Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ANNO 2023
IL TERRITORIO
TERZA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
IL TERRITORIO
PRIMA PARTE
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede nel Trentino Alto Adige.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Friuli Venezia Giulia.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Veneto.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Lombardia.
Succede a Milano.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Val d’Aosta.
Succede in Piemonte.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Liguria.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA. (Ho scritto dei saggi dedicati)
Succede in Emilia Romagna.
Succede a Parma.
È morto Calisto Tanzi.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Toscana.
SOLITA SIENA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede a Siena.
SOLITA SARDEGNA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Sardegna.
SOLITE MARCHE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede nelle Marche.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Umbria.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede nel Lazio.
Succede a Roma.
SECONDA PARTE
SOLITO ABRUZZO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Abruzzo.
SOLITO MOLISE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Molise.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Campania.
Succede a Napoli.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Basilicata.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Calabria.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Sicilia.
TERZA PARTE
SOLITA BARI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Puglia.
Succede a Bari.
La Banca Popolare di Bari. La mia banca è differente…
SOLITA FOGGIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede a Foggia.
SOLITA TARANTO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Spartani vs Messapi.
Succede a Taranto.
Succede a Manduria.
Succede a Maruggio.
Succede ad Avetrana.
SOLITA BRINDISI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede a Brindisi.
SOLITA LECCE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Tarantismo.
Succede a Lecce.
IL TERRITORIO
TERZA PARTE
SOLITA BARI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede in Puglia.
La Demografia.
La Politica.
La Sanità.
L’Informazione.
La Puglia si spopola, Viesti: «sono tre secoli che non accadeva niente di simile». La popolazione scende sotto i 4 milioni, -3,2% rispetto al 2011In un anno, le perdite più consistenti sono a Bari (-1.257 residenti). MARISA INGROSSO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 28 Settembre 2023
L’emigrazione è come una brutta ferita infetta che duole e continua a sanguinare copiosamente indebolendo la Puglia delle sue risorse migliori, i giovani in età da lavoro e ben formati. Né le culle sempre più vuote e una immigrazione ancora contenuta riescono a tamponare la falla. In conseguenza di ciò, lentamente, la regione si sta spopolando.
Lo dicono i “numeri” del Censimento permanente della popolazione pugliese, al 31 dicembre 2021, che l’Istat ha appena pubblicato. È scritto che i residenti sono 3.922.941, con una diminuzione del 3,2% rispetto al 2011. In quel decennio la riduzione complessiva è stata di 129.625 persone. La più significativa si registra nella provincia di Brindisi (19.528 persone, -4,9%), seguita da Foggia (-27.004, -4,3%) e Taranto (-24.757, -4,2). Bari ha perso 20.519 residenti in 10 anni (-1,6%), Lecce 26.670 (-3,3%).
Rispetto al 2020 i dati censuari evidenziano un decremento di -10.836 persone residenti nella regione. E nemmeno l’area che - sulla carta - offre le migliori possibilità, il Barese, è esente da questo fenomeno: «A livello provinciale Bari perde -3.374 residenti, seguita da Foggia (-3.366), che registra anche il maggiore decremento relativo (-0,6%)», rileva Istat. In percentuale, da anno ad anno è stata la Capitanata a perdere più residenti (-0,6%).
Aumentando l’«ingrandimento» sul fenomeno e passando al livello comunale, il dossier spiega che «tra il 2020 e il 2021 un comune su tre non ha subito perdite di popolazione e tra questi non è presente alcun capoluogo di provincia, tranne i comuni di Barletta, Andria e Trani. Invece sono 174 i comuni dove la popolazione diminuisce: in valore assoluto, le perdite più consistenti si registrano a Bari (-1.257), Taranto (-1.256) e Foggia (-664); in termini relativi nei comuni di Poggiorsini (-3,6%) e Celle di San Vito (-3,3%)».
Istat dice che «la diminuzione della popolazione residente della Puglia è frutto di un saldo naturale fortemente negativo (-19.905 unità) al quale si somma un saldo migratorio totale che rimane negativo (-870 unità) nonostante un recupero dei movimenti demografici internazionali tra il 2020 e il 2021. Il saldo censuario positivo (+9.939) non riesce a compensare la perdita di popolazione. La dinamica naturale conferma il trend negativo in corso. La mortalità è in aumento: il tasso di mortalità passa dall’11,2 per mille del 2020 all’11,8 per mille del 2021, e raggiunge il valore più alto (12,3 per mille), nelle province di Lecce e Taranto».
Le donne sono più degli uomini (rappresentano il 51,3% del totale e superano gli uomini di poco più di 101mila unità) e la popolazione pugliese presenta, nel 2021, una struttura sensibilmente più giovane rispetto al totale del Paese, l’età media è 45,7 anni, la media nazionale è 46,2 anni.
La popolazione straniera al 2021 ammonta a 135.173 unità, il 2,7% della popolazione straniera residente in Italia. Quasi il 75% dei cittadini stranieri risiede nelle tre province di Bari (31,1%), Foggia (22,9%) e Lecce (19%). La percentuale sulla popolazione residente totale è minore rispetto al valore nazionale (3,4% contro 8,5%). Non sorprende che l’incidenza provinciale più alta si osservi a Foggia (30.973 persone, 5,2%) mentre, all’opposto, quella più bassa è a Taranto (14.770 persone, 2,6%). A Bari il totale di stranieri raggiunge quota 42.047 il 3,4% del totale della popolazione residente.
Circa la loro provenienza, l’Istituto nazionale di statistica rileva come oltre la metà (50,3%) dei cittadini stranieri proviene dall’Europa, il 26,1% dall’Africa, il 20,5% dall’Asia e il 3,1% dall’America. Per essere precisi: i cittadini stranieri acquartierati in regione provengono da 168 Paesi del mondo, ma particolarmente dalla Romania (21,6%), ovviamente dalla vicina Albania (15,6%) e dal Marocco (8,0%); albanesi e georgiani presentano una particolare concentrazione rispetto al livello nazionale.
L’economista Viesti: sono tre secoli che non accadeva niente di simile
«Si può lavorare sulla natalità, ma servono politiche di immigrazione e integrazione»
«È una cosa di importanza secolare, nel senso che sono tre secoli che non accadeva niente di simile». Il professor Gianfranco Viesti, ordinario di Economia applicata nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, considera lo spopolamento della Puglia la vera grande sfida politica contemporanea.
L’area che - almeno sulla carta - dovrebbe offrire più opportunità, perde in termini assoluti più residenti: Bari, ne perde più di Foggia. Che ne pensa?
«Bisognerebbe lavorare di percentuali. Questo fenomeno riguarda tutto il territorio regionale. È un mondo nuovo al quale dobbiamo abituarci e ha conseguenze enormi, su scuola, servizi, sulla società. Cambia e invecchia la popolazione ed è una situazione con cui conviveremo almeno per i prossimi quanti? Vent’anni? Non c’è da aspettarsi grandi cambiamenti perché le donne in età fertile sono diminuite ed è difficile far nascere tanti bambini. La verità è che abbiamo troppo pochi immigrati. È un tema maledetto, reso tale da una politicizzazione estrema, ma in Puglia ci sono troppo pochi immigrati e non ci aiutano a contrastare il declino demografico soprattutto delle forze di la- voro (perché sono molto più dei resi- denti le persone in età di lavoro). Ne abbiamo meno della media nazionale e questo è un tema che bisognerebbe mettere più al riparo dalle polemiche politiche. La verità è che sono troppo pochi e, fra l’altro, sono prevalentemente romeni e albanesi, cioè persone con cui ci sono distanze linguistiche e culturali modeste».
Quindi si può lavorare sulla natalità, ma non basta?
«Si può lavorare sulla natalità ma non è sufficiente e l’unico modo per contrastare lo spopolamento...
Torino, il governatore pugliese Emiliano assolto dall'accusa di finanziamento illecito.
L'inchiesta sulla campagna per le primarie Pd 2017. Condannato l'ex capo di gabinetto Stefanazzi: «Io innocente, rinuncerò alla prescrizione». L'avvocato del presidente: «Sconfitta la macchina del fango». REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 05 Maggio 2023.
Il Tribunale di Torino ha assolto "per non aver commesso il fatto" il presidente della Regione, Michele Emiliano (difeso dall'avvocato Gaetano Sassanelli), dall'accusa di finanziamento pubblico in relazione alle primarie del Pd del 2017. Il giudice Alessandra Salvadori ha assolto con la stessa formula anche l'imprenditore foggiano Giacomo Mescia.
Condannati a quattro mesi e 20mila euro di multa, con pena sospesa e non menzione, l'ex capo di gabinetto della Regione e attuale parlamentare Pd, Claudio Stefanazzi (assolto dall'imputazione relativa al finanziamento illecito relativo a Mescia), e l'imprenditore Vito Ladisa. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni.
I fatti risalgono al 2017 e si riferiscono a somme versate dalle aziende di Mescia e Ladisa alla Eggers, una società del Torinese che curò la campagna elettorale di Emiliano per le primarie 2017 del Pd. Secondo la procura subalpina (cui gli atti furono trasmessi, per competenza territoriale, da quella di Bari) si trattò di un finanziamento occulto e - ai due imprenditori - venne contestato anche di un connesso reato fiscale. Tutti si sono sempre dichiarati innocenti.
«La sentenza di oggi - dice l'avvocato Sassanelli - è la pietra tombale sulle fandonie a carico del presidente Emiliano che finalmente stacca la corrente al circuito del fango nel ventilatore, così tanto utilizzato a suo danno in questi lunghi 5 anni. Ma, naturalmente, com’è d’obbligo in Italia, nessuno risponderà di questi anni di informazione avvelenata, nonostante si siano rivoltati come un calzino la vita, i rapporti, gli affetti e l’intera esistenza del presidente. Sono stati utilizzati gli strumenti investigativi più invasivi a disposizione della polizia giudiziaria, perché forse qualcuno con il suo esposto anonimo ha cercato di guidare dall’esterno l’indagine, pensando così di sferrare un attacco finale e definitivo. Ma non aveva fatto i conti con la verità che, con la sua tenacia, alla fine ha avuto la meglio, dimostrando che la realtà era ben diversa. Qualcuno evidentemente pensava che lo squallido ed incostituzionale strumento dell’anonimo potesse essere uno strumento con cui scardinarne l’immagine».
«Non ci dimentichiamo infatti - aggiunge il difensore del presidente Emiliano - che questa indagine è partita da una ipotesi di corruzione, senza neanche l’individuazione dell’atto contrario ai doveri di ufficio che costituisce un elemento costitutivo di quel reato, lasciando il retrogusto di un utilizzo della giustizia penale come strumento per raggiungere un determinato risultato, con la conseguenza che nell’opinione pubblica si era radicata una convinzione di colpevolezza in totale rotta di collisione con la verità, dopo molti anni accertata anche processualmente. Si spera che ora, finalmente, dando il giusto peso ai maleodoranti anonimi, si torni invece alla logica del processo come attività necessaria per accertare fatti esistenti ed almeno astrattamente riconducibili ad un precetto penale. Ma partendo sempre da un fatto e mai più da congetture prive di sostanza».
Stefanazzi: «Io innocente, rinuncerò alla prescrizione»
«Apprendo con costernazione e sorpresa - è il commento dell'ex capo di gabinetto, Claudio Stefanazzi - della decisione del Tribunale di Torino. Come ho sempre fatto in questi anni non commento questa decisione per il rispetto che nutro nei confronti della Magistratura. Peraltro le recenti archiviazioni delle innumerevoli inchieste cui sono stato sottoposto in 6 lunghi anni, confermano la mia posizione. Sono proprio il rispetto e la fiducia nei confronti della Magistratura che mi portano oggi a rinunciare alla prescrizione, che averrebbe tra circa un anno, al fine di far prevalere la mia assoluta estraneità ai fatti contestati fino alla Suprema Corte di Cassazione, estraneità ampiamente provata documentalmente».
Anche la difesa dell'imprenditore Vito Ladisa annuncia che presenterà appello. «La sentenza di primo grado ha - finalmente - accertato - dice l'avvocato Michele Laforgia - che Vito Ladisa non ha mai finanziato Michele Emiliano, come abbiamo sempre sostenuto e ampiamente dimostrato nel corso del processo. Quando leggeremo le motivazioni, cercheremo di capire com’è possibile che Ladisa sia stato ugualmente condannato per finanziamento illecito, un reato che non è stato commesso dal presunto beneficiario del contributo. E ciò nonostante sia stato altrettanto dimostrato, nel corso del processo, che il pagamento oggetto di contestazione ha riguardato una prestazione professionale documentata, soggettivamente e oggettivamente vera e reale, tanto che il reato fiscale è stato, a suo tempo, archiviato. Non so dire perché. Del resto uno dei padri della Costituzione repubblicana, Piero Calamandrei, ha detto che la giustizia è come la divinità, e si manifesta solo a chi ha fede. Noi continuiamo ad aver fede anche di fronte al Mistero. Ne riparleremo in appello».
Il governatore pugliese Michele Emiliano assolto dall’accusa di finanziamento illecito. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 4 maggio 2023.
L'inchiesta avviata dalla procura di Bari verteva sulla campagna per le primarie Pd 2017. Condannato l'ex capo di gabinetto Stefanazzi: «Sono innocente, rinuncerò alla prescrizione». L'avvocato di Emiliano: "Sconfitta la macchina del fango"
Il Tribunale di Torino ha assolto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (difeso dall’avvocato Gaetano Sassanelli) “per non aver commesso il fatto“, dall’accusa di finanziamento pubblico in relazione alle primarie del Pd del 2017. Il giudice del Tribunale di Torino Alessandra Salvadori ha assolto anche l’imprenditore foggiano Giacomo Mescia con la stessa formula.
La vicenda risale al 2017 riguardante le somme versate dalle aziende di Mescia e Ladisa alla Eggers, una società di Torino che aveva curato la promozione della campagna elettorale di Emiliano in occasione delle primarie del Pd. Secondo la procura torinese (a cui furono trasmessi gli atti dalla Procura di Bari, per competenza territoriale) si sarebbe trattato di un finanziamento occulto, e venne contestato ai due imprenditori che si sono sempre dichiarati innocenti, anche un connesso reato fiscale.
Condannati a quattro mesi e 20mila euro di multa, con pena sospesa e non menzione Claudio Stefanazzi l’ex capo di gabinetto della Regione ed attuale deputato eletto nelle liste del Pd, (assolto dall’imputazione relativa al finanziamento illecito relativo a Mescia), e l’imprenditore Vito Ladisa. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. Per entrambi sono state riconosciute le attenuanti generiche. Il pm Giovanni Caspani della procura di Torino, aveva chiesto la condanna a un anno di reclusione per Emiliano e Stefanazzi, a otto mesi per i due imprenditori.
Le accuse iniziali nei confronti degli imputati erano state avviate e sostenute dalla Procura di Bari sono state a dir poco “ridimensionate” se non smentite dai magistrati torinesi nell’avviso di conclusione delle indagini: l’inchiesta partita da Bari, ipotizzava infatti, anche le accuse per i reati di “abuso di ufficio” ed “induzione indebita”, poi decadute e stralciate a Torino dove il fascicolo era stato trasmesso per competenza territoriale in quanto l’imprenditore Dotti risiede nel capoluogo piemontese e quindi il presunto reato si sarebbe consumato in quella sede e quindi la Procura di Bari era incompetente territorialmente.
Nel capo di imputazione contenuto nell’avviso di conclusione delle indagini era contestato il concorso nella violazione delle norme sul finanziamento pubblico ai partiti ipotizzando che Mescia e Ladisa, su sollecitazione di Stefanazzi, si sarebbero fatti carico di pagare 65mila euro richiesti da Dotti ad Emiliano per una campagna di comunicazione alle primarie del 2017.
L’avvocato Gaetano Sassanelli, difensore di Emiliano, aveva chiesto “l’assoluzione perché il fatto non sussiste o perché Michele Emiliano non lo ha commesso. Il processo – ha aggiunto – che si sta celebrando è nato da un esposto anonimo fatto che dovrebbe mettere in guardia sulla strumentalità della vicenda. Emiliano a mio avviso – ha proseguito – si trova senza aver fatto nulla a rispondere di una colpa d’autore, non per la sua condotta, dunque, ma per il suo ruolo e se si deve rispondere per quello che si è o per quello che si è commesso bisogna prendere atto che non c’è alcun rilievo penale perché Emiliano non poteva nè doveva occuparsi delle questioni che gli vengono contestate“»”.
“La sentenza di oggi è la pietra tombale sulle fandonie a carico del presidente Emiliano – ha dichiarato l’avvocato Sassanelli – che finalmente stacca la corrente al circuito del fango nel ventilatore, così tanto utilizzato a suo danno in questi lunghi 5 anni. Ma, naturalmente, com’è d’obbligo in Italia, nessuno risponderà di questi anni di informazione avvelenata, nonostante si siano rivoltati come un calzino la vita, i rapporti, gli affetti e l’intera esistenza del presidente. Sono stati utilizzati gli strumenti investigativi più invasivi a disposizione della polizia giudiziaria, perché forse qualcuno con il suo esposto anonimo ha cercato di guidare dall’esterno l’indagine, pensando così di sferrare un attacco finale e definitivo. Ma non aveva fatto i conti con la verità che, con la sua tenacia, alla fine ha avuto la meglio, dimostrando che la realtà era ben diversa. Qualcuno evidentemente pensava che lo squallido ed incostituzionale strumento dell’anonimo potesse essere uno strumento con cui scardinarne l’immagine“.
“Non dimentichiamo infatti che questa indagine è partita da una ipotesi di corruzione, – aggiunge il difensore del governatore Emiliano – senza neanche l’individuazione dell’atto contrario ai doveri di ufficio che costituisce un elemento costitutivo di quel reato, lasciando il retrogusto di un utilizzo della giustizia penale come strumento per raggiungere un determinato risultato, con la conseguenza che nell’opinione pubblica si era radicata una convinzione di colpevolezza in totale rotta di collisione con la verità, dopo molti anni accertata anche processualmente. Si spera che ora, finalmente, dando il giusto peso ai maleodoranti anonimi, si torni invece alla logica del processo come attività necessaria per accertare fatti esistenti ed almeno astrattamente riconducibili ad un precetto pale. Ma partendo sempre da un fatto e mai più da congetture prive di sostanza“.
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha così commentato la sentenza del Tribunale di Torino. “Sapevo sin dall’inizio di queste indagini durate 5 anni di essere completamente innocente. Il fatto che finalmente oggi lo abbia accertato il giudice mi dà una grande gioia, non tanto per me, ma per tutte le persone che mi vogliono bene e soprattutto per la Puglia che rappresento. Ringrazio il mio avvocato, Gaetano Sassanelli, che in questi lunghi anni mi ha difeso nel processo, in un momento per me di sofferenza patita in silenzio per scelta e per rispetto della Magistratura. Sono certo che anche Claudio Stefanazzi riuscirà a dimostrare la sua assoluta estraneità ai fatti contestati. Bisogna sempre avere fiducia nella giustizia“.
Il legale di Ladisa: “Presenteremo appello, una condanna incomprensibile”
Anche l’avvocato Michele Laforgia difensore dell’imprenditore Vito Ladisa annuncia che presenterà appello contro la decisione incomprensibile del Tribunale di Torino. “La sentenza di primo grado ha finalmente accertato che Vito Ladisa non ha mai finanziato Michele Emiliano, come abbiamo sempre sostenuto e ampiamente dimostrato nel corso del processo. Quando leggeremo le motivazioni, cercheremo di capire com’è possibile che Ladisa sia stato ugualmente condannato per finanziamento illecito, un reato che non è stato commesso dal presunto beneficiario del contributo. E ciò nonostante sia stato altrettanto dimostrato, nel corso del processo, che il pagamento oggetto di contestazione ha riguardato una prestazione professionale documentata, soggettivamente e oggettivamente vera e reale, tanto che il reato fiscale è stato, a suo tempo, archiviato. Non so dire perché. Del resto uno dei padri della Costituzione repubblicana, Piero Calamandrei, ha detto che la giustizia è come la divinità, e si manifesta solo a chi ha fede. Noi continuiamo ad aver fede anche di fronte al Mistero. Ne riparleremo in appello“. L’imprenditore barese con grande senso di equilibrio, ha commentato: “Rispetto le sentenze in silenzio senza “se” e senza “ma”… ricorreremo in appello“.
L’on. Stefanazzi: “Sono innocente, rinuncerò alla prescrizione”
“Apprendo con costernazione e sorpresa della decisione del Tribunale di Torino – commenta l’ex capo di gabinetto di Emiliano, Claudio Stefanazzi – . Non commento questa decisione per il rispetto che nutro nei confronti della Magistratura come ho sempre fatto in questi anni. Peraltro le recenti archiviazioni delle innumerevoli inchieste cui sono stato sottoposto in 6 lunghi anni, confermano la mia posizione. Sono proprio il rispetto e la fiducia nei confronti della Magistratura che mi portano oggi a rinunciare alla prescrizione, che averrebbe tra circa un anno, al fine di far prevalere la mia assoluta estraneità ai fatti contestati fino alla Suprema Corte di Cassazione, estraneità ampiamente provata documentalmente“. Redazione CdG 1947
Torino, le motivazioni dell’assoluzione del governatore pugliese Emiliano. «Mai interessato agli aspetti economici delle primarie Pd 2017». MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 luglio 2023.
Michele Emiliano non si è mai interessato degli aspetti economici della campagna per le 1primarie Pd del 2017 che gli è costata un processo per violazione della legge sul finanziamento pubblico. Nel motivare l’assoluzione con formula piena del governatore pugliese, decisa a maggio, il Tribunale di Torino ha però stabilito che l’uomo della comunicazione scelto da Emiliano, Piero Dotti, archiviato nel 2021 quando l’indagine era ancora a Bari, «ha posto in essere una condotta materiale necessaria all’integrazione del delitto. Da qui la decisione del giudice Alessandra Salvatori, che ha trasmesso alla Procura di Torino «in relazione ai profili di responsabilità» di Dotti e di Francesca Tusino, commercialista dell’altro assolto, l’imprenditore Giacomo Mescia.
L’inchiesta partì da Bari con una lettera anonima (recapitata ai giornali e alla Procura) in cui era contenuto un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di Emiliano dalla Eggers di Torino, la società di Dotti che organizzò la campagna di comunicazione. Dalle indagini emerse che i 65mila euro per la campagna di Dotti (copiata da quella della Serracchiani) furono pagati in parte dalla Margherita di Mescia e per il resto dalla Ladisa. Da qui il processo che, dopo una serie di archiviazioni parziali, è approdato a Torino.
Il Tribunale piemontese ha sposato in pieno la linea difensiva di Emiliano (con l’avvocato Gaetano Sassanelli), e ha riconosciuto che l’intera vicenda è «il frutto di una serie di eventi accidentali che hanno sottratto quell’unico debito contratto per la campagna elettorale delle primarie alla normale procedura», partiti dalla «mancata ricezione» del preventivo di Dotti da parte del tesoriere Antonio Vasile, in un periodo «eccezionale e funesto» per i principali collaboratori di Emiliano (dalla scomparsa di Stefano Fumarulo ai gravi problemi familiari di Domenico De Santis).
Dall’esame dei messaggi e dalle testimonianze acquisite a dibattimento il giudice ha ritenuto «pienamente dimostrata» l’assoluta estraneità del governatore pugliese alla gestione amministrativa. Questo perché «per mancanza di tempo ma soprattutto per una deliberata scelta di fondo [Emiliano] non si interessava minimamente agli aspetti economici della sua campagna», al punto che «neppure conosceva o non ricordava» l’importo pattuito con Dotti e «non era al corrente della consistenza dei fondi disponibili». «È significativo – scrive ancora il giudice – che Emiliano, una volta appreso da Stefanazzi l’importo approssimativo» del debito, «si sia offerto di anticipare il totale, pagando con denaro personale e, a fronte della proposta di Stefanazzi di versare il dovuto in due tranche, abbia insistito per pagare lui la differenza».
Il compito di pagare Dotti fu demandato al capo di gabinetto. Stefanazzi «dopo aver appreso che le disponibilità erano del tutto insufficienti» si rivolse all’avvocato Mescia, imprenditore del fotovoltaico, che – ha stabilito il giudice -, al pari di Stefanazzi non ebbe alcun ruolo «nelle attività che portarono a pagare 20.000 euro alla Eggers di Dotti in modo non trasparente». Fu infatti la Tusino, commercialista di Mescia (con «il contributo volontario fornito da Pietro Dotti») a far modificare la causale della fattura emessa dalla Eggers nei confronti della Margherita, lasciando «consulenza di comunicazione» ma eliminando «a favore di Michele Emiliano», così – scrive il giudice - «da trasformarla artificiosamente e in modo non veritiero in un “normale” pagamento della società». A maggio il Tribunale ha condannato (a 4 mesi, pena sospesa e non menzione) l’allora capo di gabinetto di Emiliano (oggi parlamentare Pd), Claudio Stefanazzi, e l’imprenditore Vito Ladisa, che presenteranno appello.
(ANSA il 31 marzo 2023) - La condanna a un anno di reclusione e a 90mila di multa è stata chiesta dalla pubblica accusa per Michele Emiliano, governatore della Puglia, processato a Torino per finanziamento illecito. Il pm Giovanni Caspani ha proposto la stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi (ora parlamentare Pd) e otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia
(ANSA il 31 marzo 2023) - "Forse in passato quando la sentivo pronunciare da altri commettevo l'errore di considerarla una frase fatta: ora dico che confido nella giustizia. Ho 63 anni e ho sempre cercato di comportarmi bene, sia nelle cose importanti che in quelle meno importanti". Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha chiuso così oggi la dichiarazione spontanea, che ha reso in tribunale a Torino nel corso del processo in cui è chiamato in causa per finanziamento illecito. La vicenda si è legata alla campagna per le primarie del Pd del 2017. Il processo, oltre a Emiliano, riguarda il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, ora parlamentare del Pd, e gli imprenditori Giacomo Mescia e Vito Ladisa.
Al vaglio del tribunale vi sono le somme versate dai due imprenditori alla Eggers di Pietro Dotti, la società del Torinese che si era occupata della campagna elettorale di Emiliano. Per l'accusa si trattò di un finanziamento occulto.
"Mi sono candidato molte volte - ha detto Emiliano - e ho sempre seguito una regola: a occuparsi della raccolta dei finanziamenti doveva essere l'associazione Piazze d'Italia, che era molto attenta a scegliere gli interlocutori. Per questo non ho mai incontrato nessuno e negoziato alcunché. C'era anche un limite nell'ammontare del finanziamento, una specie di codice etico sovrapposto alle previsioni della legge.
La separazione fra l'indirizzo politico della campagna e i profili amministrativi fu netta anche in occasione delle primarie". Emiliano ha ricordato che era scontento del lavoro svolto da Dotti "perché, senza dirci nulla, aveva riciclato lo stesso formato campagna elettorale della Serracchiani" in Friuli Venezia Giulia. Quando l'imprenditore cominciò a sollecitare il pagamento della prestazione, arrivando a chiedere un decreto ingiuntivo, Emiliano discusse la situazione con i collaboratori: "Per me era importante non passare per uno che non paga, tanto più che la questione era finita sui giornali. Con Dotti non parlai: non avevo tempo e non volevo dirgli cosa ne pensavo.
Ero talmente seccato che dissi ai collaboratori di sistemare la cosa: 'se avete i soldi pagate, sennò ve li do io'. Loro risposero 'non preoccuparti, ce ne occupiamo noi'. Non sentii più parlare della questione fino a quando ricevetti un messaggio da Dotti: 'Sistemato tutto'. Risposi solo 'va bene', sempre senza aggiungere quel che ne pensavo". "Il mio timore - ha aggiunto Emiliano - è che di fronte a certi passaggi non chiari neppure a me possano sorgere dei dubbi. Ma sono eventi non ascrivibili a una mia responsabilità". "Mi spiace - ha concluso rivolgendosi al tribunale - avere impegnato tanti anni il sistema giudiziario, i magistrati di Bari e di Torino. L'unica consolazione che posso offrirvi è che ho sofferto quanto voi"
Finanziamento illecito durante le primarie: Emiliano in tribunale a Torino, l'accusa chiede un anno. Il processo riguarda anche l' ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, ora parlamentare del Pd, e gli imprenditori Giacomo Mescia e Vito Ladisa. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 31 Marzo 2023
«Forse in passato quando la sentivo pronunciare da altri commettevo l’errore di considerarla una frase fatta: ora dico che confido nella giustizia. Ho 63 anni e ho sempre cercato di comportarmi bene, sia nelle cose importanti che in quelle meno importanti». Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha chiuso così oggi la dichiarazione spontanea, che ha reso in tribunale a Torino nel corso del processo in cui è chiamato in causa per finanziamento illecito.
La vicenda è legata alla campagna per le primarie del Pd del 2017. Il processo, oltre a Emiliano, riguarda il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, ora parlamentare del Pd, e gli imprenditori Giacomo Mescia e Vito Ladisa.
Al vaglio del tribunale vi sono le somme versate dai due imprenditori alla Eggers di Pietro Dotti, la società del Torinese che si era occupata della campagna elettorale di Emiliano. Per l’accusa si trattò di un finanziamento occulto. «Mi sono candidato molte volte - ha detto Emiliano - e ho sempre seguito una regola: a occuparsi della raccolta dei finanziamenti doveva essere l’associazione Piazze d’Italia, che era molto attenta a scegliere gli interlocutori. Per questo non ho mai incontrato nessuno e negoziato alcunché. C'era anche un limite nell’ammontare del finanziamento, una specie di codice etico sovrapposto alle previsioni della legge. La separazione fra l’indirizzo politico della campagna e i profili amministrativi fu netta anche in occasione delle primarie».
Emiliano ha ricordato che era scontento del lavoro svolto da Dotti «perché, senza dirci nulla, aveva riciclato lo stesso formato campagna elettorale della Serracchiani» in Friuli Venezia Giulia. Quando l’imprenditore cominciò a sollecitare il pagamento della prestazione, arrivando a chiedere un decreto ingiuntivo, Emiliano discusse la situazione con i collaboratori: "Per me era importante non passare per uno che non paga, tanto più che la questione era finita sui giornali. Con Dotti non parlai: non avevo tempo e non volevo dirgli cosa ne pensavo. Ero talmente seccato che dissi ai collaboratori di sistemare la cosa: 'se avete i soldi pagate, sennò ve li do iò. Loro risposero 'non preoccuparti, ce ne occupiamo noì. Non sentii più parlare della questione fino a quando ricevetti un messaggio da Dotti: 'Sistemato tuttò. Risposi solo 'va benè, sempre senza aggiungere quel che ne pensavo».
«Il mio timore - ha aggiunto Emiliano - è che di fronte a certi passaggi non chiari neppure a me possano sorgere dei dubbi. Ma sono eventi non ascrivibili a una mia responsabilità». «Mi spiace - ha concluso rivolgendosi al tribunale - avere impegnato tanti anni il sistema giudiziario, i magistrati di Bari e di Torino. L’unica consolazione che posso offrirvi è che ho sofferto quanto voi».
L'ACCUSA
La condanna a un anno di reclusione e a 90mila di multa è stata chiesta dalla pubblica accusa per Michele Emiliano, governatore della Puglia, processato a Torino per finanziamento illecito. Il pm Giovanni Caspani ha proposto la stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi (ora parlamentare Pd) e otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia.
La Procura di Torino chiede la condanna di Emiliano ad un anno per finanziamento illecito. Lui ai giudici: “Ho sofferto quanto voi”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l’1 aprile 2023
La vicenda trae origine dalle primarie del Pd nel 2017. L’imprenditore Giacomo Mescia viene chiamato in causa per un versamento di circa 24 mila euro alla Eggers, la società torinese che curava la campagna elettorale del governatore pugliese nelle primarie del Pd,
Il pm Giovanni Caspani della procura di Torino ha chiesto la condanna a un anno di reclusione e 90mila di multa per Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, nel controverso processo in corso a Torino per finanziamento illecito. ha proposto la stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi ora parlamentare del Pd ( difeso dall’avvocato Luigi Covella), ed otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa (difeso dall’avvocato Michele Laforgia)e Giacomo Mescia del gruppo Margherita (difeso dall’avvocato Gianluca Ursitti) .
All’esame del Tribunale di Torino vi sono le somme versate dai due imprenditori alla Eggers di Pietro Dotti, la società del Torinese che si era occupata della campagna elettorale del governatore pugliese nelle primarie del Pd, in cui Emiliano era candidato contro Matteo Renzi ed Andrea Orlando. Secondo la Procura si trattava di un “finanziamento occulto“, anche sei i documenti prodotti da Ladisa hanno smentito l’ipotesi accusatoria degli inquirenti. Nelle precedenti udienze l’imprenditore barese Ladisa ha fatto dichiarazioni spontanee : “Non ho mai finanziato Emiliano, né direttamente né indirettamente. Io e la mia azienda è stata la sua versione siamo estranei ai rapporti fra Eggers ed Emiliano. Quell’anno contattai Piero Dotti per una nostra campagna di comunicazione. Ci incontrammo alcune volte: lui svolse il lavoro, mi presentò il contro e pagai. Lui mi parlò una sola volta di Emiliano definendolo un cattivo pagatore. Gli risposi che delle questioni del governatore non mi interessavo. Io non frequento Emiliano e nel 2017 neppure lo sostenni“.
La vicenda trae origine dalle primarie del Pd nel 2017. L’imprenditore Giacomo Mescia viene chiamato in causa per un versamento di circa 24 mila euro alla Eggers, la società torinese che curava la campagna elettorale di Emiliano. Il fascicolo su Mescia inizialmente era stato trasmesso dalla Procura di Torino a quella di Roma, la quale dopo avere chiesto l’archiviazione della parte delle accuse relativa a irregolarità nelle fatturazioni, ha restituito il fascicolo per competenza a Torino. Le accuse iniziali sostenute dalla Procura di Bari non sono state condivise dagli inquirenti piemontesi che le hanno “ridimensionate” nell’avviso di conclusione delle indagini: l’inchiesta barese ipotizzava anche i reati di abuso di ufficio e induzione indebita, successivamente decadute. Il fascicolo era stato trasmesso a Torino perché è nel capoluogo piemontese che risiede l’imprenditore Dotti, quindi il presunto reato si sarebbe consumato lì.
La difesa di Emiliano aveva anche provato a trasferire il processo a Foggia, forse considerata più vicina, ma la procura di Torino ha sollevato conflitto di attribuzione, che la Corte di Cassazione ha risolto ritenendo che fosse il capoluogo piemontese la sede deputata per definire la vicenda. L’avvocato Gaetano Sassanelli, legale di Emiliano, ha chiesto “l’assoluzione perché il fatto non sussiste o perché Michele Emiliano non lo ha commesso”. “Il processo che si sta celebrando è nato da un esposto anonimo fatto che dovrebbe mettere in guardia sulla strumentalità della vicenda” ha evidenziato l’ Avv . Sassanelli che ha proseguito “Emiliano a mio avviso si trova senza aver fatto nulla a rispondere di una colpa d’autore, non per la sua condotta, dunque, ma per il suo ruolo e se si deve rispondere per quello che si è o per quello che si è commesso bisogna prendere atto che non c’è alcun rilievo penale perché Emiliano non poteva nè doveva occuparsi delle questioni che gli vengono contestate”. “È chiaro che Emiliano, in una vita dedicata alla difesa della legalità, ha dato fastidio a molti. – conclude l’ avv . Sassanelli – All’inizio si parlava di gravi ipotesi di reato, siamo finiti in Cassazione perché qualcuno non voleva mollare il processo come invece avrebbe dovuto fare (il riferimento è molto chiaro: la Procura di Bari n.d.r. ) . E non credo sia un caso che quando ci si è allontanati da Bari la vicenda si sia ridimensionata“.
Emiliano, al termine dell’udienza in tribunale ha reso delle dichiarazioni spontanee: “Forse in passato quando la sentivo pronunciare da altri commettevo l’errore di considerarla una frase fatta: ora dico che confido nella giustizia. Ho 63 anni e ho sempre cercato di comportarmi bene, sia nelle cose importanti che in quelle meno importanti”., che ha aggiunto ” Mi sono candidato molte volte e ho sempre seguito una regola: a occuparsi della raccolta dei finanziamenti doveva essere l’associazione Piazze d’Italia, che era molto attenta a scegliere gli interlocutori. Per questo non ho mai incontrato nessuno e negoziato alcunché. C’era anche un limite nell’ammontare del finanziamento, una specie di codice etico sovrapposto alle previsioni della legge. La separazione fra l’indirizzo politico della campagna e i profili amministrativi fu netta anche in occasione delle primarie“.
Emiliano ha spiegato che era scontento del lavoro svolto da Dotti “perché, senza dirci nulla, aveva riciclato lo stesso formato campagna elettorale della Serracchiani” in Friuli Venezia Giulia. Quando il pubblicitario torinese cominciò a sollecitare il pagamento della prestazione, arrivando a depositare in Tribunale una richiesta di decreto ingiuntivo, il governatore pugliese analizzò la situazione con i collaboratori: “Per me era importante non passare per uno che non paga, tanto più che la questione era finita sui giornali. Con Dotti non parlai: non avevo tempo e non volevo dirgli cosa ne pensavo. Ero talmente seccato che dissi ai collaboratori di sistemare la cosa: “se avete i soldi pagate, sennò ve li do io”.
I collaboratori di Emiliano risposero : “non preoccuparti, ce ne occupiamo noi“. Il governatore pugliese ha aggiunto che “Non sentii più parlare della questione fino a quando ricevetti un messaggio da Dotti: “Sistemato tutto”. Risposi solo “va bene”, sempre senza aggiungere quel che ne pensavo. Il mio timore – ha aggiunto Emiliano – è che di fronte a certi passaggi non chiari neppure a me possano sorgere dei dubbi. Ma sono eventi non ascrivibili a una mia responsabilità“.
“Mi spiace avere impegnato tanti anni il sistema giudiziario, i magistrati di Bari e di Torino. L’unica consolazione che posso offrirvi è che ho sofferto quanto voi” ha concluso rivolgendosi al tribunale . A distanza di sei anni, il procedimento penale, è arrivato alle conclusioni. La prossima ed ultima udienza si terrà il prossimo 4 maggio, quando è attesa la decisione del giudice.
In una nota diffusa dei consiglieri regionali del Gruppo Con, Giuseppe Tupputi, Stefano Lacatena, Alessandro Delli Noci, Gianfranco Lopane e Alessandro Leoci. si afferma: “Siamo convinti dell’assoluta estraneità del presidente Emiliano dai fatti contestati nel processo di Torino e siamo altrettanto certi che la sentenza restituirà un quadro di chiarezza e verità. Siamo vicini ad Emiliano perché ogni processo è un tunnel di amarezza, quando non si hanno responsabilità, e ci auguriamo che possa arrivare al più presto la meritata serenità per lui, per i suoi cari e per tutta la Puglia”.
Anche il Partito Democratico, per voce di Filippo Caracciolo presidente del gruppo consiliare ed il segretario regionale Domenico De Santis – ha diffuso una nota sulla richiesta di condanna della procura di Torino per il presidente Emiliano: “Siamo certi che il presidente Emiliano saprà dimostrare la sua totale estraneità ai fatti contestati dalla procura di Torino riguardanti le primarie Pd 2017. Abbiamo massima fiducia nella giustizia e, in attesa che faccia il suo corso restituendo la verità dei fatti, siamo vicini al presidente consapevoli delle difficoltà e delle sofferenze che comporta il dover affrontare un giudizio sapendo di non avere alcuna responsabilità”. Redazione CdG 1947
La Piccola Melissa.
La Piccola Giorgia.
La piccola Melissa è tornata a casa: «La cura ha funzionato». Alfonso SPAGNULO Venerdì 25 Giugno 2021 su quotidianodipuglia.it.
La piccola Melissa Nigri e i suoi genitori (papà Pasquale di Fasano e mamma Rossana di Monopoli) sono finalmente tornati a casa. Nello scorso fine settimana la famiglia Nigri è atterrata a Fiumicino per raggiungere Monopoli dove risiede. Ad attenderla un gruppo di sostenitori che, in questi mesi di campagna solidale, di battaglie contro la burocrazia italiana e di forti preoccupazioni per la sorte della bambina, hanno sostenuto “l’impresa impossibile” avviata proprio da mamma Rossana e papà Pasquale per raggiungere l’ingente somma di un milione e 900mila euro che ha consentito a Melissa, affetta da Sma di tipo 1, di accedere alla somministrazione del farmaco sperimentale Zolgensma, ultima frontiera della scienza contro la malattia degenerativa molto grave il cui utilizzo in Italia ancora non è stato autorizzato del tutto. Si dice che “i soldi non fanno la felicità” ma non è questo il caso perché ora si spera che Melissa possa avere una vita normale.
Le cure
Dopo aver lanciato l’appello della raccolta fondi sui social la famiglia Nigri è stata subissata di solidarietà e appena raggiunta la cifra necessaria è volata a Dubai (e non negli Stati Uniti come si pensava), in una clinica specializzata, per la somministrazione. Sono dovute trascorrere altre settimane di riabilitazione prima che la bambina potesse sopportare il viaggio di ritorno cosa che è avvenuta per la gioia della famiglia. Sono trascorsi circa otto mesi da quando, era il novembre del 2020, mamma Rossana Messa lanciò l’appello per la sua bambina. Una raccolta fondi, così come dichiarò la combattiva donna, dettata dalla disperazione, senza speranza di poter raggiungere l’obiettivo. E invece col passare dei giorni e delle settimane il tam tam mediatico si è allargato tanto da riaccende la speranza. Tanti i personaggi famosi che, con appelli e donazioni, si sono interessati della vicenda. Un elenco lunghissimo: Alessia Marcuzzi, Chiara Ferragni, Fedez, Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Giuliano Sangiorgi, Diana del Bufalo, Mara Venier, Maria Grazia Cucinotta, Elena Sofia Ricci, Bobo Vieri, Lele Adani, Albano Carrisi e Gianluca Lapadula. Poi la partenza per la città degli Emirati Arabi. «La bambina ora sta benissimo – sottolinea mamma Rossana – e ha fatto progressi enormi da quando ha lasciato l’Italia.
La terapia ha funzionato: ha già recuperato il 50% della funzione motoria, tanto che ormai mantiene la testa dritta, riesce a stare seduta normalmente, muove gli arti con più disinvoltura, ma dovrà proseguire la riabilitazione tutti i giorni andando in piscina. In realtà avrebbe bisogno di continuare la fisioterapia fatta all’estero, ma purtroppo da noi non esistono centri specializzati. Stiamo verificando al Nord. Ci hanno consigliato di somministrare il Ristiplan, uno sciroppo per il quale da noi non ci sono studi che certifichino l’efficacia e che ci auguriamo sia prescrivibile. Mi auguro non si debba fare un’altra lotta anche per questo. In ogni caso torneremo a Dubai nel mese di ottobre per le verifiche e i test motori che immaginiamo certificheranno ulteriori progressi. Ci hanno infatti detto che dal terzo mese dalla somministrazione, quindi già dai prossimi giorni, si cominceranno davvero a vedere i miglioramenti. Intanto non ci resta che ringraziare tutti ancora una volta. Non smetteremo mai di farlo. Adesso vorremmo tornare alla nostra vita normale, godendoci tutto quello che finora ci siamo persi. Ma vi promettiamo che tutti sarete nel nostro cuore per sempre».
Bari, 1,8 milioni di euro per curare Melissa col ZolgenSma: la denuncia di una delle benefattrici. Da norbaonline.it il 23 Agosto 2023
I genitori di Melissa, Rossana Messa e Pasquale Nigri, si dicono sereni : quei soldisono serviti a pagare lo Zolgensma, che da solo costava oltre un milione e ottocentomila euro, le spese per l’hotel e l’ambulanza che ogni giorno trasportava la bambina in ospedale
Intervista a: Maria Preite, imprenditrice
Servizio di Guglielmina Logroscino
Riprese e montaggio di Cosimo Caragiulo
Raccolta fondi salva Melissa, azienda di famiglia spende 1,5 milioni per un capannone: esposto in Procura. Autore: Antonio Loconte su quintopotere.it il 15 Agosto 2023
Nel 2020 la storia della piccola Melissa, affetta da Sma 1 e bisognosa di un farmaco del valore di oltre 2 milioni di euro, commosse l’Italia intera. Gente comune, commercianti, politici, calciatori e molti personaggi famosi contribuirono a raggiungere l’insperato obiettivo. Melissa è così riuscita a volare a Dubai per la somministrazione del Zolgensma e i suoi miglioramenti sono sotto gli occhi di tutti.
Chiunque in Italia, nel periodo della raccolta, sapeva cosa fosse quel farmaco impronunciabile e a cosa servisse. Nonostante gli aggiornamenti sulla pagina Facebook “Un futuro per Melissa” e i video di mamma Rosanna e papà Pasquale, l’impiego dell’enorme cifra raccolta ha subito scatenato maldicenze e accuse. Tutto ciò nonostante il conto corrente dedicato fosse sottoposto alla vigilanza di un giudice tutelare.
Tre anni dopo l’azienda di famiglia, la mamma in particolare, si aggiudica all’asta un compendio industriale, concepito per la lavorazione e distribuzione di prodotti agricoli. Il 10 agosto Rosanna Messa ha versato circa 1,5 milioni di euro per aggiudicarsi il compendio. L’obiettivo della famiglia è quello di aumentare le entrate dell’azienda di souvenirs e bomboniere in modo da sostenere le costosissime cure alle quali Melissa dovrà sottoporsi, con un costo massimo compreso tra i 36mila e i 40mila euro al mese. Nello stesso compendio di Polignano a Mare, finora, c’era l’azienda agricola di Maria Preite, che ha tentato senza successo di aggiudicarsi l’asta telematica contro la mamma di Melissa. Maria Preite, insieme a molte persone a lei vicine, è stata anche una fautrice della raccolta fondi. Scoprire che ad aggiudicarsi l’asta era stata la mamma di Melissa è stato un colpo particolarmente duro.
I dubbi sull’impiego dei soldi della raccolta fondi sono aumentati al punto da presentare un esposto in Procura insieme ad altri dieci benefattori. Abbiamo ascoltato la perplessità della Preite e di alcuni altri querelanti, compreso l’artigiano che aveva realizzato le barchette servite per raccogliere ulteriori fondi, ma siamo stati anche a casa di Rosanna e Pasquale per sentire la loro versione e constatare personalmente quanto siano incredibili i miglioramenti fatti in questi anni dalla piccola Melissa.
Selvaggia Lucarelli, bordate contro la madre di Giorgia: «Ha raccolto cifre impressionanti e ora chiede soldi anche ad Al Bano». Rosanna Scardi su Il Corriere della Sera l'1 agosto 2023
La ragazzina pugliese di 15 anni è affetta da una rarissima malattia: è in cura al Children Hospital di Pittsburgh. La Lucarelli punta il dito sulla mancata rendicontazione dei fondi incassati per aiutarla a guarire
Selvaggia Lucarelli torna a puntare l’attenzione sulla leccese Elisa Barone, mamma di Giorgia, la ragazzina di 15 anni, affetta da una rarissima malattia e in cura al Children Hospital di Pittsburgh e sulla mancata rendicontazione dei fondi incassati per aiutarla a guarire. Barone si trova negli Stati Uniti insieme all’altro figlio, Jody, maggiorenne. «Tra periodo in lista di attesa, trapianto e cure sono lì tutti e tre da otto anni — scrive Lucarelli sulla sua pagina Facebook —. Non mi interessa entrare nelle questioni sanitarie e di come sia possibile rimanere in America spesati dalla Asl per anni prima di entrare in lista di attesa e per quattro anni a operazione avvenuta, ci sarà tempo. Quello che mi preme sottolineare subito è che negli anni la signora Barone ha raccolto una cifra impressionante e difficilmente quantificabile di denaro chiedendo senza mai sosta alle persone di donarle soldi».
La giornalista sottolinea come Barone abbia richiesto denaro «nei modi più disparati e creativi, coinvolgendo in appelli e donazioni vip, tv, giornali, star del calcio, politici e così via — prosegue pubblicando le immagini delle campagne che coinvolgono i personaggi famosi —. Al Bano (che ha risposto alla sua polemica ) e Checco Zalone, giusto per fare due nomi a caso. È sempre stata (ed è) molto sostenuta dalle tv locali e dalle testate del politico pugliese ed editore Paolo Pagliaro (nonché dalla onlus di Pagliaro), ma hanno diffuso suoi appelli anche programmi di Liorni, Panicucci e così via».
Il lungo post della Lucarelli prosegue riepilogando la vicenda, iniziata nel 2009. Quattro anni dopo la mamma di Giorgia ha dato vita alla onlus Stellina di Berdon «per raccogliere denaro con lo scopo di fronteggiare le sue spese, onlus i cui presidenti sono lei, la sorella Tamara e due fratelli Mirko e Camillo. La onlus, come da descrizione, si prefiggeva anche di fare da collante tra le famiglie di bambini ammalati e di fare informazione sulla rara sindrome di cui soffre la figlia. Io, di queste attività promesse, non ho trovato nulla».
Gli eventi per la raccolta fondi
Tra i sistemi di raccolta fondi negli anni Lucarelli elenca «eventi di beneficenza quali concerti, spettacoli a teatro, balli, galà. Aste. Braccialetti venduti. Salvadanai nei negozi e altrove. Stelline e pubblicità su fb. Donazioni dirette da chiunque, da politici a calciatori su conto corrente italiano e americano e Postepay. Poi ci sono 80 mila euro di 5 X mille (32 mila solo nel 2022). Liste regali su Ebay». La giornalista lamenta l’assenza di rendicontazione, di un bilancio, di dettagli sulle spese sostenute. «Si tenga presente che anche solo con un singolo evento erano stati raccolti 150 mila euro e che la signora ha fino a 9 mila euro al mese rimborsati dalla Asl per vitto e alloggio (più altre entrate fisse, e le spese sanitarie - parliamo di milioni di euro - completamente coperte dalla Asl di Lecce)». Già in passato, Lucarelli aveva provato a contattare Elisa Barone. L’ultima volta, tramite una telefonata, a fine luglio. «Mi ha risposto che mi avrebbe chiamata dopo due minuti con l’avvocato», scrive la giornalista che sta ancora aspettando.
La mamma di Giorgia contro gli hater dopo l'attacco di Lucarelli: «Contro di noi una persecuzione, non ne posso più». Claudio Tadicini su Il Corriere della Sera il 5 agosto 2023
Elisa Barone, madre della 14enne leccese da anni negli Usa per curarsi da una malattia, in un video su Facebook: «Contro di noi una persecuzione». Selvaggia Lucarelli aveva avanzato dubbi sulla trasparenza delle donazioni e sulle attività della onlus della donna.
Lo sfogo su Facebook dopo il ricovero della figlia: «Chi pensa che sia una truffatrice vada a denunciarmi». Elisa Barone, mamma di Giorgia, la ragazzina leccese affetta da sindrome di Berdon e da 8 anni negli Usa per curarsi, affida ai social il suo dolore per l’ennesimo ricovero della figlia nell’ospedale di Pittsburgh e si scaglia contro gli haters che la attaccano da giorni, dopo i dubbi sollevati dalla giornalista Selvaggia Lucarelli riguardo la scarsa trasparenza sulle donazioni e attività della onlus Stellina di Berdon (di cui la donna è presidente) per aiutare a sostenere le spese della vita in America. Del caso si era interessato anche Al Bano, molto critico nei confronti di Selvaggia Lucarelli.
«Stiamo ricevendo offese ed insulti - racconta la donna durante la diretta Facebook sulla pagina Aiutiamo Giorgia, che definisce il suo diario di bordo - Chi pensa che io sia una truffatrice è pregato di denunciarmi e di farla finita, questa persecuzione sta esasperando me e i miei figli. Non ne possiamo più, questa situazione deve finire. Ho seguito le regole e le leggi, sono in regola con tutto - aggiunge la mamma di Giorgia - se non mi credete è un problema vostro, smettete di attaccarmi. Lasciateci in pace per favore». Nel corso della lunga diretta, durata quasi 24 minuti, la donna dichiara di non percepire rimborsi dall’Asl da un paio di anni. «È grazie alla mia associazione che si va avanti - riferisce la signora Barone - senza i soldi della mia associazione non potrei essere qui, perché non è vero che prendo 9.000 euro al mese di vitto e alloggio dall’Asl. Non prendo rimborsi dal 2021».
La Regione: prestazioni sanitarie garantite
Quest’ultima dichiarazione, tuttavia, sembra stridere con quanto dichiarato in una nota da Regione Puglia, Asl di Lecce e Crt (centro regionale trapianti), che il 3 gennaio 2023, rispondendo alla richiesta di chiarimenti della stessa Lucarelli sui costi sostenuti per garantire le cure a Giorgia negli Usa, sostenevano che i controlli delle strutture regionali sulle spese riguardassero sia i «pagamenti delle prestazioni sanitarie» che la «diaria prevista da apposita delibera», lasciando intendere che il rimborso spese per consentire la permanenza del nucleo familiare negli Stati Uniti (vitto e alloggio), almeno fino a gennaio 2023, sia stato corrisposto. Fornire risposte (documentate) alle richieste di chiarimenti e trasparenza sulle attività della onlus, ora pretese anche da tanti donatori, aiuterebbe a mettere a tacere gli «haters» e tranquillizzare chi oggi nutre legittimi dubbi.
Estratto dell'articolo di Rosanna Scardi per corriere.it l'1 agosto 2023.
Selvaggia Lucarelli torna a puntare l’attenzione sulla leccese Elisa Barone, mamma di Giorgia, la ragazzina di 15 anni, affetta da una rarissima malattia e in cura al Children Hospital di Pittsburgh e sulla mancata rendicontazione dei fondi incassati per aiutarla a guarire. Barone si trova negli Stati Uniti insieme all’altro figlio, Jody, maggiorenne.
«Tra periodo in lista di attesa, trapianto e cure sono lì tutti e tre da otto anni — scrive Lucarelli sulla sua pagina Facebook —. Non mi interessa entrare nelle questioni sanitarie e di come sia possibile rimanere in America spesati dalla Asl per anni prima di entrare in lista di attesa e per quattro anni a operazione avvenuta, ci sarà tempo. Quello che mi preme sottolineare subito è che negli anni la signora Barone ha raccolto una cifra impressionante e difficilmente quantificabile di denaro […]»
La giornalista sottolinea come Barone abbia richiesto denaro «nei modi più disparati e creativi, coinvolgendo in appelli e donazioni vip, tv, giornali, star del calcio, politici e così via — prosegue pubblicando le immagini delle campagne che coinvolgono i personaggi famosi —. Al Bano e Checco Zalone, giusto per fare due nomi a caso. È sempre stata (ed è) molto sostenuta dalle tv locali e dalle testate del politico pugliese ed editore Paolo Pagliaro (nonché dalla onlus di Pagliaro), ma hanno diffuso suoi appelli anche programmi di Liorni, Panicucci e così via».
Il lungo post della Lucarelli prosegue riepilogando la vicenda, iniziata nel 2009. Quattro anni dopo la mamma di Giorgia ha dato vita alla onlus Stellina di Berdon «per raccogliere denaro con lo scopo di fronteggiare le sue spese, onlus i cui presidenti sono lei, la sorella Tamara e due fratelli Mirko e Camillo. La onlus, come da descrizione, si prefiggeva anche di fare da collante tra le famiglie di bambini ammalati e di fare informazione sulla rara sindrome di cui soffre la figlia. Io, di queste attività promesse, non ho trovato nulla».
[…] La giornalista lamenta l’assenza di rendicontazione, di un bilancio, di dettagli sulle spese sostenute. «Si tenga presente che anche solo con un singolo evento erano stati raccolti 150 mila euro e che la signora ha fino a 9 mila euro al mese rimborsati dalla Asl per vitto e alloggio (più altre entrate fisse, e le spese sanitarie - parliamo di milioni di euro - completamente coperte dalla Asl di Lecce)».
Già in passato, Lucarelli aveva provato a contattare Elisa Barone. L’ultima volta, tramite una telefonata, a fine luglio. «Mi ha risposto che mi avrebbe chiamata dopo due minuti con l’avvocato», scrive la giornalista che sta ancora aspettando.
Selvaggia Lucarelli contro la mamma di bimba salentina in cura a Pittsburgh: «Ha davvero bisogno di restare lì?» Non manca la risposta dell'Asl Puglia interpellata sui social dalla Lucarelli che replica all'attacco: «L’utilizzo da parte dello stesso nucleo familiare di eventuali finanziamenti privati da loro procurati non può essere oggetto di verifiche da parte della Regione Puglia». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Gennaio 2023
Sta scatenando polemiche un post su Facebook della giornalista Selvaggia Lucarelli che oggi ha sollevato dubbi sulla veridicità degli appelli di una mamma della provincia di Lecce che da sette anni circa vive negli Stati Uniti per curare sua figlia affetta da una grave malattia: "Forse - attacca Lucarelli nel lungo post - sarebbe ora che la Asl Puglia desse delle spiegazioni sull'opaca vicenda. Davvero la signora ha bisogno di rimanere in America con due figli, costando alla sanità milioni e milioni di euro?», scrive ponendo molti interrogativi.
La bimba è affetta da una rarissima malattia all’intestino, la sindrome di Berdon, diagnosticata alla nascita, ed è stata sottoposta anche un trapianto. Per poter stare negli Usa e pagare i costi la mamma ha chiesto aiuto avviando alcune raccolte fondi nel corso degli ultimi sette anni. Mentre alcune spese per le cure sono a carico della sanità pubblica.
La Regione Puglia in serata ha risposto ai dubbi posti da Lucarelli, precisando tra l’altro che «nei casi di cure all’estero le procedure prevedono la verifica delle spese sanitarie sostenute, con relativa documentazione e verifica della congruità di quanto dichiarato». «Tutto quello che andava fatto - prosegue la Regione - dal punto di vista sanitario per salvare la vita della bambina è stato fatto, da parte della Asl e della Regione Puglia nel rispetto delle norme. E questo per noi tutti è un punto di orgoglio», spiegano l’assessore regionale alla Sanità Rocco Palese, il direttore del Dipartimento, Vito Montanaro, il direttore generale della Asl Lecce, Stefano Rossi, e il coordinatore del Centro Regionale Trapianti, Loreto Gesualdo.
«Il sistema sanitario regionale pugliese - aggiungono - nel 2014 si trova ad affrontare il caso di una bambina affetta dalla sindrome di Berdon, una malattia genetica rarissima che compromette la funzionalità dell’apparato gastrointestinale, che richiede un trapianto multiviscerale: fegato, stomaco, pancreas ed intestino. La complessità del caso richiedeva l’identificazione di un centro altamente specializzato nel campo trapianto multiviscerale e, tra questi, il Children Hospital dell’Università di Pittsburgh risultava essere un centro di riferimento mondiale per genere di interventi, ancor più delicato nel caso specifico trattandosi di una bambina». L’assessore e i medici spiegano che «all’epoca i trapianti di questo tipo in Italia non venivano eseguiti e, comunque, la complessità del caso non era gestibile nel nostro Paese, ma solo in pochissimi centri al mondo». Oggi la bambina "ha 14 anni - proseguono - e si trova ancora a Pittsburgh per il proseguimento delle cure perché, vista la complessità, la bambina ha ricevuto solo il trapianto di intestino il quale ha presentato poi diverse complicanze che hanno necessitato di ulteriori interventi chirurgici, l’ultimo del quale è programmato nelle prossime settimane». «La Asl di Lecce - concludono - insieme al Centro regionale trapianti aveva già in programma una visita presso il centro americano nelle prossime settimane, dopo il suddetto intervento, per accertare le condizioni cliniche della paziente e programmare il suo rientro in Italia nei tempi compatibili con l’evoluzione del suo quadro clinico».
Carte in Procura. Lo scorso 20 luglio il presidente della Regione ha incontrato la giornalista alla presenza del direttore generale della ASL Lecce Stefano Rossi e del coordinatore del Centro regionale Trapianti Loreto Gesualdo. REDAZIONE ONLINE l'8 Agosto 2023 su La gazzetta del Mezzogiorno
Torna sotto la luce dei riflettori il caso della piccola Giorgia ragazzina leccese affetta dalla sindrome di Berdon che da 8 anni è a Pittsburgh per curarsi. Dopo i dubbi sollevati dalla giornalista Selvaggia Lucarelli riguardo la scarsa trasparenza sulle donazioni e le attività della onlus Stellina di Berdon (di cui la mamma di Giorgia, Elisa Barone è presidente) per aiutare a sostenere le spese che la ragazzina e la sua famiglia affrontano in America, la Regione Puglia e la Asl di Lecce rispondono alle critiche della Lucarelli con una nota dettagliata.
Lo scorso 20 luglio il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha incontrato la giornalista Selvaggia Lucarelli alla presenza del direttore generale della Asl Lecce Stefano Rossi e del coordinatore del Centro regionale Trapianti Loreto Gesualdo, con riferimento al caso della piccola paziente pugliese in cura a Pittsburgh. Lo comunica la Regione.
«Durante l’incontro - fanno sapere dalla Regione - la giornalista ha trasferito una serie di informazioni, pubblicate successivamente sia sui suoi canali social che sulla stampa, che il presidente Emiliano ha ritenuto di trasmettere alla Procura della Repubblica, all’Inps e ad Arca Salento per gli adempimenti di competenza». Inoltre, il presidente ha chiesto alla Asl di Lecce e al Centro regionale trapianti di «dare risposta ai quesiti della giornalista, compatibilmente con il diritto alla riservatezza dei dati appartenenti alle categorie particolari».
La bimba è affetta da una rarissima malattia all’intestino, la sindrome di Berdon, diagnosticata alla nascita, ed è stata sottoposta anche un trapianto. «Le azioni intraprese dalla Asl di Lecce - dichiarano il direttore Rossi e il professore Gesualdo - sono state sempre in linea con la normativa vigente, conseguenti alle autorizzazioni del Centro nazionale trapianti e del Centro regionale trapianti e ai provvedimenti della magistratura. A cominciare dalla scelta di Pittsburgh che si fonda sull'autorizzazione del Centro nazionale trapianti (Cnt) e del Centro regionale trapianti (Crt). Il Centro regionale trapianti ha autorizzato la permanenza all’estero per diagnosi e cura pre-trapianto, per l’inserimento in lista d’attesa e per le cure post-trapianto, sulla base della rarità della patologia».
«L'autorizzazione è stata concessa - aggiungono - pur non essendo prevedibile il tempo necessario per trovare un donatore compatibile. Tanto che, l’attesa era stimata in due anni, anche in considerazione della rarità dei donatori pediatrici, e non poteva essere consumata in Italia perché i tempi del viaggio per raggiungere gli Stati Uniti d’America, in caso di convocazione per il trapianto, non sarebbero stati compatibili con i tempi di ischemia degli organi». «Il rimborso spese per alloggio e vitto - concludono - è stato effettuato ai sensi della normativa nazionale, per la paziente e per un solo accompagnatore, e nel rispetto di un provvedimento del giudice a seguito di un ricorso fatto dai genitori».
Indagato Nicola Pepe giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno per la fuga di notizia nell’indagine su Michele Emiliano. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 21 Marzo 2023
Nicola Pepe il 9 aprile del 2019 si recò presso la sede della presidenza della Regione Puglia rivelando ad Emiliano quanto aveva appreso poco prima nella redazione della Gazzetta del Mezzogiorno, e cioè la notizia coperta da segreto d'indagine, dell'imminenza di una perquisizione da parte della Guardia di Finanza e della nuova ipotesi di reato che sarebbe stata contestata al governatore
La Procura di Bari ha chiuso le indagini sul giornalista Nicola Pepe, della Gazzetta del Mezzogiorno, con l’accusa di “favoreggiamento personale” nei cui confronti è più che concreta la conseguente richiesta di rinvio a giudizio. Pepe risponde delle accuse di aver rivelato a Michele Emiliano presidente della Regione Puglia, il quale all’epoca dei fatti era indagato per finanziamento illecito ed abuso d’ufficio in relazione alla campagna elettorale per le primarie del Pd, della imminente perquisizione sia domiciliare che presso gli uffici della presidenza regionale, con sequestro ed acquisizione di documenti, da parte della Guardia di Finanza di Bari.
Sulla base delle contestazioni avanzate dalla pm Savina Toscani, a seguito di indagini delegate, Nicola Pepe il 9 aprile del 2019 si recò presso la sede della presidenza della Regione Puglia rivelando ad Emiliano quanto aveva appreso poco prima nella redazione della Gazzetta del Mezzogiorno, e cioè la notizia coperta da segreto d’indagine, dell’imminenza di una perquisizione da parte della Guardia di Finanza e della nuova ipotesi di reato che sarebbe stata contestata al governatore, l’abuso d’ufficio che si aggiungeva al finanziamento illecito ai partiti. Notizie queste trapelate presumibilmente da qualche “gola profonda” della Procura di Bari.
Michele Emiliano, nello stesso giorno della rivelazione, da magistrato in aspettativa, presentò una denuncia alla magistratura per rivelazione del segreto d’ufficio rivelando quanto accaduto. A seguito della sua rivelazione il giornalista Nicola Pepe è accusato di aver provocato “un grave nocumento all’attività investigativa” consistita nel rinvio delle perquisizioni e nella conoscenza da parte degli indagati dell’indagine a loro carico e dei provvedimenti da eseguirsi.
Questa volta l’ Assostampa pugliese non ha potuto alzare gli scudi per difendere un loro collega, come è solito fare, e persino l’ Ordine dei giornalisti della Puglia si è vista costretta di fatto a dover prendere le distanze, con una dichiarazione del suo presidente Piero Ricci, giornalista in servizio presso la redazione barese del quotidiano La Repubblica: “Nessun comportamento deontologicamente scorretto da parte dei suoi iscritti sarà tollerato dall’Ordine dei Giornalisti della Puglia” in relazione all’accusa di favoreggiamento personale con cui la Procura di Bari ha chiuso le indagini su Nicola Pepe.
” Anche in questo caso vale la presunzione di non colpevolezza – aggiunge il presidente Ricci – ma ricordo, soprattutto agli iscritti, che si può essere sanzionati anche se il comportamento non si dovesse configurare come reato ma come illecito disciplinare. Per questo il caso sarà segnalato al consiglio di disciplina territoriale per le attività istruttorie, compresa la richiesta alla magistratura degli atti non coperti da segreto, per accertare se le accuse configurino oltre che una lesione del patto di lealtà con i lettori, anche una violazione degli obblighi di lealtà nei confronti dei colleghi“.
Pepe nell’ ottobre 2022 era stato condannato per diffamazione, dopo aver perso anche una causa di lavoro contro il precedente editore Ladisa. ma ad onor del vero non ci risulta che nessuno, tanto meno l’ Ordine dei Giornalisti di Puglia abbia aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti ! Chissà se la Procura di Bari avrà la stessa determinazione nello scoprire chi ha passato ai giornali e le televisioni a Tribunale chiuso, di domenica, le immagini filmate dalle microcamere della Guardia di Finanza che filmarono il passaggio di tangenti da un imprenditore pugliese all’ ex dirigente della Protezione Civile, Lerario. Stranezze baresi…
Chiaramente queste notizie la Gazzetta del Mezzogiorno, non le pubblica. E tutto questo spiega come mail giornale abbia perso credibilità, autorevolezza e lettori. Chi potrà credere mai a questo giornalismo infetto e corrotto ? Redazione CdG 1947
Anche a dicembre in Puglia, il Quotidiano batte la Gazzetta del Mezzogiorno sempre più in crisi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 10 Febbraio 2023
Una "debacle" che conferma la crisi profonda economica della Edime, la nuova società editrice della Gazzetta con perdite mensili che oscillano fra le 400-500mila euro al mese, creando non poche preoccupazioni fra i circa 140 dipendenti del giornale che esce da un fallimento che l'ha tenuta lontano dalle edicola per circa 7 mesi.
Trend in crescita per la maggior parte dei quotidiani in “Top20” nel confronto con il mese di novembre (dati Ads) . Per la Gazzetta dello Sport ed il Corriere dello Sport aumenti in doppia cifra grazie anche ai campionati mondiali di calcio in Qatar. Il Corriere della Sera conferma la sua leadership, avendo quasi doppiato il numero delle copie vendute dal diretto concorrente La Repubblica. Il quotidiano Libero sotto la direzione di Alessandro Sallusti è l’ unico quotidiano a crescere in edicola rispetto a dicembre 2021.
In Puglia continua il crollo di vendite di copie in edicola ed online della Gazzetta del Mezzogiorno (media copie stampate 8.558, copie vendute 6.156) distribuita in tutta la Puglia e Basilicata con un bacino di circa 5 milioni e mezzo di abitanti , che è stata superata anche nel mese di dicembre (2022) dal concorrente Nuovo Quotidiano di Puglia edito dal gruppo Caltagirone Editore (media copie stampate 10.698, copie vendute 7.331) che esce soltanto a Bari, Brindisi, Lecce e Taranto con un bacino di circa 4milioni200mila abitanti .
Una “debacle” che conferma la crisi profonda economica della Edime, la nuova società editrice della Gazzetta con perdite mensili che oscillano fra le 400-500mila euro al mese, creando non poche preoccupazioni fra i circa 140 dipendenti del giornale che esce da un fallimento che l’ha tenuta lontano dalle edicola per circa 7 mesi. Preoccupazioni giuste in quanto l’accordo raggiunto fra il nuovo editore e la curatela fallimentare prevedeva un garanzia occupazionale per soli 24 mesi, e quindi senza la ripresa delle vendite e della pubblicità alla fatidica scadenza del biennio di garanzia, sono prevedibili non pochi licenziamenti, al punto tale che la Edime ha già conferito la testata La Gazzetta del Mezzogiorno ad una nuova società.
Basti fare un raffronto con dei giornali di provincia come L’ ECO DI BERGAMO che può contare su un territorio di 1.102.700 abitanti, stampa una media di 28mila copie al giorno, vendendo 13mila copie in edicola con un totale (edicola + online) di 29.500 copie “vendite individuali“, e LA GAZZETTA DI MANTOVA con appena 406.000 abitanti fra capoluogo e provincia, stampa una media di 15mila copie al giorno, e vende 10mila e 200 copie in edicola con un totale (edicola + online) di 12.700 copie di “vendite individuali“.
La crisi editoriale della Gazzetta era facilmente prevedibile data l’inesperienza dei nuovi soci della Edime (il gruppo Miccolis che opera nel settore dei trasporti autobus, ed il Gruppo Cisa che opera nel settore dello smaltimento di rifiuti, e le scarse capacità di un management completamente a digiuno di informazione e marketing pubblicitario-editoriale. Per non parlare della inesperta direzione giornalistica affidata ad un giornalista Oscar Iarussi che si è sempre occupato di spettacolo e cultura, venendo ritenuto non all’altezza neanche di entrare in RAI nell’ultimo concorso per assunzioni nella sede regionale pugliese, ed un vice direttore Mimmo Mazza che ha sempre e solo fatto il cronista giudiziario a Taranto e qualche intervista al solito imprenditore massafrese (Tonino Albanese n.d.r.) ora diventato il suo nuovo datore di lavoro.
Come i lettori potranno constatare questo articolo si basa sui numeri e non su opinioni personali. Non siamo tenuti a criticare dei giornale concorrenti anche se come numero di lettori (seppure noi siamo solo online) non pensiamo minimamente e tantomeno ci preoccupiamo dei giornali cartacei e le testate online pugliesi. Sono lontano anni luce dai nostri numeri che per questione di etica comparativa evitiamo di pubblicare. Le decine di migliaia di lettori cha da 9 anni ci scelgono ogni giorno, hanno dimostrato da tempo di saper riconoscere e scegliere la qualità del “prodotto” giornalistico che realizziamo ed offriamo. E loro, come i numeri, hanno sempre ragione.
Redazione CdG 1947
E sorpasso fu. Il Quotidiano di Puglia supera la Gazzetta del Mezzogiorno crollata ai minimi storici di vendite in edicola. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 13 Dicembre 2022
Secondo fonti informate fra i due soci azionisti della Gazzetta ci sarebbero delle frizioni e dei contrasti sulla gestione editoriale e la voglia di qualcuno di uscire dalla compagine societaria. Ma chi comprerebbe mai un giornale così sindacalizzato con 140 dipendenti a busta paga e poche migliaia di copie vendute e senza una concessionaria nazionale di pubblicità
Sul sito di Ads sono disponibili i dati mensili stimati di ottobre di quotidiani e settimanali e riferiti al mese di settembre per i mensili. Disponibili anche i dati di ottobre della Stampa Gratuita di Informazione. Accertamenti Diffusione Stampa ha introdotto un Regolamento per la certificazione delle copie cartacee e delle copie digitali. Fra le principali modifiche, lo schema di rappresentazione dei dati introduce una suddivisione in vendite individuali, pagate dall’acquirente e vendite multiple, pagate da terzi. La rappresentazione – spiega Ads – segna il superamento della separazione tra copie cartacee e copie digitali: le due tipologie vengono affiancate, in linea con le abitudini e i comportamenti attuali.
I dati per la Puglia riscontrano il crollo delle vendite in edicola della Gazzetta del Mezzogiorno che su una tiratura di 8.616 copie ne vende in edicola 6.076 copie (prima del fallimento ne vendeva circa 9.000, perdendo 300mila euro al mese) sorpassata dal Nuovo Quotidiano di Puglia (giornale del gruppo Caltagirone) che su una tiratura di 11.578 copie ne vende in edicola 7.735, pur non uscendo nelle edicole di Foggia e della Bat, come il concorrente storico ormai superato da tempo.
Il dato ADS arriva proprio in concomitanza con il tour auto-celebrativo di incontri e mostre per i 135 anni del quotidiano barese, che dopo il suo fallimento, e la breve gestione semestrale in attivo della Ledi del gruppo Ladisa (chiusa in attivo) con il nuovo assetto societario Miccolis-Albanese (soci al 50%) che ha dovuto incassare molteplici rifiuti per assumerne la direzione di autorevoli giornalisti a partire da Giovanni Valentini, ed ha dovuto accontentarsi di giornalisti privi di alcuna esperienza dopo aver messo da parte senza alcuna logica l’ultimo direttore Michele Partipilo che è senza dubbio il giornalista più autorevole e capace della redazione della Gazzetta del Mezzogiorno. Da fonti riservate interne al giornale barese si parla di perdite di 500 mila euro al mese. Sino a quando saranno sostenute dalla nuova società che un capitale sociale abbastanza modesto?
Secondo fonti informate fra i soci e della Gazzetta ci sarebbero delle frizioni e dei contrasti sulla gestione editoriale e la voglia di qualcuno di uscire dalla compagine societaria. Ma chi comprerebbe mai un giornale così sindacalizzato con 140 dipendenti a busta paga e poche migliaia di copie vendute e senza una concessionaria nazionale di pubblicità? Ai posteri l’ardua sentenza. Redazione CdG 1947
Succede a Bari.
La Giustizia.
L’Informazione.
L’Imprenditoria.
La Cultura.
L’Università.
La Sanità.
La Pronvincia.
La Città.
Bari, la Corte d'appello nega risarcimento danni a mamma di Ciccio e Tore, fratellini morti a Gravina. Scomparsi dalla loro città il 5 giugno 2006 e i cui cadaveri furono ritrovati il 25 febbraio 2008 in un rudere chiamato 'La casa delle cento stanze'. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 26 Ottobre 2023
La Corte d’appello di Bari ha negato il risarcimento dei danni alla madre e alla sorella di Francesco e Salvatore Pappalardi, 'Ciccio' e 'Tore', i fratellini di Gravina in Puglia (Bari) scomparsi dalla loro città il 5 giugno 2006 e i cui cadaveri furono ritrovati il 25 febbraio 2008 in un rudere chiamato 'La casa delle cento stanze'. Il risarcimento era stato chiesto al Comune di Gravina e alla Edilarco, società proprietaria dell’immobile in cui i fratelli si erano recati quel giorno. Il padre, Filippo Pappalardi, che per la scomparsa fu arrestato con l’accusa di duplice omicidio e occultamento di cadavere e successivamente scagionato da ogni accusa, non si è costituito.
La Corte ha confermato la sentenza di primo grado del settembre 2021 con cui ai familiari era già stato negato il risarcimento: la morte dei due, per entrambi i collegi giudicanti, sarebbe dipesa da caso fortuito. L’immobile, scrivono i giudici nella sentenza di secondo grado, «non era aperto al libero accesso». Il muro di recinzione, alto quasi due metri, «non era facilmente accessibile» ed «era idoneo a impedire l’accesso a terzi». «La circostanza che molti ragazzi - divenuti adulti nel corso del processo - hanno confermato di essersi abusivamente introdotti nell’immobile (per recuperare il pallone o anche per gioco), come correttamente ritenuto dal Tribunale, non consente di inferirne la conoscibilità e prevedibilità dell’evento da parte del custode», si legge nel provvedimento.
«Neppure i genitori dei ragazzi - scrivono i giudici - erano a conoscenza della frequentazione abituali del fabbricato da parte di questi ultimi». E ancora: «L'abusiva intromissione nell’altrui proprietà, chiusa al libero accesso, non consente di invocare la prevedibilità dell’evento». I fratellini «hanno fatto ingresso in un immobile recintato e visibilmente abbandonato e fatiscente, dando luogo alla fattispecie dell’uso anomalo della cosa in custodia», circostanza che escluderebbe la responsabilità altrui.
«Risulta infatti provata - si legge nella sentenza, in un passaggio che richiama la decisione di primo grado - la presenza di un fattore estraneo che presenti i caratteri del fortuito idoneo a interrompere il nesso causale, quale la condotta dei danneggiati». Questa condotta, «tesa a violare la proprietà privata di un bene in stato di abbandono, risulta di per sé causalmente efficiente alla determinazione del danno, in quanto non prevedibile né evitabile da parte del custode».
Il ritrovamento dei corpi dei fratellini fu possibile solamente per un episodio simile a quello che ne causò la morte: nel febbraio 2008 un 12enne si recò con alcuni amici nella casa delle cento stanze e cadde nella stessa cisterna. Gli amici del 12enne chiamarono subito i soccorritori, che oltre al bambino ferito recuperarono anche i cadaveri di Ciccio e Tore.
Nessun risarcimento per la morte di Ciccio e Tore, cosa ha deciso la corte d'appello di Bari. La mamma dei bimbi morti a Gravina vede respinta l'istanza anche in secondo grado: per i giudici si è trattato di un caso fortuito. Federico Garau il 29 Ottobre 2023 su Il Giornale.
La corte d'Appello di Bari ha confermato quanto già determinato dai giudici in primo grado di giudizio, negando alla madre e alla sorella di Ciccio e Tore Pappalardi la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni.
I due fratellini Francesco e Salvatore scomparvero improvvisamente da Gravina (Bari) il 5 giugno 2006, e di loro non si seppe più nulla finoa al 25 febbraio del 2008, quando le salme furono rinvenute in un edificio diroccato noto con il nome di "La casa delle cento stanze". L'istanza di risarcimento era stata inoltrata dai familiari dei bimbi nei riguardi del comune di Gravina e della Edilarco, ovvero la società che risultava ancora proprietaria dello stabile in cui furono rinvenuti Ciccio e Tore. L'unico a non costituirsi parte civile fu il padre dei fratellini Filippo Pappalardi, il quale peraltro fu inizialmente accusato di duplice omicidio e occultamento di cadavere, venendo arrestato: l'uomo fu poi scarcerato e scagionato da ogni accusa.
In sostanza, quindi, la corte d'Appello di Bari non ha fatto altro che confermare quanto stabilito nel primo grado di giudizio nel settembre del 2021: nella sentenza i giudici respinsero la richiesta di risarcimento parlando di una morte avvenuta per un caso fortuito. L'edificio in cui sono morti i fratellini, spiegano i giudici della corte d'Appello,"non era aperto al libero accesso", ed era circondato da un muro di cinta alto quasi due metri "non facilmente accessibile" nonché "idoneo a impedire l'accesso a terzi". "La circostanza che molti ragazzi - divenuti adulti nel corso del processo - hanno confermato di essersi abusivamente introdotti nell’immobile (per recuperare il pallone o anche per gioco), come correttamente ritenuto dal Tribunale, non consente di inferirne la conoscibilità e prevedibilità dell’evento da parte del custode", precisa ancora la sentenza. Oltretutto, "neppure i genitori dei ragazzi erano a conoscenza della frequentazione abituali del fabbricato da parte di questi ultimi".
"L'abusiva intromissione nell’altrui proprietà, chiusa al libero accesso, non consente di invocare la prevedibilità dell’evento", precisano i giudici. La responsabilità di terzi decade nel momento in cui si analizza la situazione, dato che Ciccio e Tore"hanno fatto ingresso in un immobile recintato e visibilmente abbandonato e fatiscente, dando luogo alla fattispecie dell’uso anomalo della cosa in custodia".
"Risulta infatti provata la presenza di un fattore estraneo che presenti i caratteri del fortuito idoneo a interrompere il nesso causale, quale la condotta dei danneggiati", scrivono ancora i giudici, ricalcando in sostanza uno dei principi attorno ai quali è ruotata anche la sentenza di primo grado. Condotta che, "tesa a violare la proprietà privata di un bene in stato di abbandono, risulta di per sé causalmente efficiente alla determinazione del danno, in quanto non prevedibile né evitabile da parte del custode".
Quattro indagati per falsa testimonianza nel processo a Bari all’ex inviato Mingo per i servizi pilotati per “Striscia la notizia”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 26 Aprile 2023
I quattro indagati (fra i quali il giornalista della GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, Nicola Pepe) avrebbero reso false dichiarazioni deponendo come testimoni nel processo a carico dell'ex inviato Mingo (Domenico De Pasquale) e della moglie Corinna Martino.
La Procura di Bari ha chiuso le indagini con l’accusa di falsa testimonianza sul giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Nicola Pepe e su altre tre persone: Maria Sara De Marco, 41 anni, Lorenzo Gentile, 42 anni, e Marco Mastropirro. I quattro, secondo l’accusa, avrebbero reso false dichiarazioni deponendo come testimoni nel processo a carico di Domenico De Pasquale (più noto con i nome artistico di Mingo) e di sua moglie Corinna Martino rappresentante legale della Mec Produzioni srl in relazione a dei presunti servizi televisivi “taroccati” (cioè inventati a tavolino) andati in onda negli anni scorsi nel programma Striscia la Notizia di Antonio Ricci, su Canale5, per i quali Mingo e la moglie si sarebbero fatti rimborsare costi non dovuti per figuranti e attori. Il processo di primo grado si è concluso con la condanna emessa il 14 dicembre 2020 dalla giudice Rosa Calìa Di Pinto, di Mingo e della moglie Corinna alla pena di un anno e due mesi per i reati di “diffamazione“, “falso” e “truffa” .
La Procura al termine del processo di primo grado decise di valutare ed approfindire la posizione di altro quattro persone, Nicola Pepe, Lorenzo Gentile, Marco Mastropirro e Maria Sara De Marco collaboratori della società Mec che avrebbero aiutato i coniugi De Pasquale ad allestire i servizi, per verificare se abbiano dichiarato il falso durante le testimonianze fatte nel processo. Indagini che hanno portato alla loro iscrizione nel registro degli indagati.
Nell’avviso di conclusione delle indagini si legge che “Pepe nell’udienza del 20 gennaio del 2020″ avrebbe reso “false dichiarazioni” in quanto riferiva “modalità di prestazione quale figurante da remoto non reali, né previste dal contratto tra Rti Mediaset e la Mec“. Inoltre il giornalista della gazzetta del Mezzogiorno nel corso della sua deposizione testimoniale avrebbe affermato il falso affermando “di aver svolto la propria opera di gancio e figurante in altre località fuori dal comune di residenza” a Lecce, Matera e Mesagne, tra l’ottobre del 2014 ed il marzo del 2015 “nonostante le celle del proprio cellulare attestassero” che in gran parte dei casi in realtà si trovava nel centro di Bari.
Lorenzo Gentile a sua volta nell’udienza del 7 ottobre del 2019 avrebbe reso le proprie “false dichiarazioni” in particolare secondo l’impianto accusatorio della Procura di Bari ha riferito “falsamente” di aver partecipato con Pepe ad attività di figurante con microcamere” tra Barletta, Foggia e Mesagne, “quando invece Pepe si trovava a Bari”. Gli altri due indagati avrebbero reso false dichiarazioni, a loro volta De Marco durante l’udienza del 4 novembre del 2019, e Mastropirro nell’udienza del 7 ottobre del 2019 .
Inutile cercare la notizia sulla Gazzetta del Mezzogiorno che quando si tratta del proprio co-editore Antonio Albanese o di qualche suo giornalista come Nicola Pepe, preferisce auto-censurarsi e non informare i propri lettori. Ecco perchè poi non si vende in edicola e si fallisce…. Redazione CdG 1947
Tutto tace sulla “vertenza Gazzetta del Mezzogiorno” ed i licenziamenti mentre gli editori continuano a prendere appalti pubblici milionari. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'8 Novembre 2023
Chissà se il vertice dell' Acquedotto Pugliese è a conoscenza che il presidente della CISA spa di Massafra, rag. Antonio Albanese ha dei precedenti penali e ben due processi in corso a carico, uno per smaltimento di rifiuti tossici a Lecce, ed uno aver ostacolato il corso della giustizia a Taranto.
Un raggruppamento di società guidato dalla Cisa di Massafra, di cui fanno parte Suez Italy, Suez International, Edil Alta ed Ecologica spa, con un gruppo di progettazione guidato da Ai Engineering con Consorzio Uning e Suez Italy si è aggiudicato alla fine di settembre un appalto integrato da 81,8 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione dell’del primo impianto di dissalazione pugliese, quello che sorgerà a Taranto e renderà potabili le acque salmastre prelevate dalle sorgenti del Tara. Alla base della realizzazione dell’impianto c’è la tecnologia della multinazionale francese della società Suez di Parigi.
Il contratto di appalto verrà firmato al termine delle verifiche sul possesso dei requisiti. Chissà se il vertice dell’ Acquedotto Pugliese è a conoscenza che il presidente della CISA spa di Massafra, rag. Antonio Albanese ha dei precedenti penali e ben due processi in corso a carico, uno per smaltimento di rifiuti tossici a Lecce, ed uno aver ostacolato il corso della giustizia a Taranto. Possibile che all’ Acquedotto Pugliese non sappiano nulla?
Il dissalatore previsto dall’ Acquedotto Pugliese fa parte di una strategia di diversificazione degli approvvigionamenti. In base al piano industriale predisposto dal presidente Aqp, Domenico Laforgia, e dal direttore generale Francesca Portincasa, questa strategia potrebbe prevedere anche la realizzazione di un secondo dissalatore gemello a Manfredonia.
Il progetto prescelto si basa su una tecnologia sviluppata dai francesi della Suez, già applicata nella realizzazione del dissalatore dell’isola D’Elba, che produce un basso livello di salamoia di scarto (un liquido ad alta concentrazione di sale, che può alterare l’equilibrio delle acque in cui viene riversato). La salamoia finirà nell’area portuale di Taranto, in una zona del molo polisettoriale dove insistono altri scarichi. Il dissalatore del Tara produrrà a regime 650 litri al secondo di acqua che verrà remineralizzata aggiungendo acqua dolce e poi inviata al serbatoio di Taranto da 200mila metri cubi. La realizzazione del dissalatore è finanziata per 27 milioni di euro dal Pnrr, e dovrà essere realizzata entro due anni ed una volta in esercizio sarà il più grande d’Europa.
Alla gara avevano partecipato quattro raggruppamenti societari. L’offerta vincitrice presentata dalla cordata guidata dalla CISA spa è quella che ha ottenuto il miglior punteggio soltanto per il progetto tecnico (realizzato dai francesi della Suez) ma soltanto il secondo miglior punteggio per il ribasso (9,194%) che ha superato la verifica di congruità: il valore di aggiudicazione dell’appalto è stato di 81,8 milioni di euro. Al secondo posto si è piazzato il raggruppamento guidato dalla barese Cobar insieme agli spagnoli di Acciona, al consorzio Infratech, e al consorzio guidato da Castiglia che riuniva le società Putignano di Noci e la Faver di Bari. Redazione CdG 1947
ESCLUSIVA: Tutti gli atti dell’ordinanza cautelare sull inchiesta della Procura di Bari che ha coinvolto Sannicandro, imprenditori e funzionari pubblici. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'8 Novembre 2023
La Procura di Bari aveva chiesto gli arresti domiciliari per Sannicandro , ma la misura è stata rigettata dal gip (che ne ha disposto invece l’interdizione di 12 mesi), così come sono state rigettate le richieste per altre 12 persone che rimangono indagate a piede libero
Come anticipato ecco l’ordinanza cautelare del Gip dr. Giuseppe Battista del Tribunale di Bari, pubblicata questa notte per evitare i soliti “fotocopiatori” di altre testate che rubano le nostre notizie sempre documentate, che non a caso pubblichiamo per primi, vi faremo leggere tutti gli atti completi dell’ordinanza cautelare composta da 374 pagine evidenziate, affinchè i nostri lettori possano avere un’ informazione completa a 360° su un sistema di corruzione che inquinava la vita pubblica ed imprenditoriale pugliese.
In carcere come potrete leggere negli atti sono finiti arrestati un imprenditore di Lucera, Antonio Di Carlo; sua figlia Carmelisa è stata posta agli arresti domiciliari , e Sergio Schiavone, funzionario del Coni a Roma. Interdetti per 12 mesi dai pubblici uffici Elio Sannicandro (ormai ex-direttore generale Asset) , Michele Tamborra e Leonardo Panettieri (funzionari della Regione Puglia), Luigi Troso (funzionario del Comune di Castelvecchio), Bruno Maria Gregoretti, Antonio Pacifico, Antonio Ferrara, Michele Camanzo. Per altri indagati disposto, invece, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione sempre per 12 mesi.
A causa della pesantezza del documento abbiamo diviso la pubblicazione in due parti
Raffaele (Elio) Sannicandro
Ipm Pinto e Toscani della Procura di Bari avevano chiesto gli arresti domiciliari per Sannicandro , ma la misura è stata rigettata dal Gip Battista (che ne ha disposto invece l’interdizione di 12 mesi), così come sono state rigettate le richieste per altre 12 persone che rimangono indagate a piede libero. Trasmessi al tribunale Foggia, competente per territorio, gli atti relativi ad alcuni episodi che riguardano appalti per lavori nei comuni della zona.
E’ben nota ai nostri lettori la scelta editoriale e giornalistica del nostro giornale di pubblicare integralmente i documenti giudiziari che la Legge consente di rendere noti, non essendo coperti da segreto istruttorio, nella loro integrità, evitando i soliti “virgolettati” giornalistici che spesso salvano o omettono alcuni nomi, fatti e circostanze che invece consentono a lettori di conoscere tutti i fatti, le indagini, le decisioni della magistratura. Redazione CdG 1947
Gli editori della Gazzetta del Mezzogiorno a Bari licenziano, mentre a Grottaglie fanno affari (con soldi pubblici) per 20 anni ! Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 6 Novembre 2023
L'operazione voluta tra la Società aeroportuale e l'assessorato allo Sviluppo Economico della Regione Puglia prevedeva una selezione concorrenziale tra operatori del settore per raccogliere entro lo scorso 2 maggio le manifestazioni di interesse.
Mentre l’ accoppiata CISA-ECOLOGICA società co-editrici al 50% della EDIME srl società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno licenzia 47 giornalisti, a causa del crollo delle vendite del giornale in edicola, si aggiudicano in ATI (associazione temporanea d’impresa) da Aeroporti di Puglia la concessione ventennale per la realizzazione di attività di “Disassembly, Dismantling & Recycling Aircrafts“. Disassemblaggio, smantellamento e riciclo, tradotto: dare una nuova vita agli aeromobili giunti a fine vita e recuperare materiali. L’aggiudicazione non compare al momento nella sezione Amministrazione Trasparente del sito di Aeroporti di Puglia, il cui ufficio stampa da noi contattato ci ha riferito che avverrà nelle prossime ore.
L’operazione voluta tra la Società aeroportuale e l’assessorato allo Sviluppo Economico della Regione Puglia prevedeva una selezione concorrenziale tra operatori del settore per raccogliere entro lo scorso 2 maggio le manifestazioni di interesse. Il particolare che potevano partecipare operatori economici che hanno già esperienza e competenze nell’attività industriale aeronautica, logistica o servizi strumentali, che nè la Cisa non ci risulta avere, mentre ad onor del vero Ecologica già si occupa di demolizioni di vagoni ferroviarie.
Stiamo parlando di un’ operazione che frutterebbe nel suo complesso diversi milioni di euro. A livello mondiale, la dimensione del mercato commerciale del riciclo degli aerei nel 2021 è stata valutata 5,95 miliardi di dollari con una previsione di crescita nel 2022 fino a 6,74 miliardi e 15,35 milioni di dollari entro il 2032.
“Il nostro compito è quello di sviluppare modelli di business complementari al trasporto aereo e di metterli a disposizione del mondo delle imprese. La scelta dell’aeroporto di Taranto-Grottaglie non è casuale. Riteniamo infatti che Taranto sia l’unico posto in Puglia in cui ci sia una competenza specifica in questo settore, trattandosi per altro di un’attività industriale compatibile con il modello di business individuato nel Piano Strategico di Aeroporti di Puglia”, dichiarò a suo tempo il presidente di Aeroporti di Puglia, aggiungendo “L’obiettivo di questo bando è dare all’aeroporto di Grottaglie la centralità che merita per generare sviluppo e occupazione“, mentre l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Alessandro Delli Noci spiegava che “L’obiettivo di questo bando è dare all’aeroporto di Grottaglie la centralità che merita per generare sviluppo e occupazione“.
Leonardo Aerostrutture aveva deciso tempo fa di far nascere un proprio stabilimento e quest’anno ha annunciato che non ci sarà neppure un’ora di cassa integrazione grazie al progetto del drone europeo della Difesa, “Euromale“, ma soprattutto per il rilancio degli ordini per il Boeing 787 grazie al contratto sottoscritto dalla compagnia di bandiera araba e il nuovo vettore Riyadh Air e la compagnia americana per la fornitura di 121 aerei. Secondo gli ultimi dati Istat il distretto aerospaziale pugliese nei primi 9 mesi del 2022 ha visto l’export attestato a 234 milioni di euro, con una flessione di 38 milioni rispetto allo stesso periodo del 2021. Poi nel terzo trimestre la ripresa con un considerevole +24,9.
Aeroporti di Puglia e Leonardo spa nella scorsa primavera hanno sottoscritto un contratto per la sub-concessione ventennale dell’Hangar two dell’ Aeroporto di Grottaglie (Taranto), una struttura di circa 9000 metri quadri, con annessi 1.400 metri quadri di uffici ed aree circostanti, che Leonardo destinerà allo sviluppo del progetto del drone europeo ‘Euromale’ che vede interessati, oltre all’Italia, i governi di Francia, Germania e Spagna.. A firmare il contratto per Adp, il presidente Antonio Maria Vasile; per Leonardo il capo divisione Aerostrutture, Stefano Bortoli, e Maurizio Rosini, responsabile Operations Aerostrutture.
L’aeroporto di Grottaglie è stato riconosciuto quale piattaforma logistica integrata per l’attività di ricerca, sperimentazione e test di prodotti aeronautici a cui, successivamente, con l’atto di indirizzo del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti del maggio 2018 si è aggiunta la designazione di ‘Spazioporto nazionale per lo sviluppo sostenibile del settore dei voli suborbitali’.
Giovedì 9 novembre 2023 in occasione della 26esima edizione di Ecomondo, presso lo stand della Cisa spa , alla presenza del viceministro del MASE, on. Vannia Gava (Lega), sarà presentato il progetto del primo centro italiano di smontaggio e riciclo degli aerei che sarà realizzato nell’aeroporto di Grottaglie (Taranto) da un’associazione temporanea di imprese pugliesi risultata aggiudicataria della concessione ventennale di Aeroporti di Puglia, in attesa della firma del relativo contratto che non è stato ancora sottoscritto. Resta da chiedersi: ma ricordiamo bene la scorsa campagna elettorale delle regionali pugliesi, quando il leader della Lega Matteo Salvini descriveva Michele Emiliano come il male assoluto della Puglia. Cosa è cambiato nel frattempo? Redazione CdG 1947
ESCLUSIVO. La vera storia sulla “carriera” di Martellotta e Mazza alla Gazzetta del Mezzogiorno, e quelle strane operazioni per pilotare la procedura fallimentare. Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno mercoledì 1 novembre 2023.
Nonostante la fallimentare accoppiata giornalistica quella Iarussi-Mazza che nel biennio del proprio operato, ha perso il 50% delle copie vendute ai lettori, così contribuendo ad un bilancio in rosso per circa 4 milioni e mezzo di perdite.alla guida del giornale è arrivato l'ex-sindacalista Mimmo Mazza che lo ha portato con Oscar Iarussi alla più seria crisi della sua storia.
Era il 18 giugno 2017 alle h. 17.17 allorquando il giornalista Bepi Martellotta utilizzando la propria mail come presidente dell’ Assostampa di Puglia scriveva una lettera a Vito Ladisa, uno dei soci dell’omonimo gruppo industriale, all’epoca dei fatti azionista di controllo della Ledi s.r.l. la società che aveva riportato in edicola dopo la cessazione delle pubblicazioni della Gazzetta del Mezzogiorno effettuate in esercizio provvisorio disposto e concesso dai curatori fallimentari della Edisud spa, società editrice controllata da Ciancio Editore. Lettera quella di Martellotta che ci è pervenuta anonimamente a mezzo posta ordinaria, e che abbiamo consegnato all’ Autorità Giudiziaria (Carabinieri) delegata dalla Procura di Lecce sulle indagini in corso sulla procedura fallimentare, per le quali sono stato ascoltato come “persona informata sui fatti“.
Nella sua lettera-sfogo Martellotta parlava del suo vicepresidente di Assostampa Puglia (all’epoca dei fatti) Mimmo Mazza, scrivendo testualmente: “Lungi da me difendere quanto fatto da Mazza. Sono qui a chiedere rispetto per le rappresentanze sindacali e per le persone che detengono quella rappresentanza, piaccia o no alla collega inopinatamente invitata a quel tavolo di oggi: se ne aveva titolo, lo avevano anche gli altri 85 giornalisti-creditori traditi da Mazza o no ?” omissis…..
Mimmo Mazza e Bepi Martellotta
Il presidente dell’ Assostampa di Puglia continua nel suo sfogo polemico: “Se su di me si può dire quello che si vuole (ci sono i fatti, come detto, a parlare per me), sul sindacato e sul ruolo che rappresento no. Imbastire processi sommari nei confronti del sindacato regionale dei giornalisti solo perchè un suo rappresentante (il riferimento è chiaramente rivolto a Mimmo Mazza – n.d.a. ) commette azioni in danno dei lavoratori che dovrebbe tutelare, a titolo individuale è pericoloso“….omissis….. “Lascio volentieri ad altri la facilità di passare nel giro di pochi mesi da “nemici” dell’imprenditore a fedelissimi yesman (o yes woman ) pronti a stendere tappetini rossi sui colleghi pur di accreditare se stessi” continua Martellotta nella sua lettera-sfogo. “Allego a questo mio lungo, perdonami, sfogo, la lettera che come FNSI ed Associazioni di Stampa abbiamo mandato alle due curatele ed al giudice delegato. Lo abbiamo fatto appena due giorni prima che Mazza decidesse in solitudine e in silenzio, di fare il suo blitz personalistico. L’ abbiamo resa nota al CdR ed al direttore del giornale (Michele Partipilo n.d.a.)”….omissis….”E non sarà una macchia di qualcuno a titolo personale o uno schizzo di fango lanciato da qualcun altro per vocazione al killeraggio a sporcare il nostro cammino“.
Equi arriva la “vergogna delle vergogne”. Così scriveva Martellotta: ” L’ azione portata avanti in maniera individuale, non concordata con le rappresentanze sindacali (Assostampa, FNSI e CdR) e tenuta nascosta a questi soggetti e a tutti i lavoratori rappresentanti, da Mimmo Mazza nel Comitato Creditori Edisud è in netta contrapposzione con i valori morali, prima che sindacali, di cui sono modesto portatore” – e il presidente dell’ Assostampa di Puglia così continua – “E’ stata condotta con una qualifica – quella dei creditori privilegiati nel Comitato dei creditori Edisud – della quale deve rispondere chi la riveste ( cioè Mazza n.d.a.) dinnanzi ai suoi “rappresentati“, non dinnanzi ai giornalisti che lo hanno eletto vicepresidente dell’ Assostampa nel congresso del sindacato di cui sopra e che potrebbero solo riunirsi di nuovo celebrando in anticipo il congresso, per eleggere un nuovo vicepresidente. E mi sembra non lo abbia fatto” aggiungendo “Nè in tale ruolo è stato investito dai soli giornalisti della Gazzetta che pure lo hanno eletto componente il Cdr (cioè il Comitato di redazione, la rappresentanza sindacale interna – n.d.a.) visto che in quella sede rappresenta tutti i creditori privilegiati della Edisud (anche i poligrafici) e a loro, tutti, dovrebbe rispondere del suo operato“.
Ma lo sproloquio-sfogo del presidente dell’ Assostampa di Puglia non finisce qui: “I processi elettivi non possono essere depennati dalla volontà di qualcuno: Mazza non è un dipendente della Assostampa che posso licenziare, nè posso sfiduciare, visto che è stato eletto com si elegge un parlamentare alla carica che riveste. E’ in carica e a quella carica deve onorare, innanzitutto non firmando atti a nome di Assostampa di cui io sono l’unico rappresentante legale. E mi sembra non lo abbia fatto.”. Nella prima parte di questo passaggio però Martellotta scrive una clamorosa “bufala” paragonando un elezione sindacale di categoria a quella parlamentare. Forse il presidente di Assostampa Puglia non sa che il voto alle elezioni parlamentari è delegato a tutta la popolazione italiana avente diritto , mentre quello per le cariche sindacali, ai soli iscritti al sindacato giornalistico pugliese a cui è iscritto soltanto una modesta percentuale dei giornalisti pugliesi.
Quello che il sindacalista militante Bepi Martellotta farebbe bene a ricordare, quale presidente dell’Assostampa di Puglia, cioè l’organismo che rappresenta la categoria sul fronte sindacale, “è la sua promozione a vice capo redattore della Gazzetta del Mezzogiorno contestualmente a quella del suo vice Mimmo Mazza nominato caporedattore n.2 del giornale, e continua a essere il vice di Martellotta nell’Assostampa di Puglia” e subito dopo vicedirettore . Una circostanza notata e segnalata sui socialnetwork dal collega Antonello Valentini, figlio dello storico direttore dei tempi d’oro della Gazzetta del Mezzogiorno, Oronzo Valentini (quando era di proprietà di una società editrice controllata dal Banco di Napoli), che aveva scritto segnalando la circostanza.
Martellotta aveva denunciato Antonello Valentini con un esposto al Consiglio di Disciplina dell’ Ordine dei Giornalisti del Lazio, accusandolo a suo dire di aver violato alcune norme di carattere professionale perché Valentini in alcuni post su Facebook aveva scritto a suo tempo (novembre 2021) che su Bepi Martellotta e di un altro suo collega sindacalista in carica, Mimmo Mazza, si prospettava la promozione nel nuovo organigramma della Gazzetta, nell’ambito di una trattativa sindacale con i nuovi editori della Edime srl. . Come si legge nella motivazione del provvedimento disciplinare, secondo l’Ordine dei Giornalisti del Lazio in realtà “Valentini si sarebbe limitato a esprimere la sua opinione personale in merito alla vicenda legata alla Gazzetta del Mezzogiorno”. E per questi motivi il Collegio “votando all’unanimità, decide di archiviare il procedimento”. Martellotta nel suo esposto di 6 pagine definiva “disinformato Valentini…” . In realtà le anticipazioni di Antonello Valentini erano assolutamente veritiere ed avevano trovato pieno riscontro nei fatti allorquando scriveva “lui, (cioè Martellotta n.d.a.) presidente del sindacato regionale, è stato promosso vice capo redattore; Mimmo Mazza ( allora componente del sindacato interno della Gazzetta) è stato promosso redattore capo centrale, n.2 del giornale, e continua a essere il vice di Martellotta nell’Assostampa di Puglia”.
” Su queste vicende avevo espresso – e confermo – la mia opinione: nessuna illegittimità nelle promozioni, ma una questione che attiene all’opportunità, all’immagine della categoria giornalistica, in particolare quando si ricopre un ruolo sindacale” scrive Valentini aggiungendo “Non avevo mai visto che un reato di opinione venisse invocato e sostenuto da un sindacalista, per giunta presidente dell’Associazione regionale di categoria. Con quale faccia e quale coerenza, Martellotta si è schierato in sostanza contro tutte le battaglie durissime e coraggiose della Federazione Nazionale della Stampa contro politici o editori che chiedevano di perseguire i giornalisti anche in tribunale con l’arma arcaica e fascista dei reati di opinione, cioè contro le idee e la libertà di pensiero garantita dalla Costituzione? E di fronte a questa sentenza dell’Ordine, qual è la reazione e quali sono saranno i comportamenti e le decisioni di Martellotta ?”
Quello che Antonello Valentini, con la consueta eleganza familiare giornalistica aveva omesso di raccontare era stata l’offerta ricevuta (e respinta) da suo fratello Giovanni della direzione della Gazzetta della Mezzogiorno sotto la proprietà EDIME srl (50% Cisa spa – 50% Ecologica spa). Offerta questa proposta senza esito a Giovanni Valentini in un incontro avvenuto a Roma con Antonio Albanese presidente della Cisa spa di Massafra, e che era condizionata alla vicedirezione da affidare al fedele “sodale” di Albanese, cioè il giornalista ex-sindacalista Mimmo Mazza che guarda caso da qualche settimana è diventato direttore responsabile dopo il pensionamento di Oscar Iarussi. Una fallimentare accoppiata giornalistica quella Iarussi-Mazza che nel biennio del proprio operato, ha perso il 50% delle copie vendute ai lettori, così contribuendo ad un bilancio in rosso per circa 4 milioni e mezzo di perdite. Lasciando alla guida del giornale, Mimmo Mazza che lo ha portato con Oscar Iarussi alla più seria crisi della sua storia.
le famiglie Albanese e Miccolis, e l’ex direttore Iarussi
Emblematico ed imbarazzante il nuovo piano di ristrutturazione della Edime ( Ecologia-Cisa) che vuole licenziare il 50% dei propri giornalisti, guarda caso tutti collaboratori e redattori (art. 1) delle redazioni decentrate, senza toccare la redazione centrale “super-sindacalizzata” di Bari. Prevedendo di perdere un altro 20% di vendite in edicola. Della serie: “debole con i forti e forte con i deboli ” o “dilettanti allo sbaraglio” ?
Antonello de Gennaro. Giornalista professionista dal 1985 ha lavorato per importanti quotidiani e periodici, radio e televisioni nazionali in Italia ed all’estero. Pioniere dell’informazione sul web è ritenuto dei più grossi esperti di comunicazione su Internet.
I comunicati dei sindacati dei giornalisti e dei poligrafici: «Si difendano i lavoratori». IL CDR su La Gazzetta del Mezzogiorno il il 28 Ottobre 2023
«L'avvio della procedura di licenziamento collettivo alla Gazzetta del Mezzogiorno colpisce giornalisti e poligrafici che con grande impegno e professionalità raccontano ogni giorno il nostro territorio e che hanno già visto il loro lavoro a rischio per via della grave crisi che colpì il giornale, conclusa nel 2022 con il ritorno in edicola».
Così in una nota il senatore barese del Pd, Alberto Losacco, in occasione dello sciopero indetto da giornalisti e poligrafici dello storico quotidiano dopo la decisione da parte dell’editore Edime di avvio della procedura ex 223/91, con la dichiarazione di esuberi e il conseguente licenziamento collettivo di 47 giornalisti e 28 poligrafici coinvolti nella ristrutturazione.
«Il mio auspicio - aggiunge Losacco - è che la proprietà possa fermarsi e scegliere la strada del confronto per esplorare ogni soluzione alternativa in merito al rilancio del giornale che contempli la salvaguardia dei posti di lavoro. Il Governo, dal canto suo, intervenga per tutelare una realtà centrale nel panorama informativo meridionale, facendosi carico della questione».
Interviene anche il Movimento cinque stelle, che chiede un'audizione in Commissione Lavoro del Presidente della Task Force regionale Leo Caroli e del presidente dell’Assostampa Puglia Bepi Martellotta e di un rappresentante del gruppo editoriale Edime.
«La Gazzetta del Mezzogiorno - dichiara il gruppo consiliare del M5S alla Regione - fa parte del patrimonio storico della Puglia e del Mezzogiorno. Occorre il massimo impegno a tutti i livelli per evitare il licenziamento collettivo di 47 giornalisti e poligrafici»
«Riteniamo che le Istituzioni debbano fare la loro parte per evitare la procedura di licenziamento collettivo. Per questo vogliamo ascoltare il presidente della task force Leo Caroli in modo da capire come poter salvaguardare i livelli occupazionali. Parallelamente coinvolgeremo i nostri parlamentari affinché chiedano al governo di occuparsi di questa vertenza, come hanno fatto i precedenti esecutivi in casi simili».
Sulla stessa lunghezza d'onda Fratelli d'Italia. «La Puglia non può veder ridimensionato e depotenziato lo storico quotidiano, La Gazzetta del Mezzogiorno. Non è possibile - dicono - che 47 professionisti dell’informazione ed esperti poligrafici possano essere tagliati d’un colpo».
«La crisi del settore è tale che comprendiamo anche le ragioni degli editori, che hanno salvato il giornale nel momento più buio della testata, ma serve uno sforzo collettivo, per questo auspichiamo che la Regione Puglia attivi tutte le azioni possibili da quelle che può mettere in campo il Dipartimento della Comunicazione Istituzionale, al tavolo della task force per le vertenze regionali. Purché siano proposte serie».
Solidarietà ai lavoratori delle sedi Lucane della Gazzetta Del Mezzogiorno arriva anche da Basilicata Casa Comune:
«Quando le politiche dell’informazione non mirano a diffondere la consapevolezza tra i cittadini favorendo la crescita del settore, ma si limitano a distribuire “mancette” più o meno consistenti nella speranza di controllare il flusso delle notizie, è l’intero
comparto a soffrirne. E’ necessario ripensare radicalmente a queste politiche e intanto adoperarsi subito per scongiurare che il colpevole ritardo nell’affrontare compiutamente questo tema possa tradursi in una perdita di luoghi di pluralismo e di posti di lavoro».
Oggi niente giornale in edicola
L'assemblea dei giornalisti ha deciso di fermarsi per un giorno, spiegando ai lettori i motivi della scelta. Ecco il comunicato congiunto di Cdr, e Assostampa di Puglia e Basilicata e quello della rappresentanza sindacale dei poligrafici:
«L’assemblea dei giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno esprime forte preoccupazione e sconcerto a seguito della decisione unilaterale da parte dell’editore Edime di avvio della procedura ex 223/91, con la dichiarazione di esuberi e il conseguente licenziamento collettivo di 47 giornalisti del quotidiano, nonché dei poligrafici coinvolti nella ristrutturazione. Si tratta di scelte connesse alla chiusura delle redazioni decentrate riaperte solo nel febbraio del 2022. Questo orientamento, in controtendenza dopo il coraggioso e provvidenziale salvataggio della testata operato dagli editori, intervenuti dopo il fallimento della Edisud, mette a rischio il tradizionale radicamento della Gazzetta, consolidato in oltre 136 anni in due regioni e otto province di Puglia e Basilicata.
Questo drastico indirizzo aziendale potrebbe pregiudicare il percorso, intenso e pieno di sacrifici condivisi con la proprietà, che - con un impegno sinergico tra lavoratori e editori - ha portato la Gazzetta a ritornare in edicola dopo l’interruzione delle pubblicazioni dovuta alla procedura fallimentare, ricostruendo e rinsaldando la connessione sentimentale con città, comunità, territori, mondo culturale, economico e sportivo.
In un contesto economico segnato dal post covid, dalla crisi energetica, da due guerre (in Ucraina e a Gaza), se l’aumento dei costi di produzione è incontrovertibile, una nuova vertenza che colpisce i livelli occupazionali, riducendoli in maniera pesantissima, di fatto pregiudica pesantemente l’informazione capillare nelle due regioni e rischia di avere pesanti ripercussioni sulla diffusione del giornale e sulla raccolta pubblicitaria.
L’assemblea dei giornalisti della Gazzetta - d’intesa con Assostampa di Puglia e Basilicata - ha incaricato il Comitato di redazione di avviare ad horas i contatti con Edime per la convocazione di un tavolo che affronti la crisi e scongiuri possibili licenziamenti. Allo stesso tempo l’Assemblea ha proclamato per oggi una giornata di sciopero, riservandosi anche di avviare tutti gli strumenti previsti dalle normative, a livello ministeriale e presso la task force della Regione Puglia.
Le nuove gravi difficoltà della Gazzetta, imprescindibile strumento di informazione e controllo del potere in Puglia e Basilicata, non possono essere trascurate dalla politica, che - a partire dalla Manovra in discussione nelle Camere - deve valutare l’adozione di strumenti adatti, come avviene per altri settori industriali della nostra terra, ad affrontare e porre soluzioni per la crisi dell’editoria, anche predisponendo nuovi ammortizzatori sociali per i giornalisti, che siano utilizzabili a prescindere dal precedente quinquennio mobile.
I giornalisti della Gazzetta si scusano con i Lettori per non essere in edicola, ma la comunità che ci ha sostenuto in questi anni e soprattutto dopo il ritorno in edicola del febbraio 2022, comprenderà il passaggio cruciale per il futuro della testata e per le famiglie di tutti i lavoratori.
Il Cdr
Assostampa di Puglia
Assostampa di Basilicata
«Decimati i poligrafici si difendano i lavoratori»
Le organizzazioni sindacali Cgil-Uil-Cisl e Ugl unitamente alle Rsu dei poligrafici, ritengono irricevibile oltre che irrituale l’avvio di procedura di licenziamento collettivo attivata dalla società Edime srl che, qualora venisse portato a termine, vedrebbe azzerato o ridotto a sole qualche unità, l’intero comparto poligrafico della Gazzetta del Mezzogiorno.
La ripresa delle attività della Gazzetta, sospese nell’agosto 2021, passa per la omologa della proposta concordataria della Ecologica Spa (procedimento n. 40/2020 Fallimento Mediterranea S.p.a.).
Tale proposta prevedeva l’acquisizione dell’intero attivo e passivo fallimentare ed il mantenimento dei livelli occupazionali per un biennio. Orbene, ancor prima della scadenza dei due anni prevista dalla proposta concordataria ci troviamo con una procedura di licenziamento collettivo che distrugge la quasi totalità dell’asset poligrafico, che ha già subito enormi sacrifici per le difficoltà economiche in cui versava e versa la storica testata. Fino a quest’oggi le parti hanno sempre posto in campo strumenti di gestione degli esuberi concordati e con la possibilità di snellire gli organici grazie anche alle norme sui prepensionamenti votate in Parlamento.
Non più tardi del 28 settembre scorso nel corso dell’incontro previsto con il Comitato per le Crisi Occupazionali della Regione Puglia avevamo lamentato una scarsa aderenza della società alle intese assunte al tavolo il 31.mar.2022 in tema di formazione (per la creazione di nuove opportunità di reimpiego delle risorse fuori dal ciclo produttivo e miglioramento delle competenze per investire sugli aspetti della digitalizzazione) e riguardo a tematiche completamente disattese (organizzazione archivio storico, proposte di riallocazione in aziende del gruppo, mancata attivazione di misure regionali di politiche attive del lavoro, mancata realizzazione dei distacchi presso terzi per la rotativa). Si evidenziava alla delegazione della Società la necessità di cambiare passo nella gestione del giornale per una concreta e visibile azione di risanamento e rilancio. Un quadro che già ci preoccupava e che ha visto la triste evoluzione odierna, nonostante una nuova convocazione del tavolo di crisi. La scelta della scelta di avviare la procedura di licenziamenti collettivi Riteniamo questa pesante, irriguardosa ed irrituale, forzatura, anche di fronte alle Istituzioni Regionali!
Le scelte strategiche di business purtroppo non ci hanno mai visti coinvolti. Questo sindacato unitario, consapevole della crisi del settore, non più tardi del 13 ottobre scorso ha chiamato a raccolta tutti i Parlamentari eletti in Puglia per sollecitare un adeguato sostegno alla storica testata (contributi all’editoria) e la richiesta di una dotazione di strumenti legislativi utili ad una riduzione non traumatica della forza lavoro senza dispersione occupazionale. La politica ha raccolto il grido di sofferenza dei lavoratori e del sindacato, ed ha avviato un percorso per mettere nella disponibilità dell’editore alcuni strumenti necessari.
La risposta non può essere l’avvio di una procedura di licenziamento collettivo!
Invitiamo l’Editore ad aver più rispetto della storia di questi lavoratori, dei sacrifici che hanno dovuto affrontare con le loro famiglie e ritirare una procedura che è un colpo al cuore dell’intera collettività Pugliese.
Alle luce di quanto sopra le scriventi OOSS e la RSU de La Gazzetta del Mezzogiorno proclamano con effetto immediato lo stato di agitazione e si riservano nelle prossime ore di promuovere iniziative di lotta più incisive ivi compreso lo sciopero di tutti i lavoratori poligrafici.
SLC CGIL FISTEL CISL UILCOM UIL UGL Chimici Carta e Stampa - RSU EDIME srl.
La Gazzetta del Mezzogiorno cambia direttore. Premiato con la nuova direzione il crollo delle vendite e le perdite per 4 milioni di euro della Gazzetta del Mezzogiorno. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 17 Settembre 2023
Chissà se adesso Mazza troverà ancora il tempo di fare il moderatore passando dai Festival dell’ Unità alle conferenze della Massoneria. Più semplice “servire” giornalisticamente il proprio editore Albanese, condannato, pluirindagato e sotto processo a Taranto e Lecce, di cui la Gazzetta ben si guarda di scrivere…all’insegna del giornalismo libero ed indipendente per cui millanta di lottare.
Il giornalista Mimmo Mazza 52 anni, di San Marzano (Taranto), arriva oggi 17 settembre alla seconda direzione della sua “carriera”. Dopo quella della rivista “Ribalta di Puglia” edita dalla moglie del giornalista Salvatore Catapano del TG3 Puglia, cancellata ai sensi di Legge della Stampa dal Tribunale di Taranto nel 2015 dal giudice Italo Federici per inattività, grazie alla sua “vicinanza” e “fedeltà” all’imprenditore della spazzatura il massafrese Tonino Albanese che “sponsorizza” e sostiene Mazza da anni, il quale dopo aver fatto da vice direttore per due anni alla Gazzetta del Mezzogiorno ad Oscar Iarussi, andato in pensione (che aveva provato ad entrare in RAI venendo respinto) prima di assumere per mancanza di candidati la direzione del fallimentare quotidiano barese negli ultimi due anni.
La “vicinanza” e sponsorizzazione” di Mazza da parte di Albanese, attuale co-editore al 50% della Edime srl, capitale sociale 10.000 euro, società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, è di vecchia data, e risulta persino nei registri di Palazzo Chigi quando durante il Governo Conte quando Albanese cercava attraverso il sottosegretario Mario Turco di farsi finanziare dallo Stato per trasformare un albergo di Massafra, l’ Appia Terminal, comprato ad un’asta fallimentare, in una struttura sanitaria, ovviamente a spese del contribuente, dopo averci provato inutilmente con la Regione Puglia.
Mazza di spalle ed Albanese alla corte di SalviniMazza, Decaro ed Albanese parlando degli affari a Bari del “massafrese”
Ma non solo. Infatti il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di rivelare un retroscena. Nelle settimane prima del fallimentare ritorno in edicola della Gazzetta del Mezzogiorno, si recò a Roma, incontrando il nostro autorevole collega Giovanni Valentini, figlio dello storico “direttore” della Gazzetta, Oronzo Valentini, che è stato direttore dei settimanali L’ Europeo, L’ Espresso e condirettore di Eugenio Scalfari del quotidiano La Repubblica di cui è stato uno dei giornalisti fondatori. Albanese proponendo a Giovanni Valentini la direzione della Gazzetta, gli disse “il suo vice però dovrà essere Mimmo Mazza, persona di mia fiducia“. Immediata e scontata fu la risposta che ricevette: “La ringrazio dell’offerta ma nella mia storia professionale il mio vice me lo scelgo io, e questo Mimmo Mazza non so chi sia“.
Solitamente quando un giornale non va bene, ed il caso della Gazzetta del Mezzogiorno, calato dalle 8.000 copie pre-fallimento alle attuali circa 5.000 copie vendute in edicola al giorno (fonte: ADS, agosto 2023) in un bacino di lettori di oltre 6 milioni di abitanti fra la Puglia e la Basilicata, crollo che ha determinato la chiusura del bilancio al 31.12.2022 con una pesante perdita di 4.358.344 euro. Un importante giornalista di fama nazionale ha così commentato: “Il fatto più “misterioso” è che viene promosso il vicedirettore di un giornale che sotto questa direzione ha perso altre 3.000 copie e 4 milioni di euro !”
La nomina di Mimmo Mazza già vicepresidente di Assostampa Puglia alla direzione della Gazzetta del Mezzogiorno, ricorda tanto per analogia quella del suo collega (anche di sindacato) Gianni Svaldi quando assunse la direzione di un quotidiano tarantino (che utilizzava indebitamente il nome dello storico giornale che state leggendo) con l’ indicazione “di Puglia e Lucania” edito dalla fallita Cooperativa 19 Luglio, portato alla chiusura, dopo aver incassato negli ultimi 10 anni la bellezza di circa 27milioni di euro a fondo perduto, dalla Legge sull’ Editoria, lasciando un “buco” di oltre 5 milioni di euro di debiti.
Va ricordato che sull’acquisizione della Gazzetta del Mezzogiorno, da parte degli imprenditori Miccolis ed Albanese, piena di conflitti d’interesse e “dormite” del Tribunale Fallimentare di Bari, pende ancora oggi un procedimento penale dinnanzi alla Procura della Repubblica di Lecce per il quale è stato ascoltato come persona informata dei fatti il nostro direttore Antonello de Gennaro, che molto ha scritto in materia senza mai essere smentito, rettificato o querelato.
Il comitato di redazione della Gazzetta del Mezzogiorno oggi con una nota “ringrazia e saluta con affetto il direttore Iarussi per il lavoro svolto riportando in edicola la Gazzetta dopo l’interruzione delle pubblicazioni e per aver profuso il massimo sforzo per il consolidamento del nostro quotidiano. A Mimmo Mazza augura in bocca al lupo per il prestigioso incarico”. Quello che i sindacalisti della Gazzetta del Mezzogiorno fingono di non ricordare è che l’impegno della Edime srl dinnanzi al Tribunale fallimentare di Bari di mantenere i 140 dipendenti della fallita Edisud, era solo per due anni, e non a caso l’ accoppiata Miccolis-Albanese che hanno rilevato (al 50%) dal fallimento della Mediterranea lo stabile della vecchia sede del giornale barese in via Scipione l’ Africano, dovendo cedere l’altro 50% al Gruppo Ladisa che vantava un credito di circa 6milioni di euro da quel fallimento.
Corre voce infatti che anche la testata de La Gazzetta del Mezzogiorno (in pancia al fallimento della Mediterranea spa) sia stata trasferita ad una terza società per sottrarla al rischio di un fallimento o liquidazione “pilotati” dell’ attuale società editrice EDIME. Chissà cosa diranno l’asemblea redazionale dei giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno ed il CdR, il giorno che scopriranno il contenuto di una mail inviata dall’attuale Presidente dell’ Assostampa di Puglia Bepi Martellotta, e giornalista della Gazzetta, in cui accusava Mazza di aver votato durante la procedura fallimentare contro l’offerta del Gruppo Ladisa, per agevolare l’offerta del gruppo Miccolis, dietro la quale si nascondeva Albanese.
Chissà se adesso Mazza troverà ancora il tempo di fare il moderatore passando dai Festival dell’ Unità alle conferenze della Massoneria. Più semplice “servire” giornalisticamente il proprio editore Albanese, condannato, pluirindagato e sotto processo a Taranto e Lecce, di cui la Gazzetta ben si guarda di scrivere…all’insegna del giornalismo libero ed indipendente per cui millanta di lottare.
Una cosa è certa. Finalmente dal 1 gennaio 2024 sarà operativa la sede regionale per la Puglia e la nostra webtv che stiamo allestendo a Bari, e sarà un piacere fare la concorrenza giornalistica, editoriale e pubblicitaria anche con la Gazzetta del Mezzogiorno. Alla fine vince sempre il mercato e la qualità dell’informazione . I soldi non bastano sopratutto quando puzzano di spazzatura. Redazione CdG 1947
E’ arrivata la nuova crisi della Gazzetta del Mezzogiorno gestita da dilettanti allo sbaraglio. Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 28 Ottobre 2023
Dopo aver letto questo piano di risanamento pieno di lacrime e sangue, siamo veramente curiosi di conoscere le reazioni dell' assemblea dei giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno, del Comitato di Redazione ed in particolare dell' Assostampa di Puglia il cui presidente Bepi Martellotta ha fatto "carriera" in Gazzetta. Sembra impensabile che il suo ex-vice presidente Mimmo Mazza (ormai ex-sindacalista...) possa proporre il suo licenziamento, e tantomeno occuparsi di una "battaglia sindacale" visto il suo nuovo ruolo dirigenziale e contrattuale.
Come avevamo previsto senza voler fare l’uccello del malaugurio, ma semplicemente limitandoci a osservare ed analizzare i dati di vendita in edicola, ed i bilanci societari, puntualmente è arrivata la crisi dell’attuale società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno all’indomani dei due anni di garanzia assicurata in sede di aggiudicazione fallimentare. E gli editori della EDIME-Editrice del Mezzogiorno s.r.l. (50% CISA spa– 50% Ecologica) hanno aperto la procedura di esubero di personale da licenziare e mettere in cassa di integrazione, che chiaramente andrà a gravare sulle spalle dei contribuenti, cioè di tutti noi.
I 147 dipendenti ereditati dal fallimento dalle Edisud s.p.a. (Gruppo Ciancio Editore) composti da 89 giornalisti e 58 poligrafici, non sono stati capaci di riaddrizzare le sesorti del giornale bare. Il piano industriale predisposto al momento della ripresa delle pubblicazoni, ipotizzatava una media giornaliera di copie vendute pari a 9.000 copie al giorno che rappresentava il numero medio di copie vendute dai curatori fallimentari nel corso dell’ esercizio provvisorio dell’ attività d’impresa della fallita EDISUD spa. Ed invece si sono fermati ad una media di 5.000 copie vendute in edicola giornalmente.
La EDIME,società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, una srl di appena 10mila euro di capitale sociale, quest’ anno ha depositato il bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2022 con una perdita di oltre 4milioni e mezzo di euro circa, nonostante l’utilizzo della cassa integrazione a zero ore per alcuni dipendenti.
A nulla sono serviti degli accordi di abbinamento in edicola per soli 4 mesi con il quotidiano LA GAZZETTA DELLO SPORT ed una consulenza con la società ARTS MEDIA srl, così come a nulla sono servite le riaperture delle edizioni e redazioni locali passate da 4 a 6 in Puglia e Basilicata, mentre le copie vendute sono scese come dicevamo sopra, dalle 9.000 copie precedenti (con 4 edizioni) alle circa 5.000 attuali (con 6 edizioni) . Numeri impietosi che parlano da soli.
Nonostante l’aumento delle edizioni locali, infatti, il giornale ha perso sempre più copie e quindi ha visto crescere le perdite economiche-finanziarie mese dopo mese. Il costo della stampa complessivo delle edizioni locali hanno generato un costo mensile medio pari a €uro 118.186,69, determinando una perdita media mensile di €uro 53.330,60. e quindi secondo gli editori “è quindi evidente come sia antieconomico mantenere le suddette edizioni”.
Questi i dati economici dichiarati dall’ editore:
L’ Edizione Basilicata a fronte di ricavi medi mensili di €uro 9.2323,57 ha avuto una perdita media mensile di €uro 15.110,06.
L’Edizione Bat (Barletta, Andria, Trani) a fronte di ricavi medi mensili di €uro 13.511,46 ha avuto una perdita media mensile di €uro 5.812,28.
L’ Edizione Foggia a fronte di ricavi medi mensili di €uro 16.612,00 ha avuto una perdita media mensile di €uro 1.294,37.
L’ Edizione Salento (Lecce-Brindisi) a fronte di ricavi medi mensili di €uro 18.608,05 ha avuto una perdita media mensile di €uro 16.051,66.
L’ Edizione Taranto a fronte di ricavi medi mensili di €uro 6.892,30 ha avuto una perdita media mensile di €uro 15.062,23.
Alla luce di questi numeri disastrosi generati da una gestione editoriale inesperta ed incompetente settorialmente, si è affiancata la mancanza di una guida, cioè di una direzione giornalistica capace di ridare energia ed autorevolezza ad un quotidiano sempre più illeggibile, infarcito da pagine pressochè riempite da notizie di agenzie di stampa, gli editori hanno deciso di avviare “una gestione equlibrata” ( per meglio dire, un bagno di sangue occupazionale) che prevede la chiusura delle sedi ed edizioni locali, per arrivare ad una edizione unica con la riduzione delle attuali 96 pagine (comprensive di tutte le edzioni locali) a 56 pagine. Nella nota trasmessa alle organizzazioni sindacali la società EDIME inoltre ritiene “corretto ipotizzare una riduzione delle vendite medie giornaliere da 5.500 a 4.500 giornaliere“, cioè il 50% in meno di quanto vendeva durante l’esercizio provvisorio dei curatori fallimentari. Secondo l’editore “l’ipotetica riduzione delle vendite in esame comporterebbe minori ricavi per circa 400.000.00 euro”.
Numeri questi che erano facilmente prevedibili dopo aver affidato il rilancio del giornale ad un accoppiata di vertice, ci sia consentito di dirlo sulla base dei numeri, cioè dei risultati, non all’altezza della situazione: un direttore come Oscar Iarussi che era stato “scartato” da un concorso per l’assunzione di giornalisti in RAI, ed un “vice” come Mimmo Mazza (promosso addirittura da caposervizio prima a Taranto, e vice di Iarussi , all’attuale direzione anche editoriale “forte” di una rapporto notoriamente molto stretto con uno dei due soci della proprietà, e cioè Antonio Albanese, patron della CISA spa di Massafra, che detiene il 50% della EDIME srl.
Sempre secondo il nuovo piano di ristrutturazione aziendale “la chiusura delle sedi e delle edizioni locali produrrà un sostanziale risparmio sia sul fronte delle spese legate ad affitti ed utenze delle sedi sia in termini di riduzione costo della carta, di cui si è già detto in precedenza, ma il principale risparmio è quello relativo del costo del personale” cioè dei giornalisti. All’ esito del piano di risanamento, gli editori prevedono “un organico del settore giornalistico che residuerà sulla sede centrale sarà pari a 30 unità lavorative, compreso un prepensionando, di cui 29 giornalisti art. 1 ed 1 praticante“.
L’eliminazione delle redazioni locali e sedi centrali, determinerà “la cessazione dei rapporti di lavoro giornalistico art.36″ nonchè “di 14 giornalisti di cui un prepensionando” e “di tutti i collaboratori ex art. 2 e 12 già in Cigs” a zero ore. Un taglio radicale, o meglio un vero e proprio bagno di sangue di giornalisti che si ritroveranno di fatto in mezzo ad una strada, il cui licenziamento “comporterà un risparmio sul costo del lavoro di circa 1.400.000,00 euro l’anno“.
Nel settore poligrafico degli attuali 34 dipendenti, “a seguito dei prepensionamenti, diventeranno 32 alla fine dell’ anno e di cui 7 gia in Cigs a 0 ore. Per effetto dell’edizione unica le posizioni del presente settore dovranno essere ridotte a 6“. e quindi 26 poligrafici perderanno a loro volta il posto di lavoro ! L’editore “ritiene opportuno quattro risorse (incluso l’addetto all’infografica) che possono iintervenite in caso di esigenze particolari o imprevisti” prevedendo che “una quinta risorsa sarà destinata all’ amministrazione e si occuperò anche della segreteria di redazione (la relativa mole di lavoro consente certamente di svolgere entrambi i ruoli indicati“.
Il piano di risanamento prevede la totale soppressione anche “dei settori Economato, Segreteria di Redazione, Area Tecnica multimediale” nonchè “l’esternalizzazione dei settori Abbonamento, Contabilità, Diffusione e gestori del Sistema Editoriale“, ma anche “l’ipotizzabile abbinamento con un quotidiano nazionale a condizioni però che non incidano eccessivamente sui ricavi della società”. Resta da chiedersi quale quotidiano nazionale vorrà mai accoppiarsi con un giornale che non si vende in edicola !
Dopo aver letto questo piano di risanamento pieno di lacrime e sangue, siamo veramente curiosi di conoscere quali saranno le reazioni dell’ assemblea dei giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno, del Comitato di Redazione ed in particolare dell’ Assostampa di Puglia il cui presidente Bepi Martellotta nel frattempo ha fatto “carriera” in Gazzetta. Sembra impensabile che il suo ex-vice presidente Mimmo Mazza (ormai ex-sindacalista…) possa proporre il suo licenziamento, e tantomeno occuparsi di una “battaglia sindacale” visto il suo nuovo ruolo dirigenziale e contrattuale. Evidentemente Mazza adesso preferisce stare dalla parte del “padrone“, piuttosto che “battagliare” come sosteneva di fare, per i diritti sindacali dei giornalisti in Puglia. Anche perchè secondo noi, questa sua direzione della Gazzetta del Mezzogiorno rischia di esser la prima ed unica di un quotidiano nella sua carriera professionale, dopo quella precedente di un periodico tarantino (Ribalta di Puglia) testata chiusa dal Tribunale di Taranto.
Antonello de Gennaro. Giornalista professionista dal 1985 ha lavorato per importanti quotidiani e periodici, radio e televisioni nazionali in Italia ed all’estero. Pioniere dell’informazione sul web è ritenuto dei più grossi esperti di comunicazione su Internet.
Fake news e dati Ads-diffusione della stampa confermano: la Gazzetta del Mezzogiorno è in una profonda crisi di vendite. E gli editori hanno più di qualche problema…Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 16 Aprile 2023
Nessuna verifica giornalistica post-annuncio, la cosa più comica che per vedere del giornalismo serio ed attendibile in Puglia bisogna cercarlo rivolgendosi al noto programma tv "Chi l'ha visto ?". E' proprio il caso dire: "E' la stampa monnezza !"
di Antonello de Gennaro
Ads ha reso disponibili dal 13 aprile, i nuovi dati mensili stimati dagli Editori (leggi QUI) riferiti al mese di febbraio 2023 relativi a quotidiani stampati, da cui emerge e si conferma la crisi irreversibile di vendite del quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno, reduce da un doppio fallimento (Edisud-Mediterranea) , ed il cui corpo redazionale e l’attuale direzione “improvvisata” non riescono a sovvertire. Incredibilmente il giornale barese è sceso a vendere al momento una media di circa 6.000 copie, cioè 2000 in meno rispetto alle 8.000 che vendeva al momento della chiusura fallimentare.
Quello che molti si chiedono che fine faranno i 140 dipendenti dell’ attuale società editrice EDIME srl (che ha appena 10mila euro di capitale sociale) a dicembre 2023, alla scadenza dei due anni di propria gestione durante la quale ha dovuto rispettare le condizioni di gara ed assegnazione fallimentare, garantendo il posto a tutti. Se durante la gestione della Gazzetta del Mezzogiorno in esercizio provvisorio sotto la curatela fallimentare con 8.000 copie vendute, perdevano 300 mila euro al mese, adesso è facilmente ipotizzabile e calcolabile (anche a causa degli aumenti della carte e del costo dell’energia elettrica ) che le perdite mensili oscillino fra i 450/500 mila euro al mese. E che alla scadenza dei due anni si prevedono forti tagli di personale. Inoltre corre voce (stiamo verificando) che la EDIME srl, abbia ceduto la testata La Gazzetta del Mezzogiorno ad altra struttura societaria per meglio proteggerla in caso di un nuovo fallimento.
Gli attuali editori Miccolis ed Albanese (soci al 50%) in fatti non se la passano molto bene, in particolar modo ECOLOGICA impresa dell’indotto ex Ilva, con circa 200 addetti che si occupano di pulizie industriali, che ha comunicato ad Acciaierie d’Italia che “stante il perdurare dell’incertezza sulle modalità di liquidazione delle spettanze maturate, soprattutto dello scaduto oltre i 180 giorni, saremo costretti, nostro malgrado, a sospendere tutte le attività sino ad oggi garantite”. decisione conseguenziale all’insolvenza di Acciaierie d’Italia, che malgrado i solleciti, non paga il lavoro svolto in fabbrica e lo scaduto fatture si va ampliando.
Ma anche la CISA spa di Massafra non se la ride molto. Il suo “patron” Antonio Albanese è stato mandato sotto processo dinnanzi al Tribunale di Taranto ed a quello di Lecce notizie che la Gazzetta del Mezzogiorno poco deontologicamente tiene in silenzio occultandole ai propri lettori , non è riuscito ad ottenere il raddoppio del suo stabilimento di smaltimento rifiuti a Massafra, così come non è riuscito ad ottenere finanziamenti per l’ex Hotel Appia Terminal , e tantomeno ha mai realizzato la tanto “strombazzata” Cinecittà di Puglia...!
Così scriveva 3 anni fa la Gazzetta del Mezzogiorno: «Non abbiamo certezze sui tempi di realizzazione del centro medico e di ricerca. Ma è più importante sapere – evidenzia Quarto (sindaco di Massafra n.d.r.) – che si farà il progetto della società Appia Medical Center, già illustrato alle istituzioni facenti parte del Contratto istituzionale di sviluppo Taranto». L’iniziativa è ambiziosa. «E non solo. In quanto – spiega il sindaco – prevede la trasformazione e riqualificazione dell’immobile per un investimento totale pari a circa 50 milioni di euro, garantendo un’occupazione a regime tra fissi e a tempo determinato superiori alle 150 unità». Di quel progetto è rimasta solo l’idea, perchè contrariamente a quanto sostenuto (“la famiglia Albanese intende realizzare nell’immobile che ospitava l’ex Hotel Appia, struttura ricettiva abbandonata da anni a seguito del fallimento della società che la gestiva“) non è stato realizzato nulla non essendo riusciti ad accedere a fondi regionali, nazionali e comunitari. Ma si sa, che applicare il “fact-checking” giornalistico in Puglia è un pò come cercare dell’acqua nel deserto !
Per non parlare poi delle invenzioni giornalistiche firmate Massimo Scagliarini che nell’agosto 2020, sempre sulla Gazzetta del Mezzogiorno, così scriveva testualmente “Lo scorso anno l’imprenditore tarantino Antonio Albanese, il re delle discariche, ha ridato impulso al progetto di riqualificare il parco a tema Felifonte, a Castellaneta Marina, trasformandolo in studi cinematografici con un investimento stimato in 50 milioni di euro. È bastato passare la voce perché l’idea rimbalzasse su riviste e siti specializzati, attraendo l’interesse degli addetti ai lavori”.
In precedenza a marzo 2020 un sito locale che si occupa di Massafra e Castellaneta, destinatario di non poche inserzioni pubblicitarie provenienti dalle attività di Antonio Albanese, il 3 marzo 2020 scriveva testualmente una marea di “fake news” telepilotate.: “Felifonte si estende su un’area di 45 ettari che saranno convertiti in studi cinematografici all’avanguardia, per circa 18mila metri quadrati, di cui 9 studi di posa (il più grande di 5mila mq.) e 2 piscine, ideali per le riprese subacquee, che faranno di Castellaneta Marina la nuova Cinecittà.
A capo del progetto “Apulia Studios”, come detto, Antonio Albanese, l’imprenditore massafrese presidente della CISA Spa operante nel settore del trattamento dei rifiuti, che si avvale della consulenza qualificata di due dirigenti ex Apulia Film Commission, nonché fondatori della società di produzione cinematografica e televisiva romana Fidelio: i baresi Silvio Maselli e Daniele Basilio.Il progetto – dal costo di 50 milioni di euro – sarà cantierizzato nei prossimi mesi e si articolerà in due fasi: la prima vedrà luce nella primavera dell’anno prossimo ( quindi 2021 n.d.r.) e riguarderà i primi impianti di medie dimensioni, la seconda prevede il completamento degli studi di posa più imponenti entro la fine del 2021″ . E meno male che chi ha scritto queste fesserie, di cognome fa “Serio” !
Persino l’edizione barese del quotidiano La Repubblica contribuiva ad una disinformazione pugliese, scrivendo “La notizia viaggia sui siti dedicati al cinema, compreso quello del Mia, il primo mercato italiano che riunisce l’industria audiovisiva: “Prende il via il progetto ambizioso di trasformare un parco acquatico di 450mila metri quadrati in degli studios all’avanguardia entro il 2021″. Sarebbero grandi quanto 60 campi di calcio, e si chiameranno Apulia studios, con l’intenzione di diventare il fiore all’occhiello del settore nella regione, in grado di moltiplicarne l’attrattiva. Dietro la rinascita di Felifonte c’è Antonio Albanese, imprenditore di Massafra impegnato nel settore dello smaltimento rifiuti ( sua la Cisa spa).
Aggiungendo “La conversione di Felifonte nella Cinecittà di Puglia dovrebbe avere un costo di 50 milioni di euro, e i lavori potrebbero cominciare già nel 2020: almeno per la realizzazione degli studi di medie dimensioni e delle vasche, per completare il tutto alla fine del 2021.” “Architetti e ingegneri avrebbero stilato un progetto di 18mila metri quadrati di studi cinematografici, il cui maggiore arriverà a misurarne 5mila”.
In realtà nulla di tutto quanto annunciato da Albanese è mai stato realizzato !
Anche in questo caso, nessuna verifica giornalistica post-annuncio, e la cosa più comica che per vedere la Cinecittà di Puglia…ed il centro di ricerca medica della famiglia Albanese, e sopratutto del giornalismo serio ed attendibile bisogna rivolgersi al noto programma tv “Chi l’ha visto ?“.
E’ proprio il caso dire: “E’ la stampa monnezza !“
Redazione CdG 1947
“Monnezzopoli”: il co-editore della Gazzetta del Mezzogiorno Antonio Albanese a processo nell’inchiesta T-Rex bis. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 7 Aprile 2023
Ad allertare la “cricca” dei tangentisti e monnezzari, di essere sotto intercettazione della Guardia di Finanza, secondo le indagini ed accertamenti della procura sarebbe stato Antonio Albanese, presidente della CISA spa di Massafra, ed attuale co-editore del quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno di cui detiene il 50% della società editrice EDIME srl
Si svolgerà il prossimo 13 settembre la prima udienza del processo sul secondo troncone di indagine della Guardia di Finanza . È stato il giudice Fulvia Misserini a disporre il rinvio a giudizio richiesto dalla procura sulla vicenda che aveva portato all’arresto e poi alla condanna di primo grado dell’ex presidente della Provincia e sindaco di Massafra Martino Tamburrano ad oltre 9 anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole di aver ottenuto tangenti dalla società bresciana Linea Ambiente per concedere l’autorizzazione all’ampliamento della discarica “La Torre – Caprarica“. L’ex primo cittadino di Massafra si era sempre proclamato innocente.
Ma c’è anche un altro sindaco, Giuseppe Tarantino primo cittadino di San Marzano di San Giuseppe, chiamato a rispondere delle accuse di aver richiesto e ottenuto posti dei di lavoro dall’imprenditore Pasquale Lonoce (assistito dall’ avv. Michele Laforgia del foro di bari) durante la campagna elettorale del 2018 per la sua elezione a primo cittadino. Secondo le evidenze investigative Tarantino avrebbe fornito all’imprenditore, al quale è riconducibile la società intestata ai suoi famigliari, che gestiva la raccolta di rifiuti nel comune di San Marzano, i nominativi delle persone da assumere in modo da aumentare il proprio consenso elettorale.
Ad allertare la “cricca” dei tangentisti e monnezzari, di essere sotto intercettazione della Guardia di Finanza, secondo le indagini ed accertamenti della procura sarebbe stato Antonio Albanese, presidente della CISA spa di Massafra, ed attuale co-editore del quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno di cui detiene il 50% della società editrice EDIME srl, giornale che si è ben guardato di riferire ai propri lettori tale circostanza.
Sono finiti a processo anche l’ex sottufficiale dei carabinieri ora in pensione Antonio Bucci (assistito dall’ avv. Gaetano Vitale) poichè pur essendo a conoscenza dell’illecito legato all’affare discarica “La Torre – Caprarica”, mentre era ancora in servizio per l’ Arma dei Carabinieri, non avrebbe fatto nulla di quanto avrebbe dovuto per interrompere il giro di corruzione e tangenti la vicenda.
Aprocesso sono finiti anche il concessionario di automobili Antonio D’Elia e l’ingegnere Federico Cangialosi, il dirigente AMIU Taranto spa Cosimo Natuzzi (assistito dall’ avv. Egidio Albanese) questi ultimi due, membri di una commissione di gara del Comune di Sava estraneo ai fatti e parte lesa, i quali secondo la procura, su “sollecitazione” con promessa di compenso in denaro, ricevuta da Martino Tamburrano avrebbe attribuito un punteggio alla società di Lonoce affinché vincesse la gara per il servizio di igiene urbana al Comune di Sava, gara che venne annullata in autotutela dal sindaco in carica all’epoca dei fatti Avv. Dario Iaia attualmente eletto deputato di Fratelli d’ Italia. Il rinvio a processo ha colpito anche Pietro Accolla, Giacomo Santoro, ed il funzionario dell’ente provinciale Lorenzo Natile accusato in questo troncone d’inchiesta di corruzione per aver favorito Antonio D’elia per ottenere la patente di guida per automezzi pesanti. Redazione CdG 1947
Ecco il decreto “Monnezzopoli (T-Rex) bis”: il co-editore della Gazzetta del Mezzogiorno, Antonio Albanese a processo. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 9 Maggio 2023
Esattamente un mese fa il giudice delle indagini preliminari dr.ssa Fulvia Misserini ha disposto il processo per tutti gli imputati del secondo troncone d’inchiesta dell’indagine T-Rex condotta dalla Guardia di Finanza nata sotto il coordinamento dell’ex comandante provinciale della Guardia di Finanza Col. Gianfranco Lucignano.
Secondo le indagini delle Fiamme Gialle accolte e condivise dalla Procura di Taranto, ad allertare la “cricca” dei tangentisti e monnezzari, di essere sotto intercettazione della Guardia di Finanza, sarebbe stato Antonio Albanese, presidente della CISA spa di Massafra, ed attuale co-editore del quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno di cui detiene il 50% della società editrice EDIME srl, giornale che si è ben guardato di riferire ai propri lettori tale circostanza.
Purtroppo, guardando le date del provvedimento, facile intuire che anche in questo caso molti degli imputati la passeranno liscia grazie alla prescrizione, considerato che la prima udienza del processo di primo grado si terrà dopo 5 anni dai fatti. Se questi tempi sono “accettabili” per i magistrati degli uffici giudiziari di Taranto (per la gioia dei difensori e degli imputati) è il caso di dire “Addio giustizia” e di poter definire il palazzo degli uffici giudiziari di viale Marche a Taranto il vero porto delle “nebbie” e si capisce come mai il noto avvocato pregiudicato Piero Amara plurindagato, finito sulle cronache di tutti i giornali italiani e dei programmi televisivi , avesse trasferito in provincia di Taranto le sedi legali inesistenti delle sue società. Così come non è un caso se a Roma le Fiamme Gialle, nel corso di una perquisizione disposta e seguita personalmente dal pm Stefano Fava (ora giudice presso il Tribunale di Latina) abbiano trovato in una stanza al lavoro il giovane avvocato Giuseppe (Peppe) Argentino, figlio di quel Pietro Argentino ex procuratore aggiunto a Taranto e successivamente procuratore capo a Matera, dove ha concluso la sua nefasta carriera andando in pensione.
Ribadiamo il concetto: questa è la vera malagiustizia “monnezza“, che prospera grazie anche ad un giornalismo locale asservito, “comprato & svenduto” per pochi euro, e pensare poi che certi giornalisti pugliesi, in particolare a Taranto, si lamentano che i giornali e le tv locali falliscono ! Redazione CdG 1947
Fallimento Edisud, a processo per bancarotta fraudolenta gli ex editori della «Gazzetta». Il gup Rinaldi dispone il rinvio a giudizio. Prima udienza ad aprile davanti al Tribunale di Bari. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Marzo 2023
Il gup di Bari, Francesco Rinaldi, ha rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta l'ex editore della Gazzetta del Mezzogiorno, il 91enne siciliano Mario Ciancio Sanfilippo, il figlio Domenico Natale Enzo Ciancio Sanfilippo, 48 anni, e l'ex direttore generale Franco Capparelli, 79 anni, che hanno gestito la Edisud, società editrice del quotidiano, sino alla data del fallimento (15 giugno 2020).
I tre, per i quali il processo comincerà il 5 aprile davanti alla prima sezione collegiale del Tribunale di Bari, sono stati accusati di concorso in bancarotta fraudolenta aggravata al termine delle indagini condotte dai pm Lanfranco Marazia e Luisanna Di Vittorio e coordinate dal procuratore capo Roberto Rossi. I tre, sempre secondo l'accusa che si basa sulle indagini condotte dalla Guardia di Finanza, avrebbero compiuto "atti di dissipazione e/o depauperamento consistiti in rimborsi spese e spese di rappresentanza prive di giustificazione economica, negli anni dal 2016 al 2018, per complessivi 192.489 mila euro, causando "per effetto di operazioni dolose il fallimento della società Edisud spa". Accuse che gli interessati hanno sempre fermamente respinto: «Per il mantenimento dei valori attivi, tangibili e intangibili, nonché per la salvaguardia della forza lavoro impiegata nella conduzione dello storico quotidiano- aveva detto l'ex editore Mario Ciancio Sanfilippo dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini - sono intervenuto con il mio patrimonio personale versando, dal 1996 ad oggi, più di 30 milioni di euro».
Oggi la "Gazzetta" è gestita dalla società Edime, aggiudicataria della testata nell'ambito della procedura fallimentare che si è aperta a seguito del fallimento Edisud.
Ennesimo “show” mediatico della Procura di Bari sul fallimento della Gazzetta del Mezzogiorno. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 2 Marzo 2023
Resta da capire, ma spetterà accertarlo alla procura di Lecce che sta indagando in merito, a cosa servì la presenza, ed a che titolo (non si è mai verificata una cosa del genere a memoria d'uomo) del procuratore Rossi e dei due pm Marazia e Di Vittorio nella famosa udienza di convalida dinnanzi al Tribunale Fallimentare di Bari quando il quotidiano barese fu assegnato alla società Ecologica, che lo ha poi conferito all'attuale
Il Gip del Tribunale di Bari Francesco Rinaldi, ha rinviato a giudizio su richiesta dei pm Lanfranco Marazia e Luisanna Di Vittorio siglata anche dal procuratore capo Roberto Rossi, per bancarotta fraudolenta nei confronti dell’ex editore del quotidiano pugliese-lucano La Gazzetta del Mezzogiorno, il 91enne siciliano Mario Ciancio Sanfilippo, di suo figlio Domenico Natale Enzo Ciancio Sanfilippo (48 anni); e dell’ex direttore generale della Edisud spa, Franco Capparelli (79 anni) , uomo di fiducia dei Ciancio sino al fallimento . Secondo i magistrati della Procura di Bari sarebbero stati loro i responsabili del fallimento della società Edisud spa, ex editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, dichiarata fallita nel giugno 2020 . la vicenda ha origine dalle denunce presentate in Procura da alcuni giornalisti esponenti sindacali “pilotati” dietro le quinte da un noto furbetto.
I capi di imputazione attribuiti ai tre indagati, ora diventati imputati, per i quali dovranno difendersi nel processo, sono quello di “concorso in bancarotta fraudolenta aggravata” in relazione alla gestione della società. Con tutto il rispetto per gli inquirenti resta poco credibile l’ipotesi che tre persone agevolino il fallimento di una società a proprio discapito per un’importo che osiamo definire imbarazzante !
Lascia un pò sorridere leggere che secondo l’accusa i tre indagati avrebbero compiuto “atti di dissipazione e/o depauperamento consistiti in rimborsi spese e spese di rappresentanza prive di giustificazione economica, negli anni dal 2016 al 2018, per complessivi 192.489 mila euro” confrontando questa cifra confrontata sulla massa fallimentare di oltre 40milioni di euro !
Sempre secondo l’accusa, i Ciancio e Capparelli rivestendo i ruoli rispettivi in seno alla società sarebbero responsabili del reato contestato “istigando e/o determinando l’altrui volontà”, con i quali avrebbero causato “per effetto di operazioni dolose il fallimento della società Edisud spa”. Accuse che abbiamo già letto mosse dai giornalisti sindacalisti “carrieristi” della Gazzetta del Mezzogiorno , che l’ex editore, che in passato era stato presidente della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali), aveva pubblicamente respinto sin dalla conclusione indagini. “Mi rendo conto che la difesa – ha commentato Mario Ciancio Sanfilippo – può essere spiegata solo nel processo e sono pronto, assieme a mio figlio, a dimostrare che per il mantenimento dei valori attivi, tangibili e intangibili, nonché per la salvaguardia della forza lavoro impiegata nella conduzione dello storico quotidiano di Bari, sono intervenuto con il mio patrimonio personale versando, dal 1996 al 2020, più di 30 milioni di euro“.
“Dimostrerò anche che i rimborsi di cui ci accusano sono assolutamente leciti – ha aggiunto l’editore – e riferibili ad un lungo lasso di tempo in cui abbiamo lavorato per la Gazzetta. Infine, le cosiddette operazioni dolose non sono altro che l’omesso pagamento delle imposte, dovuto alla necessità di far fronte, con poche risorse, a tutti i debiti della gestione, compresi quelli per il pagamento degli stipendi dei lavoratori, cosa che abbiamo sempre tenuto in grande considerazione“. “Quando nel 2020 mi sono reso conto che la crisi del settore era diventata per me insostenibile – sottolinea Mario Ciancio Sanfilippo – le mie partecipazioni in Edisud e Mediterranea sono state messe gratuitamente e ufficialmente a disposizione di chiunque volesse rilevarle, purché con intenti e impegni seri che rispettassero la testata ed i suoi lavoratori”.
“Dimostrerò che ho sempre sostenuto la Gazzetta del Mezzogiorno con convinzione, garantendo autonomia e indipendenza a tutti i giornalisti che vi hanno lavorato, mai facendo mancare – conclude Mario Ciancio Sanfilippo – ogni concreto sostegno, almeno fino a quando le mie finanze lo hanno consentito, per far sì che potessero esprimersi in piena libertà“.
Resta da capire, ma spetterà accertarlo alla procura di Lecce che sta indagando in merito, a cosa servì la presenza, ed a che titolo (non si è mai verificata una cosa del genere a memoria d’uomo) del procuratore Rossi e dei due pm Marazia e Di Vittorio nella famosa udienza di convalida dinnanzi al Tribunale Fallimentare di Bari quando il quotidiano barese fu assegnato alla società Ecologica, che lo ha poi conferito all’attuale società Edime srl, e per quale motivo venne da loro depositata una relazione preliminare della Guardia di Finanza di Bari che peraltro evidenziava la presenza fra i soldi versati da Ecologica ai curatori fallimentari (l’ avv. Castellano e il commercialista Zito) di 4 assegni per un totale di un milione di euro tratti sui conti bancari della CISA spa di Massafra, società che fa capo al plurindagato e pluriprocessato Antonio Albanese, che non partecipava all’asta fallimentare, e che non aveva a quel momento alcuna partecipazione societaria con il Gruppo Miccolis di Castellana Grotte (Ba) che controlla la società Ecologica.
Un versamento illegittimo che però spiegava i tanti conflitti d’interesse di quella procedura ed assegnazione fallimentare che la stampa pugliese (compreso il sindacato) finge di non vedere e tace, e cioè dei collegamenti professionali ed economici dei due curatori fallimentari con Antonio Albanese, presidente della CISA. Così come imbarazzante il ruolo del giudice che ha convalidato la procedura ed assegnazione fallimentare della Gazzetta del Mezzogiorno, che è l’ ex marito di Barbara Barattolo (da cui hanno avuto un figlio) il cui fratello Fabrizio Barattolo ha sposato dell’ attuale amministratore delegato della Edime srl. Aurelia Miccolis.
Così come imbarazzante è un’altra circostanza, e cioè che la giornalista Isabella Maselli, che scriveva della vicenda del fallimento della Gazzetta del Mezzogiorno, sull’edizione barese del quotidiano La Repubblica, rivelando dati ed informazioni riservate della curatela fallimentare durante la procedura fallimentare della società Mediterranea spa, società che deteneva la proprietà dell’ immobile di via Scipione l’ Africano e la testata La Gazzetta del Mezzogiorno, che guarda caso recentemente sono stati conferiti ad un’altra società condivisa fra il gruppo Miccolis ed il Gruppo Cisa di Antonio Albanese. Infatti adesso la Maselli guarda caso è passata a scrivere da Repubblica alla Gazzetta.
Solo coincidenze ? Lasciamo ogni legittima risposta e valutazione ai lettori ed agli inquirenti salentini che non hanno mai avuto problemi ad indagare sugli uffici giudiziari di bari. Redazione CdG 1947
Operazione della Gdf per reati contro la pubblica amministrazione, 41 indagati e 10 arresti in Puglia. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Settembre 2023
Ai domiciliari un funzionario in pensione della Regione e due imprenditori Due i filoni di indagine, che vede coinvolti anche rappresentanti delle forze di Polizia.
La Guardia di Finanza ha posto agli arresti domiciliari un funzionario in pensione del settore Riforma fondiaria della Regione Puglia, Antonio Vincenzo Salvatore Fasiello, insieme agli imprenditori Emanuele Piccinno di Gallipoli e Cesario Faiulo di Presicce, tutti con applicazione del braccialetto elettronico. Gli arresti sono tra le misure cautelari personali e reali emesse dal gip Marcello Rizzo del Tribunale di Lecce, su richiesta del pm Alessandro Prontera della Procura della Repubblica di Lecce, che da stamattina le Fiamme Gialle stanno eseguendo nei confronti di 10 persone indagate, a vario titolo, di associazione per delinquere, reati contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica e l’amministrazione della giustizia, accesso abusivo a sistema informatico e di reati edilizi ed ambientali. Tra questi anche due appartenenti all’ Arma dei Carabinieri in servizio nella provincia di Lecce colpiti da due misure interdittive. Altre misure interdittive e divieti di dimora sono stati eseguiti nei confronti di altri imprenditori ed un funzionario dell’Agenzia delle Entrate che avrebbe effettuato alcuni accessi abusivi al sistema informatico per ottenere informazioni privilegiate.
Sono in corso inoltre le notifiche di ulteriori 41 informazioni di garanzia nei confronti di persone indagate, tra cui vi sono anche un carabiniere, un poliziotto e un finanziere in congedo. Le indagini, svolte dai finanzieri della compagnia di Gallipoli hanno portato alla luce due distinti e paralleli filoni di indagine.
Nel primo filone di indagine risultano coinvolti due imprenditori di Gallipoli, Emanuele Piccinno 46 anni, che all’epoca dei fatti era assessore comunale al turismo, e Cesario Faiulo 57 anni, due nomi molto noti con rilevanti interessi economici nella zona di Gallipoli, coinvolti in passato in altre vicende giudiziarie, i quali si sarebbero serviti di tecnici e pubblici funzionari comunali corrotti che favorivano l’approvazione di progetti di espansione nel settore dell’edilizia e del turismo. In quest’ambito sarebbero coinvolti due carabinieri che, in cambio di utilità, avrebbero rivelato agli imprenditori informazioni coperte da segreto d’ufficio apprese anche attraverso l’accesso abusivo ai sistemi informatici.
Il secondo filone d’indagine riguarderebbe invece alcuni casi di corruzione nella gestione del patrimonio pubblico inerenti la dismissione dei beni – ex Ersap (Ente Regionale di Sviluppo Agricolo della Puglia) da parte di Vincenzo Fasiello di 69 anni, di Lecce, un funzionario della Regione Puglia ora in pensione, il quale era in servizio presso il settore riforma fondiaria dell’ Ente Regione, che insieme con altri collaboratori, attraverso l’attivazione di procedure illegittime, avrebbe favorito secondo gli inquirenti l’assegnazione di importanti immobili di proprietà della Regione Puglia della ex riforma fondiaria a prezzi di favore, a persone a lui “amiche” ricevendo soldi o varie regalie alcuni beni immobili senza fare ricorso a procedure di evidenza pubblica
Le Fiamme Gialle hanno effettuato sequestri al Ten in zona Punta della Suina, ad un residence a Gallipoli di cui parte degli appartamenti sono ancora in vendita, un ex tabacchificio nel territorio di Nardò e una un B&B a Porto Cesareo, e stanno sequestrando denaro ritenuto provento della corruzione, beni mobili, immobili ed attività economiche, del valore stimato di oltre 30 milioni di euro. Redazione CdG 1947
Caso Punta Perotti, per l’Italia condanna bis. La Cedu: risarcire i proprietari dei suoli. «Ma non è provato che lì si potesse costruire». MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 21 Agosto 2023
La sentenza con cui nel 2012 la Cedu condannò l’Italia a risarcire con 49 milioni di euro i costruttori di Punta Perotti ha fatto storia riportando nei tribunali italiani la vicenda dell’ecomostro abbattuto nel 2006. A 11 anni di distanza è arrivata una seconda sentenza con cui la Grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato lo Stato per Punta Perotti, stavolta per cifre decisamente più basse ma con un inciso che potrebbe riaprire (anche) le polemiche: «Non è provato», hanno scritto i giudici, che quei suoli illegittimamente confiscati fossero effettivamente edificabili ai tempi della fallita lottizzazione sul lungomare di Bari.
La sentenza (depositata il 13 luglio e non ancora tradotta in italiano) riguarda la Giem, una società della famiglia Andidero proprietaria di alcune particelle che - pur non partecipando alla lottizzazione - subì la confisca delle proprie aree. Sul punto la Cedu si era già espressa nel 2018, stabilendo (come aveva fatto nel 2012 su ricorso dei costruttori Sud Fondi, Mabar e Iema) che la confisca ai danni di Giem era «abnorme» e invitando le parti (cioè lo Stato) a trovare un accordo con le società baresi e con altri tre soggetti incappati negli anni in situazioni simili in altre parti d’Italia (Golfo Aranci e Fiumarella di Pellaro)...
LA VICENDA INFINITA. Bari, il Comune in Cassazione per il debito su Punta Perotti. Palazzo di Città, Regione e Ministero della Cultura sono condannati a pagare in solido 10,8 milioni, i danni subiti dagli imprenditori. FRANCESCO PETRUZZELLI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 5 Maggio 2023
Il primo dei preannunciati ricorsi. Con il Comune che non ci sta a dover pagare la sua parte. Un terzo di quei circa 10,8 milioni che l’ultima sentenza ha stabilito a favore dei costruttori, condannando in solido anche Regione Puglia e Ministero della Cultura. Punta Perotti finisce nuovamente nelle aule di giustizia per l’infinita battaglia dei risarcimenti.
L’amministrazione Decaro ha infatti deciso - la delibera di giunta risale ad alcune settimane fa, ma è passata quasi in sordina - di presentare ricorso in Cassazione per ribaltare la sentenza della Corte d’Appello di Bari. Si tratta del provvedimento con il quale a settembre scorso la Terza Sezione Civile ha in parte accolto il ricorso presentato dalla Società Sudfondi srl in liquidazione degli imprenditori Matarrese, stabilendo per i costruttori un risarcimento pari a circa 8,7 milioni di euro. In sostanza i giudici hanno riconosciuto il danno patrimoniale subìto dai costruttori nella primavera del 2006 per l’abbattimento dei palazzoni sul lungomare, accertando così le responsabilità in capo alle amministrazioni, e quindi a Comune, Regione e Soprintendenza, che agli inizi degli anni ‘90 avevano rilasciato le concessioni edilizie e le regolari autorizzazioni a costruire su quei suoli. Gli 8,7 milioni di euro salgono in realtà a 10,8 milioni comprensivi di rivalutazione monetaria, interessi legali e di ulteriori interessi dovuti. E che vanno equamente suddivisi tra i tre enti condannati. In sostanza al Comune per la querelle con i Matarrese toccherebbe la quota parte di 3,6 milioni di euro, già abbondantemente accantonata nei mesi scorsi. E in via molto cautelativa. A fine 2022, con un apposito debito fuori bilancio, il Consiglio comunale ha infatti detto sì a una sorta di salvadanaio su Punta Perotti: lo stanziamento di 13,7 milioni a totale copertura delle cifre stabilite dai giudici nello scorso autunno.
Oltre al risarcimento riconosciuto alla Sudfondi c’è anche da considerare il verdetto quasi “gemello” con il quale dì lì a poco sempre la Corte di Appello ha poi dato ragione all’altro gruppo di costruttori, la Mabar della famiglia Andidero, stabilendo un indennizzo di circa 1,3 milioni di euro (che sale a 2,5 tra rivalutazioni e interessi). In sostanza due sentenze rispetto alle quali il Comune ha sùbito voluto mettersi al riparo, anche da eventuali inadempienze da parte degli altri enti condannati. Il ragionamento pratico e prudenziale di Palazzo di Città è stato più o meno questo: coprire integralmente ed eventualmente il debito per tutti al fine di evitare ulteriori danni contabili e contenziosi. «Stiamo solo mettendo da parte queste somme in attesa di capire i ricorsi in Cassazione e l’orientamento degli altri enti. È importante avere dei soldi da parte per non incorrere in altre conseguenze» le parole in Aula del sindaco Antonio Decaro per spiegare al Consiglio comunale l’ammontare del maxidebito natalizio (votato il 23 dicembre scorso). E di quella cifra accantonata in realtà sino ad ora sono stati versati solo 325mila euro per le spese di registrazione delle sentenze. E anche in questo caso il Comune ha deciso di anticiparle per tutti gli enti, per poi scoprire che almeno uno, in particolare il Ministero, aveva già pagato la sua quota parte.
Ora arriva il primo ricorso in Cassazione con la richiesta di inibitoria della sentenza di Appello che ha dato ragione ai Matarrese. E a questo punto appare quasi scontato attendersi la stessa decisione (ritornare quindi nelle aule di giustizia) sull’altra sentenza che ha segnato un punto a favore degli Andidero.
Crac Fc Bari, la curatela fallimentare non si costituisce parte civile. Prima udienza del processo sul crac della società sportiva, dichiarata fallita il 14 gennaio 2019, per il quale sono a giudizio l’ex patron Cosmo Antonio Giancaspro e la commercialista Anna Ilaria Giuliani. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 6 Aprile 2023
La curatela fallimentare della Fc Bari 1908 spa non si è costituita parte civile nella prima udienza del processo sul crac della società sportiva, dichiarata fallita il 14 gennaio 2019, per il quale sono a giudizio l’ex patron Cosmo Antonio Giancaspro e la commercialista Anna Ilaria Giuliani.
Giancaspro risponde di bancarotta fraudolenta documentale e falso in bilancio, Giuliani di falso in attestazioni e relazioni, reato previsto dalla legge fallimentare. Secondo la Procura, avrebbero alterato i bilanci della società provocandone il fallimento dopo la mancata iscrizione al campionato di serie B nel 2018. Nell’ambito dello stesso procedimento era imputato anche l’ex amministratore unico e presidente del cda (da dicembre 2015 a giugno 2016) Gianluca Paparesta, che sarà giudicato con rito abbreviato.
Stamattina la Procura ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di ascoltare il curatore fallimentare e un proprio consulente tecnico. La difesa di Giancaspro, affidata all’avvocato Felice Petruzzella, ha invece presentato una corposa lista di testimoni, chiedendo l’audizione del consulente tecnico Marco D’Angelo e l’esame dell’imputato, che respinge l’accusa di bancarotta.
Secondo il pm, Giancaspro avrebbe concorso al fallimento della società omettendo «sistematicamente il pagamento di imposte e ritenute fino a raggiungere un passivo di oltre quattro milioni e mezzo di euro», e non avrebbe riportato, nel bilancio 2016, «importi per complessivi 871.008,68 euro». Quanto a Giuliani, avrebbe esposto «informazioni false» omettendo anche "informazioni rilevanti» nel concordato preventivo. Si tornerà in aula l’11 febbraio 2024 per ascoltare il curatore fallimentare e il consulente della Procura.
Fallimento Bari Calcio: si sgonfiano le accuse della Procura, chiesto processo solo per 4 persone. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 3 Marzo 2023
E' stato chiesto dalla procura il non luogo a procedere per "non aver commesso il fatto" per l’imprenditore Domenico De Bartolomeo ex presidente di Confindustria Puglia, membro nel CdA del Bari calcio dal 2008 al 2011; e per l’ex parlamentare Salvatore Matarrese, 60 anni, che è stato consigliere dal 2002 al 2011 della società, che avevano hanno chiesto il processo con rito abbreviato, e la loro posizione è stata stralciata.
La procura di Bari nel corso dell’udienza preliminare che si è svolta oggi dinanzi al Gup Luigia Lambriola del Tribunale di Bari , ha insistito sostenendo le proprie accuse seppur riducendo le singole contestazioni per ciascun imputato chiedendo il processo per bancarotta fraudolenta soltanto per l’ex parlamentare ed ex presidente Figc Antonio Matarrese, vicepresidente vicario del CdA del Bari Calcio dal 2010 al 2011; per Salvatore Matarrese 66anni consigliere di amministrazione della società sportiva dal 2002 al 2011; e per gli ex amministratori unici Claudio Garzelli e Francesco Vinella, imputati per il fallimento dell’Associazione Sportiva Bari spa, avvenuto nel 2014.
E’ stato chiesto invece dalla procura il non luogo a procedere per “non aver commesso il fatto” per l’imprenditore Domenico De Bartolomeo ex presidente di Confindustria Puglia, membro nel CdA del Bari calcio dal 2008 al 2011 ed attuale vicepresidente nazionale dell’ Ance; e per l’ex parlamentare Salvatore Matarrese, 60 anni, che è stato consigliere dal 2002 al 2011 della società, che avevano hanno chiesto il processo con rito abbreviato, e la loro posizione è stata stralciata.
Le accuse erano relative alla gestione della società sportiva tra il 2009 e il 2013 allorquando, secondo le indagini svolte dalla Guardia di Finanza inizialmente coordinate dalla pm Bruna Manganelli, sarebbero stati accumulati debiti tributari per mancati versamenti al fisco per quasi 55 milioni di euro e, malgrado ciò, sarebbero state anche compiute operazioni che hanno azzerato il patrimonio della società così aggravando la situazione del dissesto societario sconfinato nel fallimento.
Il collegio difensivo composto dagli avvocati Domenico Di Terlizzi, Michele Laforgia, Angelo Loizzi, Giuseppe Mariani e Giuseppe Modesti tornerà in aula il prossimo 16 giugno ed il successivo 7 luglio per la discussione dei difensori e quindi la decisione del giudice dell’udienza preliminare. Redazione CdG 1947
Crac Bari Calcio: ridimensionate le accuse, chiesto giudizio per 4 persone. Pm chiede assoluzione per De Bartolomeo e Salvatore Matarrese. REDAZIONE ONLINE su Il Corriere del Giorno il 3 Marzo 2023
La pm Silvia Curione ha insistito nella richiesta di rinvio a giudizio, pur ridimensionando le accuse, per bancarotta fraudolenta per quattro dei sei, tra ex componenti del cda e amministratori della società, imputati per il fallimento dell’Associazione Sportiva Bari spa, avvenuto nel 2014.
Nel corso dell’udienza preliminare che si è svolta oggi dinanzi al gup del Tribunale di Bari Luigia Lambriola, la pm ha insistito sulle accuse (pur riducendo per ciascun imputato le singole contestazioni) chiedendo il giudizio per l’ex presidente Figc ed ex parlamentare Antonio Matarrese, vicepresidente vicario del cda del Bari dal 2010 al 2011; per il 66enne Salvatore Matarrese consigliere della società sportiva dal 2002 al 2011; e per gli ex amministratori unici Claudio Garzelli e Francesco Vinella.
Chiesto invece il non luogo a procedere per non aver commesso il fatto per l’imprenditore ed ex presidente di Confindustria Puglia, Domenico De Bartolomeo, nel cda del Bari calcio dal 2008 al 2011; e per l’ex parlamentare Salvatore Matarrese, 60 anni, che è stato consigliere dal 2002 al 2011 della società. Questi ultimi due hanno chiesto si essere processati con rito abbreviato e la loro posizione è stata stralciata.
Le accuse riguardano la gestione della società sportiva tra il 2009 e il 2013 quando, secondo le indagini condotte dalla guardia di finanza (e coordinate inizialmente dalla pm Bruna Manganelli), sarebbero stati accumulati debiti tributari per mancati versamenti al fisco per quasi 55 milioni di euro e, malgrado ciò, sarebbero state anche compiute operazioni che hanno depauperato il patrimonio della società aggravando la situazione di dissesto fino al fallimento.
Si tornerà in aula il 16 giugno e 7 luglio prossimi per la discussione dei difensori (Michele Laforgia, Giuseppe Modesti, Domenico Di Terlizzi, Angelo Loizzi e Giuseppe Mariani) e la decisione del giudice dell’udienza preliminare.
Tribunale Bari dichiara il fallimento di Finba, «cassaforte» dei Matarrese. La società: «Ricorreremo in appello» Rigettata l'istanza di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti cui si era opposta anche la Procura di Bari. GIOVANNI LONGO su La Gazzetta del Mezzogiorno l’1 Marzo 2023
La quarta sezione civile del Tribunale di Bari ha dichiarato il fallimento della Finba Spa, la "cassaforte" della famiglia Matarrese. Il collegio (presidente Raffaella Simone, giudice Assunta Napoliello, relatrice Carlotta Soria) con decreto ha rigettato l'istanza di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti cui si era opposta anche la Procura di Bari con i pm Desirèe Digeronimo, Giuseppe Dentamaro e Lanfranco Marazia.
Non è passata al vaglio dei giudici fallimentari l'architettura finanziaria piuttosto complessa studiata per evitare il crac e che prevedeva la vendita di alcuni beni immobilii con lo spostamento di debiti sulla controllata Imco. Dunque, con sentenza, il collegio ha poi accertato lo stato di insolvenza della società finanziaria che ha debiti per quasi 16 milioni di euro, dichiarandone il fallimento.
LA SOCIETA': «RICORREREMO IN APPELLO»
«La Finba spa, una delle holding della famiglia Matarrese, prendendo atto con rammarico del provvedimento emesso dal Tribunale di Bari, presenterà reclamo innanzi alla Corte di Appello, ritenendo che sussistano tutti gli elementi per l’accoglimento del proposto accordo di ristrutturazione e ritenendo che il suo mancato accoglimento possa solo produrre effetti negativi nei confronti dei creditori della società». E’ quanto si legge in una nota della Finba spa in riferimento alla pronuncia del tribunale fallimentare che ha respinto l’istanza di omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito e ha dichiarato il fallimento della Finba spa.
Anche gli azionisti di riferimento delle holding della famiglia Matarrese «prendono atto con rammarico» dello stesso provvedimento «e si augurano che il preannunciato reclamo possa trovare accoglimento». «Allo stesso tempo» gli azionisti "garantiscono l’impegno, tramite le altre holding, a supporto della storica attività di costruzioni pubbliche e private che, tramite la Matarrese spa, prosegue con regolarità e senza alcun pregiudizio dalle odierne vicende, a tutela del futuro dell’impresa, delle famiglie dei suoi collaboratori diretti e dell’indotto, oltre che dei suoi creditori».
Bari, Matarrese e i debiti: «Siamo sotto attacco, ma la nostra storia non potrà mai fallire». Antonio Matarrese: salveremo le nostre aziende cercando un socio che possa sostenerci. Gli errori? Tanti a partire dal calcio. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Marzo 2023
«La prossima settimana partirò per il Ruanda. C’è il congresso della Fifa di cui sono membro d’onore. Rieleggeranno Infantino, che vent’anni fa era un mio collaboratore, e per me è una grande soddisfazione. Ma salirò in aereo con il cuore che mi scoppia, perché non posso dimenticare che qui a Bari lascio una famiglia e una azienda in crisi». Antonio Matarrese è stato ai vertici del calcio mondiale, ha guidato Lega Calcio (due volte: mai accaduto in Italia) e Figc, è stato vicepresidente della Fifa e della Uefa, deputato per cinque legislature dal 1976 al 1994. A 82 anni non ha perso né il gusto per la battuta né quello per le cravatte. Ma il fallimento della Finba, la holding di famiglia, e l’indagine per bancarotta aperta dalla Procura di Bari lo hanno profondamente scosso. «Con mio padre e i miei fratelli - dice - abbiamo fatto la storia di Bari. Me lo faccia dire: uno dei vanti di questa terra è la famiglia Matarrese. Io non sono un uomo di impresa, ho dedicato la vita al calcio e anche per questo mi sento ancora un ambasciatore di Bari nel mondo. Capisco che arriva per tutti il giorno di dire basta. Ma nessuno può accusare la mia famiglia di aver tolto soldi all’azienda, perché è vero esattamente il contrario. Abbiamo fatto di tutto e faremo di tutto per salvarla, questa azienda. Non scapperemo. Abbiamo una responsabilità nei confronti di tutti, a partire dalla memoria di nostro padre che da umile muratore è diventato un cavaliere del lavoro».
Presidente Matarrese, lei dice “non sono un uomo di impresa”. Però ha assunto anche lei ruoli operativi nelle società di famiglia, ruoli che le costano oggi un’indagine per bancarotta. Può spiegare cosa sta accadendo?
«È cominciato tutto dalla scomparsa di Vincenzo, nel 2016, con una forte incomprensione tra mio fratello Michele e mio nipote Beppe. E così Michele, con i figli Salvatore e Marco, decise di uscire dal gruppo. A quel punto mio fratello Amato con i miei nipoti Beppe, Salvatore e Michelino chiesero a me di mediare. Accettai di fare per sei mesi il presidente della Salvatore Matarrese, così da permettere a loro di ritrovare sintonia. Poi io sono uscito e dopo di me sono subentrati Amato come presidente e Beppe come amministratore delegato. Tra i due non c’è stato feeling anche per via di una diversa cultura aziendale. E quindi la guida dell’azienda è passata a Salvatore di Michele, che ha un carattere meno irruento rispetto al cugino, più collaborativo con la famiglia. Beppe quel punto si è ritrovato in minoranza. Il mio caro amico Michele Giura fece un piano per tenerci tutti insieme ma Beppe, non ho mai capito perché, si è opposto e l’accordo è saltato. Rotto questo equilibrio, si è aperta una crepa»...
L’inaugurazione del Petruzzelli, il primo atto di Tangentopoli. Ad essersi aggiudicati, alcuni anni prima, il suolo comunale da destinare a nuovo Politeama, erano stati proprio i fratelli Antonio e Onofrio Petruzzelli. ANNABELLA DE ROBERTIS su La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Febbraio 2023.
