a chi riesce a demonizzare più degli altri alcuni ragazzi sconosciuti di circa 20 anni. E anche i loro genitori.
Fior di intellettuali mobilitati per spiegarci come è possibile la loro perfidia, chi l’ha generata, quanto sta degenerando la nostra gioventù, i telefonini, i videogiochi, la droga… È stato un incidente stradale, e quando si svolgerà il processo vedremo quanta e quale fosse la colpa di chi guidava la Lamborghini. Noi oggi non lo sappiamo. E allora inventiamo, inventiamo, inventiamo. È il bisogno di linciaggio che mi colpisce. Il linciaggio come liberazione dai propri incubi. Il linciaggio come gioia e prova della propria innocenza. Il linciaggio come dimostrazione di forza. Di eticità. Di incorruttibilità. Di sapienza. Sostenuto e lodato e magnificato e amplificato dall’intero sistema dell’informazione. Piero Sansonetti 18 Giugno 2023
Casal Palocco, la banalità del nulla. Daniela Missaglia su Panorama il 17 Giugno 2023.
La morte del piccolo Matteo per una sfida social, la drammatica assenza di una qualsiasi spiegazione per il dolore e una generazione che si è smarrita tra noia e il senso di vuoto
Al Buddha si attribuisce il presente aforisma: «Se apriamo le mani, possiamo ricevere ogni cosa. Se siamo vuoti, possiamo contenere l’universo», ma non sono d’accordo. Se siamo vuoti non possiamo contenere alcunché di buono, solo un disorientante nichilismo che è ciò che incarnano quei quattro youtuber che, per cimentarsi in una sfida (challenge, in gergo) idiota, inutile e pericolosa, hanno schiantato e ucciso un bambino di cinque anni a Roma, mettendo in serio pericolo di vita madre e sorellina e, soprattutto, distruggendo una famiglia. Il tutto senza un perché. Drammaticamente senza un motivo plausibile che almeno possa fornirci un elemento cui aggrapparci. La mente umana cerca sempre una logica, nel bene o persino nel male, una spiegazione a qualsiasi gesto. Tant’è che esiste una branca del diritto e della psicologia, la criminologia, che studia gli autori di crimini ferali, ricostruisce le psicopatologie di cui sono affetti, i tratti ossessivi-compulsivi, le ‘tare’ che si portano appresso e scatenano la loro furia. Ma qui cosa c’è da studiare? Cosa c’è da capire, approfondire? Basta guardare – sgomenti – i video registrati prima della tragedia, scrutare le facce dei protagonisti, ascoltarne le frasi senza senso, prive di ironia, costrutto, contenuti. Il vuoto nel volto di quel ragazzo di vent’anni positivo alla cannabis che, con gli amici, affitta un bolide da 650 cavalli, troppo potente per i suoi vent’anni, troppo impegnativo per sinapsi che sanno solo sintonizzarsi sul numero di followers e si nutrono solo della dopamina che scatena un ‘like’ in più o in meno. 50 ore dentro una Lamborghini, per dimostrare il nulla. Rinunciamoci. Se persino in matematica lo ‘zero’ ha un senso, in questo caso è un’opera improba che ci affanna inutilmente riempiendoci di interrogativi senza una risposta. La noia e il progresso, anzi, la noia generata dal progresso ha creato questi vuoti pneumatici in canottiera e cappellino da baseball, supportati da genitori altrettanto vuoti e colpevoli che, di fronte alla morte di un bambino, si sono precipitati a rassicurare i loro pargoli sul fatto che – in fondo – si trattasse solo di una “bravata”, che si sarebbe risolto tutto. Non hanno torto: l’omicidio stradale non è una carezza ma nemmeno un pugno, prevedendo da 2 a 7 anni di reclusione che, verosimilmente, pagherà solo il conducente, salve ipotesi di concorso degli altri compartecipanti che presto gli avvocati smonteranno. Poi metteteci l’assenza di precedenti, le attenuanti del caso, gli sconti di rito, facile che le porte del carcere nemmeno si apriranno per alcuno di loro. Questo è disarmante, ma ci dobbiamo abituare. Perché i social e i gestori delle piattaforme alzano le spalle e si schermano dietro la libertà d’espressione: tanto attenti e spietati a oscurare i contenuti politici avversi e ‘bannare’ Trump, quanto inerti verso la stupidità. In fondo a dominare sono i logaritmi, i click, le view, finché c’è qualcuno che ti segue e si iscrive a un canale, chissenefrega del contenuto. Tutto fa brodo. Siamo passati dal sacro timore di Dio alla paura dell’insuccesso sui social, al calo dei follower, all’inferno di essere sopravanzati da altri ‘eroi’ che ti scalzino dal trono delle visualizzazioni. La mente evacua, il cuore si inaridisce, e non rimane più nulla, nemmeno quel gigantesco ‘perché?’ che oggi riusciamo a pronunciare ma che domani verrà risucchiato nel buco nero di una morale ormai talmente degradata che ci ha tolto persino la forza per indignarci. Una ‘bravata’, ma sì, cosa volete che sia…. Alla prossima challenge.
Estratto dell’articolo di Massimo Gramellini per Il “Corriere Della Sera” il 17 giugno 2023.
[…] nel far west della Rete accade che un canale di YouTube, dove degli svalvolati viaggiano per 50 ore di fila su un bolide messo a disposizione da un autonoleggio debitamente reclamizzato, possa accumulare centinaia di migliaia di «follower» senza che nessuno intervenga.
Poi ci scappa l’incidente, muore un bambino e improvvisamente si scopre che bisognava fare qualcosa. Parliamo di un mondo, Internet, in cui sempre più spesso si viene censurati per avere espresso un’opinione politicamente scorretta, mentre chiunque può impunemente fornire modelli artigianali di distruzione a legioni di emulatori.
Non credo che il web ci abbia peggiorati. Non ci ha neanche migliorati, però. Nelle caverne dell’età della pietra ci sarà stato più di un cretino che roteava la clava davanti a una tigre addormentata per fare colpo sui «follower» della sua tribù, ma prima o poi qualcuno lo avrà disarmato, altrimenti ci saremmo già estinti.
Poiché il web è una clava più potente, richiederebbe di essere maneggiata da esseri più evoluti. Nell’attesa (piuttosto lunga, temo) che ciò accada e soprattutto di capire come togliere la clava ai cretini, mi accontenterei che le aziende, grandi e piccole, smettessero di finanziarli.
Youtuber, superare i limiti e sfidare la morte: le sfide più pericolose sul web. Per una sfida social hanno ucciso un bambino di 5 anni in un incidente. Gli youtuber continuano a sfidare la morte per visibilità. Chiara Nava Pubblicato il 15 Giugno 2023 su Notizie.it.
I The Borderline hanno ucciso un bambino di 5 anni mentre filmavano una sfida a bordo di una Lamborghini, causando un terribile incidente. Gli youtuber si spingono sempre più in là e continuano a sfidare la morte per un po’ di visibilità.
Youtuber, pronti a sfidare la morte per visibilità: l’incidente a Roma
Nella giornata di mercoledì 14 giugno 2023 si è verificato un terribile incidente a Casal Palocco, a Roma. Un Suv Lamborghini ha completamente travolto e distrutto una Smart, a bordo della quale erano presenti una mamma di 29 anni con i suoi due figli, di 5 e 3 anni. Manuel Proietti, il bambino di 5 anni, ha perso la vita a causa dello schianto. Ad aggravare la situazione, il fatto che l’incidente è stato causato con tutta probabilità dalla distrazione dei giovani a bordo del Suv, il gruppo di youtuber The Borderline, che stavano girando un video in cui mostravano ai follower come riuscivano a trascorrere 50 ore su una Lamborghini affittata.
Una challenge pericolosa. L’ennesima che hanno portato in scena i The Borderline. E purtroppo non sono gli unici. Gli youtuber, gli influencer, i tiktoker, continuano a giocare con la loro vita e con quella degli altri. Pensano che per ottenere più visibilità e più follower devono continuare a superare i limiti, a spingersi oltre, a fare sempre qualcosa di più folle e pericoloso. Ed è così che in molte situazioni le loro sfide si trasformano in tragedie. Sembrano non aver paura di niente quando sono davanti ad una telecamera o ad uno smartphone. Il desiderio di diventare famosi, di ricevere like e visualizzazioni, di ottenere qualche follower in più, li spinge a sfidare la morte, come se ne valesse la pena. Ci sono state tante, troppe, morti causate da folli sfide sui social network. L’ultima è quella di Manuel Proietti, un bambino di soli 5 anni che era uscito dall’asilo ed era in macchina con la sua mamma e la sua sorellina. Il piccolo è morto perché ha incrociato la strada di questi youtuber che hanno messo davanti la loro visibilità rispetto alla loro sicurezza e a quella degli altri.
Youtuber, pronti a sfidare la morte per visibilità: le challenge più pericolose
L’assurda follia delle sfide social continua a farsi strada sul web, coinvolgendo sempre più giovani. Tra le prime sfide diffuse sul web ricordiamo la Blue Whale, Balena Azzurra, una prova estrema fatta di 50 regole, tra cui tagliarsi le vene, salire sul tetto di un palazzo e arrampicarsi al cornicione, inviando le immagini ad un “curatore” e condividendole in rete. Sfidare la morte per dimostrare il proprio “coraggio” a sconosciuti. Ci sono stati tantissimi decessi legati a questa challenge. Nel tempo si è diffusa anche la Knock out challenge, che consiste nel dare un pugno ad uno sconosciuto per strada, per il gusto di fare del male. Un’altra sfida si è ispirata al personaggio del film horror The Ring, Samara, e consisteva nell’andare in giro con una camicia da notte bianca e il volto coperto da lunghi capelli per spaventare le persone. Molte ragazze sono state aggredite e picchiate.
Andando avanti possiamo ricordare tutte quelle persone che hanno trovato eccitante appendersi a testa in giù come un pipistrello per la sfida Batmanning, o gettarsi la vodka negli occhi, per la sfida Eyeballing, oppure guidare un’auto senza guardare, per la sfida Bird box challenge. Nel 2020 è diventato virale anche il pericoloso gioco Skullbreaker challenge, che vede la vittima al centro e due ragazzi ai lati che fingono di saltare per poi sgambettare quello al centro, che cade con la schiena a terra. Nello stesso anno si è diffuso anche Jonathan Galindo, che spinge i giovani all’autolesionismo. Ci sono stati tanti decessi anche per la sfida di TikTok chiamata Hanging challenge, che prevede di legarsi una cintura intorno al collo e resistere più tempo possibile. I giovani di queste generazioni sono sempre più fragili. Spesso partecipano a queste sfide per farsi notare, per aumentare la loro autostima, per ottenere consensi e sentirsi parte di un gruppo, senza neppure rendersi conto che in gioco c’è la propria vita, ma anche quella degli altri.
Il sorpassato. La Berlusconeide, Black Mirror e la facilissima polemica contro gli youtuber. Guia Soncini su L'Inkiesta il 16 Giugno 2023
Non prendiamocela col Cavaliere. Da Bruno Cortona alle “challenge” sceme, il carattere degli esseri umani esibizionisti si è accentuato in questa epoca in cui ogni mediocre ha una telecamera nel telefono
Cosa resta di Berlusconi – al quinto giorno di berlusconeide, al quinto giorno di «Berlusconi in sé, Berlusconi in me», al quinto giorno di articoli di giornali stranieri che fanno tenerezza quando cercano di trovare un senso a un paese che un senso non ce l’ha – cosa resta?
Il mio dettaglio preferito è «Non ho mai ricevuto una telefonata». Con la voluttà con cui si precipitavano a dire che Gianni Agnelli li chiamava alle sei di mattina – sperando questo dicesse di loro che erano interlocutori interessanti – i giornalisti italiani, se lavorano o hanno mai lavorato per Berlusconi, ci tengono a dire che mai mai mai Berlusconi ha detto loro cosa mandare in onda o mettere in pagina – sperando questo dica di loro che sono così schienadrittisti che mai, altrimenti, avrebbero lavorato per lui.
Sono gli stessi giornalisti che poi però, se scrivono di Milan, spiegano in dettaglio quanto Berlusconi interferisse, desse consigli non richiesti, fosse un’ingombrante presenza. Sarà che gli allenatori non scrivono editoriali e quindi non possono ribadirci che neanche a loro mai, neanche a loro una pressione piccina picciò.
Quindi Berlusconi rompeva i coglioni alle signore dicendo loro come vestirsi (aneddoto analogo a quello che riferivo ieri della Palombelli, l’ha esposto a una telecamera Barbara D’Urso: Silvio e la sua vocazione da guardarobiera); e agli allenatori dicendo loro come allenare. Ma a tutti coloro con un tesserino dell’Ordine dei giornalisti, a quelli neanche un consiglio mai.
Sarà che non ce n’era bisogno? Sarà che poteva contare sui più realisti del re? Sarà che era tutto previsto, anche il dissenso, anche quello fa scena?
Una ribelle di quelle da social, di quelle che si sono premurate di scrivere che il lutto nazionale non è a loro nome, perché loro sono bambine speciali e i rituali collettivi li schifano, una di quelle, pubblicata da una delle case editrici di proprietà di Berlusconi (giacché, lo sappiamo da un secolo: il paese non è di destra o di sinistra, il paese è di Berlusconi), una di loro (più di una, plausibilmente) si è trovata nei commenti alla ribellione da vetrina velate minacce aziendaliste.
Ti dovrebbero stracciare il contratto (segue tag all’editore, giacché a quest’epoca piace moltissimo fare la spia con un clic: se si potesse taggare la Guardia di finanza quando non ci fanno la fattura, avremmo già azzerato l’evasione fiscale).
Di costoro – non delle ribelli, che vabbè: dei minacciosi delatori – mi chiedo sempre come ragionino: non lo sanno che quel mercato residuale che è l’editoria sta su grazie a un’illusione collettiva di controcorrentismo e liberalismo, e se un editore racimola qualche spiccio (qualche spiccio reputazionale, soprattutto) è perché pubblica gente che dice che quell’editore è un manigoldo?
Ieri sono uscite, su Netflix, le nuove puntate di Black Mirror. Black Mirror nasce come prodotto di Channel 4, l’altra tv pubblica inglese, quella che non è la Bbc. Netflix prima si limita a distribuirlo nel resto del mondo; poi, avendo solo sceneggiati uno più irrilevante dell’altro, copre di soldi Charlie Brooker, il suo ideatore, perché faccia le nuove stagioni in esclusiva per loro.
Questa è la quarta stagione che Brooker fa per Netflix (quattro stagioni più uno speciale: lo preciso non perché l’informazione abbia alcuna rilevanza ma perché sennò arriva di sicuro qualche lettore che vuole dimostrarmi che ha Google e mi corregge, e voi non sapete che lavoro usurante sia scrivere in un’epoca di lettori imbecilli smaniosi di dimostrarsi svegli; voi non sapete che fatica sia un pubblico di dodicenni ciucci e arroganti: Silvio lo sapeva, e mi manca moltissimo).
La prima puntata della quarta stagione del multimilionario contratto di Brooker con Netflix, la prima puntata della nuova stagione dell’unica serie di finzione rilevante che Netflix abbia mai avuto, la prima puntata ha come trama: Netflix è unammerda.
Sì, nella finzione non si chiama Netflix: si chiama Streamberry. Per toglierci ogni dubbio circa l’identità della multinazionale dello streaming dissimulata dietro il nome “Streamberry”, della multinazionale cattiva che non esita ad arrubbarsi le vite dei suoi abbonati approfittando delle clausole scritte in piccolo nelle condizioni di servizio che tutti approviamo senza leggere, della multinazionale orrenda da far sembrare Rete4 un cenacolo d’intellettuali, per toglierci ogni dubbio, il logo di Streamberry ha gli stessi caratteri di quello di Netflix, le schermate da cui i personaggi scelgono cosa guardare hanno la stessa interfaccia di Netflix, e insomma Brooker fattura per mettere in onda su Netflix una storia su quanto è distopica Netflix.
Però Brooker ha, credo, troppo senso del ridicolo per puntualizzare agli intervistatori che Netflix gli ha lasciato totale libertà creativa e non gli ha mai fatto pressioni.
Ieri mattina ho aperto i siti dei giornali aspettandomi di trovare in apertura il peschereccio con non so neanche più quante centinaia di morti e dispersi, e invece c’erano quattro scemi che pensavano di fare “Grease” con quarantacinque anni di ritardo (o “Gioventù bruciata” con sessantotto): facevano le corse con le macchine e sono andati addosso a una Smart e hanno ammazzato un bambino di cinque anni.
Non voglio fare una gerarchia delle tragedie (a quella ci pensa il numero di morti, non c’è bisogno la faccia io), voglio solo dire che una storia sulla quale non c’è niente da dire – cosa dobbiamo dire, che è disdicevole fare corse in macchina e ammazzare bambini? Dobbiamo disapprovare per distinguerci da chi? C’è forse un dibattito? C’è qualcuno a favore dell’ammazzare bambini per sbaglio e per like? – è la storia di cui tutti hanno parlato tutto il giorno, ieri. Perché era facilissimo.
Era facilissimo far finta che fosse una bravata da giovinastri, specie ora che la bravata la chiamiamo «challenge» (che tutti, tutti, tutti i giornali scrivono «challange», perché siamo un secolo che ha dimenticato l’italiano senza riuscire a imparare l’inglese); era facilissimo far finta che queste audaci imprese le avesse inventate YouTube, e che la commedia fondativa del carattere italiano contemporaneo, sessantun anni fa, non finisse proprio con Vittorio Gassman che correndo in macchina ammazzava Jean-Louis Trintignant per leggerezza e per esibizionismo.
Era facilissimo dire che avevano fatto una cosa molto brutta e che i giovani d’oggi non hanno proprio ideali (Gassman sì che aveva valori solidi, per non parlare di James Dean); era facilissimo indignarsi d’indignazioni astratte (contro la ricchezza facile, contro il mercato dei like: quelli che arrivano ai cretini che fanno le corse in macchina su YouTube, quelli che arrivano a noi che ci indigniamo sentendoci invece intelligenti); era facilissimo dire «quel bambino potrebbe essere mio figlio».
Quelli nel peschereccio in effetti sono a meno immediata identificazione: se Silvio fosse stato il tipo che telefonava ai suoi tg, avrebbe suggerito di mettere prima un bambino romano, la cui morte è infinitamente più straziante e immedesimabile di quelle di centinaia di bambini forestieri; per fortuna c’era Silvio in noi prima, e c’è anche ora che non c’è più Silvio in sé, e sappiamo da soli che gerarchia cliccabile dare alle notizie.
È stata una giornata istruttiva, per capire che non è mai esistito Berlusconi: è esistito ed esiste il carattere italiano, che poi forse è il carattere degli esseri umani mediocri ed esibizionisti che si accentua nell’epoca in cui ogni mediocre ha una telecamera nel telefono.