È il 15 febbraio 1903. Centoventi anni fa un trafiletto in terza pagina riportava una notizia dalla portata epocale per la storia della città di Bari e di tutto il territorio pugliese: «La grande inaugurazione del Teatro Petruzzelli». Il critico del «Corriere delle Puglie» così racconta quella storica serata: «Quando il pubblico, il gran pubblico, il pubblico aristocratico e democratico, borghese e lavoratore, che affollava la immensa sala è rimasto colpito dalle onde di luce, dal fulgore dell’oro, dai colori smaglianti, dai quadri rivelatori di tutto un superiore criterio di arte; quando quel pubblico ha visto schiuso innanzi a sé il meraviglioso ambiente, in cui il livello teatrale cittadino era innalzato alle vette di un teatro, che è uno dei più belli d’Italia, ha avuto come una esplosione di questa meraviglia, di riconoscenza verso chi ha dato un’opera monumentale a Bari, di entusiasmo delirante per l’opera creata e portata a fine, dall’ingegnere Messeni con una costanza infaticabile, dai fratelli Petruzzelli con una persistenza che si spiega soltanto col sentimento di uomini che si prefiggono una meta e tutto sgombrano per raggiungerla. E costoro l’hanno raggiunta anche oltre l’aspettativa, l’hanno raggiunta nell’ammirazione anche dei diffidenti e degli increduli; l’han raggiunta dando a Bari un teatro Petruzzelli, che mette Bari tra le città che possono inorgoglire di avere un grande, un bello, uno splendido teatro».
Ad essersi aggiudicati, alcuni anni prima, il suolo comunale da destinare a nuovo Politeama, erano stati proprio i fratelli Antonio e Onofrio Petruzzelli, commercianti baresi di lenzuola, asciugamani e fazzoletti, i quali avevano affidato il progetto al cognato, l’ing. Angelo Cicciomessere, che qualche tempo dopo avrebbe cambiato il suo cognome in Messeni. «Non è comune il caso di privati, i quali soltanto dal lavoro han tratto e traggono la loro fortuna, e che impiegano più di un milione per un concetto artistico, per adorazione dell’arte, per la incarnazione del bello in una sublime espressione estetica», commenta il giornalista.
Già autore di uno dei primi piani regolatori della città, Messeni, prendendo spunto dai più grandi teatri europei, progetta una sala grandiosa da circa 2000 posti che comprende platea, palchi, galleria e loggione, realizzando così uno spazio continuo dall’acustica perfetta. A Raffaele Armenise, un pittore barese della scuola napoletana di Domenico Morelli, viene affidata l’esecuzione del telone della scenografia che riproduce la liberazione di Bari dai Saraceni, avvenuta per opera dei Veneziani nel 1002, la cui riproduzione fotografica si può ammirare oggi sul pannello che ricopre il cantiere di palazzo Starita su via Venezia.
Armenise affresca magistralmente anche la volta, una superficie di oltre 500 metri. Quella sera la rappresentazione de Gli Ugonotti di Giacomo Meyerbeer, interpretata dal tenore Carlo Cartica e dai soprani Carmen Bonaplata e Tina De Spada, inaugura la prima stagione del Petruzzelli. «La sala di una splendidezza d’incanto. Innumerevoli le signore di eleganza squisita. Non un palco, non una poltrona, non una sedia, non un posto di loggione vuoto».
Di tutt’altro tenore, invece, la notizia che compare il 19 febbraio 1992 a pagina 8 de «La Gazzetta del Mezzogiorno»: «L’ingegner Mario Chiesa, 48 anni, socialista, da sei presidente del Pio albergo Trivulzio, noto ai milanesi come la “Baggina” e del non meno noto istituto per orfanelli “Martinitt”, arrestato lunedì sera dai carabinieri nel suo ufficio, aveva intascato una tangente di 10 milioni. “Lo abbiamo preso con le mani nella marmellata”, ha dichiarato ieri il procuratore della Repubblica Saverio Borrelli nel corso di un incontro coi giornalisti». Trentuno anni fa si compiva il primo atto dell’inchiesta che passerà alla storia con il nome di «Mani pulite»: quello che in quei primi giorni viene raccontato come un isolato caso di corruzione si trasforma ben presto in una valanga che travolgerà non solo il Partito socialista, ma l’intero sistema partitico italiano.
Il mondo accademico in lutto per la morte del professor Lanfranco Massari. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 2 Agosto 2023
All’età di 85 anni si è morto il professor Lanfranco Massari che da cinque anni era Professore emerito, riconoscimento che aveva conquistato grazie ai suoi numerosi meriti scientifici e per la sua longeva attività didattica e accademica per la quale aveva dedicato una vita intera. Il riconoscimento gli era stato conferito dall’allora ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, a conclusione di una lunga carriera partita nel 1963 quando si laureò con una tesi in Ragioneria con il professor Emilio Cassandro .
Lanfranco Massari stimato ed apprezzato dottore commercialista, aveva ricoperto le cariche di professore ordinario di Economia Aziendale, consulente tecnico del Giudice e Curatore fallimentare presso il Tribunale di Bari e Revisore dei conti.
Le sue migliori energie sono state impegnate nella didattica, attraverso la formazione dj generazioni di giovani così contribuendo allo sviluppo della stessa istituzione universitaria. Un’ impegno continuo, speso con lo stesso entusiasmo sia da giovane assistente universitario che quando era arrivato a a ricoprire la carica per 10 anni di Direttore del’ Istituto di Ragioneria e di economia Aziendale, nell’Università “Aldo Moro” di Bari, della quale è stato anche consigliere di amministrazione ponendo alla fine degli anni Ottanta le basi per la costituita Facoltà di Scienze Economico- Bancarie Assicurative e Previdenziali dell’ Università di Lecce, presiedendone il Comitato Tecnico Ordinatore, attività per la quale gli venne conferito il “Sigillo d’Oro”, dall’ Università leccese . Lo stesso impegno accademico lo ha visto protagonista quindici anni dopo della creazione della II Facoltà di Economia con sede a Taranto.
Molteplici sono stati i suoi lavori come componente dell’AIEA (l’ Accademia Italiana di Economia Aziendale), della quale è diventato autorevole e prezioso punto di riferimento nell’ambiente universitario ma anche una importante risorsa per enti e istituzioni pubbliche e private che si sono avvalse della sua competenza e consulenza.
Tra i numerosi incarichi ricoperti il professor Massari era stato presidente negli anni ’80 dell’ ATI, Azienda Tabacchi Italiani del Monopolio di Stato, e consulente dell’IMI sin dal 1965 per la valutazione degli investimenti industriali per il Mezzogiorno . Vicepresidente del Comitato per lo sviluppo della imprenditoria giovanile, nomina questa ricevuta dal Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, ha contribuito allo sviluppo di oltre cinquemila progetti industriali valutati .
Tra i vari riconoscimenti ricevuti l’encomio del Ministro delle Finanze nel 1991, per i risultati raggiunti come componente della Commissione per privatizzare i Monopoli di Stato e nel 2001 il Premio Nazionale Valle dei Trulli per la ricerca economica.
Lascia i suoi amati tre figli, Antonella, Stefania e Fabrizio e l’adorato nipote Alessandro ai quali il nostro giornale si unisce nel dolore per la scomparsa dell’ indimenticato Lanfranco . I funerali si terranno domani, giovedì 3 agosto, nella chiesa di San Ferdinando a Bari. Redazione CdG 1947
LECCE , MORTO , GIOVANNI INVITTO. Bari, si è spento a 91 anni il professor Giacomo Marvulli. Lo storico docente di latino e greco dei licei Socrate e Flacco ricordato con affetto e stima non solo dai suoi ex studenti ma da chi lo aveva conosciuto. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 3 Agosto 2023
All'età di 91 anni si è spento il professor Giacomo Marvulli, indimenticato e amato docente di latino e greco dei licei Socrate e Orazio Flacco del capoluogo pugliese.
Innumerevoli i messaggi di cordoglio che affollano il suo profilo Facebook da quando è giunta notizia della sua morte: a ricordarlo i parenti, gli amici, generazioni intere di ex studenti, di chi aveva avuto il piacere e l'onore di accedere alla sua innata capacità di trasmettere il sapere e al tempo stesso la conoscenza profonda per la lingua latina e il greco antico, dei quali era studioso appassionato dall'indiscusso valore.
«Il funerale di Giacomo Marvulli sarà celebrato alle 15 di venerdì 4 agosto alla Basilica di Santa Fara a Bari» recita un laconico, ultimo post sul suo profilo.
La Regia Università di Bari. E' il 16 gennaio 1925. Il giorno prima il principe di Udine, Ferdinando di Savoia, il ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele e il sottosegretario di Stato alle Ferrovie Sergio Panunzio, hanno inaugurato la Regia Università di Bari. Annabella de Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 21 Gennaio 2023
È il 16 gennaio 1925. «Bari ieri realizzava il sogno di un’intera generazione poiché da oltre quarant’anni gli animi maggiori e migliori di questa terra avevano lottato per la conquista che oggi si compie»: così inizia l’editoriale in prima pagina su «La Gazzetta di Puglia» di 98 anni fa. Il giorno prima il principe di Udine, Ferdinando di Savoia, il ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele e il sottosegretario di Stato alle Ferrovie Sergio Panunzio, hanno inaugurato la Regia Università di Bari. Da decenni si discuteva dell’istituzione, dopo quella di Napoli, di una seconda Università del Mezzogiorno: finalmente prende ufficialmente forma quello che intende essere un polo culturale con una prospettiva di ordine internazionale, un centro di attrazione per i popoli del basso Adriatico.
La mutata situazione geopolitica, all’indomani del Primo conflitto mondiale, aveva reso infatti l’Albania e tutta la penisola balcanica terre di potenziale influenza politico-culturale italiana. Con questo preciso scopo, nel settembre 1923, è stata istituita l’Università di Bari, ma il primo anno accademico della sua unica facoltà, Medicina e chirurgia, prende avvio solo il 15 gennaio 1925. La cerimonia si è svolta, si legge sul quotidiano, nel Teatro Petruzzelli: il discorso ufficiale è stato tenuto dal Rettore Magnifico Nicola Pende, che diverrà poi tristemente noto per la sua adesione convinta alla politica razzista del regime: la fondazione dell’Università, secondo il patologo di Noicattaro, riscatta una terra «condannata finora a vita politica vegetativa e considerata dal centro e dal nord piuttosto come ottima terra di rifornimento di grano, di vino e di soldati». Un anno dopo, il Consiglio di Amministrazione decreterà di intitolare l’Università al capo del Governo, Benito Mussolini. Così si conclude l’editoriale in prima pagina del direttore Gorjux: «Bari ha detto così la sua parola, non limitandola più come sino a ieri ad una attività circoscritta, ma universalizzandola in una concreta opera di pensiero e di azione. [...] sono le vie dell’Oriente che si aprono dinanzi, sono le vie della Puglia che si disnodano, sono le campagne che si ristorano, che si offrono al bacio del sole. L’Ateneo barese sarà luce, amore, intelligenza, virtù, e l’altezza della consacrazione e l’eco altissima che essa ha sollevato, sono per Bari impegni solenni ai quali essa certamente non verrà meno».
Nel decennio successivo nasceranno altre tre facoltà: Giurisprudenza, Farmacia e Scienze economiche e commerciali, quest’ultima nata dalla ben più antica Regia Scuola superiore di commercio. A partire dal 1944 l’Università verrà potenziata con Lettere e Filosofia e molti altri indirizzi.
Bari, ospedale in Fiera, le carte choc: «Lavori senza progetto approvato». La relazione dei collaudatori: Lerario non aveva il potere di spendere 23 milioni. Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Febbraio 2023
I lavori per l’ospedale Covid della Fiera del Levante furono avviati prima ancora che ci fosse un progetto esecutivo, approvato in realtà solo una settimana prima della chiusura dei cantieri. E l’appalto, che avrebbe dovuto essere aggiudicato sulla base di offerte a prezzi unitari (cioè ribassi singoli per ogni voce di lavorazione), fu fatto senza computo metrico né lista dei prezzi, ma con un unico ribasso percentuale. Sono solo le più clamorose «criticità e anomalie» rilevante nella procedura da parte della nuova commissione, nominata dalla Regione, che ha dichiarato l’opera non collaudabile.
La struttura realizzata dalla Protezione civile nei padiglioni della Fiera del Levante ha lavorato da marzo 2021 allo scorso maggio, e non è ancora stata smontata, ed è al centro dell’indagine della Procura di Bari sul sistema-Lerario: l’ex dirigente, arrestato in flagranza per tangenti all’antivigilia di Natale 2022, è accusato di corruzione, e insieme all’ex responsabile del procedimento e direttore lavori, Antonio Mercurio, e al procuratore dell’Ati aggiudicataria, Domenico Barozzi, risponde anche di falso in atto pubblico e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.
La relazione che alla vigilia di Natale è stata firmata da tre funzionari della Regione (Roberto Polieri, Giovanna Netti e Leonardo Panettieri) dice molte cose. Ma la più grave, oltre alla mancanza del registro di contabilità dei lavori e al pasticcio dell’appalto, è che la procedura seguita da Lerario e Mercurio è in contrasto con quanto previsto dal codice degli appalti e dal regolamento. Ed è ancora più grave che in Regione nessuno se ne fosse accorto, e che a nessuno fosse venuto nemmeno un minimo dubbio sui milioni di euro spesi senza rispettare le regole...
Aggressione a Santeramo: assicuratore morto dopo una colluttazione. Fermato presunto aggressore per omicidio preterintenzionale. Sul posto carabinieri e ambulanza, ma per il 71enne Luigi Labarile non c'era più niente da fare. ANNA LARATO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 Settembre 2023
E' stato sottoposto a fermo, il 49enne accusato di aver causato la morte del 71enne Lugi Labarile al culmine di un litigio. L'uomo ha confessato l'aggressione durante la quale la vittima è caduta battendo la testa. Risponde di omicidio preterintenzionale.
E' accaduto questa mattina a Santeramo in Colle, nel Barese. La vittima, Luigi Labarile, 71 anni, è un ex consigliere comunale della cittadina murgiana oltre che direttore di banca. Sul delitto indagano i carabinieri, coordinati dalla Procura di Bari. L’aggressione sarebbe avvenuta nella sede della sua agenzia assicurativa in via Tripoli, al culmine di un litigio.
A seguito di un diverbio verosimilmente riconducibile a futili motivi, come spiegano gli investigatori - la vittima sarebbe stata aggredita dopo aver negato al 49enne l’accesso ai servizi igienici della sua agenzia - il titolare 71enne della agenzia ha perso la vita dopo aver battuto il capo per una caduta.
Il 49enne, presunto autore dell’aggressione, era stato bloccato dai militari. La sua posizione al vaglio degli inquirenti. Sul posto, oltre al medico legale, è presente la Sezione Investigazioni Scientifiche del Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari per eseguire tutte le attività di sopralluogo. Le indagini per ricostruire la dinamica esatta dell’evento sono in corso.
«Sono sotto shock. Ho sentito Luigi questa mattina intorno alle otto tramite whatsapp e mai avrei immaginato cosa sarebbe successo di lì a qualche ora». Lo dichiara il sindaco di Santeramo in Colle, Vincenzo Casone, dopo la morte di Luigi Labarile di 71 anni, deceduto dopo una violenta colluttazione avvenuta nella sede della sua agenzia assicurativa. Il presunto aggressore, un 49enne, è stato individuato dai carabinieri. Casone esprime «vicinanza alla famiglia della vittima».
La Procura di Bari ha disposto l'autopsia sul corpo di Luigi Labarile, l’uomo di 71 anni morto dopo una colluttazione avvenuta nella agenzia assicurativa di Santeramo in Colle (Bari) che gestiva. Il presunto autore dell’aggressione è stato arrestato: si tratta di un uomo di 49 anni del posto che risponde di omicidio preterintenzionale.
Secondo quanto emerso finora, il 49enne avrebbe chiesto al 71enne di poter usare i servizi igienici e al suo no avrebbe reagito con violenza, colpendolo con qualche schiaffo e spintone. L’anziano avrebbe prima battuto la testa contro lo spigolo di una porta per poi finire sul pavimento. Per lui sono stati inutili i soccorsi prestati dal 118: è morto sul colpo. A effettuare l’esame autoptico sarà il professor Davide Ferorelli dell’Istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari. A quanto si apprende, la vittima avrebbe lesioni sul volto e sulle mani oltre alla ferita sulla nuca. L’esame autoptico dovrà stabilire se il decesso è stato provocato dalla caduta o da altra causa.
Forse dovremmo tornare a tirar tardi in via Sparano. Il corso di Bari ha perso carattere e smarrito la sua vera natura. Michele Mirabella La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Gennaio 2023.
Andavamo su e giù per Via Sparàno. Vasche o struscio: instancabili passeggiate. L’arrivo della zona pedonale promosse l’abitudine paesana. Il rito s’accentuava di sabato e di domenica mattina. Dopo gli anni ‘90 e, poi, via via fino ad oggi, questa main street ha perso la peculiarità di «corso». I negozi sono rimasti, imponenti, ma sembrano inerti. La trasformazione ad altra funzione commerciale del magnifico palazzo di Mincuzzi ha dato un colpo severo alla provincialità affascinante di Via Sparàno che culminava nell’incrocio con l’afrore marinaro all’angolo con il Corso Vittorio Emanuele: un via vai di una vita cittadina da volto umano che fu, prima di diventare la confusa strada qualsiasi di oggi, affastellata di corsie e parcheggi. Dall’altro capo, Via Sparàno trovava la benedizione di un clima più agricolo nella piazza, oggi, detta Aldo Moro. Era questo luogo, con la sua Fontana e il sontuoso prospetto della facciata della Stazione ferroviaria, dislocamento utilissimo agli ozi di tarda sera, quando s’andava ad aspettare l’uscita notturna della Gazzetta e del Paese Sera la cui lettura ci faceva sentire provinciali in senso buono, nel sentirsi, cioè, appartenenti ad una comunità culturale nazionale.
Le mie incursioni baresi e la mia curiosità annidata nel cuore mi consentono di verificare meglio i cambiamenti grazie agli sporadici sopralluoghi, ma sempre attenti e appassionati. Con qualche amarezza ho già avuto modo di costatare che siamo spaesati. Spaesati vuol dire qualcosa di più di disorientati: è uno smarrimento, una sorta di ansia dovuta all’identità periclitante, alla confusione culturale in senso antropologico e alla caduta di specificità.
L’omologazione del corso principale alle strade di tutta Italia e la sua perdita di carattere è solo l’aspetto più evidente del pallore che fa smarrire la natura precipua di Bari. Posso azzardare l’ipotesi che lo struscio, la vasca, la passeggiata si sono ristrette nel salotto televisivo dove ci troviamo in compagnia di milioni di sconosciuti ai quali somigliamo nei gusti, nei consumi culturali, negli stili di vita. Ma, per fortuna, da qualche tempo la televisione ha voluto e scelto Bari come set cinematografico: In questo, mi dicono, fascinoso racconto di immagini, si può ritrovare l’icona della nostra città, quella di cui abbiamo nostalgia quando la lasciamo.
Da ragazzi abbiamo consumato iniziazioni e prime esperienze passeggiando in Via Sparàno e conversando. La pratica assidua e irrinunciabile del confronto aperto, della spicciola dialettica della pigra, ma appassionata conversazione irrobustivano la famigliare solennità dell’esperienza e del confronto. L’assiduità della bell’abitudine ci spingeva alla coscienza della cittadinanza. L’agorà che Via Sparano era diventata sin dall’ottocento, ci serviva a misurare la vita quotidiana, ma anche massimi sistemi come la politica e la passione che, questa, imponeva.
Adesso abbiamo fretta e siamo spaesati. I passeggiatori sono diventati passanti. I cittadini ingombrano i salotti catodici e il viavai inconsulto dei nuovi media droganti e sembrano non riconoscersi né per orientamento né per sensibilità culturali, ma solo in grazie del parlottio di telefonate e messaggi via internet. E la missione alta della civiltà della politica declina nel marasma mediatico di giornali, televisione e informatica. A poco serve invocare la fresca abitudine della “movida” della città vecchia e nuova, animata da futilità consumistica e ozio appannato.
Ho visto, nel tempo andato, aperte sfide e animatissime conversazioni generare maggioranze e battaglie nel tempo lungo dell’ozio pensoso. Il declino del foro fu segnalato del tacere dei comizi: Bari era in, questo, appassionata e i Baresi inclinavano volentieri a confrontarsi con quell’oratoria, a volte spontanea e rudimentale, ma sempre interessante perché era testimonianza della passione dei tempi e, spesso, divertente. Capitava che sullo stesso palco s’avvicendassero oratori di diverso, quando non opposto, orientamento e capitava, il più delle volte, che il pubblico li ascoltasse tutti senza, in questo, testimoniare confusione di idee. In un palinsesto accurato, scandito dagli inni e dalle musiche di scena s’inscenava la sequela dei comizianti. All’ora di cena e, talora, più tardi, quella tribuna si quietava e i più stangachiazz indugiavano per l’ultimo commento.
Era la politica dal volto strapaesano, d’accordo, ma ci si conosceva e la polemica, anche se, spesso, pregiudiziale, conservava aspetti famigliari. Considerando l’instancabile lite e la, francamente, noiosa rissa dei numerosi schieramenti, non più mossi da ideologia, argomentanti uno straccio di bipolarismo compiuto, si va costatando che la freddezza dei cittadini verso la politica, anche nel suo comparto locale, è la conseguenza della mancanza del confronto, del dialogo, della lite benefica. Da una parte gli addetti ai lavori furoreggiano sui giornali e nei salotti buoni, dall’altra gli elettori sono spaesati. Forse dovremmo ritornare a tirar tardi in Via Sparano A proposito chi era questo Sparàno da Bari? Da studente barese, mi sono documentai. Mo ho finito lo spazio. Lo leggerete in un prossimo articolo.
La Banca Popolare di Bari. La mia banca è differente…
Falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza: chiuse le indagini sulla Pop Bari. Ancora indagati Marco e Gianluca Jacobini. Il provvedimento notificato ai vertici dell'istituto di credito commissariato nel 2019 dalla Banca d'Italia. REDAZIONE ONLINE La Gazzetta del Mezzogiorno l’8 Marzo 2023
Con le accuse di falso in bilancio per gli anni 2016, 2017 e 2018, ostacolo alla vigilanza della Consob e di Bankitalia, estorsione e lesioni personali ai danni di un manager e aggiotaggio bancario ai danni degli azionisti della banca, la Procura di Bari ha emesso gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari nei confronti degli ex vertici della Banca popolare di Bari (BpB), commissariata dalla Banca d’Italia nel dicembre 2019.
L’atto di chiusura delle indagini, che solitamente precede la richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato a Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio, rispettivamente ex presidente ed ex vice direttore generale della Bpb, a Vincenzo De Bustis Figarola, ex dg ed ex amministratore delegato della banca, Giorgio Papa, ex Ad, Roberto Pirola, ex presidente del collegio sindacale, e agli ex dirigenti Elia Circelli, Giuseppe Marella, Gregorio Monachino, Nicola Loperfido e Benedetto Maggi.
L’ammontare delle false comunicazioni sociali è stimato in diverse centinaia di milioni di euro. Le accuse sono contenute in 23 capi d’imputazione nei quali gli indagati, a vario titolo, sono accusati, sia attraverso i falsi in bilancio sia nelle comunicazioni alla clientela, di aver minato la stabilità patrimoniale e la capacità di essere solvibile della banca, di aver alterato la percezione della solidità bancaria, quindi la fiducia dei risparmiatori che avevano affidato alla Bpb i risparmi in gestione fiduciaria. I reati contestati fanno riferimento al periodo compreso tra il 2013 e il 2019.
Sono 23 i capi d’imputazione contestati agli ex vertici della Banca popolare di Bari (Bpb) ai quali oggi la Procura barese ha fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Ai 10 indagati vengono contestati, a vario titolo, 15 episodi di falso in bilancio, uno di aggiotaggio, uno di estorsione, maltrattamenti e lesioni, e i restanti sei per ostacolo alla vigilanza della Consob e di Bankitalia.
Le contestazioni di falso in bilancio fanno riferimento, tra l'altro, all’omessa svalutazione degli avviamenti per le società Tercas-Cassa di risparmio della Provincia di Teramo e Banca Caripe spa per 32,4 milioni nel 2016 e per 82,5 milioni nel 2017 "al fine di occultare le perdite"; l’omesso accantonamento in bilancio di 42 milioni, somma da versare ai creditori, al fine di attestare nel bilancio 2016 un utile ritenuto inesistente; nel bilancio del 2017 sarebbe stata indicata un’apparente liquidità di 500 milioni derivante da un’operazione di cartolarizzazione e dall’entrata nel fondo della finanziaria 'Chariot funding llc', dalla quale Bpb uscì subito dopo l'approvazione del bilancio, il 5 gennaio 2018, «così da far apparire in bilancio una liquidità inesistente». Nei bilanci del 2016, 2017 e 2018 gli indagati sono accusati di non aver contabilizzato alla voce 'Rettifiche per rischio di creditò rispettivamente le somme di 490 milioni, 506 milioni e di 542 milioni.
Altre contestazioni di falso in bilancio riguardano la registrazione nei consuntivi di imposte anticipate di perdite fiscali «al fine di occultare le perdite», la registrazione nel consuntivo della partecipazione al Fondo Atlante per 24 milioni, in realtà il valore reale era di gran lunga svalutato, ma - secondo l’accusa - fu utilizzato dalla banca per far apparire in bilancio un utile che in realtà era inesistente.
PM: GLI UTILI ERANO FINTI
Per quanto riguarda l’ostacolo alla vigilanza della Consob alcuni degli indagati sono accusati di aver omesso di riportare informazioni complete sulla determinazione del prezzo delle azioni della banca, e aver omesso di comunicare una transazione contrattuale con il Gruppo assicurativo Aviva. L’ostacolo alla vigilanza di Bankitalia riguarda le controdeduzioni degli allora vertici della Bpb ai verbali ispettivi del 2013 e del 2017 dell’istituto di via Nazionale su una serie di comportamenti ritenuti illeciti relativi alla situazione gestionale ed aziendale della Banca.
I due Jacobini e De Bustis Figarola sono anche accusati di estorsione, maltrattamenti e lesioni personali ai danni dell’allora Chief risk officer della banca al quale - secondo i pm - avrebbero impedito di svolgere le funzioni, minacciandolo di licenziamento e ponendo in essere condotte vessatorie con le quali lo esautoravano da qualsiasi potere e lo escludevano dalle riunioni provocandogli problemi di salute.
L’aggiotaggio bancario fa riferimento alle false informazioni diffuse tra il 2016 e il 2019 al fine di occultare le operazioni con le quali la gran parte degli indagati avrebbe minato la stabilità patrimoniale e la capacità della banca di essere solvibile, alterando in questo modo la fiducia dei risparmiatori che affidavano alla Bpb i loro risparmi.
«Il tesoro del gruppo Fusillo dissipato per colpa della banca». Dopo il crac della Maiora: i curatori chiedono 50 milioni di danni alla Popolare di Bari e agli imprenditori. «Dovevano fallire nel 2015». MASSIMILIANO SCAGLIARINI il 20 Febbraio 2023 su La Gazzetta del Mezzogiorno.
La Maiora è stata il principale cliente della Banca Popolare di Bari, almeno fino al fallimento del 2019 e al conseguente commissariamento dell’istituto di credito barese. Ma la società che fa capo agli imprenditori Fusillo e Curci sarebbe dovuta già fallire nel 2015: a tenerla in vita sarebbero state da un lato le mancate svalutazioni nei bilanci di esercizio, dall’altro i munifici finanziamenti concessi dai vertici della banca. Il risultato sarebbe stato un danno per i creditori da 50 milioni di euro, per il quale i curatori fallimentari Francesco Campobasso ed Eugenio Mangone hanno avviato una azione di responsabilità nei confronti di ex vertici e revisori della Maiora, ma anche della stessa Popolare.
Le società del gruppo Fusillo sono fallite con 430 milioni di debiti, ma con un considerevole patrimonio immobiliare che è stato oggetto di azioni revocatorie quasi tutte concluse positivamente. A novembre anche la curatela di Fimco, l’altra società dei Fusillo, ha avviato un’azione da 82 milioni di euro nei confronti della Bpb. La Maiora (con gli avvocati Giuseppe Trisorio Liuzzi e Vito Lorenzo Augusto Dell’Erba) è andata oltre, ritenendo che la responsabilità del «crac» vada condivisa anche con gli amministratori. Gli stessi che nel 2013, per tentare il salvataggio dell’immobiliare, misero in piedi un’operazione di finanziamento da 25 milioni con la società maltese Futura Funds: un’emissione obbligazionaria che si è poi trasformata nell’anticamera del baratro.
Maiora, nata nel 2012 dalla scissione parziale delle società di Fusillo e Curci, aveva in pancia un enorme patrimonio immobiliare: l’ex hotel Ambasciatori di Bari e una serie di proprietà nel quartiere Umbertino, per esempio, ma anche il polo logistico di Rutigliano, l’Hotel dei Borgia e una sede dell’Agenzia delle Entrate di Roma. Secondo la curatela, nei bilanci sarebbe stato rappresentato un valore degli immobili «al costo di acquisto o di realizzazione, senza considerare la perdita durevole del loro valore, né l’andamento del mercato». Anche perché già ad aprile 2015 una perizia della Deloitte aveva attestato che Maiora e le sue controllate avevano un patrimonio netto negativo. E dunque avrebbero dovuto essere liquidate. Invece Popolare - come emerge anche dagli atti dell’indagine della Procura di Bari, avrebbe continuato a finanziare il gruppo Fusillo, e in particolare Maiora, arrivando a una esposizione copmplessiva di 140 milioni.
Tra le sopravvalutazioni di bilancio i curatori di Maiora annotano le azioni di Popolare Vicenza, acquistate nel 2013 a 3 milioni di euro. Nel bilancio 2015 le azioni della banca veneta (una fotocopia del caso Bpb) erano state svalutate di 696mila euro. Tuttavia, secondo i curatori, a quell’epoca il valore era già sceso ai 6,3 euro del recesso. L’atto di citazione fa anche cenno all’operazione «Masseria del Monte», la presunta svendita per 500mila euro di un suolo di 41 ettari a Conversano che in realtà varrebbe quattro milioni e mezzo, e che è al centro di una distinta indagine per bancarotta fraudolenta: il suolo era in carico alla Maiora per 6,5 milioni di euro, nonostante al momento della costituzione della società fosse stato valutato per 1,6 milioni.
In questo contesto si innesterebbero le presunte responsabilità della Popolare di Bari, le stesse ipotizzate in sede penale dal procuratore Roberto Rossi, per aver mantenuto «artificiosamente in vita l’intero gruppo Fusillo». Sono le stesse risultanze della ispezioni della Banca d’Italia, che aveva quantificato in 100 milioni di euro i finanziamenti senza garanzie concessi alla Maiora fino a fine 2018, parlando di «ripetuti interventi creditizi non sempre sufficientemente vagliati né (...) esaustivamente rappresentati al Consiglio». A sua volta, in quattro anni, la banca aveva ottenuto dalla società quasi 25 milioni di euro a titolo di interessi.
SOLITA FOGGIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede a Foggia.
Omicidio nella tabaccheria, la titolare uccisa a coltellate: “Foggia non è più un posto sicuro”. La donna aveva riaperto proprio oggi la sua attività dopo la pausa estiva. Per lei non c'è stato niente da fare, il corpo è stato trovato riverso vicino al bancone. Non si esclude nessuna pista. Redazione Web su L'Unità il 28 Agosto 2023
Aveva appena riaperto, proprio oggi, la sua attività dopo la pausa estiva, la donna di 72 anni titolare di una tabaccheria in via Marchese De Rosa a Foggia. Francesca Marasco è stata uccisa a coltellate, raggiunta da diversi fendenti fatali questa mattina. Per la vittima non c’è stato nulla da fare. Quando sul posto sono giunti i soccorritori e le forze dell’ordine la donna era già morta. Sul caso indagano i carabinieri, al momento non si esclude alcuna pista anche se alcuni media locali ipotizzano la rapina culminata nel sangue.
L’omicidio si è consumato intorno alle 13:00. La donna lavorava da sola, non era sposata ed era conosciuta da tutti nel quartiere. Il corpo di Marasco è stato ritrovato riverso vicino al bancone. Non sarebbe stata ancora identificata la persona che ha fatto scattare l’allarme al 112. Sul posto anche il medico legale per un primo esame sul cadavere. Gli investigatori analizzeranno le immagini delle telecamere di sorveglianza per risalire alla dinamica dell’omicidio. L’episodio ha riportato a molti alla mente quello del 15 luglio 2020, quando in una rapina al Bar Gocce di Caffè venne ucciso Francesco Traiano, titolare dell’attività.
“Fino a qualche anno fa nel negozio c’era anche la madre ma poi è venuta a mancare e Francesca, da allora gestiva tutto da sola. Alle 12 sono passato con il cane davanti all’ingresso della tabaccheria e sembrava tutto tranquillo. Poi abbiamo sentito molte sirene e abbiamo appreso cosa era accaduto. Foggia non è più un posto sicuro“, ha dichiarato all’Agi una persona della zona. Redazione Web 28 Agosto 2023
Tabaccaia uccisa a coltellate a Foggia, il killer fermato a Napoli confessa: “Non volevo ucciderla”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 3 Settembre 2023
Il 43enne marocchino era colpito da un decreto di espulsione dal territorio italiano disposto in seguito ad una serie di reati che avrebbe commesso. Ma purtroppo non era mai stato eseguito.
Èstato fermato il 43enne Redouane Moslli, sospettato di avere ucciso Franca Marasco, la titolare 72enne di una tabaccheria, in via Marchese De Rosa, una delle vie del centro di Foggia accoltellata durante un tentativo di rapina nel suo negozio il 28 agosto scorso . L’uomo è stato sottoposto a fermo su disposizione del pm dopo essere stato interrogato nel corso della notte. L’uomo risponde delle accusa di omicidio e rapina aggravata, anche se sono ancora in corso accertamenti da parte dei carabinieri sull’esatta dinamica dei fatti .
Il presunto omicida di origine marocchina è stato rintracciato ieri sera nei pressi della stazione di Napoli, individuato dai Carabinieri, coordinati dalla procura di Foggia, grazie ai controlli su numerosissime telecamere pubbliche e private, intercettazioni telefoniche ed esami testimoniali, che hanno consentito di ricostruire l’intero percorso di fuga dell’omicida.
L’uomo dopo l’omicidio aveva indossato nuovi indumenti, secondo quanto accertato, abbandonando quelli usati precedentemente all’interno di un sacchetto in plastica in via Mameli, dove sono stati trovati e posti sotto sequestro dai Carabinieri che hanno rintracciato e sottoposto a sequestro anche il telefono cellulare rubato alla vittima, che sarebbe stato venduto dall’uomo ad altre persone.
Come detto, Il cittadino marocchino era destinatario di un decreto di espulsione dal territorio italiano disposto in seguito ad una serie di reati che avrebbe commesso. Il provvedimento, però, non gli era mai stato notificato in quanto l’uomo era irreperibile a causa del suo continuo spostarsi tra varie città italiane. Da indiscrezioni, sembra che fosse giunto da poco tempo a Foggia.
Redouane Moslli, il cittadino marocchino di 43 anni fermato per l’omicidio della tabaccaia ha confessato, sostenendo però di non avere avuto intenzione di uccidere, . Secondo quanto riferito dal legale dell’uomo, l’avvocato Nicola Totaro, Redouane Moslli si trovava a Foggia dall’11 luglio scorso, impiegato come bracciante agricolo nelle campagne di Torremaggiore e viveva in un dormitorio in città. Conosceva la tabaccheria di via Marchese de Rosa perché vi si era recato già in altre occasioni.
Secondo quanto riferito dal suo legale, l’uomo ha confessato che la mattina del 28 agosto, in difficoltà economiche, “armato di coltello è entrato nella tabaccheria, puntando il coltello alla gola della vittima, ferendola una prima volta perché la donna si sarebbe mossa“. Poi avrebbe tentato di portar via soldi, 75 euro, presi dalla cassa, ma la donna avrebbe cercato di bloccarlo e l’uomo l’avrebbe ferita al torace con il coltello dalla lama appuntita. Poi la fuga durante la quale avrebbe tentato di disfarsi del cellulare della vittima. Sempre secondo quanto dichiarato, l’uomo sarebbe stato intercettato da un italiano mentre tentava di disfarsi del telefono e glielo avrebbe consegnato. Poi, dopo essersi disfatto degli abiti indossati durante il delitto, sarebbe rimasto a Foggia per alcuni giorni fino a quando, ricostruisce il legale, resosi conto della gravità del fatto, ha tentato la fuga a Napoli dove è stato rintracciato ed arrestato dai Carabinieri..
“Sin dal momento del fermo in Napoli – precisa l’avvocato -, il signor Moslli Redouane si è messo a disposizione dell’autorità giudiziaria avendo capito di aver sbagliato; stamane ha reso dichiarazioni durante l’interrogatorio, ha fornito tutti gli elementi al Pubblico Ministero, entrando nei particolari; ha prestato il consenso agli accertamenti ed al prelievo del proprio dna“. Secondo il suo difensore “si è trattato di una rapina finita in malo modo, poiché non ha saputo gestire la situazione e non aveva alcuna volontà di uccidere la vittima”. Nei prossimi giorni si svolgerà l’udienza di convalida del suo arresto e verranno riscontrate le dichiarazioni fornite con il completamento delle indagini preliminari. Redazione CdG 1947
4 anni in galera, già espulso nel 2020: chi è il marocchino che ha ucciso la tabaccaia. Massimo Balsamo il 4 Settembre 2023 su Il Giornale.
Fermato per l'assassinio della tabaccaia Franca Marasco, il marocchino Moslli Redouane era già noto alle autorità. Il procuratore: "Foggia è una città insicura oggettivamente"
Domenica è arrivata la svolta nell'omicidio di Franca Marasco, la titolare della tabaccheria di Foggia uccisa a coltellate lunedì 28 agosto. Le forze dell'ordine hanno arrestato a Napoli Moslli Redouane, 43enne marocchino individuato grazie al complesso lavoro di indagine coordinato dalla procura foggiana. Lo straniero non è uno sconosciuto per le autorità: arrivato in Italia nel novembre del 2007, era già stato colpito da un provvedimento di espulsione mai eseguito perché non c'erano posti disponibili al Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio).
Il killer di Foggia era già stata espulso nel 2020
In possesso di un permesso di soggiorno rilasciato a Milano per lavoro dal 2007 al 2012 e mai rinnovato, il killer di Foggia era stato arrestato nel 2017 per rapina ed era rimasto in carcere a Cagliari fino al novembre del 2020. Una volta uscito di prigione, lo straniero era stato colpito da un ordine di espulsione dalla Questura. Come anticipato, l'ordine non è stato eseguito, perché, a quanto apprende l'Adnkronos, non c'erano posti disponibili al Cpr. Ma non è tutto. Nel 2021 era stata emessa una misura di sicurezza dal magistrato di sorveglianza di Milano, atto mai notificato perché Redouane si era reso irreperibile.
Procuratore: "La città è insicura"
"Foggia è una città insicura oggettivamente, poco illuminata in determinate zone e questa mancanza di illuminazione e di videocamere incrementa i reati", queste le parole del procuratore della Repubblica di Foggia Ludovico Vaccaro nella conferenza stampa sulle indagini sull'omicidio della tabaccaia. Vaccaro ha aggiunto: "Chiedere collaborazione senza garantire sicurezza non ha efficacia, ecco perché insisto sulla necessità di incrementare le videocamere pubbliche e il sistema integrato con quelle private".
Il procuratore ha posto l'accento sulle difficoltà nelle indagini, a partire dall'assenza delle telecamere di sicurezza, ma le poche telecamere private presenti hanno consentito di individuare il responsabile del delitto: "Congratulazioni all'Arma dei Carabinieri per il complesso lavoro svolto. Ce l'abbiamo fatta ma è stata dura; siamo riusciti a individuare una persona indiziata di reato". Secondo gli inquirenti, il movente dell'omicidio di Franca Marasco è la rapina. Dopo aver valutato altre piste, è stata ribadita quella del furto finito male. Dopo l'assassinio, il marocchino si è cambiato gli abiti e ha venduto il cellulare rubato"a terzi che hanno collaborato con noi nella ricostruzione di questa dinamica", ha confermato Vaccaro.
Chi è il presunto killer di Franca Marasco, la tabaccaia uccisa a Foggia: l’uomo fermato a Napoli. Il delitto è avvenuto lo scorso 28 agosto. I carabinieri hanno trovato il presunto assassino alla stazione del capoluogo campano. Indagini in corso per ricostruire l'esatta dinamica dei fatti. Redazione Web su L'Unità il 3 Settembre 2023
Dopo essere stato interrogato nel corso della notte, è stato sottoposto a fermo su disposizione del pm l’uomo di 43 anni sospettato di avere ucciso il 28 agosto scorso a Foggia Franca Marasco, la titolare 72enne di una tabaccheria accoltellata durante un tentativo di rapina nel suo negozio. L’uomo è accusato di omicidio e rapina aggravata, ma sull’esatta dinamica dell’accaduto sono ancora in corso accertamenti da parte dei carabinieri.
Chi è il killer di Franca Marasco la tabaccaia uccisa a Foggia
Il presunto omicida, di origine marocchina, è stato individuato dai carabinieri, coordinati dalla procura di Foggia, attraverso l’esame di numerosissime telecamere pubbliche e private, intercettazioni telefoniche ed esami testimoniali, che hanno consentito di ricostruire l’intero percorso dell’omicida. L’uomo è stato rintracciato ieri sera nei pressi della stazione di Napoli. Secondo quanto accertato, dopo l’omicidio l’uomo aveva indossato nuovi indumenti, abbandonando quelli usati precedentemente all’interno di un sacchetto in plastica in via Mameli.
Le indagini
Qui sono stati trovati e posti sotto sequestro dai carabinieri. I militari hanno inoltre rintracciato e sottoposto a sequestro il telefono cellulare rubato alla vittima e che sarebbe stato venduto dall’uomo ad altre persone. Chi è il presunto killer di Franca Marasco la tabaccaia uccisa a Foggia? L’uomo si chiama Moslli Redouane, 43 anni compiuti proprio oggi e con precedenti specifici per rapina. Stando ad indiscrezioni, il 43enne non era da molto tempo a Foggia. È solito, stando a quanto si apprende, girovagare per varie città d’Italia. Ulteriori accertamenti sono volti a ricostruire l’esatta dinamica di quanto accaduto la mattina del 28 agosto.
Redazione Web 3 Settembre 2023
Tragedia a Manfredonia, trovati morti i due bimbi dispersi: precipitati in una vasca profonda 3 metri. Si indaga per omicidio colposo. I corpi ritrovati in un bacino idrico di 40 metri per 40. Forse i piccoli, di 6 e 7 anni, cercavano un po' di refrigerio. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Luglio 2023
Sono stati ritrovati i corpi dei due fratellini rumeni di 6 e 7 anni dispersi da diverse ore a Manfredonia, in provincia di Foggia. Secondo quanto si è appreso i due bambini sarebbero stati trovati morti all'interno di uno dei bacini d'irrigazione presenti nella zona e dove erano in corso ora le ricerche dei vigili del fuoco. A recuperare i corpi da un vascone per l'irrigazione i pompieri, già sul posto con i sommozzatori per le ricerche.
I vasconi per l’irrigazione dei terreni sono all'interno di un’azienda agricola nelle campagne tra Manfredonia e Zapponeta, in località Fonterosa: a destare preoccupazione le loro ciabattine trovate sul bordo della vasca. A dare l’allarme sono stati i genitori dei due fratellini. Le vittime sono cadute in un vascone di 40 metri per 40 e con una profondità di circa 3 metri. La zona è scarsamente illuminata e sul posto i soccorritori stanno operando anche con le fotocellule per cercare di ricostruire la dinamica del tragico incidente.
«Un intervento drammatico": così i Vigili del fuoco hanno descritto le operazioni che la notte scorsa hanno portato al ritrovamento dei cadaveri dei due fratelli, di sei e sette anni, di nazionalità romena, annegati in un vascone di irrigazione, profondo circa tre metri, nelle campagne tra Manfredonia e Zapponeta, in provincia di Foggia. Indagini sono in corso per accertare come i due bambini - i cui genitori, che stavano riposando quando i figli si sono allontanati da casa, avevano denunciato la scomparsa nel pomeriggio di ieri - siano annegati nel vascone.
Il vascone d’irrigazione agricola, nel quale sono annegati ieri, dista solo poche decine di metri dal casolare dove i due fratellini, di origine romena, di sei e sette anni, vivevano con i genitori nelle campagne tra Manfredonia e Zapponeta, nel Foggiano.
Secondo quanto si è appreso - la recinzione del vascone - che ha un argine di circa un metro e mezzo - era parzialmente divelta. Gli investigatori della Polizia, con l’ausilio dei Vigili del fuoco, stanno facendo ulteriori indagini per accertare la dinamica dell’incidente.
«È stata una notte terribile": sono le parole usate da Domenico De Pinto, comandante provinciale dei Vigili del fuoco che la notte scorsa hanno ritrovato i cadaveri dei due bambini, di sei e sette anni, annegati in un vascone d’irrigazione agricola nelle campagne di Manfredonia.
Secondo quanto si è appreso l’allarme dei genitori è stato lanciato nel tardo pomeriggio, mentre i vigili del fuoco del distaccamento di Manfredonia sono giunti sul posto alle ore 21.36. Circa un’ora e trenta dopo, da Bari sono arrivati i sommozzatori che, intorno alla mezzanotte, hanno ritrovato i due cadaveri, a distanza di dieci minuti l’uno dall’altro.
Un’indagine per omicidio colposo è stata aperta per accertare eventuali responsabilità sulle morte, avvenuta ieri per annegamento, di due bambini, di sei e sette anni, in un vascone di irrigazione agricola nelle campagne tra Manfredonia e Zapponeta, nel Foggiano. Sul posto - dove sono arrivati numerosi giornalisti e operatori televisivi - sono al lavoro gli investigatori della Polizia.
Sul posto, un podere a due piani che dista un paio di metri dal vascone, è possibile notare un piccolo buco nella recinzione che delimita l’area. Da lì i bambini potrebbero aver avuto accesso all’area per salire sull'argine, alto circa un metro, per poi finire nel vascone, dove - per cause da accertare - sono annegati. E prende sempre quindi più forza l’ipotesi che i due fratellini abbiano voluto trovare refrigerio entrando nel vascone.
«I bambini erano soliti giocare davanti il podere senza mai allontanarsi. Non riusciamo a spiegarci questa tragedia». Lo hanno raccontato alcuni famigliari dei due bambini, di origine romena, di sei e sette anni, annegati ieri in un vascone di irrigazione, nelle campagne di Manfredonia (Foggia). La famiglia romena ha altre due figlie minorenni.
Bimbi annegati: il 13 luglio i funerali, lutto cittadino a Manfredonia. Il sindaco: 'Evento ha suscitato sgomento nella nostra comunità'. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Luglio 2023
Il sindaco di Manfredonia, Gianni Rotice ha proclamato per la giornata di domani il lutto cittadino durante la celebrazione dei funerali di Daniel e Stefan i due fratelli rumeni annegati in un vascone per la raccolta dell’acqua nelle campagne di Manfredonia, nel Foggiano.
«Un grave evento - ha detto il primo cittadino - che ha suscitato nella nostra comunità profondo sgomento e particolare vicinanza alla famiglia colpita da questa immane tragedia. La proclamazione del lutto cittadino è il modo con cui l'amministrazione intende manifestare solennemente e tangibilmente il proprio cordoglio e quello dell’intera comunità».
Per tutta la giornata le bandiere esposte nel Palazzo di Città e negli altri edifici pubblici saranno esposte a mezz'asta. Il sindaco Rotice ha invitato gli esercizi commerciali ad abbassare le serrande dalle 16 alle 16.10, durante la cerimonia funebre.
SOLITA TARANTO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Spartani vs Messapi.
L’assedio di Manduria e la morte di Archidamo Re di Sparta. Cosimo Enrico Marseglia l’1 Gennaio 2023 su corrieresalentino.it.
MANDURIA (Taranto) – Siamo nell’epoca a cavallo fra il quarto ed il terzo secolo a. C., prima della conquista romana delle Puglie, caratterizzata dalle continue lotte fra le popolazioni messapiche, iapigie o salentine, che dir si voglia, contro la colonia spartana di Taranto che mira alla supremazia ed al controllo assoluto del Salento. Nonostante la perfetta macchina bellica, i tarantini non riescono ad aver definitivamente ragione della fiera e tenace resistenza opposta dai Messapi, pertanto gli strateghi della città invocano il soccorso di Archidamo Re di Sparta. Questi accoglie l’invito della colonia e, col consenso del Consiglio degli Anziani, appronta un grosso esercito, sbarcando nella Penisola Salentina e seminando il terrore dovunque.
Grazie alle milizie perfettamente addestrate, sin dalla più tenera età, l’avanzata del sovrano spartano è inarrestabile, costringendo le città della Lega Messapica a cadere una dopo l’altra. Tuttavia la strenua resistenza dei nativi non si affievolisce perché, se una piazza cade, i superstiti corrono subito a rinforzarne un’altra, nella speranza di frenare l’invasore. Si giunge così allo scontro finale nella città di Manduria, uno degli ultimi baluardi salentini che Archidamo deve necessariamente prendere prima di raggiungere Taranto. Da un lato il Re di Sparta assedia la città dall’esterno, al comando delle forze tarantine e spartane, dall’altro Messapi e Peuceti asserragliati nella cinta muraria a difesa della loro Patria e della loro Libertà.
Lo scontro si presenta subito sanguinoso per l’accanimento dei contendenti, tuttavia l’organizzazione e l’addestramento delle forze d’invasione fa la differenza, infatti, dopo alcune ore di assedio, le armate di Archidamo cominciano ad avere la meglio. Quando ormai l’ultimo attacco sferrato si appresta a concretizzarsi nella presa della città, avviene l’incredibile: un dardo scagliato dagli assediati colpisce a morte il Re di Sparta. Le linee spartane e tarantine vacillano in preda allo sgomento, mentre le urla di giubilo messapiche risuonano nell’aria, infondendo coraggio negli assediati che, ritrovata nuova forza, aprono le porte della città riversandosi come furie sul nemico e costringendolo ad una rotta disordinata. Ancora una volta la Messapia riesce a salvare la sua indipendenza dalle mire espansionistiche di Taranto.
Si racconta che i Messapi stessi raccolsero le spoglie di Archidamo che, comunque, ebbe tutti gli onori del suo rango, quindi lo seppellirono in un luogo imprecisato sotto le mura della città, insieme alle ricchezze che aveva con sé. Dopo più di due millenni le sue spoglie non sono ancora state ritrovate.
Alla scoperta del Salento: le origini di Lecce secondo la leggenda. Cosimo Enrico Marseglia su corrieresalentino.it.
Nei tempi antichi ogni evento veniva spiegato attraverso la mitologia o la leggenda, anche se, a mio avviso, esse nascondono sempre una sottile verità, divenuta appunto mito, a causa della carenza di fonti documentarie, o perché perdute oppure perché erroneamente interpretate.
Secondo la leggenda e la storia antica, la città di Lecce, battezzata Syrbar che significa Città della Lupa in lingua messapica, fu fondata dal mitico Malennio che ne divenne anche il primo sovrano. Alla sua morte il trono passò nelle mani dell’unico figlio maschio di nome Dauno. La vicenda si colloca, all’incirca, all’epoca della Guerra di Troia e, a questo punto entra in scena il Re di Creta Idomeneo. Questi, reduce dalla suddetta guerra, non riusciva a guadagnare le coste cretesi a causa dell’ira di Poseidone, il dio del mare greco equivalente al Nettuno dei Romani. Pur di placare la collera del dio, Idomeneo fece voto di immolare in suo favore la prima persona incontrata, una volta approdato in patria. Caso volle che tale persona fosse proprio suo figlio. Combattuto fra l’amore paterno ed il timore di essere spergiuro, prevalse quest’ultimo nel suo animo, così sacrificò il giovane.
Alcune giornate, tuttavia, cominciano male e finiscono peggio, infatti, tornato a corte scoprì la sua consorte Meda fra le braccia di un prestante giovanotto di nome Leuco che, fra l’altro, gli aveva anche usurpato il trono. Deluso, levò un’altra volta le ancore e, dopo lungo vagare, si diresse verso nord, in direzione della Iapigia o Messapia, dove esistevano alcune colonie cretesi. Sbarcato nei pressi di Roca, però, trovò schierato l’esercito messapico con la cavalleria in testa, al comando del Re di Lecce e Roca Dauno, che lo ricacciò nuovamente in mare. Questi aveva una sorella, il cui nome tramandatoci soltanto il lingua greca era Euippa che significava “Bella Cavalla”. Un nome, un programma. Costei era continuamente guardata a vista a causa della sua bellezza.
Intanto Idomeneo, che mal digeriva la sconfitta militare, dopo un periodo di riflessione, decise di prendere la Messapia con la forza delle armi. Sbarcato nell’odierna Calabria che all’epoca aveva tutt’altro nome, assoldò un esercito e lo condusse via mare in direzione di Roca., deciso a conquistarla e di installarsi sul trono. Tuttavia, giunto all’ingresso del porto, intravide sulle mura della città Euippa che, nel frattempo, era diventata Regina di Lecce (sarebbe più corretto dire di Syrbar) e di Roca, in seguito alla morte di Dauno. Preda di un improvviso colpo di fulmine, invece di comandare l’attacco, Idomeneo inviò Cleandro, fratello dell’altro reduce della Guerra di Troia Diomede, a chiedere la mano della bella regina in suo nome. A quanto pare Euippa acconsentì e, in un solo colpo, Idomeneo ebbe sia la regina sia il trono.
Cosimo Enrico Marseglia
Cosimo Enrico Marseglia. Nato a Lecce, città in cui vive. Ha frequentato i corsi regolari dell’Accademia Militare dell’Esercito Italiano in Modena e della Scuola di Applicazione dell’Arma TRAMAT presso la cittadella militare Cecchignola in Roma, ed ha prestato servizio come ufficiale dell’Esercito presso il 3° Battaglione Logistico di Manovra in Milano, il Distretto Militare di Lecce ed il Battaglione Logistico della Brigata Pinerolo in Bari. Dopo otto anni in servizio permanente effettivo, ha lasciato la carriera militare, dedicandosi alla musica jazz ed al teatro. Attualmente collabora con il Dipartimento di Studi Storici dell’Università del Salento, come esperto di Storia Militare, e dal 2009 è ufficiale commissario del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana. Scrive per L’Autiere, organo ufficiale dell’ANAI (Associazione Nazionale Autieri d’Italia), Sallentina Tellus (Rivista dell’Ordine del Santo Sepolcro), per L’Idomeneo (Rivista dell’Associazione di Storia Patria) e per altre testate. Ha già pubblicato Les Enfants de la Patrie. La Rivoluzione Francese ed il Primo Impero vissuti sui campi di battaglia (2007), Il Flagello Militare. L’Arte della Guerra in Giovan Battista Martena, artigliere del XVII secolo (2009), Battaglie e fatti d’arme in Puglia. La regione come teatro di scontro dall’antichità all’età contemporanea (2011), Devoto ad Ippocrate. Rodolfo Foscarini ufficiale medico C.R.I. fra ricerca e grande guerra (2015), Marseglia. Storia di una famiglia attraverso i secoli (2016) per la Edit Santoro, e Attacco a Maruggio. 13 giugno 1637. Cronaca di una giornata di pirateria turca nel contesto politico-sociale europeo (2010) per la Apulus, quest’ultimo insieme al Dott. Tonino Filomena. Ha conseguito il Diploma Universitario in Scienze Strategiche presso l’Università di Modena e Reggio.
La morte del Re degli Spartani sotto le mura di Manduria. Cosimo Enrico Marseglia su pugliaplanet.com il 6 novembre 2019.
L’episodio di cui si discute oggi non è una leggenda, bensì storia, tuttavia esso ha comunque dato origine ad un mito. L’epoca è all’incirca quella a cavallo fra il quarto ed il terzo secolo a. C., prima della conquista romana delle Puglie, caratterizzata dalle continue lotte fra le popolazioni messapiche, iapigie o salentine, che dir si voglia, contro la colonia spartana di Taranto che mirava alla supremazia ed al controllo assoluto delle prime.
Nonostante la perfetta macchina bellica, i tarantini non riuscivano ad aver definitivamente ragione della fiera e tenace resistenza opposta dai Messapi, pertanto gli strateghi della città invocarono il soccorso di Archidamo Re di Sparta. Questi accolse l’invito della colonia e, col consenso del Consiglio degli Anziani, approntò un grosso esercito e sbarcò nella Penisola Salentina, seminando il terrore dovunque. Grazie alle milizie perfettamente addestrate sin dalla più tenera età, l’avanzata del sovrano spartano fu irresistibile, costringendo le città della Lega Messapica a cadere una dopo l’altra. Tuttavia la strenua resistenza dei nativi non si affievoliva perché, se una piazza cadeva, i superstiti correvano subito a rinforzarne un’altra, nella speranza di frenare l’invasore. Si giunse così allo scontro finale nella città di Manduria, uno degli ultimi baluardi salentini che Archidamo doveva necessariamente prendere prima di raggiungere Taranto. Da un lato il Re di Sparta assediava la città dall’esterno, al comando delle forze tarantine e spartane, dall’altro Messapi e Peuceti asserragliati nella cinta muraria difendevano la loro Patria e la loro Libertà.
Lo scontro si presentò subito sanguinoso per l’accanimento dei contendenti, tuttavia l’organizzazione e l’addestramento delle forze d’invasione faceva la differenza infatti, dopo alcune ore di assedio, le armate di Archidamo cominciarono ad avere la meglio. Quando ormai l’ultimo attacco sferrato si apprestava a concretizzarsi, avvenne l’incredibile: un dardo scagliato dagli assediati colpiva a morte il Re di Sparta. Le linee spartane e tarantine vacillarono in preda allo sgomento, mentre le urla di giubilo messapiche risuonavano nell’aria, infondendo coraggio negli assediati che, ritrovata nuova forza, aprirono le porte della città riversandosi come furie sul nemico, costringendolo ad una rotta disordinata. Ancora una volta la Messapia salvò la sua indipendenza dalle mire espansionistiche di Taranto.
Si racconta che i Messapi stessi raccolsero le spoglie di Archidamo che, comunque, ebbe tutti gli onori del suo rango, quindi lo seppellirono in un luogo imprecisato sotto le mura della città, insieme alle ricchezze che aveva con sé. Da allora non è stato mai ritrovato ed attende ancora di essere riportato alla luce ……….. Cosimo Enrico Marseglia
Da Sparta a Manduria, la fine di un re. Italo Interesse il 14 Novembre 2019 su quotidianodibari.it.
Tra il VII e il III secolo avanti Cristo Sparte ebbe per cinque volte un re dal nome Archidamo. Uno di questi, Archidamo III (figlio di Agesilao II), che fu a capo della potente città della Laconia dal 360 al 338, legò per sempre il suo nome alla nostra terra. Nel destino di quest’uomo era evidentemente scritto che non avrebbe conosciuto vita lunga e quieta, consumata fra ozi e mollezze. Già prima di salire sul trono comandò le forze spartane contro i Tebani (battaglia di Leuttra, 371) e contro gli Arcadi (367 e 364); infine, nel 362 difese Sparta dall’esercito di Epaminonda. Salito al trono, non smentì la sua natura di uomo da prima linea sostenendo i Focesi contro Tebe, poi schierandosi con la città di Lyttos in guerra con Cnosso. Poteva un uomo siffatto morire nel proprio letto? Da vero guerriero Archidamo trovò la morte in battaglia, una delle ultime del secolare conflitto che contrappose Tarantini e Messapi. Ma facciamo un passo indietro: Quando nel 356 Lucani e Messapi strinsero quell’alleanza da cui conseguirono le conquiste di Eraclea e Metaponto, Taranto, cominciò a sentirsi accerchiata. In un secondo momento, una volta che la minaccia ebbe assunto contorni preoccupanti. i tarantini reagirono chiedendo aiuto al loro alleato storico, quella Sparta da cui nel 708 a.C. (stando a Eusebio di Cesarea) presero il mare alcuni coloni (i Parteni) che, guidati da Falanto, si sarebbero insediati sulla piccola lingua di terra che separa il Mar Piccolo dal Mar Grande. Così, nel 342 Archidamo arrivò in Italia a capo di un potente esercito col quale cominciò a combattere ora i Messapi, ora i Lucani. Stando a Plutarco il coraggioso re trovò la morte combattendo sotto le mura di Mendonion, l’odierna Manduria. Quale memoria resta di quest’uomo in quella città? Fino a qualche tempo fa il nome del re spartano a Manduria era legato ad un B&B e un primitivo locale. Davvero poco, tanto più che il Comune non ha dedicato al re spartano neanche una strada. Ma da qualche anno, in estate, la figura di Archidamo è al centro di ‘Scegnu’, una rievocazione storica ideata e organizzata dall’associazione storico culturale di Manduria Cerva Regia. Sotto la direzione di Katja Zaccheo, presidente della suddetta Associazione nonché studiosa di filologia e di usanze e tradizioni dei popoli antichi, ha luogo all’interno del Parco Archeologico delle Mura Messapiche una ricostruzione (notturna) dello scontro che fu fatale ad Archidamo e che vede protagonisti elementi dell’associazione I Cavalieri de li Terre tarantine. Ma ‘Scegnu’ non si limita a ricordare quel sanguinoso confronto. Una serie di postazioni rievocative illustra in che modo gli antichi manduriani vestivano, come passavano il tempo, dove riposavano, come si profumavano e s’imbellettavano, come celebravano i riti funebri, come costruivano armi…Italo Interesse
Il segreto di Sparta. Matteo Carnieletto il 29 Gennaio 2022 su Il Giornale.
Una società guerriera e ancestrale, che continua ad affascinare tutto il mondo.
Sparta, oggi, non esiste più. Al suo posto c'è una nuova città, confusa e moderna, così diversa rispetto al suo archetipo. Di quella antica, sorta sulle sponde del fiume Eurota, restano solamente poche pietre consumate dal tempo. Non ci sono templi. Non c'è, come ad Atene, un Partenone che veglia dall'alto e che indica una via. Una strada ideale da percorrere. Non ci sono mura. Del resto, dicevano gli antichi, per difendere Sparta erano sufficienti i petti dei suoi cittadini. Eppure, a distanza di millenni si continua a parlare di questa polis avvolta dal mistero.
Ancora oggi, a scuola, i bambini ammirano quei valorosi soldati, coperti solamente da un manto cremisi, che marciavano al fronte compatti. E che magari avevano paura, ma non lo davano a vedere. Non potevano farlo perché un codice d'onore non lo permetteva ("tememmo il filo della lama e il dolore delle ferite, ma molto più di questo dolore tememmo il disprezzo dell'amico che combatte al nostro fianco, la vergogna della donna che attende il nostro ritorno e il ripudio del vecchio che un tempo lottò per noi", scrive Agatocle alla vigilia della battaglia delle Termopili). Ancora oggi, i giovani ragazzi rimangono incantati mentre ascoltano (o guardano) la storia di Leonida e dei suoi 300 spartani che si sono fatti trucidare pur di fermare l'avanzata di Serse. Non lo fanno per spirito altruistico nei confronti delle altre poleis o perché cercano la bella morte. Lo fanno per non morire da schiavi. Per vendicare un amico caduto. Per proteggere il compagno che hanno accanto. Fino alla fine.
Sparta - che anche in termini di letteratura non ha lasciato nulla, se non qualche verso bellico di Tirteo - esiste ancora oggi perché ha saputo affascinare gli uomini che l'hanno incontrata e che non hanno potuto fare a meno di raccontarla (e, a volte, di mitizzarla). È l'uomo - meglio: il suo carattere - ad essere il centro di questa polis ancestrale.
Ne L'esempio di Sparta. Storia, eredità e mito di una civiltà occidentale (Passaggio al bosco) si ripercorrono le fasi e la formazione degli spartani. Tutto iniziava con l'agoghé: a sette anni, i bambini vengono allontanati dalle proprie famiglie e sottoposti a un rigido sistema educativo volto a forgiare anima e corpo. Si tratta di una vera e propria "condotta", questa la traduzione della parola greca Un nuovo modo di vivere. Di sacrificare se stessi - e i propri legami - in nome della società. Non c'erano deroghe. L'asprezza della vita era il minimo comun denominatore delle giornate di Sparta. I neonati non potevano essere avvolti in alcun tipo di fascia: dovevano infatti imparare a resistere alle intemperie e a muoversi liberamente. Dopo esser stati abbandonati dai genitori, i giovani si radunavano in aghèlai, in "mandrie", guidate da un ragazzo più grande, che doveva essere da esempio.
Ed era questo il centro dell'educazione di Sparta. L'esempio. I più piccoli guardavano i più grandi e iniziavano a comportarsi come loro. Li imitavano nelle virtù. Un giorno, durante le olimpiadi, un anziano signore girava allo stadio in cerca di qualcuno che lo facesse sedere. Posto dopo posto, nessuno si alzava per farlo riposare. Fino a quando non arrivò al settore dedicato agli spartani. Non appena i giovani - e pure qualche uomo fatto e finito - lo videro si alzarono. Del resto, Plutarco ha scritto: "Tutti i Greci sanno ciò che è giusto fare, ma solo gli Spartani lo fanno". È la differenza tra chi pensa soltanto e chi, invece, dopo aver riflettuto agisce. È la presenza costante di un esempio da seguire. Era questo, ed è ancora oggi, il segreto di Sparta.
Matteo Carnieletto. Entro nella redazione de ilGiornale.it nel dicembre del 2014 e, qualche anno dopo, divento il responsabile del sito de Gli Occhi della Guerra, oggi InsideOver. Da sempre appassionato di politica estera, ho scritto insieme ad Andrea Indini Isis segreto, Sangue occidentale e Cristiani
Succede a Taranto.
Il Giochi del Mediterraneo.
La Politica.
La Città.
La Chiesa.
Gli Avvocati.
Lo Sperpero.
La Giustizia.
L’Inquinamento.
L’ex Ilva.
Giochi del Mediterraneo 2026. Finalmente sono finiti gli isterismi e si passa ai fatti: ok alla ristrutturazione ex-novo dello stadio Iacovone. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 3 Ottobre 2023
Il commissario Massimo Ferrarese nominato dal Governo e il sindaco Rinaldo Melucci si sono incontrati e confrontati con i rispettivi tecnici alla Cittadella delle Imprese, partendo dallo stadio Erasmo Iacovone che non verrà demolito, ma come previsto dai due masterplan iniziali, ma sarà oggetto di un'importante ristrutturazione con la copertura completa dell'impianto
Si è svolto oggi pomeriggio, finalmente in clima sereno, l’incontro definitivo fra il Comune di Taranto ed il Commissario di Governo raggiungendo un’intesa sull’impiantistica sportiva da realizzare per i Giochi del Mediterraneo del 2026, dopo 4 anni di inerzia, passerelle elettorali e rendering privi di alcuna concretezza. Il sindaco Melucci ed i tecnici dell’ amministrazione comunale.
Il commissario Massimo Ferrarese nominato dal Governo e il sindaco Rinaldo Melucci si sono incontrati e confrontati con i rispettivi tecnici alla Cittadella delle Imprese, partendo dallo stadio Erasmo Iacovone che non verrà demolito, ma come previsto dai due masterplan iniziali, ma sarà oggetto di un’importante ristrutturazione con la copertura completa dell’impianto, per il quale è prevista la riqualificazione dell’anello superiore, la demolizione e ricostruzione dell’anello inferiore, un nuovo manto erboso, nuovi spogliatoi, una sala stampa degna di essere chiamata tale . Il tutto per un costo di 28 milioni di euro per un intervento con una capienza che potrebbe arrivare a 23mila spettatori. I lavori partiranno al termine della stagione sportiva calcistica in corso e la ristrutturazione prenderà il via subito dopo l’estate. La ristrutturazione dello stadio dovrebbe essere completata a febbraio 2026 per il necessario collaudo .
Rivisto il progetto del Centro Nautico, che costerà 6 milioni in meno del previsto che serviranno a coprire i costi dei lavori previsti per stadio. Per lo stadio del nuoto si vuole raggiungere l’obiettivo di realizzare l’impianto al meglio delle possibilità sono in corso valutazioni sul progetto “faraonico” che prevedeva addirittura due piscine olimpioniche da 50 metri (una coperta ed una scoperta) de molto probabilmente se ne realizzerà una sola. Verrà abbattuto il mini-palazzetto Ricciardi utilizzato solo per il basket, ed al suo posto è prevista la realizzazione di un centro polivalente multidisciplina dal costo di 12 milioni di euro. Redazione CdG 1947
Taranto, anche il Governo abbandona i Giochi del Mediterraneo. Il Comitato organizzatore continua a perdere pezzi. Dopo l’addio del Coni, sancito il 31 luglio scorso, è il turno del ministero dello Sport. REDAZIONE PRIMO PIANO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 25 Settembre 2023
Continua a perdere pezzi il comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo che dovrebbero svolgersi a Taranto nel 2026.
Dopo l’addio del Coni, sancito il 31 luglio scorso con una lettera dal presidente Giovanni Malagò, ieri sera è stato addirittura il Governo a mollare l’organismo che ha come direttore generale Elio Sannicandro, capo dell’agenzia regionale Asset.
Il ministro dello Sport Andrea Abodi con una lettera inviata al governatore Michele Emiliano, al sindaco Rinaldo Melucci, al presidente del Cijm Taranto 2026 Davide Tizzano, al presidente del Coni Giovanni Malagò, e per conoscenza al ministro Raffaele Fitto e al commissario Massimo Ferrarese, ieri ha comunicato che «sono venute meno le ragioni della presenza di un rappresentante del Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri nell’attuale Comitato». Abodi sottolinea di aver agito dopo aver preso «atto della posizione espressa dal Coni» e di agire d’intesa con il ministro Fitto.
Il rappresentante del Governo ricorda «le criticità riscontrate nella gestione organizzativa dei Giochi stessi e dello stallo che ne è conseguito» e si dice «disponibile, su nuovi presupposti, a consentire la celere ricostituzione del soggetto organizzatore per garantire il rispetto delle scadenze previste per la realizzazione dell’evento sportivo di cui trattasi».
Va ricordato che proprio i ritardi organizzativi avevano portato il Governo a nominare come commissario straordinario Massimo Ferrarese.
La palla ora passa agli enti locali, chiamati a decidere se sciogliere il comitato organizzatore oppure proseguire da soli.
Certo è che la data di svolgimento della competizione sportiva si sta avvicinando ma le opere necessarie, in particolare quelle qualificanti come la piscina olimpionica e lo stadio di Taranto, stentano a prendere forma perfino sulla carta. Un ritardo che mette a rischio i Giochi.
Dopo il Coni anche il Governo esce dal comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo 2026 a Taranto. La fine dei “giochetti” di Melucci e Sannicandro. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 25 Settembre 2023
Dopo il Coni, l'uscita del Governo dall'organizzazione dei Giochi del Mediterraneo. Nel giro di quasi due mesi due uscite fondamentali dal comitato organizzatore dell’evento internazionale previsto per giugno 2026.
L’uscita del Governo “ufficializzata” dalla lettera del ministro dello Sport, Andrea Abodi, inviata in serata via mail al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, al sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, al presidente del comitato internazionale, Davide Tizzano, e, per conoscenza al ministro degli Affari europei, politiche di coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, ed al commissario di Governo per i Giochi, Massimo Ferrarese.
Così scrive il ministro Andrea Abodi: “Nel prendere atto della posizione espressa dal Coni comunico, d’intesa con il ministro degli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, on. Raffaele Fitto, che sono venute meno le ragioni della presenza di un rappresentante del Dipartimento per Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri nell’attuale Comitato”. Abodi ricorda infatti che lo scorso 31 luglio il presidente del Coni Giovanni Malagò “in considerazione delle criticità riscontrate nella gestione organizzativa dei Giochi stessi e dello stallo che ne è conseguito, ha manifestato la volontà di ritirarsi dall’attuale governance del Comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo – Taranto 2026, comunicando le proprie dimissioni dall’organismo”.
L’uscita del Governo dal comitato organizzatore è quindi in linea a quella del Coni, anche se, Abodi scrive che, “siamo disponibili, su nuovi presupposti, a consentire la celere ricostituzione del soggetto organizzatore per garantire il rispetto delle scadenze previste per la realizzazione dell’evento sportivo”. La decisione del Ministro Abodi è stata comunicata a Malagò e Ferrarese. È facilmente prevedibile a questo punto che esca dal comitato organizzatore locale, anche del comitato internazionale (Cijm) guidato da Tizzano che a seguito della decisione di Malagò evidenziò come sia fondamentale la presenza del Coni, trattandosi di una manifestazione di sport, dichiarando: “Abbiamo preso atto della decisione di Malagò ma abbiamo anche scritto al Coni dicendo che resta il nostro interlocutore per i Giochi. Il Coni rientrerà. Deve rientrare assolutamente. A livello statutario non si può fare un evento senza il Coni. Il nostro statuto lo dice chiaro“.
Lo scorso 24 luglio Michele Emiliano dichiarava: “Abbiamo avuto una riunione non ancora decisiva, perché il Governo non ha sciolto ogni riserva sul trasferimento dei fondi per l’inizio dei lavori necessari all’esecuzione dei Giochi, ma mi pare di poter dire che abbiamo fatto un passo importante per rimettere in piedi un dialogo positivo tra Governo e Comitato organizzatore, anche grazie alla mediazione del presidente del Coni Giovanni Malagò“. A oggi, però, il CONI presieduto da Malagò non solo non è rientrato ma la situazione dei Giochi, pare complicarsi, anziché semplificarsi, a causa dei comportamenti irriguardosi ed oltraggiosi di Melucci e Sannicandro.
La cacciata di Sannicandro dal CONI
Da quello che risulta al CORRIERE DEL GIORNO, a indurre il Governo ad uscire dal Comitato organizzatore locale, sono state alcune iniziative intraprese dall’interno del comitato nella persona del direttore generale Elio Sannicandro il quale ha cercato di scavalcare il Coni (da cui tempo fa fu messo alla porta, rivolgendosi direttamente alle federazioni sportive contattate dal comitato e invitate ad un confronto in relazione agli impianti. Le Federazioni, però, correttamente non hanno accettato l’invito ed informato immediatamente il CONI. Di qui la decisione governativa di abbandonare il comitato per ricostruirne un altro su nuove basi e con presenze più autorevoli e qualificate. Redazione CdG 1947
Il commissario di Governo sui Giochi del Mediterraneo fa chiarezza e smentisce il Comune di Taranto. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 23 Settembre 2023
Tutto quello che la stampa locale sul "libro paga" (leggasi pubblicità) del Comune di Taranto non vi racconta, ve lo raccontiamo noi che non abbiamo mai chiesto e quindi ricevuto un centesimo di euro dall' Amministrazione Melucci
Il sindaco Rinaldo Melucci con una conferenza stampa indetta ieri senza alcun preavviso a Palazzo di Città continua a sostenere che lo stadio Iacovone è da ricostruire per intero in vista dei Giochi del Mediterraneo di giugno 2026 ed un giorno prima rispetto alla scadenza fissata dal commissario, Melucci ha manifestato al commissario Massimo Ferrarese i suoi intendimenti, dimenticando che il Governo con la nomina del commissario straordinario ha annullato i poteri decisionali dell’ Amministrazione Comunale di Taranto guidata da Melucci e del direttore generale del Comitato Organizzatore, Elio Sannicandro che non gode di buona fama sopratutto al CONI per una sua scabrosa vicenda per la quale venne di fatto accomodare alla porta, costringendolo alle dimissioni.
L’idea-fissazione avanzata ancora una volta dal sindaco Melucci nella sua conferenza stampa a Palazzo di Città a cui ha fatto seguito una lettera trasmessa al commissario con ed esplicitata ) è questa: costruzione di uno stadio nuovo, demolendo lo Iacovone e rifacendolo di sana pianta; non sarà più un progetto di privati al Comune, che non ci sono più, ma diverrà tutto pubblico, col Comune soggetto promotore e attuatore; viene acquisita, a seguito di gratuita donazione, la progettazione dello studio Gau Arena. Progettazione che in realtà al momento di fatto non esiste, e peraltro il precedente progetto (che era solo un “rendering”) firmato dagli architetti Zavanella è stato lautamente pagato dalla Red Sport, altro che “gratis” come racconta il sindaco di Taranto !
Il sindaco Melucci che non ha alcuna esperienza in materia di realizzazione di opere edili stima in 15 mesi il tempo necessario, dall’avvio del cantiere, per realizzare l’opera e in circa 25 milioni il fabbisogno finanziario. La gara di appalto a suo dire potrebbe farsi all’inizio del 2024 e il cantiere avviarsi prima dell’estate. Non ci sarebbe bisogno di rifare a suo dire tutto l’iter essendo già stata effettuata la prima parte del percorso e, peraltro, con un intervento dimensionalmente più grande.
L’ affermazione del sindaco Melucci “Noi facciamo i Giochi per i tarantini, non per gli atleti stranieri” rappresenta una posizione lontana anni luce dal vero scopo etico sportivo della manifestazione, e che spiega molto bene la ragione per cui il presidente del CONI Giovanni Malagò un mese fa ha deciso di uscire dal cosiddetto Comitato Organizzatore. Melucci inoltre ha affermato contrariamente al vero che “avevamo concordato col commissario una sua impegnativa per andare avanti negli altri gradi di progettazione. Non abbiamo ricevuto nulla. Non ci è stato dato un euro. E abbiamo finito le risorse nostre” . Dichiarazioni queste particolarmente gravi che confermano la necessità ogni giorno di più del necessario commissariamento anche del Comitato Organizzatore, che per bocca di Melucci e Sannicandro continua a raccontare solo sorielle frutto di una allucinante vergognosa fantasia. Infatti i soldi sinora versati nelle casse del Comitato sono solo quelli dello Stato attraverso il CONI.
Alla lettera-conferenza stampa di Melucci ha fatto seguito una secca risposta chiarificatrice da parte del commissario Ferrarese, attraverso una PEC inviata oggi, che il Corriere del Giorno può rivelare grazie alle proprie fonti confidenziali interne a Palazzo di Città. Ferrarese ha risposto a Melucci precisando preliminarmente che nel “masterplan redatto dal Comitato Organizzatore di cui il Sindaco di Taranto è Presidente, in data 14 dicembre 2022 unico documento ricevuto dalla struttura commissariale, in relazione alle opere da eseguire per lo stadio Iacovone di Taranto, prevedeva “la riqualificazione e Adeguamento” dell’opera destinando ai relativi lavori un importo pari ad Euro 18.000.000,00 e che pertanto nessuna programmazione ha mai previsto la totale demolizione e ricostruzione dello stadio stesso.”
Ferrarese ha poi precisato nella sua replica al sindaco Melucci che “nulla in merito a tali opere di “Riqualificazione ed Adeguamento” come contenuto nel masterplan, è mai stato nè formalmente nè informalmente trasmesso dalla S.V. a codesta struttura commissariale, nonostante le richieste formali formultevi più volte già a partire dallo scorso mese di giugno 2023”
In relazione al millantato progetto che lo studio Gau Arena avrebbe “donato” al Comune di Taranto, il Commissario di Governo nella sua risposta a Melucci precisa che “la scrivente struttura commissariale ha potuto visionare alcune tavole non esaustive (rendering) dei progetti redatti dallo Studio Gau Arena solo nell’immediatezza dell’incontro dello scorso 7 settembre 2023″. E peraltro aggiunge che “tale documentazione” in realtà è “relativa alla realizzazione di uno stadio ex novo e non a “Riqualificazione ed Adeguamento“.
Viene inoltre precisato dal commissario di Governo che “dalla visione della documentazione da voi presentata in quella occasione, la scrivente struttura commissariale ha ufficialmente appreso che il progetto di finanza si connaturava nella realizzazione congiunta di uno stadio totalmente nuovo, roto-traslato rispetto alla sagoma dell’esistente, con capienza pari a 16.000 posti ed un’importante piastra commerciale“. E questa è la conferma di quanto rivelato solo e soltanto dal CORRIERE DEL GIORNO, e cioè di una realizzare una vera e propria speculazione edilizia-commerciale di circa 20.000 metri quadri per “e come facciamo adesso per realizzare un’ipermercato” (parole testuali pronunciate da Melucci alla presenza di testimoni )sinora occultata dietro il progetto di uno stadio nuovo, che Melucci avrebbe voluto dare in project financing per 90 anni alla Red Sport srl, società con appena 11mila euro di capitale sociale, che è diventata attiva soltanto lo scorso 10 luglio 2023 , inoltre un anno dopo la sua costituzione, e ben oltre l’avvio della Conferenza di Servizi convocata dal Sindaco Melucci !
Ferrarese nella sua lettera continua evidenziando che “dalla visione di questi elaborati grafici, come pure nella descrizione fatta dai Vs. tecnici comunali e dall’ Arch. Zavanella (tecnico del soggetto proponente del soggetto proponente del Project Financing) dallo stesso progetto emergeva che la realizzazione del nuovo stadio fosse strettamente vincolata alla realizzazione simultanea della piastra commerciale e che le tempistiche di realizzazione dell’opera, complessivamente calcolate tra iter autorizzativi, gara di appalto, inizio lavori e completamento degli stessi, portassero ad una data di possibile consegna in Luglio 2026 (tutto questo con valutazioni esclusivamente formulate dai tecnici comunali e del soggetto proponente il Project Financing)“.
“Tutto ciò nella sola ipotesi che si riuscissero a rispettare tutte le condizioni” continua il Commissario di Governo “da voi formulate in termini temporali sia relativamente all’ iter autorizzativo, di assegnazione di gara pubblica, di inizio lavori e di completamento degli stessi, in assenza di alcun periodo temporale cuscinetto per assorbire eventuali ritardi nell’ avvio delle opere, derivanti da possibili ricorsi contro la società aggiudicatrice delle opere a realizzarsi (ricorsi non esclusi dallo stesso consulente della società proponente presente all’incontro ed allo scopo interpellato), o da qualsiasi altro evento non prevedibile“
Ferrarese nella sua lettera di precisazione puntuale ed analitica, scrive che “dovendo svolgere i Giochi stessi a partire dal 13 giugno 2026, tali tempistiche erano assolutamente incompatibili con l’obiettivo da raggiungere e diventava naturalmente necessario rivedere il progetto stesso” ricordando che i rappresentanti del Comune di Taranto, preso atto di tale situazione, chiesero al soggetto proponente se fosse stato possibile elaborare una proposta alternativa che consentisse di raggiungere gli obiettivi temporali prefissati, garantendosi anche un minimo periodo di tempo di scorta, antecedente alla data di inaugurazione dei Giochi per assorbire eventuali imprevisti e raggiungere con ragionevole certezza il traguardo.
I dubbi ed il disinteresse dell’ Arch. Zavanella a progettare solo lo stadio
L’architetto Zavanella, a quel punto, ricorda il commissario Ferrarese, manifestò la “possibilità di valutare l’esecuzione dell’intero progetto per stralci funzionali al fine di garantire la consegna e , dunque l’utilizzabilità dello Stadio per i Giochi del Mediterraneo“, ma nel corso della riunione “furono rilevate quindi, evidenti criticità logistiche nello svolgimento di una così importante manifestazione, visto che bisogna garantire via di accesso e di esodo in sicurezza a migliaia di persone, in contiguità di aree di cantiere di opere già realizzate, o da realizzare, e propedeutiche al paventato secondo stralcio” e preso atto che “occorreva svolgere le competizioni sportive in assenza di attività edili o di aree di cantiere ancora aperte, fu chiesto all’ Arch. Zavanella la possibilità di valutare la sola progettazione dello stadio” ma in prima battuta “l’ Architetto Zavanella non dimostrò interesse verso tale richiesta” .
L’incontro si concluse ricorda Farrarese con la “consapevolezza comune che occorresse operare un’importante opera di rifacimento ed ammodernamento dello stadio esistente, quale unica soluzione per garantire il raggiungimento dell’obiettivo di tempi e costi legato ai Giochi del Mediterraneo e per garantire alla città di Taranto uno stadio praticamente “nuovo” senza pregiudicare l’obiettivo di rivalutazione urbana dell’intera area.“
“Tutto ciò premesso, riscontrando la vs. comunicazione come in oggetto” risponde Ferrarese a Melucci “la scrivente struttura commissariale constata oggi una nuova soluzione ibrida, che prevede un progetto ex novo del solo stadio (chiaramente questo nuovo indirizzo conferma l’ abbandono del Project Financing evidentemente da Voi stessi ritenuto inattuabile nei tempi) adeguando il progetto contenuto nel Project Financing“. Ed aggiunge “Pertanto a tutt’oggi viene prospettata una nuova terza soluzione diversa sia dalla “Riqualificazione e Adeguamento” prevista nel Masterplan (redatto dal Comitato Organizzatore, di cui il Sindaco di Taranto è Presidente), sia del Project Financing”.
“Ci duole constatare che a fronte della richiesta ufficiale dalla scrivente struttura commissariale di ottenere un DIP entro il 22 settembre c.m. il giorno precedente a tale scadenza ci comunicate che ci farete avere, non è dato sapere quando, il PFTE adeguato nel nuovo progetto, nel quale si intenderebbe procedere per “stralci“ conclude il Commissario di Governo Massimo Ferrarese “poichè nessuna documentazione ci è pervenuta in merito a questa terza soluzione, siamo impossibilitati ad effettuare qualsiasi valutazione in merito. A tel fine vi invitiamo a fornici, entro e non oltre la mattina del 2 ottobre p.v. il DIP di questa nuova “terza ipotesi” in modo da consentirci una valutazione in merito e sin d’ora si convoca codesta Amministrazione, negli uffici commissariali martedì 3 ottobre alle ore 15:00. al fine eventualmente, di autorizzarvi a procedere con le redazione del relativo PFTE“.
La lettera-ultimatum di Ferrarese si conclude in maniera diplomatica ricordando che “La scrivente struttura commissariale, nello spirito di collaborazione più assoluta, accetta ancora una volta di concedere altro tempo per valutare la nuova proposta da Voi paventata, ricordandovi che , purtroppo, il tempo perso è ormai troppo e non si può immaginare di perderne altro“.
E grazie…all’inefficienza dell’ accoppiata Melucci-Sannicandro dopo 4 anni nessuna struttura è stata progettata e realizzata compiutamente, per non parlare poi dei 150 milioni mancanti che la Regione Puglia ed i Comuni partecipanti ai giochi, previsti nel Masterplan, avrebbero dovuto versare. Finanziamenti che non si sono visti. Redazione CdG 1947
Tutte le bugie di Pinocchio-Melucci: dalla Ocean Race ai Giochi del Mediterraneo 2026. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Agosto 2023
Il sindaco Melucci dimentica (o omette ? ) di raccontare la verità e cioè di aver avuto ben tre incontri sinora con il commissario Massimo Ferrarese il quale da noi contattato nel pomeriggio odierno dopo il comunicato di Melucci, molto signorilmente ha commentato con un "no comment" aggiungendo "io non faccio politica, sono un tecnico e rappresento il Governo".
di Antonello de Gennaro
C’era una volta un agente marittimo di nome Rinaldo Melucci, ignoto alla città di Taranto, balzato agli onori della cronaca per essere diventato il “tappabuchi” elettorale del PD alle elezioni amministrative al Comune di Taranto nel 2017, venendo eletto per circa 800 voti. Delle “follie” politiche di Melucci, come i nostri lettori ben sanno, ci siamo occupati a lungo in questi anni, venendo puntualmente querelati, non venendo però mai sottoposti a processo dai magistrati della Procura di Roma.
Nel frattempo il “sor” (cioè “signore” in romanesco) Melucci si è dilettato a farsi chiamare “dottore” firmando atti per il Comune di Taranto finiti nelle aule di giustizia nei quali millantava persino una laurea mai ottenuta e tantomeno raggiunta. Ma non contento ha letteralmente dilapidato il “tesoretto” trovato nelle casse comunali grazie agli accantonamenti effettuati per circa 150milioni di euro dall’ oculata gestione amministrativa ricevuta in eredità dal sindaco uscente Ezio Stefàno, giunto al suo secondo mandato.
Sin dalla sua prima consiliatura, conclusasi con 6 mesi di anticipo, a seguito delle dimissioni di alcuni consiglieri della maggioranza di centrosinistra, Melucci ambiva ad organizzare degli eventi sporti internazionali nel capoluogo jonico, arrivando a chiedere un finanziamento (a spese delle casse comunali e quindi dei cittadini-contribuenti di Taranto) di 24 milioni di euro all’ Istituto di Credito Sportivo che all’epoca dei fatti era presieduto da Andrea Abodi attuale ministro dello sport del Governo Meloni.
Però sia Abodi che la Corte dei Conti sezione regionale per la Puglia, accesero il semaforo rosso, dopo aver letto i nostri articoli di denuncia sulla vicenda, e la regata non si fece, facendo risparmiare ben 24 milioni di euro ai contribuenti tarantini. Regata che si trasferì a Genova dove “L’impegno della civica amministrazione sui costi relativi all’organizzazione è stato previsto nella misura di 11 milioni e 800 mila euro”. Così si leggeva nelle prime pagine della delibera con cui la giunta del Comune di Genova il 17 settembre del 2019 dava l’avvio all’ operazione Ocean Race che vide svolgersi davanti al porto di Genova la fase conclusiva di questa importante manifestazione velica, seconda al mondo solo all’America’s Cup.
L’impegno di spesa per il triennio 2019-2022, poi slittò di un anno causa Covid, prevedeva tutta una serie di rate che andavano versate, in tempi definiti come da contratto, per garantire l’organizzazione della manifestazione e le molteplici presentazioni in giro per il mondo. Praticamente il Comune di Genova ha speso la metà di quanto prevedeva e voleva spendere il sindaco Melucci, e la sua compagine di centrosinistra, che definire un’ armata “Brancaleone” sarebbe più adeguato.
Non contento del “flop” sull’ Ocean Race, Melucci ha puntato successivamente sui semiclandestini Giochi del Mediterraneo, manifestazione ignorata letteralmente dalla grande stampa sportiva e non italiana ed internazionale: Basti pensare che nell’ultima di edizione svoltasi nel 2022 ad Orano la RAI non ha acquistato neanche i diritti televisivi della manifestazione e non ha inviato i propri giornalisti sportivi (sono oltre 120 in tutta Italia, uno squadrone!)
E peraltro la coincidente organizzazione delle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026 il cui comitato organizzatore avvalendosi di un top manager come Antonio Marano (ex-presidente di RAI Pubblicità) direttore commerciale della Fondazione Milano Cortina 2026. che ha sinora già raccolto mezzo miliardo di euro dalle sponsorizzazioni con investitori del calibro di Deloitte, Eni, Esselunga, Herbalife, Randstad, Salesforce, Grana Padano, Consorzio di tutela del Prosecco Doc (oltre 12.000 aziende in 9 Provincie italiane, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia) contro lo “ZERO” raccolto dal Comitato Organizzatore tarantino dei Giochi del Mediterraneo 2026 presieduto proprio da Rinaldo Melucci, lasciano presagire un analogo disinteresse dei media e degli investitori pubblicitari anche per la prosssima edizione dei Giochi del Mediterraneo.
Di fronte alla inaffidabilità ed incompetenza del vertice del Comitato organizzatore tarantino-barese dei ritardi (dopo 4 anni dall’ assegnazione di luglio 2019 ancora nulla di fatto !) il governo nelle persone dei Ministri Raffaele Fitto ed Andrea Abodi, avendo stanziato ben 150 milioni di euro per le opere ed impianti da realizzare, importo ben superiore ai 120milioni previsti del primo masterplan realizzato dall’ agenzia regionale pugliese ASSET guidata da quel Raffaele Sannicandro, messo di fatto nel recente passato alla porta dal CONI, che prevedeva altri 150milioni di euro di finanziamento dalla Regione Puglia e dai Comuni , soldi dei quali non si è visto un solo centesimo di euro !
Per non parlare poi dei 20milioni previsti dai “privati” (cioè dagli sponsors !) hanno commissariato la gestione economica finanziaria affidandola al nominato Commissario di Governo Massimo Ferrarese. Ma chi è Ferrarese ? Titolare di diverse società operanti nelle costruzioni, nella prefabbricazione industriale e nel turismo. Diviene presidente di Confindustria Brindisi dal 2004 al 2009 e dal 2007 al 2009 è stato componente della giunta nazionale di Confindustria durante la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo. Da giugno 2015 a gennaio 2019 è stato presidente di Invimit, la società dello Stato deputata alla valorizzazione e gestione del patrimonio pubblico italiano.
A luglio del 2009 Ferrarese si candidò alle elezioni amministrative come presidente della Provincia di Brindisi a capo di una coalizione chiamata Laboratorio. Nel primo turno ottiene il 44,4% delle preferenze riuscendo così accedere al ballottaggio contro Michele Saccomanno candidato del centro-destra che riesce a sconfiggere ottenendo il 57% delle preferenze. Quindi un politico-manager che può vantare senza alcuna ombra di dubbio esperienza e capacità ben superiori a quella dell’ accoppiata Melucci-Sannicandro.
Non contento delle folli dichiarazioni, delle minacce (“Possiamo anche fare a meno dei Giochi del Mediterraneo“) persino alla vigilia di Ferragosto , il sindaco Melucci che difficilmente si vedrà riconfermato alla Presidenza della Provincia di Taranto, secondo le voci circolanti negli ambienti vicini alla presidenza della Regione Puglia, ha ben…pensato di diffondere un comunicato farneticante affermando fatti e circostanze contrarie al vero, dimenticando che il Commissario Ferrarese rappresenta in questa vicenda il Governo che è un organo costituzionalmente superiore al Comune di Taranto.
Così scrive oggi Melucci (da dove, Crispiano o dalla sua nuova residenza tarantina…?) : “Avremmo tutti bisogno di metterci in fretta al lavoro, secondo la ampia e leale disponibilità che nuovamente abbiamo fornito al Governo nell’ultimo tavolo istituzionale a Roma invece continuiamo solo a vedere conferenze stampa e prese di posizione poco garbate, che nulla hanno a che vedere con l’esistente Masterplan dell’evento internazionale. Il Comune ha a più riprese reiterato il proprio invito ad un confronto tecnico e formale con la struttura commissariale, attendiamo fiduciosi. Sul progetto del nuovo stadio comunale, poi, debbo ancora una volta sottolineare che esso occorre alla rigenerazione dell’intero quartiere Salinella e ad una piazza importante come quella di Taranto. Se il Commissario è di diverso avviso deve lui prendersi la responsabilità con la comunità ionica. I tecnici dicono chiaramente che noi siamo nel giusto e il tempo sarebbe ancora sufficiente“.
Ma Melucci dimentica (o omette ? ) di raccontare la verità e cioè di aver avuto ben tre incontri sinora con il commissario Massimo Ferrarese il quale da noi contattato nel pomeriggio odierno dopo il comunicato di Melucci, molto signorilmente ha commentato con un “no comment” aggiungendo “io non faccio politica, sono un tecnico e rappresento il Governo“. Quello che il sindaco di Taranto Melucci non spiega ai cittadini, ed ai giornalisti locali (quelli liberi ed indipendenti) come mai nel secondo ed ultimo “masterplan” firmato digitalmente lo scorso 14.12.2022 da Raffaele Sannicando dg di ASSET Puglia (documento che il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di documentare in esclusiva) non è mai stato previsto nessuno stadio nuovo per Taranto ma bensì fondi per 18milioni di euro per la ristrutturazione dello Stadio Jacovone.
Anche perchè i Giochi del Mediterraneo sono una manifestazione sportiva, e non uno stanziamento per la “rigenerazione dell’ intero quartiere Salinella” come sostiene Melucci, che parla nel suo comunicato dello stadio definendolo “impianto comunale” senza però dire che vorrebbe darlo in gestione per 99 anni ad una società neocostituita (la Red Sport srl, capitale sociale 11.000 euro, costituita da appena un anno e che presso la banca dati delle camere di Commercio risulta come “inattiva“!) .
Così come Melucci non racconta dei 17.000 metri quadrati di spazi commerciali interni al progetto di uno stadio nuovo (a lui molto, troppo “caro”) che qualche “furbetti” vorrebbero mettere a reddito, utilizzando i 18milioni di euro pubblici previsti per la ristrutturazione dello Stadio Iacovone ! A chi fanno gola quegli spazi , solo alla Red Sport o forse dietro le quinte della tentata speculazione di qualcun altro che sta pensando al suo futuro economico dati i p risultati disastrosi sotto mentite spoglie di imprenditore ?
Melucci parla di progetti pronti e qualche altro “sodale” portaborse della sua Amministrazione sostiene che siano stati effettuati a spese del Comune di Taranto. Peccato che noin ci sia alcune delibera, alcuna determina che comprovi tali affermazioni di facciata !
Leggendo il masterplan allorquando viene indicato il termine “PDFTE”, oggi con i dovuti previsti pareri con il nuovo Codice si potrebbe già andare a gara. Analizzando le date dei progetti per gli impianti sportivi di Taranto, risultano le date di gennaio, febbraio e marzo 2023, e successivamente i progetti esecutivi avrebbero dovuto essere pronti a giugno, luglio e settembre 2023, ma i “PDFTE” che come indicato nel “masterplan” firmato digitalmente da Sannicandro (ASSET Puglia) avrebbero già dovuto essere pronti dal dicembre 2022 e gli esecutivi a giugno 2023 ! E di fatto quanto trasmesso dal Comune di Taranto al Commissario di Governo, al momento non può essere mandato in gara con appalto integrato, in quanto la struttura commissariale dovrebbe prima ricevere i “PDFTE” con i relativi pareri, e quindi successivamente il progetto esecutivo diventerebbe di competenza delle imprese costruttrici.
Ma tutto questo chi glielo spiega ad un ex agente marittimo come Melucci ed un ex assessore di un piccolo comune del barese come Sannicandro ? Forse i “due tecnici” comunali dalle discutibili competenze alle dipendenze del sindaco Melucci, molto noti per passare il loro tempo nei ristoranti tarantini a spese di un importante imprenditore operante nello smaltimento dei rifiuti ? E’ proprio il caso, anche questa volta di parlare di “politica-spazzatura” ! Redazione CdG 1947
Giochi del Mediterraneo. Il silenzio dei soliti “noti” e le fake news della stampa locale. Il Corriere del Giorno il 3 Agosto 2023
di Antonello de Gennaro
Massimo Ferrarese, commissario straordinario nominato dal Governo per la realizzazione degli interventi necessari allo svolgimento dei XX Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026 questa mattina ha incontrando i giornalisti per fare il punto della situazione. Assenti ingiustificati rappresentanti del Comune di Taranto e della Regione Puglia, che hanno perso il giocattolo (degli appalti) , vivono da due mesi di comunicati stampa imbarazzanti e di grandi menzogne a cielo aperto . “Se il Governo ha nominato un commissario vuol dire che qualcuno è stato commissariato. – ha esordito Ferrarese – Il ruolo che mi è stato assegnato consente delle strade in più per accelerare e agevolare il percorso. Lo scorso 6 giugno quando sono stato nominato per prima cosa ho inviato una PEC a tutti gli attori per ottenere i progetti esecutivi.” “Dobbiamo recuperare il tempo perso – ha aggiunto Ferrarese – voglio accelerare, voglio andare al massimo. Quindi siamo qui per questo. Per farlo però c’è bisogno in questo momento di un pit-stop. Dobbiamo fermarci un attimo e ripartire più forte di prima auspicando la collaborazione da parte di tutti“.
Ferrarese ha subito fatto dei necessari chiarimenti: “ Ad oggi sono solo otto i progetti presentati per i Giochi del Mediterraneo da tutti i comuni interessati (Avetrana, Crispiano, Grottaglie, Laterza, Lecce, Martina Franca, Statte,e Torricella e, nessuno dal Comune di Taranto da cui ho ricevuto solo quattro DIP (cioè documento di indirizzo programmatico n.d.r. ) relativi a Campo Scuola per lo stadio di Atletica, Palamazzola, lo stadio di Talsano, i giardini della Villa Peripato (che sarebbe interessante capire che manifestazioni sportive dovrebbero ospitare) e quattro PFTE (progetto di fattibilità tecnico-economica) per il PalaRicciardi, lo stadio del nuoto, zona Torpediniere e la palestra di Paolo VI.
Secondo il commissario Ferrarese “i problemi si risolvono solo con la collaborazione , quindi una grande apertura a tutti i sindaci, soprattutto a quello di Taranto. Sicuramente i 150 milioni che sono già stati messi a disposizione del commissario dal Governo non basteranno. Serviranno altre decine di milioni per realizzare i Giochi e stiamo lavorando per questo. Sono convinto che il governo lavorerà in tal senso“.
Con grande stile istituzionale Ferrarese non ha fatto alcun riferimento alla circostanza che nel primo “masterplan” presentato al Comitato Internazionale nel luglio di ben 4 anni fa, nel 2019, per aggiudicarsi l’edizione 2025 (poi causa Covid, slitta al 2026) realizzato da Elio Sannicandro, direttore generale dell’ agenzia regionale ASSET , il contributo pubblico dello Stato era previsto per 120milioni, di cui 100 per opere ed infrastrutture e 20milioni per l’organizzazione. E che dei 142 milioni di euro previsti a carico di Regione, Comune ed altri Enti Locali non si è visto un solo euro. Per non parlare poi dei 28 milioni di euro previsti ed indicati a carico dei “privati” (cioè gli sponsor). Figuriamoci se la la stampa tarantina in gran parte a libro paga della politica pugliese faceva qualche domanda del genere.
Il solito Domenico Palmiotti, giornalista pensionato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, negli ultimi tempi diventato frequente collaboratore nel nuovo Quotidiano di Puglia, noto dispensatore onnipresente di “like” ed elogi pubblici rivolti al Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, questa mattina ha sciorinato una serie. di fesserie colossali: “I 150 milioni che a marzo 2022 il Parlamento deliberò per i Giochi nell’ambito del decreto Sostegni Ter, non sono ancora arrivati. Ferrarese dice che ci sono, arriveranno, ma questi soldi sono già insufficienti per tre motivi. Uno noto da tempo, ovvero che il masterplan iniziale prevedeva un sostegno finanziario maggiore, nell’ordine di almeno un centinaio di milioni in più, e questo dovrà necessariamente portare ad asciugare il masterplan stesso“
le “fake news” pubblicate dal Nuovo Quotidiano di Puglia
Cosi continuava a scribacchiare Palmiotti: Sino a ieri perché la coperta era corta, oggi perché non c’è più tempo per fare quello che si era preventivato. Al motivo noto, se ne sono aggiunti recentissimamente altri due: i costi delle opere complementari ai Giochi (l’accoglienza, i villaggi sportivi, la logistica, l’organizzazione) e il rincaro dei materiali edili necessari a costruire impianti sportivi e strutture connesse. Chi li mette questi soldi? Emiliano dice che la Regione è pronta a versare 40 milioni di euro non appena il ministro Raffaele Fitto assegnerà la quota del Fondo di Sviluppo e Coesione che spetta alla Regione Puglia: 4,6 miliardi.“
Se questo giornalista…avesse letto una sola volta il masterplan di cui scrive… (sembrerebbe sotto dettatura) avrebbe potuto rendersi conto che i soldi mancanti sono i 142 milioni di euro previsti a carico della Regione Puglia e del Comune di Taranto ! Così come Palmiotti ignora (o finge di ignorare) che i costi delle opere complementari ai Giochi (l’accoglienza, i villaggi sportivi, la logistica, l’organizzazione) erano già previsti ed inclusi sin dal primo “Masterplan” del 2019.
Per non parlare poi di un giornaletto online tarantino, edito da un “compra oro” (una di quelle società che prosperano grazie alla disperazione economica della povera gente che si vende ogni affetto ed effetto personale pur di tirare a campare. Attività legittima, sia chiaro, ma eticamente poco ammirevole. Come si fa a stimare chi vive sulla disperazione altrui ? ebbene in un articolo che vi risparmiamo, per decenza del vostro (e nostro) intelletto, è stata pubblicata la seguente nota a margine: “Il Commissario Ferrarese afferma di aver ricevuto soltanto negli ultimi giorni i progetti, uno addirittura la scorsa notte. Dal Comitato Organizzatore fanno sapere che i primi file dei progetti sono stati inviati al Commissario, così come al Ministro dello Sport ed a quello degli Affari Europei in data 24 giugno. Poi sono stati rimandati, sempre al Commissario, martedì 25 luglio e lo stesso Ferrarese venerdì sera, 28 luglio, ha chiesto di rimandarli perché non riusciva ad aprire gli allegati che gli sono stati inoltrati nuovamente tra martedì e ieri”.
Probabilmente il “portavoce” in questione, chiamarlo Direttore sarebbe un’offesa a tutti quei bravi direttori che si assumono le responsabilità della propria redazione e collaboratori, non sa che quando si mandano documenti “pesanti” quasi sempre non si aprono, e che i progetti di cui parla sotto dettatura di qualcuno…(del Comitato Organizzatore ? ) sono stati giudicati incompleti ed irricevibili dal Governo, ed in particolare dal ministro dello Sport Andrea Abodi che nel suo precedente dell’istituto finanziario di diritto pubblico “Credito Sportivo” di progetti ne ha visti analizzati, studiati e finanziati in tutta Italia, sicuramente più di Emiliano, Melucci e Sannicandro ed i loro tecnici messi insieme. Ecco perchè sono stati commissariati !
Possibile che nessuno si sia chiesto: ma come mai un Commissario di Governo tiene una conferenza stampa e nessuno delle istituzioni pubbliche è presente e partecipa per garbo e rispetto istituzionale ? E nessuno ha mai chiesto invece al Comune di Taranto ed all’ Asset “come mai avete trasmesso il progetto di project financing per un nuovo stadio a Taranto soltanto alle 2 della notte precedente alla conferenza stampa ?“.
Il vero punto di rottura fra Melucci e Ferrarese è il desiderio ardente del primo cittadino di Taranto di fare realizzare uno stadio nuovo demolendo l’attuale Iacovone nel quartiere Salinella per utilizzando l’area per la costruzione di un nuovo che impianto costerebbe circa 50 milioni di euro. “Con un project financing (per una durata di 99 anni che Palmiotti occulta e non cita !!! ) una società si è candidata, il Comune vorrebbe farne uno nuovo. Un nuovo stadio riqualifica la città, dice Melucci” scrive Palmiotti che ben si guarda e si degna di spiegare e rendere noto a quei pochi lettori che ormai lo leggono data la crisi perdurante della carta stampata in Puglia e non solo…, che quella società (Red Sport srl) ha solo 11mila euro di capitale sociale, è stata costituita appena un’ anno fa e dalle visure societarie della Camera di Commercio risulta inattiva, e vorrebbe mettere le mani su 25milioni di euro di contributo pubblico a fondo perduto (che era previsto per la ristrutturazione dello stadio Iacovone) per realizzare intorno ed all’interno 17.000 metri quadri di spazi commerciali da mettere a reddito. Un’operazione al limite del codice penale, che per fortuna non si farà mai. Ed adesso Sannicandro e Melucci , in compagna di Ferrara non resta altro che andare a giocare con i mattoncini della Lega e costruirsi il loro stadio dei sogni a spese proprie e non certo dei contribuenti !
In relazione allo stadio Erasmo Iacovone, il principale impianto sportivo a Taranto il Commissario Ferrarese ha reso noto di aver ricevuto “solo la scorsa notte il project financing dello Iacovone, anche se ero già a conoscenza di questo progetto, nonostante nel masterplan si parli di chiaramente riqualificazione e adeguamento dell’impianto. Ho già parlato con 15 tecnici e tutti hanno ribadito che il progetto dello stadio ex novo è irrealizzabile nei tempi a disposizione. Io ho il dovere di far funzionare l’opera entro febbraio 2026, ecco perché immagino un restyling di alto livello per lo Iacovone, con copertura totale e 25mila posti utilizzabili contro i 16mila previsti dall’altro progetto“.
Quanto alla decisione del Coni di uscire dal Comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo per non danneggiare la reputazione ed immagine della massima istituzione sportiva dello Stato, il commissario Ferrarese ha detto che “il presidente Malagò ha voluto fare un cambio di passo ed è sicuramente quello che chiedo anche io“. In conclusione, Ferrarese ha annunciato di aver raggiunto accordi con Eutalia società del Ministero dell’Economia e delle Finanze e Sport e Salute quale centrale di committenza del ministero dello Sport, società dello Stato e la struttura operativa del Governo per la promozione dello sport e dei corretti stili di vita incaricata anche di distribuire i contributi pubblici agli Organismi sportivi. La Società Sport Salute è anche proprietaria dello Stadio Olimpico e gestisce in concessione il Parco del Foro Italico. In questa veste, oltre ad ospitare le partite di Roma e Lazio, organizza manifestazioni sportive di rilievo mondiale. Nel 2022 sono stati 19 gli eventi al cui svolgimento Sport e Salute ha contribuito con le sue strutture e le sue competenze. Dagli Internazionali di tennis al trofeo di rugby Sei Nazioni, solo per citare due esempi. E non solo a Roma. La Società infatti collabora all’organizzazione, tra gli altri eventi, delle Nitto Atp Finals e del Next Gen.
Antonello de Gennaro. Giornalista professionista dal 1985 ha lavorato per importanti quotidiani e periodici, radio e televisioni nazionali in Italia ed all’estero. Pioniere dell’informazione sul web è ritenuto dei più grossi esperti di comunicazione su Internet.
Incendio allo stadio di Taranto: giallo sui lavori mai completati. Un fumogeno è finito su materiale infiammabile accatastato in curva sud. Dubbi sui lavori di riqualificazione dell'impianto. Annarita Digiorgio il 4 Settembre 2023 su Il Giornale.
È andata a fuoco ieri sera, dopo la partita di serie C con il Foggia, la curva sud dello stadio Iacovone di Taranto. Danni ingenti, ma nessun ferito. Lo stadio è stato dichiarato inagibile e la Procura ha aperto un'inchiesta coordinata dal sostituto Francesca Colaci. Le indagini sono condotte dalla Polizia che sta visionando i filmati delle telecamere della videosorveglianza. Ed è proprio dai video amatoriali diffusi sui social che emerge come le fiamme siano state provocate dal fatto che uno dei fumogeni lanciati dai tifosi del Foggia è finito su del materiale infiammabile accatastato sotto la curva sud. Si tratta di rotoli di rivestimento delle piste di atletica, con una componente in gomma, che hanno facilmente preso fuoco. Ora si dovrà accertare chi, e per quali ragioni, abbia autorizzato il deposito del materiale sotto la curva.
Da ieri infatti le immagini dell’incendio vengono diffuse sui social insieme a quelle dell’assessore ai lavori pubblici di Taranto, Mattia Giorno del Partito democratico, che a marzo si fotografava con questi rotoli in bella mostra, presso un’azienda di Alba: “L’arrivo della gomma ci permetterà di avviare l’ultima fase del cantiere, cosi da poter consegnare alla città tutta la struttura già per l’inizio della prossima estate” scriveva l’assessore Giorno a marzo scorso.
Ma, nonostante i roboanti annunci, la pista d’atletica non è mai stata completata, e non si sa chi ha stoccato quei rotoli infiammabili sotto al curva dello stadio destinata ai tifosi in trasferta, senza nessuna precauzione di sicurezza. E infatti la parte dello Iacovone andata a fuoco è solo quella dove erano accatastati i rotoli per la pista di atletica leggera destinata al nuovo camposcuola. Camposcuola in rifacimento dal 28 gennaio 2020 e ad oggi ancora in alto mare.
Su questo il consigliere comunale della Lega a Taranto, Francesco Battista, ha presentato una interrogazione all'assessore del pd Mattia Giorno: " Ho chiesto se il materiale fosse frutto di una fornitura o anche di eventuale posa in opera, se lo stoccaggio rispettasse tutte le norme di sicurezza in termini di luogo e conservazione e chi ha autorizzato questo atto, se è stato fatta una quantificazione dei danni e per ultimo se è stata istituita o si ha intenzione di istituire una commissione interna per verificare eventuali responsabilità". Come nota il consigliere Battista "in fumo sono andate diverse migliaia di euro di soldi dei tarantini per l’acquisto del materiale e altri se ne andranno per ripristinare la curva sud".
La decisione di inibire tutto lo stadio - dove domenica sarebbe arrivato il Brindisi per incontrare il Catania perché lo stadio della città adriatica è chiuso per lavori di ristrutturazione - è stata presa in attesa di verificare se l'incendio ha provocato danni anche alle strutture delle altre parti dell'impianto sportivo.
"Il Calcio Foggia 1920 è vicino alla società Taranto F.C. e alla città di Taranto", scrive il club in una nota, "per quanto accaduto nella serata di ieri allo 'Iacovone. Speriamo che le indagini, già partite, portino immediatamente alla luce la natura dell'incendio divampato e che qualora ci fosse il dolo, i responsabili vengano puniti. Il Calcio Foggia 1920 si rende disponibile, sin da subito, a collaborare con gli organi competenti".
Ieri sera allo Iacovone c'erano 10mila spettatori, circa 250 i tifosi del Foggia, di cui una cinquantina arrivati solo a secondo tempo già cominciato a causa di un tamponamento sulla statale 106 Ionica all'altezza di Chiatona. Dopo la partita, tutti i tifoso foggiani hanno lasciato lo stadio scortati dalle forze di polizia. Per lo stadio erano già in programma lavori di ristrutturazione grazie ai finanziamenti pubblici da fruttare per i Giochi del Mediterraneo 2026. Ma proprio intorno a questa struttura è nata la diatriba che ha portato al commissariamento dei giochi dal parte del governo.
Infatti bypassando il masterplan di candidatura, il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci con il comitato organizzatore gestito da Michele Emiliano, aveva proposto il totale abbattimento e ricostruzione dello stadio, diminuendone i posti, ma con negozi commerciali, un hotel alto 80 metri, per oltre 50 milioni di fondi pubblici da fare entro tre anni.
E proprio per le diatribe, Giovanni Malagò ha fatto uscire il Coni dal comitato organizzatore abbandonando i Giochi del Mediterraneo 2026 al loro destino, quisquilie, e interessi locali, nonostante i 150 milioni di fondi pubblici stanziati.
Incendio allo stadio Iacovone: il valzer delle bugie e delle responsabilità occultate. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 5 Settembre 2023
Incendio allo stadio Iacovone: il valzer delle bugie e delle responsabilità occultate.
L'incendio è divampato nuovamente anche questa mattina. Un'altra responsabilità è secondo noi in capo al Prefetto di Taranto che ha consentito la presenza dei tifosi dauni, che per la cronaca hanno fatto vincere il "premio multe" della Lega al Foggia Calcio, a seguito delle loro intemperanze (a dir poco...) su tutti gli stadi di serie C. Non si capisce sulla base di quale ragionamento a dir poco insensato sia stata data questa autorizzazione
di Antonello de Gennaro
Partiamo dai fatti documentati che abbiamo riscontrato personalmente in quanto eravamo allo stadio domenica sera e ci siamo tornati lunedì mattina per fare alcune verifiche, nonostante l’ingiustificato ostruzionismo ricevuto da uno sprovveduto arrogante appartenente della Polizia di Stato, che come ho già reso noto al questore di Taranto ed al Dipartimento di PS del Ministero dell’ Interno, provvederò a denunciare nelle prossime ora.
Domenica sera al 60′ di gioco, la partita era iniziata alle 20:45, hanno fatto ingresso in curva Sud un gruppo di tifosi dauni al seguito del Foggia Calcio che appena arrivati sugli spalti hanno iniziato a lanciare razzi, fumogeni e petardi in campo e persino in direzione della tribunale laterale, nel totale immobilismo degli steward del Foggia Calcio che erano al seguito dei tifosi dauni, probabilmente in “gita-premio” visto che non hanno fatto pressoche nulla per fermarli ! Quindi solo un osservatore distratto o credulone potrebbe credere alla circostanza che la “comitiva” dei tifosi dauni sia stata attentamente controllata dalle forze dell’ ordine, in quanto quello che è accaduto è successo davanti agli occhi di oltre 10 mila tifosi del Taranto Calcio presenti allo stadio che hanno dato una prova di grande civiltà ed attaccamento alla squadra guidata da mister Ezio Capuano.
Nel frattempo all’ingresso della curva nord dei tifosi del Taranto gli steward e le forze dell’ordine volevano controllare persino le buste dei genitori che avevano portato allo stadio i propri figli, contenenti panini e focacce per tamponare la fame serale. Quindi non si riesce a capire tanto “rigore” nei confronti dei tifosi locali ed altrettanta superficialità e leggerezza nei confronti dei tifosi al seguito del Foggia. Un’altra evidente responsabilità è in capo al Prefetto di Taranto che ha consentito la presenza dei tifosi dauni, che per la cronaca hanno fatto vincere il “premio multe” della Lega al Foggia Calcio, a seguito delle loro intemperenze (a dir poco…) su tutti gli stadi di serie C, non si capisce sulla base di quale ragionamento a dir poco insensato.
L’incendio come dichiarato anche dall’ing. Giovanni Pietroforte, vice comandante dei Vigili del Fuoco di Taranto è stato causato da dei razzi finiti negli spazi sottostanti la curva sud, dove il personale del Comune di Taranto aveva alloggiato i tappeti di gomma (materiale infiammabile) prodotti dall’ azienda “Mondo” acquistati dal Comune per la pista di atletica in fase ri ritardata realizzazione nel quartiere Salinella. “Eravamo presenti allo stadio perché svolgiamo un servizio di vigilanza antincendio. A fine partita, il funzionario di turno ha notato una nube di fumo che si alzava proprio in corrispondenza della Curva Sud. Quindi ha allertato il personale presente nell’impianto. Sul posto sono giunte anche due squadre dei distaccamenti “Porto” e “Grottaglie” con relative autobotti. L’incendio è stato completamente estinto solo alle prime luci dell’alba“ aggiungendo e spiegando che “a prendere fuoco sono stati materiali gommosi che, per loro natura, si raffreddano con molta difficoltà“.
Resta da chiedersi però come mai allo stadio non fosse presente neanche una piccola autobotte dei Vigili del Fuoco , che peraltro per la loro presenza (obbligatoria) vengono anche retribuiti per circa 700 euro a partita dal Taranto Calcio. Una presenza-assenza che ha fatto sviluppare l’estensione dell’incendio, Inoltre come mai sono intervenute le squadre dei distaccamenti del Porto e nel comune di Grottaglie, quasi 20 vigili del fuoco allorquando il quartiere generale dei Vigili del Fuoco è distante qualche centinaia di metri dallo stadio Iacovone ? Quesiti che ci auguriamo possano essere chiariti dalle indagini della procura affidate al sostituto procuratore dr.ssa Francesca Colaci.
Altrettanto imbarazzante è la dichiarazione del sindaco di Taranto Melucci, presente allo stadio solo nel primo tempo, senza l’inseparabile “staffista” al seguito indossando una maglia rossoblu, vecchia ed obsoleta riportante uno sponsor che non c’è più: ” L’amministrazione comunale ha avviato tutte le verifiche di natura amministrativa rispetto all’episodio verificatosi nella serata di ieri all’interno dello stadio “Erasmo Iacovone”. Gli uffici tecnici stanno quantificando i danni provocati dall’incendio scoppiato nell’area della curva sud e l’intera macchina amministrativa si è messa a disposizione degli inquirenti per consentire il tempestivo accertamento delle responsabilità”.
“Al netto di queste verifiche, imprescindibili – le parole del sindaco Rinaldo Melucci – dobbiamo concentrarci sull’episodio e condannarne senza remore la gravità. Quel che è accaduto allo stadio “Erasmo Iacovone”, dopo la festa per l’esordio di campionato, è inammissibile, si scontra violentemente con il concetto di sport e di sana competizione che coltiviamo. Ci auguriamo che i responsabili vengano presto individuati dall’autorità giudiziaria, nel frattempo mi preme ringraziare i Vigili del Fuoco e tutte le forze dell’ordine per l’encomiabile lavoro svolto in queste ore“.
Dichiarazioni di facciata, quelle di Melucci che evidentemente o mente o finge di non sapere, che la responsabilità di chi ha lasciato quei materiali gommosi infiammabili è proprio della sua Amministrazione, che lo scorso 24 marzo si “beava” ed elogiava da sola, per voce dell’ assessore Mattia Giorno, il quale continua a manifestare la sua scarsa esperienza amministrativa ed inadeguatezza nel ruolo che ricopre. Infatti l’ assessore scriveva: ” abbiamo formalmente ricevuto i circa 500 rotoli che andranno a comporre la superficie blu in gomma, come la stessa utilizzata per le Olimpiadi di Tokyo del 2020 e i prossimi mondiali di Budapest 2023. È stato un importante momento di confronto sul settore dell’impiantistica sportiva, centrale nello sviluppo della città per i prossimi anni. L’arrivo della gomma ci permetterà di avviare l’ultima fase di cantiere, così da poter consegnare alla città tutta la struttura già per l’inizio della prossima estate“
In realtà basta passare davanti al vecchio campo scuola nel quartiere Salinella, a qualche centinaio di metri dallo stadio Iacovone, dove è prevista la realizzazione di una pista di atletica per i Giochi del Mediterraneo 2026 per rendersi conto con i proprio occhi dell’immobilismo e dello stato di fermo totale del cantiere, verifiche queste che nessun organo di (presunta) informazione locale si è mai guardato di andare a vedere e documentare, preferendo affidarsi alle dichiarazioni e comunicati che arrivano nelle redazioni tarantine da Palazzo di Città. Melucci dovrebbe chiedersi innanzitutto qualcosa, e lo aiutiamo… noi : chi ha autorizzato la giacenza dei rotoli di gomma della pista d’atletica sotto la curva Sud ? Chi risponderà dei danni di 400mila euro per la pista di atletica in gomma andata distrutta dall’incendio ?
Su quanto accaduto si è espresso anche il Foggia, attraverso una nota ufficiale pubblicata sul sito della società dauna: “Il Calcio Foggia 1920 è vicino alla società Taranto e alla città di Taranto per quanto accaduto speriamo che le indagini, già partite, portino immediatamente alla luce la natura dell’incendio divampato e che qualora ci fosse il dolo, i responsabili vengano puniti. Il Calcio Foggia 1920 si rende disponibile, sin da subito, a collaborare con gli organi competenti”.
Quello che resta da capire è se il provvedimento di sequestro è solo per la curva Sud o dell’intero stadio in attesa di verificare se l’incendio ha provocato danni anche alle strutture degli altri settori, in particolare della tribuna confinante con la curva sud Nel secondo caso sarebbe un danno enorme logistico ed economico per la società del Taranto Calcio, ma anche del Brindisi Calcio che domenica 10 settembre ha in programma proprio allo stadio Iacovone Brindisi-Catania, essendo lo stadio Fanuzzi di Brindisi chiuso per lavori di ristrutturazione. Ma al Comune di Taranto in realtà importa solo incassare il canone di affitto dello stadio, o fare qualche passerella “omaggio”…..
Questa mattina incredibilmente si è riacceso l’incendio nella curva Sud dello stadio Iacovone, circostanza che comprova l’inefficacia delle operazioni svolte dai Vigili del Fuoco nella serata di domenica e nella mattinata di lunedì, nonchè la sciagurata mancata rimozione e trasferimento dei materiali gommosi sotto la curva Sud dello stadio che si sono incendiati nuovamente questa mattina, in quanto i rilievi della Polizia Scientifica sono stati effettuati nella giornata di ieri.
Inutilmente abbiamo cercato di contattare l’ Ing. Giuseppe Merendino comandante provinciale di Taranto dei Vigili del Fuoco, che ci viene riferito sarebbe da ieri a Bari, così come non ci è stato possibile rintracciare telefonicamente nessun altro dirigente provinciale. Abbiamo quindi contattato telefonicamente il direttore regionale Ing. Giampietro Boscaino il quale non ha saputo fornire alcuna spiegazione arrivando a dirci “chieda un appuntamento e così di persona le rispondo” manifestando un’inadeguatezza per il ruolo ricoperto. Abbiamo provato anche a contattare il corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, ma ci è stato riferito dalla segreteria dell’ Ing. Carlo Dall’Oppio comandante nazionale del corpo, che il responsabile dei rapporti con la stampa “è impegnato in una riunione per preparare un evento”….
Nel frattempo nostre fonti locali riferiscono che i Vigili del Fuoco di Taranto sostengono che si tratti di un episodio di “autocombustione“, ipotesi questa però difficile da credere dopo che sono passate 48h dal primo incendio e sopratutto dopo ed il forte acquazzone calato sulla città di Taranto fra ieri sera e stanotte !
Nel primo pomeriggio il Sindaco di Taranto ha diffuso questo comunicato: “Il sindaco ha riunito stamane gli uffici tecnici del Comune di Taranto, per pianificare nel dettaglio le azioni possibili ai fini della più rapida fruizione in sicurezza degli spazi dello stadio “Iacovone”, almeno quelli non ammalorati dall’incendio appiccato dai tifosi del Foggia in occasione dell’ultima gara del campionato di Lega Pro. Previa opportuna istanza alle autorità di polizia e giudiziarie, gli uffici tecnici effettueranno quanto prima un sopralluogo volto a verificare la situazione strutturale della curva sud e le implicazioni del sinistro sul resto dell’impianto comunale. Dopo sarà presumibilmente la volta dei ripristini, nel più breve tempo possibile, in danno come da norme della Lega Pro alla società di calcio ospite”.
Il comunicato continua: “Con riguardo al materiale attualmente stoccato nello stadio comunale, nell’attesa delle disposizioni degli inquirenti che ne consentano l’evacuazione, gli uffici tecnici stanno provvedendo alla rimodulazione del cronoprogramma di interventi riferibili al completamento dello stadio Valente“. Melucci non dice una sola parola sulle responsabilità dello stoccaggio di materiale infiammabile sotto la curva da sempre riservata alle tifoserie ospitanti !
“Non voglio più commentare l’inciviltà, sembra nemmeno nuova, di certa tifoseria. Faremo tutto quanto nelle nostre possibilità per agevolare un rapido rientro agli allenamenti e alle gare ufficiali dei rossoblu – ha commentato a margine del tavolo di lavoro il primo cittadino ionico – siamo in stretto contatto con lo staff del presidente Massimo Giove e desideriamo ringraziare di tutta la costante collaborazione il signor questore di Taranto Massimo Gambino e il signor prefetto di Taranto Demetrio Martino”.
queste le condizioni in cui versa la (non)realizzazione del nuovo stadio di atletica alla Salinella
Fermo restando i comportamenti delinquenziali dei tifosi al seguito del Foggia, Melucci sconfina nel ridicolo: “Restiamo anche tutti impegnati per evitare problemi al cantiere del nuovo stadio di atletica, che nei prossimi giorni visiteremo insieme all’impresa incaricata, confidiamo di mantenere una consegna dei lavori entro l’inizio del nuovo anno. Inviterei, perciò, tutti a terminare ogni strumentalizzazione ai danni della città: dimostriamoci una volta tanto una comunità matura, che fa le cose che si devono fare. Colgo, in ultimo, occasione per invitare i residenti del quartiere Salinella a tenere le finestre chiuse in queste ore di ulteriore attività nello stadio comunale“. In realtà il cantiere del nuovo stadio di atletica, come abbiamo documentato ieri, è fermo da mesi ! Redazione CdG 1947
Le squallide speculazioni del Comune di Taranto sullo stadio Iacovone. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 7 Settembre 2023
L'obiettivo del nuovo stadio è, quindi per il sindaco Melucci, la rigenerazione del quartiere Salinella come la mitigazione del rischio idraulico. Rigenerazione che l' Amministrazione Melucci avrebbe potuto realizzare con i propri fondi senza scialacquare sinora 8 milioni euro per le regate di Sail GP oltre agli altri 4 previsti di spesa nel 2024 per un totale di 12 milioni di euro
“Registrando i fatti che stanno succedendo e vedendo come reagiscono le strutture, è imprescindibile immaginare una nuova infrastruttura e non un restyling dell’esistente”. con queste dichiarazioni il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, si improvvisa “tecnico” senza di fatto esserlo, e prospetta scenari a dir poco vergognosi sulla sua idea per lo stadio Erasmo Iacovone all’indomani dell’incendio e alla vigilia dell’incontro di oggi con il commissario di Governo dei Giochi del Mediterraneo, Massimo Ferrarese.
Melucci ha reso queste dichiarazioni in occasione della presentazione di 56 nuovi autobus ibridi, dopo la sua ordinanza di interdizione temporanea dello stadio interessato domenica scorsa da un incendio che ha interessato la curva sud dopo il derby contro il Foggia. E quando gli vengono chieste le ragioni per cui quale il materiale infiammabile fosse depositato sotto i gradoni della curva sud , da sempre riservata alle tifoserie ospiti, così risponde: “Tutti si stanno accanendo su un fatto che non è in discussione. Poi faremo le verifiche tecniche del caso. Sembra quasi che il reato lo abbia commesso chi ha stoccato del materiale in tutta sicurezza, perché senza il fumogeno entrato allo stadio non si sarebbe sviluppato l’incendio”.
Quello che Melucci o non capisce o finge di non capire è che in tutta Italia le tifoserie nonostante i controlli più o meno efficaci delle forze dell’ ordine e degli stewart delle società (che non posso fare perquisizioni personali) riescono a fare entrare, razzi, petardi e fumogeni. Soltanto uno sprovveduto (o un deficiente, a seconda dei pareri) può depositare del materiale infiammabile sotto la curva ospiti. Inoltre Melucci manifesta la propria ignoranza istituzionale e giuridica quando parla di “fatto non in discussione” quando invece lo è a parere della Digos e della Procura, che sono gli unici poteri dello Stato a poter fare queste valutazioni, e non certo un agente di servizi portuali diventato sindaco ” a sua insaputa” !
Il sindaco di Taranto continua nel suo sproloquio al solito giornale barese amico e “sodale” della sua Amministrazione comunale da cui ha incassato non pochi soldi, allorquando dichiara: “Quello dello Iacovone è un lavoro che richiede programmazione, risorse, burocrazia e tante questioni tecniche. Ognuno si prenda le sue responsabilità. Vogliamo ragionare insieme delle cose che si possono fare. Io mi permetto di ricordarlo, come ho già fatto con il commissario Ferrarese e so che lui condivide questo pensiero, noi non facciamo i giochi per fare una festicciola più grande nell’estate del 2026″.
Equi esce la verità ben nota a tutti : Melucci insieme a Sannicandro (Asset Puglia) volevano gestire gli appalti: ” Facciamo i Giochi del Mediterraneo per rigenerare i quartieri di Taranto, con una leva pubblica che altrimenti non avremmo trovato altrove. E l’intento di lasciare un’eredità importante al mondo dello sport e dell’associazionismo tarantino“. L’obiettivo del nuovo stadio è, quindi per il sindaco Melucci, la rigenerazione del quartiere Salinella come la mitigazione del rischio idraulico. Rigenerazione che l’ Amministrazione Melucci avrebbe potuto realizzare con i propri fondi senza scialacquare sinora 8 milioni euro per le regate di Sail GP oltre agli altri 4 previsti di spesa nel 2024 per un totale di 12 milioni di euro ! Ma i giornalisti locali ben si guardano dal fare domande e contestare certe follie derivanti da una nota mania di “protagonismo”. E non solo….
In relazione ai fondi necessari il sindaco Melucci insiste: “Se le cose si possono fare e ci sono anche i promotori privati si faranno (dimenticando di ricordare una gestgione privata di uno stadio nuovo per 90 anni ! n.d.a.) , altrimenti faremo altri progetti. La città ne beneficerà. Usciamo tutti da questa querelle. Dobbiamo fare i giochi, dobbiamo rinnovare l’infrastruttura sportiva della città, creare qualcosa di importante per il quartiere Salinella e troveremo nelle prossime ore la soluzione più adeguata. Spesso capitano tante cose complicate – continua il sindaco – come in tutte le comunità che fanno grandi sforzi, però ci dimentichiamo di vedere tutte le cose buone che funzionano e che ci fanno fare bella figura, frutto di programmazione che viene da lontano e che non nasce oggi“.
Ma quali sarebbero le cose buone che funzionano, e che fanno fare bella figura alla città di Taranto “frutta di una programmazione che viene da lontano” non è dato saperlo figuriamoci poi se qualche pennivendolo o scribacchino locale si degna di chiederlo ! Altrimenti poi mancette e markette come arrivano ?
Redazione CdG 1947
Il Coni contesta il Comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo e si tira fuori. Antonello de Gennaro Il Corriere del Giorno il 31 Luglio 2023
Malagò: il “perdurante e irrisolto stato di impasse, che ha portato a palesi ritardi nella realizzazione delle opere infrastrutturali e nell'organizzazione in generale” necessita di una svolta "che consenta di riprendere il cammino nell'interesse di tutti gli stakeholders, dei vostri e nostri rispettivi ruoli".
di Antonello de Gennaro
Le stupide minacce mediatiche , le incapacità gestionali e le critiche fuori luogo di due dilettanti allo sbaraglio (leggasi Melucci e Sannicandro) hanno indotto il Coni ad uscire fuori dal Comitato Organizzatore dei Giochi del Mediterraneo 2026. La lettera inviata dal presidente del Coni Giovanni Malagò ai Ministri Andrea Abodi (Sport e giovani ) e Raffaele Fitto (Affari Europei) e , al Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, al sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, al presidente del Comitato internazionale dei Giochi del Mediterraneo, Davide Tizzano, e al Commissario straordinario, Massimo Ferrarese, altro non è che un’inconfutabile e pesante critica all’attuale governance, cioè all’ attuale Presidente che è il Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci ed il direttore generale Elio Sannicandro una vecchia conoscenza del CONI che anni fa lo mise praticamente alla porta.
Il documento che il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di fornirvi in visione in esclusiva, grazie a delle autorevoli “fonti” romane, è molto chiaro: il “perdurante e irrisolto stato di impasse, che ha portato a palesi ritardi nella realizzazione delle opere infrastrutturali e nell’organizzazione in generale” necessita di una svolta “che consenta di riprendere il cammino nell’interesse di tutti gli stakeholders, dei vostri e nostri rispettivi ruoli”.
La lettera a firma del presidente del Coni Giovanni Malagò è molto chiara: “riteniamo di fare un passo indietro rispetto all’ attuale governance del comitato organizzatore, con l’auspicio che questa presa di posizione formale possa essere condivisa da tutti i soggetti interessati, per ricostruire con la massima urgenza un modello gestionale che possa concretizzare al meglio ogni attività finalizzata all’ ottimale svolgimento dell’ evento“
Malagò conclude la sua lettera rimanendo “fiducioso ed ottimista che ci sono e continuano ad esserci tutte le condizioni per realizzare una edizione dei Giochi del Mediterrano che resterà nella storia come esempio positivo delle capacità organizzative, di efficienza ed accoglienza del nostro Paese“. Ma soltanto con un nuovo comitato organizzatore gestito da persone esperte e capaci e non certo da Melucci e Sannicandro.
da sx. Elio Sannicandro, Michele Emiliano e Rinaldo Melucci
In serata il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano ha diffuso una lunga dichiarazione, che abbiamo circoscritto ai Giochi del Mediterraneo. ” La uscita del CONI dal Comitato Organizzatore dei Giochi del Mediterraneo è la conseguenza delle incertezze sul finanziamento dei Giochi da parte del Governo” circostanza questa che è contraria al vero e che possiamo smentire noi dopo averlo verificato con autorevoli fonti di Palazzo Chigi.
“La Regione Puglia ribadisce la disponibilità a trovare col Governo un’intesa che consenta a quest’ultimo di rimuovere ogni remora a far fronte agli impegni presi col CONI, con la Regione Puglia, col Comune di Taranto e con i comuni pugliesi facenti parte del Comitato Organizzatore” continua Emiliano, il quale dimentica che in realtà la Regione Puglia e gli Enti locali non hanno versato quanto avrebbero dovuto !!!
Come potete vedere nel riquadro in alto estratto dal “masterplan” cioè dal cronoprogramma realizzato dall’ agenzia regionale pugliese Asset (che troverete sotto nella versione integrale) guidata da Elio Sannicandro, un ex assessore dell’ Amministrazione Emiliano al Comune di Bari, alla data dell’ aggiudicazione dei Giochi del Mediterraneo alla città di Taranto (cioè nel 2019) erano previsti solo 120 milioni di euro di finanziamento dallo Stato (che invece generosamente ne ha stanziati ben 170 !) mentre la Regione Puglia, il Comune di Taranto ed altri enti locali che avrebbero dovuto stanziare 142 milioni, soldi che non si sono mai visti, nè tantomeno sono mai stati stanziati ! Per non parlare poi dei 28 milioni previsti da privati (sponsor) dei quali non si è visto anche in questo caso un solo centesimo di euro !
“Nell’ultima riunione svoltasi con i Ministri Fitto e Abodi – continua Emiliano – la Regione Puglia aveva espresso, a richiesta del Ministro Abodi, la sua disponibilità ad integrare il Comitato Organizzatore con le presenze ritenute necessarie dal Governo al fine di sbloccare i finanziamenti, offrendo inoltre la propria disponibilità a versare la somma di 40milioni di euro di sua competenza non appena assegnata dal Ministro Fitto la quota del Fondo di Sviluppo e Coesione spettante alla Regione Puglia ammontante a 4,6 miliardi”. Piccolo particolare: il proprio contributo finanziario ai Giochi del Mediterraneo la Regione Puglia doveva stanziarli sin dal 2019, senza aspettare i fondi da Fitto, che a quell’ epoca sedeva ancora fra i banchi del Parlamento Europeo.
“La riunione si era chiusa con l’intesa che sarebbe stata aggiornata – prosegue la nota di Emiliano – a due/tre giorni per conoscere la risposta del Governo. Si comprende cosi la reazione del Presidente Malagó che è dichiaratamente intesa a favorire un’intesa che eviti all’Italia, alla Puglia e a Taranto una brutta figura e un eccessivo affanno nella realizzazione degli impianti necessari allo svolgimento dei Giochi. Di fronte all’ulteriore attesa arriva oggi la lettera del CONI che deve essere interpretata come un estremo tentativo di sbloccare una situazione che sta rallentando da mesi l’organizzazione della importante manifestazione sportiva.” In realtà il CONI non vuole fare pessime figure ad opera dell’attuale governance del Comitato Organizzatore, cioè di Melucci e Sannicandro, e Malagò lo dice chiaramente senza tanti giri di parole. E se c’è qualcuno che sta realmente rallentando l’organizzazione dei Giochi, ebbene quel qualcuno sono proprio la Regione Puglia ed il Comune di Taranto che non hanno mai sborsato quanto dovuto !
Il Coni esce quindi oggi dal Comitato organizzatore locale pugliese dei Giochi del Mediterraneo «Taranto 2026» essendo Giovanni Malagò membro del Cio, per evitare quindi di essere coinvolto a livello internazionale in una pessima figura reputazionale . Un’uscita “pesante” che non passerà inosservata, in quanto è bene ricordare che il Coni rappresenta lo sport nazionale e le relative federazioni, le quali di fatto conseguentemente sono fuori anche loro dalla partecipazione ai Giochi.
Ecco il dossier iniziale del 2019 con cui venne aggiudicata a Taranto l’edizione 2025 (poi spostata al 2029 causa Covid)
Antonello de Gennaro. Giornalista professionista dal 1985 ha lavorato per importanti quotidiani e periodici, radio e televisioni nazionali in Italia ed all’estero. Pioniere dell’informazione sul web è ritenuto dei più grossi esperti di comunicazione su Internet.
La vera storia dei Giochi del Mediterraneo 2026 raccontata dagli articoli del CORRIERE DEL GIORNO. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 17 Luglio 2023
E' doveroso indagare dietro l'affaire- speculazione (99 anni) sul progetto di costruzione di un nuovo stadio di Taranto, che stranamente sta così tanto cuore a Melucci che ha un'inspiegabile fretta di affidarlo (senza alcun bando di evidenza pubblica) ad una società neo-costituita la Red Sport s.r.l. con appena un anno di vita, "inattiva" ed un capitale sociale di soli 11.000 euro !
Dopo questo squallido “teatrino” messo in piedi da Rinaldo Melucci ed Elio Sannicandro sotto la “protezione” del governatore della Regione Puglia Michele Emiliano, che è diventato uno strumento di lotta politica ed un mezzo di ricatto affaristico. riteniamo opportuno rinfrescare la memoria ai nostri lettori, alla magistratura giudiziaria ed amministrativa competente, ma anche ai vari sindaci dei comuni che hanno aderito all’ organizzazione dei Giochi del Mediterraneo,
Attraverso i nostri articoli che non sono mai stati smentiti, rettificati o querelati potrete capire il perchè il Sindaco Melucci abbia messo in atto un “ricatto” che definire vergognoso è ben poca cosa. Ai lettori il diritto di farsi un opinione. Ed a chi è tenuto a vigilare il dovere di indagare dietro l’affaire- speculazione (99 anni) sul progetto di costruzione di un nuovo stadio di Taranto, per un importo di circa 50 milioni di euro la cui metà sarebbe a carico dello Stato, e che stranamente sta così tanto cuore a Melucci che ha un’inspiegabile fretta di affidarlo (senza alcun bando di evidenza pubblica) ad una società neo-costituita la Red Sport s.r.l. che ha appena un anno di vita, “inattiva” ed un capitale sociale di soli 11.000 euro !
Nei nostri articoli troverete tutti i documenti ufficiali, visure camerali, tutto quello su cui il “trio Baranto”, alias Melucci, Emiliano e Sannicandro tacciono, come se i Giochi del Mediterraneo fossero “cosa nostra” cioè una loro proprietà. Buona lettura a tutti.
Taranto candidata “solitaria” italiana per i Giochi del Mediterraneo del 2025: il solito fumo negli occhi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 2 Agosto 2019
Il Governo ha preso atto dell'unica candidatura italiana, che prevede pero una spesa pubblica di 250 milioni che graverà in buona parte sulle tasche dei contribuenti. In caso di aggiudicazione, peraltro i Giochi si svolgeranno a Taranto ed in una ventina di Comuni di altre tre province (Lecce, Brindisi e Bari). Il trionfalismo prematuro della politica dei soliti "venditori di fumo", che questa volta comprende anche i deputati pugliesi eletti nel M5S. Nessuna altra città italiana infatti ha avanzato la propria candidatura.
ROMA – Un progetto costato circa mezzo milione di euro, che prevede investimenti pubblici per circa 250 milioni di euro , 100 dei quali messi a disposizione dall’attuale Governo (ma quanto regge questo Governo ?) . Un evento “semi clandestino” che non ha mai cambiato, nè migliorato lo stato dell ‘economia locale, e le cui precedenti organizzazioni notoriamente non hanno mai portato alcun successivo flusso turistico o palcoscenico internazionale, passando nel dimenticatoio persino dei diritti televisivi. Le precedenti edizioni già disputate dei Giochi del Mediterraneo sono diciotto. A causa di inadempienze la diciassettesima edizione del 2013 si è svolta a Mersin, Turchia e non a Volos, in Grecia. La diciottesima edizione si è svolta a Tarragona, in Spagna nell’estate 2018 e non nel 2017. Le nazioni che hanno ospitato più edizioni dei giochi sono l’Italia e la Spagna, che ne hanno organizzate tre. Seguono poi Turchia e Tunisia con due e infine Egitto, Libano, Grecia, Algeria, Croazia (Jugoslavia), Marocco, Siria e Francia con una edizione ciascuno
La conferma proviene dalla circostanza che nessuna altra città del Mezzogiorno si è candidata . Il Comune di Taranto invece, che non naviga nell’oro, essendo uscita da pochi mesi dal dissesto finanziario, vuole ospitare la ventesima edizione dei Giochi del Mediterraneo in calendario nel 2025, cioè fra 6 anni ! Incredibilmente persino il Ministro per il Sud, la “grillina” Barbara Lezzi si è lasciata ubriacare dall’enfasi pre-elettorale, commentando “Questa è una bella notizia per tutta la Puglia“. Resta da capire a questo punto quale sia la bella notizia, considerato che quella di Taranto è l’unica candidatura italiana.
Un commento quello della Lezzi , a dire il vero, che nessuno si aspettava, sopratutto dopo che in un recente passato il M5S per voce della Sindaca di Roma Virginia Raggi aveva rifiutato e bloccata la candidatura della Capitale a giocarsela per organizzare le Olimpiadi a Roma, così come la Sindaca di Torino Chiara Appendino (M5S) si è sfilata dalla candidatura congiunta Milano-Torino ad organizzare le Olimpiadi Invernali che sono state successivamente aggiudicate all’ Italia, dopo l’accordo raggiunto dal Comune di Milano con quello di Cortina d’ Ampezzo. Secondo il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci (Pd) un rinvio della decisione, in sostanza, sarebbe potuto costar caro: “Abbiamo tirato un bel sospiro di sollievo. Il sì del Consiglio dei ministri qualifica definitivamente la nostra ambizione“. Piccolo particolare , un ambizione che nessun altro comune d’ Italia aveva.
L’assegnazione dei Giochi del Mediterraneo del 2025 verrà ufficializzata sabato 24 agosto in Grecia a Patrasso. E’ a dir poco ridicolo quanto scrive un quotidiano locale, sostenuto dalle “mancette” ( o markette ?) pubblicitarie del Comune di Taranto che questa mattina ha scritto “La muscolarità della designazione del Comune di Taranto, sostenuta da un dossier ben argomentato assieme alla Regione Puglia, ha smontato poco alla volta le aspirazioni delle avversarie“, e tutto ciò peraltro senza aver mai preso visione o conosciuto alcun progetto delle altre città candidate. Il sindaco Melucci con la sua notoria sfacciataggine, a sua volta ha dichiarato “Usando un gergo sportivo abbiamo fatto squadra. E certamente il brand Italia ha inciso sulla fuga delle nostre ipotetiche rivali“. Resta da capire di quale “brand Italia” parla e chi sarebbe fuggito al cospetto di una città, Taranto che al momento non alcun impianto sportivo degno di partecipare ad una qualsiasi competizione internazionale !
Una candidatura che ha consentito ai parlamentari eletti in Puglia del Movimento 5 Stelle di cercare di prendersi qualche merito sulla base del nulla. Come si fa a non ridere quanto il “grillino” Paolo Lattanzio, capogruppo in commissione cultura alla Camera dice : “Da questo appuntamento internazionale potremo trarre benefici sul fronte del rilancio di Taranto in termini di riconversione economica. I Giochi faranno sì che Taranto non sia identificata solo con l’ingombrante presenza dell’ex Ilva“. A cui si aggiunge l’ex-portaborse ora deputato poi il deputato Giovanni Vianello che dichiara in una nota “Ciò che mi conforta è il messaggio di speranza garantito dall’aver raggiunto in gruppo un obiettivo importante“, dimenticando che al momento non è stato raggiunto ancora nulla!
I 250 milioni di spesa previsti verranno utilizzati per la costruzione ex novo o la riqualificazione di circa sessanta impianti sportivi. Con Taranto saranno interessati una ventina di Comuni di altre tre province (Lecce, Brindisi e Bari). Oltre al contributo del governo, la parte del leone negli stanziamenti la faranno la Regione Puglia (50 milioni) le città coinvolte ed il Comune di Taranto che dovrà ulteriormente indebitarsi con il Credito Sportivo ancora una volta a spese dei contribuenti tarantini. E c’è persino chi gioisce…!
Nell’ultima edizione organizzata in Italia a Pescara nel 2009, è bene sapere che fine fece il Comitato promotore? Scomparso e dimenticato. E la passione per far sviluppare il territorio? Tutto annegato nei finanziamenti pubblici e negli interessi privati di chi ha saputo trasformare Pescara 2009 in un affare interessante. Anche la Puglia ha già ospitato in passato i Giochi del Mediterraneo. Nel 1997 si svolsero a Bari (le gare di calcio, golf e tennis tavolo anche a Taranto, tra l’altro) dal 13 al 26 giugno. Vi parteciparono 3473 atleti di 21 Paesi e 1541 ufficiali di gara. Le discipline furono 25: 234 gare e 742 medaglie assegnate. I Giochi si aprirono al San Nicola, la cerimonia fu conclusa da un concerto di Antonello Venditti alla presenza dell’allora capo del Governo, Prodi, del presidente della Repubblica, Scalfaro, e del presidente del comitato organizzatore, Matarrese.
Resta da chiedersi: se l’organizzazione è un evento utile ed importante, come mai la città di Bari non si è candidata ? E come mai neanche Lecce, la città “bacino elettorale” dell’ assessore regionale Capone si è candidata ? Ai posteri l’ardua sentenza. Noi, purtroppo la conosciamo già.
Redazione CdG 1947
Il “teatrino” politico-affaristico di Melucci, Sannicandro ed Emiliano sui Giochi del Mediterraneo 2026. Redazione CdG 1947 e Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 16 Luglio 2023
La realtà è che dal 2019 ad oggi, cioè dopo ben quattro anni, il "trio Baranto" cioè Emiliano-Melucci-Sanniocandro sinora ha solo fatto tanto fumo, tante chiacchiere e dichiarazioni affidate ai soliti "pennivendoli" di fiducia al loro servizio, le solite inutili "passerelle" ad uso mediatico, presentato rendering e nient'altro
Come i nostri lettori ben sanno non abbiamo dovuto aspettare lo scambio di lettere fra il commissario di governo Massimo Ferrarese ed il sindaco Rinaldo Melucci, per dire la nostra sui quelli che abbiamo da sempre definito i “Giochi dei Poveri”, con tutto il rispetto per chi vi partecipa. Purtroppo la stampa locale tarantina, asservita, soggiogata e spesso svenduta & comprata con qualche spicciolo di pubblicità o consulenza, non ha molto aiutato i cittadini a capire alcuni retroscena e sopratutto svelare quello che qualche politicante da quattro soldi si guarda bene dal raccontare con i suoi comunicati.
Ci abbiamo provato noi sin dal 2 agosto 2019 (leggi QUI) quando il sindaco Rinaldo Melucci assieme al suo “padrone-protettore” Michele Emiliano decisero di organizzare i Giochi del Mediterraneo che nessun’altro voleva, versando circa 2 milioni di euro al Comitato Organizzatore greco. Ma non solo. Si sono affidati all’inesperienza organizzativa di tale Elio Sannicandro, un ex-assessore del barese, riciclato da Emliano alla guida dell’ agenzia regionale pugliese Asset, che due anni prima nel 2017 era stato beccato, come si suol dire, “con il sorcio in bocca”, affidando a suo nipote un’incarico da 700mila euro (leggi QUI) per la progettazione della pista di atletica dello stadio di Barletta, per il quale venne censurato dal CONI nazionale, venendo di fatto costretto a dimettersi dall’incarico regionale che ricopriva per non subire l’onta di essere cacciato.
La realtà è che dal 2019 ad oggi, cioè dopo ben quattro anni, il “trio Baranto” cioè Emiliano-Melucci-Sanniocandro sinora ha solo fatto tanto fumo, tante chiacchiere e dichiarazioni affidate ai soliti “pennivendoli” di fiducia al loro servizio, le solite inutili “passerelle” ad uso mediatico, presentato rendering e nient’altro. Loro dicono che non avevano i soldi. In realtà dal primo masterplan di Asset-Sannicandro erano previsti oltre 142 milioni di euro a carico degli enti locali (leggasi Regione Puglia ed i Comuni che vi partecipavano). Chi li ha visti ? Chi li ha versati ? Ve lo diciamo noi: nessuno. In realtà è stato il Governo a mettere a disposizione 150 milioni, cioè il 30% in più di quanto era previsto inizialmente.
Dove sono finiti i 142 milioni di euro previsti a carico della Regione, Comune ed altri Enti Locali ? Ed i 28 milioni (sponsorizzazioni) previsti dei “privati” ? Qualcuno dei ben noti “pennivendoli” locali sa dirci qualcosa, magari facendoselo suggerire da Emiliano, Melucci e Sannicandro ? E mi rivolgo a quei signori (chiamarli “colleghi” mi pesa un pò troppo) che fra un “like” e l’altro sui social del sindaco Melucci, esaltano ogni giorno le folli arroganti dichiarazioni del sindaco di Taranto, che per Sail GP una regata di vela (per pochi intimi) con 8 imbarcazioni ha già speso 4 milioni di euro ed altri 8 milioni li spenderà nei prossimi 12 mesi , per un totale di 12milioni di euro di soldi pubblici, cioè dei cittadini di Taranto !!!
Per non parlare dei 600mila euro all’ anno (in 6 anni oltre 3milioni e mezzo !) versati dall’ Amministrazione Melucci alla famiglia Cassalia per poter far utilizzare la mattina alle scolaresche e disabili di una vasca-piscina da 25 metri di proprietà comunale affidata in gestione ai ben noti “prenditori” di denaro pubblico-comunale.
Il “trio Baranto” accusa il governo Meloni di voler ostacolare i Giochi, di voler danneggiare la Puglia, ma non è mio compito difendere il Governo, avendolo già fatto quasi 40 anni fa all’inizio della mia carriera quando l’indimenticabile Antonio Ghirelli, portavoce prima di Sandro Pertini al Quirinale e poi di Bettino Craxi a Palazzo Chigi, un vecchio amico di mio padre, mi chiamò come suo stretto collaboratore di fiducia, dividendomi di fatto con Claudio Martelli vicesegretario nazionale del PSI di cui ero portavoce.
Oggi è mio, nostro compito, per onestà nei confronti dei nostri lettori che crescono di giorno in giorno da 9 anni, quello di raccontare la verità, di documentarla. ed è quello che stiamo facendo da 4 anni senza che mai nessuno ci abbia smentito, rettificato, querelato. Anche perchè come diceva il “maestro” Indro Montanelli, il vero “mitra” di un giornalista è il suo archivio. Ed il nostro è abbastanza pieno.
Si accusa il commissario Ferrarese di fare minacce al Comune di Taranto, laddove in realtà esercita il suo ruolo ed i poteri ricevuti dal Governo, allorquando in realtà le minacce ai vari Comuni di esclusione dai Giochi , e su carta intestata sinora le ha fatte Sannicandro ! E come sempre, noi documentiamo tutto quello che scriviamo ! Lasciamo ai soliti noti “pennivendoli” locali a gettone la specialità di raccontare fesserie sotto dettatura. Il giornalismo vero è ben altra cosa.
Sarebbe bastato andarsi a vedere il dossier di candidatura nel 2019 per chiedersi: ma i tecnici di Asset sapevano quello che scrivevano sugli impianti sportivi, oppure nel frattempo a qualcuno è venuto qualche appetito sui soldi pubblici destinati alla manifestazione sportiva da organizzare.
Lasciatemi fare alcune domande-riflessioni a voi cari lettori, ma sopratutto ai magistrati della Procura di Taranto, alla magistratura contabile della Corte dei Conti, alla Guardia di Finanza: come mai il sindaco Melucci si è intestardito con la costruzione di uno stadio nuovo del costo previsto di 50milioni di euro, il cui 50% sarebbe a carico dello Stato, con un project financing da 99 anni, cioè un secolo (!!!) ad una società la Red Sport srl neo costituita da appena un anno con 11mila euro di capitale sociale, inattiva, e che non ha mai costruito neanche un castello di sabbia sulla spiaggia ? A chi fanno “gola” i 17mila metri quadri di spazi commerciali previsti all’interno di un nuovo stadio che sarebbe una sorta di cattedrale nel deserto, solo alla Red Sport…? Abbiamo più di qualche dubbio.
Il mio auspicio è che il Governo ed il CONI provvedano a commissariare al più presto anche il Comitato Organizzatore, altrimenti con Emiliano, Melucci e Sannicandro la figuraccia sarà internazionale ! E sopratutto non vorremmo dare troppo… da lavorare in futuro alla Procura di Taranto, all’interno del quale ci sono non pochi problemi di conflitti di interesse con gli enti pubblici locali amministrati da Melucci.
A proposito caro Sindaco di Taranto, quando vuole un confronto giornalistico in videodiretta con il sottoscritto me lo faccia sapere, possibilmente non scrivendomi di notte come ha fatto stanotte con il Governo ed il commissario di governo Ferrarese . Non aspetto altro. Avrà il coraggio, l’onestà intellettuale e morale di confrontarsi carte alla mano ? Mi si consenta ma l’esperienza mi pone più di qualche dubbio.
Ai nostri lettori. Ecco come Taranto si era aggiudicata i Giochi del Mediterraneo
Giochi del Mediterraneo. Iaia ( FdI). ” Pagano non si preoccupi perché Ferrarese sa quello che fa”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 22 Giugno 2023
"Per quanto ci riguarda, è anche doveroso accendere un faro - dichiara l' on. Iaia (FdI) - in ordine al procedimento amministrativo sul progetto di finanza che prevedeva la demolizione e la ricostruzione dello stadio Iacovone".
Sulla vicenda dei Giochi del Mediterraneo 2026, è intervenuto l’on. Dario IAIA, componente della commissione parlamentare ambiente e lavori pubblici e coordinatore Provinciale a Taranto di Fratelli d’ Italia con una nota: “Invece di offendere il Commissario per i Giochi del Mediterraneo Massimo Ferrarese attribuendogli una tracotanza che non gli appartiene e sforzarsi di fare la Cassandra della situazione nella speranza che i Giochi del Mediterraneo falliscano, Ubaldo Pagano potrebbe adoperarsi per collaborare con il Commissario Straordinario di Governo allo scopo di raggiungere l’obiettivo comune: la realizzazione dei grandi Giochi a Taranto. Purtroppo, dobbiamo prendere atto che al collega Pagano ed al Partito Democratico non interessa il bene comune, ma il piccolo di bottega e quindi, la polemica fine a se stessa“.
“Dopo anni di passerelle dei componenti del comitato promotore a spese pubbliche (sarà interessante verificare come sono stati spesi sinora diversi milioni di euro ed a che titolo) ed un ritardo impressionante che ha costretto il Governo ad intervenire con un commissariamento, Pagano continua inutilmente a polemizzare e si lamenta incredibilmente della circostanza che il commissario Ferrarese abbia fatto un sopralluogo allo stadio “Erasmo Jacovone” di Taranto per verificarne personalmente le condizioni. Cosa c’è da nascondere?” continua l’ on. Iaia.
“Registriamo uno strano nervosismo da parte di Pagano e del Sindaco Melucci in ordine alla vicenda “stadio” che, a loro parere, dovrebbe essere necessariamente demolito e ricostruito. Ipotesi questa che è in campo, così come quella della riqualificazione, che consentirebbe di avere una capienza ben superiore rispetto ai sedici mila spettatori previsti nel progetto del nuovo stadio. Il commissario Ferrarese farà le sue valutazioni, nella massima libertà e senza essere sottoposto a pressioni di qualunque natura, anche alla luce del tempo risicato a disposizione. Tutto deve avvenire nella massima trasparenza e Ferrarese è una garanzia da questo punto di vista.”
“Per quanto ci riguarda, è anche doveroso accendere un faro – aggiunge l’ on. Iaia – in ordine al procedimento amministrativo sul progetto di finanza che prevede la demolizione e la ricostruzione dello Jacovone. Inoltre, bene ha fatto il Commissario a pensare di recuperare quegli impianti che erano stati inseriti nel masterplan iniziale ( Francavilla per esempio) e poi, inspiegabilmente, cancellati. È chiaro che questi recuperi nulla tolgono a Taranto che avrà i suoi impianti ed i suoi investimenti. Questi saranno anche superiori rispetto a quelli attualmente previsti“.
“Per il resto, stia tranquillo Pagano perché Massimo Ferrarese, che ha già ricoperto in passato ruoli di primo piano, non ha certo bisogno di fare passerelle. Il Commissario ha l’obbligo di svolgere al meglio il compito che gli è stato assegnato dal Governo e, conoscendo Ferrarese, capitano di impresa e protagonista anche nello sport, sa molto bene quali sono le azioni da compiere. Inoltre, mi risulta che sin dal primo giorno di nomina, si sia messo concretamente all’opera per compiere le valutazioni preliminari e adottare un preciso piano strategico finalizzato all’esecuzione concreta delle opere previste. Piuttosto, se non dovesse trovare collaborazione nel comitato o addirittura ostruzionismo, invito Ferrarese a farne denuncia pubblica in modo che i cittadini sappiamo come stanno effettivamente le cose. Per quanto riguarda Pagano, sarà meraviglioso vederlo in prima fila alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi. Lui sì, per mettersi in mostra, naturalmente“. conclude il parlamentare tarantino di Fratelli d’ Italia. Redazione CdG 1947
Giochi del Mediterraneo: Emiliano non ha detto al Parlamento Europeo che i progetti devono essere ancora inviati. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Giugno 2023
Il Governatore dovrebbe ricordare che è stata proprio l’inerzia ed i gravissimi ritardi del Comitato organizzatore a spingere il Governo verso la decisione del commissariamento che ,come è noto, è strumento al quale si ricorre per accelerare le procedure (vedi realizzazione Ponte Morandi di Genova o Giochi del Mediterraneo di Pescara del 2009)". prosegue l’on. Dario Iaia.
Con una nota l’on. Dario Iaia Coordinatore Provinciale di Fdi – Taranto/ Componente della commissione parlamentare Ambiente, territorio e lavori pubblici , è intervenuto sulla controversa questione dei Giochi del Mediterraneo 2026 : “Ci pare che il Santo non sia proprio uscito, altro che entrato in chiesa, come il governatore Emiliano ha affermato nell’ambito del Taranto Euro-Med resilient city al Parlamento Europeo, facendo tra l’altro fare un brutta figura all’Italia ed in particolare, alla città di Taranto. I progetti che riguardano i Giochi del Mediterraneo, quelli che a suo dire sarebbero allo stadio massimo, non sono ancora stati trasmessi al Commissario di Governo Ferrarese affinché questo possa svolgere al meglio la propria funzione“.
“Forse qualcuno teme che emerga la grande menzogna in merito ai livelli di progettazione degli impianti? – continua – Se dovessimo credere alle parole del Governatore Emiliano dovremmo trovarci di fronte ad una serie di progetti esecutivi. Vedremo se sarà effettivamente così, ma alla luce della credibilità di Emiliano, abbiamo molti dubbi in merito“.
“Il Governatore dovrebbe ricordare che è stata proprio l’inerzia ed i gravissimi ritardi del Comitato organizzatore a spingere il Governo verso la decisione del commissariamento che ,come è noto, è strumento al quale si ricorre per accelerare le procedure (vedi realizzazione Ponte Morandi di Genova o Giochi del Mediterraneo di Pescara del 2009)“. prosegue l’on. Dario Iaia.
“Occorre ricordare che i Giochi sono stati assegnati alla città di Taranto il 24 agosto 2019 ed il Comitato Organizzatore è stato costituito il 09 giugno 2020, vale a dire ben tre anni addietro. Sarebbe interessante comprendere cosa è stato fatto in questi tre anni ed anche come sono stati spesi, per esempio, i 4,5 milioni di euro destinati alla implementazione delle attività di pianificazione e organizzazione dei Giochi.”
“Non appena le rendicontazioni ed i progetti saranno nella disponibilità del Commissario siamo sicuri che questi garantirà la massima trasparenza e partecipazione a differenza di ciò che è avvenuto sinora. Ricordo inoltre, ad Emiliano che i Giochi sono di tutti ma soprattutto dei tarantini che non meritano di essere presi in giro. Non c’è nessun Governo che si oppone ai Giochi, ma un Governo che è stato costretto ad intervenire alla luce delle tante parole e dei pochi fatti” conclude il deputato Coordinatore Provinciale di Fdi. Redazione CdG 1947
Giochi del Mediterraneo 2026. Il Governo svela tutte le “falle” della Regione Puglia e del Comune di Taranto. La manifestazione è a serio rischio. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Marzo 2023
LA LETTERA INTEGRALE DEI MINISTRI FITTO ED ABODI Per i Giochi del Mediterraneo è stato fatto poco o quasi nulla. In effetti l'accoppiata Sannicandro-Melucci non ha fatto altro che organizzare conferenze, presentare rendering (cioè presentazioni grafiche) approfittando della complicità di una stampa locale un pò troppo compromessa e "sodale".
Con una lettera, che come sempre il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di pubblicare integralmente, i ministri del Governo Meloni, Raffaele Fitto (Affari Europei, il Sud e le politiche di coesione, e il Pnrr) ed Andrea Abodi (Sport ed i giovani) hanno recapitato venerdì scorso al comitato organizzatore della 20° edizione dei Giochi del Mediterraneo, mettendo in evidenza l’incapacità e la mancata trasparenza del comitato organizzatore (e del suo direttore Elio Sannicandro, messo alla porta dal CONI alcuni anni fa).
I due ministri evidenziano nella loro lettera che “l’assegnazione alla città di Taranto dell’organizzazione dei Giochi è avvenuta il 24 agosto 2019 e che il 9 giugno 2020 si è formalmente costituito il Comitato Organizzatore“, e che è già passato molto tempo ma di fatto è stato fatto poco o quasi nulla. In effetti l’accoppiata Sannicandro-Melucci non ha fatto altro che organizzare conferenze, presentare rendering (cioè presentazioni grafiche) approfittando della complicità di una stampa locale un pò troppo compromessa e “sodale”. Non a caso è dal 25 agosto 2019 che il nostro giornale ( leggi QUI) unica voce nel panorama desolante dell’informazione pugliese, evidenziava tutte le anomalie del progetto sui Giochi del Mediterraneo messo in piedi dall’ Asset guidata da Sannicandro per il Comune di Taranto ed il suo sindaco Melucci.
Il ministro Fitto ed il suo collega Abodi sin dallo scorso 16 dicembre avevano richiesto chiarimenti al comitato organizzatore, in relazione “al criterio prevalente su cui si è basata l’individuazione delle opere essenziali oggetto di finanziamento; al cronoprogramma degli interventi; alla mancata coerenza finanziaria tra il quadro delle opere essenziali e il Masterplan degli impianti da realizzare per i XX Giochi del Mediterraneo; alla mancata quantificazione dell’incremento dei costi delle materie prime; alla mancanza di dettagli circa la complementarietà tecnica e finanziaria tra la progettazione di cui in oggetto e le opere infrastrutturali ad essa funzionali“. Risposta dell’ Asset ? Silenzio. Di cui onestamente non ci meravigliamo.
Inoltre i due ministri del governo Meloni evidenziano che non è specificato se “le ingenti risorse ancora da finanziare possano trovare parziale copertura nei fondi regionali, come riferito con nota del 28 maggio 2021, ove veniva indicata una quota a carico della Regione Puglia di importo pari a 50 milioni, pari a circa un terzo del finanziamento ancora necessario“.
Il sindaco Melucci che rischia di vedere annullare la manifestazione ,con una nota afferma che: “Nell’ultima missiva del governo ci sono alcune verità. Un evento così complesso è normale che sconti delle criticità, basti guardare a cosa sta succedendo al board di Milano-Cortina proprio in queste settimane. Molte altre questioni sollevate, specie dopo tutti gli approfondimenti forniti dal Comitato organizzatore, onestamente mi sembrano forzature”.
Purtroppo Melucci non riesce a equiparare la grandiosità e difficoltà di un’ Olimpiade Invernale (paragonabile calcisticamente alla Champions League) organizzata da una Fondazione a cui partecipano gli enti locali coinvolti nella manifestazione, con il Comitato organizzatore dei Giochi del mediterraneo costituito a Taranto dal solito notaio di “fiducia” (sposato con una pm della procura di Taranto) , composto da quattro dilettanti allo sbaraglio, un organizzazione che in ambiente sportivo e mediatico sarebbe paragonabile a un campionato dilettanti!
Probabilmente il primo cittadino di Taranto, è troppo distratto dalle sue nuove attività “imprenditoriali” nel settore nautico-cantieristico, e cioè la nuova ditta individuale Sirokos Yachting di Rinaldo Melucci, ha dimenticato che tutelare i soldi dei contribuenti non è una “forzatura” bensì un obbligo di Legge per chi rappresenta il Governo, cioè lo Stato. Evidentemente Melucci crede di poter usare i soldi del Governo, così come fa con i soldi del Comune di Taranto, finanziando l’attività della Jonian Dolphin Conservation, il cui nome compare nel sito della ditta di Melucci. Un’attività di cui nessun organo di stampa locale ( figuriamoci i giornalisti…) si è sinora accorto, in presenza di un conflitto d’ interesse macroscopico, tutti in attesa di passare dalla “cassa” comunale ed incassare qualche “mancetta” pubblicitaria comunale in arrivo a breve.
Ed aggiunge incredibilmente: “Serve limare le posizioni e tornare a lavorare rapidamente, dal mio punto di vista, su di un masterplan più asciutto. Per questo chiederò un nuovo franco confronto al Governo nei prossimi giorni”. In realtà Melucci in buona “compagnia” di Sannicandro continua a non fare chiarezza, mentre da Bari la Regione Puglia, tace sapendo di non poter parlare.
L’ on. Dario IAIA, coordinatore provinciale di FdI Taranto e componente della commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati, è intervenuto anche lui sulla questione: “Ben venga il faro del governo sui Giochi del Mediterraneo perché le cerimonie o l’inutile demagogia che, da tempo, li accompagnano rappresentano non solo una perdita di tempo ma soprattutto di una opportunità unica. I ritardi accumulati e le carenze documentali sono gravissime, così come evidenziato nella loro missiva dai ministri Fitto e Abodi. È indispensabile perciò, continuare a vigilare sui Giochi perché Taranto non deve pagare, ancora una volta sulla propria pelle, l’incapacità di qualcuno“.
Anche il consigliere regionale Renato Perrini (Fratelli d’ Italia) con una sua nota, la scorsa settimana ricordava che “i 50 milioni della Regione Puglia non sono ancora stati stanziati e non se ne conoscono i motivi visto che erano previsti in bilancio e che non si comprende bene qual’è la quota di cofinanziamento dei Comuni, specie di quelli sui quali sorgono impianti sportivi che devono essere rimessi a nuovo“. Redazione CdG 1947
Melucci-Sannicandro: è finita la “festa”…Arriva il commissario per i Giochi del Mediterraneo 2026. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 4 Aprile 2023
Il ministro Abodi insieme al ministro Fitto stanno già vagliando una serie di candidati in possesso di capacità organizzative comprovate, per mettere fine ad un armata Brancaleone che si spacciava ed autoproclamava "comitato organizzatore".
Approvato in serata dalla Commissione Bilancio del Senato alla presenza in aula del ministro Raffaele Fitto l’emendamento proposto da quattro esponenti di Fratelli d’Italia, i senatori Guido Quintino Liris de L’Aquila, Paola Ambrogio di Torino, Lavinia Menunni di Roma e Vita Maria Nocco di Santeramo in Colle eletta alle ultime politiche nel collegio che comprendeva anche Taranto, al decreto legge PNRR n. 13/2023 attualmente al vaglio dell’organismo parlamentare e destinato ad approdare in questi giorni in aula per la conversione, che prevede la nomina di un commissario straordinario per i Giochi del Mediterraneo in programma nel 2026 a Taranto.
L’emendamento di FdI utilizza il Dl sul Pnrr come veicolo in quanto l’obiettivo è modificare la legge n. 25 del 28 marzo 2022, “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da Covid 19”, che è quella da cui erano stati stanziati 150 milioni per costruire e ristrutturare gli impianti individuati per i Giochi.
“Al fine di assicurare la tempestiva realizzazione degli interventi necessari allo svolgimento dei Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato, su proposta del ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e Pnrr, di concerto con il ministro per lo Sport e i giovani, sentito il ministro dell’Economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, è nominato un commissario straordinario”. A seguito del decreto di nomina del commissario , è contenuto nella proposta, “è stabilito l’eventuale compenso del commissario straordinario” il quale “per la realizzazione dei progetti e degli interventi può avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, delle società, delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e degli enti pubblici dotati di specifica competenza tecnica nell’ambito delle aree di intervento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Gli oneri inerenti alle convenzioni da stipulare “sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare”.
Il comitato organizzatore che inizialmente era presieduto dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che nel privato faceva l’agente di servizi marittimi e portuali, e quindi privo di qualsiasi esperienza organizzativa, e diretto dall’ex assessore del Comune di Bari (giunta Emiliano) Elio Sannicandro il quale nel suo curriculum vanta le proprie dimissioni da Presidente del CONI Puglia, a seguito di un provvedimento di censura ricevuto dal CONI nazionale, dichiarava ai soliti giornalisti e giornaletti “amici” di essere sorpreso dai rilievi ma sicuro di poter recuperare eventuali ritardi con la collaborazione di Roma, accusando il Governo sulle lungaggini nel mettere a disposizione le risorse ancora necessarie per il piano di interventi sugli impianti, pari a circa 150 milioni.
In un’intervista rilasciata a Quotidiano pubblicata domenica scorsa, il sindaco Melucci sosteneva che la crisi sembrava superata si era detto fiducioso e di aspettare a breve una chiamata da Roma per fare il punto della situazione. Ipotesi del terzo tipo e cioè dell’ irrealtà, come dichiarato da fonti riservate del Ministero dello Sport al CORRIERE DEL GIORNO, che il sindaco Melucci ed il sodale Sannicandro possono riporre nel cassetto dei sogni irrealizzati.
Il decreto approvato dalla Commissione Bilancio del Senato verrà convertito entro il prossimo 25 aprile e dopodichè l’attuale struttura organizzativa messa in piedi da Melucci e Sannicandro verrà smantellata e riorganizzata da un commissario nominato dal governo che gestirà la cabina di regia dei Giochi del Mediterraneo. Il ministro Abodi insieme al ministro Fitto stanno già vagliando una serie di candidati in possesso di capacità organizzative comprovate, per mettere fine ad un armata Brancaleone che si spacciava ed autoproclamava “comitato organizzatore”.
La festa è finita. Taranto, i Giochi del Mediterraneo e lo sport sono salvi. Gli “affarucci” di qualche furbetto sono andati in fumo (leggasi: il faraonico e folle nuovo stadio di Taranto). I soldi dei contribuenti vanno tutelati e non dilapidati per finire nelle tasche dei noti “prenditori” di denaro pubblico che infestano ed infettano la città dei due mari.
E’ Massimo Ferrarese il commissario straordinario per i Giochi del Mediterraneo 2026. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 5 Maggio 2023
Scelto l'ex presidente della Provincia e di Confindustria a Brindisi per provvedere alla "tempestiva realizzazione degli interventi necessari allo svolgimento dei Giochi del Mediterraneo".
Massimo Ferrarese, 61 anni, originario di Francavilla Fontana (Brindisi), imprenditore (ultima commessa acquisita, la realizzazione del polo logistico Deghi a Lecce), politico navigato e dirigente sportivo di lunga durata, è il commissario straordinario nominato dal governo Meloni per i Giochi del Mediterraneo 2026 di Taranto. Il decreto della presidenza del Consiglio, datato 4 maggio, motiva la nomina con la necessità di provvedere alla “tempestiva realizzazione degli interventi necessari allo svolgimento dei Giochi del Mediterraneo“.
Erano stati i ministri agli Affari europei, Politiche di coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, ed allo Sport, Andrea Abodi, a criticare lo scorso marzo in una lettera il comitato organizzatore dei giochi presieduto dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, sostenendo che vi non erano “elementi sufficienti per l’aggiornamento dello schema di Dpcm recante l’identificazione delle opere da realizzare”. Una “mancanza che rischiava di compromettere il tempestivo avvio degli interventi in tempi utili per lo svolgimento dei Giochi” a causa del “ritardo accumulato nell’attività di programmazione”. In seguito è arrivata la proposta di un emendamento da parte di alcuni senatori di Fratelli d’Italia che sollecitavano la nomina di un commissario straordinario, che è stata approvata in aula da entrambi i rami del Parlamento (Camera e Senato).
La norma prevede che “al fine di assicurare la tempestiva realizzazione degli interventi necessari allo svolgimento dei Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026, con decreto del presidente del Consiglio è nominato un commissario straordinario”. il quale “provvede alla predisposizione, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente a tale scopo destinate e sentito il comitato organizzatore dei XX Giochi del Mediterraneo, della proposta del programma dettagliato delle opere infrastrutturali occorrenti, comprese quelle per l’accessibilitá, distinte in opere essenziali, connesse e di contesto, con l’indicazione, per ciascuna opera, del soggetto attuatore, del costo complessivo, dell’entità finanziamento concedibile, delle altre fonti di finanziamento disponibili e del cronoprogramma di realizzazione degli interventi”.
Massimo Ferrarese ha trascorso 7 anni alla presidenza della New Basket Brindisi, squadra di serie A, ed ha ricoperto il ruolo di amministratore unico e presidente in diverse società operanti nel campo delle costruzioni. Dal 2004 al 2009 è stato presidente di Confindustria Brindisi, entrando nella giunta nazionale sotto la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, e di Invimit, società pubblica dedicata alla valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato. Ha debuttato in politica nel 2009 vincendo le elezioni provinciali a Brindisi alla guida di una lista civica centrista.
“L’uomo giusto al posto giusto” ha dichiarato il consigliere regionale Renato Perrini (FDI) “Accolgo con grande soddisfazione la nomina di Massimo Ferrarese a commissario straordinario dei Giochi del Mediterraneo. La scelta del ministro Raffaele Fitto è ricaduta su una delle personalità politico-imprenditoriali più importanti della nostra Regione. Un curriculum di tutto rispetto che ha visto Ferrarese a servizio delle Istituzioni, ma anche del territorio. Imprenditore edile di successo, ha lasciato la sua impronta sia come presidente della Provincia di Brindisi, sia come presidente della Confindustria di Brindisi. Dall’alto della sua esperienza politico-imprenditorialesaprà dare quell’accelerata che serve per realizzare il grande evento sportivo che la città di Taranto si aspetta, forte anche della passione che Ferrarese ha per lo sport. Ferrarese è un grande conoscitore di tutto il Salento, quindi di tutto il territorio che ospiterà i Giochi“
“Ferrarese potrà contare sul mio personale sostegno, e di tutta Fratelli d’Italia, ma spero di tutta la classe dirigente e politica che attorno a lui saprà fare squadra, nessuno escluso, auspicando che anche chi ha gestito i Giochi finora è pronto a collaborare per far vincere Taranto e i tarantini.” conclude Perrini.
“La nomina di Massimo Ferrarese a commissario dei Giochi del Mediterraneo 2026, che si svolgeranno a Taranto, è la decisione migliore che potesse essere adottata dal ministro Fitto. Ferrarese è un brillante imprenditore nel del campo dell’edilizia e non solo, con esperienze di rilievo sia nell’amministrazione pubblica, avendo ricoperto il ruolo di presidente di Invimit , società deputata alla valorizzazione del patrimonio immobiliare italiano che di presidente della Provincia di Brindisi”. Così l’onorevole Dario Iaia, coordinatore provinciale Fratelli d’Italia di Taranto e componente della commissione parlamentare Ambiente, territorio e Lavori pubblici.
”È esperto e appassionato di sport: con il basket ha raggiunto risultati di rilievo nazionale. Persona del territorio, seria e preparata, saprà impostare al meglio questa importante manifestazione, dando quella accelerazione necessaria per la realizzazione delle opere e degli interventi necessari, garantendo la necessaria trasparenza e compartecipazione. Per Taranto oggi, è una grande giornata”. L’ on. Iaia puntualizza che “lo stesso commissariamento si è reso necessario per via dei ritardi accumulati sul cronoprogramma degli interventi, privi oltretutto di coerenza finanziaria da parte del comitato organizzatore. Ora invece, grazie a questa decisione governativa, si tornerà alla realtà e Taranto avrà l’occasione che merita”.
Il prossimo passo, dopo l’ufficialità della nomina di Ferrarese, dovrebbe essere la firma del decreto attuativo per sbloccare i 150 milioni di euro stanziati per la realizzazione degli impianti multidisciplinari attesi a Taranto.
Nel frattempo sulla “scia” politica del Governatore pugliese Michele Emiliano che aveva detto ““Se qualcuno vuol gestire i soldi li gestisca, l’importante è che i Giochi si facciano” e dopo le boutade televisive di Elio Sannicandro (Asset Puglia) e dell’ assessore comunale tarantino Mattia Giorno, i quali sostenevano che doveva essere il comitato organizzatore (che invece in realtà è stato commissariato e privato di ogni potere operativo) a gestire appalti e lavori, persino il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci si è dato una “regolata”, dopo aver attaccato il Governo Meloni giudicando “inconcepibile, il gabinetto del Ministro Abodi che decide di disertare le deliberazioni del comitato organizzatore, che si riunisce per dare esecuzione proprio alle recenti indicazioni del governo, così risultiamo tutti poco seri agli occhi dei cittadini e del comitato internazionale, sono molto perplesso“.
La richiesta del Sindaco Melucci «ai parlamentari ionici di tutti gli schieramenti e ai ministri coinvolti di intervenire rapidamente a soppressione di quell’emendamento, o almeno a rettifica di quell’impianto, altrimenti da sottoscrittore unico del contratto che lega Taranto agli impegni internazionali dovrò trarre le mie conseguenze, anche formali“ è rimasta disattesa, finendo nel dimenticatoio o meglio nel cestino delle “baggianate”, ed infatti oggi ha suonato la “ritirata” con le dichiarazioni delle ultime ore: “Siamo pronti a collaborare, confidando nelle riconosciute qualità di Ferrarese come imprenditore, politico e amministratore, affinché il masterplan che così diligentemente abbiamo elaborato possa realizzarsi concretamente, grazie anche alla dotazione finanziaria già predisposta”, aggiungendo. “Confidiamo soprattutto che questa nomina inneschi un ulteriore impegno economico da parte dell’esecutivo nazionale, che nei Giochi deve intravedere, come a noi è già palese, un’occasione di ripartenza per l’intero Meridione e in particolare per Taranto, non certo un semplice evento sportivo”.
Incredibilmente Melucci ed i suoi “cortigiani” ed i soliti “pennivendoli” della stampa locale non si rendono conto, come anche Sannicandro e Giorno, che il ruolo di “prime donne” dei Giochi del Mediterraneo, si sia rivelato solo un sogno. Anche perchè i soldi sono del Governo e non delle amministrazioni comunali e regionale che sinora hanno tirato fuori pochi spiccioli…E sarà il neo-commissario Ferrarese il “deus-ex-machina” dell’ organizzazione dei Giochi avendo i pieni poteri conferiti dal Governo, che forse a Taranto qualcuno non sa, è organo superiore al Comune di Taranto e persino alla Regione Puglia!
“L’indicazione, giunta dal ministro per il Sud Raffaele Fitto, rappresenta un motivo di orgoglio per il nostro territorio e, al contempo, una imperdibile opportunità. Appare infatti evidente che potrà finalmente essere data una decisiva accelerata alla vera partenza delle opere, intesa come definizione dei progetti e apertura dei cantieri. Un’ occasione estremamente importante per il settore edile che, dopo lo stop ai bonus, rischia seriamente di implodere. Chi meglio di un amministratore, politico e soprattutto imprenditore che gestisce un’azienda che costruisce le aziende per guidare questa “macchina sportiva ?” riporta una nota dell’ ANCE Brindisi.
“Come associazione che rappresenta le imprese edili non possiamo che accogliere favorevolmente la notizia che, siamo certi, condurrà al taglio del nastro delle opere completate e collaudate e al rilancio dell’economia, in primis nel corso della manifestazione, ma anche nel prossimo futuro. L’auspicio, che siamo certi possa realizzarsi, è infatti che questa nomina inneschi una virtuosa ripartenza per l’intero territorio. Auguriamo quindi buon lavoro al neo commissario, che ha ampiamente dimostrato nel tempo, la sua capacità di raggiungere gli obiettivi, portando a casa risultati concreti” conclude ANCE Brindisi. Redazione CdG 1947
Il sindaco di Taranto Melucci entra in Italia Viva: il trionfo del “trasformismo” alla faccia degli elettori. Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 3 Dicembre 2023
Melucci non ha spiegato le ragioni per le quali dopo la visita di Calenda a Palazzo di Città, che all'epoca dei fatti era ministro dello sviluppo economico del Governo Renzi, ritirò il ricorso congiunto alla Regione Puglia, contro il decreto "salva Ilva" del Governo Renzi, lasciando solo Michele Emiliano dinnanzi al Tar.
Continuano le “fake news” del “Sergente Garcia” made in Taranto, novello Giuda politico, sotto mentite spoglie di Sindaco di Taranto. Rinaldo Melucci dopo aver “tradito” il Pd ed il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che lo hanno eletto sindaco di Taranto per ben due volte, è passato passa ad Italia Viva, con la sfacciataggine di attaccare ed accusare il leader di Azione, Carlo Calenda. Cioè colui che fece avere alla sua ex società Melucci Shipping, (trasformatasi in Meridian Shipping) , nella quale era ancora attivo suo padre, dalla società Cimolai di Pordenone, un appalto da 2 milioni di euro connesso al trasporto (Taranto-Pordenone-Taranto) dei materiali necessari alla realizzazione della copertura dei parchi minerari dello stabilimento siderurgico ex-ILVA. Trasporto che peraltro quella società non avrebbe potuto svolgere, priva di autorizzazione del Ministero dei trasporti.
Rinaldo Melucci e Michele Emiliano
Rinaldo Melucci partecipando oggi all’assemblea nazionale di Italia Viva organizzata al Cinema Adriano in Piazza Cavour, a Roma ha dichiarato: “Intanto questo partito non è solo Matteo Renzi, che ringrazio per l’accoglienza e l’attenzione. Lo stesso Renzi ha sottolineato che su grandi temi ci possono essere divergenze, ma in realtà voglio dire che la nostra grande difficoltà, nel 2018 a Taranto, è stata con la gestione dell’allora ministro Calenda, che non ha consentito rilanci ad altri operatori, ha aggiudicato la fabbrica ad Arcelor Mittal, che si sapeva essere uno speculatore finanziario, e non ha consentito un percorso di decarbonizzazione come richiesto dalla Regione Puglia“.
Gli “speculatori” Mittal ed il sindaco Melucci felice e sorridente…..
Melucci non ha spiegato perchè proprio dopo la visita di Calenda, all’epoca dei fatti ministro dello sviluppo economico, ritirò il ricorso congiunto alla Regione Puglia, contro il decreto “salva Ilva” del Governo Renzi, lasciando solo Michele Emiliano dinnanzi al Tar. Il sindaco “trasformista” ha aggiunto: “Renzi all’epoca era il premier, ma oggi ho sentito da lui parole molto legate al concetto di decarbonizzazione. Siamo qui proprio per capire come sintonizzare le politiche di questo partito nei prossimi anni su queste vicende. Una distanza vera e personale con Renzi non c’è mai stata”, ha contin uato Melucci. “Io non sono stato convinto, né devo convincere nessuno. Faccio politica in maniera attiva e libera. Non si lascia un partito del 20% per cercare allori. Io sono alla ricerca di spazi per poter lavorare e negli interessi della mia comunità”, ha concluso Melucci. “Interessi della comunita” ? Quale comunità , forse quella di “casa Melucci” e dintorni…?
Renzi ha dato il suo appoggio e benvenuto a Rinaldo Melucci. “Credo che stia succedendo un fatto di grande importanza. Il sindaco continuerà il suo lavoro con noi. Abbiamo sempre detto le stesse cose su Ilva e Taranto: noi abbiamo messo più di un miliardo di euro per la decarbonizzazione e per un progetto di ambiente pulito. Nel corso degli anni ci sono stati tanti elemeni di confronto, oggi c’è uno spazio politico che si apre“, ha detto il leader di Italia Viva a margine della Assemblea nazionale del partito organizzata al cinema Adriano in piazza Cavour, a Roma.
Salvatore Micelli e Matteo Renzi, alle spalle l’imputata Carmen Casula
Renzi non ha tenuto minimamente presente che nessuno dell’ attuale gruppo consiliare di Italia Viva al Comune di Taranto, è stato mai eletto nelle sue liste, e che il suo partito ha accolto fra i suoi sostenitori l’ ex-carcerato, e pluri-processato Salvatore Micelli, la cui compagna Ilaria Pizzolla (un assistente sociale !) proveniente da Rifondazione Comunista è stata nominata proprio dal sindaco Melucci, incredibilmente come vice presidente nella società pubblica di trasporti Kyma Mobilità (ex Amat spa)!
Adesso come reagiranno dolo il tradimento politico del “voltagabbana” Melucci i consiglieri comunali del PD, di CON e del M5s che tengono in piedi la maggioranza dell’amministrazione comunale di Taranto ? Avranno la dignità e l’orgoglio di ritirare la fiducia al Sindaco Melucci ed andare a nuove elezioni, o si preoccuperanno solo del loro “stipendio” di consigliere ed assessore che dal 1 gennaio 2024 raddoppieranno ?
Antonello de Gennaro. Giornalista professionista dal 1985 ha lavorato per importanti quotidiani e periodici, radio e televisioni nazionali in Italia ed all’estero. Pioniere dell’informazione sul web è ritenuto dei più grossi esperti di comunicazione su Internet.
Melucci perde la fiducia della maggioranza che lo ha eletto sindaco di Taranto, e si inginocchia ai soliti “faccendieri” della politica locale... Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 17 Novembre 2023
Rinaldo Melucci dopo la sua uscita dal Pd, di fatto non gode più in realtà della fiducia della maggioranza "politica" che lo aveva eletto, e del sostegno del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, stanco di dover sempre intervenire per sistemare i problemi "politici" causati dal Sindaco di Taranto.
Dopo aver ritirato la delega all’ assessore Francesca Viggiano, vice presidente regionale del Partito Democratico ed al vicesindaco Fabrizio Manzulli, considerato un “fedelissimo” , il sindaco di Taranto (sempre più pro-tempore) Rinaldo Melucci ha ufficializzato l’ingresso in giunta con la delega all’Ambiente e alla Qualità della Vita la consigliera comunale Angelica Lussoso neo-adepta di “Italia Viva” nominando vicesindaco Gianni Azzaro eletto nelle liste del Pd, anch’egli in odore di passaggio nelle file di Italia Viva. Continua la marcia di avvicinamento di Melucci, rieletto alle Amministrative 2022 sotto il simbolo del Pd a cui era iscritto e che ha lasciato di recente, puntando al partito di Matteo Renzi che gli avrebbe proposto una candidatura alle prossime elezioni, considerando che Melucci non potrebbe più fare il sindaco dopo il secondo mandato, e di fatto resterebbe disoccupato.
“Oggi si conclude formalmente la mia esperienza nel Partito democratico. Un partito che sta cambiando pelle, come sono inevitabilmente cambiato io lungo questi anni assai impegnativi”. Così il sindaco e presidente della Provincia di Taranto, Rinaldo Melucci, lo scorso 27 ottobre comunicava la sua decisione di lasciare il Partito democratico.
Gianni Azzaro: una carriera sempre da “vice”
Azzaro. “vice” di TamburrantoAzzaro “vice “di Melucci
Autorevoli fonti baresi ci hanno raccontato di un colloquio telefonico intercorso fra Gianni Azzaro ed il presidente dell’ ANCI e sindaco di Bari Antonio Decaro, a cui faceva riferimento, al quale ha giustificato la sua accettazione dell’incarico di “vice” di Melucci, non potendo fare a meno dello stipendio comunale (che gennaio 2014 , altrimenti avrebbe rischiato di tornare ad indossare la divisa della Guardia di Finanza e di tornare a fare il suo reale lavoro finanziere in qualche caserma. Il vice sindaco Azzaro dal 1 gennaio 2024 percepirà una indennità del 75% di quella del sindaco Melucci (vedi tabella sotto).
Melucci ha revocato la delega all’ormai ex-assessore Francesca Viggiano, esponente del Pd, ininterrottamente nella giunta comunale guidata dal primo cittadino dal 2017, catapultato nella politica, per mancanza di candidati sindaci, su indicazione di Walter Musillo e dell’ on.Michele Pelillo. E’ stato lo stesso sindaco di Taranto con una nota a spiegarne la rimozione. “La motivazione – si legge nel documento – è strettamente connessa al venir meno dei necessari elementi fiduciari, in molteplici occasioni, tipici del ruolo da interpretarsi all’interno della giunta comunale, specie in una fase così strategica per la città”.
“Si è portati spesso a pensare che ci si lasci perché carichi di rancore o insoddisfatti – aggiungeva Melucci – In verità, in una visione più romantica e profonda del sentire la politica, nella sua accezione più elevata, la scelta di prendere strade differenti può essere dipesa dalla semplice ed umana ambizione di ricercare nuove motivazioni, energie e valori più aderenti al proprio sentire e al proprio progetto politico. Preciso subito che il secondo caso è quello che credo mi riguardi“.
Francesca Viggiano e Rinaldo Melucci
Immediata la replica dell’ex assessore Viggiano che ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Prima che inizino favoleggiamenti sull’atto di sfiducia, preferisco parlare io, come ho sempre fatto.
Non ho rubato, non sono indagata, non ho commesso reati. Lo scorso venerdì, la Giunta comunale di cui facevo parte, ha discusso, e poi deliberato, un provvedimento che ha dato il via alla nascita di un nuovo Comitato dei Giochi del Mediterraneo. Sono arrivata in Giunta alle 8.30 del mattino, ho chiesto di conoscere il contenuto del provvedimento e di discuterlo. Alle 12.30 non si conosceva ancora il contenuto e non ho ricevuto le rassicurazioni politiche che ho richiesto. Ho chiesto, da Donna di sinistra e in qualità di vice presidente del Pd regionale il perché dovessimo regalare i giochi al Governo, voltando le spalle alla Regione Puglia che quei Giochi aveva contribuito a portare a Taranto. Alle 12.30, il provvedimento non era ancora arrivato e sono andata via per andare a prendere mia figlia da scuola. Questa è la mia colpa. Questa è la colpa di chi in consiglio comunale avrebbe dovuto rappresentare 1000 concittadini ed ha deciso di dare fiducia, ancora una volta, al capo dell’amministrazione che ho contribuito a far eleggere, insieme al mio partito“.
Era soltanto il 17 settembre scorso quando sul palco della Festa dell’Unità , cioè la festa del Pd, in Piazza Garibaldi a Taranto, Rinaldo Melucci ed Elly Schlein si erano “legati” con uno scambio di parole politicamente molto dolci. “Rinaldo, saremo sempre al tuo fianco“, diceva la Schlein. “C’è vita in questo partito”, le rispondeva sorridente e felice Melucci.. Un dialogo sdolcinato dopo che Melucci al congresso aveva tentato ancora una volta senza successo la sua “scalata” nel Pd ionico sostenendo la candidatura il nome di Stefano Bonaccini, cioè il rivale della Schlein. una scommessa quella del sindaco di Taranto giocata male con un risultato finale conclusosi ancora peggio.
Melucci successivamente ha aperto all’ingresso nella sua maggioranza ad Italia Viva, partito a cui – secondo finti a lui molto vicine – potrebbe aderire nei prossimi giorni. L’apertura ai neo-renziani aveva creato peraltro malumori nella coalizione di centrosinistra perchè due dei consiglieri di Iv, Massimiliano Stellato e Carmen Casula (a processo per truffa al Comune di Taranto !) , erano tra i 17 consiglieri che, nel novembre 2021, avevano depositato le dimissioni davanti a un notaio portando allo scioglimento anticipato del consiglio comunale.
“La mia opinione è che Melucci stia facendo bene il sindaco; se ne è andato dal Pd ma lo ha fatto in modo civile”. Questo il commento del presidente di Italia Viva, Matteo Renzi sull’ingresso del primo cittadino di Taranto Rinaldo Melucci. “Con il sindaco Melucci – ha continuato Renzi in aperta campagna elettorale per le prossime Europee – abbiamo un rapporto che è di lunga data. Rinaldo è un ragazzo che ha fatto molto bene, ci sono cose su cui siamo andati d’accordo e cose su cui siamo andati meno d’accordo ma è una persona che ho molto apprezzato per come ha impostato il suo rapporto con la città“.
Questa sera è stato diramato un comunicato stampa da Bari : “ Facendo seguito all’incontro avvenuto poche ore fa tra le Segreterie regionali del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle e del Movimento Politico CON, rappresentiamo l’esigenza di tornare alla politica abbandonando percorsi amministrativi che non forniscano la giusta serenità nelle scelte che riguardano l’esecutivo che amministra la Città di Taranto. Disorientati purtroppo dalle periodiche rivisitazioni del suo governo, vorremmo intraprendere scelte che garantiscano stabilità a questa comunità che attraversa momenti e decisioni critiche. Lo dobbiamo ai cittadini. Confermeremo di conseguenza l’appoggio esterno a questa amministrazione fino a quando saranno proposti provvedimenti utili alla Città di Taranto e nella attesa che la condivisione delle iniziative politiche e delle scelte amministrative torni ad ispirare azione“, che è stato condiviso e firmato dai Segretari Regionali del Partito Democratico (Domenico De Santis), del Movimento 5 Stelle (Leonardo Donno) e del movimento politico regionale CON (Michele Boccardi) creatura politica di Michele Emiliano.
In pratica Rinaldo Melucci dopo la sua uscita dal Pd, di fatto non gode più in realtà della fiducia della maggioranza “politica” che lo aveva eletto, e del sostegno del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, stanco di dover sempre intervenire per sistemare i problemi “politici” causati dal Sindaco di Taranto. E la mancanza di un sostegno così importante, potrebbe mandarlo a casa in qualsiasi momento, a partire dell’approvazione del bilancio, nonostante le “stampelle” comprate a caro prezzo di alcuni dei consiglieri che nella sua prima consiliatura comunale, come Massimiliano Stellato (diventato nei giorni scorsi segretario regionale pugliese di Italia Viva), avevano firmato con le proprie dimissioni la sfiducia a Melucci facendolo decadere sei mesi prima della naturale scadenza del suo primo mandato di Sindaco.
Gli assessori percepiranno il 60 per cento dell’indennità del sindaco.
Ma pur di mantenere la “poltrona” Melucci, dopo aver perso la sua partita principale, e cioè quella dell’organizzazione, ma sopratutto “gestione” dei Giochi del Mediterraneo 2026, oggi pur di sopravvivere a Palazzo di Città cerca alleanze anche con il diavolo con un vero proprio “scambio merce” (leggasi nomine ed incarichi clientelari). Lui che diceva: “Bisogna essese seri per fare politica”. Resta da capire se Melucci conosca realmente il significato della parola “serietà“, o se ancora oggi non abbia capito come si faccia politica. Ma probabilmente il pensiero di vedere raddoppiare il suo stipendio di sindaco, che passerà dagli attuali 5.205,89€ a 11.040€al mese , lo tiene incollato alla sua poltrona, ancor più di prima. Così come qualcuno potrebbe mai ipotizzare che i consiglieri comunali di Taranto che lo sostengono rinuncino al proprio stipendio attuale di 1.301,47 euro al mese, che dal 1 gennaio 2024 salirà a 2.760,00 euro al mese ?
Redazione CdG 1947
Il suicidio politico di Rinaldo Melucci. Redazione CdG 1947 e Gianni Liviano, consigliere comunale di Taranto, su Il Corriere del Giorno il 19 Novembre 2023
Melucci senza alcuna storia pregressa di impegno sociale,culturale o politico , rinnega chi gli ha permesso di realizzare il passaggio da socio di un consorzio di operatori del porto a sindaco e presidente della Provincia. Al contempo si innamora e si lascia trasportare da chi due anni fa lo ha mandato a casa. Forse vuole dare l’ennesima, non richiesta, prova di forza, ma compie un suicidio politico in piena regola
E’difficile comprendere cosa ci sia di razionale nell’azione del sindaco Melucci. Certo nulla che abbia a che fare con la politica seria. La politica, quella seria, prevede che chi la fa abbia due caratteristiche: la prima è l’orizzonte di valori di partenza e la seconda è il desiderio di essere a servizio del bene della comunità che si governa. Sia chiaro, in politica non esiste la verità, esistono le opinioni e ogni opinione è assolutamente legittima (se maturata all’interno di scenari di rispetto per gli altri).
Ma, a prescindere da quali siano le opinioni, chi fa politica deve avere valori di partenza e prospettive da realizzare, perchè diversamente c’è un’assoluta assenza di bussola e i protagonisti politici diventano autoreferenziali. Il nostro protagonista, Rinaldo Melucci, è un ottimo interprete della politica che recita a soggetto senza bussola e senza spartito, avendo un solo obbiettivo: se stesso.
Non sarebbe il solo, moltissimi protagonisti della politica (generalmente quelli piu’ premiati dalle comunità) hanno in mente un solo obbiettivo: se stessi e le proprie ambizioni (qualche volta in verità facendo confusione tra ambizioni politiche e interessi personali). Ma anche proseguendo questo volendo perseguire quest’obbiettivo, e cioè l’autoreferenzialità, l’atteggiamento di Melucci appare comunque del tutto irrazionale.
La famiglia Mittal ricevuta da Melucci a Palazzo di Città
Infatti una persona senza alcuna storia pregressa di impegno sociale,culturale o politico che occasionalmente e senza alcun merito personale si trova a ricoprire il ruolo di sindaco e di presidente della provincia dovrebbe quanto meno ringraziare il partito che glielo ha consentito: la comunità di uomini e di donne che, a torto o a ragione, gli hanno permesso di avere questi ruoli di assoluto prestigio, il Partito Democratico.
Melucci no. Melucci invece no, Melucci rinnega chi gli ha permesso di realizzare il passaggio da socio di un consorzio di operatori del porto a sindaco e presidente della Provincia. Al contempo si innamora e si lascia trasportare da chi due anni fa lo ha mandato a casa. Lascia la moglie (intesa come Partito Democratico) sempre fedele e remissiva e decide di iniziare una relazione non ufficiale ma palese con un’altra (intesa come Massimiliano Stellato e i suoi amici), che esattamente due anni fa ha raccolto le firme accusandolo in maniera manifesta di assoluta incapacità politica.
le cenette “carbonare” di Melucci (a sx Tribbia, a dx Tamburrano)
Anche guardando la politica dalla prospettiva di autoreferenzialità che lo caratterizza, Melucci che cosa ci guadagna da questa scelta ? Politicamente assolutamente nulla. Forse vuole dare l’ennesima, non richiesta, prova di forza, ma compie un suicidio politico in piena regola riuscendo, forse, a risvegliare da un sonno atavico, i partiti che lo appoggia(va) con in primis il Partito Democratico.
Il sindaco Melucci chiama Meloni: «Lavoriamo tutti insieme per Taranto». «Le grandi trasformazioni della città richiedono continuità e risolutezza amministrativa, non ripartiamo da zero». MIMMO MAZZA su La Gazzetta del Mezzogiorno il il 30 Luglio 2023
Sindaco Rinaldo Melucci, Taranto sembra scomparsa dai radar del Governo: nessuna prospettiva certa sull'Ilva, confusione sui Giochi del Mediterraneo, archiviazione del Cis. Che accade?
«Accade purtroppo la solita schizofrenia di questo sfortunato Paese, nel quale ognuno fa tabula rasa del lavoro altrui, per pregiudizio e per partito preso, mentre le grandi trasformazioni che occorrono alle comunità richiederebbero una certa continuità e risolutezza amministrativa. Eppure gli Enti locali anche all'attuale Governo avevano fornito ogni garbata disponibilità e ogni spazio possibile nell'azione politica, con un concreto senso di responsabilità verso la terra ionica. Senza contare che la nostra programmazione è del tutto allineata alle politiche europee, dunque è un orientamento puramente amministrativo, dettato dai tempi che stiamo attraversando a livello globale, non un fatto meramente politico. Sono preoccupato e dispiaciuto, conservo una idea romantica della politica forse, ma non intendiamo mollare, mi appello al buon senso di tutti gli attori. Taranto è più importante di ogni considerazione».
Stiamo vivendo, dicono gli esperti, l'estate più calda degli ultimi decenni: possibile che non basti questo dato a spingere sulla decarbonizzazione dell'Ilva?
«Io penso che oggi essere ecologisti sia una esigenza di sopravvivenza per tutti e persino un elemento di competività dei nostri sistemi economici. Ho avuto modo di esprimere questo concetto anche alle parti sociali di recente. La transizione in chiave sostenibile e tecnologica dei nostri modelli di sviluppo, del tutto compatibile con la salute umana, è persino una opportunità per il mondo del lavoro e la produzione industriale, non va vista come un costo, se non nel breve periodo. E dopotutto oggi abbiamo le risorse per intervenire. Ma serve coraggio, buttare ancora una volta la palla avanti per me equivale a decretare la morte della fabbrica, presto o tardi. E adesso le responsabilità sono molto ben definite».
Che ne è stato dell'Accordo di programma annunciato con il ministro Urso?
«Noi già lo scorso mese di maggio abbiamo formalmente trasmesso al Ministro la traccia di lavoro che la comunità ormai da tempo invoca a larga maggioranza, per una traiettoria di iniziative industriali e di contesto da qui ai prossimi 10/12 anni. E ritengo fosse una esigenza dello stesso mercato dell'acciaio italiano. Una traccia assolutamente realizzabile. Stralciare, per esempio, i fondi del PNRR preventivati per le applicazioni dell'idrogeno e l'utilizzo dei forni elettrici ha sconfessato gli impegni di quello stesso Ministro. Del bavaglio normativo concepito a carico del sindaco, che da ordinamento dovrebbe difendere la salute dei cittadini, c'è poi poco da dire, è stato un gesto per me di grande inciviltà. Spero ancora che il Premier Meloni possa assumere protagonismo in questa vicenda strategica per l'intero Paese e possa fare chiarezza e mettere ordine alla prospettiva generale».
Il centrodestra accusa il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle di aver fatto poco e niente sul dossier Ilva negli ultimi anni: perché nessuna forza politica di governo alla fine non riesce a sottrarsi dai decreti salva-azienda?
«Non voglio compiere riflessioni troppo articolate. Ma su questo aspetto mi sento, con rammarico, di segnalare che chi avrebbe potuto agire, al netto delle belle parole e delle buone intenzioni, e per varie motivazioni non ha potuto farlo, per me ha eguale responsabilità di chi oggi vuole procrastinare la vita degli altoforni a carbone e l'ipoteca sulla salute dei tarantini e sulla tenuta delle imprese dell'indotto locale. Mi sento prima tarantino e poi iscritto ad un partito. Occorrerebbe uno sforzo di tutti verso la giustizia intergenerazionale, che a volte non paga nell'immediato in termini elettorali. È un guaio per il Paese che così declina rapidamente, in ogni settore. Poi non stupiamoci che i cittadini sfiduciati disertino in massa le urne».
C'è davvero il rischio che Taranto perda i Giochi del 2026?
«Direi di no. Ma la strada resterà in salita finché non arriveranno le rimesse finanziarie promesse dal Governo e il Commissario non verrà messo in grado di predisporre i necessari appalti. Gli Enti locali stanno provando a dare una mano al sistema, hanno persino dato disponibilità ad un cambio di governance dell'organizzazione, per lasciare al Governo il protagonismo che sembra condizione propedeutica a sbloccare la situazione. Ma su un punto mi auguro che ciascuno compia un serio esame di coscienza. Ci candidiamo ai Giochi del Mediterraneo per rigenerare i quartieri della città, per proiettare positivamente Taranto nello scenario internazionale, per spingere la nostra economia lontano dalle catene della monocultura siderurgica. Qualche imbiancata qua e là, per il timore dei tempi o dei costi, dei Giochi in formato ridotto in sostanza, non coglierebbero questi obiettivi che la gente si aspetta da una iniziativa del genere, sarebbe una sconfitta per tutti. È il motivo, per esempio, per cui insistiamo, anche perché tecnicamente ancora possibile, su di uno stadio di calcio del tutto nuovo e non su una semplice riqualificazione dell'impianto esistente, serve all'intero quartiere Salinella. Tutti insieme possiamo fare cose importanti e il Governo può lasciare il segno, ma non c'è altro tempo da perdere. E mi auguro che anche il mondo dello sport nazionale non resti concentrato solo sull'appuntamento di Milano-Cortina».
Come giudica il nuovo corso del Pd?
«Non lo giudico. Resta un po' di disagio su alcuni temi significativi per Taranto. Ma sono abituato a valutare i fatti e ho già fornito la mia sincera disponibilità alla segretaria Schlein in tal senso».
In molti la danno come vicino a Italia Viva e a Matteo Renzi malgrado la maggioranza con la quale governa il Comune di Taranto faccia muro contro i renziani: come stanno le cose?
A me sembra più che altro che alcuni in maggioranza facciano muro, legittimamente si intende, contro qualche singolo esponente di quell'area, non contro un impianto politico-valoriale interessante per il mondo moderato e riformista ionico. In uno schema di campo largo che altrove, in Puglia come nel resto d'Italia, si applica senza troppi intralci. E non è certo un mistero che io mi senta un moderato e riformista, ovvero che io abbia un buon rapporto con Matteo Renzi. E nessuno può immaginare che queste interlocuzioni avvengano senza un corretto coinvolgimento dei nostri livelli regionali. Ricordo, per altro, che un pezzo di Italia Viva è stato candidato con noi alle elezioni amministrative del 2022. Cosa votano in Consiglio comunale i rappresentanti di quello o altri partiti e gruppi non lo determino certo io. E in fin dei conti, in questa fase critica della vita della città, sarebbe auspicabile il contributo di tutti, nel rispetto delle regole e dei ruoli. Il passato non si cancella ed io sono stato il primo danneggiato da quel passato. Ma per le sorti e gli interessi di Taranto metto da parte ogni cosa, non bado ad altri ragionamenti. Mi dicono spesso che io dovrei migliorare politicamente, ma cosa è la politica se non questa mediazione dinamica per il bene comune? Forse la maggioranza dovrebbe migliorare, invece, in disciplina e proposta politica, invece che cercare nemici altrove, sempre che questo atteggiamento non sia dettato esclusivamente dai futuri posizionamenti elettorali. Ad ogni modo, direi che abbiamo l'urgenza di combattere tutti insieme per l'ex Ilva, per i Giochi del Mediterraneo, per la Transizione Giusta europea, per il lavoro, per la salute e l'ambiente, per la qualità dei servizi pubblici, per trattenere i nostri giovani, per molte altre cose più importanti delle scelte in Consiglio comunale eseguite da Italia Viva».
Caro Sindaco Melucci le scrivo…Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 30 Luglio 2023
Il sindaco di Bari Antonio Decaro compare nei primi pwosti nel gradimento da parte dei cittadini nelle classifiche nazionali stilate dal sondaggista Noto per il Sole24Ore , mentre Melucci compare in fondo alla graduatoria perdendo gran parte del precedente (immeritato) consenso
di Antonello de Gennaro
Caro Sindaco Melucci avendo letto questa mattina una sua intervista rilasciata a Mimmo Mazza un giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno a lei notoriamente molto “caro”, beneficiario in un recente passato di ingenti finanziamenti da parte dell’ Amministrazione Comunale da lei guidata, sotto mentite spoglie di pubblicità o di finte interviste e dibattiti pubblici a pagamento, a fronte del quale è calato il silenzio-autocensura dei noti “pennivendoli” locali, mi vedo costretto a scriverle questa lettera aperta, considerato che da 5 anni a questa parte, cioè da quando lei ricopre la carica di Sindaco di Taranto, lei non ha mai avuto il coraggio (o forse ci sono altri motivi ?) di farsi intervistare dal sottoscritto in diretta streaming. Ha per caso paura di non riuscire a reggere il confronto giornalistico con il sottoscritto affrontando le nostre domande?
Ancor di più ho ritenuto necessario scriverle caro Sindaco anche dopo aver letto nel pomeriggio odierno un suo comunicato stampa, a seguito del quale mi è venuto più di qualche serio dubbio e mi sono chiesto: ma lo ha scritto il “sergente Garcia” o il Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci ?
Ma andiamo per ordine. Partiamo dall’ intervista. Lei parlando dell’ ex-stabilimento ILVA, ha fatto queste affermazioni alla Gazzetta (o Mazzetta ?) del Mezzogiorno: “Del bavaglio normativo concepito a carico del sindaco, che da ordinamento dovrebbe difendere la salute dei cittadini, c’è poi poco da dire, è stato un gesto per me di grande inciviltà. Spero ancora che il Premier Meloni possa assumere protagonismo in questa vicenda strategica per l’intero Paese e possa fare chiarezza e mettere ordine alla prospettiva generale”.
E’ semplicemente vergognoso per un sindaco qualsiasi, un rappresentante pro-tempore come lei, definire “incivile” una decisione adottata e votata democraticamente dal Consiglio dei Ministri, cioè da parte di ministri rappresentanti di quella maggioranza parlamentare di centrodestra votata a stragrande maggioranza dagli elettori italiani. Loro rappresentano gli elettori, il popolo italiano. Mi viene spontaneo a questo punto chiederle: ma lei ci è, o ci fa ?
Quando lei sostiene che si sente “prima tarantino e poi iscritto ad un partito” si ricorda forse che lei è stato votato nella lista del PD, e che a Taranto l’ha votato solo 1 cittadino su 4 ? Si ricorda che la prima volta che si è candidato a sindaco, lei è stato eletto la prima volta grazie ad uno scarto di appena circa 800 voti ottenuti grazie al sostegno della lista civica dell’ ex-procuratore di Taranto Franco Sebastio, e della lista civica guidata da una mia parente ? Si ricorda che Sebastio magistrato di lunga carriera e protagonista del “processo Ambiente Svenduto”, venne da lei nominato assessore alla “legalità“, incarico che lei gli ritirò allorquando Sebastio iniziò a cercare di fare luce su due vicende, che sono state a lungo il nostro cavallo di battaglia giornalistico, e cioè la gestione della piscina comunale affidata alla famiglia Cassalia, che costa al contribuente tarantino oltre mezzo milione di euro all’ anno (tanto lei è residente a Crispiano e quindi non ne risente, anzi…! ) e quindi facendo qualche conto, circa 3milioni di euro pagati dall’ Amministrazione Melucci , senza dare seguito agli accertamenti disposti dal suo predecessore, quel galantuomo di Ippazio Stefano. Per non parlare poi delle aggiudicazioni ai soliti “furbetti-amici degli amici” puntualmente ritirate in autotutela dopo i nostri articoli sulla fantomatica gestione del Circolo Magna Grecia . Non a caso uno dei magnifici 4, Angelo (detto Lillo) Basile ha visto la sua impresa di famiglia costretta a chiedere il concordato fallimentare
Lei osserva che “non stupiamoci che i cittadini sfiduciati disertino in massa le urne”. Non si rende conto che se il suo programma politico-elettorale fosse stato valido ed apprezzato dagli elettori , e che se i suoi “amichetti” e “compagnucci” di cordata avessero riscosso il consenso da parte dei cittadini di Taranto, gli elettoridi Taranto che non sono andati a votare, si sarebbero recati a votare ? Ma così non è stato ! Ha forse dimenticato caro Melucci, che alla sua prima candidatura sindaco di Taranto lei è stato la 4a scelta del PD dopo la manifestazione di disinteresse del sottoscritto, seguita da quella dell’ ex direttore generale della BCC di S. Marzano Emanuele De Palma e per finire quella del collega Walter Baldacconi, ex-direttore dell’emittente tv Studio100 ?
Perchè non ci racconta le ragioni del suo odio e risentimento nei confronti di Walter Musillo, cioè dell’ ex-segretario provinciale del PD jonico, che la indicò a candidato sindaco per la prima volta nel 2017, facendola eleggere sindaco guidando il suo staff elettorale? Quello stesso Walter Musillo che alle ultime elezioni amministrative del 2022 , si è candidato a sindaco con il sostegno del centrodestra, quindi contro di lei, e così, incautamente facendo, le ha spianato di fatto la strada aiutandola senza volerlo ad essere rieletto, facendola così ritornare a Palazzo di Città da dove era stato sfiduciato a 6 mesi dal temine della consigliatura persino da consiglieri della sua stessa maggioranza uscente .
Domande queste che un giornalismo serio ed indipendente le avrebbe dovuto fare. Ma capisco bene che il giornalista Mimmo Mazza è un dipendente della società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, il cui socio al 50% è quel Tonino Albanese, condannato e plurimputato, che vive e prospera sulla sua collinetta di spazzatura a Massafra, potendo contare su circa 20milioni di euro l’anno che incassa con la sua società la CISA spa di Massafra per smaltire i rifiuti del Comune di Taranto. E senza quell’incasso la CISA rischierebbe di finire in perdita.
Quello stesso Tonino Albanese comproprietario del villaggio alberghiero-turistico di Castellaneta Marittima che nel primo masterplan dei “Giochi del Mediterraneo 2026” veniva indicato di fatto come “Villaggio Atleti” e sede del “Centro Media”, quindi beneficiario dei buona parte dei fondi dell’organizzazione necessari ad ospitare negli alberghi (quindi vitto ed alloggio) tutte le rappresentative nazionali, gli staff e della stampa, tutti a spese chiaramente del contribuente italiano ! E come poteva quindi farle qualche domanda scomoda il giornalista Mimmo Mazza ? Mica poteva rischiare in un colpo solo di danneggiare il suo “padrone-editore” Albanese e di poter perdere la sua poltrona di “fedelissimo vice direttore !!!
Per non parlare poi dei suoi sproloqui sempre sulla Gazzetta : “Ci candidiamo ai Giochi del Mediterraneo per rigenerare i quartieri della città, per proiettare positivamente Taranto nello scenario internazionale, per spingere la nostra economia lontano dalle catene della monocultura siderurgica. Qualche imbiancata qua e là, per il timore dei tempi o dei costi, dei Giochi in formato ridotto in sostanza, non coglierebbero questi obiettivi che la gente si aspetta da una iniziativa del genere, sarebbe una sconfitta per tutti. È il motivo, per esempio, per cui insistiamo, anche perché tecnicamente ancora possibile, su di uno stadio di calcio del tutto nuovo e non su una semplice riqualificazione dell’impianto esistente, serve all’intero quartiere Salinella. Tutti insieme possiamo fare cose importanti e il Governo può lasciare il segno, ma non c’è altro tempo da perdere. E mi auguro che anche il mondo dello sport nazionale non resti concentrato solo sull’appuntamento di Milano-Cortina”.
Caro Sindaco, mi perdoni una domanda sincera che non vuole essere offensiva. Ma lei sta bene ? Ma non era lei quell’agente marittimo che con i suoi colleghi dello Ionian Shippin Consortium voleva rilevare la società ILVA Servizi Marittimi (che ha ed aveva come unico cliente lo stabilimento siderurgico di Taranto) ? Non era lei il sindaco che all’improvviso ricevette a Palazzo di Città la visita del ministro (all’epoca dei fatti) Carlo Calenda, e subito dopo come per incanto società a lei vicine iniziarono a lavorare per lo stabilimento siderurgico per i trasporti via terra , mentre lei ha sempre operato con risultati modesti solo e soltanto sulle banchine portuali ?
Non era lei il sindaco che ritirò (lasciando da sola la Regione Puglia) il ricorso al TAR del Comune di Taranto contro Arcelor Mittal, atto legale che è costato decine di migliaia di euro pubblici al povero contribuente tarantino ? Non era lei il sindaco che accolse con ampia soddisfazione i Mittal a Palazzo di Città ? Non era lei il sindaco che accettò le sponsorizzazioni di Arcelor Mittal e di Eni per le prime manifestazioni per le festività natalizie a Taranto ?
Chissà se qualcuno a Palazzo di Città riuscirà spiegare al Sindaco Melucci che i Giochi del Mediterraneo notoriamente per la stampa internazionale “giornalisticamente” praticamente non contano niente , mentre a Milano-Cortina nel 2026 si celebreranno i Giochi Olimpionici Invernali cioè le Olimpiadi degli Sport Invernali che interessano e vengono seguite dalle televisioni di tutto il mondo ? E quel il comitato organizzatore ha già incassato (dagli sponsor privati) oltre mezzo miliardo di euro !!! Ma a Taranto in quattro anni dall’ aggiudicazione cosa ha prodotto il vostro Comitato organizzatore ? Solo rendering e parole ( o meglio “cazzate”) al vento !
I Giochi qualunque essi siano non si organizzano con i soldi dello Stato per la rigenerazione di un quartiere, e tantomeno si può costruite uno stadio nuovo del costo di circa 50 milioni di lire 25 dei quali a fondo perduto, cioè carico dello Stato (per una squadra di serie C) da affidare in seguito in gestione ai privati per 99 anni, lasciandoli sguazzare nella commercializzazione di 17mila metri quadri di spazi commerciali.
Chissà se è vero che lei insieme al suo nuovo caro “amico” Ferrara della neo-costituita-inattiva società Red Sport srl abbia chiesto ad altri enti locali se avessero a disposizione dei terreni “disponibili”pubblici” sui quali realizzare uno stadio nuovo . Questa storia equivoca ci è stata raccontata alla presenza di un appartenente alle forze dell’ ordine che sentendola raccontare da persone serie , è letteralmente sbiancato in faccia !
Melucci alla domanda del “solito” Mimmo Mazza sulla Gazzetta del Mezzogiorno di domenica: “Come giudica il nuovo corso del Pd?” ha così risposto: “Non lo giudico. Resta un po’ di disagio su alcuni temi significativi per Taranto. Ma sono abituato a valutare i fatti e ho già fornito la mia sincera disponibilità alla segretaria Schlein in tal senso”. Che strano…ma non era Melucci (o forse il sergente Garcia ?) a dichiarare esattamente il contrario lo scorso 13 marzo 2023 quando aveva rivolto una pesante accusa nei confronti della neoeletta segretaria nazionale dei “dem” : “Al di là dei proclami e delle buone intenzioni, come evidenziato da tanti osservatori anche indipendenti, il Pd targato Elly Schlein non sembra ancora interessato, purtroppo, a calarsi nella realtà delle città, delle periferie e della provincia italiane, della transizione giusta europea, del ritardo del Mezzogiorno, piuttosto che dei problemi demografici, burocratici o, in generale, di contesto che gli amministratori locali affrontano quotidianamente, con la chimera del Pnrr” aveva sottolineato Melucci, portando l’esempio di ciò che avviene a Taranto.
Dichiarandolo però proprio nel giorno in cui la segretaria Pd scendeva in piazza con Cgil, Cisl e Uil a Bologna, lanciando una precisa accusa rispetto al rapporto con i sindacati. costringendo il segretario regionale del PD pugliese De Santis a zittirlo: “Rinaldo Melucci ha chiesto più attenzione su Ilva e su Taranto – ha affermato -. Questo mi sembra chiaro. Ha solo sbagliato destinatario. Il Pd da Zingaretti in poi ha sposato la linea della decarbonizzazione dello stabilimento tarantino. Non si torna indietro su questa scelta strategica, di certo non si torna alle posizioni di Renzi. Noi siamo per tutelare lavoro e ambiente senza tentennamenti. Scaricare su Elly Schlein colpe che non ha – aggiunge De Santis – mi sembra gratuito e ingeneroso. Questo non è il tempo delle polemiche ma della conciliazione“
Il rammarico del sindaco di Taranto
“Mi interessa invece esprimere tutto il rammarico – osservava ancora Melucci – per un congresso che, ancora una volta, non si addice a un partito che si celebra come democratico. Ricatti, minacce, ricorsi creativi, percentuali pilotate nei circoli in provincia, anche ad opera di profili istituzionali del partito, che dovrebbero dare il buon esempio e voltare pagina, invece che cercare spasmodicamente rendite di posizione. Tanto gli elettori sanno valutare da soli, anche con i listini bloccati“. Per il sindaco di Taranto quello celebrato dal Pd a Taranto “non è un congresso unitario, non finga nessuno, possiamo ritenere saltati tutti i presunti accordi. Ha perso tutto il Pd, speriamo che Stefano Bonaccini lo cambi in fretta. Sento di dover chiedere scusa – conclude – a tutti i giovani tarantini che abbiamo coinvolto, parlando loro di un progetto nuovo, una piattaforma per loro. In ultimo, al termine del suo mandato a Taranto, desidero ringraziare il commissario Antonio Misiani, nonostante sia stato attore protagonista di questo scempio“.
Ma il trionfo della “follia” politica di Melucci si è celebrato oggi quando con un comunicato stampa ha parlato della gestione (fallimentare) di Kyma Ambiente scrivendo: “Si provi a girare in questi giorni di calura per altre blasonate città, non si potrà che riconoscere che Taranto è una città abbastanza pulita e decorosa. Certamente non è sufficiente, e difatti siamo impegnati nella realizzazione di un nuovo più solido contratto di servizi, nel finanziamento e nella predisposizione di un nuovo piano per la raccolta differenziata che la norma e il sistema regionale ci impongono, con un porta a porta spinto su tutti i quartieri e la sostituzione dei cassonetti ingegnerizzati dove necessario. Insomma, qualche mese ancora di rodaggio e dal primo gennaio si entrerà in una fase tutta diversa anche in questo frangente. Purtroppo i grandi cambiamenti costano fatica e richiedono tempo. E pandemie, aumenti dei prezzi o scioglimenti anticipati non hanno giovato. Ma quella pubblicità così negativa Taranto non la merita, è del tutto infondata“.
Caro Sindaco gentilmente ci dica: chi ha comprato i cassonetti ingegnerizzati ? Forse Babbo Natale o lei ? Chi ha nominato il management (si fa per dire..!) di Kyma Ambiente ? Forse la Befana o lei ? Come mai Taranto è ai primi posti solo per una Tari elevata, a danno del cittadino, a causa del fallimento della raccolta differenziata ? Come mai il sindaco di Bari Antonio Decaro si trova nei primi posti nel gradimento da parte dei cittadini nelle classifiche nazionali stilate dal sondaggista Noto per il Sole24Ore , mentre Melucci compare in fondo alla graduatoria perdendo gran parte del precedente (immeritato) consenso ? “Si faccia queste domande” direbbe il buon Gigi Marzullo ” e si dia delle risposte” e visto che si trova, le dia ai cittadini di Taranto.
Concludendo caro Sindaco, accetti un’intervista, un confronto giornalistico con noi , lo potremo fare girando insieme in auto per Taranto, così finalmente esce dal “Palazzo” e si rende conto della realtà. Chiaramente trasmettendo tutto in diretta streaming. Se la sente ? Ha il coraggio ? Noi stiamo qui, e l’aspettiamo. Sa come trovarci. Cordialmente.
Redazione CdG 1947
Le “mancette” post-elettorali dell’ Amministrazione Melucci al Comune di Taranto. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 23 Luglio 2023.
Chissà cosa penserà adesso il PD e Michele Emiliano di certi assessori e nomine condivise dal figliol prodigo Rinaldo Melucci, ormai abbandonato al suo sfortunato destino politico ormai in declino giorno dopo giorno. Questa cari amici non è politica al servizio della città, questa è vera "politica monnezza"
Ancora una volta il Comune di Taranto sconfina nell’illegalità ormai ampiamente diffusa nell’ Amministrazione Melucci, ed ancora una volta manca la trasparenza e la legalità prevista dalle vigenti norme di Legge. Il pregiudicato-già carcerato per 1 anni e 6 mesi e pluricondannato Salvatore Micelli, dopo averci provato con la Cooperativa Indaco amministrata da sua sorella, invalida civile psichiatrica (come lo stesso Micelli ha dichiarato in un’udienza in Tribunale) che aveva provato ad aggiudicarsi la gestione dei bar dello Stadio Iacovone, questa volta ci riprova con una fantomatica Associazione Sportiva Dilettantistica, l’ ASD Bocciodromo di Taranto, dichiarando (leggi QUI) di essere “concessionaria della struttura del Comune di Taranto denominata BOCCIODROMO sita nel quartiere Salinella di Taranto difronte lo stadio comunale” cercando di ricevere donazioni e contributi non avendo alcuna disponibilità economica.
Falso o vero ? Da un controllo effettuato sull’ Amministrazione Comunale non risulta alcuna aggiudicazione per il Bocciodromo, e quindi viene da chiedersi se è ILLEGALE l’ Amministrazione Comunale di Taranto guidata dal sindaco Rinaldo Melucci, o è ILLEGALE l’operato del Micelli che millanta qualcosa che non corrisponde al vero, mettendosi a fare la questua promettendo targhe di ringraziamento ! Chissà come si igiustificheranno il RUP e l’ assessore competente…!!! Ci auguriamo che i solerti investigatori della Guardia di Finanza di Taranto e qualche magistrato non “dormiente” della Procura di Taranto si attivino per fare luce su questa ennesima attività che “puzza” di illegalità, alle spalle ed a danno dei cittadini e contribuenti del capoluogo jonico.
Micelli è una vecchia “conoscenza” del nostro giornale, sia per le attività della Cooperativa Indaco nella gestione dell’ accoglienza e gestione dei migranti, che a seguito dei nostri servizi giornalistici e delle verifiche effettuate dal Comando centrale del NAS Carabinieri insieme al personale dell’ ASL Taranto nella struttura gestita da questa cooperativa (assediata da creditori e sopratutto da dipendenti non pagati) si vide revocare l’appalto dalla Prefettura di Taranto con un provvedimento firmato dal prefetto Cafagna in carica all’epoca dei fatti. Ma anche del nostro direttore de Gennaro che lo ha fatto condannare dal Tribunale Penale di Taranto a 7 mesi di carcere per i reati di stalking e diffamazione, in un processo che riuniva i 3 processi a cui la Procura aveva mandato il Micelli alla sbarra. Il quale recentemente ha provato a cercare una transazione ( con cui chiedeva la rimozione di tutti i nostri articoli sulle sue malefatte) che però è stata chiaramente rifiutata, in quanto i nostri articoli non sono mai stati e mai saranno in vendita.
Salvatore Micelli è una vecchia conoscenza delle forze dell’ ordine e della Procura di Taranto, essendo coinvolto a pieno titolo nell’ inchiesta “Quote rosa2” a seguito delle indagini della Guardia di finanza , sulla presunta truffa delle assunzioni fittizie di lavoratrici per intascare finanziamenti pubblici. La richiesta di rinvio a giudizio portava la firma del pubblico ministero Daniela Putignano e l’inchiesta rappresentava una costola di altra vicenda giudiziaria già all’attenzione del tribunale. A dicembre del 2018 vennero arrestati dalla Guardia di Finanza Salvatore Micelli, (in carcere) e Loredana Ladiana, (arresti domiciliari) con l’accusa di “associazione per delinquere” e “truffa aggravata“ il cui processo è tuttora in corso. I due tornarono in libertà a marzo 2019. Secondo l’accusa della Procura, Micelli era il “volano” intorno al quale girava buona parte delle presunte diciassette società fantasma costituite col solo scopo di intercettare finanziamenti europei destinati alle assunzioni al femminile. Denaro che secondo l’accusa era finito anche nelle casse del clan mafioso D’ Oronzo.
«Tangenti all’ex presidente della Provincia con fondi neri», depositate motivazioni condanna Tamburrano. Secondo il quadro tracciato dai finanzieri Tamburrano aveva ribaltato il primo diniego della Provincia all’ampliamento della discarica di Grottaglie e aveva concesso, influenzando il dirigente, il via libera a un affare che portava nelle tasche della società 1 milione di euro al mese. FRANCESCO CASULA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Maggio 2023
L’ex presidente della Provincia di Taranto, Martino Tamburrano, «pur di assecondare la propria avidità, non si è fatto scrupoli nel piegare la sua funzione pubblica». È quanto scrivono i giudici del tribunale ionico nelle motivazioni della sentenza con cui, il 16 novembre 2022, lo hanno condannato a 9 anni e 6 mesi con l’accusa di aver autorizzato l’ampliamento della discarica «La Torre Caprarica» ricevendo in cambio tangenti e favori. Nei giorni scorsi, il collegio di magistrati composto dal presidente Patrizia Todisco e a latere i giudici Marco Gallucci e Federica Furio, hanno depositato ben 568 pagine nelle quali hanno spiegato le ragioni delle condanne inflitte all’ex presidente, difeso dagli avvocati Carlo Raffo e Giuseppe Modesti, e agli altri imputati: nel verdetto, infatti, erano decretate anche la condanna a 7 anni per il dirigente della Provincia Lorenzo Natile, difeso dagli avvocati Claudio Petrone e Daniele D’Elia, a 9 anni per l’imprenditore Pasquale Lonoce e infine a 8 anni per Roberto Natalino Venuti, manager di «Linea ambiente», società del gruppo «A2a» che gestiva la discarica.
Al centro delle indagini svolte dai finanzieri, guidate allora dal tenente colonnello Marco Antonucci e coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone e dal sostituto Enrico Bruschi, c’era la determina dirigenziale per l’ampliamento della discarica concessa dalla Provincia guidata allora da Tamburrano: un provvedimento firmato materialmente da Natile, ma per l’accusa orchestrato proprio dall’ex presidente che in cambio avrebbe ottenuto denaro e altri beni. Secondo l’accusa, l’allora presidente della Provincia di Taranto avrebbe intascato, grazie al tramite di Lonoce, ben 5mila euro al mese da Venuti che ricopriva il ruolo di procuratore speciale di Linea ambiente srl.
Secondo il quadro tracciato dai finanzieri Tamburrano aveva ribaltato il primo diniego della Provincia all’ampliamento della discarica di Grottaglie e aveva concesso, influenzando il dirigente, il via libera a un affare che portava nelle tasche della società 1 milione di euro al mese.
Una tesi che il tribunale ha sostanzialmente confermato: nelle numerose pagine che spiegano la decisione, si legge infatti che Tamburrano «era ben conscio del fatto che, per ottenere un provvedimento favorevole a Linea Ambiente, fosse necessario interporre i suoi buoni uffici presso alcuni membri di tale organo, data la crucialità delle loro valutazioni tecniche». In cambio avrebbe ottenuto tangenti pagate in contanti o comunque in modo non tracciabile: una parte di queste sarebbe stata «ottenuta distraendo somme dai conti della società e dal conto corrente di Lonoce».
Per i magistrati, il sistema era chiaro: «i contratti stipulati da Linea Ambiente (società che gestiva la discarica di Grottaglie) e 2L Ecologia (società riconducibile all'imputato Lonoce) nel periodo ricompreso tra agosto 2017 e aprile 2019, aventi ad oggetto per lo più servizi di pulizia, erano in parte preordinati all'esecuzione dell'accordo corruttivo». Quei contratti, insomma, avevano un doppio scopo: da un lato, remunerare Pasquale Lonoce per il contributo da intermediario tra Venuti e Tamburrano per il rilascio dell'autorizzazione all'ampliamento della discarica e, dall'altro, quello «di creare la provvista economica da cui attingere le somme da destinare al pagamento delle tangenti» promesse all’ex presidente «per condizionare, in modo favorevole a Linea Ambiente, il corso e l'esito del procedimento amministrativo».
Oltre alle tangenti, però, Lonoce si sarebbe fatto carico anche delle spese della campagna elettorale - circa 250mila euro - per sostenere la corsa di Maria Francavilla, moglie di Tamburrano e candidata al Senato nelle liste di Forza Italia alle elezioni politiche del 2018.
Corruzione elettorale, la Cassazione conferma la condanna a Mazzarano. Al consigliere pugliese 9 mesi di reclusione con pena sospesa su La Gazzetta del Mezzogiorno l'8 Maggio 2023.
Confermata anche in Cassazione la condanna a 9 mesi di reclusione (con pena sospesa) per il consigliere regionale del Partito democratico ed ex assessore allo sviluppo economico Michele Mazzarano, già condannato in primo grado e in appello per un caso di corruzione elettorale. Mazzarano è stato riconosciuto colpevole in via definitiva di avere stretto un patto con l’imprenditore tarantino Emilio Pastore che gli fornì sostegno elettorale - con la messa a disposizione un locale e garantendogli voti - per le regionali del 2015 in cambio di un posto di lavoro per ciascuno dei suoi due figli.
A comunicare è stato il diretto interessato su Facebook: «In attesa di leggere le motivazioni, ribadisco la mia innocenza di fronte ad una 'falsità storicà. Non ho fatto mai il famoso 'pattò secondo cui avrei avuto un comitato elettorale gratis in cambio di posti di lavoro. Sono sereno per non aver commesso nessun reato». Le sentenze, secondo Mazzarano, «si basano sulla deduzione secondo cui l’apertura del comitato elettorale avrebbe presumibilmente comportato anche il 'patto sul votò, senza prove evidenti della presenza di questo patto», e sarebbero fondate su «dichiarazioni contrastanti e non da accertamenti evidenti».
Il reato a lui contestato non è disciplinato dalla legge Severino, «la pena non è menzionata sul casellario giudiziale e non ci sono ripercussioni sul mandato da consigliere regionale», ha aggiunto. «Nella mia vita politica - ha concluso - ho lavorato solo ed esclusivamente per il bene comune e sono consapevole di dover ancora servire le istituzioni e il mio territorio».
È La Cassazione conferma le sentenze di 1° grado e di appello nei confronti di Michele Mazzarano. Addio politica? Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 7 Maggio 2023
Con la sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione Michele Mazzarano dovrebbe lasciare la politica nelle istituzioni.
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato le due precedenti sentenze di condanna nei confronti del consigliere regionale del Partito Democratico Michele Mazzarano, che adesso potrebbe ( e dovrebbe secondo noi) lasciare il consiglio regionale pugliese. A meno che il Partito Democratico non voglia avere un pregiudicato, condannato con sentenza definitiva fra le proprie fila.
Nella precedente sentenza della Corte di Appello, il collegio presieduto dal giudice estensore Antonio Del Coro, a latere dr.ssa Luciana Cavallone e dr.ssa Paola Rosalia Incalza aveva così confermato la sentenza di primo grado emessa lo scorso 26 maggio 2021: “la vicenda sebbene – forse – più ordinaria di quanto non si creda, appare, tuttavia particolarmente grave in quanto mina alle radici il rapporto tra cittadino e politica nonchè il diritto/dovere della libertà del voto, per cui lo scostamento della pena base da parte del primo Giudice appare più che giustificato” criticando fortemente l’operato del consigliere regionale Michele Mazzarano (esponente del PD) , che già in precedenti processi che lo vedevano imputato in vicende giudiziarie dove “giravano soldi”, dai quali si era salvato da condanne pressochè certe, grazie alla lentezza della giustizia ed all’ intervenuta prescrizione.
Nel dispositivo di sentenza di secondo grado si leggeva che “non va dimenticato che le affermazioni effettuate dal Pastore (condannato insieme al Mazzarano n.d.a. ) risultano essere state, di volta in volta, pienamente confermate dagli accertamenti effettuate dagli investigatori, ivi comprese le dichiarazioni rese dai personaggi via via coinvolti nella presente vicenda i cui verbali di s.i.t. rimangono acquisiti agli atti”.
Con la sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione che pubblicheremo lunedì Michele Mazzarano dovrebbe in ogni caso ( Legge Severino o no) lasciare la politica nelle istituzioni. E dovrà dire “addio” anche alla Direzione nazionale del Pd dove era entrato, venendo “premiato” per aver appoggiato in provincia di Taranto la candidatura dell’attuale segretaria Elly Schlein.
Mazzarano non vuole lasciare la Regione
“La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso con cui si proponeva l’annullamento della sentenza sulla presunta ‘corruzione elettorale’ della mia campagna elettorale del 2015 su cui si era precedentemente pronunciata la Corte d’Appello. In attesa di leggere le motivazioni, ribadisco la mia innocenza di fronte a una “falsità storica’. Non ho fatto mai il famoso ‘patto’ secondo cui avrei avuto un comitato elettorale gratis in cambio di posti di lavoro”. dichiara Michele Mazzarano, del Pd, consigliere regionale della Puglia.
“Le sentenze si basano sulla deduzione secondo cui l’apertura del comitato elettorale -afferma- avrebbe presumibilmente comportato anche il “patto sul voto”, senza prove evidenti della presenza di questo patto. Di solito la “corruzione elettorale” si riscontra con tanti voti (spesso dimostrati con prove documentali) in cambio di denaro o altre utilità. In questo caso invece il riscontro riguarda una “deduzione” supportata da dichiarazioni contrastanti e non da accertamenti evidenti”.
Mazzarano precisa che “la pena comminata é sospesa, non é menzionata sul casellario giudiziale e non ci sono ripercussioni sul mandato da consigliere regionale. Il reato in questione -conclude- non é disciplinato dalle norme della Legge Severino”.
Come al solito il neo-pregiudicato Mazzarano cerca degli espedienti per rimanere a galla per non abbandonare la politica, dimenticando qualcosa. E cioè che le sue giustificazioni non sono state ritenute credibili e tantomeno valide in ben tre gradi di giudizio, a partire dal Tribunale monocratico di Taranto, per passare dalla Corte di Appello e finire dinnanzi agli ermellini della Suprema Corte di Cassazione che hanno confermato ai sensi dell’ art. 86 d.P.R. del 16 maggio 1960) la sua condanna a 9 mesi per “corruzione elettorale” e 5 anni di sospensione dal diritto elettorale e da tutti i pubblici uffici, . Qualcuno dovrebbe spiegare a Mazzarano che la “non menzione” non elimina la condanna, e che quando arriva la sentenza definitiva, sul certificato penale compare tutto, infatti comporta solo “ la non iscrizione della condanna sul certificato del casellario giudiziale, rilasciato a richiesta di privati, salvo che per motivi elettorali”.
Se avesse rispetto per la giustizia, e per gli elettori Mazzarano dovrebbe dimettersi immediatamente, ma sarebbe un pò troppo per un politicante che si è sinora salvato in ben due processi, dove c’erano tracce di assegni ricevuti, grazie alla intervenuta prescrizione. Il codice Etico del Pd prevede inoltre all’articolo 5 che “le donne e gli uomini del Partito Democratico si impegnano a non candidare, ad ogni tipo di elezione anche di carattere interno al partito, coloro nei cui confronti (…) sia stata emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva ovvero a seguito di patteggiamento, per delitti di corruzione nelle diverse forme previste e di concussione”. Ma secondo Mazzarano non è successo niente…! Redazione CdG 1947
Voto di scambio e corruzione elettorale a Taranto. Verso la chiusura le indagini sul concorso “pilotato” di Kyma Ambiente (ex AMIU , bloccato dalla Polizia di Stato. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 15 Novembre 2023
Le indagini sono arrivate pressochè a conclusione dopo il "blocco" giudiziario del concorso. Dall’esito dell’attività di polizia giudiziaria svolta, sarebbero emersi gravi indizi a carico di Rocco Lucio Scalera dirigente amministrativo dell’ AMIU spa , il quale venne fermato e condotto in Questura
Sono in corso a Taranto le notifiche degli avvisi di garanzia e richiesta di proroga delle indagini per gli ultimi 6 mesi previsti dal codice per il concorso di selezione per l’assunzione di 11 ispettori ambientali di Kyma Ambiente (ex Amiu spa), la società per l’igiene urbana sottoposta ad attività di direzione e coordinamento esercitata dal Comune di Taranto, guidata dal presidente Giampiero Mancarelli riconfermato nella carica nonostante la sua fallimentare gestione a seguito della imposizione del Partito Democratico al sindaco Melucci. I reati più pesanti per cui si procede sono “corruzione elettorale” e “voto di scambio“.
Le indagini sono arrivate pressochè a conclusione dopo il “blocco” giudiziario del concorso. Dall’esito dell’attività di polizia giudiziaria svolta, sarebbero emersi gravi indizi a carico di Rocco Lucio Scalera (fratello del consigliere regionale Antonio Paolo Scalera) dirigente amministrativo dell’ AMIU spa , il quale venne fermato e condotto in Questura per essere interrogato alla presenza di un legale, dal Pubblico Ministero Enrico Bruschi titolare del fascicolo d’indagine.
Il dirigente Scalera nel corso dell’interrogatorio in Questura dinnanzi al pm Enrico Bruschi, assistito dall’ Avv . Fausto Soggia del foro di Taranto, ammise le proprie responsabilità onde evitare di essere arrestato . Quello che balza agli occhi e che sa di incredibile è la circostanza che la società guidata da Mancarelli volesse assumere 11 nuovi dipendenti , nonostante la grave situazione economica della disastrosa gestione aziendale, per poi un anno dopo prevedere il licenziamento ben 57 dipendenti, di cui una ventina circa sono disabili portatori di handicap.
Per non parlare poi del DURC negativo dell’ azienda a causa dei mancamenti versamenti previdenziali della società comunale, motivo per cui i dipendenti, compresi anche quelli dell’agenzia interinale Tempor, non possono essere pagati dall’ azienda, in quanto a causa del DURC bloccato non è possibile per la società guidata da Mancarelli, nè incassare nè tantomeno pagare. Infatti dallo scorso ottobre ii dipendenti della società Kyma Ambiente (ex Amiu spa) hanno ricevuto il pagamento dei propri stipendi dall’ ente appaltante (che è anche socio unico), cioè il Comune di Taranto applicando il potere sostitutivo previsto dal Codice degli Appalti, per un importo mensile di circa 700mila euro.
La cosa incredibile è che ben due (Natuzzi e Scalera) sui tre dirigenti di Kyma Ambiente sono coinvolti in procedimenti giudiziari, ma evidentemente il CdA della società non ha mai letto il codice Etico dell’azienda….Redazione CdG 1947
Avviso di garanzia notificato al’ avvocato Sibilla presidente della Fondazione “Cittadella della Carità”. Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 14 Novembre 2023
Sibilla era stato nominato a presidente della Cittadella della Carità dal consiglio di amministrazione della Fondazione a febbraio 2019 su indicazione dell'ormai ex-vescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro. Nell'atto notificato il pm Antonio Natale della Procura di Taranto, sostiene che il mancato versamento sarebbe stato realizzato “con più azioni consecutive di un medesimo disegno criminoso”.
L’atto giudiziario è stato notificato a Salvatore Sibilla, rappresentante legale della Fondazione, il quale non avrebbe versato al Fisco entro i termini previsti dalla Legge oltre 1 milione e 700mila euro di ritenute dovute per le dichiarazioni di sostituto d’imposta per gli anni 2020 e 2021. Sibilla si guardava bene però dal non pagarsi i propri “profumati” emolumenti, sopratutto dopo essersi nominato anche direttore generale della Fondazione, nomina non condivisa da alcuni membri del CdA e dai revisori dei conti.
Sibilla era stato nominato a presidente della Cittadella della Carità dal consiglio di amministrazione della Fondazione a febbraio 2019 su indicazione dell’ormai ex-vescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro. Nell’atto notificato il pm Antonio Natale della Procura di Taranto, sostiene che il mancato versamento sarebbe stato realizzato “con più azioni consecutive di un medesimo disegno criminoso”. Da nostre informazioni l’ avvocato Sibilla risulterebbe iscritto ed attivo in una loggia massonica presente ed operante a Taranto.
Il nostro giornale, già un anno fa aveva dato notizia dei guai giudiziari a carico dell’ avvocato Sibilla il quale si era immediatamente attivato nello smentire la notizia da noi pubblicata che i fatti hanno dimostrato essere veritiera . Sibilla era è finito sotto i fari della magistratura insieme ad altri quattro indagati per “cooperazione in omicidio colposo” indagine della quale era titolare del fascicolo del procedimento il sostituto procuratore dr. Francesco Ciardo. Le indagini erano partite dopo la morte di una donna deceduta all’interno della struttura il 18 marzo 2019. Avviso di garanzia nel quale, oltre a Sibilla, figuravano anche il suo predecessore avv. Sergio Prete ed i consiglieri della fondazione.
Dalle indagini della Procura di Taranto era venuto alla luce che una delle concause della morte della donna sarebbe stata la presenza di batteri di legionella in alcune aree della struttura, nonostante ripetute ispezioni del NAS dei Carabinieri di Taranto .Secondo l’ipotesi accusatoria della Procura, i vertici della Cittadella della Carità, non avrebbero effettuato la dovuta disinfestazione di alcuni impianti che nel tempo si erano corrosi così favorendo il proliferare della legionella che avrebbe conseguentemente causato una polmonite nell’anziana donna.
Il pm Ciardo aveva contestato che già un mese prima del decesso, i vertici della Fondazione erano a conoscenza degli esiti di alcune analisi svolte sulla struttura, ma non avrebbero tempestivamente agito per ripristinare le condizioni opportune. Agli indagati e al responsabile del servizio di “Mantenimento Analisi Rischio Biologico Legionella” all’epoca dei fatti , era stata contestata anche l’omessa manutenzione preventiva su una serie di impianti nonostante fosse prevista dal contratto stipulato con la Fondazione. Indagata in questo procedimento era anche la “Fondazione Cittadella della Carità” quale persona giuridica per la responsabilità amministrativa dell’ente. L’ avv. Sibilla smentirà nuovamente tutto questo, anche questa volta ? Abbiamo più di qualche dubbio…
ESCLUSIVA DEL CORRIERE DEL GIORNO
Nel frattempo il Corriere del Giorno è in grado di pubblicare in esclusiva il verbale del CdA dello scorso 26 giugno sull’ennesima operazione a dir poco “sospetta” della Cittadella della Carità sulla pelle dei lavoratori, con un solo chiaro obiettivo: mettere le mani sulla convenzione con il servizio sanitario regionale. Concedendo un affitto d’azienda ad una società priva di solidità economica ed esperienza specifica, rappresentata incredibilmente da uno dei quattro componenti del CdA della Fondazione, il dr. Luigi Gianciotta in aperto conflitto d’interessi ! Solo coincidenze ?
L’ affitto del ramo d’azienda della Cittadella alla Soave
Tale operazione è inutile, secondo un illustre professionista, peraltro non risolutiva ed anzi dannosa per i problemi e per il patrimonio economico finanziario della Fondazione. Infatti, la Fondazione ha circa 180 dipendenti di cui poco meno della metà impiegata nei rami affittati; ciononostante vengono assegnati a tali rami affittati solo 18 dipendenti, sicché tutti gli altri rimangono in capo alla RSA Ulivo che non sarà in grado di sopportarne il costo atteso che il grosso delle entrate della Cittadella della carità proviene dalla Casa di Cura Arca e dal Poliambulatorio. Il canone di fitto, in origine fisato in € 30.000 mensili viene ridotto a € 12.000 mensili grazie a una perizia di valutazione redatta dal commercialista dott. Roberto Fedele, uomo di “fiducia” del Presidente Sibilla.
La SOAVE SANITA’ S.r.l. è una società neo costituita, ancora inattiva, con appena 2.500 euro di capitale sociale versato sui 10mila previsti dalla Legge, senza alcuna esperienza o requisito nel settore delle Case di cura ed attività sanitaria, ma non solo, come dicevamo sopra, l’amministratore della Soave Sanità S.r.l. è tale Luigi Gianciotta che è anche consigliere di Amministrazione della Fondazione Cittadella della Carità. Socio di riferimento della Soave Sanità S.r.l. è – direttamente o tramite la SOAVE S.r.l. – l’Avv. Giuseppe Galeone avvocato della Fondazione e altro uomo di “fiducia” del Presidente Sibilla che ha iniziato una moltitudine di cause infondate maturando onorari importanti. A fronte di questa situazione i componenti del Collegio dei Revisori e dell’Organo di Vigilanza si sono tutti dimessi.
Di una cosa siamo pressochè certi, e lasciatacelo dire: secondo noi in queste ore il compianto ed indimenticabile vescovo di Taranto, monsignor Guglielmo Motolese, fondatore della Cittadella della Carità, si starà rigirando nella sua tomba dopo aver visto dall’ aldilà, cosa hanno combinato degli incapaci e faccendieri della sua creatura benefica.
Antonello de Gennaro. Giornalista professionista dal 1985 ha lavorato per importanti quotidiani e periodici, radio e televisioni nazionali in Italia ed all’estero. Pioniere dell’informazione sul web è ritenuto dei più grossi esperti di comunicazione su Internet.
Esplode una catasta di legno per un falò (abusivo) di San Giuseppe a Taranto, sette feriti: c'è anche una bimba. Carlo Testa su Il Corriere della Sera il 19 marzo 2023
Non si conoscono ancora le cause, ma l'ipotesi più probabile è che nella catasta fosse rimasta una tanica di benzina: avviata un'indagine
Un falò acceso per la festa di San Giuseppe è esploso domenica sera nel rione Tamburi a Taranto. Ci sono sette feriti tra cui un 16enne in prognosi riservata e una bimba non in gravi condizioni. Un'altra ventina di persone si sarebbero presentate autonomamente al pronto soccorso per farsi medicare. I feriti sono stati raggiunti da schegge e materiali volati via a causa dell'esplosione. Tutto è avvenuto in via Grazia Deledda. Sul posto forze di polizia e 118. Probabilmente, si suppone, all'interno della catasta di legno e materiali che era stata ammassata, era rimasta una bombola di gas oppure una tanica di benzina.
Nelle ore precedenti l'esplosione nel quartiere Tamburi, oltre 50 tonnellate di legname erano state portate via da varie aree periferiche di Taranto dalla Polizia locale e dall'Amiu, l'azienda comunale per l'igiene urbana, i cui uomini e mezzi hanno operato congiuntamente. Il legname, derivante da vecchi mobili abbandonati, suppellettili dismesse, pedane per le merci, e materiali di risulta, era stato accatastato abusivamente per l'accensione dei falo' di San Giuseppe, una tradizione pugliese che però è vietata nei luoghi e nelle modalità non autorizzate.
L'intervento degli agenti e del personale Amiu Taranto si è concentrato soprattutto nei quartieri Paolo VI, Tamburi e nelle ore precedenti anche Tramontone, tutti alla periferia della città. Le azioni di sgombero erano state predisposte dall'amministrazione comunale «a tutela della legalità e del senso civico - hanno dichiarato il sindaco Rinaldo Melucci e l'assessore Cosimo Ciraci - Le squadre, con operatori e mezzi per la rimozione del pesante materiale, e gli agenti della Polizia Locale hanno lavorato per mettere in sicurezza le zone oggetto dell'intervento e garantire lo svolgimento regolare delle operazioni». Portate via cataste di legna, vecchie porte e finestre, tavoli, sedie e un gran numero di bancali. Tutto il materiale è stato rimosso manualmente dagli operatori con il supporto del «ragno meccanico», un'attrezzatura di Amiu. Il Comune ha specificato che l'accumulo di materiale ingombrante è vietato dalla legge e che la combustione incontrollata genera emissioni pericolose, danni ad abitazioni e aree verdi circostanti e pericolo per chiunque si trovi nelle vicinanze. I falò consentiti per la festa di San Giuseppe sono solo quelli che osservano, dai materiali ai luoghi, le regole di sicurezza, sono promossi da specifici comitati festa, soprattutto nei centri della provincia di Taranto, e sottoposti ad autorizzazione preventiva. Tuttavia nonostante il lavoro fatto, non si è riusciti tuttavia ad evitare falò abusivi e conseguenze serie come quelle verificatesi domenica sera.
La “millantata” tolleranza zero del Comune di Taranto: esplosione violenta di un falò abusivo per San Giuseppe: un ferito grave in codice rosso, e molti altri feriti. Molti bambini. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 20 marzo 2023
Un’esplosione sì è verificata domenica sera nel “difficile” quartiere Tamburi a Taranto, in via Grazia Deledda dove si stava accendendo un falò di San Giuseppe grazie alla totale assenza di controllo delle forze dell’ ordine con in testa la Polizia Locale ! Dalle prime informazioni trapelare sembrerebbe che tra la legna e le cianfrusaglie ammassate da incendiare ci sarebbe stata anche una bombola a gas che sarebbe esplosa, o una tanica di benzina molto vicina.
A seguito dell’esplosione del materiale accatastato, fra cui persino delle porte di legno, tutto è stato scaraventato a decine di metri di distanza travolgendo alcuni dei presenti, fra i quali numerosi bambini. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e la Polizia Locale (non si sa con quale coraggio, vista la loro mancata prevenzione !).
Al momento le prime notizie segnalano un ragazzo sedicenne risulta ferito molto gravemente, arrivato all’ ospedale SS. Annunziata in codice rosso, si trova attualmente in prognosi riservata, e altre due in codice giallo ricoverati presso il centro ustioni dell’Ospedale di Brindisi. Una quindicina di persone si sono presentate in ospedale a Taranto con ferite più lievi. Al Pronto soccorso si sono registrati momenti di tensione anche per la presenza di parenti che affollavano i punti di ingresso ed attesa. Per questo motivo è stato necessario l’intervento sul posto di pattuglie della Polizia e dei Carabinieri.
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Incredibilmente nel pomeriggio l’ assessore alla Polizia Locale, Cosimo Ciraci un ex seguace di Giancarlo Cito, passato per Forza Italia e recentemente trasmigrato nelle liste civiche di sinistra a supporto dell’ elezione del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci (Pd) che non ha il coraggio di rassegnare le dimissioni, a partire dai gravi accadimenti dell’aggressione della Polizia Locale ad un povero, passava il suo tempo a farsi dei selfie con delle compiacenti agenti, scrivendo “Contrasto ai falò abusivi ed inquinanti“. Le immagini dei filmati video raccontano ben altro, ancora una volta nel silenzio agghiacciante degli esponenti della Giunta ed Amministrazione Comunale guidata da Melucci,
Taranto, esplode una catasta di legna per il falò di San Giuseppe: diversi feriti, un ragazzo in codice rosso e una bambina in codice giallo. Sul posto le forze dell'ordine e il 118. In via Grazia Deledda, alla periferia del rione Tamburi. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 marzo 2023
E' successo tutto in un attimo, un momento che doveva nascere come condivisione, seppure iniziativa abusiva, per celebrare la festività di San Giuseppe si è trasformato in tragedia. In via Grazia Deledda, alla periferia del rione Tamburi, è stato acceso un falò abusivo per la festa di San Giuseppe e la catasta è esplosa. Probabilmente una tanica di benzina era stata lasciata troppo vicina alle fiamme.
In seguito all’esplosione il materiale accatastato, comprese delle porte di legno, è stato scaraventato a decine di metri di distanza travolgendo alcuni dei presenti.
Sul posto sono subito accorse le forze dell'ordine e il 118. Al momento i feriti refertati sono sette; un ragazzo di sedici anni è in prognosi riservata. Tra i due in codice giallo c'è una bambina. Una ventina di feriti si sono presentati al pronto soccorso autonomamente.
Le forze dell’ordine stanno raccogliendo informazioni per fare piena luce sull'accaduto e chiarire le responsabilità.
Chiesa in lutto, morto l’ex arcivescovo di Taranto Benigno Papa. Le esequie saranno celebrate domani, 7 marzo, alle ore 16, nella chiesa inferiore della Concattedrale Gran Madre di Dio. GIACOMO RIZZO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 6 Marzo 2023
E 'morto la notte scorsa, all'età di 87 anni, Benigno Luigi Papa, arcivescovo emerito di Taranto e vescovo della diocesi ionica dal giugno 1990 al novembre 2011. Era entrato in coma nella mattinata di giovedì nella sua residenza di Casa San Paolo in Lanzo di Martina Franca, luogo da lui scelto come dimora al termine del suo ministero pastorale per raggiunti limiti di età. Negli ultimi giorni le condizioni di salute di monsignor Papa si erano particolarmente aggravate. Nella giornata di ieri monsignor Santoro ha amministrato il sacramento dell’Unzione degli infermi.
Dopo la benedizione della salma da parte dell'arcivescovo, la camera ardente è stata allestita nella chiesa inferiore della Concattedrale Gran Madre di Dio. Le esequie saranno celebrate domani, 7 marzo, alle ore 16, nella stessa chiesa.
Monsignor Filippo Santoro invita "l’intera comunità diocesana - è detto in una nota diffusa dalla Curia - alla preghiera di suffragio per l’anima dell’arcivescovo Benigno Luigi, pastore della chiesa tarantina per 21 anni, preghiera colma di gratitudine e di affetto per una testimonianza autentica di dedizione e di amore per questa terra nel Nome di Cristo".
Nato a Spongano (Lecce), Benigno Papa fu ordinato sacerdote dall’ arcivescovo di Bari, monsignor Enrico Nicodemo, nel marzo 1961. E’ stato alla guida della diocesi di Oppido-Mamertina-Palmi ed arcivescovo di Taranto, vice-presidente per il Sud Italia della Cei e presidente della commissione episcopale per il clero e la vita consacrata e presidente della commissione episcopale per la famiglia. Infine ha ricoperto l’incarico (affidatogli da papa Francesco) di amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela dal 4 aprile 2016 al 7 gennaio 2017. Mons. Papa ha scritto anche alcuni libri, l'ultimo dei quali è intitolato “A scuola di sinodalità negli Atti degli Apostoli”, edito da Viverein.
E’ deceduto l’arcivescovo emerito di Taranto monsignor Benigno Luigi Papa. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 6 Marzo 2023
Papa Francesco gli affidò nel 2016, per qualche mese (dal 4 aprile 2016 al 7 gennaio 2017), l’incarico di amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela. Infine dal 2002 al 2007 è stato vice presidente della Conferenza episcopale italiana per l’Italia meridionale
Si è spento alle 3.10 del mattino di oggi monsignor Benigno Luigi Papa, arcivescovo emerito di Taranto le cui condizioni di salute si erano aggravate negli ultimi giorni, entrando in coma della mattinata dello scorso 2 marzo . La notizia è stata comunicata questa mattina dall’attuale arcivescovo uscente di Taranto, monsignor Filippo Santoro a cui nel gennaio 2012 fu lo stesso Papa cedette la guida dell’arcidiocesi di Taranto.
Nato a Spongano (Lecce) , è stato ordinato sacerdote nel marzo 1961 dall’arcivescovo di Bari, mons. Enrico Nicodemo. Autore di diverse pubblicazioni, nel 1982 è stato alla guida della diocesi di Oppido-Mamertina-Palmi ed arcivescovo di Taranto dal 1990 al 2011. Papa Francesco gli affidò nel 2016, per qualche mese (dal 4 aprile 2016 al 7 gennaio 2017), l’incarico di amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela. Infine dal 2002 al 2007 è stato vice presidente della Conferenza episcopale italiana per l’Italia meridionale , Presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata e Presidente della Commissione episcopale per la famiglia.
Monsignor Papa è morto a Casa San Paolo in Lanzo di Martina Franca (Taranto), luogo da egli stesso scelto come dimora al termine del suo ministero pastorale per raggiunti limiti di età. Nella giornata di ieri, l’arcivescovo Santoro ha amministrato i sacramenti impartendo la benedizione e assoluzione ed ha invitato “l’intera comunità diocesana alla preghiera di suffragio per l’anima dell’arcivescovo Benigno Luigi, pastore della chiesa tarantina per 21 anni, preghiera colma di gratitudine e di affetto per una testimonianza autentica di dedizione e di amore per questa terra nel Nome di Cristo”.
La camera ardente sarà allestita oggi nella chiesa inferiore della Concattedrale Gran Madre di Dio, a Taranto, ed è stata aperta alle 8.30 dopo che l’arcivescovo Santoro avrà benedetto la salma. I funerali saranno celebrati domani 7 marzo alle 16 in Concattedrale.
Monsignor Benigno Papa, figurava tra le sei persone accusate dalla Procura di Taranto di non aver detto la verità durante le indagini o in aula durante il processo “Ambiente Svenduto” sulle emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico di Taranto durante la gestione del gruppo Riva. Nei confronti dell’ex arcivescovo di Taranto il pubblico ministero Mariano Buccoliero aveva firmato l’avviso di conclusione delle indagini.
Durante il processo “Ambiente Svenduto” monsignor Benigno Papa, interrogato in aula dal pm Remo Epifani, aveva risposto che le donazioni dell’Ilva alla Curia tramite Girolamo Archinà, responsabile delle relazioni istituzionali dell’azienda, arrivavano in una busta colma di biglietti da 500 euro. Questa versione dei fatti non viene ritenuta attendibile dalla procura che sostiene, al contrario, che quei 10 mila euro fossero una mazzetta data al consulente della stessa procura Lorenzo Liberti per “addomesticare” una relazione. La testimonianza dell’ex arcivescovo costò al suo segretario don Marco Gerardo una condanna in primo grado, poi fu assolto con formula piena in Appello. Redazione CdG 1947
Morte Benigno Papa a Taranto: la chiesa, l’ex Ilva e le generose donazioni ai tempi del patron Riva. Erano legati da un rapporto speciale l’arcivescovo Filippo Santoro e il suo predecessore, Benigno Luigi Papa. Un rapporto quasi filiale. In simbiosi su tutto. GIACOMO RIZZO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 7 Marzo 2023
«Era di una bontà straordinaria, mi sosteneva nei miei interventi proprio come un padre, incoraggiandomi e standomi vicino». Erano legati da un rapporto speciale l’arcivescovo Filippo Santoro e il suo predecessore, Benigno Luigi Papa. Un rapporto quasi filiale. In simbiosi su tutto. Ora che la Diocesi piange la morte dell’arcivescovo emerito, che è stato pastore della chiesa tarantina per 21 anni, mons. Filippo ha voluto rimarcare la «grande generosità di un uomo che è stato un dono per la nostra comunità».
E ha aggiunto che mons. Papa «pregherà per noi e per tutti i fedeli per questa situazione che stiamo vivendo, per questo momento importantissimo per la vita della città e per la vita della nostra Diocesi e del nostro territorio». Il riferimento implicito è alla vicenda Ilva. Mons. Papa recentemente si era visto notificare l’avviso di conclusione delle indagini per l’ipotesi di false dichiarazioni nell’ambito dell’inchiesta Ambiente Svenduto. Il pubblico ministero ha giudicato inattendibile la versione fornita dal presule a proposito della donazione di 10mila euro fatta nel 2010 dall’ex dirigente delle relazioni industriali del Siderurgico, Girolamo Archinà, che invece per i magistrati è una mazzetta versata a un ex consulente della procura.
Si tratta solo di una ipotesi di reato, che doveva ancora tramutarsi in una eventuale richiesta di rinvio a giudizio e avrebbe dovuto comunque passare al vaglio del giudice delle indagini preliminari. È indubbio come la vicenda delle donazioni dell’Ilva dei Riva alla Chiesa tarantina (150mila euro per la ristrutturazione del sistema idrico e la ri-accensione delle 30 fontanelle al cimitero San Brunone nel 2007, 365mila euro per il restauro della parrocchia Gesù Divin Lavoratore del quartiere Tamburi nel 2009 e le offerte periodiche, anche di 5mila-10mila euro, a Natale e Pasqua) abbia creato qualche imbarazzo. Ma la Curia respinge con fermezza l’insinuazione che tali contributi abbiano reso alla Chiesa una sorta di parentela con l’Ilva, tale da tradire la sua missione, a favore degli ammalati e della salvaguardia dell’ambiente.
Quasi a voler cancellare una macchia, quando le elargizioni del patron Emilio Riva furono persino definite «un dono della provvidenza». Le parole di mons. Santoro oggi guardano oltre: «Sono stati - ammette - e lo sono ancora anni complicati del rapporto di Taranto con lo stabilimento siderurgico. L'Italia ha un debito ecologico enorme con questa città. Noi non dobbiamo permettere a nessuno di sottrarre la dignità alla nostra gente».
Taranto. Avv. Antonio Zito e Avv. Giancarlo De Valerio: Presunti innocenti fino a condanna definitiva. I maggiori quotidiani ne parlano. Ormai sono gognati. Il Marchio rimane.
«Paga o indaghiamo su di te», nuovo scandalo al Tribunale di Lecce: perquisizioni della Finanza. Coinvolti anche dipendenti Asl. Indagine della Procura di Potenza: nel mirino un vice procuratore onorario e un avvocato. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 6 Settembre 2023
Un vice procuratore onorario in servizio nel Tribunale di Lecce e un avvocato dello stesso foro avrebbero costretto alcune persone a pagare allo scopo di bloccare indagini forse costruite ad-hoc. È per questo che la Finanza, su ordine della Procura di Potenza, sta eseguendo perquisizioni e sequestri nell’ambito di un fascicolo coordinato dal pm Vincenzo Montemurro, che ipotizza a carico di sette persone, a vario titolo e secondo le rispettive responsabilità, le ipotesi di corruzione, concussione e induzione indebita.
Il vice procuratore, Antonio Zito, 57enne residente in provincia di Taranto, e l’avvocato Giancarlo De Valerio, 47enne nato a Mesagne e residente a Manduria, tra aprile e gennaio avrebbero ottenuto 12mila euro da un imprenditore nato in Svizzera (a sua volta indagato) per bloccare «presunte» azioni giudiziarie nei suoi confronti. Per convincere l’uomo a pagare avrebbero anche organizzato un controllo concordato da parte di una pattuglia di carabinieri.
Il magistrato onorario, sempre secondo l’accusa, si sarebbe fatto promettere denaro anche da altre persone allo scopo di insabbiare indagini. Gli altri quattro indagati, tra cui dipendenti della Asl di Taranto, tutti residenti tra le province di Lecce e Taranto, secondo l'ipotesi di accusa sarebbero in qualche modo finiti nella rete del vice procuratore per via di indagini a loro carico.
Salento, nuova tegola in Tribunale: denaro per fermare le indagini. Indagati avvocato, vice procuratore e due funzionari Asl di Taranto. Sette i nomi iscritti nel registro degli indagati: i reati ipotizzati sono corruzione, concussione e induzione indebita. Roberta GRASSI su Il Quotidiano di Puglia Mercoledì 6 Settembre 2023.
Avrebbero chiesto denaro per “bloccare” le indagini: sette persone - tra cui un vice procuratore onorario in servizio a Lecce e un avvocato - sono indagate in virtù di una serie di perquisizioni e sequestri che sta eseguendo la guardia di finanza del nucleo di polizia economico finanziaria. L’inchiesta è della procura di Potenza, e in particolare del sostituto Vincenzo Montemurro. I reati ipotizzati sono corruzione, concussione e induzione indebita.
Si parla di indagini avviate appositamente, per essere poi bloccate in cambio di denaro - circa 12mila euro pagati da un imprenditore svizzero. Il vice procuratore onorario e l’avvocato coinvolti nell’indagine sono residenti nel Tarantino, ma avrebbero operato a Lecce.
Gli indagati
Tocca Lecce, Taranto fino a raggiungere Napoli, Benevento e la provincia di Roma l'inchiesta a quattro mani condotta dalle Procure di Potenza e Benevento nella quale risultano indagate sette persone accusate a vario titolo di corruzione per l'esercizio delle funzioni, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita e concussione. Tra gli indagati compaiono un vice procuratore onorario in servizio nel Tribunale di Lecce e residente in provincia di Taranto, un avvocato dello stesso foro residente a Manduria, oltre a due funzionari dell'Asl di Taranto, un medico della stessa Asl e un imprenditore nato in Svizzera.
I nomi
Antonio Zito, di 57 anni, avvocato residente nella provincia di Taranto e viceprocuratore onorario in servizio presso il Tribunale di Lecce (dopo aver svolto lo stesso incarico a Taranto), è indagato per corruzione in atti giudiziari nell'inchiesta della Procura di Potenza. Zito è indagato insieme all'avvocato Giancarlo De Valerio, 47 anni nato a Mesagne (Brindisi) e residente a Manduria (Taranto).
De Valerio è iscritto al Foro di Lecce. Attorno a loro ruoterebbe l'inchiesta della procura potentina che ipotizza che i due professionisti avrebbero manipolato e archiviato inchieste a pagamento.
Le contestazioni
In particolare, avrebbero ricevuto 12.000 euro da un imprenditore svizzero. In tutto sarebbero indagate sette persone (e non nove come si era appreso in un primo momento). L'indagine è stata avviata lo scorso anno sulla scorta di alcune segnalazioni giunte alla Gdf sull'attività del magistrato onorario che, oltre a svolgere le funzioni di viceprocuratore onorario nella procura di Lecce, dove è stato applicato dopo aver vinto il concorso nel 2022 , svolge anche quella di avvocato penalista nel tarantino con studio a Crispiano. Zito è anche coinvolto in un'inchiesta parallela aperta dalla procura di Benevento per altri reati, scaturita da alcune intercettazioni emerse dall'indagine della Gdf nell'ambito di quella lucana. In totale gli indagati nelle due inchieste sarebbero una decina.
Soldi per insabbiare le inchieste al tribunale di Lecce: la toga che si diceva «al servizio dello Stato». Elisabetta Conte il 7 Settembre 2023 su ledicoladelsud.it
Prima la laurea conseguita nel 1992 presso l’Università di Bari, con tesi in Diritto penale dal titolo “Calunnia e autocalunnia”, poi l’avvio della libera professione di avvocato a partire dal 1997 e la specializzazione in Diritto minorile nel 2000. Un curriculum di tutto rispetto quello dell’avvocato Antonio Zito che ha sempre svolto parallelamente le funzioni di viceprocuratore onorario prima presso la Procura della Repubblica di Taranto e successivamente presso quella di Lecce. Un ruolo che svolge da oltre 25 anni.
Zito vanta vaste esperienze maturate sul campo in ordine a tutti i delitti e le contravvenzioni, con particolare riguardo ai reati contro il patrimonio, come furto, rapina, appropriazione indebita, truffa e ricettazione, ma esperto anche in materia di stalking e maltrattamenti. Proprio nel campo della violenza ha trattato numerosi processi di questa specie sia come avvocato che come magistrato onorario. Ha seguito moltissimi procedimenti legati ai reati di stalking e molestie, in media cinque alla settimana, acquisendo una particolare esperienza nel campo. Nel corso della sua carriera ha trattato vicende legate a reati contro il patrimonio, omicidio, separazione, divorzio, matrimonio, discriminazione, sostanze stupefacenti, incidenti stradali, multe e contravvenzioni, privacy e Gdpr, domiciliazioni. Tra i vari ruoli di Zito anche quello di coordinatore di Federmot di Lecce, la Federazione magistrati onorari di tribunale.
«I cittadini stanno a cuore anche a noi. Noi svogliamo questa attività con amore, e lo facciamo perché amiamo questo lavoro, crediamo nello Stato e continueremo a servire lo Stato», aveva dichiarato in una recente intervista a “Giustizia Caffè”, lamentando alcune criticità legate alla professione e chiedendo allo Stato la regolarizzazione di 5mila magistrati onorari sparsi nei Tribunali italiani.
Zito è indagato, insieme ad altri sei pugliesi, in un’inchiesta condotta dalle procure di Potenza e B
«Paga o facciamo un'inchiesta su di te»: nuovo scandalo a Lecce, 9 indagati. C'è anche un vice procuratore onorario. Claudio Tadicini su Il Corriere della Sera Mercoledì 6 Settembre 2023.
Antonio Zito, avvocato penalista residente nel Tarantino, è in servizio al tribunale di Lecce come magistrato onorario
Tocca Lecce, Taranto fino a raggiungere Napoli, Benevento e la provincia di Roma l'inchiesta a quattro mani condotta dalle procure di Potenza e Benevento nella quale risultano indagate nove persone accusate a vario titolo di corruzione per l'esercizio delle funzioni, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o ricevere utilità, concussione. Tra gli indagati compaiono un vice procuratore onorario in servizio nel Tribunale di Lecce e residente in provincia di Taranto, un avvocato dello stesso foro residente a Manduria, oltre a due funzionari dell'Asl di Taranto, un medico della stessa Asl e un imprenditore nato in Svizzera.
Gli indagati
È Antonio Zito, di 57 anni, avvocato residente nella provincia di Taranto, il viceprocuratore onorario in servizio presso il Tribunale di Lecce, indagato per corruzione in atti giudiziari nell'inchiesta della Procura di Potenza. Zito è indagato insieme all'avvocato Giancarlo De Valerio, 47 anni nato a Mesagne (Brindisi) e residente a Manduria (Taranto), iscritto al Foro di Lecce. Attorno a loro ruoterebbe l'inchiesta della procura potentina che ipotizza che i due professionisti avrebbero manipolato e archiviato inchieste a pagamento. In particolare, avrebbero ricevuto 12.000 euro da un imprenditore svizzero. In tutto sarebbero indagate sette persone (e non nove come si era appreso in un primo momento).
Le segnalazioni alla guardia di finanza
L'indagine è stata avviata lo scorso anno sulla scorta di alcune segnalazioni giunte alla finanza sull'attività del magistrato onorario, Antonio Zito, che, oltre a svolgere le funzioni di viceprocuratore onorario nella procura di Lecce, dove è stato applicato dopo aver vinto il concorso nel 2022, svolge anche quella di avvocato penalista nel tarantino con studio a Crispiano. Zito è anche coinvolto in un'inchiesta parallela aperta dalla procura di Benevento per altri reati, scaturita da alcune intercettazioni emerse dall'indagine della Gdf nell'ambito di quella lucana. In totale gli indagati nelle due inchieste sarebbero una decina.
Lecce, l’indagine sul pm onorario: «Soldi e favori dalla Asl». Indagato anche per violenza sessuale, si fingeva cardiologo. Le accuse contro Zito: «Chiese un certificato di invalidità in cambio di aiuto nei processi». MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 7 settembre 2023.
Può essere che abbia fatto leva sulla paura di un imprenditore di finire nei guai. E che per questo lo abbia indotto a ritenere di essere oggetto di un fascicolo penale. Fatto sta che Antonio Zito, 58 anni, un avvocato di Fragagnano che svolge le funzioni di vice procuratore onorario nel Tribunale di Lecce, è accusato non solo di aver chiesto e ottenuto denaro per non mandare avanti un’indagine, ma anche di aver sfruttato una presunta (e indimostrata) influenza negli ambienti giudiziari salentini per ottenere dalla Asl di Taranto un attestato di invalidità che gli avrebbe fruttato la pensione.
La Procura di Potenza, con il pm Vincenzo Montemurro, ha disposto ieri una serie di perquisizioni e sequestri nell’ambito di un nuovo fascicolo su presunti abusi negli uffici giudiziari di Lecce. Un’indagine nata a seguito di una denuncia e corroborata con intercettazioni e pedinamenti effettuati in questi mesi dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Lecce. Una vicenda che ha nuovamente scosso il Tribunale di Lecce a quattro mesi dallo scandalo culminato nell’arresto del giudice civile Pietro Errede. Storie molto diverse tra loro, certamente, ma che hanno creato identico sconcerto tra magistrati e avvocati...
La promessa d’aiuto in vicende giudiziarie, in cambio non solo di denaro. S’indaga su una falsa invalidità civile. Veronica Valente il 07 settembre 2023 su Lecceprima.it.
Emergono nuovi episodi nella recente inchiesta della Procura di Potenza che vede tra i sette indagati il vice procuratore onorario presso il tribunale di Lecce Antonio Zito
In cambio della sua intercessione finalizzata a una chiusura positiva di alcune vicende giudiziarie, il vice procuratore onorario presso il tribunale di Lecce, Antonio Zito, 57 anni, residente a Lizzano (Taranto), non avrebbe preteso solo soldi. In un’occasione avrebbe ottenuto dagli interessati "sostegno" per il riconoscimento di una falsa invalidità civile dalla commissione medica della Asl di Manduria. E’ questo uno degli episodi riportati in uno dei sette capi d’imputazione dell’inchiesta che vede indagate, oltre Zito, altre sei persone.
Si tratta di: Giancarlo De Valerio, 47 anni, originario di Mesagne (Brindisi) ma residente a Manduria (Taranto), avvocato iscritto al foro di Lecce; Luca Carrozza, 54, di Manduria (Taranto) e Cosimo Maturo, 55, di Torricella (Taranto); Antonio Zamparelli, 72, di Surbo; Mario Piccolo, 76, di Nardò; Carmelo Sergi, 58, di Manduria.
Quest’ultimo, in particolare, sarebbe stato costretto, dal vice procuratore onorario e dall’avvocato, a consegnare in più occasioni denaro (per la somma complessiva di 12mila euro) perché venissero bloccate presunte azioni giudiziarie a suo carico. Sempre secondo l’ipotesi accusatoria, inoltre, per convincerlo al pagamento richiesto, i due principali indagati avrebbero inscenato un controllo stradale da parte di una pattuglia dei carabinieri. E lo stesso avrebbero fatto anche con una coppia per spingerla a consegnare soldi richiesti come prezzo per interrompere eventuali accertamenti nei suoi riguardi, inerenti l’attività di riciclaggio di denaro all’estero.
Le vicende su cui sono in corso le indagini coordinate dal pubblico ministero Vincenzo Montemurro, della Procura di Potenza, interessano il periodo che va dall’aprile del 2021 allo scorso gennaio. Proprio nei giorni scorsi, il magistrato ha delegato il nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Lecce di svolgere perquisizioni finalizzate all’acquisizione di tutto il materiale (informatico e cartaceo, inclusi alcuni fascicoli processuali) utile a verificare i reati al momento ipotizzati (a vario titolo) che sono: corruzione, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità.
Ma non c’è solo la magistratura potentina ad aver puntato i riflettori sulle condotte di Zito. E’ notizia di qualche ora fa (qui, l’articolo completo) quella dell’indagine avviata dalla Procura di Benevento per presunte violenze sessuali avvenute nell’ospedale della città campana.
Spunta la violenza sessuale: si allarga il fronte dell’indagine sul viceprocuratore onorario. Redazione il 07 settembre 2023 su Lecceprima.it.
Emerge una costola dell'inchiesta principale sul 57enne tarantino, che opera per il tribunale di Lecce e che avrebbe insabbiato indagini previo richieste di denaro. Riguarda Benevento: qui si sarebbe finto cardiologo, con la complicità di un vero medico, abusando di ignare pazienti
Assume una piega nuova e per certi versi inattesa, l’indagine in atto su Antonio Zito, l’avvocato 57enne della provincia di Taranto che riveste anche il ruolo di viceprocuratore onorario presso il tribunale di Lecce. Proprio in questa seconda veste, infatti, come noto è indagato dalla procura di Potenza (competente per le inchieste sulla magistratura del capoluogo salentino) insieme ad altri sei, fra cui un secondo avvocato: i due, secondo le ipotesi investigative, avrebbero compartecipato a insabbiare alcune indagini, previo pagamento di somme in denaro (in un caso, un imprenditore avrebbe versato 12mila euro).
Ma ora emerge un altro aspetto. Su Zito, infatti, si è accesa anche la lente della procura di Benevento per presunti casi di violenza sessuale, vicende in cui sarebbe coinvolto anche un medico in servizio presso l’ospedale della città campana.
È stata l’Ansa regionale di Puglia a svelare questo secondo filone d’inchiesta, una costola del principale, perché nasce in seguito all’ascolto di alcune intercettazioni proprio nell’ambito dell’indagine del pubblico ministero potentino Vincenzo Montemurro. Ebbene, nel caso di Benevento, vi sarebbero situazioni riguardanti un ambulatorio di cardiologia dell’ospedale. Zito, in questo caso, si sarebbe presentato come cardiologo durante visite a pazienti, del tutto ignare, effettuate da un medico. E, proprio in queste circostanze, sarebbero stati commessi alcuni atti sessuali verso le donne, con la complicità del vero medico.
Si allarga, dunque, il fronte scaturito dagli accertamenti in corso per quanto sarebbe accaduto nell’ambito del tribunale di Lecce, con ipotesi di reato, in quel caso, di corruzione per l’esercizio delle funzioni, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita e concussione. Vicende per cui è stata delegato a svolgere delle perquisizioni il Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Lecce.
Coinvolti anche un infermiere di Manduria e un funzionario Asl di Torricella. Sospetta malagiustizia, indagati avvocato, giudice, dipendenti Asl. I nomi. La Redazione de La Voce di Manduria giovedì 7 settembre 2023
Avvocatura manduriana sotto choc da ieri per il coinvolgimento dell’avvocato 47enne manduriano Giancarlo De Valerio in un’inchiesta della Procura di Potenza su un presunto giro di mazzette in cambio di aggiustamenti di atti giudiziari ed altri favori illeciti. Con lui è indagato anche il vice procuratore onorario Antonio Zito, avvocato 58enne di Lizzano ed altri professionisti della provincia di Taranto, tra cui un infermiere di Manduria e un funzionario Asl di Torricella i cui nomi non sono ancora trapelati. Nella stessa inchiesta sono indagati altri professionisti della provincia di Taranto e Lecce e un imprenditore di origini svizzere che dirige un’impresa leccese.
Secondo l’accusa, l’avvocato De Valerio e il magistrato avrebbero ricevuto 12mila euro dall’imprenditore svizzero Carmelo Sergi per risolvere problemi di natura giudiziaria di natura civile. Sergi, sempre secondo la Procura che indaga anche lui per induzione indebita, avrebbe promesso altro denaro ai due avvocati per evitare controlli alla sua azienda.
Le stesse indagini condotte dalla Guardia di Finanza avrebbero fatto emergere responsabilità dei due dipendenti Asl i quali, in cambio di una non meglio definita intercessione del magistrato e dell’avvocato indagati con loro, avrebbero fornito un falso certificato di invalidità utile ai fini pensionistici del vice procuratore aggiunto.
Sempre Zito e De Valerio, infine, sarebbero coinvolti in un’altra vicenda riguardante un loro presunto impegno di far vincere in cambio di denaro (pare solo promesso), una causa civile a carico di due donne di Lecce.
I finanzieri del comando provinciale di Lecce ieri hanno perquisito le abitazioni degli indagati sequestrando loro i telefonini ed altra documentazione utile alle indagini. Le fiamme gialle hanno acquisito anche documenti nella sede della Asl di Taranto per verificare la vicenda del certificato di invalidità.
Proprio in un caso di presunta malasanità si erano già incrociati i nomi di Zito e De Valerio. Quello della morte di un ex calciatore e insegnante di Avetrana ma originario di Torre Santa Susanna deceduto a novembre del 2015 nel reparto medicina dell’ospedale di Manduria. Una morte inaspettata e sospetta per i famigliari che per essere assistiti nella querela si rivolsero ai due avvocati Antonio Zito e Giancarlo De Valerio. I due legali hanno condotto fianco a fianco delle complesse indagini difensive di un processo che si è concluso a febbraio scorso con l’assoluzione dei quattro medici del Giannuzzi che erano imputati di omicidio colposo. La collaborazione tra i due professionisti si era poi consolidata a Lecce dove l’avvocato De Valerio aveva deciso di aprirsi uno studio in quella città. Di loro ora si parlerà a lungo per una vicenda ancora tutta da chiarire. C’è da dire che la perquisizione di ieri è un atto dovuto di un ‘inchiesta che potrà finire con l’assoluzione degli indagati i cui nomi sono già finiti nel tritacarne del pubblico giudizio. Nazareno Dinoi
Indagati quattro avvocati del Foro di Taranto per le elezioni “taroccate” dalla commissione elettorale. Redazione CdG 1947
su Il Corriere del Giorno l'1 Dicembre 2023
A nulla sono valse le manovre della liusta guidata dall' avv. Cigliola per convincere degli eletti candidatisi nella lista guidata dal presidente eletto Vincenzo Di Maggio, a cambiare alleanze a tradire il voto tributato dagli elettori alla lista vincente. ESCLUSIVA: ALL' INTERNO L' AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI e tutti nomi degli indagati e dei loro difensori
Sono quattro gli iscritti nel registro degli indagati dal procuratore capo Eugenia Pontassuglia e dal pubblico ministero Francesco Sansobrino della Procura di Taranto per le note vicende elettorali del Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, chiamati a rispondere nell’ avviso di conclusione delle indagini notificato nei giorni scorsi, di concorso (art. 110 c.p.) ed abuso d’ufficio (art.323 c.p.), reati continuati (art. 81) commessi in qualità di membri della commissione elettorale per il rinnovo del consiglio dell’ordine tenutosi alla fine dello scorso gennaio.
Gli avvocati indagati sono Antonio Vito Altamura, Alfonso Favata, Fabrizio Nastri, Antonietta Sgobba i quali in veste di componenti della commissione elettorale durante le precedenti elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’ Ordine, avevano ignorato i conflitti d’interesse in essere pur di agevolare loro congiunti e parenti, dichiarando non eleggibili degli avvocati che invece erano stati legittimamente eletti dal voto degli iscritti, in occasione delle elezioni dello scorso 28 gennaio 2023 . Elezioni di un consiglio dell’ ordine di fatto “taroccato” che non a caso vennero annullate dal Consiglio Nazionale Forense e dal Ministero di Giustizia. Antonio Vito Altamura è assistito dall’ avv. Andrea Silvestre, Alfonso Favata è difeso dall’ avv. Filiberto Catapano Minotti, Fabrizio Nastri è difeso dall’ Avv. Salvatore Di Fonzo, ed Antonietta Sgobba dall’ avvocato Giuseppe Fornari del Foro di Milano.
Adesso gli avvocati indagati, come ben sanno. potranno chiedere di essere interrogati o presentare memorie difensive all’ufficio del Procuratore capo e del pubblico ministero cofirmatari dell’ avviso di conclusione delle indagini, i quali successivamente valuteranno se archiviare il procedimento o mandarli a processo. La circostanza incredibile è che ciò nonostante alcuni avvocati che fanno riferimento alla “cordata” Cigliola-Casiello, hanno presentato lo scorso 29 novembre un nuovo reclamo al Consiglio Nazionale Forense in attesa che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione il prossimo 12 dicembre si pronuncino su questa vicenda, che ormai è una volgare farsa da parte di un gruppetto di avvocati che come i fatti dimostrano non ricevono il consenso da parte dei loro colleghi che in ben due tornate elettorali hanno espresso altro gradimento con il proprio voto.
Sarà forse perchè a nulla sono valse le manovre per convincere degli eletti candidatisi nella lista guidata dal presidente eletto Vincenzo Di Maggio, a cambiare alleanze a tradire il voto tributato dagli elettori alla lista vincente ? O forse l’ avv. Casiello (il cui compagno e collega di studio avv. Nastri rischia di finire sotto processo ) non accetta di essere stata l’ultima in graduatoria dei consiglieri eletti ? Ai posteri e lettori la sin troppo facile sentenza morale. Noi ci limitiamo a fare solo i giornalisti ed un’ informazione veritiera e corretta e come sempre documentata. Redazione CdG 1947
Ennesima pessima figura di parte dell’ avvocatura tarantina. Respinto il ricorso dei soliti “noti”. La decisione del TAR Puglia – 3a Sezione di Lecce. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'8 Novembre 2023
Adesso toccherà alla procura di Taranto chiudere le indagini svolte in questi mesi per gli evidenti reati commessi dai componenti della Commissione Elettorale e dal COA autoproclamatosi illegittimanente e quindi illegalmente. e dopo un decreto firmato dal Ministro della Giustizia.
Il Tar Puglia sezione di Lecce ha respinto la richiesta di sospensiva delle elezioni del Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto deposita dagli avvocati Casiello Maria, Cigliola Giovanni, D’Errico Francesco, Todaro Fabrizio, Fischetti Francesca, Brunetti Luigia, Sacco Daniele, Albano Giovanni, Altamura Emanuele, Raffo Carlo, componenti del consiglio decaduto guidato , in quanto illegittimo, ed adesso l’ avvocato Cigliola dovrà abbandonare l’ ufficio e la poltrona dove si era “insediato”piazzato” illegittimamente e quindi illegalmente come sancito dal Consiglio Nazionale Forense, dalla Direzione Generale Affati Civili del Ministero di Giustizia, e decretato dal ministro di Giustizia Sen.Carlo Nordio.
L’avvocato Gianleo Cigliola dopo il “golpe” effettuato in occasione delle precedenti elezioni insieme agli avvocati Nastri, Casiello ed Altamura, che lo avevano insediato sulla poltrona di Presidente dell’ ordine degli Avvocati di Taranto, calpestando il suffragio degli avvocati elettori tributato alla lista guidata dall’ avv. Vincenzo Di Maggio risultato il primo dei votati, lista che aveva vinto le elezioni, aveva cercato mediante ricorsi di ogni genere di non abbandonare la sua carica senza peraltro aver mai vinto le elezioni.
Giovanni CigliolaMirella Casiello
Cigliola era corso corso immediatamente senza esitazione a presentarsi al Presidente del Tribunale di Taranto ed al procuratore Capo, mentre i suoi alleati si affannavano ad occupare incarichi vari con Mirella Casiello che si insediava alla presidenza della Fondazione Scuola Forense Taranto . Una situazione “kafkiana” che purtroppo in realtà ha gettito discredito sull’ avvocatura jonica per colpa di qualche toga desiderosa di protagonismo e non solo.
Ma la 3a sezione di Lecce del Tar Puglia presieduta dal giudice dr. Enrico D’ Arpe ha respinto dopo la camera di consiglio successiva all’udienza di ieri, il ricorso, confermando quanto stabilito dal Ministero e dal Consiglio Nazionale Forense.
Adesso toccherà alla procura di Taranto chiudere le indagini svolte in questi mesi per gli evidenti reati commessi dai componenti della Commissione Elettorale e dal COA autoproclamatosi illegittimanente e quindi illegalmente. e dopo un decreto firmato dal Ministro della Giustizia, gli uffici della procura di via Marche non potrà far dormire il fascicolo d’indagine ma arrivare ad una sollecita chiusura.
Redazione CdG 1947
Commissariato l’ Ordine degli Avvocati di Taranto, sciolto dal ministro di Giustizia Nordio. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 10 Ottobre 2023
Stranamente alle h. 14:50 sul sito dell' Ordine degli Avvocati di Taranto non compare ancora nulla. ed ancora una volta ci pensa il CORRIERE DEL GIORNO a svolgere un'informazione corretta e trasparente.
E’stato protocollato questa mattina il nuovo per scioglimento dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, disposto dal Ministro di Giustizia sen. Carlo Nordio previo parere del CNF, e pervenuto via Pec negli uffici del COA di Taranto durante il fine settimana, il cui commissariamento è stato affidato nuovamente all’ Avv. Francesco Logrieco già presidente del COA di Trani (BAT) ed ex componente del Consiglio Nazionale Forense.
Resta da chiedersi se nuovamente la “cordata” facente capo all’ avv. Cigliola vorrà nuovamente coprire di ridicolo e vergogna istituzionale tutta l’avvocatura jonica con un nuovo ricorso al Tar che questa volta non potrebbe essere mai deciso da un collegio (come quello precedente) presieduto dal giudice amministrativo leccese dr. Enrico D’ Arpe, con cui Cigliola ha recentemente “banchettato” cenando allo stesso tavolo in una festa organizzata in provincia di Taranto, a cui era presente guarda caso anche l’ avv. Altamura. Un semplice caso fortuito, una mera coincidenza o altro? Redazione CdG 1947
Sciolto Consiglio Ordine Avvocati Taranto, arriva il commissario. Il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto è stato sciolto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha nominato l’avvocato Francesco Logrieco, 65 anni, di Molfetta, iscritto all’Ordine di Trani, quale commissario straordinario. REDAZIONE ONLINE Su La Gazzetta del Mezzogiorno il 4 luglio 2023.
Il consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, presieduto da Gianleo Cigliola, è stato sciolto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha nominato l’avvocato Francesco Logrieco, 65 anni, di Molfetta, iscritto all’Ordine di Trani, quale commissario straordinario dell’ordine forense di Taranto. Logrieco dovrà convocare entro 90 giorni l’Assemblea per l’elezione del nuovo Consiglio e provvedere alla gestione ordinaria e al disbrigo delle pratiche urgenti.
Nel maggio scorso, il Consiglio nazionale forense accolse con due distinti provvedimenti il ricorso di sette avvocati dichiarati prima incandidabili e poi ineleggibili dalla commissione elettorale in occasione della tornata elettorale dello scorso gennaio per il rinnovo del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Taranto, annullando due verbali e disponendo la rinnovazione degli atti del procedimento elettorale successivi alla presentazione delle candidature.
INCHIESTA SULL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TARANTO.
Un'inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. Ne scrive il dr Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico", proverbio cinese.
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica amministrazione).
Ordine Avvocati, buco nel bilancio. Indaga la Procura, scrive Michele Montemurro su “Il Quotidiano di Puglia” dell’11 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? È quanto dovrà accertare la procura di Taranto, chiamata in causa dal consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, che avrebbe accertato nel suo bilancio un “buco” di oltre 90mila euro. A investire della questione il pm dottor Maurizio Carbone è stato lo stesso Consiglio presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio. All’appello, nei libri contabili del Consiglio, mancherebbe una cifra complessiva che non risulta essere “coperta” da alcuna documentazione. Allo stato, l’ipotesi di reato per cui si procede a carico di ignoti è quella di peculato, dal momento che il Consiglio dell’Ordine è ritenuto Ente pubblico non economico.
La Procura indaga sul “buco” del bilancio dell’Ordine Avvocati di Taranto sotto la guida dell’Avv. Angelo Esposito. E sulla fuga di notizie…? Si chiede e scrive Antonello De Gennaro su “Il Corriere del Giorno” del 12 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? Chi rimborserà l'Ordine degli Avvocati di Taranto delle spese allegre e non giustificate di qualcuno? L’intervento della Procura di Taranto che ha affidato le indagini al pm Maurizio Carbone, contrariamente a quanto pubblicato dai soliti cronisti giudiziari a “gettone” è avvenuta in conseguente di una segnalazione, obbligatoria per legge ai sensi dell’art. 331 c.p.p. che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio, ha inteso rispettare. Singolare anche come ancora una volta la notizia sia “filtrata” dagli uffici giudiziari tarantini sulla solita stampa “ventriloqua” di alcuni magistrati, nonostante la discrezione e riservatezza adottata dal presidente Di Maggio che ha depositato personalmente il tutto soltanto giovedì scorso e direttamente negli uffici della Procura, e non a quelli della polizia giudiziaria, proprio per evitare delle possibili fughe di notizie.
Il CNF annulla le elezioni del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 17 Maggio 2023
Il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di rivelare che la scorsa settimana la Polizia Giudiziaria si è recata presso gli uffici dell' Ordine degli Avvocati di Taranto, su delega del pm Francesco Sansubrino, per acquisire tutti gli atti delle elezioni e della proclamazione del Consiglio dell' ordine degli Avvocati di Taranto che è stato destituito dal Consiglio Nazionale Forense. Infatti in procura è stato aperto un fascicolo d'indagine a seguito di un' esposto pervenuto in relazione ai fatti avvenuti.
Il Consiglio Nazionale Forense ha accolto in camera di consiglio del 23 marzo scorso i ricorsi proposti dagli avvocati Vincenzo Di Maggio, Rosario Pompeo Orlando, Sebastiano Comegna e Paola Antonia Donvito, annullando integralmente per violazione di Legge il verbale del 28 gennaio 2023 adottato dalla Commissione Elettorale presso l’ Ordine degli Avvocati di Taranto e gli atti ad esso successivi e conseguenti. Questa la decisione nella sua integralità :
Una decisione pressochè attesa e scontata considerato che il Consiglio Nazionale Forense aveva confermato la propria iniziale decisione di riammettere i candidati all’ Ordine degli Avvocati di Taranto, che la “Commissione Elettorale” dell’ Ordine tarantino (sarebbe più opportuno chiamarla “Commissione Tutto in Famiglia“) presieduta dall’ Avv. Altamura Altamura aveva escluso, così smentendo anche la decisione successiva all’ elezione che aveva visto trionfare la lista guidata dall’ Avv . Vincenzo Di Maggio .
Nei confronti della vergognosa proclamazione degli eletti letta dall’ Avv. Altamura, era stato presentato al CNF un ricorso per annullare la proclamazione illegittima e quindi riportare la legalità, che è stato accolto annullando il consiglio legittimato da una combriccola di avvocati (sotto mentite spoglie di commissione elettorale) in aperto e totale conflitto d’interesse. Ricorso che è stato accolto.
Avranno adesso il coraggio gli avvocati protagonisti del “golpe” elettorale di ripresentarsi ? Avranno la stessa “attenzione” di presentarsi dinnanzi al Presidente del Tribunale di Taranto, della Corte di Appello, del Procuratore e questa volta dire loro : “Scusateci per il disturbo arrecato, ma eravamo dei fuorilegge !” ???
Ma d’altro canto cosa aspettarsi da un presidente uscente come Antonio Altamura ? Guardate questo video che ha pubblicato su Tik Tok e giudicatelo voi ! Noi non abbiamo trovato parole….
Il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di rivelare che la scorsa settimana la Polizia Giudiziaria si è recata presso gli uffici dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, su delega del pm Francesco Sansubrino, della Procura di Taranto per acquisire tutti gli atti delle elezioni e della proclamazione del Consiglio dell’ ordine degli Avvocati di Taranto che è stato destituito dal Consiglio Nazionale Forense. Infatti in procura risulta aperto un fascicolo d’indagine a seguito di un’ esposto pervenuto in relazione ai fatti avvenuti.
Per fugare i dubbi legislativi dei soliti “azzeccagarbugli” si ricorda che le sentenze del CNF sono immediatamente esecutive (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 45 del 21 giugno 2019). Ma non solo, infatti le sentenze del CNF sono provvisoriamente esecutive, e tale esecutorietà permane anche a seguito di (eventuale) proposizione del ricorso alla Suprema Corte, la quale – nel caso di sanzioni diverse da avvertimento e censura – può tuttavia sospenderne l’esecutorietà in via cautelare, ove ne sussistano i presupposti (art. 36, co. 7, L. n. 247/2012). Redazione CdG 1947
Dietro le quinte delle elezioni dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto. Qualcuno chiede “trasparenza” ma non risponde su una vecchia storia…Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 27 Gennaio 2023.
Il nostro giornale chiaramente non fa il tifo per nessuna lista, ma alla luce di segnalazioni pervenuteci anche da altri ordini territoriali, e dato il nome della lista, ritiene opportuno porre 10 domande pubbliche all' Avv. Mirella Casiello, che questa mattina non ha voluto risponderci.
Le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto stanno facendo emergere non pochi veleni interni all’ avvocatura jonica. Una delle liste di candidati più agguerrite a colpi di ricorsi, esposti e minacce di denunce, ha un nome che sulla carta sarebbe da apprezzare, e cioè “Il rinnovamento continua-coerenza e trasparenza” guidata dall’ avv. Mirella Casiello, che si candida ancora una volta.
Il nostro giornale chiaramente non fa il tifo per nessuna lista, ma alla luce di segnalazioni pervenuteci anche da altri ordini territoriali, e dato il nome della lista, ritiene opportuno porre 10 domande pubbliche all’ Avv. Mirella Casiello, che abbiamo contattato stamattina via Whatsapp, la quale però strategicamente evita di risponderci, rimandando il tutto al termine delle elezioni. Ma una lista come la sua che vuole incidere sulla “trasparenza” dovrebbe dare il buon esempio e non rinviare i dovuti chiarimenti al dopo il voto.
L’ avvocato Mirella Casiello è stata presidente, sino allo scioglimento dell’ OUA, l’ Organismo Unitario dell’ Avvocatura, e proprio su questo scioglimento non è ancora stata fatta la dovuta chiarezza, come viene segnalato al nostro giornale. Anche perchè venire a conoscenza degli incarichi legali affidati a suo tempo dall’ avv. Casiello in qualità di Presidente dell’ormai “defunta” OUA al proprio socio di studio e compagno di vita, l’ Avv. Fabrizio Nastri, utilizzando i soldi degli ordini territoriali, non è un buon esempio di coerenza. Forse lo è affettivamente.
Queste le domande alle quali l’avv. Casiello questa mattina non ha voluto rispondere.
1) come mai non è stata fatta la necessaria chiarezza sulle spese sostenute dall’ OUA presieduta dalla Casiello, per la conferenza di Torino del 2015, approvate dalla giunta, e mai sottoposte all’esame dell’ assemblea ?
2) come mai non si è mai rendicontato sulla somma residua del bilancio OUA di 100mila euro ?
3) a) A chi sono stati venduti i mobili dell’ OUA ? b) A quale prezzo ? c) Chi lo ha determinato d) Come è stato utilizzato il ricavato ?
4) sembrerebbe che parte degli arredi ex OUA siano finiti nel suo studio legale. E vero ? Se non è vero può fornircene documentazione probatoria ?
5) come mai un componente dell’ ufficio di tesoreria dell’ OUA che ebbe a sollevare il problema per conoscere entrate ed uscite dell’ Organismo, fu sollevato dalla nomina, senza che fosse convocata l’ assemblea ?
6) Come mai non è dato sapere se e quando i COA hanno aderito alla richiesta di negoziazione assistita loro richiesta dall’ avv. Fabrizio Nastri (che ci risulta essere suo socio di studio e compagno nella vita) da lei nominato difensore, e quanto è stato versato all’ OUA, e quale la destinazione di detti fondi. Vuole spiegarci meglio questa vicenda eticamente imbarazzante ?
7) ci risulta che secondo quanto stabilito per Legge ( art. 11, disposizione attuazione Codice Civile) si sarebbe dovuto chiedere al Presidente del Tribunale di Roma, la nomina di uno o più liquidatori della disciolta associazione OUA, e non si sarebbero dovuti compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Corrisponde al vero quanto ci viene segnalato ?
8) come mai non risulta a alcuni ordini essere stato depositato un bilancio di chiusura dell’ OUA e non è mai stato depositato in riferimento alla conferenza di Torino pur venendo reiteratamente richiesto ?
9) esiste un rendiconto di gestione della disciolta OUA sotto la sua presidenza, di sua competenza non essendo stata sostituita la figura ed il ruolo di tesoriere che lei ha rimosso ? Per “coerenza” e “trasparenza” vuole approfittare dell’occasione e renderlo pubblico ?
10) Si parla di un fondo residuo di oltre 100mila euro. Che fine hanno (o avrebbero fatto) questi fondi ?
Il nostro giornale ha contattato via PEC questa mattina il CNF-Consiglio Nazionale Forense per avere delucidazioni in merito allo scioglimento dell’ OUA, e la Presidenza del Tribunale di Roma. Attendiamo gli sviluppi delle nostre istanze e vi terremo informati. Chiaramente siamo a disposizione dell’ Avv. Casiello per ogni e qualsiasi chiarimento documentato in merito alle nostre domande giornalistiche.
Redazione CdG 1947
Elezioni Ordine avvocati a Taranto: “tutto in famiglia”. Un’elezione falsata (?) dai diversi conflitti di interesse della commissione. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Gennaio 2023.
Nelle elezioni tenutesi durante il fine settimana, la lista di Vincenzo Di Maggio ha prevalso su tutti ottenendo sulla base dei voti democratici degli avvocati del Foro di Taranto, 12 eletti. La lista Cigliola ha ottenuto 8 eletti, e quella della Casiello un solo eletto: se stessa. Ma il voto è stato sovvertito da una controversa decisione della commissione elettorale composta in buona parte da avvocati in aperto ed imbarazzante conflitto d'interesse
Ancora una volta le decisioni del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto finiranno al vaglio del Consiglio Nazionale Forense, che proprio nei giorni scorsi aveva rigettato una serie di eccezioni e contestazioni provenienti dai soliti noti, che non riuscendo ad essere eletti con i voti degli iscritti cercano qualsiasi azione di disturbo elettorale. Ma quello che si è visto a Taranto questa sera non ha paragoni in tutt’ Italia. Nei giorni precedenti le elezioni la commissione elettorale del COA di Taranto aveva escluso la candidatura dell’ Avv. Vincenzo Di Maggio, il quale dopo essere stato presidente dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, era entrato nel CNF (Consiglio Nazionale Forense).
L’ avv. Vincenzo Di Maggio ha fatto ricorso al CNF che il 24 gennaio in via cautelare , lo ha accolto con decreto “disponendo che la commissione elettorale del Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, in persona del Presidente (cioè Antonio Altamura n.d.r.) provveda all’immediata ammissione della candidatura del ricorrente Avv. Vincenzo Di Maggio“.
Il CNF nel suo decreto, che pubblichiamo sopra in originale, aveva fissato anche “la comparizione delle parti davanti a sè nell’udienza del giorno 27 gennaio ore 13,00 (cioè ieri n.d.r.) ai fini della modifica, conferma o revoca del presente provvedimento cautelare“. All’udienza dinnanzi al CNF l’ Avv. Casiello non si è presentata sostenendo un legittimo impedimento che non è stato accolto ed infatti l’udienza di merito si è tenuta regolarmente.
Nelle elezioni tenutesi durante il fine settimana, la lista di Vincenzo Di Maggio (che è risultato il più votato con 663 preferenze) ha prevalso su tutti ottenendo sulla base dei voti democratici degli avvocati del Foro di Taranto, 12 eletti. La lista Cigliola ha ottenuto 8 eletti, e quella della Casiello un solo eletto: se stessa con 396 preferenze. Ma il voto è stato sovvertito da una controversa decisione della commissione elettorale composta in buona parte da avvocati in aperto ed imbarazzante conflitto d’interesse.
Incredibilmente la commissione elettorale composta da avvocati in pieno conflitto d’interessi come lo stesso presidente uscente Antonio Altamura (che guarda caso ha fatto valere il suo doppio voto) fratello e socio di capitali (dello Studio legale Altamura S.r.l.) dell’avv. Emanuele Altamura che si era candidato, non ha rispettato il decreto cautelare del Consiglio Nazionale Forense. Ma non solo. Ci risulta che la votazione in Commissione sia finita pari , cioè 4 a 4 ed Altamura ha fatto prevalere il suo voto qualificandolo come “doppio”, quale presidente. Peccato però la legge elettorale non lo preveda !
Altro conflitto d’interesse incredibile, quello della presenza in commissione elettorale dell’ Avv . Fabrizio Nastri collega e socio di studio dall’ avv. Maria (detta Mirella) Casiello, che è notoriamente da tempo la sua compagna di vita .
Per esaurire i conflitti di interesse risulta anche un altro componente della commissione elettorale, l’ Avv. Alfonso Favatà socio e amministratore nella Camera di Conciliazione Italiana con un candidato l’Avv. Nestore Thiery.
La commissione elettorale stasera era composta dagli avvocati Antonio Altamura, Antonella Sgobba (subentrata soltanto oggi a causa dell’ assenza avv. Arcangelo De Sario), Fabrizio Nastri, Alfonso Favatà, Marco Moramarco, Carmela Liuzzi, Piero Relleva e Roberto Santarcangelo. A votare sulla decisione di ritenere ineleggibile l’ avv. Di Maggio e dei suoi consiglieri regolarmente votati ed eletti democraticamente in virtù dei voti di preferenza ottenuti sono stati: Altamura, Nastri, Favatà e Sgobba.
La gravità della decisione della Commissione elettorale ed in particolare del presidente Altamura è stata la decisione priva di potere e legalità arrivando a sostituire il potere decisionale del Consiglio Nazionale Forense che lunedì mattina notificherà la propria decisione sull’udienza di merito tenutasi venerdì.
La decisione della Commissione elettorale dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, che è stata notificata agli esclusi.
Il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di anticipare il contenuto della decisione del Consiglio Nazionale Forense, avendolo appreso ufficiosamente, da fonte qualificata ed attendibile del Palazzo di Giustizia di piazza Cavour a Roma, decisione che dà ragione a Di Maggio, ma correttamente non lo abbiamo sinora reso pubblico per non influenzare lo svolgimento delle elezioni.
Adesso resta da vedere cosa accadrà. Una cosa è certa: la magistratura ed i tribunali avranno non poco da fare. Secondo quanto riferitoci in queste ore si stanno preparando ricorsi e denunce per la proclamazione, ma anche un esposto alla Direzione Generale Affari Civili del Ministero di Giustizia che potrebbe addirittura commissariare l’ordine qualora accertate le eventuali irregolarità.
Cosa ci si poteva aspettare da un presidente dell’ ordine come Altamura, che nel suo mandato è stato poco trasparente ? Ed il bello che ad affermarlo ed attestarlo, non siamo noi, ma bensì l’ ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione con la propria recente delibera n. 327 del 13.07.2022. ! Qualcuno ha forse paura di un “caso Esposito bis” come si mormora all’interno dell’ avvocatura jonica ? O che che emergano incarichi di consulenza affidate ad appartenenti di comuni fratellanze massoniche ?
Concludendo, permetteteci di dare un consiglio agli avvocati della lista Casiello, parenti ed azzeccagarbugli compresi: attenti a quello che dite e ci scrivete, perchè il primo che si permette di calunniarci e diffamarci verrà chiamato a risponderne in giudizio in sede civile e penale. Noi facciamo i giornalisti e raccontiamo fatti e circostanze. E facciamo domande: è il nostro mestiere !
Sin dalla prima seduta della Commissione elettorale l’ avv. Relleva aveva anche depositato il verbale del COA di 4 anni fa che escludeva l’ avv. Fabrizio Nastri dalla commissione per le stesse ragioni attuali, nonché i pareri dell’ ANAC ed una sentenza del Consiglio di Stato sul conflitto di interesse, ma il presidente uscente Altamura non ha voluto sentire ragioni, e probabilmente proprio per questi motivi, dovrà renderne conto anche in sede penale a seguito delle denunce che stanno per essere presentate
“Siamo allibiti dai fatti avvenuti nel foro di Taranto, dove è stata scritta una delle più brutte pagine elettorali della storia forense tarantina. Il Consiglio Nazionale Forense intervenga subito, occorre ripristinare la legalità al più presto” ha dichiarato l’ avv. Giampaolo Di Marco segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense . “Il risultato delle urne – continua Di Marco – è stato letteralmente “sovvertito” dalla Commissione Elettorale, che ha tolto valore, al chiaro esito delle urne. La decisione è stata presa peraltro con un voto di parità dei componenti e con una presunta e non dimostrata valenza doppia del voto del Presidente Altamura. Confidiamo che le autorità competenti intervengano al più presto per ripristinare la legalità e per ridare dignità al Coa di Taranto” – conclude Di Marco.
Redazione CdG 1947
Il Consiglio Nazionale Forense annulla la decisione della Commissione Elettorale dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto. I candidati ( 3 dei quali eletti) non andavano esclusi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l’1 Febbraio 2023
La decisione è stata notificata ieri agli avvocati ricorrenti, Sebastiano Comegna (1° dei non eletti), Vincenzo Di Maggio, Paola Donvito, Rosario Orlando che di fatto adesso sono a pieno titolo consiglieri dell' Ordine degli Avvocati di Taranto, e quindi di fatto adesso nel consiglio la lista "Le Voci del Foro"guidata dall' avv. Di Maggio ha la maggioranza degli eletti. E' attesa una nuova decisione del CNF e del TAR per ripristinare la legalità della composizione del consiglio e procedere ad una nuova proclamazione in quanto quelli attuali di fatto sono illegittimi e quindi illegali.
Come il CORRIERE DEL GIORNO aveva anticipato, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la propria iniziale decisione di riammettere i candidati all’ Ordine degli Avvocati di Taranto, che la Commissione Elettorale (sarebbe più opportuno chiamarla “Commissione Tutto in Famiglia“) presieduta dall’ Avv. Altamura aveva escluso, così smentendo anche la decisione successiva all’ elezione che aveva visto trionfare la lista guidata dall’ Avv . Vincenzo Di Maggio . La decisione è stata notificata ieri agli avvocati ricorrenti, Sebastiano Comegna (1° dei non eletti), Vincenzo Di Maggio, Paola Donvito, Rosario Orlando che di fatto adesso sono stati confermati a pieno titolo consiglieri dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto. Nei confronti della proclamazione avvenuta sabato scorso sera, è stato presentato sempre al CNF un ulteriore ricorso per annullare la proclamazione illegittima e quindi riportare la legalità. E’ in corso di preparazione infatti, un ricorso al TAR per far annullare il consiglio proclamato sabato scorso dall’ Avv. Antonio Altamura e dalla combriccola di avvocati (sotto mentite spoglie di commissione elettorale) in aperto e totale conflitto d’interesse.
l’ avv. Vincenzo Di Maggio
E’ il caso di dire che gli avvocati Giovanni Cigliola, Maria (detta Mirella) Casiello & compagnia di fatto non hanno più alcun titolo a ricoprire le cariche che si sono auto-assegnati dopo il “golpe” ordito per impossessarsi della guida dell’ Ordine degli Avvocati di Taranto, così sovvertendo il voto democraticamente effettuato dagli avvocati della provincia jonica che hanno partecipato alla consultazione elettorale, che ha visto l’ avv. Di Maggio essere il più suffragato dagli avvocati che hanno votato. Se il consiglio in carica volesse onorare la toga che indossano a questo punto dovrebbero immediatamente dimettersi. Ma in molti dubitano che abbiano lo spessore morale per farlo. Troppa fame di gradi sulle spalle…(e non solo !).
A nulla sono serviti i palesi vergognosi conflitti di alcuni componenti della Commissione Elettorale. Il vero “trombato” per eccellenza è l’ Avv. Antonio Altamura, presidente uscente, che presiedeva la commissione elettorale, il quale voleva riciclarsi ottenendo la presidenza dell’ Organo di Mediazione, che non ha ottenuto ed a questo punto difficilmente potrà ottenere, attualmente guidata dall’ Avv. Sebastiano Comegna. Questa mattina in Tribunale qualcuno sarcasticamente ha affisso il cartello che vedete sotto, che subito dopo qualche “manina” intrisa di rabbia a e vergogna ha rimosso.
A questo punto i componenti della Commissione Elettorale che hanno votato e consentito l’elezione illegale di Cigliola, Casiello & co. dovranno rispondere dinnanzi alla Magistratura penale di una serie di reati non indifferenti, per la quale auspichiamo un rapida azione da parte della Procura di Taranto, oltre all’azione disciplinare che dovrebbe scaturire nei loro confronti.
Ed ancora una volta è sempre e solo il CORRIERE DEL GIORNO a fare chiarezza su fatti accaduti documentalmente, mentre i giornali e siti web locali riempivano le loro pagine di inesattezze annunciando un consiglio illegittimo e quindi illegale. Eppure sarebbe bastato leggere le nostre cronache per scrivere qualcosa di esatto, preciso e documentato. Lasciatecelo dire: abbiamo dato una lezione di giornalismo basato sulla legalità e correttezza dell’informazione.
Ecco la decisione del CNF che di fatto conferma la legittima elezione dei 3 consiglieri esclusi dalla Commissione Elettorale
Avv. Vincenzo Di Maggio
Avv. Sebastiano Comegna
Avv. Paola Donvito
Avv. Rosario Orlando
Redazione CdG 1947
Cane non mangia cane. E questo a Taranto, come in tutta Italia, non si deve sapere.
Questo il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS che ha scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la pubblica. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. "Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico", proverbio cinese. Qualcuno a me disse, (Aldo Feola), avendo indagato sulle malefatte degli avvocati e magistrati: “poi vediamo se diventi avvocato”...e così fu. Mai lo divenni e non per colpa mia.
Dei magistrati già sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una condanna penale o civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una sanzione disciplinare.
MAI DIRE MAFIA: IL CALVARIO DI ANTONIO GIANGRANDE.
Guerra aperta contro alcuni magistrati di Taranto: denuncia per calunnia e diffamazione alla Procura di Potenza, richiesta di ispezione ministeriale al Ministro della giustizia e richiesta di risarcimento danni per responsabilità civile dei magistrati al Presidente del Consiglio dei Ministri.
«Non meditar vendetta! Ma siedi sulla riva del fiume e aspetta di veder passare il corpo del tuo nemico! Ed io ho aspettato…..affinchè una istituzione, degna dell’onor di patria, possa non insabbiare una mia legittima ed annosa aspettativa di giustizia. Perché se questo succede a me, combattente nato, figuriamoci a chi è Don Abbondio nell’animo. Già che sono in buona compagnia. Silvio Berlusconi: "Venti anni di guerra contro di me. In Italia giustizia ingiusta per tutti" ». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.
«Puntuale anche quest’anno è arrivato il giorno dedicato all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un appuntamento che, da tempo immemore ripropone un oramai vetusto ed urticante refrain: l’aggressione virulenta ai magistrati portata da tutti coloro che non fanno parte della casta giudiziaria. Un piagnisteo continuo. Un rito liturgico tra toghe, porpore e carabinieri in alta uniforme. Eppure qualche osservazione sulle regole che presidiano e tutelano l’Ordine giudiziario italiano dovrebbe essere fatta. Faccio mie le domande poste da L’Infiltrato Speciale su Panorama. Quale sistema prevede una “sospensione feriale” per 3 mesi filati? Quale organizzazione non prevede un controllo sul tempo effettivo trascorso in ufficio ovvero regola e norma ogni forma di…telelavoro da casa? Quale altro ruolo istituzionale prevede l’impunità di fatto per ogni atto compiuto nell’esercizio del proprio magistero? Quale altro organo dello Stato è il giudice di se stesso? Ma, soprattutto, può il dovere di imparzialità del giudice sposarsi con lo svolgimento di vera e propria attività politica entro le varie “correnti” interne alla magistratura? Qualcuno potrà negare che diversi esponenti di magistratura democratica abbiano rivendicato apertamente le radici nel pensiero marxista leninista della propria corrente? Dico questo senza alcun pregiudizio e, anzi, con il rispetto che devo ad amici e magistrati che stimo ed ai quali questa percezione, che non credo sia mio esclusivo patrimonio, non rende il giusto merito.
Detto questo premetto che la pubblicazione della notizia relativa alla presentazione di una denuncia penale e alla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato costituisce lecito esercizio del diritto di cronaca. La pubblicazione della notizia relativa alla presentazione di una denuncia penale e alla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato, oltre a non essere idonea di per sé a configurare una violazione del segreto istruttorio o del divieto di pubblicazione di atti processuali, costituisce lecito esercizio del diritto di cronaca ed estrinsecazione della libertà di pensiero previste dall'art. 21 Costituzione e dall'art 10 Convenzione europea dei diritti dell'uomo, anche se in conflitto con diritti e interessi della persona, qualora si accompagni ai parametri dell'utilità sociale alla diffusione della notizia, della verità oggettiva o putativa, della continenza del fatto narrato o rappresentato. (Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 22 febbraio 2008, n. 4603).
Ed allora ecco alcuni brani dell’atto presentato alle varie istituzioni.»
"Si presenta, per fini di giustizia ed a tutela del prestigio della Magistratura oltre che per tutela del diritto soggettivo dell’esponente, l’istanza di accertamento della responsabilità penale ed amministrativa e richiesta di risarcimento del danno, esente da ogni onere fiscale, in quanto già ammesso al gratuito patrocinio nei procedimenti de quo. Responsabilità penale, civile ed amministrativa che si ravvisa per i magistrati nominati per azioni commesse da questi in unione e concorso con terzi con dolo e/o colpa grave. Elementi costitutivi la responsabilità civile dei magistrati di cui alla Legge 13 aprile 1988, n. 17:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
PER IL PRIMO FATTO
L’Avv. Nadia Cavallo presenta il 10/06/2005 una denuncia/querela nei confronti di Antonio Giangrande, sottoscritto denunciante, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in unione e concorso con Monica Giangrande, con denuncia-querela presentata all’A.G., incolpato Cavallo Nadia Maria del reato di truffa e subornazione, pur sapendola innocente. La denuncia di Cavallo Nadia Maria è palesemente calunniosa e diffamatoria nei confronti di Antonio Giangrande in quanto la denuncia di cui si fa riferimento e totalmente estranea ad Antonio Giangrande e non è in nessun modo riconducibile ad egli.
Insomma: la denuncia a firma di Antonio Giangrande non esiste.
Pur mancando la prova della calunnia, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
La dott.ssa Pina Montanaro apre il fascicolo n. 5089/05 R.G. notizie di reato. Non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e nel procedimento Gip n. 2612/06, pur non supportato da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, chiede comunque in data 20 aprile 2006 il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande.
Il Dr Ciro Fiore nel procedimento Gip n. 2612/06, pur non supportato da alcuna prova di accusa in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone comunque in data 02 ottobre 2006 il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande.
Il processo a carico di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande contraddistinto con il n. 10306/10 RGDT si apre con l’udienza del 06/02/07 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto, ma la posizione di Antonio Giangrande è stralciata per vizi di notifica.
Il Dr Pompeo Carriere il 28/04/2010 riapre il procedimento Gip n. 2612/06, dopo lo stralcio della posizione di Antonio Giangrande rispetto alla posizione di Monica Giangrande per vizi di forma della richiesta di rinvio a giudizio. Su apposita richiesta della difesa di Antonio Giangrande di emettere sentenza di non luogo a procedere per il reato di calunnia ove ritenga o accerti che ci siano degli elementi incompleti o contraddittori riguardo al fatto che l'imputato non lo ha commesso, il dr. Pompeo Carriere, il 19 luglio 2010, disattende tale richiesta e dispone nei confronti del Pubblico Ministero l’ulteriore integrazione delle indagini e l’acquisizione delle prove mancanti per sostenere l’accusa in giudizio contro Antonio Giangrande. All’udienza dell’8 novembre 2010, il Pubblico Ministero non ha svolto le indagini richieste, anche a favore dell’indagato, e non ha integrato le prove necessarie. Ciononostante in tale data il dr. Pompeo Carriere, pur non supportato da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone comunque il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande per il reato di calunnia.
Il nuovo processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10346/10 RGDT si apre con l’udienza del 01/02/11 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto. In quella sede ai diversi giudici succedutisi, in sede di contestazioni nella fase preliminare, si è segnalata la mancanza assoluta di prove che sostenessero l’accusa di calunnia.
Solo in data 23 gennaio 2014, nonostante l’assenza alla discussione con l’arringa finale dell’imputato (in segno di palese protesta contro l’ingiustizia subita) e del suo difensore di fiducia e senza curarsi delle richieste del Pubblico Ministero togato, che stranamente per questo procedimento è intervenuto di persona, non facendosi sostituire dal Pubblico Ministero onorario, ed a dispetto delle richieste dell’imperterrita presenza della costituita parte civile, l’avv. Nadia Cavallo, che ne chiedeva condanna penale e risarcimento del danno, il giudice Maria Christina De Tommasi, pur potendo dichiarare la prescrizione non ha potuto non acclarare l’assoluzione di Antonio Giangrande per il reato di calunnia per non aver commesso il reato, in quanto non vi era prova della sua colpevolezza. Per la seconda accusa dello stesso procedimento penale riguardante la diffamazione, ossia per il capo B, la De Tommasi ha pronunciato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nonostante avesse anche qui dovuto constatare che il fatto non era stato commesso, per la mancanza di prove a carico di Antonio Giangrande, in quanto l’articolo incriminato era riconducibile a terze persone, sia come autori, che come direttori del sito web.
Declaratoria di NON AVER COMMESSO IL REATO. Dopo 8 anni, un pubblico Ministero, due Giudici per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione, sostituita dalla dr.ssa Vilma Gilli ed a sua volta sostituita da Maria Christina De Tommasi.
Rita Romano ricusata per essere stata denunciata da Antonio Giangrande proprio per la sentenza di condanna adottata nei confronti di Monica Giangrande. Sentenza del 18/12/2007 con processo iniziato il 06/02/07. Esito velocissimo tenuto conto dei tempi medi del Foro. Nel processo nato a carico di Antonio Giangrande e Monica Giangrande su denuncia di Nadia Cavallo e poi stracciato a carico di Monica Giangrande, la stessa Monica Giangrande era accusata con Antonio Giangrande di calunnia per aver accusato la Cavallo Nadia di un sinistro truffa. Monica Giangrande affermava nella sua denuncia che la stessa Avv. Nadia Cavallo accusava lei, Monica Giangrande, di essere responsabile esclusiva del sinistro. In effetti Rita Romano stracciava la posizione di Antonio Giangrande per difetto di notifica del rinvio a giudizio e dopo l’espletamento del processo a carico di Monica Giangrande condannava l’imputata. Ciononostante lo stesso giudice riconosceva nelle sue motivazioni che la stessa Giangrande Monica accusava la Nadia Cavallo sapendola colpevole, perché proprio lo stesso giudice riconosceva tal Nigro Giuseppa come responsabile di quel sinistro che si voleva far ricondurre in capo alla Giangrande Monica, la quale, giustamente negava ogni addebito. L’appello contro la sentenza a carico di Monica Giangrande è stata inspiegabilmente mai impugnata dai suoi difensori, pur sussistendone validi motivi di illogicità della motivazione.
L’inimicizia dei magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza, Foro competente. Inoltre l’avv. Nadia Cavallo è molto apprezzata dai magistrati Tarantini e da Salvatore Cosentino, ora alla procura di Locri. In virtù della sentenza di condanna emessa contro Monica Giangrande l’avv. Nadia Maria Cavallo ha percepito alcune decine di migliaia di euro a titolo di risarcimento del danno morale e oneri di difesa. Evidentemente era suo interesse fare la stessa cosa con il dr. Antonio Giangrande, con l’aiuto dei magistrati denunciati, il quale però non era di fatto e notoriamente autore del reato di calunnia, così come era falsamente accusato. Innocenza riconosciuta ed acclarata dal giudice di merito, però, dopo anni.
PER IL SECONDO FATTO
In questo procedimento risultano esserci due querelanti e quindi due persone offese dal reato:
Dimitri Giuseppe querela in data 19/07/2004 Corigliano Renato perché si ritiene vittima di Falsa Perizia giudiziaria. Corigliano Renato controquerela Dimitri Giuseppe per calunnia e diffamazione per aver pubblicato la querela, in cui si producevano le accuse di falsa perizia contro il Corigliano ledendo il suo onore e la sua reputazione. Corigliano Renato non querela Antonio Giangrande. Dimitri Giuseppe per la diffamazione subita dal Corigliano controquerela Antonio Giangrande, pur non avendo il Dimitri Giuseppe legittimità a farlo, non essendo egli persona offesa.
Insomma: la querela di diffamazione da parte della persona offesa contro Antonio Giangrande non esiste.
Pur mancando la prova della diffamazione, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
Il Dr. Enrico Bruschi apre il fascicolo n. 3015/06 R.G. notizie di reato. Non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e decreta egli stesso la citazione a giudizio saltando l’Udienza Preliminare.
Il processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10244/10 RGDT si apre con l’udienza del 05/10/2010 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto, ma la posizione di Antonio Giangrande è inviata al Giudice per le Indagini Preliminari per l’Udienza di Rito.
Il Dr Pompeo Carriere il 26/11/12 apre il procedimento Gip n. 243/12. Sostenuto dalla richiesta del PM Enrico Bruschi il dr. Pompeo Carriere, ciononostante non vi sia la querela di Corigliano Renato contro Antonio Giangrande e pur non supportato da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone comunque il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande per il reato di Diffamazione.
Il nuovo processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10403/12 RGDT si apre presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto. In quella sede ai diversi giudici succedutisi, in sede di contestazioni nella fase preliminare, si è segnalata la mancanza assoluta di prove che sostenessero l’accusa di Diffamazione.
Solo in data 18 aprile 2013 Corigliano Renato è stato sentito ed ha confermato di non aver presentato alcuna querela contro Antonio Giangrande. Corigliano Renato e Dimitri Giuseppe hanno rimesso la querela, il primo perché non l’aveva presentata e comunque non aveva alcuna volontà punitiva contro Antonio Giangrande, il secondo non aveva addirittura la legittimità a presentarla. Il giudice Giovanni Pomarico non ha potuto non acclarare il non doversi procedere nei confronti di Antonio Giangrande per remissione delle querele.
Declaratoria di NON DOVERSI PROCEDERE PER REMISSIONE DI QUERELA. Ma di fatto per difetto di legittimazione ad agire. Dopo 4 anni, un pubblico Ministero, un Giudice per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione perchè denunciata da Antonio Giangrande, sostituita dalla dr.ssa Frida Mazzuti ed a sua volta sostituita da Giovanni Pomarico.
L’inimicizia dei magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza, Foro competente.
PER IL TERZO FATTO
L’avv. Santo De Prezzo, in data 06 novembre 2006, denuncia e querela il dr. Antonio Giangrande per violazione della Privacy per aver pubblicato sul sito web della Associazione Contro Tutte le Mafie il suo nome, nonostante il nome dell’avv. Santo De Prezzo fosse già di dominio pubblico in quanto inserito negli elenchi telefonici, anche web, e nell’elenco degli avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi, anche web.
La dr.ssa Adele Ferraro, sostituto procuratore presso il Tribunale di Brindisi apre il proc. n. 9429/06 RGNR, non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., ed il 1° ottobre 2007 (un anno dopo la querela) decreta il sequestro preventivo dell’intero sito web della Associazione Contro Tutte le Mafie, arrecando immane danno di immagine. Il Decreto è nullo perché non convalidato dal GIP ed emesso il 19 ottobre 2007, successivamente al sequestro. Il decreto è rinnovato il 09/11/ 2007 e non convalidato dal giudice Katia Pinto. Poi ancora rinnovato il 28/12/2007 e convalidato da Katia Pinto il 26/02/2008, ma non notificato.
La dr.ssa Katia Pinto apre il proc. n. 1004/07 RGDT e il 19/09/2008, dopo quasi un anno dal sequestro del sito web con atti illegittimi dichiara la sua incompetenza territoriale e trasmette gli atti a Taranto, ma non dissequestra il sito web.
In questo procedimento non risulta esserci il fatto penale contestato eppure si oscura un sito web di una associazione antimafia e si persegue penalmente il suo presidente, Antonio Giangrande.
Insomma: il fatto non sussiste. Pur mancando la prova della violazione della privacy, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
Il Dr. Remo Epifani sostituto procuratore presso il Tribunale di Taranto apre il fascicolo n. 8483/08 RGNR, non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e decreta il rinvio a giudizio per ben due volte: il 23/06/2009 e difetta la notifica e il 28/09/2010, rinnovando il sequestro preventivo del sito web, mai revocato.
Il Dr. Martino Rosati, Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Taranto apre il proc. n. 6383/08 GIP e senza indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., dispone con proprio autonomo decreto il 14/10/2008 il sequestro preventivo del sito web.
Il processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10329/09 RGDT, si apre il 03/11/2009, ma viene chiuso per irregolarità degli atti. Il nuovo processo contraddistinto con il n. 10018/11 RGDT si apre il 01/02/2011.
Solo in data 12 luglio 2012 lo stesso Pm dr. Gioacchino Argentino chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste ed in pari data il giudice dr.ssa Frida Mazzuti non ha potuto non acclarare l’assoluzione di Antonio Giangrande perché il fatto non sussiste. Il Dissequestro del sito web www.associazionecontrotuttelemafie.org non è mai avvenuto e l’oscuramento del sito web è ancora vigente.
Declaratoria di ASSOLUZIONE PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE. Dopo 6 anni, due pubblici Ministeri, un Giudice per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione perchè denunciata da Antonio Giangrande, sostituita dalla dr.ssa Frida Mazzuti.
L’inimicizia dei magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza, Foro competente.”
« Pare evidente la tricotomia della responsabilità penale: il movente, il mezzo, l’opportunità. Per questo si chiede la condanna per reati consumati, continuati, tentati, da soli o in concorso con terzi, o di altre norme penali, con le aggravanti di rito, e attivazione d’ufficio presso gli organi competenti per la violazione di norme amministrative. Altresì si chiede il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, liquidato in via equitativa dal giudice competente, per la sofferenza che si è riservata al sottoscritto ed alle persone che mi stimano per la funzione che io occupo e l’umiliazione e, soprattutto, per il dolore difficilmente immaginabili da parte di chi non vive l’incubo di essere accusato di calunnie tanto ingiuste quanto infondate. Nessuna Autorità degna del mio rispetto ha tutelato la mia persona. Le mie denunce contro queste ed altre ingiustizie sono state sempre archiviate. E’ normale allora che io diventi carne da macello penale. E’ normale che io sia lì a partecipare da 17 anni all’esame forense, sempre bocciato, se poi i magistrati, commissari di esame, contro di me fanno questo ed altro.»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica amministrazione). La situazione anomala è venuta a galla nel settembre del 2015, quando furono approvati il bilancio consuntivo del 2014 e quello preventivo del 2015. In particolare, fu evidenziata la criticità relativa ad anticipazioni e rimborsi cariche istituzionali per un importo complessivo di 78mila euro, a cui poi si sono aggiunti altri 15mila euro relativi ai mesi di gennaio e febbraio del 2015: una situazione della quale si sono detti all’oscuro, dimostrandolo funzionalmente e documentalmente, il consigliere Fedele Moretti, all’epoca dei fatti tesoriere dell’Ordine, e l’attuale presidente Vincenzo Di Maggio, vice di Esposito per tanti anni. L’Ordine degli avvocati decise così di richiedere all’avvocato Angelo Esposito, quale presidente del precedente Consiglio, la documentazione contabile e fiscale mancante relativa alle spese da lui sostenute per conto dell’organismo. Esposito assicurò in quella occasione che avrebbe provveduto alla ricerca e alla raccolta di quanto richiesto. Poi è entrato in campo il revisore dei conti, l’avvocato Francesco Paolo De Giorgio, che il 28 gennaio scorso ha proceduto alla verifica trimestrale, alla presenza del consulente fiscale dell’Ordine Cosimo D’Elia, riscontrando in tale data che non risultavano documenti di spesa, né indicazioni riguardanti il beneficiario per gli oltre 93mila euro riguardanti anticipazioni e rimborsi per la presidenza dell’Ordine stesso. Il consiglio dell’Ordine degli avvocati a quel punto ha deciso di ascoltare nel corso di una seduta svoltasi il 22 marzo scorso l’ex presidente Esposito il quale, stando a quanto si è appreso, avrebbe detto di aver sostenuto spese per lo svolgimento del mandato istituzionale e di essere pronto a fornire il relativo giustificativo oltre che l’eventuale rimborso, se fosse riconosciuta la non istituzionalità delle stesse spese. Il 29 marzo, sette giorni dopo, in Consiglio si sono presentati invece, a nome di Esposito, gli avvocati Soggia e Tata per chiarire ulteriormente l’accaduto. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, però, ha deciso di interessare della vicenda la Procura della Repubblica allo scopo di fare piena luce sulla vicenda ed accertare eventuali responsabilità, così come sollecitato dalla maggioranza dei consiglieri. I 93mila euro di «buco» non mettono a rischio la tenuta dei conti dell’Ordine, né tantomeno il pagamento degli stipendi degli 11 dipendenti dell’ente ma ovviamente rappresentano una cifra importante, sulla quale non si potrà non fare chiarezza.
Ordine Avvocati, buco nel bilancio. Indaga la Procura, scrive Michele Montemurro su “Il Quotidiano di Puglia” dell’11 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? È quanto dovrà accertare la procura di Taranto, chiamata in causa dal consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, che avrebbe accertato nel suo bilancio un “buco” di oltre 90mila euro. A investire della questione il pm dottor Maurizio Carbone è stato lo stesso Consiglio presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio. All’appello, nei libri contabili del Consiglio, mancherebbe una cifra complessiva che non risulta essere “coperta” da alcuna documentazione. Allo stato, l’ipotesi di reato per cui si procede a carico di ignoti è quella di peculato, dal momento che il Consiglio dell’Ordine è ritenuto Ente pubblico non economico. Secondo quanto trapelato negli ambienti forensi, le anomalie su cui dovrà essere fatta luce sarebbero scaturite alla fine della scorsa estate, allorchè il nuovo Consiglio, che aveva sostituito quello presieduto dall’avvocato Angelo Esposito, s’era ritrovato ad approvare il bilancio consuntivo del 2014 e quello preventivo del 2015. Nella circostanza, in un’articolata relazione sarebbero state evidenziate alcune criticità. Una di queste, appunto, avrebbe riguardato anticipazioni e rimborsi per attività istituzionali, per quasi 95mila euro, di cui però non vi sarebbe traccia contabile. Rispetto a questa circostanza i primi a rimanere sorpresi erano stati l’attuale presidente Di Maggio (vice presidente nella passata gestione) e l’attuale consigliere Fedele Moretti (con compiti di tesoriere durante la presidenza Esposito). La mancata conoscenza della circostanza, da parte di esponenti importanti di quel Consiglio, aveva indotto l’attuale organismo a richiedere chiarimenti all’ex presidente Esposito, soprattutto in riferimento alle spese sostenute in ragione e in virtù della carica rivestita. La ricerca della documentazione necessaria, però, non sarebbe andata a buon fine. Ciò sarebbe testimoniato dal fatto che nel gennaio scorso, il revisore dei conti, avvocato Francesco Paolo De Giorgio, nel procedere a una verifica trimestrale aveva concluso, con l’avallo del consulente fiscale dell’Ordine, per l’accertata assenza di documenti di spesa e di altre indicazioni contabili, relativi all’attività del precedente presidente dell’Ordine. In ultima analisi, all’appello mancavano atti che “spiegassero” anticipazioni e rimborsi in favore della precedente presidenza dell’Ordine. Alla luce di questi rilievi, in una seduta svoltasi prima di Pasqua il Consiglio dell’Ordine degli avvocati aveva deciso di ascoltare l’ex presidente Esposito (oggi componente del Consiglio nazionale forense) che, dal suo canto, s’era detto pronto a risolvere, con un intervento personale, la questione, nel caso in cui non fossero state ritenute giustificate, sotto il profilo istituzionale, quelle vecchie spese di cui mancherebbe traccia. Sia come sia, nei giorni scorsi, il Consiglio ha ritenuto di investire del caso la procura di Taranto. Per la cronaca, il possibile “buco” nel bilancio dell’Ordine non ha alcun riflesso sulla sua attività nè sui suoi dipendenti, considerata la solidità economica dell’Ente.
Avvocati, i conti 2014 dell’Ordine di Taranto non tornano. L’attuale presidente spiega in una lettera, scrive l'11 aprile 2016 “La Ringhiera”. Il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Vincenzo Di Maggio, ci scrive in merito alla vicenda del presunto “buco” di 95 mila euro nei conti della organizzazione forense che presiede, notizia circolata in città anche a seguito dell’esposto che lui stesso ha presentato in Procura dopo essersi insediato. Ecco il suo documento in cui precisa alcuni particolari, aggiungendo altri elementi alla notizia pubblicata stamattina da Quotidiano e ripresa da La Ringhiera: Il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Vincenzo Di Maggio. “Innanzitutto, tengo a precisare che non si tratta di una denuncia ma di una mera segnalazione, obbligatoria per legge che il Consiglio ha inteso rispettare, così come oggi intende non deflettere dalla presunzione di innocenza che deve assistere qualsiasi soggetto possa essere coinvolto in questa vicenda. La correttezza del comportamento di questo Consiglio riviene, in tutta la sua evidenza, avuta considerazione dei fatti così come si sono svolti nel loro progressivo incedere. All’uopo giova evidenziare che, una volta subentrato (9.2.2015), il nuovo Consiglio ha richiesto al presidente del tribunale di nominare il revisore dei conti, approvato il regolamento di contabilità e poi gioco forza, dovuto misurarsi nella predisposizione del bilancio consuntivo di quello precedente, relativo all’anno 2014 (di cui preciso non essere stato mai il vicepresidente) procedendo alla verifica dei conti così come opportunamente messi a disposizione dai soggetti preposti e sulla scorta della documentazione in possesso al contabile. In tale occasione non furono rinvenuti alcuni giustificativi di spese, in realtà contabilizzate e quindi non di ammanchi, così come da taluni riportano. Tutto ciò indusse il Consiglio a proporre all’Assemblea l’approvazione di suddetto bilancio, inserendo per l’appunto quella partita, quale credito per l’Ente e non come spesa e successivamente a richiederne il rendiconto a chi l’aveva in precedenza amministrato ovvero il rimborso. Mi auguro che suddette spese, al di là della documentazione fiscale a supporto, potranno essere documentate, dinanzi all’Autorità Giudiziaria, dai fatti e dalle occasioni istituzionali per cui sono state sostenute e così consentire la soluzione di questa vicenda nel migliore dei modi possibili”. Sin qui, il presidente dell’Ordine. A quanto pare, la domanda che ci eravamo posti stamane trova una prima autorevole risposta, in attesa del riscontro che i giudici forniranno al termine delle loro verifiche. Si tratterebbe di spese non supportate da adeguati giustificativi. Staremo a vedere. La notizia di questa mattina. Una voce che girava da alcune settimane trova oggi conferma. Adesso infatti c’è l’esposto firmato dal presidente Vincenzo Di Maggio, in carica da meno di un anno. L’attuale rappresentate dell’Ordine degli Avvocati di Taranto chiede alla magistratura di verificare le ragioni e le eventuali omissioni legate ad un presunto buco di 95 mila euro nei bilanci dell’organizzazione forense ionica. Il fascicolo, come riferisce questa mattina Quotidiano, è nelle mani del pubblico ministero Carbone. Come detto, negli ambienti giudiziari da tempo circolavano voci riguardanti i conti dell’Ordine Avvocati: spese esagerate o si tratta di un’assenza di giustificativi? Verificheranno i giudici, a quanto pare.
L’ Ordine degli Avvocati di Taranto scrive al Corriere del Giorno l’11 aprile 2016. Lettere al Corriere dell'11 aprile 2016. Riceviamo dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Taranto la seguente lettera che volentieri pubblichiamo: Egregio Direttore de Gennaro, nella mia qualità di Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, ed in relazione all’articolo pubblicato in data odierna dalla Sua testata “Corriere del Giorno fondato nel 1947”, sono a specificarLe quanto segue. In primis vorrà considerare che l’Avv. Fedele Moretti è attualmente consigliere in carica, ed è stato tra i promotori della iniziativa che mi ha visto protagonista, quale Presidente, nel depositare la segnalazione presso la Procura della Repubblica. Questo al fine di chiarire che non esistono, all’interno del Consiglio, gruppi contrapposti derivanti dalle liste delle passate elezioni, ma vige, al contrario, totale condivisione delle decisioni adottate. Dalla lettura del Suo scritto appare, inoltre, una prospettazione dei fatti da precisare, poiché non è mai esistita una “gestione Esposito – Moretti”, essendo la conduzione del Consiglio totalmente collegiale, non senza considerare che i fatti di cui parliamo erano sconosciuti anche all’allora tesoriere avv. Moretti, che è il primo, in questa vicenda, a subire un ingiusto danno di immagine. Nella certezza che vorrà rettificare il Suo articolo, alla luce delle poche righe che precedono, La saluto molto cordialmente. Avv. Vincenzo Di Maggio. La replica del Corriere del Giorno: Egregio Presidente, prendiamo atto che l’ Avv. Fedele Moretti sia stato “tra i promotori della iniziativa che mi ha visto protagonista, quale Presidente, nel depositare la segnalazione presso la Procura della Repubblica”, circostanza a mio parere assolutamente “irrilevante” in quanto qualunque componente del consiglio in carico, se non avesse aderito alla vostra dovuta iniziativa di rivolgersi alla Procura non avrebbe reso un buon servizio alla Giustizia e tantomeno onorato la propria toga di avvocato. Quella che abbiamo definito “gestione Esposito-Moretti” non è altro che la verità. L’Avvocato Angelo Esposito era il consigliere-Presidente e l’Avv. Fedele Moretti il consigliere-segretario tesoriere del precedente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto. Chi dovrebbe rispondere di questi soldi mancanti nelle casse dell’Ordine? Chi ha autorizzato anticipazioni e/o eventuali rimborsi dell’Ordine, per delle spese prive di alcuna giustificazione documentale? Siamo a disposizione dell’Avv. Esposito e dell’Avv. Moretti per ogni chiarimento del caso. Voglio ricordare che noi abbiamo solo fatto il nostro mestiere: dare una notizia. E che manchino 95mila euro nelle casse dell’Ordine degli Avvocati di Taranto è un dato di fatto. Così come un altro dato di fatto inconfutabile è che l’Ordine abbia presentato una memoria-esposto alla Procura della Repubblica di Taranto sulla triste vicenda. Noi caro Presidente Di Maggio le notizie prima di pubblicarle le verifichiamo come lei ben sa, e soprattutto cerchiamo di non vivere di “immagine”. La legge come lei ben sa non ce lo consente. Cordialmente Antonello de Gennaro.
La Procura indaga sul “buco” del bilancio dell’Ordine Avvocati di Taranto sotto la guida dell’Avv. Angelo Esposito. E sulla fuga di notizie…? Si chiede e scrive Antonello De Gennaro su “Il Corriere del Giorno” del 12 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? Chi rimborserà l'Ordine degli Avvocati di Taranto delle spese allegre e non giustificate di qualcuno? L’intervento della Procura di Taranto che ha affidato le indagini al pm Maurizio Carbone, contrariamente a quanto pubblicato dai soliti cronisti giudiziari a “gettone” è avvenuta in conseguente di una segnalazione, obbligatoria per legge ai sensi dell’art. 331 c.p.p. che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio, ha inteso rispettare. Singolare anche come ancora una volta la notizia sia “filtrata” dagli uffici giudiziari tarantini sulla solita stampa “ventriloqua” di alcuni magistrati, nonostante la discrezione e riservatezza adottata dal presidente Di Maggio che ha depositato personalmente il tutto soltanto giovedì scorso e direttamente negli uffici della Procura, e non a quelli della polizia giudiziaria, proprio per evitare delle possibili fughe di notizie. Altrettanto singolare la ricostruzione pubblicata questa mattina da un giornalista, ben noto per non effettuare le dovute verifiche, che ha sostenuto che l’avv. Vincenzo di Maggio l’attuale presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, sia stato in passato “vicepresidente” nel consiglio presieduto dal suo predecessore avv. Angelo Esposito, fatto e circostanza che non corrisponde al vero, e quindi è palesemente falsa. Così come nessuno dei vari giornalisti tarantini che questa mattina hanno raccontato delle bestialità si è mai soffermato alla circostanza che sotto la presidenza Esposito il segretario tesoriere era l’avvocato Fedele Moretti, attuale consigliere dell’Ordine, principale avversario dell’avv. Di Maggio nel corso delle ultime elezioni che lo hanno visto prevalere con un notevole suffragio. L’attuale revisore Francesco Paolo De Giorgio, nominato dal Presidente del tribunale di Taranto, insieme al consulente fiscale dell’Ordine nell’approvare il bilancio al 31.12.2014 lasciato in eredità (non approvato dall’ avv. Esposito), scoprirono la mancanza di documentazioni giustificative dalla precedente gestione, della somma di oltre 95mila euro. Infatti come sostiene l’avv. Di Maggio in realtà “non furono rinvenuti alcuni giustificativi di spese, in realtà contabilizzate e quindi non di ammanchi, così come da taluni riportato. Tutto ciò indusse il Consiglio a proporre all’Assemblea l’approvazione di suddetto bilancio, inserendo per l’appunto quella partita, in realtà poca cosa rispetto al totale, quale credito per l’Ente e non come spesa e, successivamente a richiederne il rendiconto a chi l’aveva in precedenza amministrato ovvero il rimborso.” In una nota, l’avv. Di Maggio chiarisce che “il nuovo Consiglio ha richiesto al Presidente del Tribunale la nomina del Revisore dei conti, approvato il regolamento di contabilità e dovuto, giocoforza, misurarsi nella predisposizione del bilancio consuntivo di quello precedente, relativo all’anno 2014 (di cui preciso non essere mai stato Vice Presidente) e procedere alla verifica dei conti così come opportunamente messi a disposizione dai soggetti preposti e sulla scorta della documentazione in possesso al contabile.” Dalle verifiche effettuate sui libri contabili “ereditati” dalla gestione del Consiglio sotto la presidenza Esposito, infatti non vi era alcuna giustificazione documentale a fronte della mancanza della somma non indifferente di 95mila euro. L’ipotesi di reato per cui la Procura procede (il Consiglio dell’Ordine è ritenuto Ente non economico ma avente pubblico servizio) al momento a carico di ignoti è quella di “peculato”, o di “appropriazione indebita non aggravata”. Il nuovo Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati, come ricorda la dichiarazione “ufficiale”, è stato eletto il 9 febbraio 2015, e vede alla guida degli avvocati di Taranto e provincia l’ avv. Vincenzo Di Maggio , il quale è subentrato a seguito delle ultime elezioni al consiglio uscente, presieduto dall’avvocato Angelo Esposito, e quindi l’attuale Consiglio dell’ ordine attualmente in carica è stato quindi di fatto tenuto, o meglio costretto dai doveri d’ufficio e di Legge, non solo alla predisposizione del bilancio preventivo del 2015 (che include anche il mese di gennaio 2015 sotto la gestione Esposito–Moretti) ma anche ad approvare quello al 31 dicembre 2014, cioè l’ultimo esercizio sotto la gestione del consiglio uscente, il cui presidente e cioè l’avv. Esposito si era ben guardato di approvarlo con la propria firma. Chissà come mai…Nel bilancio al 31.12.2014, cioè sotto l'“allegra” presidenza Esposito, i 95mila euro di cui mancava ogni giustificazione di spesa vennero indicati ed imputati correttamente ed approvati, come “crediti da esigere”. Successivamente il nuovo consiglio presieduto dall’ Avv. Di Maggio ha convocato e chiesto chiarimenti all’Avv. Angelo Esposito in riferimento alle spese sostenute ma non documentate in ragione e in virtù della carica rivestita. L’assicurata produzione da parte dell’ex-presidente Esposito della documentazione necessaria mancante per anticipazioni e rimborsi in favore della sua precedente presidenza dell’Ordine, però, non ha mai avuto alcun seguito e riscontro. In una seduta del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto tenutasi prima delle recenti festività pasquali è stato deciso di convocare ed ascoltare le eventuali giustificazioni dell’ex presidente Esposito (attualmente componente del Consiglio nazionale forense) che, in un primo momento s’era dichiarato pronto a risolvere la vicenda, restituendo personalmente alle casse del Consiglio, i soldi mancanti. Ma anche questa promessa dell’avv. Angelo Esposito non ha trovato riscontro alcuno, motivo per cui il Consiglio ha ritenuto di investire del caso la Procura di Taranto. Nella sua nota l’Avv. Di Maggio, concludendo, si augura che le “suddette spese, al di là della documentazione fiscale a supporto, potranno essere documentate, dinanzi all’Autorità Giudiziaria, dai fatti e dalle occasioni istituzionali per cui sono state sostenute e così consentire la soluzione di questa vicenda nel migliore dei modi possibili”. Quello che probabilmente qualcuno un giorno dovrà spiegare è come mai quando delle notizie coperte da segreto istruttorio finiscono nelle mani dei soliti “giornalisti” amici e talvolta confidenti, la Procura della Repubblica di Taranto si gira dall’altra parte, mentre in alcuni casi si manda a processo qualche collega ben più corretto. Ma per fortuna la stagione dei conflitti d’interesse, di strane amicizie e favoritismi è ormai arrivata al capolinea: l’ex-procuratore capo Franco Sebastio è in pensione, il suo vice Pietro Argentino oltre ad essere sotto inchiesta del CSM, non potrà più fare l’aggiunto e secondo attendibili voci giudiziarie prossimo ad un trasferimento fuori Taranto, ed il pm Maurizio Carbone non è stato rieletto segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati. La “ciliegina” sulla torta di una necessaria auspicata legalità in procura a Taranto sarà l’arrivo del nuovo procuratore capo Carlo Maria Capristo, designato dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura dopo l’indicazione, resa nota nei giorni scorsi, da parte della quinta commissione del Csm. Capristo, 63 anni, è nato a Gallipoli (Lecce) ed ha prestato servizio a Bari e Siena prima di approdare a Trani, dove ha diretto tra l’altro l’inchiesta sul declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto alla sbarra.
Condannato ex presidente Ordine Avvocati Taranto. Il Corriere del Giorno il 28 Novembre 2020. L’istanza di patteggiamento dei difensori di Esposito si era scontrata con il parere negativo della pubblica accusa, motivo per cui si è ritornati in camera di consiglio dove il pm aveva richiesto la sua condanna a due anni e mezzo. La decisione del giudice Ruberto ha stabilito la condanna di Esposito a due anni con il beneficio della sospensione della pena. L’ex presidente dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, avvocato Angelo Esposito è stato condannato dal giudice Benedetto Ruberto a due anni con il beneficio della sospensione della pena, grazie alla scelta di rito abbreviato nel processo in cui era imputato chiamato a rispondere del reato di peculato aggravato, a seguito della denuncia a suo carico per aver utilizzato i fondi dell’ Ordine per spese personali. La somma, quantificata inizialmente 240.000 euro e rideterminata ieri in 184.000 euro, che all’ avvocato Esposito ha parzialmente restituito versando 100mila euro nel corso del procedimento inducendo l’ Ordine degli Avvocati di Taranto a ritirare la costituzione di parte civile da parte dell’Ordine . I difensori di Esposito nella loro arringa hanno evidenziato come l’ex presidente sin dal primo momento avesse manifestato l’intenzione di verificare la contabilità dei dodici anni del suo mandato e di rifondere eventuali pagamenti non riconosciuti. Esposito ha ha optato per il rito abbreviato che gli ha consentito di ottenere una pena più leggera grazie anche alla concessione delle attenuanti concesse dal giudice che lo ha condannato a due anni e sospensione della pena. La condanna è stata in linea con la richiesta di patteggiamento avanzata in passato dagli avvocati Fausto Soggia e Paolo Tata, difensori dell’ avvocato Angelo Esposito, i quali subito dopo la sentenza hanno annunciato appello. L’istanza di patteggiamento dei difensori di Esposito si era scontrata con il parere negativo della pubblica accusa, motivo per cui si è ritornati in camera di consiglio dove il pm aveva richiesto la sua condanna a due anni e mezzo. La decisione del giudice Ruberto ha stabilito la condanna di Esposito a due anni con il beneficio della sospensione della pena.
“Taranto: non solo Scazzi, Serrano e Misseri. Quel Tribunale è il Foro dell’ingiustizia.”
Libertà di stampa violata ed adozione di atti intimidatori e persecutori per chi ha il coraggio di raccontare la verità.
Antonio Giangrande, il noto scrittore di Avetrana, accusato di violazione della Privacy, il 12 luglio 2012 è stato assolto con la formula più ampia: per non aver commesso il fatto. Una sentenza che crea un precedente nel campo della libera informazione.
E’ stato assolto dal giudice onorario della sezione distaccata di Manduria, avv. Frida Mazzuti, su richiesta del Pubblico Ministero Onorario avv. Gioacchino Argentino. E’ stato disposto, altresì, il dissequestro del sito web d’informazione inopinabilmente oscurato per anni dalla magistratura brindisina e tarantina.
Nulla di che, se non si trattasse dell’epilogo di un atto persecutorio da parte della magistratura tarantina. E la notizia dell’assoluzione si deve dare senza remore, così come si fa se, invece, fosse stata una condanna.