Esiste la predisposizione alle scorciatoie (non parlo dei ventenni che fanno i soldi su YouTube: parlo di noialtri che ci scegliamo sempre la causa più facilmente portatrice di cuoricini); esiste l’esibizionismo; esiste, in noi, il Bruno Cortona del Sorpasso, letale e megalomane in ogni scena, e assai più endemico e meno accidentale dei ragazzotti scemi di “Grease”, di “Gioventù bruciata”, di YouTube.
«Seguiamo i nostri ragazzi, ma è sbagliato “processare” youtube». Incidente mortale a Roma, parla Luca Poma, specialista in gestione di crisi e in digital strategy: «Il digitale è come un coltello da cucina: puoi utilizzarlo per tagliare il pane o per uccidere qualcuno». Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 15 giugno 2023
YouTuber in azione provocano un incidente mortale a Roma. È stato sintetizzato così il grave episodio accaduto ieri a Casal Palocco, dove un suv lanciato a forte velocità ha travolto un’auto con a bordo una giovane mamma con i due figli di tre e cinque anni. Quest’ultimo è deceduto per le gravi ferite riportate. Alla guida della grossa Lamborghini alcuni giovani Youtuber della piattaforma “Bordeline” con più di 600mila follower online. Erano intenti a filmare una “challenge”: stare al volante per cinquanta ore di seguito. L’utilizzo degli strumenti digitali e dei social network può essere demonizzato in relazione all’incidente di mercoledì scorso? Ne abbiamo parlato con Luca Poma, professore in Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, e specialista in gestione di crisi e in digital strategy. «Il digitale – dice al Dubbio Luca Poma - è come un coltello da cucina: puoi utilizzarlo per tagliare il pane o per uccidere qualcuno. Quindi, nuovamente, il tema è quello della cultura e, di conseguenza, dell’uso consapevole e ragionato dello strumento stesso».
Professor Poma, l’incidente mortale di Roma, provocato da un’auto di grossa cilindrata, ha subito fatto scattare la ferma condanna di YouTube e di chi produce contenuti per la famosa piattaforma. Una semplificazione, come succede spesso in occasione di alcune tragedie?
Purtroppo, sì. Il clamore mediatico che accompagna dolorosissime tragedie di questo tipo non aiuta certamente le analisi razionali. YouTube diventa quindi il brand famoso da mettere sul banco degli imputati, il capro espiatorio per condotte sconvenienti e pericolose che con gli algoritmi e la cibernetica non hanno nulla a che fare e che sono invece più banalmente attribuibili alle miserie di noi esseri umani.
Si fa presto a definire YouTuber quei soggetti che più che contenuti utili sono intenti, come nel caso di Casal Palocco, solo a collezionare like per i loro video. Serve anche una educazione per l’utilizzo delle piattaforme social?
Serve eccome, e stupisce che il ministero dell’Istruzione in tutti questi anni ancora non abbia provveduto, nonostante i numerosissimi solleciti in tal senso da parte della comunità accademica, come anche dei comunicatori professionisti. Occorrono urgentemente corsi di educazione digitale nelle scuole italiane. A tal riguardo faccio appello alla sensibilità del collega professor Giuseppe Valditara. Lo conobbi e apprezzai in occasione della pubblicazione di “Lettera 150”, il documento da lui coordinato nel quale si prendeva costruttivamente posizione sulla gestione non ottimale della pandemia Covid da parte del Governo Conte. Spero che il ministro prenda senza indugi l’iniziativa, colmando un gap che esiste da ormai troppi anni e che espone le nuove generazioni ad un uso non ragionato di quello straordinario strumento che sono i Social network.
Cosa dovrebbero fare, secondo lei, i social media per regolare e approvare la presenza di certi contenuti?
Dovrebbero fare certamente di più. Questo è un dibattito accesissimo tra gli addetti ai lavori: non è più tempo di alzare le mani al cielo dicendo «noi siamo solo piattaforme che ospitano contenuti, se i contenuti sono inappropriati è colpa del singolo utente». I social e, in generale, le piattaforme web macinano utili miliardari grazie a quei contenuti, non sono una terza parte estranea all’equazione, e quindi il ruolo dovrebbe essere rivisto. Le nuove direttive europee sul digitale stanno facendo passi avanti in tal senso, ma anche una iniziativa da parte della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con i ministeri competenti non sarebbe per nulla fuori luogo. L’Italia in passato è stata precursore si pensi, ad esempio, al dibattito e alle successive iniziative legislative sulla privacy. Perché non potremmo esserlo anche su queste delicate e attualissime tematiche?
Tragedie come quella di Roma rischiano ancora una volta di avviare inutili crociate contro le nuove forme di comunicazione che riguardano soprattutto giovani e giovanissimi?
Si, il rischio è evidente. Ma il digitale è come un coltello da cucina: puoi utilizzarlo per tagliare il pane o per uccidere qualcuno. Quindi, nuovamente, il tema è quello della cultura e, di conseguenza, dell’uso consapevole e ragionato dello strumento stesso. Non dobbiamo metterci il cappello dei luddisti e attaccare e demolire gli strumenti digitali, che hanno cambiato in meglio la nostra vita quotidiana in moltissimi modi, bensì porci il tema di educare i nostri ragazzi. In questo la famiglia ha un ruolo centrale, ma, ribadisco, le istituzioni devono far proprio il tema, sia per coinvolgere attivamente il mondo delle scuole, sia per obbligare le piattaforme ad essere più proattive nel far passare messaggi responsabilizzanti. Mi chiedo ad esempio: quante piattaforme social hanno attivi dei corsi di educazione digitale, rivolti ai giovani mediante tutorial e podcast? Il tempo del Far West online è finito. Ognuno deve fare la propria parte.
Estratto dell’articolo di Giuseppe Scarpa per “la Repubblica – edizione Roma” il 27 aprile 2023.
"Il filmato l'ho fatto io", ammette Adriano S. Il video che ritrae un uomo che sta morendo arso vivo, avvolto dalle fiamme a causa di un cortocircuito della sua auto sul Grande raccordo anulare, ora ha un autore.
Nessun soccorso. Mentre gira la clip, l'uomo commenta l'agonia del pittore Francesco Sandrelli, scomparso a 53 anni dopo un lungo ricovero in ospedale per le ustioni. "A zi hai pijato foco?... senti che callo mamma mia".
Quindi il filmato finisce sui social. Adesso Adriano s. è indagato per omissione di soccorso. Gli investigatori non stavano riuscendo ad identificarlo. Tuttavia lo stesso autore del video non ha resistito e su Facebook ha spiegato di essere lui il "videomaker" che ha immortalato la scena. Lo ha fatto commentando, a fine marzo, un articolo di giornale in cui si dava atto dell'indagine della procura per scovare il responsabile della clip.
Ecco il commento: "Lui (la vittima, ndr) non stava sdraiato in terra. Diciamo che era un situazione strana. Magari poteva fare qualche gesto strano e peggiorare le cose. E poi c'erano i carabinieri incolonnati in auto non lontano da me". Questa la sua versione. Chi ha letto il suo post, prima che lo rimuovesse, gli ha replicato in modo duro. Nel frattempo, però, gli investigatori erano già riusciti a individuarlo. […]
L'autore del video aveva acceso la telecamera da pochi secondi perché, da un centinaio di metri, aveva notato una colonna nera di fumo alzarsi verso il cielo. Ciò che vede quando sono a pochi metri dalla Volkswagen è impressionante: un uomo si è trasformato in una torcia umana. Il passeggero, imperturbabile, dice: "Questo lo mandiamo a Welcome to Favelas. Ma ha preso fuoco il signore. A zi hai pijato foco?.... . Senti che callo mamma mia". […]
Incidente a Fonte Nuova, a Roma: si ribalta una Fiat 500 nella notte, morti cinque ragazzi. Grave un 21enne. Rinaldo Frignani su Il Corriere della Sera il 27 Gennaio 2023.
Grave incidente questa notte alle porte di Roma. Le vittime avevano dai 17 ai 21 anni. Il fatto è avvenuto intorno alle 2.30 a Fonte Nuova su via Nomentana
Gravissimo incidente stradale in via Nomentana, a Fonte Nuova, Comune di 33 mila abitanti vicino a Mentana e Monterotondo nell’hinterland di Roma. Sul posto sono intervenuti vigili del fuoco e carabinieri. Una Fiat 500 con sei persone a bordo, per cause ancora da chiarire, si è ribaltata più volte. Nello schianto sono morti cinque giovani, compreso il conducente, alla cui madre è intestata la macchina, mentre un sesto ragazzo è stato trasportato all'ospedale Sant'Andrea. I carabinieri di Mentana sono intervenuti per i rilievi.
Secondo la prima ricostruzione dei militari intervenuti, intorno alle 2,30 la Fiat Cinquecento che andava in direzione Roma ha perso il controllo, si è ribaltata e è finita prima contro un piccolo albero, crollato per l'impatto, e poi su un palo della luce nei pressi dell’Ufficio Postale al centro della frazione. Alessio G., 21 anni, Flavia T., 17 anni, Valerio D. P, 21 anni, Giulia S. 17 anni, Simone R. 21 anni, sono morti sul colpo. Grave in ospedale un ventunenne, il sesto ragazzo a bordo dell'auto. Nel 2007 nella stessa zona altri 5 ragazzi morirono in un incidente, mentre nel 2014 lo scooter di Roberto De Amicis col figlio Cristian, di 7 anni, fu travolto da un'auto: il padre e il bambino, che tornavano dall'Olimpico dopo aver visto una partita della Roma, morirono sul colpo.
Incidente a Fonte Nuova in via Nomentana, si ribaltano con la Cinquecento: morti 5 ragazzi tra i 17 e i 21 anni. Gravissimo un sesto. Romina Marceca su La Repubblica il 27 Gennaio 2023.
È accaduto intorno alle 2,30 a Tor Lupara, frazione di Fonte Nuova alle porte di Roma. A perdere la vita sono stati tre ragazzi e due ragazze
Grave incidente intorno alle 2,30 alle porte di Roma. Cinque ragazzi sono morti dopo che Fiat 500 su cui viaggiavano si è ribaltata per la forte velocità. È accaduto a via Nomentana all'altezza del civico 611, a Tor Lupara, frazione di Fonte Nuova.
A bordo c'erano quattro ragazzi e due ragazze nati tra il 2001 e il 2006 secondo quanto riferiscono i Vigili del Fuoco. A perdere la vita sono stati tre ragazzi e due ragazze.
Un sesto ragazzo che era a bordo dell'auto e non avrebbe potuto, è stato trasportato in ospedale in codice rosso al Sant'Andrea. Secondo una prima valutazione a causare l'incidente sarebbe stata la velocità a cui viaggiava l'auto.
Morti cinque ragazzi, avevano tra i 17 e i 22 anni
Il più grande doveva compiere 22 anni, la più giovane non era ancor maggiorenne. Secondo le prime informazioni raccolte dal quotidiano Tiburno.Tv, Valerio Di Paolo, Alessio Guerrieri, Leonardo Chiapparelli e Simone Ramazzotti, 22 anni, romani di Tor Lupara, 17enni invece le due amiche Giulia Sclavo e Flavia Troisi. Ieri, giovedì 25 gennaio, Flavia aveva compiuto gli anni e forse la comitiva era stata a festeggiare l'evento.
Nell'impatto sono morti sul colpo Valerio Di Paolo, Alessio Guerrieri, Simone Ramazzotti e Flavia Troisi. Il cuore di Giulia Sclavo si è fermato all'alba al policlinico Umberto I di Roma, Leonardo Chiapparelli lotta per la vita all'ospedale Sant'Andrea. Le sue condizioni sono giudicate gravissime.
La dinamica dell'incidente in via Nomentana
Secondo le prime ricostruzioni l'automobile su cui viaggiavano i sei ragazzi, una 500 bianca, si sarebbe andata a schiantare prima contro un palo della luce situato in prossimità del bivio tra la strada provinciale Nomentana e via IX novembre, a pochi metri dall'ufficio postale di Fonte Nuova, poi contro un albero, prima di ribaltarsi diverse volte lungo l'asfalto.
L'automobile è stata posta sotto sequestro dalla procura di Tivoli, mentre la strada è rimasta chiusa in entrambi i sensi di marcia per diverse ore, per consentire ai soccorritori di effettuare le operazioni di rito. Sul luogo dell'incidente, oltre al personale del 118, anche i Carabinieri della Stazione Mentana e della Compagnia di Monterotondo.
Procura Tivoli apre fascicolo per omicidio stradale
La procura di Tivoli ha aperto un fascicolo per omicidio stradale in relazione all'incidente stradale con 5 vittime, tutti giovani tra 17 e 22 anni, avvenuto questa notte a Fonte Nuova, a pochi chilometri da Roma. L'indagine, al
Estratto dell’articolo di Valentina Lupia per repubblica.it il 27 gennaio 2023.
[…] Nell'impatto sono morti sul colpo Valerio Di Paolo, 21 anni come Simone Ramazzotti e Alessio Guerrieri, e Flavia Troisi, 17 anni appena compiuti. Il cuore di Giulia Sclavo, 18enne, si è fermato all'alba al policlinico Umberto I di Roma, Leonardo Chiapparelli, 22enne, è ricoverato all'ospedale Sant'Andrea, salvo.
[…] Alessio Guerrieri aveva 21 anni, era nato a Tor Lupara, era un giovane calciatore (ha anche giocato con Leonardo Chiapparelli) […] Studiava Architettura all'università di Tor Vegata, era appassionato di architettura d'interni. […]
Simone Ramazzotti, studiava Fisioterapia, anche lui a Tor Vergata, cugino di Alessio, erano cresciuti insieme. "Sei come un fratello", "più che un cugino sei sempre stato un fratello maggiore", si scrivevano sui social dove ci sono le loro foto da bambini. […]
Valerio Di Paolo, 21 anni di Tor Lupara, faceva kick boxing. Era alla guida, la macchina dell'incidente era intestata alla madre.
Proprio in quello stesso punto, nel 2007 sono morti cinque ragazzi. Dopo la rotonda, c'è una targa commemorativa. Ma i residenti non avevano mai dimenticato.
Strage di ragazzi a Fonte Nuova, nei video l'auto che corre a folle velocità: «Otto secondi per fare 900 metri». Leo, il sopravvissuto: «Non ricordo nulla». Rinaldo Frignani ed Edoardo Iacolucci su Il Corriere della Sera il 28 Gennaio 2023.
I carabinieri della compagnia di Monterotondo hanno analizzato le immagini della videosorveglianza cittadina. Acquisiti i telefonini dei sei ragazzi sulla Cinquecento. I testimoni: «Quella macchina è passata più volte»
Nei filmati delle telecamere di vigilanza che sorvegliano Fonte Nuova, Comune alle porte di Roma, la Fiat Cinquecento guidata (presumibilmente) da Valerio Di Paolo, 21 anni, appassionato di calcio e kick boxing, è un lampo bianco nella notte. Gli impianti video faticano a metterla a fuoco nei circa 1.800 metri che separano il «Dk33» di via Nomentana, locale cult della movida a nord di Roma, oltre il Raccordo anulare, e il punto in cui, al civico 611, l’utilitaria si è schiantata alle 2.30 della notte di giovedì, prima contro un lampione, quindi contro un albero, concludendo la sua carambola al centro della carreggiata, ribaltata su un fianco.
La conferma che, come spiegano i carabinieri della compagnia di Monterotondo, coordinati dal procuratore capo di Tivoli Francesco Menditto, chi guidava l’utilitaria stava percorrendo «quella strada a velocità elevata prima di perdere il controllo dell’auto». A bordo della vettura, intestata alla madre di Di Paolo, oltre al ragazzo, c’erano i suoi amici di sempre: Alessio Guerrieri e Simone Ramazzotti, cugini 21enni e calciatori del Tor Lupara, come anche Leonardo Chiapparelli (21), con la fidanzata Flavia Troisi e l’amica Giulia Sclavo, entrambe di 17 anni. Nell’alba di sangue a Fonte Nuova, identica a quella del 19 maggio 2007, quando a poche centinaia di metri morirono altri cinque ragazzi (il 31 gennaio 2011 altri tre poco lontano), si è salvato solo Chiapparelli, ricoverato all’ospedale Sant’Andrea in prognosi riservata. Tutti gli altri sono morti.
«Leo» non sarebbe in pericolo di vita, ieri ha parlato con la madre e con uno psicologo. Ha saputo che i suoi amici non ci sono più e presto potrebbe essere sentito anche dai carabinieri che lo ritengono un prezioso testimone di quello che è successo sulla Cinquecento, omologata per quattro passeggeri, sulla quale invece viaggiavano in sei. Il 21enne avrebbe detto solo: «Non ricordo nulla».
Dai video, acquisiti dai militari dell’Arma, è emerso che la Cinquecento avrebbe percorso 900 metri in otto secondi, prima della rotatoria Ballotti su via Nomentana che porta al luogo dell’incidente, dove le telecamere sono alimentate con batterie solari e quindi in funzione solo di giorno. Quindi a oltre 110 chilometri orari invece che a 50, se le perizie disposte dalla procura - che indaga contro ignoti per omicidio stradale - dovessero confermarlo. Si attendono gli esiti delle autopsie e degli esami tossicologici, così come di quelli sui telefonini dei ragazzi.
Ma chi guidava, secondo gli accertamenti investigativi, andava ben oltre il limite di velocità e probabilmente a bordo non tutti avevano le cinture di sicurezza allacciate: i quattro ragazzi seduti dietro sono stati sbalzati fuori dall’abitacolo nel ripetuto cappottamento della Cinquecento a causa della rottura del tettuccio. Gli altri due sono stati estratti dai vigili del fuoco. L’auto era distrutta, senza la ruota anteriore destra che avrebbe colpito il marciapiede di via Nomentana all’uscita di un curvone, preso troppo forte, che ha catapultato via la Cinquecento. Secondo alcuni residenti, sentiti dai carabinieri, non era la prima volta che nella notte di giovedì quell’auto passava da quelle parti. E sembra sempre oltre il limite di velocità cittadino.
I sei ragazzi erano usciti per brindare a Flavia nel bar di fronte al «Dk33», dove la 17enne lavorava con la madre. Le ultime foto della serata di allegria trovate sui telefonini dei ragazzi e postate agli amici sono state scattate lì dove poi sono rimasti la giovane festeggiata con il fidanzato. Gli altri quattro avevano attraversato la strada per recarsi dall’altra parte della strada: il locale notturno era affollato da oltre 300 persone, il parcheggio pieno, come i marciapiedi esterni. Perché Flavia e Leonardo siano saliti con loro sulla Cinquecento rimane un mistero. Così come il motivo dei ripetuti giri su via Nomentana prima dello schianto sui quali indagano i carabinieri. «Il giorno dei funerali sarà lutto cittadino, questo è un dolore che Fonte Nuova già conosce», annuncia il sindaco Piero Presutti. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri conferma l’impegno «affinché non si corra sulle strade», mentre Eleonora Mattia, presidente della Commissione politiche giovanili della Regione Lazio, chiede «misure sui social che incitano a bravate alla guida».