«Questa è una esperienza che insegna e che va raccontata – dice il dr Antonio Giangrande, autore di 40 libri pubblicati su “Amazon” e su “Lulu” - Il fatto risale al 2006 quando improvvisamente la Procura di Brindisi chiude completamente il portale web d’informazione dell’ “Associazione Contro Tutte le Mafie”. Sodalizio nazionale antimafia non allineato a sinistra. L’oscuramento del sito web effettuato con reiterati atti nulli di sequestro penale preventivo emessi dal Pubblico Ministero togato Adele Ferraro e convalidati dal GIP Katia Pinto. Lo stesso GIP che poi diventa giudice togato del dibattimento e che alla fine del processo proclamerà la sua incompetenza territoriale. Dopo anni il caso passa al competente Tribunale di Taranto. Qui il Gip Martino Rosati adotta direttamente l’atto di reiterazione del sequestro del sito web, senza che vi sia stata la richiesta del PM. Il reato ipotizzato è: violazione della Privacy. Non diffamazione a mezzo stampa, poco punitiva, ma addirittura violazione della privacy, reato con pena più grave. E dire che gli atti pubblicati non erano altro che notizie di stampa riportate dai maggiori quotidiani nazionali. Era solo un pretesto. Di fatto hanno chiuso un portale web di informazione e d’inchiesta di centinaia di pagine che riguardava fatti di malagiustizia, tra cui il caso di Clementina Forleo a Brindisi e una serie di casi giudiziari a Taranto, oggetto di interrogazioni parlamentari. Tra questi il caso di un Pubblico Ministero che archivia le accuse contro la stessa procura presso cui lavora; che archivia le accuse contro sé stesso come commissario d’esame del concorso di avvocato ed archivia le accuse contro la sua compagna avvocato, dalla cui relazione è nato un figlio. Fatti di malagiustizia conosciuti e scaturiti da esperienze vissute personalmente o raccontate dalle vittime, fino a quando mi hanno permesso di svolgere la professione di avvocato e successivamente in qualità di presidente di un’associazione antimafia. Dopo anni i magistrati togati di Taranto non hanno ottenuto la mia condanna, nonostante i più noti avvocati di quel foro abbiano rifiutato di difendermi e sebbene tutti i miei avvocati difensori mi abbiano abbandonato, eccetto l’avv. Pietro DeNuzzo del Foro di Brindisi. Qualcuno si è fatto addirittura pagare da me, nonostante abbia percepito i compensi per il mio patrocinio a spese dello Stato. Ed ancora dopo anni i magistrati togati di Taranto non hanno ottenuto la mia condanna, anche in virtù del fatto che il giudice naturale, Rita Romano, sia stata ricusata in questo processo, perché non si era astenuta malgrado sia stata da me denunciata. A dispetto di tutte le circostanze avverse vi è stata l’assoluzione, ma i magistrati togati hanno ottenuto comunque l’oscuramento di una voce dell’informazione. Voce che in loco è deleteria al sistema giudiziario e forense tarantino e contrastante con la verità mediatica locale.
A tutti coloro, che in apparenza gridano alla libertà di stampa, direi di essere meno ipocriti, codardi, collusi e partigiani, perché i giornalisti e gli operatori dell’informazione locale, anziché esprimere solidarietà ad un collega, hanno pensato bene di trattarmi come appestato e recidere quelle collaborazioni che avevo con loro. A tutti quelli che spesso rappresentano un potere criminogeno e ciò nonostante proclamano “fuori i condannati dal Parlamento” direi: se i condannati sono coloro i quali sono perseguitati per le opinioni espresse, allora direi fuori le caste e le lobbies e le mafie e le massonerie dal Parlamento, che a quanto a pericolosità sociale non sono seconde a nessuno».
Il Parlamento italiano, composto per lo più da avvocati, giusto per dare un taglio all’annosità dei procedimenti giudiziari civili, forieri di condanne della Corte Europea dei Diritti Umani, ha partorito la riforma della mediazione. A seguito dell'approvazione del decreto legislativo che introduce la mediazione nel nostro ordinamento (con il d.lgs. 28/2010, "Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali"), il 21 marzo 2011, la mediazione è divenuta obbligatoria. Prevista dall'art. 5 del decreto legislativo 28/2010 (che attua l'art. 60 della legge 69/2009), la mediazione dovrà essere esperita a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. A Taranto e provincia vi sono tantissimi organismi di mediazione e camere di conciliazione. L’Organismo di Mediazione dell’Ordine degli Avvocati di Taranto è iscritto, con P.D.G. del 21.03.2011, al n. 184 del Registro degli Organismi di Mediazione istituiti presso il Ministero della Giustizia. Dal sui sito web si rileva che responsabile dell'Organismo è Angelo Esposito, presidente dell’Ordine; mentre il Consiglio direttivo è composto dallo stesso Esposito come presidente, Aldo Feola come segretario, Vito Fico come tesoriere, Vincenzo Di Maggio come responsabile della scuola forense e Paola Silvestri come coordinatore. E' cosa ovvia che tale organismo abbia il monopolio della mediazione, non perché sia più quotato di altri, ma perché è maggiormente indicati dagli stessi avvocati, chiamati in causa dai loro clienti per dirimere le controversie. Ed all’interno dello stesso organismo, così come risulta dai dati forniti dalla stessa camera di conciliazione dal suo sito web, fa la parte del leone proprio il direttivo, con in prima fila il suo presidente con il compenso più elevato, pur con poche assegnazioni. Detto questo, dalla piena regolarità dell'operato dei soggetti in questione, ogni lettore tragga le conclusioni più opportune.
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita, ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica amministrazione). Di questo se ne è parlato agli inizi, perché l’esposto era dello stesso Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, ma poi nulla si è più saputo: caduto nell’oblio. Il silenzio sarà rotto, forse, dalla inevitabile prescrizione, che rinverdirà l’illibatezza dei presunti responsabili.
E poi c’è il caso, segnalato da un mio lettore, di una eccezionale sanzione emessa dalla magistratura tarantina e taciuta inopinatamente da tutta la stampa.
Condannato l’avv. Aldo Carlo Feola per gli insabbiamenti degli esposti contro gli avvocati di Taranto.
La notizia ha tutti i crismi della verità, della continenza e dell’interesse pubblico e pure non è stata data alla pubblica opinione.
Il caso di cui trattasi si riferisce ad un esposto di un cittadino, presentato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto contro un avvocato di quel foro per infedele patrocinio, di cui già pende giudizio civile.
Ma facciamo parlare gli atti pubblicabili.
L’11 maggio 2012 viene presentato l’esposto, il 3 aprile 2013 con provvedimento di archiviazione, pratica 2292, si emette un documento in cui si dichiara che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto delibera la sua archiviazione in quanto “non risultano elementi a carico del professionista tali da configurare alcuna ipotesi di infrazione disciplinare”. L’atto è sottoscritto il 17 novembre 2014, nella sua copia conforme, dall’avv. Aldo Carlo Feola, Consigliere Segretario. Mansione che il Feola ricompre da decenni.
Fin qui ancora tutto legittimo e, forse, anche, opportuno.
E’ successo che, con procedimento penale 2154/2016 R.G.N.R. Mod. 21, il 3 ottobre 2016 (depositata il 6) il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, dr Maurizio Carbone, chiede il Rinvio a Giudizio dell’avv. Aldo Carlo Feola, difeso d’ufficio, “imputato del delitto di cui all’art. 476 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici), perché, in qualità di Consigliere con funzione di Segretario del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, rilasciava copia conforme all’originale della delibera datata 3 aprile 2013 del Consiglio, con la quale si disponeva di non dare luogo ad apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Addolorata Renna, con conseguente archiviazione dell’esposto presentato nei suoi confronti da Blasi Giuseppe. Provvedimento di archiviazione risultato in realtà inesistente e mai sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine di Taranto. In Taranto il 17 novembre 2014.”
Il Giudice per le Indagini Preliminari, con proc. 6503/2016, il 21 novembre 2016 fissa l’Udienza Preliminare per il 12 dicembre 2016 e poi rinvia per il Rito Abbreviato per il 10 aprile 2017 con interrogatorio dell’imputato ed audizione del teste, con il seguito.
Il Giudice per l’Udienza Preliminare, dr. Pompeo Carriere, il 16 ottobre 2017 con sentenza n. 945/2017 “dichiara Feola Aldo Carlo colpevole del reato ascrittogli, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo condanna alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese del procedimento. Pena sospesa per cinque anni, alle condizioni di legge, e non menzione. Visti gli artt. 538, 539, 541 c.p.p., condanna Feola Aldo Carlo al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali dalla medesima sostenute, che si liquidano in complessivi euro 3.115,00 (tremilacentoquindici) oltre iva e cap come per legge”.
Da quanto scritto è evidente che ci sia stata da parte della stampa una certa ritrosia dal dare la notizia. Gli stessi organi di informazione che sono molto solerti ad infangare la reputazione dei poveri cristi, sennonchè non ancora dichiarati colpevoli.
La notizia ha tutti i crismi della verità, della continenza e dell’interesse pubblico e pure non è stata data alla pubblica opinione.
Il caso di cui trattasi si riferisce ad un esposto di un cittadino, presentato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto contro un avvocato di quel foro per infedele patrocinio, di cui già pende giudizio civile.
Ma facciamo parlare gli atti pubblicabili.
L’11 maggio 2012 viene presentato l’esposto, il 3 aprile 2013 con provvedimento di archiviazione, pratica 2292, si emette un documento in cui si dichiara che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto delibera la sua archiviazione in quanto “non risultano elementi a carico del professionista tali da configurare alcuna ipotesi di infrazione disciplinare”. L’atto è sottoscritto il 17 novembre 2014, nella sua copia conforme, dall’avv. Aldo Carlo Feola, Consigliere Segretario. Mansione che il Feola ricompre da decenni.
Fin qui ancora tutto legittimo e, forse, anche, opportuno.
E’ successo che, con procedimento penale 2154/2016 R.G.N.R. Mod. 21, il 3 ottobre 2016 (depositata il 6) il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, dr Maurizio Carbone, chiede il Rinvio a Giudizio dell’avv. Aldo Carlo Feola, difeso d’ufficio, “imputato del delitto di cui all’art. 476 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici), perché, in qualità di Consigliere con funzione di Segretario del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, rilasciava copia conforme all’originale della delibera datata 3 aprile 2013 del Consiglio, con la quale si disponeva di non dare luogo ad apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Addolorata Renna, con conseguente archiviazione dell’esposto presentato nei suoi confronti da Blasi Giuseppe. Provvedimento di archiviazione risultato in realtà inesistente e mai sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine di Taranto. In Taranto il 17 novembre 2014.”
Il Giudice per le Indagini Preliminari, con proc. 6503/2016, il 21 novembre 2016 fissa l’Udienza Preliminare per il 12 dicembre 2016 e poi rinvia per il Rito Abbreviato per il 10 aprile 2017 con interrogatorio dell’imputato ed audizione del teste, con il seguito.
Il Giudice per l’Udienza Preliminare, dr. Pompeo Carriere, il 16 ottobre 2017 con sentenza n. 945/2017 “dichiara Feola Aldo Carlo colpevole del reato ascrittogli, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo condanna alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese del procedimento. Pena sospesa per cinque anni, alle condizioni di legge, e non menzione. Visti gli artt. 538, 539, 541 c.p.p., condanna Feola Aldo Carlo al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali dalla medesima sostenute, che si liquidano in complessivi euro 3.115,00 (tremilacentoquindici) oltre iva e cap come per legge”.
SEQUESTRATI DISPONIBILITA’ E BENI PER CIRCA 85.000 EURO ALL’EX PRESIDENTE ORDINE AVVOCATI DI TARANTO. Il Corriere del Giorno il 27 Gennaio 2021. Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal G.I.P. di Taranto su richiesta della Procura della Repubblica tarantina, nei confronti dell’ avvocato Angelo Esposito, in passato presidente dell’Ordine degli avvocati di Taranto. Il provvedimento è stato emesso dal G.I.P. del Tribunale di Taranto, Dr. Benedetto Ruberto, su richiesta del Procuratore della Repubblica Aggiunto, Dr. Maurizio Carbone, al termine del primo grado di giudizio, celebrato con rito abbreviato, al termine del quale l’ avvocato Angelo Esposito è stato condannato per il reato di peculato alla pena di due anni di reclusione e contestualmente è stata disposta la confisca della somma per 84.503,35 euro. Le articolate indagini, eseguite nei confronti dell’avvocato Esposito, avviate a seguito di un esposto dei revisori dell’ ordine professionale erano state condotte da militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Taranto, anche attraverso l’esecuzione di mirati accertamenti bancari e l’esame della documentazione amministrativo-contabile acquisita presso l’Ordine degli Avvocati di Taranto. Nei confronti dell’avvocato Esposito la Guardia di Finanza aveva ipotizzato il reato di peculato in quanto lo stesso si era appropriato di risorse finanziarie dell’Ordine, distraendole dagli scopi istituzionali, per complessivi 184.503,35 euro. In particolare, nel corso dell’attività investigativa era emerso che avendone la disponibilità, l’ avvocato Esposito aveva impiegato somme di denaro attingendo dai conti dell’Ordine degli avvocati jonici utilizzando carte di credito ed assegni bancari per effettuare dei pagamenti personali. A seguito di quanto emerso dalle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza, la Procura della Repubblica ha chiesto ed ottenuto un decreto di sequestro preventivo fino alla concorrenza di euro 84.503,35 equivalenti alla differenza tra la somma complessivamente distratta e quella già restituita (ben 100mila euro) dall’ avvocato Esposito all’Ordine degli avvocati di Taranto. Un’ iniziativa quella della Procura di Taranto, che seppure pienamente legittima di fatto complicherà non poco all’ avvocato Esposito la possibilità e buona volontà, ampiamente dimostrata, di poter continuare a restituire quanto dovuto al proprio Ordine.
Taranto, parcelle vere per attività «fantasma»: estorsione all’Amiu per 600mila euro. Indagati l’ex consulente De Bellis e il dirigente dell’azienda (sospeso) Scalera. FRANCESCO CASULA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Marzo 2023
Estorsione, tentata estorsione e peculato ai danni dell’Amiu-Kyma Ambiente. Sono le accuse mosse dalla Procura di Taranto nei confronti di Domenico De Bellis, commercialista tarantino ed ex consulente della società partecipata dal Comune.
È stato il sostituto procuratore della Repubblica Lucia Isceri, con il visto del procuratore Eugenia Pontassuglia, a disporre nei giorni scorsi il sequestro preventivo d’urgenza della somma di 633mila euro che Amiu a breve avrebbe dovuto versare a De Bellis.
Nell’indagine, partita dalla denuncia presentata dall’attuale presidente del cda Amiu Gianpiero Mancarelli, è coinvolto - per il solo reato di peculato – anche Rocco Lucio Scalera, dirigente dell’Amiu sospeso dopo la bufera sui concorsi sospetti su cui sta ancora indagando la magistratura. L’inchiesta ruota infatti attorno a una mail con la quale, il 12 luglio 2018, proprio Scalera avrebbe quantificato in 989mila euro il compenso per De Bellis per l’attività svolta in due procedimenti amministrativi con l’Agenzia delle Entrate che chiedeva il pagamento di cifre del valore complessivo di 12 milioni di euro.
Secondo le indagini svolte dai finanzieri del comando provinciale di Taranto, però, Scalera avrebbe calcolato il compenso ignorando due aspetti fondamentali della vicenda. Il primo è che nel 2010 il cda di Amiu aveva già assegnato l’incarico di seguire le due pratiche all’avvocato Stefano Fumarola. Il secondo è che l’azienda oltre ad aver concesso a Fumarola la possibilità di avvalersi della collaborazione di De Bellis «che già aveva in corso un incarico con Amiu», aveva decretato per quest’ultimo un compenso di 5mila euro. Una cifra che 8 anni più tardi è lievitata al punto da sfiorare il milione di euro.
Nel 2019, inoltre, Scalera avrebbe sottoscritto con De Bellis una scrittura privata riconoscendogli un compenso di 532mila euro per il primo grado di giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto e di altri 456mila euro per il secondo grado dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia.
«Somme – scrive il pubblico ministro Isceri - di molto superiori al compenso fissato in 5mila euro dalla delibera del 20 maggio 2010 e in ogni caso esorbitanti rispetto all’effettiva attività svolta». Ma non è tutto. Grazie a quella scrittura privata Scalera avrebbe consentito a De Bellis di ottenere la somma di 244mila euro, in rate mensili da 8750 euro fino a gennaio 2021. Non solo. Quando nel 2019, il presidente Mancarelli ha sospeso il pagamento di quelle rate mensili, De Bellis ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Taranto un decreto ingiuntivo di 745mila e minacciando l’esecuzione forzata del provvedimento avrebbe ottenuto nel 2022 altre somme.
A luglio dello stesso anno, però, avrebbe poi dato seguito al pignoramento bloccato la somma complessiva di 633mila euro: un «profitto ingiusto» secondo la Procura che ha così bloccato quella somma prima che arrivasse sui conti del consulente. Ed è per questo che il pm Isceri ha contestato l’ipotesi di reato di estorsione per le somme già incassate e di tentata estorsione per quelle che invece sono state sequestrate prima del versamento.
Il 24 marzo scorso sono stati i miliatri delle fiamme gialle a eseguire il sequestro e a notificare gli atti all’indagato: nei prossimi giorni il sequestro dovrà essere convalidato dal giudice per le udienze preliminari.
A Taranto il Comune sperpera soldi pubblici per organizzare feste di piazza. Carlo Calenda: “deprimente, una buffonaggine”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 13 Gennaio 2023
Secondo l'ex ministro Carlo Calenda quanto accaduto a Taranto è "deprimente, una buffonaggine, Vedo che non c’è stata cura per un lavoro ben fatto"
Crescono le polemiche per la scelta del Comune di Taranto di spendere ( o sprecare ?) parte dei fondi ex Ilva del Piano di rigenerazione sociale per manifestazioni ed eventi durante il periodo natalizio in città. Dai banchi dell’opposizione del consiglio comunale arriva la richiesta di “trasparenza” sulla destinazione delle risorse. Replica Il Comune, cercando di esaltare il valore sociale e culturale degli interventi sostenendo che si tratta di una “strumentalizzazione politica”.
Il Comune di Taranto ha destinato quest’anno, nell’ambito delle schede del piano, parte dei fondi – (l’intero bando è di circa 300mila euro) a sostegno della cultura e dello spettacolo e ne hanno beneficiato alcune iniziative. Tra queste, le polemiche sono state sollevate intorno ad una manifestazione musicale organizzata per celebrare gli anni ’80. Nella determina dirigenziale del 7 dicembre scorso nella quale viene indicata la destinazione delle risorse si legge che il Piano “può concretamente e realisticamente incidere, in modo mirato, sulle cause dei disagi, inserendo nel tessuto socio-economico della comunità jonica degli autentici moltiplicatori di benessere e progresso sociale“.
Sulla vicenda è intervenuto anche Carlo Calenda, ministro dello sviluppo economico all’epoca dello stanziamento dei fondi (20 milioni in tre anni) evidenziando e chiarendo di aver voluto e firmato quel decreto ( Piano di rigenerazione sociale per l’area di crisi di Taranto) per contrastare il disagio sociale, ma non certo per organizzare feste di piazza, definendo “deprimente, una buffonaggine” quanto organizzato durante le feste natalizie utilizzando soldi pubblici aggiungendo “vedo che non c’è stata cura per un lavoro ben fatto”.
Dall’opposizione, i consiglieri Giampaolo Vietri e Tiziana Toscano di Fratelli d’Italia hanno chiesto un incontro al direttore generale del Comune per avere chiarezza “sugli atti finora adottati dall’amministrazione comunale in merito ai fondi cosiddetti ex Ilva. Alla base della nostra richiesta vi è la necessità di sapere se questi soldi vengono correttamente utilizzati per il perseguimento delle finalità di rigenerazione sociale o se vengono distribuiti ai percettori al fine di essere semplicemente spesi“.
I due consiglieri comunali di Fratelli d’Italia evidenziano inoltre che il Comune di Taranto “ha destinato 260 mila euro di questi fondi ex Ilva per un piano di comunicazione” che nessuno ha sinora visto e di cui non si conoscono i criteri di assegnazione. Analoghi chiarimenti “su tutti i fondi spesi e quelli da spendere e una rendicontazione su questi fondi”sono stati richiesti anche dai consiglieri Francesco Cosa e Walter Musillo . “Ad oggi, dopo ben due mesi, nessuna risposta è arrivata” aggiungono. Esponenti delll’opposizione in Consiglio Comunale prefigurano di esposti in preparazione destinati alla Procura regionale della Corte dei Conti ed alla Guardia di Finanza.
L’assessore allo Sviluppo economico Fabrizio Manzulli il cui fratello la scorsa estate venne coinvolto in una vicenda poco chiara di organizzazione di spettacoli musicali poi annullati utilizzando soldi pubblici, replica alle opposizioni : “Illustreremo in una conferenza stampa tutte le schede progettuali del piano, le azioni già fatte, quelle che sono in corso d’opera, e quelle da fare. Il piano terminerà nel 2024, come concordato con i commissari ex Ilva e con i delegati del ministero allo Sviluppo economico; parte con due anni e mezzo di lavoro ai tavoli, in cui ci sono stati l’ascolto con il territorio e la partecipazione; non ha l’obiettivo di azioni assistenzialistiche, ma di riattivare processi virtuosi che possano generare sviluppo e benessere sul territorio, creando opportunità soprattutto per le persone più fragili e quelle che hanno subito il Covid e la crisi economica“. Onestamente resta difficile credere che la gente di Taranto che vive problemi ben più seri abbia chiesto un evento musicale come quello in discussione !
“Oltre a queste anche la categoria delle associazioni culturali e artistiche del territorio, – aggiunge Manzulli – che ha subito gli effetti dovuti al Covid e della crisi, piuttosto che essere destinataria di un sostegno a fondo perduto, è stata invitata a partecipare ai bandi relativi alla rigenerazione sociale, in modo tale di innescare un meccanismo virtuoso, che ha consentito a tutto l’indotto del sistema artistico culturale di riprendere le loro attività tipiche, con una ricaduta importante, anche sociale, sull’intera città. È stato un innesco positivo, un moltiplicatore di valore che ha coinvolto anche alcune associazioni ambientaliste, che hanno partecipato in maniera trasparente al bando. Gli operatori, i tecnici, gli artisti sono tutti del territorio e si tratta di contributi di poche migliaia di euro. È una strumentalizzazione politica che non fa altro che fare del male al territorio, perché poi spinge questi ragazzi a non partecipare. Ogni tanto – conclude – bisogna togliersi la casacca e lavorare per il territorio“.
Nel frattempo il Comune batte cassa al Governo per ottenere ulteriori 100 milioni di euro per organizzare i Giochi del Mediterraneo, mentre i lavori per la realizzazione e ristrutturazione di impianti sportivi (millantata al Comitato organizzatore internazionale in occasione dell’ aggiudicazione) sono fermi, anche a causa delle autentiche “follie” progettuali del Comune, in una città dove l’economia è in crisi (dalle imprese dell’indotto ex Ilva ai commercianti) e si pensa solo all’ autocelebrazione del primo cittadino. Redazione CdG 1947
Antonio Giangrande: Non solo Milano. Tribunale di Taranto. Guerra di toghe.
Cosa è che l’Italia dovrebbe sapere e che la stampa tarantina tace?
«Se corrispondesse al vero la metà di quanto si dice, qui parliamo di fatti gravissimi impunemente taciuti», commenta Antonio Giangrande, autore del libro “Tutto su Taranto, quello che non si osa dire”, pubblicato su Amazon.
Mio malgrado ho trattato il caso dell’ex Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, Matteo Di Giorgio, così come altri casi della città di Taranto. Questioni che la stampa locale ha badato bene di non affrontare. Prima che iniziassero le sue traversie giudiziarie consideravo il dr. Matteo Di Giorgio uno dei tanti magistrati a me ostile. Ne è prova alcune richieste di archiviazione su mie denunce penali. Dopo il suo arresto ho voluto approfondire la questione ed ho seguito in video la sua conferenza stampa, in cui esplicava la sua posizione nella vicenda giudiziaria, che fino a quel momento non aveva avuto considerazione sui media. Il contenuto del video è stato da me tradotto fedelmente in testo. Sia il video, sia il testo, sono stati pubblicati sui miei canali informativi. Il seguito è fatto noto: per Matteo Di Giorgio quindici anni di reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre in più rispetto ai dodici chiesti dal pubblico ministero. Il Tribunale di Potenza (presidente Gubitosi), competente a trattare procedimenti in cui sono coinvolti magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Lecce, ha inoltre inflitto la pena di tre anni di reclusione all’ex sindaco di Castellaneta (Taranto) Italo D’Alessandro e all’ex collaboratore di quest’ultimo, Agostino Pepe; 3 anni e 6 mesi a Giovanni Coccioli, 2 anni a Francesco Perrone, comandante dei vigili urbani a Castellaneta, 2 anni ad Antonio Vitale e 8 mesi ad un imputato accusato di diffamazione.
L'ex pm Di Giorgio, sospeso cautelativamente dal Csm, fu arrestato e posto ai domiciliari nel novembre del 2010. Le contestazioni riguardano presunte minacce in ambito politico e ai danni di un imprenditore, altre per proteggere un parente, e azioni dirette a garantire l’attività di un bar ritenuto dall’accusa completamente abusivo. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione di diversi testimoni in ordine al reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino. Complessivamente il Tribunale di Potenza ha trasmesso alla procura gli atti relativi alle testimonianze di 21 persone, quasi tutti carabinieri e poliziotti. Tra questi l’ex vicequestore della polizia di Stato Michelangelo Giusti.
Eppure Pietro Argentino è il numero due della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati.
Pietro Argentino è il pubblico Ministero che con Mariano Buccoliero ha tenuto il collegio accusatorio nei confronti degli imputati del delitto di Sarah Scazzi ad Avetrana.
Possibile che sia un bugiardo? I dubbi mi han portato a fare delle ricerche e scoprire cosa ci fosse sotto. Ed è sconcertante quello che ho trovato. La questione è delicata. Per dovere-diritto di cronaca, però, non posso esimermi dal riportare un fatto pubblico, di interesse pubblico, vero (salvo smentite) e continente. Un fatto pubblicato da altre fonti e non posto sotto sequestro giudiziario preventivo, in seguito a querela. Un fatto a cui è doveroso, contro censura ed omertà, dare rilevanza nazionale, tramite i miei 1500 contati redazionali.
«Come volevasi dimostrare nessuno dei giornali italiani nazionali o locali ha più parlato dopo il primo maggio 2014 dei quindici anni di galera inflitti al Magistrato di Taranto Matteo Di Giorgio e dell’incriminazione per falsa testimonianza inflitta al Procuratore Aggiunto di Taranto Pietro Argentino, scrive Michele Imperio. Ma “La Notte” no. “La Notte” non ci sta a questa non informazione o a questa disinformazione. Quando assunsi la direzione di questo glorioso giornale, che ora sta per riuscire nella sua versione cartacea, dissi che avremmo sempre raccontato ai nostri lettori tutta la verità, solo la verità, null’altro che la verità e avremmo quindi sfidato tutte le distorsioni giornalistiche altrui, tutti i silenzi stampa, tutti i veti incrociati dei segmenti peggiori del potere politico. Strano cambiamento. Sarà stata l’aspirazione di candidarsi Presidente della Provincia di Taranto per il centro-destra, maturata nel 2008. Ancora alcuni anni fa infatti il giudice Matteo Di Giorgio era ritenuto il più affidabile sostituto procuratore della Repubblica della Procura della Repubblica di Taranto, tanto da essere insignito della prestigiosa carica di delegato su Taranto della Procura Distrettuale Antimafia di Lecce. Subì perfino un attentato alla persona per il suo alacre impegno contro il crimine organizzato. Sette capi di imputazione! Però sin poco dopo il mandato di cattura tutti hanno capito subito che qualcosa non andava in quel processo, perché in sede di giudizio sul riesame di quei capi di imputazione la Corte di Cassazione ne aveva annullati ben tre (censure che la Cassazione, in sede di riesame, non muove praticamente mai!) e il resto della motivazione della Cassazione sembrava un’invocazione rivolta ai giudici di marito: Non posso entrare nel merito – diceva la Cassazione – ma siete sicuri che state facendo bene? Tutti i commenti della Rete su questo caso sono stati estremamente critici, quanto meno allarmati. Invece i vari giornali locali, dopo aver dato la notizia il giorno dopo, non ne hanno parlato più. Scrive invece sulla Rete – per esempio – il prof. Mario Guadagnolo, già sindaco di Taranto dal 1985 al 1990: “Premetto che io – scrive (Guadagnolo) – non conosco il dott. Di Giorgio nè ho alcuna simpatia per certi magistrati che anzichè amministrare la giustizia la usano per obbiettivi politici. Ma 15 anni sono troppi se paragonati ai 15 anni di Erika e Omar che hanno massacrato con sessanta pugnalate la madre e il fratellino di sette anni o con i 15 anni comminati alla Franzoni che ha massacrato il figlioletto Samuele. Qui c’è qualcosa che non funziona. Non so cosa ma è certo che c’è qualcosa che non funziona”. Trovo molto singolare che il Procuratore Aggiunto di Taranto Pietro Argentino sarà incriminato di falsa testimonianza a seguito del processo intentato contro il dott. Matteo Di Giorgio - scrive ancora l’avv. Michele Imperio su “Tarastv” e su “La Notte on line” - A parte la stima che tutti riservano per la persona, il dott. Pietro Argentino aveva presentato al CSM domanda per essere nominato Procuratore Capo proprio della Procura di Potenza e il CSM tiene congelata questa delicata nomina da diversi anni. L'attuale Procuratore Capo di Potenza Laura Triassi è solo un facente funzioni e sicuramente anche lei aspirerà alla carica. Certamente questa denuncia terrà bloccata per molti anni una eventuale nomina del dott. Pietro Argentino a Procuratore Capo di una qualsiasi Procura. La sua carriera è stata quindi stroncata. Laura Triassi è inoltre sorella di Maria Triassi, professoressa dell'università di Napoli la quale fu incaricata della perizia epidemiologica nel processo Ilva dal noto Magistrato Patrizia Todisco, la quale è lo stesso Magistrato che già aveva denunciato alla Procura della Repubblica di Potenza il collega Giuseppe Tommasino, poi assolto e che aveva invece lei stessa assolto dal reato di concorso esterno in associazione a delinquere il noto pregiudicato Antonio Fago, mandante - fra l'altro - di un grave attentato dinamitardo a sfondo politico, che poteva provocare una strage. Il conflitto Di Giorgio-Loreto lo conosciamo già. Ma di un altro conflitto che sta dietro questo processo non ha parlato mai nessuno. Alludiamo al conflitto Di Giorgio-Fitto. Se infatti il dott. Matteo Di Giorgio fosse stato nominato presidente della provincia di Taranto sarebbero saltati per aria tanti strani equilibri che stanno molto cari all'on.le Fitto e non solo a lui. Inoltre trovo molto strano che l'on.le Raffaele Fitto, il quale fa parte di un partito molto critico nei confronti di certe iniziative giudiziarie, quanto meno esagerate, non abbia mai detto una sola parola su questa vicenda, che vedeva peraltro coinvolto un Magistrato dell'area di centro-destra. Come pure non una sola parola, a parte quelle dopo l'arresto, è stata mai detta sulla vicenda dall'attuale Procuratore Capo della Repubblica di Taranto dott. Franco Sebastio. E nel processo sulla malasanità di Bari compaiono intercettazioni telefoniche fra il dott. Sebastio e il consigliere regionale dell'area del P.D. ostile al sindaco di Bari Michele Emiliano, Michele Mazzarano, nel corso delle quali il dott. Sebastio esprimeva sfavore per la nomina a Procuratore Aggiunto del dott. Pietro Argentino. Nel corso di una dichiarazione pubblica il dott. Sebastio espresse invece, in modo del tutto sorprendente, soddisfazione per l'arresto del dott. Matteo Di Giorgio e disse che auspicava che anche un secondo Magistrato fosse stato allontanato dalla Procura della Repubblica di Taranto (Argentino?). Ora, guarda un pò, anche il dott. Argentino potrebbe essere sospeso dalle funzioni o trasferito di sede....Ciò che è accaduto al Tribunale di Potenza è, quindi, come ben comprenderete, un fatto di una gravità inaudita e sottintende un conflitto fra Magistrati per gestioni politiche di casi giudiziari, promozioni e incarichi apicali, mai arrivato a questi livelli. Voglio fare alcune premesse utili perchè il lettore capisca che cosa c’è sotto. Sia a Taranto che a Potenza, patria di Angelo Sanza, sottosegretario ai servizi segreti quando un parte del Sisde voleva assassinare Giovanni Falcone e un’altra parte del Sisde non era d’accordo (e lui da che parte stava?), come forse anche in altre città d’Italia, opera da decenni una centrale dei servizi segreti cosiddetti deviati in realtà atlantisti, che condiziona anche gli apparati giudiziari e finanche quelli politici della città. Di sinistra. Così pure altra sede dei servizi segreti atlantisti questa volta di destra, opera a Brindisi. La sezione di Taranto in particolare appartiene sicuramente a quell’area politica che Nino Galloni avrebbe chiamato della Sinistra politica democristiana cioè una delle tre correnti democristiane, in cui si ripartiva la vecchia Sinistra Democristiana che erano – lo ricordo a me stesso – la Sinistra sociale capeggiata dall’on.le Carlo Donat Cattin, il cui figlio è stato suicidato-assassinato; la Sinistra morotea capeggiata dall’on.le Aldo Moro, assassinato, e poi inutilmente e per brevissimo tempo riesumata dal Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, anche lui assassinato; la Sinistra politica capeggiata dai vari De Mita, Mancino, Rognoni, Scalfaro e Prodi, i quali non sono stati mai nemmeno scalfiti da un petardo. Ma torniamo a noi e ai giudici tarantini Pietro Argentino e Matteo Di Giorgio. La cui delegittimazione – per completezza di informazione – è stata preceduta da un’altra clamorosa delegittimazione di un altro Giudice dell’area di centro destra, il capo dei g.i.p. del Tribunale di Taranto Giuseppe Tommasino, fortunatamente conclusasi con un’assoluzione e quindi con un nulla di fatto. Quindi Tommasino, Di Giorgio, Argentino, a Taranto dovremmo cominciare a parlare di un vero e proprio stillicidio di incriminazioni e di delegittimazioni a carico di Magistrati della Procura o del Tribunale non appartenenti all’area della Sinistra Politica Democristiana o altra area alleata, ovvero all’area della Destra neofascista finiana. L’indagine a carico del Dott. Matteo Di Giorgio è durata circa due anni ed è stata condotta da un Maresciallo dei Carabinieri espulso dall’arma e caratterizzata dall’uso di cimici disseminate in tutti gli uffici del Tribunale di Taranto e della Procura. E’ capitato personalmente a me di essere invitato dal giudice Giuseppe Di Sabato, (g.i.p.), un Magistrato che non c’entrava niente con l’inchiesta, di essere invitato a interloquire con lui al bar del Tribunale anziché nel suo ufficio, perchè anche nel suo ufficio c’erano le cimici di Potenza. Ma c’è di più! La Sinistra Politica democristiana vuole diventare a Taranto assolutamente dominante sia in Tribunale che in tutta la città, perché corre voce che due Magistrati, uno della Procura l’altro del G.I.P., resi politicamente forti dalla grande pubblicità e visibilità del processo Ilva, starebbero per passare alla politica, uno come candidato sindaco l’altro come parlamentare, quando sarà.»
Sembra che il cerchio si chiuda con la scelta del Partito democratico caduta su Franco Sebastio, procuratore capo al centro dell’attenzione politica e mediatica per la vicenda Ilva, intervistato da Francesco Casula su “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
Procuratore Sebastio, si può giocare a carte scoperte: il senatore Alberto Maritati alla Gazzetta ha ammesso di averle manifestato l’idea del Partito democratico di averla in lista per il Senato...
«Io conosco il senatore Maritati da tempo, da quando era pretore a Otranto. Siamo amici e c’è un rapporto di affettuosa stima reciproca. Ci siamo trovati a parlare del più e del meno... É stato un discorso scherzoso, non ricordo nemmeno bene i termini della questione».
Quello che può ricordare, però, è che lei ha detto no perché aveva altro da fare...
«Mi sarà capitato di dire, sempre scherzosamente, all’amico e all’ ex collega che forse ora, dopo tanti anni, sto cominciando a fare decentemente il mio lavoro. Come faccio a mettermi a fare un’attività le cui caratteristiche non conosco e che per essere svolta richiede qualità elevate ed altrettanto elevate capacità? É stato solo un discorso molto cordiale, erano quasi battute. Sa una cosa? La vita è così triste che se non cerchiamo, per quanto possibile, di sdrammatizzare un poco le questioni, diventa davvero difficile».
«Candidare il procuratore Franco Sebastio? Sì, è stata un'idea del Partito democratico. Ne ho parlato con lui, ma ha detto che non è il tempo della politica». Il senatore leccese Alberto Maritati, intervistato da Francesco Casula su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, conferma così la notizia anticipata dalla Gazzetta qualche settimana fa sull’offerta al magistrato tarantino di un posto in lista per il Senato.
Senatore Maritati, perchè il Pd avrebbe dovuto puntare su Sebastio?
«Beh, guardi, il procuratore è un uomo dello Stato che ha dimostrato sul campo la fedeltà alle istituzioni e non solo ora con l'Ilva. Possiede quei valori che il Pd vuole portare alla massima istituzione che è il Parlamento. Anche il suo no alla nostra idea è un esempio di professionalità e attaccamento al lavoro che non sfocia mai in esibizionismo».
Dr Antonio Giangrande
Il caso di Domenico Morrone. Casi Nostri su art643.org
Quanto accaduto a Domenico Morrone...
Quanto accaduto a Domenico Morrone è il più eclatante caso di condanna di un innocente della storia giudiziaria italiana ad oggi,
che tale si è sempre professato nell'arco dei suoi 15 anni di reclusione e che costituisce un clamoroso errore giudiziario, anzi un caso - simbolo.
E' stato accusato di duplice omicidio, mentre la madre (che aveva dichiarato che il figlio era dai vicini al momento del delitto) e due vicini di casa (per i quali nelle ore del delitto l'uomo stava lavorando proprio nella loro abitazione per riparare un acquario) sono stati condannati per falsa testimonianza. A questo si aggiunga che l'identikit dell'assassino dei due ragazzi, calvo ed al volante di una macchina nera, non corrisponde al Morrone, che ha tutti i capelli e non ha un'auto di quel tipo.
Nonostante tutto questo, nessun giudice ha mai creduto loro, fino alla sentenza della Corte d'Appello di Lecce del 21/04/2006.
Per due volte la Cassazione ha rinviato il processo alla corte d'appello perchè Morrone aveva un alibi credibile, ma i giudici hanno ugualmente confermato la condanna. Quattro precedenti tentativi di revisione sono stati rigettati, fino a quando, per ottenere la revisione del processo, abbiamo trovato riscontro nelle dichiarazioni di due pentiti che hanno rivelato, che ad uccidere i due ragazzi era stato un soggetto tutt'ora in carcere, per vendicare lo scippo subito dalla madre la mattina del delitto.
Se i due detenuti non avessero testimoniato e se la Corte d'appello di Lecce non li avesse ascoltati, Domenico Morrone sarebbe ancora in carcere, pur non avendo commesso alcun reato ed essendo incensurato.
Nel caso Morrone si possono individuare gravi problemi del pianeta giustizia:
1) la lunghezza dei processi;
2) la responsabilità dei magistrati;
3) la situazione delle carceri.
L'errore giudiziario di Morrone si caratterizza proprio per la lunghezza della ingiusta detenzione (ha scontato 15 anni, su una condanna di 21 del processo incriminante) e si differenzia da altri casi come Barillà o Ragusa per tipologia, trattandosi di incensurato, evidenziando altresì il problema della difficoltà della revisione processuale in Italia.
Secondo il codice di procedura penale, i giudici hanno la possibilità di rigettare de plano senza entrare nel merito e perciò, difficilmente concedono la revisione processuale ed i casi sono troppo pochi rispetto ai tanti innocenti nelle carceri. Sembra necessaria una riforma in senso garantista della revisione.
Altro problema della giustizia è costituito dall'eccessiva lunghezza dei processi, nel caso di Domenico Morrone abbiamo avuto sette gradi di giudizio, cinque revisioni, ma sono passati ben quindici anni.
I cittadini hanno diritto ad una giustizia giusta in tempi rapidi ed in linea con questa affermazione vi è la possibilità di ricorrere alla Legge Pinto.
Quando i processi, siano essi civili, penali o amministrativi, durano più di quattro anni, il cittadino può ricorrere contro il ministro competente (sia esso della Giustizia, della Difesa o dell'Economia e Finanze) e chiedere un risarcimento fino a duemila euro per ciascun anno. Qualora i cittadini italiani esperissero in massa tale rimedio, lo stato sarebbe costretto dal debito pubblico giudiziario che ne deriverebbe, a riformare il pianeta giustizia.
Questa legge però si scontra con due problemi.
Da un lato si segnala da parte della magistratura la non applicazione in toto della legge, a questo proposito va ricordato che la stessa Corte Europea con sentenza del 28/07/99, afferma che: "Le questioni inerenti il rispetto dei diritti dell'uomo dipendono da un attivo e consapevole coinvolgimento di tutte le componenti del sistema interno", mentre è il nostro stesso C. S. M. a tentare di sensibilizzare la magistratura verso le disposizioni della Convenzione, richiamando i capi degli uffici giudiziari al "dovere di vigilanza sull'andamento dei processi". Senza un'attiva collaborazione della magistratura è impossibile mutare la prassi della irragionevole lentezza processuale. Per questo motivo siamo stati sottoposti a monitoraggio da parte del comitato CEDU. I criteri di risarcimento di Strasburgo, non sono rispettati dai giudici nazionali. Con l'art. 5 della Legge 24 marzo 2001, n. 89, il legislatore ha stabilito che al versamento di ogni somma a titolo di indennizzo, per i danni causati al ricorrente dagli irragionevoli tempi processuali, è sottesa la possibilità, teorica e demandata all'attività del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, di individuare in modo preciso e specifico i singoli responsabili, individuabili nella figura del magistrato e di ogni altra autorità chiamata a concorrere al procedimento o comunque a contribuire alla sua definizione.
A conferma di questa possibilità, l'art. 5 della legge Pinto obbliga le adite Corti d'Appello a comunicare il decreto di accoglimento del ricorso al procuratore generale della Corte dei Conti, ai fini dell'eventuale avvio di un procedimento di responsabilità, nonchè ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.
A questo proposito, il gruppo Magistratura indipendente dell'Associazione Nazionale Magistrati, risponde esprimendo viva preoccupazione per l'entrata in vigore della Legge n. 89/2001, a causa del rischio per lo stato di dover pagare somme molto ingenti a titolo di risarcimento per la propria inefficienza , nonchè del lavoro extra e da sbrigare in tempi brevi, di cui saranno subissate le Corti D'appello, uscendo da queste situazioni con ulteriore discredito. In realtà il problema dell'eccessiva lunghezza dei processi coinvolge ,in Italia, la responsabilità dello Stato, prima che la responsabilità dei magistrati. A parte qualche caso, la responsabilità è dello stato ed oggettiva. La legge Pinto ha tentato, responsabilizzando anche ingiustamente e sempre i magistrati, di disincentivarli dal riconoscere risarcimenti equi, a causa della responsabilità correlata.
Il problema della responsabilità dei magistrati di ben sette gradi di giudizio/pronunce emerge chiaramente dal caso Morrone, dove c'è stata un'analisi sommaria per alcune prove, mentre altre sono state completamente ignorate. Ad esempio la legge sulla responsabilità dei magistrati non ha prodotto, ad eccezione di una recente pronuncia della Corte d'Appello di Genova, che condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri ad euro 432.000, a favore di Fabio e Silvina Petroni per responsabilità dei magistrati, grandi risultati. Il referendum sulla responsabilità civile dei giudici è stato, di fatto, del tutto disatteso, per non parlare della responsabilità disciplinare. Con la tipizzazione degli illeciti, dalla riforma Castelli, si tenta di responsabilizzare l'organo giudicante.
In conclusione la responsabilità dei magistrati, a tutti i livelli civile, penale, disciplinare, deve costituire una delle principali garanzie del cittadino ad un processo equo, in virtù del principio "nemo super legem" e dell'autonomia della magistratura, ma financo della necessità di un controllo autentico ed effettivo dei controllori. In tal modo il principio di separazione dei poteri determinerebbe un riequilibrio dello strapotere di quello giudiziario.
Ultimo, ma non meno grave, è il problema che emerge dal caso di Domenico Morrone, che riguarda la vita dei detenuti all'interno degli istituti penitenziari, indegna di un paese che si definisce civile.
Anche qui sono i dati statistici che parlano. Al 31/12/2005 erano 59.523 i soggetti reclusi, contro la capienza complessiva di 41.470 detenuti. Attualmente perciò, nelle carceri italiane abbiamo più di 18.000 unità in più. Secondo la stessa statistica un detenuto su tre (37,33%) dice di vivere in condizioni di sovraffollamento intollerabili ed il 52,08% in condizioni non regolamentari, solo il 10,59% ritiene di vivere in condizioni regolamentari. A questo si aggiunga che la qualità della vita in cella è pessima: il 69,31% dei detenuti non ha l'acqua calda in cella, il 60% dorme a fianco del bidet o del water ed il 55,6% vive senza poter accedere ai colloqui in spazi aperti. Tali condizioni costituiscono una pena aggiuntiva a quella che già si sconta.
Il risarcimento del danno chiesto da Morrone, se e quando la sentenza di revisione sarà definitiva, considererà tutto quanto sopra ed oscillerà tra gli otto ed i dodici milioni di euro: c'è un danno esistenziale, biologico, morale e patrimoniale che è incalcolabile.
L'errore giudiziario ha tolto molto a Domenico Morrone: la giovinezza, il lavoro, la donna con cui si doveva sposare ,che per la vergogna lo ha lasciato; non ha potuto assistere la madre che malata, aveva bisogno di lui; oltre ad essere marchiato agli occhi della comunità con l'infamia di un duplice omicidio. Quindi la parte più consistente del risarcimento verterà sul danno biologico ed esistenziale.
La nozione di danno biologico è frutto di elaborazione giurisprudenziale, ma recentemente ha trovato significative conferme a livello legislativo con l'entrata in vigore del D.Lgs 38/2000 e della legge 57/2001 ed è costituito dalla compromissione, di natura reddituale, dell'integrità psicofisica della persona. Generalmente è ritenuto necessario che a questa compromissione si accompagni una perdita o riduzione di funzioni vitali, anche non definitiva.
La Corte Costituzionale dalla sentenza 372/94 in poi, identifica il danno biologico in un processo patogeno che porta ad un trauma fisico o psichico permanente, accettabile da un punto di vista medico - legale. Esso si concreta in una lesione dell'integrità psico - fisica, che bene si presta ad accertamenti medico - legali e la quantificazione avviene sulla base di criteri tabellari.
Il danno esistenziale si pone su un piano diverso: si distingue dal danno morale perchè non consiste in uno stato di sofferenza momentanea, e dal danno biologico perchè non attiene al profilo dell'integrità psico - fisica del soggetto leso; così come si distingue chiaramente dal danno patrimoniale in quanto può sussistere a prescindere da qualsiasi compromissione del patrimonio.
Ricostruito in positivo, esso consiste nel danno legato al peggioramento della qualità della vita derivante dalla lesione di un diritto fondamentale della persona costituzionalmente garantito. A tal proposito va evidenziato che Domenico Morrone, prima dell'arresto, stava per formarsi una famiglia e svolgeva l'attività di pescatore, con numerosi progetti per il futuro. Oggi si ritrova senza una moglie, la possibilità di avere figli e disoccupato, senza aver maturato i contributi per fini pensionistici.
Con la sentenza n. 2050 del 22 gennaio 2004, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la risarcibilità di danni patrimoniali e non patrimoniali ad un cittadino ingiustamente condannato per errore giudiziario, con una scarcerazione superiore ai sette anni. Essa ha precisato che "Il danno esistenziale è cosa diversa dal danno biologico e non presuppone alcuna lesione fisica o psichica, nè una compromissione della salute della persona , ma si riferisce ai già indicati sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate dal fatto illecito.
Il danno esistenziale sta vivendo un fortunato sviluppo in seguito alle note sentenze gemelle della Suprema Corte n. 8827/2003 e 8828/2003 ed alla pronuncia del Giudice delle leggi, dove è stato definito come un danno a valori della persona, diversi dalla salute.
Esso sarebbe una categoria risarcitoria dove far convergere tutti i diritti costituzionalmente garantiti attinenti alla persona umana, in quanto nascerebbe da una lettura combinata dell'art. 2059 c.c. con i principi della stessa Costituzione; la stessa giurisprudenza penale, poi, sarebbe del medesimo avviso, tanto che ha ritenuto di considerare il danno da ingiusta detenzione come un danno esistenziale perchè, appunto, vi sarebbe stato un danno lesivo di un diritto costituzionale come la libertà personale, tenendo presente anche che la suddetta tipologia di danno si riferisce agli sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate dal fatto illecito.
La dottrina che si è occupata dell'argomento, ha avuto modo di precisare che, in fondo, il danno esistenziale sarebbe un "non fare", o meglio un "non poter più fare", un "dover agire altrimenti", un "relazionarsi in altro modo", diversamente dal danno morale che riguarderebbe un "sentire": il danno esistenziale, pertanto, riguarderebbe proprio le attività realizzatrici della persona umana, per cui ogni illecita compressione ovvero limitazione ne dovrebbe imporre il risarcimento, soprattutto alla luce dell'art. 2 Cost.
Se la Costituzione garantisce taluni diritti a livello "esistenziale", è necessario trovare un riscontro applicativo nel codice civile, nell'ambito delle responsabilità, al fine di non individuare un vulnus nella stessa Carta Fondamentale, riducendola a mero dato letterale e astratto; in questa prospettiva di interpretazione concreta, allora, il riscontro applicativo sarebbe individuabile nell'art. 2059 c.c.
A differenza del biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una lesione fisica o psichica suscettibile di accertamento e valutazione medico legale; rispetto al morale, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma nella rinuncia ad una attività concreta; diversamente dal patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale.
Per inciso, l'esigenza sottesa alla creazione del danno esistenziale non era certo cosa nuova.
Secondo un calcolo compiuto dall'istituto di ricerca Eurispes1 nell'arco degli ultimi cinquant'anni sarebbero 4 milioni gli italiani vittime di svariati errori giudiziari ed ingiuste detenzioni, dichiarati colpevoli, arrestati e solo dopo un tempo più o meno lungo, rilasciati perchè innocenti. Un dato che al ministero di Giustizia non confermano, e che è stato ricavato da un'analisi delle sentenze e delle scarcerazioni per ingiusta detenzione nel corso di cinque decenni.
Dal '92 c'è la possibilità per gli innocenti ritenuti colpevoli e poi rimessi in libertà, di chiedere e ottenere un risarcimento per in giusta detenzione. Negli ultimi anni, rivela il rapporto Eurispes, basato sulle cifre fornite dal ministero del Tesoro, i casi di indennizzi concessi sono in continuo aumento: erano 197 nel '92, 360 nel '93, 476 nel '94. Fino ai 738 del '99 e ai 1.263 del 2000. Nel '99 i risarcimenti hanno superato i 14 miliardi di vecchie lire, quasi il triplo rispetto al '92.
Da tutto ciò non può che derivare una sempre più pressante necessità di riforma del pianeta giustizia, perchè non vi siano altri Domenico Morrone che debbano rischiare di morire colpevoli benchè innocenti. Avv. Clauio Defilippi
L’errore giudiziario più assurdo d’Italia: dopo più di 30 anni Domenico Morrone racconta la sua storia. Sette processi. E oltre 15 anni in cella per un reato mai commesso. Con un solo giornalista a credere alla sua innocenza. A oltre 30 anni dall’arresto, Domenico Morrone racconta la sua storia. Ma il suo non è un caso isolato. Ogni anno sono quasi 1.000 e costano allo Stato decine di milioni di euro. Gaetano de Monte l'11 Febbraio 2023 su tpi.it.
Taranto, gennaio 1991. Nel quartiere Tamburi che oggi è diventato agli occhi dell’opinione pubblica italiana il simbolo della devastazione ambientale per la sua prossimità allo stabilimento dell’ex Ilva, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, imperversa una cruenta guerra di mala che lascia sul campo, in soli due anni, tra l’89 e il ’91, oltre un centinaio di morti.
Nella città dei due mari in quegli anni si fronteggiano, contendendosi il territorio, due clan: i De Vitis-D’Oronzo e un altro gruppo di fuoco che fa capo ai fratelli Claudio, Gianfranco e Riccardo Modeo. Un quarto fratello, Tonino, detto il Messicano negli ambienti della mala jonica per una vaga somiglianza all’attore Charles Bronson, è invece dall’altra parte. E per questo verrà ucciso proprio dai fratellastri. Stesso destino i fratelli Modeo riserveranno alla loro comune madre, Cosima Ceci, freddata sul pianerottolo di casa da un killer che si fa aprire la porta chiamandola “Zia Mina”, e che la donna considera, appunto, quasi un nipote acquisito.
Città criminali
È in questo contesto spaventosamente criminale che il 30 gennaio del 1991, nel cortile della scuola media del quartiere che è adiacente allo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, l’ex Ilva, allora Italsider, e di proprietà pubblica, che due adolescenti cresciuti troppo in fretta, Antonio Sebastio e Giovanni Battista, 15 e 17 anni, vengono uccisi da un killer vestito di nero che, dopo averli chiamati per nome, gli scarica addosso l’intero caricatore di una pistola calibro 22.
Manca qualche minuto alle 14:00 quando quel duplice omicidio viene commesso e, esattamente 20 minuti dopo, la vita di un altro abitante del quartiere, Domenico Morrone, verrà stravolta per sempre. Domenico è un pescatore incensurato di 27 anni a cui nel quartiere Tamburi vogliono bene tutti. Quando può aiuta i vicini di casa a risolvere piccoli problemi domestici. Nei minuti in cui si consumava quell’omicidio, a pochi metri da casa sua, Domenico stava aiutando una coppia di abitanti del palazzo dove abitava, a sistemare il loro acquario. E poi, subito dopo si siederà a tavola per pranzare con l’anziana madre, come faceva ogni giorno. Quel pomeriggio del 31 gennaio del 1991, però, la routine di casa Morrone verrà sconvolta dall’arrivo nell’abitazione di un poliziotto in borghese della squadra mobile di Taranto. Il detective bussa alla porta, si fa aprire, e, dopo qualche minuto di conversazione, Domenico Morrone verrà portato in commissariato. Da lì comincerà la sua odissea, durata quindici anni, quattro mesi e ventidue giorni. Ecco l’ingiusta detenzione subita da un pescatore incensurato di 27 anni.
È l’errore giudiziario più grande d’Italia. E ora la sua storia è diventata un libro, “Vita Dentro 15.4.22”, uscito il 25 gennaio scorso per la casa editrice Antonio Mandese. Un racconto firmato a quattro mani, insieme all’unico giornalista che aveva creduto all’innocenza di Morrone, Luigi Monfredi, allora caporedattore di una tv locale, Telenorba, trent’anni dopo caporedattore a Rainews24.
Quando Monfredi vede scorrere la notizia dell’assoluzione dell’uomo dopo 15 anni di ingiusta detenzione, mentre si trova nella redazione romana, fa un balzo dalla sedia. E decide di riannodare i fili del racconto lì dove si era interrotto. «Questo non è un libro di finzione letteraria che dipinge una storia immaginandola, ma il duro resoconto della vita di un uomo che incontra un altro uomo e lo aiuta a rialzarsi dopo una caduta», sostiene Monfredi. «Questa è la storia vera di un grande dolore che può e deve essere narrata dalla voce contrita dei protagonisti e senza filtri o abbellimenti. Ma questa è anche la storia di una grande amicizia dentro la quale si trovano tutti gli elementi straordinari e ricorrenti delle grandi amicizie che nascono tra persone che vivono e provengono da mondi diversi, eppure s’incontrano».
Ma, soprattutto, questo è il racconto di un calvario giudiziario che attraversa sette processi prima che Morrone potrà dimostrare la sua estraneità da una accusa infamante: quella di aver perso la testa ed aver ucciso due ragazzini con cui aveva litigato perché trafficavano motorini rubati davanti al portone della sua abitazione. Per quel litigio Morrone verrà anche ferito con un colpo alla gamba. Secondo il pubblico ministero dell’epoca, Vincenzo Petrocelli, sarebbe stato questo il movente che avrebbe spinto un pescatore incensurato di 27 anni ad armarsi e uccidere. Le indagini provano anche a collegarlo ai clan, alla guerra di mala che allora imperversa nelle strade di Taranto. In carcere gli chiedono: «A chi appartieni?». «A mamma e papà», risponde ingenuamente.
Domenico Morrone non è un assassino, ne sono convinti in molti, ha pure un alibi. Ma nessuno gli crede, fino a quando due pentiti non fanno il nome del vero colpevole. Ma intanto sono già passati tredici anni. È il 2004 quando inizia il processo di revisione davanti alla Corte d’appello di Lecce durante il quale due pentiti, Alessandro Blè e Saverio Martinese, ammettono che con quegli omicidi quell’uomo non c’entra nulla. «Il vero colpevole è il figlio malavitoso di una donna che da quei ragazzini aveva subito uno scippo. Ce l’ha detto lui», dicono. Così, nel 2006, a 15 anni, 4 mesi e 22 giorni dal suo arresto avvenuto davanti alla madre il 30 gennaio del 1991, viene scarcerato. E sarà risarcito con quattro milioni di euro. Ottocento euro per ogni giorno di carcere. Questo per lo Stato italiano è il prezzo di una ingiustizia subita.
Ingiusta detenzione
«Ogni magistrato, prima di condannare qualcuno, dovrebbe vivere per una settimana in carcere», ha dichiarato qualche tempo fa durante la trasmissione televisiva “Mezz’ora in più” condotta da Lucia Annunziata, Gherardo Colombo, uno dei più apprezzati magistrati italiani, commentando i dati sulle vittime di ingiusta detenzione e di errori giudiziari che in trent’anni, dal 1991 agli inizi del 2021 hanno coinvolto quasi 30mila persone. Per una spesa complessiva per lo Stato, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri di 869.754.850 milioni di euro, 28 milioni e 990mila euro l’anno.
Non ci sono solo gli errori, però, a caratterizzare le criticità che oggi affliggono il sistema giudiziario e detentivo italiano. C’è l’abuso dei tempi di custodia cautelare. «È vero, in Italia si abusa della custodia cautelare, spesso al di fuori del dettame costituzionale degli articoli 13 e 27 della nostra Carta fondamentale, quelli che parlano dell’inviolabilità della libertà personale e della non colpevolezza fino a sentenza definitiva», riconobbe pubblicamente lo stesso Colombo.
Secondo quanto ha riferito l’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali italiane: «l’Italia è il quinto Paese in Europa per tasso di detenuti in custodia cautelare». Un detenuto ogni tre, dunque, attende il processo privato della libertà, nella maggior parte dei casi in carcere. E, come testimonia peraltro l’ultima relazione annuale del ministero della Giustizia sulle misure cautelari, tale scelta risulta ingiusta una volta su 10. Sono circa 1.000 persone l’anno, 3 al giorno, dunque, tenendo conto solo di coloro che hanno chiesto il risarcimento, le persone recluse ingiustamente. Come Domenico Morrone, che però detiene il record, 15 anni, quattro mesi e ventidue giorni, dentro, da innocente.
Domenico Morrone, quindici anni in carcere da innocente: «Ecco il mio calvario». ENZO FERRARI, Direttore di Tarantobuonasera.it il 2 febbraio 2023.
MARINA DI GINOSA - Il risentimento glielo si legge ancora negli occhi. Guizzano di rabbia quando ricorda la sua disavventura giudiziaria: quindici anni in cella con l’accusa di aver ammazzato due ragazzi. Trattenuto in carcere per anni anche dopo essere stato scagionato da diversi collaboratori di giustizia. Poi, al termine di un lungo e tortuoso percorso giudiziario, il riconoscimento della sua innocenza. Domenico Morrone non aveva commesso il fatto, non era stato lui ad uccidere due adolescenti, uno di quindici e l’altro di diciassette anni. Rione Tamburi, 30 gennaio 1991: è lì che si consuma il duplice delitto, davanti alla scuola Deledda. Erano anni di fuoco e piombo, quelli. Taranto insanguinata dalla guerra tra i clan: i fratelli Modeo, da una parte; l’altro fratello, il Messicano, dall’altra. Altri gruppi, a latere, componevano il mosaico delle alleanze criminali. Morrone viene arrestato in men che non si dica: è la risposta forte di uno Stato in grande affanno nel contenere quella violenta faida che seppellirà oltre un centinaio di vite; alcune innocenti, del tutto estranee a quella brutale scia assassina. «Quel pomeriggio - racconta - ero a tavola a pranzare con mia madre. Bussarono alla porta e vennero a prendermi per portarmi in questura. Da lì al carcere. Quindici anni in cella». Un calvario, un tormento esistenziale, una fetta della propria vita strappata via per non aver commesso nulla: «Avevo 27 anni». Oggi Domenico Morrone la sua tragica storia l’ha raccontata in un libro (Vita dentro, 15-4- 22, Antonio Mandese Editore) scritto a quattro mani con Luigi Monfredi, il giornalista oggi alla Rai che in quegli anni maledetti seguì il caso come cronista di Telenorba. «Voglio che venga riconosciuta la responsabilità civile dei magistrati», tuona Morrone nella sua casa in campagna, a Marina di Ginosa, dove si è ritirato a vivere dopo aver riacquistato la libertà, nel 2006. Stride quel sentimento gonfio di rancore nella quiete di quel pezzo di terra abbracciato dagli ulivi ai quali Morrone ora dedica le sue giornate. «Io - racconta - a Ginosa Marina ci sono nato. Mio padre era di Taranto, ma era perseguitato dai fascisti. Era comunista, antifascista, e venne a rifugiarsi qui, insieme ad altre famiglie. Tra contadini si viveva scambiandosi i prodotti della propria terra. Poi mio padre mise su un piccolo villaggio vicino al mare. Tutto bello fino agli anni ’70, quando l’ambiente cominciò a guastarsi. La camorra cominciava a infiltrarsi da queste parti, dall’altra ci fu espropriato tutto e quel villaggio fu raso al suolo. Fummo letteralmente deportati a Ginosa paese. Fu un atto di barbarie. Ricordo che il nostro cane, Leone, fu schiacciato da una ruspa. Da Ginosa, in seguito, ci trasferimmo a Taranto». Nella città dei Due Mari una vita da pescatore, dopo una breve esperienza come paracadutista nella Folgore: «Mi arruolai nel 1984, un anno dopo mi congedai. Avevo fatto domanda anche nei Carabinieri, mi chiamarono ma rifiutai». Non immaginava, Morrone, che da lì a qualche anno per lui si sarebbero aperte drammaticamente le porte del carcere di via Speziale. «Sezione 1A, cella 3, in isolamento. Furono momenti terribili. I detenuti del piano superiore mi invitavano provocatoriamente a salire da loro. Per assurdo mi consideravano affiliato al clan De Vitis, loro nemico. Eravamo ancora negli anni della guerra di mala. Se appena appena salutavi qualcuno del clan avverso rischiavi di essere ammazzato». Le lunghe giornate trascorse in cella, non proprio un soggiorno in hotel: «Le celle erano sporche, i materassi lerci. Da mangiare ci davano mortadella di cavallo. A colazione qualcosa che aveva il colore del latte. Un’ora d’aria la mattina e una la sera. È dura la vita del carcere, in quindici anni ho contato diciannove suicidi». Poi accade che via Speziale cambia nome e non per un capriccio della toponomastica: diventa via Carmelo Magli, l’agente di polizia penitenziaria assassinato dai clan all’uscita del suo turno di lavoro. «Era buono come il pane», ricorda Morrone. Qualche giorno prima di essere ucciso era stato proprio nella mia sezione». Ma quell’episodio segna un’altra esperienza nella sua vita carceraria: «Fui avvicinato dal cappellano, voleva sapere da me se io sapessi chi fossero gli assassini di Magli. Da allora non sono più andato in chiesa». E in carcere non deve essere semplice trovare un equilibrio nel rapporto con gli altri detenuti: «È come il porto: trovi il pesce buono e quello cattivo. Tocca a te decidere con chi stare». Morrone comunque è un detenuto modello. Prima il trasferimento in cucina, dove scopre di essere un cuoco sopraffino, poi al casellario per fare lavoro impiegatizio. Tra le persone speciali che conosce, c’è suor Celestina: «Una sorella carica di umanità. Una volta rimproverò bruscamente una autorità che mi aveva dato già per “sepolto”». «I momenti più malinconici? I giorni di festa. A Capodanno sentivamo i botti che arrivavano dalla città e dalla finestra, attraverso le sbarre, vedevamo i fuochi in cielo. Ecco, pensavo, è passato un altro anno. Da quella stessa finestra seguivo con lo sguardo mia madre quando, dopo i momenti di colloquio, si allontanava verso la fermata del pullman. Seppi solo molto dopo il mio arresto che aveva subito anche lei ripercussioni per quella vicenda. È vissuta giusto il tempo di vedermi tornare a casa da uomo libero». Da uomo libero, appunto. «Oggi vivo alla giornata, sono passati gli anni in cui si facevano progetti, oggi i progetti non si fanno più. Vivo con i miei 137 alberi di ulivo e ho ancora l’attrezzatura da sub per andare a pesca. Adesso ho 59 anni, ma la mia vita è stata distrutta quando di anni ne avevo 27. Non si cercava la verità, ma un capro espiatorio. L’errore è sempre dietro la porta, ma nei miei confronti si scatenò una crociata personale. Ho persino rischiato di essere coinvolto in una guerra tra clan a cui ero completamente estraneo. Il 30 gennaio ho compiuto l’anniversario di quella assurda ingiustizia. Sì, sono stato risarcito, ma gran parte dei soldi li ho spesi per pagarmi gli avvocati. Non potrò riacquistare serenità fino a quando ci sarà una sola persona che subirà una ingiustizia come quella che ho subìto io». Il congedo dal cronista è lancinante: «Hai visto un martire vivente». Enzo Ferrari Direttore responsabile
«La giustizia prima o poi arriva»
«Quando lessi il lancio Ansa sul pescatore tornato in libertà cominciai a saltare per la gioia. Tutti si chiedevano perché. Allora ero nella redazione del Tg1. Arrivò il capo della cronaca, gli raccontai la storia di Domenico Morrone e mi fece fare il pezzo per il tg delle 20. Lo montammo con le immagini dell’epoca, perché il caso volle che l’unica videocassetta che mi ero portato dietro fosse proprio quella con i servizi su Morrone che avevo realizzato per Telenorba». Luigi Monfredi, oggi capo redattore a Rainews 24, la storia di Domenico Morrone l’ha seguita dal principio e oggi ha dato alle stampe il libro che ricostruisce quella sconcertante vicenda. La memoria ritorna a quegli anni bui in cui Taranto era devastata da una guerra di mala senza precedenti: «Ero l’unico giornalista innocentista.Sulla stampa Morrone era presentato, senza possibilità di appello, come l’assassino di due ragazzi. All’epoca facevo il cronista di nera e giudiziaria e mi resi conto che c’erano cose che non tornavano in quella vicenda: non c’era l’arma del delitto, c’erano testimoni che avevano ritrattato, la prova dello stubb ripetuta dopo mesi, erano spariti gli indumenti dall’Ufficio Corpi di Reato. Nel processo un testimone arrivò persino ad accusare il pubblico ministero di averlo subornato. Insomma, troppe cose non quadravano e io non ho fatto altro che coltivare il dubbio». Con Morrone, solo un fugace contatto diretto: «Sì, lo conobbi personalmente il giorno della sentenza di condanna a 21 anni di carcere. Mi avvicinai alla gabbia dove era rinchiuso, gli diedi la mano e gli dissi “In bocca al lupo». Lui mi rispose: “Monfredi, non sono stato io”». Luigi Monfredi e Domenico Morrone si sono rivisti quindici anni dopo, a conclusione del calvario vissuto da una persona che la giustizia ha riconosciuto con così grave ritardo di essere innocente. «Tante cose in quel processo mi avevano lasciato perplesso. Anni dopo, quando Morrone era tornato libero, riuscii a strappare una dichiarazione di 34” al pm che ne aveva chiesto la condanna. Mi disse che era dispiaciuto, ma che aveva agito in base agli atti che aveva a disposizione». Sfiducia nella giustizia? «No, affatto. La giustizia, in fondo, ha dimostrato di esistere. Certo, cammina sulle gambe degli uomini e prima o poi arriva chi rimette le cose a posto. Tardi, ma arriva». E.F.
Vita dentro 15.4.22, 15 anni, 4 mesi e 22 giorni in carcere da innocente. Storia di un clamoroso errore giudiziario di Sabrina Colombo
Vita dentro 15.4.22
Autore: Luigi Monfredi, Domenico Morrone
Editore: Antonio Mandese
Anno edizione: 2023
Genere: Biografia
Pagine: 123
Consigliato a chi segue la cronaca giudiziaria, a chi è sensibile alle problematiche legate all’amministrazione della giustizia in sede penale.
Taranto, quartiere Tamburi. Domenico Morrone, ex paracadutista della Folgore e pescatore dalla condotta irreprensibile, ha 27 anni quando nel 1991 viene accusato ingiustamente di essere l’assassino a sangue freddo di due ragazzini.
Sono anni difficili per la città, diverse bande criminali si contendono il territorio: gli inquirenti, pressati dall’opinione pubblica, cercano un colpevole che soddisfi la sete di sicurezza che hanno i tarantini e indirizzano le indagini a senso unico su Domenico. I vicini che testimoniano a suo favore non vengono creduti, si dà credito alle dichiarazioni di alcuni giovani che parrebbero averlo riconosciuto sul luogo del delitto. I riscontri sono discordanti, la prova dello Stub dà esito negativo, l’arma da fuoco non viene mai trovata ma – nonostante tutto – Domenico viene prima incarcerato in via preventiva, poi condannato per omicidio.
Luigi Monfredi – oggi giornalista Rai e all’epoca dei fatti giovane cronista di Telenorba – segue il caso, si avvede che le indagini fanno acqua e che le sentenze che si succedono si fondano su risultanze assolutamente discutibili: gli stessi sedicenti testimoni arrivano ad ammettere di essere stati subornati dagli inquirenti e ritrattano le iniziali dichiarazioni.
L’inaccettabile imperizia con cui tutta la sequela giudiziaria viene istruita – tuttavia – conduce a una pena definitiva a 21 anni di reclusione: le porte del carcere si spalancano per Domenico Morrone, che inizia il suo percorso nel mondo degli istituti di detenzione con lo sguardo attonito di chi si sente protagonista di un dramma kafkiano, un incubo da cui non ci si sveglia.
Quando due pentiti riferiranno di conoscere il vero colpevole del gesto criminoso, finalmente il caso giungerà a una svolta e si creeranno i presupposti per accogliere l’istanza di revisione, la quinta presentata dalla difesa.
La Corte di appello di Lecce nel 2006 revocherà la condanna assolvendo Morrone dai fatti ascrittigli con la più ampia formula, “per non aver commesso il fatto”.
Una giustizia a metà quella riconosciuta a Morrone che – pur risarcito per l’ingiusta detenzione – ha visto respingere la sua domanda di condanna dei magistrati che illo tempore lo giudicarono colpevole, ritenuti non responsabili ai sensi della vigente normativa: un nonsense giuridico.
L’idea del libro nasce dall’amicizia, rinsaldatasi dopo la scarcerazione, tra Morrone e Luigi Monfredi, unico innocentista, a suo tempo autore di un servizio andato in onda su Telenorba in cui metteva in dubbio le risultanze e smontava punto per punto il castello accusatorio costruito attorno all’indagato.
Al resoconto giornalistico di Monfredi, si alternano le memorie di Morrone: la vita in carcere, il racconto della solitudine provata, dei momenti di nera disperazione superati volgendo il pensiero alla madre, il conforto della fede, il ricordo dell’amicizia nata con alcuni compagni, il rispetto guadagnato all’interno della struttura carceraria tra i funzionari e gli stessi agenti di polizia penitenziaria, la voglia di rinascita, la forza di mettersi a studiare il codice penale, l’incontro con alcuni legali e attivisti della Fondazione Enzo Tortora, impegnati a porre all’attenzione del pubblico il tema della denegata giustizia.
Vita dentro 15.4.22 – 15 anni, 4 mesi e 22 giorni, tanto è il tempo del suo calvario – è un piccolo pamphlet che mette il focus sul tema dell’errore giudiziario e che costituisce un contributo al dibattito in corso in ordine all’uso distorto della carcerazione preventiva, all’urgenza di migliorare e attualizzare la legislazione sulla responsabilità civile dei magistrati, all’opportunità o meno di implementare gli strumenti premiali in favore dei detenuti capaci di mantenere una buona condotta.
Il tutto in quell’ottica rieducativa, come sancita dalla costituzione, secondo il modello del cosiddetto doppio binario, che vorrebbe finalizzare la pena della privazione del bene della libertà non solo all’emenda del reo ma – soprattutto – al suo pieno recupero sociale.
Il libro in una citazione
«Non penso più al futuro, non mi appartiene più, mi è stato rubato, vivo alla giornata, così come viene, potranno risarcirmi ma non potranno restituirmi tutto quello che ho perso.» 2 marzo 2023
Un nuovo libro sulla storia di Domenico Morrone detenuto innocente per 15 anni. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 27 Agosto 2023
Morrone durante il processo portò in aule due testimoni che confermarono il suo alibi, ma entrambi vennero denunciati per falsa testimonianza. I giudici infatti scelsero di non tenere in considerazione
Presentato a Taranto il libro “Vita Dentro 15.4.22”, scritto “a quattro mani” dal giornalista Luigi Monfredi e da Domenico Morrone, pubblicato dall’ editore Librerie Mandese. Il risultato letterario è un racconto consigliato per chi segue la cronaca giudiziaria, e le tematiche della amministrazione della giustizia, soprattutto in questa epoca di giustizialismo e colpevolismo che si propaga anche attraverso i social: “Non penso più al futuro, non mi appartiene più, mi è stato rubato, vivo alla giornata, così come viene, potranno risarcirmi ma non potranno restituirmi tutto quello che ho perso”” ha detto Domenico Morrone.
il giornalista Luigi Monfredi
Il libro è la continuazione della storia di Domenico Morrone, raccontata nel libro precedente “Il Rumore Delle Chiavi “ pubblicato nel 2020, che narra del clamoroso errore giudiziario che ha visto Morrone ingiustamente detenuto per oltre quindici anni, dal 1991 al 2006, per una accusa di duplice omicidio sostenuta dal pm Vincenzo Petrocelli della procura di Taranto, per la quale successivamente Morrone è stato ritenuto innocente. Domenico Morrone venne accusato di aver ucciso due studenti di scuola media solo per vendicarsi di un litigio. Quel giorno lui era altrove, ma il suo alibi non è stato creduto. Così Morrone è diventato il protagonista di uno dei più gravi errori giudiziari italiani, trascorrendo ingiustamente 5.475 giorni di detenzione, 15 anni in carcere da innocente.
All’epoca dell’arresto, Morrone era incensurato ed è un pescatore di Taranto dalla fedina impeccabile. Il giorno del suo arresto non perse tuttavia solo la propria libertà e dignità, ma anche la fidanzata, mentre sua madre venne ridotta in povertà in quanto riusciva a sostenersi solo grazie al lavoro di pescatore del figlio e in sua assenza non era più in grado di poter condurre una vita normale e stabile.
L’unica colpa di Morrone era stata quella di aver litigato con un ragazzino che è stato poi ucciso. Contro di lui c’è un movente fortissimo: si sarebbe vendicato dell’agguato subito, quindi viene arrestato. Testimoni oculari, un esame dello stub dall’esito incerto e un movente fortissimo: questi sono gli elementi che lo portano in cella. Morrone durante il processo portò in aule due testimoni che confermarono il suo alibi, ma entrambi vennero denunciati per falsa testimonianza. I giudici infatti scelsero di non tenere in considerazione l’alibi di Morrone, confermato dai vicini di casa Masone, dalla madre e da un amico appuntato.
La vicenda giudiziaria si tinte di giallo allorquando dall’ufficio corpi di reato sparirono delle prove che lo scagionano. Nei 15 anni di carcere Morrone ha però conosciuto l’umanità di guardie e operatori carcerari. Dopo nove anni dietro le sbarre ottenne un permesso di tre giorni che decise di trascorrere con sua madre.Per i suoi 15 anni trascorsi in carcere da innocente ha ricevuto 4 milioni di euro di risarcimento. A tal proposito aveva dichiarato: “La libertà di ogni singolo giorno della nostra vita non ha prezzo“.
Mentre nel primo libro i fari erano puntati sulle indagini e sul processo, in questa seconda opera è centrale la vita di Morrone “prigioniero“, del carcere con tutti i passaggi, i rapporti e le abitudini che contraddistinguono la vita dei detenuti: “All’interno del carcere” dice Morrone “c’è una ‘regola’ a cui devi attenerti, diversa e lontana da quella della società civile”
Il libro attraversa nuovamente l’epopea di Morrone, un uomo che urlava la propria innocenza alle pareti di celle in cui tutti capivano che non era colpevole, questa volta con una maggiore attenzione anche al fatto “dall’esterno”, a partire dalla serie di “incongruenze” dietro all’accusa, passando per le inconsistenti analisi delle prove e delle parole dei pentiti.
Il punto focale del racconto diventa quindi Morrone ora non più persona, ma ora numero nelle ganasce della macchina della giustizia che necessita di colpevoli da castigare, dei suoi sogni e delle sue speranze nella giustizia, che il giornalista tarantino Luigi Monfredi, attuale caporedattore di RAINEWS24 ha trasformato nella storia di un essere umano, cercando la verità e la redenzione di una vita altrimenti perduta attraverso anche gli archivi raccolti all’epoca dallo stesso Monfredi, al tempo giornalista di Telenorba, e sin da subito unico garantista dichiarato, e quindi “innocentista” al contrario della stampa locale di quel periodo, compre sempre schierata sulle teorie accusatorie della Procura.
Un esempio chiave del racconto, e di grande efficacia narrativa, è la storia dei gettoni del telefono, collezionati da Morrone in previsione del suo primo permesso d’uscita, ad ormai quasi dieci anni dalla sua condanna, e la sorpresa nell’incontrare il telefono che richiedeva una scheda per chiamare, e ad oggi per lui come per tutti noi obsoleto, emblema della libertà e del tempo di vita sottrattogli ingiustamente fino, finalmente, al crollo del muro di gomma nel 2002, alla accettazione della richiesta di revisione e la conseguente assoluzione dell’ormai non più giovante tarantino, innocente con la formula “per non aver commesso il fatto“.
Sette processi e 15 anni di carcere prima di essere dichiarato innocente. Domenico Morrone non è un assassino, è incensurato e ha pure un alibi. Ma nessuno gli crede. Sette processi e 15 anni di carcere: la sua storia. SIMONA MUSCO su Il Dubbio il 27 agosto 2021
Quindici lunghi anni in carcere. Ovvero 5475 giorni dentro una cella malconcia, senz’acqua e senza dignità, per uno scambio di persona. O forse peggio, per una macchinazione o per superficialità. Domenico Morrone non è un assassino, è incensurato e ha pure un alibi. Ma nessuno gli crede, fino a quando due pentiti non fanno il nome del vero colpevole. Ci vorranno sette processi prima che quell’uomo, che ormai ha perso tutto, possa dimostrare la sua innocenza. Un’innocenza sempre proclamata, urlata, sbandierata ma mai creduta.
La storia di un pescatore
La sua vita cambia il 30 gennaio 1991. Domenico è un pescatore, viene da una famiglia onesta, ha una fidanzata. Una vita normale, insomma. La sua fedina penale è immacolata. Ma all’improvviso viene macchiata da un’accusa terribile: aver ucciso due ragazzini, due minorenni. Trucidati davanti alla scuola media Grazia Deledda di Taranto. Sono le 13.50 di quel giorno di 29 anni fa quando un sicario spara diversi colpi con una pistola calibro 22 contro due studenti, Antonio Sebastio (15 anni) e suo fratello Giovanni Battista (17 anni). I proiettili volano in mezzo alla gente, i due ragazzi rimangono a terra senza vita mentre tutti intorno scappano in preda al panico. Una scena orribile. Poche ore dopo la squadra mobile ha già una pista: si presenta a casa di Morrone, su ordine del Pm del Tribunale di Taranto, Vincenzo Petrocelli. Cerca delle armi, ma non ci sono, e così i poliziotti trascinano l’uomo fino in Questura e poi, a sera, nel carcere di Taranto. Domenico non capisce nulla.
Gli dicono che in base agli indizi raccolti da polizia e carabinieri è quasi sicuramente colpevole, anche se lui non sa nemmeno di cosa si stia parlando. Così, poche ore dopo i fatti, viene sottoposto a fermo per duplice omicidio, detenzione e porto illegale di arma da fuoco e munizioni e spari in luogo pubblico. Lo incastra la testimonianza di alcune persone, ragazzini, per lo più. Morrone scuote la testa, spiega che non c’entra nulla. Che è tutto un clamoroso errore.
Le accuse contro Domenico Morrone
Secondo l’accusa, Morrone avrebbe perso la testa per un litigio avuto una ventina di giorni prima con quei ragazzetti, che trafficavano pezzi di motorini rubati davanti al portone. Eppure dopo il litigio qualcuno ferisce Domenico alle gambe. Qualche giorno dopo, secondo una testimonianza poi ritrattata, avrebbe minacciato i due ragazzini, ritenendoli responsabili di quel ferimento. E tanto basta, secondo la procura, a spingere un uomo di 27 anni innamorato del mare ad armarsi e uccidere. Provano a collegarlo ai clan, ma lui non sa cosa significhi quella domanda, “a chi appartieni”. «A mamma e papà», dice ingenuamente. Urla di essere incensurato, «ma non è una carta di credito», contesta il pm. In tempo record la notizia finisce in tv: l’assassino della scuola è stato acchiappato. Viene sbattuto in isolamento per due mesi, con il divieto di parlare con i suoi difensori e la madre. Ci rimane con i vestiti intrisi di salsedine che aveva al momento dell’arresto, che riesce a cambiare solo dopo una settimana e che prova a lavare da solo, tra quelle quattro mura, con una saponetta. Ma quello è solo l’inizio di un calvario lungo 15 anni, 2 mesi e 22 giorni.
I processi
Al processo, Morrone spiega il suo alibi: al momento del delitto non era davanti alla scuola, ma nell’appartamento di alcuni vicini di casa ai quali stava riparando un acquario. Lo confermano i coniugi e la madre di Domenico, che quel giorno incontra anche un appuntato dei Carabinieri all’angolo di una salumeria. Per i giudici è tutta un’invenzione: è impensabile, sostengono, che all’ora di pranzo qualcuno ripari un acquario. E così sia i vicini sia la madre di Morrone vengono condannati per falsa testimonianza. Per i giudici, il duplice omicida è lui e basta. Ma in quell’aula i fatti prendono pieghe strane. A Morrone, una volta arrivato in Questura, viene eseguito lo stub. Un esame di rito che in un primo momento conforta la speranza dell’uomo di affermare la propria innocenza.
Sulla mano sinistra vengono rintracciate due piccole particelle di piombo ed ammonio, sostanze che avrebbe potuto trovare quasi ovunque. Così nell’immediatezza viene annotato che quelle mani, quel giorno, non hanno impugnato un’arma. Ma un anno dopo viene effettuata una nuova perizia e il risultato è sconvolgente: Morrone ha sparato con tutte e due le mani e oltre al piombo e all’antimonio viene individuato anche il bario, che fornisce la prova dello sparo. Ma c’è di più: gli abiti di Domenico che quel giorno indossa jeans e camicia col colletto marrone - spariscono dalla cancelleria del Tribunale dopo esser stati visionati dai testimoni oculari e che non li riconoscono come gli abiti usati dal killer, che invece sono neri. Nemmeno l’identikit corrisponde a quello di Morrone: chi ha sparato è quasi calvo ed alto, mentre lui, anche oggi, ha ancora tutti i capelli ed è poco più di un metro e sessanta. Quanto al mezzo, l’assassino spara da un’auto nera, Domenico ne ha una bianca, parcheggiata in garage perché con le ruote a terra e malconcia.
La procura non gli crede
Ma tutti questi elementi non bastano. Per la procura le prove sono granitiche, anche se Domenico, leggendo le carte, capisce che le cose non tornano. I testi che lo accusano, due ragazzini, sembrano poco credibili. Dicono di averlo indicato come il colpevole forse in un momento di confusione e ritrattano tutto. Morrone si convince di poter essere assolto. Ma a fine ‘ 91, con già un anno di custodia cautelare sulle spalle, arriva la stangata: 21 anni di condanna. La sua fiducia nella giustizia si incrina.
La condanna, processo dopo processo, diventa definitiva. Domenico perde il lavoro e la fidanzata, che lo lascia per la vergogna. La madre anziana, senza di lui, vive da sola e in povertà. Per due volte la Cassazione annulla la sentenza d’appello e per altrettante i giudici di secondo grado di Bari confermano la condanna a 21 anni. Morrone non ci crede più. Ma dopo sei anni, a settembre del 1996, qualcuno parla. Due collaboratori di giustizia squarciano il velo: non è stato Morrone. Ma devono passare altri 10 anni per poter ottenere una revisione del processo, perché la richiesta della difesa viene respinta quattro volte. Solo la quinta volta, quando già Domenico ha trascorso 13 anni in carcere, ce la fa: nel 2004 inizia il processo di revisione davanti alla Corte d’appello di Lecce. Domenico torna a guardare in faccia dei giudici, ma questa volta gli credono, credono ai testimoni, credono ai pentiti.
Il colpevole è un altro
A sparare, spiegano, è stato in realtà un uomo che voleva vendicare lo scippo subito da una donna la mattina del delitto proprio dai due ragazzini. Saverio Martinese e Alessandro Ble, i due collaboratori di giustizia, lo dicono chiaramente, indicando Domenico Morrone: «Quell’uomo è estraneo agli omicidi, il vero colpevole è un altro. Si tratta del figlio della donna che ha subito lo scippo, ce lo ha detto lui». Nel 2006, 15 anni, 2 mesi e 22 giorni dopo il suo arresto, la verità bussa alla porta: assoluzione per non aver commesso il fatto, Domenico ha ormai 42 anni.
In carcere ha contratto l’epatite b e ne esce psicologicamente devastato e con 20 chili in più. Il suo primo pensiero è avvisare la madre: «Sono innocente, mamma - le dice al telefono piangendo -. Mi hanno detto che sono innocente!». Quando la sentenza diventa definitiva, gli avvocati di Morrone presentano il conto allo Stato: una richiesta di risarcimento tra gli 8 e i 12 milioni di euro per errore giudiziario. Ne ottengono 4 e mezzo, poco più di 800 euro per ogni giorno passato dentro da innocente. «Oggi sono libero e felice. Però non è una felicità piena. Continuo a chiedermi perché nessuno mi ha mai creduto? Era tanto difficile ammettere di aver sbagliato? Mi hanno umiliato. Perché?».
Sono Innocente torna in onda domenica 15 aprile 2018 con Alberto Matano: le storie di Domenico Morrone, Stefano Messore e Aldo Scardella al centro della puntata, scrive Stella Di Benedetto il 15 aprile 2018 su "Il Sussidiario". Oggi, domenica 15 aprile, alle 21.20 su Raitre, torna l’appuntamento con Sono Innocente, il programma condotto dal giornalista Alberto Matano che racconta le storie di persone che si sono ritrovati ad essere coinvolti in vicende giudiziarie pur essendo innocenti. Storie di uomini e donne che, da un giorno all’altro, si ritrovano in carcere pur essendo totalmente estranei alla vicenda. Mesi, in alcuni casi anni trascorso dietro le sbarre di una cella non riuscendo a spiegarsi il motivo. In ogni puntata, Alberto Matano racconta tre casi giudiziari diversi e uguali allo stesso tempo.
IL CASO DI DOMENICO MORRONE. Il primo caso della serata è quello di Domenico Morrone, pescatore tarantino di 27 anni, che nel 1991 è stato accusato dell’omicidio di due ragazzini minorenni. Gli inquirenti non hanno dubbi convinti che Morrone abbia agito per vendicarsi di un affronto subito da uno dei ragazzini. L’uomo viene condannato a 21 anni di reclusione. La sua innocenza è stata dimostrata dopo 15 anni unitamente alla testimonianza di due pentiti e a cinque richieste di revisione di processo.
IL CASO DI STEFANO MOSSORE. La seconda storia della puntata odierna di Sono Innocente è quella di Stefano Mossore, ex paracadutista della Folgore, da molti anni impegnato nel volontariato, dopo il terremoto del 2016 che ha distrutto il Centro Italia, decide di andare ad aiutare quelle popolazioni. Affitta così un furgone, lo riempie di cibo, vestiti, giocattoli e con un amico parte per Amatrice. Mossore si impegna per aiutare quelle popolazioni e contribuisce a costruire anche la tendopoli. Il 3 settembre 2016 torna a casa sua dove, ad attenderlo, trova i carabinieri che lo accusano di sciacallaggio. Mossore trascorre cinquanta giorni di carcere e dieci mesi agli arresti ai domiciliari. Prima di essere assolto, Stefano Mossore ha subito anche il dramma di perdere il lavoro.
IL CASO DI ALDO SCARDELLA.
La terza ed ultima storia dell’appuntamento di oggi con Sono Innocente è quella di Aldo Scardella che nel 1985 a soli 25 anni, viene accusato dell’omicidio del titolare di un piccolo market di liquori durante un tentativo di rapina. La banda è formata da tre persone, ma viene arrestato solo Aldo Scardella. Gli inquirenti sono convinti che sia uno dei colpevoli perché nei pressi del palazzo dove abita viene ritrovato uno dei passamontagna usati dai banditi e sulle testimonianze di alcuni, che nei giorni precedenti lo avrebbero visto nei pressi del locale rapinato. Aldo viene arrestato e trascorre quasi sei mesi dietro le sbarre in regime di totale isolamento, senza poter vedere i suoi avvocati e i suoi familiari. Non reggendo il peso della situazione e non potendo dimostrare la sua innocenza, Aldo si impicca nella sua cella il 2 luglio del 1986. Prima di togliersi la vita lascia un biglietto che si conclude con le seguenti parole: "Muoio innocente".
DOMENICO MORRONE. Risarcito dopo 15 anni di carcere: “Ma la libertà non ha prezzo” (Sono innocente). Questa sera, domenica 15 aprile, a Sono innocente sarà raccontata la storia di Domenico Morrone, che ha trascorso 15 anni in carcere prima di essere assolto dall'accusa di duplice omicidio, scrive Morgan k. Barraco il 15 aprile 2018 su "Il Sussidiario". “Sono innocente” ha raccontato nella puntata di oggi la storia di Domenico Morrone, che ha trascorso 15 anni in carcere a causa della condanna definitiva per il duplice omicidio di due studenti minorenni. Era il 1991 e a Taranto era in corso una guerra tra clan. L'unica colpa di Morrone è quella di aver litigato con un ragazzino che è stato poi ucciso. Contro di lui c'è un movente fortissimo: si sarebbe vendicato dell'agguato subito, quindi viene arrestato. Testimoni oculari, un esame dello stub dall'esito incerto e un movente fortissimo: questi sono gli elementi che lo portano in cella. Morrone durante il processo tira in ballo due testimoni che confermano il suo alibi, ma entrambi vengono denunciati per falsa testimonianza. Il caso si tinge di giallo quando dall'ufficio corpi di reato spariscono prove che lo scagionano. Nei 15 anni di carcere ha però conosciuto l'umanità di guardie e operatori carcerari. Dopo nove anni dietro le sbarre ottiene un permesso di tre giorni che decise di trascorrere con sua madre. In due pentiti ripose le sue uniche speranze di scarcerazione. Per i suoi 15 anni trascorsi in carcere da innocente ha ricevuto 4 milioni di euro di risarcimento. A tal proposito ha dichiarato: «La libertà di ogni singolo giorno della nostra vita non ha prezzo». (agg. di Silvana Palazzo)
Oggi 55enne, Domenico Morrone aveva 42 anni quando è stato riconosciuto innocente per l'accusa di duplice omicidio ai danni di due studenti minorenni. Il tarantino dovrà trascorrere infatti 15 anni in carcere a causa della condanna definitiva, prima di poter riavere la propria libertà. Il caso di Domenico Morrone si chiuderà definitivamente nel 2006, quando la Corte d'Appello di Lecce stabilirà grazie al processo di revisione che si è trattato di un errore giudiziario. Quanto accaduto a Domenico Morrone verrà raccontato nella puntata di oggi, domenica 15 aprile 2018, del programma “Sono Innocente”. Si tratta forse del caso più eclatante di errore giudiziario della storia italiana, come ha sottolineato il suo legale, l'avvocato Claudio DeFilippi, pochi giorni prima del rilascio del suo assistito. All'epoca dell'arresto, Morrone è incensurato ed è un pescatore di Taranto dalla fedina impeccabile. Il giorno del suo arresto non perderà tuttavia solo la propria libertà e dignità, ma anche la fidanzata. Ed anche se affermerà fin dalle prime ore di non essere colpevole del duplice delitto dei due studenti, gli inquirenti saranno convinti della sua colpevolezza. A dimostrarlo delle prove inconfondibili per il pm Vincenzo Petrocelli, ricorda Il Corriere della Sera, due testimonianze che affermano di averlo visto sulla scena del crimine.
Domenico Morrone e l’omicidio di due minorenni. Domenico Morrone verrà considerato per 15 anni il responsabile della morte di Giovanni Battista, all'epoca dei fatti 17enne, e del quindicenne Antonio Sebastio. I due ragazzi infatti sono stati uccisi mentre si trovavano di fronte alla scuola alla periferia di Taranto che frequentavano entrambi. Un delitto brutale, compiuto con una calibro 22 da un sicario che ha sparato diversi colpi verso le due vittime. Secondo gli inquirenti, Morrone ha ucciso i due studenti per via di una lite avvenuta con Battista qualche giorno prima e durante la quale era stato ferito. Alcuni testimoni riferiranno in sede processuale di aver sentito l'imputato minacciare di morte le due vittime, accusandoli di essere legali alla criminalità locale. A nulla sono servite le prove portate all'attenzione dei giudici dal difensore Claudio DeFilippi. Secondo il legale di Morrone, infatti, i due delitti erano da collegare ad uno scippo messo in atto dalle due vittime ai danni di una donna. Eppure la condanna per omicidio verrà confermata, anche se l'imputato fornirà subito un alibi confermato nel corso dell'iter processuale. La Cassazione infatti, ricorda Il Corriere della Sera, non terrà in considerazione il fatto e della conferma dei coniugi Masone, che come la madre di Morrone verranno accusati invece di falsa testimonianza.
In carcere a 27 anni. Il giorno del suo arresto Domenico Morrone aveva appena 27 anni e riuscirà a uscire dal carcere solo in età adulta. L'esperienza carceraria non impedirà solo all'uomo di poter vivere la sua vita da incensurato, ma provocherà nel suo animo profondi turbamenti. Al momento del rilascio, Morrone infatti mostrerà un fisico stravolto dalla sofferenza, in preda a forti depressioni e malattie virali. Oltre al danno anche la beffa: Morrone perderà a causa della condanna anche la fidanzata, mentre la madre verrà ridotta in povertà. La donna infatti riusciva a sostenersi solo grazie al lavoro di pescatore del figlio e in sua assenza non era più in grado di avere una vita agiata. La madre di Morrone tra l'altro morirà l'anno successivo alla scarcerazione del figlio, dietro le sbarre fin dal 1991. Per l'errore giudiziario subito, l'uomo chiederà infine un risarcimento di 12 milioni allo Stato italiano. Soprattutto alla luce dei due annullamenti avvenuti in Cassazione e delle successive conferme della condanna a 21 anni invece messe in atto dalla Corte d'Assise di Bari. I giudici infatti hanno scelto di non tenere in considerazione dell'alibi di Morrone, confermato dai vicini di casa Masone, dalla madre e da un amico appuntato. Il movente del duplice delitto di Giovanni Battista e Antonio Sebastio era riconducibile ai loro occhi a quella denuncia che l'uomo aveva sporto contro i due ragazzini, per via di una strana attività collegata a dei motorini. Per questo e per le testimonianze di due minorenni, sottolinea La Repubblica, verrà considerato autore della tragedia.
Gli innocenti in galera: non solo Tortora dice Concetto Vecchio su “La Repubblica”.
Domenico Morrone fu riconosciuto innocente dopo 15 anni, due mesi e ventitré giorni passati ad ammuffire in carcere. Il più grave errore giudiziario nella storia della Repubblica. Aveva 27 anni il giorno dell'arresto, 30 gennaio 1991, accusato del duplice omicidio di due minorenni a Taranto, la sua città. Pescatore incensurato, famiglia onesta, una fidanzata. Era un uomo di 42 anni piegato dalla malasorte quando lo fecero uscire: i capelli ingrigiti dalla sofferenza, preda di gravi depressioni, un fisico appesantito di venti chili. Nella promiscuità aveva contratto alcune malattie, tra cui l'epatite b. Inutilmente aveva gridato al vento la sua innocenza. Nessuno gli aveva creduto. In Italia dal dopoguerra - ha calcolato l'Eurispes - 4 milioni di persone sono state vittime di errori giudiziari o di ingiusta detenzione. Fino al 1989. Ad oggi bisogna aggiungerne un altro milione. L'errore giudiziario si verifica quando, dopo i tre gradi di giudizio un condannato viene riconosciuto innocente solo in seguito a un nuovo processo, detto di revisione.
Due avvocati, Claudio Defilippi e Debora Bosi, raccontano l'inferno delle ingiustizie in Toghe che sbagliano, Aliberti editore. Il caso più reclamizzato è quello di Enzo Tortora. Ma è solo il più noto. Un altro caso limite fu quello di Massimo Carlotto: sei anni di carcere, altrettanti di latitanza. Fu arrestato il 20 gennaio 1976. La grazia del presidente Scalfaro arrivò il 7 aprile 1993. Carlotto, forse non a caso, scrive fortunati noir. Daniele Barillà, condannato per traffico di droga perché con la sua auto si trovò sulla tangenziale sbagliata durante un inseguimento a un carico di 50 chili di cocaina: sette anni, cinque mesi e dieci giorni di galera. Arresto il 13 febbraio 1992. Il verdetto favorevole alla revisione del processo: il 23 luglio 1999. La sua storia è diventata un film. Ora vive all'estero. Lo Stato gli ha riconosciuto un indennizzo di tre milioni di euro. Massimo Pisano nel '93 fu accusato per avere ucciso la moglie, Cinzia Bruno, a Riano, vicino Roma. Cadavere trovato sul greto del Tevere. A condannarlo fu la confessione dell'amante, Silvana Agresta. Movente: voleva liberarsi della moglie per potersi risposare. Il 18 aprile 1996 la Cassazione chiude il caso: ergastolo. Otto anni in carcere. Poi la revisione del processo. Cambia tutto. La mattina del delitto si trovava al catasto. Ci sono ventidue riscontri documentali e testimoniali. Ad uccidere la moglie fu l'amante. Motivo: il rapporto tra i due amanti era in crisi e la donna temeva che Pisano volesse rompere la relazione. Salvatore Gallo, accusato di aver ucciso il fratello Paolo nel 1954 ad Avola, fu scarcerato dopo sette anni perché Paolo invece che al camposanto viveva sotto mentite spoglie in un casale. Una messinscena tremenda, per far condannare il fratello all'ergastolo. Fu scarcerato, ma non ebbe una lira. All'epoca l'ingiusta detenzione non era contemplata dalla legge. Il caso Morrone è il più sconcertante di tutti. L'anziana madre è morta un anno dopo la sua liberazione, il 21 aprile 2006. Fa lo spazzino e ha chiesto allo Stato un risarcimento di 12 milioni di euro. La notte si sveglia di soprassalto, sente il rumore delle pesanti chiavi delle guardie carcerarie. Pensa di essere ancora in prigione. La sua storia mette inquietudine. Per due volte la Cassazione annullò le sentenze d'appello, ordinando nuovi processi e per altrettante volte la Corte d'assise di Bari confermò la condanna a 21 anni, una pena relativamente esigua per un delitto così efferato, segno, fanno notare gli autori, uno dei quali è il difensore del pescatore, che i giudici erano tormentati dai dubbi. La mattina del delitto aveva incontrato un amico appuntato, avevano conversato, poi aveva aggiustato l'acquario dei vicini. I vicini avevano confermato. Non bastava come alibi. I giudici trovarono il movente nel fatto che Morrone aveva denunciato i due ragazzini per un oscuro traffico di motorini, e perciò era stato vittima di un agguato. L'omicidio sarebbe stato una vendetta. Finì in cella accusato da due minorenni semianalfabeti che sostenevano di averlo riconosciuto sul teatro del delitto. Gli fecero l'esame sulla polvere da sparo: negativo. La giustizia fu celere: due anni dopo era già condannato in secondo grado. Fece lo sciopero della fame due volte. Scrisse ad Amnesty international. Interpellò il capo dello Stato. Presentò sei istanze di revisione del processo. Sette gradi di giudizio e quindici anni dopo (quindici!) due pentiti rivelarono che l'omicida era un tale Antonio Boccuni, che si era voluto vendicare dello scippo che i due minorenni avevano compiuto a danni della madre.
Altro precedente. È il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai commesso. Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi. Il ministero dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso vissuto dall’uomo che oggi può tentare di rifarsi una vita. Così, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il ministero e la corte d’appello di Lecce ha registrato come un notaio il «contratto». In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di droga per uno sfortunato scambio di auto. Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la mattanza, il 30 gennaio ’91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo condannarono. Le persone che lo scagionavano furono condannate per falsa testimonianza. Nel ’96 alcuni pentiti svelarono la vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri dieci anni per ottenere giustizia. E ora arriva anche l’indennizzo per le sofferenze subite: «Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui - adesso è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato». Un procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di condanna della corte d’assise d’appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva a 21 anni. Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti.
IL CASO MORRONE
È il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai commesso.
Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi. Il ministero dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso vissuto dall’uomo che oggi può tentare di rifarsi una vita.
Così, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il ministero e la corte d’appello di Lecce ha registrato come un notaio il «contratto». In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di droga per uno sfortunato scambio di auto.
Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la mattanza, il 30 gennaio ’91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo condannarono. Le persone che lo scagionavano furono condannate per falsa testimonianza. Nel ’96 alcuni pentiti svelarono la vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri dieci anni per ottenere giustizia. E ora arriva anche l’indennizzo per le sofferenze subite: «Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui al Giornale - adesso è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato». Un procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di condanna della corte d’assise d’appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva a 21 anni. Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti.
Ora, finalmente, la giustizia si mostra comprensiva con chi è stato vittima di un errore così grave: la corte d’appello di Lecce nota anzitutto che l’Avvocatura dello Stato «non si oppone alla liquidazione» della cifra. La scorsa estate Morrone aveva chiesto allo Stato un risarcimento di 12 milioni di euro; il tempo di condurre una rapida trattativa e il ministero si è detto disponibile a chiudere la pratica a quota 4, 5 milioni di euro. Senza opposizioni e contestazioni. La somma totale di 4,5 milioni è così ripartita: 1 milione e 300mila euro per la privazione della libertà; 1 milione e 700mila euro per i danni non patrimoniali; 1 milione per il danno patrimoniale da mancato guadagno; 500mila euro per le spese legali e per gli onorari del difensore. Un record per l’Italia. E anche un primato di velocità.
Ma non finisce qui. Morrone vuole presentare il conto anche ai magistrati che hanno sbagliato e per questo ricorrerà alla legge sulla responsabilità civile dei giudici. Il pescatore, come impone la norma, si rivolgerà alla Presidenza del consiglio, chiedendo 8 milioni di euro per l’operato di Vincenzo Petrocelli, il magistrato di Taranto che l’aveva messo sotto accusa.
Appalti e corruzione all’ Arsenale della Marina Militare a Taranto. Cinque condanne e un patteggiamento. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 15 Settembre 2023
Disposto il rinvio a giudizio di altri undici imputati fra i quali l'ammiraglio Cristiano Nervi, accusato di turbativa d'asta in relazione alla sola gara che venne bandita per i lavori sulla nave San Marco.
Nell’udienza preliminare svoltasi questa mattina il giudice Alessandra Romano, ha chiuso l’udienza preliminare del procedimento nel quale la Guardia di Finanza aveva portato alla luce delle manovre corruttive attuate da un cartello di imprese per poter pilotare e dividersi gli appalti dell’Arsenale militare di Taranto.
L’ inchiesta dei militari del nucleo di Polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza di Taranto si era nel febbraio 2020 fa con 12 misure cautelari ai domiciliari disposte dal giudice delle indagini preliminari su richiesta della Procura nei confronti di imprenditori ( o meglio “prenditori” ) , dipendenti dello Stato e ufficiali della Marina scoperti e coinvolti nell’inchiesta.
Quei provvedimenti vennero disposti a a seguito delle indagini con le quali la Guardia di Finanza accerto e contestò le manovre illegali messe in atto da un cartello di imprese che secondo gli inquirenti, avrebbero attuato un accordo al fine di pilotare l’assegnazione delle commesse della Marina Militare alle loro imprese ed escludere conseguentemente gli altri concorrenti. Un progetto illegale e truffaldino nel quale vennero affiancati da funzionari e ufficiali di Marina infedeli loro complici.
In avvio dell’ udienza preliminare odierna alcuni degli imputati ha preferito optare al ricorso a riti alternativi come l’ abbreviato ed il patteggiamento. La pena più pesante è stata decisa dal giudice nei confronti del tenente di vascello Antonio Di Molfetta condannato a quattro anni e mezzo di reclusione. Secondo l’ impianto accusatorio Di Molfetta, nello svolgimento del suo incarico di addetto all’ufficio “servizio efficienza navi” della stazione navale di Taranto, avrebbe consentito l’assegnazione di lavori ad alcune imprese coinvolte nella vicenda, ottenendo in cambio degli arredi e persino degli elettrodomestici. A carico di Di Molfetta è stato disposto l’obbligo di risarcire il Ministero della Difesa che si è costituito parte civile con 30.000 euro.
La giudice Romano ha poi condannato a quattro anni di reclusione l’imprenditore Daniele Guardascione e l’impiegato civile dell’ Arsenale Federico Porraro. Un anno e otto mesi di condanna nei confronti dell’ imputato Giovanni Pletto, ed un anno a carico del funzionario civile Giuseppe De Monte, accusato di aver sottratto delle vernici da un magazzino. Per questi ultimi due condannati la pena è sospesa.
Disposto il rinvio a giudizio di altri undici imputati fra i quali l’ammiraglio Cristiano Nervi, accusato di turbativa d’asta in relazione alla sola gara che venne bandita per i lavori sulla nave San Marco. L’ ammiraglio ha sempre negato le accuse a suo carico respingendo fermamente ogni contestazione e si è difeso durante l’udienza preliminare ribadendo la sua assoluta estraneità alle accuse facendo riferimento anche all’esito di due indagini condotte dall’ Anac che hanno confermato la regolarità delle gare d’appalto effettuate nel periodo in cui ricopriva l’incarico di direttore dell’Arsenale.
Per la cronaca l’ammiraglio Nervi nonostante le imputazioni ed il processo è stato promosso dalla Marina Militare per un incarico superiore, mentre il gip ha preferito rinviare al dibattimento processuale ogni chiarimento in ordine sua alla posizione processuale. Analoga decisione nei confronti degli imputati Armando De Comite, Alessandro Di Persio, Fabio Greco, Giona Guardascione, Pierpaolo Iaia, Giacinto Pernisco, Nicola Pletto, Angelo Raffaele Ruggiero, Vincenzo Vernaglione ed Antonio Sottile. Il processo prenderà il via il prossimo 4 dicembre in Tribunale a Taranto. Redazione CdG 1947
Da Taranto a Manfredonia: blitz degli ispettori in ospedale, nel mirino anche il «118». I casi: infermieri trasformati in amministrativi, radiologie chiuse per malattia. I soccorritori internalizzati attraverso le Sanitaservice: alcune Asl ne hanno promossi alcuni ad amministrativi, senza concorso né titoli. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 16 Settembre 2023
Il caso dei 12 soccorritori del 118 diventati amministrativi non è l’unico punto su cui è finita nel mirino la gestione della Asl di Taranto. La stretta imposta dalla Regione su appalti e assunzioni, da parte delle aziende sanitarie e delle loro società in-house, va di pari passo con i controlli. E dunque le verifiche effettuate dal Nirs sulla Sanitaservice di Taranto si sono estese anche alla stessa Asl per riscontrare i contenuti di una lunga serie di esposti.
Il problema dei soccorritori diventati amministrativi è infatti emerso da una segnalazione di fonte sindacale. I 12 sono stati trasformati in coordinatori dei turni nelle postazioni, pur mantenendo il trattamento economico (le indennità previste dal contratto) cui si aggiungono gli straordinari e le reperibilità. L’ispezione del Nirs, guidato dall’avvocato Antonio La Scala, ha accertato che i 12 sono stati scelti senza una selezione pubblica. Altri esposti hanno poi sottolineato quella che non può che essere una coincidenza: alcuni dei neo-amministrativi sono infatti sindacalisti o figli di sindacalisti molto noti sul territorio.
Il caso è ora all’attenzione degli uffici della Regione, che stabiliranno se e come intervenire sull’organizzazione del 118. Ma nel frattempo, la settimana scorsa, gli ispettori sono tornati in Asl per acquisire altra documentazione. A partire dalle modalità di assunzione di 800 persone, in gran parte infermieri, durante l’emergenza Covid. Anche qui gli ispettori hanno accertato che una parte del personale preso con le procedure di emergenza risulterebbe assegnato a funzioni amministrative, in violazione di numerose disposizioni. Gli ispettori stanno effettuando accertamenti simili anche...
Il Tribunale del Riesame smentisce la Procura di Taranto: dissequestrati i beni di De Bellis dopo la denuncia strumentale di Kyma Ambiente (ex Amiu spa). Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Aprile 2023
Con la decisione del Tribunale del riesame dissequestrati beni per 1 milione dopo l’istanza del difensore avv. Marseglia . Una situazione ambientale a dir poco imbarazzante per la Procura di via Marche, in quanto la pm Lucia Isceri è la consorte del notaio utilizzato prevalentemente dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci per i suoi atti notarili personali e per quelli dell' Amministrazione Comunale di Taranto.
Ll Tribunale del Riesame di Taranto ha disposto il dissequestro per un valore di circa 1 milione di euro bloccati al consulente di Kyma Ambiente (ex Amiu spa) , Domenico De Bellis, nelle scorse settimane dalla Guardia di Finanza su disposizione della pm Lucia Isceri che lo accusava di peculato ed estorsione nell’inchiesta sulle “parcelle d’oro” che peraltro coinvolge un commercialista coniugato con un sostituto procuratore della Repubblica, di cui però non si hanno molte notizie in Procura. Solo coincidenze?
Il collegio giudicante dell’ Appello presieduto dal giudice Alessandro de Tomasi, ha quindi recepito le ragioni del difensore, l’avvocato Nicola Marseglia, ed ha annullato il provvedimento con il quale prima il pubblico ministero Lucia Isceri ed il gip Alessandra Romano avevano disposto il sequestro accogliendo le tesi del denunciante Gianpiero Mancarelli, presidente Kyma Ambiente (ex Amiu spa) che le parcelle sarebbero state incassate per delle attività a suo dire inesistenti , grazie a un presunto e non dimostrato accordo illegale tra Domenico De Bellis e il dirigente Amiu, Rocco Lucio Scalera.
L’ impianto accusatorio della Procura di Taranto nei confronti di De Bellis è di aver ricevuto un incarico nel 2010 che prevedeva la retribuzione di soli 5mila euro, ma di aver poi ottenuto compensi ben più importanti rispetto alla effettiva attività svolta. L’inchiesta della Procura di Taranto si basava essenzialmente su una mail del 12 luglio 2018, con la quale lo Scalera avrebbe quantificato in 989mila euro il compenso in favore del De Bellis per la sua attività professionale prestata in favore della società Kyma Ambiente (ex Amiu spa) assistendola in due procedimenti amministrativi del valore complessivo di 12 milioni di euro con l’Agenzia delle Entrate.
Scalera secondo le indagini svolte dai finanzieri del comando provinciale di Taranto, avrebbe calcolato erroneamente quel compenso dimenticando due aspetti: il primo consisteva nella circostanza che nel 2010 il Cda di Amiu Taranto spa aveva già assegnato l’incarico all’avvocato Stefano Fumarola di seguire le due pratiche, il quale però non è un commercialista, e come ben noto i ricorsi tributari sono materia prettamente fiscale. Il secondo punto è che l’azienda oltre ad aver concesso a Fumarola la possibilità di avvalersi della collaborazione di De Bellis che peraltro già aveva un incarico professionale con Amiu Taranto spa, aveva indicato un compenso di 5mila euro per De Bellis.
Il dirigente Scalera avrebbe sottoscritto con De Bellis una scrittura privata nel 2019, riconoscendo un compenso di 532mila euro per il primo grado di giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto e di 456mila euro per il secondo grado dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia per un procedimento del valore complessivo di 12 milioni di euro con l’Agenzia delle Entrate.
La decisione del tribunale dell’ Appello si sarebbe basata sulla produzione dell’ avv. Nicola Marseglia difensore del De Bellis di un verbale del 2011 del consiglio di amministrazione di Amiu Taranto spa (del quale Scalera non faceva parte !) che di fatto legittima gli incassi del commercialista, documento questo peraltro esibito in giudizio da entrambe le parti interessate, cioè sia l’ Amiu che il difensore del De Bellis , verbale che incredibilmente non era stato dovutamente valutato dalla pm Isceri nella fase che aveva portato al sequestro “allegro” delle somme. Il verbale del 2011 infatti faceva chiarezza sulla quantificazione del compenso dovuto al commercialista e di fatto consentiva a De Bellis di aumentare il valore delle fatture emesse nei confronti di Amiu. Ma non solo. A questo documento la difesa ha prodotto ampia documentazione in proprio favore.
L’avvocato Marseglia ha così potuto dimostrare che una parte significativa delle somme sequestrate dalla Procura sin dal 2011 risultavano essere accantonate nel bilancio di Amiu, tutto ciò peraltro diversi anni prima che venisse affidata una procura speciale al dirigente Scalera con il potere di stipulare contratti fino a 990mila euro. Questa procura era stata evidenziata dalla denuncia del presidente Mancarelli come il passepartout dell’ attività professionale prestata dal De Bellis all’ Amiu Taranto spa. L’avvocato Marseglia, ha chiarito che in realtà al di là del numero di incarichi, i risultati dell’attività professionale del De Bellis sono stati particolarmente favorevoli ed utili per le casse dell’Amiu in quanto i contenziosi con l’ Agenzia delle Entrate e altri enti sono stati quasi sempre vinti dal De Bellis consentendo all’azienda municipale di risparmiare la somma di circa 28 milioni di euro.
Apprendere tutto ciò è la conferma della “pochezza” professionale e limitata esperienza manageriale del presidente Mancarelli, di cui solo 48 ore fa in consiglio comunale a Taranto l’opposizione ha chiesto le sue dimissioni a seguito dei risultati fallimentari dell’ Amiu Taranto spa sotto la sua malsana gestione, carica affidatagli dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, solo in quanto ex-segretario provinciale del PD jonico. E non a caso la città di Taranto ha la TARI fra le più alte d’Italia, ed uno dei peggiori risultati in materia di raccolta differenziata, nonostante i proclami ed i milioni di euro buttati al vento per cassonetti automatizzati (che non funzionano !) e camion attrezzati.
Adesso bisognerà attendere le motivazioni del Riesame che saranno rese note nei prossimi 45 giorni, e capire se qualcuno avrà il coraggio a questo punto di fare ricorso in Cassazione a Roma dove la procura è nota per i ricorsi persi o rigettati in quanto a volte ritenuti persino inammissibili. Altra valutazione dovrebbe farla il procuratore generale di Lecce (competente sulla procura di Taranto) considerando una situazione ambientale a dir poco imbarazzante per la Procura di via Marche, in quanto la pm Lucia Isceri è la consorte del notaio “di fiducia” utilizzato prevalentemente dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci per i suoi atti notarili personali e per quelli dell’ Amministrazione Comunale di Taranto. Redazione CdG 1947
Taranto, a 80 anni muore ex procuratore capo Franco Sebastio. Il cordoglio di Emiliano. Ha guidato numerose indagini su inquinamento e Ilva, ma anche quelle sull'omicidio di Sarah Scazzi. La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Gennaio 2023
Si è spento a 80 anni Franco Sebastio, ex procuratore capo della città di Taranto e magistrato in pensione. Era ricoverato in ospedale da qualche giorno, ma si è spento poche ore fa. Ha guidato numerose indagini su inquinamento e Ilva, ma anche quelle sull'omicidio di Sarah Scazzi. Nel 2017 fu candidato sindaco.
“Taranto e la Puglia hanno perso un Uomo straordinario, competente, coraggioso e dotato di una grande umanità. Le sue inchieste, nel corso di una lunga e luminosa carriera, hanno restituito verità e giustizia seguendo per anni il dramma dell’inquinamento ambientale determinato dall’Ilva a Taranto ed altre importanti inchieste. Franco Sebastio era una figura di riferimento dell’intera società tarantina e pugliese e ci mancherà tanto. Alla famiglia, ai colleghi e a tutti coloro che gli vogliono bene va il cordoglio della Regione Puglia e quello mio personale”. Sono le parole del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano per la scomparsa del magistrato Franco Sebastio.
L’ex procuratore di Taranto Franco Sebastio è morto. Redazione CdG 1947 e Antonello de Gennaro su Il Corriere del Giorno il 10 Gennaio 2023.
Da magistrato ha guidato numerose indagini dedicando gran parte delle sue battaglie alla lotta all’inquinamento. Tarantino di nascita, a vent'anni ha cominciato la sua carriera da cancelliere . Quindi il concorso in magistratura con una lunga carriera cominciata da pretore. Nell'82, proprio da pretore di Taranto, arrivò la prima sentenza contro i responsabili del siderurgico.
Franco Sebastio, ex procuratore capo della città di Taranto si è spento. 80 anni , era ricoverato nell’ ospedale Taranto Nord “Moscati” da qualche giorno, ma si è spento poche ore fa. Ha guidato numerose indagini dedicando gran parte delle sue battaglie alla lotta all’inquinamento. Era presidente del Consiglio di amministrazione della Ladisa ristorazione e della Ledi srl, società editrice del quotidiano interregionale “L’Edicola del Sud”. Sebastio, tarantino di nascita, a vent’anni ha cominciato la sua carriera da cancelliere . Quindi il concorso in magistratura con una lunga carriera cominciata da pretore. Nell’82, proprio da pretore di Taranto, arrivò la prima sentenza contro i responsabili del siderurgico.
Andato in pensione come magistrato si era candidato a Sindaco di Taranto con una sua coalizione di liste civiche non venendo eletto, venne convinto dal governatore della Regione Puglia Michele Emiliano a sostenere la candidatura dell’attuale sindaco Rinaldo Melucci, di cui è stato assessore alla legalità per alcuni mesi nel corso della 1a consiliatura, andando in rotta di collisione per alcune posizioni della Giunta Melucci che non condivideva.
“Dopo il primo turno delle Amministrative, – raccontò Sebastio – il mio amico e collega Michele Emiliano mi ricontattò, chiedendomi di sostenere il candidato sindaco Rinaldo Melucci. Quando gli parlai mi conquistò il suo entusiasmo. Pensai che questo giovane, che non era un politico di professione, potesse dare una speranza alla mia città e a me stesso, alla mia età. Decisi così, di non restare alla finestra ed offrire il mio contributo“.
Franco Sebastio, a distanza di qualche giorno dalla revoca dell’incarico di assessore alla Cultura, Legalità ed Attuazione del programma, raccontò ai giornali locali le tappe della sua esperienza di amministratore cittadino, spiegando che “La richiesta di dimissioni è giunta assolutamente inaspettata. Sono stato avvisato delle intenzioni del sindaco Melucci da lui stesso. Mi ha chiamato e mi ha fatto presente che aveva problemi di carattere politico per la composizione della sua maggioranza e che, quindi, aveva necessità di disporre del mio incarico. È anche quanto, in maniera più forbita ed elegante, ha detto nel suo comunicato stampa. Dopo questa comunicazione mi ha chiesto se intendessi dimettermi oppure se dovesse procedere lui con la revoca“. e continuò “cadendo dalle nuvole, ho detto che avrei voluto pensarci. Nella stessa serata, però, mi è stato comunicato che aveva firmato il provvedimento di revoca dell’incarico“.
Confesso e faccio ammenda di essere stato eccessivamente critico nei suoi confronti negli ultimi anni del suo incarico di procuratore capo a Taranto, sono stato , salvo poi conoscerlo meglio e diventarne amico e custode negli ultimi tempi di molte sue confidenze e confessioni. Devo riconoscergli ( e non certamente per convenienza) il grande rispetto che ha sempre manifestato per la libertà di stampa. Diceva :”un magistrato non deve mai querelare un giornalista. La libertà di stampa è l’ossigeno della nostra democrazia“.
Sebastio raccontava di aver accettato l’incarico di assessore “animato esclusivamente dal desiderio di fare qualcosa di utile per la mia città e questo mi ha portato in questi mesi anche a trascurare le mie attività professionali. Questo è il primo motivo di delusione. Non mi aspettavo di essere trattato in questa maniera. Fino al giorno prima della richiesta di lasciare l’incarico si erano instaurati rapporti cordialissimi, affettuosi e di rispetto reciproco. Avevo davvero la sensazione di essere impegnato in qualcosa di utile per la mia città. Sono, quindi, deluso per la perdita di questo rapporto umano e professionale“.
“In questi mesi sono intervenuto numerose volte” raccontava Sebastio “per approfondire questioni o bloccare appalti, ma è stato un lavoro silenzioso. Mi interrogo sull’epilogo di questa vicenda e, con la forma mentis del magistrato, prendo in considerazione tutte le ipotesi. Per cinquant’anni sono stato un magistrato definito “super attivo” e mi chiedo se, forse, tale attivismo possa aver creato qualche preoccupazione all’interno o all’esterno. Mi chiedo se, anche in ambienti fondamentalmente corretti come quelli che ho frequentato negli ultimi mesi, il fatto di vedere che mi interessavo di determinate questioni abbia potuto creare qualche preoccupazione“. E fu lì che Franco Sebastio decise di mettere fine alla sua esperienza politica.
l’ on. Dario Iaia (Fratelli d’ Italia)
Rammarico per la scomparsa di Franco Sebastio espresso dall’ onorevole Dario Iaia (Fratelli d’Italia), avvocato penalista del Foro d che ricorda un “uomo serio ed equilibrato” che “ha sempre mostrato grande capacità e competenza professionale, oltre che doti umane ed esemplari. Ha diretto il Tribunale di Taranto con determinazione e dando un forte impulso anche alle indagini più delicate e complesse – prosegue Iaia -. Di lui resterà non solo il ricordo ma i tanti risultati conseguiti sul campo, in nome della Giustizia, che è stata il suo faro e la sua guida“.
“La notizia del decesso di Franco Sebastio, ci addolora profondamente. L’ex Procuratore della Repubblica di Taranto è stato e sarà sempre un simbolo di giustizia e legalità per questa comunità“. Così il deputato pugliese del Partito democratico, Ubaldo Pagano, ricorda la figura di Franco Sebastio. “Indelebile – afferma – resterà il suo instancabile impegno per questa città e per il bene dei tarantini. Oggi Taranto piange un magistrato che non si è mai rassegnato a considerare i tarantini figli di un Dio minore sacrificati sull’altare della produzione industriale siderurgica nazionale. A lui dobbiamo molto e nel suo ricordo continueremo a portare avanti le sacrosante battaglie in difesa dei diritti di Taranto e dei tarantini“, conclude Pagano.
“Taranto e la Puglia hanno perso un Uomo straordinario, competente, coraggioso e dotato di una grande umanità. Le sue inchieste, nel corso di una lunga e luminosa carriera, hanno restituito verità e giustizia seguendo per anni il dramma dell’inquinamento ambientale determinato dall’Ilva a Taranto ed altre importanti inchieste. Franco Sebastio era una figura di riferimento dell’intera società tarantina e pugliese e ci mancherà tanto. Alla famiglia, ai colleghi e a tutti coloro che gli vogliono bene va il cordoglio della Regione Puglia e quello mio personale”. Sono le parole del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano per la scomparsa del magistrato Franco Sebastio.
Alla moglie ed ai suoi figli che amava alla follia, vanno le nostre più sincere condoglianze. Buon viaggio caro Franco, che la terra ti sia lieve. Redazione CdG 1947
«A Taranto troppo benzene l’ex Ilva deve intervenire». L’Arpa: emissioni sotto i limiti di legge, ma da gennaio a novembre superate le medie dei tre anni precedenti. Francesco Casula su La Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Gennaio 2023.
Acciaierie d’Italia «adotti tutti i possibili interventi correttivi di riduzione delle emissioni di benzene» nell’ex Ilva di Taranto. Lo scrive Arpa Puglia in una nota inviata pochi giorni fa alla società che gestisce la fabbrica di Taranto, per la prima volta indicata nero su bianco come la fonte da cui provengono le emissioni di benzene, sostanza altamente nocive visto che è classificata come «cancerogeno certo per l’uomo».
La missiva del 5 gennaio è firmata dal direttore generale Vito Bruno, dal direttore scientifico Vincenzo Campanaro e dal direttore del dipartimento di Taranto Vittorio Esposito, ha tra i destinatari anche i commissari straordinari dell’ex Ilva, formalmente proprietari della fabbrica e gestori fino al 2018: la struttura commissariale, stando a quando risulta alla «Gazzetta» avrebbe già risposto alla nota Arpa spiegando che è Acciaierie d’Italia l’attuale gestore e quindi l’unico che può agire per ridurre le emissioni.
La missiva conferma gli allarmi lanciati nelle scorse settimane dalle associazioni ambientaliste sulla nuova emergenza benzene a Taranto: «L’intera rete di centraline di qualità dell’aria di pertinenza AdI Spa - si legge nella nota - ed il sistema di monitoraggio ad alta risoluzione temporale ottico-spettrale lungo tutto il perimetro dello stabilimento AdI hanno registrato un concomitante incremento delle concentrazioni di benzene».
Nel documento, infatti, Arpa riporta la media dei primi 11 mesi dell’anno scorso evidenziando che per la stazione «Tamburi Via Orsini» il valore medio delle rilevazioni tra gennaio e novembre 2022 è pari a 3,3 microgrammi per metro cubo ed è «superiore» alle medie annue dal 2019 fino al 2021. Nel 2019 infatti il valore medio era di 1,3 microgrammi per metro cubo, nel 2020 di 2,8 microgrammi per metro cubo e infine nel 2021 di 2,9 microgrammi per metro cubo. Un valore, com’è evidente, in costante crescita negli ultimi anni. La stessa situazione si può rilevare nella centralina «Tamburi Via Machiavelli»: 1,9 microgrammi per metro cubo nel 2022 rispetto allo 0,8 del 2019, a 1,7 del 2020 e del 2021.
I valori, ovviamente, diventano ancora più alti nelle misurazioni compiute dalle centraline all’interno della fabbrica: nei primi 11 mesi del 2022 la stazione Cokeria ha registrato un valore medio di 33,2 microgrammi per metro cubo: valore quasi doppio rispetto al 2019 (18,4 microgrammi per metro cubo), e superiore anche al 2020 (28,4) e 2021 (22,8). Anche la stazione di controllo posizionata nell’area Parchi minerali, quindi particolarmente vicina al caseggiato del quartiere Tamburi, ha raccolto un valore medio di 5,2 microgrammi per metro cubo, superiore alle medie annue del 2019 (1,4), 2020 (3,9) e 2021 (3,9).
Fondamentali, per comprendere la portata del fenomeno, sono due elementi. Il primo è che in Italia il «valore limite per un periodo di mediazione di un anno» è pari a 5 microgrammi per metro cubo: in questo caso solo una delle centraline - quella dei Parchi minerali - sarebbe al momento oltre il limite di legge. Il secondo elemento, invece, sono le preoccupazioni di carattere sanitario espresse dalla Asl di Taranto in una nota del 28 dicembre: «Il rispetto del valore limite annuale di 5 microgrammi per metro cubo fissato dal decreto legislativo 155/2010 non garantisce l’assenza di rischi per la salute umana, soprattutto in una popolazione, come quella dell’area di Taranto, esposta per anni ad importanti pressioni ambientali con numerose e documentate ricadute sullo stato di salute». Non solo.
L’Asl ionica ha ricordato che anche la Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, in merito al benzene ha chiarito che «non possono essere raccomandati livelli sicuri di esposizione» e che «sono necessarie azioni di sanità pubblica per ridurre l’esposizione al benzene nei lavoratori e nella popolazione generale». In sostanza anche il rispetto della legge non esclude danni alla salute di operai e cittadini. Una questione che sembra ripercorrere l’emergenza benzo(a)pirene del 2010 che finita poi nella maxi inchiesta «ambiente svenduto» che ha portato alle condanne nel 2021 per la famiglia Riva e la dirigenza di quella gestione aziendale. Per l’Asl di Taranto, quindi, l’obiettivo è che «si raggiunga nel più breve tempo possibile una netta riduzione delle emissioni di benzene al fine di tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori dell’acciaieria». Arpa Puglia, quindi, ha chiesto direttamente ai gestori, ritenuto dal testo unico per l’ambiente «l’unico responsabile degli eventuali danni arrecati a terzi o all’ambiente in conseguenza dell’esercizio dell’installazione» di agire immediatamente per ridurre le emissioni di benzene. La risposta, per ora, non è ancora arrivata.
Taranto, emergenza senza fine: l’ex Ilva riempie l’ambiente di benzene. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 17 gennaio 2023.
Nuovo allarme attorno all’ex Ilva di Taranto. A segnalare il pericolo è Arpa Puglia, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale, che in una nota del 5 gennaio destinata ad Acciaierie d’Italia, la società che gestisce la fabbrica e ai commissari straordinari, scrive: “Adottate tutti i possibili interventi per ridurre le emissioni di benzene”, sostanza chimica organica altamente nociva e classificata dall’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nel gruppo 1, tra le sostanze cioè con una sicura capacità di generare il cancro nell’uomo. Il monito, firmato dal direttore generale Vito Bruno, dal direttore scientifico Vincenzo Campanaro e dal direttore del dipartimento di Taranto Vittorio Esposito, specifica che “l’intera rete di centraline di qualità dell’aria e il sistema di monitoraggio lungo tutto il perimetro dello stabilimento hanno registrato un concomitante incremento delle concentrazioni di benzene», come nelle settimane scorse era già stato segnalato dalle associazioni ambientaliste della zona.
In particolare, il valore medio delle rilevazioni tra gennaio e novembre 2022 in zona stazione Tamburi, in Via Orsini (distante pochi chilometri dall’ex Ilva) è stata pari a 3,3 microgrammi per metro cubo. Una concertazione più alta rispetto agli 1,3 microgrammi per metro cubo del 2019, i 2,8 del 2020 e i 2,9 del 2021. Una quantità di benzene sopra la media è stata rilevata anche dalla stazione di controllo posizionata nell’area Parchi minerali, vicina al quartiere Tamburi: qui si sono sfiorati i 5,2 microgrammi per metro cubo, una cifra superiore alle medie annue del 2019 (1,4), 2020 (3,9) e 2021 (3,9). Considerando le valutazioni fatte invece all’interno della fabbrica, i dati sono ovviamente molto più alti. La centralina ha rilevato un valore medio di 33,2 microgrammi per metro cubo, quasi doppio rispetto del 18,4 del 2019 e comunque più alto dei 28,4 del 2020 e del 22,8 del 2021.
Il decreto legislativo 155/2010 stabilisce che la soglia di concentrazione di benzene – e di altre sostanze simili – come valore medio annuale non debba superare i pari a 5 microgrammi per metro cubo. Escludendo l’acciaieria, al momento sarebbe “fuori legge” solo una delle centraline – quella cioè dei Parchi minerali. Questo non rende il resto delle zone sicure e fuori pericolo, anche perché “il rispetto del valore limite annuale di 5 microgrammi per metro cubo non garantisce l’assenza di rischi per la salute umana, soprattutto in una popolazione, come quella dell’area di Taranto, esposta per anni ad importanti pressioni ambientali con numerose e documentate ricadute sullo stato di salute”, ha sottolineato l’Asl di Taranto in una nota del 28 dicembre. Preoccupazione espressa anche dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), per cui “sul benzene non possono essere raccomandati livelli sicuri di esposizione”.
Nulla di nuovo in fin dei conti, visto che il 31 maggio del 2021 la Corte d’Assise di Taranto ha già condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, processati nell’ambito dell’indagine “Ambiente Svenduto” per reati di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Con loro è stato condannato (a tre anni e mezzo di carcere) anche Nichi Vendola, ex presidente della Regione Puglia, accusato di aver fatto pressioni su Giorgio Assennato, ex direttore di Arpa Puglia, quando attorno all’Ilva alcuni inquinanti cancerogeni avevano superato i limiti imposti dalla legge.
È chiaro dunque che ad oggi l’obiettivo resta – di fatto non c’è nulla di nuovo – quello di “raggiungere nel più breve tempo possibile una netta riduzione delle emissioni per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori dell’acciaieria”. L’Istituto superiore di sanità dice che il benzene è particolarmente dannoso perché è in grado di insinuarsi rapidamente nei polmoni (entra nel nostro corpo per inalazione) e finisce per accumularsi nel tessuto adiposo, midollo osseo, sangue e fegato. L’intossicazione, che colpisce solitamente il sistema nervoso ed il cuore, non va sottovalutata: per l’Organizzazione Mondiale della Sanità inalare ogni giorno, per tutta la vita, 0.17 microgrammi per metro cubo di benzene, comporta un rischio pari a 1 su 1 milione di contrarre una malattia tumorale.
Uno dei motivi per cui nelle scorse settimane l’Europa ha deciso di destinare alle casse del nostro Stato più di un miliardo di euro – dei 17,5 totali a disposizione – nell’ambito del programma Just transition fund (JTF) 2021-2027 per “una transizione climatica giusta” di Taranto, con la sua Ilva (e del territorio del Sulcis, in Sardegna). Lo scopo è quello di aiutare il nostro Paese a riconvertire i territori maggiormente inquinati, non più finanziando colossi come l’Ilva, ma investendo su nuovi progetti green, portati avanti da piccole e medie imprese.
Benzene a Taranto, l'ex Ilva «accusa» l'Eni. La replica alla nota dell’Arpa: Emissioni anomale nel capoluogo ionico. La replica alla nota dell’Arpa: Emissioni anomale nel capoluogo ionico. Francesco Casula su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Gennaio 2023.
L’emergenza «benzene» a Taranto non è colpa di Acciaierie d’Italia, ma potrebbe provenire da altre fonti. Ad esempio dalla raffineria Eni. È quanto, in estrema sintesi ha risposto, il 17 gennaio scorso, Adi ad Arpa Puglia che il 5 gennaio scorso aveva inviato una nota nella quale imponeva alla fabbrica di adottare «tutti i possibili interventi correttivi di riduzione delle emissioni di benzene da parte dello stabilimento siderurgico». Come raccontato nei giorni scorsi dalla Gazzetta, l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale aveva individuato nell’ex Ilva la fonte di emissioni del benzene, pericolosa sostanza che «Iarc», l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha classificato come «cancerogeno certo per l’uomo». Nella lettera, Arpa aveva confermato che negli ultimi anni i valori di benzene registrati dalle centraline erano costantemente aumentate: per i tecnici della Regione Puglia, la sorgente di quei veleni sarebbe proprio l’ex Ilva, ma per i Gestori della fabbrica le cose non stanno affatto così. «Con la presente – scrive Acciaierie d’Italia – deve contestare fermamente tanto il fatto che l’aumento nei livelli di benzene sia attribuibile allo stabilimento siderurgico quanto...
Antonio Giangrande: ARCELORMITTAL. Una fonte di lavoro per impedire l'esodo e l'emigrazione.
I foraggiati dallo Stato la vogliono far chiudere. A loro non importa il risanamento. Nulla importa se ivi ci lavorano migliaia di giovani e, per questo, si mantengono migliaia di famiglie. Forse i pochi lavoratori che nel Sud Italia non sono sfruttati o pagati a nero. Nulla interessa se preme prima a quei lavoratori, che ivi ci lavorano, che l'industria siderurgica non inquini.
Chi è nato prima: il siderurgico o i Tamburi?
Come è possibile che si sia costruito a ridosso del siderurgico. Oppure. Come è possibile che si sia costruito in prossimità del quartiere di Taranto? Perchè ora non va più bene il siderurgico, motivo di tutti quegli interventi di edilizia popolare destinati proprio agli operai dello stabilimento. Perchè solo oggi si è rancorosi ai Tamburi, nonostante il siderurgico abbia dato lavoro ed abitazioni a costo agevolato a quegli operai ingrati che ora lo rinnegano?
Michele Riondino: «Il mio film sull'inferno dell'Ilva è scomodo. Anche per una certa sinistra». L'attore e attivista esordisce alla regia con "Palazzina LAF", film sugli ottanta operai mobbizzati dall'acciaieria e confinati in un edificio “manicomio”. «Mio padre è un ex operaio Ilva e seguo la vertenza da quando ho 15 anni. Ma per molti non avrei dovuto fare questa pellicola». Claudia Catalli su L'Espresso il 21 novembre 2023
La cultura operaia gli appartiene, l’ha sempre respirata in casa e ha deciso di farci un film. Si intitola “Palazzina LAF” il primo film da regista dell’attore tarantino Michele Riondino, racconto-denuncia di quel confino in fabbrica nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto che fu riconosciuto come il primo caso di mobbing d’Italia. Era il posto in cui 79 lavoratori altamente qualificati – ma considerati scomodi - nel 1997 furono demansionati e costretti a passare intere giornate senza fare nulla, in quello che in tribunale fu definito “una specie di manicomio”. Dal 30 novembre al cinema, lo vede calarsi nei panni del protagonista Caterino, un operaio ingenuo trasformato in spia dal dirigente aziendale (Elio Germano) al fine di individuare i lavoratori di cui liberarsi.
Questo film nasce da una vita spesa a protestare per le ingiustizie perpetrate a Taranto, dall’età di?
«Avevo 15 anni quando facevamo i primi scioperi e cortei (oggi ne ha 44, ndr). Dal 2012 partecipo in modo più continuativo come attivista e in tutti questi anni mi sono occupato della materia di vertenza dedicata a Taranto e all’acciaieria attraverso una serie di iniziative. Ho partecipato a diversi progetti legati alla protesta, tra concerti, interviste, dibattiti e documentari, ma non avevo ancora usato il mio linguaggio. Nel frattempo ho potuto raccogliere il materiale per raccontare una storia che avesse a che fare con la genesi del problema. Cioè quando a Taranto si è iniziato a considerare il profitto come unica legge, per mascherare poi l’abuso nei confronti dei lavoratori».
Lei è un operaio mancato?
«Se non fossi partito a 18 anni sarei entrato in fabbrica a sostituire mio padre nel reparto in cui lavorava».
Invece è partito, è diventato attore e adesso regista, pronto a battersi per gli operai e raccontarne la violenza del tempo “sospeso” nei così detti reparti lager.
«Prima che si sapesse cosa fossero, gli operai come mio padre, mio zio e gli amici di famiglia me ne parlavano come di un paradiso. Non avevano gli strumenti per capire il disagio di vivere un tempo sospeso come quello della Palazzina LAF, dove era vietato fare qualsiasi cosa che non fosse aspettare. I vigilantes sequestravano libri, giornali, carte da gioco, palle, tutto era proibito. Una tortura a tutti gli effetti, eppure è il tempo sospeso che la classe operaia vive ancora oggi: ci sono oltre quattromila lavoratori dell’Acciaieria in cassa integrazione, è una sorta di nuova Palazzina LAF, costretti anche loro a non poter fare nulla».
Suo padre ha visto il film? Come ha reagito?
«Non l’ha voluto vedere fino alla proiezione in sala alla Festa del Cinema di Roma, dove il film è stato presentato in anteprima. È rimasto molto colpito. Durante le riprese era sempre attento a farmi notare come fare un film su questo tema fosse rischioso per me e si accertava che raccontassi le cose in maniera giusta».
Che cosa c’era dietro a quel timore?
«Qualcosa che mi succede da anni ormai: c’è chi dice che io non possa parlare di Taranto. Certi lavoratori e sindacati mi consigliano di non occuparmi di un tema che per loro non conosco, mi ripetono: “Continua a fare cinema, non politica”. Ho deciso di realizzare questo film perché è il mio modo di fare politica nel mio linguaggio. Ora cosa possono dirmi, di non fare neanche cinema?».
Quanto le costa esporsi politicamente come attore?
«Non è facile, io non faccio attivismo per il gusto di farlo, o perché sia chissà quale fervente ambientalista, cosa che sono soprattutto per lasciare un mondo migliore a mia figlia. Sono figlio di operai e rivendico la cultura degli operai. Sono soddisfatto del mio percorso lavorativo, dico parecchi “No” e posso farlo. Certo se ai tempi di Gian Maria Volonté ci si accapigliava per le sceneggiature facendo a gara per firmare la più scomoda, oggi manca un tipo di cinema critico, scomodo. La politica stessa non è più scomoda, a sinistra c’è una sorta di pudore, imbarazzo e morbidezza che a destra non c’è. E il cinema è il riflesso della società che viviamo».
Se ci fosse una “Palazzina LAF” nel cinema ci si ritroverebbe dentro?
«Preferisco non pensarci, di sicuro sarei con Elio Germano anche lì, quindi in buona compagnia».
Ha voluto Germano in questo suo primo film, nei panni di un cinico dirigente. Com’è andata?
«Elio è stato il primo a leggere la sceneggiatura, insieme al regista Daniele Vicari. Sono due persone a cui tengo, che ne capiscono più di me e di cui avevo bisogno di sentire l’opinione. Appena letta la sceneggiatura è stato Elio a rendersi disponibile, convincendomi a interpretare Caterino».
Che cosa ha Caterino in comune con il suo Vincenzo Florio della serie “I Leoni di Sicilia”?
«Una forte ambizione, sono due uomini del Sud che provano a farcela, anche a scapito degli altri. Io sono meno ambizioso: ambisco solo a continuare a fare il mio lavoro, per il resto le sfide sono sempre con me stesso, non con gli altri».
Dopo sette anni di ricerche e lavoro il suo film sta per approdare in sala: è più forte l’emozione o la paura?
«Il timore è che possa essere facilmente boicottato: in tutti questi anni, quando ho avuto modo di raccontare la mia versione dei fatti, ho sempre incontrato ostracismo. Ho trovato muri e orecchie sorde anche nelle trasmissioni che tendono ad affrontare temi che mi sono vicini, a me, che sono di sinistra fin troppo. È un fatto: chi come me racconta Taranto in un determinato modo non viene ascoltato, le nostre verità sono scomode anche per una certa sinistra».
Il cinema italiano in compenso sta tornando politico, penso alla commedia “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi che sta sbancando al botteghino.
«Sono molto felice per Paola. Abbiamo girato i nostri film nello stesso periodo, ci sono coincidenze che mi fanno sorridere: entrambi sono film sul sociale, non vogliono essere drammatici a tutti i costi perché la realtà che raccontano è già drammatica e contengono immagini di repertorio. Si sentiva la mancanza di un cinema politico popolare: magari si tornasse a dire la propria e non aver paura di esporsi in Italia. Sarebbe bello che anche il mio film fosse visto, così da poterne firmare un altro ancora più scomodo».
Palombella (Uilm): “Morselli pensa di intimidirmi con denunce, ma non arretrerò mai per il bene dei lavoratori”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Settembre 2023
"Nonostante i momenti difficili e le fasi complicate, nessuna azienda si era mai permessa di denunciare le organizzazioni sindacali per una critica alla gestione. Per questo da oggi in poi sarò sempre più vicino ai lavoratori in una lotta incessante che non darà tregua all’azienda e a chi tace e permette questi atteggiamenti. Io non arretrerò mai, anzi continuerò più forte di prima per evitare un disastro ambientale, occupazionale e industriale senza precedenti”. ALL'INTERNO L'ORDINANZA INTEGRALE
“L’Amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, tramite una denuncia per diffamazione a seguito di una mia intervista al Quotidiano di Puglia del 6 maggio 2022, ha tentato e pensato di potermi intimidire e di tapparmi la bocca di fronte a una situazione pericolosa per la sicurezza, per l’ambiente, per l’occupazione che riguarda un’azienda strategica per il nostro Paese” dichiara in una nota Rocco Palombella, Segretario Generale Uilm.
“L’archiviazione decisa dal GIP del Tribunale di Taranto il 14 settembre scorso – continua Palombella – rappresenta una lezione di diritto e civiltà, e pone la critica sindacale, anche con toni aspri, come elemento fondamentale nella vita democratica di un Paese e all’interno delle aziende. Il 5 dicembre prossimo saranno 50 anni dalla mia assunzione all’ex Ilva di Taranto e da 13 anni ricopro il ruolo di Segretario generale ma non era mai successo nulla di simile.
“Nonostante i momenti difficili e le fasi complicate, nessuna azienda si era mai permessa di denunciare le organizzazioni sindacali per una critica alla gestione. Per questo da oggi in poi sarò sempre più vicino ai lavoratori in una lotta incessante che non darà tregua all’azienda e a chi tace e permette questi atteggiamenti. Io non arretrerò mai, anzi continuerò più forte di prima per evitare un disastro ambientale, occupazionale e industriale senza precedenti”. conclude Palombella.
Palombella affermava nell’intervista oggetto della querela archiviata che “il fatto che Mittal abbia messo come Amministratore delegato Lucia Morselli vuol dire solo una cosa: è la persona giusta per annientare lo stabilimento. Lo scopo era ed è ben preciso: loro, come gruppo, non erano capaci di fare questa cosa. Sanno fare utili, chiudere stabilimenti, ma per fare una operazione di completa disarticolazione come quella in corso a Taranto ci voleva una come Lucia Morselli”
Nell’ ordinanza del Gip Francesco Maccagnano del Tribunale di Taranto si legge che “l’ esercizio di critica sindacale può avvenire mediante espressioni volte alla disapprovazione dell’altrui operato e al biasimo di un datore di lavoro, anche con toni aspri e taglienti: ciò posto, a ben guardare, i toni adottati dal Palombella nell’intervista da lui resa all’epoca dei fatti per cui è procedimento appiano tutt’altro che gratuiti ed inutilmente umilianti; quella dell’indagato non è stato un ‘immotivato attacco sul piano personale’ nei confronti dell’odierna opponente e dell’intero management di AdI (Acciaierie d’ Italia – n.d.r.) ; tutte le parole da lui utilizzate sono state funzionali alla costruzione del giudizio critico da lui espresso“.
Il Segretario Generale Uilm Palombella, come riporta l’ordinanza, “non ha espresso un ‘giudizio valutativo’ in relazione alle qualità morali dell’odierna opponente; l’indagato, in altre parole, non ha inteso denigrare la persona di Lucia Morselli in quanto tale; le critiche mosse dal segretario generale della Uilm, infatti, si sono risolte esclusivamente in una personale ricostruzione e stigmatizzazione delle priorità e delle strategie manageriali adottate da Adi e dall’odierna persona offesa (…)“. Redazione CdG 1947
Mittal a Taranto non paga i fornitori, mentre si gode le vacanze in Italia sullo yacht da 300milioni di dollari! Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Agosto 2023
Lakshmi Mittal magnate dell’acciaio e numero uno di ArcelorMittal si gode le sue vacanze di fine agosto all' isola d' Elba, ben guardandosi dall' avvicinarsi alle coste pugliesi a bordo dello yacht “Alaiya” di sua proprietà
Mentre a Taranto le imprese dell’indotto dello stabilimento siderurgico ex Ilva “boccheggiano” non riuscendo a farsi pagare le proprie forniture da Acciaierie d’ Italia (ex Arcelor Mittal Italia) e l’azienda carica sulle spalle (e portafogli) dei contribuenti la cassa d’integrazione per migliaia di dipendenti, Lakshmi Mittal magnate dell’acciaio e numero uno di ArcelorMittal si gode le sue vacanze di fine agosto all’ isola d’ Elba, ben guardandosi dall’ avvicinarsi alle coste pugliesi a bordo dello yacht “Alaiya” di sua proprietà, lungo 111 metri che ha un costo di gestione oscillante fra i 20 ed i 25 milioni di dollari l’anno.
Lo yacht ALAIYA è una meraviglia del design di yacht di lusso, costruito dal cantiere tedesco Lussen nel 2019, misura 111 metri di lunghezza e vanta un raggio di 16 metri. Nel dicembre 2021, il miliardario indiano Lakshmi Mittal lo ha acquistato. La nave è registrata a una società denominata SKY HIGH BUILDINGS LTD., che è anche il legittimo proprietario del yacht AMEVI.
La stima del suo valore è di 300 milioni di dollari. Lo yacht è dotato di scafo in acciaio e sovrastruttura in alluminio, con un dislocamento di 4.500 tonnellate, con una velocità di crociera di circa 9 nodi, mentre si stima che la sua velocità massima superi i 18 nodi.
I servizi di lusso presenti sull’ Alaiya includono una piattaforma per elicotteri progettata per un Eurocopter 135, una grande piscina, una spa ispirata ad un resort con una spaziosa sauna e un balcone, un cinema ed è dotata di un’ascensore interno. Lo yacht completo di ascensore può ospitare fino a 18 ospiti. con una cabina dedicata all’ equipaggio composto da 38 persone.
Le foto in mare sono state scattate nella giornata di mercoledì 23 agosto dal fotografo da Ezio Cairoli quando lo yacht si trovava ancorato al largo della spiaggia della Biodola all’ Isola d’ Elba.
Redazione CdG 1947
Acciaierie d’Italia: profitto privato e debito pubblico per l’ex Ilva. Nel bilancio 2022 l’azienda dichiara 2 miliardi di debiti commerciali, i tre quarti nei confronti di società del gruppo, per lo più della stessa Arcelor Mittal. Il sindacato avverte: «Questa gestione consegna i profitti al socio privato e scarica sulle risorse pubbliche le perdite». Gloria Riva su L'Espresso il 7 Luglio 2023
Ingresso negato. Dri, che sta per Direct Reduced Iron, è una società pubblica in pancia a Invitalia appositamente creata per realizzare due impianti di preridotto – utili ad alimentare sia i forni elettrici dell’ex Ilva sia quelli delle acciaierie del Nord Italia – e così decarbonizzare il ciclo produttivo dell’acciaio. I tecnici della Dri dovrebbero entrare nel perimetro industriale di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva di Taranto, appunto, per effettuare i rilievi nelle zone in cui devono essere installati i due impianti (che dovrebbero essere alimentati a idrogeno, hanno un costo complessivo di un miliardo di euro e sono finanziati dal Pnrr). Ma Acciaierie d’Italia sta negando l’accesso ai tecnici della Dri. Un impedimento non da poco, perché senza una valutazione delle aree salta il processo di decarbonizzazione dell’acciaio italiano da avviare entro il 2026.
È questo, in concreto, l’effetto della triangolazione di missive al vetriolo scambiate a fine maggio tra il presidente di Acciaierie d’Italia, Franco Bernabè, e l’amministratrice delegata della stessa, Lucia Morselli, inviate all’azionista pubblico. Che, in teoria, ha messo i soldi per salire in maggioranza, in pratica si fa dettare la linea dall’azionista privato, ovvero il colosso franco indiano ArcelorMittal. E l’accesso negato non è neppure il problema più grave che attanaglia la più grande acciaieria d’Europa, la quale s’appresta a trascorrere un’estate infuocata fra udienze, sentenze e scadenze.
La cassa integrazione
Era il marzo 2022 quando la Uilm, per prima, si rifiutò di firmare la cassa integrazione straordinaria per tremila dipendenti. All’epoca il segretario dei metalmeccanici della Uil, Rocco Palombella, aveva mostrato all’ad Morselli l’accordo (l’unico) firmato nel 2018, nel quale – a fronte di un taglio complessivo della forza lavoro da 14.200 a poco più di diecimila dipendenti – si statuiva che lo stabilimento di Taranto – che prima dell’inchiesta giudiziaria “Ambiente Svenduto” aveva una capacità produttiva di 10 milioni di tonnellate – avrebbe prodotto sei milioni di tonnellate, garantendo il lavoro a 8.178 persone. Insomma, Palombella aveva chiesto di tenere fede ai patti e di tornare a produrre acciaio, visto che il mercato italiano lo richiedeva.
Ora anche Fim e Fiom hanno capito che qualcosa non torna nello schizofrenico ricorso alla cassa integrazione straordinaria. In particolare, a inizio maggio Morselli, nominata da ArcelorMittal, ha dapprima annunciato l’arrivo di 60 milioni di nuovi ordini in concomitanza con la ripartenza dell’altoforno 2 e subito dopo ha richiesto un’ulteriore tranche di cassa integrazione straordinaria in deroga per 2.500 dipendenti, coinvolgendo non solo la sede di Taranto, ma anche gli impianti di laminazione di Genova e Novi Ligure. «L’assenza di chiarezza da parte dell’attuale management, in merito agli assetti produttivi e alla destinazione dei prodotti semilavorati che derivano dagli aumenti produttivi, genera una situazione allarmante, visto che, di fatto, vi è un utilizzo anomalo della cassa integrazione anche negli stabilimenti del Nord. Tutto fa pensare a una gestione che consegna i profitti al socio privato e scarica sulle risorse pubbliche le perdite», ha dichiarato Roberto D’Andrea della Fiom Cgil.
La situazione è quindi precipitata: anche Fim e Fiom hanno deciso di non firmare la cassa integrazione e, con un rimpallo di responsabilità, la Regione Puglia ha alzato le mani, affermando di non avere più poteri (e neppure le risorse) per finanziare l’ammortizzatore sociale. È stato necessario l’intervento del Consiglio dei ministri che, la settimana scorsa, ha inserito nell’ultimo decreto legge una norma ad hoc per garantire ai 2.500 dipendenti ex Ilva il paracadute sociale fino alla fine dell’anno.
I conti
La questione cassa integrazione scarica sull’attuale governo, e in particolare sul ministro per le Imprese, Adolfo Urso, un’ulteriore dose di responsabilità perché «non c’è un piano di rilancio, non c’è un piano industriale, non c’è neppure una situazione di crisi nazionale o internazionale del settore dell’acciaio: quindi non è possibile giustificare la cassa integrazione», per dirla con le parole del sindacalista Uilm Davide Sperti che stima in 15 miliardi di euro il costo per le casse pubbliche degli ammortizzatori sociali e della decennale procedura di salvataggio dell’ex Ilva. È allora chiaro perché il ministro Urso abbia una certa fretta di salire in maggioranza, sostituire la governance di Acciaierie d’Italia, avviare il processo di decarbonizzazione, ultimare il piano ambientale per la messa in sicurezza del sito, ottenere quindi il dissequestro degli impianti e, infine, fare spazio a nuovi azionisti: alla finestra ci sono Arvedi e Marcegaglia interessati a una quota di minoranza del 20 per cento. Facile a dirsi, quasi impossibile a farsi: in realtà, l’azionista pubblico, con un finanziamento da 680 milioni di euro (che segue a una prima tranche da 400 milioni), avrebbe già i numeri per essere il socio di maggioranza, ma, finché non sarà concluso il piano ambientale, la magistratura non consentirà il dissequestro degli impianti e, quindi, gli stessi non potranno essere acquistati dallo Stato. Una situazione contorta che, da contratto, dovrebbe risolversi nella primavera del 2024. Ma alla luce degli innumerevoli fronti aperti, Urso ha fretta di portare lo Stato in maggioranza prima di quella data: «Siamo arrivati al momento decisionale», ha detto.
Del resto, anche i numeri del bilancio 2022 mostrano una palese intenzione di tenere il freno a mano tirato in AdI: in un anno record per ArcelorMittal e per la siderurgia nazionale e internazionale, la società con base a Taranto ha prodotto 3,5 tonnellate d’acciaio, ben al di sotto del vincolo delle sei tonnellate imposto, mentre lo spedito è a quota 3,2 milioni, meno dei 3,7 dell’anno precedente. Paradossalmente sembra che i ricavi aumentino (dai 4,6 miliardi del 2021 a 5,4 miliardi), ma solo perché il costo dell’acciaio è lievitato. Per far fronte al «fabbisogno di cassa derivante dal finanziamento del circolante», è scritto nel bilancio, l’azienda non punta tanto all’aumento della produzione e della vendita di bramme d’acciaio, piuttosto intende ricorrere a «misure pubbliche», «anche alla luce delle previsioni contrattuali definite nell’ambito degli accordi tra i soci della controllante». Detto altrimenti, come già avvenuto in passato, i 680 milioni sganciati dallo Stato rischiano di servire per fa fronte alla carenza di liquidità anziché per il rilancio. Una situazione ancor più paradossale se si considera che, dei due miliardi di debiti commerciali, i tre quarti (1,438 miliardi) sono nei confronti di società del gruppo, per lo più della stessa ArcelorMittal, con un peso in crescita di 200 milioni rispetto all’anno precedente. Un’interdipendenza che potrebbe approfondirsi nel 2023, visto che gli stop dell’altoforno A a Gijón, in Spagna, e dell’altoforno 4 a Dunkerque, in Francia, potrebbero aver spinto ArcelorMittal ad aumentare la produzione di bramme a Taranto.
«L’elevato uso di cassa integrazione nei laminatoi fa pensare che la lavorazione del materiale grezzo sia avvenuta in impianti di ArcelorMittal collocati altrove», spiegano i rappresentanti dei lavoratori, invitando quindi l’azionista pubblico ad aprire gli occhi sul possibile abuso di cassa integrazione.
Le scadenze ambientali
A questo si aggiungono i problemi ambientali e giudiziari. Il sindaco della città di Taranto, Rinaldo Melucci, il 22 maggio scorso ha emanato un’ordinanza di chiusura degli impianti perché le centraline di Arpa Puglia hanno evidenziato livelli elevati di benzene. L’azienda si è rivolta al Tar Lazio, sostenendo che AdI è una società di interesse nazionale, ma i giudici amministrativi hanno stabilito che siano i colleghi di Lecce a decidere. Quindi il Tar della città pugliese ha momentaneamente sospeso l’ordinanza di chiusura del sindaco e fissato per il 13 luglio l’udienza decisiva. Come andrà a finire? La storia sembra un film già visto: nel 2020 lo stesso sindaco aveva ordinato la chiusura per emissioni inquinanti fuori norma, il Tar di Lecce aveva confermato l’ordinanza, che era stata impugnata dall’azienda, e sei mesi dopo il Consiglio di Stato aveva bocciato la decisione del tribunale amministrativo. Ma in quei sei mesi ogni decisione sul futuro dell’Ilva era stata congelata.
L’attuale preoccupazione è che si replichi quella situazione di stallo. A ciò si aggiunge il ritardo di Acciaierie d’Italia nel completamento delle opere di ambientalizzazione, cioè l’Aia: nel 2017 il legislatore aveva dato tempo fino al 23 agosto 2023 per ultimare il piano ambientale. A oggi mancano alcune bonifiche, come il trattamento delle acque meteoriche dell’area a caldo e gli interventi al porto. L’ordinanza comunale e i ritardi dell’Aia allontanano la possibilità che la magistratura esprima un parere favorevole al dissequestro degli impianti, rendendo più complicata la cessione all’azionista pubblico.
L’acciaio pulito in ritardo
Si allungano anche i tempi per la decarbonizzazione. Con due norme distinte, lo Stato ha assegnato a Dri il compito di eseguire gli impianti di preridotto, ma, nonostante questo, l’ad Morselli intende realizzarli per proprio conto. E, di fatto, ha bloccato la fase di analisi e studio preliminare. Va così in fumo il piano di avviare a luglio gli appalti per il preridotto, da installare entro il 2026 a carico del Pnrr. Visto il ritardo, il governo potrebbe decidere di finanziare il piano di decarbonizzazione attraverso il Fondo Sviluppo e Coesione per evitare di perdere i soldi del Pnrr. Il rischio è di veder allungare a dismisura i tempi di realizzazione dell’impianto. Per chi a Taranto vive e per chi all’ex Ilva lavora la notizia è stata fonte di sconforto: perché ogni tentativo di migliorare la situazione in quel pezzo di Puglia sembra sempre finire nel vuoto.
Taranto, Acciaierie d'Italia ottiene ok certificazione energetica: «Risultato importante». Si aggiunge alle altre già ottenute che riguardano la responsabilità sociale, la qualità, la sicurezza, l’ambiente, l'energia e la formazione. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 4 Aprile 2023
Acciaierie d’Italia ha ottenuto la certificazione energetica che specifica i requisiti per «stabilire, implementare, mantenere e migliorare un sistema di gestione dell’energia», superando positivamente tutte le verifiche dell’ente certificatore, IGQ - Istituto Italiano di Garanzia della Qualità, dopo un iter iniziato nel luglio dello scorso anno. Lo rende noto la stessa azienda, spiegando che «la certificazione del sito produttivo tarantino, che, per dimensioni e caratteristiche, si configura come il più complesso d’Italia dal punto di vista energetico, costituisce un importante risultato. L’attività siderurgica è una delle attività industriali più energivore e Acciaierie d’Italia è impegnata nella ricerca di soluzioni che la rendano sempre più sostenibile».
All’interno dello stabilimento pugliese sono presenti due centrali termoelettriche per la produzione di energia, funzionanti in massima parte con i gas siderurgici prodotti dallo stabilimento in un ciclo combinato co-generativo, che consentono un risparmio di circa 1 miliardo di m3 di gas naturale l’anno. La certificazione «ISO 50001» conseguita si aggiunge alle altre già ottenute dallo stabilimento tarantino che riguardano la responsabilità sociale, la qualità, la sicurezza, l’ambiente, l'energia e la formazione.
SINDACATI: TUTELARE LAVORATORI IN AS
«Compito del sindacato è unire i lavoratori. L’accordo sulla proroga della cassa integrazione straordinaria firmato da altre organizzazioni sindacali accetta che i 1600 operai di Ilva in As restino fuori dal perimetro aziendale. Per noi è gravissimo. Poi i 2500 lavoratori sociali in Cigs sono potenziali esuberi strutturali e altri potrebbero aggiungersene per la transizione ecologica e non va dimentica la situazione drammatica dell’indotto-appalto. Noi non ci stiamo e insieme ai lavoratori vogliamo decidere il percorso da intraprendere, anche ricorrendo a forme di mobilitazione».
Lo ha detto il segretario generale della Uilm di Taranto a margine dell’assemblea organizzata dalla stessa Uilm e dall’Usb con i lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria. I due sindacati non hanno firmato, a differenza di Fim, Fiom, Ugl Metalmeccanici e Fismic, l’accordo sulla proroga della cassa integrazione straordinaria per 3mila lavoratori in tutti i siti del gruppo, di cui 2500 a Taranto, partita il 28 marzo.
«Acciaierie d’Italia - ha spiegato Sperti - ha dichiarato che l'accordo di marzo 2020, tra ArcelorMittal e Commissari di Ilva, ha cancellato la salvaguardia occupazionale e il rientro a lavoro dei 1.600 lavoratori in As. Una scelta che non accetteremo mai perché l’accordo del 6 settembre 2018 non può essere cancellato con una dichiarazione al tavolo». Per Francesco Rizzo dell’Esecutivo confederale Usb «questa è la logica della follia politica tutta italiana. C'è un accordo in essere, che per noi è valido ed è quello del 2018 che prevedeva a partire da agosto il rientro di questi lavoratori. Abbiamo chiesto immediatamente un incontro al Ministro delle imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, perchè bisogna garantire questi lavoratori e siamo pronti alla mobilitazione».
Ennesima provocazione-vergogna della Morselli ai lavoratori ex Ilva: nel logo della comunicazione con cui comunica la cassa integrazione, una sdraio e un sole. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 6 Aprile 2023
Rocco Palombella (segretario generale UILM) critica le modalità di invio della comunicazione ricordando che arriva da parte di un’azienda che ha nel suo azionariato un socio statale , e alla quale lo Stato a gennaio ha erogato un finanziamento di 680 milioni di euro all’azienda guidata da Lucia Morselli, che è espressione esclusivamente del socio privato ArcelorMittal
Acciaierie d’Italia ha comunicato la proroga della cassa integrazione straordinaria inserendo una sdraio e un sole nel logo della comunicazione presente all’interno del portale con cui l’azienda comunica con i dipendenti . Con un chiaro riferimento che si tratti di una vacanza “pagata” durante la quale i dipendenti dell’ex Ilva percepiscono circa il 60% del loro stipendio. Un affronto vergognoso, secondo Rocco Palombella segretario generale della Uilm, che ha deciso di scrivere una lettera al governo e al socio statale dell’ex Ilva sottolineando che la vicenda “non ha precedenti nella storia sindacale, non solo italiana” e che è “ancora più grave” tenendo conto del “presunto ruolo” dei sindacati e la “presenza dello Stato nel capitale sociale”.
Il segretario generale Rocco Palombella da noi contattato telefonicamente commenta l’accaduto come un fatto “offensivo e irrispettoso nei confronti dei lavoratori e delle proprie famiglie, che da oltre dieci anni rivendicano il diritto al lavoro e a uno stipendio dignitoso, oltre al diritto alla salute e alla sicurezza”.
Palombella spiega nella lettera trasmessa alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai ministri Marina Elvira Calderone (Lavoro) Giancarlo Giorgetti (Economia e finanze), Adolfo Urso (Made in Italy) , nonché a Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Invitalia , società utilizzata dal Mef (ministero Economia e finanze) per rientrare nell’ex Ilva, aggiungendo di aver “fatto fatica a credere all’immagine che accompagnava la comunicazione” scrivendo: “Da tempo la Uilm si batte per interrompere una situazione insostenibile che dura ormai da oltre dieci anni, che vede come vittime principali i lavoratori e i cittadini, in modo particolare quelli di Taranto. Da due anni anche lo Stato è diventato complice di questa situazione, dopo l’ingresso nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia attraverso Invitalia”.
Il segretario generale della UILM ha chiesto un incontro al ministro Urso “nel più breve tempo possibile” . La Uilm ricorda come l’azienda (ex Arcelor Mittal Italia, ora Acciaierie d’ Italia) faccia ricorso dal 2019 alla cassa integrazione per migliaia di lavoratori “senza una giustificazione valida” in quanto “l’alibi dei limiti produttivi a 6 milioni di tonnellate annue stabiliti dalla magistratura, non sussiste poiché lo stabilimento ionico (sotto la gestione Arcelor-Morselli n.d.r.) non è mai riuscito a raggiungerli”, propducendo poco più di tre milioni di tonnellate nel 2022 . E come lo scorso anno la cassa integrazione sia stata richiesta per riorganizzazione aziendale “senza alcun piano industriale” e “senza una programmazione degli investimenti necessari”, e nonostante il rifiuto delle condizioni da parte dei sindacati il ministero del Lavoro “concesse la cassa integrazione straordinaria per un anno”.
Attualmente uno dei tre altoforni risulta spento, e quindi inattivo, mentre le previsioni aziendali ipotizzano una produzione che non supererà i 4 milioni di tonnellate. “Ovviamente le perdite economiche sono certificate” avvisa Palombella “poiché l’equilibrio finanziario è previsto solo a partire dai sei milioni di tonnellate“, che evidenzia come la proroga della cassa integrazione straordinaria sia stata sottoscritta con il ministero del Lavoro lo scorso 29 marzo, per 3mila lavoratori “senza i presupposti previsti dalla legge” , l’accusa il segretario generale dei metalmeccanici Uil, che “si è fatto promotore di una trattativa inconcepibile”, in cui “ha artatamente creato la maggioranza che ha sottoscritto l’accordo, comprendendo organizzazioni sindacali che non hanno alcuna rappresentanza aziendale”.
Palombella conclude criticando le modalità di invio della comunicazione ricordando che arriva da parte di un’azienda che ha nel suo azionariato un socio statale , e alla quale lo Stato a gennaio ha erogato un finanziamento di 680 milioni di euro all’azienda guidata da Lucia Morselli, che è espressione esclusivamente del socio privato ArcelorMittal: “La Uilm continuerà a denunciare in ogni sede e con tutti gli strumenti a disposizione questa situazione di inaudita gravità e sollecita tutte le istituzioni a intervenire e prendere i necessari provvedimenti”. Redazione CdG 1947
Ex Ilva, un altro processo a giudizio l’ex direttore: troppo biossido di zolfo. Si tratta di uno degli episodi di emissioni anomale che portò il sindaco Melucci a firmare un’ordinanza contro la fabbrica. Fu un consigliere comunale di opposizione a firmare l’esposto. FRANCESCO CASULA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Marzo 2023.
Inizierà il prossimo 4 luglio il processo nei confronti dell’ex direttore dello stabilimento ex Ilva di Taranto, Loris Pascucci, accusato di getto pericoloso di cose per l’emissione oltre le soglie consentite di biossido di zolfo. È stato il pubblico ministero Filomena Di Tursi a firmare la citazione diretta a giudizio.
L’inchiesta, partita dopo la mozione presentata in consiglio comunale dal consigliere Massimo Battista, riguarda fatti avvenuti a febbraio 2020, quando secondo l’accusa dalla fabbrica, gestita all’epoca da Arcelor Mittal, si sarebbe sprigionata una nube di gas composta appunta da biossido di zolfo, sostanza conosciuta anche come anidride solforosa, che secondo quanto si legge nell’atto di accusa avrebbe «recato molestie alle persone abitanti nelle vicinanze».
In sostanza è uno di quegli episodi tristemente noti a chi vive al quartiere Tamburi e in altre zone della città: un improvviso e pungente odore di gas avvolge improvvisamente la parte del territorio che si trova sottovento rispetto all’ex Ilva costringendo molti a barricarsi in casa. Il gas, infatti, a basse concentrazioni è irritante per gli occhi e per il tratto superiore delle vie respiratorie, ma a concentrazioni superiori può dar luogo a irritazioni delle mucose nasali, bronchiti e malattie polmonari.
Le indagini condotte dalla procura, evidentemente, hanno puntato il dito verso l’acciaieria che ora dovrà comparire in aula: sarà infatti il giudice Chiara Panico a dover valutare se nella vicenda vi siano o meno delle responsabilità penali dell’allora direttore Pascucci, difeso dall’avvocato Vincenzo Vozza.
L’episodio che a luglio sarà al centro del dibattimento penale, è uno di quelli che convinse di lì a poco il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, a firmare l’ordinanza di spegnimento dei sei reparti dell’area a caldo: un provvedimento che trovò conferma nel procedimento dinanzi al Tar di Lecce e che poi fu neutralizzato dal Consiglio di Stato...
Taranto, l’ex Ilva continuerà a inquinare con denaro pubblico: approvato lo scudo penale. Stefano Baudino su L'Indipendente il 2 Marzo 2023.
Il Parlamento ha approvato oggi in via definitiva il decreto legge Ilva con 144 voti a favore, 103 contrari e 16 astenuti. Ieri la Camera dei Deputati aveva confermato la fiducia all’Esecutivo sul testo, passato in prima lettura al Senato. Il decreto consente lo stanziamento da parte dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo – di proprietà del Ministero dell’Economia – di 680 milioni ad Acciaierie d’Italia (nome del nuovo impianto di Taranto) come anticipazione dell’aumento di capitale previsto per il 2024. Il versamento permetterà da un lato di garantire la continuità della produzione dello stabilimento, dall’altro consentirà di pagare i fornitori dell’energia, ovvero le aziende pubbliche Eni e Snam. Per mezzo di Invitalia, oggi lo Stato italiano possiede il 32% del capitale, ma la quota supererà la maggioranza a maggio 2024: con questa mossa, lo Stato potrà dunque ampliare in anticipo la propria presenza all’interno dell’azienda, mantenendo al contempo rapporti con i soci privati.
La norma reintroduce inoltre lo “scudo penale” – revocato dal ministro Luigi Di Maio nel governo Conte I – che garantisce ai soggetti che agiscono al fine di dare esecuzione ai provvedimenti che autorizzano la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale di non essere puniti. Il discorso vale per sanzioni interdittive, misure cautelari e sequestro preventivo (nel qual caso si prevede che l’attività prosegua con la nomina di un amministratore giudiziario). Sul punto sono insorte le forze politiche di opposizione, con forti critiche da parte di Verdi e Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle e Pd. Nel decreto è anche inserita la proroga dell’esclusione della responsabilità amministrativa derivante da reati della persona giuridica Ilva, nonché della responsabilità penale o amministrativa di commissario straordinario, affittuario o acquirente e dei soggetti funzionalmente delegati per il periodo di vigenza del Piano Ambientale (dunque fino al prossimo 23 agosto).
Il testo contiene anche altre norme importanti, come quelle sul commissariamento: l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria, per le imprese che hanno il controllo di impianti di interesse strategico nazionale, potrà infatti avere luogo su richiesta del socio pubblico che ne controlli almeno il 30 per cento in modo diretto o indiretto.
Il primo intervento della magistratura sulla questione Ilva ha avuto luogo nel 2012, quando la procura di Taranto ordinò il sequestro degli altiforni, valutati come altamente inquinanti. Dall’anno successivo, in seguito al decreto di commissariamento approvato dal governo, la capacità produttiva degli impianti dell’acciaieria (che non hanno realmente mai smesso di funzionare) si è ridotta; al contempo, si è cercato di mettere mano a programmi per il risanamento degli ambienti. Poi, nel 2018, è intervenuto l’acquisto dello stabilimento del colosso dell’acciaio franco-indiano Ancelor Mittal, che avrebbe dovuto risanare l’azienda ma che ha fallito nell’impresa. Di qui la necessità di un massiccio intervento dello Stato. [di Stefano Baudino]
Decreto Ex Ilva confermato alla Camera: cosa contiene il decreto, non solo lo scudo penale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 2 Marzo 2023
ESCLUSIVA! L ’audit svolto per INVITALIA dalla multinazionale della revisione KPMG , nonostante l’ostracismo e la minima collaborazione ricevuta dal vertice e management di Arcelor Mittal Italia
L’assemblea parlamentare della Camera dei Deputati ha confermato oggi la fiducia al Governo sul decreto legge Ilva con 194 voti a favore, 138 contrari e quattro astenuti. Adesso l’aula passerà all’esame degli ordini del giorno sul testo, che verranno votati domani, quando è previsto si tenga il voto finale e definitivo sul provvedimento.
Il decreto legge consente il versamento da parte di Invitalia ad Acciaierie d’Italia di 680 milioni sotto forma di anticipazione dell’ aumento di capitale previsto per il 2024 quando la governance dell’ azienda sarà controllata dallo Stato e molto probabilmente l’attuale Ad Lucia Morselli (nominata da Arcelor Mittal) dovrà trovarsi un altro lavoro. Lo stanziamento pubblico consentirà di assicurare la continuità della produzione dello stabilimento siderurgico di Taranto e per pagare i fornitori dell’energia, e cioè ENI e SNAM (entrambe aziende pubbliche n.d.r.) . Nel testo sono presenti anche norme sul cosiddetto commissariamento: l’ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria per le imprese che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale come appunto l’ex-ILVA di Taranto potrà avvenire su richiesta del socio pubblico che detenga direttamente o indirettamente almeno il 30 per cento.
Reintrodotto il cosiddetto “scudo penale”, che era stata revocato dal ministro Di Maio consentendo ad Arcelor Mittal la possibilità di sfuggire all’investimento che doveva garantire per acquisire la totale proprietà del Gruppo ILVA, e che adesso con il suo reintegro garantisce la non punibilità della condotta dei soggetti che agiscono per dare esecuzione ai provvedimenti che autorizzano la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale. È quindi prevista la restrizione dell’ambito di applicazione delle sanzioni interdittive, delle misure cautelari e del sequestro preventivo per consentire la prosecuzione dell’attività delle imprese di interesse strategico nazionale; nonché, in caso di sequestro, la previsione che l’attività prosegua con la nomina di un amministratore giudiziario.
Infine il decreto contiene la proroga per il periodo di vigenza del Piano ambientale (23 agosto 2023) della esclusione sia della responsabilità amministrativa (derivante da reati) della persona giuridica Ilva sia della responsabilità penale o amministrativa di commissario straordinario, affittuario o acquirente e dei soggetti funzionalmente delegati. Altre misure, introdotte in prima lettura, riguardano i compensi degli amministratori straordinari delle grandi imprese in crisi e degli amministratori giudiziari.
Il CORRIERE DEL GIORNO è in grado di documentare l’audit svolto per INVITALIA dalla multinazionale della revisione KPMG , nonostante l’ostracismo e la minima collaborazione ricevuta dal vertice e management di Arcelor Mittal Italia (ora diventata Acciaierie d’ Italia) . Nella relazione della KPMG infatti si legge testualmente: “Portiamo alla Vostra attenzione le significative limitazioni alle informazioni rese a noi disponibili. Il set di informazioni fornito non corrisponde agli standard che mediamente troviamo in lavori di due diligence con simili complessità. Non abbiamo avuto accesso al management e personale del reparto amministrazione, finanza e controllo di AM Investco Italy S.p.A. (cioè Arcelor Mittal Italia n.d.r.) . Le informazioni forniteci dal management sono state limitate a quelle rese a noi disponibili presso la data room virtuale allestita dal venditore con informazioni selezionate come descritto meglio nelle pagine seguenti. Poiché lo scopo del lavoro da noi svolto è diverso da una revisione contabile, non possiamo esprimere e non esprimiamo alcun giudizio professionale sui dati a noi forniti e presentati in questo documento“.
Nella dichiarazione di voto sul Decreto Ilva il deputato di Fratelli d’Italia Dario Iaia ha detto che “Pd e M5s per onestà intellettuale dovrebbero spiegare che stanno votando contro il Decreto che stanzia sino ad 1 miliardo di euro per immettere liquidità’ in un’impresa che, diversamente, sarebbe destinata al fallimento. Dovrebbero spiegare ai lavoratori ed alle imprese che senza questo provvedimento il loro futuro certo è la disoccupazione e quello delle loro famiglie e dei loro figli è la disperazione. Con il decreto che ci apprestiamo ad approvare la società’ Acciaierie d’Italia può ricevere i primi 680 milioni di euro essenziali per consentire all’impresa di avere la liquidità necessaria per far fronte al caro energia ed al pagamento delle aziende dell’indotto. Il decreto introduce poi un altro aspetto importante, rappresentato dal porre un limite ai compensi degli amministratori straordinari condizionati anche ai risultati raggiunti. In ordine all’art. 7 (responsabilità penale) abbiamo sentito di tutto, sino alla idiozia giuridica di essere accusati di avere ripristinato il «diritto di uccidere». Anche in questo caso ci troviamo di fronte a vili strumentalizzazioni che nulla hanno a che vedere con lo spirito ed il dettato della norma. Si tratta di una norma che tutela chi esegue il piano ambientale e di buonsenso perchè fondamentale al fine di garantire coloro i quali intendano investire nell’acciaieria ex Ilva che ricordiamo è’ un’impresa di interesse strategico nazionale“. Redazione CdG 1947
Il sistema dell’ acciaio in Italia è salvo. Bloccate le iniziative "politicizzate" della solita magistratura. Arrivano i fondi per salvare l’ex-Ilva a Taranto. Redazione CdG 1947 su il Corriere del Giorno il 22 Febbraio 2023
E' stato doveroso introdurre l’immunità penale, al fine di garantire un bilanciamento tra le esigenze di continuità produttiva e la tutela della salute e dell’ambiente. Bilanciamento che si colloca nel senso indicato dalla Costituzione e dal giudice delle leggi: è così che perseguiremo l’obiettivo del rilancio dell’industria pesante e della qualità riconosciuta all’estero dell’acciaio made in Italy, la stabilità occupazionale e, non per ultimo, la serenità che Taranto aspetta da troppo tempo
L’aula di Palazzo Madama sede del Senato della Repubblica ha approvato con 78 voti favorevoli, 57 contrari e 7 astenuti il decreto che introduce misure urgenti per gli impianti di interesse strategico nazionale, meglio noto come ex Ilva. Il provvedimento passa adesso alla Camera per l’approvazione definitiva e la conversione in legge entro il prossimo 6 marzo.
Grazie al decreto adottato lo scorso 5 gennaio, sarà possibile trasferire per il tramite di Invitalia 680 milioni di euro ad Acciaierie d’Italia (ex Arcelor Mittal Italia ), un prestito ponte per coprire gli ingenti debiti prodotti dalla gestione del gruppo Arcelor Mittal, in particolar modo sotto la tormentata e contestata gestione dell’ amministratore delegato Lucia Morselli (in quota Arcelor Mittal Europe) ed evitare di portare i libri in tribunale, oltre a sostegni a favore di altre aziende strategiche.
Di fatto è stato reintrodotto una sorta di "scudo penale" che impedirà, da parte dell’autorità giudiziaria, "sanzioni interdittive" che possano pregiudicare la "continuità dell’attività" svolta negli stabilimenti considerati di interesse strategico nazionale. Lo scudo scatterà solo se saranno eliminate "le carenze organizzative" che hanno determinato il reato.
Era stato proprio l’eliminazione di questo "scudo" , previsto dal contratto di aggiudicazione che vide prevalere la cordata guidata dalla multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal sui concorrenti del gruppo indiano Jindal (che all’epoca della gara era guidato proprio dalla Morselli) , che aveva consentito ad Arcelor Mittal di poter impugnare il contratto di aggiudicazione ed affitto degli stabilimenti siderurgici ex Ilva di Taranto e Genova, sottraendosi all’impegno contrattuale di investire oltre 4 miliardi di euro. Una decisione politica quella di revoca dello scudo, presa da quell’incompetente ed incapace, industrialmente e legalmente parlando, di Luigi Di Maio, all’epoca al vertice del M5S.
Il senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, ha affermato e spiegato che "Con il decreto Ilva vogliamo garantire la sopravvivenza del colosso industriale della siderurgia italiana e l’occupazione, coniugandola con la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini di Taranto. L’attività del sito industriale è strategica per il nostro Paese. E questo può giustificare il ricorso a norme eccezionali, come quelle previste dal cosiddetto scudo penale, che derogano dai principi generali dell’ordinamento e, come tali, non potranno essere estese ad altre fattispecie. E’ evidente che al governo non ci sono irresponsabili. Si tratta in questo caso di tutelare un interesse prevalente, consentendo agli amministratori dell’Ilva di operare con serenità nel rispetto della legge". "L’auspicio – ha concluso – è che questo decreto possa contribuire anche, in maniera efficace e definitiva, a quel risanamento ambientale del sito produttivo di Taranto che è atteso da troppi anni".
A sostenere con forza che "il provvedimento non metterà fine all’annosa questione dell’ex Ilva di Taranto" ma "rappresenta un primo impegno in tal senso del governo" è invece Vita Maria Nocco senatrice pugliese di Fratelli d’Italia . "Obiettivo immediato – dice – è garantire la stabilità degli occupati per non bloccare la produzione. Del resto, la riconversione di un’azienda è possibile soltanto se l’azienda è ancora in piedi. Per questo rispondo a chi accusa l’esecutivo di aver iniettato l’ennesimo fondo per salvare ArcelorMittal, che purtroppo i debiti ci sono. Ed è stato inoltre doveroso introdurre l’immunità penale, al fine di garantire un bilanciamento tra le esigenze di continuità produttiva e la tutela della salute e dell’ambiente. Bilanciamento che si colloca nel senso indicato dalla Costituzione e dal giudice delle leggi: è così che perseguiremo l’obiettivo del rilancio dell’industria pesante e della qualità riconosciuta all’estero dell’acciaio made in Italy, la stabilità occupazionale e, non per ultimo, la serenità che Taranto aspetta da troppo tempo".
Hanno votato contro il decreto ex Ilva, il gruppo del M5s e quello del Pd, che hanno dimenticato che se si è arrivati a questo punto, è responsabilità dei precedenti governi, che sono stati incapaci di trovare delle soluzioni reali e concrete.
Il governatore pugliese Michele Emiliano è intervenuto sull’argomento a margine della prima tappa del roadshow ideato da Edison Next e Regione Puglia durante il quale a Bari sono stati presentati i risultati dello studio "Le opportunità di decarbonizzazione della Puglia". "Con il ministro Urso dialogo direttamente – ha aggiunto – anche il presidente del Consiglio Meloni sta seguendo questa questione direttamente. Immagino mi ascoltino, ma sono molto cauto perché l’unico premier che ha dato una svolta vera al processo di decarbonizzazione e alla realizzazione della hydrogen valley in Puglia è stato Draghi". "Evidentemente – ha aggiunto Emiliano – in questo governo, che pure era all’opposizione di Draghi, c’è moltissimo del precedente esecutivo. Mi auguro che questa determinazione del ministro Urso e della premier Meloni, al di là della posizioni ideologiche, sia autentica".
"Speriamo che sia il primo passo per un vero rilancio dell’acciaio e per una ripartenza dello stabilimento di Genova, che dipende ovviamente dalla produzione di Taranto. Speriamo soprattutto che porti investimenti a Cornigliano e dunque occupazione, che in questi anni non ha mai raggiunto i livelli previsti dall’Accordo di Programma siglato nel 2005, e sicurezza, priorità assoluta in ogni stabilimento produttivo del Paese, come purtroppo dimostrano gli eventi di queste ore in un altro storico e strategico impianto di Genova". Così il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha commentato l’approvazione in Senato del Dl Ilva. Redazione CdG 1947
Ex Ilva, bugie nel processo per negare i danni ambientali: 6 rinvii a giudizio. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 22 febbraio 2023.
Mariano Buccoliero, pubblico ministero di Taranto, ha firmato l’avviso di chiusura delle indagini nei confronti di sei testimoni – un ex consulente della Procura, due dirigenti Ilva, l’ex vescovo di Taranto, la dipendente di una stazione di servizio e un giornalista- , accusati dalla Corte d’Assise di aver mentito o aver raccontato una verità parziale in merito al processo ‘Ambiente Svenduto’, aperto nel 2016 per le emissioni nocive causate dall’ex Ilva durante la gestione Riva.
Tra i sei presunti falsi testimoni spicca il nome di Vito Balice, chimico industriale ed ex consulente della Procura per un’indagine del 2009. Secondo la Corte avrebbe "reso una testimonianza falsa" poiché le informazioni riferite in aula non combacerebbero con quelle indicate precedentemente nella sua relazione. Nel documento dell’epoca, infatti, consegnato alla Procura che in quel periodo indagava sulle emissioni dell’ex Ilva, Balice scriveva che "le polveri raccolte nei deposimetri erano compatibili con quelle depositate presso i parchi minerali Ilva". Una versione ritrattata in aula: qui l’ex consulente attribuisce quelle polveri alla "Cementir", un cementificio situato a pochi metri dalla fabbrica, un ‘ripensamento’ rinnegato a sua volta («Non ho tirato in ballo il cementificio, ho fatto solo un esempio») durante l’interrogatorio subìto da Balice per mano di uno degli avvocati di parte civile.
Un tira e molla che non ha convinto i Giudici, insospettiti tra l’altro dal fatto che alcune intercettazioni avessero pizzicato più volte l’ex consulente a intrattenere rapporti con Girolamo Achinà, ex dirigente dello stabilimento condannato a più di vent’anni di carcere. "Dalle intercettazioni è emerso chiaramente come Balice si sentisse frequentemente con Archinà e frequentasse con regolarità lo stabilimento", si legge nella sentenza.
Tra gli indagati per false dichiarazioni c’è anche monsignor Benigno Papa, ex vescovo di Taranto, che ha fornito una versione della storia sulla donazione di 10mila euro fatta da Archinà nel 2010 piena di lacune e incongruenze. Parole confuse, quelle del Prelato, ritenute per questo dalla Corte inattendibili. Pare infatti che quel denaro fosse in realtà una mazzetta destinata a Lorenzo Liberti, un altro ex consulente della procura condannato a 15 anni e 6 mesi di carcere. Sono accusati di falso anche Ivan Dimaggio e Angelo Lalinga, due ex dirigenti Ilva, l’impiegata della stazione di servizio dove, secondo l’accusa, ci fu lo scambio di soldi tra Archinà e Liberti e il giornalista Pierangelo Putzolu, accusato di aver negato di conoscere la vera identità di Angelo Battista, un finto personaggio inventato da Archinà per scrivere e diffondere note sulle questioni ambientali a favore di Ilva.
La notizia della chiusura delle indagini è arrivata in concomitanza con quella dell’incontro del Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso con il Sindaco e Presidente della Provincia di Taranto Rinaldo Melucci, che sancisce l’avvio di un percorso di collaborazione. Quest’ultimo, con l’aiuto della Regione Puglia e delle altre amministrazioni competenti, dovrebbe portare alla definizione di un accordo di programma per la riqualificazione e la riconversione dell’ex Ilva, in ottica green. Tale progetto dovrebbe prevedere la chiusura delle fonti inquinanti della fabbrica dell’acciaio, la decarbonizzazione, la riconversione industriale ed economica dell’area di Taranto, la riqualificazione e la tutela dei lavoratori.
Intanto, per gli indagati ritenuti complici del disastro ambientale che ci ha portato fino a qui, sono previsti ancora 20 giorni di tempo – dal momento della notifica – per chiedere di essere interrogati o presentare degli atti che forniscano la propria versione dei fatti. L’ultima parola, però, spetterà al PM Buccoliero. [di Gloria Ferrari]
Estratto dell'articolo di Gianluca Paolucci per “La Verità” il 21 febbraio 2023.
Arcelor Mittal ha pagato decine di migliaia di euro a un’agenzia specializzata che ha «ripulito», anche in maniera fraudolenta, l’immagine dell’ad Lucia Morselli. Mentre trattava con il governo l’ingresso dello Stato nel capitale dell’ex Ilva e la conferma della stessa Morselli alla guida del principale gruppo siderurgico italiano. E mentre la situazione dello stabilimento era già critica, almeno per la disponibilità finanziaria e i ritardi di pagamento verso i fornitori.
[…] Tra giugno 2020 e gennaio 2021 Arcelor Mittal Italia spa ha pagato almeno 80.000 euro per far rimuovere dal Web o deindicizzare dai motori di ricerca articoli sulla gestione dell’ex Ilva e sull’operato della Morselli. Tra questi, articoli delle principali testate italiane come di piccoli siti Web, accomunati dal fatto di presentare la manager in termini a lei non graditi.
L’opera di ripulitura ha riguardato principalmente la gestione dell’ex Ilva di Taranto, con la rimozione o deindicizzazione anche di articoli relativi a note dei sindacati o ai problemi delle aziende dell’indotto. Tra le chiavi di ricerca per individuare gli articoli da rimuovere figurano: «Lucia Morselli denuncia», «Lucia Morselli pagando», «Lucia Morselli inchiesta», «Lucia Morselli crisi», «Lucia Morselli Emiliano», «Lucia Morselli arbitrariamente». Gli articoli individuati per essere rimossi o deindicizzati sono in totale 91.
La Verità ha potuto esaminare i dati dell’inchiesta Storykiller, un progetto internazionale sulle attività di una agenzia specializzata denominata Eliminalia coordinato dal consorzio giornalistico Occrp e per l’Italia da Irpimedia. Tra i 1.400 clienti dell’agenzia, Arcelor Mittal figura accanto a bancarottieri, personaggi accusati di riciclaggio, frode e sfruttamento della prostituzione. Tra gli italiani c’è Piero Amara, l’avvocato al centro del caso della Loggia Ungheria e la società Area spa, che ha fatto rimuovere gli articoli relativi a una multa in Usa per aver fatto affari con il governo siriano.
[…] La deindicizzazione rende di fatto gli articoli introvabili quando si esegue una ricerca sul web tramite i motori di ricerca anche utilizzando parole chiave estremamente dettagliate.
Ma il metodo di lavoro di Eliminalia era più preciso. Una volta individuato l’articolo sgradito al cliente, veniva contatta la testata con una mail dai contenuti standard e dal tono minatorio, facendo riferimento a presunte violazioni del copyright o della normativa sul diritto all’oblio anche in caso di articoli relativi a vicende di stretta attualità. In calce, il riferimento fraudolento a un ufficio della Commissione europea.
Un altro metodo consiste nel richiedere la deindicizzazione direttamente a Google, spacciandosi per delegati di gruppi editoriali o testate giornalistiche chiedendo la rimozione di articoli di altre testate accusati di aver copiato dei contenuti. In qualche caso gli articoli che sarebbero stati copiati sarebbero stati retrodatati per rendere credibile la violazione del copyright.
Le prime indiscrezioni di un possibile ingresso dello Stato nel capitale di Ilva risalgono alla fine del 2019. Il primo luglio 2020, durante un question time alla Camera, l’allora premier Giuseppe Conte ammise che il governo stava valutando l’ingresso nel capitale. Un mese prima, il 29 maggio, la Morselli firmava per conto di Arcelor Mittal Italy la procura alla società spagnola Joyful company s.l. per rappresentarla nelle richieste di «deindicizzazione, cancellazione e distruzione dei dati personali» a testate e motori di ricerca. […]
Nel settembre 2020 il governo ha dato mandato a Kpmg di effettuare una due diligence sui conti del gruppo. Il rapporto finale sottolineava una serie di criticità relative a varie voci del bilancio, nonché la mancata collaborazione dei vertici aziendali. Secondo Kpmg, la situazione era tale che la società non avrebbe potuto far fronte agli impegni sia nel rimborso del debito verso Ilva che per quanto riguarda gli investimenti previsti. Lo scaduto verso i fornitori esterni (senza considerare le partite infragruppo) ammontava al 31 agosto 2020 a poco meno di 800 milioni.
Di questi, 250 milioni erano scaduti da oltre 120 giorni. L’analisi viene consegnata a Invitalia il 9 dicembre 2020. Malgrado le criticità rilevate il giorno successivo, il 10 dicembre, Invitalia - guidata allora da Domenico Arcuri - firma l’accordo per entrare nel capitale di Acciaierie d’Italia. A oggi, lo Stato ha iniettato oltre un miliardo nell’ex Ilva guidata dalla Morelli.
Ex Ilva di Taranto, bugie al processo: sono indagati sei testimoni. Tra i nomi ci sono anche quelli dell’ex vescovo della città Benigno Papa, di un ex consulente della procura e di due dirigenti Ilva. FRANCESCO CASULA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 21 Febbraio 2023.
Un ex consulente della procura, due dirigenti Ilva e persino l’ex vescovo di Taranto. Sono sei le persone accusate di aver mentito nelle indagini o durante il processo «ambiente svenduto» sulle emissioni nocive della fabbrica negli anni della gestione Riva. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti dei testimoni che secondo la Corte d’assise avrebbero mentito oppure non avrebbero voluto raccontare interamente la verità.
Tra tutti spicca il nome di Vito Balice, chimico industriale ed ex consulente della procura per un’indagine del 2009: Balice, secondo la Corte d’assise, «ha reso una testimonianza falsa» poiché in aula avrebbe fornito informazioni differenti da quelle che invece aveva indicato nella sua relazione. Nel documento consegnato all’epoca alla Procura che indagava sulle emissioni di polveri, infatti, Balice aveva scritto che quelle raccolte nei deposimetri erano «compatibili con quelle depositate presso i parchi minerali Ilva» mentre durante il suo esame come testimone in aula aveva attribuito indicato la «Cementir» come la sorgente delle sostanze.
Una nuova conclusione che per l’ex consulente era frutto di un ripensamento, ma che poco dopo avrebbe nuovamente ritratto: interrogato da uno degli avvocati di parte civile, aveva infatti negato di aver mai tirato in ballo il cementificio e sostenuto di aver fatto solo un esempio. Per la Corte d’assise, però, le cose stanno in maniera ben diversa: «Balice – scrivono i giudici – non solo è un teste falso», ma «un consulente “avvicinato” da Ilva nella persona di Girolamo Archinà», l’ex dirigente condannato a 21 anni di carcere perché ritenuto la «longa manus» dei Riva nella costruzione di una rete di protezione intorno alla fabbrica. «Dalle intercettazioni – hanno spiegato i giudici della Corte d’assise – è emerso chiaramente come Balice si sentisse frequentemente con Archinà e frequentasse con regolarità lo stabilimento».
Tra gli indagati per la false dichiarazioni, inoltre, c’è anche l’ex vescovo di Taranto monsignor Benigno Papa ritenuto inattendibile per la versione fornita a proposito della donazione di 10mila euro fatta da Archinà nel 2010 e che invece per i magistrati è una mazzetta versata a un altro ex consulente della procura, Lorenzo Liberti condannato a 15 anni e 6 mesi. Il prelato avrebbe offerto una versione costellata da lacune, da contraddizioni, incertezze ed incongruenze: «la falsità della ricostruzione di Monsignor Papa è stata già stigmatizzata» nella sentenza definitiva con la quale la Corte d’appello di Taranto ha assolto con formula piena il sacerdote don Marco Gerardo condannato in primo grado proprio per le dichiarazioni rese da Papa. A questi si aggiungono due ex dirigenti Ilva, Ivan Dimaggio e Angelo Lalinga, l’impiegata della stazione di servizio dove avvenne secondo l’accusa la consegna del denaro tra Archinà e Liberti e infine il giornalista Pierangelo Putzolu che in aula ha negato di conoscere la reale identità di «Angelo Battista», fantomatico esperto che pubblicava note sulle questioni ambientali, ma che altri non era che Archinà interessato a divulgare «propaganda in favore di Ilva».
Gli indagati e i loro difensori, avranno ora 20 giorni di tempo dal momento della notifica per chiedere di essere interrogati o presentare memorie fornendo la propria versione dei fatti. Poi toccherà al pm Buccoliero decidere se archiviare o meno le accuse.
Processo Ambiente Svenduto, the day after: indagati sei testimoni per falsa testimonianza. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 21 Febbraio 2023.
Tra gli indagati l’ex vescovo di Taranto Mons. Benigno Papa, un ex consulente della procura, due dirigenti Ilva ed un giornalista. L'iniziativa della Procura a seguito della richiesta ricevuta dalla Corte di Assise
Sono sei le persone accusate dal pubblico ministero Mariano Buccoliero di aver mentito nelle indagini o durante il processo “Ambiente Svenduto” sulle emissioni nocive della fabbrica negli anni della gestione e proprietà del Gruppo Riva. Nel maggio 2021 a distanza di anni dall’inizio della sua celebrazione, si era concluso il processo celebratosi dinanzi alla Corte di Assise di Taranto e che ha coinvolto, nella veste di imputati, 44 persone fisiche e 3 ‘enti’, che aveva visto condannati a 3 anni e mezzo di reclusione l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, a 2 anni l’ex direttore generale dell’Agenzia per l’ambiente (Arpa) della Puglia, Giorgio Assennato, accusato di favoreggiamento nei confronti di Vendola (riporta ANSA), a 21 anni e 6 mesi di carcere per l’ex responsabile delle relazione istituzionali Girolamo Archinà 21 anni l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, ed a 17 anni e sei mesi l’ex consulente della procura di Taranto, Lorenzo Liberti.
A seguito delle motivazioni della sentenza, Il pubblico ministero Buccoliero ha successivamente firmato l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti dei testimoni che secondo la Corte d’assise avrebbero mentito oppure secondo la corte non hanno voluto dire la verità per intero. Un ex consulente della procura, due dirigenti Ilva, un giornalista e persino l’ex vescovo di Taranto.
Fra gli indagati chiamati a rispondere delle accuse di aver dichiarato il falso, compare l’ex vescovo di Taranto monsignor Benigno Papa per la sua deposizione in relazione alla donazione di 10mila euro effettuata nel 2010 dal responsabile delle relazioni esterne ed istituzionali del Gruppo Riva a Taranto, Girolamo Archinà e che invece secondo i magistrati sarebbe una tangente consegnata a Lorenzo Liberti, ex consulente della procura, condannato a 15 anni e 6 mesi. Il vescovo nella sua deposizione avrebbe dichiarato sotto giuramento in aula una versione costellata da “buchi”, incertezze, incongruenze e contraddizioni, : la falsità della ricostruzione di Monsignor Papa è stata già evidenziata nella sentenza definitiva con la quale la Corte d’appello di Taranto ha assolto invece con formula piena il sacerdote don Marco Gerardo che in primo grado era stato condannato proprio a seguito delle dichiarazioni pronunciate dal vescovo.
Liberti non è l’unico (ex) consulente della procura di Taranto indagato. Assieme a lui è emersa anche la posizione del chimico industriale Vito Balice, per un’indagine del 2009., Secondo la Corte, Balice “ha reso una testimonianza falsa” in quanto avrebbe deposto in aula delle informazioni differenti da quelle che invece aveva indicato nella propria relazione alla Procura che indagava sulle emissioni di polveri. Il chimico Balice infatti, aveva scritto che le polveri raccolte nei deposimetri erano “compatibili con quelle depositate presso i parchi minerali Ilva“ salvo dichiarare durante il suo esame come testimone nel processo aveva indicato come sorgente delle sostanze lo stabilimento tarantino della “Cementir” .
Un parere che secondo l’ex consulente sarebbe stato frutto di un ripensamento, salvo poco dopo ritrattare questa versione, nel corso dell’ interrogatorio svolto da uno degli avvocati di parte civile, nel quale aveva negato di aver mai tirato in ballo il cementificio e sostenuto di aver fatto solo un esempio. Versioni alle quali i giudici non hanno dato alcuna credibilità sostenendo che i fatti in realtà sarebbero in maniera diversa. I giudici infatti scrivono: “Balice non solo è un teste falso“, ma “un consulente avvicinato da Ilva nella persona di Girolamo Archinà“, condannato alla pena 21 anni di carcere venendo ritenuto il braccio operativo dei Riva nel tentativo di erigere un muro di protezione intorno allo stabilimento siderurgico dell’ ILVA di Taranto. “Dalle intercettazioni – sostengono i giudici della Corte – è emerso chiaramente come Balice si sentisse frequentemente con Archinà e frequentasse con regolarità lo stabilimento“.
Fra le persone nei cui confronti si chiede il processo per falsa testimonianza compare anche il giornalista Pierangelo Putzolu , all’epoca dei fatti caposervizio della redazione di Taranto del Quotidiano di Puglia , ora in pensione e direttore editoriale del Gruppo editoriale Di Stante (Antenna Sud, Lo Jonio, L’ Adriatico ecc, testate estranee all’inchiesta in questione n.d.r.) il quale in aula aveva negato di conoscere la reale identità di “Angelo Battista“, un fantomatico inesistente esperto che pubblicava sul Quotidiano interventi ed opinioni sulle questioni ambientali, che in realtà era Girolamo Archinà sotto mentite spoglie, interessato interessato a diffondere “propaganda in favore di Ilva”.
A loro si aggiungono le posizioni di Ivan Dimaggio e Angelo Lalinga due ex dirigenti dell’ ILVA, e l’impiegata della stazione di servizio di Acquaviva delle Fonti sull’ autostrada Taranto-Bari dove i magistrati sostengono si sia svolta la consegna del denaro tra Archinà e Liberti, anche se ad onor del vero tale circostanza non è mai stata provata,
Adesso a partire dall’avvenuta notifica agli indagati, i loro difensori, avranno come previsto dal codice 20 giorni di tempo per richiedere di essere interrogati o presentare delle memorie contenenti le rispettive versione dei fatti. Dopodichè il pm Buccoliero valuterà se archiviare le accuse o chiedere un nuovo processo per gli indagati, Redazione CdG 1947
Continuano le “furbate” di Arcelor Mittal sull’acciaio italiano. E nessuno dice niente! Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 7 Febbraio 2023.
E' arrivata l'ora di mettere fine alla scellerata gestione della Morselli supportata dalle precedenti decisioni politiche adottate dai due ministri dello sviluppo economico dei rispetti governi Conte 1 e Conte 2, cioè Patuanelli e Di Maio. Qualcuno lo spieghi al ministro Urso.
L’operazione di rifinanziamento della ex Ilva prosegue, dopo che Invitalia ha ricevuto la scorsa settimana la lettera di accredito dal Tesoro dei 680 milioni destinati Acciaierie d’Italia holding (AdI) e ieri pomeriggio il CdA presieduto da Franco Bernabè ha deliberato la richiesta del finanziamento in conto aumento di capitale secondo quanto prescrive il codice civile. Solo che mentre lo Stato mette i soldi, gli indiani di Arcelor Mittal rappresentanti dall’ Ad Lucia Morselli continuano a non aprire il portafogli.
Il finanziamento statale, che a maggio 2024 consentirà di ritornare in possesso della gestione completa societaria, prevede una manovra complessiva da 750 milioni, di cui 70 milioni erano previsti a carico di ArcelorMittal, azionista di AdI con il 62%, mentre Invitalia attualmente detiene il 38%. Ma il gruppo controllato dalla famiglia Mittal ancora una volta si sottrae ai suoi impegni finanziari pretendendo di conferire crediti già maturati. Crediti di cosa non è ancora dato capirlo, considerato che lo stabilimento è di proprietà di ILVA in A.S. ed in fitto all’ ex Arcelor Mittal Italia (ora Acciaierie d’ Italia) e la gestione Morselli è molto indietro nei pagamenti anche per i canoni di affitto dello stabilimento.
Questa ipotetica operazione di conferimento lede sul patrimonio poichè la ex Ilva ha bisogno di liquidità per far fronte a vari impegni con i fornitori. In realtà sarebbe necessaria un’iniezione di liquidità da parte del socio di maggioranza attuale (Arcelor Mittal)e non di una verosimile partita di giro contabile .
Anche perchè Acciaierie d’Italia per avere i soldi da Invitalia è tenuta a presentare un piano finanziario in cui venga specificato e giustificato l’utilizzo in quanto, bisogna procedere con attenzione e con adempimenti formali che tutelino gli amministratori da eventuali rischi penali, nonostante il decreto del governo di fine dicembre contenga uno scudo penale. Due settimane fa, durante un’audizione di in Parlamento, l’ Ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli (nominata in quota Arcelor Mittal) ha lamentato i ritardi nelle procedure sul finanziamento di 680 milioni sostenendo di disporre di un parere di Sabino Cassese attestante l’incostituzionalità del decreto.
Secondo fonti ministeriali, per liberare i 680 milioni, il piano di spesa da inviare a Invitalia dovrà giustificare nel dettaglio come verranno utilizzati, considerato che la ex Arcelor Mittal Italia ha nei confronti dell’ ENI un debito di 380 milioni che ha indotto la società energetica a tagliare le forniture, e un’esposizione di circa 270 milioni verso SNAM, per l’anticipo-garanzia di febbraio 2023 e le forniture di metano di novembre e dicembre 2022 e gennaio 2023 . Senza dimenticare l’esposizione debitoria milionaria con le aziende dell’indotto.
La realtà che non emerge nelle audizioni parlamentari della Morselli , come ci rivela una fonte dirigenziale interna, è che la struttura impiantistica dello stabilimento di Taranto è giunta ormai al suo stato di precarietà diffusa e riguarda gli impianti dell’ area a caldo, in particolare l’ Acciaieria dove oggi risultano disponibili solo 2 convertitori sui 6 totali, a causa delle mancate manutenzioni di ripristino degli stessi. Identica situazione di precarietà riguarda gli impianti di laminazione a caldo ed a freddo dello stabilimento, dove si producono i Colis d’acciaio che sono il principale prodotto finito dell’ azienda.
Un’altra situazione di assoluta emergenza sarebbe la mancanza di ordini da parte dei clienti ingenerata da una gestione scellerata del vertice aziendale, che avrebbe creato una rottura con il mercato nel primo e secondo semestre dello scorso anno, generando come conseguenza una copertura attuale di ordini dei clienti di poco più di una settimana di produzione di acciaio dello stabilimento con gli attuali livelli produttivi legati ai 2 altiforni in marcia a regime ridotto, sui 3 totali disponibili.
Il portafoglio ordine totale dei clienti sarebbe equivalente a poco più di un mese di produzione contro una normale copertura di almeno 3 mesi. Ma non solo, infatti vi è una diffusa assenza di materie prime essenziali sia per gli altiforni che per le acciaierie che causa una dannosa ed intermittente marcia degli altiforni che dovrebbero invece produrre in maniera continua.
La contestata gestione della Morselli dal punto di vista organizzativo e manageriale è “distruttiva e scellerata” sia nei confronti delle figure manageriali che hanno consolidata competenza in materia da anni, con continui frenetici avvicendamenti che di fatto destabilizzano la gestione industriale dello stabilimento di Taranto e dell’intero Gruppo, affidando funzioni strategiche a persone dotate di profili professionali di scarse competenze, e nei confronti delle maestranze con la totale chiusura al dialogo. Un atteggiamento analogo a quello adottato dalla Morselli nei confronti dei sindacati, degli enti locali e delle Autorità.
L’ attuale “Decreto Legge Aiuti” prevede la disponibilità di 1 miliardo di euro a beneficio di Acciaierie d’ Italia da parte di Invitalia con modalità tecniche ancora da definire. Sono in molti ad essere preoccupati se tale importo dovesse essere utilizzato dall’attuale gestione Morselli, verrebbe dilapidato in pochissimi mesi per far fronte agli elevati debiti in essere contratti, rendendo così vano l’intervento governativo, che molti attendono, per un cambio immediato della governance e definire un chiaro e fattibile piano industriale per il futuro, traguardando l’obiettivo della decarbonizzazione in tempi tecnicamente ragionevoli. Altrimenti la “gestione Morselli” decreterà la fine dell’acciaieria italiana più importante. Gli analisti calcolano in 2,5 miliardi di euro, degli innesti economici di liquidità che servono soltanto a mantenere a galla la vita economica dell’azienda ma non a garantire un vero e proprio rilancio.
E tutto ciò mentre i Mittal si apprestano a realizzare una sede “monumentale” nel Lussemburgo, L’edificio a Torre di 5 piani interrati e 16 piani fuori terra, è stato progettato dello studio di architettura Wilmotte di Parigi, a seguito di un concorso di architettura, che costerà svariate decine e decine di milioni di euro. Ma non solo infatti l’ultimo bilancio disponibile (2021) di Arcelor Mittal registra un utile netto da quasi 11 miliardi di dollari e un margine per tonnellata da 263 dollari. I dati produttivi vedono 52,6 milioni di tonnellate prodotte dall’inizio dell’anno di cui 47,2 milioni vendute.
E questi signori hanno bisogno dei soldi dello Stato italiano ? Forse è arrivata l’ora di mettere fine a questa scellerata gestione supportata dalle decisioni politiche adottate dai due ministri dello sviluppo economico dei rispetti governi Conte 1 e Conte 2, cioè Patuanelli e Di Maio. Qualcuno lo spieghi al ministro Urso.
Redazione CdG 1947
All'Ilva tutti contro tutti. Morselli sferza il governo: "Decreto incostituzionale". L'ad: "Il commissariamento non si può fare. Ora tocca al socio pubblico: deve investire". Sofia Fraschini il 25 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Morselli show al Senato. L'ad di Acciaierie d'Italia (ex Ilva) in audizione alla commissione Industria di Palazzo Madama chiede a gran voce di essere considerata la rappresentante di entrambe le anime alla guida dell'ex Ilva (Invitalia e Arcelor Mittal, al 40 e 60% di Acciaierie d'Italia) ma minaccia il socio pubblico e batte cassa.
È di nuovo un tutti contro tutti nella partita in corso per la definizione del futuro industriale dell'Ilva. Soci, sindacati, amministrazioni locali, indotto, la bagarre è totale. E ha avuto il suo apice ieri in Senato dove l'ad del gruppo ha apertamente «minacciato il governo» di poter impugnare il recente decreto recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale per incostituzionalità. Di cosa ha paura la Morselli? All'articolo 2 si parla della possibilità di dichiarare l'amministrazione straordinaria per la ristrutturazione industriale di grandi imprese insolventi. La famosa Legge Marzano a cui il dl aggiunge: «L'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria può avvenire, nei casi di società partecipate dallo Stato, su istanza del socio pubblico che detenga almeno il 30 percento delle quote societarie». In soldoni, li caso Ilva, dove il socio privato può dunque essere esautorato. È così che, mentre da un lato Morselli spiega di «non accettare di essere considerata come rappresentante di un socio straniero», dall'altra accusa il socio pubblico - che essa stessa ci terrebbe a rappresentare - di aver ideato un decreto incostituzionale (e quindi la minaccia sta nella sua impugnabilità) tirando in causa un parere di Sabino Cassese, giurista ed ex ministro della Pa. Non solo. A stretto giro richiama il governo-socio anche sul fronte economico: «Il socio internazionale ha anticipato nel tempo più di due miliardi di euro e adesso tocca al socio italiano».
«Peccato che lo scenario non sia esattamente questo commenta a il Giornale una fonte vicina alla vicenda. Va detto spiega che la maggior parte degli interventi ambientali sono stati finanziati da Ilva in amministrazione straordinaria e il resto sia in gran parte una partita di giro perché in molti casi, i fornitori erano altre società del gruppo Arcelor Mittal».
Il tutto mentre, sul fronte sindacale, salgono le pressioni sul governo perché si porti in maggioranza nella compagine azionaria dell'ex Ilva. I sindacati, in sostanza, non vogliono più avere Arcelor Mittal come interlocutore e la loro battaglia è appena iniziata. Il primo round è stato fissato per il 30 gennaio quando Acciaierie d'Italia, dopo la sollecitazione dei sindacati nei giorni scorsi, ha convocato i vertici di Fim, Fiom e Uilm a Roma.
I sindacati accusano di «gestione fallimentare» l'attuale socio di maggioranza, e definiscono «fatale per il gruppo siderurgico e per i lavoratori attendere il 2024 per il cambio di governance». Le distanze sono anche sullo scudo penale. Morselli chiede di più: la norma sui sequestri, per essere applicabile all'acciaieria - dice - «va estesa anche a chi ne ha chiesto la revoca e gli è stata negata». I sindacati chiedono invece qualche passo indietro, per non correre il rischio «di far sparire» - come dice la Fiom - ogni responsabilità sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Intanto, anche a Taranto la situazione non va meglio. Oltre 50 aziende dell'indotto hanno lasciato Confindustria Taranto e nei prossimi giorni registreranno la nascita di un nuovo comitato che le rappresenti.
Ex Ilva Taranto, Nichi Vendola fa ricorso: «Nessuna concussione». La difesa dell’ex governatore contesta la condanna. Il 31 maggio del 2021, al termine del dibattimento, furono condannati 26 imputati e tre società. Mimmo Mazza su La Gazzetta del Mezzogiorno l’11 Gennaio 2023.
Scatta il conto alla rovescia per il deposito in cancelleria degli atti di appello del processo Ambiente Svenduto chiamato a fare luce sul presunto disastro ambientale provocato dalle emissioni dell’Ilva di Taranto, conclusosi in primo grado il 31 maggio del 2021 dinanzi alla corte d’assise con la condanna per 26 imputati e 3 società.
A proporre appello, tra gli altri, l’ex governatore Nichi Vendola, condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione, all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, al risarcimento in solido con gli altri imputati delle numerosissime parti civili.
L’avvocato Vincenzo Muscatiello, legale di Vendola, nel chiedere preliminarmente la sospensione dell’esecuzione dal pagamento delle pesantissime provvisionali, propone alla corte d’assise d’appello di Taranto questioni di diritto e rilievi nel merito. Vendola risponde di concussione, in concorso con Girolamo Archinà, Fabio Arturo Riva, Luigi Capogrosso e Francesco Perli (dirigenti e consulenti Ilva, anch’essi condannati) perché avrebbe costretto Giorgio Assennato ad ammorbidire la posizione dell'Arpa Puglia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva e a dare quindi utilità a quest'ultima, consistente nella possibilità di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni. La costrizione ai danni di Assennato sarebbe avvenuta mediante la minaccia implicita di mancata riconferma nella carica di direttore dell’Arpa...
Ci raccontano che nel 2030 l'Ilva sarà bellissima senza dirci però come sarà il 2023. Annarita Digiorgio su Panorama il 03 Gennaio 2023.
Nelle parole dei dirigenti i progetti ed i piani decennali capaci di mettere insieme produzione e difesa dell'ambiente. Ma nessuno parla dell'oggi
“Come si fa a passare da 3,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotte a 5,7 milioni?” Chiedeva il 1 giugno 2022 Rocco Palombella segretario generale della Uilm. “Sono infondate le voci che non arriveremo a quella cifra” rispondeva l’amministratore delegato Lucia Morselli. L’obiettivo di 5,7 milioni di tonnellate nell’anno in corso era stato presentato dall’azienda a sindacati e governo il 10 marzo 2022 nelle slide “confidenzial” (ma che noi abbiamo visionato) sulle Previsioni 2022. Ma tra Palombella e Morselli, dopo 7 mesi, possiamo dire che ha avuto ragione il primo, e nel 2022 Ilva ha prodotto poco più di 3 milioni di tonnellate d’acciaio. La metà di quanto è autorizzata a fare. Le ragioni sono diverse, e non certamente imputabili al management. Il calo della domanda e dei prezzi, l’aumento delle materie prime, il rincaro vertiginoso dei costi delle bollette, un incrocio di eventi avversi sul mercato dell’acciaio addirittura superiori a quelli della pandemia. A questi va aggiunto il problema atavico di Taranto: l’ostilità demagogica degli enti locali che, anche se nel pieno rispetto delle prescrizioni e dei limiti ambientali, sono rimasti fermi al 2012 quando di tonnellate Ilva ne produceva 10 milioni e senza prescrizioni. Con loro la magistratura, che tiene ancora sotto sequestro l’area a caldo e nell’ultimo provvedimento ha scritto nero su bianco che nessuna legge dello Stato è sufficiente a garantire la continuità produttiva dello stabilimento. Per superare tutti questi ostacoli è intervenuto il governo Meloni con un decreto cui ha lavorato il Ministro Urso che in soli tre mesi ha acquisito una conoscenza del dossier e concretezza nell’affrontarlo che non si vedeva da anni, abituati al “blablabla, salute e lavoro, acciaio green, decarbonizzazione ecc ecc” di pd e 5 stelle. Tutto è partito dalla linea politica, esplicitata dal Presidente del Consiglio nell’ultima agenda Meloni del 2022: “vogliamo che Ilva torni a essere la più grande acciaieria d’Europa”. Il decreto dunque, con l’obiettivo primario di aumentare la produzione rispetto agli ultimi due anni, offre una base di liquidità finanziaria, reinserisce lo scudo penale, e supera i paletti della procura in caso di dissequestro. Ricordiamo infatti che non solo questi non solo rappresentava una sospensiva alla vendita degli asset (ancora di proprietà dell’amministrazione straordinaria) ma anche ogni tipo di investimento: fu l’allora ad Mimmo Arcuri a dire in uno degli ultimi tavoli al Ministero che Invitalia non poteva aumentare il capitale nella joint venture per non incorrere in danno erariale.
Ora tutto questo viene superato, e il nuovo decreto toglie tutti gli alibi all’azienda per tornare ai livelli produttivi previsti dall’Aia: 6 milioni di tonnellate di produzione. Che questo è finalmente possibile lo dimostra il fatto che il presidente Franco Bernabè, che nonostante le presenze televisive di rado parla in pubblico di Ilva, oggi ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera dai toni ottimisti. E spiega appunto come il decreto abbassi tutti gli ostacoli fin qui presenti. Ne resta solo uno: la contrarietà degli enti locali (Pd), che però Bernabè non vede: “Non c'è differenza tra azienda, sindacati e amministrazioni sugli obiettivi finali da realizzare. Ricordo che la grande trasformazione dell'industria chimica, che io ho gestito da ad dell'Eni, poneva problemi più importanti perché tantissimi erano i poli industriali coinvolti. Eppure fu fatta in totale accordo con i sindacati e le amministrazioni locali. Perché non dobbiamo riuscirci anche a Taranto? Bisogna mettersi attorno al tavolo e trovare un accordo: noi a quello convocato per il 19 gennaio dal ministro delle Imprese Adolfo Urso ci saremo. Insieme la soluzione può essere trovata. A meno che veramente non si voglia far chiudere lo stabilimento. Ma questo, sia chiaro, non è l'intendimento dello Stato”. E’ questo che ancora non hanno capito: Michele Emiliano e il sindaco di Taranto l’hanno detto in tutti i modi che loro la fabbrica la vogliono chiudere. Emiliano l’ultima volta alle mamme di Taranto un mese fa, e il sindaco due giorni fa mentre scriveva una lettera controfirmata dai sindacati. Area a caldo chiusa e nessuna apertura neppure per il preridotto, che secondo il sindaco di Taranto è solo un’altra fonte inquinante. Per questo appare incomprensibile come proprio la Uilm, che ha sempre difeso la produzione, possa scendere in piazza l’11 gennaio sotto palazzo Chigi al fianco di Emiliano e il sindaco di Taranto che chiedono la chiusura della fabbrica insieme ad altri soldi per la città da sprecare come in questi giorni stanno facendo con i concertini di Natale pagati con i 20 milioni sequestrati ai Riva e vincolati a progetti sociali per le famiglie disagiate. La Fim infatti si è dissociata da questo sciopero, sottolineando come non si possa scendere in piazza con chi vuole chiudere la fabbrica. La discussione che fin qui è stata concentrata sugli assetti societari ha fatto perdere di vista il cuore del problema Ilva, che era e rimane di natura industriale. Ed è legato esclusivamente alla volontà politica di continuare a far essere l’Italia un Paese autonomo nella produzione di acciaio a ciclo integrato. Se questa volontà c’è, cosi come espressa dal Presidente Meloni, l’unica domanda da fare è quando riparte Afo5. Solo cosi la produzione potrà aumentare, i lavoratori tornare in fabbrica, e l’azienda tornare in utile. Altrimenti anche per i prossimi anni continueremo a parlare di riconversioni, cassa integrazione, lavori socialmente utili, idrogeno, acciaio green, prestiti ponte e amministrazioni straordinarie, senza cambiare nulla come negli ultimi dieci anni. Quando l’unica cosa che si è fatta è stato trovare il miglior acciaierie del mondo che ha realizzato il miglior piano ambientale a ciclo integrale del mondo. Abbiamo l’altoforno più grande d’Europa, le cupole che coprono i parchi minerari, i treni nastri coperti, i filtri Meros alle ciminiere, e i polimeri di sintesi (I.Blu) che alimentano gli altoforni. E, da oggi, i soldi e le autorizzazioni per farlo. Franco Bernabe, Lucia Morselli e Adolfo Urso il 19 gennaio devono solo dirci quando.
Ex Ilva: lo Stato presta altri 680 milioni e reintroduce lo scudo penale per i dirigenti. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 31 dicembre 2022.
Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge denominato “Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale”, che prevede, tra le altre cose, un prestito di 680 milioni di euro da destinare ad Acciaierie d’Italia (ex Ilva) di Taranto. Il denaro, secondo quanto dichiarato dal ministero per le Imprese e il Made in Italy e da quello della Giustizia, che hanno presentato il dl, servirà a risollevare l’azienda, ad oggi a corto di liquidità principalmente per via dell’aumento dei prezzi del gas (anche se il dl Aiuti Bis dei mesi scorsi ha già stanziato per l’azienda un miliardo di euro). Con l’attuale decisione del Consiglio dei ministri, è la decima volta che lo stato italiano destina dei soldi pubblici alla società pugliese, la quale questa volta dovrebbe impiegare i fondi sostanzialmente per pagare i debiti contratti con le società energetiche Eni e Snam.
La notizia ha immediatamente messo in stato di agitazione diversi sindacati. L’Usb, Unione Sindacale di Base, ha sottolineato come il Governo sia andato in direzione contraria rispetto a quanto chiesto dal mondo del lavoro e dalle Istituzioni, cioè «di non erogare nessun ulteriore prestito pubblico in qualunque forma ad Arcelor Mittal, socio totalmente inaffidabile ed inadempiente, senza un preventivo riequilibrio della governance».
Tra l’altro il prestito arriva proprio dopo la decisione dell’Europa di destinare alle casse del nostro Stato più di un miliardo di euro – dei 17,5 totali a disposizione – nell’ambito del programma Just transition fund (JTF) 2021-2027 per “una transizione climatica giusta” di Taranto, con la sua Ilva (e del territorio del Sulcis, in Sardegna), con lo scopo di riconvertire i territori interessati, dandogli una nuova spinta economica non basata più sul fossile ma orientata verso una riabilitazione ambientale. In altre parole, non più finanziando colossi come l’Ilva, ma investendo su nuovi progetti, portati avanti da piccole e medie imprese.
È lecito dunque, soprattutto in un’ottica di maggiori investimenti nell’energia pulita, chiedersi perché lo Stato italiano continui a salvare la società dal fallimento. Una prima risposta, semplice e diretta, è che ancora oggi il Governo reputa Acciaierie d’Italia una risorsa importante per l’economia nazionale. E da un certo punto di vista è effettivamente così. Basti pensare che attorno all’Ilva ruotano almeno 17 mila persone (tra dipendenti diretti e non) e che la vendita del suo acciaio nel 2021 si è aggirata attorno ai 1,2 miliardi di euro.
Di Taranto e di Ilva si parla praticamente da sempre, ma è nel 2012 che comincia la travagliata “storia moderna”, per come la conosciamo. In quell’anno infatti la procura di Taranto aveva ordinato il sequestro degli altiforni, valutati come altamente inquinanti. In realtà gli impianti non hanno mai del tutto smesso di funzionare, ma con l’affidamento dell’acciaieria a commissariamento, la loro capacità produttiva si è solo ridotta. In quegli anni, ormai consapevoli che un problema ambientale c’era, si è cercato contemporaneamente di avviare una serie di programmi volti a risanare gli ambienti e ridurre l’effetto dell’Ilva sul territorio circostante. La società è praticamente andata avanti in questo modo, affrontando decine di inchieste, fino al 2018, quando l’intero impianto è stato acquistato, con bando pubblico, dal colosso mondiale dell’acciaio ArcelorMittal, che sostanzialmente aveva il compito di rimettere in piedi l’azienda, tentando di risanarla. Ma non è mai accaduto. È qui che sono entrate in gioco le Istituzioni. Dopo l’ennesimo fallimento, lo Stato italiano ha deciso di provare a diventare proprietario della società.
Per mezzo di Invitalia (l’Agenzia governativa italiana che si occupa degli investimenti dello Stato) ad oggi lo Stato possiede il 32% del capitale, in attesa che la quota superi la maggioranza a maggio del 2024. Il prestito appena approvato dal Governo, oltre a risanare parte dei debiti, è stato erogato anche con questa finalità. I 680 milioni sono infatti “convertibili”, trasformabili cioè in capitale sociale. Questo permetterà allo Stato di aumentare la propria “presenza” nell’azienda ancora prima del 2024, seppur continuando a mantenere rapporti con i soci privati. Lo conferma il comunicato pubblicato dal Governo, secondo cui sono già stati presi i primi accordi tra ArcelorMittal e Invitalia. A quest’ultima, ad esempio, spetterà scegliere l’amministratore delegato, anche se non ancora in possesso della maggioranza, se non saranno rispettate determinate condizioni di “buona gestione”.
Il decreto reintroduce tra l’altro lo “scudo penale”, norme che tutelano l’azienda garantendogli di poter continuare a mandare avanti la propria produzione anche in caso di problemi penali (come ad esempio il sequestro disposto da un giudice). Una decisione che il senatore tarantino Mario Turco, vicepresidente del M5s, ha commentato così: «Con la reintroduzione dello scudo penale per lo stabilimento siderurgico ex Ilva, il governo Meloni ripristina di fatto il diritto di uccidere». Tale “protezione” è stata poi estesa a tutte le imprese che in qualche modo sono considerate di interesse nazionale.
Dura l’opposizione dei sindacati, che hanno indetto uno scioperare per l’11 gennaio, sotto Palazzo Chigi, fondamentalmente per chiedere chiarezza. A loro dire la gestione di ArcelorMittal è sempre stata fallimentare e il provvedimento può considerarsi «una resa incondizionata alla multinazionale».
Non solo. Turco ribadisce che il Governo Meloni vuole «mantenere o addirittura aumentare la produzione a carbone, altamente inquinante, infischiandosene della transizione ecologica e di una riconversione industriale green». Di tutt’altro parere Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, secondo cui «Questo governo è capace di rilanciare l’Ilva, garantendo al contempo risanamento ambientale e occupazione». Motivo per cui, lo stesso Ministro, ha organizzato per il 19 gennaio un tavolo di confronto per discutere del futuro dell’azienda e a cui dovrebbero prendere parte forze sociali, sindacati e associazioni produttive, rappresentanti degli enti locali, azionisti pubblici e privati.
Ricordiamo comunque che solo pochi mesi fa la Corte europea dei Diritti dell’uomo (CEDU) ha pronunciato quattro condanne nei confronti dello stato italiano per le emissioni dell’Ex Ilva, sottolineando la loro pericolosità per la salute dei cittadini e la mancata tutela da parte delle istituzioni. [di Gloria Ferrari]
I fondi per le famiglie dell'Ilva? Usati per finanziare i festival anni '80. Coi soldi del Mise il Comune paga eventi di Natale e revival. Ma erano stati pensati per contrastare il disagio sociale. Annarita Digiorgio il 7 gennaio 2023 su Il Giornale.
A Capodanno ha fatto il giro d’Italia il video dell’ape car che sparava la batteria di fuochi d’artificio a Taranto, dove peraltro un bimbo di 10 anni ha perso la mano a causa dei botti. L’anno scorso, sempre a Taranto e sempre a Capodanno, divenne virale il video del frigorifero lanciato dal balcone. L’anno prima quello del bambino che sparava con una pistola a salve dal balcone minacciando l’allora presidente del consiglio Conte.Quest’anno a un altro bambino sempre Taranto è stata amputata la mano a causa dei botti. Non parliamo solo di un malcostume dell’ultimo di anno, i fuochi illegali a Taranto si sparano ogni giorno, vengono venduti per strada, e sono indice di un generale disagio sociale che sfocia in un elevato grado di delinquenza giovanile. Taranto è agli gli ultimi sette posti della classifica sulla qualità della vita, ultima per il più alto tasso di cassa integrazione di tutta Italia. Il tasso di scolarizzazione è basso a fronte di quello alto di dispersione scolastica, ed è la città sede di università con il più elevato flusso migratorio di giovani residenti la cui domanda universitaria è ferma al 18%.
Questo aspetto di disagio sociale era chiaro all’allora ministro dello Sviluppo Carlo Calenda quando nel 2016 decise di destinare ai comuni dell’area 30 milioni di euro con una sperimentazione iniziale di tre anni vincolandoli a piani sociali e assistenziali: “Tempo lungo a scuola, insegnanti migliori pagati il doppio, avvio alla lettura, viaggi studio lingue pagati, sport e presidio assistenti sociali e sostegno psicologico. Darò personalmente massima priorità - disse Calenda - dedicando tempo e tutta la necessaria attenzione a queste misure che promuovono e realizzano il principio della responsabilità sociale di impresa". Quei fondi si aggiungevano al miliardo già stanziato dal governo Renzi per il Contratto di Sviluppo, e a cui oggi si aggiunge un altro miliardo dal Just Transition Fund. Il decreto legge del 2016 prese il nome “Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno”.
Quei fondi per Taranto venivano messi dall’amministrazione straordinaria Ilva (proprietaria degli impianti) per restituire un prestito dello stato. Insieme ai 30 milioni per l’assistenza, il governo Renzi mise anche 70 milioni che la regione Puglia doveva usare per attrezzature sanitarie per gli ospedali di Taranto e 8 milioni per screening sanitari. Di questi ad oggi sono stati spesi solo 9 milioni, lo scorso anno, per l’acquisto del robot Da Vinci, un apparecchio sanitario sul cui utilizzo l’assessore regionale e la Asl non sanno rispondere. Gli altri 59 milioni a disposizione per gli ospedali di Taranto non ci risulta siano mai stati utilizzati dalla Regione.
Sui fondi per il sociale invece il decreto ha previsto espressamente che siano i commissari dell’amministrazione straordinaria Ilva a predisporre e attuare il piano per l’assistenza che, per legge, deve essere approvato e costantemente monitorato dal Mise. Tant’è che l’allora commissario quando venne approvato il decreto Calenda nel 2016 si stranì: “Tutto pensavo di dover fare come commissario Ilva, avvocato, ingegnere, manager, metalmeccanico, tranne l’assessore ai servizi sociali”, disse. Ma Calenda inserendo specificatamente questa clausola di controllo aveva presagito il rischio (e che, purtroppo, si è verificato) di destinare quei fondi direttamente ai Comuni e che finissero sprecati per iniziative clientelari.
Il piano è stato presentato dai commissari solo 4 anni dopo, nel 2020, e approvato dall’allora ministro Patuanelli. Gli unici interventi che abbiamo visto realizzati finora sono piccoli eventi di Natale, con trampolieri o concertini, pubblicizzati dagli stessi amministratori che poi ne hanno lamentato la scarsa affluenza: non più di dieci/venti persone per piazza. Lo stesso Comune di Taranto con una variazione di bilancio ha spostato 305mila euro di quei fondi dai progetti per il sociale a iniziative di comunicazione, per pubblicizzare i relativi bandi che andavano deserti.
Ma l’ultimo progetto realizzato con i fondi Ilva per il sociale ha del surreale: “Un festival dedicato ai mitici anni 80: concerti, dj set, proiezioni videoclip, sapori tipici. Una strada diventata pedonale per qualche ora trasformarsi in una macchina del tempo. Per tutti i partecipanti, l’occasione di immergersi nell’atmosfera colorata fatta di giacche con le spalline, fast food, musica con i sintetizzatori elettronici, clip tratte da pellicole passate alla storia. Occasione per vivere la città ricordando i fasti degli anni Ottanta, quelli della spensieratezza, fatti di nuove sonorità, progetti all’avanguardia, effetti scenici. In questa parte di Taranto, un festival urbano diffuso per animare il centro, offrendo uno spettacolo adatto a ogni generazione, anche a chi non ha vissuto i mitici ’80”. Tutto organizzato dai bar della zona, che non hanno fatto mancare menù (a pagamento) con prosciutto e melone e pennette alla vodka.
Un evento di grande successo, partecipato da molti cinquantenni, divertente e ben organizzato. Ma come aiuta le famiglie disagiate? Cosa c’entra con l’assistenza sociale? Come aiuta i bambini di Taranto a uscire dalla loro condizione di disagio sociale e culturale? I commissari straordinari (nominati da Di Maio) sono consapevoli che i loro soldi vengono sprecati in questo modo? E il neoministro Urso, che deve monitorare come vengono spesi, lo sa?
Sicuramente questa è solo una parte dei 30 milioni totali, ma di sicuro si allontana dall'obiettivo con cui era stato originariamente pensato il fondo e voluta la legge.
“Che tristezza - ha commentato Carlo Calenda - Dovevano andare per istruzione, sport, lettura, attività culturali per tutti i bambini e i ragazzi di Taranto. Ma in questo Paese nulla può mai essere fatto come dovrebbe”.
Se per questi fondi dell'Ilva per l'assistenza sociale il controllo è del Ministro dello Sviluppo, i due miliardi (solo per Taranto) per il Cis e il Just Trantion fund sono sotto il controllo del Ministero guidato da Raffaele Fitto, che come per i Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026 (altri fondi ministeriali per Taranto) farebbe bene a mandare un Commissario straordinario per Taranto, per centrare gli obiettivi riducendo gli sprechi.
Succede a Manduria.
Agli onori della cronaca.
La Chiesa.
L’antimafia.
Il caso Natale Naser Bathijari.
Il caso di Giovanni Buccoliero.
Il caso di Anna Maria Fusco.
Il Caso Nazareno Dinoi.
Il Caso Stano.
Un morto e due tombe, a Manduria è scontro in famiglia per il caro estinto. Cesare Bechis su Il Corriere della Sera il 26 Agosto 2023
Due tombe in due cimiteri diversi per la stessa persona morta a luglio dopo una lunga malattia: una preparata dai fratelli e sorelle, l'altra (con la salma) dalla moglie e dai figli.
Due tombe in due cimiteri diversi per la stessa persona, morta a luglio dopo aver scoperto cinque mesi prima di avere un tumore. La storia, dai macabri contorni, la racconta La Voce di Manduria. A Sava, città d’origine del defunto, c’è un loculo dall’apparenza perfetto, con il marmo, la foto del caro estinto, i fiori, le consuete scritte, ma senza la salma. E’ vuoto, comunque metà dei suoi parenti, genitori e sorelle che l’hanno approntato nel cimitero savese. Il corpo del 54enne morto in pochi mesi, è custodito nella tomba allestita a Torricella - entrambi i paesi sono in provincia di Taranto - dalla vedova e dai figli che qui sono nati e vivono. Gli amici hanno cominciato a domandare dove onorare la memoria del defunto, dove portare due fiori, su quale tomba dire una preghiera. La doppia sepoltura, che ha mandato su tutte le furie la vedova, nasce da vecchi risentimenti mai sopiti, anzi apparentemente acuiti dalla morte dell’uomo. «E’ un insulto alla dignità di mio marito e dei suoi tre figli – dice la signora - ho scoperto per caso della tomba con il nome di mio marito e l’indecente epigrafe genitori, sorelle e mariti posero. Mio marito ha avuto una moglie per 37 anni, tre figli e anche due nipoti, quell’epigrafe è offensiva e mi tortura». Ad ogni buon conto s’è rivolta a un avvocato per sistemare la questione anche perché esistono un regolamento di polizia mortuaria e cimiteriale da rispettare e in grado di rispondere alla domanda se è possibile mettere in piedi una tomba intestandola a un morto che è sepolto altrove.
Il parroco che non parla ai microfoni ma ai social. Cattivi giornalisti e strani uomini di chiesa. La Redazione de La Voce di Manduria il 6 giugno 2023.
Strani uomini di chiesa abbiamo a Manduria che si prendono gioco dei propri parrocchiani perchè sbagliano a scrivere su Facebook. Uomini di chiesa che usano termini come “culacchi” per definire le critiche dei propri parrocchiani e della città intera che in un coro unanime si chiedono perchè dopo cinque anni la loro chiesa è ancora inagibile?
Un parroco (parliamo di don Domenico Spina della chiesa si San Michele Arcangelo, colpita dalla tromba d'aria del 2018 e non ancora riparata) che si sottrae ad una semplice intervista, preferendo diffondere la sua parola attraverso i social per criticare e deridere chi critica la sua inerzia e quella dei suoi superiori dimostrata in cinque anni di evidente inoperosità lasciando la chiesta ingabbiata e chiusa. Quella stessa chiesa che don Domenico ha ereditato dal compianto padre Gabriele dalla cui libertà di pensiero e di coraggio, a nostro avviso, dovrebbe prendere esempio.
Strano uomo di chiesa abbiamo noi che taccia come “notiziucola” un nostro servizio, un lavoro venuto male (per lui) ma fatto con fatica e tanto entusiasmo, caro don. Un servizio nel quale abbiamo dato voce alle legittime lamentale dei manduriani che si chiedono perchè la loro chiesa è ancora chiusa e ingabbiata in quella brutta impalcatura.
Uno strano prete abbiamo noi che si sveste dall’abito talare, con il quale avremmo voluto intervistarlo se non si fosse rifiutato, per indossare quello da influencer e così sui social si cimenta a diffondere il suo credo invitando sfacciatamente la gente ad “informarsi”, proprio all'indomani del suo rifiuto ad informare sottraendosi alla nostra domanda (lui e il sindaco insieme) che sarebbe stata semplicemente questa: a che punto siamo con la ricostruzione della chiesa ferita dalla tromba d'aria?
Che strano religioso abbiamo noi che offende il nostro lavoro e deride i suoi parrocchiani arrabbiati. Un prete che sotto i nostri occhi, quello di tre giornaliste tirocinanti, fumacchiava, spavaldo, una sigaretta. Era forse agitazione, caro don? E per cosa? Noi abbiamo sbagliato e torneremo a bussare alla sua porta per confessare, sempre caro don, la colpa di aver fatto un pessimo servizio giornalistico perché siamo state troppi ingenue a nascondere la sua omertà. Ci scusi, quindi. Ma stiamo espiando tutto ora. Per il resto dei fedeli che lei conoscerà bene e si sono espressi con rabbia davanti alle nostre telecamere, invece, come si comporterà? Ce lo chiediamo e ci piacerebbe saperlo.
Che prete strano hanno i parrocchiani della Sant'Angelo che conclude il suo post su Facebook con una frase inopportuna che sembrerebbe una minaccia se non fosse che a pronunciarla è un uomo pio: «prima di parlare o scrivere o commentare, pensate a ciò che dite o scrivete o commentate». Altrimenti? Verrebbe da dire.
La Voce di Manduria: Il post Facebook di don Domenico Spina e, di seguito, il nostro servizio che non è piaciuto al parroco
«Dopo il mio sereno post giornaliero, scrivo due righe pur non dovendo a riguardo della chiesa e della parrocchia di San Michele Arcangelo, della quale sono il parroco dal 2018 e che molti dei giustizieri dei social forse non lo sanno neanche. Se non rilascio interviste o non rispondo ad articoli o post è solo perché o si dicono cose sensate o è meglio star zitti. Le notizie bisogna darle in modo serio e fondato e non su i se o su i ma o come si dice con i “culacchi” o cercando per forza di far polemica. Sono cinque anni che conservo volta per volta gli articoli e i post di chi scrive che ha a “quore” la chiesa di Sant’Angelo, gente che non ho mai visto in parrocchia: a costoro, quando inizieremo i restauri, sicuramente non mancherò di chiedere un contributo, visto l'ansia e lo zelo che li anima. Comunque volevo rassicurare che stiamo svolgendo tranquillamente tutte le attività, a prescindere dalla chiesa, come il catechismo dei fanciulli e delle famiglie, incontri dei gruppi e movimenti, battesimi, matrimoni, cresime e comunioni; ma forse neanche questo si sa e che ahimè non fa polemica. Chiudo dicendo una cosa che può sembrare scontata ma forse non lo è: prima di parlare o scrivere o commentare, pensate a ciò che dite o scrivete o commentate. Ancor meglio se prima vi informate. Diffidate dalle notiziucole. Vi aspettiamo in parrocchia, una parrocchia che è sempre viva e attiva e che non ha smesso di generare e far crescere nella fede. Dio vi Benedica».
Dopo cinque anni dalla tromba d'aria che ha reso inagibile il luogo di culto. La chiesa ferita, la speranza e la rabbia dei fedeli e i silenzi del sindaco. La Redazione de La Voce di Manduria il 2 giugno 2023.
Rugginosa e stantia. L’impalcatura che riveste da cinque anni la chiesa di San Michele Arcangelo, a Manduria, è diventata una gabbia permanente. Di provvisorio e incerto c’è, invece, la responsabilità di chi dovrebbe sollecitare i lavori di ristrutturazione svestendo la struttura di quest’abito scomodo. Ma a chi spetta questa decisione? La Diocesi di Oria? Il sindaco di Manduria Gregorio Pecoraro? I Servi di Maria?
Ai fedeli che dal 2018 assistono alle celebrazioni eucaristiche in un’attigua saletta, manca molto la chiesa di Sant’Angelo, un gioiello architettonico di notevole importanza storica e culturale, oltre che religiosa. Nel 2018 l’edificio fu protagonista di una tromba d’aria che si scatenò su Manduria provocando ovunque danni danni e distruggendo il campanile della chiesa rimasta inaccessibile a tutti ancora oggi. Il priore della confraternita dell’Ordine dei Servi di Maria, Giuseppe Scialpi, ha dichiarato: «Il passaggio di proprietà è necessario affinché il vescovo possa richiedere i fondi necessari per avviare i lavori di ristrutturazione».
L'impalcatura che da anni si erge attorno alla chiesa di San Michele Arcangelo rappresenta una sfida e un costante desiderio di ritorno alla normalità per i fedeli che attendono con impazienza di celebrare la messa all'interno della loro amata chiesa.
Sul suo destino ci sarebbe piaciuto ascoltare il parere del primo cittadino, Gregorio Pecoraro, che però ha rifiutato con poco garbo l’intervista. Un telefono chiuso in faccia dunque, e nessuna dichiarazione. Neppure da Don Domenico, parroco attuale della chiesa Sant’Angelo che ha preferito anche lui non parlare. Tutto tace, o meglio, tutti tacciano e l’attesa per la ristrutturazione della chiesa Sant’Angelo si prolunga nuovamente, mentre dall’altra parte della città i manduriani festeggiano l’inaugurazione di un’altra chiesa, quella Don Bosco, realizzata in tempi curiosamente record.
Marzia Baldari, hanno collaborato Giulia Dinoi e Silvia Dimagli
Inaugurata a Manduria la nuova Parrocchia “Don Bosco”. Da newspam.it il 2 giugno 2023
E’ stata inaugurata lo scorso 30 maggio la nuova chiesa di San Giovanni Bosco a Manduria alla presenza di Autorità e di numerosi fedeli che da anni attendevano il completamento di questa nuova Chiesa. Alla presenza del vescovo di Oria, Vincenzo Pisanello che ha presieduto la cerimonia trasmessa in diretta su di un canale televisivo e di Don Dario De Stefano, parroco della Don Bosco, si sono aperte le imponenti porte del nuovo edificio, ingresso magistralmente accompagnato da un coro che ha allietato con i suoi canti l’emozione di tanti fedeli accorsi per l’occasione.
Imponente ma nello stesso tempo sobria e piena di luce, con all’interno importanti mosaici, l’opera è stata realizzata oltre che dal contributo della Conferenza Episcopale italiana anche grazie all’apporto di tanti parrocchiani che hanno contribuito grazie a numerose iniziative in questi anni alla realizzazione e al completamento della nuova parrocchia.
La nuova opera contiene 700 sedute oltre a campi da gioco, il teatro e l’intero oratorio che vedrà numerose iniziative che coinvolgeranno tutta la comunità manduriana all’insegna di quella che è sempre stata la mission di Don Bosco che ha dedicato la sua vita ai giovani, scrivendo libri ma soprattutto promuovendo la creazione di seminari, scuole, oratori e proponendo un nuovo sistema educativo.
Inoltre, per l’occasione, Poste Italiane ha realizzato un francobollo nella ricorrenza del centenario della nascita del santo (1815-2015) distribuendolo ai fedeli che hanno potuto aggiungere alle loro collezioni questo prodotto filatelico.
Queste le parole di ringraziamento di Don Dario De Stefano, Parroco della nuova Chiesa, rilasciato sul profilo social dell’Oratorio:
“Grazie di cuore a quanti ieri, in qualsiasi modo, si sono resi presenti alla celebrazione di dedicazione della nuova chiesa. Grazie per i vostri messaggi, per il vostro sostegno e per la vostra preghiera. Ora godiamoci la gioia di questa nuova casa di Dio dedicata al nostro padre e maestro dei giovani, S. Giovanni Bosco!”
Gli ex commissari antimafia rischiano il processo e il comune si costituisce parte civile. La Redazione del La Voce di Manduria martedì 4 aprile 2023
Il Comune di Manduria si costituirà parte civile nel possibile processo a carico del comandante della polizia municipale Vincenzo Dinoi (Attualmente sostituito dal suo vice, Umberto Manelli) e dei tre ex commissari straordinari che hanno amministrato la città di Manduria dopo lo scioglimento per mafia: Vittorio Saladino di Belmonte Calabro, di 71 anni, prefetto in pensione; Luigi Scipioni, 65enne di Messina, vice prefetto in servizio; Luigi Cagnazzo, 63 anni di Lecce, funzionario della prefettura salentina.
Il 7 aprile il giudice delle udienze preliminari, Francesco Maccagnano, deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dal pubblico ministero Maria Grazia Anastasia che ha coordinato le indagini condotte dai carabinieri. Rischiano il processo anche l’ex commissaria prefettizia, Francesca Adelaide Garufi e l’ex ingegnere comunale Emanuele Orlando.
Devono rispondere a vario titolo di concorso in peculato, abuso d’ufficio, falsità ideologica e truffa in concorso. L’ufficiale dei vigili urbani, Dinoi, è difeso dall’avvocato Nicola Marseglia, l’ingegnere Orlando dal legale De Prete e tutti gli latri dall’avvocato Lorenzo Bullo.
Nel procedimento risulta parte lesa anche l’allora segretario generale Giuseppe Salvatore Alemanno che sarà assistito dall’avvocato Umberto Giuseppe Garrisi.
Il periodo preso in esame dal pubblico ministero Anastasia è quello che va da settembre de 2017 a gennaio del 2019. In pratica dai primi mesi di amministrazione commissariale seguita alla caduta della maggioranza del sindaco Roberto Massafra e i tre anni successivi in cui la città è stata amministrata dagli incaricati ministeriali mandati a Manduria per ristabilire la legalità nell’ente sospettata di essere stata infiltrata dalla criminalità organizzata.
Secondo l’accusa, il commissario Saladino e il comandante della polizia locale, Dinoi, che rispondono di peculato e truffa, «in più occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso», avrebbero utilizzato l’auto di servizio in uso al Corpo di polizia municipale per fini privati. Dalle indagini sarebbero emersi almeno 64 viaggi da Manduria all’aeroporto di Brindisi per accompagnare o prendere il prefetto in pensione durante le sue trasferte. Stessa contestazione viene riconosciuta alla commissaria prefettizia, Garufi, sulla quale peserebbero 45 viaggi alla stazione ferroviaria di Brindisi a Manduria. Nazareno Dinoi
Comune di Manduria, ipotesi di truffa e peculato: chiesto il processo per sei. I fatti riguardano la fase commissariale dal 2017 al 2019 al Comune di Manduria. Nazareno DINOI su Il Quotidiano di Puglia Lunedì 3 Aprile 2023.
Il pubblico ministero della Procura ionica, Maria Grazia Anastasia, ha chiesto il rinvio a giudizio per i tre ex commissari della gestione antimafia del comune di Manduria, del comandante della polizia municipale dello stesso ente e di altri due indagati, un’ex commissario prefettizio e un dirigente tecnico.
L'OPERAZIONE
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Devono rispondere a vario titolo di concorso in peculato, abuso d’ufficio, falsità ideologica e truffa in concorso. Si tratta di Vittorio Saladino di Belmonte Calabro, di 71 anni, prefetto in pensione; Luigi Scipioni, 65enne di Messina, vice prefetto in servizio; Luigi Cagnazzo, 63 anni di Lecce, funzionario della Prefettura salentina. I tre indagati hanno amministrato la città messapica nei tre anni successivi allo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’amministrazione comunale già sciolta per l’intervenuta sfiducia del sindaco da parte della maggioranza dei consiglieri.
Con loro rischiano il processo il comandante della polizia locale, Vincenzo Dinoi, la commissaria prefettizia Francesca Adelaide Garufi, 71enne romana, in carica alla direzione del Comune prima della nomina dei tre commissari straordinari da parte del ministero dell’interno e l’ingegnere comunale incaricato a termine, Emanuele Orlando, 63 anni tarantino. L’ufficiale dei vigili urbani è difeso dall’avvocato Nicola Marseglia, l’ingegnere Orlando dal legale Antonello Del Prete e tutti gli latri dall’avvocato Lorenzo Bullo.
Udienza fissata il 7 aprile
Nell’udienza preliminare fissata per il prossimo 7 aprile davanti al gup Francesco Maccagnano, si costituirà parte civile il Comune di Manduria che ha dato già incarico all’avvocato Mario Rollo. Nel procedimento risulta parte lesa anche l’allora segretario generale Giuseppe Salvatore Alemanno che sarà assistito dall’avvocato Umberto Giuseppe Garrisi.
Il periodo preso in esame dal pubblico ministero Anastasia è quello che va da settembre de 2017 a gennaio del 2019. In pratica dai primi mesi di amministrazione commissariale seguita alla caduta della maggioranza del sindaco Roberto Massafra e i tre anni successivi in cui la città è stata amministrata dagli incaricati ministeriali mandati a Manduria per ristabilire la legalità nell’ente sospettata di essere stata infiltrata dalla criminalità organizzata.
Secondo l’accusa, il commissario Saladino e il comandante della polizia locale, Dinoi, che rispondono di peculato e truffa, «in più occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso», avrebbero utilizzato l’auto di servizio in uso al Corpo di polizia municipale per fini privati. Dalle indagini sarebbero emersi almeno 64 viaggi da Manduria all’aeroporto di Brindisi per accompagnare o prendere il prefetto in pensione durante le sue trasferte.
Stessa contestazione viene riconosciuta alla commissaria prefettizia, Garufi, sulla quale peserebbero 45 viaggi alla stazione ferroviaria di Brindisi a Manduria.
Nelle carte dell’inchiesta figurano anche presunti favoritismi e sospetti abusi fatti dai commissari per agevolare i due dirigenti incaricati, Orlando e Dinoi. Quest’ultimo, in particolare, per aver ricevuto nomine apicali non avendo i titoli richiesti. Sospetti su quest’ultimo anche per quanto riguarda la gestione delle procedure di esproprio con pagamenti a favore di suoi parenti.
Interrogato dal pm dell'antimafia, Milto Stefano De Nozza. Delitto del cavalcavia, Vincenzo D'Amicis confessa: sono stato io, ho avuto paura. Redazione su La Voce di Manduria domenica 23 luglio 2023
«Ho fatto tutto io, ma perchè ho avuto paura di essere ucciso». Il manduriano Vincenzo Antonio D'Amicis, principale indagato per l'omicidio del 21nenne leccese, Natale Naser Bathijari, si è addossate tutte le responsabilità del delitto commesso nella notte tra il 22 e il 23 febbraio scorso a Manduria.
Interrogato ieri in videoconferenza dal pubblico ministero Milto Stefano De Nozza della procura antimafia di Lecce che lo indaga per omicidio con l'aggravante mafiosa, il 19enne ha detto di essere stato aggredito dal giovane leccese di origini Rom che brandiva un coltello e che sarebbe stato anche ferito ad un polso. (Ferita che, ha spiegato l'indagato, sarebbe stata segnalata al suo ingresso in carcere).
Poi ha detto che dopo una violenta colluttazione sarebbe riuscito a disarmarlo e con la stessa arma lo avrebbe poi colpito. Tutto questo sarebbe avvenuto all'interno del pub Bunker, nel centro storico della città messapica, dove i due si erano incontrati per chiudere un debito che Natale Naser vantava dal manduriano per una fornitura di droga. Assistito dagli avvocati di fiducia, Franz Pesare e Armando Pasanisi, il giovane indagato si è detto dispiaciuto di quanto avvenuto e che avrebbe fatto tutto per paura e perché era sotto l'effetto della cocaina che assumeva regolarmente ogni giorno.
All'uscita dal locale con la vittima già ferita e sanguinante, la versione di D'Amicis si è coincisa con il racconto fatto sempre ieri dall'altro indagato in carcere, Domenico Palma D'Oria, di 23 anni, che con il terzo presunto complice, Simone Dinoi anche lui ventitreenne, condivide l'imputazione di omicidio volontario con l'aggravante dell'aver agito con il metodo mafioso. Fuori dal bar, ha raccontato D'Amicis, avrebbe incontrato prima D'Oria e poi Dinoi che nel frattempo lo aveva chiamato essendo l'unico a possedere una macchina. Quello che è acceduto dopo, tutto documentato dalla cimice montata nell'auto di Dinoi già sotto indagine per il traffico di droga tra Lecce e Manduria, è stato confessato ancora da D'Amicis; quindi le sevizie, i tagli ripetuti con il coltello appartenuto, secondo la sua versione, al presunto fornitore di droga, i calci e i pugni che hanno portato il ventiduenne alla morte.
D'Amicis ha infine cercato di eludere le responsabilità del nonno, storico boss della sacra corona unita, Vincenzo Stranieri, anche lui indagato ma per il furto della macchina con cui la vittima si era recato a Manduria in compagnia di due ragazze. «Mi ha accompagnato per non farmi fare altre fesserie», ha detto il diciannovenne al pm che ha chiuso così l'interrogatorio videoregistrato. Nonno e nipote quella sera, si impossessarono della macchina, una Fiat 500, lasciando a piedi le due ragazze.
L'auto è stata poi trovata intatta nelle campagne di Manduria. Non è invece stato mai trovato il coltello che sarebbe appartenuto a Natale Naser, lui stesso ucciso con la medesima arma. Chiara quindi la strategia difensiva dei tre manduriani indagati: materialmente l'omicidio lo avrebbe commesso solo D'Amicis, a sua volte spaventato e aggredito dal leccese, mentre i due amici avrebbero partecipato più o meno attivamente alle fasi finali del delitto e all'occultamento del cadavere. Nazareno Dinoi su Quotidiano di Taranto
La confessione di uno dei tre indagati dell'omicidio del giovane di etnia rom. Omicidio del cavalcavia, Dinoi si difende: non sapevo niente, ho avuto paura di morire. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 18 luglio 2023.
«Questo mo me la taglia pure a me la gola». È un passaggio del lungo interrogatorio del 23enne manduriano Simone Dinoi, uno dei tre giovani accusati di avere ucciso nella notte tra il 22 e il 23 febbraio scorso il ventunenne leccese di etnia rom, Natale Naser Bathijari. E non si riferisce alla vittima, ma a Vincenzo Antonio D'Amicis con cui Dinoi condivide l'accusa di omicidio aggravato dal metodo mafioso insieme ad un terzo complice, Domenico Palma D'Oria, anche loro manduriani di 19 e 23 anni. Il giovane lo scorso 6 giugno nel carcere di Melfi, ha risposto alle domande del pm Milto Stefano De Nozza, sostituto procuratore dell'antimafia di Lecce titolare dell'inchiesta sulla barbara uccisione del ventunenne nato a Campi Salentina.
Un lungo interrogatorio durato circa due ore in cui l'indagato che ha chiesto di essere ascoltato, dice di avere avuto un ruolo marginale nel delitto e di essersi prestato per paura di D'Amicis, più volte descritto come persona pericolosa e dalla quale era stato minacciato di morte. La sua versione che in più occasioni non ha convinto il pm De Nozza, è quella di essersi trovato suo malgrado coinvolto in qualcosa per lui incontrollabile. Dalla ricostruzione fatta dall'accusa e dalle intercettazioni ambientali della cimice montata sulla sua macchina (era già indagato con D'Amicis per un sospetto traffico di droga tra Lecce e Manduria), Dinoi entra in scena alle 23.42 di quella sera quando, chiamato da D'Amicis in quanto l'unico a possedere un'autovettura, gli altri due indagati gli caricano in macchina il leccese già ferito dopo che erano stati in un pub del centro storico dove sarebbe avvenuta una prima violenta aggressione anche con un coltello. (Nel locale vengono trovate tracce di sangue della vittima e di un altra persona non ancora identificata). Sarebbe stato allora che il 23enne che era alla guida avrebbe avuto paura di essere ucciso. Nel suo racconto il giovane che nell'interrogatorio è stato assistito dagli avvocati Franz Pesare e Armando Pasanisi, descrive quei primi momenti dell'orrore a cui avrebbe assistito passivamente. Delinea la scena, lui alla guida, il ragazzo ferito seduto alla sua destra e dietro gli altri due. D'Amicis alle spalle della vittima la tiene ferma con un braccio mentre con il coltello nell'altra mano gli procura dei tagli sul collo.
«Quando lui gli ha tagliato la gola il ragazzo aveva iniziato a gridare che aveva paura, e io avevo pure io paura Quando ha iniziato a tagliargli la gola io ho detto "Questo mo' me la taglia pure a me"», ricorda Dinoi.
L'interrogatorio videoregistrato e trascritto nel verbale di 133 pagine, rivela poi l'episodio di un fucile appartenuto a D'Amicis che Dinoi avrebbe fatto sparire rischiando anche per questo di essere ucciso. Nell'interrogatorio si parla di un'altra minaccia di morte sempre da parte del principale indagato. «Voleva che uccidessi le due ragazze che erano arrivate a Manduria con la vittima e disse che mi avrebbe ucciso se non lo avessi fatto», racconta l'indagato che confessa un altro particolare inedito, quello del mancato dar fuoco al cadavere, su richiesta, sostiene lui, sempre di D'Amicis, perché non lo trovano più nel posto dove lo avevano gettato (nel terrapieno di un ponte della Bradanico Salentina alla periferia della città). «Sul luogo dell'abbandono del cadavere feci finta di non vedere il corpo e andammo via», dice. La mancata distruzione con la benzina preoccupa Dinoi che il giorno dopo legge sui giornali del ritrovamento del corpo del povero Natale Naser martoriato con trenta coltellate. «Sicuramente lo hanno trovato così, non è stato bruciato, questo mo' se la prende con me e viene», confessa Dinoi al pubblico ministero che al termine del colloquio esprime molti dubbi su quanto ha appena sentito. Mercoledì prossimo toccherà agli altri due indagati raccontare la loro versione allo stesso pubblico ministero De Nozza che si prepara già per il processo.
(Da Quotidiano di Taranto)
Omicidio di Manduria, arriva la confessione: «Solo io ho ucciso il 21enne». Ieri l’interrogatorio di D’amicis. Il 19enne ha dichiarato di aver reagito all’aggressione del leccese Bathijari quando i 2 compagni non erano presenti. FRANCESCO CASULA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 20 luglio 2023.
«Dopo avermi minacciato telefonicamente, siamo andati al bar Bunker e lì mi ha aggredito con un coltello: sono riuscito a disarmarlo e poi l'ho accoltellato». È quanto, in estrema sintesi, ha raccontato al pm Milto De Nozza il 19enne Vincenzo Antonio D'Amicis, uno dei tre manduriani arrestati per l'omicidio di Natale Nasser Bathjiari, 21enne leccese di origine bosniaca trovato morto nelle campagne di Manduria nella notte tra il 22 e il 23 febbraio scorso, ucciso secondo l'accusa perché aveva osato sfidare la famiglia Stranieri, il clan mafioso che da generazioni comanda e impera nel territorio messapico. In collegamento telematico dal carcere campano in cui è detenuto, il 19enne, difeso dagli avvocati Armando Pasanisi e Franz Pesare, si è assunto tutta la responsabilità della vicenda e ha provato a scagionare gli altri due amici: il 22enne Domenico D’Oria Palma e Simone Dinoi anch’egli 22enne. Al magistrato ha raccontato che quella sera ha incontrato il giovane che da tempo lo minacciava telefonicamente per ottenere il pagamento della droga che il gruppo di Manduria aveva acquistato dai leccesi qualche tempo prima. D'Amicis ha svelato che in realtà buona parte dello stupefacente lo avevano consumato proprio loro e il denaro non c'era: un uso cronico di cocaina che gli avrebbe, secondo l'indagato, fatto perdere la lucidità in quei momenti. Nel bar Bunker, secondo il 19enne, il suo rivale avrebbe tirato fuori un coltello e avrebbe iniziato a colpirlo: al pm ha mostrato delle ferite alle braccia su cui ora saranno effettuati accertamenti per capire se quelle ferite c'erano o meno al suo arrivo in carcere. In quei momenti, però, sarebbe riuscito a disarmare l'avversario e a colpirlo. Solo in quel frangente sarebbe sopraggiunto D'Oria Palma e insieme avrebbero poi contattato Simone Dinoi.
Un tentativo, insomma, per scagionare i due amici e provare a spiegare alla magistratura che non si è trattato di un omicidio premeditato, ma di una reazione: una strada quasi disperata per provare a evitare gli ergastoli che incombono sui tre giovani. Anche gli altri due indagati, nei loro interrogatori, hanno sostanzialmente raccontato di non aver preso parte all'assassinio, ma di aver aiutato il 19enne a disfarsi del corpo: un contributo che avrebbero offerto per paura della reazione di D'Amicis, nipote di Vincenzo Stranieri, storico boss di Manduria tornato a casa dopo quasi 30 anni di carcere. A sostegno della loro estraneità al delitto, i due hanno evidenziato di aver rifiutato l'ordine del 19enne di uccidere anche le ragazze che lo avevano accompagnato a Manduria.
Eppure, stando a quanto emerge dalle telefonate raccolte dai poliziotti della squadra Mobile guidati dal vice questore Cosimo Romano, i due avrebbero avuto un ruolo attivo dal loro arrivo fino al momento in cui avrebbero abbandonato il corpo agonizzante del 21enne vicino al cavalcavia sulla strada che unisce il comune Messapico a Oria. In quei 18 minuti, stando alle accuse della Direzione distrettuale Antimafia, anche loro avrebbero infierito sulla vittima già pugnalata e sanguinante.
Il Prima della sentenza è arrivata la tragedia. Buccoliero un bravo medico e oggi sappiamo anche che era innocente. La Redazione su La Voce di Manduria il 12 febbraio 2023.
Se fosse ancora vivo, ieri avrebbe anche lui preso atto con soddisfazione del verdetto del giudice del Tribunale di Taranto che lo assolveva insieme ai suoi tre colleghi dall'accusa di omicidio colposo. Giovanni Buccoliero, primario facente funzione della medicina del Marianna Giannuzzi, era tra gli imputati del processo, durato 8 anni, per il presunto caso di malasanità che, secondo l'accusa, avrebbe causato la morte di un settantacinquenne di Avetrana. (Ne parliamo qui).
Prima della sentenza che gli avrebbe restituito serenità, è arrivata la morte che lo ha colto in quello stesso reparto dove avrebbe commesso il reato, facendo quello per il quale otto anni prima era finito sotto processo accusato di non aver fatto bene il suo lavoro. Un lavoro che lo ha ucciso a 61 anni, stroncato da un infarto, si pensa proprio per lo stress dovuto a turni massacranti di quel terribile periodo pandemico che aveva ed ha tuttora messo in ginocchio il nosocomio messapico.
Era il 21 luglio dello scorso anno. Il primario stava facendo il consueto giro visite del mattino quando lasciò la stanza dei pazienti dicendo agli infermieri di iniziare a prendere la pressione che lui sarebbe tornato subito. Non tornerà più. Il suo cuore gli aveva dato solo il tempo di entrare nel bagnetto di servizio prima di fermarsi. Inutili tutti i tentativi per rianimarlo, morirà così, accasciato vicino al lavandino, prima di sapere della sua innocenza.
Si è detto che ad ucciderlo è stato il troppo lavoro. Buccoliero era trai medici più presenti nel suo reparto e copriva turni anche al pronto soccorso paurosamente sotto organico. Per la sua morte la procura jonica ha aperto un'inchiesta che ancora non è stata conclusa. Si sarebbero scoperte un monte ferie arretrate di ben 170 giorni. Quel giorno che il suo cuore non ha retto, aveva già lavorato troppo, dodici ore, senza mai fermarsi.
Si scoprirà insomma che Buccoliero era un instancabile lavoratore, vittima lui stesso di una straordinaria volontà di offrire sé stesso senza limiti. Un carattere arrendevole e conciliante che faceva comodo al sistema nelle situazioni di emergenza come quella che si era venuta a creare nel presidio ospedaliero manduriano alle prese con la più grave e duratura carenza di figure sanitarie, medici soprattutto, come in tutti gli ospedali della Asl e della Puglia più in generale. Un bravo medico, oggi sappiamo anche che era innocente.
Nazareno Dinoi
Patrizia dom 12 febbraio 08:09
Purtroppo oltre al medico, sono deceduti tanti pazienti. Sono andati con i propri piedi e senza Covid. Sono usciti morti, con il Covid.. Parlo con l’esperienza avuta con mio padre, che non dimenticherò mai i nomi di quel reparto.
Alessia Quartulli dom 12 febbraio 15:11
La legge italiana tutela, in caso di dubbio, il colpevole...io sono la figlia di quel signor Quartulli per la cui morte si è aperto il processo...l'imperizia, la negligenza e l'incuranza a cui io e la mia famiglia abbiamo assistito il giorno della morte di mio padre è terribile...e non solo per la morte del mio di padre, ma per quella di tanta altra gente...e questa, purtroppo, non è una novità...non metto in dubbio il duro lavoro del dott. Buccoliero, ma la verità processuale è spesso ben diversa da quella reale, da quella vista con i propri occhi e vissuta sulla propria pelle...per fortuna esiste anche una giustizia divina!
Sulla storia drammatica del rapimento Fusco. Una mostra di pittura dedicata a Anna Maria Fusco con tavola rotonda e musica. La Redazione de La Voce di Manduria il 10 gennaio 2023.
Si intitola “La vita legata ad un filo”, l’ultima mostra della pittrice manduriana Rosanna Baldari esposta al Museo civico di Manduria dal 12 al 18 gennaio. La mostra è organizzata dall’Associazione Nemesi diritto e psicologia di Roma.
L’esposizione è ispirata a una delle cronache manduriane più angoscianti: il rapimento di Anna Maria Fusco, la giovane maestra sequestrata il 18 novembre del 1983 e rilasciata dopo il pagamento del riscatto il 6 giugno 1984.
Sono più di trenta le opere esposte da Baldari che hanno come filo conduttore le violenze fisiche e psicologiche subite dalla manduriana per sette lunghi mesi, prigioniera all’età di vent’anni nelle grotte del Gargano. La ricostruzione artistica della pittrice non parte semplicemente dal fatto di cronaca, ma dalle parole che la stessa vittima ha riportato nel suo libro crudamente autobiografico: “Verità nascoste. Tratto da una storia vera”. Il dolore della prigioniera, taciuto per trent’anni, che prima diventa testo e poi pittura. Rosanna si dota dei sette vizi capitali per testimoniare l’orrenda vicenda: «Dalla costante mortificazione della sua femminilità, la perdita dell’essenza del suo spirito esistenziale fino all’alienazione, alla liberazione ed il ritorno alla vita», spiega l’artista.
Ruolo cardine è riservato ai temi della violenza, vita e libertà legati tutti da un unico filo, rappresentati attraverso quindici maschere realizzate con dei sacchi di juta.
L’inaugurazione si terrà il 12 gennaio alle ore 18:00 e in apertura ci saranno i saluti del sindaco di Manduria Gregorio Pecoraro e del vicesindaco Vito Andrea Mariggiò. Moderatore Gherardo Maria De Carlo. A seguire gli interventi del magistrato Augusto Bruschi del dirigente scolastico Roberto Cennoma e della psicologa Maria Teresa Coppola. Un intermezzo musicale dal vivo sarà eseguito da Federica Lorenza Perpignano al pianoforte, Andrea Antonello Nacci al violino e Alessandro Metta all’armonica.
Sarà possibile visitare la mostra dal 12 gennaio fino al 18 gennaio, tutti i giorni dalle ore 10.30 alle ore 12.30 e dalle 17.30 alle 19.30 presso il Museo Civico delle Grandi Guerre, in Vico L. Omodei, 28. Marzia Baldari
Il racconto di quei terribili mesi. Oggi il convegno sul rapimento Fusco: in un libro il pagamento del riscatto e il giorno della liberazione. La Redazione de la Voce di Manduria il 12 gennaio 2023.
Rapimento
Si apre oggi con una tavola rotonda, la mostra pittorica di Rosanna Baldari dedicata alla manduriana Anna Maria Fusco e al dramma del suo rapimento avvenuto quando era giovanissima.
Ne parleranno nella sala convegni del museo civico di Manduria, con inizio alle 18,30 e la moderazione di Gherardo Maria De Carlo, il magistrato in pensione Augusto Bruschi, all’epoca dei fatti pubblico ministero che si occupò delle indagini di quel crimine, il dirigente scolastico Roberto Cennoma e la psicologa Maria Teresa Coppola. Il tema dell’incontro è “La vita legata ad un filo”, quella, appunto, dell’ex maestrina che restò nelle mani dei sequestratori per più di 6 mesi con sofferenze, privazioni e umiliazioni terribili. Esperienze raccolte in un libro autobiografico che la protagonista ha scritto con il titolo “Verità nascoste”.
Di quel rapimento si parla anche in un altro libro-inchiesta del direttore de La Voce di Manduria, Nazareno Dinoi, intitolato “Dentro una vita – I 18 anni in regime di 41 bis di Vincenzo Stranieri”. L’ex boss della sacra corona unita, manduriano anche lui, è stato condannato per essere stato tra i rapitori di Anna Maria Fusco.
In “Dentro una vita” viene ricostruito con minuzia di particolari, frutto di ricerca di atti processuali, atti di inchieste e memorie investigative, il momento del rapimento della maestrina, l’incredibile fuga dei rapitori a bordo di una Alfa Sud priva di targhe e i contatti dei rapinatori con la richiesta di riscatto sino al giorno della liberazione.
Tratto dal libro di Nazareno Dinoi, riportiamo l’ultima parte della dolorosa esperienza di Anna Maria Fusco: la consegna del riscatto e il suo rilascio.
IL RILASCIO
I Fusco rilanciarono appelli e finalmente il primo giugno del 1984 i sequestratori telefonarono alla madre della giovane annunciando un ennesimo appuntamento. Questa volta l’interlocutore prescelto dai carcerieri fu Roberto De Stratis, il parrucchiere della giovane rapita che ricevette una telefonata nella quale si riferivano i termini del baratto.
I familiari dovevano presentarsi a mezzanotte sulla strada per Rodi Garganico e lasciare in un punto indicato i soldi del riscatto. Quella stessa sera Don Tommaso Dimitri, parroco della chiesa San Giovanni Bosco e il fratello di Annamaria, Nino Fusco, partirono da Manduria diretti a Rodi. Fu la volta buona (dopo precedenti tentativi falliti), perché i due si presentarono all'appuntamento senza la presenza delle forze dell'ordine opportunamente messe da parte per consentire il rilascio della rapita.
Il primogenito dei Fusco lasciò nel posto prestabilito, su un cumulo di pietre, una borsa contenente 600 milioni di lire (800 secondo altre fonti), tutte in banconote da 50 e 100 mila lire.
Alle 4,40 del mattino del 6 giugno 1984, una ragazza vestita con pantaloni e giubbotto, tutti sgualciti, spettinate molto provata, si presentò negli uffici della stazione ferroviaria di Candela in provincia di Foggia: “sono Annamaria Fusco, per favore fatemi telefonare a casa”, disse all'uomo che si presentò alla porta dell'appartamento del capostazione. Qualche minuto dopo il telefono squillò nella casa dei Fusco sulla via per Maruggio a Manduria. Erano passati 202 giorni da quella terribile mattina del 18 novembre e l'incubo per tutti era finito. Intanto l'allerta era stato lanciato anche alle forze dell'ordine che si portarono massicciamente a Candela. Tre ore dopo il procuratore capo della Repubblica di Taranto sottopose la giovane ad un primo sommario interrogatorio. La maestra, esausta, espresse il desiderio di essere accompagnata a casa ma non prima di aver rivelato i clamorosi particolari che avrebbero dato la fondamentale spinta per l'individuazione di chi l'aveva tenuta prigioniera». (Da “Dentro una vita, i 18 anni in 41bis di Vincenzo Stranieri”. Nazareno Dinoi, edizione Reality Book).
Gli anni della criminalità manduriana. La storia del brutale rapimento dopo 40 anni. La Redazione de La Voce di Manduria il 10 gennaio 2023.
Anna Maria Fusco. Il 18 novembre del 1983 una giovane manduriana fu rapita dall’anonima sequestri del Gargano e tenuta in ostaggio per sei mesi e 18 giorni prima di essere liberata dietro il pagamento di un riscatto. Il suo nome è Anna Maria Fusco, insegnava alla scuola elementare di San Pietro in Bevagna dove si stava recando la mattina del suo rapimento. Aveva solo 21 anni con l’unica colpa di essere figlia di una facoltosa famiglia di imprenditori del vino, all’epoca sull’onda del successo e della notorietà: un bancomat per la banda di criminali senza scrupoli.
Quarant’anni dopo, quell’episodio tra i più cruenti della cronaca nera manduriana, tornerà alla ribalta grazie ad una mostra pittorica (di cui parliamo a parte) e un convegno con i protagonisti di quei fatti. Primo tra tutti il magistrato in pensione, Augusto Bruschi che indagò sul rapimento e che riuscì ad arrestare tutti i componenti della banda. Sulla locandina che annuncia l’evento non c’è tra i relatori il nome di Anna Maria Fusco, ma non potrà mancare come spettatrice di un racconto che le ha cambiato per sempre e irrimediabilmente la vita. Sei mesi e 18 giorni terribili raccolti in un libro autobiografico che la maestrina ha avuto il coraggio di scrivere solo 35 anni dopo quel doloroso capitolo della sua giovane esistenze.
Un rapimento che ha avuto protagonisti manduriani anche tra chi l’ha materialmente rapita consegnandola nelle mani dei foggiani. Almeno due con responsabilità diretta ed altri basisti e complici i cui nomi non si sono mai scoperti. Solo uno ha pagato per quel crimine, Vincenzo Stranieri detto “Stellina”. Dalla parte opposta dei ruoli, quel rapimento ha cambiato anche la sua vita ridotta in 38 anni ininterrotti di carcere, trenta dei quali in regime di isolamento. Oggi sono entrambi vivi ma prigionieri delle loro storie.
«Verità nascoste» è il titolo del libro che racconta la storia dolorosa di Anna Maria Fusco. Racconti di sevizie fisiche e morali nascoste a tutti, per amore persino ai suoi genitori, in un perenne dolore. Nella prefazione del libro la sintesi del suo vissuto.
«Un atroce capitolo della sua vita, prigioniera ai confini della morte. Un’esperienza devastante per una donna che perdeva sempre più la sua dignità, il suo pudore. Costantemente mortificata nella sua femminilità, sofferente e impotente, incatenata come una bestia con tanto di prezzo. Un oggetto sessuale con cui soddisfare il proprio istinto brutale, un sacco da pugile su cui sfogare la propria ira. Un essere umano che perdeva l’essenza del suo spirito esistenziale fino all'alienazione.
Ma dopo tanto tempo è arrivata l’ora che queste verità siano raccontate a tutti, perché tutti sappiano e capiscano: lo sfregio della sua anima e il suo dolore è ancora cocente.
La protagonista affida il suo messaggio all'umanità, soprattutto alle donne perché si ribellino della violenza subita come costume, come religione o come psicopatia.
Un tempo, troppo giovane per raccontare e con il timore di non essere creduta per l’assurdità dell’accaduto.
Ma ora non c’è più posto per il falso pudore, c’è posto per un grido fortissimo, c’è posto perché i giovani imparino e ai quali Anna Maria dedica la propria anima. Una lettera aperta al mondo, quindi, dedicata ai giovani. I più deboli, i più recettivi. Anna Maria Fusco». Nazareno Dinoi
Vita e morte dell’informazione. Intervista a Nazareno Dinoi su cronaca-nera.it il 12 gennaio 2011
Dinoi, lei vive a Manduria e come giornalista ha curato gli articoli di cronaca nera sulla drammatica storia di Sarah Scazzi ad Avetrana. È il direttore de “La Voce di Manduria” e collabora per il “Corriere del Mezzogiorno”. Qual è stato il suo primo pezzo pubblicato sul caso?
Il mio primo articolo su Sarah Scazzi l’ho pubblicato il 29 agosto, tre giorni dopo la sua scomparsa. La notizia l’avevo avuta il giorno prima ma parlando con i carabinieri decisi, sbagliando, di aspettare ancora.
Vivendo a Manduria, vicino ad Avetrana, ha potuto respirare anche le sensazioni della popolazione: qual è stata la sua prima impressione, e quale, invece, l’idea che si è fatto in seguito?
L’impressione che ho avuto subito è stata quella che poi si è purtroppo avverata. Nessuno in quel paese, me compreso, ha mai creduto ad una fuga volontaria nonostante le voci iniziali del possibile coinvolgimento di facebook, delle chat e della volontà di fuggire della ragazza. Tutti eravamo convinti del peggio. Un aspetto alquanto strano, questo, che meritava di essere approfondito sin da subito. Solo dopo si è capito che tutti quanti siamo stati manipolati dalla famiglia Misseri che è stata la prima, dai primissimi istanti della presunta scomparsa di Sarah, ad infondere pessimismo sulla sua sorte.
Che cosa significa, per i cittadini di Avetrana, da un punto di vista socio-antropologico, un delitto in una cittadina così piccola e così lontana finora dai fatti di cronaca?
L’abnorme interesse dei media su una comunità così piccola, così distante dai grandi eventi mediatici, difficile da raggiungere persino geograficamente, ha prodotto un’iniziale eccitazione con forte desiderio di partecipare al circo dell’informazione “all inclusive”. Nessuno di noi cronisti, per molti giorni, ha mai avuto difficoltà a raccogliere impressioni, racconti, aneddoti, persino spunti investigativi dagli avetranesi. Dopo, però, la macchina si è guastata e la gente ha cominciato a vederci come degli intrusi; e aveva ragione perché in troppi abbiamo approfittato, anche con l’inganno, della loro disponibilità.
Perché il turismo macabro dell’orrore, e quello squallido voyeurismo, ad Avetrana?
Voglio subito sfatare quello che è stato marchiato come una prerogativa tutta avetranese e del Sud più in generale. Il turismo dell’orrore è sempre esistito laddove si sono consumate le peggiori tragedie a danno di giovani vittime. Casalecchio di Reno, Cogne, Erba e Parma, e prima ancora Vermicino. Anche in quei casi non sono mancati gli altarini con fiori, dediche e orsacchiotti bianchi e gite di gruppo o familiari in visita nei luoghi dell’orrore.
Quale “vuoto” di umanità, relazioni, cultura c’è alla base di questo fenomeno, secondo lei?
Assodato che il voyeurismo noir non predilige latitudini, mi diventa più difficile dare una lettura antropologica del fenomeno. Forse tutto si spiega con il bisogno dell’essere umano di sentirsi partecipe del dolore altrui: più insopportabile è la perdita per gli altri, più ci interessa conoscerla da vicino, studiare i particolari, provare a rendere tangibile quella sensazione di sofferenza che si prova da semplice spettatore. O molto semplicemente per dire: “io sono stato lì”. In quest’ultimo caso giocano un ruolo fondamentale la televisione, le immagini, l’informazione in generale.
In uno dei suoi articoli, si legge che “tutti ci siamo fatti travolgere dall’eccitante ebbrezza del giallo di Avetrana dimenticando la piccola Sarah”. Qual è il modo migliore per ricordare Sarah, allora: costruire e intitolarle un canile come ha pensato il fratello Claudio, cercare verità e giustizia, fare un passo indietro dal punto di vista mediatico e giornalistico…
Bella domanda che merita più risposte. Ribadisco: ci siamo fatti travolgere dall’eccitazione del giallo dimenticando la vittima. Noi operatori dell’informazione, forse per la prima volta nella storia dei grandi omicidi, abbiamo avuto a disposizione una grande quantità di materiale da raccontare. Dai primissimi giorni abbiamo avuto accesso alle cose più personali, intime di Sarah. Abbiamo potuto raccogliere i ricordi della madre, del padre, gli zii, le cugine, le amiche, i professori. Siamo stati abbondantemente serviti, al limite della liceità, da una mole di dati investigativi spesso imbarazzanti. La prima volta che sono andato a casa Scazzi ho trovato le porte incredibilmente aperte e un’insperata disponibilità della famiglia. Io con altri colleghi siamo entrati nella stanza di Sarah quando c’erano ancora i suoi odori, tutte le sue cose sparse sulla scrivania, persino i jeans che il 26 agosto aveva tolto per indossare il costume da bagno. Conservo ancora le foto e un breve filmato video con il cellulare di quei pantaloni-feticcio rivoltati e gettati disordinatamente e in fretta sul suo lettino.
Noi giornalisti, prima ancora degli investigatori, abbiamo avuto tra le mani i diari di Sarah, i suoi quaderni di scuola, le lettere piegate nei libri. I dirigenti della sua scuola hanno permesso la pubblicazione dei suoi diari, delle schede di ammissione, hanno fatto fotografare le scritte che Sarah lasciava sui banchi e sui davanzali dell’aula. Abbiamo tutti coscientemente violato il suo mondo ma pur avendo la possibilità di raccontarlo abbiamo preferito parlare del giallo, del pericolo di facebook, delle insidie di internet, del traffico d’organi, dei sospetti sui familiari, delle cose peggiori della loro vita privata. Nessuno di noi si è preoccupato, se non in minima parte e solo dopo la scoperta della sua morte, del dramma di quella ragazzina vissuta da sola nell’indifferenza di tutti. Sarah, abbiamo scoperto dopo, era un piccolo fantasma passato inosservato persino agli abitanti di una comunità dove si conoscono tutti. Qualcuno dei nostri intervistati, allora, aveva inventato ricordi di lei pur di apparire o di rendersi utile. Tutti abbiamo trascurato il vero dramma di questa storia che è l’abbandono: la mamma di Sarah, Concetta, abbandonata dalla sua famiglia che l’aveva ceduta agli zii diventati secondi genitori, la stessa Sarah abbandonata dal padre che aveva deciso di vivere lontano da lei e abbandonata anche dalla madre divenuta schiava di un credo in Geova che segna l’isolamento suo e della sua bambina dal resto del mondo. Sarah non ha mai potuto festeggiare un compleanno, un capodanno, un Natale, una festa di cresima, un ferragosto, una notte di San Lorenzo. Per questo persino il carattere non dolce della cugina Sabrina diventava un piacere per la povera ragazzina che adorava vivere con la famiglia che l’ha uccisa.
L’idea del fratello Claudio di intitolare un canile a Sarah sarebbe stata buona se fosse stata gestita da altre persone.
In un suo articolo, lei ha insistito molto sulla figura di Ivano Russo. Di lui si racconta che, nonostante la confidenza con Sarah, il giorno della scomparsa della quindicenne, Ivano non la cercò mai al cellulare quando gli fu detto che Sarah era scomparsa. Qual è il suo parere su questo aspetto?
Prima che lo zio di Sarah, Michele Misseri, confessasse il delitto, noi giornalisti e credo anche gli inquirenti, eravamo convinti che Ivano sapesse la verità. Credo anche che in quel periodo il suo mandato di cattura fosse già pronto. Per il resto credo che la sua posizione sia tuttora oggetto di forte interesse da parte della procura.
A proposito di Concetta, la mamma di Sarah, lei l’ha descritta come una “madre distratta, prigioniera della sua fede a Geova”. Io credo però che le espressioni del viso, la “poca loquacità” di un essere umano, il suo essere anche un po’ defilato e riservato, non siano condannabili. Forse la affettività e la anaffettività, non possono essere decodificate, non possono equivalere a un modo di comportarsi standardizzato, o assoluto. Credo che pensare in questo modo, cioè attribuire una natura distratta a una madre da una posizione esterna, per giunta attraverso la telecamera, sia il prodotto di una “sovrastruttura sociale” di cui noi stessi siamo vittime. Lei che ne pensa?
Personalmente non ho mai condannato Concetta per l’assenza di lacrime. Anzi, come dicevo prima, dopo Sarah è lei la seconda vittima di questa triste storia: da un’infanzia fatta di abbandoni ha trovato un matrimonio sbagliato che l’ha lasciata sola con la figlia e ora con la figlia ha perso anche ogni seppure minimo legame che aveva con le sue sorelle e il fratello naturale che, di fatto, si sono tutti schierati con la famiglia Misseri. Dopo tutto questo, non le si può fare una colpa se non è capace di piangere. Io ho vissuto con lei tutti i momenti delle ricerche ed ero con lei la terribile notte in cui fu trovato il corpo della figlia gettato nel pozzo. E’ stata l’unica volta che ho visto le lacrime sul suo volto, erano lacrime senza pianto, senza singhiozzi, eppure l’immagine di lei che seguiva le notizie dei telegiornali della notte e quelle che le davamo noi era quella del dolore puro, indimenticabile.
In quale modo “La Voce di Manduria” ha trattato l’argomento del giallo di Avetrana e come hanno reagito i lettori de “La Voce di Manduria”, anche sul vostro sito?
Il sito “La Voce di Manduria” ha trattato costantemente l’argomento con almeno due notizie al giorno. I lettori si sono comportati nella maniera scontata: inizialmente hanno gradito poi, dai commenti che lasciavano, hanno cominciato ad esprimere giudizi negativi dicendoci di chiudere il sipario. Nonostante tutto, ancora oggi, le notizie su Sarah sono le più lette con una preferenza costante di almeno tre volte in più rispetto alle altre.
Qual è dal punto di vista mediatico e giornalistico l’aspetto più squallido della vicenda, secondo lei? L’errore da non commettere mai più?
L’aspetto più squallido è stato il mercato di immagini, di interviste e di documenti dell’inchiesta ad opera di personaggi tuttora, diciamo, “oscuri” e lo sfruttamento televisivo che si è fatto e si continua a fare: troppi esperti da talk show che si inventavano i fatti hanno fatto perdere credibilità alla notizia. A mio avviso sono questi gli errori da non commettere più insieme a quello di non violare l’intimità di una ragazza morta perché era sola.
* Nazareno Dinoi vive e lavora a Manduria. È direttore de “La Voce di Manduria”, giornalista del “Corriere del Mezzogiorno”, e autore del libro Dentro una vita (Reality Book 2010), il racconto dei 18 anni in regime di 41 bis del boss pugliese Vincenzo Stranieri.
Nazareno Dinoi: “Quando un sindaco denuncia un giornalista”. Redazione il 17 Novembre 2014
Da lavocedimanduria.it, pubblichiamo questo articolo del suo direttore.
Il sindaco di Sava, Dario Iaia, con la sua giunta, ha dato incarico all’avvocato tarantino, Egidio Albanese, di rappresentare l’ente nella denuncia-querela del giornalista savese Giovanni Caforio e della sua testata online, Vivavoce. Chi fa il nostro mestiere è purtroppo abituato a questo genere di incidenti di percorso.
Chi si sente offeso o diffamato da ciò che scriviamo, ha il diritto di rivolgersi alla giustizia. A volte possiamo sbagliare. Spessissimo siamo noi ad essere oggetto di vere e proprie intimidazioni da parte di chi, potendo pagare la parcella di un qualsiasi legale (nel caso di cui ci occupiamo, poi, si è scelto il meglio perché paga «Pantalone»), oppure rivolgendosi gratuitamente ad un qualsiasi corpo di polizia giudiziaria, non ci risparmia il dispiacere di un’altra querela.
In tal caso lo scopo di costoro, già al momento della denuncia, sia essa gratis sia a pagamento, lo hanno già raggiunto: quel giornalista preso di mira, non solo non parlerà più male del denunciante, ma non scriverà proprio più niente che gli riguardi. Con quella denuncia, insomma, si è acquistata l’immunità. E quando questo denunciante è un politico, vi lascio immaginare quanto importante sia per lui questo risultato. C’è chi si piega a questi ricatti e chi invece, parlo del giornalista, continua a fare il proprio dovere. L’amico Giovanni, a cui va la mia personale solidarietà e quella della redazione del giornale che dirigo, non è uno di quelli che si arrendono a questi ricatti.
Non voglio e non posso entrare nel merito dei motivi che hanno spinto la giunta savese a querelare il giornale e il giornalista. Seguo la cronaca di Sava e riconosco lo stile spigoloso, a volte eccessivamente spigoloso, di Giovanni Caforio. Condanno però a prescindere il gesto della querela perché quando un potere così forte come un ente comunale arriva alle vie di fatto nei confronti di un giornale locale piccolo, senza editori alle spalle e quindi vulnerabilissimo, è sempre una sconfitta del buonsenso, del confronto e della democrazia.
Dico questo perché è capitata a me la stessa cosa. Anche io in passato sono stato querelato dal mio comune. Due volte. Una prima volta perché avevo definito «guerra» una discussione molto ma molto accesa tra esponenti politici durante una seduta di consiglio; l’altra volta perché sul mio giornale avevo ospitato la vignetta del bravo vignettista Paolo Piccione (la famosa vignetta della coppia cojons). Anche gli amministratori dell’epoca si ritennero diffamati e mi incolparono, con me anche il vignettista, di avere «gravemente» danneggiato l’immagine della nostra città. Come è andata a finire? La prima causa l’ha persa il comune con tanto di spese di giustizia e legali a suo carico (al suo e al mio avvocato); la seconda è stata chiusa per la remissione della querela da parte del sindaco, evidentemente ravveduto dell’errore, che firmò quell’atto. Risultato?
Io continuo a scrivere, Paolo Piccione disegna e pubblica ancora, mentre quasi tutti i politici che firmarono quelle denunce, tranne forse un paio, sono scomparsi dallo scenario politico di Manduria. Gli unici ad aver perso in quel caso, come nel caso di Sava, furono il buonsenso, il confronto e la democrazia. A guadagnare (molto, abbastanza), furono allora gli avvocati pagati con i soldi pubblici, anche miei, nostri, di tutti.
Spero tanto che il sindaco di Sava ritiri la sua denuncia e risparmi le tribolazioni ad un piccolo editore ed anche i soldi pubblici delle parcelle legali che, lui lo sa bene come lo sappiamo tutti, noi si fermano quasi mai alle tremila euro impegnati all’inizio. Nazareno Dinoi Direttore responsabile de lavocedimanduria.it
Nel dare notizia di tale procedimento, il giornalista Dinoi aveva erroneamente descritto l’imputazione a carico dell’ex prefetto di Rimini con la seguente contestata frase: «Saladino avrebbe anato senza motivo multe a parenti. «Falsa rappresentazione della realtà», direttore de La Voce condannato a risarcire l'ex prefetto. La Redazione de La Voce di Manduria domenica 16 febbraio 2020
Il Tribunale civile di Taranto, giudice onorario Antonio Taurino, ha accolto parzialmente la richiesta di risarcimento danni avanzata dal prefetto in pensione, Vittorio Saladino, commissario straordinario del comune di Manduria, nei confronti del direttore de La Voce di Manduria, Nazareno Dinoi, che è stato condannato a pagare 2.000 euro (la richiesta del danneggiato era di trentamila euro) - e non per "diffamazione aggravata" come erroneamente riportato da qualche giornalista male informato -, per aver riportato in maniera difforme la notizia di un procedimento penale a carico di Saladino che lo ha visto imputato per abuso d’ufficio e poi assolto dal Tribunale di Rimini "perché il fatto non sussiste". A Saladino, allora prefetto di Rimini, era contestato un indebito utilizzo di un dipendente della prefettura e di aver fatto anare senza motivo una multa presa dall'auto della moglie. Accuse poi cadute con l’assoluzione del primo grado di giudizio.
Nel dare notizia di tale procedimento, il giornalista Dinoi aveva erroneamente descritto l’imputazione a carico dell’ex prefetto di Rimini con la seguente contestata frase: «Saladino avrebbe anato senza motivo multe a parenti e amici».
Così, evidentemente, non era.
«Esaminando la richiesta di rinvio a giudizio del Piemme – scrive il giudice Taurino nella sentenza di condanna a Dinoi -, emerge in maniera univoca ed inequivoca che il fatto costitutivo ascritto dalla pubblica accusa a base dell’imputazione per abuso d’ ufficio (a carico dell’ex prefetto, Ndr), non è certo l’aver anato multe a parenti ed amici, quanto l’ aver dichiarato "falsamente" in un ricorso promosso per l’ anamento di una multa comminata alla moglie, di essere stato lui, il Saladino, nella circostanza, ad essere stato l’ effettivo utilizzatore dell’auto per esigenze di servizio, che è fatto del tutto diverso dall’anare multe " a parenti ed amici"».
Scrive ancora nella sentenza il giudice di Taranto.
«Sul punto va sottolineata la profonda differenza che corre tra l’agire per l’anamento di un verbale (quale astratto diritto di difesa che il pubblico funzionario possiede al pari di qualunque altro cittadino che ritenga ingiusta la comminatoria), avvalendosi di false dichiarazioni, e anare multe a "parenti ed amici", fatto dai contenuti fenomenici del tutto diversi oltre che suscettibili di suggestionare ed alterare la percezione dell’immaginario della comunità dei lettori».
Sbagliata era anche, secondo il giudice, la definizione di "parenti" quali ipotetici e quindi di più persone beneficiari del presunto abuso. Anche perché, si spiega, Il legame che lega i coniugi non è di tipo parentale.
Scrive Taurino.
«La tesi, basata sulla rispondenza tra il capo d’ accusa nella parte in cui si riferisce al ricorso per l’anamento della multa di un parente ed il contenuto dell’articolo che avrebbe ascritto l’abusività del contegno in riferimento a parenti (in effetti concetto anche improprio in quanto l’ esatto rapporto intercorrente tra marito e moglie è il coniugio), non convince, in primis perchè è accertato che trattasi di un unico caso (quindi pare distorcere la realtà nel momento in cui si riferisce, seppur implicitamente, ad una pluralità di persone, prospettazione che implica suggestivamente una sorta di "recidiva" del comportamento illecito».
Per tali motivi, rileva il giudice Taurino, la narrazione di cronaca riportata dal direttore della Voce di Manduria, è «da considerarsi ontologicamente non veritiera, in quanto in distonia con i fatti rappresentati nel capo d’ accusa».
Nello stesso errore sono incorsi altri giornalisti di testate anche nazionali e agenzie di stampa da cui Dinoi aveva attinto il presunto capo d’accusa delle «multe anate a parenti amici». Giustificazione non sufficiente per il giudice Taurino ad avvalorare: «l’incolpevolezza dell’autore nell’aver confidato sull’attendibilità della notizia perchè riportata da autorevoli fonti informative di ampia diffusione nazionale (quali l’Ansa, tra le più prestigiose)».
Su questo punto lo stesso giudice fa notare «che inspiegabilmente l’attore, pur legittimato, ha tralasciato ogni azione nei confronti di chi, egualmente, aveva pubblicato la medesima falsa notizia, peraltro preventivamente». L’ex prefetto, insomma, si è sentito leso solo da Dinoi e non da tutti gli altri che prima di lui avevano erroneamente scritto la stessa cosa.
Merita attenzione, infine, la parte della sentenza (che qualche giornalista avrebbe dovuto leggere e non fidarsi solo della solita «velina» passatagli), in cui lo stesso giudice Taurino evidenzia
«che la genesi della vicenda è connessa alla pubblicazione di un fatto vero, costituito dalla proposizione di accusa per reato di abuso di ufficio, che, pare aver di per sé contribuito, in maniera quasi del tutto assorbente rispetto a dettagli accessori non secondari (quali appunto aver attribuito come presupposto d’ accusa un fatto non rispondente al vero), ma di portata mediatica non prevalente, di modo che gran parte del discredito procurato all’ immagine pubblica dell’attore sarebbe attribuibile all’ accusa autonomamente considerata, e solo in quantità marginalmente significativa alla distorsione perpetrata dall’autore (Dinoi, Ndr)».
E ancora questa parte in cui il giudice riconosce la
«logica della difesa convenuta nella parte in cui sminuisce, seppur in via gradata, la portata dell’allarme sociale procurato dall’illecito». E che «a prescindere dalla discrasia in cui è colpevolmente incorso l’ autore, che, peraltro, raccontando i fatti in maniera esaustiva (quantunque con i risultati distorsivi e fuorvianti in parte qua) ha dato contezza dell’intera vicenda ai lettori, consentendo loro l’ esercizio di quello spirito critico che deve contraddistinguere l’ approccio alla lettura delle pubblicazioni di cronaca, che, accidentalmente possono essere connotate da inesattezze, errori o travisamento delle vicende narrate, sino a fare ammenda totale con l’ ultimo degli articoli pubblicati sulla incresciosa vicenda, in cui ha correttamente e compiutamente reso giustizia all’ attore, fornendo il resoconto dell’avvenuta assoluzione dell’imputato».
Secondo il giudice Taurino, il danno comunque c’è stato per un valore quantificato in duemila euro da riconoscere all’ex prefetto Saladino (che ne chiedeva 30.000) e 1.500 euro al suo avvocato.
Il direttore Dinoi ha già dato mandato ai legali che lo hanno assistito nella causa civile, Franz Pesare e Armando Pasanisi, per presentare ricorso alla Corte d’Appello di Taranto.
Diffamò il dott. Vittorio Saladino: condannato il direttore de “La Voce di Manduria”. REDATTORE il 28 aprile 2023 su rtmweb.it. Confermata dalla Corte d’appello di Lecce la sentenza del Tribunale monocratico di Taranto con la quale si condanna il direttore del “La Voce di Manduria” Nazareno Dinoi per diffamazione nei confronti del dott. Vittorio Saladino, ex commissario di Manduria.
La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, presieduta dal dott. Pietro Genoviva, ha respinto, con sentenza del 26 Aprile 2023, il ricorso presentato dai legali del direttore de “La Voce di Manduria” Nazareno Dinoi, con il quale si chiedeva la riforma integrale della sentenza emessa dal
Tribunale di Taranto che condannava il giornalista, in qualità di autore e direttore responsabile, al risarcimento del danno non patrimoniale subìto dal dott. Vittorio Saladino, ex prefetto in pensione, a causa di alcuni articoli pubblicati nel 2018 nell’edizione on line e cartacea del giornale.
La notizia era relativa ad una vicenda giudiziaria che aveva coinvolto il dott. Saladino, all’epoca dei fatti commissario straordinario del Comune di Manduria, rinviato a giudizio per il reato di abuso d’ufficio a conclusione di un’indagine che lo aveva riguardato in veste di (ex) prefetto di Rimini (unitamente ad altri esponenti istituzionali di primo piano).
Secondo Dinoi l’interesse alla divulgazione della notizia, cui aveva dedicato quattro articoli relativi all’evolversi del procedimento penale conclusosi con la sentenza di assoluzione, scaturiva dal ruolo istituzionale ricoperto dal dott. Saladino, chiamato a comporre la Commissione per la gestione
provvisoria del Comune di Manduria e ad esercitare le funzioni di Sindaco in seguito allo scioglimento del Consiglio Comunale, incarico ricoperto fino ad ottobre 2020.
Per la Corte d’Appello l’informazione a cui Nazareno Dinoi diede diffusione mediante la pubblicazione degli articoli giornalistici del 20.09.2018, 11.10.2018 e 28.11.20118 è viziata da falsità in quanto riportava che l’ex prefetto di Rimini, Vittorio Saladino, assieme ad un altro ex prefetto e ad un ex vicecomandante della polizia municipale di Riccione, era stato rinviato a giudizio perché “avrebbe annullato senza motivo multe a parenti ed amici” quando era prefetto di Rimini. In realtà i capi di imputazione di abuso d’ufficio per i quali il dott. Saladino è stato tratto in giudizio erano quelli relativi all’uso a fini personali delle
prestazioni lavorative di un dipendente della locale Prefettura e all’annullamento di una contravvenzione per violazione del codice della strada contestata alla moglie dell’ex Prefetto.
Il dott. Saladino, dunque, secondo le contestazioni dall’autorità giudiziaria penale, non è stato accusato di “aver annullato … multe a parenti e amici”. Una circostanza, questa, non di poco conto in quanto, con la
espressione “aver annullato … multe a parenti e amici”, il giornalista ha finito con il collegare il dott. Saladino non solo a singole ipotesi di reato, ma ad un vero e proprio modus operandi, come se l’ex prefetto fosse solito tenere tale condotta illecita.
Per i giudici la falsità di quella notizia, per la gravità del suo significato, non era affatto marginale, né una mera inesattezza o imprecisione.
Dagli atti acquisiti si desume il dolo nella condotta di Dinoi.
Nel primo articolo, quello pubblicato in data 20.09.2018, il giornalista ha riportato la nota inviata all’Ansa dal dott. Saladino con la quale l’ex prefetto si difendeva contestando di essere stato rinviato a giudizio per “aver annullato multe a parenti ed amici” e precisando che la vicenda riguardava un’unica contravvenzione elevata alla moglie.
Quindi, l’autore ben sapeva della contestazione sollevata sulla veridicità della notizia ma, ciò nonostante, anziché attivarsi diligentemente per verificarla, ha insistito pubblicando la stessa falsa notizia anche nei due articoli successivi.
Nella pubblicazione del 28.11.2018 Nazareno Dinoi ha addirittura accostato, in un unico articolo, la notizia (in parte falsa) relativa al Saladino a quella del giudizio civile per la non candidabilità degli ex
amministratori del Comune di Manduria, decaduti a seguito dello scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti della malavita organizzata, fatto di particolare gravità.
Non sussiste infine e non può applicarsi – aggiungono i giudici della Corte d’Appello – la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, neppure di quella putativa per aver il giornalista creduto incolpevolmente e involontariamente nella veridicità della notizia tratta da “autorevoli fonti informative di ampia diffusione nazionale” tra cui Ansa e delle “altre e numerose testate anche di rilievo nazionale”.
Infatti, a tal fine non ha rilevanza la circostanza che altre testate giornalistiche avrebbero diffuso la stessa falsa notizia.
Il giornalista, si legge nella sentenza, non può fare affidamento in buona fede su una fonte informativa costituita da altre pubblicazioni giornalistiche, atteso che in tal modo finirebbe col confidare sulla correttezza e professionalità dei colleghi, in una sorta di circuito autoreferenziale.
Per i giudici, inoltre, il contenuto offensivo della notizia e il dolo di Dinoi non sono esclusi dalla pubblicazione del 29/11/2018 mediante la quale veniva dato risalto alla notizia dell’assoluzione con formula piena del dott. Saladino, in quanto il fatto non incide sull’esistenza del danno alla reputazione subìto. Danno dimostrato da una serie di elementi quali il contenuto offensivo della notizia, dalla notorietà e dall’importanza delle funzioni svolte dal dott. Saladino nel Comune di Manduria, dall’uso di mezzo di
diffusione generalizzata (giornale periodico), dalla diffusione tra tutti coloro che risiedono nello stesso Comune (Manduria), dove il dott. Saladino esercitava le funzioni di commissario straordinario del Comune e il giornale si presume avesse ampia diffusione, dalla ripetitività e dalla persistenza della condotta illecita del giornalista e dalla natura dolosa della condotta.
La Corte d’Appello di Lecce ha dunque respinto il ricorso e confermato la condanna inflitta a Nazareno Dinoi dai giudici del Tribunale di Taranto.
L'esito del processo in appello con al sentenza. La mia condanna e la gioia degli altri. La Redazione de La Voce di Manduria sabato 29 aprile 2023
La Corte d’appello di Taranto ha confermato la sentenza di primo grado, del Tribunale civile, che mi aveva condannato a risarcire con duemila euro l’ex prefetto ed ex commissario straordinario del comune di Manduria, Vittorio Saladino. Una sentenza che contestavo, come contesto questa seconda, per i motivi che ho esposto con il mio avvocato e che chi ha voglia e interesse può leggere nella sentenza stessa che pubblico di seguito.
Ritenevo allora e ritengo di aver svolto correttamente il mio ruolo di giornalista e di aver esercitato quel diritto di cronaca che spesso, a noi giornalisti, ci costa pene, come in questo caso, più alte quanto più alti sono “in grado” i personaggi coinvolti nei nostri articoli.
La storia in molti la sanno già. L’ex prefetto Saladino era stato rinviato a giudizio per un presunto abuso d’ufficio dal Tribunale di Rimini, dove era commissario di quel comune, per rispondere - riporto fedelmente il testo della sentenza con cui i giudici dell’appello mi condannano - «all’uso a fini personali delle prestazioni lavorative di un dipendente della locale Prefettura e allo annullamento di una contravvenzione per violazione del codice della strada contestata alla moglie del Saladino».
Io avevo invece scritto e con me almeno una decina di testate regionali dell’Emilia Romagna e nazionali ed anche l’Ansa (tutti documentati in appello), che Saladino era stato rinviato a giudizio perché «avrebbe annullato senza motivo multe a parenti ed amici».
La differenza? Il plurale! Si legge infatti nella sentenza che mi condanna che: «Il Saladino, dunque, secondo le contestazioni dall’autorità giudiziaria penale, non è stato accusato di “aver annullato ... multe a parenti e amici”. E la circostanza non è di poco conto in quanto, con la espressione “aver annullato ... multe a parenti e amici”, il Dinoi ha finito con il collegare al Saladino non solo a singole ipotesi di reato, ma ad un vero e proprio modus operandi. In tal senso depone infatti l’uso del plurale (“multe” a “parenti” ed “amici”), come se il Saladino fosse solito tenere tale condotta illecita. Per tale ragione non si condivide la tesi dell’appellante secondo cui la notizia non veritiera del rinvio a giudizio del Saladino per ““aver annullato ... multe a parenti e amici” sarebbe una modesta e marginale inesattezza, un dettaglio inesatto e un’inesattezza marginale (v. alle pagg.22 e 23 dell’atto di appello). Per la gravità del suo significato, la falsità di quella notizia non era affatto marginale, né una mera inesattezza o imprecisione».
In effetti il mio errore che riconosco, è quello di aver dato credito ad altri giornalisti, ripeto, almeno una decina comprese le redazioni di agenzia di stampa nazionale, senza avere in mano le carte con l’esatta imputazione che veniva attribuita a Saladino che è stato poi assolto, notizia che io ho prontamente riportato. Ho sbagliato e per questo ho già versato a Saladino, un paio di anni fa, il risarcimento pari a duemila euro che il giudice di primo grado mi aveva detto di pagare (l’ex prefetto ne chiedeva 30.000) ed ora mi toccherà pagare anche le spese legali e processuali di questo appello che ho perso.
Detto questo, accetto la decisione dei giudici come si devono accettare tutte le condanne, ma biasimo chi gioisce miseramente spudoratamente e pubblicamente come le persone che riporto nella foto. Non personaggi qualsiasi (tranne qualcuno praticamente sconosciuto), ma professionisti avvocati, consiglieri comunali, nonché capogruppo dei grillini, e la presidente cittadina di Legambiente che oltre ai cuoricini di altri, commenta addirittura così la “gioiosa” notizia: «La giustizia trionfa (e qui ci mette l’emoticon del sorriso compiacente) certo, molti lasciano perdere, ma una al giorno ci sta». Alla nostra paladina dell’ambiente e della giustizia dico che, purtroppo per lei, non una al giorno, ma questa è la mia prima condanna per diffamazione (in appello) a fronte di altre 35 che ho subito in tantissimi anni di professione, tutte archiviate o chiuse con l’assoluzione ed altre quattro ancora in corso.
Su Rtm che ha prontamente passato la velina della mia condanna, faccio notare invece che la stessa Rtm non ha dato per niente l’altra più o meno recente notizia della richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Taranto nei confronti dello stesso Saladino per altri fatti che sarebbero accaduti nel periodo in cui ha amministrato il Comune di Manduria. Nazareno Dinoi
Di seguito la sentenza
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato il 12.11.2020 Dinoi Nazareno ha proposto appello per l’integrale riforma della sentenza n.376/2020 pronunciata dal Tribunale di Taranto nel procedimento ivi iscritto al n. 1487/2019 con cui l’odierno appellante è stato condannato, con il carico delle spese di lite, al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal dott. Saladino Vittorio, ex prefetto in pensione, a causa del contenuto
diffamatorio di alcuni articoli giornalistici pubblicati in data 20.09.2018, 11.10.2018, 28.11.2018, 29.11.2018 sul sito internet “Lavocedimanduria.it” e sull’edizione cartacea del giornale “la Voce di Manduria”. L’importo dovuto a titolo di ristoro del danno non patrimoniale è stato determinato in via equitativa dal giudice di prime cure in € 2.000,00, a fronte della maggior condanna di € 30.000,00 domandata dall’attore.
Ha dedotto l’appellante in punto di premessa che la notizia per cui era stato chiamato a rispondere civilmente in qualità di (autore e) direttore responsabile del giornale La Voce di Manduria, era relativa ad una vicenda giudiziaria che aveva coinvolto il dott. Saladino, all’epoca dei fatti (cioè del rinvio a giudizio) commissario straordinario del Comune di Manduria, sottoposto a giudizio per il reato di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p., a conclusione di un’indagine che lo aveva riguardato in veste di (ex) prefetto di Rimini (unitamente ad altri esponenti istituzionali di primo piano), e che aveva avuto larga diffusione tanto da essere stata pubblicata da numerose testate giornalistiche, sia locali che nazionali, mediante articoli dello stesso identico tenore di quelli posti a base della richiesta risarcitoria.
Ha allegato (il Dinoi) che l’interesse alla divulgazione della notizia, a cui erano stati dedicati quattro articoli nelle edizioni (online e cartacee) del giornale La Voce di Manduria, i primi tre dei quali relativi allo evolversi del procedimento penale e l’ultimo relativo alla sentenza di assoluzione, scaturiva dal ruolo istituzionale ricoperto dal dott. Saladino, chiamato a comporre la Commissione per la gestione provvisoria del Comune di Manduria e ad esercitare le funzioni di Sindaco in seguito allo scioglimento del Consiglio Comunale ex art. 143 DPR 18.08.2000 n.267, incarico dal medesimo svolto sino ad ottobre 2020.
Con un lungo ed articolato atto di appello l’odierno deducente ha sostenuto l’ingiustizia della sentenza impugnata, lamentando quali motivi di gravame 1) la falsa applicazione dell’art.595 c.p. e la carente o contraddittoria motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza della scriminante dal legittimo esercizio del diritto di cronaca; 2) la erronea, contraddittoria e carente motivazione in ordine comunque alla sussistenza della scriminante putativa; 3) l’erronea valutazione e la omessa e contraddittoria motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo della diffamazione; 4) la violazione delle norme in materia di onere della prova e la carenza e contraddittoria motivazione in ordine all’esistenza e alla quantificazione del danno risarcibile.
Costituitosi con comparsa di risposta depositata in data 18/06/2021, lo appellato ha reiterato le difese formulate in primo grado, concludendo per la conferma della gravata sentenza, ritenuta non meritevole di censura, stante la falsità della notizia pubblicata in più occasioni dal Dinoi, nonché il carattere fuorviante degli argomenti utilizzati al fine attribuire ancor più gravità all’accusa e determinare un maggior discredito alla reputazione dell’attore. Da tali elementi, secondo lo assunto difensivo dell’appellato, doveva ricavarsi un chiaro intento denigratorio sotteso alle suddette pubblicazioni, non corrispondenti alla realtà dei fatti e, per tale ragione, censurabili sotto il profilo della trascuratezza dell’obbligo professionale di approfondimento e verifica delle originarie fonti, in primo luogo di quella giudiziaria.
Con il primo motivo l’odierno appellante allega la falsa applicazione dell’art.595 c.p. e la carenza e contraddittorietà di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure ritenuto ricorrente nel caso di specie, sia pure incidentalmente, il reato di cui agli artt. 595 - 596 bis c.p., ritenendo (il tribunale) sussistere il contenuto offensivo degli scritti giornalistici su indicati ed escludendo l’operatività ex art.51 c.p. della scriminante del diritto di cronaca, sulla base dei noti canoni giurisprudenziali (enucleati a partire da Cass.pen. sez.un. 30.06.1984 n. 5259). L’esposizione corretta e veritiera del fatto e la pubblica utilità della notizia, secondo l’appellante, avrebbe dovuto indurre il giudice ad escludere ex artt.51 c.p. e 21 Cost. la rilevanza penale della vicenda in esame e, di conseguenza, la responsabilità risarcitoria in capo allo autore. Con il secondo motivo di appello il Dinoi allega l’erronea, contraddittoria e carente motivazione in cui sarebbe incorso comunque il tribunale non ritenendo la sussistenza anche della scriminante putativa del diritto di cronaca, in quanto l’appellante - a suo stesso dire - avrebbe valutato l’attendibilità delle sue fonti di conoscenza, tra cui l’ANSA e altre testate giornalistiche di rilevanza nazionale. Col terzo motivo di appello il Dinoi allega l’erronea valutazione e l’omessa e contraddittoria motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo della diffamazione, in cui sarebbe incorso il tribunale. Esaminati i tre motivi di appello congiuntamente perché attinenti alla esistenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione a mezzo stampa e la sua punibilità (artt.57 e 595 c.p.), si ritiene che gli stessi siano infondati.
L’informazione a cui Dinoi Nazareno diede diffusione mediante la pubblicazione degli articoli giornalistici del 20.09.2018, 11.10.2018 e 28.11.20118 è viziata da falsità su una circostanza non di poco conto, come si esporrà in seguito, nella parte in cui è stata ivi riportata la notizia che l’ex prefetto di Rimini, Vittorio Saladino, assieme ad un altro ex prefetto e ad un ex vicecomandante della polizia municipale di Riccione, era stato rinviato a giudizio perché “avrebbe annullato senza motivo multe a parenti ed amici” quando era prefetto di Rimini. In realtà i capi di imputazione di abuso d’ufficio per i quali il Saladino è stato tratto in giudizio, come peraltro ammesso dallo stesso Dinoi nell’atto di appello riconoscendo l’inesattezza e l’imprecisione (v. atto di appello, alle pagg.22 - 25), erano quelli relativi all’uso a fini personali delle prestazioni lavorative di un dipendente della locale Prefettura e allo annullamento di una contravvenzione per violazione del codice della strada contestata alla moglie del Saladino. Ciò risulta in modo non equivoco dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari e dalla richiesta di rinvio a giudizio prodotti in copia dal Saladino (v. copie nel fascicolo di parte).
Il Saladino, dunque, secondo le contestazioni dall’autorità giudiziaria penale, non è stato accusato di “aver annullato ... multe a parenti e amici”. E la circostanza non è di poco conto in quanto, con la espressione “aver annullato ... multe a parenti e amici”, il Dinoi ha finito con il collegare al Saladino non solo a singole ipotesi di reato, ma ad un vero e proprio modus operandi. In tal senso depone infatti l’uso del plurale (“multe” a “parenti” ed “amici”), come se il Saladino fosse solito tenere tale condotta illecita. Per tale ragione non si condivide la tesi dell’appellante secondo cui la notizia non veritiera del rinvio a giudizio del Saladino per ““aver annullato ... multe a parenti e amici” sarebbe una modesta e marginale inesattezza, un dettaglio inesatto e un’inesattezza marginale (v. alle pagg.22 e 23 dell’atto di appello). Per la gravità del suo significato, la falsità di quella notizia non era affatto marginale, né una mera inesattezza o imprecisione. Dagli atti acquisiti si desume anche il dolo nella condotta del Dinoi. Nel primo articolo, quello pubblicato in data 20.09.2018 (v. copia in atti), il Dinoi ha riportato la nota inviata all’Ansa dal Saladino con la quale l’ex prefetto si difendeva contestando di essere stato rinviato a giudizio per “aver annullato multe a parenti ed amici” e precisando che l’unica contravvenzione del cui annullamento si faceva menzione nel rinvio a giudizio era quella elevata alla moglie del Saladino, contravvenzione peraltro non annullata dalla Prefettura ma estintasi per “prescrizione”.
Avendo riportato la precisazione dell’ex prefetto, il Dinoi ben sapeva dunque della contestazione sollevata dal Saladino sulla veridicità della notizia (del rinvio a giudizio per l’annullamento di multe a parenti ed amici). Ma, ciò nonostante, anziché attivarsi diligentemente per verificare se effettivamente il Saladino era stato rinviato a giudizio anche per “aver annullato ... multe a parenti e amici”, il Dinoi ha pubblicato la stessa falsa notizia anche il successivo 11.10.2018 (v. copia della pubblicazione prodotta da entrambe le parti). E il Dinoi ha insistito nella sua condotta pure con la pubblicazione del 28.11.2018 (v. copia della pubblicazione prodotta da entrambe le parti), questa volta omettendo anche di riportare la contestazione del Saladino della verità della notizia. Nella pubblicazione del 28.11.2018 il Dinoi ha addirittura accostato, in un unico articolo, la notizia (in parte falsa) relativa al Saladino a quella del giudizio civile per la non candidabilità degli ex amministratori del Comune di Manduria, decaduti a seguito dello scioglimento del consiglio comunale del Comune di Manduria per condizionamenti della malavita organizzata, ex art.143 DPR 18.08.2000 n.267, fatto di particolare gravità.
La persistenza del Dinoi nella pubblicazione della falsa notizia del rinvio a giudizio del Saladino per “aver annullato ... multe a parenti e amici” senza verificarne la veridicità, nonostante sapesse - si ribadisce - della contestazione mossa dal Saladino all’agenzia Ansa, dimostrano il dolo del Dinoi nella diffamazione in danno del Saladino. Non sussiste infine e non può applicarsi la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, neppure di quella putativa per aver il Dinoi creduto incolpevolmente e involontariamente nella veridicità della notizia. Ribadita infatti la non veridicità oggettiva della notizia suddetta del rinvio a giudizio del Saladino per “aver annullato ... multe a parenti e amici”, si rileva che il Dinoi ha infatti omesso di verificare la attendibilità delle fonti da cui avrebbe appreso la notizia, onde poter concludere per la sussistenza della verità putativa, sufficiente per la applicazione della scriminante suddetta. Il Dinoi, infatti, non ha allegato, né ha assolto l’onere di provare gli elementi di fatto idonei a giustificare l’erroneo e incolpevole convincimento in ordine alla veridicità della notizia (in tal senso, per l’onere del giornalista di allegare e provare tali elementi, ex multis Cass.pen. sez.V 18.11.2019 n.7008), tale da dimostrare quanto meno la verità putativa della notizia. Il Dinoi ha cercato di fondare la tesi della verità putativa sulla valenza quali fonti di conoscenza degli “scritti di cronaca altrui”, delle “autorevoli fonti informative di ampia diffusione nazionale” tra cui la Ansa e delle “altre e numerose testate anche di rilievo nazionale” (v. atto di appello, alla pag.35). Tali fonti non sono tuttavia sufficienti a suffragare l’esistenza della scriminante putativa (ex art.59 c.IV c.p.) dell’esercizio del diritto di cronaca in quanto non può il giornalista fare affidamento in buona fede su una fonte informativa costituita da altre pubblicazioni giornalistiche, atteso che in tal modo finirebbe col confidare sulla correttezza e professionalità dei colleghi, in una sorta di circuito autoreferenziale (in tal senso Cass.pen. sez.V 19.05.2015 n. 35702, Cass.pen. sez.V 18.11.2019 n.7008). Non ha dunque rilevanza, al fine di valutare l’esistenza della scriminante putativa, la circostanza che altre testate giornalistiche avrebbero diffuso la stessa falsa notizia.
Il contenuto offensivo della notizia suddetta non può essere oggetto di discussione in quanto, oltre che desumibile dalla natura moralmente deplorevole dei fatti attribuiti con la falsa notizia al Saladino, è stato lo stesso Dinoi ad ammettere tale contenuto avendo “dovuto” invocare lo operare della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca per suffragare le tesi della sua non punibilità. Il contenuto offensivo dello scritto giornalistico e il dolo del Dinoi non sono esclusi dalla pubblicazione del 29/11/2018 mediante la quale veniva dato risalto alla notizia dell’assoluzione con formula piena del Saladino, in quanto fatto che incide al più sull’entità del danno subito dal Saladino (come correttamente valutato dal tribunale), non sulla esistenza del danno alla reputazione subito per essere stato indicato ai lettori come Prefetto rinviato a giudizio perché annullava “multe senza motivo a parenti ed amici”. Con l’ultimo motivo d’appello, il Dinoi lamenta la contraddittorietà e carenza di motivazione relativamente alla statuizione adottata dal Tribunale in ordine all’esistenza del danno ed alla sua quantificazione, sostenendo che in assenza di prova del nocumento patito, il giudice di prime cure avrebbe dovuto assumere un atteggiamento più prudenziale, piuttosto che propendere per una valutazione equitativa, la quale deve conseguire (in ogni caso) all’accertamento del danno nella sua produzione. Il motivo non è condivisibile. Pur essendo inoltre quello addotto (la lesione della reputazione) dal Dinoi un “danno conseguenza”, pur non essendo pertanto tale danno “in re ipsa” e necessitando lo stesso di dimostrazione, questa è stata fornita per presunzioni (per la prova per presunzioni del danno alla reputazione, ex multis, Cass.civ. sez.III 14.06.2021 n.16740, Cass.civ. sez.VI 31.03.2021 n.8861), costituite dal contenuto oggettivamente offensivo della notizia, dalla notorietà e dall’importanza delle funzioni svolte dal Saladino nel Comune di Manduria, dall’uso di mezzo di diffusione generalizzata (giornale periodico), dalla diffusione tra tutti coloro che risiedono nello stesso Comune (Manduria), dove il Saladino esercitava le funzioni di commissario straordinario del Comune e il giornale si presume avesse ampia diffusione, dalla ripetitività e dalla persistenza della condotta illecita del Dinoi e dalla natura dolosa della condotta. Sono questi elementi indiziari che in modo grave ed univoco dimostrano l’esistenza del danno allegato dal Saladino.
Né l’esistenza del danno alla reputazione è da escludere, come pure brevemente dedotto dall’appellante (v. atto di appello, a pag.42), per la circostanza che la falsa notizia fosse stata già pubblicata da altre testate giornalistiche. La rilevanza locale del giornale su cui è stata effettuata la pubblicazione diffamatoria e la diffusione del giornale proprio nella comunità del Comune dove il Saladino svolgeva le sue funzioni di commissario straordinario inducono infatti a ritenere che la pubblicazione diffamatoria in ambito locale abbia contribuito alla maggiore diffusione della falsa notizia nella comunità di Manduria, a una diffusione maggiore di quella che a livello locale avrebbero avuto le pubblicazioni della stessa notizia sulle altre testate non aventi natura locale. In ordine poi alla quantificazione dei danni non patrimoniali allegati dal Saladino, dovendosi procedere ex artt.1226 e 2056 c.c. alla liquidazione equitativa degli stessi per la mancanza di precisi parametri di stima, non potendosi dunque pretendere dal Saladino l’allegazione e la prova di precisi parametri di stima del danno, il tribunale ha legittimamente proceduto alla liquidazione equitativa. E prendendo come riferimento, in via equitativa, i minimi e i massimi dei precedenti giudiziari di vari tribunali d’Italia indicati nelle tabelle redatte dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, si rileva che la liquidazione effettuata dal Tribunale di Taranto rientra nei parametri rilevati dalle dette tabelle, tra gli importi (tra i mille e i diecimila euro) mediamente liquidati per le “diffamazioni di tenue gravità”.
Resta assorbita ogni altra questione. L’esito della lite giustifica, secondo soccombenza (art.91 c.p.c.), la condanna dell’appellante al rimborso delle spese processuali in favore dell’appellato, nella misura liquidata secondo i parametri medi di cui al DM 10.03.2014 n.55. Al rigetto dell’impugnazione consegue l’obbligo della parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n.115, art.13, comma 1quater.
P.Q.M.
La Corte di Appello, pronunciando definitivamente sull’appello avverso la sentenza n.376/2020 del Tribunale di Taranto proposto da Dinoi Nazareno nei confronti di Saladino Vittorio con atto di citazione notificato il 12.11.2020, così provvede: 1) rigetta l’appello; 2) condanna l’appellante a rimborsare a Saladino Vittorio le spese di lite di appello liquidate in € 1.830,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese forfettarie (15%), CAP ed IVA come per legge. Si dà atto che sussistono i presupposti affinché l’appellante versi di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la impugnazione, ai sensi dell’art.13 c.1quater D.P.R. 30 maggio 2002 n.115.
Antonio Giangrande: Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.
I Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro pelle cosa sia la gogna della vergogna.
Il commento dello scrittore Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il libro “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana”.
Devo dire che a meno di 9 anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti sapevano”, sono atti di accusa per un intero territorio e risuonano per tutta Italia per mano di scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della verità, se non quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese di origine dei responsabili meridionali di un reato è la pena accessoria di cui tenere conto.
Devo dire che, scartando la gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla medesima Manduria che son venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu l’aggressione con conseguente morte di Salvatore Detommaso, ovvero vi fu il mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Detto questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa dei manduriani andiamo ad analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una violenza senza limiti». Lo ha detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in merito alle aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da ragazzini tra i 16 e i 23 anni, tutti di Manduria. «L’intervento è stato tempestivo ma sarebbe stato ancora più tempestivo se chi sapeva avesse avvisato prima le forze dell’ordine – ha aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una parrocchia lasciato solo. Il prete ha detto di essere intervenuto più volte, ma perché non ha segnalato subito ai servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e appassionato, del prefetto Vittorio Saladino, uno dei tre commissari prefettizi di Manduria che, all’AdnKronos, parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e cullato la brutalità delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto ai servizi sociali perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto segnalazioni - aggiunge - La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da tanto tempo e nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era all’oscuro. Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali, è un paese ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso di mira da turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e l’annuncio: «Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto Saladino - parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le colpe le ha una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e da episodi negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso da Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato di Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa strada dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le ore serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si stanno verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa 5/6 persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si legge ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli più avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno voluto firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019. Era un uomo malato, Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine, aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate, ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta, prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando «quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. I vicini non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi fisici oltre quelli mentali.
Nazareno Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano, insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando i genitori, ma senza risultati.
Il Fatto Quotidiano. 29 Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni, secondo i vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013. Eppure, stando a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità su Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata, né formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino, responsabile dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una chiamata – aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo il servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118 intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era stato preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto perché, vinto dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi già un anno e mezzo fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono intervenuti. Allora perché si continua a nascondere una omissione di atti di ufficio ed accusare la cittadinanza ed il clero di omertà?
A due anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti. Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste strofe:
“Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene! Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo. Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don Dario.
Non sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le avverse fazioni.
Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario (orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata da gente come lui……..
Il parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”, smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e, seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?». Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle operazioni.
Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la ragione della sua presenza.
Anche l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il religioso, però, è pronto a smentire.
«Per favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna sull’argomento.
«Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di quelle conversazioni».
Si accusa una comunità di omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una comunità di omertà. Ma non è omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché, come è ampiamente dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile denunciare: o le indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa è l’Italia e tutti lo sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
Per ora solo in Sicilia. Il dramma di Antonio Stano e degli orfanelli diventa un'opera teatrale. La Redazione di La Voce di Manduria sabato il 7 gennaio
La banda degli orfanelli di Manduria
La terribile storia del manduriano Antonio Stano, prima torturato dalla banda degli orfanelli e poi morto dopo essersi barricato in casa senza sfamarsi, diventa un’opera teatrale. Si intitola “Quando le porte delle case resteranno di nuovo aperte“ ed è stata realizzata da una compagnia teatrale siciliana dal nome Nutrimenti Terresti.
La piece teatrale ha lo scopo di denunciare le performance distorte legate all’uso dello smartphone e della generale cultura audiovisiva di massa partendo dal fatto di cronaca di Stano: questo perché le violenze che lui subì dalla baby gang manduriana furono riprese e pubblicate in chat dagli stessi. Non solo. L’opera vuole puntare a mettere in luce l’ipocrisia di una piccola comunità che marginalizzava l’uomo perché reputato “pazzo“. Queste dinamiche vengono dunque indagate e messe in scena dalla compagnia Nutrimenti vincitrice, tra l’altro, del premio Città laboratorio di Gibellina, in Sicilia. La rappresentazione è stata inserita nel progetto “Nutrimenti in periferia”, un ricco cartellone di eventi culturali e musicali dal vivo e laboratori realizzato tra settembre e dicembre 2022 in Sicilia grazie al supporto del Ministero della cultura e del comune di Messina.
La regia è di Simone Corso con Annibale Pavone Gabriele Anzaldi, Carmelo Crisafull. Il drammaturgo è Jovana Malinaric, l’assistente alla regia Luca D’Arrigo, il sound design Gabriele Anzaldi, per il disegno luci Roberto Zorn Bonaventura con la produzione di Maurizio Puglisi per Nutrimenti Terrestri. Marzia Baldari
Dopo più di tre anni rieducativi. L’ultimo “orfanello” supera la prova: reato estinto per tutti. La Redazione e La Voce di Manduria il 9 febbraio 2023.
L’ultimo degli “orfanelli” ha terminato, la messa alla prova pari a più di tre anni di affidamento ad un centro di recupero della provincia di Brindisi. Nell’udienza dell’altro ieri, ironia della sorte giornata internazionale contro il bullismo, il Tribunale per i minorenni di Taranto ha dichiarato superata la prova estinguendo il reato. Si estingue così, per lui e gli atri “orfanelli”, il reato di violenze e torture nei confronti dello sfortunato Antonio Cosimo Stano, vittima del branco poi deceduto per complicanze di una ulcera gastrica emorragica.
Il giovane manduriano difeso dall’avvocato Davide Parlatano, all’epoca dei fatti minorenne fu l’unico per cui la procura si oppose alla messa alla prova perché ritenuto il più violento tra tutti gli imputati. Era lui il protagonista dell’odioso video in cui tende la mano in segno di amicizia al pensionato colpendolo violentemente con un ceffone in pieno volto.
Il suo avvocato ottenne l’ammissione alla messa alla prova facendo rilevare come la gravità del reato non poteva essere ostativa e come la medesima messa alla prova poteva indurre nel giovane positivi cambiamenti e restituirlo alla società evitando la segregazione carceraria e lasciandogli i minor segni stigmatizzanti possibili. Dopo oltre tre anni di messa alla prova, il giovane che adesso lavora, si lascia alle spalle la terribile esperienza.
Gli unici a pagare con pene restrittive sono i tre maggiorenni dello stesso gruppo tristemente conosciuto come gli «Orfanelli» dal nome della rete social di cui facevano parte e dove scaricavano i filmati delle scorribande notturne a casa dell’inerme uomo che viveva solo quindi succube del branco che lo ha portato allo sfinimento.
Succede ad Avetrana.
La Politica.
I Rinnegati.
La Banca.
Agli Onori della cronaca.
Sant’Antonio.
La Massoneria.
Pietro Mazzei.
Il Depuratore.
Il Verde pubblico.
I Monumenti.
La rivendicazione di Torre Colimena.
L’Amministrazione.
Facebook ANPI Avetrana - TA: 27 novembre 2023 Ieri ad Avetrana un utile incontro pubblico per ripassare la STORIA ed avvicinarsi alla realtà.
Grazie al prof. Fernando Dubla, Enzo Pilò ed la palestinese #AMIRAABUAMRA. sono emerse alcune "sfumature" difficilmente ascoltabili altrove.
La RESISTENZA palestinese non è solo AMAS, con il ben venuto scambio di ostaggi con prigionieri ed il silenzio delle armi, Israele ha riconosciuto nei fatti Amas.
È ancora sottovalutato il ruolo belligerante dei coloni ed è ancora nascosta la verità su cosa realmente è avvenuto il famigerato 7 ottobre.
In questo crogiuolo di interessi internazionali l'unica vera vittima è il popolo palestinese.
W la PACE con un CESSATE IL FUOCO INDETERMINATO.
AVETRANA – Controversie nell’Aula Consiliare: La critica del cittadino alle idee espresse in un evento polemico. Redazione la Voce di Maruggio 2 Dicembre 2023
Ci giunge con profonda preoccupazione il resoconto del simposio tenutosi nell’Aula Consiliare di Avetrana, durante il quale sono state esposte idee e affermazioni che suscitano disapprovazione e sconcerto. La giustificazione di atti terroristici e la divulgazione di informazioni distorte non possono essere tollerate in contesti istituzionali come quello del Consiglio Comunale.
La democrazia implica il diritto alla libertà di espressione, ma deve essere esercitata con responsabilità, rispettando il contesto e la dignità delle istituzioni. La scelta di un luogo così solenne per un evento che veicola messaggi controversi solleva legittime preoccupazioni tra i cittadini, e la richiesta di chiarimenti alle forze politiche locali è assolutamente comprensibile.
Riceviamo e pubblichiamo:
Ho provato un senso di profonda delusione quando ho scoperto che qualche giorno fa l’Aula Consiliare della mia città è stata concessa per consentire lo svolgimento di un evento in cui si è giustificato l’attentato terroristico del 7 Ottobre realizzato dai nazisti di Hamas, affermando che «ci voleva qualcosa di così grosso per tornare a far parlare di Palestina.»
A questo simposio, fra le tante cose e in un clima di reciproca condivisione, è anche stato detto che a massacrare, stuprare e gambizzare i ragazzi del rave-party in realtà sono stati gli israeliani stessi e quel rave-party, tra l’altro, non doveva tenersi in quel luogo, ma gli organizzatori hanno cambiato location all’ultimo momento. (quindi se la sono cercata?) Hanno anche detto che i cadaveri dei civili trovati carbonizzati, non sono opera dei terroristi-nazisti di Hamas ma sempre degli israeliani.
Si è parlato di pulizia etnica, si è affermato che Hamas non riceve finanziamenti privati e pubblici, che Hamas non voleva prendere ostaggi ed anzi sin dai primi giorni ci teneva a restituire alcuni di loro per motivi umanitari senza chiedere niente in cambio. Tutto è colpa dei nostra media e della “narrazione inquinata” che non ci raccontano queste cose.
Continuo a chiedermi da una settimana come sia stato possibile autorizzare lo svolgimento di una tale iniziativa nel luogo più istituzionale e solenne della nostra città e non posso accettare risposte in cui mi si provi a vendere per esercizio della libertà di espressione una così palese esibizione di conformismo dogmatico e rancore ideologico, intrisa di complottismo e demolizione dei fatti storici.
E non mi riferisco alle idee che ciascuno può avere sul merito della questione arabo-israeliana in generale. Io sono il primo ad auspicare uno Stato palestinese riconosciuto internazionalmente, il ritiro dei coloni dalle Aree A e B della West Bank e il tramonto della stagione politica di Netanyahu. In questa iniziativa, però, non si è parlato solo di questo.
Tutti hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni persino se sono pericolose, distorte, legittimano il ricorso alla violenza e al terrorismo, ma ciò non può avvenire all’interno di una Aula Consiliare. Lo facciano in qualunque altro luogo, anche pubblico, ma non nella sede del Consiglio Comunale, sotto le bandiere con il tricolore italiano e il blu stellato dell’Unione Europea.
Un po’ come entrare in una Chiesa e recitare un rito satanico sotto il crocefisso.
Si lanciano spesso allarmi per la salute della nostra democrazia, anche senza motivo a volte. Ecco, difendere la democrazia significa soprattutto difendere la dignità dei luoghi in cui essa si esercita.
Sia chiaro, il mio non è un attacco agli organizzatori di questa iniziativa, che riconosco essere degli assidui promotori di attività culturali significative e piacevoli. Su questo tema, però, non mi aspettavo nulla di diverso da loro. Se queste sono le loro idee e i loro valori possono diffonderli liberamente.
Piuttosto, da cittadino/elettore di questa città, a questo punto, per me diventa determinante conoscere cosa ne pensano le forze politiche del mio paese, soprattutto alla luce del fatto che fra i loro esponenti c’è: o chi ha firmato l’autorizzazione per l’utilizzo dell’Aula; o chi era presente fisicamente all’iniziativa senza mai intervenire per esprimere la propria contrarietà; o chi ha manifestato il personale apprezzamento per i contenuti dell’iniziativa cliccando like su facebook.
Mi farebbe piacere ricevere una risposta nella forma che ciascuna preferirà, meglio se pubblica, magari può interessare anche ad altri cittadini/elettori oltre che a me.
Perché, se si fanno passare indisturbati messaggi come quelli riportati sopra, diventa troppo comodo organizzare fiaccolate per la pace o, poi, fra due mesi mettere in scena eventi per commemorare le vittime dell’Olocausto. Salvatore Luigi Baldari
Quei cristiani rinnegati al servizio del Sultano. Per molto tempo, i pirati hanno infestato il Mediterraneo. Tra questi, particolare importanza ebbero i corsari barbareschi: in un cui un ruolo essenziale era riservato ai rinnegati. Lorenzo Vita il 5 Ottobre 2023 su Il Giornale.
Quando i turchi si affacciarono definitivamente sul Mediterraneo, si resero presto conto che essere una potenza marittima non era affatto cosa semplice né scontata. Anche dopo avere preso Costantinopoli. Essere i dominatori della costa orientale di quello che fu il "mare nostrum" non equivaleva a padroneggiarne le acque, e serviva non solo una flotta degna del Sultano, ma anche uomini pronti a governare le navi. Un'impresa non semplice, che la Sublime Porta riuscì a ottenere con diversi stratagemmi, tanto che per un certo periodo il Mediterraneo poteva sembrare effettivamente quasi un lago turco. Tra conquiste territoriali e costruzione di una grande flotta, l'impero turco riuscì in qualche modo a colmare, pur per un breve periodo, il divario con le flotte cristiane. Ma c'era un'altra arma in grado di destabilizzare il Mediterraneo. Un'arma meno nota ma rimasta incastonata nella storia, nelle leggende popolari e soprattutto nelle menti dei contemporanei europei: quella dei pirati. Un tema che ha caratterizzato per secoli la vita di molte nazioni e che è diventata anche oggetto di un ottimo sito internet che ne raccoglie le gesta.
I pirati, conosciuti ai più soprattutto come corsari (e in particolar modo i corsari barbareschi) furono una delle più grandi piaghe della stabilità dell'Europa cristiana. Al servizio dei sultani, trasformarono Algeri, Tunisi, Tripoli, Salè e altre città del Nord Africa in una sorta di piccole "Tortuga" del Mediterraneo. Razziavano dove potevano, in lungo e largo per tutto il mare tra l'Italia e la Spagna ma spingendosi addirittura fino all'Islanda. Miguel de Cervantes, il grande romanziere spagnolo che ha scritto il Don Chisciotte, rapito anch'esso dai pirati nordafricani e trattenuto ad Algeri come schiavo per cinque anni, descrisse la città come "porto universale di corsari e protezione e rifugio di ladri, che da questo porticciolo che qui è dipinto escono con le loro imbarcazioni a turbare il mondo". Era una vera e propria capitale della pirateria mediterranea, un centro potentissimo e in cui - forse in modo meno noto - ebbero fortuna anche coloro che più di tutti terrorizzarono per anni le flotte dei regni cristiani: i rinnegati.
La storia dell'impero ottomano è una storia particolare, fatta anche di vere e proprie spine dorsali delle proprie forze composte da cristiani. Costantinopoli sapeva benissimo che non poteva governare un impero euromediterraneo senza servirsi di quell'enorme bacino di uomini e conoscenze rappresentato da greci, italiani o albanesi. Ma ciò che avveniva tra i corsari era un percorso molto diverso. Uomini catturati in giovane età e costretti (o spinti) alla conversione, oppure semplicemente corsari che preferivano vendere i loro servigi al sultano, divennero ben presto tra i migliori corsari e comandanti delle flotte di pirati barbareschi. Alcuni nomi divennero presto leggenda. Ucciallì o Uluç Alì, corsaro e ammiraglio della flotta ottomano, nato in Calabria, fu catturato dai turchi e si convertì all'Islam durante la prigionaria. Saliti i ranghi della flotta turca, fu comandante dell'ala sinistra della flotta ottomana nella Battaglia di Lepanto, risultando l'unico ammiraglio che riuscì a salvare parte delle sue navi dalla disfatta.
Un altro nome divenuto leggenda fu quello di Zymen Danseker, corsaro olandese che divenne poi famoso con il nome "turco" di Simon Reis e uno dei più importanti comandanti della flotta di Algeri. Insieme a lui operò anche Ivan Dirkie de Veenboer, olandese che iniziò a essere chiamato Sulayman Reis. Tra gli olandesi, particolarmente importante fu, come ricorda il sito Zweilawyer, la carriera di Murat Reìs il Giovane, al secolo Jan Janszoon da Haarlem, il quale, dopo essere stato catturato dai corsari, si convertì all'Islam e si dedicò a una vita da pirata fino a diventare Gran Ammiraglio della Repubblica corsara di Salé. Mentre le cronache raccontano anche della figura quasi leggendaria di Jack Ward, corsaro inglese che passò al "turco" con il nome di Yusuf Reis.
Non sappiamo con esattezza se queste conversioni furono vere o presunte, se molte cronache sono del tutto veritiere o solo verosimili, corrotte dal terrore che portavano con sé i pirati o dalla volontà di dipingere in modo estremamente negativo questi corsari. Il fatto certo, però, è che il Mediterraneo, con le sue isole, le sue coste frastagliate, i villaggi e lo scontro ideologico e religioso tra mondo cristiano e musulmano unito alle guerre intestine che laceravano in particolare i regni del Vecchio Continente, si prestò perfettamente alle guerre da corsa e razzie contro città innocenti. Un conflitto dove uomini senza scrupoli o semplicemente in cerca di denaro o costretti dalla vita scelsero a un certo punto di unirsi alle flotte barbaresche. Unendo il loro nome a una storia fatta di paura e criminalità, guerra ma anche una paradossale scalata sociale: una vita da rinnegati tra le onde del Mediterraneo e i dedali delle città del Nord Africa.
Pubblicato il libro di Mirko Giangrande. 1 Gennaio 1547 – La leggenda di Cria'. Da Manduria Oggi il 29/08/2020
Narra gli eventi accaduti nel Capodanno del 1547: una spedizione di corsari ottomani sbarcò nei pressi della Columena, diretti ai villaggi della Vetrana
Ogni agosto ad Avetrana, nell’Alto Salento, si svolge la “Giostra dei Rioni”, in onore a quella originaria bandita nel lontano 1547 dalla famiglia Baronale dei Pagano, Signori del Casale della Vetrana, per ringraziare l’Onnipotente per lo scampato pericolo dell’invasione turca.
Cria, un soldato turco ma di origini veterane, colpito da nostalgia e sensi di colpa, dirottò la spedizione al vicino villaggio di San Pancrazio Salentino. Ma la storia non fu per Cria a lieto fine...
Nell’introduzione, il personalissimo inno all’amore per la propria terra da parte dell’autore: “Ad Avetrana, figlia del Salento, Terra dove le mie radici Salde si ancorano. Culla di mille ricordi, lacrime e sudore. Altro non vedo che viti e ulivi e un mare sconfinato. Mia prima casa, mia prima madre, mia ultima dimora”
Avetrana e il tradimento di Cria: la leggenda. Ilaria Scremin il 10 Febbraio 2022 su laterradipuglia.it.
Regaliamoci oggi una pagina dedicata ad una leggenda pugliese e conosciamo meglio l’enigmatica figura di Cria il traditore, che ha lasciato il segno nella storia della cittadina di Avetrana così come in quella della vicina San Pancrazio.
Chi era Cria il traditore, quando e dove ha vissuto
La leggenda di Cria il traditore affonda le sue origini nel Salento nel periodo storico in cui, come ben sapete, i Turchi si accanivano con ripetuti attacchi verso le coste della penisola, con l’obiettivo di prenderne il possesso. Attacchi che provenivano via mare, e che nel 1480 trovarono finalmente compimento lasciandoci una delle pagine della storia del Salento tra le più sofferte e sanguinose: ci riferiamo naturalmente all’assedio di Otranto, che durò circa un mese (dal 28 luglio al 14 agosto 1480) e portò alla presa della città.
Dopo l’assedio di Otranto, i Turchi cominciarono a prendere possesso dell’intera penisola salentina, spostandosi via terra ma anche organizzando altri attacchi via mare. In quel periodo viveva in quel di Avetrana il giovane Cria. Era un giovane docile e romantico, fortemente innamorato della sua amata, con la quale aveva in programma di convolare a nozze. Un giovane che mai avrebbe fatto male ad una mosca, e che amava trascorrere il suo tempo tra lavoro e famiglia.
Tutto ebbe inizio con una delusione d’amore
Un bel giorno, però, giunse all’orecchio di Cria che la sua amata lo tradiva con un altro, e si prendeva anche gioco di lui, della sua bontà d’animo e della sua ingenuità. La delusione fu cocente, a tal punto che Cria cambiò dal giorno alla notte. Divenne un uomo cattivo e crudele, assetato di vendetta e dal cuore ricolmo d’odio e livore. Questi sentimenti svilupparono in Cria un odio profondo persino verso la sua terra natìa.
Decise dunque di imbarcarsi e partire per altri lidi. Per un po’ di lui non si seppe più nulla, e la vita al paese proseguì come sempre. Ma una notte, pochi anni dopo l’assedio di Otranto, nel 1547, 5 enormi galeoni turchi si avvicinarono alla costa puntando proprio verso Avetrana. Alla guida dei soldati ottomani, vi era proprio Cria, assetato di vendetta e di sangue.
Cria il traditore risparmia Avetrana all’ultimo momento
Quando le galee giunsero a ridosso della costa, Cria udì i suoni, i canti, le risate e i rumori che aveva sepolto a forza nella memoria per lunghi anni. E ricordò i bei tempi andati, la famiglia, gli amici, il canto dei contadini del Salento al lavoro, il profumo del pane appena sfornato. Poteva davvero fargli tutto questo male? E fu così che, con un pretesto, cambiò la rotta, e condusse i saraceni verso San Pancrazio, risparmiando Avetrana.
Come finì la storia di Cria il traditore
Se vi immaginavate un lieto fine romantico per questa storia, purtroppo siete fuori strada. Cria il traditore, fece una fine poco piacevole. Giunto a San Pancrazio, fu trucidato a morte con frecce e pietre. All’interno della chiesa di Sant’Antonio proprio a San Pancrazio Salentino potete visionare ancora oggi un affresco che mostra l’attacco turco così come la morte di Cria il Traditore.
Pubblicato il libro di Mirko Giangrande '1 Gennaio 1547 – La leggenda di Cria'. Manduria Oggi il 29/08/2020.
Avetrana - Cultura Ogni agosto ad Avetrana, nell’Alto Salento, si svolge la “Giostra dei Rioni”, in onore a quella originaria bandita nel lontano 1547 dalla famiglia Baronale dei Pagano, Signori del Casale della Vetrana, per ringraziare l’Onnipotente per lo scampato pericolo dell’invasione turca. "1 Gennaio 1547 - La leggenda di Cria", narra gli eventi accaduti nel Capodanno del 1547. Una spedizione di corsari ottomani sbarcò nei pressi della Columena, diretti ai villaggi della Vetrana. Cria, un soldato turco ma di origini veterane, colpito da nostalgia e sensi di colpa, dirottò la spedizione al vicino villaggio di San Pancrazio Salentino. Ma la storia non fu per Cria a lieto fine... Nell’introduzione, il personalissimo inno all’amore per la propria terra da parte dell’autore: “Ad Avetrana, figlia del Salento, Terra dove le mie radici Salde si ancorano. Culla di mille ricordi, lacrime e sudore. Altro non vedo che viti e ulivi e un mare sconfinato.
Cria il traditore, scrive Antonino Beninati su Carabinieri. Dai tesori caduti vittima della furia iconoclasta del fondamentalismo a un affresco “parlante”. Quello che, dalle pareti di una chiesa salentina, racconta una storia di straordinaria attualità: la vicenda di un foreign fighter di cinquecento anni fa. È tristemente nota la figura dei foreign fighters, uomini e donne che, dopo un processo di radicalizzazione religiosa, lasciano il proprio Paese per raggiungerne un altro nel quale, opportunamente addestrati, parteciperanno ad atti di guerra o di terrorismo che non hanno nulla a che vedere con la loro storia, la loro cultura. Individui capaci di usare l’arma del terrore anche per colpire il proprio stesso Paese, come è successo di recente a Parigi. Non si tratta, però, di un fenomeno inedito. Anche il nostro Paese, nei secoli scorsi, ha avuto dei casi di foreign fighters. Una preziosa testimonianza storica ci viene fornita in proposito dall’affresco che decora la parete sopra l’ingresso laterale della chiesa di Sant’Antonio (XII secolo), a San Pancrazio Salentino, villaggio appartenuto alla Terra d’Otranto e dall’anno 1927 comune della provincia brindisina. Quasi come una moderna illustrazione a fumetti, le scene dell’anonimo dipinto narrano del tradimento di Cria, un foreign fighter di epoca rinascimentale proveniente dal vicino comune di Avetrana, in provincia di Taranto. Il traditore, cosi viene definito nell’opera, abbracciata la fede mussulmana, si arruolò nelle milizie turche. Le cronache scritte da Girolamo Marciano di Leverano (Descrizione, origini, e successi della provincia d’Otranto) raccontano che «...San Pancrazio... soffrì le ultime sue rovine nell’anno 1547 da corsari turchi, i quali accostatisi con cinque galeotte nella marina della provincia, e presa terra in un porticello detto della Calimera (Torre Colimena), presero il castello di Veterana (Avetrana), la notte del 1° gennaio, ch’era il capo dell’anno, e sbarcarono da circa cento Turchi guidati da un certo rinnegato del detto castello chiamato Chria (Cria), il quale li menava per prendere Vetrana sua patria; ove essendo arrivati, ed inteso il suono di un taburretto, con cui facevansi mattinate, dubitando che non fosse la guardia di qualche presidio militare, passò avanti e li portò a saccheggiare questa piccola terricciuola di S. Pancrazio, avendola colta d’improvviso, e portatene tutte le genti che vi erano alla marina sopra de’ vascelli, parte ne furono allora riscattati, e parte menati in Turchia e venduti per ischiavi». Inspiegabilmente, però, Cria cadde in mano ai superstiti sanpancraziesi. Il traditore venne legato nudo ad una colonna e finito con il lancio di pietre e frecce. Oltre che per la raffigurazione dei galeoni battenti bandiera turca e per quella dei corsari lanciati al trotto, l’affresco colpisce per la presenza di alcuni dettagli di eccezionale attualità: braccia e gambe penzolanti da alberi di ulivo; corpi decapitati. Mutilazioni che richiamano in modo sinistro le efferate azioni delle odierne milizie dell’Isis. Le iscrizioni presenti sull’affresco, venuto alla luce durante i lavori di restauro della chiesa di Sant’Antonio nel 1983, datano l’episodio storico al1° gennaio 1547 e mostrano quanto sentita fosse, già allora, la questione dei foreign fighters nelle piccole realtà locali. Perché essere accusato di tradimento, in un’epoca in cui esso veniva punito con la pena capitale, poteva macchiare d’infamia un’intera comunità.
L’affresco del Cria a San Pancrazio. In Tra Storia Arte e Cultura. Da salentoacolory.it
La pagina dolorosa degli assalti turchi in Terra d’Otranto è perfettamente riportata in un prezioso affresco, una delle rare testimonianze visive che si combinano alle fonti scritte, custodito all’interno della chiesa di Sant’Antonio, a San Pancrazio Salentino (provincia di Brindisi). Una chiesa dell’ XI secolo, che conserva tante tracce della sua lunga storia, alcune purtroppo ormai perdute.
Si tratta del tempio cittadino più antico, lo si può notare dagli strati differenti di affreschi che coprono le sue pareti interne, ma anche dalla sua necropoli sotterranea piena zeppa di sepolture.
Sotto l’attuale piano di calpestio, attraverso numerose lastre di copertura di vetro, si può sbirciare all’interno di questo mondo lontano…
Alcune scene affrescate non sono facilmente decifrabili, e questo aumenta il fascino di questa chiesa…
Cavalieri che si fronteggiano, in parte occultati dalle sovrastrutture posteriori…
…simboli, che balzano fuori qua e là, fra cui un dado…
…una “Dormitio Virginis“, ossia la morte della Madonna, il momento prima di essere Assunta in cielo, raffigurata con un personaggio minacciosamente armato…
…forse un rimando ai Vangeli apocrifi…
Ma andiamo a scoprire l’affresco più famoso, che si trova sul muro a sinistra, sopra l’ingresso laterale…
San Pancrazio fu attaccata una prima volta proprio nel 1480, dopo la presa di Otranto. Secondo quanto racconta Antonello Coniger nelle sue Cronache, il 5 settembre di quell’anno un drappello di 400 cavalieri turchi sbarcò a San Cataldo, devastando i paesi e massacrando la popolazione dell’entroterra leccese. La seconda tragedia avvenne il 1 gennaio del 1547, abbiamo la fonte di Girolamo Marciano, di Leverano, che in Descrizione, origini, e successi della provincia d’Otranto riporta lo sbarco di 5 galeoni turchi a Torre Colimena…
Li guidava un rinnegato di Avetrana, un certo Cria, che in un primo momento li condusse proprio verso la sua città, Avetrana…
Non sappiamo cosa li convinse a desistere, fatto sta che i turchi deviarono, rinunciando ad attaccare la città. Forse li convinse un certo numero di “bocche di lupo” piazzate sulle case, armate di schioppi pronti a fare fuoco….
In effetti, ho potuto constatare entrando in una casa della piazza centrale la presenza di tante di queste bocche di fuoco, ed anche una data, guarda caso proprio quella di quell’anno: 1547…
…è una casa davvero affascinante, che seppur rimessa a nuovo, conserva i ricordi di quei secoli…
Torniamo a quel drappello di turchi: superata Avetrana essi deviarono dunque per San Pancrazio… e qui trovarono evidentemente molto meno resistenza…
Il Marciano riporta il saccheggio e la distruzione di San Pancrazio, colta completamente di sorpresa. Quasi tutti i suoi abitanti furono deportati in Turchia e venduti come schiavi…
Le scene riportate sull’affresco sono davvero esplicite, come di rado possiamo vedere in Salento, e ci fanno calare in quell’epoca brutale di violenze efferate…
Di particolari ce ne sono davvero tanti, ad osservare bene tutti gli angoli di questa scena, riprodotta quasi con stile fumettistico: sopra, per esempio, sulle navi si vede bene persino la bandiera turca, con la mezzaluna…
I superstiti di San Pancrazio comunque riuscirono a catturare il rinnegato Cria, forse, chissà, tradito egli stesso dai suoi alleati turchi. Legato ad un palo, fu linciato con rabbia dalla popolazione che egli aveva tradito. Persino i bambini si vedono a tirargli le pietre! Mentre alle spalle, sopra un albero, pendono braccia e gambe di gente letteralmente segata in due e appesa ai rami. Un affresco di epoche lontane, che magari possiamo ritrovare in certe immagini dei TG di oggigiorno, mentre la lotta fra due civiltà di diverse religioni scatena fra loro l’ennesimo braccio di ferro l’un contro l’altro armato.
Commissione d’incasso. Mancata Trasparenza o Tangente bancaria.
Se in Italia dal punto di vista fiscale si pagano le imposte dirette sul lavoro, si pagano le imposte indirette sull’acquisto di un bene frutto di quel lavoro e si pagano le tasse per il possesso di quello stesso bene, dal punto di vista bancario si pagano gli interessi sul denaro altrui e si pagano le commissioni bancarie per tenere ed avere il denaro proprio.
Come dire? Dalla padella, nella brace.
A tal proposito racconto che l’amministratore di un immobile locato distribuisce ai proprietari, eredi in comunione, la 16ª parte del canone di locazione. Ad ognuno di loro tocca euro 55,40 liquidati con assegni della banca del medesimo amministratore. Gli eredi già pagano le imposte dirette e comunali sull’immobile.
Il 16 ottobre 2023, avendo ricevuto l’assegno nominativo circolare bancario di euro 55,40 dell’Iccrea Banca di Credito Cooperativo di Avetrana, anziché depositarlo gratuitamente sul mio conto di una banca terza, per fare prima decido di incassarlo direttamente dalla banca trattaria, ma all’incasso mi consegnano solo 50,40 euro.
Si sono trattenuti 5,00 euro, pari al 10% del valore del loro stesso assegno.
Alla mia domanda sul perché quell’ammanco, mi si risponde: così è, gliel’ho detto.
Non essendo cliente di quella banca, non ho potuto leggere le condizioni generali di gestione, né all’esterno vi era alcun avviso sull’incasso degli assegni, tanto meno sono stato avvisato oralmente, altrimenti avrei receduto dall’incassare in quel modo.
E’ successo ad Avetrana, ma è come se fosse successo in ogni parte d’Italia.
Io avendo un conto corrente con un’altra banca non ci casco più, ma chi non ha un conto corrente bancario aperto, o ce l’ha online, come fa? Deve patire?
E’ normale questo andazzo? Come definire quest’azione: mancata trasparenza o tangente bancaria del 10%?
Bisogna sempre subire e tacere, specie se le banche sono agevolate dalla politica e sono solite finanziare la pubblicità mediatica, per far tacere queste anomalie?
Antonio Giangrande: LE DONNE IMMIGRATE PER I GIORNALISTI? MEGLIO SCHIAVE CHE PUTTANE.
Processo alla stampa. Un nuovo capitolo riempie il saggio “MEDIOPOLI. DISINFORMAZIONE. CENSURA ED OMERTA’”. Il libro di Antonio Giangrande.