Estratto dell’articolo di Romina Marceca per "la Repubblica" il 28 gennaio 2023.
La strada aggredita come un circuito di Formula 1, il gioco al volante per bruciare i tempi tra una rotonda e l’altra. Una sfida che spegne i sorrisi di cinque amiche e amici. Accettare quest’ipotesi per l’incidente che ha stroncato le vite di una comitiva di Fonte Nuova, Comune a mezz’ora da Roma, è doloroso. Ma in fondo a una giornata di lacrime, rilievi, testimonianze e video passati al setaccio, è quella che i carabinieri bollano come la più credibile. Adesso si spera per il sesto ragazzo che era dentro una Cinquecento omologata per quattro e diventata una trappola.
«Ho visto dal balcone l’auto schizzare per due volte davanti casa mia avanti e indietro in pochi secondi dalle due rotatorie qui vicino. Poi quel boato terribile. Tre corpi sono stati sbalzati fuori, sull’asfalto. Uno era di una ragazza», è il racconto che il testimone chiave consegna agli inquirenti pochi minuti dopo l’impatto che ha fatto dichiarare al sindaco il lutto cittadino.
Valerio Di Paolo, Alessio Guerrieri, Simone Ramazzotti, Giulia Sclavo, Flavia Troisi avevano dai 21 ai 17 anni. Si conoscevano da bambini, Simone e Alessio erano cugini e si chiamavano «fratello» l’un l’altro. Giovedì erano insieme in un locale per festeggiare i 17 anni di Flavia. Con loro anche Leonardo Chiapparelli, ricoverato in prognosi riservata in ospedale. […]
La pista per la 500 guidata da Valerio Di Paolo, carrozziere felice di riparare auto accanto al padre, è stata via Nomentana. […] La macchina, intorno alle 2,30 di giovedì notte, è arrivata da una curva. Valerio ha perso il controllo, l’auto è salita sul marciapiede a una velocità di oltre 80 chilometri orari e in un tratto dove il limite è di 30. L’impatto contro un palo dell’illuminazione e un albero, diventato trampolino di lancio, sono stati fatali.
L’auto è diventata una palla impazzita che è rotolata per una ventina di metri. «La massa eccessiva dentro l’abitacolo è stata la condanna — spiega un investigatore mentre guarda la sabbia che sull’asfalto maschera la tragedia —. Se in quell’auto ci fosse stato il giusto numero di occupanti, molto probabilmente non sarebbe finita così». […]
In sei sull'auto a cento all'ora. Il dosso, lo schianto e la strage. La 500 ripresa da un autovelox prima dell'incidente. Solo in due con le cinture, tre sbalzati fuori. C'è un superstite. Stefano Vladovich il 28 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Roma. In sei su un'auto, perdono il controllo e si schiantano contro un platano. Cinque ragazzi tra i 17 e i 22 anni morti, sbalzati fuori da una Fiat 500, mentre un sesto lotta fra la vita e la morte.
Hanno fatto tutto da soli Valerio Di Paolo, Alessio Guerrieri, Simone Ramazzotti, Leonardo Chiapparelli, tutti 22enni, Giulia Sclavo, 18 anni, e Flavia Troisi, 17 anni appena compiuti, finiti prima contro un palo della luce contro un albero dopo aver carambolato più volte sulla strada principale di Fonte Nuova, frazione di Tor Lupara, lungo la via Nomentana alle porte di Roma. Quattro muoiono sul colpo, Leonardo, l'unico sopravvissuto, è in coma all'ospedale Sant'Andrea mentre Giulia, trasportata al policlinico Umberto I, muore pochi minuti dopo.
Doveva esser una serata speciale, il gruppo di amici si era riunito per festeggiare il 17esimo compleanno di Flavia, la più piccola. La velocità, l'auto stracarica di gente oltre il limite consentito, quei dossi maledetti che dovrebbero servire a rallentare e l'alcol hanno fatto il resto. Sono passate le 2,30 di ieri quando arrivano le prime segnalazioni della tragedia al 112. «È stato un impatto terribile» raccontano gli abitanti svegliati dallo schianto dell'utilitaria e accorsi in strada. I sei sono appena usciti da un locale del paese dove hanno cenato e bevuto, vogliono continuare la serata nella capitale. «Tanto dobbiamo portare a casa Leonardo» avranno pensato, l'unico di Colleverde, Guidonia di Montecelio. La macchina, però, è una sola, quella che la mamma di Valerio di solito presta al figlio per uscire la sera.
Di Paolo, si presume, alla guida, quattro sui sedili di dietro, due ragazze e due maschi. Il sesto accanto al guidatore. Niente cinture, probabilmente solo i due sui sedili anteriori. L'auto accelera, supera l'autovelox fisso a più di 100 all'ora, oltrepassa la parrocchia e il curvone. All'altezza dell'Ufficio postale, davanti al civico 609 della consolare, il dramma. La 500 perde aderenza, Valerio non ha più il controllo sul volante, cerca disperatamente di rimettersi in carreggiata ma l'auto, dopo qualche sgommata sull'asfalto viscido per l'umidità, si rovescia.
Abbatte il palo dell'Enel e comincia una serie drammatica di capovolte su sé stessa. Tre dei sei ragazzi vengono catapultati sull'asfalto, altri tre rimangono intrappolati fra le lamiere. Quando arrivano i carabinieri si ipotizza che la sesta vittima possa essere un pedone che attraversava la strada. Ma le telecamere di vigilanza chiariscono ogni dubbio. «Nessun'altra auto o persona oltre ai sei coinvolta nel sinistro» scrivono sull'informativa inviata in Procura. Pensare che a meno di un chilometro e mezzo, nel centro abitato, in seguito ad altri terribili incidenti viene installato un autovelox. Ma i sei non se ne sono nemmeno accorti. «Registra ben 250 infrazioni al giorno» commenta il tenente colonnello dei carabinieri Gianfranco Albanese, comandante di Monterotondo.
Tocca ai Vigili del fuoco della squadra VI A aprire l'auto con il divaricatore ed estrarre i corpi. Giulia è grave ma ancora viva e viene caricata su un'ambulanza diretta a Roma. Ci arriverà, praticamente morta mentre Leonardo finisce in Terapia intensiva. «Condizioni gravissime per trauma cranico e lesione di organi vitali» commentano i sanitari. Fino al mattino i rilievi dei carabinieri di Mentana, Monterotondo e Nerola per chiarire la dinamica dell'ennesimo dramma su quel tratto di strada. La Procura di Tivoli ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio stradale plurimo e disposto l'autopsia delle cinque vittime nonché l'esame tossicologico. L'incarico verrà affidato questa mattina all'Istituto di Medicina Legale de La Sapienza. Quasi una formalità, ma necessaria per stabilire le responsabilità civili.
Estratto dell’articolo di Camilla Mozzetti per "Il Messaggero" il 29 gennaio 2023.
Correva quell'auto con i sei ragazzi a bordo, ignari del destino che li attendeva. La Fiat 500 viaggiava almeno al doppio della velocità consentita su quel tratto della via Nomentana che attraversa il Comune di Fonte Nuova. Servirà ora una perizia tecnica ma le analisi primarie dei due video acquisiti dai carabinieri della Compagnia di Monterotondo, su delega della Procura di Tivoli, lasciano pochi margini di dubbio: il tachimetro segnava almeno 100 chilometri orari a fronte dei 50 consentiti per un centro abitato.
[…]
Dei viaggiatori sono morti in cinque, Valerio Di Paolo, Alessio Guerrieri, Simone Ramazzotti - tutti del 2001 - e le due 17enni, Flavia Troisi e Giulia Sclavo. L'unico superstite della strage è Leonardo Chiapparelli, 21 anni, ricoverato in Terapia intensiva al policlinico romano Sant'Andrea. Il ragazzo è sotto choc, sia per i postumi dell'incidente sia per aver saputo di aver perso tutti i suoi amici. «Mi hanno lasciato solo», si è sfogato con medici e parenti. Di quella notte nessuno gli ha ancora chiesto nulla, gli inquirenti sono accorti e aspetteranno sicuramente le sue dimissioni prima di ascoltarlo.
[…]
Immatricolata meno di dieci anni fa, sulla 500, Mario Troisi, papà di Flavia, ha ipotizzato un guasto, qualcosa che possa aver concausato l'incidente perché la figlia se faceva tardi e chi era con lei «aveva alzato il gomito, si faceva venire a prendere, non andava in auto con altri se non con chi si fidava». La Procura di Tivoli ha sequestrato il mezzo e come puntualizza sempre il procuratore «si farà più del 100 per cento per accertare ogni aspetto». Nei prossimi giorni verranno dunque quasi certamente disposte delle perizie sul mezzo. […]
Incidente a Fonte Nuova, la mamma di Flavia: «Era seria, creativa, con la testa sulle spalle. Ora come farò senza di lei?» Edoardo Iacolucci su Il Corriere della Sera il 30 Gennaio 2023.
Il dolore di uno dei genitori dopo la morte nello schianto della figlia e dei cinque amici a Fonte Nuova
«Flavia ha lasciato dentro di me un vuoto enorme, adesso come farò?»: Roberta D’Ottavi, la mamma di Flavia Troisi, 17 anni, parla per la prima volta dopo la morte della figlia nella notte tra venerdì e sabato con i suoi quattro amici del cuore a Fonte Nuova.
Come ha saputo dell’incidente? «Mia figlia era andata in questo ristorante vicino casa, a 5 minuti, e poco dopo le 2 mi ha scritto che si era fermata a prendere le sigarette e sarebbe tornata a casa. La voce era tranquilla. Ma poi non la vedevo tornare. La chiamavo ma il telefono le si era scaricato e ho chiamato Valerio, l’unico che conoscevo bene. Neanche lui rispondeva e mi sono preoccupata. Sono uscita nella notte per Fonte Nuova a cercarla, fino all’arrivo in via Nomentana. Ho visto la macchina ribaltata e la mia Flavia lì. Nessuno dovrebbe provare questo dolore, nessuna persona è programmata per sopravvivere ai propri figli. Io tirerò avanti anche per le altre tre figlie, ci faremo forza insieme».
Secondo lei com’è andata? «Non lo so. Può anche essere un colpo di sonno, un difetto dell’auto, non so. Mia figlia non sarebbe mai andata in macchina con chi non fosse stato in grado di guidare. Era una ragazza con la testa sulle spalle: una sera era uscita e si era accorta che chi guidava aveva bevuto, mi ha subito chiamata e si è fatta venire a prendere da me. Poi guidava Valerio, un ragazzo d’oro. Si conoscevano da sempre. Per lei era una persona speciale. Ho letto che Flavia era fidanzata con Leonardo ma non mi risulta. Semmai era Valerio che provava qualcosa per lei. Era una ragazza estroversa, ma anche timida: una volta lui si era dichiarato e per timidezza lei non è riuscita a parlargli per un mese. Era tanto piccola che non aveva ancora conosciuto l’amore».
Lavorava con lei al bar Mood? «Sì, io ho fatto per anni l’operatrice del 118, e ora sono la direttrice. Flavia aveva abbandonato la scuola dopo aver perso l’anno durante il Covid, poi quando è finita la pandemia ha deciso di lasciare perché un po’ le scocciava di andare in classe con ragazzi più piccoli di lei. Era venuta a lavorare qui con me, seriamente, come sempre. Aveva il progetto di finire la scuola diplomandosi in una scuola serale, a cui si può accedere solo dopo i 18 anni. Lei ne aveva appena compiuti 17. Qui dentro ancora è appesa la scritta “happy birthday”. Era creativa, anche al bar: si era inventata una bevanda analcolica con arancia rossa pesca e granita. A strati, colorata, bellissima come lei».
Estratto dell'articolo di Alberto Pinna per corriere.it domenica 10 settembre 2023.
Avevano trascorso la notte in un locale per divertirsi ma poco dopo, rientrando a casa, hanno perso la vita: quattro morti, due ragazzi e due ragazze, tra i 18 e i 20 anni, e due feriti, che viaggiavano con loro. In sei su un’auto. È pesantissimo il bilancio dell’incidente stradale avvenuto poco dopo le 5 di questa mattina, domenica 10 settembre, a Cagliari. La Procura ha aperto un’inchiesta. La pm Rossana Allieri ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di omicidio stradale plurimo. All’origine dello schianto probabilmente l’alta velocità.
Le vittime sono Najibe Zaher, 19 anni, di Selargius (hinterland di Cagliari). Studentessa che stava per iscriversi all’università, era figlia unica di Omar Zaher, immigrato palestinese arrivato giovanissimo a Cagliari, biologo, attuale consigliere comunale a Selargius e per anni consigliere provinciale. Giorgia Banchero, 20 di Cagliari, Simone Picci, 18 anni, di Cagliari, Alessandro Sanna, 19 anni, di Assemini, che probabilmente era alla guida. Le salme sono state portate al cimitero San Michele di Cagliari.
La compagnia era stata a ballare in un locale vicino alla spiaggia del Poetto. L’incidente è accaduto in viale Marconi, in direzione di Quartu Sant’Elena. I ragazzi viaggiavano a bordo di una Ford Fiesta che, a causa dell’alta velocità, forse oltre i 100 chilometri orari, avrebbe urtato un cordolo all’altezza del cavalcavia dell’Asse mediano per evitare di imboccare una strada contromano. Il veicolo ha finito la corsa contro il muretto di un’abitazione.
L'urto contro il marciapiede, il volo, lo schianto: morti 4 giovani a Cagliari, due feriti. L'incidente è avvenuto poco dopo le 5 di domenica 10 settembre. I sei viaggiavano a bordo di un'auto che si è ribaltata. I giovani che hanno perso la vita hanno tra i 18 e i 20 anni. Rosa Scognamiglio il 10 Settembre 2023 su Il Giornale.
Quattro giovani, due ragazzi e due ragazze, sono morti in un incidente stradale avvenuto poco dopo le ore 5 di questa mattina, domenica 10 settembre, a Cagliari. Le vittime avevano tutte tra i 19 e i 24 anni. Altri due coetanei, scampati miracolosamente al tragico impatto, sono stati trasportati in codice rosso all'ospedale. Nel corso della giornata la procura di Cagliari ha aperto una inchiesta per omicidio stradale plurimo sull'incidente. Il procedimento è stato assegnato alla pm Rossana Allieri cui spetta accertare la dinamica dei fatti. Fra le cause ipotizzate, c'è quella dell'elevata velocità cui viaggiava l'auto. Il conducente è una delle quattro vittime.
L'incidente
La dinamica non è ancora chiara, i giovani stavano rientrando a casa dopo una notte in discoteca. Stando a quanto apprende l'Ansa, l'incidente è avvenuto in viale Marconi, in direzione Quartu Sant'Elena. I sei ragazzi viaggiavano tutti a bordo di una Ford Fiesta che, per cause non accertate, ha impattato contro un marciapiede all'altezza del cavalcavia dell'Asse Mediano, finendo per ribaltarsi. A quanto emerso, l'auto si trovava nella corsia riservata agli autobus. Quattro ragazzi sono stati sbalzati all'esterno dell'abitacolo, due sono morti sul colpo. Sul posto sono intervenute le ambulanze del 118, i vigili del fuoco e la polizia municipale di Cagliari.
Chi sono le vittime
Le vittime sono state tutte identificate. Si tratta di Najibe Zaher, vent'anni compiuti lo scorso febbraio, figlia del consigliere comunale del Pd di Selargius, Omar Zaher, Alessandro Sanna, 19 anni, di Assemini, Simone Picci, 20 anni, e Giorgia Banchero, 24 anni, entrambi di Cagliari. I due superstiti - Alessandro Sainas, 19 anni, e Manuel Incostante, coetaneo - sono stati trasferiti in codice rosso al Brotzu e al Policlinico. Uno ha riportato profonde lesioni al volto ma non è in pericolo di vita. La polizia sta procedendo alla rimozione del veicolo incidentato dall'asfalto e all'estrazione dei cadaveri dalla carcassa dell'auto.
Salvini: "Parlamento approvi la nuova legge"
"Tragedie terribili e ingiuste che da genitore vorresti non sentire mai. Mi stringo con commozione alle famiglie, unendomi nella preghiera per i quattro ragazzi scomparsi e per le altre due persone che ancora stanno lottando per la vita", ha scritto su Instagram, il vicepremier e ministro dei trasporti e delle infrastrutture, Matteo Salvini, commentando l'incidente avvenuto questa mattina. "Ci auguriamo che il Parlamento approvi il prima possibile la nostra nuova legge sulla sicurezza stradale. - ha poi concluso - Ridurre i rischi e salvare vite deve essere una priorità per tutti".
Gli incidenti stradali nel 2023
Sono oltre 600 le vittime sulle strade italiane nei weekend dall'inizio del 2023. Secondo i dati diffusi dall'Asaps, l'Associazione sostenitori della polizia stradale, nel primo fine settimana di settembre sono morti 8 automobilisti, 17 motociclisti e 2 ciclisti. Due invece gli incidenti plurimortali con le vittime più giovani di 18 anni e la più anziana di di 85 (i dati non includono la tragedia avvenuta a Cagliari). Le regioni dove si registrano più incidenti mortali sono: Lazio, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Campania.
"Due botti e poi l'inferno". La testimonianza sull'incidente di Cagliari. Simone Pes è corso in strada dopo aver sentito due botti fortissimi: "La macchina ha sbattuto contro il mio muretto". Ecco la prima dinamica dell'incidente. Alessandro Ferro il 10 Settembre 2023 su Il Giornale.
Rimangono ancora da chiarire le cause che hanno portato alla tragedia dell'alba di domenica 10 settembre con l'incidente stradale su viale Marconi, a Cagliari, dove hanno perso la vita quattro giovanissimi tra i 19 e 24 anni e altri due coetanei trasferiti in codice rosso in ospedale. Di sicuro, quando mancavano pochi minuti alle 5 del mattino, il proprietario dell'abitazione dove si è andata a schiantare la Ford Fiesta con a bordo i ragazzi ha avvertito due botti fortissimi.
Cosa è successo
"Ho subito pensato ad un incidente, quando sono uscito ho visto cosa era successo e c’erano due ragazzi che avevano assistito al sinistro", ha affermato Simone Pes ai media locali. "La macchina ha sbattuto contro il mio muretto", ha sottolineato. Il punto esatto dove è avvenuto l'incidente è una piccola parte del muretto accanto che si trova davanti al cancello di ingresso del proprietario della casa, sul lato del marciapiede e della corsia riservata a taxi e autobus ma che all'alba si è trasformata in una scia di sangue e morte.