La cronaca è fatta di paradossi. Noi avulsi dalla realtà, manipolati dalla tv e dai giornali, non ce ne accorgiamo. I paradossi sono la mia fonte di ispirazione e di questo voglio rendere conto.
In Italia dove tutto è meretricio, qualche ipocrita fa finta di scandalizzarsi sull’esercizio della professione più antica del mondo. L’unica dove non si ha bisogno di abilitazione con esame di Stato per render tutti uniformi. In quell’ambito la differenza paga.
Si parla di sfruttamento della prostituzione per chi, spesso, anziché favorire, aiuta le prostitute a dare quel che dagli albori del tempo le donne danno: amore. Si tace invece della riduzione in schiavitù delle badanti immigrate rinchiuse in molte case italiane. Case che, più che focolare domestico, sono un vero e proprio inferno ad uso e consumo di familiari indegni che abbandonano all’ingrato destino degli immigrati i loro cari incapaci di intendere, volere od agire.
Di questo come di tante altre manchevolezze dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica.
Un esempio. Una domenica mattina di luglio, dopo una gara podistica a Galatone in provincia di Lecce, nel ritorno in auto lungo la strada Avetrana-Nardò insieme a mio figlio ed un altro amico intravediamo sedute sotto il solleone su quelle sedie in plastica sul ciglio della strada due figure familiari: le nostre vicine di casa. Non ci abbiamo mai parlato, se non quando alla consuetudinaria passeggiata serale di uno dei miei cani una di loro disse: che bello è un chow chow! Ciò me li rese simpatiche, perché chi ama gli animali sono miei amici.
Poi poverette sono diventate oggetto di cronaca. I loro nomi non c’erano. Ma sapevo trattarsi di loro.
“I carabinieri di Avetrana hanno denunciato un 31enne incensurato poiché sorpreso mentre prelevava due giovani rumene dal loro domicilio di Avetrana per condurle a bordo della sua autovettura, nella vicina località balneare di Torre Lapillo del comune di Porto Cesareo (Le), dove le donne esercitavano la prostituzione - scrivevano il 22 agosto 2014 “La Voce di Manduria” e “Manduria Oggi” - I militari, che da diversi giorni monitoravano gli spostamenti dell’uomo, ieri mattina, dopo aver pedinato a bordo di auto civetta, lungo tutto l’itinerario che dal comune di Avetrana conduce alla località balneare salentina, decidevano di intervenire bloccando l’autovettura con a bordo le due giovani ragazze ed il loro presunto protettore, proprio nel punto in cui le donne quotidianamente esercitavano il meretricio. Accompagnati in caserma, le rumene di 22 anni sono state solo identificare mentre l’uomo è stato denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Taranto, con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. Lo stesso è stato inoltre destinatario del foglio di via obbligatorio dal comune di Avetrana per la durata di tre anni.”
Tutto a caratteri cubitali, come se fosse scoppiato il mondo. E’ normale che succeda questo in una Italia bigotta e ipocrita, se addirittura i tassisti sono condannati per aver accompagnato le lucciole sul loro posto di lavoro e ciò diventa notizia da pubblicare. Le stesse ragazze erano state oggetto di cronaca anche precedentemente con un altro accompagnatore.
“Ai domiciliari un 50enne di Gallipoli per favoreggiamento della prostituzione. Le prostitute, che vivono ad Avetrana, venivano accompagnati lungo la strada per Nardò,” scriveva ancora il 18 luglio 2014 “Manduria Oggi”.
“Accompagnava le prostitute sulla Nardò-Avetrana in cambio di denaro. Ai domiciliari 50enne gallipolino”, scriveva il 17 luglio 2014 il “Paese Nuovo”.
“I militari della Stazione di Nardò hanno oggi tratto in arresto, in flagranza di reato, MEGA Giuseppe, 50enne di Gallipoli, per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Nell’ambito dei controlli alle ragazze che prestano attività di meretricio lungo la provinciale che collega Nardò ad Avetrana, i Carabinieri di Nardò, alcune settimane orsono, avevano notato degli strani movimenti di una Opel Corsa di colore grigio. Pensando potesse trattarsi non di un cliente ma di uno sfruttatore o comunque di un soggetto che favorisse la prostituzione, i militari hanno iniziato una serie di servizi di osservazione che hanno permesso di appurare che il MEGA, con la propria autovettura, accompagnava sul luogo del meretricio diverse ragazze, perlopiù di etnia bulgara e rumena. I servizi svolti dai militari di Nardò hanno permesso di appurare che quotidianamente il MEGA, partendo da Gallipoli, si recava in Avetrana, dove le prostitute vivevano e ne accompagnava alcune presso la provinciale Nardò – Avetrana, lasciandole lì a svolgere il loro “lavoro” non prima però di aver offerto loro la colazione in un bar situato lungo la strada. Per cui, avendo cristallizzato questa situazione di palese favoreggiamento dell’attività di prostituzione, nella mattinata odierna i militari di Nardò, dopo aver seguito il MEGA dalla sua abitazione e averlo visto prendere le due prostitute, lo hanno fermato nell’atto di lasciarle lungo la strada e lo hanno portato in caserma assieme alle due ragazze risultate essere di nazionalità rumena. Queste ultime hanno confermato di svolgere l’attività di prostituzione e di pagare il MEGA per i “passaggi” che offre loro. Viste le risultanze investigative, il MEGA è stato tratto in arresto per favoreggiamento della prostituzione e, su disposizione del P.M. di turno, dott. Massimiliano CARDUCCI, è stato posto ai domiciliari presso la sua abitazione”.
Come si evince dal tono e dalla esposizione dei fatti, trattasi palesemente di una velina dei carabinieri, riportata pari pari e ristampata dai giornali. Non ci meravigliamo del fatto che in Italia i giornalisti scodinzolino ai magistrati ed alle forze dell’ordine. E’ un do ut des, sennò come fanno i cronisti ad avere le veline o le notizie riservate e segrete.
Fatto sta che le povere ragazze appiedate, (senza auto e/o patente) proprio affianco al dr Antonio Giangrande dovevano abitare? Parafrasi prestata da “Zio Michele” in relazione al ritrovamento del telefonino: (proprio lo zio lo doveva trovare….). Antonio Giangrande personaggio noto ai naviganti web perché non si fa mai “i cazzi suoi”. E proprio a me medesimo chiedo con domanda retorica: perché in Italia i solerti informatori delegati non fanno menzione dei proprietari delle abitazioni affittate alle meretrici? Anche lì si trae vantaggio. I soldi dell’affitto non sono frutto delle marchette? Silenzio anche sui vegliardi, beati fruitori delle grazie delle fanciulle, così come il coinvolgimento degli autisti degli autobus di linea usati dalle ragazze quando i gentili accompagnatori non sono disponibili.
Un fatto è certo: le ragazze all’istante sono state sbattute fuori di casa dal padrone intimorito.
Che fossero prostitute non si poteva intuire, tenuto conto che il disinibito abbigliamento era identico a quello portato dalle loro italiche coetanee. Lo stesso disinibito uso del sesso è identico a quello delle loro italiche coetanee. Forse anche più riservato rispetto all’uso che molte italiane ne fanno. Le cronache spesso parlano di spudorate kermesse sessuali in spiaggia o nelle piazze o vie di paesi o città. Ma questo non fa scandalo. Come non fa scandalo il meretricio esercitato dalle nostre casalinghe in tempo di crisi. Si sa, lo fanno in casa loro e nessuno li può cacciare, nè si fanno accompagnare. Oltre tutto il loro mestiere era usato dalle ragazze rumene per mangiare, a differenza di altre angeliche creature che quel mestiere lo usano per far carriere nelle più disparate professioni. In modo innocente è la giustifica per gli ipocriti. Giusto per saltar la fila dei meritevoli, come si fa alla posta. E magari le furbe arrampicatrici sociali sono poi quelle che decidono chi è puttana e chi no!
Questa mia dissertazione non è l’apologia del reato della prostituzione, ma è l’intento di dimostrare sociologicamente come la stampa tratta alcuni atteggiamenti illegali in modo diseguale, ignorandoli, e di fatto facendoli passare per regolari.
Quando il diavolo ci mette la coda. Fatto sta che dirimpettai a casa non ne ho. C’è la scuola elementare. Ma dall’altro lato della mia abitazione c’è un vecchio che non ci sta più con la testa. Lo dimostrano le aggressioni gratuite a me ed alla mia famiglia ogni volta che metto fuori il naso dalla mia porta e le querele senza esito che ne sono conseguite. Però ad Avetrana il TSO è riservato solo per “Zio Michele Misseri”, sia mai che venga creduto sulla innocenza di Cosima e Sabrina. Dicevo. Queste aggressioni sono situazione che hanno generato una forte situazione di stalking che limita i nostri movimenti. Bene. Il signore in questione (dico quello, ma intendo la maggior parte dei nostri genitori ormai inutili alla bisogna tanto da non meritare più la nostra amorevole assistenza) ha da sempre delle badanti rumene, che bontà loro cercano quanto prima di scappare. Delle badanti immigrate nessuno mai ne parla, né tanto meno le forze dell’ordine hanno operato le opportune verifiche, nonostante siano intervenuti per le mie chiamate ed abbiano verificato che quel vecchietto le poverette le menava, così come spesso tentava degli approcci sessuali.
Rumene anche loro, come le meretrici. Ma poverette non sono puttane e di loro nessuno ne parla. In tutta Italia queste schiave del terzo millennio sono pagate 500 o 600 euro al mese a nero e per 24 ore continuative, tenuto conto del fatto che sono badanti di gente incapace di intendere, volere od agire. Sono 17 euro al giorno. 70 centesimi di euro all’ora. Altro che caporalato. A queste condizioni non mi meraviglio nel vedere loro rovistare nei bidoni dell’immondizia. A dormire, poi, non se ne parla, in quanto il signore, di giorno dorme e di notte si lamenta ad alta voce, per mantenere sveglia la badante e tutto il vicinato. Il paradosso è che il signore e la sua famiglia sono comunisti sfegatati da sempre, pronti, a loro dire, nel difendere i diritti del proletariato ed ad espropriare la proprietà altrui. Inoltre non amano gli animali. Ed è tutto dire.
Le badanti, purtroppo non sono puttane, ma semplici schiave del terzo millennio, e quindi non meritevoli di attenzione mediatica.
Delle schiave nelle italiche case nessuno ne parla. Perché gli ipocriti italiani son fatti così. Invece dalle alle meretrici. Zoccole sì, ma persone libere e dispensatrici di benessere. Se poi puttane non lo sono affatto, le donne lo diventano con l’attacco mediatico e gossipparo.
«Marita Bossetti massacrata con il gossip. Accusata gratuitamente di avere due amanti. Ma cosa c’entra questo con l’omicidio di Yara? - si chiede Vittorio Feltri su “Il Giornale” il 21 agosto 2014 - Siamo basiti. Ieri apriamo il Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: «Due uomini dai pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti». Chi è costei? La moglie di Massimo Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio, l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza. Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto - che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne, avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che non ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non accertate) relazioni avute dalla donna in questione con il delitto di Yara commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o infondato che sia - ai fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato negli atti processuali che due linguacciuti asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio, nonché detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando ufficialmente (zero prove) per puttana. A voi, cari lettori, questa sembra un'operazione legittima? Comprendiamo la necessità degli investigatori di non trascurare alcun dettaglio nel tentativo di arrivare a capo dell'orrenda matassa, siamo altresì consapevoli che dal quadro familiare di Bossetti sia facile ricavare qualche indicazione utile all'inchiesta, ma prendere per buone le vanterie di un paio di tizi onde avvalorare l'ipotesi che la famiglia Bossetti fosse una specie di bordello, in cui ogni crimine poteva maturare, incluso un omicidio, è troppo. Trattasi di scorrettezza e di crudeltà. Un conto è sondare la vita di un imputato nella speranza di trovare una chiave per aprire la sua scatola nera, un altro è ricorrere a mezzucci degni di un giornaletto scandalistico e indegni, viceversa, di una giustizia decente. I giudici non devono guardare dal buco della serratura e raccogliere materiale da portineria, ma costruire un impianto accusatorio credibile, basato su indizi concreti e non su chiacchiericci volgari che distruggono l'immagine di gente innocente, comunque non direttamente implicata in un fatto di sangue. Alla signora Marita Bossetti e ai suo poveri figli, esposti al pubblico ludibrio a causa di una sciatteria istituzionale imperdonabile, va la nostra solidarietà. Siamo con loro in questo momento tormentato. Un'ultima osservazione. Noi del Giornale spesso siamo stati additati quali manovratori della macchina del fango. Faceva comodo a molti liquidarci così. Ora, davanti alla macchina produttrice di letame gossiparo, che massacra e lorda tante persone, tutti zitti. Zitti e complici».
«Yara, un caso nel caso: gossip estremo o strategia mediatica? Seguendo il corso delle indagini, la cronaca passa ora ai "raggi X" la vita della moglie di Bossetti: per soddisfare la curiosità dei lettori o per qualcos'altro? –Si chiede invece Marco Ventura su “Panorama” - “Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara”. Questa didascalia sul sito del Corriere della Sera, cronaca di Bergamo, dice tutto. Dice più di qualsiasi gossip allungato a giornalisti compiacenti che si prestano a fare da megafono dell’accusa pur di continuare a beneficiare di “presunti” scoop (dico “presunti” perché il giornalismo d’inchiesta all’americana, quello vero, non si affida a una sola fonte, non sposa acriticamente una sola parte, soprattutto si sviluppa anticipando le indagini, non si riduce a diffondere le veline degli inquirenti). Quella didascalia è un insulto alla Costituzione (e ai diritti di tutti noi in quanto potenziali Bossetti), perché “il carpentiere di Mapello”, come viene sbrigativamente inquadrato dai media, agli occhi della legge e a tutti gli effetti è l’opposto del “presunto assassino”. È, invece, un “presunto innocente”, sospettato di aver ucciso l’adolescente Yara Gambirasio. La didascalia accompagna le foto tratte dalla pagina Facebook dell’uomo (che non è neppure imputato ma solo indagato). Altri scatti inquadrano la moglie Marita in macchina che un po’ si vede, un po’ si copre la faccia per evitare i fotografi il giorno in cui va a farsi interrogare. Sono una, due, tre, quattro, cinque istantanee pressoché identiche, per soddisfare il “presunto” voyeurismo compulsivo del lettore. Dico “presunto”, perché a scorrere i commenti alla notizia delle “presunte” relazioni extraconiugali di Marita sul sito dell’Huffington Post che riprende il Corriere (un bell’esempio di complicità mediatica tra il gruppo L’Espresso e il “Corsera”), la gran parte dei lettori si dice più o meno schifata e indignata, e se la prende con un certo giornalismo gossiparo che massacra le persone per fare cassetta. Ma la foto peggiore è quella che campeggia più grande di tutte: Marita a viso aperto, al mare, circondata dai tre figli avuti con Massimo (già, ci sono pure dei figli minori, i volti sono graficamente irriconoscibili, ma basta?). In realtà, dietro quel giornalismo c’è forse qualcosa di più: una strategia mediatica da parte di chi lavora sulle indagini. È singolare che nei giorni scorsi sia apparsa la notizia del rifiuto di Marita a farsi interrogare senza il difensore, Marita che continua a difendere il marito e a proclamare anche pubblicamente la sua fiducia (ricambiata da Massimo di cui sappiamo, dalle indiscrezioni dei suoi già cinque interrogatori nessuno conclusivo, che ai magistrati che lo incalzavano sulle “presunte” avventure della consorte avrebbe replicato: “Impossibile. Sento il suo amore, ho piena fiducia e rispetto di lei”). È mai possibile che di fronte a quella che viene presentata come prova regina, definita dalla stessa difesa di Bossetti come indizio grave, cioè la “presunta” corrispondenza del Dna del “carpentiere di Mapello” con quello ritrovato sugli indumenti intimi di Yara (dico “presunta” perché non c’è al momento una controperizia, una perizia di parte, una ripetizione del test, né un contraddittorio o dibattimento e tante volte abbiamo visto le prove regine perdere la corona nei processi), è mai possibile dicevo che vi sia un simile accanimento sulla famiglia Bossetti, tale da far sospettare (o presumere?) una disperazione dell’accusa, un’angoscia di non riuscire, nonostante tutto, a trovare la verità cioè incastrare il “presunto colpevole”? E mi chiedo: se la moglie (e la madre) di Massimo Bossetti lo avessero “scaricato”, dicendo ai Pm quello che i Pm vorrebbero tanto sentirsi dire, avremmo ugualmente letto notizie così orribilmente intrusive della vita privata di persone che non sono neppure indagate e la cui vita intima non serve probabilmente a far luce sull’ipotizzato crimine del “carpentiere di Mapello”? Massimo Bossetti ha saputo dai magistrati di essere figlio illegittimo, ora sa che forse la moglie gli ha messo le corna (e tutto questo lo sappiamo anche noi). È costretto in carcere a un isolamento totale, anche nell’ora d’aria, perché gli altri detenuti gliel’hanno giurata (per loro è il “presunto assassino” di Yara, anzi per dirla con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è “l’assassino” e basta). La moglie si trova a dover fronteggiare non solo i magistrati, ma anche i giornalisti che sanno e partecipano allo scandaglio impietoso della sua privacy (grazie a chi?) e se si azzarda a dire la sua al settimanale Gente, c’è subito pronto il solerte cronista di giudiziaria, nello specifico Paolo Colonnello de La Stampa, che si dedica a sottolineare sotto il titolo “Yara, le contraddizioni della signora Bossetti”, le “presunte” (il virgolettato è mio) discrepanze tra le parole della “bella moglie che rilascia interviste ai settimanali popolari” (stavolta il virgolettato è di Colonnello) e quelle che Marita ha pronunciato davanti ai Pm. A Paolo vorrei ricordare quanto lui stesso ha scritto su Facebook tempo fa, in quello che appariva come un post di encomiabile ma evidentemente “presunta” autocritica, dopo aver premesso che dubitava dell’innocenza di Bossetti: “Ciononostante mi piacerebbe che i giornali avessero il coraggio di distinguersi dal trash delle trasmissioni televisive smettendo di occuparsi di questo caso day by day, proprio per rispetto dei protagonisti e della loro sofferenza. Piccoli dettagli, elucubrazioni, fughe di notizie cui io stesso ho partecipato (con assoluta controvoglia, credetemi) non aggiungono nulla di più a questo punto alla tragedia che si è ormai consumata. La solita tragedia, verrebbe da dire. Perché purtroppo, anche grazie alla nostra morbosità, statene certi che si ripeterà”».
«Dai lettore, prova a metterti nei panni del mostro. Massimo Bossetti non è soltanto accusato di essere l'assassino di Yara. Contro di lui si muove uno tsunami distruttivo, massacrante, implacabile. Domandina: e se poi, invece, fosse innocente? – Si chiede, invece Maurizio Tortorella su “Panorama” - Caro lettore, stavolta ti propongo un gioco: ma fa' attenzione, perché è un brutto gioco. Facciamo finta che due anni fa un bruto, un maniaco sessuale, abbia ucciso una povera ragazzina a una decina di chilometri da casa tua. E facciamo finta che una mattina arrivi da te la polizia, che ti ammanetta e ti accusa di quell'orribile delitto. Dai magistrati inquirenti, che t'interrogano, scopri che sul cadavere della poveretta è stato trovato materiale organico che i periti sostengono sia compatibile con il tuo Dna. Tu non sai proprio spiegartene il motivo, perché sai perfettamente che sei innocente e in realtà non hai mai nemmeno visto la ragazzina. Ma gli inquirenti non vogliono sentire ragione: il colpevole sei sicuramente tu. Così finisci in prigione. I giornali, contemporaneamente, vengono inondati di carte dell'accusa. Il tuo nome esplode su tutti i mass media, la tua vita viene passata al setaccio. Il tuo avvocato è in difficoltà: non riesce a fare passare nemmeno il minimo dubbio. Poi gli inquirenti ti dicono che sono arrivati a te per vie d'indagine complicatissime. E ti spiegano che grazie a quelle indagini hanno scoperto, anche, che tuo padre non è quello che tu hai avuto accanto per decenni, perché in realtà tua madre ti ha concepito con un altro. Aggiungono che tutto questo è provato con certezza dallo stesso Dna. A questa rivelazione, ovvio, resti senza fiato. Sui giornali che ti arrivano in cella leggi che tua madre nega disperatamente, giura che sei figlio di tuo padre, quello che hai sempre creduto che lo fosse. Ma chissà se dice la verità... La vita, che già ti è stata sconvolta dall'arresto e dalle terribili accuse che ti vengono rivolte, ti viene così letteralmente sradicata dall'anima: anche per via sentimentale. Intanto passi i giorni in cella, dove ti disperi leggendo i giornali che parlano del caso e cercando di sfuggire alle violenze degli altri reclusi, tradizionalmente molto ostili a chi viene accusato di aver fatto del male a donne e a bambini. Pensi e ripensi alla tua vita distrutta, ai tuoi figli che inevitabilmente in paese vengono additati come «figli del mostro», a quella poveretta di tua moglie che inutilmente grida alla tua innocenza. I giorni trascorrono, diventano settimane e mesi. Non sai che fare. Dentro sei come morto. Ti aggrappi ai tuoi poveri affetti, in questo momento fragili come e più di te. Pensi solo a tua moglie e ai tuoi figli: sono l'unica cosa che ti resta. Poi una mattina ti svegli, sempre in cella e sempre terrorizzato, e sul primo quotidiano italiano leggi un titolo che ti tramortisce. Perché rivela che due uomini sono stati appena ascoltati dai pm e hanno raccontato loro di essere stati entrambi amanti di tua moglie (che hai sposato nel 1999): uno nel 2009 e uno anche più di recente. Ti domandi se sia vero. Come sia possibile. Ti interroghi anche sul perché gli inquirenti abbiano deciso di ascoltare i due uomini, che cosa c'entrino le loro relazioni con l'accusa che ti viene rivolta. L'articolo ti spiega che i pm vogliono indagare nella tua vita sessuale, per capire se tutto era «normale». La tua disperazione a questo punto è totale: non hai più nulla cui aggrapparti. Che ti resta, al mondo? Pensi alla tua vita, annichilita, e forse vuoi soltanto morire. Ecco, caro lettore. Io non so se Massimo Bossetti sia colpevole o innocente dell'orribile delitto di cui è accusato da oltre due mesi. Ti domando, però, di porre mente a un'ipotesi: e se non fosse colpevole? A quest'uomo la giustizia italiana ha distrutto tutto: vita, famiglia, affetti. Gli è accaduto tutto quello che hai appena finito di leggere, e anche molto di più. È stata una devastazione implacabile, assoluta, senza scampo alcuno. Certo: è possibile che Bossetti sia colpevole. E tu allora mi dirai, in un impeto di violenza: si merita tutto quel che sta soffrendo. Ma che cosa accadrà se invece, in un regolare processo condotto stavolta non sui giornali ma in un'aula di tribunale, davanti a una corte puntigliosa e con tutti i crismi di legge, si dovesse appurare che Bossetti è innocente, magari perché l'analisi del Dna condotta sul corpo della povera Yara è stata sbagliata? In questi casi ho sempre pensato che sia pratica onesta provare a mettersi nei panni dell'accusato, ovviamente ipotizzandosi innocenti. Io l'ho fatto, e confesso la mia debolezza: non so se saprei sopravvivere allo tsunami, alla gogna mediatica e al disastro esistenziale che mi è stato gettato addosso. Proverei forse a impiccarmi in cella. Però l'idea mi sconvolge e mi disgusta profondamente. Perché non è questo il finale giusto, nemmeno nella peggiore vicenda giudiziaria; non può e non deve esserlo: equivale a dichiarare che la giustizia non esiste. È una soluzione abietta, vergognosa, indecente, indegna di uno Stato di diritto. Prova a fare altrettanto. Non ci vuole molto, soltanto un po' di fantasia. Mettersi nei panni dell'accusato è sempre un esercizio utile: solletica sensibilità intorpidite dalla voglia di sangue. E magari fa pensare... ».
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande:
Una persona può essere sana o avere qualche malattia.
Le malattie sono curabili secondo l'evoluzione della scienza riconosciuta dalle istituzioni e dalle lobby farmaceutiche, e/o la preparazione dei medici, e/o nel caso della prevenzione e della scoperta nei tempi giusti.
La sanità italiana non permette la prevenzione o la cura adeguata, tenuto conto delle liste di attesa dovute alla gestione privatistica della sanità dei baroni e, spesso, della svogliatezza e dell’impreparazione dei medici.
Un malato: o è curabile o è terminale.
Al malato curabile si somministrano le terapie necessarie prescritte da uno specialista voglioso e preparato.
Il malato terminale, in base al censo ed alla famiglia, si abbandona o gli si somministrano le terapie palliative.
La parola palliativo deriva dalla parola latina pallium che significa mantello, protezione.
Per cure palliative si intende “l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. (Legge n.38/1 Art. 2-Definizioni)
Le cure palliative, quindi, sono quell'insieme di cure, non solo farmacologiche, volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase terminale che della sua famiglia.
La cura palliativa per i pazienti agiati in Italia diventa, spesso, accanimento terapeutico. I familiari, o solo per imposizione di alcuni di essi in contrasto con il resto della famiglia, o il malato, servito e riverito, protraggono egoisticamente la cessazione della vita di qualche giorno, al costo di immani sofferenze per il malato stesso con interventi chirurgici e cure inutili, che non vuol cessare una vita, spesso inutile per sè stesso e per la società, e con molti oneri assistenziali per loro da parte dei familiari e della sanità pubblica.
Quando si decide di dire basta alle cure palliative, non è eutanasia egoistica, ma vero senso di carità per una morte dignitosa e caritatevole.
Quale valore affettivo vuol significare vedere il proprio caro sofferente in perenne stasi o in catalessi con il catetere per l'urina, la pala al culo, la flebo attaccata, il sondino per l'alimentazione. l'occhialino dell'ossigeno?
Quale interesse è per il malato terminale a cui si danno false speranze di guarigione, facendolo morire disperato, anziché accompagnarlo ad una morte serena e consapevole?
Il Diritto e la Pretesa.
La gioventù e la vecchiaia sono facce della stessa medaglia. In entrambe le fasi della vita c’è qualcuno che dipende da un altro, che se ne prende cura.
I giovani sono mantenuti, istruiti ed educati dai vecchi.
I vecchi sono mantenuti dai giovani.
Cosa vuol dire e qual è la differenza.
Vuol dire che c’è un obbligo giuridico a carico di giovani e vecchi.
La differenza è che i giovani non possono scegliere, né pretendere, ma solo, eventualmente, recriminare. A loro viene dato il mantenimento, l’istruzione e l’educazione secondo i canoni familiari di appartenenza, che la fortuna gli ha riservato, e da lì dipende il loro futuro. Lo Stato interviene ove la famiglia manca fisicamente o per incapacità, ma non è sempre un giovamento. Spesso l’intervento è tardivo, o mancante, o nocivo. Ergo: essi non si discostano dalla falsa riga culturale ed economica di appartenenza.
I vecchi, invece, possono scegliere. Si diceva: i giovani sono i bastoni della vecchiaia dei genitori. E i genitori questo dogma l’hanno preso alla lettera, tanto che si creavano più di un bastone: famiglie con tanti figli. Figli che erano bastoni anche della gioventù dei genitori, perché lavoravano per loro.
Gli odierni vecchi sono persone che hanno usufruito del pensionamento in tenera età e si son goduti la vita. Si sentono giovani e non hanno nessuna voglia di morire. Hanno una bella pensione, spesso aggiunta a quella di reversibilità del coniuge. Quindi, non hanno bisogno di mantenimento, come per legge. E lì finisce l’obbligo dei figli nei loro confronti.
Invece, ad un certo punto i vecchi, però, fanno i capricci. Vogliono l’assistenza!!! Perché così fan tutti.
Fa niente se sono stati cattivi genitori e non la meritano: loro la pretendono.
L’assistenza, secondo i vecchi, è che i figli li devono accudire come bambini: averli presenti fisicamente notte e giorno con loro. Come moderni schiavi. Fa niente che questi hanno la loro famiglia ed il loro lavoro: i loro obblighi verso i loro figli.
I vecchi pensano solo per loro. Non vogliono lasciare la loro casa per stare, per comodità, con i figli. Spesso non dormono la notte e non fanno dormire i presenti, perché hanno paura di morire nel sonno o hanno delle allucinazioni, come le apparizioni di persone care defunte. Mentre di giorno poltroneggiano, di notte si mettono a camminare in casa. Vogliono essere accompagnati al bagno, per paura di cadere, o imboccati quando mangiano, per paura di sporcarsi. Voglio essere accuditi come malati, con medico ed infermiera al seguito. Medicine e visite mediche periodiche non devono mancare. Vogliono essere ascoltati. Parlano e parlano, dicendo sempre le stesse cose. Le loro opinioni sono incontestabili. Quindi, non sono persone incapaci, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sé stesse. E quantunque fosse, lo Stato offre l’intervento dei Servizi Sociali, la possibilità dell’accompagnamento e dell’esenzioni mediche, oltre che delle agevolazioni della legge 104. Tra pensioni ed accompagnamento si ha la possibilità della Residenza per anziani o della badante. Ma loro vogliono i figli senza pagare.
Eppure, se non fai come loro pretendono, ti minacciano di diseredarti per qualcosa che non hai ancora avuto, o ti rinfacciano qualcosa che ti hanno dato. Fosse anche niente, ma per loro è tantissimo. Comunque, non mi sembra che nell’aldilà qualcuno abbia portato le cose terrene con sé.
Insomma, alla fine, riescono a rovinare tutto quel di buono vi era stato nei rapporti in famiglia.
Io spero di non diventare come loro e, magari, di morire prima…anche se vecchio già lo sono.
I Genitori.
Art. 30 della Costituzione:
“E’ dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede che siano assolti i loro compiti”.
Dispositivo dell'art. 147 Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262):
Codice Civile LIBRO PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo VI - Del matrimonio Capo IV - Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis Dispositivo dell'art. 315 bis Codice Civile
Codice Civile LIBRO PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo IX - Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio Capo I - Dei diritti e doveri del figlio
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
I Figli.
Articolo 433 Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262)
Codice Civile LIBRO PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo XIII - Degli alimenti
All'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Dispositivo dell'art. 591 Codice Penale:
Codice Penale LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare Titolo XII - Dei delitti contro la persona Capo I - Dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale
Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
L'obbligo di assistenza ai genitori anziani. Da studiolegalecastagna.it il 12 gennaio2023
I dati demografici degli ultimi anni, come noto, mostrano un progressivo invecchiamento della popolazione che pone spesso di fronte al problema di anziani in stato di bisogno che vivono soli o che possono essere a tutti gli effetti considerati genitori abbandonati dai loro figli.
All'interno del nostro codice civile, come è noto, è previsto l'obbligo dei genitori di prendersi cura dei propri figli e mantenerli sino al raggiungimento della loro completa autonomia economica.
Tuttavia, meno conosciuto ma non meno importante, potrebbe essere il corrispondente obbligo dei figli, nei confronti dei propri genitori, i quali si trovino in stato di bisogno e incapacità a provvedere al proprio mantenimento, sancito dall'art. 433 c.c.
Inoltre, se i genitori ormai anziani vengono lasciati a sé stessi, i figli e/o i nipoti potrebbero rischiare di incorrere nel reato previsto dall'art. 591 c.p., il quale sanziona l'abbandono di persone incapaci.
Per sapere quando questo reato sussista, occorre partire dall'articolo stesso del codice penale, secondo cui: chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Tali pene vengono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
Tale fattispecie è stata più volte interpretata dalla Corte di Cassazione, il cui precedente orientamento, prevedeva che ai fini della sussistenza del reato di abbandono di persone incapaci, era necessario accertare in concreto l’incapacità del soggetto passivo di provvedere a sé stesso.
A differenza dei bambini, che a prescindere vengono considerati incapaci fino al compimento dei 14 anni, per quanto riguarda gli anziani va valutato caso per caso, in quanto l'età avanzata, di per sé, non può essere considerata motivo invalidante.
Con la conseguenza che, non essendoci presunzione di incapacità per la vecchiaia, in quanto condizione non patologica, abbandonare il genitore anziano senza malattie specifiche, non poteva costituire reato.
Con la sentenza n. 44098/2016 la Corte cambia orientamento: il caso trattava di un anziano, padre della ricorrente, il quale trovandosi in uno stato di precaria salute e sostanzialmente abbandonato dalla figlia, sarebbe stato posto in pericolo.
La ricorrente era, infatti, stata condannata per abbandono di incapace dal tribunale di primo grado, con sentenza confermata anche dalla Corte d’appello di Bari.
La donna tuttavia si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando un'errata applicazione dell’art. 591 c.p., poiché il pericolo per l’incolumità fisica derivante dall’inadempimento dell’obbligo di assistenza, non poteva sussistere, in quanto il padre non era mai stato affidato alla sua custodia. In aggiunta, precisava che l'impossibilità di assistere il padre derivava dalla necessità di accudire i propri figli.
La Cassazione ha ritenuto tutti i motivi presentati dalla ricorrente infondati, sancendo che: "l’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità dei soggetto passivo"; sottolineando, inoltre, come dalle precedenti sentenze, soprattutto di primo grado, il Giudice abbia ampiamente motivato sul tema del dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo all’imputata verso il padre.
Tale motivazione viene fondata sull'interpretazione sistematica di diverse norme, sia di livello costituzionale, che riguardano il riconoscimento della famiglia come società naturale, il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale (artt. 3 e 29 Cost.), sia di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento ( art. 433 c.c.).
La Corte di Cassazione si sofferma infine sul dovere di cura gravante sulla donna, sancendo che chi lascia il proprio genitore anziano da solo, in condizioni di grave incapacità fisica o mentale, anche senza una patologia specifica ma semplicemente per vecchiaia, risponde del reato di abbandono di persone incapaci, così come previsto dall'art. 591 c.p., sancendo che l’obbligo di accudire i genitori non è più unicamente morale, ma stabilito per legge, grazie anche ai rinvii operati alla Costituzione e al codice civile.
Legge 104 assistenza genitori anziani: come funziona? Da epicura.it 3/2/2023
Indice
1. Assistenza genitori anziani da parte dei figli
2. Legge 104: a chi spetta?
3. Legge 104 e permessi: come funziona?
4. Legge 104: come fare domanda?
5. Assistenza genitori anziani: due anni di congedo retribuito
In Italia, più di 14 milioni gli anziani necessitano di cure e assistenza continua perché non più autosufficienti.
Negli ultimi anni, infatti, la figura di Caregiver familiare ha assunto un ruolo di primaria importanza. Con questo termine, s'intende "colui che si prende cura”, ovvero tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato o disabile.
Tuttavia, ad oggi chi svolge questa attività di assistenza non è ancora formalmente tutelato da un quadro normativo.
L'unica modalità concessa dallo Stato Italiano è rappresentata dalla Legge 104 per l'Assistenza di Genitori Anziani, ovvero riconoscimento per un familiare che accudisce un parente anziano, con copertura da parte dello Stato dei contributi maturati durante l'assistenza e il lavoro svolto prendendosi cura del soggetto, equiparandoli a quelli che si maturano come lavoro domestico.
Assistenza genitori anziani da parte dei figli
Un genitore, per quanto possibile, desidera trascorrere il resto della sua vita nella casa dove ha visto nascere e crescere la propria famiglia. Si sente più tranquillo e sereno se a occuparsi di lui è un figlio o comunque una figura familiare, con la quale ha confidenza e intimità.
Prendersi cura di un genitore anziano è un atto meraviglioso, dettato dall’affetto e dalla necessità di garantirgli il necessario benessere emotivo, mentale e fisico.
Un desiderio legittimo, a cui segue, però, un'attenta riflessione sul rovescio della medaglia. Si tratta di un impegno che richiede nervi saldi, tempo, lavoro e qualche sacrificio in più perché le attività da svolgere sono tante e onerose.
E se il familiare da assistere non fosse autosufficiente o affetto da gravi patologie?
In questo caso, si può usufruire dei permessi e degli strumenti descritti nella Legge 104 per l’Assistenza ai Genitori Anziani.
Legge 104: a chi spetta?
La Legge 104 si applica a qualsiasi lavoratore dipendente, con un contratto a tempo indeterminato o determinato e con a carico un familiare affetto da una grave disabilità.
I soggetti che non hanno diritto alla 104 sono i lavoratori autonomi, quelli a domicilio, i lavoratori agricoli a tempo determinato occupati a giornata e chi svolge lavori domestici e familiari.
Legge 104 e permessi: come funziona?
Le agevolazioni previste dalla legge 104 / 92 per l’Assistenza dei Genitori Anziani sono di natura fiscale, economica e lavorativa.
Uno degli aiuti più importanti stabiliti dalla Legge 104 sono i giorni di permesso. La legge stabilisce che chi ha un familiare con patologia invalidante o handicap grave, ha diritto a 3 giorni al mese di permessi retribuiti. Inoltre, è possibile frazionarli in ore purché non si superi il triplo delle ore lavorative giornaliere.
Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che è possibile richiedere il permesso anche se il familiare è ricoverato in una struttura residenziale, a patto che sia una casa di riposo e non una RSA dove è garantita un’assistenza sanitaria continua.
A questa agevolazione, ha diritto chi è in possesso di 3 requisiti specifici ovvero:
l'assistito deve avere più di 65 anni
il grado di parentela deve essere al massimo entro il terzo grado
il lavoratore deve essere convivente o comunque abitare vicino al familiare anziano
L’assistenza esclusiva dei genitori anziani da parte dei figli prevista dalla Legge 104 stabilisce che il permesso possa essere richiesto da un solo lavoratore dipendente che diventa a tutti gli effetti un referente. Nel caso in cui una persona debba assistere più familiari contemporaneamente, può usufruire di più permessi.
Sarà necessario, inoltre, programmare un piano accurato con le assenze previste da consegnare all’amministrazione. L’INPS o datore di lavoro sono chiamati a effettuare dei controlli finalizzati all’accertamento della presenza dei requisiti richiesti dalla normativa.
Per quanto riguarda la sede lavorativa, la Legge 104 dispone che il lavoratore abbia la facoltà di scegliere quella più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso. Allo stesso modo, è possibile rifiutare di lavorare in orari notturni (7 ore consecutive a partire dalla mezzanotte) se si tratta di un familiare non autosufficiente.
Legge 104: come fare domanda?
Innanzitutto, bisogna richiedere un certificato medico per attestare l’intera storia clinica del genitore anziano da assistere. A compilarlo è il medico di base che, una volta visitato il paziente, è tenuto a inviare telematicamente all’INPS l’intera documentazione e a rilasciare il numero di protocollo.
Una volta in possesso del numero di protocollo, bisogna inviare la richiesta della Legge 104 alla sede dell'INPS che, una volta visionata l’anamnesi del medico di base, convocherà l'assistito per essere visitato dalla commissione medica della ASL di appartenenza.
Se la diagnosi non è sufficientemente chiara, la commissione potrà richiedere altri accertamenti.
In caso di esisto positive, si provvederà al rilascio del verbale in cui sarà indicato in maniera chiara e inequivocabile il grado di handicap grave ai sensi della Legge 104 articolo 3 comma 3.
Assistenza genitori anziani: due anni di congedo retribuito
I lavoratori dipendenti pubblici o privati possono usufruire anche di un’altra importante agevolazione, ovvero il congedo straordinario biennale, frazionato o continuativo, da richiedere nell’arco della vita lavorativa.
Il congedo è retribuito sulla base dell’ultimo stipendio percepito, dà diritto alla tredicesima ed è coperto dai contributi ai fini pensionistici.
Il requisito per richiedere tale congedo è che l'assistito non sia ricoverato a tempo pieno e che non presti attività lavorativa per il biennio in esame.
E se il figlio non fosse convivente?
A chiarire la questione, è intervenuto l’articolo 42 del D.Lgs. n.151/2001 che ha definito "non prioritario il requisito della convivenza a patto che suddetta convivenza abbia luogo entro l’anno dalla richiesta di congedo straordinario e sia conservata per l'intera durata dello stesso".
La Legge 104 in materia di Assistenza ai Genitori Anziani dispone che il figlio, se in possesso di 20 anni di contributi, possa richiedere la pensione anticipata. L’assegno mensile in questo caso non dovrà superare il tetto massimo di 1.500 euro lordi.
Tra i diritti stabiliti dalla Legge 104 per l’Assistenza dei Genitori Anziani da parte dei figli, c'è la possibilità di richiedere:
Indennità di accompagnamento
Agevolazioni che spettano per l’acquisto di attrezzature e accessori come le poltrone speciali destinate ai non deambulanti
Detrazioni fiscali per l’assunzione della badante, per l'acquisto di farmaci o per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Alla base di quanto descritto, la legge 104 rappresenta quindi un quadro normativo importante al quale fare riferimento per agevolare la vita degli assistiti e dei loro figli.
In conclusione, occuparsi di un caro non autosufficiente non è semplice: per questo è fondamentale vagliare tutte le opzioni per trovare la soluzione che garantisca la serenità alla persona anziana e a tutta la sua famiglia.
Figlio si occupa da solo della madre malata, può chiedere il rimborso al fratello?
Il figlio che cura gli anziani genitori adempie ad un’obbligazione naturale (articolo 2034 del codice civile). Di Marcella Ferrari, Avvocato, Pubblicato il 19/03/202 su altalex.com
Nelle famiglie, capita spesso che uno dei figli si occupi, in via esclusiva, degli anziani genitori (o di uno solo di essi) e che il fratello, vivendo in un’altra città, se ne disinteressi. Il figlio che ha sempre assistito il genitore, che ha pagato le cure e ha investito il proprio tempo nella gestione della casa, può chiedere un rimborso all’altro?
Prima di rispondere al quesito, analizziamo gli obblighi gravanti sui figli in relazione all’assistenza degli ascendenti.
Sommario
L’obbligo degli alimenti a carico dei figli
L’obbligo di assistenza ai genitori
Le somme spese per i genitori e l’obbligazione naturale
Un figlio che si disinteressa dei genitori è indegno a succedere?
L’obbligo degli alimenti a carico dei figli
Qualora gli anziani genitori versino in stato di bisogno, poiché, ad esempio, la pensione non è sufficiente per pagare tutte le spese o perché malati, grava sui figli l’obbligo di alimenti (art. 433 c.c.). La legge richiede che il soggetto non sia in grado di sopportare le spese fondamentali, come il vitto, l’alloggio, il vestiario e i medicinali.
È irrilevante che lo stato di bisogno sia imputabile al genitore che, ad esempio, ha dilapidato il proprio patrimonio senza pensare al futuro. Il Codice civile indica un elenco di soggetti obbligati a versare gli alimenti. Primo tra tutti, l’altro coniuge (art. 433 n. 1 c.c.), anche se separato. Vi sono poi i figli e i discendenti (art. 433 n. 2 c.c.) chiamati a fornire un aiuto qualora non vi sia un coniuge o questi non possa soddisfare l’obbligo alimentare. Il diritto agli alimenti è limitato allo stretto necessario ed è proporzionato alle condizioni economiche dell’onerato.
Se il genitore ha più di un figlio, tutti sono obbligati a concorrere alla prestazione in base alle proprie capacità (art. 441 c. 1 c.c.).
Se il figlio non intende versare alcuna somma, può ospitare in casa propria il genitore, in tal modo adempiendo all’obbligo di legge (art. 443 c. 1 c.c.).
L’obbligo di assistenza ai genitori
Il Codice penale sanziona chi fa mancare i mezzi di sussistenza agli ascendenti con il reato di “violazione degli obblighi familiari” punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 a 1032 euro (art. 570 c.p.).
I mezzi di sussistenza sono quelli indispensabili a soddisfare le necessità essenziali della vita, come il cibo, l’abitazione e i medicinali. Inoltre, costituisce reato l’abbandono di una persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia o per vecchiaia, o per altra causa, della quale si debba avere cura; la fattispecie di reato è punita con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal figlio (art. 591 c. 4 c.p.).
Dalla norma penale emerge un generale dovere in capo ai figli di assistere i genitori.
Le somme spese per i genitori e l’obbligazione naturale
Torniamo ora alla domanda iniziale: il figlio che aiuta economicamente il genitore può chiedere il rimborso al fratello?
La risposta è negativa.
Il figlio che cura gli anziani genitori adempie ad un’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.). Con tale espressione, ci si riferisce alle somme versate spontaneamente in esecuzione di doveri morali e sociali. Si tratta di doveri imposti dal principio di solidarietà e il loro inadempimento comporta la disistima sociale. Ebbene, simili prestazioni non sono ripetibili, ossia non è possibile chiederne la restituzione.
Allora, cosa può fare il figlio che accoglie il genitore nella propria abitazione per farsi aiutare dai fratelli?
Come abbiamo visto, tenere in casa il soggetto bisognoso rappresenta un modo in cui adempiere all’obbligazione alimentare, pertanto, il genitore, in qualità di legittimato attivo, può chiedere agli altri figli di versare gli alimenti, come prescritto dal Codice civile e, in caso di loro rifiuto, rivolgersi al Tribunale per ottenere una condanna in tal senso.
Molto spesso, il figlio che ha accudito il genitore pensa di aver diritto ad una quota maggiore dell’asse ereditario. Anche in questo caso, la risposta è negativa. Infatti, la circostanza che uno dei figli si sia occupato in via esclusiva del genitore anziano o malato, non incide sulle quote del patrimonio ereditario.
Un figlio che si disinteressa dei genitori è indegno a succedere?
La morale e il diritto non sempre vanno di pari passo. Infatti, anche se eticamente è biasimevole la condotta noncurante di un figlio, non è possibile considerarlo giuridicamente come indegno a succedere. L’istituto dell’indegnità (art. 463 c.c.) riguarda casi tassativi come, ad esempio, l’ipotesi in cui un figlio attenti alla vita del genitore. Solo in tale evenienza egli può essere escluso dall’asse ereditario, perché l’indegnità rappresenta una causa di esclusione dalla successione. Al di fuori di tali casi limite, tutti i figli succedono ai genitori in base alle quote stabilite per legge in assenza di testamento.
Quindi, il genitore che intende “ricompensare” il figlio che si è preso cura di lui può farlo tramite una disposizione testamentaria. Infatti, oltre alla quota di legittima, che spetta di diritto anche all’altro figlio, il testatore è titolare di una quota disponibile che può lasciare a chi desidera.
L’obbligo alimentare dell’art 433 codice civile. Studio Legale degli Avv.ti Berti e Toninelli. Articolo pubblicato: 17 Febbraio 2022
Chi e come deve versare gli alimenti ex art 433 codice civile
L’obbligo alimentare dell’art 433 codice civile per chi versa in stato di bisogno
Nel Titolo XIII, del primo libro del Codice Civile è contenuta la particolare disciplina inerente gli obblighi alimentari: dell’art 433 codice civile all’art. 448 bis codice civile si parla delle obbligazioni alimentari (conosciute anche come c.d. diritto agli alimenti) alle quali alcuni soggetti sono tenuti, in virtù dell’esistenza di vincoli familiari.
Presupposto del diritto agli alimenti è lo “stato di bisogno”. Una delle ipotesi più frequente è, ad esempio, quella del mantenimento genitore anziano non economicamente autosufficiente.
Il fondamento delle obbligazioni alimentari è individuato nei principi costituzionali di solidarietà e assistenza.
L’art. 433 codice civile indica i soggetti chiamati a prestare gli alimenti, secondo il principio del grado, sulla base della intensità del legame personale con il soggetto beneficiario.
In base all’elenco dell’art 433 codice civile, il primo degli obbligati è il coniuge del beneficiario. In sua assenza, sono obbligati i figli, gli ascendenti prossimi, i generi/nuore, i suoceri ed infine i fratelli/sorelle. Obbligato è altresì il donatario, cioè chi ha ricevuto una donazione dal beneficiario, ma nei limiti del valore “residuo” della donazione ricevuta.
Dopo una breve analisi generale sull’obbligazione alimentare, l’articolo si sofferma sui presupposti, sulle cause di modifica e cessazione dell’obbligo e sui soggetti obbligati.
Viene approfondita soprattutto l’obbligazione nei confronti del coniuge e dei parenti affini: l’articolo esamina se in caso di separazione consensuale gli alimenti continuano ad essere dovuti, e qual è la sorte degli alimenti dopo il divorzio (se cioè sono dovuti o meno gli alimenti al coniuge divorziato).
Viene esaminata anche la dimensione processuale: in che modo il beneficiario può richiedere il diritto agli alimenti. L’azione alimentare deve essere intrapresa dal beneficiario, oppure dal suo tutore, curatore o amministratore di sostegno (nominato tra i parenti e affini entro il quarto grado, oppure esterno alla famiglia), previa autorizzazione del Giudice Tutelare
Questi sono gli argomenti trattati:
Cos’è l’obbligo alimentare ex art 433 codice civile?
L’art 433 codice civile e le altre fonti delle obbligazioni alimentari
Quali sono i presupposti dell’obbligazione alimentare ex art 433 codice civile
Art 433 codice civile: cosa si intende per “stato di bisogno”
Gli alimenti nei confronti del fallito: art 433 codice civile e dlgs 14/2019
Chi sono i soggetti obbligati in base all’art 433 codice civile
Quando i figli (n. 2 dell’art 433 codice civile) sono obbligati al mantenimento del genitore anziano
Quando si è obbligati al mantenimento del suocero o della suocera (n. 4 dell’art 433 codice civile)?
Quale differenza tra alimenti e mantenimento
In caso di separazione consensuale gli alimenti sono dovuti?
Devono essere corrisposti gli alimenti dopo il divorzio?
Quando gli alimenti sono dovuti nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto
Perché il donatario precede tutti i soggetti indicati all’art 433 codice civile
Quali sono le caratteristiche dell’obbligazione alimentare
Art 433 codice civile: come si calcola l’assegno alimentare
Art 433 codice civile: come devono essere versati gli alimenti
Come si richiedono gli alimenti ai soggetti ex art 433 codice civile
Gli alimenti urgenti e provvisori ex art 433 codice civile
Art 433 codice civile: quando si modifica e si estingue l’obbligazione alimentare?
Cosa si rischia per l’inadempimento ex art 433 codice civile
COS’È L’OBBLIGO ALIMENTARE EX ART 433 CODICE CIVILE?
Nel codice civile non viene fornita una vera e propria definizione di obbligo alimentare. Si tratta dell’obbligo di garantire, ad una persona che versa in “stato di bisogno”, le risorse economici sufficienti a soddisfare i bisogni primari, quali il vitto e l’alloggio.
Tale obbligo può sorgere sia in base ad una disposizione di legge, ed è il caso dell’art 433 codice civile, sia in base ad un testamento, sia infine in base ad un contratto, quale la donazione in primis.
In via generale, i caratteri distintivi dell’obbligo alimentare sono:
Lo stato di bisogno del beneficiario: questo deve essere privo di risorse economiche sufficienti a soddisfare i bisogni primari della persona e nella impossibilità oggettiva di procurarseli.
Il particolare legame che lega l’obbligato ed il beneficiario: può trattarsi di un vincolo di famiglia (obbligati in base all’art. 433 del codice civile sono il coniuge, i parenti e gli affini più prossimi) o meramente giuridico (la donazione, oppure un diverso contratto, oppure ancora un lascito testamentario). Secondo una recente pronuncia di merito (Trib. Lecce, sentenza 1418/2020) il legame particolare può sostanziarsi anche nella convivenza di fatto (da non confondere con la mera coabitazione) intesa quale vincolo affettivo.
L’entità della prestazione deve essere commisurata alla situazione personale (non solo sul piano economico, ma anche di età, salute, capacità lavorativa …) di chi la richiede ed alle condizioni economiche di chi è tenuto a tale obbligo. Non può comunque superare alcuni limiti, identificabili in base alla posizione sociale dell’alimentando e ciò che appare necessario ai fini del suo sostentamento.
Nei prossimi paragrafi saranno approfonditi i requisiti richiesti per procedere ex art. 433 codice civile all’identificazione dell’obbligato, nonché altri aspetti tecnici dell’obbligo alimentare.
L’ART 433 CODICE CIVILE E LE ALTRE FONTI DELLE OBBLIGAZIONI ALIMENTARI
Nel nostro ordinamento sono previste diverse fonti da cui può sorgere l’obbligazione alimentare.
Come anticipato la fonte principale dell’obbligo alimentare è l’art. 433 codice civile, e cioè la legge, la quale muove dal principio di assistenza e di solidarietà familiare.
La fonte dell’obbligo alimentare può altresì essere di natura convenzionale, nel rispetto del principio dell’autonomia contrattuale. Quindi è possibile, ad esempio, far sorgere un’obbligazione alimentare anche con contratto (prevedendo ad esempio un vitalizio alimentare) sulla base del principio dell’autonomia dei privati. Unico contratto previsto espressamente (articoli 437 e 438 codice civile) è la donazione, tanto che “il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante”, con esclusione della donazione fatta in riguardo di un matrimonio e della donazione remuneratoria.
Infine, l’obbligo alimentare può essere imposto per testamento: l’art. 660 codice civile stabilisce che “Il legato di alimenti, a favore di chiunque sia fatto, comprende le somministrazioni indicate dall’art. 438, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto.”
QUALI SONO I PRESUPPOSTI DELL’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE EX ART 433 CODICE CIVILE
Concentrandoci sull’obbligazione alimentare di fonte legale ex art. 433 codice civile e successivi, i presupposti essenziali sono:
l’oggettivo ed incolpevole stato di bisogno dell’alimentando, che deve trovarsi in una condizione tale da non poter provvedere autonomamente al proprio sostentamento. Ad esempio, sono dovuti gli alimenti per il mantenimento del genitore anziano che percepisce un reddito complessivo (ad esempio la pensione oppure altre indennità o rendite) insufficiente per il vitto e l’alloggio;
lo stato di bisogno deve essere, secondo una valutazione prognostica, non provvisorio. Il soggetto deve versare nella impossibilità oggettiva di procurarsi i mezzi necessari alla sussistenza. Ad esempio, sono dovuti gli alimenti per il mantenimento del genitore anziano che non può svolgere alcuna attività lavorativa;
Anche il soggetto obbligato al versamento degli alimenti deve presentare alcune caratteristiche. Questo deve essere il donatario o un familiare stretto del beneficiario/donante e deve risultare capace di far fronte alla prestazione economica degli alimenti, ovvero avere una posizione economica tale da potervi provvedere senza sacrificare i propri bisogni primari.
ART 433 CODICE CIVILE: COSA SI INTENDE PER “STATO DI BISOGNO”
Lo stato di bisogno dell’alimentando è il presupposto per far sorgere l’obbligazione oggetto d’esame: ai sensi dall’art. 438 codice civile “gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento”. Per poterne dare una definizione più precisa, viene in aiuto la giurisprudenza che, in modi diversi, ha fornito specifiche indicazioni sul punto.
Nel 2013 la Cassazione ha affermato che per stato di bisogno va fatto riferimento ad uno stato di “impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l’abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie” (Cass., sent. 25248/2013).
Lo stato di bisogno richiede poi una valutazione prognostica sulla impossibilità, per il futuro, di ricevere fonti di reddito, quale l’attività lavorativa in primis. Questa è la parte più difficile da accertare, in concreto, poiché non si limita all’aspetto economico, ma coinvolge tutti gli aspetti della persona del beneficiario: l’età, lo stato di salute, financo il grado di istruzione.
Oltre che oggettivo, lo stato di bisogno deve essere incolpevole. Questo vuol dire che la causa della impossibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni deve essere non imputabile al beneficiario.
Inoltre il beneficiario deve aver tentato, in ogni modo ragionevolmente possibile, di provvedere autonomamente ai propri bisogni.
GLI ALIMENTI NEI CONFRONTI DEL FALLITO: ART 433 CODICE CIVILE E DLGS 14/2019
L’art. 147 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, riprendendo l’art. 47 della “vecchia” legge fallimentare, stabilisce che “Se al debitore vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.”
Anche se la disposizione si riferisce agli “alimenti” condizionati alla mancanza dei mezzi di sussistenza, si tratta di qualcosa di diverso dall’istituto previsto dall’art 433 del codice civile.
Il sussidio a beneficio del debitore fallito e della sua famiglia, viene “concesso” dal giudice. Non si tratta quindi, in questo caso, di un diritto soggettivo, ma rimesso alla discrezionalità del giudice delegato. Inoltre, il sussidio viene attinto dal patrimonio dello stesso beneficiario, pur se destinato alla soddisfazione dei creditori.
CHI SONO I SOGGETTI OBBLIGATI IN BASE ALL’ART 433 CODICE CIVILE
Come già anticipato, soggetti obbligati a versare gli alimenti sono i familiari stretti e il donatario, cioè colui che in passato ha ricevuto una donazione da parte di chi, successivamente, si è trovato in stato di bisogno.
L’art. 433 codice civile, fornisce una elencazione tassativa dei soggetti obbligati a versare gli alimenti al familiare in difficoltà, indicandoli in ordine di “affezione” parentale. Infatti, l’art. 433 del codice civile stabilisce che all’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:
il coniuge;
i figli, anche adottivi (sono inclusi tutti i figli adottivi, sia quelli adottati dopo il compimento della maggiore età, sia i soggetti adottati nei c.d. casi particolari),
i discendenti prossimi (in mancanza di figli);
i genitori. Come stabilito dall’art. 436 codice civile, il genitore adottante è obbligato prima del genitore del beneficiario;
gli ascendenti prossimi (in mancanza dei genitori);
gli adottanti;
i generi e le nuore;
il suocero e la suocera;
i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Si applica il principio del grado: la possibilità dell’adempimento da parte di chi è più prossimo al beneficiario, esclude che l’obbligo ricada su chi è meno prossimo. In altre parole, solo se il coniuge non è in grado di provvedere al pagamento degli alimenti, l’obbligo del mantenimento del genitore anziano ricade sui figli o sui nipoti, e così via.
Il primo dei chiamati agli alimenti è l’eventuale donatario, che ai sensi dell’art. 437 codice civile precede ogni altro obbligato, salvo che si tratti di una donazione obnuziale o remuneratoria.
Nel caso vi siano più persone nello stesso grado (fratelli, sorelle, figli…) o di grado diverso (coniuge e figli) chiamate congiuntamente a corrispondere gli alimenti (ad esempio per il mantenimento del genitore anziano), l’obbligo viene tra essi diviso in proporzione alle condizioni economiche di ciascuna (art. 441 codice civile). Si tratta di una obbligazione parziaria, in base a cui ciascuno risponde in proporzione alle proprie sostanze, ma ai sensi dell’art. 443 codice civile, in caso di urgente necessità, l’autorità giudiziaria può porre temporaneamente l’obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli altri. Peraltro, come sancito dalla giurisprudenza di legittimità, “qualora i bisogni dell’avente diritto agli alimenti sono soddisfatti per intero da uno solo dei condebitori ex lege, questi può esercitare l’azione di regresso, senza la necessità di una preventiva diffida ad adempiere” (Cassazione civile, sentenza n. 4883/1988)
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 441 codice civile, i coobbligati possono accordarsi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti. In mancanza di accordo, provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze.
QUANDO I FIGLI (N. 2 DELL’ART 433 CODICE CIVILE) SONO OBBLIGATI AL MANTENIMENTO DEL GENITORE ANZIANO
Quando i figli sono chiamati al mantenimento del genitore anziano?
In caso di un genitore anziano i doveri dei figli sono indicati all’art. 315 bis del codice civile: “il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”.
Indipendentemente dalla convivenza, i figli devono occuparsi del mantenimento del genitore anziano, quando ricorrono alcune condizioni:
il genitore anziano si trova in uno stato di bisogno, come ampiamente descritto nei paragrafi precedenti (art. 438 codice civile);
i soggetti chiamati in via principale (il coniuge del genitore anziano, nonché un eventuale donatario, se esistenti), sono impossibilitati totalmente o parzialmente ad adempiere (art. 433 del codice civile);
i figli hanno risorse economiche sufficienti a provvedere, almeno in parte, ai bisogni elementari del genitore (art. 441 capoverso del codice civile).
Al verificarsi di queste condizioni, i figli sono obbligati al mantenimento del genitore anziano, ciascuno in proporzione alla propria capacità economica.
QUANDO SI È OBBLIGATI AL MANTENIMENTO DEL SUOCERO O DELLA SUOCERA (N. 4 DELL’ART 433 CODICE CIVILE)?
La prestazione alimentare ex art 433 codice civile coinvolge anche gli affini, ed in particolare gli ascendenti prossimi del coniuge.
È quindi possibile che il genero o la nuora siano chiamati al mantenimento del suocero o della suocera in stato di bisogno.
Rispetto all’ipotesi precedentemente descritta, tuttavia, per poter configurare la sussistenza dell’obbligo, occorre che:
il suocero o la suocera versino in stato di bisogno;
siano impossibilitati a mantenerli, in tutto o in parte, i rispettivi coniugi, i loro figli o nipoti, i loro genitori o ascendenti prossimi, nonché eventuali donatari;
Il genero o la nuora abbiano risorse economiche sufficienti per provvedere, almeno in parte, al mantenimento dei suoceri.
QUALE DIFFERENZA TRA ALIMENTI E MANTENIMENTO
In caso di separazione giudiziale o separazione consensuale gli alimenti sono dovuti? Per rispondere a questa domanda, occorre distinguere tra mantenimento ed alimenti, sebbene nel linguaggio comune tali espressioni vengano spesso confuse ed utilizzate come sinonimi.
L’obbligo di mantenimento investe una serie di situazioni diverse, tutte riconducibili al contesto dei rapporti endo-familiari. Si parla dell’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli (art. 147 codice civile), dell’imprenditore nei confronti del collaboratore familiare (art. 230 bis codice civile), del coniuge separando nei confronti dell’altro (art. 156 codice civile).
Come anticipato nei paragrafi precedenti, l’obbligazione alimentare è finalizzata ad assicurare a chi si trovi in “stato di bisogno”, la possibilità di provvedere al proprio sostentamento ed è dovuta in proporzione al bisogno di chi li richiede ed alle condizioni economiche di chi deve somministrarli.
Diversamente, il mantenimento che il soggetto economicamente “forte” versa all’altro, è una prestazione economica di portata molto più ampia di quella alimentare, finalizzata ad assicurare al soggetto “debole” non solo il minimo indispensabile per i bisogni vitali, ma anche un adeguato tenore di vita.
C’è quindi una differenza qualitativa e quantitativa.
IN CASO DI SEPARAZIONE CONSENSUALE GLI ALIMENTI SONO DOVUTI?
Fatta questa preliminare distinzione, alla domanda se in caso di separazione giudiziale o separazione consensuale gli alimenti sono comunque dovuti, occorre dare risposta affermativa.
Nel sistema italiano, la separazione dei coniugi non determina il venir meno del vincolo coniugale, ma solamente la sospensione di alcuni obblighi endo-familiari (come l’obbligo di coabitazione e di fedeltà tra i coniugi). Pertanto, anche in pendenza di separazione, al verificarsi dei presupposti il coniuge in stato di bisogno ha diritto a ricevere la prestazione alimentare dall’altro coniuge, e ciò a prescindere dall’eventuale addebito.
Inoltre, in materia di separazione, l’addebito (ne abbiamo parlato in questo articolo ) esclude il diritto al mantenimento, ma non quello agli alimenti.
In materia di successione, l’art. 548 comma 2 codice civile stabilisce che “Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta.”
DEVONO ESSERE CORRISPOSTI GLI ALIMENTI DOPO IL DIVORZIO?
Sono dovuti gli alimenti dopo il divorzio? Se la separazione costituisce una fase di “crisi” del ménage matrimoniale, il divorzio ne segna il definitivo scioglimento, e con esso la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ivi compresi tutti gli obblighi reciproci dei coniugi indicati all’art. 143 del codice civile.
Con la sentenza di divorzio, il “coniuge” cessa di essere tale. Perde quindi il diritto agli alimenti il coniuge divorziato, che tuttavia può ricorrere agli altri soggetti indicati dall’art 433 codice civile.
Lo stesso può dirsi in caso di annullamento del matrimonio, che a differenza del divorzio, lo cancella come se non fosse mai esistito.
Tuttavia, l’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio n. 898 del 1970 stabilisce che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale (…) dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Anche in questo caso, occorre soffermarsi sulla differenza tra obbligo alimentare ed assegno divorzile, il quale ha funzione assistenziale, perequativa e compensativa (SS. UU. sent. n. 18287/2018). L’assegno divorzile ha la funzione di assicurare all’ex coniuge l’autosufficienza economica (Cass., sent. n. 11504/2017) e viene stabilito sulla base non solo dello stato di bisogno, ma anche su altri fattori, quali il contributo dato dall’ex-coniuge al nucleo familiare ed al patrimonio, alla durata del matrimonio, al nesso causale tra le scelte operate dagli ex coniugi in costanza di matrimonio e la loro situazione attuale (Cassazione, ordinanza n. 1786/2021).
QUANDO GLI ALIMENTI SONO DOVUTI NELLE UNIONI CIVILI E NELLE CONVIVENZE DI FATTO
L’art. 433 codice civile nulla dice in merito alla possibilità di poter considerare, alla stregua del coniuge, anche il soggetto convivente di fatto o unito civilmente. Orbene, l’art. 1 comma 65 della legge “Cirinnà” (legge n. 76/2016) afferma che in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice adito stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Peraltro il Tribunale di Lecce (sentenza n. 1418 del 18.06.2020) ha interpretato l’art. 1 comma 65 della legge 76/2016 applicandolo anche alle coppie di fatto more uxorio non registrate. Pertanto, il convivente more uxorio, anche in assenza del contratto di convivenza, ha diritto agli alimenti “qualora sia accertato lo stato di bisogno del richiedente e questi non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438, co 2 c.c., in proporzione cioè del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli“.
La maggiore differenza rispetto alla disciplina “ordinaria” contenuta all’art 433 codice civile sta nella durata dell’obbligo: gli alimenti devono essere versati dall’unito civilmente per un periodo di tempo determinato dal giudice, che sia proporzionale alla durata della convivenza intercorsa e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile.
Per quanto riguarda la “posizione” nella gerarchia dell’art. 433 del codice civile, la L. 76/2016 obbliga l’unito civilmente con precedenza su fratelli e sorelle, ma in subordine al coniuge, ai figli, ai discendenti, ai genitori, agli ascendenti prossimi, agli adottanti, ai generi e nuore, ai suoceri.
PERCHÉ IL DONATARIO PRECEDE TUTTI I SOGGETTI INDICATI ALL’ART 433 CODICE CIVILE
Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, l’art. 437 codice civile prevede che il donatario (colui che ha ricevuto una donazione) sia obbligato, con precedenza su ogni altro soggetto, a prestare gli alimenti al donante.
La ratio alla base è ben individuabile nel rapporto tra donante e donatario.
Quando la donazione viene fatta per assoluto spirito di liberalità, cioè in modo totalmente gratuito e fine a sé stesso, la legge ravvede nella posizione del donatario, un dovere di riconoscenza.
Tanto è vero che, ai sensi dell’art. 801 del codice civile, la donazione può essere revocata “per ingratitudine”, se il donatario rifiuta indebitamente di versare gli alimenti dovuti.
L’obbligo del donatario precede quello dei familiari, perché sarebbe irragionevole che il donatario si arricchisca, mentre la famiglia del donante, che pur ha risentito gli effetti sfavorevoli della donazione, debba provvedere al suo mantenimento. Viene tuttavia temperato nel quantum: l’art. 438 codice civile stabilisce che questo è obbligato nei limiti del valore della cosa donata, che residua al momento in cui nasce l’obbligazione alimentare.
Viceversa, laddove la donazione non sia animata da una liberalità “pura”, il donatario è escluso dall’elenco ex art 433 del codice civile e dai soggetti chiamati. È il caso delle donazioni remuneratorie ex art. 770 codice civile, cioè quelle effettuate per ricompensare il donatario di qualche merito, e quelle obnuziali ex art. 785 codice civile, effettuate in relazione alla celebrazione del matrimonio del donatario. Sono escluse anche le donazioni elargite in virtù di usi e consuetudini, e quelle di modico valore.
Rimane invece discusso se possano essere o meno escluse le donazioni indirette.
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DELL’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE
Il c.d. diritto agli alimenti di cui agli art 433 codice civile e seguenti ha carattere strettamente personale. Ai sensi dell’art. 447 codice civile, il credito alimentare è indisponibile: non può essere ceduto, né usato per compensare i debiti del beneficiario ed è intrasmissibile agli eredi.
È irripetibile (non ne può essere richiesta la restituzione) e inalienabile, non potendo neanche essere sottoposto a rinuncia o transazione.
Il carattere di indisponibilità non riguarda invece l’obbligo alimentare sorto per convenzione (Cass. civ. n. 10362/1997).
Le somme dovute a titolo di alimenti non possono essere pignorate, ai sensi dell’art. 545 comma 1 codice di procedura civile, tranne che per cause di alimenti.
Infine, è escluso dalla massa fallimentare, nei limiti di quanto necessario al fine di garantire il sostentamento del fallito e della sua famiglia .
ART 433 CODICE CIVILE: COME SI CALCOLA L’ASSEGNO ALIMENTARE
Gli alimenti sono dovuti “in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli” (art. 438 codice civile).
Il giudice determina il quantum dell’obbligo alimentare, considerate diverse circostanze, sia oggettive che soggettive.
Occorre valutare sia la situazione economica effettiva nella quale versa l’alimentando, comprese le fonti di reddito derivanti o derivabili da diritti reali che gli consentirebbero di sopravvivere dignitosamente, sia quella di coloro i quali sono chiamati ad adempiere la prestazione alimentare.
La Suprema Corte ha precisato che, per poter individuare il quantum del diritto agli alimenti, “il raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la probabile riscossione di crediti, le quali potranno avere influenza, al loro verificarsi, per un’eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell’art. 440 c.c.” (Cass., sent. n. 9432/1994).
Tra fratelli e sorelle, gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario (a prescindere dalle condizioni economiche e sociali del beneficiario) e possono comprendere anche le spese per l’educazione e l’istruzione, se l’alimentando è minorenne.
Il variare delle condizioni economiche dell’obbligato e/o del beneficiario, giustifica una variazione dell’importo da versare. Ai sensi dell’art. 440 codice civile “se dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze.”
L’obbligo alimentare non può eccedere quanto necessario per la vita dell’alimentando, mentre un limite specifico è previsto per l’obbligo del donatario, per il quale l’importo da versare non può superare il valore attuale e residuo della donazione accettata.
ART 433 CODICE CIVILE: COME DEVONO ESSERE VERSATI GLI ALIMENTI
In base all’art. 443 codice civile, “chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto. L’autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione.”
Pertanto l’assegno alimentare, di regola versato mensilmente, può essere sostituito dall’accoglimento nella propria casa dell’alimentando, provvedendo così alle sue spese, garantendogli vitto, alloggio, assistenza (si pensi al mantenimento del genitore anziano) e cure mediche ove necessarie.
Nel caso in cui la scelta della convivenza non sia condivisa dal beneficiario, egli può chiedere che ai sensi dell’art. 443 comma 2 codice civile, sia l’autorità giudiziaria a determinare le modalità di somministrazione degli alimenti, anche prevedendo soluzioni alternative a quelle indicate al primo comma, come ad esempio la fornitura periodica di beni in natura, la messa a disposizione di una rendita, la stipulazione di un contratto di comodato abitativo di un immobile.
La prestazione alimentare è dovuta dal momento della domanda giudiziale o dal momento in cui si effettua la costituzione in mora dell’obbligato, se entro sei mesi dalla stessa viene iniziato il giudizio.
COME SI RICHIEDONO GLI ALIMENTI AI SOGGETTI EX ART 433 CODICE CIVILE
Per poter ottenere la prestazione alimentare, l’interessato deve rivolgersi al proprio legale di fiducia, al fine di instaurare un procedimento avanti al Tribunale competente.
Nel caso in cui al beneficiario sia affiancato un tutore, un curatore o un amministratore di sostegno, nominato tra i parenti ed affini entro il quarto grado, oppure esterno alla famiglia, è necessaria l’autorizzazione del Giudice Tutelare (art. 374 codice civile).
La domanda giudiziale, nella forma dell’atto di citazione (art. 163 codice procedura civile), instaura un giudizio ordinario di merito, nel quale il richiedente deve dimostrare il proprio stato di bisogno e l’impossibilità di provvedere al proprio sostentamento, nonché il vincolo (familiare o contrattuale) che lo lega al soggetto chiamato.
In merito al riparto dell’onere della prova, si evidenzia come sull’obbligato gravi la dimostrazione del suo stato di impossibilità economica a provvedere ai bisogni del parente in difficoltà, e/o la esistenza di altri soggetti, tra quelli indicati all’art 433 del codice civile, che lo precedono nell’obbligo del versamento.
Il deposito della domanda giudiziale segna anche l’inizio della debenza degli alimenti, che tuttavia retroagisce al momento della messa in mora dell’obbligato, se l’azione viene intrapresa entro i sei mesi successivi (art. 445 codice civile).
La sentenza che accerta l’esistenza del diritto e condanna l’obbligato è pronunciata “sic rebus stantibus”, cioè al permanere della situazione di fatto e di diritto attuale. Questo quindi non preclude la possibilità di una futura modifica della misura degli alimenti (sia in aumento, che in riduzione) o della cessazione dell’obbligo, al sopravvenire di nuove circostanze di fatto e di diritto.
GLI ALIMENTI URGENTI E PROVVISORI EX ART 433 CODICE CIVILE
Considerato che i lunghi termini del procedimento giudiziario non consentirebbero, nelle more della sua definizione, una tutela effettiva del richiedente, l’art. 446 codice civile prevede che il Presidente del Tribunale disponga, su richiesta ed in via provvisoria, la corresponsione di un assegno.
Inoltre, in base all’art. 443 codice civile, pur in presenza di più coobbligati (si è detto, in maniera parziaria, ciascuno in proporzione delle proprie capacità economiche), l’obbligo può essere temporaneamente posto interamente a carco di uno solo di essi, salvo il diritto di regresso nei confronti degli altri.
La giurisprudenza si è spesso interrogata sulla natura del provvedimento urgente e provvisorio emesso dal giudice e sulla possibilità che lo stesso possa essere reso in altri modi diversi dall’introduzione del giudizio di merito, cioè evitando la causa vera e propria in caso di disaccordo tra le parti. L’orientamento prevalente ritiene che sia necessario istaurare il giudizio di merito, non essendo possibile ottenere il provvedimento provvisorio in via cautelare, ad esempio tramite un provvedimento ex art. 700 c.p.c. (in tal senso, v. Trib. Milano ord. 3 aprile 2013; Trib. Venezia ord. 28 luglio 2004; Trib. Catania ord. 22 marzo 2005). Tuttavia, parte della giurisprudenza di merito invece ritiene ammissibile la tutela d’urgenza prima dell’inizio della causa vera e propria (v. Trib. Catania 22 marzo 2005; Trib. Trani 9 gennaio 2012).
ART 433 CODICE CIVILE: QUANDO SI MODIFICA E SI ESTINGUE L’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE?
Come tutte le obbligazioni, anche quella alimentare può subire modifiche o estinguersi al verificarsi di svariate situazioni.
L’art. 440 codice civile stabilisce che, se le condizioni economiche di chi somministra o chi riceve gli alimenti mutano dopo la sentenza, occorre nuovamente rivolgersi al giudice per richiedere una modifica dell’importo da versare.
Tipicamente, un motivo di richiesta di modifica è la inflazione monetaria, anche se nella prassi, la misura dell’obbligo alimentare viene legata alla rivalutazione economica.
Inoltre, la prestazione alimentare può subire riduzioni anche al verificarsi di una condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato, ad esempio, quando alimentando non utilizzi le somme di denaro corrisposte a titolo di alimenti in maniera coscienziosa. In questi casi, i parenti e gli affini entro il quarto grado possono richiedere la nomina di un amministratore di sostegno, che si occupi della gestione economica dei beni dell’alimentando.
Inoltre, è possibile chiedere la cessazione dell’obbligo in capo ai soggetti ex art. art 433 codice civile nel caso in cui vengano meno i presupposti previsti dall’art. 438 codice civile.
L’estinzione dell’obbligo alimentare si verifica anche con la morte dell’alimentando o dell’alimentante (v. art. 448 c. c. caso di estinzione per morte dell’obbligato).
Sono poi previste ipotesi speciali di cessazione dell’obbligo:
per il figlio (o i suoi discendenti prossimi) cessa l’obbligo nei confronti del genitore per il quale sia stata pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale (art. 434 codice civile);
per i suoceri (e del genero e della nuora) cessa l’obbligo quando il beneficiario è passata a nuove nozze; e quando il coniuge, da cui deriva l’affinità, e i figli nati dalla sua unione con l’altro coniuge e i loro discendenti sono morti (art. 448 bis codice civile). Come da pacifica giurisprudenza, la sentenza di divorzio non determina l’automatica caducazione del vincolo di affinità fra un coniuge e i parenti dell’ex coniuge: di tale vincolo viene meno, in base all’art. 78 comma 3 codice civile, solo in caso di nullità del matrimonio. Quindi, il divorzio non fa venir meno l’obbligo alimentare tra affini, che resta disciplinato dall’art. 434 c. c.: la sentenza, mentre determina la caducazione dell’obbligo alimentare tra gli affini solo ove l’avente diritto passi a nuove nozze e se non siano vivi i figli nati dal matrimonio o loro discendenti, peraltro può giustificare soltanto una richiesta di revisione dell’obbligo medesimo, ove essa sentenza si traduca, anche in relazione alle statuizioni patrimoniali conseguenziali al divorzio, in un mutamento della situazione in base alla quale gli elementi siano stati riconosciuti e liquidati (in tal senso Cass., sent. n. 2848/1978).
per il donatario, in caso di revoca o nullità della donazione;
per il coniuge, che perde il diritto agli alimenti dopo il divorzio o in caso di annullamento del matrimonio.
COSA SI RISCHIA PER L’INADEMPIMENTO EX ART 433 CODICE CIVILE
L’inadempimento dell’obbligo alimentare comporta una duplice responsabilità, sia sul piano civile che su quello penale.
Sul piano civile, l’inadempiente potrebbe subire un procedimento di esecuzione forzata, con conseguente pignoramento dei propri beni.
Sul piano penale, l’art. 570 codice penale, rubricato “obblighi di assistenza familiare”, punisce con la reclusione sino a un anno, ed una sanzione pecuniaria che va da 103 a 1.032 euro, chi fa mancare i mezzi di sussistenza agli ascendenti (…ai discendenti di età minore, inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa…).
Inoltre, l’art. 388 comma 2 del codice penale (mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice) punisce con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032, chi “elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”.
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Accompagnamento anziani: cosa è, a chi viene dato e come richiederlo. Da Seremy. Finalmente un pò di chiarezza sul tema dell'accompagnamento anziani, molto importante per chi si prende cura di un genitore avanti con gli anni.
Non tutti sanno esattamente cosa sia esattamente l’accompagnamento anziani, chi ne abbia diritto e a quanto ammonti la somma percepita. Per questo abbiamo deciso di fare chiarezza sul tema, molto importante per chi si prende cura di un genitore avanti con gli anni.
Chi ha diritto all’accompagnamento anziani?
La richiesta può essere fatta da tutti coloro che hanno un’età minima di 67 anni, ma non basta l’età anagrafica per ottenere l’accompagnamento anziani. In questo caso è fondamentale avere un’invalidità al 100% riconosciuta in modo permanente dall’INPS, ente nazionale di previdenza sociale.
Si tratta quindi di un beneficio che va a favore di chi ha difficoltà a compiere le attività quotidiane e necessita di costante assistenza.
Come fare domanda di indennità di accompagnamento?
Per ottenere l’accompagnamento anziani è importante avere un certificato di invalidità al 100% rilasciato dall’INPS. Successivamente il patronato correda questo documento con la dichiarazione dei redditi del richiedente e l’ASL di riferimento contatta il cittadino per la visita medica che ne certifichi il grado di invalidità.
Oltre all’invalidità al 100% è importante sapere che si deve avere un reddito inferiore a 17,340,17 euro all’anno per richiedere l’importo dell’accompagnamento anziani. Se la procedura di richiesta va a buon fine l’anziano riceve la somma dal mese successivo al recepimento del verbale.
A quanto ammonta l’assegno di accompagnamento?
Pochi sanno a quanto ammonti l’assegno di accompagnamento per anziani. Nel dettaglio si tratta di un sussidio di importo pari a 530,27€ mensili per un totale di 12 mensilità annue e che a differenza dell’indennità di invalidità civile non prevede la tredicesima.
Quali sono le differenze tra accompagnamento e invalidità?
Oltre all’importo erogato ci sono altre differenze tra accompagnamento e invalidità civile. La domanda di invalidità civile riguarda tutti coloro che – dai 18 ai 67 anni di età – sono affetti da gravi patologie o deficit fisici e psichici. La richiesta viene fatta anche dagli invalidi al 100% oltre i 67 anni di età e non più autosufficienti e bisogna rispettare alcuni requisiti di reddito.
In alcuni casi l’accompagnamento è rivolto anche ai minori di 18 anni con gravi patologie, anche in questo caso sulla base di requisiti di reddito.
In ogni caso in Italia le persone invalide hanno diritti ad un assegno di mantenimento che permette loro di vivere in modo adeguato e coprire le spese per un eventuale servizio di badante.
Vittorio Puglisi se n’è andato.
Non è ritornato a Catania in Sicilia, sua terra natia, per rinchiudersi in un ospizio, come aveva preventivato di fare. No! E’ morto.
E ad Avetrana, suo paese ospitante, nessuno ne sa niente. Nemmeno un manifesto funebre per avvisare la popolazione, eppure era conosciuto e beneamato da molti.
Non può essere che se ne vada così senza che di lui non vi rimanga un ricordo.
Era di Catania. Era un agente di commercio trasfertista, poi domiciliatosi nel barese. Era sposato con due figli.
Dopo che si era trasferito lasciò la moglie a Catania per la sua segretaria di Erchie (Br) con due figlie, che lui crebbe ed istruì. Una di loro è diventata Avvocato e poi Parlamentare.
La famiglia di Catania recise ogni rapporto con lui.
Da pensionato si trasferì con la nuova famiglia a Manduria e poi comprò casa in un condominio a San Pietro in Bevagna.
Con la seconda moglie le cose non andarono bene, tanto che lei, malata, lo lasciò per trasferirsi in una casa di riposo per anziani, fino alla sua morte. Anche le figlie di lei recisero ogni rapporto con Vittorio, salvo mantenere una lite giudiziaria per degli immobili comprati dai coniugi, ma in possesso delle figlie e non resi come quota ereditaria a Vittorio. Gesto che indusse Vittorio, per ripicca, a donare ai figli di Catania la sua casa al mare.
Lui rimase comunque solo, ultrasettantenne.
Su consiglio di un personaggio, che si autodefiniva guardiano dei condomini della litoranea in cambio di regalie, si trasferisce ad Avetrana, in un appartamento vicino al suo, affinché non fosse da solo a svernare sulla marina. Si scoprì poi che la ragione del gesto era di poter affittare l’appartamento ed intascare i soldi, senza che Vittorio ne sapesse niente.
Vittorio diventa mio vicino, spalla a spalla.
La casa vecchia presa in locazione, con lui si trasforma tutto a vantaggio del proprietario.
È autonomo, giovanile e distinto e voleva affrancarsi dai figli, assoggettandosi ad un estraneo. Non è acculturato e non riesce a capire che l’estraneo è limitato dalla legge nelle decisioni che lo riguardano, tantomeno non vi era alcun incentivo con la donazione modale, avendo dato tutto ai figli.
Lui fa amicizia con tutti quelli che si rapportano con lui.
Un giorno dalla mia cucina sento un tonfo dall’altra parte del muro divisore, con conseguenti gemiti.
Mio figlio Mirko, prima chiama il suo nome e poi, non ricevendo risposta, salta il muro e va a vedere cosa fosse successo.
Vittorio era caduto in bagno. Era scivolato nella vasca, aveva battuto la testa e si era rotto l’anca e non aveva la forza di chiedere aiuto.
Chiamammo l’ambulanza che lo ricoverò all’ospedale di Manduria. Durante la sua decenza lo assistemmo, io e la mia famiglia, e pagai le spese correnti, in quanto lui non poteva prelevare il denaro.
Gli consigliai di chiamare i figli, per l’assistenza e per poter prendere decisioni. Lui lo fece.
Loro rimasero solo un giorno, lasciando il malato da solo a letto, impossibilitato a muoversi.
Io chiamai l’OSS e l’assistente sociale di Avetrana. Non potevo assistere un malato con la spada di Damocle della circonvenzione di incapace. Io, per autotutela, rifiutai ogni forma di donazione di riconoscenza, cosa che altri, forse, non fecero dopo il mio allontanamento. Perché lui era prodigo con tutti, vantandosi della sua capacità di intendere e volere.
L’assistente sociale ed i carabinieri mi supplicarono di provvedere a Lui, ma non potevo. Non avevo la legittimità di agire dei figli o di un rappresentante legale.
Denunciai i figli per abbandono di incapace. Vittorio non poteva muoversi dal letto per l’operazione all’anca e non vi era nessuno ad aiutarlo, nemmeno per mangiare. La denuncia fu rigettata.
Vittorio sapeva della denuncia e ne rimase male. Lui voleva molto bene ai figli e soffriva per il fatto che l'amore non era ricambiato.
In questo modo Vittorio era rimasto solo, salvo la presenza della cagnolina. Comunque io non ho mai negato ogni aiuto urgente e necessario, o che altri non fossero capaci di dare.
Vittorio in cerca di qualcuno che gli facesse compagnia, cercò la sponda in un altro vicino di casa.
Intanto con me festeggia le festività e il 2 giugno 2023 festeggia con me i miei sessant’anni in famiglia.
Dopo pochi giorni vende la casa, con la firma dei figli donatari. Questi rimangono poche ore, giusto il tempo della firma: ricevono i soldi e vanno via.
Agli inizi di luglio 2023 muore la cagnolina, sua compagna per 19 anni.
La sua routine giornaliera era regolare. Incombenze casalinghe e passeggiate con la cagnolina.
E così è andato avanti, fino a che nell’ultimo anno si sentiva stanco ed affaticato. Era un po’ sordo ed aveva la prostatite. Aveva fatto l’operazione della cataratta agli occhi ed altri esami di routine. Eppure arriva un giorno che, per l’ennesima volta, chiamo insieme a lui il medico, perché era un po’ di giorni che non andava al bagno. Lei arriva, lo visita, legge le analisi fatte giorni prima e chiama l’ambulanza. Il pronto soccorso di Manduria dopo un’ora mi chiama per riprenderlo, perché gli hanno dato l’uscita. Era il 25 luglio 2023: entrata ore 16-uscita ore 18. Gli danno come cura un placebo: degli integratori che io provvedo a comprare in farmacia.
Dopo tre giorni di cura inutile, uso di purghe varie e della peretta, nulla succede, Vittorio va nuovamente al pronto soccorso con un amico. Dopo ore di attesa senza che venga visitato, ritorna a casa debilitato.
Il 31 luglio 2023 alle ore 4 del mattino Vittorio si fa riaccompagnare al pronto soccorso di Manduria dallo stesso amico coetaneo.
Questa volta lo tengono in osservazione e lo ricoverano. Solo adesso si accorgono che Vittorio ha tutti i sintomi visibili della Leucemia ed i valori dei globuli bianchi sono sfalsati. Tutto visibile da un anno a questa parte. Tanto che il medico, che lo cura in reparto dell’ospedale, si spinge a dire: come mai nessuno si era accorto prima della malattia, nonostante i reiterati esami, omettendo l’accusa ai suoi colleghi del pronto soccorso.
Il Medico, stante la situazione, dice a Vittorio di chiamare i figli.
Loro vengono e nello stesso giorno vanno via, portandosi con sé la sua Mercedes pagata qualche mese prima 16mila euro.
L’11 agosto 2023 alle ore 18.00 Vittorio muore all’ospedale di Manduria. Aveva 86 anni.
I figli ritornano e il giorno dopo vanno via.
Vittorio è rimasto ancora una volta da solo nella camera mortuaria del cimitero di Avetrana, dall’11 al 17 agosto 2023, giorno della sua cremazione a Foggia, come lui ha sempre voluto.
Il proprietario della casa di Vittorio ne prende possesso.
Delle cose di Vittorio site nella sua dimora nulla più si saprà; delle sue volontà depositate dal notaio, nulla si sa.
Questo resoconto affinchè di Vittorio non rimanga solo cenere ed oblio.
Ciao Vittorio, ci ricorderemo di te…
Estratto da open.online il 7 Settembre 2023
Domenico, il padre del cantante Michele Merlo, dice che suo figlio è stato ucciso dal sistema sanitario. E sostiene di essere rimasto basito dalla richiesta di archiviazione dell’indagine da parte della procura.
L’ex carabiniere ricorda l’accusa nei confronti del medico di base di Rosà Domenico Pantaleo. Ma poi aggiunge: «Il punto non è un giovane medico di base che ha commesso un errore madornale. Il punto è il sistema che per anni ha promosso i tagli e le politiche che hanno prodotto le condizioni perché un errore del genere fosse commesso».
Annuncia l’opposizione alla richiesta di archiviazione.
(...)
Michele Merlo è morto per una leucemia fulminante il 6 giugno 2021. Ma il padre non ci sta: «Ci sono diverse perizie che dicono la stessa cosa: con le giuste cure Michele aveva altissime probabilità di essere salvato. Eppure per il pm non è possibile stabilirlo con certezza. Lo capisco, ma che mi si venga a dire una cosa del genere dopo due anni… Io vorrei solo che il pm si mettesse anche solo per un minuto – non dico per oltre due anni, basterebbe un minuto – nei nostri panni.
Se immaginasse cos’è diventata la nostra vita…». Nel colloquio con Maria Elena Grottarelli ricorda: «Prima ci eravamo rivolti al pronto soccorso di Cittadella, in provincia di Padova e, il 26 maggio, a quello di Vergato, fuori Bologna, da cui Michele venne mandato via con un antibiotico. E allora, secondo lei, io con chi me la dovrei prendere? Con Vitaliano Pantaleo? Con un ospedale? No, questo è un problema di sanità».
Noci, turista 92enne muore dopo una caduta: 6 chiamate al 118 e una al 113 senza risposta. L'anziana vittima, Domenico Fiorelli, si era ferito alla testa scivolando da una scala esterna di un trullo. Il figlio Umberto sporge denuncia e scrive a Giorgia Meloni: «Ci pensi a portare il G7 in Puglia, qui la sanità non esiste». REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno l' 08 settembre 2023
. Una vacanza finita in tragedia per un 92enne di Bolzano che lo scorso 4 agosto è morto a Noci. L'uomo, Domenico Fiorelli si era ferito alla testa scivolando da una scala esterna di un trullo. Nonostante la famiglia e i vicini avessero chiamato per 6 volte il 118 e una volta il 113, non hanno ricevuto alcuna risposta. Così, i vicini decidono di portare il signor Domenico direttamente al presidio ospedaliero di Noci e, di fronte al medico, che per spostarsi ha bisogno di un’autorizzazione del servizio medico, chiamano ancora il 118. Ma ancora una volta non ottengono alcuna risposta.
Tra la prima e l’ultima chiamata passano 40 minuti. Momenti fatali visto che Domenico - secondo quanto raccontano i familiari - ha avuto un infarto. «Il medico, senza effettuare alcuna manovra di rianimazione come credo che si debba fare in queste situazioni, gli fa un elettrocardiogramma e mi annuncia che è morto. Erano in tre nell’ambulanza e nessuno ha tentato una manovra, nulla. Non so perché. Mio papà è morto così», spiega il figlio della vittima
A denunciare la vicenda alla questura di Bolzano, città di residenza dell’anziano, è stato il figlio Umberto: il caso verrà preso in gestione dai magistrati di Bari. Il figlio della vittima anche scritto a Giorgia Meloni: “Ci pensi a portare il G7 in Puglia, qui la sanità non esiste”.
Il centro operativo del servizio 118 di Bari sta ora effettuando gli accertamenti per capire cosa sia accaduto realmente. Inoltre, chi indaga sta risalendo al registro delle chiamate e ai turni di lavoro nella sala operativa per verificare se effettivamente possano esserci responsabilità da parte dei sanitari.
Malasanità, il Nas setaccia ospedali e case di cura: 3.884 liste d'attesa truccate, denunciati 26 medici. Tra le irregolarità anche prenotazioni chiuse per far fare le ferie al personale. La Stampa l'08 Settembre 2023
Ventisei, tra medici e infermieri, sono stati denunciati dai carabinieri del Nas in diverse città d’Italia a seguito di controlli effettuati tra luglio e agosto sulle liste d'attesa. Nel mirino del Nucleo Antisofisticazione dell’Arma sono finite in particolare le prestazioni ambulatoriali, ma l’indagine si è poi allargata ad altre questioni: visite specialistiche ed esami nel Servizio sanitario pubblico. Le ispezioni sono state eseguite in presidi ospedalieri e ambulatori delle aziende sanitarie, compresi gli Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico e le strutture private accreditate, con l’obiettivo di accertare il rispetto dei criteri previsti dal Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa.
Sono stati effettuati controlli in 1.364 tra ospedali, ambulatori e cliniche, sia pubblici sia privati in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, analizzando 3.884 liste e agende di prenotazione per prestazioni ambulatoriali relative a svariate tipologie di visite mediche specialistiche e di esami diagnostici.
Tra i casi più rilevanti, i Nas di Milano, Torino, Perugia e Catania hanno denunciato 9 medici per aver favorito conoscenti e propri pazienti privati, stravolgendo le liste d'attesa, consentendo loro di essere sottoposti a prestazioni in data antecedente rispetto alla prenotazione ed eludendo le classi di priorità. Il Nas di Reggio Calabria ha denunciato, per l'ipotesi di peculato, 3 medici di Aziende Sanitarie per aver prestato in modo fraudolento servizio presso un poliambulatorio privato sebbene contrattualizzati in regime esclusivo con le aziende sanitarie pubbliche. Il Nas di Perugia ha invece individuato un medico radiologo svolgere attività privata presso un altro ospedale, pur trovandosi in malattia, oltre a due infermieri che svolgevano esami del sangue per privati, registrando falsi ricoveri.
Oltre 3 mila agende analizzate
Le ispezioni svolte sull'ingente mole di dati e riscontri relativi a oltre 3 mila 800 agende ha consentito, inoltre, di rilevare 1.118 situazioni di affanno nella gestione delle 2 liste di attesa e superamento delle tempistiche imposte dalle linee guida del Piano nazionale, pari al 29% di quelle esaminate. Tra le cause più frequenti degli sforamenti delle tempistiche sono state accertate, su 761 agende, carenze funzionali ed organizzative dei presidi ospedalieri e degli ambulatori, diffusa carenza di personale medico e tecnici specializzati che, oltre alla alla mancanza di adeguati stanziamenti e attrezzature, il che ha determinato il rallentamento dell'esecuzione di prestazioni sanitarie.
Nessun rispetto di priorità e urgenze
Slittamento che si ripercuote anche nel mancato rispetto delle classi di priorità (“Urgente”, “Breve” e “Differibile”) ricollocate, in 138 casi, in tempistiche entro i 120 gg (“Programmabili”), non compatibili con i criteri di precedenza ed urgenza. In 195 situazioni il Nas ha riscontrato la sospensione o la chiusura delle agende di prenotazione, in parte condotte con procedure non consentite, oppure determinate dalla carenza o assenza di operatori senza prevederne la sostituzione. Proprio in tale contesto, gli accertamenti svolti dai Nuclei di Palermo, Reggio Calabria, Latina e Udine hanno consentito di rilevare vere e proprie condotte dolose, con la denuncia di 14 dirigenti e medici ritenuti responsabili del reato di interruzione di pubblico servizio, per aver arbitrariamente chiuso in modo ingiustificato le agende di prenotazione a luglio/agosto, posticipando le prestazioni diagnostiche per consentire al personale di poter fruire delle ferie estive o svolgere indebitamente attività a pagamento. Alle carenze di organico si integrano anche comportamenti non allineati ad una corretta deontologia professionale, come nel caso di un dirigente medico di una Asl della provincia di Roma che - sebbene responsabile degli ambulatori di gastroenterologia e colonscopia per cui vi fosse indisponibilità presso l'intera ASL - esercitava le stesse prestazioni in attività intramoenia extramuraria – regolarmente autorizzata - presso un poliambulatorio privato, con una programmazione fino ad 8 esami giornalieri.
Tra pubblico e privato
Sono state anche individuate 21 irregolarità nello svolgimento di attività intramoenia per esubero delle prestazioni concordate con le Asl e omesse comunicazioni sullo svolgimento delle attività esterne da parte dei medici pubblici. Un ulteriore aspetto emerso dai controlli è la mancata adesione di cliniche e ambulatori privati, già convenzionati, nel sistema di prenotazione unico delle Aziende sanitarie o a livello regionale, aspetto che riduce la platea di strutture utili per l'erogazione delle prestazioni mediche specialistiche e diagnostiche.
Facebook. ZeroGas: Organizzazione di tutela ambientale
COME MUORE UN ANZIANO OGGI?
Muoiono in OSPEDALE.
Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie.
“Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”.
Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente!
Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna.
Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti.Talvolta no.
Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.
La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
“Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita.
Che serve amore, vicinanza e dolcezza.
Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché?
Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.
In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino.
O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.
di Carlo Cascone (belle persona conosciuta per caso da ZeroGas)
11 ore in attesa di ricovero Covid: la precisazione del Marianna Giannuzzi. Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza, era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile, riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio, ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti. Francesca Dinoi
Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza prima del ricovero al Giannuzzi. L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione - ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle 16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato – già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande. Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista, sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per un’emergenza? Non ho parole».
Verso mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi all’Ospedale di Castellaneta, a 100 km di distanza, e la mia forte opposizione (ho preso la valigetta e stavo per scendere dall’ambulanza per recarmi al pronto soccorso), mi introducono in Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero effettivo in reparto avviene il giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».
La situazione del presidio continua ad essere drammatica. Primario chirurgo in ferie, niente interventi al Giannuzzi, pazienti trasferiti altrove. La Redazione de la Voce di Manduria, giovedì 17 agosto 2023
Dal 12 agosto e sino al 21, all’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria non si fanno interventi chirurgici perché il primario Rocco Lomonaco è in ferie. In questo periodo dunque il pronto soccorso non accetta più patologie che necessitano di intervento di natura chirurgica, neanche quelli di estrema urgenza come emorragie interne di qualsiasi natura. Quelli che capitano che vengono trasferiti altrove.
Lo ha comunicato la responsabile della direzione sanitaria del presidio ospedaliero messapico, la dottoressa Irene Pandiani, in una circolare indirizzata al pronto soccorso e alla centrale operativa del 118 che dal 12 scorso dirotta le ambulanze con i pazienti potenzialmente chirurgici negli ospedali di Taranto, Martina Franca e Castellaneta. «Considerate le note carenze di dirigenti medici nella struttura complessa di chirurgia generale – si legge -, è possibile inserire in turno un solo chirurgo reperibile e logicamente – aggiunge la nota -, non potranno essere effettuati interventi chirurgici da un solo chirurgo». L’organico interno è quello che è: tre specialisti di cui uno con limitazioni funzionali oltre al primario Rocco Lomonaco che è in vacanza. L’alternativa sembra essere scontata per chi dirige il Giannuzzi e per la stessa Asl ionica che lascia fare: «trasferire i pazienti chirurgici agli ospedali limitrofi in assenza del primario».
In effetti a tutte le postazioni del 118, informato del caso, è stato impartito l’ordine di bypassare il Giannuzzi e portare i pazienti con accertata patologia chirurgica come primo step a Taranto e, in caso di indisponibilità di posti letto, negli altri presìdi della provincia. E per chi si reca in pronto soccorso con mezzi propri con disturbi di natura chirurgica, la storia non cambia perché, altro ordine impartito dalla direzione medica del Giannuzzi, prima di essere ricoverati tutti i pazienti devono essere valutati dall’unico chirurgo reperibile che deciderà se tenerlo o farlo trasferire altrove se i disturbi fanno prospettare una possibile implicazione di natura operatoria.
I disagi sono sotto gli occhi di tutti con ambulanze che dai comuni del versante orientale della provincia fanno su e giù a Taranto e viceversa con gli immancabili intasamenti davanti al pronto soccorso del Santissima Annunziata che si deve far carico dell’utenza «servita» dalla struttura periferica chiusa per le ferie del primario. E attendere il proprio turno, a volte lungo anche diverse ore, significa lasciare scoperta la propria area di competenza con il rischio, quasi quotidiano per la centrale operativa, di dover attivare ambulanze di altre postazioni distanti decine di chilometri dal luogo della chiamata. Questo sia per i codici di piccola o medie gravità ma anche per i codici rossi che devono anche loro attendere l’arrivo della prima ambulanza disponibile spesso distante 15 o 20 chilometri, oppure «prestata» dalla centrale operativa 118 della provincia di Brindisi o Lecce. Ovviamente questo crea disagi anche ai reparti di chirurgia degli altri ospedali il cui organico, seppure più fornito del Giannuzzi, risente sempre del calo della disponibilità dovuto allo stesso diritti delle ferie che deve essere garantito.
Sanità, «a Taranto attese per pazienti fino a 12 ore». La denuncia di Renato Perrini, vice presidente della commissione Sanità della Regione Puglia. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Agosto 2023
«La sanità pugliese è allo sbando. Lo denuncio da tempo ma, evidentemente, Emiliano e Palese hanno altro a cui pensare. Una riflessione però va fatta, oggi, alla luce di tutto quello che sta succedendo: nel 2014 è stato un errore chiudere il Pronto Soccorso del Moscati, che come struttura sanitaria, era centrale, in quando serviva non solo a sollevare il sovraccarico del Santissima Annunziata di Taranto, ma anche di altri Comuni vicini». Lo dichiara in un comunicato il vicepresidente della commissione Sanità della Regione Puglia, Renato Perrini.
«Non è possibile - continua - che il paziente oncologico, già fortemente provato fisicamente, debba girovagare nei vari Pronto soccorso ed essere rimandato al Moscati. È un’inutile sofferenza. Dopo l’ennesimo sopralluogo - effettuato ieri sera - continuerò a sollecitare l’assessore Palese affinché venga riaperto il ps dell’ospedale S.Giuseppe Moscati e il Moscati diventi davvero un polo oncologico in grado di prendersi cura dell’ammalato».
«Oggi - conclude Perrini - alla luce di quello che sta avvenendo al Santissima Annunziata, dove le attese per essere visitati arrivano anche a 12 ore, dare ai cittadini di Taranto e provincia un presidio efficiente non è solo indispensabile, ma dignitoso per i tanti pazienti che hanno diritto a una Sanità degna di questo nome.
Quant’era bella giovinezza. La sanità italiana non riesce a compensare l’invecchiamento della popolazione. Gianni Balduzzi su L'Inkiesta il 30 Agosto 2023
I medici sono in aumento, così come gli infermieri. A cambiare, negli ultimi vent’anni, è stato il rapporto tra il numero di dottori e gli anziani, cioè quelli che hanno più bisogno di cure e assistenza
Secondo i più recenti sondaggi di Eurobarometro sia per gli italiani che per gli altri popoli dell’Unione europea al primo posto tra le riforme prioritarie che i singoli Paesi, con l’aiuto di Bruxelles, dovrebbero intraprendere ci sono quelle riguardanti la sanità. Viene anche prima dell’istruzione, del mercato del lavoro, della transizione ecologica, del sostegno alle famiglie.
All’origine dell’emergenza, delle liste di attesa che si allungano, dell’assenza dei medici di famiglia, non c’è solo la maggiore consapevolezza dell’importanza del settore che il Covid ha portato, ma soprattutto una delle sfide epocali del ventunesimo secolo (e probabilmente anche dei successivi): il calo demografico. I dati, pubblicati molto di recente, sono chiari.
È importante sottolineare che i medici praticanti per adesso non sono in calo, né in Italia né altrove. Nel nostro Paese nel 2022 erano 424,9 per centomila abitanti. E facendo una media dei numeri degli ultimi tre anni siamo circa a metà classifica in Europa.
Lo stesso discorso si può fare per un’altra categoria indispensabile e spesso ignorata, quella degli infermieri, che sono 621,3, sempre ogni centomila persone.
Certo, in Italia già si nota un certo rallentamento del trend, non a caso negli anni Duemila vi erano più medici pro capite che in Spagna e in Germania, mentre ora in questi ultimi due Paesi ne sono presenti circa il sei per cento in più.
Questo è un dato importante, un sintomo del fatto che la situazione italiana è in realtà ancora più grave di quella degli altri Paesi.
Tuttavia il fatto più rilevante è il rapporto tra il numero di medici e quello di coloro che di cure sanitarie hanno più bisogno, gli anziani. È qui il principale problema, è qui che entra in gioco la transizione demografica e il suo impatto, che come si vede, è più trasversale di quello che si pensa.
Se nel 2000 vi era una ragionevole relazione diretta tra proporzione di over settantacinquenni nella popolazione e densità di medici, ovvero ve ne erano di più laddove vi erano più anziani, oggi le cose sono cambiate.
L’Italia si posiziona come il Paese in cui la percentuale di ultra-75enni, il dodici per cento degli abitanti, è di gran lunga la più ampia, eppure siamo passati dall’essere tra gli stati con più dottori a metà classifica. Ve ne sono decisamente di più in Spagna, Norvegia, Austria, Germania, Lituania, dove la quota di anziani è, di poco o di molto, più ridotta.
C’è stata un’evoluzione differente da quella che ha interessato il resto d’Europa. In alcuni (rari) casi come la Svezia il numero di medici pro-capite è cresciuto anche in assenza di invecchiamento della popolazione, in altri, come in Germania o Spagna, le due cose sono andate quasi di pari passo. In Italia, invece, la crescita della quota di over-75 è stata decisamente più rapida.
Il risultato è che oggi abbiamo il terzo peggior rapporto tra numero di medici e di popolazione con più di settantacinque anni dopo Lettonia e Francia. Ce ne sono solo 34,55 ogni mille. Non solo, scivoliamo al penultimo posto, davanti ai soli francesi, se il confronto è con gli over-80.
Ci sono 54,19 medici ogni mille ottantenni in Italia, mentre in Germania sono 63,48, in Spagna 73,78, nei Paesi Bassi 81,51, in Irlanda addirittura 115,13.
Considerando che, è pleonastico dirlo, sono questi, gli over-75, gli over-80, ad avere maggiore necessità di servizi sanitari, siamo davanti a un grande incremento di domanda di fronte a un’offerta che non aumenta abbastanza. Aggiungiamo a questo il fatto che negli anni, anche a parità di età, è cresciuta l’attenzione per la propria salute, vi è una maggiore premura di fare prevenzione, di approfondire un sintomo.
Come mai l’offerta stenta? In parte proprio per la stessa ragione che sta portando a un eccesso di domanda, la transizione demografica: i medici italiani sono i più vecchi d’Europa, più di metà, il 54,1 per cento di essi, ha più di cinquantacinque anni. Questa percentuale è del 44,1 per cento in Germania, del 44,6 per cento in Francia, del 32,7 per cento in Spagna. E questo invecchiamento è avvenuto in modo più veloce proprio nel nostro Paese che altrove.
Non si tratta solo di questo, però. Tra i motivi c’è anche il limitatissimo afflusso di medici dall’estero. Solo l’1,5 per cento di quelli presenti si è formato in altri Paesi e poi è arrivato in Italia, meno che in Romania, in Polonia, che in gran parte dei Paesi dell’Est. A questi ci accomuna, tra l’altro, un destino di emigrazione sostenuta del personale medico.
È stridente il confronto con realtà come quelle della Norvegia, dell’Irlanda, della Svizzera, dove intorno al quaranta per cento dei medici è immigrato.
Singolare è il caso della Grecia, dove un terzo dei dottori ha studiato altrove, per esempio proprio in Italia, ma si tratta in gran parte di greci che poi sono tornati.
Abbiamo grande bisogno di stranieri che si formino nel nostro Paese e ci rimangano, o che arrivino anche dopo. Come accade nel caso di tanti infermieri che sono giunti nel nostro Paese.
Ci si può consolare con il fatto che dal 2014 aumentano i laureati in medicina, e non di poco. Sono più di diciotto all’anno ogni centomilamila abitanti, erano meno di dodici un anno fa. Abbiamo fatto meglio degli altri Paesi europei da questo punto di vista.
Basterà di fronte all’invecchiamento di chi medico è già e sta per andare in pensione? Di fronte alla crescita inarrestabile della proporzione di anziani? No. La transizione demografica ci sta facendo pagare pegno anche in questo ambito, non solo in campo pensionistico, economico, fiscale.
Visto che interessa tutta Europa nel medio periodo neanche l’immigrazione da altri Paesi può essere una soluzione stabile. In una lotta a chi strappa più giovani, risorsa sempre più scarsa, all’altro, i Paesi più poveri come l’Italia sarebbero perdenti.
E di fronte all’ineluttabilità dei comportamenti riproduttivi in Occidente, non possiamo sperare in un ritorno a un numero di nascite analogo a quello di cinquant’anni fa, l’unico aiuto può venire dalla tecnologia. Anche se questo vuol dire che si tratterà soprattutto di soluzioni che importeremo, se il sistema Paese rimarrà questo, allergico alle innovazioni, allergico alla ricerca.
Insomma, il futuro non possiamo prevederlo, non sappiamo quanto l’informatizzazione e l’intelligenza artificiale potranno prendere piede nella sanità e quanto velocemente, ma una cosa appare piuttosto certa: è meglio se gli attuali over-50 che non sanno farlo comincino a imparare a usare il computer e gli strumenti digitali.
Luna Micelli: «Vi racconto la mia esperienza nella scuola di Elk Grove in California: tante le differenze con quella italiana. Ho l'opportunità di immergermi nella cultura americana, praticando anche altre attività, come quelle sportive». Manduria Oggi 04/07/2023 20:46:33
Luna Micelli, giovane ragazza avetranese, (figlia di Emanuele Micelli, assessore del Comune di Avetrana con delega allo Sport, Eventi, Relazioni Istituzionali, Attività produttive, Sviluppo del territorio) ha scelto di frequentare il quarto anno della scuola superiore di secondo grado negli Usa, esattamente nella città di Elk Grove in California. Nessun timore di vivere questa esperienza, che poi si è rivelata proficua sotto tutti i punti di vista, in un Paese con un’altra lingua al di la dell’Atlantico, vivendo in una famiglia “nuova”. La sua intraprendenza e la sua voglia di imparare e di cimentarsi con una cultura completamente diversa hanno fatto vivere a Luna dieci mesi entusiasmanti, che non potrà dimenticare mai
Al nostro giornale, Luna racconta più nel dettaglio questa sua avventura, conclusa nel più brillante dei modi anche dal punto di vista del profitto scolastico. Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia e di frequentare la scuola in California? «Ho deciso di lasciare la mia scuola italiana per un anno per sperimentare una nuova esperienza ed avere l’opportunità di immergermi nella cultura americana». Quando hai maturato questa decisione, che reazione ha avuto la tua famiglia? «La mia famiglia, seppur timorosa, mi ha sempre sostenuta in questa decisione perchè tutti sapevano quanto ci tenessi in questa esperienza».
A quale istituto USA ti sei iscritta? «Le scuole superiori americane non hanno indirizzi come quelle italiane, ma ogni studente può scegliere le proprie materie. Io ho scelto di focalizzarmi su Lingue e Psicologia affiancate a materie d’obbligo quali Matematica, Storia Americana e Inglese». Non hai avuto alcun timore di stare lontano dalla famiglia e in un Paese completamente diverso e con una lingua diversa per un anno intero?«ho fatto parte della squadra di pallanuoto e nuoto. La mia mattinata scolastica durava 7 o 8 ore e in ogni ora cambiavo classe e non erano i docenti a cambiarla. Dopo scuola iniziavano le attività pomeridiane quali sport o club. La scuola americana non è stressante e ogni giorno si ha la voglia di imparare e conoscere nuove persone»
«Le difficoltà maggiori arrivavano con le festività, come per esempio durante il periodo natalizio in cui ero distante dalla mia famiglia, oppure all’inizio dell’esperienza in cui sentivo la mancanza dei miei amici e dovevo trovare un nuovo gruppo con cui sentirmi a mio agio». Cosa porterai per sempre nel tuo cuore da questa esperienza?
«L’anno all’estero mi ha resa più indipendente, avventurosa e ambiziosa. Sicuramente un’esperienza che ho tanto sognato e mi ha insegnato tanto. Porterò per sempre nel mio cuore tutti i momenti in cui mi sembrava di vivere in un film e tutte le persone che hanno reso questo anno indimenticabile quali la mia famiglia americana e i miei nuovi amici».
«Sicuramente dopo la maturità vorrei iniziare un percorso universitario in un Paese europeo come per esempio in Olanda. Vorrei tanto frequentare un’università studiando in inglese e continuare con la mia passione per le lingue»
Mai accaduto prima nella storia della banda delle Fiamme Gialle. Due avetranesi in divisa alla parata militare del 2 giugno a Roma. La Redazione de La Voce di Manduria l'1 giugno 2023
Il Salento e Avetrana in particolare, occuperanno una vetrina d’onore alla parata militare che si terrà domani a Roma in occasione del 77simo anniversario della proclamazione della Repubblica italiana.
A guidare la banda musicale della Guardia di Finanza, sarà, come di consueto, il maestro direttore colonnello Leonardo Laserra Ingrosso, originario di Avetrana, che quest’anno avrà l’onore mai concesso a nessuno nella storia della banda delle fiamme gialle: a seguire la sua formazione di musicisti, ci sarà suo figlio Leonardo Junior, inserito nei ranghi del secondo anno dell'Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo.
Stesso nome e identica passione per la musica e la divisa, il giovane musicista a soli 19 anni ha varcato la soglia dell'Accademia quale vincitore del concorso che dà accesso ai cinque anni di studio presso il massimo Istituto di formazione del Corpo di Polizia più antico d'Italia.
Piccola nota di colore con grande sentimento di orgoglio nei confronti di questa terra, la Puglia e il Salento, sempre degnamente rappresentati.
Pierpaolo Cosma alle semifinali dei 200 piani della categoria M50 dei Campionati Europei Master di atletica leggera. Manduria Oggi il 25/09/2023
Ad ottobre Cosma rappresenterà la Puglia nel Trofeo delle Regioni che si disputerà a Lignano Sabbiadoro Ai campionati Europei Master di atletica leggera in corso di svolgimento nella città di Pescara, dal 21 settembre al 1 di ottobre, l’atleta avetranese Pierpaolo Cosma è approdato alle semifinali nella categoria M50, dei 200 metri piani, confrontandosi con i migliori atleti continentali.
Questi i tempi ottenuti da Pierpaolo Cosma: 25”48 nelle batterie eliminatorie e 25”66 nella semifinale. «Purtroppo, nonostante l'ottima prestazione, non sono riuscito ad accedere alla finalissima, per l’altissimo livello degli atleti, ma sono soddisfatto di essere tra i primi 16 atleti in Europa della categoria M50» il commento di Pierpaolo Cosma. «Sarò presente altresì a Trofeo delle Regioni che si terrà a Lignano Sabbiadoro (UD) il 7 ottobre prossimo rappresentando la Puglia
Atletica leggera, Pierpaolo Cosma vice campione europeo con la staetta italiana 4x400 nei campionati Master di Pescara. Manduria Oggi il 17/10/2023. Nella categoria M45, si è imposta l’Irlanda, davanti all’Italia e alla Francia Pierpaolo Cosma vice campione europeo con la staffetta italiana 4x400 nei campionati Master che si sono svolti recentemente a Pescara. Nella categoria M45 degli European Masters Athletics Championships, l’Italia si è infatti classificata al secondo posto della staffetta 4x400 con il tempo di 3’51”25, alle spalle dell’Irlanda (3’39”28) e davanti alla Francia (4’08”59). La staffetta azzurra, oltre che dall’atleta avetranese Pierpaolo Cosma, era composta da Gian Luca Camaschella, da Matteo Di Martino e da Fabio Morelli. Cosma ringrazia il proprio allenatore, Marco Antonio Stiffi ex atleta olimpico, per il prezioso contributo offerto al conseguimento dei risultati raggiunti. La ripresa della stagione agonistica avverrà a marzo 2024.
Avetrana – Reso noto il programma dei festeggiamenti di Sant’Antonio di Padova. Redazione La Voce di Maruggio l'1 Giugno 2023
La festa di Sant’Antonio di Padova ad Avetrana è una delle feste più particolari della zona. Durante la “tredicina” dedicata al Santo si svolgono numerosi riti religiosi e civili, tra cui l’Unzione degli Infermi, la Consacrazione dei Bambini, la Benedizione del Pane della Carità – si deve a questo grande Santo la diffusione del Pane di Sant’Antonio, avvenuta alla fine del 1800, pia istituzione diffusa oggi in ogni parte del mondo – e la Benedizione dei Vestiti Devozionali indossati dai bambini durante la sfilata dei carri carichi di spighe.
Originariamente, solo un carro veniva benedetto nella piazza del paese e il ricavato della vendita del grano veniva destinato ai festeggiamenti. Grazie all’impegno del Comitato e dei carrettieri, questo rito di grande valore devozionale è stato ripreso e arricchito. La sfilata si conclude nello stadio comunale con la rievocazione del “Miracolo del Giumento” compiuto da Sant’Antonio per convertire un eretico, seguita dalla suggestiva “Ballata dei cavalli“.
Breve la storia dell’eretico e di Sant’Antonio.
”Antonio era in Francia, a Tolosa, una città al centro dell’eresia Catara, la quale negava la bontà del mondo materiale, come pure la presenza del Cristo nell’Eucaristia. Antonio ebbe parecchi dibattiti pubblici con loro e, sebbene non riuscissero a smentire il Santo, non erano disposti ad ammettere i loro errori. Un giorno uno di loro pretese una dimostrazione miracolosa, “Se riesci a far sì che la mia mula si inginocchi dinanzi a ciò che tu chiami il corpo del Signore, io crederò quello che dici.” Antonio non voleva mettere Dio alla prova, tuttavia era impossibile per lui sottrarsi alla sfida, quindi fu costretto ad accettare la sfida e ad affidarne l’esito a Dio. Per tre giorni l’eretico tenne la musa rinchiusa nella stalla senza darle da mangiare. Al terzo giorno una grande folla si radunò nella piazza centrale. Antonio celebrò la messa in una piccola cappella, e poi uscì portando con sé il Santissimo Sacramento. Nel frattempo anche la mula era stata portata in piazza, e le fu messo di fronte un bel mucchio di fieno. Antonio disse ad alta voce, “Mula! Avvicinati ed inchinati dinanzi al Santissimo Sacramento, il tuo Creatore!” Immediatamente la bestia si avvicinò, e piego sia le ginocchia che la testa dinanzi al Santissimo Sacramento. Il padrone della mula e, con lui, molti eretici, ritornarono alla fede Cattolica.”
La festa attira un gran numero di devoti, con i carri carichi di grano e gli altarini dedicati a Sant’Antonio che attraversano le vie della città fino allo stadio comunale. Il 13 giugno, circa 200 figuranti trainano i carri adornati a festa con spighe, percorrendo le principali strade del paese in un’atmosfera di fede e festa. È diventato un tradizionale appuntamento atteso da molti devoti, con una notevole partecipazione di persone, non solo del luogo ma anche provenienti da altri paesi fuori provincia.
La festa si conclude con i fuochi pirotecnici e l’esibizione del rinomato gran concerto bandistico Città di Castellana Grotte diretto dal maestro Grazia Donateo bacchetta di spicco del panorama bandistico internazionale che chiude così i festeggiamenti civili.
“Alleanza Universale Massonica”, raduno ad Avetrana: “Noi, lottiamo per la libertà”. REDATTORE il 29 aprile 2023 su rtmweb.it.
Per la prima volta ad Avetrana si è tenuto un evento culturale dell’ “Alleanza Universale Massonica”
La suggestiva location del Castello Fortilizio “Torrione” ha ospitato una riunione delle Logge Pugliesi della Unione Logge Sovrane del Mediterraneo presieduta dall’Avv. Fernando Rucci Sovrano Gran Commendatore che è anche presidente dell’A.U.M. “Alleanza Universale Massonica” che annovera attualmente 75 comunioni Est
Far conoscere le finalità della massoneria spesso indiscriminatamente screditata non considerando le differenze e le distinzioni tra le varie comunità massoniche: questo lo scopo della nostra intervista esclusiva al Sovrano Gran Commendatore.
TUTTI EROI!
Il sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi: “Pietro Mazzei è stato riconosciuto partigiano Caduto? Avrà il nome inscritto nel Memoriale”. Linda Di Benedetto su patriaindipendente.it il 18 novembre 2023
Il primo cittadino del Comune pugliese dove era nato il combattente fucilato dai nazisti in Emilia-Romagna, ma al quale finora è stato negato il diritto di comparire fra i nominativi incisi sul locale monumento ai Caduti delle due guerre: “Stiamo anche predisponendo un’area, l’abbiamo già individuata, per installare un cippo in memoria dei partigiani”
Memoria Storia
Pietro Mazzei, da Vito; nato il 22 luglio 1910 ad Avetrana (TA). Operò nella 9ª brigata S. Justa. Cadde nella provincia di Bologna il 10 novembre 1944. Riconosciuto partigiano dal 10 ottobre 1944 al 10 novembre 1944.
È questa, riassunta così nel ruolino del ministero della Difesa, la drammatica vicenda umana di uno dei tanti giovani che sacrificarono la vita per ribellarsi all’occupazione nazifascista. Si trovava nel Bolognese dove era impiegato come postino, e faceva parte di una importante formazione partigiana. Venne catturato dai nazisti occupanti e fucilato, ma oggi nella terra dove è nato non si riesce a ottenere l’iscrizione del suo nome nel monumento dedicato ai Caduti delle due guerre mondiali.
Eppure Pietro è stato fucilato per aver combattuto nella guerra di Liberazione, lo Stato italiano ha riconosciuto il suo contributo conferendogli lo status di partigiano Caduto, e sul database dell’Onor Caduti — l’Ufficio per la tutela della cultura e della memoria della Difesa istituito, seppur con diversa denominazione, nel 1919, le cui competenze sono disciplinate dal Codice dell’Ordinamento militare italiano —, consultabile online affinché le Istituzioni nazionali possano offrire ai cittadini il massimo servizio, il suo nominativo c’è.
Patria ha preso a cuore la vicenda, non soltanto perché è il giornale dell’Anpi nazionale, e Mazzei era un partigiano, Martire per di più. Va ricordato infatti che lo status di partigiano è un riconoscimento dello Stato italiano, non dell’associazione, e che venne regolamentato a partire dal decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945. In altre parole, i partigiani erano equiparati ai militari. Le regole, va aggiunto, erano piuttosto stringenti e prevedevano vere e proprie istruttorie, con tanto di possibilità di ricorso.
Perché dunque le amministrazioni comunali di Avetrana che si sono succedute negli ultimi 12 anni negano a Mazzei il diritto all’iscrizione in memoria tanto che l’Anpi locale ancora oggi, in occasione dell’anniversario della scomparsa, deve rendergli omaggio senza l’ufficialità delle Istituzioni, quasi fosse un figlio di serie B? La sua storia tragica dovrebbe invece rendere orgogliosa la città che gli ha dato i natali, perché documenta ulteriormente il generoso contributo del Mezzogiorno alla conquista della libertà e democrazia dell’Italia intera.
Cosa osta? Forse per qualcuno quel nome è indesiderato, tanto da volerlo escludere dal monumento in memoria dei Caduti in guerra, nonostante ne abbia diritto? Abbiamo chiesto al sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi. Il primo cittadino, nonostante il momento complicato che sta vivendo la Comunità che amministra, gentilmente ci ha risposto.
Sindaco Iazzi, che può dirci del caso del partigiano Piero Mazzei?
Ho parlato più volte con il presidente onorario della sezione Anpi cittadina e componente del direttivo provinciale dell’associazione, Rino Giangrande, al quale ho spiegato che il riconoscimento del partigiano Piero Mazzei come Caduto di guerra deve avvenire in veste ufficiale.
In che senso, sindaco? Il martire Mazzei ha tutte le carte in regola, l’ufficialità c’è da tempo, perché si disconosce quanto ha stabilito con legge lo Stato italiano?
È una situazione che ho ereditato. Per quanto mi riguarda, ho scritto al ministero dell’Interno a titolo personale per fare degli approfondimenti sul nostro concittadino Piero Mazzei perché purtroppo non ho avuto modo di approfondire e non perché non fosse importante, bensì perché il Comune ha molte criticità di cui occuparsi. Posso anche dire che sono aperto a ogni riconoscimento previsto dalle Istituzioni, anzi stiamo anche predisponendo un’area, l’abbiamo già individuata per installare un cippo in memoria dei partigiani.
Cosa ha impedito in questi anni di prendere atto ad Avetrana del riconoscimento dello status di Caduto del partigiano Piero Mazzei?
Per quello che posso immaginare essendo qui da soli due anni, il Comune di Avetrana, come tutti i Comuni, è diviso, lo dico ironicamente, in guelfi e ghibellini (destra e sinistra). Quindi suppongo che qualcuno si sia opposto. Ma io sono il sindaco di tutti, lo dimostra la composizione della mia giunta, i cui rappresentanti sono sia di sinistra, sia di centrodestra, sia dei 5 Stelle. Sono un sindaco nato e cresciuto qui e che non vuole andare contro nessuno, ma soprattutto che ha rispetto delle Istituzioni. Da quanto sappiamo, se il nostro concittadino è stato riconosciuto partigiano Caduto spetta alla sua memoria avere il nome inciso nel Monumento e da parte mia c’è la massima apertura affinché questo avvenga.
Sembrerebbe che il niet arrivi da alcune associazioni di ex combattenti e di reduci.
Se Mazzei ha i titoli, chiunque sia contrario, associazioni comprese, se ne farà una ragione. Fatte le valutazioni daremo il giusto riconoscimento.
Pietro Mazzei, il Martire partigiano discriminato. Sergio Melchiorre su patriaindipendente.it il 12 novembre 2023
Continua la battaglia dell’Anpi di Avetrana e del presidente onorario Rino Giangrande per far incidere il nome del combattente in Emilia Romagna, ucciso dai nazifascisti nel 1944, sulla lapide dei Caduti della Seconda guerra mondiale. Il 15 novembre ricorre il 79° anniversario della fucilazione ma l’Amministrazione cittadina insiste nell’ignorare il sommo sacrificio
Rino Giangrande, presidente onorario della sezione Anpi di Avetrana (TA) e componente del direttivo provinciale dell’associazione, già da alcuni anni, in rappresentanza dell’Anpi locale e provinciale, sta cercando di far onorare il sacrificio di un giovane partigiano avetranese di nome Pietro Mazzei, chiedendo di far incidere il suo nome sulla lapide dei Caduti di Avetrana nella Seconda guerra mondiale.
Giangrande ha consultato i fascicoli del Ricompart, l’ufficio ricompense e riconoscimenti partigiani del ministero della Difesa conservati a Roma all’Archivio centrale dello Stato per ricostruire la drammatica vicenda di Mazzei
La ricerca sulle azioni patriottiche compiute da Mazzei è iniziata nel 2012, dopo la presentazione del libro di Pati Luceri Partigiani e antifascisti di terra d’Otranto (Lecce, Brindisi, Taranto), dove veniva citato il partigiano avetranese fucilato. Tale evento è stato curato dall’associazione “Grande Salento”, alla presenza del senatore Giovanni Battafarano, presidente provinciale Anpi Taranto. Da allora il presidente onorario Rino Giangrande ha iniziato una puntigliosa e meticolosa ricerca grazie alla quale è riuscito a ricostruire la drammatica esperienza del nostro Caduto.
Sono ormai quasi dieci anni che l’Anpi locale chiede l’iscrizione di Pietro Mazzei nel monumento in memoria dei Caduti
Pietro Mazzei era nato ad Avetrana il 22 luglio 1910 e nel 1943 era stato assunto come portalettere nell’ufficio postale di Forlimpopoli (FC), in Emilia Romagna. Aderì alla 9a Brigata “Santa Justa”, una formazione partigiana autoctona e stanziale, che operò sull’Appennino a sud ovest di Bologna.
La brigata “Santa Justa”. Il portale “Storia e Memoria di Bologna” ha dedicato un ampio capitolo alla formazione partigiana
La brigata era composta da circa 400 effettivi e comandata da Giuseppe Nucci (un ex ufficiale medico), vi aderirono prevalentemente giovani provenienti da Casalecchio e Sasso Marconi; nelle sue file combatté anche un gruppo di disertori austriaci, russi e polacchi, comandato da Romanos Todua. La formazione partigiana compì numerosi sabotaggi nelle retrovie tedesche, seminando chiodi a tre punte sulle strade percorse dai camion militari, danneggiando la linea ferroviaria Porrettana e, soprattutto, incendiando depositi di carburante. La “Santa Justa” costituì il primo esempio di formazione “tricolore” cattolica, non legata ai partiti del Cln (Comitato Liberazione Nazionale).
Un busto di Pietro Mazzei
Secondo alcuni testimoni, nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1944, durante un rastrellamento delle SS a Manzolino, una frazione di Castelfranco Emilia dove Mazzei risiedeva, il partigiano avetranese venne catturato e, successivamente, fucilato. Il corpo venne ritrovato casualmente due anni dopo a Mongardino (frazione di Sasso Marconi, dove all’epoca dei fatti si trovava il comando tedesco) quando, durante alcuni scavi eseguiti per la costruzione di una casa, venne scoperta una fossa comune con sei cadaveri. Quello di Mazzei venne riconosciuto dalla moglie Licia grazie agli abiti che il marito indossava. I resti mortali del partigiano avetranese furono etichettati con il numero tre.
Rino Giangrande, il vicesindaco di Sasso Marconi (BO), Luciano Russo, e Liliana, già segretaria della sezione Anpi di Sasso Marconi, con la bandiera dell’Anpi di Avetrana. La sezione dei partigiani di Sasso Marconi con la nuova segretaria, Bruna Tadolini, sta proseguendo le ricerche
Mazzei inizialmente trovò degna sepoltura a Mongardino ma successivamente i suoi parenti chiesero di poter trasferire la salma in un altro cimitero. Al Comune di Sasso Marconi però non esiste nessuna documentazione che certifichi il luogo in cui fu trasferita la salma; è possibile solo supporre che, presumibilmente, le spoglie si trovino a Roma, dove nel frattempo si era trasferita la moglie, oppure in provincia di Lecce, dove viveva il padre.
Il presidente onorario dell’Anpi avetranese, Rino Giangrande, conscio dell’importanza del sacrificio compiuto dal giovane partigiano avetranese fino alla morte, in tutti questi anni si è prodigato affinché fosse riconosciuto e valorizzato adeguatamente il suo ricordo.
Innanzitutto nel 2017 la sezione Anpi di Avetrana è stata a lui dedicata, poi nel corso degli anni, Giangrande ha cercato di coinvolgere le varie amministrazioni comunali che si sono succedute affinché il nome di Pietro Mazzei, l’unico partigiano fucilato originario del luogo, fosse inserito nel percorso della memoria capace di ricordare tutti i partigiani e i militari deportati (IMI) avetranesi, Caduti e non. A tutt’oggi comunque non si è ancora giunti ad alcun risultato. Nel 2018 in presenza di tutte le autorità civili, militari e religiose è stato inaugurato un cippo che successivamente è stato spostato senza nessuna condivisione.
Sul caso si segnala l’articolo «Avetrana: il suo partigiano fucilato e la memoria storica locale» pubblicato il 31 agosto scorso sul quotidiano online diretto da Fiore Sansalone, La voce agli italiani, che ben percorre e sintetizza tutti gli sforzi compiuti per tener vivo il ricordo del sacrificio del giovane postino avetranese.
L’instancabile lavoro, anche se non ha ancora ottenuto un riconoscimento adeguato a livello comunale, ha raccolto l’appoggio solidale della già ministra degli Interni Elisabetta Trenta, dell’Osservatorio Regionale sui Neofascismi e della sezione dell’Anpi di Taranto, oltre che di varie sezioni Anpi locali che hanno perorato l’iniziativa di Giangrande invitando il sindaco di Avetrana a valorizzare adeguatamente il sacrificio di tutti i combattenti del territorio.
Rino Giangrande con il sindaco Parmeggiani a Roma il 7 ottobre scorso alla manifestazione “La via maestra”
Rino Giangrande ricorda anche che, il 7 ottobre scorso, in occasione della manifestazione organizzata dalla Cgil a Roma, ha incontrato il sindaco di Sasso Marconi, Roberto Parmeggiani, al quale ha ricordato di aver avuto in passato un incontro con il vicesindaco Luciano Russo che gli aveva promesso di impegnarsi a far uscire dall’oblio il nostro partigiano. Il sindaco Parmeggiani ha confermato l’impegno preso.
Il ruolino partigiano di Pietro Mazzei, Caduto
Il 15 novembre ricorre l’anniversario della fucilazione di Pietro Mazzei; sono ormai trascorsi settantanove anni dal suo sacrificio ma l’Anpi del territorio tarantino è ancora in attesa che l’amministrazione di Avetrana collabori con l’associazione dei partigiani affinché si valorizzi adeguatamente il sacrificio di tutti combattenti del luogo e non si faccia cadere nell’oblio la loro Memoria e il loro messaggio di Libertà.
Sergio Melchiorre
L’Anpi di Avetrana e l’Associazione Grande Salento (Ags) anche quest’anno hanno scritto al sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi, ma la lettera è rimasta finora senza risposta come in passato.
Non si saprà mai se tra i prigionieri ed i deportati ci fosse qualche disertore catturato.
Festa della Repubblica, 14 medaglie d'onore ad altrettanti deportati di Avetrana: i loro nomi. Da manduriaoggi.it il 05/06/23.
Ieri la consegna da parte del Prefetto di Taranto nel corso delle celebrazioni per la festa della Repubblica Italiana 14 medaglie d’onore ad altrettanti deportati di Avetrana.
Si tratta di Giovanni Baldari (data di nascita 15-07-1912), Lorenzo Galasso (data di nascita 28-03-1920), Raffaele Calò (data di nascita 02-03-1922), Biagio Candido (data di nascita 02-01-1921), Giuseppe Carrozzo (data di nascita 04-01-1911), Oronzo Dimitri (data di nascita 17-07-1920), Alberico Laserra (data di nascita 16-01-1920), Antonio Lomartire (data di nascita 22-06-1920), Giovanni Battista Marchetti (data di nascita 23-07-1912), Giuseppe Nigro (data di nascita 08-10-1922), Michele Olivieri (data di nascita 15-07-1923), Biagio Rollo (data di nascita 03-02-1920), Giovanni Screti (data di nascita 26-10-1920), Biagio Spagnolo (data di nascita 15-01-1914). I familiari di undici di questi deportati hanno ritirato la medaglia d’onoro nel corso delle celebrazioni per la festa della Repubblica Italiana che si sono svolte ieri a Taranto. I familiari di Antonio Lomartire ritireranno la medaglia a Bergamo, in quanto la famiglia si è trasferita in Lombardia. La famiglia di Biagio Candido risulta invece estinta. Infine, la medaglia d’onore per Lorenzo Galasso sarà ritirata da Giancarlo Parisi, presidente della sezione di Avetrana dell’Associazione Combattenti e Reduci: ieri la famiglia del signor Galasso non ha potuto presenziare alla cerimonia. Un importante momento per celebrare anche i Caduti di Avetrana, che è stato possibile grazie all’impegno e alla ricerca di Giancarlo Parisi e dell’intera sezione di Avetrana dell’Associazione Combattenti e Reduci. «Il tutto è cominciato nel luglio scorso, allorquando, contattato dal nostro presidente nazionale Antonio Landi, vengo invitato a fare alcune ricerche in merito ad alcuni deportati Avetranesi» racconta Giancarlo Parisi. «È chiaro che avendo sentito spesso parlare di loro, voglio approfondire ancor di più la loro storia. Nomi che non devono rimanere astratti! Beh, per loro una legge dello Stato prevede un'onorificenza medaglia grazie alla quale i loro parenti potranno sentirli più vicini». Ieri l’iter burocratico si è concluso con la consegna delle medaglie a Taranto. Presenti, oltre ai parenti dei deportati, lo stesso Giancarlo Parisi, il presidente provinciale dell’Associazione Combattenti e Reduci Antonio Cerbino e Alessandro Scarciglia, oltre al vice sindaco Claudia Scredo. «Dopo l’intervento di sua eccellenza il Prefetto di Taranto, che ha letto il messaggio del capo dello Stato, è iniziata la consegna delle medaglie: l’emozione si notava negli occhi di tutti, ma i miei sono fissi sui nostri compaesani parenti degli internati. Uno per volta vengono chiamati e con molta disinvoltura, dopo che lo speaker leggeva alcune righe in merito ad ogni singolo deportato, posavano per alcuni scatti ufficiali insieme al Prefetto e alla nostra vice sindaco Claudia Scredo, emozionata. Breve ma intensa cerimonia davanti a tante autorità civili, militari e religiose che rimarrà agli annali perché tali onorificenze in Avetrana non sono mai arrivate: siamone orgogliosi. Intanto ad Avetrana, grazie anche all’opera di Luigi Franzoso e di Carmelo Todaro, nonché degli amministratori e delle altre autorità militari e civili presenti, è stata deposta una corona d'alloro al monumento ai Caduti. Ribadisco ancora una volta che questo risultato non è un punto di arrivo ma di partenza. Non sentiamoci appagati dei grandi risultati raggiunti: dobbiamo avere sempre più fame, fame che ci porterà a fare conoscere la nostra associazione ancor di più e soprattutto tenere alto il ricordo di quanti hanno combattuto per noi».
BIBLIOTECA COMUNALE DI AVETRANA
OMAGGIO AGLI EROI DI AVETRANA 2015
Funere mersit acerbo. (G.Carducci)
Nel corso della grande guerra Avetrana aveva visto cadere molti dei suoi giovani, alcuni risultarono dispersi, altri infine riuscirono fortunatamente a tornare alle proprie case e riabbracciare i loro cari. Passarono alcuni anni e il 12 ottobre 1924 l'Associazione Combattenti e Reduci, nella persona del presidente Luigi Spedicato, facendosi interprete del comune sentimento della cittadinanza invia alla Curia diocesana di Oria la richiesta di permesso a celebrare all'aperto una messa in occasione della ricorrenza del 4 novembre, facendo coincidere tale evento con la posa della prima pietra per l'erezione del monumento ai caduti. Il 13 ottobre il permesso arriva e il 4 novembre 1924 l'arc. Ferrara celebra una messa solenne alla presenza del sindaco Aristodemo Marasco e delle autorità militari. La lapide marmorea commemorativa ai caduti e dispersi della Grande Guerra sarà realizzata però solo nel 1931, allorquando il dott. Michele Pignatelli, presidente insieme all'assemblea della ormai sciolta Cassa Agraria, intese devolvere la somma residua di £ 3249,52 per l'erezione di un ricordo marmoreo ai caduti della grande guerra. Nel 1932 il Commissario Prefettizio Alessandro Selvaggi commissionò quindi al prof. Raffaele Giurgola di Lecce la realizzazione della targa marmorea. Essa fu poi addossata alla Torre dell'Orologio in Piazza del Popolo. La lapide venne realizzata in marmo bianco di Carrara, mentre la parte decorativa (il fante in basso rilievo e il fascio del littorio, poi asportato alla caduta del regime) era in bronzo. Il prezzo convenuto fu quello di lire 4500. Sulla lapide furono incisi i nomi di militari avetranesi morti o dispersi in guerra emersi dalla documentazione dell'epoca. Ma l'elenco era purtroppo incompleto. Recenti ricerche d'archivio hanno infatti fatto luce scoprendo molti nominativi di altri soldati avetranesi morti in guerra o per malattie contratte durante il conflitto: ad oggi il numero ascende a 57. Trascorrono pochi anni e le vicende belliche del 1940 riportano l Italia ancora una volta in guerra e per molti giovani avetranesi arriva puntuale la chiamata alle armi. Altre giovani vite vengono sacrificate sull'altare della patria: 47 furono gli avetranesi caduti in questo nuovo conflitto. Ad essi vanno aggiunti gli altri militari, ben 68, che hanno patito la fame e gli stenti nei campi prigionia. Già nel 1949 all'indomani della Grande Guerra l'Associazione Combattenti chiedeva al sindaco, tramite il presidente Alfredo Coppola, di poter iniziare una sottoscrizione da destinare all'erezione di un monumento a tutti i caduti. L iniziativa non ebbe seguito. Nel 1960 il presidente dell'A.C.R. di Avetrana Leonardo Caraccio facendosi interprete del comune sentire circa la realizzazione di un nuovo monumento ai caduti di tutte le guerre chiedeva al comune che all'associazione fosse concesso a titolo gratuito una parte di suolo ove far sorgere il monumento. Il consiglio comunale deliberò poco dopo di concedere all'associazione il piccolo giardino di piazza Trieste al centro del quale costruire il monumento. Nel 1969 si costituì anche un comitato ad hoc per la realizzazione del tanto sospirato monumento. Ma senza esito. Tuttavia dovevano passare ancora alcuni decenni prima che il progetto si realizzasse. Nel 1982 il Comune bandisce un concorso tra ingegneri e architetti per lo studio e la progettazione di monumento ai caduti. Fu istituita una commissione ad hoc, arrivarono gli elaborati tecnici ma si dovette ancora una volta soprassedere perché problemi più urgenti presero il sopravvento. Il tutto però riprende vigore nel 1989 quando toccò al Direttore Didattico Antonio Nigro perorare appassionatamente la causa del monumento...Nel giugno del 1994 si costituisce infatti un comitato Pro Monumento ai Caduti con presidente Alfredo Dimitri il quale grazie agli aiuti economici del comune, che concede all A.C.R. l'area in piazza Bengasi, e al concorso della Cassa Rurale e Artigiana realizza un suggestivo monumento. Il Progetto viene affidato all'Architetto Giuseppe Nigro: una piramide a base triangolare poggiante su basamento a forma cilindrica. Finalmente un monumento rendeva onore anche ai caduti del secondo conflitto mondiale! Celestino Scarciglia
CADUTI E DISPERSI DELLA GRANDE GUERRA
ADDABBO Antonio di Vito Donato e Stasi Vita Crescenza, soldato CC. Di Roma n. Avetrana 1/04/ Albania per ferite i combattimento.
ANGIULLI Biagio Rarimondo di Pietrantonio e Surio Cristina sold. 138 regg. Fanteria n. Avetrana scomparso in prigionia.
BALDARI Angelo di Vincenzo sold. e Decursi Addolorata 142 regg.to fanteria n. Avetrana 7/01/ /09/1918 c/o ospedale mobile chirurgico per ferite.
COLUCCI Cosimo di Leonardo e Screti Antonietta caporale 60 regg.to fanteria n. Manduria 2/01/ / disperso sul monte Asolane.
COSMA Salvatore di Vincenzo e Filomena Salamino, soldato 138 regg.to fanteria n. Avetrana 21/07/ /04/1918 in Avetrana per malattia contratta in guerra.
DEFALCO Vito di Angelo e De Nitto Angela 9 regg.to Bersaglieri n. a Carosino il 26/08/ il 24/01/1916 sul Carso per ferite.
DERINALDIS Giovanni Leonardo di Silvano e Malagnino Biagina 264 regg.to fanteria nato in Avetrana 11/07/ /07/1918 ospedaletto da campo n. 319 per meningite cerebro spinale.
DETOMMASO Vincenzo di Giuseppe e De Franco Salvatrice132 regg.to fanteria n. 1/10/1891 Avetrana + 4/11/1915 Monte S..Michele per ferite.
FINA Michele di Pasquale e Maddalena Laserra 65 batteria bombardieri n.23/05/1897, + 21/09/1918 sul monte Grappa per ferite a testa e gambe da scheggia di granata, sepolto nel cimitero militare di Cason di Meda.
FOGGETTI Domenico Antonio di Luigi e Amatulli Maria Antonia n. 11/09/1879 morto 1/01/1919 per malattia contratta in guerra.
FOGGETTI Santo Alberico di Alberto e De Franco Consiglia 96 regg.to fanteria n. Avetrana 1/11/ /10/1916 sul medio Isonzo per ferite.
GABALLO Biagio di Santo e Scarciglia Maria Teresa 129 regg.to fanteria n. 8/02/1881 Avetrana + 17/03/1918 ospedale da campo n. 224 per broncopolomonite.
GALASSO Lorenzo di Massimino e Galluzzi Francesca 70 regg.to fanteria nato 10/09/1899 Avetrana + 17/03/1918 per ferite.
GIANNINI Biagio di Vito e Amatulli Teresa n.05/05/1888 in Avetrana, soldato del 39 regg.to fanteria disperso sul Piave il 19/06/1918 per combattimento.
GIOIA Bonaventura Michele Arcangelo di Salvatore n. 21/03/ regg.to fanteria + 21/02/1918 per malattia.
GIUSI Cesare di Salvatore e Vita Parisi 682 compagnia artiglieri n. 10/12/1895
7 disperso il 27/05/1917 sul Carso per ferite.
GRECO Giovanni di Francesco e Trono Maria Antonia 234 regg.to fanteria n. 22/07/1879 Avetrana, + 14/05/1918 nella 2 sezione di sanità, per peritonite acuta da perforazione intestinale.
LANZO Costantino di Carmelo e Scarciglia Rosa133 regg.to fanteria n. 1/07/1896 Avetrana disperso sul medio Isonzo in combattimento il 14/08/1916.
LANZO Michele di Francesco e Pesare Cristina n. 8/10/1895 Avetrana 77 regg. to fanteria + 29/12/1917 a Padova per malattia.
LASERRA Francesco Salvatore di Celestino e Scarciglia Cosima 80 regg. to anteria n. 5/06/1896 in Avetrana + 20/06/1918 sul Piave per ferite riportate in combattimento.
LOMARTIRE Giuseppe di Giovanni e Panzuto Giuseppa caporale 9 regg.to fanteria n. Avetrana 26/08/ il 13/11/1917 sull'altopiano di Asiago per ferite MAGGI Onofrio n. a Manduria di Alessandro e Ferretti Elvira.
MARASCO Francesco di Michele e Sammarco Rosa soldato 157 regg.to fanteria, n. Avetrana 19/11/ /08/1915 nel settore Tolmino per ferite.
MARASCO Vito di Michele Sammarco Rosa 9 regg.to fanteria, n. Avetrana 2/11/ /07/1915 sul monte S.Michele per ferite.
MASSARI Pietro di Gregorio e Caccietti Assunta 532 compagnia artiglieri, n. Avetrana 9/10/ /04/1918 in prigionia per tubercolosi polmonare sepolto nel cimitero del campo di prigionia di Iheinrischsgrun.
MICELLI Giuseppe Costantino di Salvatore Lanzo Carolina nato il 15/09/1892 e morto il 29/07/1925 per malattia contratta in guerra. MITRANGOLO Emanuele di Francesco e Nigro Caterina 139 reg. to fanteria, n. Avetrana 7/06/ /06/1917 a Chioggia per ferite.
MORLEO Mario Costanzo di Michele e Antonietta Mingolla sottotenente di complemento, 37 reg.to fanteria, n. Avetrana 25/09/ /10/1915 sul medio Isonzo per ferite (Plava, Zagora). Una breve nota di pugno dell'arciprete Francesco Ferrara a margine dell'atto di Battesimo ricorda il giovane sottotenente: Morì sott'ufficiale di fanteria; primo caduto di Avetrana nella grande guerra europea compianto dalla cittadinanza tutta perché ottimo giovine da un ottimo avvenire sorriso stroncato crudelmente dallo stesso suo eroismo giovanile votato alle fortune della patria. Zagora 28.X F. Arch. Ferrara.
NIGRO Angelo di Antonio e Lanzo Teresa 140 reg.to fanteria, n. Avetrana 2/06/1890 Disperso sul Monte S.Michele in combattimento.
NIGRO Salvatore di Michele ed Eupremia Mitrangolo 10 reg.to fanteria n. Avetrana 18/04/ /06/1916 sul monte Cappuccio in seguito ad azioni di gas asfissianti.
PANZUTO Biagio Salvatore di Nicola e Potenza Maria 81 compagnia presidiaria n. Avetrana 21/01/ /09/1918 a Taranto per malattia PARISI Giuseppe di Cosimo e Biagina Mitrangolo 217 reg.to fanteria n. Avetrana 1/12/ / monte S.Michele per ferite in combattimento.
PERNORIO Giuseppe di Cosimo e Massari Addolorata caporale 32 reg.to fanteria n. Avetrana 13/12/ Disperso 19/05/1917 sul monte Vodice in combattimento.
PERTOSO Leonardo Giuseppe di Rocco Ciro e Maria Nigro 231 reg.to fanteria n. Avetrana 23/01/ /05/1917 sul medio Isonzo per ferite.
PESARE Antonio Michele di Grazio e Affidani Teodora 39 reg.to fanteria, n Avetrana 29/11/ /05/1917 presso ospedale da guerra n.39 per malattia.
PESARE Carmelo Massimino di Grazio e Affidani Teodora 16 reg.to fanteria n. Avetrana 23/01/ /02/1916 in Albania per malattia.
PEZZAROSSA Giovanni Battista Tommaso di Valerio e De Franco Vincenzina 133 reg. to fanteria n. Avetrana 23/01/ Scomparso in prigionia.
PEZZAROSSA Leonardo di Giuseppe e Sammarco Maria caporale 43 reg.to fanteria n. Avetrana 26/08/ /09/1917 ad Alessandria per malattia contratta in guerra.
PEZZAROSSA Nicola di Tommaso e n. in Avetrana il 24/09/1891.
PEZZAROSSA Tommaso di Valerio e De Franco Vincenzina n. 23 gennaio 1889 in Avetrana soldato morto in Austria durante la prigionia.
PRESICCE Cosimo di Vito Antonio e Strafella Santa 134 regg.to fanteria n. Leverano distretto di Lecce 22/07/ /07/1916 c/o ospedale militare di Bologna per ferite.
RIZZO Orazio di Michele e Cosima Loperto 9 reg.to fanteria n. Lizzano 20/03/ /08/1916 sul Carso per ferite.
SAMMARCO Leonardo di Cosimo e Greco Raffaela 9 reg.to fanteria n. Avetrana 15/04/ /12/1915 sul monte S. Michele per ferite SARACINO Angelo di Gaetano e Ceglie Rosa.
SARACINO Arcangelo di Cataldo e Parisi Rosa 36 reg.to artiglieria di campagna, n. Avetrana 20/11/ /07/1917 a S.Martino di Castrozza per ferite provocate da proiettile nemico.
SARACINO Giuseppe Cosimo Antonio di Francesco e Screti Maria 135 reg.to fanteria n. Avetrana 16/11/ /01/1918 sul monte Grappa ( Molza Valpore di Cima) per ferite multiple.
SCARCIGLIA Damiano Cosimo di anni 37, nato in Avetrana il 27/01/1880 di Antonio e Rosa Scarciglia. soldato del 256 Reggimento M. Territoriale morto in Lecce il 25/11/1917.
SCARCIGLIA Valerio di Luigi SICARA Pietro di Giuseppe e Palumbo Vincenza n. Avetrana 1/11/ reg.to fanteria + 10/05/1917 sul Carso per ferite.
SPAGNOLO Cosimo Celestino di Speranza e Massafra Maria, Caporale magg. n. Avetrana 1/01/ /06/1915 sul medio Isonzo presso Plava per ferite. Caporale Maggiore.
SPAGNOLO Pasquale di Virgilio Francesco e Maria Rosa Vitale soldato 9 reg.to fanteria n Manduria 24/03/ /04/1916 monte S.Michele presso Aggerihus Boscolancia (Austria) per ferite in combattimento.
SURIO Giuseppe Antonio di Raimondo e Potenza Serafina n. Avetrana 2/03/1876, 276 Batt.ne M.T.,
9 + 10/05/1917 in Avetrana per malattia TRONO Ricciotti di Tobia e Maddalena Schifone 15 reg.to fanteria n. Avetrana 10/09/ /12/1917 alle ore 12,00 presso l ospedale di Caserta per malattia contratta in guerra.
ZIZZARI Salvatore di Silvestro e Giuseppa Pepe 3 regg.to fanteria n. Avetrana 24/02/ /12/1918 ospedale da campo n.129 per colpo di schioppo nella sezione della carotide, sepolto nel cimitero greco-cattolico Gjergyò Vertegg.
ZIZZARI Santo di Silvestro e Giuseppa Pepe, n. Avetrana 1/05/ regg.to artiglieria da montagna, 32 batteria + 3/11/1917 nel reparto ricovero dell ospedale da campo n. 129 per broncopolmonite e sepolto nel cimitero comunale di Castelfranco Veneto il 26/12/1918.
ZIZZARI Vincenzo di Silvestro e Giuseppa Pepe caporale 24 regg.to fanteria, n. Avetrana 21/01/ /06/1918 sul monte Grappa per ferite.
DECORATI GUERRA
Morleo Mario, medaglia d'oro al valore militare e promozione a tenente
Sammarco leonardo, medaglia d'argento
Saracino Giuseppe, croce per merito di guerra alla memoria
Olivieri Giuseppe due medaglie d'argento al valore militare
CADUTI e DISPERSI II GUERRA MONDIALE
Addabbo Vito Donato maresciallo della V brigata carabinieri reali nato nel 1912 e morto il 25/09/1943 sul piroscafo Dubac nelle acque di Otranto.
Barba Luigi di Giorgio e Vita Carolina Cataldi n. il 12/04/1914, pescatore. Marò imbarcato sul CITTA DI BARI l Dichiarato disperso a Tripoli in data 03/05/1941.
Candido Biagio Raimondo di Biagio e Lomartire Carmela nato il 02/01/1921, ritenuto disperso il 11/02/1944. Internato nel campo di raccolta n. 4 I capo R. Servizio Dematria Rodi Egeo. Coniugato con Cosma Maria Antonia. Abitava in via Pola,3.
Carrozzo Antonio, di Giambattista e Filone Caterina agricoltore nato il 22/12/1923. Via V.Emanuele, 8. disperso il 27/04/1943.
Carrozzo Nicola Gabriele colpito da proiettile esplodente raccattato sul campo in cui era precipitato un apparecchio tedesco morì nel 1943.
Cosma Carmelo contadino, di Antonio e Nigro Teresa nato il 2/09/1921, via Vittorio Emanuele, 19-21, disperso per presunta morte avvenuta in Russia il 16/12/1942.
Cosma Giuseppe caporal maggiore.
Cosma Vincenzo di Eupremio e Surio Antonietta contadino, nato il 24/03/1921 piazza Trieste, 7- disperso 109 Battaglione mitraglieri II compagnia W152 Russia.
Crisostomo Salvatore Cesare contadino, di Luigi e Trono Giuseppa nato il 27/08/1915,via Garibaldi, 18. Morto il 05/03/1943. X compagnia 26 Reggimento morto a seguito di ferite multiple. Sepolto nel cimitero di Rosice Tomba n.3.
Dentice Biagio Gregorio di Leonardo e Parisi Vittoria nato il 27/04/1913, contadino. Coniugato Giannini Maria Antonia (1935) via Gioia, 1. Disperso ad Arbusow sul fronte Russo 31/11/1943, 109 battaglione mitraglieri.
De Rinaldis Cosimo di Antonio e Rizzo Florinda nato il 28/03/1924, morto a Roma viale Tirreno, 10 il 26/01/1947 per malattia contratta in guerra. Abitava in L.go Cavallerizza, 12.
De Tommaso Pietro n. 27/06/1909 di Stalislao Cosimo e Derinaldis Luigia Marianna Largo Cavallerizza, 8 coniugato con Gennari Pietrina Leonarda disperso 07/05/1943 a Zahouan (Tunisia) contadino. 60 reggimento artiglieri, 178 Ospedale da campo. V reggimento artiglieria. Il 29/05/1963 i resti mortali dell'Art. De Tommaso Pietro vengono tumulate nel cimitero di Avetrana.
Dimitri Oronzo n. 16/07/1920 di Grazio e Pesare Eleonora morto a Rodi Egeo il 1/01/1944, contadino caporale- 6 campo di raccolta IV compagnia.
Franzoso Giuseppe di Antonio, disperso.
Funiati Pancrazio sarto,di Pietro e Bianco Giovanna nato il 06/09/1920.Via Mare, 67. Disperso il 16/04/1941 sergente mentre era a bordo del cacciatorpediniere Baleno nel canale di Sicilia contro unità navali nemiche. Sottocapo cannoniere.
Fusarò Pietro nato nel 1920, morto il 6/12/1942 c/o il 300 ospedale da campo a ovest di Buerat. Soldato del 350 Nucleo Autonomo Mitraglieri. Ferita renale destra con fuori uscita di sostanza celebrale. Sepolto nel cimitero cattolico di Beuerat tomba n.30.
Galluzzi Orazio morto c/o il Sanatorio di Napoli il 07/09/1948.
Gioia Cosimo contadino, di Salvatore e Leuzzi Raffaela nato il 07/09/1924, morto il 27/08/1944 presso Anagni (Napoli) per sincope. Soldato del 347 battaglione costiero. Sepolto a Napoli.
Lamusta Carmelo Salvatore di Giovanni 31 Rgt fanteria disperso 09/04/1941.
Lanzo Antonio nato nel 1915, contadino, disperso, di Lattanzio e Marcucci Giovina. Abitava in via Umberto I, 11. Coniugato con Mastrovito Germana.
Lanzo Francesco Luigi carrettiere, di Angelo e Copertino Anna Antonia nato il 09/04/1920 morto il 12/09/1942. Abitava in via Faboni, 42. Carabiniere. Disperso in Egitto.
Malorgio Salvatore nato il 8/10/1910 da Vincenzo e Carrozzo Maria Addolorata presunta morte avvenuta il 09/06/1943 presso Isola di Pantelleria. Soldato del 226 Reggimento mitraglieri contadino. Abitava in via Gioia, 3. Coniugato con Giannini Maria Giuseppa.
Manna Leonardo di Vito e Sebastio Filomena n. 15/11/1920, carrettiere via C.Schiavoni, /06/1944 in Pelopponeso (Grecia) per cause imprecisate. 9 reggimento fanteria..alle FF.AA. germaniche. Internato campo di raccolta n2.
Marasco Antonio nato il 12/06/1909 di Aristodemo e Lamusta Giuseppa sarto Nel 1936 si arruola volontario nell Esercito Italiano e part e per l Africa a Gondar (Etiopia). Nel 1942 viene richiamato a Napoli a seguito della mobilitazione in vista della partenza per il fronte russo. Fu aggregato al reg. Tambov (Russia) 45 gruppo appiedato artiglieria T.M. 29 batteria. In data 04/01/1943 scrive l'ultima lettera alla famiglia. Catturato dalle FF.AAA. Russe in località Rossoch fu dichiarato disperso e non se ne ebbe più notizia. Solo nel 1994 il Ministero della Difesa inviò una nota ai familiari nella quale veniva finalmente alla luce la verità sulla morte del militare avetranese. Egli dichiarato disperso fu catturato dalle FF.AA. russe il 18/03/1943 e venne internato nel campo n. 56 a Uciostoje ove morì il 19/03/1943. Fu sepolto in una fossa comune. Abitava in via Roma, 67.
Marasco Michele Nato il 12/03/ 1914 Aristodemo e Lamusta Giuseppa. Sergente contabile della marina. Arruolatosi volontario nella marina militare il 25/07/1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi e impiegato negli uffici delle SS. Per tornare in Italia riuscì a farsi reclutare a Maridepo (Venezia) il 9/09/1943 tra le SS che andavano a difendere Trieste. Giunto sul suolo italiano cadde forse vittima delle truppe slave del M.llo Tito che intanto era entrato in Trieste. Morì nei pressi di Fiume. Abitava in via Roma, n. 67.
Marchetti Giovanni Battista contadino, di Luciano e Caloscio Margherita nato il 23/06/1912 disperso. Abitava in Corte Caniglia, 5.
Micelli Leonardo sergente aviere nato nel 1898 morto nel 1940 presso il nosocomio militare di Taranto in conseguenza di operazione chirurgica per otite prurulenta. Sepolto nel cimitero di Avetrana.
Mitrangolo Giuseppe Antonio nato nel 1922 morto in Russia 25/01/1944.
Nicolì Vincenzo macellaio, nato il 7/11/1919 di Domenico e Micelli Biasina; disperso il 08/09/1943. Soldato marconista 47 reggimento artiglieria. Abitava in via Garibaldi, 11.
Nigro Giuseppe Antonio.
Nigro Leonardo di Gioele e Saracino Emanuela nato il 30/10/1921 disperso contadino. Abitava in via Mazzini, 38. Disperso 16/12/1942 a Filonowo, Russia.
Nigro Nicola di Gioele disperso nel fatto d armi di Ripitisti 48 Reggimento fanteria Ferrara.
Palumbo Cesare studente, di Antonio e Pezzarossa Lucia nato il 11/1/1915 Abitava in via Porticella, capo segnalatore della marina militare. Il si imbarcava da Messina sulla nave Diana silurata il a 20 miglia da Tobruck. disperso.
Papari Gregorio nato a Manduria da Gioacchino e Micera Maria Grazia il 31/08/1918 e morto il 12/09/1943 sul fronte croato. Coniugato con Palumbo Addolorata Annunziata. Il 1/03/1994 le sue spoglie furono traslate dal Sacrario Militare dei caduti d oltre mare (Bari) nel cimitero di Avetrana. Gli è stata conferita una medaglia di bronzo alla memoria.
Pesare Antonio Tredicino di Arcangelo e Angiulli Vincenza nato il _/_/1912, carrettiere, cap. maggiore III battaglione, III reggimento Bersaglieri morto a jagpdnyj il 28/08/1942 a seguito di ferite multiple di proiettili d arma da fuoco, sepolto Rolhos n.3 do otelbeize. Dal 1993 le sue spoglie dal cimitero di BACHMUTKIN (Russia) sono state tumulate nella cappella dei combattenti e reduci del cimitero di Avetrana. Abitava in via Mentana, 3. Coniugato con Galluzzi Margherita il 14/11/1938.
Pizzi Antonio nato nel 1919, di anni 25, morì il 7 novembre 1944 c/o l'ospedale di Lecce.
Pollicino Antonio nato a Roccavallino (Messina) nel 1909, di Santo e Scibilla Maria soldato del 311 battaglione costiero. In servizio notturno sulla costa sorpresa da impetuosa tempesta morì il 29/06/1942, colpito da un fulmine. Gli furono tributate ufficiali onoranze col concorso degli ufficiali superiori del corpo, del clero, e delle rappresentanze politiche locali.
Ricci Gaetano nato a Napoli nel 1918, impiegato, disperso.
Rollo Biagio Leonardo di Pietro e Lanzo Anna Maria contadino, nato il 3/02/1920, morto il l 11/02/1944. Internato nel IV campo prigionieri morì a bordo di un piroscafo affondato durante la deportazione ad altra prigione nei pressi di Rodi Egeo. Abitava in via Solferino, 58.
Saracino Grazio Antonio di Cosimo e Scarciglia Cosima nato il 12/05/1915, contadino, morto il 13/02/1943. Militare del 226 Reggimento fanteria perito a seguito di ferita al torace e sepolto nel cimitero di Dunica. Abitava in via Gorizia, 13.
Scarciglia Celestino di Giuseppe e Perri Giulia nato a Tuturano (BR) il 5/1/1921, contadino. Marò, morto il 15/06/1942. Scomparso in mare nel corso di un importante missione di guerra verso l isola di Pantelleria. Dichiarato irreperibile. Abitava in via Faboni, 26.
Schirone Pietro morto durante la guerra di Spagna. Nato a Lizzano.
Screti Giovanni nato nel 1920,di Salvatore e Galasso Fiorenza contadino. Morto in prigionia a Scoplje (albania) il 19/09/ ospedale da campo a Patrasso perito a seguito di ferite da incursione aerea. Abitava in via Cavour, 13.
Spagnolo Biagio di Ernesto Antonio e Bono Emanuela contadino, nato il 15/01/1914. Coniugato con Cosma Addolorata il 22/08/ reggimento carreggiati. Morto l 11/02/1944 a bordo di un piroscafo presso Gaidano Egeo durante la deportazione ad altro campo di prigionia. Altre fonti lo dicevano trovarsi a Lgnizze Alt Slesia, Germania.
Specchio Giuseppe agricoltore, di Nicola e Rizzo Francesca nato il 28/04/1920 a Miggiano (LE), residente in Avetrana presso Masseria Il Porcile. Soldato del 49 reggimento fanteria, X compagnia, morto, in località Bregu i Mucit il 06/12/1940 quota 1021 (Albania), a seguito di ferite da scheggia di granata ivi fu sepolto ma non fu possibile recuperarne il corpo.
Tarantini Antonio di Giovanni e Trono Leonarda nato il 12/02/1914 contadino disperso 6 campo di raccolta IV compagnia Rodi Egeo. Abitava in via Carmelo Schiavoni, 1.
Zizzari Salvatore di Pasquale e Spagnoletti Caterina nato a Galatone il 20/09/1919 contadino Coniugato con Maggiore Nicolina, abitava in via Mare, 4. Internato presso Rodi Egeo è stato poi dichiarato disperso il 24/06/1944 presso Chrissoutsi (Grecia).
MILITARI AVETRANESI FERITI IN COMBATTIMENTO GUERRA 1940 -1945
Nigro Cesare di Biagio Salvatore 14 Reggimento Artiglieri ferito 28/01/1941 alla regione sternale da scheggia di granata e ricoverato presso l'ospedale di Taranto.
Manna Antonio di Leonardo 31 reggimento fanteria ferito 23/03/1941.
Dimitri Gino di Giuseppe, marò, V reparto Pantelleria marina Palermo, prigioniero e ferito per fatto di guerra 20/07/1941.
Forte Giovanni di Leonardo ricoverato il 22/04/1942 per infermità per fatto di guerra.
Castellano Pantaleo 226 reggimento fanteria VIII compagnia ferito l 11/03/ 1941, ricoverato presso il 59 servizio sanità.
Caraccio Leonardo di Lucio 226 reggimento fanteria ferito il 02/12/1940 e ricoverato presso l ospedale militare di Tirana.
AVETRANA 17/01/1946 ELENCO PRIGIONIERI II GUERRA MONDIALE
Addabbo Antonio di Nicola
Baldari Emanuele di Leonardo Inghilterra
Carluccio Antonio di Salvatore America
Carrino Luigi di Giuseppe Sud Africa
Carrozzo Giovanni di Giuseppe Rodi Egeo
Ceglie Michele di Antonio Australia
Cosma Antonio di Luigi Australia
Cosma Francesco di Settimio Francia
De Angelis Giuseppe di Vito G. Germania
Derinaldis Giuseppe A. di Michele India
Derinaldis Silvano di Michele Inghilterra
Derinaldis Silvano di Pietro America
Dinoi Michele di Francesco India
Dinoi Pasquale di Giacinto Germania
Doria Vincenzo di Cosimo Australia
Erario Eliseo di Pasquale Inghilterra
Fai Angelo di N.N. America
Foggetti Luigi di Antonio
Franzoso Giuseppe di Antonio Sud Africa
Galasso Biagio di Massimino Inghilterra
Greco Angelo di Francesco Inghilterra
La Stella Michele di Savino Egitto
Lomartire Giuseppe di Francesco Inghilterra
Lomartire Giuseppe (1907) di Francesco Inghilterra
Malorgio Carmine Luigi di Francesco Australia
Mastrovito Antonio di Giuseppe Australia
Mazza Luigi di Pietro
Mero Nicola di Vito Algeria
Mingolla Achille di Attilio Egitto
Minonne Pasquale di Cosimo Egitto
Monsellato Italo di Cosimo India
Muscogiuri Cosimo di Alessandro
Nigro Nicola di Gioele Germania
Olivieri Enrico di Biagio Francia
Palumbo Luigi di Gaetano
Panzuto Nicola di Salvatore Australia
Pernorio Giuseppe di Leonardo Algeria
Pinto Giovanni G. di Giovanni Germania
Pisanò Giovanni di Nicola Australia
Prisciano Antonio di Oronzo *****
Prisciano Biagio di Vito Sud Africa
Prisciano Carmelo di Leonardo Inghilterra
Prisciano Leonardo di Biagio *****
Prisciano Pasquale di Oronzo India
Prisciano Salvatore di Oronzo Egitto
Ricci Enrico di Vincenzo Guedac es Seder
Rizzo Carmelo di Raffaele Sud Africa
Saracino Antonio di Biagio Egitto
Saracino Costantino di Antonio *****
Saracino Davide di Antonio *****
Saracino Gaetano di Vincenzo East Africa
Saracino Giuseppe di Genuario Egitto
Saracino Oronzo di Angelo Germania
Scarciglia Costantino di Francesco
Schiavoni Cosimo di Francesco Inghilterra
Schiavoni Leonardo di Giovanni
Serio Raffaele di Francesco India
Sicara Giovanni di Vittorio Inghilterra
Spagnoletti Vito di Pietro Inghilterra
Spina Nino di Cosimo Rodi Egeo
Stano Gregorio di Luigi Algeria
Stefanelli Salvatore di Cosimo America
Surio Salvatore di Giuseppe
Tarantini Salvatore di Alessandro Egitto
Torino Luigi di Gioacchino Inghilterra
Valentino Cosimo di Emanuele America
Valentini Michele di Giuseppe Germania
Zullino Ugo di Luigi Inghilterra
PARTIGIANI E ANTIFASCISTI AVETRANESI
DE FRANCO Grazio Nicola, antifascista. Nato il 2/07/1889 in Avetrana da Eleazaro e Fina Annunziata. Denunciato per offese al capo del governo.
DE RINALDIS Francesco di Paola. Partigiano. Nato il 13 luglio 1911, ad Avetrana da Donato e Saracino Cristina. Combatte, nelle file della 6a Div. Monferrato - 19a Brg. dal 15 aprile al 7 giugno.
MARASCO Aristodemo: Antifascista. Nato ad Avetrana, il 16 gennaio 1877 da Federico, avvocato, e Rosa Lucia Saracino. Contadino. Condannato a 5 anni di confino, per "propaganda contraria al conflitto etiopico". Prosciolto il 12 febbraio Morì il 27 febbraio.
MAZZEI Pietro, di Vito e Pacces Matilde. Partigiano caduto. Nato il 22/7/1910 ad Avetrana. Militò nella 9 Brg S. Justa. Cadde il 10 novembre Riconosciuto partigiano dal 10 ottobre al 10 novembre.
OLIVIERI Enrico, di Giuseppe e Carrozzo Giuseppa. Partigiano. Nato ad Avetrana il 27/06/1922. Arruolato come fante, combatte, poi, nelle file. della Resistenza, con la Div. Garibaldi "Italia", in Jugoslavia.
PANZUTO Antonio di Antonio e Schiavoni Rosa Leonarda. Antifascista. Nato il 09/06/1891 ad Avetrana. Contadino. Denunciato al Tribunale Speciale.
BRIGANTI Pietro, nato ad Avetrana il 04/11/1867 da Angelo e Schifone Elisabetta. Medico. Coniugato con Sammarco Giovannina. Morì il 23/12/1951. Per tutto il ventennio conservò intatta la sua natura liberale e antifascista, mai dichiaratamente socialista. Ragion per cui fu perseguitato e arrestato.
LUCERI Vincenzo nato a Galatina nel 1882 da Luceri Vincenza e padre ignoto. Insegnante elementare. Coniugato con Buonfrate Vincenza. Abitava in via Cavour dove era proprietario di uno stabilimento oleario. Per le sue idee antifasciste fu minacciato più volte di trasferimento ad altra sede scolastica. Si racconta che avendo la Milizia fatto irruzione nella sua abitazione fu trovato in compagnia di diversi amici tra i quali lo stesso Briganti il quale fiutato il pericolo esortò il Luceri a ingoiare due fogli di carta ove lo stesso aveva scritto alcuni versi contro il Duce. Al rifiuto dell amico il Briganti non esitò e glieli strappò di mano inghiottendoli. Luceri fu denunciato per abuso di autorità.
LANZO Cosimo Silvio, antifascista, di Leonardo e Maria Felice Parisi, industriale armentizio nato ad Avetrana il 23/10/1872. Abita in Piazza V.Veneto. Morì il 24/10/1963. LASERRA Celestino nacque ad Avetrana il 26 agosto 1867 da Francesco e Teresa Rossetti. Antifascista. Morì 23/01/1951.
LASERRA Cosimo di Celestino e Francesca Laserra Nacque ad Avetrana il 05/08/1906 e morì il 19/12/1993. Antifascista.
MEZZANO Francesco nacque a Manduria 16/04/1885 da Giuseppe e Francesca Brunetti. L 8/11/1916 sposò Florinda Scarciglia. Antifascista. Morì ad Avetrana il 29/08/1940. Abitava in L.go Imperiali, 10. Aristodemo Marasco Vincenzo Luceri Pietro Briganti
1993: il ritorno in Avetrana delle spoglie mortali del caduto Pesare Antonio Tredicino
Testo ricerca: Luigi Schiavoni
Dati documentari: Archivio Storico Comune Avetrana Archivio Storico Stato Civile Avetrana Archivio di Stato Lecce
Fotografie: Tratte dai volumi: Aristodemo Marasco un secolo di storia Avetranese, 2003 di Biagio Saracino Avetrana storia e territorio, 1998 di Leo-Santo-Scarciglia Archivio A.C.R. sezione di Avetrana Archivio Fotografico Biblioteca Comunale
Avetrana: fucilato dai nazisti nel 1944, cerca la dignità della memoria. Pietro Mazzei partì per fare il postino a Bologna. Aiutò i partigiani della brigata Santa Justa ma le SS lo uccisero a Sasso Marconi. COSIMO LANZO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 25 aprile 2023.
Fucilato dalle SS perché partigiano ma non ancora inserito tra i caduti. Pietro Mazzei non riesce ancora a mettere tutti d’accordo ad Avetrana a quasi ottant’anni dalla sua morte, avvenuta per mano dei paramilitari tedeschi nel novembre 1944 a soli 34 anni a Sasso Marconi, alle porte di Bologna. Mazzei faceva parte della nona brigata partigiana Santa Justa, a cui aveva aderito pochi mesi prima di morire e che operava nei dintorni del capoluogo emiliano. Il partigiano Mazzei si ritrovò in Emilia perché fu assunto dalle Poste - il padre era il direttore della filiale di Avetrana dell’epoca - e nel settembre del ‘43 fu trasferito come portalettere nella città di Forlimpopoli, attuale provincia di Forlì-Cesena. Mazzei risiedeva però a Manzolino, frazione di Castelfranco Emilia, zona calda della lotta partigiana, dove nella notte del 14 novembre del ‘44 le SS effettuarono un rastrellamento. Secondo alcuni testimoni Mazzei fu accusato di far parte dei partigiani del luogo, così fu deportato dai tedeschi e scomparve nel nulla.
Il suo corpo fu ritrovato due anni dopo insieme ad altre sei persone in una fossa comune e fu riconosciuto dalla moglie Licia anche grazie agli abiti eleganti e la pipa d’ordinanza che il partigiano era solito usare. La morte del partigiano però è caduta nell’oblio per quasi settant’anni, quando nel 2012 è stato Rino Giangrande, attuale presidente onorario dell’Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi) di Avetrana a rispolverare la sua storia.
Sebbene in altre città d’Italia ci sia una valorizzazione del sacrificio dei caduti dedicando loro strade, piazze e monumenti, ad Avetrana l’Associazione combattenti e reduci (Ancr) non ha inserito Pietro Mazzei tra i nomi della lapide dedicata ai caduti nella lotta della liberazione dal nazifascimo. «Non mi sono mai spiegato il perché di questo rifiuto. Credo perché fosse partigiano, quindi una pura ragione ideologica - spiega Giangrande -. Secondo il decreto legge numero 93 del 1946 i partigiani sono equiparati alle forze armate e io credo che la festa del 25 aprile sia una festa anche di Mazzei, che ha sacrificato la propria vita per la nostra libertà e per questo oggi vorrei aggiungere simbolicamente con un nastro il suo nome nella lista dei caduti».
Per Rino Giangrande Mazzei avrebbe quindi tutto il diritto di essere lì «perché è stato riconosciuto dallo Stato italiano nella sua lista dei caduti (consultabile online, ndr) e l’Ancr non ha nessun diritto di veto su quella lapide, che è di proprietà del comune». Dei familiari abbiamo sentito Carlo Mazzei, cugino di Pietro: «Sarebbe giusto ed è auspicabile che il suo nome venga inserito sul monumento ai caduti». La questione passa così in mano al sindaco Antonio Iazzi ma nel frattempo come ogni 25 aprile Pietro Mazzei e gli oltre 54mila partigiani caduti saranno celebrati per la loro fondamentale lotta di liberazione, nome sulla lapide a parte.
Le impressionanti immagini aeree del 1972 e di oggi. San Pietro in Bevagna, come l'uomo ha mangiato il territorio in mezzo secolo. La Redazione de La Voce di Manduria venerdì 25 agosto 2023
Prima e dopo
Grazie ad una eccezionale ortofotografia del 1972, gentilmente concessa dall’amico Gregorio Fragola, è possibile vedere l’impressionante antropizzazione che ha subito la parte centrale di San Pietro in Bevagna. La principale località marina di Manduria, oggi completamente occupata da insediamenti abitativi e attività commerciali, si presentava con pochissime costruzioni e vastissime distese di sabbia e dune.
Per rendere immediato il confronto, si suggerisce di prendere come riferimento la macchia scura a sinistra rappresentata allora da macchia mediterranea e vegetazione dunale con i pini della pineta ancora piccoli. Sul confine destro si nota la sagoma della chiesa con la torre di San Pietro in Bevagna. Dalla litoranea al mare un’immensa distesa di sabbia con qualche cespuglio di erba retrodunale. Di fronte all’attuale pineta pochissime case e alle spalle l’enorme “ara” dove attualmente si piazza il lunapark.
Non c’erano ancora le attuali piazze né i numerosi locali di oggi. Si nota solo il ristornate La Playa, unico tra quelli in attività. In corrispondenza della chiesa, dall’altra parte di largo delle Perdonanze, c'era il piccolo bar Tabacchi della famiglia Calò, oggi molto più ampio con il nome di “Eurobar”.
Sulla spiaggia, a pochi metri dalla battigia, la piccola vecchia baracca-bar di Anselmo Dimitri e del figlio Cosimo con a sinistra la lunga fila delle cabine balneari di legno.
Da una eccezionale foto del 1943. Ottant'anni fa Manduria con interi quartieri che non c'erano. La Redazione de La Voce di Manduria domenica 27 agosto 2023
Prima e dopo, Manduria
Dagli archivi del geometra manduriano Gregorio Fragola la scoperta di un’altra immagine inedita di Manduria vista dall’alto 80 anni fa. La città messapica del 1943 era un territorio completamente cambiato e ridotto rispetto all’attuale così come viene mostrato dall’attuale ripresa aerea di Google Maps.
Confini completamente cambiati, riconoscibili solo dalla sagoma triangolare della Piazza Garibaldi e da pochi altri particolari urbanistici come l’enorme area recintata, nella parte alta della foto, del giardino dei Padri Passionisti sul viale Mancini, oppure l’atro rettangolo scuro del cortile del convento di clausura di Piazza Santa Chiara nella parte inferiore della mappa.
Non erano ancora sorti i quartieri, Barci, Napoli Piccolo (ora Santa Gemma Galgani), Santullo, Matera e il rione Sant’Antonio si fermava sulla linea della ferrovia. Il quartiere Barco era appena accennato. Assente anche il Parco archeologico scoperto in seguito con la campagna di scavi dell’archeologo De Grassi nel 1955.
Il confine sud della città terminava con la via per Uggiano Montefusco che partiva dalla Villa Comunale, altro triangolo riconoscibile nella vecchia foto. L’abitato di via Uggiano terminava all’incrocio con via Primo Maggio; Le abitazioni su via per Oria terminavano dove oggi è Piazza Giovanni XXIII; Le case su via Roma (Piazza Santangelo non c’era ancora, al suo posto un grande spiazzo), terminavano all’altezza della strada del commissariato di polizia; Via Salvatore Giglio (per San Pietro in Bevagna) finiva all’incrocio con via Chidro (del Villaggio del fanciullo c’erano le prime tracce); Le case sulla via per Avetrana, solo a sinistra entrando in paese, iniziavano dove c’è ora il tabacchino e il fruttivendolo.
Mirko Giangrande. TERRORISMO TURISTICO SULLA PUGLIA
Ormai, come ogni anno, all’indomani dell’uscita dei dati sul turismo pugliese, che attesta il boom di presenze turistiche, accertate anche dai dati sugli arrivi nelle nostre stazioni, porti e aereporti, arrivano, puntuali, le reazioni da parte di chi, questo successo, proprio non va giù. E la fantasia è proprio tanta! Di anno in anno, siamo passati dall’allarme meduse all’allarme criminalità, da quello dei disservizi a quello, attuale, del caro - prezzi. Tutto, pur di mettere in cattiva luce la nostra terra. Propalazioni di gente che, magari, da noi non ha mai messo piede. Altrimenti lo saprebbe che il rincaro è un fenomeno nazionale e non di certo solo pugliese; lo saprebbe che, come ovunque, non bisogna mai generalizzare perché non si possono paragonare posti esclusivi di località rinomate a tutto il resto del territorio; lo saprebbe che il turista per forza di cose deve pagare un surplus sui prodotti locali perché i pugliesi fanno turismo, non beneficenza!
E non so se mi fanno più pena i meridionali che, senza ragionarci su, masochisticamente danno adito a queste notizie (e magari le condividono pure) o chi, pieno di un’ingiustificata superbia, viene in vacanza da noi sicuro di farci solo un favore. La Puglia è bella e le cose belle si pagano. Non siamo una terra per TIRCHI.
Quindi quest’anno, oltre alla crema solare, per qualcuno consiglio il Gaviscon.
Facebook: Stato Magna Grecia - Due Sicilie
GUERRA ECONOMICA AI DANNI DEL SUD: Il classico autogoal all’italiana: un articolo che suona come un insulto allo straordinario lavoro della Puglia, negli ultimi 20/30 anni, per la qualità e l’internazionalizzazione del suo turismo.
Un modo a dir poco elegante, medievale, quello scelto da un quotidiano di Milano, città di alta cultura, per dipingere una realtà dai colori certamente più vivi.
Il turismo in Puglia è tanta qualità: patrimonio, cultura, mare magnifico, cucina sublime, musica e tanto altro.
La Puglia è meta di vacanze per donne e uomini delle istituzioni, stars del cinema, sportivi/e di livello mondiale e tante altre personalità fortunatee
Il livello del turismo in Puglia si è alzato considerabilmente così come i prezzi, in alcune località di punta.
Per il Corriere della Sera e non solo, ciò che è pura normalità a Portofino, a Venezia oppure a Forte dei Marmi, diventa uno “choc” in Puglia, dove i turisti vengono “spennati”.
Mai letto su Le Monde, Les Échos o Le Figaro, titoli di simile rozzezza riguardo ai prezzi di Nizza, Deauville o dell’Île de Ré, per citare alcuni esempi comparabili.
Buone vacanze in Puglia , nel pieno rispetto di coloro che lavorano duramente in estate, soprattutto in territori dove esistono gravi ostacoli, ahimè ben noti, per la vita delle piccole imprese.
Scontrini folli, la calda estate: 30 euro per un caffè a Porto Cervo. Storia di Elvira Serra su Il Corriere della Sera domenica 27 agosto 2023.
L’estate degli scontrini più pazzi del mondo non è ancora finita e le segnalazioni alle associazioni dei consumatori continuano a fioccare. A Roma in centro si registrano due euro a fetta per il taglio della torta di compleanno portata da fuori («40 euro in tutto», racconta Luigi De Rossi, presidente di Giustitalia); in un Autogrill del Lazio per un «Bufalino» con prosciutto e mozzarella ne hanno chiesti 8,10 («Due panini e due caffè 21 euro»); sette euro per un limoncello sul lungomare di Rimini («Al ristorante te lo offrono gratis a fine cena...»); a Porto Cervo 4,50 per un caffè «gratinato», cioè con il ghiaccio. De Rossi, lo stesso al quale due turisti fiorentini avevano segnalato due panini con il salame e due caffè pagati 18 euro senza lo scontrino in un chiosco di San Teodoro, in Sardegna, parla di effetti dell’inflazione, ma anche di uno spudorato «approfittarsi del turista, contando sul fatto che magari non tornerà». Pure Furio Truzzi, di Assoutenti, denuncia chi «sta lucrando sulle vacanze». E cita come esempio il famigerato caso dell’osteria di Finale Ligure, presa poi di mira su TripAdvisor, dove sono stati chiesti 2 euro per il piattino in condivisione: «A me di quella storia ha colpito che le trofie al pesto costassero 18 euro: per quanto la materia prima sia dop, parliamo sempre di basilico, pinoli e olio...». Redditi fissi e rincari incontrollati secondo lui hanno prodotto come unico risultato vacanze più corte. E, di fatto, più «condivisioni» a tavola. Di qui gli stratagemmi degli esercenti per battere cassa.
Caffè
L’euro e cinquanta chiesto vicino ad Alba per mangiare in due una crema catalana è uno dei più assurdi, perché non si capisce l’impatto di un cucchiaino sui consumi della lavastoviglie. E lasciano perplessi anche i 10 centesimi per decorare un cappuccino a Erba (anche se la titolare ha precisato che non è polvere di cacao, ma sono spezie). Di sicuro ci siamo scordati i sontuosi 100,80 euro spesi in piazza San Marco dieci anni fa per 4 caffè (di cui uno corretto) e tre amari: lì però a pesare sullo scontrino fu il «supplemento musica» di 42 euro: sei euro per ognuno dei sette avventori. Comunque anche oggi sul fronte caffè resta da sbizzarrirsi: a Ostia il cappuccino con il «latte freddo» può costare dieci centesimi in più, perché il barista deve mettere più latte (altri ne chiedono 20 in più se il caffè è «schiumato»); a Pesaro il caffè con ghiaccio è costato un euro e 50; anche nel Golfo di Policastro sono stati segnalati casi di cubetti di ghiaccio a 50 centesimi. Altri numeri rispetto ai 60 euro per due caffè e due bottigliette d’acqua a Porto Cervo. Ma volete mettere la giustificazione dei gestori? «Non è un semplice caffè, è un’esperienza!».
Puccia e frisella
Che poi uno i 60 euro in Costa Smeralda li può mettere in conto: se li conosci, li eviti. Fanno più effetto la puccia e la frisella a 26 e 16 euro nel Salento, o la panzanella a 16 euro in piazza Duomo a Firenze (pane, pomodoro, cipolla, aceto e basilico). Raffaele Madeo, però, il presidente dei ristoratori di Tni, Tutela Nazionale Imprese, prima di Ferragosto era sbottato: «Basta mettere in croce l’intera categoria per due o tre scontrini. Sono casi isolati e comunque ogni ristorante ha i prezzi ben visibili sui menu. Perché nessuno dice che la farina è aumentata del 200% e la mozzarella del 60?». I prezzi di frutta e verdura sono triplicati. Lo fa notare Luca Vissani, amministratore unico di Casa Vissani, dove questa estate i prezzi dei menu sono stati abbassati del 10 per cento, ma è stata tolta anche una portata: prima si partiva da quattro piatti salati più il dolce a 140 euro, ora da 125 con tre salati più il dolce. Dice: «I locali si reggono sui business plan: se su 40 posti mangiano in venti, un ristorante non regge».
Toast e pizze
Per certo, di questa lunga estate calda che ci è valsa sulla Cnn il titolo sulle «oltraggiose fregature» ai turisti, ricorderemo il supplemento di 2 euro per dividere un toast a Gera Lario, sul lago di Como, e i 70 centesimi per un bicchier d’acqua di rubinetto, «ma filtrata», a San Vito al Tagliamento (Pordenone). Resteranno pure le stoccate degli esercenti. Come Simone Di Maria, ristoratore genovese criticato per tre pizze a 60 euro. La sua risposta social: «Prenotazione per 8, due bimbi e sei adulti maleducati come pochi, tre pizze divise in otto piatti, acque, due bibite, tre birre e 4 caffè. Totale 63 euro, meno di 8 euro a persona». In questo clima di caccia alle streghe, c’è chi ha pubblicato uno scontrino del ristorante Catanzaro, dove due pizze e due birre le fanno pagare 235: peccato che siano dihram marocchini, vale a dire 21 euro e 50. Poi ci sono i «creativi» del caffè a 70 centesimi, purché ti porti da casa tazzina, cucchiaino e zucchero. Succede nel Savonese. Ma a 200 chilometri di distanza, nel Biellese, lo fanno pagare allo stesso prezzo e alla vecchia maniera. «Ho fatto i conti e ci sto dentro. Perché aumentare?», ammette Orlando Paldino, del «Fante di cuori» di Cossato.
L’Unc
Massimiliano Dona, a capo dell’Unione Nazionale Consumatori, non critica a priori gli esercenti. Spiega: «Se uno ordina un cocktail che sulla carta costa 10 euro e poi lo paga 13 perché il cameriere non ha specificato che poteva essere fatto con un gin più caro, ha ragione il cliente. Ma se uno si lamenta perché ha dovuto pagare il taglio della torta, è lui a sbagliare. Esiste il diritto di tappo: cioè, ci si può portare da casa la bottiglia di vino, ma si deve riconoscere al ristoratore il corrispettivo per averlo versato e servito». Stesso discorso sulle mezze porzioni, che adesso costano anche il 70 per cento del prezzo intero e non la metà: «I tempi di cottura e l’impiattamento sono identici». Fa, invece, proprio un errore di calcolo chi si fa pagare un piattino o un cucchiaino in più. «Serve solo a farti salire ai disonori della cronaca: è cattiva pubblicità».
Bar più economico d'Italia, caffè a 30 centesimi: "I turisti pensano ci sia un errore". In un'estate di scontrini pazzi, emerge un bar che è risultato essere il più economico in Italia, con caffè a 30 centesimi. Chiara Nava su Notizie.it Pubblicato il 25 Agosto 2023
Nel pieno dell’estate degli scontrini pazzi, dei conti raddoppiati e dei sovrapprezzi assurdi, è emerso un bar che è risultato essere il più economico in Italia.
Il bar più economico d’Italia, caffè a 30 centesimi: ecco qual è
Nell’estate degli scontrini pazzi, dei conti raddoppiati e dei sovrapprezzi assurdi, esiste un bar in cui il caffè costa solo 30 centesimi, come raccontato da Il Corriere della Sera. Si trova ad Alia, in Sicilia, ed è il Bar Pasticceria Rosticceria Perrone, attivo dal 1973. Negli anni Settanta Bernardo Perrone è stato il primo a portare nel luogo l’idea di catering, mettendo su un laboratorio e occupandosi delle cerimonie. I matrimoni non mancavano ed erano in perfetto stile siciliano. Visto che in città erano presenti solo due bar, decise di aprirne uno, in uno spazio di fronte a quello attuale, con il prezzo del caffè più basso. Il prezzo stabilito era di 20 lire e l’idea funzionò. Ora alla cassa c’è la nuora, Mariagrazia d’Amico, seconda generazione nell’attività di famiglia. Il marito Giuseppe Perrone lavora nel laboratorio per fare i dolci con il figlio Bernardo e la figlia Tecla è dietro al banco.
Il bar più economico d’Italia: i cambiamenti nel tempo
Intanto il prezzo della tazzina è aumentato. Alla fine della lira ne costava 300 poi è diventato 20 centesimi con l’arrivo dell’euro, fino alla pandemia. “Con l’asporto ci costavano più gli accessori della bevanda, tra bicchierino, tappo, cucchiaino, bustina di zucchero: ci siamo trovati costretti a chiedere di più” ha spiegato la donna. Il costo è diventato di soli 30 centesimi. Nel corso del tempo le bollette sono aumentate, ma loro non vogliono rinunciare all’idea geniale del fondatore. “Il nostro motto è: meglio perdere, che perdere il cliente” ha dichiarato la donna. L’idea continua a funzionare, visto che il Perrone consuma sei chili di caffè al giorno, ovvero 857 tazzine quotidiane. Spesso raggiungono anche i nove chili. Il menù è unico come prezzi: caffè espresso a 30 centesimi, caffè freddo a 60 centesimi, caffè macchiato a 40 centesimi, caffè corretto a 80 centesimi e cappuccino ad 1 euro. Il bicchiere d’acqua e il servizio al tavolo è compreso. Il bar è sempre pieno di clienti e i turisti spesso arrivano alla cassa e pensano ci sia un errore. “Lavoriamo tutti tutto il giorno, da mattina a sera, ieri sera abbiamo chiuso alle due, e vogliamo farlo con qualità, con i prodotti buoni, con artigianato fatto bene” ha spiegato il pasticcere.
Albania, la verità sulle vacanze low cost: quello che nessuno dice. Ignazio Stagno su Libero Quotidiano il 26 agosto 2023
Vacanze d’Albania. La prima parte di questa rovente estate 2023 è stata accompagnata dagli “spot” sui social di connazionali che, a colpi di video e post, hanno raccontato il nuovo eldorado delle ferie: per l’appunto l'Albania, dai servizi impeccabili e dai prezzi molto contenuti rispetto all'Italia. Per almeno tutto luglio e la prima metà di agosto ci siamo sorbiti il racconto di questo paradiso per il portafoglio, al punto da mettere in discussione anche il primato delle isole della Grecia, quelle meno note, che per anni hanno rappresentato la meta low cost per chi partiva dall'Italia. Pranzi e cene a 20 euro a testa, lettini e ombrelloni tra i 10 e i 25 euro, noleggi d'auto “regalati” e tutto «alla faccia di chi fa le vacanze in Italia». Qualcosa però è cambiato. La faccenda negli ultimi giorni si è ribaltata. Sui social, da Facebook a Instagram passando per Tik Tok, abbondano i racconti di chi, in Albania, si è fatto spennare o ha vissuto delle vacanze da incubo.
La meta più discussa nei trend dei social è Saranda. E proprio da lì arriva lo sfogo di Rocco su Tik Tok. Lui, turista italiano in trasferta, è salito a bordo della "Nave pirata" per un giro (in giornata) davanti alle coste albanesi: «La nave aveva 100 posti, ma a bordo eravamo 300 - spiega -. Il viaggio è durato 5 o 6 ore e metà delle persone è rimasta in piedi. Tra loro c'erano tantissime coppie di ragazzi con bambini, anche di pochi mese. Noi avevamo una panca e ci siamo stretti per far sedere una coppia di ragazzi napoletani, altrimenti avrebbero dovuto fare il viaggio in piedi». E ancora: «Nauseati dalla puzza del carburante, ci siamo ritrovati al centro di uno schiuma party e io sono caduto a terra, rischiando di sbattere con la testa». Poi la sentenza finale: «Sconsigliatissima».
Ed è solo uno dei tanti. C’è chi si lamenta per il costo di un set di due lettini e ombrellone nella spiaggia di Pulebardha Beach: «Abbiamo chiesto un ombrellone e due lettini e ci è stato risposto che se avessimo pranzato al ristorante della spiaggia il prezzo sarebbe stato di 2500 lek (circa 25 euro), mentre senza pranzo di 3000 (30 euro). Ma da quando i prezzi variano in base a questa scelta?», racconta Flavia. Poi aggiunge: «Ombrelloni ammassati l’uno sull’altro, si vede che – continua il racconto della turista – cercano di sfruttare al massimo queste strutture nel bel mezzo della natura. Noi alla fine abbiamo deciso di pranzare al ristorante, pagando 5 euro in meno per l’ombrellone e i lettini. Ma anche al ristorante regnava il caos. Tanto che avevamo ordinato anche un’orata ma alla fine abbiamo chiesto di non portarla perché stavamo aspettando da troppo tempo». Poi, sempre sui social, c’è chi racconta di caffè pagati a 4,50 e anche chi ha pagato ben 200 euro per un gazebo. E monta la rabbia: «Sponsorizzato ovunque da video fatti da “influencer”, ma la realtà è completamente diversa. Spiagge piccole piene di ombrelloni e sdraio ovunque, ghiaia al posto della sabbia portata da appositi camion, acqua torbida, moto d’acqua che corrono a destra e sinistra tutto il giorno con annessa puzza di gas. E ancora maleducazione, guidano male e c’è sempre traffico», spiega un turista italiano. E c'è anche spazio per una lamentela anche sui pagamenti: «Il pos è visto come il diavolo, prezzi molto più alti delle aspettative, a Ksamil un ombrellone e 2 lettini li abbiamo pagati da 25 a 50 euro al giorno. Non torneremo mai più». E un altro turista, Luca, racconta a Libero la sua esperienza sempre a Ksamil: «Sono partito dalla Sicilia per godermi le vacanze in Albania. Del resto le premesse c’erano tutte, tariffe molto più basse rispetto all’Italia. Ma quando sono arrivato lì ho capito come stanno davvero le cose. Il lido aveva gli stessi prezzi di uno italiano in una località top, ho pagato 50 euro. Ma c’erano set anche ben più costosi, intorno ai 100 euro. Il costo del noleggio dell’auto è stato anche esorbitante, 90 euro al giorno. Ho provato questa esperienza anche perché influenzato dai social, ma per il prossimo anno, a parità di costi, mi godo il mare della mia Sicilia. Magari torno a Cefalù dove i servizi sono all’altezza di quanto spendi». Insomma, non è certo il paradiso in terra per i vacanzieri, ma come in tutte le cose, conta molto l'esperienza personale e magari anche la fortuna. Però quel ritornello di inizio estate che narrava di una Albania come cura per il caro prezzi in Italia, comincia a fare acqua...
Facebook: Michele Eugenio Di Carlo è con Giovanni Saitto e altri 85
Carissimi, ho appena scritto questo post:
"Ho la vaga impressione che alcuni giornali del Nord spingano i turisti a lasciare la Puglia per l'Albania". Essendo stato inondato da commenti spesso in antitesi e non avendo il tempo di replicare a tutti, rispondo con questo nuovo post, cercando di chiarire quello precedente:
La comunicazione politica dai toni populistici, divisivi, ultimativi, definita dagli esperti di marketing politico “liquida”, tesa in maniera spasmodica alla continua ricerca di un consenso elettorale effimero, facendo leva più sull’emotività che sulla razionalità, si è fortemente insinuata nell’ambito dei social, ma si è anche avvalsa di una potente rete di media nazionali tramite i normali canali di divulgazione televisiva e alcuni dei maggiori giornali italiani, che hanno contribuito anche ad alimentare non pochi luoghi comuni e pregiudizi che presentano il Mezzogiorno con un’ottica distorta.
Da quest’ultimo punto di vista, non solo l’informazione politico-mediatica “liquida” ha fatto scuola, anche il sistema pubblico dell’informazione ha contribuito decisamente a far percepire il Mezzogiorno come un’area dalle problematiche irrisolvibili.
Infatti, i docenti universitari di sociologia dei processi comunicativi Stefano Cristante e Valentina Cremonesini, in un testo pubblicato nel 2015 (La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo), hanno reso noto i loro studi statistici: il TG1 della RAI, negli ultimi 35 anni, ha dedicato solo il 9% delle notizie al Mezzogiorno e quasi solo per parlarne male: cronaca nera, criminalità, malasanità, meteo. Tralasciando le statistiche di giornali e tv di proprietà privata che mettono quotidianamente in cattiva luce il Mezzogiorno, colpisce nello studio dei due studiosi che anche il Corriere della Sera e la Repubblica abbiamo dedicato spazi esigui al Sud, passando dai 2000 articoli del ventennio 1980-2000 ai 500 del decennio 2000-2010, occupandosi quasi solo di metterne in rilievo i mali e ignorandone sistematicamente gli estesi e avanzati processi culturali nel mondo dell’arte, della musica, del cinema, della cultura in generale.
C’è una convergenza perfetta, e sospetta, tra il potere politico-finanziario nord-centrico e i media negli ultimi 35 anni.
Tornando alla comunicazione politica “liquida”, è indubbia la preoccupazione che essa genera visto che occupa una fascia importante dell’informazione che conta, peraltro quasi totalmente accentrata nelle mani di poteri politici-finanziari di parte sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista geografico e territoriale, creando nelle popolazioni con una vera e propria operazione di distrazione di massa continue ansie, paure, incertezze, odio verso nemici spesso immaginari e nei confronti della parte debole e abbandonata del paese: il Mezzogiorno.
Buona parte della televisione italiana ha da anni inaugurato una comunicazione dominata dalla presenza di una ventina di commentatori a vario titolo onnipresenti (politici, intellettuali, giornalisti, sociologi, economisti), che impongono con un linguaggio urlato, supponente, arrogante le posizioni politiche, culturali, economiche pretese da chi finanzia, gestisce e produce il talk show televisivo. Talk show che ha, tra gli altri, il fine di produrre profitti attraverso le sponsorizzazioni.
Ed ecco che commentatori politici e non, dai curriculum dilatati e spesso improbabili, vengono messi su di un piedistallo e diventano famosi, al prezzo di assolvere l’unico ruolo per il quale sono stati selezionati: dare sempre e comunque ragione al conduttore, urlando e sbraitando selvaggiamente contro chiunque dissenta dalla scontata e spesso squallida linea redazionale, trovando sempre il conforto e il supporto di un pubblico plaudente a comando che alimenta la percezione in telespettatori, spesso sprovveduti, che quello sia il modo onesto e persino serio di affrontare problematiche spesso inventate di sana pianta. E’ così che molti cittadini italiani hanno assorbito odio e paranoie, convincendosi attraverso il supporto di statistiche spesso non certificate che la delinquenza sia aumentata, che gli stupri siano compiuti da un’etnia particolare, che i clandestini siano il primo problema in Italia, che vi sia in atto una sostituzione etnica e religiosa, che le case popolari siano assegnate a profughi ed extracomunitari, che chi affoga in mare se la sia cercata, che il Sud è la palla al piede dell’Italia e, in questi tempi di emergenza sanitaria, che i meridionali non rispettino le regole, mentre viene continuamente evidenziato che le carenze strutturali della sanità meridionale sono sempre e solo questione di mafia, di amministratori incapaci, di mentalità sottosviluppata della gente.
Mai che, oltre alle gravi responsabilità di una classe politica meridionale incapace di governare il proprio territorio, vengano rivelate le responsabilità precise di governi nazionali, di destra e di sinistra, che hanno deciso con scelte politiche chiare di non ridurre il divario Nord-Sud e di non affrontare di petto la questione mafia, alimentando e aggravando i fenomeni di degrado, di abbandono, di miseria, l’emigrazione e lo spopolamento di intere aree territoriali.
Ma come siamo arrivati ad una televisione del genere? Una televisione in cui i conduttori e gli ospiti fissi esercitano spesso un ruolo decisivo nell’influenzare l’opinione pubblica al servizio di interessi particolari (finanziari, politici, promozionali), esulando dalla funzione di intrattenere il pubblico dando un’informazione corretta e certificata con dati chiari.
Una televisione che non va assolutamente sottovalutata perché, seppur spesso non avente un grande seguito, taluni talk show vengono continuamente rilanciati sui social da referenti politici di riferimento e da sponsor raggiungendo decine di milioni di persone e riuscendo a rappresentare nella percezione comune una realtà distorta, spesso fingendo di colpire le élite mentre ne sono lo strumento, amplificando la voce di personaggi da macchietta per confutare e confondere quella di veri intellettuali ed esperti, facendo persino passare le vittime come delinquenti beneficiati e i delinquenti come vittime.
Cosa fare di fronte allo scempio informativo e al disastro culturale imposto da queste trasmissioni dal potere politico-mediatico fortissimo?
(ANSA mercoledì 9 agosto 2023. ) - Il premier albanese Edi Rama ironizza sui social, pubblicando le della nave Vlora con 20 mila migranti albanesi verso l'Italia 30 anni fa in contrapposizione con il grande esodo dei turisti italiani che in queste settimane stanno raggiungendo le spiagge dell'Albania per le ferie.
"E aspetta aspetta, non hai ancora visto niente", scrive nel post Rama che sembra sottolineare l'esodo anche alla luce del caro-vacanze in Italia, a cominciare dalla Puglia.
Proprio ieri ricorreva il 32/o anniversario dell'arrivo a Bari, nel 1991, della prima nave dall'Albania, la Vlora appunto, con circa 20 mila migranti albanesi a bordo.
Il mercantile proveniente da Cuba stava per fare tappa a Durazzo con un carico di zucchero di canna quando la folla in porto lo costrinse a dirigersi in Puglia. Seguirono aspre polemiche sull'accoglienza dei migranti.
Estratto dell’articolo di Letizia Tortello per “la Stampa” giovedì 10 agosto 2023.
«Sì, siamo un po' l'Italia degli Anni 50. Dopo trent'anni, ci togliamo di dosso lo stigma dell'immigrato e basta. Ma l'Albania cerca di imparare dai vostri errori». Mentre il premier Edi Rama si sta riposando, giusto qualche giorno, nella casa delle vacanze a Dhermi, l'aeroporto della capitale albanese non dorme mai.
Sbarcano 200 voli tra giorno e notte, senza contare il trasporto via terra o dal mare. Tutti pazzi per la riviera più battuta dell'estate 2023. Da Scutari, nell'Adriatico, a Saranda e le isole Ksamil giù nello Ionio, i prezzi bassi delle case dei pescatori si affiancano ai resort e ai macchinoni guidati da giovanissimi albanesi residenti all'estero.
Il leader socialista si gode il riscatto del Paese e posta perfino un meme autoironico: la Vlora nel '91 carica di disperati verso l'Italia, e un fotomontaggio con le stesse scene, ma stavolta chi si cala dalla nave sono gli italiani vacanzieri nella terra delle aquile. «Una delle caratteristiche di Rama è la capacità di guardare le cose dall'alto dei suoi due metri», dice chi lo conosce bene. […]
Vi chiamano Maldive del Mediterraneo, si parla di "Alb-mania". Quali sono i numeri di questo boom vacanziero?
«Stiamo ripercorrendo il cammino del vostro Paese. Ma questa estate è stata oltre le aspettative. Abbiamo avuto un +35% di turisti, le cifre degli italiani sono impressionanti e si avvicinano al mezzo milione. Quando ho cominciato (2013, ndr), l'aeroporto di Tirana faceva massimo 350 mila passaggi l'anno. Ora, oltre a 6,5 milioni».
Siete preparati a questo assalto?
«Da tre o quattro anni si è verificato, finalmente, un cambio di immagine. Fino a pochi anni fa, soffrivamo il pregiudizio creato negli Anni 90, di essere genericamente criminali, mafiosi, poveri migranti che sognano "Lamerica", come ha raccontato Gianni Amelio.
Oggi, i turisti vengono e si mescolano volentieri con la nostra gente, il vento è cambiato.
Dobbiamo rincorrere il tempo perduto. Ma attenzione: non vogliamo fare i grandi errori dell'Italia o di altri Paesi, delle riviere o delle città invase. Gli arrivi di massa, il solo low cost può distruggere l'avvenire e lasciare dietro ecomostri e disastri ambientali».
Costate meno di Italia, Grecia e Croazia. Natura meravigliosa, facile da raggiungere. Come pensate di invertire la tendenza?
«Abbiamo pareggiato la Grecia e appena sorpassato l'Italia per numero di turisti pro capite. Incredibile, ma ci abbiamo lavorato tanto in questi anni di Rinascita albanese. In prospettiva, vogliamo un turismo bilanciato e sempre più di alta gamma. Servono tre o quattro anni per essere pronti a sfilare con i grandi». […]
Lei, socialista, è un grande ammiratore di Meloni. L'ha anche baciata al funerale di Berlusconi. Che succede?
«Ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti i governi, come il mio Paese da quando siamo entrati nel mondo libero. Giorgia non per me, ma per il club euroatlantico è una grandissima sorpresa. In tutte le circostanze internazionali è vista con tangibile rispetto, ha carisma e dice tutte le cose giuste. Io sono alto 198 cm, ma quando lei prende la parola sembra più alta di me».
Si è innamorato?
«Non si bacia solo per amore. La ammiro. Giorgia è la giovane sorella di Albania, io sono un vecchio fratello d'Italia e ci siamo riconosciuti come tali a Tirana, abbracciandoci ben prima di parlarci». […]
Estratto dell’articolo di Alice D'Este per “il Corriere della Sera” giovedì 10 agosto 2023.
«Mare pulito, servizi impeccabili e prezzi bassi: sembra uno spot pubblicitario ma non lo è, le cose in Albania stanno veramente così». Massimo Candotti, storico responsabile della comunicazione del Calcio Padova e ora con lo stesso ruolo in «World Appeal», come molti veneti (e italiani) quest’estate ha scelto il Paese oltre l’Adriatico per le sue vacanze. […]
Affollato dunque ma solo relativamente?
«Sì, al di là di una località particolare, cioè la zona di Ksamil che è quella più turistica, non c’era ressa. C’erano tanti italiani però, e anche parecchi tedeschi».
E nelle altre zone?
«Risalendo verso nord il mare rimane molto bello e i turisti diminuiscono. Può valere un Salento, diciamo. Ci sono spiagge molto attrezzate, per chi ama il genere, lettini con il materasso, ombrelloni di paglia, stabilimenti ma anche spiagge libere, più selvagge con un mare bellissimo».
Anche i servizi sono di alto livello?
«Sì, il preconcetto dei servizi inadeguati non ha conferme. L’Albania sta diventando una meta turistica importante. Sono organizzati molto bene. Sono pronti a ricevere i turisti. Se dovessimo fare una battuta potremmo dire che hanno un livello di educazione superiore a quella dell’italiano medio».
E i costi?
«C’è una grossa forbice. In alcuni posti molto turistici i prezzi sono allineati all’Italia. Andando verso l’interno, invece, o in montagna i prezzi sono sicuramente inferiori. La grande differenza si vede soprattutto nei costi di albergo e B&b, che vanno da 30 a 50 euro per due persone». […]
Estratto da fanpage.it mercoledì 9 agosto 2023.
Olivia Wilde ha scelto di nuovo l'Italia per le sue vacanze. In particolare, la famosa attrice e regista si sta fermando in Puglia, dove ha sviluppato una comprensibile dipendenza dai taralli. In uno dei video condivisi su Instagram, l'attrice ha posto ‘una semplice domanda per l'Italia‘: "Cosa sono questi? Non riesco a smettere di mangiarli, ne sono dipendente". Grande ilarità scaturita dalle successive stories, nelle quali ha mostrato il banco di prodotti tipici che la sta rifornendo di queste prelibatezze e per concludere una busta piena di taralli che le sarebbero serviti ‘almeno per arrivare a ora di pranzo'.
Ma la Puglia non è solo cibo, è anche tanta musica e Olivia Wilde non si è lasciata sfuggire una classica serata estiva, complice il fatto che nessuno in strada pare l'abbia riconosciuta. Fa strano infatti vederla in una piazzetta con un po' di persone a contorno […]
Estratto dell'articolo di Michelangelo Borrillo per il “Corriere della Sera” venerdì 11 agosto 2023.
[…] I taralli. Se ne mangi uno, non puoi più fermarti. Adesso lo ha scoperto anche l’attrice e regista americana Olivia Wilde che, tra Monopoli e […] si è resa conto di non poter «più smettere di mangiarli». I taralli, però, […] almeno in Puglia, sono una cosa seria. Tanto che quando qualcuno si mette in testa l’idea di cambiarne la lavorazione, scoppia una guerra.
Sempre a causa di quei maledetti prezzi, che da qualche anno a questa parte sono ricominciati a salire, come negli Anni ‘70 […]. Al tempo dell’inflazione alle stelle, qualcuno, in Puglia, ha infatti pensato di poter risparmiare sugli ingredienti dei taralli: niente più farina, olio di oliva e vino rigorosamente bianco, come da ricetta tradizionale […] ma solo farina e olio.
[…] La proposta non ha avuto seguito, perché subito sono divampate le polemiche. Ma mentre i pugliesi si ingegnano per non far rincarare i prezzi dei taralli — diciamolo, l’unico prodotto alimentare che unisce le tre Puglie, perché focaccia e panzerotti, in Salento, non sono tanto apprezzati, come avviene per il pasticciotto nel nord della regione — arrivano i vip e li promuovono. Perché Olivia Wilde è solo l’ultima dei famosi che si è innamorata dei taralli.
Prima di lei la numero uno al mondo per la promozione: nientemeno che Madonna che nei mesi scorsi ha condiviso sui social (e dove, se no) un video in cui si trova attorno a un tavolo con il suo team e racconta del tour che la porterà anche in Italia mangiando taralli pugliesi. Ovviamente scoperti in una delle masserie di cui sopra. E tra Madonna e Wilde, non poteva mancare l’influencer numero uno in Italia: Chiara Ferragni, che sempre in un recente soggiorno in Puglia si mostra a colazione con i taralli […]
La pubblicità, si sa, è l’anima del commercio. Quindi la promozione dei taralli non può che essere gradita ai pugliesi: ormai Londra e Parigi sono piene di burrate, ben venga la scelta di accompagnarle con i taralli (altra accoppiata gastronomica vincente). A un patto, però. Che non finisca come con le friselle: un piattino di taralli a 16 euro come le friselle per i vip, i pugliesi non lo tollererebbero. Perché il tarallo li accompagna sempre e per tutta la vita: in spiaggia, in treno, anche in aereo, che siano pugliesi bambini, adulti o anziani. Per cui, mangiatevi i taralli, mangiatene tutti; ma questa volta lasciate stare le leggi dell’economia: per i rincari fermatevi alle friselle.
Estratto dell'articolo di Carlotta De Leo per corriere.it mercoledì 16 agosto 2023.
Estate 2023, è disfida della parmigiana o dell'insalata di riso, a seconda dei gusti. A innescarla, le segnalazioni di cartelli all'ingresso degli stabilimenti che vietano di portare il pranzo al sacco. Ma questi divieti sono regolari? «I cittadini hanno piena facoltà di introdurre cibi e bevande» scandisce Massimiliano Dona, avvocato, giornalista e presidente di Unione Nazionale Consumatori.
Nelle intenzioni dei gestori, per mangiare e bere qualcosa ci si dovrebbe rivolgere al bar o al ristorante del lido. «Ma il titolare ha una concessione che riguarda i servizi in spiaggia, dai lettini agli ombrelloni. Non ha invece, il monopolio sulla ristorazione. E questo significa che chi entra nel lido o chi è di passaggio per andare alla spiaggia libera, può portare con sé il pranzo o decidere di andare in un bar più in là perché magari il ghiacciolo costa meno». Insomma, «non possiamo portarci da casa una sedia sdraio, ma un panino e una bibita sicuramente sì» spiega Dona.
I divieti esposti, quindi, «non sono legittimi. Men che meno lo sono i controlli all'ingresso. Non si possono aprire le borse o chiedere di mostrarne il contenuto. Perquisizioni o ispezioni possono essere svolte solo dalle forze di polizia e solo in alcune circostanze». E come reagire? «In caso di problemi si può fare un segnalazione alla capitaneria di porto che si occupa della vigilanza del demanio marittimo e quindi anche degli stabilimenti».
Ai bagnanti però non è tutto concesso: cibo e bevande devono essere consumati nel rispetto del decoro della spiaggia. […] «Il concetto di 'decoro' è difficile da delimitare e così alcuni lidi tollerano i panini ma vietano le teglie di lasagna. In ogni caso, l'invito è sempre a usare il buonsenso per rispettare tutti». […]
La Cnn critica il turismo italiano compresa la Puglia : “Fregature vergognose contro i turisti”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 20 Agosto 2023
Il settore dei lidi balneari non è stato risparmiato dalle critiche, con l’emittente americana che ha definito “i peggiori delinquenti” i gestori che noleggiano lettini e ombrelloni. In alcune località, come la Puglia, i prezzi per il noleggio di due lettini e un ombrellone possono raggiungere i 50 euro durante la settimana e quasi raddoppiare nel fine settimana.
L’articolo della Cnn dal titolo “Le fregature vergognose a danno dei turisti in Italia” pubblicato neo giorni scorsi sul sito dell’emittente televisiva americana comincia così: “Una vacanza in Italia può essere un’esperienza impagabile, ma l’estate del 2023 passerà alla storia come un delle più costose di sempre, con una serie di scandali sui prezzi nei bar e nei ristoranti che hanno colpito allo stesso modo sia i turisti stranieri che gli italiani“.Nel servizio vengono descritti minuziosamente tutti gli episodi documentati e pubblicati in questi giorni dalle testate italiane e sui socialnetwork, dai 2 euro in più per tagliare un toast a metà sul lago di Como alla richiesta dello stesso sovrapprezzo è stato chiesto per ottenere un piatto vuoto in un ristorante di Portofino., così come lo stesso sovraprezzo alla stessa cifra + stato chiesto per scaldare un biberon nel microonde sul litorale Ostia (Roma).
Anche la Puglia non viene risparmiata: “Gli stabilimenti balneari in cui si affittano ombrelloni e lettini sono tra gli esempi peggiori. In Puglia il noleggio giornaliero durante la settimana è di circa 50 euro, il doppio nei weekend” ma, come evidenza sempre l’articolo della CNN , più a nord in Liguria un posto in prima fila sulla spiaggia può arrivare a costare fino a 150 euro. “L’estate del 2023 sarà una delle più costose della storia”, ha dichiarato l’emittente Usa, riportando come esempi anche i 2 euro extra per un piatto vuoto a Portofino e i 60 centesimi in più per l’aggiunta di cacao al cappuccino.
Il settore dei lidi balneari non è stato risparmiato dalle critiche, con l’emittente americana che ha definito “i peggiori delinquenti” i gestori che noleggiano lettini e ombrelloni. In alcune località, come la Puglia, i prezzi per il noleggio di due lettini e un ombrellone possono raggiungere i 50 euro durante la settimana e quasi raddoppiare nel fine settimana.
Nel servizio della CNN viene anche spiegato come i rincari non stanno colpendo solamente la ristorazione ed i servizi, ma qualsiasi settore: in generale “I prezzi alti di carburante ed energia stanno rendendo quest’estate incredibilmente costosa“, è ,scritto ancora, e qui vene chiamata in causa la Puglia, regione in cui , insieme alla provincia autonoma di Bolzano, la benzina è stata venduta agli sfortunati automobilisti ai prezzi più alti in Italia. Un trend negativo per i turisti, che ha indotto persino gli italiani a trascorrere le vacanze in Paesi vicini (e più economici) come Grecia, Albania e Montenegro, aggiungendo anche che “anche la premier Giorgia Meloni ha trascorso qualche giorno in Albania”. Ma nell’ articolo della CNN non viene spiegato che, in quel caso, si è trattato di un invito ricevuto dal primo ministro Edi Rama durante una settimana nella quale il presidente del Consiglio si trovava con la famiglia in una masseria di Ceglie Messapica (Brindisi).
Prezzi pazzi anche a Roma dove due turisti americani Betsy e James Cramer, contattati dalla Cnn, si sono detti imbarazzati dall’ammettere quanto hanno pagato per due Aperol Spritz in un bar di Piazza Navona. “Abbiamo pagato più del dovuto per il gelato, per gli spritz e per il nostro hotel, ma lo sapevamo“, ha sottolineato Betsy Cramer alla Cnn. ”Avevamo programmato questo viaggio prima del Covid e lo abbiamo sognato anche se abbiamo letto i titoli sui prezzi costosi’‘
L’ articolo dell’ inviata della CNN si conclude con un riferimento al turismo di lusso, che quest’estate ha fatto segnare il record di quasi 12 milioni di ospiti nelle strutture a cinque stelle e che ha ottenuto risultati migliori, anche in Puglia, rispetto a quello ordinario. Un trend confermato dal fatto che diversi maison del lusso, da Dolce&Gabbana che ha portato e fatto sfilare in Puglia le proprie collezioni di Alta Moda e Alta Sartoria) e Valentino che ha presentata la nuova linea di profumi, a Monopoli, hanno scelto la Puglia . La crociera extralusso Emerald Azzurra, che trasportava cento Lamborghini di tutti i colori per i suoi croceristi è partita da Brindisi facendo tappa a Monopoli e Manfredonia prima di dirigersi verso le coste croate e montenegrine.
“Scontrini pazzi”, scrive la giornalista Latza Nadeau citando le associazioni consumatori italiane che riferiscono di un aumento del 130 per cento dei prezzi in alcune zone turistiche italiane, fino al 240% in più rispetto ad altre mete del Mediterraneo, racconta la ‘fuga’ nei balcani alla ricerca del risparmio,. “Sharm el Sheik costa meno” fa notare Paolo Manca di Federalberghi, facendo l’esempio della Sardegna dove “una famiglia può pagare fino a mille euro al giorno”, considerando i costi di traghetto o aereo, dell’hotel e dei pasti. Per questo gli italiani stessi vanno all’estero. Redazione CdG 1947
La premier Giorgia Meloni? Vacanze top secret in una masseria pugliese. Un vero e proprio amore a prima vista quello «sbocciato» tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e Fasano. GINO BIANCO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Agosto 2023
FASANO - Un vero e proprio amore a prima vista quello «sbocciato» tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e questo territorio. Dall’altra sera, infatti, la premier, dopo aver concluso uno dei Consigli dei Ministri più importanti, è volata in Puglia in maniera del tutto privata per trascorre un po’ di tempo con la propria famiglia.
Dove? Top-secret per tutti, anche se sono in molti a scommettere che abbia scelto ancora una volta Borgo Egnazia dove la riservatezza è la prima regola. L’altro ieri, per chi legge, la premier è stata notata, più che altro per la scorta che la segue, in alcuni posti della zona. «Un atteggiamento, il suo – ha spiegato chi l’ha incontrata casualmente - del tutto informale. Una semplice turista senza troppe formalità». Insomma, in perfetto stile Meloni. La prima visita risale ad alcuni mesi addietro quando, in veste ufficiale, a quanto pare, è arrivata in zona per verificare personalmente alcune strutture idonee ad ospitare il prossimo G7. Poi è tornata nuovamente in forma privata per qualche ora di vacanza. E ora il ritorno. Intanto, quando tutto è coperto da una grande riservatezza, a giorni dovrebbe arrivare la decisione formale che individua questo territorio quale il più idoneo per ospitare il G7. Una grande opportunità verso la quale un po’ tutti, dalle pubbliche amministrazioni alle strutture ricettive, devono essere preparate.
Essere preparati non significa, come purtroppo sta accadendo per la ristorazione in questo periodo, aumentare sproporzionalmente i prezzi, bensì compiere uno sforzo comune per evitare brutte figure di fronte al mondo intero che seguirà il G7.Certamente, da parte loro, determinate strutture esistenti non hanno bisogno di insegnamenti e lo hanno dimostrato nel corso degli anni con una altissima professionalità apprezzata in tutto il mondo.Ma torniamo alla presenza della Meloni che fortunatamente è arrivata con il bel tempo che sta accompagnando la sua vacanza dopo qualche temporale dei giorni passati. Mare cristallino, piscine favolose, cibo di alto livello sono gli ingredienti che staranno ancora una volta, certamente, conquistando il Presidente Meloni.Una bella storia a dimostrazione di come a vincere è stata la lungimiranza di alcuni imprenditori che circa vent’anni addietro decisero di investire proprio in questa zona. Zona oggi ambita dal turismo di qualità a livello mondiale e finanche dall’organizzazione del G7: un premio per il territorio.
Estratto dell'articolo di Giuseppe Scuotri per corriere.it martedì 29 agosto 2023.
Ormai sembra quasi la norma. Clienti consumano il pasto al ristorante, poi alzano i tacchi e scappano senza pagare il conto. […] stavolta il gruppo di italiani a darsela a gambe era a Malta. Per la precisione, a Msida, lo scorso 25 agosto. Ma, questa volta, i "furbetti" non sono riusciti a farla franca.
Con la scusa di fumarsi una sigaretta, il gruppo di giovani si è alzato dal tavolo del «Pasta & Co.» ed è uscito fuori. Poi, la fuga. Il conto da 100 euro è rimasto in capo al locale, che ha denunciato i clienti alle autorità. Uno dei proprietari, italiano, ha riconosciuto l'accento siciliano dei clienti, così ha contattato i quotidiani locali per provare a trovare i colpevoli.
E la mossa ha dato i suoi frutti.
Una volta arrivata in Italia, la storia è balzata agli occhi di un uomo, che tra quei ragazzi (nonostante i volti coperti) ha riconosciuto suo figlio. «Mi ha telefonato chiedendo i miei dati per saldare il dovuto — racconta il proprietario del ristorante - Mi ha raccontato che il figlio si è pentito subito, piangeva a dirotto. Io gli ho detto che ho apprezzato moltissimo il suo gesto, che si vedeva fosse una persona onesta e un padre esemplare, ma che non ci fosse bisogno di saldare un conto da 100 euro.
Lui però ha continuato a insistere, così gli ho proposto di devolvere la somma ad Arka un’organizzazione dell’isola di Gozo che si prende cura di persone con disabilità. La mia idea lo ha colpito molto e, alla fine, mi ha richiamato annunciando di aver donato ben 250 euro. Noi, per conto nostro, a quel punto siamo tornati dalla polizia e abbiamo ritirato la denuncia», ha detto. Poi, l'idea del papà: «Vi mando mio figlio a lavorare gratis la prossima estate». L'offerta è stata declinata, ma i proprietari del ristorante hanno apprezzato il gesto.
Italiani non pagano il conto in Albania, i ristoratori ringraziano Meloni: «Una buona madre severa che dà l’esempio a casa sua». Storia di Benedetta Moro su Il Corriere della Sera sabato 19 agosto 2023.
Una foto con un barattolino in vetro e dei soldi al suo interno, appoggiato in bella vista sul bancone. Il denaro - si intravede una cifra, 5000 - sono gli ormai famosi 8.451 lek, ovvero gli 80 euro che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni - non senza suscitare polemiche - ha fatto recapitare di tasca propria via Ambasciata italiana a Tirana ai proprietari del ristorante «Guva Mangalem» di Berat, in Albania, dove nei giorni scorsi quattro turisti italiani sono scappati senza pagare la cena. L’immagine è stata pubblicata dagli stessi titolari del locale su Facebook, Viku Kadëna e la moglie Gabriela, affidandosi allo stesso social che ha utilizzato Meloni qualche ora prima spiegando il perché del proprio gesto. E poi, sotto, un lungo messaggio, una sorta di ringraziamento alla premier ai quattro giovani ospiti non paganti, e allo stesso tempo una dichiarazione di affetto nei confronti degli italiani. «Quei cittadini italiani che son andati senza pagare ci hanno fatto u na grande pubblicità alla nostra città. Li ringraziamo!», si legge nel post, che poi prosegue: «Abbiamo detto già quel giorno che non c’era alcun problema con gli italiani, che si devono sentire a casa propria qui, vengono in tanti, così come è avvenuto con la nostra famiglia in Italia quando eravamo noi degli emigrati. Abbiamo anche detto che il cibo ai quattro clienti è piaciuto molto. Speriamo che abbiano speso quei soldi per qualcosa di bello!».
Aveva stupito la reazione del ristoratore Viku Kadëna, che invece di rincorrerli, arrabbiarsi e soprattutto denunciare il gruppo, aveva semplicemente augurato loro di aver speso altrove e bene quel denaro. Lo aveva fatto sempre in un post, corredato da un video dei turisti italiani ripresi dalle telecamere del locale mentre scappavano. Quegli ottanta euro, spiegano i ristoratori nel post, per loro non fanno la differenza, nonostante non navighino nell’oro. Ecco poi la parte del testo in cui si esprime riconoscenza nei confronti di Meloni, definita come «buona madre severa». «Ringraziamo di cuore Xhorxha (Giorgia, ndr) Meloni una vera signora! Noi non siamo ricchi, lavoriamo duramente e come famiglia non guadagniamo così tanto da non farci impressione da quei soldi! Ma questa non è una questione di denaro per noi e siamo molto toccati dal suo gesto! Un grande esempio di dignità da una buona madre severa che dà l’esempio a casa sua! Grande Xhorxha (Giorgia, ndr)! La amiamo molto visto che anche noi siamo per metà italiani. Ci ha onorato tantissimo venendo in vacanza a Valona!».
Video correlato: Albania, turisti fuggiti dal locale senza pagare: Meloni salda il conto (Mediaset)
E poi una promessa: i soldi «resteranno qui nel ristorante come ricordo straordinario e anche contro il malocchio!».
La mossa populista. Il conto-simpatia pagato da Meloni in Albania, la premier trasforma ambasciatori in commessi e dimentica le altre ‘vergogne’ italiane. Redazione su Il riformista il 19 Agosto 2023
Una mossa populista, mediatica ma soprattutto incoerente. Un’azione simpatia quella della premier Giorgia Meloni che non deve però far ridere nessuno. Perché pagare il conto agli italiani scappati dal ristorante in Albania, trasformare i funzionari dell’ambasciata in ‘commessi’, inviandoli dal proprietario dell’attività per saldare i circa 80 euro (che avrebbe messo sul piatto la stessa presidente del Consiglio), lancia un messaggio assai equivoco. Quello che dietro a ogni marachella c’è lo Stato pronto a metterci una pezza. E infatti sui social i commenti si sprecano. “Stasera cena a Ibiza? Offre Meloni” e così via.
Ma soprattutto l’atteggiamento della stessa premier, che dice di essersi vergognata per l’azione dei suoi connazionali, non sempre è lo stesso quando ci sono altri episodi di cui vergognarsi, a partire dalle parole del ministro Piantedosi dopo la strage di Cutro, o da quelle del presidente del Senato Ignazio La Russa dopo le accuse di violenza sessuale rivolte al figlio.
Un episodio che ha scatenato le opposizioni e che ha visto l’immediata contro-replica della premier che torna sulla vicenda: “Mentre mi trovavo in Albania il Primo Ministro Rama mi racconta la storia di 4 italiani che in un ristorante del posto erano scappati senza pagare il conto. Il ristoratore, dopo che le immagini della fuga erano diventate virali, aveva detto che era comunque felice perché i nostri connazionali avevano mangiato bene ed erano rimasti contenti. Mi sono vergognata – scrive la premier sui social – perché l’Italia che voglio rappresentare non è una Nazione che fa parlare di sé all’estero per queste cose, che non rispetta il lavoro altrui, che pensa di essere divertente fregando gli altri. Allora ho deciso di chiedere all’ambasciatore di andare a saldare il conto, che ho pagato personalmente. Niente di che, infatti io non ne ho neanche dato notizia”.
“Eppure – continua Meloni – anche questo in Italia ha creato polemica, da parte di un’opposizione che evidentemente preferisce un’altra immagine dell’Italia. Me ne dispiace perché speravo che almeno su una cosa così banale si potesse essere tutti d’accordo”.
Il video, diventato virale su TikTok, immortala un gruppo di italiani ripresi dalle videocamere di sorveglianza mentre scappavano da un ristorante a Berat senza pagare il conto. Così la premier, che si trovava in Albania, ha deciso di saldare il conto e ripulire l’immagine dell’Italia con quel perentorio “vada subito a pagare il conto di questi imbecilli per favore, e faccia un comunicato. L’Italia non può permettersi di essere disonorata all’estero” che avrebbe riferito all’ambasciatore italiano a Tirana.
“Dietro a questa idea balzana per cui se mi ubriaco in discoteca lo Stato mi paga il taxi, e se scrocco la cena in Albania lo Stato mi paga il conto, non c’è solo il disprezzo di chi paga le tasse. C’e’ un’idea paternalistica, onnicomprensiva e distorta delle istituzioni pubbliche”, ha scritto su twitter Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva e Azione al Senato. “Ecco l’estrema frontiera del populismo: tutti impuniti, tanto paga Giorgia. Mi chiedo se questa regola da oggi in poi varrà anche all’interno del territorio nazionale e non solo all’estero. Alla faccia di tutti i cittadini italiani onesti che pagano il conto al ristorante. Se Giorgia voleva fare la paladina dell’italianità ci è riuscita benissimo: fai come ti pare, tanto paga Pantalone” ha dichiarato Riccardo Magi di Più Europa.
Duro anche Emiliano Fossi, deputato del Pd: “Ha perfettamente ragione la premier Meloni a vergognarsi degli italiani scappati in Albania senza pagare il conto al ristorante. Doveva però vergognarsi anche dei migranti lasciati morire in mare, dei generali xenofobi, dei presidenti del Senato che umiliano le donne vittime di violenza, dei bambini figli delle famiglie arcobaleno che non avranno diritti, della benzina oltre i due euro, dell’inflazione al 10 per cento, di oltre tre milioni di lavoratori poveri e di mille promesse in campagna elettorale mai mantenute. Non basta pagare un conto per lavarsi la coscienza”.
Meloni, difendo l'immagine italiana e l'opposizione polemizza. (ANSA sabato 19 agosto 2023) - Giorgia Meloni si "è vergognata" per il conto non saldato dai turisti italiani in Albania. "L''Italia che voglio rappresentare non è una Nazione che fa parlare di sé all'estero per queste cose, che non rispetta il lavoro altrui, che pensa di essere divertente fregando gli altri", dice sui social la premier, che ha chiesto "all'ambasciatore di andare a saldare il conto, che ho pagato personalmente. Niente di che, infatti io non ne ho neanche dato notizia. Eppure anche questo in Italia ha creato polemica, da parte di un'opposizione che evidentemente preferisce un'altra immagine dell'Italia".
"Mentre mi trovavo in Albania - racconta la presidente del Consiglio in un post sui social - il Primo Ministro Rama mi racconta la storia di 4 italiani che in un ristorante del posto erano scappati senza pagare il conto. Il ristoratore, dopo che le immagini della fuga erano diventate virali, aveva detto che era comunque felice perché i nostri connazionali avevano mangiato bene ed erano rimasti contenti".
"Mi sono vergognata, perché l'Italia che voglio rappresentare non è una Nazione che fa parlare di sé all'estero per queste cose, che non rispetta il lavoro altrui, che pensa di essere divertente fregando gli altri - aggiunge Meloni -. Allora ho deciso di chiedere all'ambasciatore di andare a saldare il conto, che ho pagato personalmente. Niente di che, infatti io non ne ho neanche dato notizia". "Eppure - sottolinea la premier - anche questo in Italia ha creato polemica, da parte di un'opposizione che evidentemente preferisce un'altra immagine dell'Italia. Me ne dispiace perché speravo che almeno su una cosa così banale si potesse essere tutti d'accordo".
IL CONTO IN ALBANIA. Il giustiziere degli scrocconi. Perché Giorgia ne esce alla grande. La premier viene pure contestata per aver pagato il conto lasciato da dei cafoni connazionali. Dovrebbe solo ricevere ringraziamenti. Max Del Papa su Nicolaporro.it il 19 Agosto 2023.
Brava brava donna Giorgia ogni cosa sai far tu, se chi sbafa poi non paga il piè di lista copri tu. E avevano anche il coraggio di prenderla in giro, la nostra premier, siccome è andata in vacanza in Albania. Proprio loro, i compagni senza confini la sfottevano, ma loro in Albania non ci vanno, loro stanno a Capalbio dove gli extracomunitari non entrano se non come sguatteri. E poi, però, quando c’era lei, cari voi, le cose si aggiustavano: donna Giorgia fa cose, donna Giorgia paga conti. Ma fortuna che in Shqipëria c’è andata!!! (tre esclamativi, come usa il letterato generale Augello).
Situazione grottesca, il nostro capo del governo a Tirana un po’ a tirare il fiato e un po’ ad aggiustarsi con l’omologo locale, a difendere la nostra immagine, e, poco distante, il trionfo dell’italian style, un bivacco di magnaccioni si sfonda al ristorante, roba da 5 pasti al giorno, poi scappano tutti e lei prima sbianca, poi, da donna d’azione, reagisce ed agisce. All’inizio si diffonde un certo panico, perché circola la voce, malevola, comunista, che abbia mandato l’ambasciata italiana a pagare: tsk tsk, che fai, paghi sti svaccati coi soldi delle accise? Ma poi, ecco il colpo d’ala che spazza via illazioni e malignità: Giorgia ha pagato coi soldi suoi, incidente chiuso, bocche tappate.
Quel che va detto, va detto: donna Giorgia ne è uscita alla grande, nel modo più semplice, immediato, preciso. Laddove altri predecessori, anche non lontani, se mai si sarebbero uniti, per vocazione, per istinto, agli scrocconi (i quali però andrebbero rintracciati, sputtanati e presi a pedate nel culone farcito, perché non è possibile, dai). Eh, se solo la lasciassero fare, la nostra Donna Giorgia. Cos’è il governo? È fantasia, intuizione e velocità d’esecuzione: da una possibile figuraccia abissale, per colpa di quattro bestioni che immaginiamo simili a milanesi imbruttiti o a caricature di Checco Zalone, siam passati a un esempio di dignità, condita dalla sana cazzimma che non guasta: pare che, appena saputo della prodezza, Giorgia si sia incazzata come un rinoceronte, con tanto di commenti irriferibili, roba da gettarle le braccia al collo.
Ma vediamo come avrebbe reagito un altro premier nei suoi panni. Un democristiano da prima Repubblica avrebbe congiunto le mani, invitando al rispetto dei valori umani e cristiani. Un comunista, tipo Massimo D’Alema, l’avrebbe buttata sul disprezzo per comportamenti senza dubbio ascrivibili a certa subcultura di destra. Piero Fassino avrebbe sventolato il cedolino parlamentare. Mario Monti avrebbe lanciato una manovra lacrime e sangue per pura rappresaglia. Giuseppe Conte dal resort a 18 stelle avrebbe ribadito la necessità del reddito di vacanza per evitare simili incresciosi episodi. Mario Draghi avrebbe proposto la reintroduzione del greenpass così nessuno può scappare. Insomma tutti ci avrebbero girato intorno, fottendosene alla grande. Giorgia no. Lei fa cose, risolve problemi.
Poi cercano di farle le scarpe, la destra estrema lunatica le tira tra i piedi il petardo di un generale da operetta, considerandola traditrice di una tradizione francamente esaltata e fascistoide che Meloni mai ha praticato, per anagrafe e sensibilità personale. La nostra premier è tutto fuorché una fascista estetica, è se mai una della destra statalista provvidenziale e punitrice, in sintonia con la sinistra tassatora e moralistica ed è questo a preoccupare, e magari a sconcertare i quattro pirla liberali libertari che siamo, che ci ostiniamo a rimanere nel fraintendimento e nel disprezzo generale. E che questo generale Augello, subito pompato da qualche testata in odor di destra estrema, sia uscito dal nulla, fa ridere solo a dirlo: stanno cercando di contarsi, tempo una settimana e questo personaggino annuncerà un partito o movimento, salvo scoprire subito che i furibondi convinti che il loro eroe dice la verità “perché ha detto quello che penso io” sono pochini in prospettiva elettorale, solita pazza idea da golpetto all’italiana, dopodiché il momento Chiara Ferragni evaporerà.
Ma non divaghiamo: solo per dire che Giorgia è assediata da tutte le parti, dalla sua sinistra alla sua destra, l’Europa la tiene comunque nel mirino, Biden le spiega che finché lui tiene su la guerra in Ucraina lei può stare tranquilla, dopo non si sa, e ogni giorno un ministro apre bocca e purtroppo la usa e lei vorrebbe trasformarsi in Crudelia de Mon. E neanche oltre i sacri confini può trovar pace, se va quattro giorni a tirare il fiato trova subito i cialtroni che grufolano e scappano. A proposito, vuoi scommettere che questi qua son tutti della sinistra climatista e grattaculo, i parassiti che pretendono di venire mantenuti nelle loro crisi d’ansia, risolte solo al momento di fuggire come topi farciti dal ristorante? Max Del Papa, 19 agosto 2023
L'indignazione al cubo. In nome del popolo dei follower, le sentenze della ‘caverna digitale’: basta uno scontrino e il ristorante di turno è condannato…Domenico Giordano su Il riformista il 17 Agosto 2023
È sufficiente una foto. A volte meglio se sfocata perché così acquista la certificazione dell’autenticità a prescindere. Basta postare uno scontrino in una chat di WhatsApp oppure meglio se pubblicato su un account di qualsivoglia social e non è necessario che sia per forza quello di influencer con una platea milionaria di seguaci, per ottenere una condanna. Immediata, con il massimo della pena e senza alcuna possibilità di appello. Una condanna morale, civile, politica o imprenditoriale, a seconda dei casi che affidiamo incautamente all’indignazione digitale. Nei processi sommari che si consumano velocemente sulle piattaforme la fase del dibattimento, quella in cui in un procedimento penale si forma la prova grazie al contraddittorio tra le parti che si confrontano a colpi di documenti e testimonianze, è completamente azzerata. Non serve, non è richiesta, non interessa a nessuno. I processi a mezzo social contemplano e vivono solo di sentenze emesse in nome del popolo dei follower.
Non ci sono indagini, non c’è un rinvio a giudizio e tanto più un’udienza preliminare, al contrario, nelle Procure e nei Tribunali della rete invece siamo soltanto attratti e catapultati in uno vortice di indignazione al cubo, spinti a spingerci dai commenti della giuria popolare dei follower sempre più in là nella sfida della denigrazione e nel dovere immorale di contagiare i nostri simili. È l’algoritmo del pubblico ludibrio a decidere chi è il colpevole da linciare e chi è la vittima che merita una solidarietà tout court. Non ci importa perdere tempo a capire il perché, men che mai siamo interessati a comprendere il contesto, così come non ci sfiora minimamente il dovere e la bellezza del dubbio o indagare anche solo superficialmente le ragioni degli imputati digitali. A noi preoccupa invece legittimare la nostra identità e reputazione digitali osannando il puritanesimo delle shit storm.
Perché – come scrive Byung Chul Han in Infocrazia, le nostre vite manipolate dalla rete – “mentre pensiamo di essere liberi, oggi siamo intrappolati in una caverna digitale” che ha il (de)merito di farci sentire al riparo dalle incertezze e dalla precarizzazione delle nostre vite reali. Essere dei follower ci permette di “prendere parte a una eucarestia digitale”, di appartenere orgogliosamente a una tribù che non ci emargina, che ci fa sentire importanti, che fa battere l’elettrocardiogramma del nostro account, fino a quando beninteso, saremo disponibili a uniformarci alle scie dell’odio, alle sottoscrizioni gratuite di malvagità.
Nelle società delle piattaforme non serve più la P38, non occorre sparare, è sufficiente il T9 del nostro smartphone per continuare la pedagogia del colpire uno per educarne cento, anzi, grazie alla pervasività della rete, basta colpirne uno per educare tutti gli altri.
Questo è successo già migliaia di volte, con danni materiali e biologici che ancora non hanno trovato una seria e compiuta cornice di tutela giuridica, e si è ripetuto ancora qualche giorno fa con la gli scontrini di ristoranti e bar, dalla Liguria alla Sicilia, dalle sponde del lago di Como a quelle delle spiagge della Sardegna, postati come prova inconfutabile di colpevolezza che è tale perché inondanti dai cavalloni di merda digitale e subissati dai gavettoni di odio da ombrellone.
Purtroppo, si ripeterà ancora nelle prossime ore, con altri video e con nuove foto e la nostra coscienza resterà pulita solo perchè alle spalle del giudice influencer campeggia a caratteri cubitali il principio auto-assolutorio “In nome del popolo dei follower”.
Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).
Vacanze 2023: tutti gli aumenti da Nord a Sud. Le vacanze 2023 stanno diventando un vero e proprio lusso. Scopriamo tutti gli aumenti da Nord a Sud. Chiara Nava su Notizoe.it Pubblicato il 8 Agosto 2023
Coloro che si stanno godendo le vacanze in questa estate 2023 si stanno concedendo un vero e proprio lusso. I rincari continuano e sono sempre più evidenti. Scopriamo tutti gli aumenti da Nord a Sud della penisola.
Vacanze 2023, i rincari: tutti gli aumenti da Nord a Sud
Il tempo delle ferie è arrivato e per molti è diventato sinonimo di stress, a causa dei continui aumenti. I rincari per queste vacanze 2023 sono davvero molto significativi. Alla base troviamo sicuramente l’infezione, ma non si tratta dell’unica ragione. Quest’anno chi si sta godendo una vacanza si sta realmente concedendo un lusso, perché i rincari sono alle stelle.
Le previsioni di Federconsumatori a maggio stimavano un aumento di circa 800 euro, rispetto allo scorso anno, per una settimana di vacanza al mare o in montagna, per una famiglia di quattro persone. Una volta iniziata la stagione, Demoskopika ha annunciato la stangata sul turismo di 3,9 miliardi di euro, con rincari significativi nel settore dei trasporti, sui pacchetti turistici e sugli alloggi. Gli aumenti hanno colpito sia il Nord che il Sud, con alcune regioni più care. Le cinque regioni che hanno registrato aumenti maggiori sono: Lazio (+9,5%), Lombardia (+9,2%), Toscana (+9,1%), Molise (+9,1%) e Campania (+9%). L’inflazione non è l’unica responsabile del caro vacanze. Quest’anno ci sono regioni che hanno adottato una politica diversa, più selettiva nei confronti della clientela, puntando sull’aumento die prezzi per diminuire gli accessi sul territorio.
Per riuscire ad andare in vacanza in Italia e spendere relativamente poco bisogna scegliere altre opzioni. Per i giovani è più difficile, perché solitamente scelgono le zone più rinomate, che sono le più costose, per via della movida. Per il resto delle persone si può scegliere una soluzione in camper, che è leggermente più economica e si risparmia anche per quanto riguarda il cibo. L’unico modo per organizzare una vacanza intelligente ed economica, probabilmente, è quella di andare a scoprire quei posti che non vengono presi d’assalto dai turisti, ma che nascondono grandi bellezze.
Vacanze 2023: quanto costano? Aumentano i prezzi del cibo
I prezzi di hotel e ristoranti sono in continuo aumento, ma quello che ha lasciato spiazzati i turisti è l’aumento dei prezzi del cibo. In Versilia una delle pasticcerie più amate di Forte dei Marmi propone una colazione con cornetto e cappuccino a 20 euro. In Liguria la focaccia viene venduta 20 euro al chilo, con il picco di 25 euro a Varigotti. A Rimini una coppetta di gelato due gusti costa 3 euro, mentre a Firenze arriviamo a 6 euro, con un picco di 12 euro per una coppetta grande sul Ponte Vecchio. Sempre a Firenze troviamo una pizza margherita a 14 euro e un caffè a 3,50 euro. In Emilia Romagna una notte in un hotel a 3 stelle a Rimini costa 150 euro a persona. Per una piadina vengono chiesti 15 euro. Anche in Sicilia continuano i rincari, con un ombrellone e due lettini a 30 euro al giorno a Mondello. Nel Lazio, sull’Isola di Ponza, un antipasto per cena, con un piatto di pasta e vino costa 50 euro pa persona. A Ischia troviamo il prezzo della benzina superiore ai 2 euro al litro.
In Puglia, più precisamente a Monopoli, troviamo un lido che offre una sistemazione sotto l’ombrellone a 120 euro al giorno e nella riviera romagnola si sono toccati anche i 500-600 euro per una sistemazione con lettini, divanetti, tavolini e sedie. Per una frittella con pomodoro vengono chiesti ben 16 euro. La zona del Salento ha scelto una politica diversa per questa estate. Se in Romagna si contano anche 50 file di ombrelloni, le spiagge salentine sono più lunghe e strette e in alcuni punti non si riescono a sistemare più di 6 o 7 file di ombrelloni, per questo i prezzi salgono per selezionare la clientela. Negli ultimi anni la Puglia è stata presa d’assalto e devastata a livello naturalistico, per cui ora è diventata una meta turistica di lusso, che si possono permettere in pochi.
L'assessore Micelli: «I prezzi del comparto turistico in Puglia schizzati alle stelle? Ad Avetrana non è così» Manduria Oggi il 07/08/2023
«Ad Avetrana una pizza e birra al tavolo costa circa 12 euro, un caffè al bar un euro, una bibita in lattina 2 euro e così via. Poi la spiaggia e gli spettacoli serali sono gratuiti… » Buona parte della stampa nazionale ha rimarcato nei giorni scorsi gli aumenti dei prezzi che si sono registrati nel comparto turistico. Da Avetrana arriva una determinata reazione da parte dell’assessore al Turismo, Emanuele Micelli. Ecco il suo intervento. «Cari giornalisti distratti (non pugliesi) vorrei dirvi alcune cose. Ad Avetrana (Puglia) una pizza e birra al tavolo costa circa 12 euro, un caffè al bar 1 euro, una bibita in lattina 2 euro e così via. La mattina il nostro ospite può tranquillamente usufruire della splendida costa (scogli o spiaggia) in forma gratuita e la sera può godersi uno spettacolo gratuito nelle nostre piazze facendo anche una passeggiata nel centro storico. Dimenticavo le feste sono gratuite perché quasi sempre finanziate dai commercianti e imprenditori locali. Questo accade ad Avetrana, ma accade quasi ovunque in Puglia. Per quanto riguarda invece i dati sul turismo Pugliese, le somme si tirano alla fine con serenità...
Fate voi il paragone con San Pietro in Bevagna. Un manduriano a Pescoluse, le Maldive del Salento, ci parla di prezzi delle frise ed altro. La Redazione de La Voce di Manduria, giovedì 10 agosto 2023
Sono un vostro lettore e mi sono trovato in vacanza nel sud Salento e specificatamente nella zona di Pescoluse (cosiddetta Maldive del Salento). Leggevo in questi giorni dei presunti prezzi altissimi di queste località, specialmente negli stabilimenti balneari.
Per mia curiosità mi sono recato al famoso "Lido Maldive del Salento" qui a Pescoluse. Premetto che sono un vostro lettore e che spesso frequento le spiagge manduriane e i suoi tre stabilimenti balneari. Continuo a narrare la mia splendida esperienza.
Giunto in nello stabilimento balneare dove mi trovo, ve lo descrivo brevemente: dopo le apposite segnaletiche poste lungo un percorso, si accede in un parcheggio custodito con annesse docce per lavare auto all'uscita. Il costo del parcheggio (comprensivo di lavaggio in uscita), è di 4 euro tutta la giornata. Dopo aver parcheggiato ho fatto accesso nello stabilimento. Si da subito la mia attenzione è stata attratta dal cartello dei prezzi: ombrellone e 2 lettini in prima fila a soli euro 40; il gazebo a 65 euro con 2 lettini; possibilità di docce e uso dei bagni; inoltre bar, centro estetico e ristorante; noleggio imbarcazioni e strumenti per sport in acqua. Il tutto a prezzi davvero competitivi.
Abbiamo consumato 2 caffè seduti al tavolo del bar pagando solo 3 euro. Nella zona ristorazione mi soffermavo a leggere il menù: orecchiette al sugo 8 euro, frise condite con pomodoro e spezie 4 euro, altroché i prezzi folli che si sentono. Leggendo e verificando tutto questo personalmente, mi chiedo il perché di tanta cattiveria mediante pubblicità non veritiera nei confronti di chi svolge il proprio lavoro onestamente. Non credo che negli stabilimenti balneari di San Pietro in Bevagna o di Campomarino vi siano costi inferiori eppure i riflettori vengono puntati (ingigantendo le situazioni) solo su alcuni stabilimenti. La mia è una pura osservazione ed un invito a frequentare la nostra Puglia. Lettera firmata
In attesa dei dati ufficiali. "Care" vacanze, ma il direttore di Confcommercio invita a non generalizzare. La Redazione de La Voce di Manduria,l'8 agosto 2023
«Tenetevi pure la frisedda e la puccia, io vado all’estero dove pago meno e ho un servizio migliore». Così, sul social Facebook, si sfoga un utente del posto riferendosi alla località marittima di questo versante della Puglia rispetto ai suoi prezzi ritenuti «proibitivi». I ristoranti, i lidi, gli hotel, i parcheggi, i bar, le case: tutto sarebbe cresciuto eccessivamente tanto da allontanare i vacanzieri dalle marine di Manduria. E a leggere i tantissimi commenti di lamentele accondiscendenti, sotto il posto dell’autore delel critiche, non ci si stupirebbe. Ma c’è stato realmente un aumento dei prezzi tanto da far scappare i visitatori? E di quanto?
«Signori operatori i miei soldi non ve li regalo», ha scritto con certa rabbia l’uomo. Eppure per il direttore di Confcommercio, Tullio Mancino, questo spauracchio del caro prezzi dev’essere ridimensionato. «Si sta generalizzando e strumentalizzando troppo», ha spiegato fermamente Mancino già a conoscenza della rimostranza dei turisti. «C’è una lamentela comune è vero, ma bisogna però capire caso per caso e non generalizzare». Si dovrebbe dunque considerare le scelte di ogni singolo commerciante per poi fare una panoramica consuntiva più ampia, ma «al momento non abbiamo elementi su cui poter fare un confronto corretto, dopo Ferragosto sì», fa sapere il direttore lasciando in sospeso la scottante questione. Dati ufficiali dunque ancora non ce ne sono, ma il caro prezzi sulle marine manduriane è ugualmente percepito da moltissimi tanto da preferire una vacanza fuori confini, in Albania ad esempio, che quest’anno ha sbaragliato la concorrenza. Secondo il motore di ricerca sui voli eDreams, la meta estera più cliccata dagli italiani è Tirana, in Albania per l’appunto, un posto marittimo (non molto diverso dalla Puglia) ma rinomato per la sua economicità.
Ciononostante la Puglia ha attestato un aumento parziale del gettito della tassa di soggiorno: «Più del 3% rispetto al 2022», fanno sapere, invece, le autorità del comune di Vieste, nel foggiano, investiti anche loro dalle lamentele sull’impennata dei prezzi. «Dipingere Vieste e la Puglia come residenze di Montecarlo sembra più una campagna volta a denigrarne la loro formidabile e fulminante ascesa nell’industria delle vacanze», sostengono a gran voce. In effetti secondo il monitoraggio Ipsos Future4Tourism, la maggioranza degli italiani continua a prediligere il Bel Paese e le mete balneari, sebbene si registri anche una ripresa delle mete europee ed extra-europee. Tra giungo e settembre il 67% resterà in Italia, in lieve calo rispetto all’estate 2022, preferendo città come Catania, Napoli, Palermo, Cagliari, e per la Puglia Porto Cesareo e Gallipoli. Chissà, alla fine, quale sarà la meta prediletta del turista arrabbiato sui social. Marzia Baldari
Poi ci sono i rinnegati.
Puglia «smeralda»: il caro-prezzi spaventa i vacanzieri, ma resta la più gettonata tra gli stranieri. A spiccare secondo l’indagine per le tariffe elevate nel panorama regionale è proprio la perla salentina dello Ionio. BARBARA POLITI su La gazzetta del Mezzogiorno il 3 agosto 2023
Il tam-tam viaggiava fra gli addetti ai lavori già da qualche giorno: meno turisti negli stabilimenti balneari, poco flusso per le strade di borghi solitamente presi d’assalto, minore consumo di prodotti food&wine (e quindi calo degli ordini) nelle attività di ristorazione. Archiviato il mese di luglio, è l’Adoc a spiegare le cause della palpabile diminuzione del turismo in Puglia, con tanto di indagine sul campo. «Dal Gargano al Salento, i prezzi sulle spiagge pugliesi sono molto più alti rispetto a Grecia e Albania. A Gallipoli, ad esempio, per una giornata al mare (compresa la consumazione al ristorante) e una notte in un B&B, una famiglia di quattro persone arriva a spendere fino a 500 euro», sentenzia Giulia Procino, presidente di “Adoc Puglia”.
Snocciolando i numeri dell’analisi, così, si scopre che a spiccare per il caro-prezzi nel panorama regionale è proprio la perla salentina dello Ionio. Dai 35 ai 50 euro per un ombrellone e due lettini, dai 106 ai 265 euro per una matrimoniale senza troppe pretese e fino a 150 euro a cranio per un pranzo al ristorante. Senza dubbio più economici il Gargano - dove la media di spesa complessiva per una famiglia di quattro membri si abbassa a 300-400 euro - e le marine del tarantino; a Pulsano ombrellone e due lettini costano tra le 20 e le 40 euro. Prezzi lievitati invece in provincia di Bari: per una notte nella bellissima Polignano a Mare si parte da 250 euro a notte (escluse dall’analisi, ovviamente, le strutture extralusso). Se i turisti scappano, insomma, è colpa dei prezzi. Parola di Adoc: «Prezzi aumentati per tutti i servizi turistici e difficoltà economica post Covid. Sono tante le famiglie che hanno rinunciato alle vacanze o che comunque hanno scelto mete più economiche, anche a costo di andare all’estero». Secondo le stime, il calo si aggirerebbe intorno al 20%.
E se c’è chi pensa al “complotto dell’estate”, come il consigliere regionale della Lega (nonché titolare del lido “Samarinda” a Santa Maria di Leuca), Gianni De Blasi, in tanti ritengono invece che all’origine della fuga ci siano proprio i costi eccessivi. «Assistiamo a una campagna denigratoria, nata dalla stessa Puglia e diffusasi a livello nazionale, impegnata a raccontarci quanto siano lunari e sproporzionati i prezzi nelle nostre strutture, con una deformazione e generalizzazione della realtà che produce un danno di immagine ed economico alle nostre attività che, ogni giorno, combattono la morsa della crisi economica», tuona il consigliere. Una «narrazione drogata – continua - che racconta di una Puglia in cui non si può andare al mare senza spendere meno di 100 euro al giorno per una postazione in spiaggia e fino a 500 euro per una notte in un B&B».
Caro prezzi. Pagliaro: “Stop a campagna denigratoria verso il Salento. Qui, come altrove, servizi e costi per tutte le tasche”. Da Consiglio.puglia.it. Nr.: 1364 del 04/08/2023 12:52 Turismo
Nota del consigliere regionale Paolo Pagliaro, capogruppo "La Puglia Domani" e presidente "Movimento Regione Salento".
“Da giorni leggo ovunque notizie su un caro prezzi che riguarda il Salento. Sinceramente mi sembra una campagna denigratoria verso il nostro territorio. Dovremmo essere tutti più lucidi nella descrizione delle storie e dei numeri. Si parla di un calo di presenze ma i conti si dovrebbero fare alla fine della stagione, era preventivabile tutto questo, perché i rincari quotidiani tra carburante, cibo e bollette varie, ha costretto molte famiglie a rivalutare le opzioni per le vacanze. Già nel 2019, ultimo anno pre Covid, registrammo un lieve calo di presenze dopo il boom degli anni precedenti. Calo fisiologico ma già mettevamo in guardia su un’ulteriore flessione, se non si fosse intervenuti per qualificare e differenziare l’offerta turistica, per formare il personale, per offrire servizi su misura per le varie fasce di clientela.
"Premesso che sono contrario ad ogni forma di speculazione e ai prezzi esagerati, c’è da dire che vengono esposti o indicati prima, lasciando a ciascuno la scelta di spendere quelle cifre oppure no. Quali sono i prezzi fuori mercato? Semplice: se scegli di andare in una piccola realtà, magari decentrata rispetto a quelle più gettonate, non puoi pagare le stesse cifre. Tutto devo essere proporzionato tra domanda e offerta. I costi devono essere chiari prima, nessuno deve subire sorprese. Paragonare però i nostri prezzi a quelli della Grecia o dell’Albania (ed anche lì spendi a seconda di dove scegli di andare) è una scorrettezza. Non ho mai letto da nessuna parte, tanto per essere chiari, che i Caraibi sono più cari del Salento. Lo si dà per scontato.
"Detto questo, arrivati nel Salento, ci sono chilometri di costa libera e di scogliere meravigliose. Se una famiglia vuole risparmiare può risparmiare. Però se qualcuno, come Ansa ieri, fa un titolo “Turismo, fino a 500 euro a famiglia per un giorno nel Salento”, rimango perplesso. Famiglia? Quattro persone? Mangiare, dormire, spiaggia privata costo 500 euro? Io mi fermerei un attimo prima di dire che è caro. Di cosa stiamo parlando? Chi prenota ha scelto il Salento. Siamo in un libero mercato. Qui nel Salento ci sono meraviglie per tutte le tasche. Lungi da me però avallare le esagerazioni, l’ho premesso e lo ripeto. Lo dice la saggezza popolare salentina: “Comu spiendi mangi”. Ognuno scelga quanto può spendere, dove andare e cosa mangiare. Perché tutto questo rumore intorno al Salento? Ma veramente pensate che i problemi del Salento siano i prezzi alti?
"Noi combattiamo ogni giorno per i veri problemi di questa terra, e chi vuole provare a risolverli, chi vuole unirsi a noi, venga, lo aspettiamo a braccia aperte. Abbiamo alzato le barricate contro l’eolico offshore e il fotovoltaico selvaggi che sfregiano il paesaggio e la bellezza; ci battiamo da sempre per servizi dignitosi nella stazione di Lecce, declassata da stazione di testa della linea ferroviaria nazionale ad infrastruttura periferica e di serie B, senza scale mobili né ascensori a disposizione degli utenti, costretti a trascinare il peso dei bagagli. Per i passeggeri di Salento in Bus il capolinea è la Camera di Commercio, con un lungo tratto da percorrere a piedi per arrivare in stazione; sono da terzo mondo le linee i collegamenti con la linea ferroviaria locale e con l’hinterland.
"Un copione che si ripete all’aeroporto del Salento, dove i turisti una volta arrivati a Brindisi si trovano spaesati, scollegati dai capoluoghi e dalle località di villeggiatura. Combattiamo per difendere il nostro mare dall’inquinamento e dall’invasione della plastica come le cassette di polistirolo, abbiamo lottato per far approvare una legge che consenta il ripopolamento dei ricci di mare per il ripristino di un ecosistema che è stato stravolto dalla mano devastatrice dell’uomo.
"Se sento lamentele sull’abbandono di rifiuti, sulle strade insicure e rischiose, con la visuale impedita da sterpaglia, sulla segnaletica carente e sul senso civico che latita, sui trasporti inefficienti, sui continui lavori in corso, sulle infrastrutture monche ed eterne incompiute, allora mi unisco al coro. Ma senza limitarmi alla lamentela, sempre con proposte che puntano a migliorare la situazione. Da trent’anni il mio impegno quotidiano va in questa direzione, da salentino innamorato della propria terra. Quindi, cari signori, giù le mani dal Salento. Secondo il mio parere si sta davvero esagerando per tentare di screditarlo. Godetevi e godiamoci questa bellissima estate”.
Lontano dai “pochi” casi di speculazione, secondo De Blasi, è però arrivato il momento di «fermarsi a riflettere sul potenziamento dei servizi primari, come le infrastrutture». Sparare nel mucchio non è giusto, ma con l’onestà intellettuale che contraddistingue noi pugliesi, padroni di casa, sarebbe forse il caso di ammettere che (probabilmente) ci siamo allineati a una tendenza che è tutta nazionale, forse diventandone (ahinoi) anche protagonisti. Le previsioni per l’alta stagione appena iniziata, quindi il mese di agosto, sono anche più fosche: secondo l’Osservatorio nazionale di Federconsumatori ci sarà un rincaro del 20% rispetto allo scorso anno, che aveva già risentito degli aumenti della stagione precedente. Il valore di un weekend in uno stabilimento balneare fluttua sul territorio nazionale in base alle zone: dai 40 euro di Viareggio e Riccione ai 60 euro della Sardegna.
È purtroppo salentino il primato nero nazionale: la media giornaliera a Gallipoli è di 80 euro (fino a 120 nelle strutture di livello superiore), si abbassa nella maggior parte dei lidi di Porto Cesareo, ma trova il suo record assoluto a Pescoluse, con il prezzo stellare di mille euro per un gazebo in riva al mare. Se ci mettiamo anche che le tabelle regionali hanno indicato la Puglia, in compagnia di Trento e Bolzano, in cima alla classifica nazionale del caro-carburante e che, oltre i lidi, a lievitare sono state anche le tariffe di case vacanza e stanze private (dove non sempre il rapporto qualità dell’immobile-prezzo brillava per onestà), lo spot pugliese è servito. Il clamore però non sempre porta “guai”: potrebbe essere proprio questo l’inizio di una nuova riflessione sul brand della nostra regione e sulle sue potenzialità future.
Ecco le previsioni di Federalberghi
«Boom dall’estero ma pesa l’inflazione»
«Quest'anno in Italia abbiamo avuto un grosso boom di turismo internazionale soprattutto americano e quindi le città d'arte stanno andando molto bene visto che sono mono mercato del turismo statunitense». Lo ha detto il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca al Tg2 Post su Rai 2. Tuttavia, ha aggiunto Bocca, interpellato sui riflessi del caro carburanti sulle vacanze, «nel resto del Paese facciamo fatica a raggiungere i risultati dell’anno scorso: per quanto riguarda il mercato italiano ed europeo vediamo rallentamenti soprattutto dalla Germania che vive un momento di crisi economica» ha osservato Bocca.
«L'appello forte che facciamo al governo è di intervenire con decisione e coraggio sul cuneo fiscale. Bisogna defiscalizzare il lavoro per dare più soldi nelle tasche degli italiani perché la busta paga degli italiani oggi non è in grado di pagare i mutui sulle case, il carrello della spesa e fare le vacanze» ha proseguito il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca.
Quanto ai consigli per risparmiare sulle vacanze Bocca ha detto: «Oggi Internet è una vetrina attraverso la quale si possono trovare tutte le soluzioni di vacanza, in Italia esistono 27 mila alberghi, è il paese in Europa con il maggior numero di alberghi e quindi possiamo offrire vacanze per tutte le tasche. Il costo dell'albergo non incide più del 30% quindi noi abbiamo le nostre responsabilità questa quota ma il 70% va cercato altrove, nei costi dei trasporti, dei ristoranti, del divertimento. Ma con l'aumento dei costi di esercizio abbassare i prezzi oggi significa mandare in perdita i bilanci delle aziende».
«È fondamentale per le istituzioni di questo Paese mantenere un canale di dialogo sempre aperto con gli stakeholder e gli operatori di un settore così importante come quello turistico. Il segmento del trasporto aereo - dice invece Salvatore Deidda, presidente della commissione Trasporti della Camera dei deputati, all'indomani dell'incontro con Franco Gattinoni, presidente della Federazione Turismo Organizzato di Confcommercio - è naturalmente vitale per il diritto alla mobilità in quanto tale, ma anche per un comparto che, pur in fase di rilancio, rischia contraccolpi pesanti sia per il caro prezzi sia per i disagi che si sono vissuti, in particolare, in questo periodo a causa delle compagnie aeree. Purtroppo temiamo una forte penalizzazione in particolare dell’incoming e degli eventi organizzati in Italia se i clienti che arrivano nel nostro Paese con voli internazionali poi subiscono limitazioni inaccettabili sui trasferimenti nazionali». [Red.p.p.]
Ma la Puglia resta la più gettonata tra gli stranieri che cercano casa
La Puglia conferma il trend di crescita che la vede tra le destinazioni preferite dai cittadini internazionali che vogliono comprare casa in Italia. Secondo i dati elaborati da Gate-away.com, il portale per vendere casa all’estero, la regione registra un aumento di richieste di abitazioni nel primo semestre del 2023, piazzandosi al quarto posto tra le regioni italiane (dietro a Sardegna, Sicilia e Calabria) per crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
A trainare la crescita è la zona del Gargano che nel semestre registra un +33.33% di richieste rispetto allo stesso semestre del 2022. Per quanto riguarda le preferenze di periodo prevale la provincia di Brindisi che si conferma al primo posto con il 53.18% sul totale delle richieste; segue Lecce con il 26.61% e la Provincia di Bari con il 10.28%. Seguono Taranto (6.55%), Foggia (2.79%) e Barletta-Andria-Trani (0.59%). Tra i Comuni il più richiesto è Ostuni con il 18.69% delle richieste sul totale. Seguono Carovigno con il 10.93%, Ceglie Messapica con il 6.52%, San Vito dei Normanni con il 5.4%. La crescita più elevata (rispetto al 1° sem.2022) è registrata da Vico del Gargano che segna un progresso di richieste pari al +128.57%. Segue Morciano di Leuca con un +119.57% e Martina Franca con un +82.67%. I cittadini statunitensi si confermano i più interessati a cercare casa in Puglia: nel periodo le richieste di raggiungono il 27.2%. Tra le altre nazioni troviamo il Regno Unito (11.8%), la Germania (9.3%) e Francia (8.6%). Da segnalare il boom di richieste provenienti dal Brasile: rispetto allo stesso periodo dello scorso anno registra un +833.33% a/a. Seguono Malta (+414.29%) e Emirati Arabi (+123%).
L'acquirente straniero in cerca di una casa in Puglia si distingue per la sua versatilità e interesse per una vasta gamma di opzioni abitative. Non si limita a cercare solo case di lusso, ma è aperto a esplorare ogni fascia di prezzo disponibile sul mercato. Le abitazioni più ricercate continuano ad essere prevalentemente le categorie Villa (30.7% del totale), segue il Trullo (16.7% del totale) e la casa indipendente (7.45%). Da segnalare un forte incremento della categoria “Lamia” che registra un +290.3% di richieste rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Gli stranieri cercano una casa completamente restaurata/abitabile (50.7% del totale delle richieste) con un giardino (51.6%), senza la piscina (74%) e con terreno (60%).
Sul fronte dei prezzi, a differenza di quanto si possa pensare, sono le fasce più basse a registrare la maggioranza delle richieste: quella da 0-100 mila registra il 40.36% delle preferenze, mentre quella tra 100-250 mila euro segna il 27.2%. Seguono le fasce 250-500 mila euro (17.26%); 500-1 milione di euro (9.3%).
L’5.84% cerca case oltre 1 milione di euro.
«Questo fenomeno che notiamo in Puglia è indicativo di un trend positivo che si sta diffondendo su tutto il territorio italiano e che mette in evidenza come gli acquirenti stranieri non siano interessati solo ad alcune località o solo a certe categorie di immobili, bensì siano propensi a considerare attentamente le opportunità di acquisto che ogni territorio può offrire», afferma Simone Rossi, co-fondatore di Gate-away.com. «Sappiamo bene che per gli stranieri comprare una casa in Italia e in questo caso in Puglia non è solo un investimento, ma anche il modo per realizzare un sogno e vivere le bellezze che il nostro Paese può offrire, abbracciando allo stesso tempo uno stile di vita unico. Questo interesse internazionale rappresenta un'importante opportunità per i privati che vogliono vendere casa e gli operatori del settore immobiliare». [Red.p.p.]
Turista fai da te che vieni nel Salento, vade retro e non ritornare! Antonio Giangrande
Il Turista fai da te. Il Salento e l’orda dei profughi.
Arrivano in massa, senza soldi e con la litania lamentosa e diffamatoria: perché qua è diverso?
La meta del turista fai da te che arriva in Salento è il mare, il sole, il vento ma è stantio a metter mano nel portafogli e nell’intelletto. C’è tanta quantità, ma poca qualità.
Il turista fai da te che arriva nel Salento è come un profugo in cerca spasmodica di benessere gratuito. Crede nei luoghi comuni e nei pregiudizi, nelle false promesse e nelle rappresentazioni menzognere mediatiche.
Con prenotazione diretta last minute, al netto dell’agenzia, prende un appartamento con locazione al ribasso e con pretesa di accesso al mare. Si aggrega in gruppo per pagare ancora meno. Ma a lui sembra ancora tanto. Poi si meraviglia della sguaiatezza di ciò che ha trovato. Tutto l’anno fa la spesa nei centri commerciali e pretende di trovarli a ridosso del mare. Non vuol fare qualche kilometro per andare al centro commerciale più vicino, di cui i paesi limitrofi son pieni, e si lamenta dei prezzi del negozietto stagionale sotto casa. Durante l’anno non ha mai mangiato una pizza al tavolo e quando lo fa in vacanza se ne lamenta del costo. Vero è che il furbetto salentino lo trovi sempre, ma anche in Puglia c’è la legge del mercato: cambia pizzeria per il prezzo giusto.
Il turista fai da te tutto l’anno vive in palazzoni anonimi, arriva in Salento e si chiude nel tugurio che ha affittato con poco e poi si lamenta del fatto che in loco non c’è niente, nonostante sia arrivato nel Salento, dove ogni dì è festa di sagre e rappresentazioni storiche e di visite culturali, che lui non ha mai frequentato perché non si sposta da casa sua. Comunque una tintarella a piè di battigia del mare cristallino salentino è già una soddisfazione che non ha prezzo.
Il turista fai da te si lamenta del fatto che sta meglio a casa sua (dove si sta peggio per cognizione di causa) e che qui non vuol più tornare, ma, nonostante il piagnisteo, ogni anno te lo ritrovi nella spiaggia libera vicino al tuo ombrellone. Si lamenta della mancanza di infrastrutture. Accuse proferite in riferimento a zone ambientali protette dove è vietato urbanizzare e di cui egli ne gode la bellezza. A casa sua ha lasciato sporcizia e disservizi, ma si lamenta della sporcizia e della mancanza di servizi stagionali sulle spiagge. Intanto, però, tra una battuta e l’altra, butta cicche di sigaretta e cartacce sulla spiaggia e viola ogni norma giuridica e morale. La raccolta differenziata dei rifiuti, poi, non sa cosa sia. Ogni discorso aperto per socializzare si chiude con l’accusa ai meridionali di sperperare i soldi pagati da lui. Lui, ignorante, brutto e cafone, che risulta essere, anche, evasore fiscale.
Il turista fai da te lamentoso è come il profugo: viene in Salento e si aspetta osanna, vitto e alloggio gratis di Boldriniana fattura. Ma nel Salento accogliente, rispettoso e tollerante allora sì che trova un bel: Vaffanculo…
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Turismo e risorse ambientali. “Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi”
19 settembre 2016. Dibattito pubblico a Otranto, in Puglia, sul tema: "Prospettive a Mezzogiorno".
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nel Salento: sole, mare e vento. Terra di emigrazione e di sotto sviluppo economico e sociale dei giovani locali. Salentini che emigrano per mancanza di lavoro…spesso con un diploma dell’istituto alberghiero. Salentini che perennemente si lamentano della mancanza di infrastrutture per uno sviluppo economico e che reiteratamente protestano per i consueti disservizi sulle coste e sui luoghi di cultura. Salentini con lo stipendio pubblico che si improvvisano ambientalisti affinchè si ritorni all’Era della pietra. Salentini con la sindrome di Nimby: sempre no ad ogni proposta di sviluppo sociale ed economico, sia mai che i giovani alzino la testa a danno delle strutture politiche padronali. Il fenomeno, ben noto, si chiama “Nimby”, iniziali dell’inglese Not In My Backyard (non nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite. I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia. Le contestazioni promosse dai cittadini sono “cavalcate” (con perfetta par condicio) dalle opposizioni e dagli stessi amministratori locali, impegnati a contenere ogni eventuale perdita di consenso e ad allontanare nel tempo qualsiasi decisione degna di tale nome. La fotografia che emerge è quella di un paese vecchio, conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae investimenti perché è ideologicamente contrario al rischio d’impresa. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è la tendenza allo stallo. Quella che i sociologi definiscono “la tirannia dello status quo”, cioè dello stato di fatto, quasi sempre insoddisfacente e non preferito da nessuno. Salentini che dalla nascita fin alla morte si accompagnano con le stesse facce di amministratori pubblici retrogradi che causano il sottosviluppo e che usano ancora il metro di misura dei loro albori politici: per decenni sempre gli stessi senza soluzione di continuità e di aggiornamento.
Presente al convegno Flavio Briatore, fine conoscitore del tema, boccia il modello turistico italiano, partendo proprio dalla Sardegna del suo Billionaire. Intanto per il caro trasporti: «Hanno un'isola e non lo sanno - dice Briatore alla platea del convegno - pensano che la gente arrivi per caso. La gente arriva o via mare o via aerea: sono due monopoli, per cui fanno i prezzi (che vogliono). Se tu vai da Barcellona a Maiorca, quattro persone sul traghetto spendono 600 euro. Da Genova ad Alghero ne spendono 1600. L'80 per cento degli amministratori - aggiunge ancora Briatore - non ha mai preso un aereo. Come si fa a parlare di turismo senza averlo mai visto?».
Briatore è poi passato alla Puglia, dove nell’estate 2017 aprirà il Twiga Beach di Otranto grazie a una cordata di imprenditori locali ed ha criticato l'offerta turistica del territorio, sottolineando in particolare la mancanza di servizi adeguati alle esigenze dei turisti più facoltosi, sorvolando sulla mancanza di infrastrutture primarie: «Se volete il turismo servono i grandi marchi e non la pensione Mariuccia, non bastano prati, né musei, il turismo di cultura prende una fascia bassa di ospiti, mentre il turismo degli yacht è quello che porta i soldi, perché una barca da 70 metri può spendere fino a 25mila euro al giorno. Masserie e casette, villaggi turistici, hotel a due e tre stelle, tutta roba che va bene per chi vuole spendere poco - ha affermato Briatore - ma non porterà qui chi ha molto denaro. Ci sono persone che spendono 10-20mila euro al giorno quando sono in vacanza, ma a questi turisti non bastano cascine e musei, prati e scogliere - ha continuato l'imprenditore - io so bene come ragiona chi ha molti soldi: vogliono hotel extralusso, porti per i loro yacht e tanto divertimento». Non poteva essere altrimenti: Briatore ha puntato il dito sulle mancanze di infrastrutture a sostegno di quelle strutture turistiche mancanti ad uso e consumo di un’utenza diversificata e non solo mirata ad un turismo di massa che non guarda alla qualità dei servizi ed alla mancanza di infrastrutture. Una semplice analisi di un esperto. Una banalità. Invece...
Sulle affermazioni di Briatore si è scatenato un acceso dibattito, in particolare sui social: centinaia i commenti, quasi tutti contro.
I contro, come prevedibile, sono coloro che sono stati punti nel nerbo, ossia gli amministratori incapaci di dare sviluppo economico e risposte ai ragazzi che emigrano e quei piccoli imprenditori che con dilettantismo muovono un giro di affari di turismo di massa a basso consumo con scarsa qualità di servizio.
L’assessore regionale Sardo Maninchedda: «A parole stupide preferisco non rispondere».
Francesco Caizzi, presidente di Federalberghi Puglia replica alle parole dell’imprenditore: «La Puglia non è Montecarlo, Briatore si rassegni. La Puglia ha hotel che vanno dai 2 stelle ai 5 stelle, dai bed & breakfast agli affittacamere. Sono strutture per tutte le tasche e le esigenze, ma con un unico denominatore comune: rispettano l’identità del luogo. Questo significa che non ci si può aspettare un’autostrada a 4 corsie per raggiungere una masseria. È probabile che si dovrà percorrere un tratto di sterrato, ma nessuno ha mai avuto da ridire su questo. Anzi, fa parte del fascino del luogo».
Loredana Capone, assessore imperituri (governo Vendola per 10 anni e con il Governo Emiliano), che ha concluso da poco un lavoro di diversi mesi sul piano strategico del turismo, ha illustrato il punto di vista di un eterno amministratore pubblico: «Dobbiamo partire da quello che abbiamo per puntare ai mercati internazionali. Come stiamo nei mercati? Prima di tutto evitando qualsiasi rischio di speculazione e abusivismo. È puntando sulla valorizzazione del patrimonio, residenze storiche, masserie, borghi, che saremo in grado di offrire un turismo di qualità, capace di portare ricchezza. Non i grandi alberghi uguali dappertutto, modelli omologati e omologanti. Anche gli investimenti internazionali puntano al recupero più che alla nuove costruzioni».
La visione di Briatore proprio non piace a Sergio Blasi, altro esponente eterno del Pd che si è detto disponibile a concorrere alla primarie del centrosinistra a Lecce: «Briatore punta alla creazione di non-luoghi riservati all’accesso esclusivo di una élite economica ad altissima qualità di spesa, nei quali conta chi sei prima di entrare e non quello che sarai diventato alla fine del tuo viaggio o della tua vacanza. Io la ritengo una prospettiva poco interessante per il Salento. E lo dico da persona che ha criticato fortemente la svolta “di massa” di alcune attrazioni, che a furia di sbandierare numeri sempre più alti finiscono per rovinare più che per valorizzare le opportunità di crescita. Ma esiste un mezzo – ha proseguito nel suo post l’ex segretario regionale del Pd - nel quale collocare un’offerta turistica che sia in grado di valorizzare le potenzialità inespresse, e sono tante, garantendo al contempo una “selezione” non in base al ceto sociale quanto agli interessi e alle aspettative del turista. Noi dobbiamo guardare ad un turismo che apprezza la cultura, anche quella popolare, la natura e il paesaggio. Che apprezza i musei e i centri storici tanto quanto il buon vino e il buon cibo. Che sia in grado di apprezzare e rispettare la terra che visita e di non farci perdere il rispetto per noi stessi».
Per Albano Carrisi: “La Puglia piace così!”
Naturalmente l’Italia degli invidiosi, che odiano la ricchezza, quella ricchezza che forma le opportunità di lavoro per chi poi, senza quell’occasione è costretto ad emigrare, non ha notato la luna, ma ha guardato il dito. Il discorso di Briatore non è passato inosservato sul web dove alcuni utenti classisti, stupidi ed ignoranti hanno manifestato subito il loro disappunto. "Tranquillo Briatore, i parassiti milionari che viaggiano e non pagano non ce li vogliamo in Puglia", ha commentato un internauta, "Noi vogliamo musei e prati perché vogliamo gente che ami cultura e natura. Gli alberghi di lusso fateli a Dubai", ha ribattuto un altro.
Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi. E’ chiaro che il Salento quello ha come risorsa: sole, mare e vento. E quelle risorse deve sfruttare: in termini di agricoltura, ma anche in termini di turismo, essendo l’approdo del mediterraneo. E’ lapalissiano che le piccole e le grandi realtà turistiche possono coesistere e la Puglia e il Salento possono essere benissimo l’alcova di tutti i ceti sociali e di tutte le esigenze. E se poi le grandi strutture turistiche incentivano opere pubbliche eternamente mancanti a vantaggio del territorio, ben vengano: il doppio binario, strade decenti al posto delle mulattiere, aeroporti, collegamenti ferro-gommati pubblici accettabili per i pendolari ed i turisti, ecc.. Ma il sunto del discorso è questo. Salento: sole, mare e vento. Ossia un luogo di paesini e paesoni agricoli a vocazione contadina con il mito tradizionale della “taranta” e della “pizzica”. E da buoni agricoltori, i salentini, da sempre, la loro costa non la considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a vigna od ulivi ed edificati abusivamente, perciò da trascurare. Ed i contadini poveri ed ignoranti, si sa, son sottomessi al potere dei politicanti masso-mafiosi locali.
Stesso discorso va ampliato in tutto il Sud Italia. Gente meridionale: Terroni e mafiosi agli occhi dei settentrionali, che invidiano chi ha sole, mare e vento, e non si fa niente per smentirli, proprio per mancanza di cultura e prospettive di sviluppo autonomo della gente del sud: frignona, contestataria e nel frattempo refrattaria ad ogni cambiamento e ad una autonoma e propria iniziativa, politica, economica e sociale.
Allora chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Bari, mangiano al ristorante e vanno via senza pagare: il furbetto pentito salda il conto. Il turista fuggito dopo aver mangiato con tutta la famiglia ha chiamato il ristoratore. MONICA ARCADIO su La Gazzetta del mezzogiorno il 14 Agosto 2023.
«Sapevamo che la nostra fiducia era stata ben riposta. Lo sentivamo nel profondo del nostro cuore», sono felici i titolari del ristorante La Parrilla, Ernesto Matera e Gaetano Catalano, che qualche giorno fa – attraverso le pagine della Gazzetta del Mezzogiorno – hanno lanciato l’appello a un cliente il quale, dopo aver consumato una cena di 130 euro con la sua famiglia e i suoi amici, si era allontanato senza pagare. L’uomo, in queste ultime ore, ha telefonato ai due giovani soci del locale di piazza Mercantile, e si è scusato.
Bari, a cena con tutta la famiglia, poi si dilegua senza pagare: la denuncia
«Una distrazione nel momento in cui avrebbe dovuto pagare e quindi la dimenticanza», così ha giustificato – spiegano i due giovani soci - il suo gesto ripreso dalle telecamere di video sorveglianza e poi pubblicato sui canali social. «L’uomo – che ci ha chiesto tante volte scusa nel corso della telefonata – ha già provveduto a effettuare un bonifico per saldare il conto», ci hanno spiegato Matera e Catalano.
«Eravamo amareggiati e delusi perché da un anno ormai ci stiamo prodigando, noi e le nostre famiglie, per questo locale che abbiamo voluto con tutte le nostre forze. La realizzazione di un sogno – proseguono - con tanti sacrifici, ma anche con tanto amore». «Il mancato pagamento di un cliente - sottolinea Catalano – ha rappresentato per noi uno schiaffo a tutto questo. Speravamo, anzi sapevamo, che quell’uomo si sarebbe fatto vivo e ci avrebbe spiegato tutto. Così è stato e siamo felicissimi».
I due imprenditori baresi, nei giorni scorsi, si erano detti pronti a denunciare, ma hanno preferito attendere e sperare che tutto si risolvesse. «L’uomo, che non è pugliese, ha chiesto scusa e ha saldato il conto. Va bene. Siamo giovani e vogliamo credere davvero che il rispetto per le persone e per il lavoro sia il valore da coltivare, come ci hanno insegnato i nostri genitori. Abbiamo voluto dare fiducia e siamo certi, anche alla luce del lieto epilogo di questa vicenda, che questo sia il miglior messaggio che si potesse dare. Un messaggio positivo».
«Abbiamo faticato e continuiamo a faticare per ottenere risultati importanti in questa nostra attività. Ci siamo messi in gioco, insieme alle nostre famiglie e ai nostri collaboratori, in un momento delicato per l’economia del nostro Paese e lo abbiamo fatto, non a caso, nella nostra amata città. Bari», avevano già detto i due giovani soci e ancora oggi lo ribadiscono, fermamente convinti che l’atteggiamento mantenuto in questa storia sia stato il migliore. «Nessuna denuncia. Aspettare ci è sembrato come offrire una possibilità a quest’uomo. La possibilità di spiegarci perché e di risolvere tutto con una stretta di mano. Oggi più che mai siamo felici di aver agito in questo modo e a lui va il nostro grazie», concludono.
Supplemento agosto. L’estate senza scandali, i reportage al Twiga e le inchieste a schiena dritta sugli scontrini. Guia Soncini su L'Inkiesta il 14 Agosto 2023.
Il nuovo formato giornalistico è il sovrapprezzo e così i quotidiani denunciano, come se stessero facendo il Watergate, i costi dei lettini di lusso in spiaggia, i prezzi delle tigelle e i cinquanta centesimi per il cubetto di ghiaccio nel caffè
Riempire i giornali d’estate è un incubo, lo so. Quanti articoli sul bere tanta acqua puoi fare? Per non parlare del fatto che, in questo secolo di bradipi che si sentono ghepardi, non puoi neanche più usare i classici: se dici di aspettare tre ore dopo mangiato prima di fare il bagno, l’internet ti spernacchia.
Su Twitter c’è un account che pubblica ogni settimana le copertine di dieci anni prima dei quattro principali settimanali scandalistici americani. Dieci anni fa i due principali erano andati sul sicuro istituzionale: Kate Middleton aveva partorito. Gli altri due, poveretti, avevano uno la copertina sul divorzio multimilionario tra Michael Douglas e Catherine Zeta-Jones (mai neanche separati, che si sappia), e l’altro la gravidanza di Jennifer Aniston (mai stata incinta, che si sappia).
Una volta la sparavi grossa e dopo due giorni nessuno se ne ricordava, la tua copertina con la gravidanza immaginaria foderava le cassette dei gatti e tu potevi ricominciare a millantare saperlalunghismo. Adesso tutto è perpetuo, e gente che non ti comprerebbe comunque ride di te osservando gratis gli archivi delle tue millanterie.
In Italia, dove siamo talmente senza star-system che sulla copertina di Chi c’è Maria Elena Boschi, e i quotidiani per la disperazione tra un po’ intervisteranno la maestra dell’asilo che ci racconterà com’era da piccolo il tizio che ha sciorinato le proprie corna alla festa di fidanzamento, non possiamo vivere di sola spremitura di corna torinesi.
Quindi, i giornali hanno deciso che il formato giornalistico dell’estate sono i sovrapprezzi. Dovevamo sospettare che sarebbe finita così quando tutti i giornali – ma tutti, da Repubblica a Cavalli e segugi: sono un po’ offesa che Linkiesta non abbia ritenuto di farmi noleggiare un lettino in terza fila – hanno mandato un inviato al Twiga.
Giornali che da anni dicono ai collaboratori che no, non ci sono soldi, peccato per quell’esclusiva sul letto di morte che ti aveva offerto la regina Elisabetta ma proprio non ci possiamo permettere un Ryan Air per Londra, hanno ritenuto fondamentale investire cinquecento euro per far scrivere ai loro inviati che al Twiga – dove una giornata di lettino e ombrellone costa appunto cinquecento euro: ecco qui lo scontrino che illustra l’articolo e che è ovviamente più importante dell’articolo stesso essendo noi consapevoli che il pubblico ormai guarda solo le figure – la spiaggia è solo una spiaggia e il mare è solo mare.
Quando tutti ma proprio tutti avevano pubblicato lo scontrino del Twiga, siamo passati a quelli minori. Lo scontrino che dice che hanno fatto pagare a qualcuno la divisione in due d’un toast. Seguono interviste ai clienti truffati, alla gente famosa indignata, alla colpevole di taglio del toast retribuito che rivendica che il lavoro sta in Costituzione o qualcosa del genere.
Poi lo scontrino del piattino per far assaggiare a una bambina le trofie ordinate dalla mamma, e in primo piano ben a fuoco i due euro di dicitura piattino, e altro giro di interviste, indignazioni, e lettori che si chiedono perché diavolo la mamma non abbia dato alla bambina una forchettata dal proprio piatto come tutte le mamme nella storia del mondo dall’invenzione delle forchette in poi, e i ristoratori che ci parlano del costo delle spugnette in ristoranti che evidentemente non si possono permettere neanche la lavastoviglie.
Sempre nella stessa settimana, quella in cui era ormai agosto e non c’erano notizie non sceme cui dedicarsi, lo scontrino delle tigelle. Ottocentoquarantacinque euro, accipicchia. Però erano in ventiquattro, dicono i gestori del chiosco. Ma alcuni erano bambini molto piccoli, dicono i ventiquattro: bambini piccoli, conti piccoli. Alla fine questi, invece di pagare prima e poi andare a protestare sui social, hanno piantato un tale casino che duecento e spicci euro di tigelle glieli hanno scontati.
Sono meglio quelli che piantano un casino alla cassa o quelli che fotografano scontrini contando sulla dopamina attivata dall’indignazione social? Se mangi la pizza da Cracco e poi ti lamenti che costi come una pizza di Cracco sei scemo o la società ti deve solidarietà? (O forse la società ti deve solidarietà proprio perché sei scemo?). Non lo so, ma non si sentiva parlare tanto di scontrini da quando in Parlamento arrivarono i Cinque stelle e scambiarono il concetto di responsabilità politica con le rendicontazioni del barbiere della buvette e delle bollette dei cellulari.
Ci sarebbe anche la questione della roba da bere ai concerti, che a quanto ho capito (sono troppo vecchia per i concerti) ora si paga coi soldi del Monopoli che devi convertire prima, e le cifre di questi gettoni dell’autoscontro usati per pagare la birra non sono mai tonde, quindi a chi ha speso duecento euro per vedere Beyoncé tocca pure sprecare due euro di gettoni inutilizzabili, e sono quei due euro a costituire un inaccettabile aggravio economico.
L’ultima foto che ho visto è quella dello scontrino del ghiaccio: cinquanta centesimi per il cubetto di ghiaccio da mettere nel caffè. Anni fa il commercialista mi suggerì una app che avrebbe archiviato gli scontrini da detrarre – quelli delle farmacie e dei ristoranti che mi perdevo sempre prima di consegnarglieli – se li fotografavo. Non l’ho mai scaricata, perché tanto lo so che mica mi ricordo di fotografare gli scontrini. A quante pare, sono l’unica italiana a non farlo.
Visto che mancano ancora le due moscissime settimane postFerragosto, suggerisco ai giornali supplementi ai limiti dell’estorsione dei quali indignarsi se dovessero venir meno fotografatori di scontrini a offrire spunti.
A Milano il supplemento notturno sul tassì è di sette euro e sessanta (in novecentese: quindicimila lire) e scatta alle nove di sera, cioè quando in estate c’è la luce di mezzogiorno. È una cosa di cui m’indigno in silenzio da quindici anni, non è che se vi fotografo il tariffario ci fate una serie d’articoli?
Dal parrucchiere il balsamo si paga a parte, è un sopruso relativamente recente: nel Novecento non solo il balsamo era ovviamente incluso, ma spesso il parrucchiere ti omaggiava della manicure. Adesso, ho visto un parrucchiere in via Moscova, sempre Milano, che oltre al balsamo ti fa pagare anche gli asciugamani. L’alternativa immagino sia scrollare la testa come i cavalli. Se fotografo i prezzi in vetrina, posso contare su un’inchiesta?
Ma, soprattutto, se ordino qualcosa dalla Cina o dall’America (o persino da Londra, mannaggia alla Brexit), il dazio doganale che il postino mi chiede prima di consegnarmi il mio pacco, dazio che di suo è sempre calcolato misteriosamente a casaccio, ha in più il ventidue per cento di Iva. L’Iva sul dazio. La tassa su una tassa. Se vi fotografo un Meridiano di Kafka, posso sperare che diventi lo scandalo dell’estate?
Estratto da leggo.it domenica 13 agosto 2023.
Cena "pesante" e conto «salatissimo» per un gruppo di famiglie in un chiosco a Maranello, in provincia di Modena. Quello che si aspettavano essere un momento conviviale in compagnia si è rivelato un incubo per il portafoglio dei presenti.
«Eravamo in tredici adulti e undici bambini: a fine serata ci è stato detto che dovevamo sborsare 845 euro», ha raccontato una dei commensali. La titolare ha risposto così.
Sembra sia iniziata la gara a chi fa pagare di più un servizio e se così fosse, al momento, sarebbe vinta dalla proprietaria di un chiosco a Maranello, località in provincia di Modena. Il conto salato, inizialmente di oltre 800 euro è poi sceso a 585 dopo le proteste dei clienti.
«Oltre allo gnocco e alle tigelle, c’era qualche tagliere, ma tutt’altro che ricco - ha raccontato una dei commensali al Resto del Carlino che ha riportato la notizia - e soltanto per quanto riguarda il bere: cioè delle bottigliette d’acqua, delle bibite e qualche birra, abbiamo pagato 130 euro.
Insomma, un salasso: quando ne siamo venuti a conoscenza, l’abbiamo fatto subito notare, perché ci sembrava un prezzo improponibile. Anche perché alcuni dei bambini che erano a tavola con noi sono molto piccoli e non mangiano di certo così tanto».
A quel punto «la titolare dice di venirci incontro, togliendo così 260 euro. Il conto è stato diviso per tredici persone, escludendo chiaramente i bambini, quindi alla fine abbiamo pagato novanta euro a coppia. Comunque, per quanto mi riguarda, un prezzo esagerato per mangiare gnocco e tigelle in un chiosco.
Anche in quel momento, mi sono insospettita: non ho capito nemmeno perché non siamo arrivati a una cifra tonda: su che base ha fatto questo sconto? Continuo a pensare che sia un qualcosa di assurdo. Avvertirò la finanza dell’accaduto». […]
Dal canto suo, la titolare del chiosco, però, ha ben pensato di commentare l'accaduto così: «Una scena del genere non mi è mai successa in sedici anni di attività: sono arrivati alle 18 per prenotare gnocchi e tigelle, e alle 19.30 era tutto pronto per essere servito in tavola.
Hanno mangiato di tutto e di più, senza limiti: questo significa che non ho portato tre o quattro tigelle a testa, ma molte di più, fino a che tutti non avevano la pancia piena. Il tutto, arricchito da numerosi taglieri di affettato, dodici in tutto. Senza dimenticarci poi del bere».
Non solo. «In tavola comunque erano ventiquattro persone. E il conto è stato diviso per tredici: è chiaro che una coppia con un figlio solo, in questo modo, ha pagato ’tanto’. Ma una famiglia con tre bambini, invece, ha pagato molto poco. Alla fine ho abbassato il prezzo per quieto vivere, per concludere tutto il caos che si era generato, per nulla piacevole».
Estratto dell’articolo di Natalia Distefano per corriere.it domenica 13 agosto 2023.
L'ultima segnalazione arriva da due lettori romani in vacanza in Sardegna. Ieri sera, intorno alle 20, sedersi al tavolino del bar Portico all'Hotel Cervo e ordinare due caffè con due bottigliette d'acqua gli è costato 60 euro. Qualcuno potrebbe non sorprendersi, vista la location da cartolina, e va detto che insieme ai caffè sono arrivate anche due coppe di cioccolatini (come si vede nella foto che ci è stata inviata dai turisti romani). […] «La giustificazione dei gestori - raccontano - è stata che non si tratta di un semplice caffè ma una esperienza. La realtà è però un caffè con acqua e 2 biscotti».
Porto Cervo, turisti romani pagano 60 euro per due caffè e due bottigliette d'acqua. Natalia Distefano su Il Corriere della Sera domenica 13 agosto 2023.
Il conto salato è arrivato ai tavolini del bar di un hotel in Sardegna. Ma anche in Autogrill i prezzi sono alle stelle: 18 euro per due panini e un'acqua
Due euro a Finale Ligure per un piattino (vuoto) richiesto al tavolo. A Maranello conto salato per la comitiva a cena con le tigelle: 845 euro. Ordina un aperitivo a Verona, il conto è di 64 euro. È l'estate degli scontrini roventi.
Un espresso ai tavolini del bar d'albergo costa 30 euro
L'ultima segnalazione arriva da due lettori romani in vacanza in Sardegna. Sabato sera, intorno alle 20, sedersi al tavolino del bar Portico all'Hotel Cervo e ordinare due caffè con due bottigliette d'acqua gli è costato 60 euro. Qualcuno potrebbe non sorprendersi, vista la location da cartolina, e va detto che insieme ai caffè sono arrivate anche due coppe di cioccolatini (come si vede nella foto che ci è stata inviata dai turisti romani). Ma 3o euro per un caffè rimane una cifra decisamente oltre ogni pessimistica previsione. Così i due clienti hanno chiesto spiegazioni sulla cifra da pagare. «La giustificazione dei gestori - raccontano - è stata che non si tratta di un semplice caffè ma una esperienza. La realtà è però un caffè con acqua e 2 biscotti».
Non solo spiagge, la pausa pranzo costa cara anche in Autogrill
E la questione del caro-scontrino non sembra migliorare pur allontanandosi dalle spiagge e dalle mete più gettonate dei vacanzieri. Secondo Giustitalia anche la sosta per un ristoro nelle aree di servizio in autostrada svuota le tasche degli italiani più del dovuto. «Due romani di ritorno a Roma da una breve vacanza a Celico, vicino Cosenza, si sono fermati martedì 8 agosto pomeriggio presso l'Autogrill di Teano per mettere qualcosa sotto i denti dopo ore di viaggio in auto. Hanno preso al bancone due focacce alla mortadella ed una bottiglietta d'acqua e si sono visti arrivare un conto alla cassa di ben 18,20 euro (8,10 euro a panino + 2 euro per una bottiglia d'acqua)», riferisce l'associazione che ha deciso di segnalare la vicenda al Garante per la sorveglianza sui prezzi.
Estratto dell’articolo di Mirco Paganelli per "Il Messaggero" l'8 agosto 2023.
Chissà quale sarebbe stato il prezzo finale se avessero chiesto di condividere pure un'insalata, un primo magari anche il dolce. Fatto sta che farsi tagliare a metà un toast è costato a due ignari turisti di Milano in gita sul Lago di Como due euro in più. La sorpresa, apparsa sullo scontrino di un bar di Gera Lario è stata immortalata in una foto che ha fatto il giro dei social dopo esser stata pubblicata sul noto sito di recensioni "TripAdvisor".
Stando alla ricevuta, che risale al giugno scorso, i clienti hanno scelto di ordinare un toast vegetariano con patatine al costo di 7,50 euro. Un prezzo tutto sommato standard come quello delle bevande: 3,50 euro la coca cola, 1,50 euro mezzo litro di acqua e 1,20 euro il caffè.
Ciò che hanno denunciato i due consumatori è stato il sovrapprezzo per aver diviso a metà quel pranzo veloce. «Il toast viene già servito tagliato in due parti. Dobbiamo pagare perché lo abbiamo diviso? Incredibile ma vero» ha scritto il cliente nella sua recensione.
Non si è fatta attendere la risposta del gestore del bar, che ha difeso la scelta di applicare l'extra-costo sul servizio: «Se un cliente mi chiede di fare due porzioni di un toast devo usare due piattini, due tovaglioli e andare al tavolo impegnando due mani. È vero che il cliente ha sempre ragione, ma è altrettanto vero che le richieste supplementari hanno un costo».
[…] In realtà, in questa estate dei prezzi folli, il caso scoppiato nel bar del comasco non è l'unico. La giornalista e blogger Selvaggia Lucarelli sui suoi profili social ha pubblicato la foto di una ricevuta di una trattoria a Finale Ligure dove una mamma aveva chiesto un piattino per far assaggiare un po' di trofie al pesto alla sua bimba di tre anni.
Un gesto che le è «costato caro», tanto da ritrovarselo poi sullo scontrino anche lei con un sovrapprezzo di 2 euro, oltre al costo del coperto già incluso. «Un piatto di trofie al pesto 18 euro, la mamma chiede un piattino per farne assaggiare un po' anche alla bambina di tre anni che ha già mangiato. Sul conto le mettono due euro per il piattino. Tra l'altro avendole già messo sul conto il coperto» ha raccontato la Lucarelli.
[…] c'è perfino chi denuncia la novità del «supplemento cono di 1 euro» in gelateria. E i casi di conti folli, o semplicemente altissimi, diventano fenomeni social.
[…] Tutto è più caro, per il turista del 2023, non appena mette il naso fuori di casa. Sulla Riviera romagnola, tradizionale meta per la classe media grazie ai prezzi molto competitivi di hotel e spiagge, si sono registrati rincari un po' ovunque.
Per una stanza in albergo - ammettono da Asshotel - si paga in media quest'anno il 15% in più dell'estate scorsa. Non va meglio sulla battigia dove in tanti hanno ritoccato i listini. Se c'è chi ancora fa pagare un ombrellone con due lettini 20 euro, magari perché in una zona più decentrata, altri hanno per la prima volta superato quota 40 euro persino nelle file lontane dal mare.
[…] Prezzi più salati anche a tavola dove il coperto, sempre in Romagna, si è oramai assestato a un valore base di 3 euro in trattoria, raddoppiato nel giro di pochi anni. I prezzi più ritoccati del menù sono quelli dei dolci: se fino a poco tempo fa una panna cotta costavano in osteria 4-5 euro, ora bisogna sborsare almeno 6-7 euro.
E c'è chi lamenta che, a fronte di prezzi delle portate invariati, ne abbiano fatte le spese le quantità delle porzioni, sempre più ridotte. Non stupisce allora se le vacanze degli italiani quest'anno sono non solo più costose, ma anche più corte, secondo quanto rilevato da Assoutenti, che registra rincari in bar e ristoranti del 6%. Le vacanze estive 2023 costeranno agli italiani 1,2 miliardi di euro in più rispetto all'anno scorso.
Estratto dell'articolo di Silvia Andreetto per “la Stampa” mercoledì 9 agosto 2023.
Non sono le centinaia di recensioni negative collezionate su Tripadvisor né i commenti velenosi sui social a turbare Ida Germano, cuoca e titolare dell'Osteria del Cavolo di Finalborgo, il ristorante finito nell'occhio del ciclone dopo che Selvaggia Lucarelli ha postato – sulla scia del caso del toast diviso a metà con sovrapprezzo in un bar di Como – la foto dello scontrino di una cliente: 2 euro in più per un piattino di condivisione.
Ida Germano difende, con grande fermezza e altrettanta tranquillità, il proprio operato. Ribadisce che il loro servizio è accurato e accogliente, di avere una clientela affezionata e che mai ha messo in discussione la qualità dei prodotti. Materie prime di qualità e grande trasparenza. «A darmi una grande soddisfazione in questi due giorni - spiega - sono le tante dimostrazioni di solidarietà che ho ricevuto da colleghi ristoratori, dai clienti, turisti e residenti».
«È una polemica che non mi preoccupa per nulla – dice, serafica, la titolare –. Il nostro è un piccolo ristorante con cinque tavoli all'esterno, di cui quattro da due coperti e uno da tre. La signora dello scontrino è amica di Selvaggia Lucarelli che, premetto, non è mai stata una nostra cliente. L'abbiamo fatta accomodare a un tavolo da tre persone. Sono stati occupati tre posti. Hanno ordinato un piatto di trofie al pesto e un piatto di acciughe fritte. I due euro per il piattino di condivisione sono riportati chiaramente nel nostro menù».
E ancora. «Hanno chiesto di condividere il piatto di trofie in tre porzioni, per cui abbiamo portato due piattini. Quindi hanno fatto la stessa richiesta per le acciughe fritte». E continua: «In totale i piattini di condivisione sono stati quattro. Come si legge nello scontrino, ne abbiamo fatto pagare solo uno» puntualizza.
[…] In totale un primo e un secondo in tre. «Sono nove anni che applichiamo queste regole e nessuno si è mai lamentato».
[…] «Quello che mi fa molto piacere è che nessuno ha mai mosso critiche per la qualità del cibo. Anzi, tutte le recensioni sono sempre state positive. E questo non può che essere motivo di orgoglio e di riconoscimento per un lavoro, come il nostro, che richiede grande professionalità».
E tanto meno smuove Ida la critica sui 18 euro che si pagano per mangiare un piatto di trofie al pesto. «Non si può discutere il prezzo del piatto – sottolinea –. Un piatto di trofie può essere fatto pagare 8, 10 o 12 euro. Lo chef Cannavacciuolo può far pagare un piatto anche 40 euro. E nessuno lo mette in discussione. Solo chi lo prepara è in grado di stabilirne il prezzo».
Continua: «Mi fa piacere e quasi mi diverte questa polemica. Ho 76 anni e faccio questo lavoro con passione. È giusto che io venga pagata per quello che faccio e per il servizio che offro così come per i prodotti di qualità che rendono unica la nostra cucina». Aggiunge: «Vorrei che Selvaggia Lucarelli venisse ad assaggiare le nostre trofie al pesto. Solo dopo, eventualmente, potrà criticarne il prezzo».
Ieri, dopo la tempesta mediatica, e le centinaia di recensioni negative piovute sul locale (anche di clienti che a Finalborgo non si sono mai visti), molti legali hanno contattato Ida Germano e si sono offerti per difenderla dalla pioggia di critiche.
Un effetto mediatico che non ha portato solo tante manifestazioni di solidarietà ma anche insulti, ingiurie di ogni tipo. «Sono stata contattata da molti avvocati che si sono offerti di difendermi e che ringrazio di cuore, soprattutto perché lo scontrino è un documento riservato e non può essere reso pubblico com'è stato fatto perché su quello scontrino c'era anche il mio numero di cellulare – conclude Ida Germano –. Ma sarà il mio avvocato a valutare l'eventualità di intraprendere una causa legale» […]
Piattino a due euro, arriva la replica della titolare: "I piatti in più erano 4..." Dopo la pubblicazione sui social dello scontrino "incriminato" da parte della giornalista Selvaggia Lucarelli, arriva la versione della titolare dell'osteria di Finale Ligure. Cristina Balbo l'8 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il caos per il “piattino condivisione”
La replica della proprietaria dell’osteria
“Di piatti supplementari ne ho portati ben quattro”. Così Ida Germano, la 76 titolare dell'Osteria del Cavolo di Finale Ligure, si difende dopo la polemica scoppiata a causa dello scontrino fiscale pubblicato dalla giornalista Selvaggia Lucarelli sul proprio profilo Instagram. Nello specifico, nello scontrino compariva un supplemento di due euro per aver portato a tavola un “piattino condivisione”.
"Due euro in più per un piattino vuoto...". Scoppia la polemica in Liguria
Il caos per il “piattino condivisione”
Nella giornata di ieri, Selvaggia Lucarelli ha pubblicato lo scontrino fiscale – datato al 23 luglio – e sui social è immediatamente scoppiata la polemica. Il motivo? Una famiglia, a pranzo nell’osteria di Finale ligure, ha dovuto pagare due euro in più per potere condividere con la figlia di appena tre anni (che aveva già mangiato) un po' di trofie al pesto. “Liguria. Un piatto di trofie al pesto 18 euro, la mamma chiede un piattino per farne assaggiare un po' anche alla bambina di tre anni che ha già mangiato. Sul conto le mettono due euro per il piattino. Tra l'altro avendole già messo in conto il coperto”, ha scritto la giornalista. L’indignazione del web è stata immediata e così, molti volti noti del mondo dello spettacolo (e non solo) hanno voluto esprimere la propria opinione. C’è chi ha addirittura inneggiato alla galera, come il ballerino e attore Gabriele Rossi e chi, invece – la pasticcera Sara Brancaccia - ha commentato: “È come quando chiedi un bicchier d'acqua dopo il caffè. Domandi per gentilezza 'quanto le devo?' e ti rispondono 'non importa'. Il mondo si divide in gente che non sa stare al mondo e poi tutti gli altri. Confido che siano di più questi ultimi". Insomma, una vera e propria baraonda.
La replica della proprietaria dell’osteria
Adesso, a distanza di qualche ora, è arrivata la replica della signora Germano, la proprietaria dell’osteria di Finale Ligure, che ha voluto dire la sua: "Quando il cliente entra in un locale accetta il menù, che viene esposto fuori. Nel caso specifico i clienti avevano preso un primo e un secondo in tre. Di piatti supplementari ne ho portati ben quattro, per questo ho fatto pagare due euro: voglio che i clienti sappiano che per noi quello è un lavoro in più", si è difesa così la signora Germano. Adesso, la 76enne minaccia anche di stare valutando eventuali azioni legali: "I dati sensibili presenti nello scontrino non dovevano essere pubblicati, c'erano il mio nome e cognome e il mio numero di cellulare. Vorrei venisse di persona a mangiare le mie trofie: si è lamentata del prezzo, ma sono realizzate con ingredienti di qualità. Mi spiace per la situazione ma avrei sofferto di più se avessero criticato il cibo". Poi, a proposito della scelta di addebitare quei due euro in più sullo scontrino la signora ha riferito: "Il lavoro va remunerato. Ho 76 anni e lavoro con passione, ma è giusto che io venga pagata per quello che faccio. Le parole dette sui social e le recensioni negative non mi preoccupano, sono fiera del mio lavoro. Nel corso del tempo ho avuto tante soddisfazioni. In queste ore ho ricevuto tantissime recensioni di solidarietà da amici, clienti e colleghi. Ho ricevuto chiamate dalla Germania, dalla Svizzera e diversi legali si sono proposti di tutelarmi".
Liguria, scontrino-vergogna? Trofie al pesto e un piatto in più: ecco la rapina. Libero Quotidiano l'08 agosto 2023
Questa folle estate verrà ricordata non solo per le bizze climatiche, con improvvisi temporali si alternano a ondate di caldo micidiali, ma anche per il caro prezzi di gran parte delle mete turistiche. Ultimamente ci si è concentrati parecchio sugli scontrini esagerati che arrivano dalla Puglia, ma anche in altre regioni italiane la situazione a volte sfugge da ogni logica.
È il caso della Liguria: Selvaggia Lucarelli ha condiviso una storia con tanto di scontrino riguardante un’osteria di Finale Ligure. “Un piatto di trofie al pesto 18 euro - ha scritto su Twitter - la mamma chiede un piattino per farne assaggiare un po’ anche alla bambina di tre anni che ha già mangiato. Sul conto le mettono due euro per il piattino. Tra l’altro avendole già messo sul conto il coperto”. In questo caso più di scontrino scandaloso si tratta di una pessima figura a livello umano… far pagare un piattino a una mamma che vuole far mangiare anche la figlia è un po’ esagerato.
A proposito della Liguria, il Corriere della Sera ha svolto un’indagine sull’ondata di rincari riguardante l’intera regione per quanto riguarda la focaccia: in media costa 18-20 euro al kg, con picchi di 25 a Varigotti. E poi c’è il caso assurdo di Recco, dove addirittura un kg di focaccia costa 30 euro.
Estratto da blitzquotidiano.it sabato 12 agosto 2023.
Lo scontrino fiscale sta per assurgere alla condizione di genere letterario, non è più il freddo registro di consumazioni dei prezzi assegnati alle consumazioni, al bar e al ristorante lo scontrino sovraprezzo, fantastica, racconta.
Ultima creazione, gli euro 1 e 50 per l’utilizzo di due cucchiaini, richiesti, a quanto pare, per sorbire una crema catalana da 5 euro (onestissimo, per altro). Siamo ad Alba, stavolta i tartufi, bianchi o neri, non c’entrano. Un cliente basito per il sovraprezzo aggiuntivo (le posate evidentemente son da considerare un di più, forse un lusso) ha girato la foto dello scontrino a La voce di Alba, quotidiano locale.
[…] “Oltre al caso del piattino a 2 euro in un’osteria di Finale Ligure, e all’extra sempre di 2 euro in un bar del comasco per tagliare in due un panino, sempre più numerosi sono i ristoranti che applicano un sovrapprezzo, in media da 2 a 5 euro, per la voce coperto, servizio che spesso però è inesistente, perché rappresentato da tovaglietta di carta sul tavolo, come pure di carta è il tovagliolo messo a disposizione del cliente”. […]
Toscana, prezzi alle stelle: vacanze di lusso a Forte dei Marmi e Firenze. La Toscana sta diventano una regione per ricchi? I prezzi per le vacanze sono alle stelle, soprattutto a Forte dei Marmi e Firenze. Chiara Nava Pubblicato il 5 Agosto 2023 su Notizie.it
La Toscana sta diventando una località da ricchi? I prezzi nelle mete turistiche della regione sono alle stelle. Tra i primi posti troviamo Forte dei Marmi e Firenze.
Toscana, prezzi alle stelle: vacanze di lusso a Forte dei Marmi e Firenze
La Toscana sta diventando una regione da ricchi? I prezzi sono sempre più alle stelle, tanto che alcuni turisti si sono resi conto che non possono più permettersi le vacanze in questa amata regione. Un’attenta analisi del Corriere, ha mostrato che una coppetta di gelato nel bar vicino a Ponte Vecchio arriva a costare 12 euro, ma in generale è difficile a Firenze riuscire a spendere meno di 6 euro per un gelato. Per non parlare della bistecca fiorentina che per due arriva a costare 69 euro. Al Brunelleschi Bistrot, in Piazza Duomo, una pizza margherita costa 14 euro, una Napoli 15 euro e una prosciutto e funghi 19 euro. Per un piatto di prosciutto e melone vengono chiesti 20 euro e per la panzanella toscana 16 euro. Al Bottegone ristorante bar, con vista sulla Cupola, il caffè al tavolo costa ben 3,50 euro mentre una bruschetta con pomodoro e mozzarella 10 euro. Ci sono bottiglie di tè freddo a 4 euro e bottiglie da mezzo litro d’acqua a 2,50 euro. Per una ribollita chiedono 11,80 euro al ristorante Cavallino di Piazza Signoria, e 12,80 euro per una pasta e fagioli.
Alla Tavernetta della Signoria, in via dei Neri, viene segnalato un carpaccio di filetto di sbottona a 14,9 euro, fettuccine al sugo d’anatra a 13,9 euro. “Abbiamo aumentato i prezzi per la crisi energetica” ha dichiarato un cameriere al Corriere. Secondo un’indagine dell’istituto Demoskopika mangiare al ristorante in Toscana, nel 2023 costa in media il 7,6% in più dell’anno precedente. La storica trattoria Da Burde, fuori dal centro, ha aumentato notevolmente i prezzi. I primi sono passati da 8,50 a 9,50 euro mentre il caffè da 1,50 a 2,50 euro. Anche il vino è aumentato. Il Brunello è passato da 40 a 45 euro, il Morellino da 19 a 21 euro, il Blogheri doc da 25 a 28 euro, il Chianti Classico da 23 a 25 euro. Inspiegabilmente, molti di questi locali continuano ad avere i tavoli pieni. Eppure, i turisti iniziano a lamentarsi e rendersi conto di non potersi più permettere una vacanza in Toscana.
Toscana, prezzi alle stelle: stabilimenti balneari a 600 euro al giorno
In Versilia i prezzi sono veramente alle stelle, sia dei ristoranti che degli stabilimenti balneari, da Viareggio fino a Forte dei Marmi. All’Antico Vinaio i prezzi sono aumentati “ma solo per il servizio al tavolo, visto che quello del Forte è l’unico nostro punto con i tavolini esterni. Per le focacce d’asporto il listino è uguale a tutti gli altri“, ha precisato il proprietario Tommaso Mazzanti. Le focacce al tavolo, però, arrivano a 14 euro. Per quanto riguarda gli stabilimenti balneari, si arriva fino a 500 o 600 euro al giorno per tenda con sofà, letti King size, lettini standard più sedia e tavolino. La Toscana sta davvero diventando una meta per ricchi? Alcuni turisti tedeschi hanno scritto al Corriere sottolineando che i prezzi sono triplicati e che non possono più permettersi la loro classica vacanza in questa amata regione.
Non solo a Como, in Liguria supplemento di 2€ per il piattino vuoto di una bimba: la Lucarelli pubblica lo scontrino di un’osteria di Finale Ligure. Redazione su Il Riformista il 7 Agosto 2023
A pochissime ore di distanza dalla notizia di un costo aggiuntivo di due euro per dividere un toast a metà, episodio denunciato su Tripadvisor da un turista che ha pubblicato la foto dello scontrino, oggi è arrivata un’altra bizzarra richiesta da parte di un ristorante di Novi Ligure. La notizia, risalente al 23 luglio, è stata condivisa dalla giornalista e scrittrice Selvaggia Lucarelli che ha postato sulla propria pagina facebook uno scontrino di un’osteria finalese.
Cosa è successo – “Liguria. Un piatto di trofie al pesto 18 euro, la mamma chiede un piattino per farne assaggiare un po’ anche alla bambina di tre anni che ha già mangiato. Sul conto le mettono due euro per il piattino. Tra l’altro avendole già messo sul conto il coperto”. Questo il post pubblicato questo pomeriggio su facebook dalla celebre giornalista Selvaggia Lucarelli.
Tre persone: mamma, papa e figlia. Oltre ad una acqua potabile e ad una birra, sullo scontrino risultano pagati due piatti: uno di trofie al pesto e uno di acciughe fritte. La voce incriminata è quella del “piattino condivisione”, ovvero il classico piatto che viene chiesto ai camerieri quando si vuole condividere una portata con una persona che in quel momento non sta mangiando nulla.
Al momento il ristorante non ha dato spiegazioni e nemmeno commentato il post della Lucarelli. Sul caso sollevato da Selvaggia Lucarelli è intervenuto con un post sulla sua pagina facebook anche il governatore ligure Giovanni Toti: “Questo è lo scontrino del ristorante ligure in cui vengono addebitati 2 euro per un piattino in più per condividere una porzione di trofie al pesto. Non voglio difendere il ristoratore perché ritengo quell’extra sbagliato, voglio difendere però i tanti ristoratori che ogni giorno lavorano seriamente in Liguria, offrendo un grande servizio a cittadini e turisti grazie alle nostre eccellenze enogastronomiche. Ristorazione che peraltro, oltre a offrire migliaia di posti di lavoro, continua a crescere in qualità, con tanti giovani chef in ascesa che negli ultimi anni si sono conquistati importanti riconoscimenti”.
Venezia, l'ultimo scontrino-scandalo: quanto paga l'acqua del rubinetto. Libero Quotidiano il 09 agosto 2023
L'estate dei rincari e degli "scontrini pazzi". Numerose le segnalazioni di conti salatissimi (e ingiustificati) o di rincari che lasciano i clienti basiti, quali quello per il piattino di condivisione o per il toast tagliato in due. Una serie di vicende che porta i ristoratori a reagire. A tuonare è Raffaele Medeo, presidente di TNI Ristoratori Italia, che ricorda: "Sono casi isolati e comunque ogni ristorante ha tutti i prezzi ben visibili sui menù".
E ancora: "Perché invece non si dice che dopo il Covid è aumentato tutto, tanto che i ristoratori dovrebbero adeguare i prezzi almeno una volta a settimana? Invece nessuno lo fa, assorbiamo la quasi totalità di questi rincari, per consentire alle persone di venire ancora al ristorante, e intanto rischiamo di fallire. Le materie prime, gli affitti, l'acqua, la tariffa sui rifiuti continuano a rincarare e si tratta di mere speculazioni". Ma non è finita: "Le commissioni sui Pos restano alte e ormai il 90% delle transazioni sono elettroniche, con migliaia di euro, frutto del lavoro dei ristoratori, che ogni anno vanno alle banche. I locali, soprattutto quelli di periferia, sono in ginocchio. I fornitori hanno incrementato la farina del 200%. Eppure la farina per il 96% è prodotta in Italia, non in Ucraina", conclude Medeo.
Ineccepibile. Peccato però che come lui stesso ammette ci siano dei "casi isolati" inesorabilmente destinati a far discutere. L'ultimo arriva da Eraclea, nei pressi di Venezia-Mestre. Nell'estate dei rincari ecco che si paga addirittura l'acqua del rubinetto. La denuncia come sempre viaggia sui social, dove Arianna racconta quanto le è successo: "Ora si paga anche l'acqua del sindaco. I prezzi sono aumentati in modo esagerato, ma si può mettere in conto un bicchiere di acqua del rubinetto. E poi si chiedono come mai c’è così poca gente ad Eraclea", si sfoga la signora.
Il post, pubblicato su Facebook, ha subito scatenato gli utenti, che lo hanno condiviso in massa per protestare. Ma c'è anche chi eccepisce. Qualcuno, per esempio, commenta: "Se mettono 3 euro di coperto però nessuno dice niente". E un altro: "Fare una polemica per questo mi sembra un po' esagerato. Io mi indignerei di più se dovessi pagare 5 euro di coperto con i tovaglioli di carta". Insomma, un caso che divide...
Il toast diviso in due al bar costa due euro in più: lo scontrino (incredibile) in un bar di Gera Lario, è polemica. A rendere nota la notizia è stato il turista che ha voluto pubblicare la foto dello scontrino incriminato su TripAdvisor, allegandolo a un commento non troppo lusinghiero. Da ilgazzettino.it Lunedì 7 Agosto 2023
Tutto si è consumato a fine giugno, ma la polemica è scoppiata nelle ultime ore sui social più accesa che mai. Un bar di Gera Lario, un paese di mille abitanti sul lago di Como, ha emesso uno scontrino che fa davvero discutere. Nello scontrino fiscale, infatti appare una dicitura choc: il gestore ha chiesto 2 euro al cliente per aver tagliato a metà un toast.
Due euro per tagliare il toast a metà
Sicuramente non è la prima volta che i prezzi di bar e ristoranti sul lago di Como scatenano le polemiche, ma questa volta a far discutere non è tanto il costo dei prodotti, quando di un servizio che difficilmente si paga.
A rendere nota la notizia è stato il turista che ha voluto pubblicare la foto dello scontrino incriminato su TripAdvisor, allegandolo a un commento non troppo lusinghiero. Il cliente non aveva molta fame e, quindi, ha chiesto gentilmente al cameriere se avesse potuto dividere in due il toast. Poi al momento di pagare, la sorpresa tutt'altro che gradita. Il prezzo totale del piatto, compreso di patatine, costava 7,50 euro, ma con un supplemento di 2 euro per aver chiesto il favore di tagliare il panino a metà.
Il 26 per cento del costo del piatto per affondare una lama e dividerlo.
La polemica sui social
Il cliente su TripAdvisor fa notare come, in realtà, il toast nel locale venga servito già normalmente diviso. Ma l'uomo ha voluto specificarlo perché lo avrebbe diviso con la moglie. «In pratica ho dovuto pagare due euro perché lo abbiamo mangiato in due, sennò non avrei pagato di più», dichiara stizzito.
Una polemica subito fatta notare al barista che, dal canto suo, si sarebbe giustificato dicendo che la maggiorazione era dovuta al fatto che ha dovuto usare due piattini per servire un unico panino, oltre al tovagliolo di carta in più. Una storia che sta facendo discutere e non poco e che è subito diventata virale.
"Meglio un tavolo di confronto con Manduria". Il sindaco di Avetrana non parteciperà alla manifestazione di Colimena. La Redazione de La Voce di Manduria Oggi, martedì 8 agosto 2023.
La manifestazione con corteo di oggi pomeriggio organizzata dal comitati cittadini di Torre Colimena e Specchiarica, non avrà il gonfalone del Comune di Avetrana. Lo fa sapere il sindaco Antonio Iazzi in una nota che pubblichiamo di seguito nella quale propone di aprire un tavolo di dialogo e di partecipazione attiva tra comitati, associazioni di categoria e comuni interessati per discutere con gli amministratori del Comune di Manduria delle problematiche e delle priorità che preoccupano i residenti e frequentatori di questa porzione delle marine manduriane. Di seguito il testo del comunicato del sindaco.
Nei giorni scorsi ho ricevuto un invito, dopo un contatto personale, di partecipazione ad una manifestazione organizzata per martedì 8 agosto 2023 da alcune Associazioni che insistono sui territori di Torre Colimena e Specchiarica, con la quale si chiede un progetto per il futuro delle marine dei predetti territori.
Condivido pienamente le difficoltà che i territori stanno affrontando, al pari delle Amministrazioni che governano gli stessi. Ciononostante, ritengo che lo strumento che si sta utilizzando per affermare le istanze della popolazione può essere non del tutto idoneo ad instaurare il giusto rapporto tra le Istituzioni che sovrintendono ad un territorio e i cittadini in esso localizzate e che le stesse Istituzioni rappresentano.
Per tale ragione, mi permetto di portare all'attenzione degli organizzatori e dell’Amministrazione Comunale di Manduria la mia proposta di aprire un tavolo di dialogo e di partecipazione attiva, all’interno del quale i rappresentanti delle associazioni e dei comitati, unitamente ai rappresentanti delle associazioni di categoria (che non sono citate nell'invito), possano discutere con gli Amministratori del Comune di Manduria delle problematiche e delle priorità delle istanze che promanano dagli stessi.
L’Amministrazione Comunale di Manduria ben conosce le specificità del territorio, le criticità e le potenzialità di sviluppo delle stesse. Si tratta di favorire, a mio modesto avviso, una forma di dialogo attraverso cui condividere i bisogni, le progettualità ed anche gli adempimenti utili per arrivare a dar vita ad un progetto.
Manifesto sin d’ora la mia disponibilità ad organizzare e moderare, unitamente ai Sindaci di Torre Santa Susanna ed Erchie (sentiti per le vie brevi e disponibili), lo stesso tavolo di dialogo, con il fine di far incontrare le parti interessate.
Io non parteciperò alla manifestazione, che sono convinto si svolgerà con il massimo rispetto delle parti. Sono sin d'ora disponibile per avviare il confronto auspicato.
Antonio Iazzi, sindaco di Avetrana
Reportage dalle marine. Colimena tra scarico a mare e strisce blu, un'estate problematica. La Redazione de La Voce di Manduria Oggi, martedì 8 agosto 2023.
Torre Colimena prende le sembianze di un paese fantasma abbandonato a sé stesso. Le strade della marina manduriana solitamente animate da turisti e vacanzieri in cerca di relax e divertimento appaiono in queste prime calde giornate di agosto più deserte che mai.
L'attesa stagione turistica, che avrebbe dovuto rappresentare un toccasana per l'economia della comunità locale, si è invece trasformata in un'ombra lunga che si estende su strade vuote e locali chiusi. L'immagine che si presenta agli occhi dei pochi presenti è quella di un luogo abbandonato, in cui l'unica cosa che sembra prosperare è la marcatura blu delle strisce dei parcheggi, disposte con meticolosa regolarità davanti agli ingressi delle abitazioni e dei garage.
Le testimonianze di residenti e villeggianti non fanno che confermare questa realtà sconcertante. «Non c’è nessuno. I locali ne risentono» confida un negoziante con un'espressione di preoccupazione stampata sul volto. Le speranze di una ripresa economica legata all'afflusso di visitatori estivi sono svanite, lasciando dietro di sé un amaro senso di abbandono.
Addirittura i turisti, solitamente entusiasti di trascorrere le loro vacanze in queste affascinanti terre, esprimono il loro disappunto. "Io, turista che scendo a Torre Colimena e affitto casa, devo anche pagare il parcheggio davanti ad essa", sottolinea un visitatore, evidenziando il disagio di dover affrontare ulteriori spese (il parcheggio a pagamento) in un contesto già segnato da un'atmosfera poco accogliente.
Le tensioni crescenti e la frustrazione accumulata saranno protagoniste della manifestazione che si terrà oggi alle ore 18. Un corteo prenderà forma nella zona di Specchiarica quota 12 (altezza croce) con l'intento di attraversare le strade deserte e raggiungere la storica Torre di Colimena.
La manifestazione non è solo un gesto di protesta, ma un segnale di speranza e resilienza. La gente di Torre Colimena sta dimostrando la sua determinazione a risollevare le sorti della loro amata località, rifiutando di cedere al silenzio e all'abbandono. Il corteo si fa portavoce di un bisogno urgente di cambiamento, di attenzione da parte delle autorità locali e di un rinnovato impegno nel valorizzare ciò che questa terra ha da offrire. Qui di seguito il servizio video.
La situazione particolarmente delicata a Torre Colimena. Tensione nelle marine tra automobilisti e ausiliari della sosta. La Redazione de La Voce di Manduria Oggi il 6 agosto 2023.
Momenti di tensione si sono avuti l’altro ieri sera nella piazza di Torre Colimena quando due accertatrici della sosta hanno cominciato a controllare le auto parcheggiate e a fare le multe. Subito sono state accerchiate dai proprietari delle auto e da persone che in quel momento erano presenti, che hanno subito protestato per le multe ricevute e per la situazione in generale. C’era chi si era trovato il foglietto della multa sul parabrezza dell’auto perché stazionava nei parcheggi blu a pagamento, ma non aveva pagato la sosta e chi invece l’aveva ricevuta perché aveva parcheggiato a ridosso dei parcheggi blu ma dove non ci sono strisce (ieri sera si è scoperto essere vietato in base all’articolo 158 del codice della strada).
La situazione poi si è, per fortuna, calmata, anche se in paese non si parla d’altro: “il Comune di Manduria lo fa apposta per affossare ancora di più Torre Colimena”, diceva un signore che ha la casa vicino alla piazza. “Non c’è modo di parcheggiare senza pagare”, commentava un altro, aggiungendo “penso che i turisti stessi non torneranno in questo luogo”. Qualcun altro ha chiesto ad un proprietario di ristorante che era intervenuto: “ma voi commercianti siete contenti di quello che sta accadendo? Perché non intervenite e fate sentire la vostra voce?”.
Martedì prossimo ci sarà la manifestazione con corteo, organizzata dai tre comitati di zona, appoggiati dai comuni di Avetrana, Erchie e Torre Santa Susanna per chiedere al Comune di Manduria un confronto e progetti seri per le marine. Guardando il manifesto, emerge chiaramente l’assenza dei commercianti della zona, sarebbe interessante e utile capire come la pensano costoro.
A Torre Colimena, Specchiarica e San Pietro in Bevagna da ieri mattina non è più possibile parcheggiare la macchina in quasi tutte le strade delle marine senza pagare almeno un euro per la sosta di un’ora (7 per tutta la giornata, 35 per un mese). Oltre agli ormai famosi parcheggi blu, sono stati istallati dei segnali stradali di divieto di parcheggio e controllo elettronico di sosta dall’altra parte della carreggiata delle strade.
In pratica, se in una strada erano stati tracciati, da un lato, i parcheggi blu a pagamento, ma le persone parcheggiavano dall’altra parte della carreggiata dove non c’erano né strisce blu, né bianche o gialle, da ieri questo non sarà più possibile perché si rischia la multa. O paghi la sosta o prendi la multa, insomma.
Monica Rossi
"Spiagge semi deserte e cartellonistica inspiegabile". Scarciglia: le marine manduriane barzellette d'Italia. La redazione de La Voce di Manduria sabato 15 luglio 2023.
Oggi voglio commentare due foto. La prima raffigura una delle numerose auto prelevate con rimozione. Questa, come tante altre, era parcheggiata lungo la litoranea, in località Specchiarica/Quota 10, lungo la quale il Comune di Manduria ha voluto istituire una serie indefinita e insensata di divieti di sosta e di fermata.
Oggi, un sabato di metà luglio, che durante gli anni precedenti vedeva le spiagge già piene di persone, le stesse spiagge erano semi deserte, proprio a causa di questi divieti.
Ripeto per l'ennesima volta: i divieti si impongono solo se si offre un'alternativa di parcheggio, altrimenti crei solo danno all'economia del territorio. Infatti, molti miei conoscenti, anche turisti frequentatori assidui di questi luoghi, stanno preferendo le spiagge di Punta Prosciutto e Torre Lapillo.
La seconda foto, invece, vuole essere una richiesta agli amministratori di Manduria: lì siamo all'ingresso della riserva naturale della Salina dei Monaci. Quando si esclude dal rispettare il divieto di accesso ai "residenti", ci si vuole rivolgere a chi? Ai fenicotteri? Ai Cavalieri d'Italia? A quale razza in particolare di uccelli?
Perché a me non risulta che nella riserva naturale ci risieda qualche essere umano o qualche volatile in possesso di un'autovettura! Cara amministrazione di Manduria, rivolgo a voi una domanda semplice: ma avete un'idea di sviluppo turistico ed economico per i vostri 18 km di costa?
O credete di incassare soldi (tanti!) senza offrire almeno i servizi essenziali basilari?
O, addirittura, credete di continuare ad affossare questo territorio, dopo aver voluto anche lo scarico complementare del depuratore nel NOSTRO mare, e vedere i villeggianti di Torre Colimena e Specchiarica rimanere inermi?
Se fosse così, sappiate (qualora non ne foste già convinti) che vi state sbagliando. Questi territori (Torre Colimena e Specchiarica) stanno diventando la "barzelletta" di tutta l'Italia, ma noi non vogliamo essere vostri complici!
Alessandro Scarciglia, ex vicesindaco di Avetrana, coordinatore cittadino di FdI
L'intervento di Scarciglia. «Metti la striscia, togli la striscia», l'ironia sul web. La Redazione de La Voce di Manduria venerdì agosto 2023.
Strisce cancellate
«Metti la striscia, togli la striscia». Così l’ex vicesindaco di Avetrana, Alessandro Scarciglia, ironizza sulla cancellazione di alcune strisce blu che erano state precedentemente tracciate in alcune strade di Torre Colimena. In questi giorni, infatti, il comando di polizia municipale sta aggiustando il tiro su alcune storture dovuta, pare, all’impresa che gestisce il servizio di sosta a pagamento nelle marine di Manduria, facendo coprire con il nero gli stalli impropri.
«Dopo aver cancellato le strisce blu vicino al Ristorante "La Zattera" – insiste Scarciglia -, cominciano ad essere cancellate anche altre strisce che, diciamo, hanno fatto ridere un po' tutta Italia (anche se sono state eliminate quelle larghe 130 cm e sono rimaste quelle larghe appena 90 cm). Ma va bene così, è già un inizio», afferma ancora il politico avetranese che conclude il suo pungente commento «con la speranza che vengano cancellate tutte quelle sbagliate e/o realizzate in "difformità" al Codice della Strada (quindi, almeno l' 85% di quelle esistenti)», azzarda l’ex amministratore avetranese.
Antonio Giangrande: Quando il turista malcapitato viene a San Pietro in Bevagna, a Specchiarica o a Torre Colimena dice: “qua non c’è niente e quel poco è abbandonato e pieno di disservizi. Non ci torno più!”.
Al turista deluso e disincantato gli dico: «Campomarino di Maruggio, Porto Cesareo, Gallipoli, Castro, Otranto, perché sono famosi?»
“Per il mare, per le coste, per i servizi e per le strutture ricettive” risponde lui.
«Questo perché sono paesi marinari a vocazione turistica. Ci sono pescatori ed imprenditori e gli amministratori sono la loro illuminata espressione» chiarisco io. «E Manduria perché è famosa?» Gli chiedo ancora io.
“Per il vino Primitivo!” risponde prontamente lui.
Allora gli spiego che, appunto, Manduria è un paesone agricolo a vocazione contadina e da buoni agricoltori, i manduriani, da sempre i 17 km della loro costa non la considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a vigna ed edificati abusivamente, perciò da trascurare e da mungere tributariamente.
Ricordi del passato. C'era una volta un fiume e una corriera. La redazione su La Voce di Manduria martedì 15 agosto 2023
Fischiavano i freni. Nei timpani un rumore stridulo, fastidioso. Avevano funzionato bene, però. Persino alla discesa della marina, dove ci si faceva il segno della croce. La corriera con un brusco sussulto finiva la sua corsa. Non era stata veloce; l’autista non voleva che il motore fumasse. Davanti lo sterrato dei benedettini, quell’ omaccione che si scioglieva come sugna, spingeva i passeggeri a scendere, mandandoli fuori come galline nei pollai. Arrivati sani e salvi, grazie a Dio; anzi, grazie a San Pietro ché di lui si trattava. In quegli anni, “ i cinquanta”, non c’erano molti veicoli. Biciclette, qualche lambretta ed I primi “Ape”, sui quali si caricava di tutto il necessario per un temporaneo trasloco. Chi poteva permetterselo, solitamente i terrieri delle vigne, si faceva mirare con in mano il volante delle ” fiat belvedere”. Modeste auto ma tuttofare, utili per i campi e buone per svagare, di tanto in tanto, la famiglia.
La chiesetta di San Pietro aspettava i bambini che vi accorrevano con schiamazzi simili a gazze ciarliere nelle ore più calde. Segno della croce e preghiera: impartivano i grandi. Santu pietru benedittu cca’ llu’ tisiertu stai… si recitava sotto l’icona di un uomo con barba e lo sguardo rapito e meditabondo. Lo aveva pittato San Luca, si asseriva indubbiamente. Però, schiettamente, mai alcuno riusciva a spiegare quando il ritrattista avesse avuto il modello in carne ed ossa, visto che il primo apostolo doveva andare in giro a far conoscere i fatti del Cristo.
I ragazzi, con frettolosa precipitazione nel lanciarsi verso il mare, svolacchiavano dietro la torre saracena, annessa alla chiesetta. Una spiaggia immensa nell’immensità di un mare che nascondeva l’orizzonte. L’azzurro del cielo s’ incollava sulla sottostante acqua nel tremolio di un’aria caldissima. La rotonda. C’ era una specie di balneare, molto modesto ma con i servizi necessari. Chi poteva, pochi ché i ricchi stavano a Campomarino, aveva sdraio, ombrellone e la cabina per cambiarsi. Un chioschetto con gelati e cose fresche: miraggio per i bambini in quel deserto di sabbia, sale e sole. Per loro c’era, comunque, un grande campo giochi a disposizione. Dune su cui farsi scivolare, sabbia da modellare ed un mare in cui sguazzare. I giovanottielli avevano il loro gran da fare. Sparute, rare come le stelle marine, anche le signorinelle stavano lì a sciacquarsi i piedi nel mare. Tutte e tutti di una gioventù effervescente, con gli ormoni scompigliati. I giovanotti cercavano d’avvicinarsi quanto più possibile alle ragazze. Queste se ne stavano, guardate a vista dalle madri, in gruppo tra amiche. Pudiche, col costume d’un pezzo, com’era per appropriata convenienza. Indossare il due pezzi era di scostumatezza alquanto biasimevole. I maschietti facevano di tutto pur d’ attrarre l’attenzione femminea. Con alta voce si mostravano in acrobatiche evoluzioni con rincorsa e tuffo in mare in maniera mortale. A volte il tuffo non riusciva. Si dava, per così dire, una forte panzata, dolorosa molto. Finta di niente, per non fare la figuraccia con le ragazze che sghignazzavano. Giochi d’ innocente esibizionismo di ragazzi immensamente semplici.
Tanto muoversi e dimenarsi stimolava una gran fame. Nell’ involto delle cibarie portato appresso, c’erano le frise fatte in casa. Per ammorbidire e salare quel pan biscotto, che se non ammollato poteva spezzare i denti, si adoperava l’acqua del mare. Mare pulito, pur se la pipì poteva scapparci dentro. Con pummitori e cummarazzi, ed un filo d’olio, si faceva una merenda completa. Era Il caldo, purtroppo, a fare la sua parte. Seccava i corpi e dava arsura alle bocche, e scoprire che l’acqua era tutta bevuta aumentava la sete e voglia di bere. Era allora che i bambini, si mettevano a canzone, trovando buona scusa per andare a prendere l’acqua al fiume. I grandi, non per l’acqua da bere che non c’era, ma per non rompersi l’anima, erano costretti ad accontentarli. Mmili al seguito, da riempire al Chitru, fiumicello con la sua dignità, sbocco naturale di acque carsiche. Quanta storia aveva! Si era sentito sempre parlare dei suoi misteri e di sacralità. Si narrava che il Santo Pietro avesse benedetto quell’ acqua perché guarisse tutti i malati che vi s’immergevano. Convertì anche un re, e lo battezzò come il Battista aveva fatto con Gesù. Il fiume, da molti e lontanissimi secoli, veniva nominato Chitru, per la sua acqua fredda come quelle lastre di ghiaccio che, d’inverno, si formano nelle pozzanghere d’acqua. Guidati dagli adulti I piccoli esploratori affrontavano un cammino che breve non sembrava. Si sudava e faticava meno se si camminava sul bagnasciuga a piedi nudi. Si trovavano, sballottolate dal mare, delle palline, gomitoli di un crine somigliante alla barba dei vecchi. Erano i residui della barba del santo apostolo. Per i bambini era la conferma indiscutibile che, quell’uomo di Dio, era davvero arrivato e soggiornato in zona, prima di restare e morire nella città dei romani. Alla comparsa di siepi di canne, in un giardino naturale ed intatto, si affievoliva la fatica. Attenzione ai camminamenti su cui mettere i piedi, potendo finire in acqua. I naturali abitanti del luogo si facevano vedere e sentire. Cra-cra e le ranocchie, disturbate nei loro accoppiamenti, con salti a scatto andavano a nascondersi nel groviglio di piante acquatiche. Vi stanziavano diverse colonie di insetti, zanzare e volatili che lì facevano i nidi per i loro piccoli. Lucertoline verdi facevano anch’esse i loro bagni di sole. Rari i lucertoloni, i ramarri. Da non avvicinare, potevano diventare feroci. Delle bisce nere scivolavano nell’acqua. Venivano scambiate per le comuni bisce terrestri, scursuni, ma quelle erano anguille, si potevano anche mangiare. Ai bambini, però, l’idea di mangiarsele non piaceva proprio… che schifo ! La vasca grande. Cosi veniva chiamata una grande conca naturale piena d’acqua emergente da un lungo scorrere sotterraneo. Spaventosa, a finirci dentro si poteva essere inghiottiti da una profonda voragine senza fondo. Però i pesci, diversi e colorati, se la godevano tutta. Da padroni andavano avanti indietro con collaudata sicurezza in mezzo alle alghe fluttuanti in un acquario unico. In zone dove l’acqua era più stagnante c’erano i sannacciuni, i crescioni d’acqua dolce. Mondati ché non ci fossero le larve delle sanguette, le sanguisughe che si usavano anche a scopo medico, erano ricercati per farne insalate. Finalmente la grotta, un incavo calcareo naturale. Vi sgorgava un’ acqua piacevolmente fresca e leggera; grandi bevute. Veniva sorseggiata facendo coppa con le mani. Era acqua pura. Anche Pietro, da santo, lo sapeva ché aveva tolto la lebbra al popolo locale, compiendo miracolo. Mmili riempito, si faceva malinconico ritorno in direzione opposta all’andata, di fronte il sole con le ultime vampe del giorno. Alcuni dei bambini correvano distaccando gli altri per raccontare, in esclusiva, agli adulti che aspettavano, la grande avventura. Ultima scesa in mare, con poca voglia di mai uscirne ed ubbidire alle sollecitazioni dei grandi. Ma cominciava, con la sera, a farsi tardi. La corriera non avrebbe aspettato mica. Quell’omaccione non dava proroghe, la giornata doveva finire anche per lui. C’era d’ arrampicarsi col vecchio scassone sulla salita della marina. Un altro segno di croce. Seduti in fondo al veicolo, bambini e ragazzi si raccontavano tutto il bello ed il singolare della giornata, un vociare gioioso da sottofondo alla dormitina dei grandi. Si giungeva così, presto questa volta, al paese. La corsa, l’avventura finiva lì. Quella giornata, il fiume Chitru, diventavano per molti bambini il sogno vissuto e, nel tempo, uno di quei bei ricordi da rievocare e tramandare amalbimente.
Purtroppo, per la dilagante stupida umana minimizzazione del passato, atta a far apparire normale e realistico l’ indecente presente e futuro dell’odierno Chidro deturpato e moribondo, anche queste piccole storie non avranno più storia, scomparendo per sempre insieme a coloro che ebbero la fortuna di viverle.
Egidio Pertoso
Antonio Giangrande: AREA MARINA PROTETTA. A MANDURIA QUALCOSA NON VA……
A Manduria qualcosa non va. Non voglio pensare che tutti i cittadini del paese messapico siano in sintonia con i loro amministratori. Al contrario, la cosa sarebbe grave e da far pensare.
Gli amministratori manduriani, che si presume rappresentino tutta la cittadinanza di Manduria, sembra che adottino provvedimenti amministrativi paradossali e poco condivisibili dal resto del mondo.
Gli amministratori manduriani e quelli savesi, pur avendo un vasto territorio idoneo alla bisogna, furbescamente, prima hanno deciso di disfarsi delle loro feci, scaricandoli sul territorio di Avetrana, con la realizzazione del depuratore consortile a fianco dell’Urmo, frazione turistica di Avetrana ad 1 km dal mare, giusto per rovinare lo sviluppo turistico di Avetrana, poi, non contenti decidono di sversare il liquame nel mare prospiciente, di competenza manduriana.
Questo con la colpevole, se non dolosa, complicità dei rappresentanti locali e regionali di tutti gli schieramenti politici: da Calò, Massaro fino a Massafra; da Fitto a Vendola.
Non è che per anni Manduria abbia fatto qualcosa per quel suo territorio di costa. Abusivismo, abbandono e degrado. Quello che fa Maruggio con Campomarino, o Porto Cesareo per sé e con Torre Lapillo per valorizzare la costa e creare sviluppo e lavoro, (giusto per citare i loro vicini più prossimi), per i manduriani è una missione impossibile.
Cosa si può pensare di una amministrazione che ti vieta addirittura il parcheggio per le auto dei bagnanti pendolari che dall’entroterra si versano sulla costa. Giusto per respingerli come se fossero migranti venuti dall’Africa. E poi per difendere cosa? Se non una costa abbandonata e desolata.
Per i manduriani considerare il Salento come la nuova El Dorado del turismo al pari del resto della Puglia o della Versilia o del litorale marchigiano romagnolo è una utopia scolastica. Purtroppo i limiti culturali ed imprenditoriali son quelli. Chissà se gli amministratori manduriani hanno mai visitato quei luoghi, giusto per imparare qualcosa dai loro colleghi.
Oggi che si vedono stretti in un cul de sac dalle proteste di tutte le popolazioni spalleggiate dalle loro amministrazioni comunali dei paesi limitrofi per la questione depuratore consortile, il Consiglio Comunale di Manduria ha approvato all’unanimità l’avvio dell’iter per l’istituzione di un’area marina protetta a tutela degli ecosistemi marini e costieri del tratto di mare che ricade nella giurisdizione della città messapica. I diciotto chilometri della costa di Manduria si allungano in direzione sud-ovest da Torre Borraco a Torre Columena dove arrivano le ultime propaggini delle Murge Tarantine, passando per San Pietro in Bevagna. Quasi a tempo di record, quindi, la proposta avanzata dal circolo di Manduria di Legambiente è stata recepita dall’intero consesso elettivo. Legambiente ha prodotto tutta la documentazione necessaria, oltre alle cartine dell’area interessata. Il Consiglio Comunale, pertanto, non si è lasciato sfuggire l’occasione di avviare l’iter per dotarsi di uno strumento per loro prezioso.
Ergo: sotto l’egida degli ambientalisti hanno approvato l’adozione di un progetto di desertificazione. Le mire degli ambientalisti manduriani è come quello degli ambientalisti tarantini: anziché incrementare aziende sanificate tendono a desertificare il territorio dal tessuto produttivo.
L’adozione della proposta assomiglia alla barzelletta di quel marito tradito che per punire la moglie si taglia il…….
In un periodo di recessione, intervenendo sullo sviluppo, impedendone la crescita è un paradosso.
Per chi vuol sapere cosa sia una Area Marina Protetta, basta leggere Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
L'area naturale marina protetta, definita per comodità, anche a livello internazionale, generalmente e più brevemente solo come area marina protetta o AMP, è una zona di mare circoscritta, in genere di particolare pregio ambientale e paesaggistico, all'interno della quale è in vigore una normativa limitativa e protettiva dell'habitat, delle specie e dei luoghi, e relativa alla regolamentazione e gestione delle attività consentite. Rientrano nell'ambito delle aree naturali protette e spesso sono anche definite riserve; in alcune di esse viene consentita anche la pesca commerciale tradizionale, presumibilmente non distruttiva.
In Italia dopo un lunghissimo iter di studio e fattibilità, contrastato soprattutto da pescatori, persone e politici con interessi particolari soprattutto speculativi all'interno delle aree dove ne era prevista l'istituzione, un estenuante e acceso dibattito politico nonché un profondo ritardo nei confronti di tutti gli stati occidentali, è stata finalmente attuata una legge quadro ed infine nel giro di diversi anni sono state infine istituite nel tempo tutte le aree marine ora in esercizio.
Le motivazioni di base erano e sono la necessità di preservare l'ambiente ed in particolare la flora, la fauna e la geologia delle aree prese in esame, di rendere impossibile o limitare, se non per motivi di effettiva necessità istituzionali, la costruzione di nuovi edifici e di non effettuare attività turistiche, commerciali ed industriali che potessero in qualche modo snaturare e danneggiare e fasce costiere di tali località, anche se in effetti le tardive istituzioni hanno consentito negli anni passati di costruire alberghi e insediamenti abitativi completamente inadeguati e fuori dalle logiche ambientalistiche all'interno delle aree costiere di pregio. Le AMP sono in pratica delle zone dove è praticamente molto difficile se non impossibile costruire lungo i litorali nuovi edifici, nel caso possono e devono essere restaurati e resi fruibili per le normali attività degli enti e associazioni preposti alla tutela, valorizzazione e promozione di tali aree.
Una delle peculiarità delle regole dell’AMP è quella di limitare le attività di pesca e prelievo con delle regolamentazioni specifiche, ma anche quella di promuovere ed effettuare dei programmi di studio, ricerca e ripopolamento abbinati a dei programmi didattici ed educativi che permettano la maggiore conoscenza e sensibilità nei confronti della natura.
In Italia le aree sono suddivise in 3 zone denominate zona "A", zona "B" e zona "C" Le zone "A" sono delle aree delimitate dove non è possibile svolgere alcuna attività, quindi neanche il transito e la balneazione, che non sia di carattere scientifico e di controllo, mentre le zone "B" e "C" sono fruibili ma con relativi limiti alla pesca e agli attrezzi utilizzabili ed alla velocità di transito, in genere sotto i 6 nodi vicino alle coste. La pesca sportiva con canne e lenze è generalmente consentita con autorizzazioni contingentate mentre la pesca subacquea sportiva è completamente vietata, ed è consentita solo la pesca subacquea professionale limitatamente alla raccolta del riccio di mare Paracentrotus lividus che hanno raggiunto la taglia commerciale e solo in apnea, con ulteriore limitazione delle quantità prelevabili.
In poche parole Area Marina Protetta significa area marina e costiera non più fruibile da alcuno, residente o turista.
Bene, ma come si concilia da desertificazione e quindi l’inibizione di qualsivoglia opera urbanistica igienico sanitaria con la sanificazione di tutta un’area aggredita dall’edilizia abusiva con migliaia di case che scaricano i liquami domestici nella falda acquifera?
C’è da chiedersi: a Manduria come si scelgono i rappresentanti politici? Per la loro capacità o solo per la loro ambizione e capacità di proporsi per apparire?
Dr Antonio Giangrande
Dubbi sulla perimetrazione del divieto di balneazione. Avetrana ricorre al Tar contro lo scarico: "Manduria irresponsabile". La Redazione de La Voce di Manduria mercoledì 5 luglio 2023
L’amministrazione comunale di Avetrana ha depositato un ricorso al Tar contro il provvedimento autorizzatorio unico regionale che ha dato il via definitivo ai lavori di completamento del depuratore con gli scarichi complementari nelle trincee drenanti in località Masseria Marina e nel mare di Torre Colimena.
Nel ricorso perfezionato dall’avvocatessa leccese, Alessandra Cursi, si ritiene illegittimo il non aver dato credito ai rilievi del comune di Avetrana che sostiene l’erronea perimetrazione della zona destinata al divieto di balneazione che l’Aqp avrebbe arretrato di circa 600 metri dalla costa facendo partire il "punto zero" dalla prima immissione dei reflui nei canali di Arneo che confluiscono direttamente nell’omonimo bacino e quindi in mare. Secondo i tecnici del comune di Avetrana, il divieto di balneazione e di ogni attività marina, parte dal punto dove i reflui raggiungono il mare e non 600 metri prima; in questo modo l’intero porticciolo e lo specchio di mare per 500 metri a destra e a sinistra dello sbocco dei reflui deve essere interdetto.
Nel ricorso proposto viene stigmatizzato il comportamento del comune di Manduria (della maggioranza Pecoraro esattamente) «che peraltro – si legge - ha approvato la variante urbanistica con delibera di Consiglio Comunale senza porsi alcun dubbio in ordine alla perimetrazione della distanza di rispetto, ancorché il suo sindaco – avverte l’avvocato - sarà tenuto ad adottare l’ordinanza di divieto delle attività di pesca, di balneazione e di piscicoltura, che, rebus sic stantibus, non potrà che essere adottata in conformità ad un progetto illegittimamente autorizzato».
Sempre secondo il ricorso presentato da Avetrana, l’assenso che il comune di Manduria ha dato al progetto definitivo, sarebbe illegittimo perché concesso prima della definitiva efficacia della variante urbanistica ratificata in seguito.
«E’ grave ed illegittimo – si legge ancora -, che tutte le autorità preposte alla valutazione del progetto ed al rilascio dei titoli, ciascuna per le proprie competenze, non abbiano dato rilievo alle osservazioni del 12/12/2022 del Comune di Avetrana e ciò è ancor più grave ed illegittimo tenuto conto degli effetti pregiudizievoli sulla salute pubblica che la erronea perimetrazione della distanza di rispetto determina».
Manifesti affissi nelle marine. Chi ha voluto lo scarico a mare: I Gea sbattono i nomi in prima pagina. La Redazione de La Voce di Manduria il 10 marzo 2023.
Il Gruppo Gea di Manduria ha fatto affiggere a Torre Colimena e Specchiarica dei manifesti con i nomi dei consiglieri comunali della maggioranza Pecoraro che hanno approvato la delibera definitiva sulle trincee drenanti e sullo scarico complementare nel mare di Colimena. Il manifesto, dal titolo «Depuratore, sferrato il colpo mortale alle marine», sintetizza così ciò che è avvenuto in occasione della seduta consiliare del 16 febbraio scorso. «Pecoraro e la sua maggioranza- si legge – tradiscono la volontà dei manduriani e il mandato elettorale e approvano lo scarico a male nel bacino di Torre Colimena».
Lo scritto poi mette in chiaro con nome e cognome, i responsabili di tale atto. «Gli artefici di questa vergogna sono: Gregorio Pecoraro, Gregorio Dinoi, Michele Matino, Filippo Scialpi, Luigia Lamusta, Loredana Ingrosso, Fabrizio Mastrovito, Vito Perrucci, Serena Sammarco, Giovanni De Pasquale, Antonella Parisi, Semmi Polimeno, Pierpaolo Lamusta e Alessia Orsini». Il manifesto si chiude con la frase: «Decisione scellerata! Noi continueremo a dire No».
Antonio Giangrande:
Fognature, depuratori, allacci e salassi.
Con questa mia, tratto di un posto, ma è riferito a tutto il territorio pugliese: imposizione dei siti di raccolta e smaltimento delle acque nere, con l’aggravante dello scarico a mare, ed imposizione di salassi per servizi non resi.
Più volte, inascoltato, ho parlato del depuratore-consortile di Manduria-Sava, viciniori alla frazione turistica di Avetrana, con il progetto dello scarico a mare delle acque reflue. L’ho fatto come portavoce dell’associazione “Pro Specchiarica” (zona di recapito della condotta sottomarina di scarico) e come presidente nazionale della “Associazione Contro Tutte le Mafie”. Il progetto sul depuratore e sullo scarico a mare fu avviato dai sindaci di Manduria: da Antonio Calò e proseguito da Francesco Saverio Massaro, Paolo Tommasino, Roberto Massafra. I governatori e le giunte regionali hanno autorizzato i depuratori e gli scarichi a mare, (quindi non solo quello consortile di Manduria-Sava posto a confine al territorio di Avetrana e sulla costa). I vari governatori sono stati Raffaele Fitto del centro destra e Nicola Vendola del centro sinistra. Entrambi gli schieramenti hanno preso per il culo (intercalare efficace) le cittadinanze locali, preferendo fare gli interessi dell’Acquedotto pugliese, loro ente foriero di interessi anche elettorali. Le popolazioni in rivolta, in particolare quelle di Avetrana, sono sobillate e fomentate da quei militanti politici che ad Avetrana hanno raccolto, prima e dopo l’adozione del progetto, i voti per Antonio Calò alle elezioni provinciali e per tutti i manduriani che volevano i voti di Avetrana. Il sindaco Luigi Conte, prima, e il sindaco Mario De Marco, dopo, nulla hanno fatto per fermare un obbrobrio al suo nascere. Conte ha pensato bene, invece, con i soldi pubblici, di avviare una causa contro Fitto per la riforma sanitaria. In più, quelli del centro destra e del centro sinistra, continuavano e continuano ed essere portatori di voti per Raffaele Fitto e per Nicola Vendola, o chi per loro futuri sostituti, e per gli schieramenti che li sostengono. Addirittura Pietro Brigante sostenitore dell’amministrazione Calò nulla ha fatto per rimediare allo scempio. Brigante, nativo di Avetrana e candidato sindaco proprio di Avetrana.