Le ipotesi sull'incidente
Tra le ipotesi che si accavallano in queste ore prende piede l'errore di corsia da parte del guidatore anche se non si comprende come sia stato possibile: forse l'elevata velocità ma anche una distrazione fatale che ha fatto sbandare l'auto fino a farla sbattere contro il muretto antistante l'abitazione. Il mezzo si è poi ribaltato più volte tanto che i soccorritori si sono visti davanti agli occhi una scena incredibile composto da un ammasso di lamiere.
"Dolore straziante"
"Ogni giorno la vita ci mette alla prova. Ci regala talvolta gioie e altre volte dolori. Oggi le ho vissute entrambe. Da uomo, da padre e da sindaco", ha scritto su Facebook il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, che ha commentato l'incidente mortale che ha portato alla morte di quattro giovanissime vite. "È tutto il giorno che penso al matrimonio Selargino, una festa particolarmente sentita dalle nostre comunità. Alla gioia di due ragazzi che si sposano, a una famiglia che nasce, alla speranza nel futuro. Allo stesso tempo penso al dolore straziante per la perdita di quattro ragazzi, quattro giovani con meno di 25 anni, che l'appuntamento con il futuro, il loro futuro, l'hanno tragicamente mancato... e più ci penso, più mi dico: è la vita, la nostra vita. Tra gioie e dolori. Dobbiamo fare di tutto per viverla al meglio". Alla fine del post si rivolge ai familiari, abbracciandoli idealmente, "nella speranza che la vita, questa incredibile vita che abbiamo avuto in dono, possa un giorno lenire il loro dolore". Alessandro Ferro
Tragedia in auto all'alba: chi sono i 4 ragazzini morti a Cagliari. L'alta velocità, la sbandata e la carambola: così sono morti i quattro giovanissimi dell'incidente dell'alba a Cagliari. Francesca Galici il 10 Settembre 2023 su Il Giornale.
Poco prima dell'alba, lo schianto fatale. È così che sono morti 4 giovanissimi cagliaritani tutti più o meno 20enni, mentre rientravano a casa da una serata trascorsa nei locali sul lungomare. Najibe Zaher, 19 anni di Selargius, Alessandro Sanna, 19 anni di Assemini, Simone Picci 20 anni di Cagliari, e Giorgia Banchero, 24 anni di Cagliari, sono morti a causa di un incidente verificatosi in viale Marconi, lunga arteria stradale che collega i due centri di Cagliari e Quartu Sant'Elena. A bordo c'erano anche altri due ragazzi, Alessandro Sainas e Manuel Incostante, entrambi 19enni di Cagliari. Uno dei due ha riportato solo traumi al volto e non è in pericolo di vita. Più grave l'altro, ricoverato in prognosi riservata all'ospedale San Michele del capoluogo sardo.
L'urto contro il marciapiede, il volo, lo schianto: morti 4 giovani a Cagliari, due feriti gravi
Un lungo rettilineo d'asfalto che troppe volte ha visto incidenti simili, spesso a causa dell'alta velocità. Ed è forse questa una delle concause che ha portato la Ford Fiesta a perdere aderenza con il manto stradale. Secondo una prima ricostruzione, infatti, pare che i giovani, che viaggiavano in sei sulla piccola utilitaria, stessero viaggiando a velocità sostenuta lungo viale Marconi dopo aver trascorso una serata nei locali del Poetto, la spiaggia cittadina, un fine estate come tanti altri nel capoluogo sardo per moltissimi giovani. Probabilmente, avevano percorso quella strada centinaia di altre volte, come tutti i cagliaritani, ma questa volta è stata fatale. In base a una prima ricostruzione riportata da L'Unione Sarda, infatti, la vettura ha improvvisamente sbandato verso destra all'altezza del cavalcavia dell'Asse mediano.
Per gli investigatori, è probabile che quel movimento improvviso sia stato causato da una manovra improvvisa del conducente quando si è reso conto di aver imboccato la strada contromano. A quel punto l'auto è diventata ingovernabile, anche a causa dello sbilanciamento causato dalla persona in più a bordo. Dopo la sbandata, l'auto ha colpito il cordolo di un marciapiede sulla destra, quindi ha impattato contro il muro di un'abitazione e con una carambola, dopo aver preso velocità sulla rampa di un'abitazione, si è ribaltata più volte sull'asfalto.
Ci sono volute diverse ore per rimuovere i corpi senza vita dei giovani dall'asfalto. Zaher e Sanna sarebbero rimasti intrappolati senza vita all'interno dell'abitacolo mentre gli altri quattro sono stati sbalzati fuori dall'auto e scaraventati a una distanza di diversi metri dal veicolo. È in corso l'analisi delle numerose telecamere di sorveglianza della zona per cristallizzare la prima ipotesi di dinamica. Non ci sono altre auto coinvolte nell'incidente. Francesca Galici
Cagliari, 7 anni fa l'incidente "fotocopia": lo schianto nello stesso punto in cui morirono 3 giovani. Quella volta, quasi alla stessa ora, l'auto si era cappottata più volte allo svincolo di Is Pontis Paris. Tra le vittime di allora, anche un minorenne. Linda Marino il 10 Settembre 2023 su Il Giornale.
Sei anni fa, il 17 settembre del 2016, nello stesso viale Marconi di Cagliari, in cui questa mattina, poco prima dell'alba, quattro giovani tra i 18 e i 20 anni hanno perso la vita e due sono rimaste ferite in modo grave, c'era stato un incidente molto simile.
In quell'occasione, il sinistro 'fotocopia' era avvenuto alle 4 della mattina e aveva fatto perdere la vita a tre giovani tra i 17 e i 26 anni, mentre altri due erano rimasti gravemente feriti. L'auto su cui viaggiavano, una Golf Wolksvagen, si era ribaltata più volte per poi concludere la corsa sul guard rail. Secondo la ricostruzione dell'incidente, quella notte di sette anni fa, l’auto con i cinque ragazzi a bordo stava percorrendo viale Marconi, quando il conducente aveva perso il controllo finché la vettura si era cappottata più volte e aveva perso il motore. Anche quella volta, l’incidente avvenne allo svincolo di Is Pontis Paris, tra Cagliari, Quartu, Monserrato e Selargius. Sul posto erano interventuti immediatamente i soccorsi del 118 e quelli della polizia municipale con i vigili del fuoco, ma per i tre ragazzi non c'era stato niente da fare. Le vittime erano Davide Giunchini, 26 anni, di Sinnai, Manuelina Olla, 21 anni, di Quartu Sant'Elena e una sua amica di 17 anni, Anna Maria Perra. Alla guida c'era un giovane di 26 anni, A.P. di Maracalagonis, rimasto ferito. Ferita anche la quarta passeggera, una ragazza di Quartu Sant'Elena che non aveva ancora compiuto 15 anni. Quanto al tragico schianto di questa mattina alle 5, hanno perso la vita Najibe Lavinia Zaher, 19 anni, figlia di Omar Zaher, consigliere comunale di Selargius, hinterland di Cagliari; Alessandro Francesco Sanna, 19 anni di Assemini; Simone Picci, 20 anni di Cagliari e Giorgia Banchero, 24 anni di Assemini.
Le analogie tra i due drammatici incidenti sono diverse. L’ora e il luogo in cui sono avvenuti sono pressoché uguali. Inoltre, anche quei ragazzi, come quelli che hanno perso la vita questa mattina poco prima dell’alba, tornavano da una nottata trascorsa in un locale. La comitiva dei sei ragazzi, ieri sera era stata a ballare in un locale vicino alla spiaggia del Poetto. La polizia locale sta ancora lavorando per ricostruire la dinamica del sinistro. Le comunità locali sono sotto choc, mentre amici e parenti si stanno stringendo attorno ai familiari delle giovani vittime.
Il suv bloccato dopo poche centinaia di metri: nessun incidente, per fortuna. In retromarcia sulla tangenziale di Napoli, la follia ripresa in un video: “Dovevo fare benzina…” Redazione su Il Riformista l'11 Settembre 2023
Un miracolo. L’ennesimo verrebbe da dire. Una nuova tragedia sfiorata, alimentata dalla follia umana e nel caso specifico dal conducente di un suv che nella mattinata di domenica 10 settembre ha deciso di percorrere contromano la tangenziale di Napoli, adeguandosi però al senso di marcia delle altre vetture e quindi procedendo in retromarcia. Il video, girato da più di un’automobilista, è ha iniziato a circolare poco dopo le 13.30 e nel giro di poche ore è diventato virale sui social, a partire da TikTok.
Dagli accertamenti successivi della polizia stradale, sottosezione Fuorigrotta, è emerso che l’uomo aveva deciso di percorrere contromano e in retromarcia la tangenziale di Napoli, nel tratto compreso tra corso Malta e Capodimonte (in direzione Pozzuoli), perché voleva fare rifornimento e temeva di non trovare altri distributori lungo la strada, manco fosse nel deserto. Da qui la decisione di tornare indietro e percorrere circa 4 km per arrivare alla stazione di servizio di Capodimonte.
Fondamentale l’intervento delle vetture d’emergenza della società autostradale, che hanno bloccato dopo poche centinaia di metri l’auto che procedeva, per fortuna, non nella corsia di sorpasso né in quella centrale. Allertati dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti lungo l’asse viario a pagamento, i tecnici della società autostrada sono prontamente intervenuti. Non si segnalano per fortuna incidenti durante la folle manovra del conducente del suv la cui posizione è al vaglio dell’autorità giudiziaria, che coordina le indagini condotte dalla polizia stradale.
In retromarcia in tangenziale a Napoli, identificate tre persone. I fatti sono accaduti questo fine settimana. Il lavoro della Polizia stradale che ha individuato tre uomini di origini rumene: "Stava finendo la benzina ed eravamo diretti all'area di servizio più vicina". Redazione Web su L'Unità l'11 Settembre 2023
Il video pubblicato questo fine settimana sui social è diventato presto virale. Le immagini riprese da una persona in motocicletta hanno mostrato un suv che andava in retromarcia in tangenziale a Napoli. I fatti sono avvenuti nel tratto tra il Vomero e Fuorigrotta, rispettivamente quartieri collinare e dell’area occidentale del capoluogo campano. Secondo quanto riportato da Il Corriere del Mezzogiorno, la targa della vettura era in realtà corrispondente ad un altro veicolo.
Chi è andato in retromarcia in tangenziale a Napoli e perché
Dopo ulteriori accertamenti eseguiti dagli agenti della Polizia stradale, è emerso che a bordo del suv ‘incriminato’ ci fossero tre persone. Tutte straniere, di origine rumena. Una volta identificate e individuate, ascoltati dalle forze dell’ordine, avrebbero dichiarato: “La benzina stava finendo ed eravamo diretti all’area di servizio più vicina“. Una giustificazione che non ha convinto i poliziotti. Le indagini erano già scattate nel momento in cui le telecamere di video sorveglianza della tangenziale avevano ripreso la macchina che andava contromano.
La polemica
Intanto, il Deputato Francesco Emilio Borrelli ha denunciato il fatto che non sono stati presi seri provvedimenti contro la persona che era al volante: “Ci aspettavamo che la denuncia si concludesse in bel altro modo. E se avessero provocato un incidente, ammazzato qualcuno, provocato una strage? Questo clima di permissivismo ci sta portando alla catastrofe, le strade si stanno affollando di delinquenti, criminali, folli e irresponsabili che ad ogni modo se la cavano sempre o comune con poco. Neanche questa volta nessun arresto e nemmeno il sequestro del veicolo. Ma è uno scherzo?“.
Redazione Web 11 Settembre 2023
La tragedia dopo un tamponamento a catena. Bus Flixbus precipita nel vuoto sull’autostrada A16, un morto e 14 feriti sulla Napoli-Canosa: “Usciti strisciando”. Il bus trasportava 38 persone ed è finito in una scarpata a Vallesaccarda (Avellino) in seguito a un maxi tamponamento successivo a un primo incidente che aveva coinvolto tre auto e provocato la morte di una persona. Caduta attutita dalle piante. Redazione su Il Riformista il 4 Giugno 2023
Bus tampona auto, si ribalta e precipita in una scarpata per diversi metri, con il crollo attutito dalle piante presenti. E’ di un morto e almeno una quindicina di feriti (tra cui due gravi) il bilancio provvisorio di un grave incidente stradale che ha convolto un bus della Flixbus, sul tratto di strada A16 Napoli-Canosa, dove già in passato, nello stesso tratto, un autobus di fedeli precipitò nel viadotto (per decine di metri) e persero la vita 40 persone.
La tragedia di oggi, domenica 4 giugno, è avvenuta intorno alle 4 di notte nel tratto in direzione Napoli, all’altezza del comune di Vallesaccarda, al km 101. Il bus in questione trasportava 38 persone (compresi i due autisti) e, secondo una prima ricostruzione, è finito in una scarpata in seguito a un maxi tamponamento successivo a un primo incidente che aveva coinvolto tre auto e provocato la morte di una persona.
Sul posto sono al lavoro i vigili del fuoco di Grottaminarda e Bisaccia e Avellino con un’autogru. I feriti sono stati trasportati a Avellino, Benevento, Ariano Irpino e altri ospedali. Sul luogo dell’incidente c’è anche un’eliambulanza. I pompieri stanno sollevando il bus per recuperare eventuali altri passeggeri.
Il Flixbus era partito da Lecce ed era diretto a Roma Tiburtina. L’autobus è stato recuperato dai vigili del fuoco di Avellino, Bisaccia e Grottaminarda nel corso di operazioni coordinate dal comandante provinciale Mario Bellizzi. I vigili del fuoco stanno perlustrando l’area dell’incidente per verificare la presenza di altri passeggeri che potrebbero essere stati sbalzati fuori dai finestrini.
Dalle prime ricostruzioni sembra che, dopo l’incidente tra le macchine – nel quale è morto un automobilista – il pullman che sopraggiungeva abbia urtato uno dei veicoli fermi in carreggiata per poi terminare la sua corsa ribaltandosi in corrispondenza della scarpata di destra.
LE TESTIMONIANZE – “Stavano tutti dormendo, credo. A svegliarci è stata la violenta frenata e poi il botto, quando ci siano scontrati con le auto, prima di finire nella scarpata” racconta all’agenzia Ansa uno dei passeggeri del bus. L’uomo ha una brutta contusione alla spalla. Il pullman era partito ieri alle 23 da Lecce e sarebbe dovuto arrivare alla stazione Tiburtina della Capitale alle 7. Passeggeri che sono stati trasferiti in ospedale o nella palestra di Grottaminarda dove i medici del centro avellinese li stanno refertando uno per uno. C’è chi ha il collare, chi delle fasciature agli arti ma niente di più.
I passeggeri del Flixbus presenti nella palestra del comune irpino raccontando di aver visto “la morte con gli occhi”. Quasi tutti sono usciti strisciando dal pullman, trovando varchi attraverso i vetri rotti. “Siamo vivi per miracolo” racconta Biagio, luogotenente della Guardia di Finanza che si trovava a bordo del bus insieme ai due figli.
IL PRECEDENTE – Il 28 luglio del 2013 persona la vita 40 persone originarie di Pozzuoli (Napoli), precipitate dal viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio del comune di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino. A provocare l’incidente sarebbe stato un guasto che avrebbe disattivato l’impianto frenante del bus mentre stava percorrendo in discesa il tratto autostradale. L’autista tentò in ogni modo di frenare la corsa del veicolo, che aveva percorso oltre un milione di chilometri, accostandosi alle barriere del viadotto che pero’ non ressero facendo precipitare il bus da un’altezza di trenta metri. Trentotto persone morirono sul colpo, due nei giorni successivi. Dieci i superstiti.
TRATTO RIAPERTO – Poco dopo le 9 è stato riaperto alla circolazione il tratto dell’autostrada A16 dove nelle prime ore del mattino si è verificato l’incidente. Nella mattinata, alle 11, è in programma una breve conferenza stampa nel comando provinciale dei vigili del fuoco di Avellino alla quale prenderà parte l’ingegnere Mario Bellizzi che ha coordinato le operazioni di soccorso dalla sala operativa.
Tragedia a Cerignola, auto contro moto, 4 morti sulla Sp75, ci sono anche due bambine. A bordo della vettura un'intera famiglia. L'altra vittima è il motociclista originario del Mali. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 24 Luglio 2023
Sono due le bambine, di 8 e 10 anni, morte nell’incidente stradale avvenuto nella tarda serata di ieri in provincia di Foggia, sulla SP75 a Cerignola, poco lontano da Borgo Tressanti: si tratta di due dei quattro figli della famiglia che viaggiava a bordo dell’Audi che si è scontrata con una moto il cui conducente, un 29enne originario del Mali, ha perso la vita.
Le piccole viaggiavano con la madre 27enne, anch’essa morta nell’incidente; il loro papà 40enne, la sorella di 13 anni e il fratellino di 4 anni, tutti e tre rimasti feriti e ora ricoverati.
Secondo quanto ricostruito finora, le vittime erano a bordo di un’Audi guidata dal padre, un bracciante agricolo originario del Mali, ora ricoverato nell’ospedale Casa sollievo della sofferenza a San Giovanni Rotondo. La mamma era polacca. I due figli sopravvissuti sono ricoverati nell’ospedale di Foggia.
San Severo, lutto cittadino per i funerali dei tre operai morti sulla Statale 16. Lo sfogo del primo cittadino Miglio: «Forte la rabbia nei confronti di quanti, nonostante le continue sollecitazioni non hanno dato ancora corso ai lavori necessari per quella strada». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Novembre 2022
SAN SEVERO (Foggia) - Si terranno questo pomeriggio, nella cattedrale «Santa Maria dell’Assunta» di San Severo, i funerali di Francesco Pio Ciavarella, Donato Nardella e Salvatore Ferrara, i tre operai morti venerdì scorso in un incidente stradale sulla Ss 16, in agro di Chieuti.
Il sindaco Francesco Miglio li ha voluti ricordare attaccando i ritardi per i lavori di messa i sicurezza della statale su cui gli operai hanno perso la vita: «Sono costernato da questa tragedia stradale, ancora una volta la Statale 16 ha avuto il suo tributo di morte. È sempre più forte la rabbia nei confronti di quanti, nonostante le continue sollecitazioni dei sindaci del nostro territorio, non ancora danno corso ai necessari ed urgenti lavori di ampliamento e di straordinaria manutenzione della Statale 16: quante perdite dovremo ancora avere?».
Oggi, durante il rituale delle esequie, il sindaco ha proclamato il lutto cittadino, col fermo del commercio. Il cimitero di via San Marco onorerà la memoria di Salvatore, Donato e Francesco Pio, che pur di lavorare, ogni lunedì mattina, lasciavano le loro case e affrontavano 235 km per raggiungere San Benedetto del Tronto.
Il terribile frontale sulla provinciale a Bitonto. Strage di giovanissimi sulla provinciale: quattro morti e due feriti gravi nel tragico incidente. Vito Califano su Il Riformista il 26 Aprile 2023
Avevano tutti tra i 16 e i 24 anni. È stato terribile, uno schianto tragico, inconcepibile, quello che si è verificato nella tarda serata di ieri a Bitonto, in provincia di Bari, e in cui sono morti quattro giovani. Due ragazzi e due ragazze le vittime. Altri due giovani sono in gravi condizioni, viaggiavano su un’altra automobile.
A morire nell’incidente Lucrezia Natale 16 anni, Floriana Fallacara 20 anni, Tommaso Ricci 23 anni, e Alessandro Viesti, di 24. Per loro non c’è stato niente da fare, sono morti sul colpo, viaggiavano a bordo di un’Opel Corsa di colore grigio. Il ragazzo e la ragazza feriti, in condizioni gravi, erano invece a bordo di una Renault Scenic. Sono stati estratti dalle lamiere dai vigili del fuoco intervenuti sul posto con gli agenti del commissariato di Bitonto e i carabinieri.
L’incidente si è verificato sulla strada provinciale 231. È ancora da chiarire la dinamica dell’incidente. Si è capito che lo scontro è stato frontale ma è ancora da capire quale automobile viaggiasse verso Bari e quale verso Bitonto. La ragazza è stata trasportata all’Ospedale di Venere, il ragazzo al Policlinico di Bari.
“Per tutta la nostra comunità è un momento di grande dolore e tristezza per le giovani vite stroncate in un modo così tragico”, ha scritto in una nota il sindaco Francesco Paolo Ricci. “In queste ore di atroce sofferenza per le famiglie colpite avvertiamo il bisogno di stringerle in un corale e commosso abbraccio, esprimendo loro tutta la nostra umana vicinanza”.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Tragedia a Bitonto, 4 ragazzi bitontini morti in un incidente stradale tra due auto. Altri 2 i feriti. I nomi delle 4 vittime. Lo scontro frontale è avvenuto sulla Sp 231 tra Modugno e Bitonto in direzione Nord. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 26 Aprile 2023
Quattro giovani morti e due feriti gravi. È il bilancio di un incidente stradale avvenuto in tarda serata sulla strada provinciale 231, tra Modugno e Bitonto in direzione Nord. Secondo le prime informazioni dei vigili del fuoco, nell'incidente sono coinvolte due auto. Una Renault Scenic e una Opel Corsa che si sono scontrate frontalmente. Le quattro vittime erano a bordo della Opel che è finita oltre la carreggiata. Ancora ignota la dinamica dell'impatto.
La vittima più giovane ha 16 anni e si chiama Lucrezia Natale. A perdere la vita anche il 24enne Alessandro Viesti, la 20enne Floriana Fallacara e il suo fidanzato 23enne Tommaso Ricci. Altri due ragazzi, che viaggiavano sulla Renault, sono rimasti feriti ed entrambi ricoverati: Il ragazzo 20enne è al Policlinico di Bari, mentre la ragazza 19enne è nel reparto di Rianimazione dell'ospedale Di Venere, dove ha anche subito una operazione per ricomporre le fratture ai femori e all'omero.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri, la polizia stradale e i vigili del fuoco. Traffico in tilt: la strada è stata chiusa per facilitare le operazioni da parte delle forze dell'ordine e del 118.
Tragedia a Bitonto, ecco i nomi delle 4 giovani vittime bitontine. Tornavano a casa da una serata al McDonald's. Sono gravi le condizioni dei due feriti. Il sindaco Ricci proclama il lutto cittadino per il giorno dei funerali
Ha solo 16 anni Lucrezia Natale, la vittima più giovane del tragico incidente stradale, avvenuto ieri sera sulla sp 231 e che ha provocato 4 morti e 2 feriti gravi. A perdere la vita anche il 24enne Alessandro Viesti, la 20enne Floriana Fallacara e il suo fidanzato 23enne Tommaso Ricci. I quattro giovani morti sono tutti di Bitonto e viaggiavano nella stessa auto, una Opel Corsa: stavano rientrando a casa dopo una serata al McDonald's. Altri due ragazzi, che erano a bordo di Renault Scenic, sono rimasti feriti ed entrambi ricoverati. Il ragazzo 20enne è al Policlinico di Bari, mentre la ragazza 19enne è nel reparto di Rianimazione dell'ospedale Di Venere, dove ha anche subito una operazione per ricomporre le fratture ai femori e all'omero.
Sono serie le condizioni dei fidanzati rimasti feriti nell’incidente stradale. I feriti sono una 19enne e un 20enne. Quest’ultimo è ricoverato nel reparto di Rianimazione del Policlinico di Bari. Nell’impatto tra l’auto che guidava e la Opel Corsa su cui viaggiavano le quattro vittime, ha riportato un trauma complesso e fratture multiple. La prognosi è riservata come per la fidanzata. La 19enne si trova nell’ospedale «Di Venere» di Bari: è stata sottoposta a intervento chirurgico nella notte per le fratture riportate ad una gamba e ad un braccio ed è ora in rianimazione.
Il giorno di festa che si trasforma in tragedia. Quattro giovani vite spezzate da un incidente stradale, avvenuto nella tarda serata nel tratto di provinciale compreso tra Modugno e Bitonto, in direzione Nord. Coinvolte due auto, una Opel Corsa e una Renault Scenic. Non ancora chiara la dinamica dell’incidente, sulla quale indaga la polizia stradale che nella notte ha completato i rilievi.
“Questo è davvero il momento del silenzio, del dolore. La città intera è vicina i familiari delle giovani vittime e ai due ragazzi che sono ricoverati in ospedale in condizioni molto serie”, ha detto il sindaco di Bitonto, Francesco Paolo Ricci, che ha proclamato il lutto cittadino per il giorno dei funerali.
Il dolore dei familiari
«Mi mancherai profondamente sorella mia, ti porto nel profondo del mio cuore. Non c'è morte, c'è cambiamento». Lo ha scritto sui social, Francesco Natale, fratello di Lucrezia, la 16enne morta la scorsa notte nell’incidente stradale avvenuto sulla provinciale 231 tra Bitonto e Modugno.
«Il giorno in cui sei nata sono diventato fratello. Il giorno della tua morte sei diventata il mio angelo custode», continua Francesco che ha 32 anni. «Mia sorella - aggiunge - è stata il regalo che non ho mai chiesto ma che ho sempre desiderato». «Gli angeli sono sorelle che si sono trasferite in paradiso. Una sorella ti completa la vita, non importa dove sia», prosegue e conclude: «Cara sorella sei stata la mia anima gemella e farai sempre parte di me. Non ti dimenticherò mai».
Strage di giovanissimi a Bitonto. Grave incidente, Lucrezia e l’ultima telefonata alla mamma prima di morire a 16 anni: “Sono quasi a casa”. Rossella Grasso su Il Riformista il 27 Aprile 2023
Due auto che si schiantano frontalmente nella notte e in pochi istanti quattro giovani vite si sono spezzate. Quella che si è verificato nella tarda serata di ieri a Bitonto, in provincia di Bari, sulla statale 231 è una vera tragedia: a perdere la vita tutti giovanissimi tra i 16 e i 24 anni. La più piccola di loro aveva solo 16 anni. Si tratta di Lucrezia Natale, di Bitonto che pochi istanti prima del terribile schianto aveva telefonato i suoi genitori per tranquillizzarli: “Sono quasi a casa. Sto arrivando”, avrebbe detto. Ma a casa Lucrezia non è arrivata più. Un’ultima telefonata poi nulla più.
A raccontare il dramma di Lucrezia è il Mattino. Era in auto con i suoi amici Floriana Fallacara 20 anni, Tommaso Ricci 23 anni, e Alessandro Viesti, di 24. È ancora da chiarire la dinamica dell’incidente. Si è capito che c’è stato uno scontro frontale con un’altra auto ma è ancora da capire quale automobile viaggiasse verso Bari e quale verso Bitonto. Lucrezia frequentava il terzo anno del Liceo Carmine Sylos della sua città, era iscritta all’indirizzo economico-sociale. “La dirigente scolastica, professoressa Francesca Rosaria Vitelli, e la comunità tutta si riunisce attorno alla famiglia colpita dall’improvvisa scomparsa di Lucrezia, alunna del terzo liceo, durante il tragico incidente stradale”. È il breve ma pieno di affetto il messaggio di cordoglio che si legge sulle pagine social della scuola.
E Lucrezia mancherà a tante sue amiche e compagne di scuola. “Sono cresciuta insieme ad Ezia sin dalla terza elementare – ha detto una sua compagna di classe -. Voleva fare la criminologa o essere una militare. Mi mancherà tantissimo”. “Aveva tantissime ambizioni – ha raccontato un’altra amica – e una forza ineguagliabile, la stessa che molte volte manca agli adulti. Sorrideva sempre, era raro vederla piangere”. E non ci sono parole per descrivere il dolore della famiglia di Lucrezia. “Non c’è morte, c’è cambiamento”, ha scritto sui social Francesco, fratello maggiore di Lucrezia. “Mi mancherai profondamente, sorella mia. Ti porterò nel cuore per sempre. Sarai il mio angelo custode dal paradiso”.
Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.
Quattro bare bianche affiancate: la cerimonia funebre per le giovani vittime dello scontro di Bitonto. Nella basilica dei Santi Medici gremita, la messa celebrata dall’arcivescovo monsignor Giuseppe Satriano. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 APRILE 2023
Quattro bare bianche affiancate adornate da fiori e fotografie, in una chiesa gremita, con molta gente che è rimasta sul sagrato. Sono in corso a Bitonto nella Basilica dei Santi Medici di Bitonto i funerali dei quattro ragazzi morti la sera del 25 aprile in uno scontro frontale lungo la provinciale 231 tra Modugno e Bitonto.
«È un momento di grande mestizia e sofferenza per tutti, in particolare per le famiglie di questi giovani», ha detto l'arcivescovo di Bari-Bitonto Giuseppe Satriano, che celebra la messa, «apriamo il cuore al mistero della vita e della morte attraverso l’incontro con Cristo, che è con noi ed è stato con ciascuno di loro quella notte».
Le vittime viaggiavano a bordo di una stessa auto. La più giovane di loro, Lucrezia Natale, aveva 16 anni. Gli altri sono Tommaso Ricci di 23 anni, Floriana Fallacara di 20 anni, e Alessandro Viesti di 24 anni. Alla cerimonia partecipano anche il sindaco, Francesco Paolo Ricci che ha proclamato per oggi il lutto cittadino.
APPLAUSI E PALLONCINI BIANCHI PER I 4 RAGAZZI
Un lungo applauso commosso e il volo di palloncini bianchi ha accompagnato a Bitonto l’uscita dalla Basilica dei Santi Medici dei feretri dei quattro ragazzi morti la sera del 25 aprile in uno scontro frontale lungo la provinciale 231 tra Modugno e Bitonto.
«È terribilmente difficile essere qui oggi - ha detto il sindaco Francesco Paolo Ricci a conclusione della cerimonia in chiesa - è terribilmente difficile trovare le parole per parlare di questi quattro ragazzi. Alessandro l’ho visto crescere su quella strada, quando era bambino: continuava a dare una mano al padre Beppe in tabaccheria, nonostante avesse trovato lavoro. Ezia era una ragazza splendida, buona, dolce. Tomas era protagonista in positivo in tutto ciò che faceva, aiutava sempre gli altri a vivere il quotidiano con un sorriso: la sua storia d’amore con Floriana continuerà lassù. E proprio Floriana si era presa cura del padre dopo la scomparsa della madre».
«Oggi, se fossero qui - ha aggiunto - ci inviterebbero a volerci bene, ad abbracciare i nostri genitori e i nostri amici. Dimostriamo tutti noi, con i fatti di voler bene a questi ragazzi e ai loro cari. Alle quattro famiglie dico: vi saremo vicini». Il suo discorso è stato salutato da un applauso che ha anche accompagnato l’uscita dei quattro feretri dalla chiesa.
La strage dei teenager. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità il 29 Aprile 2023
Due incidenti mortali, sette vittime. Questo il bilancio di (neanche) una settimana registrato sulle strade pugliesi. Dopo la tragedia dello scontro sulla provinciale nei pressi di Bitonto, nella notte tra giovedì e venerdì, hanno perso la vita altri tre giovani (tra i 25 e i 30 anni).
È successo nel tarantino, sulla provinciale che collega Ginosa a Ginosa Marina, teatro di un frontale tra due Fiat Punto, che è stato fatale per quasi tutti i passeggeri dei due veicoli. Nell’impatto hanno perso la vita una coppia di coniugi, un uomo e una donna di origini rumene (di 30 e 25 anni), morti sul colpo, e un altro ragazzo 27enne di Ginosa Marina, Alessandro Calabrese, che è stato soccorso dall’ambulanza ma non è riuscito a sopravvivere al trasporto in ospedale. Nell’incidente è stata coinvolta anche una quarta persona, sopravvissuta, e che attualmente si trova ferita nell’ospedale di Castellaneta. Sul luogo dell’incidente sono accorse le forze dell’ordine e il personale medico che, con l’aiuto dei vigili del fuoco, è intervenuto per estrarre i corpi dalle lamiere, senza però poter intervenire per salvare la vita ai giovani.
STRADE INSICURE
La strada dello scontro mortale, l’ex provinciale 580, è già stata teatro in passato di gravi incidenti. E non è l’unica. Anche la provinciale 231, in provincia di Bari, è spesso luogo di sangue. Proprio su quel tratto di strada che collega tra Modugno e Bitonto, in direzione Nord, la sera del 25 aprile hanno perso la vita quattro giovanissimi. Anche in questo caso sono state due la auto coinvolte: una Renault Scenic e una Opel Corsa che si sono scontrate frontalmente. Tutte le quattro vittime erano a bordo della Opel che è finita oltre la carreggiata: la più giovane, Lucrezia Natale, aveva 16 anni. Con le viaggiavano Alessandro Viesti, 24 anni, Floriana Fallacara, 20 anni e il suo fidanzato Tommaso Ricci di 23 anni. Anche nell’altra auto viaggiavano due giovani: una ragazza di 19 e un ragazzo di 20 anni che sono rimasti feriti gravemente e ricoverati rispettivamente all’Ospedale di Venere e al Policlinico di Bari. Due incidenti che potrebbero essere accaduti per distrazioni da parte dei conducenti, o per manovre azzardate: dalle ricostruzioni, ancora in corso, non è dato saperlo.
La cosa certa, è che le strade percorse dai giovani rappresentavano criticità. In merito all’incidente di Ginosa, ha parlato il primo cittadino e vicepresidente della Provincia di Taranto, Vito Parisi. “La strada ha molti incroci vivi, si interseca con delle strade di campagna e c’è un limite di velocità di 50 chilometri orari che purtroppo nessuno rispetta. La strada arriva sino a Laterza, quindi sino alla parte del Tarantino che confina con la Basilicata e con la provincia di Matera. Come Provincia di Taranto abbiamo previsto un intervento di miglioramento di quest’arteria, con la costruzione di tre rotatorie dall’importo di 600mila euro ciascuna”. Strade insicure che significano un aumento di incidenti, ma non solo in Puglia.
UN BILANCIO DA BRIVIDO
Nel nostro Paese, a far paura, sono i dati relativi agli incidenti stradali con lesioni, vittime e feriti. Secondo il report di Istat relativo allo scorso anno, dal primo gennaio al 30 giugno 2022 anno abbiamo assistito a 81.437 incidenti che hanno causato 1.450 morti e 108.996 feriti: in media 450 incidenti, otto morti e 602 feriti ogni giorno. Vittime più frequenti sono proprio i giovani: nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni i morti in strada sono stati 365, ovvero una media di uno al giorno (+44% rispetto al 2021, anche se quell’anno era stato condizionato dal lockdown). Nella fascia di età tra i 15 e 19 anni il numero di morti per milione di abitanti si alza a 51, in quella tra 20 e 24 arriva a 74: valori che si posizionano ben al di sopra delle medie nazionali europee. Il numero elevato evidenziato nella fascia tra i 20 e i 24 ani, anni è superato solo dalle medie nazionali di Romania, Bulgaria e Lussemburgo.
Per arginare le stragi sulle strade, nel 2022 il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità aveva approvato il Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030, ispirato all’approccio safe system, secondo cui la gestione della sicurezza stradale rifiuta il compromesso tra mobilità e sicurezza. Un piano che guarda all’agenda 2030 dell’Onu – che già entro il 2020 aveva previsto il dimezzamento dei morti sulle strade – che ora fissa il nuovo obiettivo di ridurre il numero di vittime della strada del 50 % entro il 2030, lanciando la “Second Decade of Action for Road Safety” per il decennio 2021-2030. La speranza è che anche l’Italia riesca, attraverso interventi infrastrutturali, ma anche attraverso una maggiore educazione stradale, a raggiungere l’obiettivo.
A Mottola.
A Ginosa.
A Laterza.
A Massafra.
A Mottola.
Mottola: chi sono i militari morti nel terribile incidente, quattro vittime nel frontale sulla statale 100. Lo scontro frontale tra un minivan e una Multipla. Tre feriti trasferiti in condizioni critiche in ospedale. Scena terribile davanti agli occhi dei soccorritori, le auto accartocciate, gli air bag scoppiati e i parabrezza frantumati. Alcuni corpi sbalzati dall'auto e incastrati tra le lamiere. Redazione Web su L'Unità il 28 Novembre 2023
Terribile incidente nel pomeriggio di lunedì sulla Statale 100, non lontano da Mottola, in provincia di Taranto. Quattro morti, tra cui tre militari della Brigata Pinerolo, originari del tarantino ma in servizio ad Altamura. Non hanno avuto scampo i soldati a bordo di una Fiat Multipla e l’uomo alla guida di un minivan. Gravemente feriti altri due militari che viaggiavano sulla Multipla e un’altra persona sul minivan, sono stati trasferiti in condizioni critiche in ospedale all’ospedale Santissima Annunziata di Taranto.
L’incidente si è verificato nel tardo pomeriggio di lunedì, poco dopo le 18:30, sulla strada statale 100 nelle vicinanze dello svincolo per Mottola, in direzione Taranto. Lo scontro è avvenuto frontalmente. Sul posto sono intervenuti il personale medico del 118, i vigili del fuoco, i carabinieri della Compagnia di Massafra, gli uomini della polizia stradale per effettuare i rilievi del caso e ricostruire la dinamica che ha portato all’impatto tra i due mezzi. Scena terribile davanti agli occhi dei soccorritori, le auto accartocciate, gli air bag scoppiati e i parabrezza frantumati. Alcuni corpi sbalzati dall’auto e incastrati tra le lamiere. Sul posto anche il pm di turno Francesca Colaci.