Ma oggi voglio parlare d’altro, sempre in riferimento all’acquedotto pugliese e al problema depurazione delle acque. In generale, però. Giusto per dire: come ci prendono per il culo (intercalare efficace).
Di questo come di tante altre manchevolezze degli ambientalisti petulanti e permalosi si parla nel saggio “Ambientopoli. Ambiente svenduto”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book.
L’acquedotto Pugliese ha fretta per l’inizio dei lavori del depuratore di Manduria e Sava e della relativa condotta sottomarina. L’ente idrico ricorda che i finanziamenti accordati dalla Regione Puglia per la realizzazione dell’opera già appaltata, sono fruibili entro il 31 dicembre del 2015. Quindi solo di speculazione si tratta: economica per l’AQP; politica per gli amministratori regionali in previsione delle elezioni regionali??
Si parla sempre di Depurazione e scarico in mare. Perché non si parla mai di Fitodepurazione? Perché non fornire agli operatori del settore significativi spunti di riflessione attorno ai vantaggi e alle opportunità reali della fitodepurazione? La fitodepurazione non è solo una tecnica naturale di rimozione degli inquinanti utilizzabile per i reflui di provenienza civile, industriale ed agricola: è, allo stesso tempo, strumento efficace di miglioramento e salvaguardia ambientale. Rappresenta, altresì, una risposta concreta ed economicamente interessante nella gestione delle acque di scarico di derivazione civile ed industriale. Invece no. Nulla si guadagnerebbe!
Depuratore di Specchiarica. I tanti padri di un fallimento. Ricordo molto bene quando Emiliano promise solennemente che lo scarico a mare imposto da Vendola non si sarebbe fatto.
Il Pd di Avetrana abbandona la linea Emiliano-Del Prete in tema di depurazione, scrive "La Voce di Manduria" il 12 marzo 2017. Al partito democratico di Avetrana non convince più il piano del governatore Michele Emiliano del depuratore con scarico emergenziale sul terreno e chiede di spostare il sito altrove. Dicendosi ora «da sempre contrari alla localizzazione nella località Urmo Belsito», appena due settimane fa i piddini avetranesi, esprimevano «la massima soddisfazione in merito alle decisioni che, in itinere, la Regione Puglia ed Acquedotto Pugliese, con il prezioso contributo dei Comuni Interessati, dei Consiglieri Regionali del territorio e quelli del Gruppo PD, e soprattutto del Prof. Mario Del Prete, sono in fase di elaborazione, riguardo il Depuratore Consortile Manduria-Sava». Evidentemente convinti a cambiare idea dall’onda di proteste della loro comunità che vuole contrastare a tutti i costi il progetto Aqp-Del Prete-Emiliano, gli esponenti del Pd di Avetrana scrivono ora che «i recenti sviluppi della vicenda, che prevedono uno studio di fattibilità per il superamento dello scarico in mare delle acque come recapito finale della depurazione, nonché il venir meno della realizzazione della rete fognaria nelle località marine di Manduria, rendono superata quella localizzazione. Si considera, infatti – aggiungono -, che un depuratore posto presso il mare abbia dei costi molto maggiori rispetto ad una struttura che dovrebbe servire solo ed esclusivamente i nuclei abitati di Manduria e Sava». Per questo, secondo quanta nuova linea, «Il Circolo di Avetrana del Partito Democratico chiede a gran voce che sia preso in considerazione lo spostamento del sito del Depuratore per i motivi sopra esposti, ovvero: la mancanza del servizio fognario presso le marine di Manduria, il superamento dello scarico in mare, ed i costi eccessivi di una condotta che da Sava dovrebbe arrivare fino a Urmo Belsito». Il Pd avetranese, infine, «invita tutte le componenti politiche e sociali di Avetrana a ritrovare l’unità per poter ottenere un risultato utile all’intera popolazione, piuttosto che intraprendere lotte in solitaria che non fanno altro che dividere il fronte e rendere vana la deliberazione unitaria del Consiglio Comunale del 17 febbraio scorso, in cui si confermava la contrarietà di Avetrana all’ubicazione del sito del depuratore».
SPECCHIARICA. Quando il turista malcapitato viene a San Pietro in Bevagna, a Specchiarica o a Torre Colimena dice: “qua non c’è niente e quel poco è abbandonato e pieno di disservizi. Non ci torno più!”. Al turista deluso e disincantato gli dico: «Campomarino di Maruggio, Porto Cesareo, Gallipoli, Castro, Otranto, perché sono famosi?» “Per il mare, per le coste, per i servizi e per le strutture ricettive” risponde lui. «Questo perché sono paesi marinari a vocazione turistica. Ci sono pescatori ed imprenditori e gli amministratori sono la loro illuminata espressione» chiarisco io. «E Manduria perché è famosa?» Gli chiedo ancora io. “Per il vino Primitivo!” risponde prontamente lui. Allora gli spiego che, appunto, Manduria è un paesone agricolo a vocazione contadina e da buoni agricoltori, i manduriani, da sempre i 17 km della loro costa non la considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a vigna ed edificati abusivamente, perciò da trascurare.
Specchiarica è Salento. Specchiarica è un territorio costiero posto sul lato orientale della marina di Taranto. E' una lontana frazione decentrata di Manduria, provincia di Taranto, attigua al confine territoriale di Porto Cesareo, provincia di Lecce. Specchiarica confina con altre frazioni manduriane: ad est con Torre Colimena; ad ovest con San Pietro in Bevagna. Specchiarica è meno nota delle precedenti località pur se, in periodo estivo, ospita il doppio dei loro villeggianti. Le sue spiagge sono alternativamente sabbiose e rocciose ed il mare è incontaminato. Specchiarica è delimitata da due importati risorse ambientali. Sul lato est di Specchiarica vi è la Salina dei Monaci, sul lato ovest vi è il fiume Chidro. Specchiarica è formata da 7 contrade: quota 10; quota 11; quota 12; quota 13; quota 14; quota 15; quota 16. Le contrade non sono altro che delle strade di campagna comunali perpendicolari alle parallele strade provinciali e statali: la litoranea Salentina e la Tarantina. Le strade contradaiole oggi asfaltate alla meno peggio, sono bucate da tutte le parti. Ai lati di queste strade comunali da sempre si è lottizzato e costruito abusivamente. Prima a ridosso della litoranea e poi man mano, fino all'interno senza soluzione di continuità. Migliaia di case e decine di strade che da private sono divenute pubbliche. Gli organi preposti giudiziari ed amministrativi, anzichè regolare questo scempio, lo hanno agevolato.
A Specchiarica è quasi impossibile arrivarci: non ci sono vie di collegamento degne di un paese civile. Non vi è una ferrovia: i treni si fermano a Taranto (50 km). Non vi è un aeroporto: gli aerei si fermano a Brindisi (50 km). Non vi sono autostrade: l'autostrada si ferma a Massafra (60 km). Non vi sono porti: le navi si fermano a Taranto o Brindisi. Non vi sono autolinee extraurbane: gli autobus si fermano a Manduria (20 km) e qualche volta ad Avetrana (6 km).
Di questo diciamo grazie a chi ci amministra a livello provinciale, regionale, statale, ma diciamo grazie anche alla maggioranza di chi abita il territorio, abulici ad ogni autotutela e servili con il potere per voto di scambio o altre forme di clientelismo. Compromessa con la politica, la maggior parte degli abitanti di Specchiarica sono consapevoli del fatto che tutte le abitazioni della zona (Specchiarica, ma anche San Pietro in Bevagna e Torre Burraco e Torre Colimena) sono insalubri (mancanza di fogna e acqua potabile) e quindi inabitabili, oltre che inquinanti la falda acquifera. Devono solo ringraziare le omissioni delle Autorità preposte allo sgombero degli immobili per sanità e sicurezza pubblica, se si può ancora usufruire di quelle case.
Gli abitanti di Specchiarica sono degni e meritevoli dell'irridenza e dello sberleffo dei "Polentoni" (mangia polenta ovvero un pò lentoni di comprendonio) che definiscono i "Terroni" retrogradi ed omertosi, anche se molti settentrionali abitano la zona e non si distinguono per niente dalla massa. Gli specchiarichesi anziché ribellarsi, subiscono e tacciono. In questo modo, per non pretendere quello che gli spetta, le loro proprietà sono svalutate ed improduttive.
Percorrendo la litoranea Salentina, Specchiarica, a guardarla dal lato del mare è un paradiso vergine ed incontaminato, ma volgendo gli occhi all'interno ci si trova un ammasso di immobili, per lo più seconde case, costruite tutte abusivamente nell'indifferenza delle istituzioni. L'urbanistica del posto non esiste, e quello che c'è, di fatto, è mancante di qualsivoglia servizio civico. Mancano: acqua potabile e sistema fognario, la cui mancanza incide sull'inquinamento della falda acquifera; percorsi di viabilità pedonale ed automobilistica; illuminazione pubblica e luoghi di svago e di ritrovo. Assurdo, ma manca addirittura una piazza e perfino i marciapiedi per camminare o passeggiare. Tempo fa a Specchiarica vi era un luogo di ritrovo. Un bar-ristorante-pizzeria con annesso parcheggio roulotte, parco giochi e sala da ballo all'aperto. Vi era movimento, luci, suoni, svago, intrattenimento. Svolgeva altresì la funzione di ufficio informazioni. Era frequentato per lo più dai turisti, ma era malvisto da molti locali, erosi dal tarlo dell'invidia, abituati all'assistenzialismo e disabituati all'iniziativa imprenditoriale ed all'emancipazione culturale ed economica. In precedenza quel luogo era usato come campo di calcio da comitati estemporanei di gente locale, per lo più di Avetrana, avendoselo appropriato illegalmente, senza ristoro economico per il proprietario. Un intrattenimento gratuito per chi si accontenta di poco o di niente e pretende che gli altri facciano lo stesso. Hanno perso il giocattolo nel momento in cui chi ne aveva diritto ha creato un'azienda. Pur essendo proprietà privata, dei "Pesare" noti possidenti di Avetrana prima di passare all'attuale legittima proprietà, le malelingue diffamatorie divulgarono la convinzione che il terreno fosse stato usurpato illegalmente a danno del demanio. Il venticello della calunnia tanto soffiò forte che un giorno d'inverno qualcuno appiccò il fuoco alla struttura. Un avvertimento del racket a chi non voleva pagare il pizzo o una mano armata dall'invidia. La calunnia ancor oggi è un venticello che non smette di soffiare. L'amministrazione pubblica non ha più dato modo ai proprietari di ricostruire quello che la mafia o l'invidia aveva distrutto. La mafia ti rovina la vita; lo Stato ti distrugge la speranza. Le rovine di un passato sono ancora lì a ricordarci l'incapacità degli amministratori pubblici di governare e gestire un territorio.
Il paradosso è che a Specchiarica ha più diritto una pianta vegetale, pur non inserita in un sistema protetto di macchia mediterranea, che un essere umano, la sua proprietà, la sua azienda.
Se tocchi una pianta o bruci le erbacce le autorità ti distruggono con la delazione di pseudo ambientalisti. Vi è indifferenza, invece, se si abitano case insalubri ed inabitabili, in zone prive di ogni strumento urbanistico.
L'amministrazione comunale di Manduria è incapace di dare un'immagine ed una regolamentazione affinchè il territorio sia una risorsa economica e sociale per il territorio. Specchiarica è un luogo desolato ed abbandonato a sè stesso. Posto nel limbo territoriale e culturale tra i comuni di Avetrana e Manduria è un luogo di vacanze. Ambìto da entrambi i Comuni, il territorio è oggetto di disputa sulla sua titolarità. Avetrana ne vanta l'autorità per precedenti storici e per l'infima prossimità. L'argomento ad Avetrana è l'unico tema per le campagne elettorali. I proprietari delle case o i locatari che li occupano temporaneamente (pagando affitti in nero) sono gente di varie origini anche estere o extra regionali o provinciali. I specchiarichesi per lo più sono di origini autoctone, ossia sono cittadini di Avetrana, ma anche di Erchie, Torre Santa Susanna, Manduria e di altri paesi pugliesi limitrofi che si affacciano sulla costa ionica.
Specchiarica ha un solo ristorante, un solo bar, un posteggio per roulotte: troppo poco per sfruttare economicamente la risorsa del turismo. Ma i locali son contenti così. I saccenti amministratori locali ed i loro referenti politici provinciali e regionali, anzichè impegnarsi a porre rimedio ad un danno economico e d'immagine incalcolabile, nel deserto hanno pensato bene di progettare lo sbocco a mare del depuratore fognario di Manduria e Sava (paesi lontani decine di chilometri), arrecando addirittura un probabile danno ambientale.
Un comitato si è formato per fermare quello che il Comune di Manduria, l'Acquedotto Pugliese e la Regione Puglia vogliono fare in prossimità della località "Ulmo Belsito", frazione turistica di Avetrana, ossia il depuratore con lo scarico a mare nella marina incontaminata di Specchiarica, frazione di Manduria; nessuno, invece, ha mai alzato la voce per obbligare a fare quello che si ha sacrosanto diritto a pretendere di avere come cittadini e come contribuenti che sul posto pagano milioni di euro di tributi.
Comunque i comitati in generale, non questo in particolare, sono composti da tanti galletti che non fanno mai sorgere il sole e guidati da personaggi saccenti in cerca di immeritata visibilità o infiltrati per parte di chi ha interesse a compiere l'opera contro la quale lo stesso comitato combatte. Questi comitati sono formati da gente compromessa con la politica e che ha come referenti politici gli stessi che vogliono l'opera contestata, ovvero nulla fanno per impedirlo. Valli a capire: combattono i politici che poi voteranno alle elezioni. Spesso, poi, ci sono gli ambientalisti. Questi a volte non sanno nemmeno cosa significhi amore per la terra, la flora e la fauna, ma per ideologia impediscono il progresso e pretendono che si torni all'Età della Pietra. Ambientalisti che però non disdegnano i compromessi speculativi, tanto da far diventare le nostre terre ampie distese desertiche tappezzate da pannelli solari e fotovoltaici che fanno arricchire i pochi. Pannelli solari che offendono il lavoro dei nostri nonni che hanno conquistato quei terreni bonificandoli da paludi e macchie. Sicuramente non vi sono professionisti competenti a intraprendere le azioni legali e giudiziarie collettive adeguate, anche con l'ausilio delle norme comunitarie. Di sicuro i membri del comitato non vogliono sborsare un euro e si impelagano in proteste infruttuose fine a se stesse. Se il singolo può adire il Tar contro un atto amministrativo che lede un suo interesse legittimo (esproprio), la comunità può tutelare in sede civile il diritto alla salute ed all'immagine ed alla tutela del proprio patrimonio.
Per quanto riguarda la costruzione ed il funzionamento del depuratore vi sono norme attuative regionali che regolano la materia. A livello nazionale invece, si fa riferimento ai due decreti legislativi il n. 152/06 (“Norme in materia ambientale”) e il n. 152/99 (recante “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”) che, recependo la normativa comunitaria allo scopo di tutelare la qualità delle acque reflue, disciplinano che gli scarichi idrici urbani siano sottoposti a diverse tipologie di trattamento in funzione della dimensione degli agglomerati urbani. Altro è il controllo successivo rispetto ai parametri microbiologici di riferimento, gli stessi fissati dal D. lgs. 116 del 30 maggio 2008 ad integrazione del D.p.r. n. 470 dell’8 giugno 1982, norma emanata in recepimento della direttiva 79/160/CEE sulla qualità delle acque di balneazione e ora sostituita dalla più recente direttiva 2006/7/CE.
Il sindaco di Avetrana aveva firmato per il depuratore a Ulmo, scrive il 10 settembre 2015 "La Voce di Manduria". Scarico a mare no, depuratore in zona Ulmo Belsito si. E’ scontro su questo tra il vicesindaco di Avetrana, Alessandro Scarciglia e il consigliere regionale di Torricella, Peppo Turco. Il numero due della giunta avetranese fomenta la polemica postando su facebook gli atti deliberativi e i documenti attestanti la contrarietà degli avetranesi non solo alla condotta sottomarina, ma anche all’ubicazione delle vasche di raccolta e deposito previste a due passi dalla zona residenziale di Ulmo Belsito. Il consigliere Turco, da parte sua, fa notare la differenza di vedute di Scarciglia con il suo sindaco il quale, spiega Turco, è invece favorevole al sito Ulmo. «Da sempre – scrive il vicesindaco di Avetrana – siamo stati contro lo sversamento in mare delle acque reflue e contro l’ubicazione del depuratore (collettore) nei pressi dell’unica località turistica del nostro comune». Come prova di questo, l’amministratore avetranese posta tutte le delibere prodotte negli anni che, in effetti, attestano l’opposizione degli avetranesi sia alla condotta che alla sede delle vasche». Il consigliere di Torricella che con il suo collega manduriano, Luigi Morgante hanno preso a cuore la vicenda del «no scarico a mare», richiama l’amico Scarciglia e fa emergere la contraddizione tra lui e il suo sindaco. «Gli atti – scrive Turco – sono che stai facendo una figuraccia; per vincere una campagna elettorale avresti dovuto dirci tutto prima e non dopo. Negli incontri – continua il consigliere regionale – abbiamo sempre parlato di condotta». Infine Turco smaschera il capo dell’amministrazione di Avetrana citando un documento da lui sottoscritto. «Perché – chiede a Scarciglia – non posti il documento sottoscritto dal tuo sindaco in cui accetta tutto?». Più imbarazzante, per l’amministratore di Avetrana, l’intervento pubblico dell’ambientalista Nicolò Giangrande che su Facebook ha pubblicato la lettera richiamata da Turco (con tanto di firma del sindaco De Marco), con questo duro commento: «È semplice sbraitare, oggi, contro un tavolo riannodato tra mille difficoltà – si legge nel post – quando, invece, il Comune di Avetrana è stato il primo a firmare a Bari, il 4 agosto 2014, un avallo all’AQP per la condotta sottomarina. Una firma che ancora oggi pesa come un macigno nella ricerca di una soluzione condivisa tra tutti gli attori coinvolti. E’ meglio rinfrescare la memoria a quegli amministratori avetranesi – aggiunge Giangrande -, forse un po’ distratti o smemorati, che ricostruiscono la vicenda del depuratore sempre in maniera incompleta e sempre omettendo i documenti a loro più scomodi».
LA STORIA DEL DEPURATORE PUNTO PER PUNTO. Intervento del 24 aprile 2015 di Nicolò Giangrande su "Viva Voce Web". Dopo aver ascoltato molti degli interventi alla manifestazione di domenica 19 aprile, reputo sia doveroso ricostruire brevemente la decennale vertenza “no scarico a mare” per fare chiarezza sulle responsabilità del progetto al quale ci stiamo opponendo. Uno sguardo all’indietro non per motivi nostalgici bensì per chiarire alcuni elementi che, a mio avviso, stanno portando il dibattito, e il conseguente scontro, ad una contrapposizione “locale” versus “regionale”. La realtà è ben più complessa e chi vuole ridurla ad un banale schema del tipo “noi” contro “loro” ha come obiettivo quello di nascondere le responsabilità e confondere la situazione. Se vogliamo capire quanta responsabilità abbiano i diversi attori istituzionali coinvolti, dobbiamo analizzare le “parole” e i “(f)atti” che caratterizzano il loro discorso e le loro azioni.
Partiamo dal livello locale: Manduria.
Primo punto. L’Amministrazione Comunale di Manduria (sindaco Francesco Massaro, centrosinistra) ha indicato una localizzazione per il depuratore tanto lontana dal centro abitato cittadino quanto vicino all’unica area turistico residenziale di Avetrana con la motivazione di voler servire la marina manduriana. Una scelta miope che ha portato, sì, l’impianto lontano dal naso dei cittadini-elettori di Manduria ma lo ha avvicinato così troppo alla costa che l’unico scarico possibile dei reflui era, e rimane, il mare.
Secondo punto. Quando è stata presentata la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) vi era la disponibilità regionale alla modifica del sito (leggere pag. 13 della VIA, febbraio 2011) e, quindi, del conseguente scarico a mare. Il Comune di Manduria (sindaco Paolo Tommasino, centrodestra) non ha colto quella preziosa occasione e la VIA è stata approvata lasciando invariato il sito. Sei mesi dopo, nell’agosto 2011, lo stesso sindaco Tommasino era in prima fila nella manifestazione di San Pietro in Bevagna ad arringare la folla contro lo scarico a mare.
Terzo punto. L’attuale Amministrazione di Manduria (sindaco Roberto Massafra, liste civiche) si oppone alla costruzione dello scarico a mare ma non lo ha ancora dimostrato con degli atti amministrativi rilevanti. Passiamo ora dal livello locale a quello regionale. Salto volutamente i commissariamenti prefettizi della Città di Manduria e il livello provinciale poiché le responsabilità in questi livelli, pur essendoci, sono minime. Metto di lato anche l’AQP perché l’Acquedotto in questa partita è il braccio operativo della Regione Puglia.
Quarto punto. Nichi Vendola – nel suo triplice ruolo di Presidente della Regione Puglia, Commissario Straordinario all’Ambiente nominato dal Governo e leader nazionale di “Sinistra, Ecologia e Libertà” - è rimasto totalmente indifferente dinanzi alle richieste, provenienti da più parti, di ascoltare le soluzioni alternative. Una persona come lui, tanto impegnata nel mettere in luce le contraddizioni di alcune opere in altre regioni italiane e pure sulla costa adriatica pugliese, avrebbe dovuto rivolgerci un’attenzione particolare. Tra le incoerenze che voglio sottolineare vi è quella lettera a firma di Luca Limongelli (dirigente del Servizio Idrico della Regione Puglia), in cui si riconosce la netta contrarietà delle popolazioni interessate, si citano le autorizzazioni mancanti e si chiede al Ministero dell’Ambiente di inserire la costruzione del depuratore nel decreto “Sblocca Italia”. È paradossale come la Regione Puglia di Vendola sia tanto impegnata ad opporsi allo “Sblocca Italia” -poiché considerato un provvedimento calato dall’alto che non permette alcun confronto con la popolazione locale- e poi un funzionario della stessa Regione lo invoca, nel silenzio di tutti i vertici regionali, per imporre una scelta ad un territorio nettamente contrario.
Quinto punto. Fabiano Amati e Giovanni Giannini - rispettivamente l’ex e l’attuale assessore regionale ai Lavori Pubblici (entrambi del Partito Democratico) - si sono rivelati strenui difensori delle scelte e degli interessi dell’Acquedotto Pugliese. Infatti, tutti e due non hanno mai voluto ascoltare le nostre proposte alternative allo scarico a mare.
Sesto punto ed ultimo. Gli attuali consiglieri regionali eletti nella circoscrizione di Taranto -Anna Rita Lemma, Donato Pentassuglia, Michele Mazzarano (PD), Alfredo Cervellera (SEL, oggi Misto), Francesco Laddomada (La Puglia per Vendola), Giuseppe Cristella, Arnaldo Sala, Pietro Lospinuso (PDL-Forza Italia), Antonio Martucci (Italia dei Valori, oggi Moderati e Popolari) - sono stati tutti quanti, chi più che meno, interpellati per occuparsi della vertenza. Gli impegni presi, però, non sempre si sono trasformati in atti tangibili. Tra di loro vi è qualcuno che negli ultimi giorni ha pure espresso vicinanza alla nostra lotta. Questi atteggiamenti da convertiti sulla via di Damasco, forse meglio dire “sulla litoranea di Specchiarica”, li fanno apparire superficiali quanto quegli studenti che il 6 di gennaio si ricordano di non aver fatto i propri compiti e pensano a quale giustificazione usare il giorno dopo. Come vediamo le responsabilità della condotta sottomarina non sono solo da un lato bensì interessano le Istituzioni di ogni livello e i Partiti di ogni colore. Manduria e Bari sono accomunate entrambe dal dire una cosa e farne un’altra. Una pericolosa separazione tra “parole” e “(f)atti” che sta portando ad un progressivo allontanamento tra le Istituzioni e i cittadini e tra i Partiti e gli elettori. Non ci si può, quindi, meravigliare se poi i giovani presenti in piazza domenica scorsa contestano apertamente i simboli e gli uomini delle Istituzioni e dei Partiti. Per risolvere questa vertenza non c’è bisogno di alcun eroe pronto a immolarsi davanti alle ruspe. Sembrerà strano ma è sufficiente che i rappresentanti che tutti noi abbiamo eletto, dal Comune fino alla Regione, facciano semplicemente il proprio dovere. Il Coordinamento Intercomunale deve quindi giocare su tre fronti: in piazza, nei tribunali e nel Palazzo. È indispensabile continuare a tenere alta l’attenzione sulla nostra lotta, spingere i rappresentanti delle Istituzionali locali a dare mandato ad avvocati che possano predisporre una corretta azione legale e, infine, preparare l’incontro con il Ministero dell’Ambiente. Una volta coinvolto il Ministero, sarà compito di quest’ultimo decidere se affrontare la questione o rimandarla indietro alla Regione Puglia che, a quel punto, avrà un nuovo Presidente, una nuova Giunta e un nuovo Consiglio regionale.
CONTRO IL DEPURATORE CONSORTILE SAVA-MANDURIA AD AVETRANA E SCARICO A MARE. LOTTA UNITARIA O FUMO NEGLI OCCHI?
Sentiamo la voce del dissenso dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e dell’Associazione Pro Specchiarica entrambe di Avetrana. La prima a carattere nazionale e la seconda prettamente di interesse territoriale. Il perché di un rifiuto a partecipare alla lotta con gli altri, spiegato dal Dr Antonio Giangrande, componente del direttivo di entrambe le associazioni avetranesi.
«L’aspetto da affrontare, più che legale (danno emergente e lucro cessante per il territorio turistico di Avetrana) è prettamente politico. La gente di Avetrana non si è mobilitata in massa e non vi è mobilitazione generale, come qualcuno vuole far credere, perché è stufa di farsi prendere in giro e conosce bene storia e personaggi della vicenda. Hanno messo su una farsa poco credibile, facendo credere che vi sia unità di intenti.» Esordisce così, senza giri di parole il dr Antonio Giangrande.
«Partiamo dalla storia del progetto. La spiega bene il consigliere comunale Arcangelo Durante di Manduria: “Che la realizzazione a Manduria di un nuovo depuratore delle acque reflue fosse assolutamente necessario, era già scontato; che la scelta del nuovo depuratore non sia stata fatta dall’ex sindaco Francesco Massaro, ma da Antonio Calò, sindaco prima di lui, ha poca importanza. Quello che invece sembra molto grave, è che il sindaco Massaro, in modo unilaterale, nel verbale del 12 dicembre 2005 in allegato alla determina della Regione Puglia di concessione della Via (Valutazione d’Impatto Ambientale), senza informare e coinvolgere il consiglio comunale sul problema, ha indicato il mare di Specchiarica quale recapito finale del depuratore consortile”. Bene. Da quanto risulta entrambi gli schieramenti sono coinvolti nell’infausta decisione. Inoltre questa decisione è mirata a salvaguardare il territorio savese-manduriano ed a danneggiare Avetrana, in quanto la localizzazione del depuratore è posta sul litorale di Specchiarica, territorio di Manduria (a poche centinaia di metri dalla zona residenziale Urmo Belsito, agro di Avetrana)».
Continua Giangrande, noto autore di saggi con il suffisso opoli (per denotare una disfunzione) letti in tutto il mondo. «L’unitarietà della lotta poi è tutta da verificare. Vi sono due schieramenti: quello di Manduria e quello di Avetrana. Quello di Manduria è composto da un coordinamento istituito solo a fine maggio 2014 su iniziativa dei Verdi e del movimento “Giovani per Manduria” con il comitato “No Scarico a mare” di Manduria. Questo neo coordinamento, precedentemente in antitesi, tollera il sito dell’impianto, purchè con sistema di filtrazione in tabella IV, ma non lo scarico in mare; quello di Avetrana si oppone sia alla condotta sottomarina che alla localizzazione del depuratore sul litorale di Specchiarica. Il comitato di Avetrana (trattasi di anonimo comitato ed è tutto dire, ma con un solo e conosciuto uomo al comando, Pino Scarciglia) ha trovato una parvenza d’intesa fra tutti i partiti, i sindacati e le associazioni interpellate, per la prima volta sabato 17 maggio 2014, e si schierano compatti (dicono loro), superando ogni tipo di divisione ideologica e ogni steccato, che sinora avevano reso poco incisiva la mobilitazione. In mattinata del 17 maggio, il Consiglio Comunale di Avetrana si è riunito per approvare, all’unanimità, la piattaforma di rivendicazioni già individuata nella riunione fra il comitato ristretto e i rappresentanti delle parti sociali. In serata, invece, maggioranza e minoranza sono saliti insieme sul palco di piazza Giovanni XXIII per rivolgere un appello alla comunità composta per lo più da forestieri. Si legge nel verbale dell’ultima riunione del Movimento. “E’ abbastanza chiaro, inoltre, che le Amministrazioni Comunali di Manduria, che si sono succedute nel tempo da 15 anni a questa parte, non hanno avuto nè la volontà nè la capacità di modificare o di bloccare questo obbrobrio, trincerandosi dietro a problematiche e a questioni tecniche/burocratiche, a parer loro, insormontabili”. Il gruppo di lavoro unitario avetranese è composto da consiglieri di maggioranza e minoranza (Cosimo Derinaldis, Antonio Baldari, Pietro Giangrande, Antonio Lanzo, Emanuele Micelli e Rosaria Petracca). “Vorrei innanzitutto far notare come, finalmente, si stia superando ogni tipo di steccato politico o ideologico – afferma l’assessore all’Agricoltura e al Marketing Territoriale, Enzo Tarantino. Steccato veramente superato? A questo punto reputo poco credibile una lotta portata avanti da chi, di qualunque schieramento, continui a fare propaganda politica contrapposta per portare voti a chi è ed è stato responsabile di questo obbrobrio ai danni dei cittadini e ai danni di un territorio incontaminato. Quindi faccio mia la domanda proposta da Arcangelo Durante “Bisogna dire però, che il presidente Vendola è in misura maggiore responsabile della questione, poichè di recente ha firmato il decreto di esproprio, nonostante che, prima il consiglio comunale dell’ex amministrazione Massaro e dopo quello dell’amministrazione Tommasino, si siano pronunciate all’unanimità contrarie allo scarico a mare. Presidente Vendola, ci può spiegare come mai, quando si tratta di opere che riguardano altri territori, vedi la Tav di Val di Susa, reclama con forza l’ascolto e il rispetto dei cittadini presenti sul territorio; mentre invece, quando si tratta di realizzare opere che interessano il nostro territorio, (dove lei ha il potere) non rivendica e utilizza lo stesso criterio, come l’ultimo provvedimento da lei adottato in qualità di Commissario Straordinario sul Depuratore?”»
Monta la polemica per il divieto ai sindaci di salire sul palco con Romina Power, scrive il 9 aprile 2017 Nazareno Dinoi su “La Voce di Manduria”. Non ancora passati gli echi della grande manifestazione unitaria di venerdì contro ogni forma di scarico in mare del depuratore e per lo spostamento del costruendo impianto previsto sulla costa, il dibattito s’infiamma ora nella polemica tra organizzatori dell’evento e i sindaci e politici con cariche varie a cui l’altro ieri è stato impedito di conquistare il palco. Mantenendo fede agli accordi precedentemente presi da tutti i promotori della manifestazione, partiti, associazioni, comitati ed enti, tra cui il comune di Avetrana, al termine del corteo a cui hanno partecipato non meno di diecimila persone, gli esponenti politici presenti, sindaci con il tricolore, consiglieri regionali e consiglieri dei comuni di Manduria, Sava, Erchie, Lizzano ed Avetrana, hanno espresso la volontà di salire sul piccolo palco dove, secondo i programmi, sarebbero dovuti salire solo la cantante Romina Power, per un appello al presidente Michele Emiliano, e il portavoce degli organizzatori il quale avrebbe letto (come ha letto) un messaggio unitario indirizzato al sindaco di Manduria e alla struttura tecnica della Regione Puglia. Il tentativo di intrusione non è piaciuta ai coordinatori i quali avevano fatto di tutto per impedire qualsiasi caratterizzazione politica, o peggio ancora partitica, all’importante e riuscitissima manifestazione. Ne è nata un’accesa e verbalmente violenta discussione dietro al palco con i sindaci e il loro codazzo di politici al seguito che tentavano di conquistare la scaletta, e gli organizzatori che glielo impedivano. Urla, minacce, improperi, alcuni dei quali davvero irripetibili, hanno rischiato di rovinare la bella festa. I politici per convincere chi si opponeva, hanno detto di avere bisogno di una deroga al divieto concordato poiché quella mattina c’era stata a Bari un’importante riunione in cui si sarebbero prese decisioni importanti in tema di depurazione. E che bisognava riferire al popolo tali novità. Con uno sforzo alle regole, gli organizzatori della manifestazione hanno dato mandato ad uno di loro di salire sul palco e informare la folla di quanto stesse accadendo e chiedere il loro parere in merito. Il rifiuto dei manifestanti è stato univoco e rumoroso: «Niente politici sul palco». E così è stato. L’arrivo, finalmente di Romina Power, ha tolto ogni speranza ai sindaci che hanno dovuto rinunciare all’eccezionale platea dei diecimila assiepati sulla piazza. Tra le fasce tricolori che anelavano un posto su quel palco c’era anche il sindaco di Manduria, Roberto Massafra, lo stesso che una settimana prima aveva rifiutato il permesso di quella piazza che ora desiderava avere, motivando il diniego con la concomitanza del consiglio comunale che poi non si è più tenuto. Ieri, infine, è stato il giorno delle arrabbiature. Il sindaco di Avetrana, Antonio Minò, che si era fatto garante con gli altri suoi colleghi facendo lui stesso parte del comitato che ha organizzato l’appuntamento, si è scusato pubblicamente con gli ospiti tricolore accusando ancora una volta gli altri del comitato di aver privato i manifestanti delle buone notizie che venivano da Bari. In effetti dagli uffici della Regione Puglia, più che una soluzione (questo lo si è capito ieri quando le carte sono cominciate a circolare), è venuta fuori una proposta, anzi tre. In sostanza la Regione Puglia ha demandato ai consigli comunali di Manduria e Avetrana la scelta su tre ipotesi progettuali: quella originaria con il depuratore in zona residenziale Urmo e la condotta sottomarina; la seconda, proposta di recente con il depuratore sempre a Urmo, i buffer per uso irriguo dei liquami, e lo scarico emergenziale al suolo, tra le abitazioni e un hotel a 700 metri dal mare; infine una terza ipotesi che prevede lo spostamento del depuratore nell’entroterra con le vasche di drenaggio e senza scarico a mare ma in una lama che va a finire nel fiume Chidro.
Noi ambientalisti colpiti dal fuoco amico, scrive il 10 aprile 2017 Francesco Di Lauro su “La Voce di Manduria". Un clamoroso caso di fuoco amico noi sul palco a parlare di soluzioni condivise, di tavolo permanente per adottarle, ed Avetrana, che tiene famiglia, pur avendo firmato quel documento va e propone (sarebbe meglio dire si fa suggerire dall’aspirante sindaco geometra Coco) la soluzione Serpente- Canale Rizzo-Chidro. Chapeau, tutto da decidere in due giorni, neanche il tempo di prendere fiato dalla manifestazione di venerdì scorso. Alla faccia delle ‘istanze’ che dovevano arrivare dalla gente ed essere recepite dai politici, e tutto per consentire alla ditta Putignano di non perdere un appalto già assegnato (che è, naturalmente riassegnabile, ma perché “lasciare il comodo per lo scomodo?”). Non abbiamo nessun timore, da sempre, di dire quello che pensiamo anche contro una dura realtà, e la dura realtà è che questo è l’ennesimo colpo di mano a danno del territorio, ma soprattutto di un metodo che permetta davvero soluzioni condivise. Questo accade ad esserci fidati dei ‘politici’, altri, ma pur sempre politici, questa volta avetranesi, che, “giustamente ” secondo le logiche di questo raffinato ambiente, si portano a casa un risultato anche se questo lo si è ottenuto con lo stesso metodo dei savesi: per dirla con un eufemismo, “futti e camina…” Così, nello stesso istante in cui Romina Power parla di tutela della bellezze naturali della Puglia a 10.000 persone, il geometra Coco firma e fa firmare il Comune di Avetrana, di cui è neo consulente, per l’ipotesi Serpente-Chidro. Certo non rappresenta, mai ha rappresentato e mai nemmeno potrebbe, nessuno di noi, convinti assertori di quanto sia fondamentale avere un’idea di programmazione e vocazione del territorio, di rispetto dell’ambiente e delle dinamiche ecologiche. Non ho nessuna difficoltà ad esprimere l’assoluta contrarietà all’ipotesi Serpente: burocrati che hanno passato la vita a mummificare nei retrobottega amministrativi forse non sanno neanche dove sia e quanto sia intatto e pregevole il contesto Serpente-Canale Rizzu-Chidro, a fronte di centinaia di ettari di pietraie a nord di Manduria, lungo la direttrice Sava-San Pancrazio, la zona industriale, insomma ovunque ci sia onestà progettuale e soprattutto politica. Certo, restringe il campo all’obbligo dello scarico di emergenza in corpo idrico superficiale, ma proprio per questo avevamo previsto nel documento congiunto, firmato dai consiglieri di opposizione manduriani e dal sindaco di Avetrana, l’abbandono della ipotesi consortile, ‘madre di tutte le magagne’. Noi ci siamo. Tra un anno ci saranno le elezioni a Manduria, e qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di questa ennesimo deserto (di cemento e liquami) in una cattedrale (naturalistica.) Tra pochi giorni invieremo una richiesta a Cantone (Anticorruzione) di mettere finalmente il naso in questa maleodorante vicenda. Alla magistratura contabile e penale, compresa quella ‘locale’, il compito di tappare le voragini della politica, magari ponendosi una domanda semplice semplice: se, alla luce del nuovo accordo, sarà Avetrana ad ospitare gli scarichi delle reti fognanti dei centri costieri (quelli che saranno costruiti …nel 3017) anche il progetto consortile che si vuole cominciare a tutti i costi deve essere dimezzato o ridotto in proporzione. Così come l’importo dell’appalto. Così come la necessità dello scarico emergenziale in corpo idrico, quindi la presunta necessità di farlo lì. Per tutti coloro che credono ancora nel valore di ciò che si firma e con chi lo si firma, e’ il momento di battersi per le nostre proposte alternative. Francesco Di Lauro
La minoranza di Avetrana: «il nostro depuratore in cambio di Colimena». Intervista del 10 aprile 2017 di Monica Rossi su "La voce di Manduria". Alla vigilia del consiglio comunale di domani convocato ad Avetrana per approvare la disponibilità dell’ente al futuro accoglimento dei reflui delle marine di Manduria nel proprio depuratore quale condizione indispensabile per spostare il depuratore consortile lontano dall’Urmo Belsito, il consigliere comunale di minoranza, Luigi Conte, esprime tutti i dubbi in merito a tale proposta. E ci anticipa le mosse del proprio gruppo.
In merito alla proposta partorita dall’incontro a Bari tra rappresentanti del comuni di Manduria e Sava, rispettivi tecnici e la Regione Puglia, lei l’ha definita: “dalla padella alla brace”. In che senso?
“Certo, un documento firmato con superficialità e ora quel consiglio comunale convocato in tutta fretta per dare il consenso per i reflui delle Marine…”
Ma se lei fosse stato sindaco lo avrebbe firmato quel documento?
“Assolutamente no”
Ma come mai allora?
“L’amministrazione di Avetrana paga delle scelte sbagliate fatte nel 2014, quando l’allora sindaco De Marco e assessore Minò, firmarono il documento che prevedeva il depuratore in zona Urmo. Ora abbiamo sia il depuratore che i reflui delle marine. Una idea geniale di Manduria…”
Ma la nuova collocazione del depuratore lo ha scelto il comune di Avetrana se non sbaglio.
“Certo! Un paradosso! Un comune che sceglie un luogo vicino a sè per un depuratore che servirà ad un altro comune e per di più si prende in carico i reflui delle Marine! Ma dico io: almeno avessero chiesto come contropartita Torre Colimena!”
Ma perché il sindaco e il vice sindaco hanno firmato allora?
“Non stanno comprendendo cosa hanno firmato”.
Domani lei è il suo gruppo voterete il consenso?
“Assolutamente no. Noi chiediamo che questa proposta venga spiegata ai cittadini. Se loro diranno di sì noi ci adegueremo. È grazie ai cittadini e al loro protestare e scendere in piazza che si sta cominciando a parlare di delocalizzare il depuratore. Fino a pochi giorni fa in molti dicevano che non era possibile, anche quel primo cittadino (di Manduria, ndr) che ora sale sul carro dei vincitori. Il depuratore si deve spostare anche da contrada Serpenti”.
Come mai anche questo luogo della terza ipotesi non va bene secondo lei?
“Perché se il depuratore non deve più servire le Marine, visto che vogliono dare i reflui ad Avetrana, allora perché continuarlo a fare vicino alla costa e lontano da Sava e Manduria?”
Cosa propone il vostro gruppo?
“Di rescindere il rapporto con la ditta Putignano. Di migliorare il depuratore a Manduria e farne uno a Sava. Che se proprio ce ne deve essere uno consortile, va fatto tra Sava e Manduria. Che se le Marine dovranno in futuro (ora non esiste rete fognaria e acqua) scaricare nel depuratore di Avetrana, questo deve essere accettato con indennizzo (Torre Colimena agli avetranesi). In ultimo che nessun depuratore va fatto vicino alla costa”.
Ma perché secondo lei si parte a costruire dal depuratore?
“Mistero. Mai visto costruire una casa partendo dal comignolo. Sava non ha le fogne, Manduria le ha al 50 per cento, nonostante questo che fanno? I lavori li fanno partire dal depuratore…”
E perché secondo lei si parla più volte nel documento di sanzioni della commissione europea quando non sembra essere a rischio di sanzioni questo depuratore?
“Non lo so. Forse bisogna spendere quei soldi e basta”.
Di seguito Comunicato Stampa sul depuratore Manduria-Sava del gruppo consiliare Avetrana Riparte. Avetrana Riparte durante il Consiglio Comunale di Avetrana di lunedì 10 aprile, non ha preso parte al voto che ha approvato un documento sottoscritto a Bari venerdì 7 aprile secondo il quale si chiede lo spostamento del depuratore Manduria Sava in contrada Serpente e asservimento del depuratore di Avetrana per la depurazione delle acque reflue delle marine di Manduria.
I fatti. In data 7 aprile 2017, alla presenza del Direttore del Dipartimento Opere Pubbliche (tra le altre cose) ing. Barbara Valenzano, il Sindaco di Avetrana sottoscrive un verbale in cui si prende atto della proposta del Comune di Avetrana di localizzare il depuratore consortile Manduria Sava non più in zona Urmo Belsito ma in contrada Monte Serpente. In conseguenza dello spostamento Avetrana si impegna “a ricevere i reflui delle Marine nel proprio depuratore consortile”. Detto verbale viene chiuso e sottoscritto in tarda mattinata (primo pomeriggio) a Bari. Alle ore 15:00 a Manduria inizia il corteo di protesta che sfila sulla base di una piattaforma condivisa anche dal Comune di Avetrana, che ha come obiettivi:
l’immediata sospensione dei lavori;
la delocalizzazione del depuratore lontano dalla costa;
la rinuncia alla scelta di un impianto di tipo consortile;
la rinuncia formale dello scarico a mare, sia pure di tipo emergenziale, da parte della Regione, attraverso atto deliberativo.
Al termine della manifestazione nulla si dice circa il verbale sottoscritto in Regione. Detto verbale comincia a circolare sul web.
Sabato 8 aprile nel primo pomeriggio siamo convocati in consiglio comunale per lunedì (Consiglio Comunale già convocato precedentemente) per approvare un deliberato che attesti la volontà del Comune di Avetrana a ricevere i reflui delle marine. In tutto questo, il grande assente, ancora una volta ignorato, è il cittadino. Il protagonista delle proteste, quello invocato per riempire le piazze, quello vocato al sacrificio perché cede parte del suo guadagno (con la serrata) alla causa, viene superato dai propri rappresentanti. Considerato ormai inutile. Noi invece riteniamo che questo tema non può essere liquidato in 24 ore.
Le favole. Lunedì 10 aprile alle ore 12:00 si tiene il Consiglio Comunale in cui la realtà lascia il posto alla fantasia. Scopriamo infatti che il deliberato del Consiglio è sostanzialmente diverso dal verbale sottoscritto: infatti il Consiglio Comunale di Avetrana, pur richiamando il verbale, dice che è disponibile “al recepimento dei reflui delle Marine di Manduria e, comunque, fino al raggiungimento della capienza massima prevista dal depuratore di Avetrana”. Quindi a Bari si sottoscrive una cosa e ad Avetrana se ne approva un’altra. Alla richiesta dell’opposizione di Avetrana Riparte di rinviare anche solo di 24 ore il Consiglio per avere il tempo di spiegare alla cittadinanza questa novità e chiedere il relativo parere, la maggioranza e la minoranza di Cambiamo Avetrana, vota contro, adducendo il fatto che la cittadinanza è ampiamente rappresentata. Consigliere di maggioranze e ex Sindaco grande scettico sulla possibilità di riaprire la partita con la Regione e firmatario di un accordo con il Sindaco di Manduria in cui accettava il sito in cambio di opere che fornissero accurata ambientalizzazione come risarcimento del danno per la localizzazione, si permette ora di giudicare le osservazioni di Avetrana Riparte con la solita arroganza. Certo è comprensibile perché l’attuale Sindaco ha prodotto in pochi mesi più azioni concrete rispetto al suo decennale inconcludente mandato. Consiglieri di maggioranza e minoranza poi millantano, come specchietto per le allodole, la possibilità di accedere a finanziamenti per servire con acqua potabile e impianto fognario le marine. Ricordiamo che le marine sono territorio di Manduria e che Manduria è l’unica deputata a partecipare all’assegnazione di fondi per le infrastrutture stesse. Infrastrutture che sarebbero già state realizzate se il Comune di Manduria e la Regione Puglia non fossero state così caparbie (precedente amministrazione regionale) nel non voler risolvere la questione depuratore consortile.
Conclusioni. Avetrana Riparte non volendo danneggiare il voto unanime del Consiglio e non potendo prendere a cuor leggero decisioni gravi e importanti senza adeguato approfondimento e senza un serio coinvolgimento popolare, decide di uscire dall’aula al momento della votazione.
Manduria, depuratore: troppi gli assenti in Consiglio comunale, scrive il 12 aprile 2017 "Il Corriere di Taranto". “Restiamo sconcertati da quanto accaduto in Consiglio comunale: l’Amministrazione Massafra, la stessa che appena quattro giorni fa proclamava al mondo di avere in tasca la soluzione definitiva al problema depuratore, tanto da volerla ad ogni costo sbandierare in piazza, dimostra ancora una volta tutta la sua inconsistenza, non riuscendo a racimolare i voti necessari ad approvare l’ipotesi progettuale tanto caldeggiata”: è la dura accusa del laboratorio politico Manduria Lab, al termine del Consiglio comunale di ieri. “Maggiori perplessità suscita inoltre l’assenza dall’assise cittadina dei due consiglieri che fanno riferimento al consigliere regionale Luigi Morgante, principale fautore del tavolo tecnico apertosi in Regione e massimo sostenitore dell’ipotesi C – aggiunge il movimento -. Non minore stupore suscita, inoltre, la scelta dell’opposizione di abbandonare l’aula, facendo venire meno il contraddittorio e rendendo possibile il rinvio ad una seconda convocazione, che probabilmente perverrà all’approvazione del provvedimento da parte di una risicatissima rappresentanza”. Il comportamento “degli uni e degli altri rende evidente l’assenza di certezze in chi dovrebbe comunque pronunciarsi, a favore o contro, rispetto alla problematica in esame e avvalora la nostra convinzione della necessità di un approfondimento della questione, attraverso un pubblico dibattito, con il contributo della cittadinanza e delle categorie professionali e sociali”. Quanto all’ipotesi di spostare il depuratore in Contrada Serpente (zona di grande pregio naturalistico e ricca di insediamenti produttivi), “la nostra opinione è che tale soluzione al momento non è sufficientemente motivata dal punto di vista tecnico-giuridico, per poterne discutere con cognizione di causa, e risulta comunque vincolata all’approvazione da parte di AQP e della ditta appaltatrice. Risulta tuttavia difficile da comprendere la scelta di collocare l’impianto in tale località, alla luce della accettazione da parte del Comune di Avetrana di accogliere i reflui delle marine nel proprio depuratore: se proprio si vuole conservare la soluzione consortile, in presenza di un dimensionamento proporzionato alle effettive utenze, risulterebbe più logico collocare il depuratore in una località compresa tra Sava e Manduria”.
Legambiente: giù le mani dal Monte dei Serpenti, scrive il 12 aprile 2017 "La Voce di Manduria". Noi soci del circolo Legambiente di Manduria, abbiamo sempre espresso dei dubbi sulle criticità che si andavano di volta in volta evidenziando, ma sempre con spirito collaborativo nel comune intento di conciliare la salvaguardia dell’ambiente con la necessita di avere un moderno impianto di depurazione. Adesso però, alla luce della pericolosa ed estemporanea proposta di taluni di delocalizzare il sito spostandolo in una delle aree più belle e pregevoli dal punto di vista paesaggistico e naturalistico, non possiamo assolutamente restare in silenzio. All’interno di questa lunga vicenda, questa proposta è sicuramente, di gran lunga, la peggiore fra tutte le ipotesi fino ad ora formulate (non che le altre fossero idonee, sic!) ed è ovvio, che se dovesse essere questo il sito, ci opporremo con tutti i mezzi che la legge ci mette a disposizione. L’area individuata come nuovo sito del depuratore (monte dei Serpenti) si trova circondata da innumerevoli vincoli paesaggistici ed ulteriori contesti e a differenza, di quanto affermato da qualcuno, non si tratta di 10 ettari, ma di molto meno (probabilmente sarà sfuggito qualche vincolo). Inoltre la bellezza incomparabile e l’unicità di tutta quella zona (ripeto una delle più pregevoli di questa parte del Salento) la rende inidonea ad essere utilizzata per questo scopo, infatti:
– si trova vicino a molte meravigliose masserie (ad es. Masseria Marcantuddu, la stupenda masseria dei Potenti, ecc.);
– si trova vicino al famoso sito archeologico messapico della città fortificata di Felline;
– è a fianco del meraviglioso bosco dei Serpenti che con la sua ampia biodiversità costituisce un unicum in tutta l’area di Manduria e paesi limitrofi (presenza di enormi esemplari di corbezzolo, presenza di erica arborea e presenza unica di un nucleo di querce angustifolie probabilmente ibridate con quercia virgiliana;
Inoltre si devono tener conto dei vincoli derivanti dalla legge 353 del 2000 sulle aree percorse dal fuoco (vincoli che scattano anche in mancanza di inserimento nel catasto delle aree percorse dal fuoco, perché, come ha stabilito una sentenza del Tar Liguria confermata dal Consiglio di Stato, tale inserimento ha solo valore dichiarativo e non costitutivo del vincolo); proprio a tale scopo, la nostra associazione possiede un vasto archivio documentale e video fotografico delle aree percorse dal fuoco per fini probatori.
Per ultimo, ma non per importanza, segnaliamo che:
– la nuova localizzazione del buffer 2 andrebbe a ricadere pienamente all’interno della Riserva Regionale del Litorale Tarantino Orientale;
– anche il nuovo scarico emergenziale andrebbe a finire all’interno della Riserva Regionale, proprio in una delle aree più belle e suggestive di detta Riserva. (Tra l’altro anche area bosco).
– lo scarico emergenziale in questa area, oltre che incompatibile per i motivi su esposti, lo sarebbe anche per la rarissima presenza di tane di tasso e per la tipologia di vegetazione che predilige un ambiente arido e non troppo umido (ambiente il cui microclima andrebbe stravolto con uno scarico emergenziale, oltre che per i danni meccanici che tale scarico potrebbe avere sulla flora).
Quindi proprio alla luce di quanto esposto sembra incomprensibile la decisione di spostare il sito all’interno di questa area: se le motivazioni erano quelle che il vecchio sito non era idoneo per motivi paesaggistici e per motivi di vicinanza alle aree protette, a maggior ragione questo sito risulta improponibile visto che questo progetto ricade in aree sicuramente più pregevoli e , in parte, addirittura all’interno delle stesse Riserve. Se si dovesse scegliere questo nuovo sito, risulta evidente che i rischi di ricorsi al Tar da parte di più di qualcuno, sono molto alti e concreti con un’inevitabile allungamento dei tempi per la realizzazione del depuratore per Manduria. Sempre con lo stesso spirito collaborativo che ci ha contraddistinto, restiamo a disposizione di tutte le istituzioni per un'eventuale incontro per poter descrivere le motivazioni delle nostre perplessità e soprattutto per individuare un sito idoneo che finalmente sia privo di vincoli e che abbia un bassissimo impatto sull’ambiente, sul paesaggio e sugli insediamenti turistico e produttivi. Legambiente Manduria
Depuratore, interviene anche Bruno Vespa. Il giornalista ha investito nel Primitivo ma definisce scoraggiante il nuovo progetto, scrive Nando Perrone su “la Gazzetta del Mezzogiorno” il 12 Aprile 2017. «L’ubicazione del depuratore nell’area di masseria “Serpenti” sarebbe, per me, un fortissimo disincentivo agli investimenti compiuti e a quelli programmati». Dopo Romina Power, intervenuta in una trasmissione di punta di Rai Uno (“L’arena” di Giletti) e alla mobilitazione di venerdì scorso a Manduria, ecco un altro personaggio molto popolare che esprime la propria opinione sull’ubicazione del depuratore consortile della città messapica e di Sava. E’ Bruno Vespa, giornalista che conduce da anni la trasmissione “Porta a porta”, che, da produttore vitivinicolo, invia una lettera aperta al sindaco Roberto Massafra e all’intero Consiglio Comunale poche ore prima della riunione, in prima convocazione, del consesso elettivo, che doveva discutere di depuratore ma, mancando il numero legale, è stato aggiornato ad oggi. Chiaro l’obiettivo: convincere i presenti a non approvare la delocalizzazione del sito. «Caro signor sindaco, caro Roberto, cari signori consiglieri» scrive Bruno Vespa nella lettera aperta del giornalista, «mi ha chiamato allarmatissimo Gianfranco Fino (altro produttore vitivinicolo, ndr), anche a nome delle altre masserie e delle altre strutture produttive della nostra zona, sulla ipotesi dello spostamento del depuratore dalle aree già indicate a quella della masseria Serpenti. Per le nostre strutture ricettive e produttive sarebbe la rovina. Per me personalmente un fortissimo disincentivo agli investimenti compiuti e a quelli programmati». Poi il giornalista e scrittore entra nel merito della questione esprimendo un proprio parere. «Ho il più alto rispetto per il comune di Avetrana, ma credo che sarebbe folle penalizzare una delle aree più pregiate del Primitivo di Manduria» sostiene Vespa. «Vi saremmo tutti assai grati se poteste scongiurare questo pericolo. Grazie e un caro saluto a tutti». Parlando al plurale, Vespa interpreta evidentemente la preoccupazione di tutti gli altri operatori vitivinicoli della zona. Com’è noto, il giornalista ha acquistato, nell’area di Manduria, ampi appezzamenti di vigneti (in cui produce il Primitivo di ottima qualità, già da qualche anno sui mercati internazionali) e una masseria, che sta trasformando in azienda in cui imbottigliare i propri prodotti. Nel progetto, Vespa ha pensato altresì di destinare un’area dell’immobile per la ricettività degli eno-turisti. Sin qui la posizione di Bruno Vespa. Molto meno facile quella del Consiglio comunale di Manduria, che ha ora solo tre opzioni: la prima con lo scarico in mare; la seconda con il depuratore in contrada Urmo e con il contestatissimo “ruscellamento”; la terza con la localizzazione del depuratore in contrada “Serpenti”. Non crediamo che la Regione possa ulteriormente pazientare. Non è un caso, infatti, se venerdì scorso è stato concesso un termine ristrettissimo (una settimana) per deliberare la scelta fra le tre opzioni. E temiamo che si sia ormai innescata una spirale: ovunque si tenterà di spostare il depuratore, ci sarà qualcuno che protesterà...
La replica il 12 aprile 2017 su “La Voce di Manduria”. Ma… ma, è lo stesso Bruno Vespa che, con Michele Emiliano seduto nel suo salotto televisivo, spalava merda sulla presunta sindrome Nimby dei salentini che si oppongono alla Tap? Ed è sempre lo stesso Bruno Vespa che, ora che la merda tocca a lui, sale sulle barricate sulla base – guarda un po’- della vocazione turistica del territorio (ma soprattutto dei suoi personalissimi investimenti)? Caro Vespa, e allora diciamola una volta tanto la verità. Per alcuni illustri commentatori, onorevoli, eccellenze, cavalieri, monsignori, la sindrome Nimby vale solo in un caso: quando il culo è degli altri. Danilo Lupo, giornalista La7 (La Gabbia)
Perchè a Urmo? Tutta la storia sul depuratore, scrive il 7 aprile 2017 Nazareno Dinoi su "La voce di Manduria". L’idea di localizzare il depuratore sulla costa e non nell’entroterra è nata da due fatti contingenti: il primo di natura giudiziaria, il secondo per garantire una rete fognante nelle località marine completamente (ancora) sprovviste. Percorrendo a ritroso tutti i passaggi, bisogna partire dal 2000 quando dalla Regione Puglia arrivò l’invito all’allora sindaco di Manduria, Gregorio Pecoraro, ad adeguare il vecchio depuratore situato sulla via per San Pancrazio (dov’è tuttora). L’impianto, inoltre, doveva essere potenziato per permettere un recapito anche alla rete di Sava in virtù di un accordo consortile tra i due comuni. L’amministrazione Pecoraro predispose le carte per un nuovo depuratore che ebbe il primo intoppo. Il sito confinava con un centro sportivo, regolarmente condonato, quindi incompatibile normativamente. Così gli uffici individuarono un altro lotto più distante, sempre in quella contrada «Laccello», ma i proprietari del terreno si opposero all’esproprio e il Tar gli diede ragione.
Sindaco Antonio Calò. Non se ne parlò più sino alla nuova amministrazione del sindaco Antonio Calò. Siamo nel 2003 e dalla Regione continuavano ad arrivare solleciti per il nuovo depuratore. Bisognava individuare un altro sito così l’allora sindaco Calò ebbe l’idea di spostare il depuratore verso la costa. Avanzò la proposta dei terreni della Masseria Marina, più vicini a San Pietro in Bevagna che avrebbe avuto la concreta possibilità di una rete fognante. Un’opportunità che avrebbe eliminato il fenomeno degli scarichi civili abusivi e nello stesso tempo dato più valore catastale a tutto l’abitato. Si presentò però un altro problema: all’epoca gli scarichi dei depuratori lungo la costa potevano avere solo il recapito in battigia per cui fu improponibile pensare ad una cosa simile proprio al centro di San Pietro in Bevagna così densamente abitato. Si doveva trovare una soluzione diversa, sempre sulla costa, ma lontana dalla località balneare principale.
Sindaco Francesco Massaro. Cade il sindaco Calò e viene eletto Francesco Massaro. Toccò a lui la scelta di un sito che non fosse San Pietro in Bevagna, quindi o a destra, verso Torre Borraco e l’omonimo fiume, o dall’altra parte, Torre Colimena con i corsi d’acqua della Palude del Conte, i canali dell’Arneo e la Salina. La scelta cadde proprio qui, nel punto più distante dei confini territoriali di Manduria ma più vicino a quelli di Avetrana: zona Urmo Belsito, appunto. Fu allora che si cominciò a temere l’infrazione comunitaria che aveva già puntato gli occhi sulla Puglia per i troppi depuratori non a norma: non era più possibile scaricare in falda. Bisognava fare in fretta e l’allora sindaco Massaro si preoccupò di evitare almeno lo scarico in battigia. Presentò un ricorso al Tar di Lecce che gli diede ragione. Secondo il tribunale amministrativo, uno scarico in battigia non sarebbe stato concettualmente compatibile con la vocazione turistica della zona. La soluzione alternativa fu trovata dai tecnici regionali: una condotta sottomarina che scaricasse in mare i liquami frullati e non depurati come prevedeva la normativa di allora.
Sindaco Paolo Tommasino. Dopo Massaro è stata la volta del sindaco Paolo Tommasino. Il presidente della Regione era Nichi Vendola. Le proteste degli ambientalisti e l’intervento dell’amministrazione Tommasino ottennero un altro risultato: l’affinamento delle acque in tabella 4. Acqua pulita da impiegare in agricoltura ma sempre con la condotta sottomarina di emergenza. Solo promesse, senza progetti, però. E’ stato allora che l’amministrazione Tommasino commissionò uno studio di fattibilità ai tecnici Muscoguri-Dellisanti che ipotizzarono lo spostamento del depuratore in zona Monte Serpenti e le vasche di drenaggio in zona masseria Marina. Progetto mai preso in considerazione.
Sindaco Roberto Massafra. Finisce l’era Tommasino e, dopo un periodo di commissariamento, entra in gioco l’attuale sindaco Roberto Massafra che formalizza, in accordo con l’allora sindaco di Avetrana, Mario De Marco, il progetto del depuratore all’Urmo con affinamento in tabella quattro, le vasche di raccolta e drenaggio in contrada Marina e l’uso quasi esclusivo dei liquidi depurati in agricoltura. Lo scarico emergenziale in mare, però, rimane.
Morgante-Turco-Del Prete. La storia diventa recente. I due consiglieri regionali Luigi Morgante e Giuseppe Turco, con la consulenza del geologo Mario Del Prete, convincono i tecnici regionali e dell’Aqp alla soluzione dei buffer: depuratore sempre all’Urmo, vasche alla Marina (buffer 1) e vasche a Specchiarica (buffer 2) con recapito emergenziale, per almeno 15 volte l’anno e comunque quando l’impianto a monte non funzionerà (impossibile fare ipotesi sulla frequenza e sulla durata dei guasti), sul terreno tra le abitazioni di Specchiarica, in discesa verso il mare che dista circa 700 metri. Secondo il sostenitore del famoso ruscellamento nel terreno, i liquami di emergenza non arriverebbero mai al mare e anche se fosse, a bloccarle ci penserebbero le dune. Iin realtà, proprio in quel tratto non ci sono più dune ma la strada litoranea che taglia in due la zona del buffer con il mare.
L’ultima proposta, che piace al comune di Avetrana e a molti manduriani (non al sindaco Massafra che accetta a malincuore), prevede il depuratore in zona Monte Serpenti, a circa 4 chilometri dalla costa, con impianti di dispersione e raccolta in loco, sempre uso irriguo delle acque, e uno scarico emergenziale in una lama naturale. Il resto lo stiamo vivendo in queste ore.
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Comunque per quanto riguarda il tema depuratore di Manduria-Sava rimane il controverso aspetto del costo di impianto delle condutture e dell’esproprio dei terreni, con il conseguente espianto di migliaia di alberi di Ulivi, pari ai trenta chilometri di distanza tra sito servito ed impianto servente. Tema che fino ad oggi nessuno ha avuto la capacità di trattare, impegnati tutti a contestare l'allocazione dell'impianto di depurazione principale e dello scarico delle acque reflue.
Le anticipazioni del libro. Dagli studiosi avetranesi: "Domenica vi spiegheremo perchè Torre Colimena è nostra". La Redazione de La Voce di Manduria venerdì 20 ottobre 2023.
Achi appartengono le marine di Torre Colimena e Specchiarica? Gli autori del libro "Avetrana e le marine" invitano tutti a partecipare ad un evento, sempre a tema, dal titolo "Questione Marine: cause e contraddizioni di fatto". L'appuntamento è per domenica prossima, 22 ottobre, alle 19,00 in piazza Vittorio Veneto (in caso di condizioni meteo avverse l'incontro verrà spostato in sala consiliare). Pietro Scarciglia, Ivana Quaranta e Luigi Schiavoni, autori del libro, cercheranno di spiegare come mai, mentre tutti i comuni delle Provincie di Brindisi, Lecce a Taranto hanno la loro marina, entro 8 chilometri dalla costa, Avetrana ne è priva. Cosa non ha funzionato nel corso dei secoli? "Premesso che le posizioni di Avetrana si sono andate chiarendo sulla scorta dei documenti che via via la ricerca ha fatto riemergere e poi esibito attraverso varie pubblicazioni" scrive Luigi Schiavone sulla sua pagina Facebook, "in questo spazio cercheremo brevemente, per quanto la materia ce lo consentirà, ciò che ad opponendum gli amici storici manduriani hanno proposto".
Schiavone lamenta una carenza di documenti da parte del Comune di Manduria (cosa che non è accaduto per il comune di Avetrana) che avrebbe indotto alcuni storici manduriani ad improbabili deduzioni e ad essere "oppositivi e intransigenti" verso una documentazione emersa che faceva propendere per un riconoscimento della marina di Torre Colimena ad Avetrana.
Quali allora sono i documenti che possono attestare che Torre Colimena sarebbe appartenuta ad Avetrana? "Lo studioso professor Nicola Morrone rinvenne qualche anno fa una relazione manoscritta sullo stato delle Torri Costiere di Terra d’Otranto redatto dal regio percettore Giacomo Antonio Galano datata 12/6/1624. Nell’elenco accluso sono riportate rispettivamente: Torre Borraco in stato d’Oira (Oria), Santo Pietro Bavangi in territorio de Casalnovo e Torre de Colimena in territorio della Vetrana.
Inoltre in un documento del 1644 nella fattispecie l’Apprezzo di Vetrana realizzato dal regio tavolario Onofrio Tango, il quale, nel rilevarne il feudo, affermava che il territorio di Avetrana giungeva a mezzogiorno fino al lito del mare.
"La carenza di documentazione ha indotto però alcuni storici manduriani ad improbabili deduzioni: nel 1562 il monastero dei cassinesi concede in locazione perpetua, da rinnovarsi ogni 29 anni, alcuni terreni denominati Fornelli, Ciura e Carcasacco, nei pressi di Torre Colimena ai sigg. Alessandro, Antonio e Domenico Nigro di Avetrana. (doc. citato da Filo Schiavoni).
Avrebbero avuto origine da questa circostanza le successive pretese e rivendicazioni territoriali di Avetrana su quel tratto di costa". Altro particolare che viene citato nel libro. Il lavoro prezioso fatto da Scarciglia, Ivana Quaranta e Schiavoni ha avuto il merito di mettere insieme buona parte della documentazione ritrovata negli anni, un lavoro "in progress" però che ha già individuato e acquisito altra preziosa documentazione che va ad aggiungersi a quella numerosa già in loro possesso. Di tutto questo e, con molta probabilità, anche del referendum per l'annessione di Torre Colimena ad Avetrana, si parlerà domenica prossima. Monica Rossi
Il leader dell’opposizione sulla questione referendum. Annessione di Colimena, Conte: il sindaco Iazzi ha paura di intraprendere la battaglia. La Redazione de La Voce di Manduria sabato 21 ottobre 2023
Che fine ha fatto il progetto di indire un referendum per annettere Torre Colimena ad Avetrana? Domenica scorsa il consigliere comunale Luigi Conte, ex sindaco di Avetrana e ora all’opposizione, durante un comizio pubblico ha portato la questione referendum all’attenzione del pubblico. “È una grande opportunità che sembra non interessare all’Amministrazione di Avetrana, sindaco in testa”, ha detto Conte ringraziando l’avvocato Antonio Dostuni per aver scoperto ciò che pochi anni fa é accaduto tra i comuni di Mondolfo e Fano: “un’importante precedente - ha riconosciuto il consigliere- che ci potrebbe dare molte speranze per annettere Torre Colimena ad Avetrana”.
La storia del distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e la successiva incorporazione nel Comune di Mondolfo, portata alla luce alcuni mesi fa dall’avvocato Antonio Dostuni, avetranase di nascita con attività nel Nord Italia, potrebbe in effetti spianare la strada all’annessione di Torre Colimena ad Avetrana, con conseguente distacco dalla città di Manduria.
Molto bene diranno molti lettori e cittadini, ma in concreto cosa si deve fare? Da dove si comincia a lavorare su questa proposta e soprattutto, chi lo dovrebbe fare? “La Legge regionale 26/1973 da la possibilità ai comuni di chiedere ampliamento se ci sono le condizioni” , spiega al nostro giornale il dottor Conte che aggiunge: “i comuni devono fare una delibera di consiglio comunale e presentarlo alla Regione Puglia affinché provveda a fare una Legge, previa consultazione delle popolazioni interessate tramite referendum. Per popolazioni interessate si intende i cittadini oggetto della contesa e che risiedono nelle zone attigue, così come dice la sentenza della Corte Costituzionale 214 del 25/9/2019 che ha riguardato i comuni di Mondolfo e Fano”.
Torre Colimena è indubbiamente zona attigua ad Avetrana, molti avetranesi hanno una casa lì vi risiedono (anche se devono cambiare inevitabilmente Comune). Viene da pensare anche alla conseguenza non certo banale che, qualora venisse fatto il referendum è il risultato fosse positivo verso l’annessione ad Avetrana, le cose potrebbero mettersi “male” per la questione depuratore, visto che buona parte della condotta passerebbe nel territorio di Avetrana e lo scarico complementare andrebbe a finire nel bacino di Torre Colimena nel territorio di sua competenza. A quel punto allora sì che il comune di Avetrana potrebbe negare lo scarico. Perché non si procede con una certa urgenza, chiediamo ancora al dottor Conte? “Non riesco a capire la posizione del sindaco Iazzi se non come una persona che non vuole intraprendere un percorso al quale forse non crede o forse ha paura di esporsi verso la Regione. Ma noi siamo decisi a portare avanti una battaglia pubblica coinvolgendo i cittadini se il sindaco continua a sonnecchiare”. Monica Rossi
Colimena e la salina agli avetranesi, tavola rotonda con il sindaco ad Avetrana. La Redazione su La Voce di Manduria mercoledì 25 ottobre
Ci si continua ad interrogare, a studiare e a documentarsi sul perché Avetrana, da circa la metà del diciannovesimo secolo, si è vista togliere le marine (senza poterle riavere, almeno fino ad oggi), questo almeno secondo molti avetranesi. Luigi Schiavone, Pietro Scarciglia, insieme a Letizia Quaranta (quest'ultima assente per impegni precedentemente presi), autori del libro “Avetrana e le Marine”, con il sindaco di Avetrana Antonio Iazzi, sono stati i protagonisti domenica della serata “Questione Marine: cause e contraddizioni di fatto”, organizzata nella sala del Consiglio Comunale.
Numerosi i cittadini presenti, così come molti esponenti dell’opposizione, come Luigi Conte ad esempio. “Abbiamo mostrato i documenti che comprovano che, per un lasso di tempo più o meno lungo, quelle zone (Torre Colimena e Saline) sono state di Avetrana”, ha detto Luigi Schiavone, uno degli autori del libro. “Di Specchiarica il documento dice che era indivisa tra Avetrana e Manduria, mentre le altre zone per il diciannovesimo secolo c’è scritto che erano di Avetrana, almeno per buona parte", ha insistito l'autore, aggiungendo: "abbiamo molti documenti a suffragio di questa tesi: Manduria non compare mai”.
Il loro è stato un importante lavoro di ricerca storica che ha permesso di mettere insieme diverse fonti e documenti, leggerli, conoscerli e farli conoscere nel tentativo di riscrivere buona parte della storia di quelle zone. Possono quei documenti cambiare la proprietà di quelle zone?
“Questi documenti da soli ovvio che non possono fare grandi cose, si aggiungano al lavoro amministrativo che il sindaco sta svolgendo”, risponde lo studioso che prosegue: “il sindaco era presente e siamo sicuri che intende andare avanti nel percorso verso il referendum ma penso che voglia ponderare i tempi, perché ogni cosa ha i suoi tempi. Sappiamo che ha dato incarico ad un consulente esterno che indicherá all’Amministrazione quale strada percorrere”.
Ci sono stati interventi tra il pubblico? Gli chiediamo. “È intervenuto il professore Morrone di Manduria auspicando che più che guerra ci sia collaborazione tra Avetrana e Manduria ma nessuno di noi vuole fare guerra a Manduria, semplicemente capire come si sono svolti i fatti sul tema delle Marine e perché sono passate a Manduria”, risponde il ricercatore.
Nessuna guerra ma sicuramente la volontà, da parte dei cittadini di Avetrana e Torre Colimena, di non vedersi imporre uno scarico emergenziale del depuratore di Manduria e Sava che, come dice Schiavone, “darebbe il colpo di grazia a Torre Colimena”. Se si andasse verso il referendum (che dovrebbe chiedere la Regione Puglia dietro sollecitazione di una delibera del Consiglio Comunale di Avetrana) e se i residenti di Torre Colimena votassero per essere annessi ad Avetrana, c’è da scommettere che lo scarico emergenziale troverebbe molti ostacoli e molti “no” sul suo percorso. Monica Rossi
"La parola deve passare ora agli avetranesi". Sbocco a mare per Avetrana, la congiura del silenzio. La redazione su La Voce di Manduria l'1 settembre 2023.
Dopo l’appello al sindaco Pecoraro e ai politici di Manduria, risulta inevitabile prendere atto che, anche tra le file dell’opposizione, non esistono esponenti interessati a farsi interpreti del grave disagio dei residenti di Torre Colimena e Specchiarica. A questo punto, alla luce della sconsolante indifferenza del ceto politico manduriano, spetta all’amministrazione di Avetrana assumere l’iniziativa di rappresentare il grave malcontento che alligna in questa fascia costiera tenuto conto, altresì, delle recenti novità giurisprudenziali che le consentono di riaprire l’antica “querelle” con Manduria. Infatti, in base ad una sentenza della Corte Costituzionale (n.214/2019), i residenti di Torre Colimena e Specchiarica possono decidere il distacco dal Comune di Manduria attraverso un referendum. In proposito, esiste un rapporto depositato e protocollato presso il Comune di Avetrana che prevede le tappe di un percorso che, rispetto al passato, può contare su una svolta interpretativa di portata dirimente dell’art. 133 della Costituzione. Il silenzio dell’intera classe politica di Manduria sulla questione, la nota vicenda del depuratore, nonché lo stato di sostanziale abbandono in cui versano Torre Colimena e Specchiarica (di cui sono state elencate le criticità nella “lettera aperta” al Sindaco Pecoraro, vedi La Voce del 9 agosto u.s.), impongono all’agenda politica di Avetrana il tema della modificazione territoriale che dovrebbe costituire la priorità di una comunità che, senza il turismo, non appare in grado di uscire dalle secche di una crisi economica senza precedenti.
Il Consiglio comunale di Avetrana dovrebbe, pertanto, recepire, con una delibera unitaria, le argomentazioni addotte dalla Consulta investendo la Regione del compito di indire un referendum circoscritto ai soli residenti di Torre Colimena e Specchiarica. Allo stato, pertanto, non esistono altre ipotesi se non quella di una equa redistribuzione della proprietà di un litorale di 18 km che il Comune di Manduria non è mai stato in grado di gestire adeguatamente.
Benché il programma dell’amministrazione Iazzi non prevedesse il tema della rivendicazione territoriale,
oggi Avetrana ha tutte le carte in regola per formalizzare in sede istituzionale la riapertura della “vexata quaestio”.
Lo dice il “Diritto”, dato che, come si è detto, spetta ai residenti del luogo oggetto di contesa decidere le proprie sorti; lo dice la “Geografia”, dato che Torre Colimena dista appena 5 km da Avetrana e ben 13 km da Manduria; infine, lo dice la “Storia”, come si evince dagli studi più recenti di Ivana Quaranta, Pietro Scarciglia e Luigi Schiavoni che documentano, con dovizia di particolari, l’ipotesi che sia stata perpetrata una vera e propria usurpazione. Naturalmente, la disputa tra i due Comuni dovrà fondarsi principalmente sulla pronuncia della Consulta e sarà interessante capire se la Regione Puglia accorderà il referendum o se, di contro, si renderà inevitabile l’approdo giudiziale ricorrendo al Tar. Piaccia o no, questa sorta di “congiura del silenzio” del ceto politico manduriano sugli annosi problemi di Torre Colimena e Specchiarica, sta per avere termine. È giunto, infatti, il momento di rilanciare un contenzioso senza il quale le sorti del litorale sono già segnate.
Antonio Dostuni, avvocato
"Meglio un tavolo di confronto con Manduria". Il sindaco di Avetrana non parteciperà, per impegni, alla manifestazione di Colimena. La Redazione su La Voce di Manduria l'8 agosto 2023
La manifestazione con corteo di oggi pomeriggio organizzata dai comitati cittadini di Torre Colimena e Specchiarica, non avrà il gonfalone del Comune di Avetrana ma alcuni esponenti dell'amministrazione comunale dovrebbero partecipare all'evento in forma personale in quanto la giunta non ha formalizzato nessun atto di adesione. Lo fa sapere il sindaco Antonio Iazzi (assente oggi per impegni istituzionali) in una nota che pubblichiamo di seguito nella quale propone di aprire un tavolo di dialogo e di partecipazione attiva tra comitati, associazioni di categoria e comuni interessati per discutere con gli amministratori del Comune di Manduria delle problematiche e delle priorità che preoccupano i residenti e frequentatori di questa porzione delle marine manduriane. Di seguito il testo del comunicato del sindaco.
Nei giorni scorsi ho ricevuto un invito, dopo un contatto personale, di partecipazione ad una manifestazione organizzata per martedì 8 agosto 2023 da alcune Associazioni che insistono sui territori di Torre Colimena e Specchiarica, con la quale si chiede un progetto per il futuro delle marine dei predetti territori.
Condivido pienamente le difficoltà che i territori stanno affrontando, al pari delle Amministrazioni che governano gli stessi. Ciononostante, ritengo che lo strumento che si sta utilizzando per affermare le istanze della popolazione può essere non del tutto idoneo ad instaurare il giusto rapporto tra le Istituzioni che sovrintendono ad un territorio e i cittadini in esso localizzate e che le stesse Istituzioni rappresentano.
Per tale ragione, mi permetto di portare all'attenzione degli organizzatori e dell’Amministrazione Comunale di Manduria la mia proposta di aprire un tavolo di dialogo e di partecipazione attiva, all’interno del quale i rappresentanti delle associazioni e dei comitati, unitamente ai rappresentanti delle associazioni di categoria (che non sono citate nell'invito), possano discutere con gli Amministratori del Comune di Manduria delle problematiche e delle priorità delle istanze che promanano dagli stessi.
L’Amministrazione Comunale di Manduria ben conosce le specificità del territorio, le criticità e le potenzialità di sviluppo delle stesse. Si tratta di favorire, a mio modesto avviso, una forma di dialogo attraverso cui condividere i bisogni, le progettualità ed anche gli adempimenti utili per arrivare a dar vita ad un progetto.
Manifesto sin d’ora la mia disponibilità ad organizzare e moderare, unitamente ai Sindaci di Torre Santa Susanna ed Erchie (sentiti per le vie brevi e disponibili), lo stesso tavolo di dialogo, con il fine di far incontrare le parti interessate.
Io non parteciperò alla manifestazione, che sono convinto si svolgerà con il massimo rispetto delle parti. Sono sin d'ora disponibile per avviare il confronto auspicato.
Antonio Iazzi, sindaco di Avetrana
Rivendicazione di Torre Colimena e le marine: Avetrana istituisce tavolo tecnico-politico. RTM radio il 29 marzo 2023.
Nel corso della seduta di ieri il Consiglio Comunale di Avetrana, con Deliberazione n. 7, ha istituito un tavolo tecnico-politico per la “Rivendicazione territoriale di Torre Colimena e le marine.
“Il tema dello sviluppo turistico del territorio è al centro dell’impegno politico-amministrativo sin dall’inizio del mandato. Insieme ad un’attività di pianificazione per il territorio di Avetrana ed Urmo, si è da subito attenzionato il tema delle marine. – ha spiegato il sindaco Antonio Iazzi – Con tale obiettivo si è sostenuto e patrocinato lo studio “Avetrana e le Marine” a cura degli autori P. Scarciglia, L. Schiavoni e I. Quaranta ed edito da Assist, nonché discusso con il Comitato “Torre Colimena”.
“Ad oggi, – ha concluso il primo cittadino avetranese – in seguito ad utili interlocuzioni ed approfondimenti, si sta delineando un percorso con l’auspicio che si possa fare chiarezza e valutare le potenzialità operative. In tale contesto si inserisce il costituendo tavolo tecnico – politico, il quale dovrà rappresentare un momento di approfondimento e sintesi per le possibili attività del Consiglio Comunale.”
Il gruppo di lavoro, presieduto dal Sindaco, sarà composto da: Francesco Saracino, Santo Mangione, Giovanna Nigro, Lucia Vacca e Rosaria Petracca.
A riaprire l’antica “querelle” tra Avetrana e Manduria sulla proprietà di Torre Colimena lo studio “Avetrana e le Marine” condotto da Ivana Quaranta, Pietro Scarciglia e Luigi Schiavoni a partire da un documento datato 1839 emerso sul finire degli anni ’80, dalle polverose carte dell’archivio storico di Avetrana. In questo, si leggeva di un tal Donato Casavola il quale, rivolgendosi all’ “Amministrazione della Real Cassa di Ammortizzazione”, chiedeva di poter ottenere in affitto le “terre macchiose ed erbose delle dismesse Saline di Avetrana”. A questa richiesta, quell’Amministrazione, mentre comunicava il proprio assenso, informava che quelle terre, da essa possedute, erano poste nel territorio di Avetrana. I documenti, via via esaminati, presentavano situazioni fino ad allora ignote, con ulteriori interrogativi sulla stranissima partizione intercomunale. Dalla sua, Avetrana sembra ora avere un ampio dossier storico da contrapporre per rivendicare la proprietà delle marine.
Guerra tra comuni per lo sbocco a mare: «Torre Colimena è nostra, possiamo dimostrarlo». Il sindaco Iazzi ha costituito un tavolo tecnico per riavere quei 6 chilometri di costa che portano anche tanti soldi di Imu. Nazareno DINOI su Il Quotidiano di Puglia Venerdì 31 Marzo 2023
Gli avetranesi, che non hanno mai rinunciato a rivendicare lo sbocco a mare che secondo la loro tesi sarebbe stato annesso a Manduria per un errore cartografico, ci riprovano. Con una deliberazione di consiglio comunale approvata all'unanimità, è stato istituito un tavolo tecnico-politico che già nel titolo contiene tutta la bellicosità delle intenzioni: «Rivendicazione territoriale di Torre Colimena e le marine».
Si parla di sei chilometri di costa, da Specchiarica a Torre Colimena, riserva protetta della Salina compresa, che in passato, si sostiene ad Avetrana, erano compresi nei confini territoriali del loro comune. Un sogno mai sopito che ha ripreso vigore con la recente pubblicazione di uno studio cartografico e storico fatto da tre studiosi del posto, Pietro Scarciglia, Ivana Quaranta e Luigi Schiavoni, che documenterebbe l'appropriazione illegittima da parte del comune di Manduria di quel ricco tratto di costa.
L'ipotesi
Naturalmente l'ipotesi non dispiace all'attuale sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi che ha istituito il tavolo tecnico da lui presieduto e composto dai consiglieri di maggioranza e opposizione: Francesco Saracino, Santo Mangione, Giovanna Nigro, Lucia Vacca e Rosaria Petracca. «Il tema dello sviluppo turistico del territorio spiega il primo cittadino -, è al centro dell'impegno politico-amministrativo sin dall'inizio del mandato e insieme ad un'attività di pianificazione per il territorio di Avetrana ed Urmo, si è da subito attenzionato il tema delle marine». Con tale obiettivo la pubblica amministrazione ha sostenuto e patrocinato lo studio dei tre ricercatori che riaccende le speranze mai sopite. Prosegue il sindaco. «Ad oggi, in seguito ad utili interlocuzioni ed approfondimenti, si sta delineando un percorso con l'auspicio che si possa fare chiarezza e valutare le potenzialità operative». In tale contesto si inserisce il costituito il gruppo di lavoro che dovrà rappresentare un momento di approfondimento e sintesi per le possibili attività future da affidare al Consiglio Comunale.
Il sindaco Iazzi anticipa poi un'altra prossima mossa: l'affidamento di un incarico a Luigino Sergio, già direttore della Provincia di Lecce ed esperto di enti locali, curatore del protocollo d'intesa «Terra d'Otranto» varato dai sindaci dei comuni di Taranto, Lecce e Brindisi. Toccherebbe a lui la supervisione della parte burocratica amministrativa dell'ambiziosa battaglia di rivendicazione. Gli amministratori manduriani, sinora cautamente in disparte, difenderanno con le unghie il tesoro di quei sei chilometri. Importanti non solo per l'attrattiva turistica della Salina e dei fenicotteri rosa, ma anche per il flusso di denari che ogni hanno arricchiscono il bilancio comunale. Da uno studio effettuato nel 1995 dall'amministrazione comunale di Avetrana, sul solo tratto di costa rivendicato, abitato d'estate in gran parte da avetranesi, il Comune di Manduria incassava allora, ben 775 mila euro all'anno di sola Ici, pari al 27% dell'intera imposta comunale sugli immobili; molto di più di quanto incassava globalmente Avetrana dall'Ici di sua pertinenza che all'epoca era di appena 505mila euro. All'Ici bisogna poi sommare gli introiti dei tributi sui rifiuti e l'occupazione di suolo pubblico, sempre a favore di Manduria.
"Avetrana e le marine", in un libro la verità su chi appartiene Colimena. La Redazione de La Voce di Manduria giovedì il 23 febbraio 2023.
«Con la mazzata che abbiamo avuto dello scarico delle acque reflue al bacino di Colimena, questo libro capita proprio come il cacio sui maccheroni, ma noi domani vogliamo presentare il libro e non alzare polveroni». Pietro Scarciglia di Avetrana è uno degli autori del libro "Avetrana e le Marine", insieme a Ivana Quaranta e Luigi Schiavoni, che verrà presentato domani alle 18,00 nella sala consigliare del Comune di Avetrana.
Con una documentazione che si annuncia inedita, si riapre l’antica “querelle” tra Avetrana e Manduria sulla proprietà di Torre Colimena. Gli autori della ricerca riportano all’attualità una questione mai sopita: a chi appartiene il territorio di Torre Colimena? «Abbiamo messo insieme il tutto, carte che c'erano già e che non avevamo valutato, altre nuove che abbiamo trovato e documentazione che Ivana Quaranta aveva raccolto facendo una sua ricerca e abbiamo composto questo libro», ci spiega Scarciglia aggiungendo: «noi non siamo professionisti storici o amministrativi, abbiamo aperto un armadio e abbiamo trovato dei documenti che sembrano contraddire il Catasto Muraziano di Manduria che si era assegnato le Marine; ma il Catasto non fornisce titolo di proprietà, lo sappiamo e i documenti dicono altro», afferma lo studioso.
Grande attesa quindi per la presentazione di questo libro che potrebbe portare nuove verità rispetto alla situazione delle marine di questo versante ionico, da tantissimi anni sotto il comune di Manduria ma che gli "esperti" in materia dicono altro. «Chi di dovere intraprenderà delle azioni di rivalsa se ci saranno i presupposti», spiega ancora Scarciglia. Che aggiunge. «Loro hanno cominciato a vedere queste carte e dicono: "però, la questione non è così liscia come ci hanno sempre raccontato. Siamo risaliti anche ad una pubblicazione di fine '700 di Giovanni Maria Vecchioni, nobile storico del tempo, che dice che le concessioni fatte da Papa Innocenzo III (Bolle che vanno a confermare i privilegi di cui avevano goduto i monaci benedettini tra le quali appunto le marine) sono da mettere in dubbio. Citando San Cipriano, Vecchioni dice nella sua pubblicazione che "la consuetudine senza verità è errore" e noi desideriamo solo fare luce su quanto è accaduto nel corso degli anni per trovare una verità». Monica Rossi
Di Attila, re degli Unni, si parlava che fosse il Flagello di Dio. Dove passa Attila, non cresce più l’erba, si diceva. Oggi l’Amministrazione Comunale di Avetrana ricorda vecchie tragedie, perché ha attuato il suo piano: desertificare Avetrana per non lasciare niente a chi gli succederà, salvo che gli altri non facciano di tutto per perdere. Dopo quasi tutti i Pini delle scuole e dei viali è toccato soccombere agli Eucalipti della scuola elementare Mario Morleo. Per loro si era già provveduto alla potatura, con esborso ulteriore di denaro, con i rami tagliati lasciati a penzolare per settimane sul muro, con pericolo per i passanti. Per i Pini era la processioniaria ed il manto stradale divelto, ma gli Eucalipti centenari che male hanno fatto? Erano lì già prima della mia nascita ed hanno accompagnato tutta la mia vita con la loro ombra. L’anno prossimo, la nuova amministrazione, già nel ripiantumare il maltolto, avrà già fatto una buon’opera degna di consenso, tenuto conto che la promessa di questa amministrazione e di quella precedente, di ripiantumare gli alberi divelti, da 11 anni è in attesa ancora di realizzazione.
Avetrana. La strage degli alberi. Il commento del Dr Antonio Giangrande, scrittore, blogger, youtuber.
Mi ero ripromesso di non occuparmi più della politica locale per la sua inutilità, ritenuta stantia e stagnante e periodicamente riproposta da gente di destra e di sinistra ambiziosa e senza alcun valore, ma di fronte alla desertificazione che l’odierna amministrazione di destra di Avetrana sta attuando al fine del suo mandato non è possibile rimanerne complici con il proprio silenzio. Questi signori stanno per finire di tagliare tutti gli alberi piantati dall’ultima amministrazione di sinistra, affinchè alla fine del loro mandato non ne rimanga nessuna testimonianza. Nessun motivo o giustificazione può essere avvalorato dalla logica. Hanno usato la scusa delle radici che spaccano il manto stradale; delle foglie che sporcano, del pericolo di cadute per cedimento. Hanno usato, addirittura, la scusa della presenza della Processionaria su qualche albero, per tagliarli tutti. Usano il metodo Xylella. Come dire: se il cane ha le pulci o le zecche, il coglione non disinfesta i parassiti, ma uccide il cane. Questi signori non hanno alcuna cultura ambientalista. Usare la potatura o la disinfestazione non è ipotesi alla loro portata. Meglio eliminare ogni pianta dal paese. Credevo che fosse il rosso il colore da costoro odiato…invece è il verde. Che peccato condividere il paese con gente che non ama la Natura, anche perché chi non ama la Natura, non ama l’uomo.
Il paese si divide. Le ruspe spianano le vele di Avetrana. La Redazione de La Voce di Manduria il 29 giugno 2023
L'iconico e dibattutissimo monumento “Doppia Vela" di Avetrana, che ha caratterizzato il paesaggio urbano della centralissima piazza Vittorio Veneto per oltre due decenni, è stato abbattuto. «La demoliamo perché è da 20 anni che sta lì e non è stata mai funzionante», ha dichiarato la giunta avetranese giustificando l’ufficiale rimozione della fontana mai entrata in funzione.
Da alcuni cittadini ritenuta “un’opera d’arte unica”, per altri perfino “brutta”, la scelta dell’amministrazione di far letteralmente piazza pulita è stata tormentata date le vivacissime critiche mosse dalla comunità avetranese sui social e addirittura dall’apertura di una petizione online per conservare la struttura.
Più di 800 firme raccolte in un solo giorno, grazie alla mobilitazione partita dall’utente Miky Oli, non sono servite per salvare la fontana a doppia curva.
Ritenuta dai sostenitori «un connubio perfetto tra arte, architettura e scienza», il monumento doveva rimanere ed essere ristrutturato proponendo anche un autofinanziamento collettivo. I tempi di rimozione dalla consulta sono stati però rapidissimi non lasciando scampo alla fontana e tanto meno ad altre critiche.
«Con i soldi dei Distretti urbani del commercio stiamo ripristinando due vicoli del centro storico e sistemando la piazza», ha dichiarato l’amministrazione comunale ottenendo, forse e in extremis, il perdono da una larga parte della cittadinanza. Marzia Baldari
Petizione sulla rete.
Avetrana si divide sulle doppie vele di Piazza Vittorio Veneto: abbatterle o no? La Redazione de La Voce di Manduria il 27 giugno 2023
Per molti è un brutto monumento da abbattere, per altrettanti è ormai un simbolo architettonico da preservare. Un comune diviso in due, Avetrana, che non si mette d’accordo su cosa fare della “doppia vela”, il monumento edificato agli inizi del 2000 nella centralissima piazza Vittorio Veneto che l’amministrazione comunale ha deciso di eliminare e probabilmente di sostituirlo con un altro.
La notizia provoca pareri discordanti tra chi è favorevole all’abbattimento e chi vorrebbe conservarlo. La discussione è approdata nella rete dove è stata promossa una petizione dei conservatori, intitolata “Fermare l’abbattimento della vela di Avetrana, che in tre giorni ha già raccolto quasi 800 firme.
L’opera fatta in pietra di Fasano, basalto e carparo, fu commissionata dall’amministrazione comunale del 1994 alle architette Anna Guerzoni e Isa Ciampelletti. La realizzazione risale al 1998 e terminata nel 2004.
Così la descrive Google Maps: «La fontana in Piazza Vittorio Veneto ad Avetrana rappresenta un connubio perfetto tra arte, architettura e scienza, grazie alla straordinaria collaborazione dello psichiatra Massimo Fagioli e della sua "Teoria della Nascita". Questa creazione unisce la bellezza estetica con la profondità concettuale, invitando l'osservatore a riflettere sulla vita e sulla sua ininterrotta trasformazione».
«Quella fontana è un'opera d'arte, non va demolita»: oltre 600 firme per salvare la «vela» di Avetrana. Rosarianna Romano su il Corriere della Sera/Corriere del Mezzogiorno/ bari il 26 giugno 2023
Petizione online per salvaguardare l'opera a doppia curva di piazza Vittorio Veneto. E per Google è già un monumento.
«La fontana di piazza Vittorio Veneto ad Avetrana è un'opera d'arte che valorizza la piazza ed il paese. È stata oggetto di pubblicazioni ed ha preso parte ad una mostra che ha girato il mondo. Va mantenuta, non demolita». Scrive così un utente su Change.org, la piattaforma che permette di firmare petizioni online. La raccolta firme invita a non abbattere la fontana a doppia curva di Avetrana (Taranto) e a «prendere in considerazione tutte le possibili soluzioni per salvare un monumento artistico presente in piazza Vittorio Veneto, costruito e abbandonata dall’incuria amministrativa». E propone anche un’azione costruttiva per la sua salvaguardia: un autofinanziamento collettivo per salvare e ripristinare la fontana, scongiurando il suo abbattimento.
Oltre 660 firme in un giorno
Per il momento oltre 660 persone hanno firmato la petizione, 532 soltanto nella giornata del 26 giugno. Un utente ha risposto all’appello aggiungendo la fontana come bene artistico su Google Maps con annessa descrizione a conferma della sua bellezza e importanza: «Cari sostenitori dell'arte – scrive su Change.org -, della cultura e della teoria di Massimo Fagioli, per diffondere la consapevolezza su questa situazione e preservare questa meravigliosa creazione artistica, ho deciso di aggiungere la fontana su Google Maps pubblicando poi una dettagliata recensione che ne esalta la bellezza e l'importanza. Spero che questa iniziativa possa contribuire a far conoscere e apprezzare questa meravigliosa creazione artistica, che rischia di essere demolita a causa di questa assurda ordinanza comunale. Vi invito ad incentivare la raccolta delle firme e dare un'occhiata su Google Maps inserendo una recensione, così da promuovere e proteggere questa opera d'arte, la cultura e l'arte meritano il nostro sostegno e protezione».
Per Google è già un'opera d'arte
E, di fatto, dopo un’attenta descrizione del bene architettonico, adesso su Google Maps si legge: «La fontana in Piazza Vittorio Veneto ad Avetrana rappresenta un connubio perfetto tra arte, architettura e scienza, grazie alla straordinaria collaborazione dello psichiatra Massimo Fagioli e della sua "Teoria della Nascita". Questa creazione unisce la bellezza estetica con la profondità concettuale, invitando l'osservatore a riflettere sulla vita e sulla sua ininterrotta trasformazione». Attorno a questa analisi descrittiva del monumento, iniziano a piovere recensioni positive: nell’ultima mezz’ora, diversi utenti hanno dato le loro cinque stelle a questo bene architettonico che potrebbe essere demolito.
Antonio Giangrande: A proposito di primarie ad Avetrana ed in tutta Italia…fascismo e comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o di poltrone.
Cosa accomuna gli interisti ai comunisti? Quando si perde è perché gli altri hanno rubato.
Ad Avetrana, tanti anni fa, il sottoscritto emergeva in politica. Presidente di Alleanza nazionale, non sono stato mai accettato perché non avevo il sangue nero ed i miei sostenitori non erano di destra, ma erano dei moderati. Per la nomenclatura ero buono solo a portare voti ai soliti noti. Li mandai a fanculo…e sostenni Conte a sinistra che con i voti dei miei sostenitori vinse le Comunali.
Ad Avetrana, a sinistra c’è Emanuele Micelli, mai accettato dai comunisti perché non ha sangue rosso. Alle primarie 2016 tutta la nomenclatura comunista era schierata contro di lui in previsione di una futura scissione del PD e la cui figura della Petracca, (con i soliti 200 voti degli ultracomunisti) era solo specchio per le allodole. Il vero intento era contarsi per valere. Micelli per la nomenclatura è buono solo a portare i voti dei moderati alle elezioni…per Conte e per altri. Voti dell’aria moderata che, però, non sono accettati alle primarie: perché fanno schifo ai comunisti.
Lo schifo per i voti moderati ha fatto sì che il mio interesse per chi si professa diverso è cessato e da allora la sinistra ad Avetrana ha sempre perso, nonostante, per fottersi i miei voti, hanno messo mio fratello nelle loro liste e che io stesso non ho votato. Fino a che, a sinistra come a destra, le nomenclature locali saranno più interessate alle poltrone che alle cose reali, perderanno sempre, perché non è vittoria quella con il 50% di astensione. Messaggio di gente che manda a fanculo gli schieramenti con le solite facce.
… fascismo e comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o di poltrone per persone incapaci.
Antonio Giangrande: Amministrative di Avetrana: 5 giugno 2016. Un bravo a tutti i candidati da parte di un incompetente ed inesperto.
Un bravo ai candidati della lista Minò (centrodestra), che pur apprezzati e votati, per quello che sono e per quello che fanno, da soli 1601 avetranesi su 8279, sono riusciti a vincere ed a festeggiare, a dispetto dei loro 2656 elettori del 2011. Essi continueranno imperterriti a dimostrare la loro competenza e la loro esperienza a vantaggio del loro paese che non li stima.
Un bravo ai candidati della lista Micelli e della lista Petracca (centrosinistra), che pur con il favore di 2810 avetranesi su 8279 (1418+1392), in più rispetto ai 2438 del 2011, sono riusciti a perdere divisi…ma da “liberi”. Senza alcun rimorso. Giustificati con la solita tracotanza, essi continueranno, imperterriti, a non riconoscere i loro errori ed a non dimostrare la loro capacità a vantaggio del loro paese che li ha voluti più dell’altra lista. Bravi per aver fatto continuare ad amministrare Avetrana con la competenza e l’esperienza della precedente amministrazione.
Un bravo al 32,6 % dell’elettorato avetranese che non è andato a votare, incrementato rispetto al 25,42 del 2011. Primi della provincia di Taranto. Questi, in aggiunta a chi si reca per consegnare scheda bianca o scarabocchiata da imprecazioni, sono la maggioranza degli avetranesi, di cui a nessuno gliene frega niente. Maggioranza che disprezza questa classe politica basata sull’odio e l’ideologia e che si fa eleggere non sui programmi reali, ma sugli attacchi personali agli avversari. Penso che questi avetranesi che non votano, darebbero prova di saggezza e coraggio, se venissero fuori con una loro lista, per formattare la politica avetranese. Solo allora, per loro, sarebbe un bravo sincero.
Antonio Giangrande: Una considerazione sociologica a margine di quanto già rendicontato dal punto di vista politico in riferimento alle amministrative del 5 giugno 2016. La maggioranza della gente di Avetrana, (così come del resto dell'Italia) se da una parte è disposta a vendere il suo voto, più che in cambio di denaro, in termini di favori, al contrario si dimostra essere alquanto irriconoscente, una volta che è stata soddisfatta. Prendiamo per esempio dei casi limite ad Avetrana dove, sicuramente, da parte dei candidati si è ottenuto molto meno di quanto elettoralmente si valesse, senza nulla togliere agli altri candidati di pari valore intellettuale e politico.
Antonio Minò. La sua lista ha preso 1601 voti di lista rispetto ai 2656 voti di lista del suo predecessore, Mario De Marco. Rispetto al De Marco, però, il Minò esercita nel sociale (presidente di Avetrana Soccorso) ed a rendere un favore chiesto, anche al di là della sua sfera professionale, non si tira mai indietro. Probabilmente ha ricevuto molta irriconoscenza.
Daniele Fedele Saracino. 143 voti, il penultimo dei votati della lista Minò. Il fatto che sia un imprenditore, non è indicativo di consenso, ma essere il presidente della locale squadra di calcio che ha appena ottenuto con i suoi sacrifici un risultato insperato per un piccolo paese, quale l’approdo in Eccellenza, e non essere ricambiato in termini di consenso, almeno da parte dei tifosi che numerosi calcavano gli spalti, ciò è significativo di estrema irriconoscenza.
Anna Maria Katia Maggiore. 165 voti con la lista Petracca. Il fatto che sia imprenditrice non é indicativo di consenso. Essere la figlia di Giovanni, il più facoltoso imprenditore di Avetrana, non si tramuta in termini di voti. Però, il fatto che ad ogni manifestazione pubblica che si tiene ad Avetrana od ad ogni altro evento sociale in cui la comunità è coinvolta, si chieda il suo appoggio e Giovanni non faccia mai mancare il suo sostegno economico in termini di contributi o di sponsor, questo dovrebbe significare un po' di consenso. E quando questo manca, come è mancato per sua figlia Anna Maria, questo denota somma irriconoscenza.
Come si dice "a fani beni...". E con questo ho detto tutto.
Avetrana: «Il Consiglio comunale ha riconosciuto 217mila euro di debiti fuori bilancio per bollette.
Manduria Oggi il 9 gennaio 2023.
Rilanciamo Avetrana: «Il Consiglio comunale ha riconosciuto 217mila euro di debiti fuori bilancio per bollette AQP non pagate dal 2010 al 2022»
«Siamo abbastanza curiosi di conoscere i prossimi passi che l’Amministrazione comunale e l’Organismo di Valutazione vorranno percorrere per venire a capo di questa incredibile vicenda!» Riceviamo, e pubblichiamo, un comunicato del gruppo consiliare di minoranza “Rilanciamo Avetrana”. «Nell’ultimo Consiglio comunale del 2022, i nostri consiglieri comunali sono stati chiamati a votare su alcuni provvedimenti atti a riconoscere i famigerati “debiti fuori bilancio” per più o meno 217.000 euro per somme accumulatesi negli anni dal 2010 in poi.
DUECENTO-DICIASSETTE-MILA-EURO di certo non ottimamente gestiti che gravano sulle finanze e su un bilancio già abbastanza a secco del Comune di Avetrana.
Il debito maggiore è quello di 99.000 euro nei confronti dell’Acquedotto Pugliese per utenze comunali non pagate dal 20/05/2010 al 02/03/2022. In relazione a questa spesa il revisore unico indica nella sua relazione che AQP con cadenza “annuale ed infraannuale” sollecitava i pagamenti e metteva in mora l’ente. Dunque non ci capacitiamo di come per 12 anni possano essere state ignorati tutti questi avvertimenti; ancora il revisore unico invita ed onera gli organi preposti “a verificare la sussistenza di eventuali responsabilità e di eventuali azioni di rivalsa nel riconoscimento del suddetto debito fuori bilancio, trasmettendone la documentazione all’Organismo di Valutazione” e a trasmettere copia della deliberazione di riconoscimento dei debiti fuori bilancio anche alla Procura Regionale della Corte dei Conti. Siamo abbastanza curiosi dunque di conoscere i prossimi passi che l’Amministrazione comunale e l’Organismo di Valutazione vorranno percorrere per venire a capo di questa incredibile vicenda! Spulciando ancora le carte relative agli altri debiti, ci si accorge di alcuni incarichi a legali definiti dai funzionari comunali “irrituali” e “difformi rispetto alle regole giuscontabili” per un totale di 26.000 euro fatturati tra il 2020 e il 2021. Anche qui il revisore unico invita gli organi preposti “a verificare la sussistenza di eventuali responsabilità e di eventuali azioni di rivalsa nel riconoscimento del suddetto debito fuori bilancio”. Naturalmente per i lettori non sarà complicato individuare tutte le responsabilità politiche di questo continuo stillicidio di risorse pubbliche chiamato “debito fuori bilancio”, staremo molto attenti però a quanto accadrà in relazione all’attività dell’organo di vigilanza per capire se vi è volontà o meno di venire a capo dei tanti misteri avetranesi dove chi paga alla fine è solo il cittadino».
Dubbi anche sulle spese per incarichi legali. Dodici anni di morosità, il comune paga super bolletta di 99mila euro e la minoranza si appella alla Corte dei Conti. La Redazione de La Voce di Manduria il 13 gennaio 2023.
Per 12 anni il comune di Avetrana non ha pagato il consumo dell’acqua così ha accumulato un debito con l’Acquedotto pugliese di 99mila euro pagato dall’attuale amministrazione con una delibera di consiglio comunale che ha riconosciuto questi ed altri debiti fuori bilancio ritenuti «anomali» dall’organo di revisione.
A darne notizie è il gruppo consiliare di minoranza, “Rilanciamo Avetrana” che in un manifesto ha sommato la cifra dei debiti maturati negli ultimi anni pari a 217mila euro. Tra questi la super bolletta di Aqp ed anche circa 26mila euro per incarichi legali affidati all’esterno nelle annualità 2020-2021 “ritenuti dagli stessi funzionari comunali – scrivono i consiglieri di minoranza – come irrituali e difformi rispetto alle regole giuscontabili”.
Ancora il revisore unico, fa sapere il gruppo di opposizione, avrebbe invitato gli organi preposti “a verificare la sussistenza di eventuali responsabilità e di eventuali azioni di rivalsa, trasmettendone la documentazione e la deliberazione di riconoscimento dei debiti fuori bilancio anche alla Procura Regionale della Corte dei Conti.
“Siamo abbastanza curiosi dunque – si legge nel documento del gruppo Rilanciamo Avetrana -, di conoscere i prossimi passi che l’Amministrazione Comunale e l’Organismo di Valutazione vorranno percorrere per venire a capo di questa incredibile vicenda”.
SOLITA BRINDISI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La tragedia nel brindisino. Uccide la madre, ferisce il padre con l’accetta e si toglie la vita: il massacro familiare a Latiano. Il 32enne Mirko De Milito, operaio in uno stabilimento, "un grande lavoratore, un bravo ragazzo". La violenza esplosa nel pomeriggio. Il padre è ricoverato, non in pericolo di vita. Redazione Web su L'Unità il 25 Ottobre 2023
Sarebbe esploso tutto da una lite in famiglia. Mirko De Milito ha cominciato a colpire con un’accetta i genitori, la madre e il padre. La donna è morta, uccisa sotto i colpi sferrati dal figlio. L’uomo è ricoverato, non è in pericolo di vita. Il ragazzo invece si è tolto la vita, dopo aver ucciso la madre si è lanciato nel vuoto dal terrazzo di casa. Sconvolta la comunità di Latiano, cittadina in provincia di Brindisi. Sul caso indagano i carabinieri per ricostruire la dinamica dell’accaduto e risalire al movente del massacro in famiglia.
La violenza è esplosa ieri pomeriggio, nell’abitazione in via Luigi Errico. Mirko De Milito aveva 32 anni, operaio in uno stabilimento. “Era un grande lavoratore, davvero un bravo ragazzo che però viveva un periodo difficile della sua vita. Non aveva cattive frequentazioni o vizi. Forse stava vivendo uno stato depressivo in quest’ultimo periodo”, la descrizione di un amico a La Gazzetta del Mezzogiorno. Una tragedia forse scaturita da problemi personali del 32enne e da situazioni che viveva la famiglia secondo il Corriere del Mezzogiorno. La madre del ragazzo aveva sofferto gravi problemi di salute ed era stata ricoverata mesi prima all’ospedale di Francavilla Fontana e poi in quello di Noci. Anche il marito soffriva di alcuni problemi di salute.
Giuseppina La Marina, 64 anni, non ha avuto scampo. In un primo momento era emerso come anche il marito fosse stato ferito a colpi di accetta, sembra invece che sia rimasto ferito cercando di impedire al figlio di togliersi la vita. L’uomo è ricoverato all’ospedale Perrino di Brindisi con un trauma cranico e ferita lacero contusa, non rischia la vita. Il figlio è morto sul colpo dopo essersi lanciato dal terrazzo di casa. L’accetta utilizzata nella strage è stata ritrovata per strada. La casa dove si è consumata la tragedia è stata messa sotto sequestro. Sul posto sono arrivati tanti cittadini sconvolti dalle notizie. I vicini di casa, i parenti e gli amici sono stati interrogati.
“Sgomento, cordoglio, vicinanza e solidarietà. L’intera comunità latianese è incredula e profondamente addolorata per quello che è accaduto ad una nostra famiglia; un figlio che uccide la madre, ferisce gravemente il padre e poi si suicida, una tragedia nella tragedia che, molto probabilmente, solo un profondo disagio fisico e psichico può determinare. Troppa angoscia e troppo dolore”, il post sui social del sindaco di Latiano Mino Maiorano. “Stringiamoci intorno a Cotrino che in questo dramma è rimasto, in un maledetto istante, vedovo della moglie e del proprio figlio, auguriamogli di guarire e soprattutto di rimarginare quanto prima le profonde ferite che questa tragedia ha causato alla sua anima. Un plauso alle forze dell’Ordine e agli Inquirenti per il professionale servizio che stanno prestando per ricostruire l’accaduto”. Redazione Web 25 Ottobre 2023
Brindisi, le minacce di Morleo rievocate in aula: «Gli taglio la testa e ci gioco a pallone». Un ex imprenditore testimone al processo per il delitto Spada. Rispondendo al pm ha ricostruito la mappa delle società e i suoi contatti con l'imputato. STEFANIA DE CRISTOFARO su La Gazzetta del Mezzogiornola Sera il 26 Aprile 2023.
«La mia segretaria mi disse che era stata contattata da Cosimo Morleo, il quale proferì le seguenti parole: “Digli - parole rivolte all’imprenditore chiamato a testimoniare al processo per il delitto Spada-ndr - che gli taglio la testa e ci gioco a pallone”».
Un salto indietro nel tempo, di più di venti anni, per riferire alla Corte d’Assise di Brindisi il contenuto di una telefonata e di un incontro con Cosimo Morleo che, in entrambi i casi, avrebbe avuto un «atteggiamento minaccioso». A ricordare è stato l’imprenditore citato come testimone dal pm della Dda di Lecce nel processo sugli omicidi di Salvatore Cairo e Sergio Spada, imprenditori nel settore del commercio di pentole e casalinghi.
Omicidi aggravati da premeditazione e da metodo mafioso, secondo il sostituto procuratore Milto Stefano De Nozza: uccisi perché avrebbero intrapreso strade in concorrenza con quella della famiglia Morleo che avrebbe voluto lavorare in condizioni di monopolio. Il corpo di Cairo venne fatto e pezzi con una motosega e bruciato a maggio 2000. Spada venne ucciso a novembre 2001. Imputati sono i fratelli brindisini Cosimo ed Enrico Morleo, il primo ritenuto il mandante e il secondo esecutore materiale.
L’imprenditore chiamato a testimoniare nel processo in atto era, agli inizi del 2000, titolare di un’azienda di import-export di casalinghi: «Vendevamo porta a porta piatti, bicchieri e pentole», ha spiegato ricordando che l’azienda si chiamava «Diamante» e che «aveva sede legale a Brindisi e l’ufficio distribuzione in Sicilia». Per l’imprenditore-testimone, un’altra azienda di riferimento, oltre a quella di Spada con cui partecipò anche a fiere campionarie in Russia, era quella di Cairo che aveva «aperto la Eurocasa». Il teste ha riferito di aver avuto rapporti anche con la Golden Star che ha ricollegato a Cairo ed a Cosimo Morleo e con la Mc Europa, definita come la «più grossa assieme alla Diamant (dell’imprnditore Spada-ndr)». Rispetto a quest’ultima, rispondendo a una domanda del pm , il teste ha detto che era «di Cosimo Morleo»: «Credo che c’era anche Salvatore (Spada-ndr), poi non so le cose societarie, perché qualche volta, quando andavo, c’era pure lui».
L’imprenditore, sempre rispondendo a al pm, ha detto che dopo la scomparsa di Cairo e l’omicidio di Spada, la Mc Europa, sarebbe diventata leader nella distribuzione dei prodotti per la casa. A quel punto, De Nozza ha chiesto al teste se ricordasse di una telefonata e di «un litigio con Cosimo Morleo». «Mi ricordo che siccome avevamo, non litigato, ma avuto dei diverbi sul prezzo su alcuni articoli che avevo preso da loro, dissi: “Non li voglio più”». Il riferimento, ha precisato, era alla «Mc Europa». «Mi disse, allora mandameli e facciamo i conti. Glieli mandai e quando arrivarono mi chiamò e disse che non erano quelli. Insomma fece casino al telefono».
Poi l’episodio in Sicilia: «Nel mio ufficio eravamo io, Sergio Spada e il suo socio, a un tratto mentre parlavamo è arrivato un furgone con tre individui, tra cui Cosimo Morleo che scese e un ragazzo con capelli lunghi tutto tatuato. Lui era indispettito e con un fare minaccioso mi disse in dialetto: “Poi ci vediamo a Brindisi”».
Prima ci sarebbe stata la telefonata di cui l’imprenditore ha riferito a De Nozza, il 19 novembre 2003, e che ha confermato essendo «una cosa vera». Nel verbale c’è scritto: «Non avevo intenzione di concludere rapporti con loro, in quanto i prezzi della Mc Europa erano più alti rispetto ad altri fornitori. Nacque un battibecco durante il quale feci presente le mie intenzioni di rivolgermi a un legale. Dopo un po’ di giorni la mia segretaria mi disse che era stata contatta da Cosimo Morleo».
SOLITA LECCE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Succede a Lecce.
La Sicurezza.
L’Università.
L’Ambiente.
La Giustizia.
Le città.
Estratto dell’articolo di Francesco Oliva per repubblica.it mercoledì 18 ottobre 2023.
Lavori di manutenzione in casa con lo sconto dopo aver accordato una somma ben più elevata per effettuare tutti gli interventi. E, quando l’imprenditore ha preteso il pagamento, è iniziata un’attività di persecuzione nei suoi riguardi: approfonditi e mirati controlli per strada, con continue multe.
Un luogotenente dei carabinieri, fino a pochi mesi fa, al comando di una stazione di un paese salentino, è finito sotto inchiesta con l’accusa di concussione dopo la denuncia di un imprenditore edile che si è dovuto accontentare di una esigua somma (11mila euro con quattro bonifici) e a rinunciare al saldo delle somme dovute (45mila e 628 euro) per dei lavori avviati a luglio del 2019 e completati agli inizi del 2021.
A nulla sarebbero servite le rimostranze dell’imprenditore: il luogotenente ha continuato a manifestare chiaramente la sua indisponibilità al pagamento avviando sfacciatamente una campagna di persecuzione nei suoi riguardi. Come effettivamente accaduto leggendo le carte dell’indagine condotta dai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile di Lecce.
A dire il vero i controlli sono partiti già a luglio del 2019 quando l’imprenditore aveva completato il massetto. E quando sospese i lavori, subì una serie di ripicche: una contravvenzione perché sorpreso sul motociclo senza casco e una seconda per guida di un mezzo sottoposto a fermo amministrativo. “Non hai capito che devi finire il lavoro, fai quello che ti dico io altrimenti se non finisci non ti faccio più lavorare” gli diceva quando lo incrociava per strada.
[…] Pochi mesi dopo il comandante gli propose di sistemare l’intera questione versando a suo favore alcune somme di denaro nell’ordine dei 1.000, 2.000 euro così da poter effettuare un bonifico. Al rifiuto, i controlli si intensificarono: in appena due mesi (novembre e dicembre 2022) l’imprenditore è stato multato per il mancato uso delle cinture di sicurezza e per la ruota sinistra usurata. […]
Lecce, comandante dei carabinieri contro imprenditore: «Ti multo se non mi fai lo sconto per la ristrutturazione». Il luogotenente, fino a pochi mesi fa in servizio in un paese salentino, è sotto inchiesta per concussione dopo la denuncia di un imprenditore edile: aveva fatto lavori per 45mila euro ricevendone solo 11mila. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del mezzogiorno il 17 Ottobre 2023
«O mi fai lo sconto per la ristrutturazione in casa o ti multo»: sono le parole pronunciate da un luogotenente dei carabinieri a comando di una stazione del basso Salento che è finito sotto inchiesta con l’accusa di concussione dopo la denuncia di un imprenditore edile che si è dovuto accontentare di una esigua somma (11 mila euro) e a rinunciare al saldo delle somme dovute (45mila e 628 euro) per alcuni lavori realizzati per il militare fra il luglio del 2019 e l’inizio del 2021.
Secondo quanto ricostruito l'uomo ha preteso lo sconto dopo aver accordato una somma ben più elevata per effettuare tutti gli interventi. E, quando l’imprenditore ha preteso il pagamento, è iniziata un’attività di vera e propria persecuzione nei suoi riguardi: approfonditi e mirati controlli per strada, con continue multe.
A nulla sarebbero servite le rimostranze dell’imprenditore: il luogotenente ha continuato a manifestare chiaramente la sua indisponibilità al pagamento avviando sfacciatamente una campagna di persecuzione nei suoi riguardi. Come effettivamente è accaduto leggendo le carte dell’indagine condotta dai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile di Lecce.
In realtà i controlli erano partiti già a luglio del 2019 quando l’imprenditore aveva completato il massetto. E quando sospese i lavori, subì una serie di ripicche: una contravvenzione perché sorpreso sul motociclo senza casco e una seconda per guida di un mezzo sottoposto a fermo amministrativo. «Non hai capito che devi finire il lavoro, fai quello che ti dico io altrimenti se non finisci non ti faccio più lavorare» lo minacciava quando lo incrociava per strada.
Pretendeva uno “sconto” su alcuni lavori in casa? Carabiniere a processo con rito abbreviato. Di A.C. il 17 Ottobre 2023 su leccenews24.it
E secondo l’accusa, il militare avrebbe messo in atto una serie di controlli stradali mirati nei confronti di un imprenditore.
Sarà giudicato con il rito abbreviato, condizionato ad una consulenza tecnica per dimostrare la propria estraneità ai fatti, l’ex comandante di una stazione locale dei carabinieri accusato di concussione.
Il gup Angelo Zizzari, nelle scorse ore, ha accolto l’istanza degli avvocati Giampiero Tramacere e Claudia Santoro, legali dell’ imputato.
Il processo si terrà il 4 marzo. Intanto, la persona offesa, nel corso dell’udienza preliminare, si è costituita parte civile con l’avvocato Antonio Bolognese.
I fatti si sarebbero verificati tra luglio del 2019 e marzo del 2023.
Secondo l’accusa, rappresentata dal pm Donatina Buffelli, il comandante dei carabinieri, all’epoca dei fatti (prima del trasferimento in un’altra sede), avrebbe costretto un imprenditore ad eseguire lavori di manutenzione, presso la propria abitazione, per un importo di gran lunga inferiore a quello indicato nel preventivo. Nello specifico, lo avrebbe indotto ad accontentarsi degli acconti versati con quattro bonifici, per la somma di 11mila euro. E poi, a rinunciare a chiedere il saldo delle somme dovute, pari a oltre 45.000 euro.
Non solo, poiché, in caso di rifiuto, il comandante dei carabinieri avrebbe messo in atto una serie di controlli stradali. E secondo l’accusa, ciò si sarebbe verificato, poiché, dopo la decisione dell’imprenditore di sospendere i lavori, lo avrebbe multato in due occasioni, rispettivamente per guida senza casco e di mezzo sottoposto a fermo amministrativo. La presunta vittima, messa alle strette, avrebbe ripreso i lavori, ma una volta terminati, la situazione sarebbe precipitata. Infatti, l’imprenditore avrebbe preteso il saldo ed a quel punto il carabiniere avrebbe incrementato gli accertamenti stradali.
E vengono contestate dalla Procura, altre quattro contravvenzioni.
Dopo avere ricevuto un’ulteriore sanzione amministrativa, sempre per mancato uso della cintura, l’imprenditore decise di denunciare il carabiniere, dando il via alle indagini.
Scandalo Gallipoli, il carabiniere sospeso si difende: “Agito sempre nel rispetto della divisa che indosso”. F.Oli. il 15 Settembre 2023 su corrieresalentino.it
GALLIPOLI (Lecce) In quattro cercano di alleggerire la propria posizione fornendo chiarimenti al gip nel corso degli interrogatori di garanzia. Questa la novità più saliente nell’ambito dell’inchiesta condotta dai militari della Guardia di Finanza di Gallipoli che ha scoperchiato una serie di illeciti, pressioni e favori tra imprenditori, forze dell’ordine e amministratori per ottenere agevolazioni nel settore turistico. Particolarmente atteso era il faccia a faccia di Vincenzo Zuccheroso, 53 anni, di Formia ma residente a Parabita, appuntato in servizio presso il Norm di Gallipoli con il giudice Marcello Rizzo.
Il militare, sospeso dall’esercizio di pubblico ufficiale per un anno e sottoposto al divieto di dimora nel comune gallipolino, nell’aula bunker del carcere di Borgo “San Nicola”, alla presenza del proprio avvocato Luca Laterza, ha fornito le proprie spiegazioni sulle accuse che gli vengono mosse nell’ordinanza in cui viene tratteggiato come un “informatore” degli imprenditori su indagini coperte dal segreto istruttorio. In particolare i favori sarebbero stati elargiti all’imprenditore Cesario Faiulo, 56 anni, residente a Casarano, e ad Emanuele Piccino, 45 anni, di Gallipoli, con un passato da assessore nella città bella (due dei soggetti finiti ai domiciliari insieme all’ex funzionario regionale Antonio Fasiello).
Non si è sottratto al faccia a faccia neppure Franco De Matteis, 62 anni, di Pisignano, funzionario in servizio alle Agenzie delle Entrate-Ufficio del territorio, sospeso per un anno. Assistito dall’avvocato Michelangelo Gorgoni, De Matteis ha voluto precisare il forte legame che lo unisce ad Antonio Fasiello al quale avrebbe fornito per telefono soltanto delle informazioni sulle visure che avrebbe potuto ottenere tramite una regolare procedura e non coperte da segreto istruttorio. Sulla questione poi degli incarichi ricevuti dal figlio, (che per gli investigatori avrebbero rappresentato il “risarcimento” per i favori), il funzionario ha bollato come una ricompensa proprio per l’amicizia fraterna che lo legava a Fasiello.
Ha voluto parlare anche Cosimo Giuncato, 62 anni, di Gallipoli, sottoposto al divieto di esercitare la professione di architetto per un anno, oltre al divieto di dimora a Gallipoli. Difeso dall’avvocato Andrea Sambati, ha precisato di non aver mai ricevuto incarichi per degli interventi di ristrutturazione da Faiulo in cambio dell’appoggio in alcune istanze affinché l’area su cui è stato realizzato il residence “Vita Bella” rientrasse tra le opere dotate della tutela paesaggistica. Peraltro la questione non sarebbe stata neppure di competenza della commissione urbanistica.
Sono, invece, rimasti in silenzio i tre ai domiciliari con braccialetto. Siamo parlando dei già citati Emanuele Piccino, assistito dall’avvocato Ladislao Massari; Cesario Faiulo, difeso dagli avvocati Michele Reale, Giulio De Simone e Massari ed Antonio Fasiello, rappresentato dall’avvocato Enrico Gargiulo. Scena muta anche per il luogotenente dei carabinieri in servizio nel nucleo investigativo di Lecce Corrado Salvatore, 57 anni, originario di Milano ma residente a Calimera, assistito dall’avvocato Silvio Verri; Ivan Giaccari, 52, di Porto Cesareo, difeso dall’avvocato Antonio De Mauro; Vito Antonio Greco, 68enne, di Torre Santa Susanna (Brindisi), assistito dall’avvocato Vincenzo Farina.
Lecce, mondo della cultura in lutto: morto il professor Giovanni Invitto. Filosofo e docente dell'UniSalento, negli anni Novanta è stato vice sindaco del governo di Stefano Salvemini. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 3 Agosto 2023
Mondo della cultura e dell'istruzione in lutto per la morte del professore Giovanni Invitto, filosofo con la politica nel cuore.
La notizia è arrivata stamattina, e ha lasciato in tutti la sensazione che con lui se ne andasse una parte importante della vita e della storia della città.
Ottant'anni, ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università del Salento ormai in pensione, è stato preside della Facoltà di Scienze della Formazione dal 2006 al 2012. I suoi interessi scientifici riguardavano soprattutto il dibattito filosofico contemporaneo. Nel 1987 ha fondato la rivista «Segni e comprensione».
Negli ultimi tempi si è concentrato soprattutto sul rapporto tra filosofia e narrazione. Tra le sue pubblicazioni: Le idee di Felice Balbo (1979), Sartre dal «gioco dell’essere» al lavoro ermeneutico (II ed. 2005), Sartre. Dio una passione inutile (2001).
Con Mimesis ha tra l’altro pubblicato: La tessitura di Merleau-Ponty (2002), L’occhio tecnologico. I filosofi e il cinema (2005), Idee e schermi bianchi (2007), Merleau-Ponty par lui même (2010), La misura di sé tra virtù e malafede e Il diario e l’amica. L’esistenza come narrazione (2012). I suoi scritti sono stati pubblicati e tradotti in Francia, Belgio, Brasile, Usa.
Uomo di cultura, Invitto si è impegnato anche in politica per contribuire alla crescita della città. È stato al fianco del compianto sindaco di Lecce, Stefano Salvemini, in qualità di vicesindaco. È stato anche assessore provinciale con Lorenzo Ria. Tra le sue amicizie quella con Romano Prodi.
Dalla politica arriva il cordoglio di Adriana Poli Bortone, «un amico che tanto ha dato alla sua città. È stato uno dei prestigiosi docenti dell'ateneo che si è espresso al massimo della professionalità e competenza nel periodo in cui l'ateneo leccese cresceva. Una persona dal tratto gentile e disponibile, lo ricorderemo con grande affetto. Sono vicina alla sua famiglia».
Questo invece il ricordo del sindaco di Lecce Carlo Salvemini: «Oggi, con la scomparsa di Giovanni Invitto, la città tutta perde un intellettuale brillante, un filosofo profondamente appassionato, un docente capace e scrupoloso, una persona sensibile dall'approccio gentile. Da sempre interessato alla politica, si è impegnato in prima persona al fianco di mio padre Stefano, che da sindaco lo nominò suo vice, e nella giunta provinciale guidata da Lorenzo Ria, protagonista in una stagione cruciale per la crescita di Lecce e del Salento. Un abbraccio commosso a nome di tutta la comunità alla sua famiglia».
La disputa sul tacco d'Italia, il veliero fantasma e le leggende: così l'Italia è diventata un po' più corta. Bepi Castellaneta su Il Corriere della sera il 7 Maggio 2023
Il tacco è stato individuato a Punta Ristola grazie alle carte nautiche. La zona è da sempre molto insidiosa per i navigatori
Il veliero che ha accorciato l’Italia è un battello di dieci metri verniciato di bianco diventato noto ormai come “la barca fantasma” per il semplice motivo che, quando è stato trovato, a bordo non c’era nessuno. Fatto sta che all’alba del 2 maggio, quando il Salento era sferzato dal maltempo e attraversato da impetuose raffiche di vento, il veliero è finito alla deriva e ha concluso la sua traversata sulla scogliera di Santa Maria di Leuca, in particolare a Punta Ristola. Un luogo tutt’altro che trascurabile sulle carte nautiche: al contrario, si tratta del tacco d’Italia. Nel vero senso del termine, visto che è quanto certificato dalle mappe geografiche. E così, quando uno spuntone di roccia è crollato dopo il naufragio, l’Italia si è ritrovata più corta di circa un metro.
De Finibus Terrae
Del resto, non a caso questo suggestivo angolo di Puglia attorno a Santa Maria di Leuca è noto come “De Finibus Terrae", vale a dire la fine della terra: un promontorio affacciato sul mare, il tacco d'Italia adagiato sullo Jonio che conduce in Grecia. Per lungo tempo il tacco è stato individuato a Punta Meliso, più a Ovest, dove sorge l’antico faro e la basilica mariana; successivamente è stato invece accertato che è Punta Ristola, a Est: una certezza emersa da coordinate geografiche corredate da immagini satellitari. Insomma, la disputa fra le scogliere che abbracciano le acque cristalline di Santa Maria di Leuca è finita qui. Una zona decisamente insidiosa per i navigatori, un’area punteggiata da scogli che a malapena si scorgono dal mare. Non per nulla a questo tratto di mare è legato ad antiche leggende e capitoli della mitologia greca che narrano di “scogli immortali”.
I pescatori sul posto
I primi ad accorgersi del crollo della roccia sono stati i pescatori salentini: sono stati loro a confluire in quel braccio di mare insieme a una motovedetta della capitaneria di porto di Gallipoli. Il battello è stato individuato rapidamente, era adagiato sulla scogliera ma all'interno non c'era nessuno. Ecco perché il naufragio è in parte ancora avvolto nel mistero: il sospetto degli investigatori è che possa essere una delle barche rastrellate dalla criminalità internazionale per alimentare il traffico di immigrati verso le coste salentine. Ma per il momento si tratta solo di un'ipotesi. L'unica cosa certa è che, dopo il crollo del tacco, l'Italia è un po' più corta.
La storia segreta di Porto Badisco: tra grandi misteri e strane apparizioni. Già nel 29 a.C. il sommo poeta Virgilio, nel III canto dell’Eneide, raccontava dell’approdo di Enea sulle spiagge salentine di Porto Badisco. GRAZIA PISCOPO (* STUDIOSA DI CABALA EBRAICA) su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Marzo 2023.
Tante sono le storie del nostro magico Salento, Terra amara e “fatigata”, fertile sia di meraviglie naturali uniche al mondo e sia di storie misteriose. Nel 29 a.C., il sommo poeta Virgilio, nel III canto dell’Eneide, raccontando dell’approdo di Enea sulle spiagge salentine di Porto Badisco, dopo la disfatta di Troia “...dove due rocce spumeggiano d’acqua salata, mentre il porto rimane nascosto...”, era tuttavia inconsapevole che del porto pugliese, molti secoli dopo, ne avrebbe ancora parlato la Storia, anche per una misteriosa Grotta dei Cervi nell’omonima valle, di epoca neolitica, rimasta asfittica e occultata sotto l’asfalto e cemento per ben 6.000 anni. Porto Badisco ci racconta una incredibile storia che ha appassionato, per singolarità e mistero, tutto il mondo scientifico e culturale. La scoperta di una antica grotta neolitica, venuta alla luce circa 50 anni or sono, rappresenta un bene inestimabile, inserito nel Patrimonio Mondiale della Umanità dall’UNESCO.
Una sera durante un incontro conviviale con il mio amico Luciano Faggiano, titolare del famoso Museo Faggiano a Lecce, mi racconta, abbassando la voce, consapevole della meravigliosa stranezza che gli era stata confidata da uno dei protagonisti della vicenda, che il 1° febbraio 1970, cinque speleologi del Gruppo «P. De Lorenzis» di Maglie, Severino Albertini, Daniele Rizzo, Isidoro Mattioli, Enzo Evangelisti e Remo Mazzotta, raggiunsero Porto Badisco e si avventurarono nel Nulla di una natura inospitale che in seguito sarebbe stata chiamata Valle dei Cervi.
Le infruttuose ricerche li avevano infine sfiancati. La stanchezza e il freddo in quell’alba invernale, li avevano quasi convinti dell’inevitabile ritorno a casa con le pive nel sacco, quando Severino Albertini, capo-spedizione, speleologo per vocazione e restauratore per professione, dovendosi liberare urgentemente di inopportuni bisogni fisiologici, si dovette allontanare dal gruppo. In tale stato di fragilità fisiologica, fu preso da improvvisa irrefrenabile paura per la comparsa di un grosso serpente eretto e minaccioso sbucato nell’immediata vicinanza della sua fortunosa privacy. Ebbe appena il tempo di urlare, facendo così accorrere i suoi amici, che dalla fredda bruma invernale, ebbero tutti modo di vedere la comparizione di una anziana donna completamente vestita di nero dalla testa ai piedi, che avanzando verso di loro, come se galleggiasse nella nebbia, pronunciò parole in stretto vernacolo locale : «Iti acchiatu lu serpe, mo truati l’acchiatura» (avete trovato il serpente e adesso troverete “l’acchiatura”). L’acchiatura è un dono stregato che soltanto potentissime fattucchiere, secondo una leggenda che non è mai stata scritta, possono a loro discrezione elargire, ma tuttavia riscattando per se stesse un oggetto del desiderio di loro piacere come forma di pagamento. Incuranti dell’immediato pericolo non capendo nè le parole nè il loro senso, ma intuendo la prossimità di una scoperta, incominciarono a scavare a dieci mani là dove era uscito il serpente, facendo luce piano piano sulla scoperta moderna più incredibile della storia.
Venne fuori l’ingresso con 4 corridoi-cunicoli polidirezionati estesi per poco più di 1 Km, di un monumento preistorico ricco di circa 3.000 pitture e graffiti policromati raffiguranti mani stampate, cervi, azioni di caccia e provabili divinità; utensili di uso comune di terracotta e per finire, nell’ultimo cunicolo, alcuni dei quali con accessi di soli 45 cm. di diametro, due scheletri scomposti, forse ultime vestigia degli indefessi e ignoti artisti. Memorie intatte, bagnate soltanto dal fiume sotterraneo Silur ora scomparso, che hanno permesso di ridefinire scientificamente la trasformazione evolutiva dei nomadi di Badisco, provenienti dal centro Europa, in stanziali agricoltori e allevatori dediti alla lavorazione della ceramica.
Quella della Grotta dei Cervi, con annesso cunicolo dei Diavoli, scoperta di eccezionale importanza, avrebbe dovuto fornire ai cinque speleologi (a cui in seguito se ne aggiunsero altri due, Nunzio Pacella e il fotografo Pietro Salamina) fama, notorietà e ricchezza. Purtroppo per un cortocircuito tecnico fatto di lentezza di carte bollate e comunicazioni ufficiali, scoordinate, al Sopraintendente alle Antichità di Taranto, prima che l’ufficialità fosse ottemperata, i nostri eroi furono danneggiati da pesanti denunce e da inevitabili oneri pecuniari. L’antica “acchiatura” aveva colpito ancora, non solo per una giurisprudenza borbonica e ottusa detrattrice di giusti riconoscimenti, ma la stessa si estese anche sul bene più prezioso dei cinque esploratori: la vita. Uno dopo l’altro, in pochi anni, tutti e cinque vennero a mancare per inspiegabili e dolorosi invalidanti problemi di salute e l’unica eredità ai loro parenti più prossimi per assurdo fu soprattutto il pagamento di pesanti oneri finanziari.
Qualcuno di questi emigrò perfino in Cina, volendo così allontanarsi dal dissanguamento monetario e da una beffa infamante e maledetta. Ancora oggi per questioni di sicurezza e per un delicato microclima, la Grotta dei Cervi, inibita al pubblico, rimane ostaggio di un mistero che a quanto pare deve rimanere tale.
Le parole di pietra dell’uomo di Badisco che probabilmente, sacrificando inutilmente se stesso, ha graffiato la sua pelle trascinandosi negli stretti cunicoli per lasciare la memoria della sua vita e della sua civiltà, sono ritornate nel buio e nel silenzio in cui sono nate.
Un Ringraziamento va al sig. Luciano Faggiano, del Museo Archeologico Faggiano di Lecce, per le importanti informazioni e preziose memorie personali con cui ha voluto gratificarmi.
Daniele De Santis ed Eleonora Manta.
Noemi Durini.
Alessandro Miglietta.
Omicidio di Lecce, le coltellate, il mistero, la confessione: “Vendetta e invidia". A settembre 2020 Antonio De Marco uccise Daniele De Santis ed Eleonora Manta: dopo le prime indagini confessò, rendendo chiaro il suo movente. Rosa Scognamiglio e Angela Leucci il 15 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il duplice omicidio di Lecce
Chi è il killer, chi sono le vittime
La sentenza, la pena
Si è chiusa solo al secondo grado di giudizio la vicenda processuale di Antonio De Marco, studente reo confesso del duplice omicidio di Lecce. Il giovane ha infatti deciso di non ricorrere in Cassazione dopo la conferma dell’ergastolo nel processo di appello, rendendo noto, tra l’altro attraverso i suoi legali, il desiderio che la sentenza partisse al più presto. “È stata una scelta del mio assistito - spiega a IlGiornale.it Andrea Starace, l’avvocato che con il collega Giovanni Bellisario segue De Marco - Voleva che la sentenza divenisse definitiva quanto prima e quindi mettere fine a questa vicenda. Anche la famiglia ha accettato la sua decisione”.
Il duplice omicidio di Lecce
Via Montello a Lecce è una strada abbastanza tipica per la cittadina. Case di universitari, villette di residenti e tanto verde. Una via tranquilla, sebbene a poca distanza da arterie più trafficate, dove però una sera qualcuno ha sentito urlare. Il 21 settembre 2020 infatti in una di queste ordinate abitazioni si consumò infatti l'omicidio di Daniele De Santis ed Eleonora Manta. La coppia di innamorati felici fu raggiunta da un totale di 45 fendenti, vibrati con un coltello da caccia: Manta, che durante l’aggressione avrebbe gridato “Andrea”, fu la prima a essere uccisa, mentre De Santis fu raggiunto mentre cercava di chiamare i soccorsi.
Le indagini si concentrarono da subito sulla storia personale delle vittime: De Santis era anche un amministratore di condominio, per cui inizialmente si pensò a una lite condominiale. Ma fu un buco nell’acqua. Non c’era nulla che inducesse a comprendere il movente del delitto nelle vite linde delle due vittime.
Molti vicini resero però la loro testimonianza: un uomo col cappuccio e con uno zaino venne visto allontanarsi da via Montello e fu inquadrato tra l’altro dalle telecamere di sorveglianza sparse nella zona. Mentre scappò perse dei bigliettini che contenevano il piano e le mappe con le vie di fuga. Qualcuno sentì, appunto, Manta urlare “Andrea”, credendo fosse il nome del killer, ma in realtà la giovane stava chiamando il vicino per essere soccorsa. A questo punto gli inquirenti, visto che nell’abitazione non c’erano state effrazioni, iniziarono a scavare tra le conoscenze della coppia, seppur in assenza di un movente chiaro: puntarono la loro attenzione su De Marco, con il quale De Santis aveva scambiato dei messaggi e che fino a un mese prima aveva affittato per alcuni periodi una stanza nella casa di De Santis e Manta. Pare non andassero d’accordo, per cui la coppia aveva deciso di vivere da sola, non rinnovando così il contratto.
Grazie al lavoro del procuratore Leonardo Leone De Castris, il 28 settembre 2020 De Marco fu fermato e confessò, chiarendo con gli inquirenti il movente del duplice delitto. “Il movente - chiarisce il legale - è l'unica cosa chiara. De Marco lo ha spiegato sin dal primo interrogatorio, nell'immediatezza dell'arresto, che in quello successivo davanti al gip. Ha fornito dichiarazioni che poi hanno trovato riscontro puntuale nel diario su cui annotava i suoi pensieri”.
Chi è il killer, chi sono le vittime
All’epoca dei fatti. Daniele De Santis aveva 33 anni ed era un arbitro di Lega Pro leccese: la sezione dell’Associazione Italiana Arbitri sarebbe stata successivamente intitolata a lui. Quello della sua morte era il primo giorno di convivenza senza altri inquilini con la fidanzata Eleonora Manta, 30 anni di Seclì, funzionaria dell’Inps a Brindisi. I due avevano molti amici, dei famigliari che volevano loro bene. Il padre di Daniele Fernando De Santis avrebbe infatti affermato successivamente alla condanna di De Marco: “Nessuna sentenza potrà mai colmare il vuoto che ha lasciato”. Più volte è stato riportato che De Marco non si sia pentito. “Questo è un altro dato pacifico, accertato anche dai periti della Corte d’Assise - dice Starace - il ragazzo è completamente privo di empatia. È stato ritenuto a ‘empatia 0’. Oggi comprende di aver fatto qualcosa di grave e che il suo agito comporta delle conseguenze, ma non mostra segni di pentimento. Almeno non in modo evidente”.
Antonio De Marco, all’epoca 22enne, era uno studente di scienze infermieristiche. Ma perché uccise De Santis e Manta? Gli inquirenti individuarono il possibile movente nei suoi scritti. "Io ho ucciso Daniele ed Eleonora perché volevo vendicarmi perché la mia vita doveva essere così triste e quella degli altri così allegra?”, scrisse in alcuni fogli poi sequestrati dalla polizia penitenziaria durante la custodia cautelare.
E ancora, nel suo diario: “Mercoledì ho avuto una crisi mentre stringevo un cuscino. Ho pensato che, a differenza mia, gli altri abbracciano delle vere ragazze e così sono scoppiato a piangere. Ho comprato qualche attrezzo... voglio uccidere qualcuno, voglio farlo a pezzi. Ho accettato la stanza, nella stessa casa di F., e ho già le chiavi e da qui, quando andrò via, potrò uccidere Daniele... mi piacerebbe una donna per prima, ma penso che così sarà una buona base di partenza”.
E il contenuto di altri scritti di De Marco ha corroborato il movente: “Se Dio - ha scritto lo studente nel suo diario - se il destino non vuole che Daniele e altre persone muoiano, allora deve farmi incontrare una ragazza che voglia stare con me. Altrimenti non mi fermerò e ucciderò sempre più persone. […] Ho deciso di intraprendere una vendetta contro Dio, il mondo e la mia vita. La vita che odio”.
“Lui ha ucciso il povero Daniele De Santis, per vendicarsi del fatto che non aveva una ragazza e che nessuno l’avrebbe amato mai - prosegue Starace - Egli, poi, aveva maturato una sorta di invidia nei confronti di questo ragazzo, che incarnava tutto ciò che lui non era e non aveva. Eleonora Manta non era il suo bersaglio, ha avuto la tragica sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
"Perché difendo un assassino": parla l'avvocato del killer
La sentenza, la pena
Come detto, De Marco è stato condannato all’ergastolo con 3 anni di isolamento diurno, ma solo in primo e secondo grado perché non ricorrerà in Cassazione. Secondo la sentenza della Corte d’assise del giugno 2022 presieduta da Pietro Baffa, il giovane avrebbe agito "con spietatezza e totale assenza di ogni sentimento di pietà verso il prossimo”. La sentenza di secondo grado, che confermava che “Antonio De Marco era perfettamente lucido e orientato, in grado di percepire correttamente la realtà. Scelse di uccidere con estrema lucidità, scegliendo di allearsi con il male”, è stata pronunciata a febbraio 2023.
Durante la detenzione, è stata resa nota la volontà di De Marco, detenuto a Borgo San Nicola, su alcuni particolari della pena. Dapprima avrebbe voluto essere trasferito nel carcere di Bollate, dove esiste un programma di recupero pionieristico e dai risultati soddisfacenti. Successivamente ha formalizzato il cambio di indirizzo di studi, da scienze infermieristiche a filosofia. A De Marco è stato riconosciuto un disturbo di personalità narcisistica, ma nel processo è stato escluso il vizio di mente.
“Partiamo da un presupposto: anche i periti della Corte d'assise hanno evidenziato un grave disturbo di personalità del ragazzo - conclude l’avvocato - Tuttavia hanno sostenuto che questo disturbo non sia tale da incidere sulla capacità di intendere e volere di De Marco né che lo sia stato al momento del fatto. I nostri consulenti sono invece di diverso avviso, ritenendo che sarebbero stati necessari ulteriori e diversi accertamenti e che le lacune e gli errori di metodo e di procedura abbiano alterato la validità scientifica della perizia eseguita davanti alla Corte d'Assise e le loro valutazioni. Proprio perché reputavamo insoddisfacente la perizia, dopo la condanna in primo grado, abbiamo fatto ricorso in Appello. L’obiettivo della difesa e dei familiari del ragazzo era quello di ottenere una nuova perizia o almeno che venissero disposti chiarimenti su quella precedente”.
Auto contro moto nel basso Salento: muore centauro 54enne. Fu accusato dell'omicidio di Noemi Durini, poi prosciolto. Il mezzo a due ruote si è scontrato con una Lancia Y, nel tratto tra Montesano e Lucugnano. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Settembre 2023.
Un uomo di poco più di cinquant'anni, Fausto Nicolì, è morto questa mattina nel Salento, dopo che la sua moto si è scontrata con una Lancia Y.
Nonostante i soccorsi tempestivi, per la vittima non c'è stato nulla da fare: i sanitari hanno provato a lungo a rianimarlo invano. Illeso anche se sotto choc il conducente della vettura, un anziano.
L'impatto è avvenuto sulla SS275, tra Lucugnano e Montesano. La moto è andata quasi completamente distrutta. Le indagini sono affidate ai carabinieri.
Il nome del 55enne comparve nell’inchiesta per l’omicidio della 16enne Noemi Durini, avvenuto in provincia di Lecce nel settembre del 2017, dopo alcune dichiarazioni rese da Lucio Marzo, l’ex fidanzato della ragazzina reo confesso del delitto. In seguito ad ulteriori indagini Nicolì fu prosciolto da ogni accusa.
Incidente stradale in Salento, morto il 54enne Fausto Nicolì: fu accusato (ingiustamente) dell'omicidio di Noemi Durini. Claudio Tadicini su Il Corriere della Sera il 19 Settembre 2023.
Il meccanico di Patù era stato tirato in ballo dal vero assassino di Noemi, l'ex fidanzato Lucio Marzo, in una lettera spedita dal carcere. Le accuse, rivelatesi infondate, sono costate al ragazzo altri 2 anni e 8 mesi di carcere.
Sei anni fa fu accusato (ingiustamente) dell’omicidio di Noemi Durini - la 16enne morta sotto un cumulo di pietre a Castrignano del Capo, il 3 settembre 2017- dall'ex fidanzato della ragazza, Lucio Marzo, il suo effettivo assassino. Ma nella mattina del 19 settembre è rimasto vittima di un drammatico incidente stradale, che gli è costato la vita. Si tratta del 54enne Fausto Nicolì, meccanico originario di Patù: i medici del 118 hanno provato a rianimarlo per quasi mezz’ora, ma ogni sforzo è risultato vano.
Lo scontro moto-auto
L’incidente si è verificato nel basso Salento attorno alle 7.30, lungo la strada statale 275, nel tratto compreso tra Lucugnano (frazione di Tricase) e Montesano Salentino. Ed è costato la vita al 54enne che viaggiava in sella ad una moto di grossa cilindrata. Lo schianto, avvenuto per cause in di accertamento tra le due ruote ed una Lancia Y, ha fatto sbalzare il centauro per diversi metri e per lui non c’è stato purtroppo nulla da fare.
La zona è stata raggiunta, oltre che dai soccorritori, anche dai carabinieri della Compagnia di Tricase, che dovranno stabilire l’esatta dinamica della tragedia e stabilire eventuali responsabilità. I mezzi sono stati sequestrati. L’uomo - come detto - era stato indagato nell’ambito dell’omicidio della sedicenne Noemi Durini, di Specchia, tirato in ballo falsamente dal fidanzato della giovane, oggi 24enne, omicida reo confesso della giovane, sepolta viva nelle campagne di Castrignano del Capo nel settembre 2017.
Le false accuse di Lucio Marzo
L’omicida della ragazza, in particolare, aveva puntato il dito nei confronti di Nicolì in alcune lettere scritte in carcere dopo l’arresto per omicidio, nelle quali indicava l'uomo come l’autore del delitto e di minacce nei suoi confronti: «Ha promesso che se avessi parlato - scrisse Lucio Marzo nelle missive - avrebbe sterminato la mia razza». Calunnie che sono costate al ragazzo una ulteriore condanna a 2 anni e 8 mesi, in aggiunta a quella a 18 anni e 8 mesi per l'omicidio di Noemi. Dopo un permesso premio ottenuto ad agosto, il giovane si era reso protagonista di un inseguimento con la polizia, che lo aveva trovato alla guida dell'auto sotto l'effetto dell'alcol. Per questo è ora tornato dietro le sbarre, questa volta in una struttura detentiva per adulti.
Noemi Durini fu picchiata e sepolta viva. La madre: “Nessuno mi ha aiutata”. Il 3 settembre 2017 scomparve Noemi Durini: era stata picchiata, accoltellata e sepolta viva dal fidanzato Lucio Marzo. La madre dice: "Un femminicidio annunciato". Angela Leucci il 5 Settembre 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
La scomparsa
La confessione e il ritrovamento del corpo
Il processo
I punti oscuri
Una terra mobilitata per la sparizione di un’adolescente. Poi la confessione del colpevole di omicidio. Infine la scoperta choc sulle modalità dell’assassinio. Quello di Noemi Durini fu un femminicidio che ancora oggi scuote le coscienze sia per la giovane età della vittima sia per le cause della morte individuate in sede autoptica. “Quello di Noemi fu un femminicidio annunciato. Avevo chiesto aiuto più volte, quando ho avvertito pericolo, ma nessuno mi ha aiutato”, precisa Imma Rizzo, mamma della giovane, a IlGiornale.it.
Non solo: a soli 6 anni dall’omicidio, colui che è stato riconosciuto come il colpevole dalla giustizia italiana, Lucio Marzo, fuori dal carcere minorile per un permesso di lavoro, è stato fermato, dopo un inseguimento, dalle forze dell’ordine, ed era - ubriaco - a bordo di un mezzo che non avrebbe potuto guidare.
La scomparsa
Il 3 settembre 2017 una 16enne, Noemi Durini, studentessa in servizi sociali, scomparve da Specchia in provincia di Lecce: dopo la denuncia di scomparsa presentata dai genitori, partì come di consueto il tam tam sui social. Il volto di Durini, il numero dei genitori e del 112 campeggiarono per giorni nelle feed di Facebook dell’intero Salento e non solo. Un territorio, ancora sconvolto per la scomparsa, sebbene in circostanze molto differenti, avvenuta 7 anni prima di una coetanea - Sarah Scazzi - poi rivelatasi un omicidio, ha sperato fino alla fine in un lieto fine, in un ritorno a casa che non c’è mai stato.
“Noemi - racconta Rizzo - era una figlia straordinaria, un animo nobile, prezioso. Le dicevo sempre: tu non sei come le altre ragazzine. Era buona, tanto umana, sempre aperta al prossimo nonostante la giovane età. A scuola si relazionava con tutti: l’ultimo anno si era molto affezionata a un coetaneo con autismo, avevano creato una bella amicizia. Lei gli dava affetto, lo aiutava tutti i giorni a scuola”.
La confessione e il ritrovamento del corpo
Mano a mano che i giorni passavano, i media hanno sottolineato come Durini avesse una relazione che i genitori non gradivano: l’allora 17enne Lucio Marzo sarebbe stato dipinto successivamente dai coetanei del luogo sulla stampa come possessivo. E la madre di Durini si era rivolta alle forze dell’ordine, denunciando in occasioni ben precise, senza però neppure un ordine restrittivo.
“Ci fu un episodio in particolare, a maggio 2017 - dice la donna - Mi chiamarono i carabinieri, chiedendomi di recarmi a Montesardo, località in cui lui abitava. Vidi Noemi con i capelli arruffati e pieni di lividi: i carabinieri mi dissero che Lucio l’aveva picchiata. Ho portato l’indomani Noemi in ospedale, perché avvertiva forti dolori alla testa, e con il certificato medico ho sporto denuncia, allegando anche le foto del corpo e del viso. Chiesi ai carabinieri di tenerlo lontano da mia figlia, ma mi risposero che attendevano la decisione di un giudice. Ma la risposta non è mai arrivata". E ancora: "Noemi mi diceva sempre che Lucio la minacciava, affermando che si sarebbe tolto la vita se lei l’avesse lasciato. Chiesi conto ai carabinieri anche del contesto famigliare, ma mi fu risposto che quella di Lucio era la classica famiglia perbene, la famiglia del Mulino Bianco. Tanto Mulino Bianco che la famiglia è stata condannata in primo grado per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, per aver offeso l’onore e l’onorabilità di Noemi su tantissimi programmi televisivi nazionali". Sempre la donna spiega:" Ho fatto richieste non solo ai carabinieri, ma anche ai servizi sociali, ma sono stata lasciata da sola. Diciamo sempre: denunciate. Ma chi di dovere deve ascoltare le denunce e intervenire subito. Con il Codice Rosso fortunatamente qualcosa è cambiato”.
Il 13 settembre 2017 Marzo confessò di aver ucciso Durini la notte stessa della scomparsa in una campagna di San Giuseppe di Castrignano del Capo. Lui disse di averla uccisa colpendola con una pietra, ma quello che l’autopsia stabilì fu agghiacciante: Noemi Durini era stata picchiata a mani nude, accoltellata alla nuca e quindi sepolta viva con le stesse pietre dei muretti a secco che i turisti nel Salento tanto ammirano. Durini era morta per asfissia, mentre a Marzo non restò che puntare, come confidò a un amico, sull’infermità mentale: dopo la confessione lasciò la caserma sbeffeggiando una folla inferocita pronta a linciarlo e da cui venne protetto dai militari in servizio.
Marzo fu quindi rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario, mentre il padre Biagio Marzo, inizialmente indagato per il solo occultamento del corpo, fu poi scagionato. Fu un momento choc quando si seppe che l’uomo sarebbe stato informato dell’omicidio dal figlio il giorno prima della confessione. Tuttavia Biagio Marzo con la moglie si abbandonò a scene colorite di fronte alle telecamere, affermando più volte di non saperne nulla quando venne informato in diretta da una giornalista della confessione e del rinvenimento del cadavere.
Lucio Marzo disse agli inquirenti di essere stato soggiogato, perché innamorato di Noemi Durini, accusandola di aver progettato di uccidere i genitori di lui, dato che si opponevano alla loro relazione. Ai genitori Lucio marzo lasciò un biglietto con scritto: "Quello che ho fatto è stato per l’amore che provo per voi. Noemi voleva che io vi uccidessi per potere avermi con sé. Sono un fallito e mi faccio schifo. Vi voglio bene papà e mamma”. Tuttavia Lucio Marzo ritrattò successivamente la confessione, addossando la colpa del delitto a un meccanico di Patù, che alla fine venne scagionato.
Il processo
I legali di Lucio Marzo chiesero per il loro assistito il rito abbreviato: il giovane venne giudicato per due volte dal Tribunale dei Minorenni di Lecce - in primo grado il 4 ottobre 2018 e in secondo grado il 7 giugno 2019 - anche nel momento in cui diventò maggiorenne. Fu condannato a 18 anni e 8 mesi di carcere per omicidio con le aggravanti della premeditazione, dei futili motivi e della crudeltà. Rinunciò alla Cassazione. Fu inoltre giudicato capace di intendere e di volere: “Egli ha compreso il disvalore e l’abnormità del gesto commesso, proprio per questo ha avuto la rapida e perseverante premura di allontanare da sé ogni sospetto e, dopo la confessione, di aver più volte disorientato gli interlocutori verso alterne versioni dei fatti, che per quanto goffe, sono state organizzate secondo rappresentazioni per lui giuridicamente più favorevoli”, si legge tra le motivazioni della sentenza.
Fu rigettata anche la messa in prova per Marzo, con queste motivazioni: “Il brutale omicidio di Noemi, commesso con lucida premeditazione, costituisce manifestazione estrema di una personalità orientata all’uso della violenza e alla prevaricazione, quale usuale metodo di soluzione delle tensioni e dei conflitti. L’osservazione della sua personalità non lascia intravedere in alcun modo segnali sui quali fondare un giudizio favorevole sulla possibilità di un suo recupero". Tra gli episodi significativi, i giudici segnalano gli atteggiamenti tenuti in carcere "come la colluttazione con un altro detenuto che il ragazzo aveva tentato di colpire con un manubrio di ferro sottratto dalla sala pesi (episodio avvenuto nel settembre 2018) con il chiaro intento di punirlo per aver avuto comportamenti poco corretti nei suoi confronti”.
I punti oscuri
Non mancano in questa vicenda alcuni punti oscuri, uno su tutti: qualcuno aiutò Lucio Marzo la notte del femminicidio? Perché le modalità dell’omicidio confessate sono diverse da quanto riscontrato in autopsia? Perché a un certo punto la confessione è stata ritrattata?
All’indomani della guida in stato di ebrezza di Marzo, fuori dal carcere minorile di Quartucciu in provincia di Cagliari, la legale della famiglia Durini Valentina Presicce ha diffuso una nota in cui cita parte delle motivazioni della sentenza e spiega successivamente: “In ragione dell'estrema gravità dei fatti commessi si è venuta a creare una frattura con la società il cui superamento richiede un lungo tempo di detenzione non sicuramente compatibile con il decorso di neanche 6 anni di detenzione. Oggi pretendiamo che qualcuno ci dica chi ha valutato la pericolosità sociale di Lucio Marzo, pretendiamo che qualcuno ci dica a chi era intestata l'autovettura che Lucio Marzo guidava ubriaco. Per tale motivo abbiamo trasmesso al Ministro della Giustizia una richiesta di accertamenti urgenti sui fatti gravissimi accaduti in Sardegna per capire come mai un assassino ancora pericoloso per la società era ubriaco alla guida di una autovettura e se ci sono responsabilità da imputare a terzi”.
"Mia figlia sepolta viva. E nessuno chiede scusa"
In un’altra nota Presicce scrive: "Prima di concedere i permessi premio si dovrebbe verificare la pericolosità sociale del condannato. Oggi pretendiamo che qualcuno ci dica chi ha appurato questa condizione. Pretendiamo che qualcuno ci dica, dopo quanto accaduto, chi ha valutato la pericolosità sociale di Lucio Marzo. A oggi, un solo fatto è pacifico: un assassino, in permesso premio, senza patente, era ubriaco al volante. E se avesse investito un pedone, se avesse provocato un incidente? Se avesse commesso un omicidio stradale? Chi si sarebbe preso la responsabilità dell'accaduto? Lo Stato italiano? Un assassino, ancora socialmente pericoloso, libero e ubriaco alla guida per le strade della Sardegna, con il rischio di fare del male ad altre persone, ad altre ragazze. Questa è una vergogna per Noemi, per i familiari e per tutte le donne vittime di violenza che ancora oggi gridano giustizia”.
Oggi Imma Rizzo è una delle persone in prima linea alla lotta contro la violenza sulle donne e i femminicidi. “Secondo me, il primo passo da compiere di fronte a questo tipo di crimini, da parte dello Stato, è garantire la certezza della pena - chiosa - Stiamo scrivendo alle alte cariche dello Stato, vogliamo incontrare i nostri rappresentanti per dire basta con tutta questa violenza, le vittime di femminicidio chiedono giustizia. Stavolta mi devono ascoltare: non è possibile che dopo 6 anni da un omicidio si ottenga un permesso premio. Io non ho paura di nessuno, ma mi chiedo: chi ci tutela dall’ottenere una giustizia giusta, certa? I detenuti - e non tutti possono essere riabilitati - vivono a spese di noi contribuenti. Ma le famiglie potrebbero aver bisogno di un aiuto, per esempio l’affiancamento di uno psicologo. Ci resta tanta violenza, perché abbiamo subito il trauma di una figlia massacrata e sepolta viva. Che messaggio diamo alle giovani generazioni? Che si possa decidere della vita degli altri e ci si possa rifare una vita, magari sbeffeggiando lo Stato? È questo il messaggio che Lucio Marzo ha dato”.
E, a suo avviso, si può fare qualcosa anche dal punto di vista culturale, a partire dalle parole che si utilizzano nella narrazione giornalistica. “Ci sono delle parole che fanno male quando si legge o si ascolta di femminicidi e omicidi in genere - conclude - Per esempio il ‘fidanzatino’ nel caso del killer, oppure il fatto che su di noi sia stato scritto che c’era una ‘faida famigliare’. E ancora ‘però era un bravo ragazzino’. Quando si usano parole di questo tipo si fa un danno inimmaginabile. Perché, nel momento in cui si aggiunge un ‘però’, si sta giustificando un atto di violenza. Mi auguro che ci si concentri di più su chi era la vittima, senza ‘però’. Nessun gesto di questo tipo è giustificabile. Se togli la vita a una persona, tu sei un assassino. Diamo una definizione al carnefice. E questo vale anche per gli abusi sessuali: se stupri sei uno stupratore. Sei un violento. Sono parole presenti nel vocabolario”.
Lucio Marzo, killer di Noemi Durini, in permesso è stato fermato alla guida ubriaco: tenta la fuga. Il giovane colpevole dell'omicidio della 16enne salentina bloccato dalla stradale a Cagliari, non poteva guidare. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno l'11 Agosto 2023
Fermato dalla polizia stradale a Cagliari nel corso di un normale controllo, ha tentato di scappare prima in auto e poi a piedi. Quando gli agenti hanno controllato i documenti, hanno capito il motivo di quella fuga: il ragazzo bloccato era Lucio Marzo, 24 anni, pugliese di Castrignano del Capo, condannato in via definitiva per l'omicidio della sua fidanzata 16enne, Noemi Durini, uccisa il 3 settembre del 2017 nel comune in provincia di Lecce.
Era in permesso premio per svolgere un’attività lavorativa in un esercizio commerciale a Sarroch. Ma tra le prescrizioni del provvedimento c'era anche il divieto di usare veicoli a motore. Inoltre, sottoposto ad accertamenti etilometrici, è risultato positivo. Per lui è scattata una denuncia a piede libero per guida in stato di ebbrezza.
Un caso di femminicidio, quello della giovanissima Noemi, che scosse tutta Italia. Reo confesso e all’epoca 18enne, Marzo sta scontando la sua pena a 18 anni e otto mesi nel carcere minorile di Quartucciu. Il corpo della ragazza, ritrovato dieci giorni dopo la denuncia di scomparsa, era stato occultato sotto un cumulo di pietre nelle campagne di Castrignano del Capo. Tre anni fa il giovane aveva chiesto di poter lavorare in stato di detenzione. La famiglia di Noemi non aveva gradito, ma l'attività extra carceraria rientra tra le misure previste per il recupero dei detenuti. E infatti Marzo era in regime di permesso premio concesso dall’autorità giudiziaria proprio per lavorare a Sarroch. E nel paese a venti chilometri da Cagliari era stata disposta la dimora prima di rientrare all’istituto di pena minorile.
Ieri l’alt della polizia stradale a Cagliari: a richiamare l'attenzione degli agenti, l’eccessivo rumore dell’auto che guidava. Dopo un rocambolesco inseguimento in auto e un tentativo di fuga a piedi, il fermo e la denuncia.
Estratto dell’articolo di Valeria D'Autilia per “la Stampa” domenica 13 agosto 2023.
Ubriaco al volante, ha tentato di fuggire prima in auto e poi a piedi al controllo della polizia. È stato inseguito e bloccato a Cagliari durante un permesso dalla detenzione, concesso per lavorare in un negozio. Nel 2017 quel ragazzo, Lucio Marzo, oggi 24enne, aveva confessato di aver ucciso la sua fidanzata, Noemi Durini, di soli 16 anni.
È stato condannato in via definitiva a 18 anni e 8 mesi per l'omicidio commesso nelle campagne del Salento. La pena nel carcere minorile di Quartucciu, in Sardegna. Aveva 17 anni all'epoca dei fatti. Su sua richiesta, gli è stato consentito di svolgere un'attività lavorativa, ma con divieto di condurre veicoli a motore. Gli agenti giovedì lo hanno anche trovato positivo all'etilometro ed è scattata la denuncia per guida in stato di ebbrezza. Ora è in forse anche il suo permesso per recarsi a Sarroch, dove era stata disposta la dimora prima di rientrare nel penitenziario.
Il 3 settembre di quasi 6 anni fa Noemi era stata aggredita, picchiata e lasciata agonizzante sotto un cumulo di pietre. Una morte atroce, tra gli ulivi di Castrignano del Capo, nel Leccese. Punita «per la forza ed il coraggio con la quale viveva la propria esistenza. Forza, coraggio e libertà che, invece, a lui erano sempre mancati» scrivevano i giudici.
Imma Rizzo, la mamma di Noemi, è indignata per l'ennesimo sfregio alla memoria della figlia. Aveva già protestato, tre anni fa, contro la decisione dell'autorità giudiziaria di concedere al reo confesso la possibilità di lavorare: «Sta succedendo quello che mi aspettavo. Lucio non ha capito la gravità di quello che ha fatto». Si riaccende un dolore che mai è passato. E che mai passerà.
Cosa si sente di dire su quanto accaduto a Cagliari?
«È vomitevole sentire e leggere "permessi premio". Cose del genere non si danno nemmeno ai bambini. A un figlio devi dare educazione, regole, far capire la necessità di comportarsi bene per se stesso e per gli altri, non per avere un premio in cambio. A scuola non bisogna dire "studia perché sarai premiato", ma far capire che è un dovere farlo. E non è una mancata comprensione degli errori. Se a causa della mia distrazione urto un passante per strada commetto un errore, quando si toglie la vita a un'altra persona non è un errore. È un reato grave, è violenza. Ormai si concede tutto».
Quindi lei non crede nell'utilità di questi permessi?
«[…] Chi toglie la vita è un assassino e non può stare fuori. Lo Stato vuole assumersi la responsabilità di questa scelta? Stessa cosa per i politici. Nessuno si mette la mano sul cuore e pensa: "E se fosse capitato a me?". Lucio deve solo stare in carcere. Ha ucciso Noemi, ma sembra che si stia facendo il soggiorno in Sardegna. È libero come il vento e nessuno lo controlla».
Qual è stata la sua prima reazione dopo aver appreso la notizia?
«Sono rimasta basita. È tornato l'incubo, mi sono chiesta se effettivamente quella fosse la realtà. Non si può perdonare, assolutamente no. Sono una persona credente, che ha fiducia nel prossimo, ma non potrò mai perdonarlo per aver ucciso mia figlia. Ogni giorno mi alzo e guardo il suo letto, la sera la scena si ripete. Il dolore è forte, non c'è rassegnazione. Vado avanti per gli altri figli e per Noemi stessa». […]
Estratto dell’articolo di Bepi Castellaneta per il “Corriere della Sera” lunedì 14 agosto 2023
«Credo nella giustizia, ma la verità è che lo Stato tutela gli assassini. E noi vittime siamo condannate all’ergastolo». Imma Rizzo non usa mezzi termini. Lei, la madre di Noemi Durini, la ragazza di 16 anni uccisa a coltellate e colpi di pietra dal suo fidanzato il 3 settembre del 2017 tra gli ulivi di Castrignano del Capo, punta estrema del Salento, lancia un affondo contro le procedure che hanno consentito a Lucio Marzo, l’assassino della figlia, di ottenere un permesso premio nonostante la condanna a 18 anni e 8 mesi di reclusione che sta scontando nel carcere di Quartucciu, in provincia di Cagliari. Il giovane, adesso 24enne, è stato fermato dalla polizia: era alla guida di un’auto in stato di ebbrezza.
Signora Rizzo, che cosa contesta allo Stato?
«Chiedo semplicemente che venga scontata la pena. Come avviene negli altri Paesi».
Non crede nella riabilitazione?
«Mi attengo ai fatti: sono passati appena 6 anni e l’assassino di mia figlia è già a spasso. È vergognoso».
Come ha saputo che Lucio Marzo era stato fermato?
«Mi hanno girato un articolo su whatsapp. Non ne sapevo niente. E non avrei mai immaginato che potesse uscire dopo così poco tempo».
Che cosa ha provato quando ha letto?
«Tanta rabbia. Ma non intendo arrendermi, andrò avanti».
Vale a dire?
«Continuerò […] a denunciare le storture di questo sistema».
A che cosa si riferisce?
«Come si può pensare che un assassino dopo sei anni sia da considerare recuperato?
Questa è gente che ha ucciso, ha tolto la vita a un’altra persona».
Non crede nella giustizia?
«Al contrario, proprio perché credo nella giustizia penso che questa sia una sconfitta […] perché non viene applicata la condanna che è stata inflitta. Io sono contraria alla pena di morte, mi sono affidata alla legge, ma questa non è giustizia […]».
Ha mai notato qualche segno di pentimento da parte di Lucio Marzo?
«Assolutamente no. […]». […]
Omicidio Miglietta, pm tuona: "Ergastolo e isolamento". Redazione il 20 novembre 2008 su Lecceprima.it
Ergastolo con isolamento diurno per sei mesi per Fernando Tondo e carcere a vita per il fratello Fabio. Sono le richieste formulate nel processo per l'omicidio del vigilante di Squinzano, del 2005
La parola ergastolo è risuonata per ben due volte nell'aula di Corte d'assise del Tribunale di Lecce dove è giunto alle battute finali il processo per l'omicidio della guardia giurata Alessandro Miglietta, ucciso il 17 novembre del 2005 davanti alla sua abitazione a Squinzano. Il presunto killer Fernando Tondo, 29enne di Torchiarolo, rischia il carcere a vita con isolamento diurno per sei mesi. Anche per il fratello Fabio, il pubblico ministero Paola Guglielmi ha invocato la pena dell'ergastolo, con le pene accessorie. E' stata una dura e lunga requisitoria, con la quale il pm ha ricostruito meticolosamente le concitate fasi dell'omicidio, suddivise in cinque micro-sequenze spalmate su un arco temporale di appena dieci minuti.
Una ricomposizione dei vari tasselli incastonati nel puzzle della scena del delitto, secondo la pubblica accusa, emersi dall'audizione dei testi sfilati davanti ai giudici e che configurano uno scenario corroborato da "dati incontrovertibili a carico dei due imputati". Il pubblico ministero ha ravvisato gli elementi per contestare ai fratelli Tondo "il dolo, una volontà colpevole, in cui l'intensità dell'intenzione delittuosa può anche esser messa in discussione, ma non la sua piena consapevolezza". La consistenza delle pene richieste è stata vallata da una serie di elementi rintracciati in sede dibattimentale. Fernando Tondo risponde oltre che dell'omicidio del 33enne anche del tentato omicidio della madre e per i due fratelli il rappresentante della pubblica accusa ha evidenziato l'insussistenza delle attenuanti generiche, perché la "morte di Miglietta è scaturita da una lezione di giustizia privata conclamata sia nella fase del pensare che dell'agire". Per il tentato omicidio dell'anziana madre, Lourdes Riveiro Borreiro, 63 anni, originaria della Spagna, che nel tentativo di sottrarre il figlio ai suoi carnefici rimase colpita al torace dal proiettile che aveva ferito mortalmente Miglietta, il pubblico ministero ha evidenziato come "Fernando pur non volendo deliberatamente uccidere avrebbe deliberatamente accettato il rischio". Fine pena mai anche per il fratello più giovane.
Per lui, il pm non ha chiesto nessuno sconto: "Avrebbe offerto il proprio contributo psicologico nel rafforzare la volontà offensiva e per aver partecipato materialmente alla scazzottata colpendo il vigilante con una serie di colpi di mazza". Il pubblico ministero Paola Guglielmi, nella sua requisitoria, ha ravvisato anche la discriminante dei futili motivi a carico dei due imputati, condensata "nella spropositata e violenta reazione ravvisata nei fratelli, accecati da una rabbia assassina". Ai giudici popolari e togati della Corte d'assise (presieduta dal Presidente Giacomo Conte), il pm con voce ferma e decisa ha chiesto che nella loro decisione non abbia peso lo status di incensurati dei Tondo: "La gravità del reato, la capacità a delinquere, le modalità di esecuzione della spedizione punitiva, programmata senza tentennamenti, l'immediata fuga in macchina dopo l'esecuzione nonostante i colpi sparati da un maresciallo dei carabinieri contro l'auto e il ricorso al perdono o al pentimento mai arrivato ai famigliari della vittima delineano uno scenario in cui non si può valutare la fedina penale pulita dei due fratelli".
Le pesantissime richieste di condanna sono arrivate a conclusione di un lungo e meticoloso lavoro di ricostruzione di quanto sarebbe avvenuto quel 17 novembre 2005 con cui incrociando le testimonianze dei testi, dando lettura di stralci di verbali della polizia giudiziaria, evidenziando le incongruenze degli interrogatori forniti davanti al Gip in sede di convalida degli arresti e poi in dibattimento dai due fratelli, il pubblico ministero ha riprodotto la "scena del delitto" per sommi capi. Il vigilante era rientrato a casa dei propri genitori dove viveva dopo una giornata trascorsa al mare ed aveva appena aperto il cofano della sua Peugeout 206 per scaricare l'attrezzatura da pesca quando sarebbe stato raggiunto dai due fratelli Tondo giunti a bordo della loro Bmw. Fernando si sarebbe avvicinato al vigilante e la discussione sarebbe rapidamente degenerata, scivolando in una vera e propria spedizione punitiva. Nelle concitate fasi della zuffa, Miglietta sarebbe rimasto in balìa dei due fratelli. Sarebbe stato aggredito con calci e pugni, bastonato con una spranga e in quei furibondi momenti avrebbe estratto la pistola d'ordinanza, una calibro 9, sparando un colpo che avrebbe centrato Fernando fra la spalla e il collo, lesionando i tessuti molli in modo non grave. Tondo si reggeva comunque in piedi, le condizioni fisiche potevano consentirgli di continuare nella scazzottata, mentre Fabio assestava altre randellate alla schiena e al cranio di Sandro.
Intanto la sorella Simona da casa venne richiamata dalle urla provenienti dall'esterno, dal colpo di pistola e dal tintinnio di un'arma. Uscì fuori, si avventò su Fernando che nel frattempo si trovava a cavalcioni sul fratello, cercando di allontanarlo. Nel frattempo intervenne il maresciallo dei carabinieri Alfredo Garzya che si appiccicò su Miglietta cercando di allontanarlo, ma venne colpito da una gomitata, rimanendo stordito, uscendo dalla scena del delitto. La lotta si chiuse alcuni secondi dopo. La madre del vigilante accorse fuori, tenendo stretto il figlio. Ma era ormai troppo tardi. La pistola venne raccolta da Fernando Tondo che scarrellò l'arma e fece partire un colpo con il braccio teso che raggiunse al torace Miglietta, ferendo anche la madre. Poi l'immediata fuga.
Quando il pubblico ministero ha pronunciato per ben due volte la parola ergastolo nell'aula di Corte d'assise è caduto il gelo. Un silenzio assordante interrotto a fatica dal presidente Giacomo Conte. I fratelli Tondo, con il capo chino e gli occhi nel vuoto. La mamma di Miglietta in lacrime, mentre i genitori dei due imputati in piedi esclamavano con flebili respiri: "Non è giusto, non è giusto, non è possibile". Il verdetto è atteso il prossimo 2 dicembre. Dopo le conclusioni dell'avvocato Elvia Belmonte, legale della famiglia Miglietta, sarà il turno del legale dei Tondo, il penalista Luca Piri. Poi i giudici togati e popolari si chiuderanno in Camera di consiglio. In ballo la fine della vita civile di due giovani e la giustizia invocata per una spedizione punitiva finita in un bagno di sangue.
Dal Castello a Punta Suina: i luoghi da non perdere a Gallipoli. Cosa vedere durante le vacanze a Gallipoli: il Castello, la Fontana greca, la chiesa di Santa Maria della Purità e Punta della Suina. Angela Leucci il 7 Agosto 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Il Castello
La Fontana Greca
Chiesa di Santa Maria della Purità
Punta della Suina
Gallipoli è probabilmente la città a maggiore impatto turistico della provincia di Lecce. Un turismo balneare, rivolto alla movida soprattutto: centro storico e litorale sono punteggiati di lidi e locali nella quinta cittadina del Salento per numero di abitanti. Ma naturalmente non è tutto qui, perché c’è molto da vedere anche per chi apprezza il turismo culturale e la natura. Qui di seguito alcuni punti di partenza per la propria esplorazione gallipolina.
Il Castello
L’attuale assetto del castello angioino di Gallipoli è risalente al basso Medioevo, sebbene sia stato costruito su una fortificazione del III secolo più volte distrutta da popolazioni provenienti da Nord e Mitteleuropa. Tuttavia, come spesso accadde nel Sud Italia, la struttura iniziò a vivere una nuova primavera sotto il dominio di Federico II di Svevia, anche per la sua importanza strategica: il Castello sembra sorgere dalle acque di un porto che era crocevia di popoli, di scambi culturali e commerciali. Sotto gli Angioini e gli Aragonesi la fortezza fu ulteriormente rafforzata e nei secoli successivi arricchita da diversi elementi architettonici, come una torre quadrata. Dal 2014 in poi la struttura è tornata a essere aperta al pubblico e ben presto è divenuta il centro della cultura non solo locale, grazie anche a una sontuosa opera di ripristino e restauro degli elementi interni ed esterni e grazie all’organizzazione capillari di diversi eventi. Tra le altre architetture militari antiche presenti da ammirare, ci sono la cinta muraria con i suoi vari bastioni e le torri costiere del XVI secolo, come Torre del Pizzo, Torre San Giovanni la Pedata, Torre Sabea e Torre dell’Alto Lido.
La Fontana Greca
La Fontana Greca è un monumento dalla datazione incerta: ciò che si sa sicuramente è che nel XVI secolo venne ristrutturata, come pure successivamente con l’aggiunta di una facciata strutturale sul retro. La fontana è decorata da 4 cariatidi e 3 bassorilievi che ritraggono altrettanti miti inerenti all’acque e alle fontane in pietra, ovvero i personaggi metamorfici della mitologia greca Dirce, Salmace e Biblide.
Chiesa di Santa Maria della Purità
Le cappelle “di mare” sono molto spesso una sorpresa. Perché possiedono una certa spiritualità primitiva e autentica, una semplicità che richiama il bisogno dell’essere umano a farsi comunità, nel caso della chiesa di Santa Maria della Purità sotto la protezione della fede. A fronte di una facciata abbastanza spartana con lesene e pinnacoli, all’interno della cappella a una navata si trovano invece sontuosi stucchi barocchi e opere d’arte sacra come una tela della Madonna della Purità raffigurata con san Giuseppe e san Francesco d’Assisi, dipinti del XVIII secolo che raccontano episodi biblici, oltre che la statua della Madonna della Misericordia, quella della Madonna del Canneto e di santa Cristina, compatrona della città. Tra le chiese più interessanti da visitare figurano la basilica di Sant’Agata, le chiese di San Francesco di Paola e San Francesco d’Assisi, quella del Crocifisso, di San Domenico al Rosario, di Santa Maria degli Angeli e molte altre.
Punta della Suina
Sono molte le spiagge, libere e attrezzate a Gallipoli. Ma forse una delle località di mare più apprezzate, dove sono presenti sia zone libere che lidi serviti, è Punta della Suina. Si tratta di una propaggine che ospita suggestive insenature di sabbia bianca finissima e un mare turchese. Il nome viene probabilmente dal bizzarro penisolotto che caratterizza la località, proteso come il muso di un maialino che accarezza le acque limpide e incantevoli.