Chi sono i militari morti nell’incidente a Mottola
I militari morti nell’incidente si chiamavano Cosimo Aloia, Alberto Battafarano e Domenico Ruggiero. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Generale di Corpo d’Armata Pietro Serino dopo aver appresa la notizia ha espresso “profondo cordoglio e solidale vicinanza, a nome di tutta la Forza Armata e suo personale, alle famiglie dei Graduati Aiutanti”. Il Generale Serino “augura altresì una pronta guarigione agli altri feriti coinvolti e attualmente ricoverati in strutture ospedaliere della zona. Personale dell’Esercito sta fornendo il massimo supporto logistico e psicologico alle famiglie dei militari, tutti appartenenti al 7° Reggimento Bersaglieri di Altamura”.
Gli altri incidenti sulla statale 100
La circolazione ha subito subito dei rallentamenti, il traffico è andato in tilt, bloccato in entrambe le direzioni di marcia e deviato su strade locali tra gli svincoli di San Basilio e Mottola. Non è la prima volta che si verificano incidenti molto gravi, anche mortali, nel tratto sulla statale 100. A perdere la vita in uno scontro recente tra due vetture, due ragazzi di 24 e 25 anni, uno originario del Qatar e un altro dell’Oman, che viaggiavano con altri due ragazzi rimasti feriti. In un altro scontro a San Basilio, all’altezza dello svincolo per Noci, in un incidente tra un furgone e un’auto era morta una ragazza di 23 anni che viaggiava a bordo di un’Opel Corsa. Redazione Web 28 Novembre 2023
A Ginosa.
Due auto si scontrano a Ginosa: tre giovanissimi perdono la vita, un quarto è ferito. Ancora sangue sulle strade di Puglia: due sono morti sul colpo, uno poco dopo. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 APRILE 2023
È di tre morti ed un ferito il bilancio dell’incidente stradale avvenuto nella tarda serata di ieri sulla provinciale 580 tra Ginosa e Marina di Ginosa, nel Tarantino. Per cause in corso di accertamento sono entrate in collisione una Fiat Punto ed una Fiat Grande Punto. A causa del violentissimo impatto frontale sono morti sul colpo due coniugi romeni residenti a Ginosa, lui di 30, lei di 25 anni. Durante il trasporto in ambulanza all’ospedale di Taranto è deceduto un giovane di 27 anni, Alessandro Calabrese, residente a Marina di Ginosa. Il ferito è ricoverato a Castellaneta: le sue condizioni non sarebbero gravi.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri della stazione di Ginosa e della compagnia di Castellaneta. A loro è affidato il compito di ricostruire la dinamica dell’incidente e di stabilire le responsabilità. Hanno operato anche i sanitari del 118 e i Vigili del fuoco del distaccamento di Castellaneta e del comando provinciale di Taranto, che hanno estratto le vittime dalle lamiere contorte delle due auto.
Incidente stradale a Ginosa due giorni dopo la tragedia di Bitonto: schianto tra due auto, morti tre giovani. Cesare Bechis su Il Corriere della Sera il 28 Aprile 2023.
Ha perso la vita sul colpo una coppia di origini rumene, lui 30 anni e lei 25; mentre un 27enne di Ginosa è morto durante il trasporto in ospedale
E’ di tre morti e un ferito il bilancio dell’incidente stradale mortale avvenuto verso le 20.30 del 27 aprile sulla strada provinciale ex 580 Ginosa-Ginosa Marina, nel Tarantino. Secondo le prime rilevazioni effettuate dai carabinieri della compagnia di Castellaneta la causa del violentissimo impatto tra due Punto potrebbe essere un sorpasso azzardato. Gli occupanti di una delle due auto erano marito e moglie, di origini rumene, lui 30enne e lei 25enne, morti sul colpo; delle altre due persone sull’altra auto, un giovane 27enne di Ginosa Marina, Alessandro Calabrese, è deceduto durante il trasporto all’ospedale di Taranto; mentre l’altro è ricoverato in condizioni non gravi all’ospedale di Castellaneta. Sul posto, oltre ai carabinieri, sono intervenuti il personale del 118 e i Vigili del fuoco del distaccamento di Castellaneta e del comando provinciale di Taranto, che hanno impiegato un paio d’ore per estrarre le vittime dalle lamiere delle due auto accartocciate.
La strada
L’incidente è avvenuto su un tratto rettilineo di una strada con il limite di velocità fissato a 50 chilometri l’ora e molte strade poderali che la intersecano. Il sindaco di Ginosa e vice presidente della Provincia di Taranto, Vito Parisi, mette in evidenza questi aspetti sottolineando che «c'è un limite di velocità che purtroppo nessuno rispetta». «La strada arriva sino a Laterza - spiega - quindi sino alla parte del Tarantino che confina con la Basilicata e con la provincia di Matera. Come Provincia di Taranto abbiamo previsto un intervento di miglioramento di quest'arteria, con la costruzione - conclude - di tre rotatorie dall'importo di 600mila euro ciascuna».
A Laterza.
contro tra auto e furgone sulla Laterza-Castellaneta: identificate le 3 vittime. Ferito grave ancora in ospedale. Non si conosce ancora la dinamica dell'incidente avvenuto sulla Statale 7 tra un'auto e un furgoncino. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 04 Febbraio 2023
Incidente mortale ieri sera sulla Statale 7, strada che collega Laterza a Castellaneta. Tre persone: due donne e un ragazzo hanno perso la vita in uno scontro frontale con un furgoncino. Lo scontro si è verificato tra un'utilitaria, un’Alfa Romeo rossa e un furgone Fiat Fiorino bianco guidato da un uomo che è stato trasportato in codice rosso all'ospedale SS. Annunziata di Taranto. Sul posto il 118, carabinieri della compagnia di Castellaneta, i Vigili del Fuoco. La strada è stata chiusa al traffico. I pompieri hanno dovuto estrarre i corpi dalle lamiere. I carabinieri hanno svolto i rilievi per stabilire l'esatta causa dell’incidente e per accertare le responsabilità.
«Quel tratto di strada, tra San Basilio e Matera, è una trappola di morte. Un rettilineo stretto e pieno insidie. Ora basta», dice l'assessore regionale Gianfranco Lopane, già sindaco di Laterza.
Sono gravi ma stazionarie le condizioni dell’unico superstite dell’incidente stradale avvenuto ieri sera sulla statale 7, nel territorio di Laterza in direzione Castellaneta (Taranto). Si tratta di un uomo di Ginosa: era alla guida del furgone Fiat Fiorino che si è scontrato frontalmente con un’Alfa Romeo sulla quale viaggiavano le tre vittime: Antonella Sportelli, di 43 anni, originaria di Laterza e residente a Palagiano, Stefano Tagariello, 36 anni di Palagiano, Alessandra Berardi, 32 anni di Palagianello.
Ancora da accertare le cause dell’incidente, su cui indagano i carabinieri. Tra i numerosi messaggi di cordoglio giunti ai familiari ci sono quelli dei sindaci di Laterza e Palagianello, Franco Frigiola e Maria Rosaria Borracci.
A Massafra.
Taranto, auto contro un muro: morti 3 giovanissimi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 23 Gennaio 2023.
La vettura a bordo della quale viaggiavano si è schiantata contro un muro. Sul posto è intervenuto il personale del servizio di soccorso ed emergenza 118, oltre alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco.
Tragedia questa sera sulla strada tra Massafra e Martina Franca, in provincia di Taranto. Tre persone sono morte in un incidente. Sono tutte giovanissime le vittime: un ragazzo Leo Conte, di 20 anni, un altro Leonardo Carucci di 19 anni e la sua piccola sorellina Antonella Carucci di soli 13 anni. Una quarta persona Giuseppe Convertino di soli 18 anni, (figlio di una consigliera comunale di Massafra) è ricoverato in gravi condizioni all’ Ospedale “Santissima Annunziata” nel capoluogo jonico. La prognosi resta riservata anche se con il passare delle ore, fortunatamente, il quarto giovane sembrerebbe non essere più in pericolo di vita.
La vettura a bordo della quale viaggiavano si è schiantata contro un muro. Sul posto è intervenuto il personale del servizio di soccorso ed emergenza 118, oltre alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco. È toccato ai genitori dei fratelli Carucci scoprire la tragedia, pochi minuti dopo lo scontro fatale, mentre rincasavano dalla giornata
La comitiva di ragazzi era andata fuori per il pranzo della domenica, a Martina Franca, in un ristorante per mangiare del sushi. Poi stava rientrando in macchina in direzione di Massafra. Sicuramente l’asfalto viscido del manto stradale avrà contribuito alla perdita di controllo del veicolo. Il tratto stradale è stato bloccato per consentire i soccorsi e i rilievi da parte delle forze dell’ordine, anche per stabilire l’esatta dinamica dell’incidente.
Il sindaco di Massafra Fabrizio Quarto, interpretando il dolore e la profonda commozione dell’intera Comunità suscitata dagli esiti tragici dell’incidente stradale accaduto questa sera e che ha causato la drammatica e prematura scomparsa di tre giovanissimi ed il ferimento di un altro giovane, ha proclamato il lutto cittadino per il giorno in cui si svolgeranno le esequie. “Apprendere questa terrificante notizia – ha dichiarato il sindaco Quarto – lascia senza parole. È una tragedia immane. Alle famiglie che stanno attraversando questo inferno agghiacciante giunga il cordoglio dell’intera comunità massafrese. Con un lutto cittadino ci stringeremo intorno a loro, pur essendo ben consapevoli che nulla può essere di conforto in queste ore disperate“. Redazione CdG 1947
Massafra, la beffa di Leo: agli esami il progetto per prevenire gli incidenti stradali. Ottavio Cristofaro su La Gazzetta del Mezzogiorno il 24 Gennaio 2023
L’anno scorso aveva sviluppato un’applicazione di intelligenza artificiale che interveniva nel caso il sistema rilevasse stanchezza del conducente, in funzione di riduzione degli incidenti stradali. Era il progetto che aveva presentato alla maturità, conseguita all’istituto Majorana di Martina Franca. Ironia della sorte è stata proprio la strada a portarselo via. Leo Conte non c’è più, se n’è andato tragicamente insieme ad altri due suoi amici, giovanissimi come lui. C’era lui alla guida dell’Opel Corsa ridotta a un cumulo di lamiere. La sua vita e quella di Antonella e Leonardo Carucci sì è scontrata contro un muretto in cemento armato sulla strada che da Martina Franca conduce a Massafra, in un triste pomeriggio di gennaio, dopo una piovosa domenica trascorsa insieme.
Solo un mese fa aveva Leo Conte aveva partecipato a una cerimonia per la consegna di un attestato al termine di un percorso che lo aveva portato a ottenere una certificazione per la lingua inglese. Veniva da una famiglia semplice, una di quelle di altri tempi dove l’educazione regnava sovrana. Leo viene descritto da tutti come una persona educata, un bravo ragazzo, tanto veloce a imparare quanto lento nelle sue movenze, perché a lui piaceva fare le cose per bene. Lo ricorda così Teresa Pizzigallo, titolare di un noto negozio in città, dove Leo da qualche tempo aveva iniziato a lavorare. Si occupava dell’e-commerce, in attesa di riprovare a entrare all’Università. Era un informatico e, dopo il diploma, aveva provato a iniziare il percorso accademico alla facoltà di ingegneria; il prossimo anno si sarebbe iscritto a informatica. Una delle sue due sorelle, l’indomani dalla tragedia, ha persino telefonato alla titolare del negozio, per informarla che Leo non sarebbe potuto andare più a lavoro, nonostante la notizia della tragedia era già nota in città.
Contro quel muro in cemento si sono spente le speranze di tre giovanissimi, ma si è acceso il dolore nel cuore dei loro familiari, suo padre Quintiliano è un autotrasportatore, ha lavorato per qualche anno con il gruppo Serveco, alla Marraffa, per poi trovare un’occupazione che gli permettesse di non trascorrere troppo tempo in trasferta e restare più vicino alla famiglia.
I funerali di Leo Conte saranno celebrati a Martina Franca questo pomeriggio alle 15.30 presso la chiesa della Santa Famiglia. Alla stessa ora le esequie di Antonella e Leonardo Carucci a Massafra.
Schianto mortale sulla Massafra-Martina: l'ultimo addio a Leonardo, Antonella e Leo. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 25 Gennaio 2023
Lacrime e commozione a Massafra e Martina Franca, dove questo pomeriggio sono stati celebrati i funerali delle tre giovani vittime dell’incidente stradale avvenuto domenica sera sulla ex statale 581. Era gremita la chiesa San Francesco da Paola di Massafra in occasione del rito funebre per il 19enne Leonardo Carucci e la sorellina Antonella, di 13 anni. Grande commozione anche nella Chiesa della Santa Famiglia di Martina Franca per le esequie di Leo Conte, il 20enne che guidava la Opel Corsa che si è schiantata contro un muretto di cemento a circa un chilometro dal centro abitato di Massafra. Si è salvato invece il quarto giovane che viaggiava con le vittime, Giuseppe Convertino, anche lui 20enne, di Massafra, ancora ricoverato all’ospedale Santissima Annunziata.
Nella parrocchia di Massafra c'erano anche tanti studenti e amici di Leonardo e Antonella Carucci. Il parroco don Giuseppe Oliva, che nell’omelia ha chiesto di pregare per i due ragazzi e di non lasciare sola la famiglia, ha letto il messaggio inviato dal vescovo della diocesi di Castellaneta Sabino Iannuzzi.
All’uscita delle due bare bianche un lungo applauso e tanti palloncini bianchi liberati in cielo. Stessa scena ai funerali di Leo Conte a Martina Franca con l’applauso dei presenti che ha accompagnato l’uscita del feretro dalla Chiesa della Santa Famiglia.
Incidente a Custonaci, scontro frontale tra due auto nel Trapanese: sei morti e un ferito. Lara Sirignano su Il Corriere della Sera il 26 Gennaio 2023.
Il grave incidente avvenuto sulla provinciale 16 che porta a Custonaci
Sono morti sul colpo. L’impatto è stato violentissimo e non hanno avuto scampo.
Il bilancio dell’ultima strage della strada, avvenuta Custonaci, nel Trapanese, è di sei morti e una donna ferita gravemente.
Distrutte due famiglie: nello scontro hanno perso la vita una coppia e il figlio e due loro familiari, marito e moglie e un 44enne. Per estrarre i corpi dalle auto coinvolte nell’incidente — una Alfa Romeo 159 e un Fiat Doblò — i vigili del fuoco, intervenuti dopo una segnalazione al 112 di alcuni automobilisti, hanno impiegato ore. Dei due veicoli non restava che un ammasso di lamiere accartocciate.
Per comprendere cosa è accaduto ci vorrà del tempo, anche perché nessun testimone avrebbe assistito all’impatto e l’unica superstite non è in condizioni di rispondere alle domande degli inquirenti. Dai primi rilievi sembra che le due macchine si siano scontrate frontalmente mentre viaggiavano sulla provinciale 16, lungo il rettilineo Lentina, all’altezza di Custonaci, un paese in provincia di Trapani che generalmente si attraversa per raggiungere le località balneari di San Vito Lo Capo e Macari. Una strada pericolosa, dicono gli abitanti della zona, spesso teatro di drammatici incidenti causati dall’alta velocità e sempre molto trafficata.
Una delle due auto, non è ancora chiaro per quali motivi, avrebbe perso il controllo invadendo la corsia opposta, piombando sul veicolo che veniva in senso contrario e scaraventandolo sul guard rail. La violenza dello scontro fa ipotizzare che almeno uno dei due mezzi, forse l’Alfa, viaggiasse a velocità molto sostenuta e che chi era alla guida non abbia avuto il tempo di frenare. Il Doblò non avrebbe avuto modo di evitare l’impatto.
L’identità delle vittime è stata resa nota solo in tarda serata. A bordo della monovolume viaggiavano Matteo Cataldo, settant’anni, la moglie Maria Grazia Ficarra, sessantasette, il figlio Danilo Cataldo, quarantaquattro anni, tutti di Carini, un paese del palermitano, Matteo Schiera, 72 anni e la moglie Anna Rosa Romancino di 69. Lotta per sopravvivere, nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Trapani, dove è stata portata in codice rosso, Maria Pia Giambona, trentaquattro anni, che era sulla Alfa 159 insieme con Vincenzo Cipponeri, quarantaquattro anni. L’uomo, che probabilmente era alla guida, non ce l’ha fatta.
I soccorritori del 118 hanno compreso immediatamente che le condizioni dell’unica superstite erano gravissime. Per ore i cadaveri sono rimasti distesi sull’asfalto coperti da teli bianchi. Poi sono stati portati alla camera mortuaria dell’ospedale di Trapani.
Lavorano per ricostruire la dinamica dell’incidente i carabinieri della Stazione di Custonaci e della sezione Radiomobile della Compagnia di Alcamo, oltre ai vigili del fuoco di Trapani e Alcamo. La Procura di Trapani ha aperto un’inchiesta.
Chi sono le 6 vittime della strage di Custonaci, un testimone: «Scene strazianti». di Laura Spanò su gds.it il 27 Marzo 2023
Sei morti e una settima persona che lotta tra la vita e la morte. È il terribile bilancio dell'incidente tra l'Alfa 159 e la Fiat Doblò, che ieri sera si sono scontrate frontalmente nel rettilineo che collega Custonaci con la Statale 187, nel Trapanese. Una strage, una delle più gravi che si sono mai verificate nel Trapanese.
Hanno perso la vita il conducente dell'Alfa, Vincenzo Cipponeri, 44 anni di Custonaci, e i componenti delle due famiglie a bordo della Fiat Doblò: Matteo Cataldo, di 70 anni, la moglie Maria Grazia Ficarra, 67 anni, il figlio Danilo Cataldo, 44; i cugini Matteo Schiera, di 72 anni, e la moglie Anna Rosa Romancino, di 69.
L'incidente tra le due automobili è avvenuto alle 19. Un impatto violentissimo che non ha lasciato scampo a sei degli occupanti. Alcune delle vittime sono rimaste intrappolate all'interno dei mezzi e i vigili del fuoco e i sanitari del 118 si sono ritrovati ad operare in condizioni davvero difficili e fino a tardissima sera per estrarre i corpi tra le lamiere. Secondo il racconto di uno dei testimoni che ha vissuto in prima persona l'incidente, il Doblò con a bordo le 5 persone di Carini, arrivava da Custonaci, ma viaggiava a velocità ridotta.
«Io, mia moglie e mia figlia non siamo rimasti coinvolti nell'incidente per un pelo, il bilancio poteva essere ancora più grave – racconta -. Ci ha salvato il fatto che andavamo piano e stavano dietro al Doblò. Quando mi sono reso conto di quello che stava per succedere ho sterzato nella parte opposta. Un miracolo, un vero miracolo. Appena un paio di secondi ed ho subito chiamato i soccorsi, 118, carabinieri, vigili del fuoco, mentre altre automobili si andavano fermando. Uno strazio, davvero uno strazio. L’Alfa, è arrivata in direzione opposta, a circa 300 metri prima dell'impatto, ha perso il controllo e poi sbandando si è schiantata contro il Doblò». Il Comune di Custonaci da stamane ha la bandiera a mezz'asta e sono state annullate tutte le manifestazioni in programma per oggi.
«Siamo attoniti e sotto shock – dice il sindaco Giuseppe Morfino – la nostra città è a lutto per una tragedia che ha spezzato sei vite. Alle famiglie delle vittime esprimo la vicinanza di tutta la città di Custonaci». trapani.gds.it
Il dramma. Chi è Laura Pessina, la turista milanese morta a Roma dopo essere stata investita. L'ultima vittima è un giovane, Gabriele Sangineto. Ha perso la vita anche la turista milanese investita mentre attraversava le strisce pedonali. Deceduto anche un anziano di 78 anni mentre era a spasso con il cane. Redazione Web su L'Unità il 19 Ottobre 2023
Tre morti in tre giorni sulle strade di Roma, tre pedoni che allungano la lista tragica delle vittime della strada nella Capitale. Martedì Portonaccio, ieri il Teatro di Marcello, stamattina Labaro. Dal centro alla periferia, la strage non fa distinguo. L’ultima vittima, questa mattina, è stato un giovane universitario di 21 anni, Gabriele Sangineto. Alle 7 del mattino attraversava sulle strisce in via Flaminia, a Labaro, alla periferia nord della Capitale. A investirlo è stato prima un taxi Toyota, che andava in direzione fuori Roma;: sbalzato nell’altra corsia è stato travolto da un furgone Doblò che viaggiava nella direzione opposta.
Tre morti in tre giorni
Il ragazzo è stato subito trasportato al vicino ospedale Sant’Andrea, dove è morto poco dopo. Era originario di Sacrofano: “La nostra comunità è in lutto – ha scritto sui social il Comune alle porte di Roma, che ha annullato le manifestazioni del fine settimana – Il sindaco Patrizia Nicolini e l’Amministrazione comunale, a nome dell’intero paese, si stringono al dolore della famiglia e inviano le loro più sentite condoglianze“. Anche i due automobilisti – il tassista di 38 anni e il conducente del furgone di 49 – sono stati portati in ospedale per eseguire i test di alcol e droga, poi risultati negativi, mentre i loro veicoli sono stati sequestrati. Dalla periferia al centro storico: a poche decine di metri dal Campidoglio è stata investita da un suv martedì scorso Laura Pessina, turista originaria di Brugherio in provincia di Monza.
La donna, che era in vacanza per qualche giorno a Roma anche per assistere all’Angelus del Papa, è morta ieri all’ospedale San Giovanni. Assieme al marito, rimasto ferito, è stata falciata mentre attraversava sulle strisce a via del Teatro Marcello. Alla guida del pesante autoveicolo un uomo di 78 anni, italiano, poi risultato negativo ai test tossicologici, a cui è stata ritirata la patente. Sotto choc, dopo lo schianto si è fermato a prestare soccorso. Ma è stato inutile: trasportata al San Giovanni, è deceduta dopo nemmeno 24 ore. E sempre martedì, attorno alle 11,30 a Portonaccio, un uomo di 78 anni è stato investito e ucciso da un furgone Citroen Jumper mentre portava al guinzaglio il suo cane.
Anche lui stava attraversando la strada. “Siamo sconvolti e addolorati per le tragedie che hanno causato vittime sulle strade, in particolare pedoni – il commento dell’assessore capitolino alla Mobilità Eugenio Patanè – su via del Teatro Marcello negli ultimi tre anni non erano mai accaduti incidenti con feriti gravi. Appare incredibile che questi incidenti siano avvenuti nonostante le strisce e una segnaletica ben visibile. Questo ci deve spingere a trovare soluzioni ancora più stringenti“.
Intanto, sul luogo della morte della turista vicino al Campidoglio, è stato subito installato un autovelox mobile e l’idea è realizzare un’isola salva-pedoni. La drammatica tripletta di questi giorni arriva a un anno esatto dalla morte di Francesco Valdiserri, il giovane di 19 anni investito il 19 ottobre del 2022 da un’auto mentre camminava su un marciapiede, e diventato per molti il simbolo della lotta per la sicurezza stradale a Roma.
I numeri sono quelli di una guerra: secondo un recente studio della Lumsa nella Capitale si verificano tre incidenti stradali ogni ora, e i morti sono circa cento l’anno. Il Lazio inoltre nel 2022 è stata la Regione italiana con il più alto aumento di morti rispetto al 2019 (+44), trainata dalle province di Roma e di Latina, secondo dati Aci-Istat. È solo di qualche giorno fa il gravissimo incidente di Zagarolo, a poche decine di chilometri dalla città, che ha ucciso sul colpo un noto chef e sua moglie, lasciando orfani i due figli piccoli.
Redazione Web 19 Ottobre 2023
In Italia ogni 16 ore un pedone viene ucciso: ma contro questa strage non si fa nulla. Il presidente della Repubblica l’ha definita una “emergenza nazionale” dall’inizio del 2023 sono 88 le persone investite e uccise. Ma gli interventi degli ultimi anni non hanno portato progressi. Sara Dellabella su L'Espresso il 14 Giugno 2023
In Italia, un pedone ogni 16 ore viene ucciso. Dall’inizio del 2023 sono 88 le persone investite e uccise. A tenere il conto è l’Osservatorio dell’Associazione sostenitori e amici della Polizia Stradale che nel 2022 ha registrato 307 vittime, contro le 271 dell’anno precedente. Dietro ai numeri famiglie segnate per sempre. Come quella di Luca Valdiserri, papà di Francesco investito e ucciso lo scorso ottobre a Roma da un’auto che viaggiava a 70 km/h. Da quella maledetta notte, la famiglia Valdiserri è impegnata nel raccontare ai ragazzi il valore della sicurezza stradale: «Con mia moglie e mia figlia, abbiamo sempre pensato che Francesco non doveva diventare il simbolo degli autovelox, delle multe, dei limiti di velocità. Quello che diciamo agli adolescenti che incontriamo è di essere protagonisti della propria vita. Le leggi sono importanti ma se non si ha un proprio rigore una scappatoia si troverà sempre. Se si beve troppo, ci sono mille modi per tornare a casa senza mettersi al volante».
Di fronte ai numeri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato di un’emergenza nazionale: «Per garantire l’integrità della vita è indispensabile un’attenta e condivisa azione sinergica tra istituzioni, società civile e industria». Peccato però che per quanto i Comuni si sforzino con zone 30 km/h, rotatorie, semafori con countdown per i pedoni, nell’Italia in cui c’è una legge per tutto, non esistono linee guida nazionali.
Se a Roma il sindaco Roberto Gualtieri, annunciando nuove misure, si è lasciato a un laconico «quella contro la velocità è una battaglia che non stiamo vincendo», a Londra da anni vige la “Vision Zero” del Comune. Un programma sostenuto dal sindaco Sadiq Khan che vuole azzerare i morti e i feriti sulle strade della City, con l’istituzione di diverse zone 32 km/h. Dal monitoraggio della Transport for London road network (TLrn), emerge che gli incidenti che coinvolgono pedoni sono diminuiti del 36%, e quelli mortali o che causano lesioni gravi del 25%. Misure che hanno reso le strade più sicure, incoraggiando molti cittadini ad abbandonare l’auto.
«Siamo indietro di anni rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto del nord, e non bisogna pensare che basti mettere un cartello per fare una zona 30 km/h. Deve essere la stessa infrastruttura stradale a indurre a moderare la velocità ai conducenti», spiega Giulio Maternini, professore ordinario di Ingegneria dei trasporti, mobility manager e Direttore del centro studi Città amica per la sicurezza nella mobilità (Cescam) dell’Università degli studi di Brescia.
«I numeri ci dicono che gli interventi degli ultimi 10/15 anni non hanno dato i risultati sperati – spiega Maternini – basti vedere il posizionamento degli attraversamenti pedonali. Spesso sono collocati senza tenere conto degli itinerari dei pedoni, che tendenzialmente scelgono i percorsi più brevi. Si trovano invece nei luoghi in cui danno meno fastidio agli automobilisti, coperti da siepi, alberi o autovetture in sosta. Tutto questo avviene perché manca generalmente tra i tecnici una cultura della sicurezza stradale». Mancano norme o linee guida per la moderazione del traffico a livello ministeriale e a complicare le cose le recenti misure contro il caro-energia che hanno portato ad un abbassamento della luminosità.
«Spero di poterne parlare in commissione trasporti alla Camera per avere qualche iniziativa legislativa per avere un certo numero di lumen sugli attraversamenti pedonali. In Francia per esempio sono illuminati a giorno», racconta il presidente dell’Automobile club, Angelo Damiani Sticchi che rivela come già nel 2011, l’ente era stato capofila dell’European pedestrian crossings assessment programme (Epca), progetto internazionale per la sicurezza degli attraversamenti pedonali, che ha visto il coinvolgimento di 18 Automobile club in 17 Paesi per gettare le basi di linee guida comuni in tutta laUe. «Ne discutemmo in commissione trasporti, ma senza esito», dice Damiani Sticchi: «A questo punto sarebbe importante intervenire con qualche decreto d’urgenza per superare i tempi biblici del nuovo codice della strada».
Pedoni travolti sulle strisce, la strage di gennaio: 51 vittime. La mappa degli incidenti. Alessio Ribaudo su Il Corriere della Sera il 3 Febbraio 2023.
A Modena l'ultima tragedia: una 17enne deceduta dopo tre giorni di agonia. Biserni (Asaps): «È come se in Italia fosse sparito un condominio di 5 piani. Una scia di sangue che nei primi tre giorni di febbraio ha toccato altre tre vittime»
Non ce l’ha fatta Daniela Agata Aniello. La diciassette anni, travolta da una Suv la sera dello scorso 30 gennaio a Modena, è morta oggi nell’ospedale di Baggiovara. Era in compagnia di un’amica, 18enne, che è ancora ricoverata in terapia intensiva sempre a Baggiovara. Le due ragazze stavano attraversando sulle strisce pedonali al momento dell’incidente e la procura ha aperto un fascicolo. Poco dopo, un 84enne è stato investito e ucciso da uno scooter mentre attraversava la strada , sul lungomare Marconi a Salerno. Purtroppo, non sono affatto casi isolati. Secondo gli ultimi dati Aci-Istat, nel 2021 sono morti in media 39 pedoni al mese.
A Modena l'ultima tragedia: una 17enne deceduta dopo tre giorni di agonia. Biserni (Asaps): «È come se in Italia fosse sparito un condominio di 5 piani. Una scia di sangue che nei primi tre giorni di febbraio ha toccato altre tre vittime»
Non ce l’ha fatta Daniela Agata Aniello. La diciassette anni, travolta da una Suv la sera dello scorso 30 gennaio a Modena, è morta oggi nell’ospedale di Baggiovara. Era in compagnia di un’amica, 18enne, che è ancora ricoverata in terapia intensiva sempre a Baggiovara. Le due ragazze stavano attraversando sulle strisce pedonali al momento dell’incidente e la procura ha aperto un fascicolo. Poco dopo, un 84enne è stato investito e ucciso da uno scooter mentre attraversava la strada , sul lungomare Marconi a Salerno. Purtroppo, non sono affatto casi isolati. Secondo gli ultimi dati Aci-Istat, nel 2021 sono morti in media 39 pedoni al mese.
La «strage» di gennaio
È come se ogni anno sparisse per intero un piccolo comune italiano. A gennaio di quest’anno, sulle nostre strade, sono stati uccisi almeno 51 pedoni: uno ogni 14 ore. A perdere la vita sono stati 38 uomini e 13 donne: 11 erano stranieri. Tre avevano meno di 18 anni ovvero 4, 10 anni e 16 anni. Ma è la fascia d’età che va dai 65 anni in più quella con più decessi: 22 decessi. Si muore da Nord a Sud, Isole comprese. Nella poco commendevole classifica delle Regioni con più lenzuola bianche stese in strada spicca il Lazio con 10 pedoni morti, seguita dall’Emilia Romagna e Lombardia (7) e poi via via Campania (5), Calabria e Toscana (4). La vittima più anziana è stato 88enne ad Olbia, travolto e ucciso sulle strisce pedonali. In un caso l’investitore era ubriaco mentre in altri sette è fuggito senza prestare soccorso. Nonostante le norme sull’omicidio stradale siano ancora più aspre nel caso di pirateria. Sono in sintesi questi i dati raccolti dall’Osservatorio Pedoni 2023 promosso dall’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale (Asaps) che ha realizzato anche una mappa interattiva con la localizzazione di tutti gli incidenti. «L’Osservatorio che abbiamo creato registra gli incidenti rilevati sia dalle forze di polizia sia dalla Municipale nei quali sono coinvolti gli utenti più “vulnerabili” della strada — spiega Giordano Biserni, presidente di Asaps — ma i dati sono provvisori e non ricomprendono i decessi avvenuti in ospedale a distanza di tempo come nel caso di Modena che verrà dunque conteggiato a febbraio. Del resto anche i dati ufficiali redatti da Aci-Istat tengono conto solo dei decessi avvenuti entro trenta giorni dall’incidente».
L’analisi
Sempre a gennaio, secondo Asaps, la maggior parte dei conducenti che ha travolto e ucciso un pedone investitori era al volante di un’autovettura (42) mentre in quattro casi guidava autocarri, in tre autobus e in due casi si è trattato di un centauro di motociclo. «In sette casi la colpa dei pendoni è stata quella di andare a gettare le immondizie vicino casa — spiega Giordano Biserni, presidente di Asaps — soprattutto nelle ore serali e notturne». C’è di più: «Il rischio è altissimo rischio per quanti hanno superato i 65 anni, dotati di minori riflessi, lentezza nei movimenti e soprattutto percezione del pericolo in modo limitato, rispetto ad una persona più giovane». L’Asaps ha confrontato anche lo stesso periodo degli anni precedenti. «Nel gennaio del 2022 sono morti 31 pedoni e, quindi, la situazione di quest’anno è sicuramente in peggioramento ma i dati ufficiali Aci-Istat non sono ancora consolidati e attendiamo — analizza Biserni — mentre il paragone con gli anni ancora precedenti va spiegato meglio perché per via della pandemia vanno distinti. Nel 2021 sono scesi a 30 ma vanno considerate le chiusure per la pandemia e, anche, circolazione in netto calo dei veicoli. Nel 2020, quando ancora non si era diffusa l’infezione da Covid-19, il numero è simile a quest’anno: 59. Certo, sul mese di gennaio incide in modo negativo il fattore della minore visibilità a causa delle giornate più corte. Asaps, però, non è in grado di dire se anche la paventata riduzione della pubblica illuminazione a causa della crisi per le bollette elettriche a carico delle amministrazioni comunali abbia inciso su un così alto numero, ma certamente potrà emergere dai rilievi degli organi di polizia stradale se la strada fosse stata poco illuminata al momento del sinistro».
I «codici rossi»
Asaps ha poi registrato 136 casi, in cui il pedone è stato ricoverato in ospedale in «codice rosso» nei reparti di rianimazione o terapia intensiva. Alcuni purtroppo, non ce l’hanno fatta. «Con l’Osservatorio pedoni e la sua mappa vogliamo fornire uno spaccato della sicurezza stradale in tempo reale in Italia rispetto all’utente più vulnerabile in assoluto — conclude Biserni — e sarebbe auspicabile sapere cosa si intende fare per difendere i pedoni, cosa si aspetta a introdurre una sanzione sulla patente per chi continua ad utilizzare il cellulare mentre guida, distogliendo lo sguardo anche per pochi secondi. Poi l’allarme sulla “pirateria stradale” con sette corpi che sono stati lasciati morire sulle strade italiane con la fuga dell’investitore, cosa si aspetta? Pene severe e basta sconti a chi fugge, visto che la riforma “Cartabia” ha eliminato la procedibilità d’ufficio nei casi di fuga dopo aver provocato lesioni gravi o gravissime».
Nonna si butta sotto il Tir e salva il nipote di 8 anni. Questione di attimi. L'impulso di sacrificare la propria vita per salvare quella di una persona amata, senza pensarci, senza perdere l'occasione. Antonio Borrelli il 10 Gennaio 2023 su Il Giornale
Questione di attimi. L'impulso di sacrificare la propria vita per salvare quella di una persona amata, senza pensarci, senza perdere l'occasione. È impossibile immaginare cosa sia passato per la testa di Carla Viganò quando ha fatto da scudo al nipotino che stava per essere investito da un tir, ma la forza d'urto dell'istinto deve averla portata a proteggerlo in barba a tutti i rischi per la propria incolumità. La storia drammatica e commovente arriva dalla provincia di Lecco: è mattina, la 73enne sta accompagnando il bambino di 8 anni alla vicina scuola primaria nella piccola frazione Rogoredo di Casatenovo, popoloso centro della Brianza lecchese. È il primo giorno di scuola dopo le festività natalizie, sembra un lunedì come gli altri. Ma mentre tenta di attraversare sulle strisce, la nonna viene investita dalla parte laterale del camion proveniente dalla Spagna: l'autista del tir stava effettuando una manovra di svolta nella frazione e travolge la donna. Carla viene soccorsa quasi subito da un'infermiera che aveva appena smontato dal turno di lavoro, parte la chiamata all'Agenzia regionale emergenza urgenza della Lombardia e cominciano le prime manovre rianimatorie. Sul posto arrivano in elicottero anche i sanitari dell'eliambulanza di Como con i volontari della Croce bianca, ma per la 73enne non c'è nulla da fare. È già morta. Secondo le prime ricostruzioni, nonna e nipote si trovavano sulle strisce pedonali quando la donna ha visto arrivare il tir intento nella manovra di svolta e, intuito il pericolo, ha spinto via il bambino per salvarlo. Nel frattempo, l'autotrasportatore non si è accorto di nulla e la 73enne è stata investita e uccisa sul colpo. Subito dopo la tragedia, tra la Provinciale 51 e via San Gaetano luogo dell'incidente si crea un capannello di persone intorno al personale sanitario e alle forze dell'ordine. Mentre i carabinieri hanno già avviato le indagini per chiarire l'esatta dinamica (di certo nelle prossime ore la Procura competente aprirà un fascicolo per omicidio), nella piccola Rogoredo dove si conoscono tutti - l'episodio ha immediatamente fatto il giro della frazione e del comune di casa in casa, trovando poi vasta eco in tutta Italia. A colpire i più, tanto i conoscenti della donna quanto chi ha semplicemente saputo dell'incidente anche a chilometri di distanza, è proprio la prontezza di riflessi e la freddezza di Carla Viganò che non ha esitato un attimo di più per salvare suo nipote. Il piccolo, atteso a scuola per la ripresa delle lezioni dopo le festività, è stato preso in consegna da alcuni volontari accorsi sul posto con le forze dell'ordine e poi consegnato ai genitori. Avrà per sempre impressa negli occhi e nella memoria quella scena terribile e gli ultimi momenti insieme a lei ma crescerà con la consapevolezza che nonna Carla lo amava più della sua stessa vita.
Stava accompagnando il più piccolo dei suoi nipoti a scuola. Il dramma di nonna Carla, investita da un tir per salvare uno dei nipotini: “Viveva per loro”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Gennaio 2023
Quando ha visto arrivare il tir non ci ha pensato due volte: ha spinto via il nipotino di 8 anni e così gli ha salvato la vita. Carla Viganò, 73 anni, è morta travolta dalle ruote del pesante mezzo pochi minuti prima che suonasse la campanella del primo giorno di scuola dopo le feste natalizie. Una tragedia che si è consumata a Casatenovo, nella Brianza lecchese. Nonna Carla teneva per mano il nipotino, il più piccolo dei suoi quattro adorati bambini che amava più di ogni altra cosa. Una frazione di secondo, un gesto istintivo dettato dall’amore, hanno permesso a Carla di salvare la vita al nipotino sacrificando la sua. “Viveva per quei bambini”, hanno raccontato al Corriere della Sera alcuni amici e parenti.
Nonna e nipote stavano attraversando la strada sulle strisce pedonali. Dopo pochi minuti sarebbe suonata la campanella di scuola. Quando ha visto il pesante mezzo arrivare lo ha subito spinto via. Il bimbo è stato colpito solo di striscio ma purtroppo per la nonna sono stati inutili i soccorsi e la corsa in elisoccorso verso l’ospedale. Sono ancora da chiarire le dinamiche di quanto accaduto. Alla guida del tir un autista spagnolo che non è riuscito ad evitare l’impatto che è stato subito ascoltato per capire cosa fosse successo.
Tra i primi a prestare soccorso alla nonna un’infermiera che stava tornando a casa dopo il turno di notte in ospedale. Il bimbo sconvolto è stato portato via da alcuni volontari. Sul posto del drammatico incidente sono arrivati poco dopo i familiari della donna. Una delle due figlie ha accusato un malore ed è stata subito soccorsa. Una tragedia enorme che scuote tutta la comunità. Nella piccola frazione di Rogoredo tutti conoscevano Carla. Volontaria in Parrocchia, aveva lavorato al Caf, sembre disponibile con tutti a dare una mano. Pochi mesi fa aveva perso l’amato marito.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Estratto dell'articolo di Simona Buscaglia e Cesare Giuzzi per milano.corriere.it mercoledì 30 agosto 2023.
Prima dell’estate le avevano rubato lo scooter. Così Francesca aveva ripreso la bici. La sua bici da corsa vintage. Dall’Ortica a Porta Romana, dove lavorava al Cinemino, sala d’essai per i cinefili milanesi. […] Copywriter e traduttrice, Francesca Quaglia aveva compiuto 28 anni il 4 luglio. Veniva da Medicina, vicino a Bologna. È morta martedì mattina, travolta da un camion per il trasporto terra che viaggiava praticamente a passo d’uomo.
La quinta vittima da inizio anno a Milano uccisa dal maledetto «angolo cieco». Con la sua bici s’era affiancata al mezzo pesante fermo al semaforo, al centro della strada stava superando le due corsie di macchine immobili. Quando è scattato il verde il camion da oltre 20 tonnellate s’è rimesso lentamente in moto. Lei era di fianco, nella parte anteriore. In un punto in cui, probabilmente, l’autista non aveva modo di rendersi conto della sua presenza in strada.
L’ha agganciata, l’ha fatta cadere. Una testimone ha raccontato d’averla vista battere una mano contro il cassone e la cabina per avvertire chi guidava. Ma su questo punto le indagini della polizia locale non hanno ancora una versione univoca. […] Poi è stata travolta dalle ruote anteriori, la sua bicicletta stritolata sotto al camion. Una ventina di metri, le urla dei passanti che fermano il camionista, 54 anni, che quando si accorge d’aver travolto la ciclista si sente male. […]
L’autista è stato denunciato per omicidio stradale. E gli investigatori stanno cercando di capire se davvero non potesse rendersi conto della presenza della ragazza in bicicletta. I primi accertamenti non lo hanno chiarito. […] Non è un caso se tutte le cinque vittime investite quest’anno — un uomo e quattro donne — siano state travolte da mezzi pesanti. E sempre a causa dell’angolo cieco.
[…] Ieri però, al presidio in piazzale Medaglie d’Oro, organizzato dagli attivisti per ricordare la 28enne, erano in centinaia a chiedere al Comune interventi più coraggiosi: «La città a 30 all’ora è la prima cosa da fare — spiega Massimo Alessio, tra i manifestanti — Poi servono ciclabili più continuative sugli assi principali». E Alberto Gianera, attivista tra gli organizzatori del presidio sottolinea: «Siamo stanchi di avere paura ogni volta che saliamo in sella alla bici per andare a lavoro: vogliamo una città più sicura, non in balia dei mezzi motorizzati».
"Non posso immaginare mia figlia in una bara". Lo strazio della mamma della ciclista investita. La 28enne, originaria di Medicina, in provincia di Bologna, viveva a Milano, dove faceva la copywriter e la traduttrice. Amava i libri e il suo sogno era lavorare in una biblioteca. Linda Marino il 30 Agosto 2023 su Il Giornale.
“Non riesco a immaginare mia figlia in una bara, lei che era così libera, per questo vorrei che il suo funerale non venisse celebrato ma che, piuttosto, venisse cremata”. A parlare è Nadia Valli, la mamma di Francesca Quaglia, la 28enne che ieri ha perso la vita in sella alla sua bici da corsa vintage, investita in viale Caldara, a Milano, da un camionista di 54 anni, ora indagato per omicidio stradale. Dilaniata dal dolore per la perdita della figlia, ha trovato la forza di parlare “per invitare a intervenire su tutti questi incidenti stradali, sulla sicurezza che non c’è”.
Le due si erano sentite qualche ora prima del tragico impatto, poi alle 12 la donna le ha inviato un messaggio sul telefono, ma Francesca non ha mai risposto. Dopo aver girato il mondo e aver vissuto qualche anno in Svezia, Francesca aveva deciso di trasferirsi a Milano, dove viveva con il fidanzato. “L’ultimo video che mi ha mandato è di una biblioteca. Mi ha detto: 'Mamma, hai visto quanto è bella?'. "Sognava di lavorare in un posto come quello perché amava i libri”, racconta la madre. "I suoi volumi preferiti erano quelli di letteratura e da poco si stava appassionando ai gialli".
A Medicina era tornata per le vacanze estive e lì aveva lasciato alcune delle sue cose, “perché tanto torno presto”, aveva detto. "Proprio oggi avrebbe iniziato a lavorare al Piccolo Cinema, di cui conosceva i proprietari", spiega la madre. "Frequentava quel posto e si trovava benissimo. Forse si sarebbe occupata della biglietteria o del piccolo bar all’interno”. Intanto Francesca lavorava come traduttrice e copywriter. Dopo il diploma, conseguito a Imola, si era iscritta all’Università a Venezia e aveva continuato a studiare le lingue straniere, di cui era appassionata sin da piccola. “Era bravissima in inglese”, sottolinea con orgoglio la mamma. "A Londra aveva lavorato come ragazza alla pari, ha viaggiato molto, zaino in spalla, era coraggiosissima”. Durante l’Erasmus aveva conosciuto la Svezia, che l’aveva stregata. Ma Francesca aveva anche altre passioni, come quella per la natura. "Adorava camminare in montagna e ovunque ci fosse verde, era felice di avere trovato a Milano una casa con un piccolo giardino, dove piantava di tutto, verdure e pomodori”. E poi amava gli animali. Aveva un cane, Maya, che in questi giorni è a Medicina, e si starà chiedendo quando la sua padroncina verrà a riprenderla.
Camion e biciclette, come convivere nel traffico. Sergio Barlocchetti su Panorama il 30 Agosto 2023
Milano è una città non a misura di ciclisti? Nonostante il moltiplicarsi di incidenti la risposta è no. La testimonianza di chi da quarant'anni pedala quotidianamente nel traffico
Ormai quotidianamente leggiamo quanti sostengono che Milano non sia una città per ciclisti. Vi sbagliate di grosso, e scrivo per esperienza quarantennale, ma per sopravvivere e procedere con maggiore sicurezza è necessario smettere di pedalare pensando che lo sia. Inutile seguire in modo acritico le piste ciclabili virtuali che sono state disegnate, spesso in modo naif, ed anche pensare di essere ad Amsterdam, Copenaghen o a Helsinki. Mi spiego meglio: affiancare un mezzo pesante è sempre una mossa sbagliata, come lo è pensare di avere gli stessi ingombri di una vettura che debba svoltare a sinistra e di conseguenza il medesimo rispetto, o la stessa visibilità, da parte degli altri utenti della strada. Meglio, allora, arrivare al semaforo, scendere e attraversare portando la bicicletta a mano. Perché la guida tipica dell’automobilista milanese lo porta a occupare nel minor tempo possibile tutto lo spazio libero disponibile. Non è una colpa, serve a facilitare chi sta dietro e magari deve a sua volta svoltare. Semplicemente la parte centrale della città ha un’urbanistica monocentrica e per attraversarla esistono soltanto due modi: passare per piazza Duomo e dintorni, oppure girarci attorno. E siccome il traffico a motore deve giocoforza scegliere la seconda opzione, a causa dell’Area C, ogni incrocio vede anche quello delle traiettorie tra vari flussi e tipologie di traffico. Essere in bicicletta non significa poter attraversare la strada con il rosso qualora non sopraggiunga nessun altro, non significa poter salire e scendere dai marciapiedi quando è comodo e neppure rallentare il traffico piazzandosi in mezzo alla corsia. Il perfetto candidato per un incidente è il ciclista che ascolta la musica con le cuffiette o che telefona mentre pedala. E non soltanto con l’auricolare in un orecchio, ma spesso con entrambe le orecchie tappate o anche coperte da cuffie integrali più adatte al viaggio in treno e in aereo. Ci sono effetti diretti sia sull’equilibrio, sia su una possibile sindrome da visione “a tubo”, ovvero non si percepiscono né i movimenti né la situazione intorno. Abitudine pessima è anche quella di approfittare del semaforo rosso per fare zig-zag tra le vetture e guadagnare posizioni verso la linea dello stop; ed anche utilizzare una scarsa illuminazione, come non indossare il casco. La maggioranza delle bicilette non ha specchietto retrovisore (come invece motocicli e ciclomotori) e quando possono infilarsi contromano per sfruttare una scorciatoia lo fanno senza prima fermarsi e osservare che cosa accade in quella strada. Se poi parliamo di efficienza dei mezzi, apriti cielo: freni inesistenti o consumati, mancanza di segnalatore acustico (campanello, clacson, trombetta), parcheggi creativi laddove i passaggi devono restare liberi e totale incapacità di gestire piccole riparazioni come una gomma bucata o la semplice caduta della catena. Non parliamo poi di coloro che in strada usano una bici con pneumatici sottili da “Giro d’Italia” o, peggio, che trainano con la bicicletta un basso carretto contenente i figli, che stanno proprio ad altezza tubo di scappamento altrui: sappiate che le auto di oggi sono molto alte e per il conducente è impossibile vederli anche se dotati di bandierina colorata. Insomma, è vero che il traffico è una pericolosa giungla, che gli incidenti ai ciclisti sono parecchi, ma poi andando a esaminare per bene le dinamiche si scopre che non è automaticamente colpa di chi conduce il mezzo più ingombrante. Forse il Comune di Milano, nei suoi corsi serali, potrebbe cominciare a farne uno di educazione stradale per pedalatori.
Ciclisti, Filippo Facci: "Alcuni sono il vero colera del traffico". Filippo Facci su Libero Quotidiano il 12 gennaio 2023
Non c'è nessun dibattito sulla Milano a 30 all'ora inteso come limite massimo: a meno che ci si riferisca al turpiloquio quotidiano che oppone auto, furgoni, camion, autobus, filobus, tram vecchi e nuovi, tassisti, quadricicli, scooter, bici, bici a noleggio, bici a pedalata assistita, bici elettriche, minibici pieghevoli, tricicli, ultimi segway, hover board, monoruota, skateboard, persino i pattini, persino scarpe con ruote estraibili, e ovviamente i maledetti monopattini, e non ultimi i cari vecchi pedoni: perché la gran parte di questi mezzi passa bellamente sui marciapiedi o ci viene parcheggiato o abbandonato, e rompe i cogli*** a tutti.
Estendere il limite dei 30 all'ora sarebbe anzitutto una sfottitura per chi, durante le sempre più estese ore di punta, vive i 30 all'ora come una regola forzata a partire dalle tangenziali. Sarebbe una misura - lo sanno tutti - che aumenterebbe l'inquinamento. Sarebbe un'ecatombe se replicata a Roma, dove se superi i 30 all'ora tamponi il mezzo davanti (soprattutto sul Lungotevere, dove il concetto di corsia è sconosciuto) come capita in altre città che non siano Amsterdam, Berlino, Lubiana, Padova, Parigi, Torino, Vienna, tutte realtà dove ci sono lunghi viali storici o ricostruiti dopo la guerra, e dove per ricavare delle strade non hanno dovuto coprire i Navigli come nella medioevale Milano.
CULTURA ALIENA - Non c'è nessun dibattito, quindi. L'idea di una Milano a 30 all'ora sarebbe solo un'imposizione culturalmente aliena alla città che «corre» (la giungla milanese ha regole tutte sue, e chi non si allinea viene espulso) ma che la rende più disciplinata di altre metropoli che hanno il doppio delle auto. Quel che è vero è che Milano sta diventando una città sempre più nevrotica e classista, dove i pendolari sono palesemente discriminati a vantaggio dei clan di benestanti che vivono in centro. Dite un po': avete mai visto un vigile urbano che controllasse il wattaggio di una bici elettrica? Avete mai visto multare un ciclista che passa sulle strisce pedonali o sul marciapiede? Vi risulta che i ciclisti che passano col rosso becchino multe?
Non avete mai visto biciclette o monopattini nelle aree pedonali, vero? E neppure trabiccoli cinesi del bike sharing ammassati in giro o gettati direttamente nel Naviglio, giusto? E neppure piste ciclabili clamorosamente vuote (salvo mamme coi passeggini) mentre i ciclisti se ne fottono e passano rigorosamente in strada, macché, mai visto niente del genere. Di notte non vi è mai capitato di vedervi tagliare la strada da una bici lanciata a tutta velocità senza luci né casco.
Milano, sappiamo, è anche una città per furbi e per dementi, con le Lamborghini che passano a due all'ora in corso Venezia o lungo il Quadrilatero, coi furgonisti che «sto lavorando» (carico e scarico con le quattro frecce) e le mamme imbranate col suv che «mi fermo solo un momento» (in terza fila davanti alla scuola, carico e scarico di figli in mezzo alla strada) ma i più insopportabili restano loro, i ciclisti (certi ciclisti, almeno) che sono il vero colera del traffico milanese.
Loro che vagheggiano Amsterdam anche se vengono da Quartoggiaro, citano Berlino - ricostruita settant' anni fa - mentre tu sei immobile a un semaforo su una strada costruita in pietra di fiume lungo le mura. Le nuove regole della Milano finta-ecologista e neo-classista stanno distruggendo quel suo lato asburgico che le ha sempre fatto reggere equilibri che farebbero collassare qualsiasi altra città anche nordica: la Milano veicolare, ora, come detto, è una fomentatrice di haters. Anche se non è Napoli, dove ancora si possono vedere famiglie arrampicate su uno scooter senza targa, o come in Calabria- vecchiette in carrozzella caricate sull'Apecar. Magari, chissà, diverrà l'avanguardia mondiale della micro-mobilità: purché non si tiri in ballo l'ecologia, visto che i monopattini e tutto l'elettrico non sono ecologici per niente: non emettono anidride carbonica, ma l'impatto va calcolato in termini di emissioni di gas serra («carbon footprint») che tengano conto delle emissioni necessarie alla produzione di un oggetto e al suo funzionamento. Nel caso - come calcolato da più studi pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Research Letters - l'elettrico risulta meno ecologico dei mezzi che si usavano al loro posto. Anche il resto si sa: i limiti di 30 all'ora farebbero aumentare le emissioni perché costringerebbero a usare marce più basse e a consumare più carburante. Milano resterebbe comunque veloce come è Milano, perché anche ciclisti-lavoratori (che portano missive, cene, cocaina) basano sulla velocità il loro guadagno. Ma crescerebbero gli incidenti. Città coi limite a 30 all'ora non esistono: cioè sì, esistono, ma nessuno va davvero a 30 all'ora, si sfora con un accomodamento all'italiana. Milano lo imparino i signori di Roma odi Bologna, che straparlano di modello milanese- abbonda di piste ciclabili che restringono le carreggiate e aumentano il traffico, in compenso sono vuote. I ciclisti si disincentivano da soli, preferiscono la strada ordinaria.
La verità è che nel «modello milanese» sono perlopiù i fighetti e i benestanti a usare la bicicletta: sono loro che possono permettersi di pedalare senza abbruttirsi sugli orridi mezzi pubblici che premono dalla periferia; sono loro che si sentono in diritto di ogni cosa e caracollano in mezzo alla strada come a dire che l'errore sono gli altri, e che vanno sui marciapiedi, se ne fregano dei semafori, imbeccano sensi unici, vanno con le cuffie, stanno al cellulare, svoltano senza segnalare, fanno correre il cane, si affiancano uno con l'altro, rallentano il traffico più di un Tir.
FALSE VERITÀ - Dicono che i limiti a 30 all'ora riducono gli incidenti mortali: ma restare a casa li riduce anche di più, sempre che non abbattano anche le case e i palazzi per fare nuove aree verdi dove distribuire retini per farfalle e spacciatori serali. La Milano finta ecologista si conosce: ha il bolide in garage, ma di giorno, in città, circola con la bici supertecnica con la sella di cuoio e diciannove cambi sequenziali, oppure, se donna, col cestino di vimini col fiocchetto. Il perfetto milanese dei 30 all'ora è il giornalista che per spostarvi da via Solferino alla periferia pretendeva al minimo un ponte aereo; è la mamma-chic che attraversa disinvolta incroci pericolosissimi usando i figli come scudi umani; è il giovanile rampante che sfila sollevato dalla sella come se avesse dei ricci nel sedere; è il giovane hipster con barba e occhiali d'ordinanza che trascina ferrivecchi antecedenti al 1960 e pesanti come Moto Guzzi; è dulcis in fundo - la strafiga che pedala in tacco 14 e tailleur nero e corre all'apericena fingendo indifferenza per la catasta di automobili che intanto si è spatasciata nel tentativo di inquadrarla meglio. È questa la Milano dei 30 all'ora. C'è già.